stupido fragile fifone

di nat1982
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo - sogno d'infanzia ***
Capitolo 2: *** rapimento ***
Capitolo 3: *** il cielo piange ***
Capitolo 4: *** apocalisse ***
Capitolo 5: *** licenza di uccidere ***
Capitolo 6: *** la speranza non muore ***



Capitolo 1
*** prologo - sogno d'infanzia ***


prologo - sogni d'infanzia
Anthony Seller stava camminando per le vie del suo paesino, con lo zainetto sulle spalle carico di pesantissimi libri di scuola percorrendo un viale alberato che gli metteva addosso incredibile allegria. Ci si avvicinava alla stagione primaverile e il rosa era il colore predominante degli alberi, il colore dei fiori appena sbocciati, che rendevano ogni arbusto una sorta di abbellimento artistico in contrasto con il grigiore cittadino. Il vento sembrava portare una leggera brezza potendo così provare il piacere di sentire l’alito profumato della bella stagione. Era contento, aveva finalmente terminato la collezione di fumetti del suo supereroe preferito, facendo una tappa in edicola, prima di andare a scuola, era riuscito ad avere l’ultimissimo numero e, dopo averlo infilato in cartella, si apprestava ad andare in classe, di fretta e in ritardo, come era suo solito fare. Guardò l’orologio Swatch che suo padre gli aveva regalato al suo ultimo compleanno e si accorse che la lezione sarebbe iniziata fra pochissimi minuti e lui era piuttosto lontano dalla scuola. Decise di correre per tentare di arrivare in orario. Correva a testa bassa e non guardava neanche dove metteva i piedi, come fanno di solito i bambini. Alzò gli occhi all'improvviso, era troppo tardi, l'ostacolo che intralciava la sua corsa si era presentato troppo in fretta, forse si era materializzato proprio in quell'istante. Arrancò, cerco di smuovere l'aria con le mani per farsi aiutare dall'aria a frenare ma fu tutto invano, andò a sbattere contro qualcosa, anzi qualcuno, la persona che quasi tutte le mattine tormentava la sua esistenza. Era John Feelin il bullo della scuola, il ragazzino più grosso di tutti, quello che metteva paura solo quando ti passava di fianco. Anthony era gracilino, timoroso e lui, quasi come se avesse le caratteristiche sensoriali di un cane, lo sentiva e approfittava di questo per poterlo molestare.
    «Anthony.. dove vai così di corsa?»
Si rivolse a lui con tono indubbiamente sarcastico, il piccolo Anthony non voleva rispondergli e aveva quasi paura solo di guardare nei suoi neri e profondi occhi.
«Anthony.. ti ho fatto una domanda.. mi vuoi rispondere?»
«Stavo andando a scuola» disse con voce tremolante
«Lo sai che non ho fatto colazione stamattina? Fammi vedere se hai una merendina nella cartella!»
Il piccolo Anthony, temendo che il bullo potesse vedere il suo preziosissimo fumetto, fece un rapido scatto per seminarlo e corse via. John era grassoccio e non riusciva a stargli dietro. Anthony sapeva che prima o poi John a scuola l’avrebbe braccato ma, in quel momento, temeva più per il fumetto che per la sua incolumità fisica. Correva velocemente, il più possibile, con tutto l’ossigeno che gli rimaneva nei polmoni quando all’improvviso, come qualche minuto prima, un altro ostacolo si profilò davanti a lui. Stavolta riuscì a frenare in tempo, si immobilizzò, i muscoli della faccia di Anthony si contrassero e gli occhi si sgranarono per la sorpresa. Era Dominik Merkent l’amico di John. Allungò una mano e lo afferrò per il collo.
«Dove credi di andare, pulce?» John li stava raggiungendo.
«ti meriti una bella lezione, moscerino».
Dominik sferrò un pugno in pancia ad Anthony facendolo rantolare per terra. Quasi senza fiato e con il ventre indolenzito non accennava a rialzarsi, sapeva che sarebbe stato peggio. Gli sfilarono lo zainetto dalle spalle, gli rubarono la merendina e i pochi soldini che sua madre gli aveva dato come mancia della settimana, poi trovarono il fumetto, era la fine.
«Leggi ancora i fumetti? Non sai che è una cosa da bimbetti?» gli disse John. Anthony taceva.
«Le avventure di superhero? ma non ti vergogni a leggere queste fesserie da bambini dell’asilo?».
Anthony non emetteva alcun suono dalla bocca, in quel momento era bloccato, con le mani a protezione della pancia indolenzita, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata, lo sguardo fisso sulla faccia del bullo. John prese il fumetto con le mani e lo alzò quasi come se stesse tenendo una coppa appena vinta, fissò Anthony negli occhi e strappò il fumetto in mille brandelli piccolissimi. Gli piaceva assaporare la tristezza, la delusione e il dolore che i bambini manifestavano quando venivano molestati e picchiati. Come se fosse una bestia oscura, si nutriva delle loro sofferenze. Anthony era devastato dal dolore fisico e dall’amarezza, lo sconforto che gli aveva provocato vedere il suo fumetto in frantumi era più forte del dolore causato dal pugno di Dominik. Continuava a piangere come un agnellino indifeso tenendosi stretta la pancia con le braccia. I due teppisti decisero che l'avevano punito per bene e forse era meglio lasciarlo andare. Si scambiarono due parole, era probabile che si stessero mettendo d’accordo su come molestare qualche altro ragazzino durante il resto della mattinata. John diede una pacca sulla spalla a Dominik.
    «Andiamo Dom questo pivello è ormai talmente inoffensivo che si perde gran parte del gusto nel picchiarlo»
I due bulli s’incamminarono verso la direzione della scuola, ma prima di girare l’angolo John si voltò, lo guardò dritto negli occhi e gli disse:
«Sei e resterai per sempre uno stupido, fragile, fifone..»

..stupido, fragile, fifone.. stupido, fragile, fifone.. Anthony si svegliò e si mise di scatto a sedere sul letto, sudato e ansimante. Si passò una mano tra i folti capelli e pensò: “Oh mio Dio! Ogni volta sempre il solito sogno, chissà quando finirà questo supplizio”. Il suono della sveglia riportò Anthony alla realtà da quella strana sensazione che sfuma in virtualità creata dai sogni. Si tirò su dal letto e andò a lavarsi e vestirsi perché era tardi e, come di consueto, avrebbe timbrato il cartellino oltre l’orario consentitogli. Guardò al suo fianco, l’altra parte del letto era vuota. Sua moglie era via per un importante impegno di lavoro, il nuovo lavoro di cui era tanto entusiasta. Fini di lavarsi e vestirsi e si apprestò ad andare a lavorare. Uscendo di casa trovo un post-it dalla parte interna dell'uscio, era di sua moglie.
"BUONGIORNO AMORE, NON SCORDARTI DI TOGLIERE TUTTO DAL FREEZER E RIMETTERLO IN QUELLO NUOVO QUANDO LO CONSEGNANO SE NO LA CARNE VA A MALE. TI AMO. A PRESTO. CHRIS"
Anthony chiuse la porta di casa e si lasciò sfuggire un sorriso...

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Capitolo 2
*** rapimento ***


rapimento
Christen Notche si svegliò dal suo lungo sonno, aveva una terribile emicrania. Non ricordava quasi nulla della sera prima se non una terrificante botta in testa. Adesso si trovava sola in una stanza con poca luce, imbavagliata e legata a una sedia. Si chiedeva come potesse essere finita in quel luogo, cercava di dare una spiegazione logica a quella circostanza nonostante fosse molto difficile trovarla. L’ipotesi di un rapimento era la più plausibile data la sua posizione, imbavagliata e annodata ad una sedia di legno che risultava essere anche piuttosto instabile. Cercava di guardare dalla piccola finestrella in alto a sinistra per riuscire a capire dove potesse essere. Voleva trovare qualche indizio o qualche riferimento che la portassero a capire la sua posizione geografica così che, in caso ce ne fosse stato bisogno, avesse potuto comunicarlo alle autorità, in caso avesse trovato il modo di farlo. Si guardava attorno, i suoi occhi si erano in fretta abituati alla poca luce che la piccola finestra lasciava penetrare all’interno di quella stanza. Intorno a se vedeva degli attrezzi, una vanga, un rastrello e del fieno molto secco, le pareti erano formate da assi di legno invecchiato e il soffitto non era piatto ma a forma di piramide. Percepì che doveva essere chiusa in una fattoria abbandonata o in un vecchio fienile e non si capacitava di come ci fosse arrivata. L’unica porta presente nel fienile emise un rumore stridulo, si aprì scricchiolando e una voce si udì al di la dell’uscio.
    «Maledetta porta s’incastra sempre!»
Christen si accorse che la voce apparteneva ad un uomo, era una voce molto profonda e di grosso timbro. Infine la porta si aprì completamente e apparve un omone molto corpulento. Aveva addosso dei jeans strappati, probabilmente non per una moda attuale, indossava anche un maglione nero, forse perché dicono che il nero snellisce un po’ ma non nascondeva affatto il grande pancione di cui era dotato. Aveva un viso particolare, molto tondo con delle folte sopracciglia e gli occhi un pochino allungati quasi come un orientale. Il colore degli occhi era un nero intenso e molto profondo che metteva soggezione.
    «Si è svegliata la nostra principessa», allargando le braccia e girandosi verso la stanza disse:
«Ti piace la suite del nostro lussuoso albergo? Ti abbiamo riservato quella presidenziale»
Christen evitava di guardarlo direttamente in viso. Lui le tolse il bavaglio dalla bocca. Con le lacrime agli occhi a causa della paura, tirò fuori un pochino di coraggio e urlò.
«Chi diavolo sei?».
«Questo non ha alcuna importanza».
«Perché mi hai rapita? Non sono figlia di un ricco imprenditore o di uno sceicco, cosa vuoi da me?». Christen piangeva impaurita.
«Non ti preoccupare non vogliamo alcun riscatto per te e non ti uccideremo, per il momento ci servi viva».
«Mio marito avrà già chiamato la polizia, fra poco arriveranno qua e ti arresteranno, lurido bastardo!»
«Ma che belle paroline che usi, hai studiato ad Oxford? Stai tranquilla dolcezza, il tuo dolce maritino Anthony ti crede morta, quindi non verrà mai a cercarti, adesso starà già pensando a come farti il funerale. Sai, gli abbiamo fatto uno scherzetto utilizzando il tuo anello nuziale..»
Il bandito scoppio in una grassa risata. In quel momento Christen si accorse di non avere più la fede e rimase sbigottita, erano riusciti in qualche modo a far credere ad Anthony che fosse morta. In quel momento entrò un altro uomo all’interno del fienile, più magro del primo ma sempre di robusta corporatura, indossava anch’egli dei jeans strappati e rispetto al suo amico portava una camicia con il collo alto.
    «Ehi capo, c’è il direttore che ci vuole vedere»
«È qui?»
«No, ha telefonato e ha detto di raggiungerlo alla sede centrale, pare che ci siano importanti novità»
«Va bene, andiamo»
«Della donna cosa ne facciamo capo? La portiamo con noi?»
«Meglio di no, resterà chiusa qui a chiave, tanto siamo fuori dal mondo, nessuno potrà sentirla anche se si mettesse ad urlare» e parlando di lei, il malvivente, guardava intensamente nei suoi occhi azzurri, si avvicinò alla sua bocca, tirò fuori la lingua e gli leccò la parte superiore del labbro emettendo un grugnito di piacere. Lei presa da un momento di rabbia e di ribrezzo gli sputò in faccia e, il malvivente, che non prese molto bene questa reazione, levò la mano destra e gli mollo un sonoro ceffone di rovescio. In quel trambusto non si accorse che un mazzo di chiavi erano scivolate fuori dalla sua tasca e caddero sul fieno che, fortunatamente, aveva attutito il rumore. Christen con un movimento rapido e impercettibile del piede le nascose sotto il fieno.
«Andiamo John, sai che al capo non piace aspettare»
«Si Dom hai ragione ma, aspetta un attimo, non trovo più le chiavi della macchina»
«Le avrai lasciate attaccate al quadro»
«Non credo, ero sicuro di averle in tasca»
«Dai lascia stare le chiavi usiamo le mie, l’importante è che ci muoviamo se no il capo ci spenna vivi»
Le voltarono le spalle e se ne andarono chiudendo la vecchia porta a chiave. Christen ci capiva sempre meno, non riusciva proprio a spiegarsi cosa potessero volere da lei quei due biechi individui.  Passarono pochi secondi e sentì il motore di una macchina in zona, presumibilmente si trattava dell’automobile dei malviventi che, velocemente, si allontanava.

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Capitolo 3
*** il cielo piange ***


il cielo piange
Erano le 17.56, dopo un'estenuante giornata di lavoro, anthony parcheggiò davanti casa la sua mini cooper S e scese dalla macchina inserendo l’allarme tramite il telecomando. Quando si apprestò ad infilare la chiave nella serratura della sua porta notò che era già aperta. La cosa lo insospettì molto. Lentamente, entrò in casa, si accorse di un’insolita atmosfera.
    «Christen!» chiamò la moglie a voce alta.
«Christen, tesoro come mai hai lasciato la porta aperta?» Silenzio.
«Dai amore non farmi questi scherzi lo sai che sono una persona apprensiva».
Anche questa volta nessuna risposta. Si recò in cucina, era come l'aveva lasciata, in bagno, nulla e in salotto era tutto normale, tutto tranquillo, troppo tranquillo. Salì al piano di sopra dove si trovava la stanza da letto, la camera degli ospiti e un altro bagno. Il cuore gli batteva a mille, sentiva che c'era qualcosa di strano. Spinse delicatamente e come fosse intimorito la porta della camera da letto. Gli occhi perlustrarono la stanza in pochi attimi finché la sua attenzione non fu catturata da un oggetto scuro dietro il letto, sembrava essere un piede che spuntava. Si precipitò in direzione del piede e sentiva che stava per piangere. Dietro il letto la visione che ebbe fu davvero atroce. Un corpo, senza vita, carbonizzato dalle fiamme, disteso, a tratti consumato atrocemente dal calore, brandelli di vestiti ormai bruciati coprivano poche zone del corpo, il suo sguardo si posò subito sull'anello portato all'anulare della mano sinistra. Anthony lo sfilò piano, già con le lacrime agli occhi, guardò verso l'alto quasi ad invocare un intervento divino.
«Dio ti prego, fa che non sia lei, non può essere, non può essere..»
La sua voce era strozzata dalla sofferenza. Guardò in controluce nelle pareti interne dell'anello, c'era una scritta “Anthony 1980”. Il dolore era talmente forte che strozzava il suo pianto, inizialmente il respiro diventò affannoso, gli occhi grandi e la bocca spalancata dallo stupore. Si avvicinò le prese la testa e se la strinse al petto. La scosse, la chiamò, urlò il suo nome con tutta la voce che aveva in corpo, quasi speranzoso di poter ancora salvare la sua amata in un disperato tentativo anche se era ormai evidente che lei non potesse mai più riaprire gli occhi. Anthony desiderava morire, non voleva credere che tutto fosse vero, sperava di svegliarsi all’improvviso dal peggiore dei suoi incubi e trovare sua moglie accanto a lui, addormentata o che lo guardava sorridendo, come faceva sempre, quando si svegliava prima di lui. Purtroppo era la cruda realtà. Si fiondò verso l’uscita quasi come voler sfuggire da un incubo, uscì da casa sbattendo la porta alle sue spalle senza neanche preoccuparsi di chiudere o di mettersi in contatto con la polizia. Prese la macchina e iniziò a girovagare, senza una meta, incurante della minima regola del codice stradale. Lo scroscio incessante della pioggia sul tettuccio della macchina rendeva la serata ancor più angosciante. Piangeva dalla disperazione e dalla rabbia, aveva gli occhi appannati dalle lacrime e vedeva solo i fari delle automobili che incrociavano il suo amaro percorso e che spesso suonavano perché invadeva la corsia opposta. Un grosso tir si presentò davanti alla sua corsa, molto probabilmente fu Anthony ad invadere la corsia opposta, lo vide all’ultimo, frenò, l'asfalto bagnato non aiutò la frenata e la macchina scivolava versò il tir di sbieco. Anthony pensò che fosse la sua fine, pensò che forse così avrebbe rivisto sua moglie, pensò che forse doveva proprio finire così. Chiuse gli occhi per un millesimo di secondo e senti la voce di sua moglie che lo chiamava, ma non era calma, urlava.
    «..ANTHONY!»
La sua lucidità lo pervase proprio un millesimo di secondo prima dell'impatto. Gli ultimi tre, quattro secondi sembravano durare un'eternità, sembrava una scena al rallenty di quelle che si vedono nei film. Sterzò violentemente cercando di evitare il camion e riuscì nel suo intento ma perse il controllo dell’autovettura e inevitabilmente finì contro un albero ai margini della carreggiata. Scese dall’automobile, il labbro inferiore gli sanguinava ma, nonostante tutto, era uscito incolume dall’incidente. Il camionista si fermò e scese per sincerarsi delle condizioni di Anthony, si stava avvicinando quando lui cominciò a correre in direzione del bosco, versando lacrime amare, lacrime di un uomo ferito, quelle lacrime che prima d’ora non aveva mai provato a versare. Quando iniziò a mancare l’ossigeno, si accasciò per terra, in ginocchio sull’erba bagnata dalla pioggia che non accennava a smettere. Sembrava che anche il cielo stesse piangendo la perdita di Christen. Urlava, piangeva e singhiozzava e intanto batteva i pugni per terra. Era distrutto dalla fatica, sdraiato a faccia in su, vedeva le goccie di pioggia che cadevano dal cielo, un cielo scuro, cupo che andava schiarirsi, diventava sempre più chiaro, stava diventando tutto bianco e ad un certo punto, il buio. Senza fiato e disperato, i sensi, lentamente, lo abbandonarono in mezzo ad un prato zeppo di erba fradicia e svenì.
..resterai sempre uno stupido, fragile, fifone.. stupido, fragile, fifone.. stupido, fragile, fifone..
Un bagliore di fioca luce gli accarezzava il viso e lo svegliò dal profondo sonno. Aveva ancora avuto gli incubi. Era indolenzito per aver dormito su una dura superficie e aveva il labbro molto gonfio a causa della botta della sera prima. Guardò l’orologio, erano le dieci e quarantacinque. Ci volle qualche minuto per realizzare la particolare situazione e rendersi conto di quello che gli era capitato il giorno precedente. L’incazzatura del suo capo per l’ennesimo ritardo era l’ultima delle sue preoccupazioni in quel momento. Quando riprese conoscenza e iniziò a distinguere tra sogno e realtà, si accorse che non era nello stesso luogo dove la sera prima si era addormentato. Si trovava in una stanza piena di marchingegni strani e di luci che continuavano ad accendersi e spegnersi simultaneamente. Pensava di essere finito in un magazzino vuoto e abbandonato di qualche laboratorio o industria. Uno scricchiolio lo riportò alla realtà, l’unica porta presente nel locale si stava aprendo ed Anthony, che non si era ancora alzato in piedi, ma giaceva sul pavimento, ebbe un riflesso incondizionato, quasi involontario. Si nascose dietro ad uno di quei macchinari. Fece in tempo a distinguere uno stivale. Si rigirò di scatto, e portò la testa fuori dal raggio di visione dell'individuo temendo che potesse essere visto. Una voce echeggiò nella stanza:
    «Anthony, vieni fuori!»

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Capitolo 4
*** apocalisse ***


apocalisse

Erano le 10.52 del mattino al laboratorio scientifico dell'Università Sorbonne di Parigi, dove il professor François Poirot aveva appena terminato di esaminare quello che per tre mesi a questa parte aveva provocato in lui un senso di paura e ansia.
    «Merda!»
«Merda! Merda! Merda! Non riesco a credere che debba andare proprio così» pensava ad alta voce.
«Tre mesi fa c’era una   probabilità su sei mila, adesso è praticamente una certezza».
La sua espressione era un misto d’incredulità e spavento. Le analisi riguardanti le temperature terrestri portavano ad una triste verità. Fino a pochi mesi fa si pensava che i
l polo sud e la Groenlandia si sarebbero ”sciolti” forse più in fretta del previsto, provocando un aumento del livello degli oceani fino a sei metri entro la fine del secolo. A suggerirlo erano due studi in pubblicazione sulla rivista Science, opera di scienziati americani dell'Università dell'Arizona di Tucson e di quella del Colorado di Boulder. Gli esperti presero in esame simulazioni al computer sulle condizioni climatiche della Terra di centrotrentamila anni fa e le misero in correlazione con quelle attuali. Le conclusioni: se le temperature attuali continuassero a crescere con questa costante, entro la fine del secolo, la temperatura estiva potrebbe aumentare tra i tre e i cinque gradi centigradi. Una situazione simile a quella del periodo interglaciale iniziato circa centoventinove mila anni fa e concluso centosedici mila anni fa. All'epoca, a causa di cambiamenti nell'orbita terrestre gran parte della calotta della Groenlandia si era sciolta, determinando un aumento del livello del mare tra i due e i tre metri. I ricercatori americani, però, si erano spinti più in là e per la prima volta affermarono che oltre ai ghiacci dell'emisfero settentrionale in una situazione simile si scioglierebbero anche quelli del polo sud. Questo aggiungerebbe altri due - tre metri di altezza al livello del mare, portando il totale a un massimo di sei metri. Il professor Poirot portò avanti dei suoi studi personali riguardanti questa faccenda ed era arrivato ad una conclusione molto più catastrofica. Negli studi degli esperti americani si erano riscontrati un paio di errori d’importante rilevanza. Prima di tutto la tempistica, Poirot aveva scoperto che questo innalzamento delle temperature era aumentato a dismisura in questi ultimi tempi. Non alla fine del secolo ma nei giorni attuali si registravano temperature più alte dagli otto ai dieci gradi in Groenlandia e nel polo sud. Questo comporterebbe che entro le prossime due settimane i ghiacciai si scioglierebbero completamente, provocando un innalzamento degli oceani tra i trenta e i quarantadue metri, con la catastrofica conclusione di un allagamento del novantacinque per cento del globo terrestre. Era una cosa incredibile, un disastro di proporzioni bibliche starebbe piombando sul mondo dando un preavviso quasi nullo.
    «Devo avvisare subito il direttore»
Poirot prese nervosamente la cornetta che gli scivolò dalle mani sbattendo contro il pavimento. Imprecò, raccolse la cornetta, sistemò il filo che si era completamente attorcigliato e compose il numero del suo direttore. La comunicazione era molto disturbata, Poirot sembrava non preoccuparsene, era consapevole che le chiamate intercontinentali erano piene di disturbi. Di là dalla cornetta dopo un attimo di assestamento una voce si udì.
    «Pronto?»
«Sì, sono Poirot. Ho importanti novità.. purtroppo»
«Vuoi dirmi che è tutto confermato?»
«Si direttore, purtroppo le controanalisi non hanno riscontrato errori, è tutto confermato»
«Quanto tempo abbiamo?»
«Non più di due settimane»
«Siamo nella merda fino al collo..»

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Capitolo 5
*** licenza di uccidere ***


licenza di uccidere

I due malviventi, dopo essersi allontanati dal fienile abbandonato dove avevano lasciato Christen, imboccarono una via che portava verso un vecchio cantiere incustodito, dove doveva sorgere un centro commerciale che, per motivi economici e forse anche legati alla mala del posto, non era mai stato portato a termine.
    «Che ne pensi di tutta questa storia Dom? io non ti nascondo un po' di preoccupazione, il capo non è mai stato così nervoso come in questo periodo»
«Cosa vuoi che ti dica John? - fece un tiro di sigaretta e buttò la cenere fuori dal finestrino - ne so quanto te di questa storia»
«Senti, abbiamo lavorato spesso con lui, ma mai, mai l'ho visto in questo stato. Vedendo il modo in cui ha preso a cuore questa faccenda, potrebbe lasciarci le penne da un momento all'altro. Si, è molto importante, per quanto ne sappia io, ma lo è così tanto da rischiare la propria vita?»
«Che ne pensi di chiederlo direttamente a lui? siamo arrivati».
Parcheggiarono la macchina, una vecchia Seat Ibiza bianca, con più di duecento mila chilometri all’attivo, la ruota posteriore destra era stata sostituita da un ruotino di colore rosso, mentre il vetro anteriore destro era distrutto, probabilmente un pugno o una pallottola l’avevano mandato in frantumi.Scesero dall’auto e si avviarono all’interno del cantiere senza neanche preoccuparsi di chiudere la macchina, sapevano che nessuno avrebbe tentato di rubarla. Prima di entrare nello stabile, Dom lanciò la sigaretta, ormai quasi completamente consumata, facendogli effettuare una lunga parabola.
    «Dom dovresti smettere di fumare, fa male alla salute»
«Fa più male alla salute non farsi i cazzi propri John» i due si fecero una risata nonostante la tensione.
Arrivarono davanti ad una porta di vetro a specchio, dove due gorilla, appostati ai lati della porta, li fermarono.
    «Identificarsi» disse uno di loro.«Avanti Gilbur siamo noi quante storie, ogni volta sempre la solita solfa».
Si fece avanti John per primo, mise prima il pollice e poi l’indice della mano destra all’interno di un aggeggio per il riconoscimento delle impronte digitali. La macchina emise un suono tipo BIP e si accese una lucina verde. Poi socchiudendo l’occhio sinistro si mise a guardare all’interno di un buchino con l’occhio destro. In quel buchino c’era una macchinetta che faceva la scannerizzazione della retina oculare. Anche questa volta la macchina fece accendere una lucina verde e contemporaneamente una voce robotica quanto femminile uscì dal piccolo altoparlante vicino a quegli strani aggeggi.
    “Riconoscimento digitale-oculare avvenuto con successo, benvenuto agente CJIHAO6”.
Stesso percorso toccò a Dominik, alla fine di tutto anche lui fu riconosciuto
    ”Riconoscimento digitale-oculare avvenuto con successo, benvenuto agente CDIOAM7”.
La porta si aprì e i due entrarono, era evidente che conoscevano abbastanza bene quel posto. John e Dominik si ritrovarono davanti ad una stanza con una porta, per la precisione un ascensore, schiacciarono il pulsante e sul display dell’ascensore comparve una scritta “digitare codice ascensore”. John digitò una cifra composta da dodici caratteri utilizzando il tastierino numerico adiacente al tasto della chiamata dell’ascensore. Le porte si decisero ad aprirsi, entrarono e schiacciarono il pulsante unico presente al suo interno. L'ascensore iniziò a muoversi verso il basso, trenta piani verso il basso per la precisione. Un lieve sobbalzo indicò ai due personaggi che l’ascensore aveva portato a termine la sua corsa, si aprirono le porte e si ritrovarono davanti ad un lungo corridoio. Alla fine del corridoio un'altra porta ostacolava il loro cammino. La varcarono. Una frenetica attività di impiegati presi a rincorrere delle chiamate e dei fogli si svolgeva ai lati della grande stanza che i due stavano percorrendo. Molteplici scrivanie erano site in quel posto che sembrava quasi fosse una stanza dove si gioca in borsa tanto era il nervosismo e la frenesia che regnavano e che la facevano da padroni.
    «Ciao Dom!» disse un tizio calvo alzando lo sguardo.
«Ehilà Erik tutto bene?»
«Non mi lamento vecchio mio, e tu?»
«Bene grazie! A parte il fatto che sto dietro ad un caso difficile, ma, sai com è il capo! Più sei bravo e più sei stressato» si lasciò andare in un sorriso nei confronti del collega. La discussione avvenne senza che Dom e John si fossero fermati. Arrivati davanti ad una porta di vetro, si fermarono e tirarono un sospiro che non era molto "di sollievo" ma più di "adesso che cazzo facciamo?". Sull'uscio c’era una scritta abbastanza esplicita: 

"S.C. - DIRETTORE CIA"

John bussò delicatamente e attese la voce del direttore che li autorizzava ad entrare. Il permesso non tardò ad arrivare e i due s’incamminarono all’interno della stanza. La stanza del direttore della CIA assomigliava vagamente allo studio ovale del presidente degli Stati Uniti, con la differenza di non essere ovale ma rettangolare. Aveva una moquette molto pregiata con al centro il simbolo della CIA, la scrivania del direttore era situata in fondo alla stanza ma rivolta verso la porta, ai lati della scrivania c’erano due piante e dietro due tende color oro che sembravano essere di stoffa molto pregiata.
    «Accomodatevi ragazzi. Purtroppo ci sono cattive notizie, sembra che alla terra non resterà molto da vivere
«Ho sempre temuto che un giorno mi avesse detto queste parole, signore» esclamò Dominik.
«Lo so figliolo, purtroppo sono spiacente di dovertele riferire. Qui subentrate voi e la ragazza.. dovete assolutamente portarla nel laboratorio segreto e convincerla a collaborare. State attenti, nulla di tutto ciò deve trapelare, dobbiamo evitare di creare allarmismi di massa tra la popolazione»
«Va bene signor Direttore, ci pensiamo noi, non si preoccupi, vedrà che non la deluderemo»
«Si può fidare ciecamente di noi signore» Dom fece eco a John.
«Vi conosco molto bene per sapere che non mi deluderete, siete i due migliori agenti della CIA e soprattutto siete gli unici in grado di portare a termine quest’operazione, altrimenti non vi avrei scelto. Adesso andate e mi raccomando, tutto con la massima discrezione»
«Va bene Signore, arrivederci a presto»
«Ah ragazzi, un’ultima cosa, prima che ve ne andiate.. dovete eliminare chiunque s’intrometta in questa missione e che venga a conoscenza di informazioni pericolose, questo vale anche per Anthony Seller, intesi?»
«Sissignore, sarà fatto»
«Avete un permesso particolare che arriva direttamente dal presidente degli Stati Uniti d’America, quindi non preoccupatevi, se qualcuno s’intromette, ucciditelo. Arrivederci ragazzi e in bocca al lupo».
John e Dominik chiusero la porta e la lasciarono alle loro spalle e mentre si allontanavano, si guardavano negli occhi, erano due agenti che sapevano il fatto loro, ma forse questa volta andavano incontro a qualcosa fuori dalla loro portata, lo sapevano, lo sentivano ma non volevano ammetterlo a loro stessi.

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Capitolo 6
*** la speranza non muore ***


la speranza non muore     Anthony era un decisamente impaurito da quell'uomo con gli stivali e dal buio di quella stanza, aveva sempre avuto paura del buio, fin da piccolo dormiva con una lucina notturna sempre accesa. Si fece coraggio e cercò di sfruttare il buio a suo vantaggio, per non farsi vedere, anziché vederlo come una minaccia. Sentiva i passi dell'uomo all’interno della stanza. All'improvviso un flash, una luce intensa, accecante, a intermittenza gli confuse i sensi. Le luci a neon che erano poste sul soffitto illuminarono tutta la stanza. Il locale era largo circa cinque metri, molto alto, probabilmente più di sei, sette metri e le pareti come il soffitto e il pavimento erano completamente bianche, talmente bianche che si faceva quasi fatica a tenere gli occhi aperti.
    “Non sto capendo davvero nulla, non so come sono finito qui e perché, Dio aiutami, dammi una mano che solo tu puoi farlo ormai” era ormai convinto che le speranze di uscire incolume da quella situazione erano davvero pochissime, quasi nulle.
Stava cercando di fare il minor rumore possibile avvicinandosi sempre di più alla porta per riuscire a fuggire. Si muoveva lentamente attraverso i macchinari che creavano una sorta di mini labirinto all’interno di quella stanza. Girò intorno ad un macchinario sentendo che, l’uomo che lo stava cercando, era esattamente dalla parte opposta. Aveva architettato bene questa mossa, perché, quando arrivò in una posizione comoda, fece uno scatto per raggiungere la porta dalla quale l'uomo con gli stivali era entrato. Corse verso l’uscio, ce l'aveva quasi fatta ormai, iniziava a intravedere la salvezza sottoforma di porta. Appena arrivato davanti alla porta si bloccò. Il suo viso sembrava aver indossato una maschera che raffigura lo stupore, un’espressione paragonabile all'urlo di Munch.
Davanti a lui, con un sorriso stampato sulle labbra, un ragazzo che poteva avere più o meno la sua età, seduto su una sedia a rotelle.
    «Stai tranquillo Anthony, sei a casa di amici».  Lo rassicurò il ragazzo.
I nervi di Anthony ebbero una tregua che durò circa due o tre secondi, rotta da una mano che, violentemente, si appoggiò sulla sua spalla destra facendolo sobbalzare dallo spavento. Si voltò e vide un altro ragazzo che somigliava al tizio sulla sedia a rotelle, riconobbe lo stivale che aveva intravisto prima, probabilmente doveva essere il fratello.
«Chi siete voi? Perché mi trovo qui?» la domanda era piuttosto lecita.
«Anthony c’è un pericolo che incombe e tu sei qui perché sei la nostra ultima speranza» disse il ragazzo sulla sedia a rotelle.
«Io l’ultima speranza? Ma che diavolo stai dicendo? ».
«È possibile che tu non riconosca un vecchio amico?».
«Perché? Ci conosciamo già? Ci siamo già visti altrove?».
«Assolutamente sì, potrei rinfrescarti la memoria con questo aiutino - fece una pausa per dare importanza alla sua affermazione - alle scuole medie mi chiamavi Cily».
Improvvisamente ad Anthony affiorarono un sacco di ricordi sul suo passato di studente, fino ad arrivare a quel ragazzo rotondetto, il più bravo della classe, Stephan Cecily, che lui chiamava Cily. Era davvero un piccolo genio a scuola, aveva sicuramente un quoziente intellettivo molto superiore alla media, sapeva stupire tutti, a volte anche i professori.
«Stephan! Caspita ma sei davvero tu? Non ci posso credere».
«Si Anthony sono io»
«Oh mio Dio Stephan, che ti è successo? Quando ti conoscevo io, non eri sulla.. insomma camminavi..»
«Purtroppo lungo il corso degli anni, le cose cambiano amico mio, ma avrò modo di spiegarti tutto davanti ad una tazza di caffè, che ne dici?»
«Si d’accordo, ma..»
Stephan lo interruppe «A scusa, ti presento mio fratello Richard»
«Si, ho avuto il piacere di conoscerlo poco fa» Anthony indicò sarcasticamente la sua spalla destra.
«Molto lieto» gli rispose Richard e si avviarono.

Anthony si sedette a un tavolo, erano in una stanza che aveva molto della cucina da laboratorio. Si guardava intorno e vedeva alambicchi, pipette Pasteur e ogni sorta di attrezzo o boccetta che non deve mai mancare nella stanza di un chimico.
«Avrai modo di assaporare il miglior caffè di tutto il nord America, Richard è un cuoco provetto, ai fornelli non sbaglia mai, fa un caffè eccezionale, per non parlare delle sue famosissime lasagne»
«Perché sono qui Stephan? Come ci sono arrivato? Non ricordo nient’altro di ieri se non.. mia moglie, morta e io che vado a sbattere contro un albero con la mia macchina, spiegami Stephan, tu centri qualcosa?» I ricordi di sua moglie riportarono una nube di tristezza sul volto di Anthony, ancora non riusciva a credere di averla persa, per sempre.
«Vedi Anthony, a volte succedono cose che non si possono prevedere, forse tua moglie era.. come dire.. stanca di vivere»
«Ma che ti salta in mente? Eravamo una coppia felice, lei è stata uccisa e non so da chi e non so perché.. e tu vorresti insinuare che si sia tolta la vita?»
«Anthony, la polizia è entrata in casa tua e ha trovato una lettera di tua moglie, hanno fatto delle analisi ed hanno accertato che la calligrafia è proprio la sua. La lettera diceva che gli mancavano gli stimoli per continuare e che non poteva sopportare ancora di non poter avere bambini da te.. scusami Anthony ma è piuttosto evidente la situazione».
Anthony era sbigottito, non riusciva a credere a quelle parole. Lui e sua moglie avevano sempre vissuto felici e non riusciva a capacitarsi di tutto questo.
«E tu come mi hai trovato?»
Intanto Richard versava il caffè nelle tazze e lo serviva a tavola, portando anche qualche biscotto.
    «Il camionista al quale hai invaso la corsia si è premurosamente occupato di chiamare un’ambulanza quando ti ha visto accasciarti al suolo. Poi sei finito in ospedale e la sera stessa ho mandato Richard a prenderti, o meglio, rapirti anche perché nessuno deve sapere che sei qui»
    «Cily ascoltami, tu mi hai rapito dall’ospedale, ho dormito in uno sgabuzzino, mia moglie si è suicidata e ho come l’impressione che tu ne sappia più di quanto mi vuoi dire! Voglio sapere il perché di tutto questo e soprattutto voglio andare fino in fondo alla morte di Christen perché l’ipotesi del suicidio non mi convince per niente» gli animi della conversazione si stavano scaldando.
    «Allora lasciami spiegare dal principio. Vedi caro Anthony, io e mio fratello Richard ci occupiamo di aiutare le persone con gravi problemi. Siamo pieni di soldi, ne abbiamo talmente tanti che per buttarli via non mi basterebbero tre mesi. Questi soldi noi li utilizziamo per fare ricerche sulla medicina e allo stesso tempo sulla scienza. Sono due cose che se combinate nel modo giusto ci potrebbero permettere di migliorare la vita di tantissime persone. Mio fratello è un non vedente Anthony, non so se ti sei accorto che non sbatte mai le ciglia degli occhi. Sono riuscito ad aiutarlo grazie alla scienza. Gli ho impiantato due micro-telecamere dentro i bulbi oculari che gli permettono di distinguere i contorni delle figure degli oggetti e delle persone in modo da poterle evitare senza l’ausilio di nessun cane o bastone per potergli dare una vita quasi normale, senza compassione alcuna da parte di altra gente»
    «Tutto questo cosa c’entra con Christen?»
    «Lasciami finire Anthony. Circa un anno fa mi diagnosticarono una malattia piuttosto comune che conoscerai sicuramente: la sclerosi multipla. È una malattia che blocca gli impulsi che il cervello da, per esempio, alle mani o alle gambe. Qualcuno è colpito in maniera poco grave e può causare anche solo qualche malfunzionamento delle dita, altri, come me, sono colpiti in maniera più profonda fino a perdere del tutto l’uso delle gambe. Richard ed io da allora stiamo lavorando per aiutare i malati di sclerosi multipla e per fare in modo che un giorno io ritorni a camminare»
    «Tutti i soldi per la ricerca.. dove li prendi Stephan?»
    «Proprio li volevo arrivare, i soldi ci vengono dati dai governi di tutto il mondo perché io e mio fratello siamo a conoscenza del segreto più grosso che potrebbe sconvolgere l’intero globo..»
    «Un segreto?»
    «Si Anthony, un segreto che adesso rende il mondo in grave pericolo ed è per questo che ti ho “prelevato”. Ti sto per rivelare un mistero a cui farai davvero fatica a credere e, fidati, tua moglie era la chiave di tutto ciò ma, purtroppo, l'abbiamo persa per sempre e con essa abbiamo perso quasi tutte le speranze di salvare questo povero mondo malato..»

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