stupido fragile fifone di nat1982 (/viewuser.php?uid=58259)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo - sogno d'infanzia ***
Capitolo 2: *** rapimento ***
Capitolo 3: *** il cielo piange ***
Capitolo 4: *** apocalisse ***
Capitolo 5: *** licenza di uccidere ***
Capitolo 6: *** la speranza non muore ***
Capitolo 1 *** prologo - sogno d'infanzia ***
prologo - sogni d'infanzia
Anthony Seller stava camminando per le vie del suo paesino, con lo
zainetto sulle spalle carico di pesantissimi libri di scuola
percorrendo un viale alberato che gli metteva addosso incredibile
allegria. Ci si avvicinava alla stagione primaverile e il rosa era il
colore predominante degli alberi, il colore dei fiori appena sbocciati,
che rendevano ogni arbusto una sorta di abbellimento artistico in
contrasto con il grigiore cittadino. Il vento sembrava portare una
leggera brezza potendo così provare il piacere di sentire l’alito
profumato della bella stagione. Era contento, aveva finalmente
terminato la collezione di fumetti del suo supereroe preferito, facendo
una tappa in edicola, prima di andare a scuola, era riuscito ad avere
l’ultimissimo numero e, dopo averlo infilato in cartella, si apprestava
ad andare in classe, di fretta e in ritardo, come era suo solito fare.
Guardò l’orologio Swatch che suo padre gli aveva regalato al suo ultimo
compleanno e si accorse che la lezione sarebbe iniziata fra pochissimi
minuti e lui era piuttosto lontano dalla scuola. Decise di correre per
tentare di arrivare in orario. Correva a testa bassa e non guardava
neanche dove metteva i piedi, come fanno di solito i bambini. Alzò gli
occhi all'improvviso, era troppo tardi, l'ostacolo che intralciava la
sua corsa si era presentato troppo in fretta, forse si era
materializzato proprio in quell'istante. Arrancò, cerco di smuovere
l'aria con le mani per farsi aiutare dall'aria a frenare ma fu tutto
invano, andò a sbattere contro qualcosa, anzi qualcuno, la persona che
quasi tutte le mattine tormentava la sua esistenza. Era John Feelin il
bullo della scuola, il ragazzino più grosso di tutti, quello che
metteva paura solo quando ti passava di fianco. Anthony era gracilino,
timoroso e lui, quasi come se avesse le caratteristiche sensoriali di
un cane, lo sentiva e approfittava di questo per poterlo molestare.
«Anthony.. dove vai così di corsa?»
Si rivolse a lui con tono
indubbiamente sarcastico, il piccolo Anthony non voleva rispondergli e
aveva quasi paura solo di guardare nei suoi neri e profondi occhi.
«Anthony.. ti ho fatto una domanda.. mi vuoi rispondere?»
«Stavo
andando a scuola» disse con voce tremolante
«Lo sai che non ho fatto
colazione stamattina? Fammi vedere se hai una merendina nella
cartella!»
Il piccolo Anthony, temendo che il bullo potesse vedere il suo
preziosissimo fumetto, fece un rapido scatto per seminarlo e corse via.
John era grassoccio e non riusciva a stargli dietro. Anthony sapeva che
prima o poi John a scuola l’avrebbe braccato ma, in quel momento,
temeva più per il fumetto che per la sua incolumità fisica. Correva
velocemente, il più possibile, con tutto l’ossigeno che gli rimaneva
nei polmoni quando all’improvviso, come qualche minuto prima, un altro
ostacolo si profilò davanti a lui. Stavolta riuscì a frenare in tempo,
si immobilizzò, i muscoli della faccia di Anthony si contrassero e gli
occhi si sgranarono per la sorpresa. Era Dominik Merkent l’amico di
John. Allungò una mano e lo afferrò per il collo.
«Dove credi di andare, pulce?» John li stava raggiungendo.
«ti meriti una bella lezione, moscerino».
Dominik sferrò un pugno in pancia ad Anthony facendolo rantolare per
terra. Quasi senza fiato e con il ventre indolenzito non accennava a
rialzarsi, sapeva che sarebbe stato peggio. Gli sfilarono lo zainetto
dalle spalle, gli rubarono la merendina e i pochi soldini che sua madre
gli aveva dato come mancia della settimana, poi trovarono il fumetto,
era la fine.
«Leggi ancora i fumetti? Non sai che è una cosa da
bimbetti?» gli disse John.
Anthony taceva.
«Le avventure di superhero? ma non ti vergogni a leggere queste
fesserie da bambini dell’asilo?».
Anthony non emetteva alcun suono
dalla bocca, in quel momento era bloccato, con le mani a protezione
della pancia indolenzita, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata,
lo sguardo fisso sulla faccia del bullo. John prese il fumetto con le
mani e lo alzò quasi come se stesse tenendo una coppa appena vinta,
fissò Anthony negli occhi e strappò il fumetto in mille brandelli
piccolissimi. Gli piaceva assaporare la tristezza, la delusione e il
dolore che i bambini manifestavano quando venivano molestati e
picchiati. Come se fosse una bestia oscura, si nutriva delle loro
sofferenze. Anthony era devastato dal dolore fisico e dall’amarezza, lo
sconforto che gli aveva provocato vedere il suo fumetto in frantumi era
più forte del dolore causato dal pugno di Dominik. Continuava a
piangere come un agnellino indifeso tenendosi stretta la pancia con le
braccia. I due teppisti decisero che l'avevano punito per bene e forse
era meglio lasciarlo andare. Si scambiarono due parole, era probabile
che si stessero mettendo d’accordo su come molestare qualche altro
ragazzino durante il resto della mattinata. John diede una pacca sulla
spalla a Dominik.
«Andiamo Dom questo pivello è ormai talmente inoffensivo che si perde
gran parte del gusto nel picchiarlo»
I due bulli s’incamminarono verso la direzione della scuola, ma prima
di girare l’angolo John si voltò, lo guardò dritto negli occhi e gli
disse:
«Sei e resterai per sempre uno stupido, fragile, fifone..»
..stupido, fragile, fifone.. stupido, fragile, fifone..
Anthony si svegliò e si mise di scatto a sedere sul letto, sudato e
ansimante. Si passò una mano tra i folti capelli e pensò: “Oh mio Dio!
Ogni volta sempre il solito sogno, chissà quando finirà questo
supplizio”. Il suono della sveglia riportò Anthony alla realtà da
quella strana sensazione che sfuma in virtualità creata dai sogni. Si
tirò su dal letto e andò a lavarsi e vestirsi perché era tardi e, come
di consueto, avrebbe timbrato il cartellino oltre l’orario
consentitogli. Guardò al suo fianco, l’altra parte del letto era vuota.
Sua moglie era via per un importante impegno di lavoro, il nuovo lavoro
di cui era tanto entusiasta. Fini di lavarsi e vestirsi e si apprestò
ad andare a lavorare. Uscendo di casa trovo un post-it dalla parte
interna dell'uscio, era di sua moglie.
"BUONGIORNO AMORE, NON SCORDARTI
DI TOGLIERE TUTTO DAL FREEZER E RIMETTERLO IN QUELLO NUOVO QUANDO LO
CONSEGNANO SE NO LA CARNE VA A MALE. TI AMO. A PRESTO. CHRIS"
Anthony chiuse la porta di casa e si lasciò sfuggire un sorriso...
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Capitolo 2 *** rapimento ***
rapimento
Christen Notche si svegliò dal
suo lungo sonno, aveva una terribile emicrania. Non ricordava quasi
nulla della sera prima se non una terrificante botta in testa. Adesso
si trovava sola in una stanza con poca luce, imbavagliata e legata a
una sedia. Si chiedeva come potesse essere finita in quel luogo,
cercava di dare una spiegazione logica a quella circostanza nonostante
fosse molto difficile trovarla. L’ipotesi di un rapimento era la
più plausibile data la sua posizione, imbavagliata e annodata ad
una sedia di legno che risultava essere anche piuttosto instabile.
Cercava di guardare dalla piccola finestrella in alto a sinistra per
riuscire a capire dove potesse essere. Voleva trovare qualche indizio o
qualche riferimento che la portassero a capire la sua posizione
geografica così che, in caso ce ne fosse stato bisogno, avesse
potuto comunicarlo alle autorità, in caso avesse trovato il modo
di farlo. Si guardava attorno, i suoi occhi si erano in fretta abituati
alla poca luce che la piccola finestra lasciava penetrare
all’interno di quella stanza. Intorno a se vedeva degli attrezzi,
una vanga, un rastrello e del fieno molto secco, le pareti erano
formate da assi di legno invecchiato e il soffitto non era piatto ma a
forma di piramide. Percepì che doveva essere chiusa in una
fattoria abbandonata o in un vecchio fienile e non si capacitava di
come ci fosse arrivata. L’unica porta presente nel fienile emise
un rumore stridulo, si aprì scricchiolando e una voce si
udì al di la dell’uscio.
«Maledetta porta s’incastra sempre!»
Christen si accorse che la voce apparteneva ad un uomo, era una voce
molto profonda e di grosso timbro. Infine la porta si aprì
completamente e apparve un omone molto corpulento. Aveva addosso dei
jeans strappati, probabilmente non per una moda attuale, indossava
anche un maglione nero, forse perché dicono che il nero
snellisce un po’ ma non nascondeva affatto il grande pancione di
cui era dotato. Aveva un viso particolare, molto tondo con delle folte
sopracciglia e gli occhi un pochino allungati quasi come un orientale.
Il colore degli occhi era un nero intenso e molto profondo che metteva
soggezione.
«Si è svegliata la nostra
principessa», allargando le braccia e girandosi verso la stanza
disse:
«Ti piace la suite del nostro lussuoso albergo? Ti abbiamo riservato quella presidenziale»
Christen evitava di guardarlo direttamente in viso. Lui le tolse il
bavaglio dalla bocca. Con le lacrime agli occhi a causa della paura,
tirò fuori un pochino di coraggio e urlò.
«Chi diavolo sei?».
«Questo non ha alcuna importanza».
«Perché mi hai rapita? Non sono figlia di un ricco
imprenditore o di uno sceicco, cosa vuoi da me?». Christen
piangeva impaurita.
«Non ti preoccupare non vogliamo alcun riscatto per te e non ti uccideremo, per il momento ci servi viva».
«Mio marito avrà già chiamato la polizia, fra poco
arriveranno qua e ti arresteranno, lurido bastardo!»
«Ma che belle paroline che usi, hai studiato ad Oxford? Stai
tranquilla dolcezza, il tuo dolce maritino Anthony ti crede morta,
quindi non verrà mai a cercarti, adesso starà già
pensando a come farti il funerale. Sai, gli abbiamo fatto uno
scherzetto utilizzando il tuo anello nuziale..»
Il bandito scoppio in una grassa risata. In quel momento Christen si
accorse di non avere più la fede e rimase sbigottita, erano
riusciti in qualche modo a far credere ad Anthony che fosse morta. In
quel momento entrò un altro uomo all’interno del fienile,
più magro del primo ma sempre di robusta corporatura, indossava
anch’egli dei jeans strappati e rispetto al suo amico portava una
camicia con il collo alto.
«Ehi capo, c’è il direttore che ci vuole vedere»
«È qui?»
«No, ha telefonato e ha detto di raggiungerlo alla sede centrale, pare che ci siano importanti novità»
«Va bene, andiamo»
«Della donna cosa ne facciamo capo? La portiamo con noi?»
«Meglio di no, resterà chiusa qui a chiave, tanto siamo
fuori dal mondo, nessuno potrà sentirla anche se si mettesse ad
urlare» e parlando di lei, il malvivente, guardava intensamente
nei suoi occhi azzurri, si avvicinò alla sua bocca, tirò
fuori la lingua e gli leccò la parte superiore del labbro
emettendo un grugnito di piacere. Lei presa da un momento di rabbia e
di ribrezzo gli sputò in faccia e, il malvivente, che non prese
molto bene questa reazione, levò la mano destra e gli mollo un
sonoro ceffone di rovescio. In quel trambusto non si accorse che un
mazzo di chiavi erano scivolate fuori dalla sua tasca e caddero sul
fieno che, fortunatamente, aveva attutito il rumore. Christen con un
movimento rapido e impercettibile del piede le nascose sotto il fieno.
«Andiamo John, sai che al capo non piace aspettare»
«Si Dom hai ragione ma, aspetta un attimo, non trovo più le chiavi della macchina»
«Le avrai lasciate attaccate al quadro»
«Non credo, ero sicuro di averle in tasca»
«Dai lascia stare le chiavi usiamo le mie, l’importante è che ci muoviamo se no il capo ci spenna vivi»
Le voltarono le spalle e se ne andarono chiudendo la vecchia porta a
chiave. Christen ci capiva sempre meno, non riusciva proprio a
spiegarsi cosa potessero volere da lei quei due biechi individui.
Passarono pochi secondi e sentì il motore di una macchina in
zona, presumibilmente si trattava dell’automobile dei malviventi
che, velocemente, si allontanava.
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Capitolo 3 *** il cielo piange ***
il cielo piange
Erano le 17.56, dopo un'estenuante
giornata di lavoro, anthony parcheggiò davanti casa la sua mini
cooper S e scese dalla macchina inserendo l’allarme tramite il
telecomando. Quando si apprestò ad infilare la chiave nella
serratura della sua porta notò che era già aperta. La
cosa lo insospettì molto. Lentamente, entrò in casa, si
accorse di un’insolita atmosfera.
«Christen!» chiamò la moglie a voce alta.
«Christen, tesoro come mai hai lasciato la porta aperta?» Silenzio.
«Dai amore non farmi questi scherzi lo sai che sono una persona apprensiva».
Anche questa volta nessuna risposta. Si recò in cucina, era come
l'aveva lasciata, in bagno, nulla e in salotto era tutto normale, tutto
tranquillo, troppo tranquillo. Salì al piano di sopra dove si
trovava la stanza da letto, la camera degli ospiti e un altro bagno. Il
cuore gli batteva a mille, sentiva che c'era qualcosa di strano. Spinse
delicatamente e come fosse intimorito la porta della camera da letto.
Gli occhi perlustrarono la stanza in pochi attimi finché la sua
attenzione non fu catturata da un oggetto scuro dietro il letto,
sembrava essere un piede che spuntava. Si precipitò in direzione
del piede e sentiva che stava per piangere. Dietro il letto la visione
che ebbe fu davvero atroce. Un corpo, senza vita, carbonizzato dalle
fiamme, disteso, a tratti consumato atrocemente dal calore, brandelli
di vestiti ormai bruciati coprivano poche zone del corpo, il suo
sguardo si posò subito sull'anello portato all'anulare della
mano sinistra. Anthony lo sfilò piano, già con le lacrime
agli occhi, guardò verso l'alto quasi ad invocare un intervento
divino.
«Dio ti prego, fa che non sia lei, non può essere, non può essere..»
La sua voce era strozzata dalla sofferenza. Guardò in controluce
nelle pareti interne dell'anello, c'era una scritta “Anthony
1980”. Il dolore era talmente forte che strozzava il suo pianto,
inizialmente il respiro diventò affannoso, gli occhi grandi e la
bocca spalancata dallo stupore. Si avvicinò le prese la testa e
se la strinse al petto. La scosse, la chiamò, urlò il suo
nome con tutta la voce che aveva in corpo, quasi speranzoso di poter
ancora salvare la sua amata in un disperato tentativo anche se era
ormai evidente che lei non potesse mai più riaprire gli occhi.
Anthony desiderava morire, non voleva credere che tutto fosse vero,
sperava di svegliarsi all’improvviso dal peggiore dei suoi incubi
e trovare sua moglie accanto a lui, addormentata o che lo guardava
sorridendo, come faceva sempre, quando si svegliava prima di lui.
Purtroppo era la cruda realtà. Si fiondò verso
l’uscita quasi come voler sfuggire da un incubo, uscì da
casa sbattendo la porta alle sue spalle senza neanche preoccuparsi di
chiudere o di mettersi in contatto con la polizia. Prese la macchina e
iniziò a girovagare, senza una meta, incurante della minima
regola del codice stradale. Lo scroscio incessante della pioggia sul
tettuccio della macchina rendeva la serata ancor più
angosciante. Piangeva dalla disperazione e dalla rabbia, aveva gli
occhi appannati dalle lacrime e vedeva solo i fari delle automobili che
incrociavano il suo amaro percorso e che spesso suonavano perché
invadeva la corsia opposta. Un grosso tir si presentò davanti
alla sua corsa, molto probabilmente fu Anthony ad invadere la corsia
opposta, lo vide all’ultimo, frenò, l'asfalto bagnato non
aiutò la frenata e la macchina scivolava versò il tir di
sbieco. Anthony pensò che fosse la sua fine, pensò che
forse così avrebbe rivisto sua moglie, pensò che forse
doveva proprio finire così. Chiuse gli occhi per un millesimo di
secondo e senti la voce di sua moglie che lo chiamava, ma non era
calma, urlava.
«..ANTHONY!»
La sua lucidità lo pervase proprio un millesimo di secondo prima
dell'impatto. Gli ultimi tre, quattro secondi sembravano durare
un'eternità, sembrava una scena al rallenty di quelle che si
vedono nei film. Sterzò violentemente cercando di evitare il
camion e riuscì nel suo intento ma perse il controllo
dell’autovettura e inevitabilmente finì contro un albero
ai margini della carreggiata. Scese dall’automobile, il labbro
inferiore gli sanguinava ma, nonostante tutto, era uscito incolume
dall’incidente. Il camionista si fermò e scese per
sincerarsi delle condizioni di Anthony, si stava avvicinando quando lui
cominciò a correre in direzione del bosco, versando lacrime
amare, lacrime di un uomo ferito, quelle lacrime che prima d’ora
non aveva mai provato a versare. Quando iniziò a mancare
l’ossigeno, si accasciò per terra, in ginocchio
sull’erba bagnata dalla pioggia che non accennava a smettere.
Sembrava che anche il cielo stesse piangendo la perdita di Christen.
Urlava, piangeva e singhiozzava e intanto batteva i pugni per terra.
Era distrutto dalla fatica, sdraiato a faccia in su, vedeva le goccie
di pioggia che cadevano dal cielo, un cielo scuro, cupo che andava
schiarirsi, diventava sempre più chiaro, stava diventando tutto
bianco e ad un certo punto, il buio. Senza fiato e disperato, i sensi,
lentamente, lo abbandonarono in mezzo ad un prato zeppo di erba
fradicia e svenì.
..resterai sempre uno stupido, fragile, fifone.. stupido, fragile, fifone.. stupido, fragile, fifone..
Un bagliore di fioca luce gli accarezzava il viso e lo svegliò
dal profondo sonno. Aveva ancora avuto gli incubi. Era indolenzito per
aver dormito su una dura superficie e aveva il labbro molto gonfio a
causa della botta della sera prima. Guardò l’orologio,
erano le dieci e quarantacinque. Ci volle qualche minuto per realizzare
la particolare situazione e rendersi conto di quello che gli era
capitato il giorno precedente. L’incazzatura del suo capo per
l’ennesimo ritardo era l’ultima delle sue preoccupazioni in
quel momento. Quando riprese conoscenza e iniziò a distinguere
tra sogno e realtà, si accorse che non era nello stesso luogo
dove la sera prima si era addormentato. Si trovava in una stanza piena
di marchingegni strani e di luci che continuavano ad accendersi e
spegnersi simultaneamente. Pensava di essere finito in un magazzino
vuoto e abbandonato di qualche laboratorio o industria. Uno
scricchiolio lo riportò alla realtà, l’unica porta
presente nel locale si stava aprendo ed Anthony, che non si era ancora
alzato in piedi, ma giaceva sul pavimento, ebbe un riflesso
incondizionato, quasi involontario. Si nascose dietro ad uno di quei
macchinari. Fece in tempo a distinguere uno stivale. Si rigirò
di scatto, e portò la testa fuori dal raggio di visione
dell'individuo temendo che potesse essere visto. Una voce
echeggiò nella stanza:
«Anthony, vieni fuori!»
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Capitolo 4 *** apocalisse ***
apocalisse
Erano
le 10.52 del mattino al laboratorio
scientifico
dell'Università Sorbonne di
Parigi,
dove il professor François Poirot aveva appena terminato di
esaminare quello
che per tre mesi a questa parte aveva provocato in lui un senso di
paura e
ansia.
«Merda!»
«Merda! Merda! Merda!
Non
riesco a credere che debba andare proprio così»
pensava ad alta voce.
«Tre mesi
fa c’era una probabilità
su sei mila,
adesso è praticamente una certezza».
La sua espressione era un misto d’incredulità
e spavento. Le analisi riguardanti le temperature terrestri portavano
ad una
triste verità. Fino a pochi mesi fa si pensava che il polo sud e la Groenlandia
si sarebbero
”sciolti” forse più in fretta del
previsto, provocando un aumento del livello
degli oceani fino a sei metri entro la fine del secolo. A suggerirlo
erano due
studi in pubblicazione sulla rivista Science, opera di scienziati
americani
dell'Università dell'Arizona di Tucson e di quella del
Colorado di Boulder. Gli
esperti presero in esame simulazioni al computer sulle condizioni
climatiche
della Terra di centrotrentamila anni fa e le misero in correlazione con
quelle attuali.
Le conclusioni: se le temperature attuali continuassero a crescere con
questa
costante, entro la fine del secolo, la temperatura estiva potrebbe
aumentare
tra i tre e i cinque gradi centigradi. Una situazione simile a quella
del
periodo interglaciale iniziato circa centoventinove mila anni fa e
concluso centosedici mila anni
fa. All'epoca, a causa di cambiamenti nell'orbita terrestre gran parte
della
calotta della Groenlandia si era sciolta, determinando un aumento del
livello
del mare tra i due e i tre metri. I ricercatori americani,
però, si erano
spinti più in là e per la prima volta affermarono
che oltre ai ghiacci
dell'emisfero settentrionale in una situazione simile si
scioglierebbero anche
quelli del polo sud. Questo aggiungerebbe altri due - tre metri di
altezza al
livello del mare, portando il totale a un massimo di sei metri. Il
professor Poirot
portò avanti dei suoi studi personali riguardanti questa
faccenda ed era
arrivato ad una conclusione molto più catastrofica. Negli
studi degli esperti
americani si erano riscontrati un paio di errori d’importante
rilevanza. Prima
di tutto la tempistica, Poirot aveva scoperto che questo innalzamento
delle
temperature era aumentato a dismisura in questi ultimi tempi. Non alla
fine del
secolo ma nei giorni attuali si registravano temperature più
alte dagli otto ai
dieci gradi in Groenlandia e nel polo sud. Questo comporterebbe
che entro
le prossime due settimane i ghiacciai si scioglierebbero completamente,
provocando un innalzamento degli oceani tra i trenta e i quarantadue
metri, con la catastrofica conclusione di un allagamento del
novantacinque per cento del globo terrestre.
Era una cosa incredibile, un disastro di proporzioni bibliche starebbe
piombando sul mondo dando un
preavviso quasi nullo.
«Devo avvisare subito il
direttore»
Poirot
prese nervosamente la cornetta che gli scivolò dalle mani
sbattendo contro il
pavimento. Imprecò, raccolse la cornetta, sistemò
il filo che si era
completamente attorcigliato e compose il numero del suo direttore. La
comunicazione era molto disturbata, Poirot sembrava non preoccuparsene,
era
consapevole che le chiamate intercontinentali erano piene di disturbi.
Di là
dalla cornetta dopo un attimo di assestamento una voce si
udì.
«Pronto?»
«Sì,
sono Poirot. Ho importanti novità.. purtroppo»
«Vuoi
dirmi che è tutto confermato?»
«Si
direttore, purtroppo le controanalisi non hanno riscontrato errori,
è tutto
confermato»
«Quanto
tempo abbiamo?»
«Non
più di due settimane»
«Siamo
nella merda fino al collo..»
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Capitolo 5 *** licenza di uccidere ***
licenza di uccidere
I
due malviventi, dopo essersi allontanati dal fienile abbandonato dove
avevano
lasciato Christen, imboccarono una via che portava verso un vecchio
cantiere incustodito,
dove doveva sorgere un centro commerciale che, per motivi economici e
forse anche legati alla mala del posto, non era
mai stato portato a termine.
«Che
ne pensi di tutta questa storia Dom? io non ti nascondo un po' di
preoccupazione, il capo non è mai stato così
nervoso come in questo periodo»
«Cosa
vuoi che ti dica John? - fece un tiro di sigaretta e buttò la cenere
fuori dal finestrino - ne so quanto te di questa storia»
«Senti,
abbiamo lavorato spesso con lui, ma mai, mai l'ho visto in questo
stato. Vedendo il modo in cui ha preso a cuore questa faccenda,
potrebbe lasciarci le penne da un momento all'altro. Si, è molto
importante, per
quanto ne sappia io, ma lo è così tanto da rischiare la
propria
vita?»
«Che
ne pensi di chiederlo direttamente a lui? siamo
arrivati».
Parcheggiarono
la macchina, una vecchia Seat Ibiza
bianca, con più di duecento mila chilometri
all’attivo, la ruota posteriore
destra era stata sostituita da un ruotino di colore rosso, mentre il
vetro
anteriore destro era distrutto, probabilmente un pugno o una pallottola
l’avevano mandato in frantumi.Scesero
dall’auto e si avviarono all’interno del cantiere
senza neanche preoccuparsi di
chiudere la macchina, sapevano che nessuno avrebbe tentato di rubarla.
Prima di entrare nello stabile, Dom lanciò la sigaretta,
ormai quasi completamente consumata, facendogli effettuare una lunga
parabola.
«Dom
dovresti smettere di fumare, fa male alla salute»
«Fa
più male alla salute non farsi i cazzi propri
John» i due si fecero una risata nonostante la tensione.
Arrivarono
davanti ad una porta di vetro a specchio, dove due gorilla,
appostati ai lati della porta, li fermarono.
«Identificarsi»
disse uno
di loro.«Avanti Gilbur siamo noi quante storie,
ogni volta sempre la solita solfa».
Si
fece avanti John per primo, mise prima il pollice e poi
l’indice della mano
destra all’interno di un aggeggio per il riconoscimento delle
impronte
digitali. La macchina emise un suono tipo BIP e si accese una lucina
verde. Poi
socchiudendo l’occhio sinistro si mise a guardare
all’interno di un buchino con
l’occhio destro. In quel buchino c’era una
macchinetta che faceva la
scannerizzazione della retina oculare. Anche questa volta la macchina
fece
accendere una lucina verde e contemporaneamente una voce robotica
quanto femminile uscì dal piccolo altoparlante vicino a
quegli strani aggeggi.
“Riconoscimento digitale-oculare avvenuto con successo,
benvenuto agente
CJIHAO6”.
Stesso percorso toccò a Dominik, alla fine di tutto anche
lui fu
riconosciuto
”Riconoscimento digitale-oculare avvenuto con successo,
benvenuto
agente CDIOAM7”.
La porta si aprì e i due entrarono, era evidente che
conoscevano abbastanza bene quel posto. John e Dominik si
ritrovarono davanti ad una stanza con una porta, per la precisione un
ascensore, schiacciarono il pulsante e sul display
dell’ascensore comparve una
scritta “digitare codice ascensore”. John
digitò una cifra composta da dodici
caratteri utilizzando il tastierino numerico adiacente al
tasto della chiamata
dell’ascensore. Le porte si decisero ad aprirsi, entrarono e
schiacciarono il
pulsante unico presente al suo interno. L'ascensore
iniziò a muoversi verso il basso, trenta piani verso il
basso per la precisione. Un lieve sobbalzo indicò ai due
personaggi che l’ascensore aveva
portato a termine la sua corsa, si aprirono le porte e si ritrovarono
davanti
ad un lungo corridoio. Alla fine del corridoio un'altra porta
ostacolava il loro cammino. La varcarono. Una frenetica
attività di impiegati presi a rincorrere delle chiamate e
dei fogli si svolgeva ai lati della grande stanza che i due stavano
percorrendo. Molteplici scrivanie erano site in quel posto che sembrava
quasi fosse una stanza dove si gioca in borsa tanto era il nervosismo e
la frenesia che regnavano e che la facevano da padroni.
«Ciao
Dom!» disse un tizio calvo alzando lo sguardo.
«Ehilà
Erik tutto bene?»
«Non
mi lamento vecchio mio, e tu?»
«Bene
grazie! A parte il fatto che sto dietro ad un caso difficile, ma, sai
com è il capo! Più sei bravo e più sei
stressato» si lasciò andare in un sorriso nei
confronti del collega. La
discussione avvenne senza che Dom e John si fossero fermati. Arrivati
davanti ad una porta di vetro, si fermarono e tirarono un sospiro che
non era molto "di sollievo" ma più di "adesso che cazzo
facciamo?". Sull'uscio c’era una scritta
abbastanza esplicita:
"S.C. - DIRETTORE CIA"
John
bussò delicatamente e attese la voce del direttore che li
autorizzava ad
entrare. Il permesso non tardò ad arrivare e i due
s’incamminarono all’interno
della stanza. La
stanza del direttore della CIA assomigliava vagamente allo studio ovale
del
presidente degli Stati Uniti, con la differenza di non essere ovale ma
rettangolare. Aveva una moquette molto pregiata con al centro il
simbolo della
CIA, la scrivania del direttore era situata in fondo alla stanza ma
rivolta
verso la porta, ai lati della scrivania c’erano due piante e
dietro due tende
color oro che sembravano essere di stoffa molto pregiata.
«Accomodatevi ragazzi. Purtroppo ci
sono cattive notizie, sembra che alla terra non resterà
molto da vivere
«Ho
sempre temuto che un giorno mi avesse detto queste parole,
signore» esclamò Dominik.
«Lo
so figliolo, purtroppo sono spiacente di dovertele riferire. Qui
subentrate voi e la ragazza.. dovete assolutamente portarla nel
laboratorio
segreto e convincerla a collaborare. State attenti, nulla di tutto
ciò deve trapelare, dobbiamo evitare di creare allarmismi di
massa tra la popolazione»
«Va bene signor Direttore, ci pensiamo
noi, non si preoccupi, vedrà che non la deluderemo»
«Si può fidare ciecamente di noi
signore» Dom fece eco a John.
«Vi conosco molto bene per sapere che non
mi deluderete, siete i due migliori agenti della CIA e soprattutto
siete gli
unici in grado di portare a termine quest’operazione,
altrimenti non vi avrei scelto. Adesso andate e mi
raccomando, tutto con la massima discrezione»
«Va bene Signore, arrivederci a
presto»
«Ah ragazzi, un’ultima cosa, prima che
ve ne andiate.. dovete eliminare chiunque s’intrometta in
questa missione e che venga a conoscenza di informazioni pericolose,
questo vale anche per Anthony Seller, intesi?»
«Sissignore, sarà fatto»
«Avete un permesso particolare che
arriva direttamente dal presidente degli Stati Uniti
d’America, quindi non
preoccupatevi, se qualcuno s’intromette, ucciditelo.
Arrivederci ragazzi e in
bocca al lupo».
John e Dominik chiusero la porta e la
lasciarono alle loro spalle e mentre si allontanavano, si guardavano
negli
occhi, erano due agenti che sapevano il fatto loro, ma forse questa
volta
andavano incontro a qualcosa fuori dalla loro portata, lo sapevano, lo
sentivano ma non volevano ammetterlo a loro stessi.
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Capitolo 6 *** la speranza non muore ***
la speranza non muore
Anthony era un decisamente impaurito da quell'uomo
con gli stivali e dal buio di quella stanza, aveva sempre avuto paura
del buio, fin da piccolo dormiva con una lucina notturna sempre accesa.
Si fece coraggio e cercò di sfruttare il buio a suo vantaggio,
per non farsi vedere, anziché vederlo come una minaccia. Sentiva
i passi dell'uomo all’interno della stanza. All'improvviso un
flash, una luce intensa, accecante, a intermittenza gli confuse i
sensi. Le luci a neon che erano poste sul soffitto illuminarono tutta
la stanza. Il locale era largo circa cinque metri, molto alto,
probabilmente più di sei, sette metri e le pareti come il
soffitto e il pavimento erano completamente bianche, talmente bianche
che si faceva quasi fatica a tenere gli occhi aperti.
“Non sto capendo davvero nulla, non so come
sono finito qui e perché, Dio aiutami, dammi una mano che solo
tu puoi farlo ormai” era ormai convinto che le speranze di uscire
incolume da quella situazione erano davvero pochissime, quasi nulle.
Stava cercando di fare il minor rumore possibile avvicinandosi sempre
di più alla porta per riuscire a fuggire. Si muoveva lentamente
attraverso i macchinari che creavano una sorta di mini labirinto
all’interno di quella stanza. Girò intorno ad un
macchinario sentendo che, l’uomo che lo stava cercando, era
esattamente dalla parte opposta. Aveva architettato bene questa mossa,
perché, quando arrivò in una posizione comoda, fece uno
scatto per raggiungere la porta dalla quale l'uomo con gli stivali era
entrato. Corse verso l’uscio, ce l'aveva quasi fatta ormai,
iniziava a intravedere la salvezza sottoforma di porta. Appena arrivato
davanti alla porta si bloccò. Il suo viso sembrava aver
indossato una maschera che raffigura lo stupore, un’espressione
paragonabile all'urlo di Munch.
Davanti a lui, con un sorriso stampato sulle labbra, un ragazzo che
poteva avere più o meno la sua età, seduto su una sedia a
rotelle.
«Stai tranquillo Anthony, sei a casa di amici». Lo rassicurò il ragazzo.
I nervi di Anthony ebbero una tregua che durò circa due o tre
secondi, rotta da una mano che, violentemente, si appoggiò sulla
sua spalla destra facendolo sobbalzare dallo spavento. Si voltò
e vide un altro ragazzo che somigliava al tizio sulla sedia a rotelle,
riconobbe lo stivale che aveva intravisto prima, probabilmente doveva
essere il fratello.
«Chi siete voi? Perché mi trovo qui?» la domanda era piuttosto lecita.
«Anthony c’è un pericolo che incombe e tu sei qui
perché sei la nostra ultima speranza» disse il ragazzo
sulla sedia a rotelle.
«Io l’ultima speranza? Ma che diavolo stai dicendo? ».
«È possibile che tu non riconosca un vecchio amico?».
«Perché? Ci conosciamo già? Ci siamo già visti altrove?».
«Assolutamente sì, potrei rinfrescarti la memoria con
questo aiutino - fece una pausa per dare importanza alla sua
affermazione - alle scuole medie mi chiamavi Cily».
Improvvisamente ad Anthony affiorarono un sacco di ricordi sul suo
passato di studente, fino ad arrivare a quel ragazzo rotondetto, il
più bravo della classe, Stephan Cecily, che lui chiamava Cily.
Era davvero un piccolo genio a scuola, aveva sicuramente un quoziente
intellettivo molto superiore alla media, sapeva stupire tutti, a volte
anche i professori.
«Stephan! Caspita ma sei davvero tu? Non ci posso credere».
«Si Anthony sono io»
«Oh mio Dio Stephan, che ti è successo? Quando ti conoscevo io, non eri sulla.. insomma camminavi..»
«Purtroppo lungo il corso degli anni, le cose cambiano amico mio,
ma avrò modo di spiegarti tutto davanti ad una tazza di
caffè, che ne dici?»
«Si d’accordo, ma..»
Stephan lo interruppe «A scusa, ti presento mio fratello Richard»
«Si, ho avuto il piacere di conoscerlo poco fa» Anthony indicò sarcasticamente la sua spalla destra.
«Molto lieto» gli rispose Richard e si avviarono.
Anthony si sedette a un tavolo, erano in una stanza che aveva molto
della cucina da laboratorio. Si guardava intorno e vedeva alambicchi,
pipette Pasteur e ogni sorta di attrezzo o boccetta che non deve mai
mancare nella stanza di un chimico.
«Avrai modo di assaporare il miglior caffè di tutto il
nord America, Richard è un cuoco provetto, ai fornelli non
sbaglia mai, fa un caffè eccezionale, per non parlare delle sue
famosissime lasagne»
«Perché sono qui Stephan? Come ci sono arrivato? Non
ricordo nient’altro di ieri se non.. mia moglie, morta e io che
vado a sbattere contro un albero con la mia macchina, spiegami Stephan,
tu centri qualcosa?» I ricordi di sua moglie riportarono una nube
di tristezza sul volto di Anthony, ancora non riusciva a credere di
averla persa, per sempre.
«Vedi Anthony, a volte succedono cose che non si possono
prevedere, forse tua moglie era.. come dire.. stanca di vivere»
«Ma che ti salta in mente? Eravamo una coppia felice, lei
è stata uccisa e non so da chi e non so perché.. e tu
vorresti insinuare che si sia tolta la vita?»
«Anthony, la polizia è entrata in casa tua e ha trovato
una lettera di tua moglie, hanno fatto delle analisi ed hanno accertato
che la calligrafia è proprio la sua. La lettera diceva che gli
mancavano gli stimoli per continuare e che non poteva sopportare ancora
di non poter avere bambini da te.. scusami Anthony ma è
piuttosto evidente la situazione».
Anthony era sbigottito, non riusciva a credere a quelle parole. Lui e
sua moglie avevano sempre vissuto felici e non riusciva a capacitarsi
di tutto questo.
«E tu come mi hai trovato?»
Intanto Richard versava il caffè nelle tazze e lo serviva a tavola, portando anche qualche biscotto.
«Il camionista al quale hai invaso la corsia
si è premurosamente occupato di chiamare un’ambulanza
quando ti ha visto accasciarti al suolo. Poi sei finito in ospedale e
la sera stessa ho mandato Richard a prenderti, o meglio, rapirti anche
perché nessuno deve sapere che sei qui»
«Cily ascoltami, tu mi hai rapito
dall’ospedale, ho dormito in uno sgabuzzino, mia moglie si
è suicidata e ho come l’impressione che tu ne sappia
più di quanto mi vuoi dire! Voglio sapere il perché di
tutto questo e soprattutto voglio andare fino in fondo alla morte di
Christen perché l’ipotesi del suicidio non mi convince per
niente» gli animi della conversazione si stavano scaldando.
«Allora lasciami spiegare dal principio. Vedi
caro Anthony, io e mio fratello Richard ci occupiamo di aiutare le
persone con gravi problemi. Siamo pieni di soldi, ne abbiamo talmente
tanti che per buttarli via non mi basterebbero tre mesi. Questi soldi
noi li utilizziamo per fare ricerche sulla medicina e allo stesso tempo
sulla scienza. Sono due cose che se combinate nel modo giusto ci
potrebbero permettere di migliorare la vita di tantissime persone. Mio
fratello è un non vedente Anthony, non so se ti sei accorto che
non sbatte mai le ciglia degli occhi. Sono riuscito ad aiutarlo grazie
alla scienza. Gli ho impiantato due micro-telecamere dentro i bulbi
oculari che gli permettono di distinguere i contorni delle figure degli
oggetti e delle persone in modo da poterle evitare senza
l’ausilio di nessun cane o bastone per potergli dare una vita
quasi normale, senza compassione alcuna da parte di altra gente»
«Tutto questo cosa c’entra con Christen?»
«Lasciami finire Anthony. Circa un anno fa mi
diagnosticarono una malattia piuttosto comune che conoscerai
sicuramente: la sclerosi multipla. È una malattia che blocca gli
impulsi che il cervello da, per esempio, alle mani o alle gambe.
Qualcuno è colpito in maniera poco grave e può causare
anche solo qualche malfunzionamento delle dita, altri, come me, sono
colpiti in maniera più profonda fino a perdere del tutto
l’uso delle gambe. Richard ed io da allora stiamo lavorando per
aiutare i malati di sclerosi multipla e per fare in modo che un giorno
io ritorni a camminare»
«Tutti i soldi per la ricerca.. dove li prendi Stephan?»
«Proprio li volevo arrivare, i soldi ci
vengono dati dai governi di tutto il mondo perché io e mio
fratello siamo a conoscenza del segreto più grosso che potrebbe
sconvolgere l’intero globo..»
«Un segreto?»
«Si Anthony, un segreto che adesso rende il
mondo in grave pericolo ed è per questo che ti ho
“prelevato”. Ti sto per rivelare un mistero a cui farai
davvero fatica a credere e, fidati, tua moglie era la chiave di tutto
ciò ma, purtroppo, l'abbiamo persa per sempre e con essa abbiamo
perso quasi tutte le speranze di salvare questo povero mondo
malato..»
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