Simon

di VikiMel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00 Prologo ***
Capitolo 2: *** 01 Ospite Inatteso ***
Capitolo 3: *** 02 Rebecca, Simon e il mostriciattolo ***
Capitolo 4: *** 03 Il Samurai ***



Capitolo 1
*** 00 Prologo ***


Prologo

 

 

«Che notte meravigliosa!» esclamò tra sé e sé Simon mentre rincasava dalla sua festa di addio al celibato e in effetti, lo era davvero: era una notte di luna piena, stellata e soffiava una leggera brezza estiva degna del suo nome.
Aveva assistito ad un meraviglioso spogliarello -l'ultimo si era detto-, anche perché il giorno dopo si sarebbe sposato: quindi l'unica donna che d'ora in poi avrebbe visto nuda, sarebbe stata la sua signora.
Non ricordava una notte così epica dalla sua laurea in criminologia seguita poi dalla sua nomina a detective, tutto rigorosamente col massimo del punteggio: quella sera sì che era sbronzo!
E la fortuna, ancora una volta dalla sua parte, volle che conoscesse Lei: una bellissima donna, alta circa un metro e ottanta, capelli lunghi corvini, occhi blu zaffiro e quelle curve mozzafiato!
«Aah, quella sera!» Sorrise ripensando a come si erano conosciuti: Simon stava stendendo un energumeno che aveva pensato bene di attacar briga e lei gli stava dando una mano menando colpi a destra e a manda come se nulla fosse!
Fu il loro primo combattimento insieme e in seguito ci fu il loro primo caso, il loro primo film, il primo "ti voglio bene", il primo appuntamento, la loro prima volta e infine il matrimonio.
Sì! Si sentiva al settimo cielo!
Continuando a camminare sul marciapiedi iniziò a fischietta il suo motivetto preferito e girato l'angolo percorse la Via degli Specchi.
«Ehi amico!» si sentì dire alle spalle
«Ah, sei tu Mauro! Buonasera, ancora in giro a vagabondare? Non hai paura che qualcuno ti attacchi?» Il barbone, con il cartone sotto il braccio, rise con voce rauca e poi rispose «Detective, come se tu non lo sapessi! I soli esseri da cui posso essere attaccato sono i topi e i cani! Per gli esseri umani non esisto: per alcuni sono un disgraziato che non ha voglia di lavorare e per altri solo uno sfortunato!»
Simon lo sapeva, ma detestava ammettere che nel mondo ci fosse ancora gente come Mauro, senza nessuno che si curasse di lui.
«Tieni, prendi...» Simon gli porse una bancanota da cinquecento euro.
«Ma... ma detective! Questi li dovrebbe usare per andare in vacanza!»
«Non preoccuparti, andrò in luna di miele e questi non mi serviranno. Buonanotte Mauro» augurò il giovanotto sorridendo
«Un giorno ti ricambierò il regalo, ragazzo, è una promessa!» gli urlò dietro felice il barbone.
Allontanandosi dalla via principale arrivò finalmente in una strada desolata, dove i lampioni, per qualche strana ragione, diventavano sempre più fiochi sino al vialetto di casa sua «Casa dolce casa!» E prese le chiavi, fece per aprire ma guardando in basso notò un qualcosa che sperava fosse opera della sua immaginazione o almeno, una qualche immagine creata sotto effetto degli alcolici: la sua ombra appariva come insolitamente enorme.
Oppure qualcuno con improbabili buone intenzioni era dietro di lui.
Escludeva il fatto che potesse essere Mauro perché era molto più basso di lui e quindi c'era solo da sperare in qualche suo amico per un ultimo scherzo d'addio.
«Ragazzi, non è divertente!» esclamò; ma in tutta risposta ricevette un colpo in testa senza sapere chi o cosa avesse compiuto il gesto e svenne.

Si svegliò dolorante, confuso e in una stanza d'ospedale di cui non aveva la minima idea di come avesse fatto per arrivarci.
«Dov'è Lei?» Fu il primo pensiero a balenargli nella mente
«Simon» disse qualcuno e fu riportato alla realtà da una voce che conosceva fin troppo bene e non portava mai buone notizie.
«Maresciallo Matri! Che è successo? Come sono arrivato qua? Dov'è Lei? Dov'è Clara?»
Il maresciallo, lisciandosi la folta barba, lo guardò nella stessa maniera con cui dava le brutte notizie.
Lo sapeva. Gliel'aveva visto fare un milione di volte.
Ma mai si sarebbe aspettato di incrociarlo «Ragazzo... sarebbe meglio che restassi giù... Lei è...»

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Capitolo 2
*** 01 Ospite Inatteso ***


Capitolo 1

Ospite Inatteso

 

 

«Ragazzo, davvero! Se non vuoi partecipare posso chiamare qualcun altro, non devi ammazzarti di lavoro!» esclamò il maresciallo rivolto a Simon.
«Non si preoccupi. Lavorare mi fa bene! Mi distrae... e poi lo sa che detesto stare a casa! Soprattutto quando succedono cose del genere.»
Stava ovviamente mentendo.
Odiava essere svegliato nel bel mezzo della notte, ma non avrebbe mai detto di no al maresciallo Matri, non dopo tutto quello che aveva fatto per lui: gli aveva insegnato a sparare, cosa che gli era tornata utile già in molte occasioni, sempre lui aveva scritto la sua lettera di raccomandazione all'università di Criminologia a Milano e gli era sempre stato vicino da quando Lei... se n'era andata.
Una lacrima gli rigò il volto costringendo Simon a voltarsi e stropicciarsi gli occhi.
Poco dopo provò a concentrarsi sul motivo per cui era stato svegliato: un cadavere di donna, lasciato sull'angolo della strada tra Via Abbi Pazienza e Via de Rossi.
Era il quarto quel mese e come gli altri anche questo presentava delle mancanze evidenti «Allora, cosa abbiamo qui Ugo?» chiese il detective al poliziotto che stava esaminando il corpo.
«Be', detective... lo vede anche lei! Ad una prima occhiata sembra che la malcapitata ieri sera abbia avuto un incontro ravvicinato con un ammiratore di "Jack lo Squartatore"! Non ci sono segni di lotta e i lividi si sono creati per il sangue che ha smesso di coagularsi. Nemmeno troppi schizzi nel punto in cui l'hanno sventrata. In seguito l'hanno svestita, svuotata delle parti molli, menomata in più punti e...»
«Okay, abbiamo capito Ugo! Non c'è bisogno di fare un elenco dettagliato, e che cazzo! Lo sai che mi fa schifo! Non siamo mica nel tuo club di necrofili strampalati!»
Il maresciallo era sempre stato un po' impressionabile.
Simon rise tra sé e sé, pensando alla sfortuna che aveva avuto il nuovo arrivato, Ugo: brillante medico legale, accompagnato da un impressionabile maresciallo burbero che non poteva fare altro che guardare il cielo per non sentirsi male.
«Okay, posso guardare?» chiese il detective infilandosi i guanti e prendendo la sua lente.
«Certo, basta che non mi chiedi di darti pareri! In queste cose sei più bravo di me!»
«Mi metto all'opera, dunque.» disse Simon iniziando ad osservare attentamente il corpo.
I suoi occhi grigi iniziarono a focalizzare i primi dettagli: donna sui venticinque anni, fumava, senz'altro prima aveva avuto un appuntamento col suo fidanzato dati i succhiotti sul collo, il taglio che le spezzava l'addome e correva dal femore fin sopra il seno era stato fatto da qualcuno che senza dubbio aveva già una certa esperienza in materia -sicuramente aveva pure una vasta gamma di coltelli- ed era mancino.
Un destrorso non avrebbe mai fatto un taglio in quel modo, troppo scomodo, ma soprattutto, non sarebbe stato così preciso ed ordinato.
I lembi separati presentavano effettivamente una certa grazia nell'essere stati divisi: un coltello da cucina o da macellaio non avrebbero avuto questo esito, anzi, di sicuro il taglio sarebbe apparso con un aspetto più sbrindellato.
Ma allora che cosa poteva avere un'affilatura tale da non causare fuoriuscite di sangue da un corpo tagliato in due da permettere alla vittima di prendere il sangue e le interiora?
«Detective? Ha notato qualcosa?» chiese il medico legale.
«Sì, il taglio secondo te con che cosa è stato provocato? Un coltello affilato o...» chiese Simon continuando a scrutare il corpo millimetro per millimetro.
«Un coltello bello grosso! Un machete anche se il taglio sembra quello di una spada... Vede com'è sottile il lembo separato inizialmente?»
«Scempiaggini!» sbottò il maresciallo «Siamo nel ventunesimo secolo chi userebbe una cosa scomoda come una spada per uccidere qualcuno? Andiamo, tornate alla realtà! E Ugo, smettila di leggere quei cosi cinesi, ti spappolano il cervello!»
«Giapponesi e si chiamano manga, maresciallo... Sono stati parte della mia tesi finale di laurea, dunque la pregherei di non sottovalutare il loro influsso nell'ideare omicidi. Mi creda, danno ottime idee!» puntualizzò il medico infastidito.
Simon ignorò il seguito della discussione e si concentrò nuovamente sul cadavere: profumava, ma non sapeva bene di che cosa, non pareva avere segni particolari anche perché senza volto non era possibile riconoscerla.
Inoltre chi l'aveva uccisa aveva anche pensato bene di sottrarle tutti i documenti «Signori, me ne torno in ufficio: appena saprete qualcosa su chi era e chi frequentava prima di essere così, contattatemi e... grazie maresciallo per avermi chiamato: cercherò di aiutarla al meglio delle mie possibilità. Per ora, arrivederci!»
Simon Cole si alzò dalla scomoda posizione e tornò al suo classico punto di vista, il metro e novanta, si scostò il ciuffo ambrato dalla fronte e iniziò ad incamminarsi con le mani in tasca.
Era di nuovo solo, da due anni non amava molto la solitudine, lo portava a pensare e spesso, ripensava a quella notte, quando il maresciallo gli aveva raccontato che aveva trovato il corpo di Clara senza vita accanto a quello del suo aguzzino.
Era riuscita a sistemarlo ma la pugnalata che l'altro le aveva inferto le era stata fatale, aveva perso troppo sangue.
«Aspettami, ti amo, perdonami...Oh, Clara... non amerò che te finché avrò anche solo un sospiro da dedicarti» sussurrò Simon.
Stava per rimettersi a piangere, ma si costrinse a distrarsi pensando al caso che ormai da un mese era insito nei suoi pensieri.
Quattro cadaveri, contando il nuovo arrivato, tutti lasciati in un qualche angolo della città, tutti sfregiati, nudi, privati di un qualsiasi segno di riconoscimento e con qualche parte menomata: quando un dito, quando una mano, stavolta mancavano molte parti interne.
Tutte donne tra i venti e i venticinque anni e al momento nulla in comune.
Quale pazzo furioso poteva essere così metodico e preciso in tempi stretti? Che lavoro poteva permettergli quella rapidità? Il cuoco? Il sarto?
E poi la cosa più importante: il movente; quella maledetta vocina che aveva spinto un lui o una lei a compiere quelle efferatezze senza pensarci su due volte.
Questi interrogativi furono interrotti per cercare le chiavi ed entrare in casa.
La casa di un detective, ad un occhio inesperto, poteva assomigliare a quella di uno scrittore in fase creativa, colma di fogli sparsi per terra: nel caso specifico del signor Cole, vecchi rapporti, calendari equivoci, che il tempo, e le scarpe, avevano annerito.
Ovviamente il proprietario li aveva lasciati lì a decorare il pavimento che ahimè! Il cencio lo aveva visto molto tempo addietro, per non parlare dei vestiti che erano simili a palle di Natale volte a decorare il divano, i quadri e il lampadaio.
Entrando lasciò il suo cappotto nel ripostiglio del sottoscala e cominciò a slacciarsi la cintura dei pantaloni.
Che strano! Non ricordava di aver acceso l'incenso uscendo e nemmeno di aver apparecchiato... per due?
In quel momento Simon realizzò di non essere solo in casa sua, ma non c'erano segni sulla serratura fuori: chi era entrato aveva le chiavi oppure era uno scassinatore provetto.
«Okay, chi è lo stronzo di turno? Fatti vedere! Ho una pistola e ti avverto, sono sobrio, di pessimo umore e non sono uno che lesina sui proiettili!»
In una frazione di secondo estrasse la pistola, disinserì la sicura e cominciò a controllare gli specchi che aveva appositamente disposto per vedere se nelle altre stanze ci fossero stati movimenti sospetti.
In cucina nulla, in bagno niente e nella scala nemmeno, che stupido!
Il ripostiglio!
Corse a controllarlo ed esaminò tutto con rapidità: il cappotto, il mucchio di abiti invernali, lo scialle rosso... Lui non aveva scialli rossi!
«So che sei qui! Fatti vedere e non ti sparerò! Ti ho visto dietro quello scialle, ESCI SUBITO!»
Quello che Simon vide in seguito alla minaccia rafforzata, fu lo scialle muoversi come se avesse vita propria e in effetti l'aveva: non era un ladro, ma una ragazza con una testa di lunghissimi e fluentissimi capelli color ciliegia, alta, formosa, con indosso un vestitino da "Gothic Lolita" e il grembiulino ricamato con i gatti di Simon.
La ragazza con gli occhi verdi colmi di lacrime cominciò a parlare «S-Scusami Simon, non spararmi! Giuro che non ho rubato nulla, ma per favore, non puntarmi quella cosa contro, ho paura!»
«Chi sei? E come fai a sapere il mio nome?» chiese il detective confuso dalla visione bizzarra che gli si era appena rivelata.
«M-mi chiamo Rebecca L'Obour e...» Simon spalancò gli occhi e iniziò a sudare freddo L'Obour? Ma come? L'unica persona che conosceva con quel cognome era... «Clara era mia sorella, se ti stai chiedendo quale strana coincidenza ha riportato una donna con quel cognome in casa tua Simon Co...»
La ragazza si trovò nuovamente la pistola del detective puntata contro.

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Capitolo 3
*** 02 Rebecca, Simon e il mostriciattolo ***


Capitolo 2

Rebecca, Simon e il mostriciattolo

 

«Provamelo» Simon era un fascio di nervi, stava sudando freddo per l'agitazione.
La ragazza davanti a lui affermava di essere la sorella della sua defunta Clara e in effetti poteva rassomigliarle in quanto a stazza e lineamenti: anzi, se non fosse stato per i capelli e per gli occhi, avrebbe asserito che lei era Clara.
Ma in quanto al carattere c'era un abisso che le separava.
«Okay, va bene, te lo provo, ma ti prego! Posa quell'arnese, ho il terrore delle pistole!» Rebecca stava per rimettersi a piangere e il detective capì di aver esagerato.
«Va bene, la metto via: ora però anche tu farai la tua parte e poi mi spiegherai come hai fatto ad entrare.»
«Prendi» disse lei sorridendo e porgendogli una lettera ingiallita «qui c'è scritto tutto quello che vuoi sapere!»
Simon riconobbe subito la scrittura, quella curvatura sulle "ci" per non parlare della "a" perfettamente tondeggianti.
Era la sua scrittura.

"Cara Rebecca,
mio mostriciattolo adorato, sorella, come stai? Te la passi bene all'Università di Kyoto? Scommetto che avrai comprato una tonnellata di vestiti!
Poi voglio vedere le fotografie!
Io qui sto bene e ho una notizia meravigliosa da darti: non indovinerai mai!
Simon mi ha chiesto di sposarlo! Oh cielo, me l'ha chiesto mentre combattevamo!
Mi ha sconfitto e poi mi ha posto la fatidica domanda, è stato così tenero!
Ovviamente sei invitata al matrimonio anche se so che molto probabilmente non verrai; quando avrai terminato i tuoi studi però esigo che tu venga a trovarci e, siccome so che quando arriverai saremo da qualche parte a risolvere qualche caso con il maresciallo, ti dico dove si trova la chiave d'emergenza: sotto al vaso di fiori blu a pois viola.
Così potrai entrare senza problemi e finalmente ti presenterò Simon!
Ti piacerà: è molto gentile -quando non impugna la pistola- e sono sicura che andrete d'accordo!
Anche se non gli ho ancora parlato di te perché mi piacerebbe presentarti personalmente, perdonami!
Prometto di farlo non appena non appena avremo finito di rivolvere questo caso!
Ora è impossibile parlarci, è preso da deduzioni, risse e i preparativi!
Mi manchi molto, spero di rivederti presto...
Spicciati genietto a laurearti per la terza volta!

Sempre tua,
Clara

PS: 何か が 私 に 起こった 場合, それ お 保護 します "

Simon finì di leggere e guardò la ragazza che nel frattempo si era legati i capelli «Soddisfatto, tantei-san
«Come mi hai chiamato?»
«Signor detective» spiegò «in Giappone si dice così e... ah! Devo andare a togliere la pentola dal fuoco sumimasen! Cioè, scusa!»
E corse in cucina.
Simon ora si sentiva più che perplesso, stordito.
Si mise a sedere sul divano e fece il punto della situazione: una ragazza vestita da "Gothic Lolita", dai capelli color ciliegia che parlava a tratti in una lingua a lui incomprensibile era entrata in casa sua, aveva preparato il pranzo e aveva con sé una lettera di due anni fa di Clara in cui stava scritto che avrebbe potuto far loro visita in qualsiasi momento.
La situazione era surreale e al contempo stesso razionale.
«Il pranzo è pronto! Muoviti o si fredda!»
Quelle furono parole che lo riportarono alla realtà
«A-Arrivo...»
Pranzarono in silenzio, in una cucina che a Simon pareva più in disordine che mai.
Non ricordava di averla lasciata così male.
A testa bassa e una volta finito si misero a lavare i piatti.
«Mi dispiace per prima, non volevo spaventarti. È che non mi aspettavo di avere ospiti»
«Non preoccuparti, effettivamente poteva essere chiunque anche se dubito che un ladro ti avrebbe preparato il pranzo» rispose lei, facendo l'occhiolino.
«Vero... dunque: hai finito la tua terza laurea, giusto?»
Ci fu una breve pausa di silenzio.
«Sì»
«Cosa hai studiato? Se posso chiedertelo...»
«Lingua e cultura giapponese, a Kyoto.»
«E le altre?»
«Sei un detective, no? Allora indovina! Voglio vedere se sei bravo come affermava Clara: diceva che quando t'impegni sei uno Sherlock niente male!» La risposta, accompagnata da un sorrisetto e uno sguardo di sfida, fece sorridere il detective che si sentì in dovere di precisare:
«Indovinare? Vorrai dire dedurre. Se indovinassi sarei un indovino, non ti pare? Ma comunque, dimmi... perché sei venuta qui nonostante...» si bloccò.
«La scomparsa di Clara?» terminò Rebecca per poi proseguire «Be', mi pare ovvio: per darti una mano no? Sapevo che saresti rimasto solo e siccome sono sola anch'io ho pensato che se avessi voluto una mano anche solo per le pulizie, potrei esserti utile! So quanto le volevi bene e...»
«Okay, frena! Tu vorresti lavorare per me come colf? Ho capito bene?» Simon era incredulo «Dopo aver preso tre lauree vorresti fare la domestica in casa mia? Lo sai che è una cosa senza senso?»
«Sì, ma qui è l'unico posto dove riesco a sentire mia sorella presente... per favore!» Rebecca chinò il capo per evitare di farsi vedere nuovamente in lacrime.
Doveva mancarle molto e sapeva per certo che quando Clara era scappata da casa, Rebecca doveva averla seguita prima che lei partisse per l'Università.
Dovevano essere inseparabili.
Ma la faccenda non gli quadrava: c'era qualcosa in quella ragazza che distoglieva Simon dall'idea di fidarsi ciecamente di lei, una sorte di sensazione...
Una vocina nella testa gli diceva che c'era di più rispetto a quello che lei gli aveva detto.
Ed era, dunque, determinato ad accertarsene.
«Rebecca, giusto? Nella lettera in fondo c'è un Post Scriptum in giapponese, suppongo... Cosa c'è scritto?»
«Emh... una cosa che ci dicevamo sempre da piccole, è personale!»
«Stai mentendo, hai risposto troppo frettolosamente distogliendo lo sguardo e incrociando le braccia! Mi par di capire che "il dare una mano" non si riferisse alle pulizie. Tu hai le mie stesse lauree vero? Anche perché dovresti aver notato che non pulisco molto, ma nemmeno tu! E te lo posso dire con certezza: qualsiasi persona che abbia un minimo di concetto di pulizia, me compreso, non avrebbe mai lasciato la cucina così in disordine. In più... Ah!» Simon si avvicinò cercando di sopraffarla ma come sospettava la sua reazione di ribaltarlo con una mossa di judo fu molto repentina e istintiva.
«Ahia! Lo sapevo, potrai anche portare vestitini e tacchi, ma non puoi ingannarmi: hai le spalle e le braccia piuttosto muscolose per essere una semplice secchioncella e a meno che i libri non pesassero trenta chili tu hai frequentato la stessa scuola di judo di Clara! Mamma che botta...» Si rialzò dolorante ma trionfante e soddisfatto come non gli accadeva da un po'.
Rebecca nel frattempo si era sistemata i capelli e si era seduta: stava fissando quell'uomo che era riuscito a sorprenderla e spaventarla allo stesso tempo.
L'aveva fregata con una facilità non indifferente e questo le piaceva, come piaceva a sua sorella.
Il bel detective dagli occhi grigi e la chioma ambrata intuì che Rebecca stava per vuotare il sacco «Nanika ga watashi ni okotta baai, sore o hogo, shimasu» disse lei con tono serio «Se mi succede qualcosa, proteggilo. Queste, Simon Cole, sono le ultime volontà di mia sorella ed io intendo rispettarle! Ti faccio i miei complimenti, hai ragione: ho le tue stesse lauree ad eccezione del giapponese, caspita! Clara lo diceva che sei bravo! Mi hai fregato, pensavo che non stessi osservando nulla ed invece... dal primo momento che mi hai avuto sott'occhio mi hai squadrata per bene: sì, facevamo judo assieme finché non sono partita e ti chiedo scusa per la reazione brusca, ma te la sei cercata! Comunque... prima riguardo al collaborare ero seria e se ti stai chiedendo se ho davvero paura delle pistole, la risposta è affermativa! Ne sono terrorizzata e odio essere interrotta!»
Il detective, che aveva appena alzato il dito per porre quella domanda chiuse la bocca e le fece segno di continuare.
«Dunque... anche se sono entrata in casa tua di soppiatto, ho commesso un crimine di guerra in cucina e ti ho sbattuto in terra come un tappeto persiano... posso chiederti di vivere qui con te? Anche se non vuoi collaborare con me è lo stesso, solo permettimi di fare quanto richiesto da mia sorella: glielo devo.»
Simon la guardò, Rebecca non riuscì ad intuire cosa volesse dire quello sguardo: ad un tratto il detective si alzò, andò a prendere il cappotto e se lo mise, poi portò un cappotto rosso da donna a Rebecca.
«Mettitelo» intimò
«D-Dove andiamo Simon?» la ragazza temeva di essere cacciata fuori, il suo tono non presagiva nulla di buono.
«Lo vedrai e... un'ultima cosa...»
«Sì?»
«Posso chiederti in futuro di non chiamarmi mai più...»
«Ma Simon, perché?» chiese lei in lacrime
«Perché quel nome strano in pubblico mi darebbe fastidio! Andiamo collega, devo trovarti delle lenzuola decenti in cui farti dormire!»
Rebecca passò dalle lacrime alla confusione «Lenzuola? Ma non mi stavi cacciando?»
«No, affatto... Clara non te l'hai mai detto? Mi piace scherzare e se non vuoi le lenzuola e il letto, meglio per me! Mi terrai compagna la notte!» disse lui ammiccando.

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*Angolino dell'autrice*

Salve a tutti gli internauti di EFP! 
Finalmente ho deciso 
di presentarmi ufficialmente!
Salve a tutti! Sono VikiMel e ho deciso di esordire con questo giallo un po' comico, che spero apprezzerete!
Come avrete letto al nostro Simon ne sono successe di cose!
E aspettate di vedere che cosa accadrà nel prossimo capitolo!
Grazie a tutti coloro che lo leggeranno a quelli che già lo seguono!
In particolare ringrazio il mio "mentore" Auros "Mercer" che mi ha invogliato a scrivere questa cosa!
Quindi grazie mille!
Questo giallo è dedicato a TE ;D

 

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Capitolo 4
*** 03 Il Samurai ***


Capitolo 3
Il samurai

 

Era venerdì e il tempo non era dei migliori per svolgere delle indagini sul campo: il vento e la pioggia continuavano ad alternarsi da almeno due ore senza il benché minimo segno di voler cessare.
Ma questo sembrava non aver distolto l’assassino dal compiere il suo quinto massacro con il suo impeccabile "modus operandi" e tutte le sue precauzioni: volto sfregiato, nessun documento, e il corpo nudo, sventrato con un colpo preciso di chissà quale lama sconosciuta.
Solo che a mancare, stavolta, era un orecchio, il destro.
Simon si domandava quale potesse essere la connessione di tutte quelle mancanze, ma non riusciva a darsi una risposta: eppure doveva esserci...
I suoi occhi grigi si concentrarono più e più volte sullo squarcio, sperando che una vocina gli indicasse un qualche indizio.
«Trovato, qualcosa ragazzo?» Fu la voce del maresciallo a riportarlo alla realtà.
«No sfortunatamente non riesco a trovare nessuna connessione tra le parti mancanti maledizione! Sono settimane che mi ci scervello ma niente!»
Il giovanotto batté un pugno in terra per la frustrazione, poteva sentire l’assassino prenderlo in giro per la sua inettitudine, possibile che non lasciasse mai una fottuta pista?
«Calmati ora! Stai facendo la figura dello scemo!» Simon si girò sapendo benissimo a chi apparteneva quella vocina.
«Emh…Rebecca? Perché hai I capelli …verdi? E non ti avevo detto stare a casa?»
«Prima di tutto sono color acqua marina e poi figurati se ti lascio solo per un’indagine così interessante! Mentre venivo qui ho avuto il tempo di leggermi tutti i dettagli e poi, tu non hai né il mio istinto, né il mio spirito d’osservazione! E ora Sempai…se vuoi scusarmi» Rebecca avanzò verso il corpo quando Simon, stizzito, le chiese «E sentiamo cos’avrebbe di diverso il tuo spirito dal mio?»
«Beh vedi, speravo fosse ovvio ma se non lo è puntualizzo! Il mio è femminile, noto leggermente meglio i dettagli che sono considerati da un rude omaccione come te, inezie!» Sbottò lei facendogli l’occhiolino.
Il maresciallo dal canto suo, pensava di averle viste ormai di tutti i colori: dopotutto, con venticinque anni di onorata carriera alle spalle, aveva imparato ad aspettarsi di tutto, ma mai una giovinetta vestita di nero con i capelli color acqua marina.
Nel dubbio preferì chiedere «Simon, figliolo chi è la ragazza? Non ricordo di averla mai vista anche se ha un che di familiare».
Simon fece un respiro profondo e poi cominciò a parlare: «Lei, maresciallo, è Rebecca L’Obour, sorella minore di Clara, mia nuova collega nonché coinquilina: è tornata dal Giappone da poco, gliene volevo parlare prima di presentargliela, ma come ha notato, non me ne ha dato modo, credo che un paio di occhi i più lei che ne dice?»
Il maresciallo era incredulo però sapeva di potersi fidare di Simon: era uno che odiava mentire salvo circostanze speciali, quindi, sorridendo affabilmente, solo come un nonno saprebbe fare disse «La sorella di Clara?! Detective anche lei eh? Trovo un po’… strana la sua copertura da bambola ma non sembra male! Immagino abbia un bel caratterino anche lei perché...no! Vediamo come se la cava! E ragazzo?»
«Si, Signore?»
«Per caso, così per dire, è per colpa sua che hai quell’occhio nero?»
«Si maresciallo, sua altezza non conosce le battute all’italiana e mi ha sferrato un pugno senza pensarci due volte: le ho solo detto che se non voleva le lenzuola nuove avrebbe dormito con me!» «Quello che tu definisci battuta» si intromise Rebecca, «IO la definisco proposta indecente e molto piacere di conoscerla maresciallo! Finalmente la vedo di persona! Clara mi parlava spesso di lei nelle lettere, spero che mi permetterà di collaborare con le indagini, se non disturbo chiaro!»
«Si signorina, i collaboratori e le collaboratrici di Simon, sono anche nostri collaboratori e bentornata in Italia! Ora se permette devo parlare con il medico legale così una volta effettuato il primo rilievo, lo farò parlare con lei così potrà sapere tutto.»
«La ringrazio commissario ma non ce n’è bisogno. Simon per ogni omicidio ha scritto un rapporto molto dettagliato e ha anche incrociato i dati, per quei pochi che ci sono, ma credo di aver trovato anche il nesso delle mancanze!»
«E sarebbe?» Chiesero il maresciallo e il detective all’unisono. «Be', la persona che ha commesso gli omicidi, come già sappiamo, ha un modus operandi molto accurato: evita di lasciare sulla vittima un qualsiasi segno di riconoscimento, dai documenti, ai vestiti: questo perché così anche se avesse perso un capello o una lente a contatto nell’interagire con la vittima, non sarebbe rintracciabile. Ma le mancanze, non sono usuali: un feticista per esempio, prenderebbe la medesima parte di tutte le vittime, un adepto delle messe nere si interesserebbe al sangue o alle interiora e si fermerebbe lì. Io credo che il nostro assassino stia togliendo a tutte le vittime il medesimo segno di riconoscimento che hanno, vale a dire, un tatuaggio. Badate bene! Non quei tatuaggi insulsi che vanno di moda ora come "moustaches", cuoricini, stelline e chincaglierie varie! Mi sto riferendo ad un tatuaggio con un significato vero per le persone che se lo sono fatto!»
Simon sembrava come folgorato, effettivamente non ci aveva pensato, la sua teoria non faceva una piega. Le piaceva, lineare, semplice e ben eseguita.
«Ottima pensata! Hai qualche idea anche sull’arma del delitto ?» Lei in risposta sfoggiò un sorrisino trionfante. «Si ce l’ho! Ma ho notato che anche tu hai fatto le tue ricerche Sempai, non sarebbe carino da parte mia rubarti il merito della scoperta!»
«Che vuole dire? Quali ricerche hai fatto?» Chiese il maresciallo quanto mai stupito dall’ingegnoso ragionamento che gli era appena stato esposto. Il detective si grattò dietro l’orecchio destro, quello per il signor Matri voleva dire «NON qui!»
Lui in risposta tirò su col naso e s’incamminarono verso il locale che era stato preparato per il medico legale.
Ugo Tosco, il nostro adorato medico legale, moro con gli occhi di un verde così chiaro da sembrare giallo, era in piedi ormai da più di venti ore consecutive, stanco, e aveva dimenticato le lenti di ricambio.
Dunque, a causa della sua miopia, era costretto a portare degli occhiali spessi come fondi di bottiglia, da lui fortemente odiati poiché a causa loro aveva ricevuto un insopportabile nomignolo usato da tutti i maligni del distretto e, purtroppo, in modo affettivo dal Maresciallo che non esitava a usare.
«Buongiorno Gufetto! Abbiamo ospiti oggi! Simon lo conosci già e la signorina è la sua collega: si chiama Rebecca! Ora fai il bravo ed evita i dettagli schifosi, poi parliamo di quella tua ricerca. Va bene Cole?»
«Buongiorno anche a lei Maresciallo, Simon! Molto piacere Miss Rebecca! Ugo Tosco, medico legale, al suo servizio per qualsiasi cosa! E bel vestito! Tornata ora dal Giappone, ho sentito! Credo che io e lei avremo molto di cui parlare fuori dal lavoro. Signore, Non ci sono dettagli che non conosca già dunque passiamo al sodo: che ricerca ha effettuato il nostro caparbio detective, così interessante da venire qui per riferirlo a me?»
«Riguarda l’arma del delitto, Ugo. Ricordi quando dicevamo che sembrava una cosa come una spada?»
«Si, si ricordo perfettamente: allora che cosa ha usato il nostro Cavaliere Nero? Una daga? Un pugnale? O una spada corta?»
«Intanto non è un cavaliere nero Ugo e premetto che all’inizio è sembrata un’assurdità anche a me, ma poi ho fatto questa ricerca e sono giunto a conclusione che il nostro uomo potrebbe aver a che fare con un Samurai»
Ugo scoppiò a ridere «Un Samurai?! PFFT!! Dai fai il serio Simon con la faccia che ti ritrovi non ti vengono bene le battute!»
«Sono serio. L’assassino ha usato un’arma che i samurai anticamente la usavano per commettere harakiri, suicidio, se non ricordo male si chiamava Shakuhachi? Giusto?» Simon si voltò in cerca della conferma e la trovò.
Rebecca, infatti, stava sorridendo poi si avvicinò a lui e estrasse un piccolo involucro dicendo «Si, Tantei-San! Esattamente! Un’arma della stessa tipologia della mia!».
La spada che Rebecca gli porse era minuta, effettivamente come aveva previsto, era facilissima da nascondere o da far sembrare un ombrello di piccola taglia e non sembrava nemmeno pericolosa. Ma non appena la estrasse dal fodero, il detective si accorse di quanto si stava sbagliando: la lama molto sottile era sicuramente affilatissima, riluceva e sembrava quasi, fosse fatta di cristallo.
Al tatto però se ne scopriva la freddezza tipica dell’acciaio ed era tutt’altro che rassicurante, anzi faceva quasi paura.
«Ma tu non avevi paura delle armi?» Il detective appariva confuso e questo alla detective piaceva molto: era un'altra ottima occasione per indispettirlo!
Sua sorella le aveva raccomandato di farlo, così che si concentrasse meglio sul lavoro!
«No non ho paura di tutte le armi! Ho paura soltanto delle pistole, infatti quella è la mia arma e se vuoi, collega, ti mostro anche la licenza!»
«Ci vuole una licenza per maneggiare questo coso?»
«No! Ci vuole la licenza se te la vuoi portare a giro come arma, se invece è solo da collezione non devi dichiararla, la nascondi dove vuoi e ci sventri la gente!»
«Molto interessante miss, ma devo dissentire: le spade da collezione non sono così affilate come la sua.»
Ugo nonostante la coerenza di tutto il discorso era ancora dubbioso sulla possibile soluzione fornita dall’affascinate “Lolita”.
«Certo che no Ugo-san! Ma se si ha una di queste si possono fare miracoli!» E tirò fuori dalla tasca una pietra nera.
«Questa, signori, è ossidiana! L’ideale per affilare un qualsiasi tipo di strumento da taglio e, come potete vedere, è facile da portare e passare comunque inosservati; è carina anche come cianfrusaglia da arredo!»
«Okay un punto a tuo favore Rebecca, ottima analisi, devo riconoscerlo, e dimmi hai anche qualche altra idea?»
«Al momento no Simon, ma una volta avuti anche i dati del riconoscimento delle vittime credo che potremmo avvicinarci ancora di più al nostro Samurai assassino!»

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