Call it magic

di Elygrifondoro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Partenza ***
Capitolo 2: *** Candele, cappelli parlanti, ragazzi francesi e... sorprese ***
Capitolo 3: *** Notti al chiaror della luna ***
Capitolo 4: *** Pomeriggi in biblioteca ***
Capitolo 5: *** Mai infrangere le regole ***
Capitolo 6: *** Allenamenti e aeroplanini di carta ***
Capitolo 7: *** Promesse ***
Capitolo 8: *** Allenamenti ***
Capitolo 9: *** A tutti i costi ***
Capitolo 10: *** Buona fortuna signor Bane ***
Capitolo 11: *** Dura Lex, Sed Lex ***
Capitolo 12: *** Domande e chiarimenti ***
Capitolo 13: *** Ricordatelo ***
Capitolo 14: *** Chiacchiere di corridoio ***
Capitolo 15: *** Una svolta inaspettata ***
Capitolo 16: *** Risvegli traumatici ***
Capitolo 17: *** Vendetta, domande e cuori infranti ***
Capitolo 18: *** Un po'di sollievo ***



Capitolo 1
*** Partenza ***


~~~~CALL IT MAGIC…
Mi svegliai presto il primo giorno di Settembre moralmente pronto per l’inizio del mio sesto anno alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Ai piedi del mio letto, nella stanza che occupavo nell’istituto per Shadowhunters di Londra, il mio baule giaceva ordinato e la Firebolt era riposta in una morbida sacca di pelle. La mia famiglia s’era trasferita a Londra quando compii undici anni e ricevetti la lettera d’Ammissione ad Hogwarts. Era stato un vero colpo: mai nella storia della nostra razza uno Shadowhunter aveva anche poteri magici, se non per parentele con Nascosti. La stessa sorte era ovviamente toccata anche a Isabelle, la mia sorellina minore amante di trucchi e abiti succinti e Jace. Il mio Parabatai. Parlando del diavolo, spuntano le corna. Jace si fiondò come un razzo nella mia stanza, già vestito con un paio di jeans scuri abbastanza aderenti e una maglietta bianca a maniche corte da cui si potevano intravedere le rune permanenti che si diramavano su tutto il torace e la schiena. -Buongiorno fratellino!-  possibile che Jace avesse sempre quell’aria così allegra la mattina?  Io odiavo le mattine, le persone felici, le persone felici di mattina e le persone. Aveva lo stesso tono divertito anche quella volta in cui dovemmo  fronteggiarci con un branco di lupi mannari impazziti. Era frustrante. Ma era proprio questo che ancora mi attraeva di lui: vedere Jace e i suoi capelli color grano scompigliati mi lasciava a bocca aperta ancora adesso. Con fatica mi tirai su dal letto e mi alzai, barcollai fino all’armadio e tirai fuori a casaccio dei vestiti. Jace intanto mi aspettava paziente sulla porta. Per quel giorno “speciale” optai per una camicia candida come quella del mio fratellastro e un paio di pantaloni neri. Appena fui pronto scendemmo le scale e raggiungemmo la sala da pranzo dove ci attendeva un’Isabelle sorridente, truccata e pettinata perfettamente, con una gonnellina un po’ troppo corta per essere definita comoda e una camicetta a pois neri che incorniciava il suo corpo impeccabile da fata. Izzy aveva sempre avuto quel fascino da ragazzina innocente, che con il suo sedere mezzo scoperto e l’aria da verginella faceva impazzire più o meno tutto il dormitorio Serpeverde e non solo. I nostri genitori si trovavano a Idris, come al solito, così ci organizzamo chiamando un taxi e chiedendogli di portarci sino alla stazione di King’s Cross.
 Attraversammo il binario 9 e ¾ e Izzy corse subito verso un gruppo di ragazze Serpeverde dall’aria poco simpatica, ovviamente lanciando gridolini di gioia.
 Io e Jace rimanemmo un po’ spaesati, poi lui scorse tra la folla una chioma rosso fuoco: Clary.
 Clarissa era una di quelle ragazze che appena la vita riservava loro qualche minimo dispiacere, subito si disperavano. E tutte le persone che le stavano attorno dovevano necessariamente correre in suo aiuto, manco fosse la principessa tenuta prigioniera nella torre. In pratica, una piagnucolona.
 Sbuffai, forse un po’troppo rumorosamente, quando mi resi conto di essere solo. Di nuovo. Mi addentrai nella tortuosa giungla di braccia, gambe, bauli e sciarpe colorate, in cerca di qualche volto noto. Poi la vidi: bassa, capelli castano chiaro e un paio d’occhi color del bosco. Annabelle, la mia salvezza, colei che sapeva tutto di me e non ne aveva paura, non si vergognava.
 Appena mi vide  mi saltò in braccio facendomi barcollare. Dopodichè mi abbracciò forte e mi  salutò dicendo (fu più un urlo che un saluto) :
-ALEEEC, MI SEI MANCATOOO!!!!-  sbaciucchiandomi le guance, modo per lei usuale di mostrare affetto. Poi, con una punta di malizia nella voce mi sussurrò all’orecchio -Hai conosciuto qualche bel ragazzo quest’ estate?- .
-Mi spiace Ann, ma dovrai aspettare di essere sul treno per sapere tutte le novità...-  dissi con un tono misterioso.
-Non vedo l’ora!!!- a quel punto il treno fischiò e l’aiutai a caricare anche i suoi bagagli sul convoglio. Lei mi aspettava alla porta, con il suo perenne sorriso che le contornava il volto, mi guardava incuriosita
-che c’è adesso?!- dissi stizzito.
 -siamo sul treno- -e??-
- e mi avevi promesso che mi raccontavi ogni dettaglio!-incrociò le braccia al petto, facendo l’offesa. In quei momenti mi ricordava molto Max, il mio fratellino minore. L’avevo conosciuta proprio in quella stazione, sei anni fa, sullo stesso treno, lo stesso giorno e alla stessa ora. Era, ancora adesso, terribilmente fragile e minuta ma sprizzava allegria da tutti i pori. Madre e padre maghi, era per eredità destinata ad entrare nella prestigiosa scuola ma, a differenza di tutti gli altri bambini, lei non storse il naso quando le passai davanti anzi, mi porse la mano e si presentò subito, giustificandosi dicendo che avevo un naso simpatico e volevo conoscerlo. Quella fu la prima volta in cui risi per davvero.
-Ann, non preoccupati, ti racconterò tutto, ma non ho nessuna intenzione di rendere partecipi della conversazione almeno un centinaio di orecchie oblunghe e i loro padroni ficcanaso e chiacchieroni.- Rise alle mie parole e mi prese a braccetto.
-allora Alec, sbrighiamoci a trovare questo scompartimento!- Percorremmo tutti i vagoni fino ad arrivare all’ultimo, vuoto. Ci sedemmo in uno scompartimento e subito iniziammo a raccontarci tutti gli aneddoti protagonisti di quell’estate. Certo, ci eravamo scambiati qualche lettera via gufo, ma non era la stessa cosa. Recapitando una lettera non potevo vedere la sua faccia quando l’avrebbe ricevuta, né l’emozione che quelle parole avrebbero provocato dopo.
 Lei  aveva conosciuto un ragazzo australiano, alto, magro, abbronzato e muscoloso, rigorosamente biondissimo: insomma, il tipico belloccio da spiaggia.
-e tu Al?? New York è piena di ragazzi carini!!!- Io arrossii di colpo.
-beh… in effetti…- -in effetti cosa?- -E LASCIAMI FINIRE DI PALARE PER L’ANGELO!-
 -okay, scusa, è che sono troppo… troppo felice!!!- -ebbene, come stavo dicendo, ho conosciuto un ragazzo- -come si chiama? Quanti anni ha? Di che colore ha i capelli? E gli occhi? Oh!!! Dagli occhi capisci tutto di una persona!! Ha fratelli? Sorelle? Ha delle belle labbra? Bacia bene vero? No perché sennò lo devi lasciare!- -calma,calma Ann! Non è successo niente!- -COME NON è SUCCESSO NIENTE?!- -niente di niente, ti devo dare la definizione?- -nemmeno un bacio?- -neanche uno- -uno piccolo?- -no.- -a stampo?- -HO DETTO DI NO!!!- stava ridendo fortissimo, si teneva la pancia perché iniziava a fargli male, Annabelle era troppo spiritosa quando era… beh, quando era Annabelle.
 -neanche un bacetto sulla guancia casto casto?-
-neanche quello- -uno scoccato da lontano fra le querce di Central Park?- -ma che siamo, in un film?- -in questi casi anche un film di quelli che ci fa vedere Ruf sulla fondazione di Hogwarts sarebbe più interessante- disse lei incrociando le braccia al petto, il viso imbronciato, nascosto da qualche ciocca della sua indomabile chioma marrone. In quel momento, dall’entrata dello scompartimento, sbucò una testa bionda seguita da un’ingarbugliata rossa e dietro di lei altre due persone.
-Jace! Clary! Izzy! Simon!- Ann si buttò fra le braccia di Clary e Izzy, loro assieme formavano un trio quasi ridicolo; e poi salutò Jace e Simon, che si affrettarono a sedersi uno agli estremi opposti dell’altro, Jace accanto a me vicino al finestrino, Simon verso l’interno, attaccato all’entrata. No! Il Mondano No! Tra l’altro stava vicino all’unica uscita, il che voleva dire che sarebbero di certo morti tutti se il treno avesse preso fuoco. D’altronde, non era certo conosciuto per la sua agilità, piuttosto per la storica collezione di ruzzoloni che negli anni s’era moltiplicata come batteri.  Clary si sedette vicino al Mondano, Izzy accanto a lei e Annabelle di fronte a Simon.
-allora, come sono andate le vacanze?- chiese Clary scrutando ogni persona nell’abitacolo. Io le lanciai uno sguardo tagliente.
 -sono andate bene, fino a quindici secondi fa quando mi hai fatto questa domanda.- Ann mi trafisse con lo sguardo
-scusatelo, ha le sue cose…- disse Ann con noncuranza
 -COSA FARFUGLI SOTTOSPECIE DI VERMICOLO?!- gridai stizzito
 -Stavo solo giustificando il tuo comportamento da troll delle montagne, brutto ingrato!- tutti si misero a ridere. Io incrociai le braccia e sbuffai sonoramente.
-ma dai Alec, smettila di tenere il broncio!- rise Jace allegramente scompigliandosi i capelli biondi con la mano sinistra. Grazie al Cielo in quel momento passò il carrello con i dolci e ci rifornimmo di prelibatezze di tutti i tipi. Ormai dovevamo essere quasi arrivati: il cielo iniziava ad imbrunirsi e la campagna lasciava spazio a grandi prati verdi. Mi alzai per andarmi a cambiare e mettere la divisa. La mia spilla da Caposcuola luccicava sul  petto e sui colori della mia casata: Corvonero. Quando tornai nella cabina, il treno stava iniziando a rallentare, così presi il mio zaino e la mia civetta Elyssa e mi dirisi verso l’uscita con Annabelle al mio seguito, anche lei già in divisa anch’essa Corvonero  e la spilla da Caposcuola. Mi sorrise, prima di balzare giù dal treno ormai fermo alla stazione.

Salii sul treno in perfetto orario anzi, con mezz’ora di anticipo. Dopottutto, era il primo giorno del mio nuovo lavoro: mi avevano proposto di insegnare Difesa Contro le Arti Oscure nella rinomata scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Non ne sapevo l’esistenza fin quando non mi arrivò la lettera con la proposta di lavoro. Accettai subito: la proposta mi sembrava allettante e, si sa, l’Inghilterra è la Nazione per eccellenza del buon gusto. Avevo approfittato del viaggio di lavoro per fare compere in tutti i negozi di Londra e per informarmi sugli usi e i costumi. Ero comunque uno stregone newyorkese e avevo un sacco da imparare sulla magia inglese. La Nazione alle spalle aveva un passato tumultuoso, ben due guerre magiche in meno di un secolo e un’attività demoniaca piuttosto elevata. Beh, con tutta la magia oscura che s’era accumulata, era più che ovvia una reazione così violenta. Ma perché a lui doveva importare? Era Magnus Bane, il sommo stregone di Brooklynn, non un Nephilim. In realtà, dopo quello che era successo appena un mese prima, era più comprensibile che si preoccupasse di cose come attività demoniache o guerre magiche: quell’estate aveva conosciuto Alexander Lightwood, lo Shadowhunter più sexy e terribilmente gay di tutti gli Stati Uniti. Lui era così ingenuo… un fiore appena sbocciato. E lui c’era cascato come una ragazzina. Aveva frequentato un Nephilim!! Peggio, se n’era innamorato. Gli era costato tanto allontanarsi da New York, ma s’era detto che quella che gli era stata offerta era un’occasione da non sprecare. Guardò fuori dal finestrino, con un gesto della mano fece dissolvere il vapore prodotto dal treno per vedere i ragazzi, i suoi studenti, salire sul convoglio ed eccolo lì: bello, alto, capelli neri come la notte, un fisico da far paura, che si affrettava a salire e trovare un posto libero: cosa ci faceva Alexander Lightwood in Inghilterra, al binario 9 e ¾, che scalpitava per salire sull’espresso scarlatto?! Non poteva essere, Alexander Lightwood non poteva essere un mago, non poteva essere… quella parola lo fece rabbrividire, un suo studente.

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Capitolo 2
*** Candele, cappelli parlanti, ragazzi francesi e... sorprese ***


CALL IT MAGIC

ANGOLO DELL’AUTORE: Ciao ragazzi! Siamo Elisa ed Anna (la beta), amiche per la pelle e lettrici accanite. Dopo mille dubbi e incertezze abbiamo finalmente deciso di buttarci nel fantastico mondo di efp, pubblicando appunto una fanfiction. Essendo la nostra prima storia non vi assicuriamo grandi cose né capitoli completamente privi di errori di grammatica, ma di certo ci metteremo tutto il nostro potenziale e il nostro impegno e almeno in questo speriamo di essere impeccabilgi. Inoltre, vi chiediamo di non criticare la scelta dei personaggi. È vero, i protagonisti sono due uomini e se dovesse dar fastidio a qualcuno beh, non siamo noi quelle con cui dovete lamentarvi. Magnus e Alec sono una coppia, per noi normale come tante altre e in questa fanfiction ne diamo testimonianza. Scusate, stiamo divagando, probabilmente la metà di voi non è manco arrivata qui oppure s’è già addormentata, comunque… BUONA LETTURA!!! Elisa ed Anna


La stazione di Hogsmeade era piccola e accogliente. La tipica stazioncina di campagna. Gli abitanti del villaggio, ovviamente tutti maghi, s’erano radunati per accogliere gli studenti che di lì a nove mesi avrebbero occupato il castello e assaltato i negozi della cittadella. Scesi dal treno e assaporai ogni dettaglio di quel posto: le risate scroscianti, il verde vivace delle foglie degli alberi, l’odore della cenere, rifiuto leggero della locomotiva. Annabelle interruppe quel momento di ritrovo tra me e la vallata per trascinarmi verso una delle carrozze trainate dai Thestral. Io ero consapevole della loro esistenza sin dal primo anno. Ricordo che oltre a me, Jace e Izzy nessuno riusciva a vederli. Essere Cacciatori vuol dire imparare a convivere con la morte sin da piccoli, a sopportarla come un’inquilina capricciosa e scontenta. Vidi il guardiacaccia radunare tutti i bambini del primo anno e condurli verso il lago, tremanti ed emozionati per la cerimonia di smistamento che li attendeva. Salii sulla carrozza insieme ad Ann, Isabelle e Juliàn, un ragazzo francese della mia stessa casata. Stava leggendo un libro. Non sembrava essersi accorto di noi, ma appena le porte della carrozza si chiusero, lui alzò lo sguardo e i suoi occhi incontrarono i miei: erano color della neve sporca, semi nascosti dai suoi capelli color paglia. La pelle era candida, quasi trasparente, come il ghiaccio. Io avvampai. -Buonasera Alec- aveva una voce melliflua e melodiosa, quel genere di voce che ti rapisce immediatamente. Ad Annabelle e Isabelle concesse solo un cenno del capo, loro ricambiarono silenziose. -ciao Juliàn, hai passato delle belle vacanze? – il ragazzo dal viso d’angelo fece un mesto sorriso, poi parlò: -certamente, sono tornato a Parigi dalla mia famiglia. Spero che ti sia goduto il periodo estivo a New York tanto quanto me Alexander. – nonostante la cortesia che le sue parole lasciavano intendere, Juliàn era distaccato, quasi assente. Nel limbo fra la vita terrena e ultraterrena. Era piuttosto inquietante. - oh, si si, ho passato dei bei momenti con Isabelle e Jace. Credo saremo in dormitorio assieme…- -si, ne ero informato, sai già qualcosa degli allenamenti di Quidditch? Dopotutto siamo entrambi in squadra- Sia io che Juliàn facevamo parte della squadra dei Corvonero, io come cacciatore e lui come portiere. Era estremamente agile e la sua corporatura slanciata gli permetteva di parare quasi tutti i colpi. -no, non sono ancora stato informato di nulla- Mia sorella e la mia compagna di casata mi guardavano maliziose, in attesa di qualche altra informazione, come a scovare chissà quale relazione fra me e il ragazzo. Era vero, Juliàn era maledettamente bello, colto, affascinante… scrollai le spalle. Ma non era il mio tipo. Il mio tipo era a New York, dall’altra parte del mondo, a trasfigurare rospi in gatti e a organizzare rave party con fate e vampiri. E a malapena lo conoscevo. Per fortuna, pochi minuti dopo l’inizio di quell’interminabile silenzio, la carrozza si fermò e noi scendemmo ordinati. Arrivati all’entrata della Sala Grande, Isabelle salutò Ann con un abbraccio e me con uno sguardo mesto, per poi dirigersi al tavolo verde-argento dove un gruppetto di pettegole la circondarono, molto probabilmente gelose dei suoi lunghi capelli color petrolio. Clary e Simon andarono a sedersi al tavolo Tassorosso, mentre Jace andò con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni della divisa verso il tavolo dei Grifondoro. Io e Ann chiacchierando ci sedemmo al nostro tavolo, rivolti verso i professori. Poco dopo entrarono i bambini del primo anno, tutti tremanti, e si addensarono a casaccio dietro al guardiacaccia. Il preside, il signor Paciock, fece un largo sorriso e accolse i nuovi arrivati invitandoli ad avvicinarsi. I bambini titubanti s’avvicinarono guardando meravigliati il soffitto trapuntato di stelle e le candele fluttuanti, per non parlare di come fissavano i tavoli adorni con i colori delle casate. I più audaci sussurravano: -io sarò smistato in Grifondoro, compirò un’eroica impresa e sarò acclamato al pari di Harry Potter! – Altri dicevano: -vorrei essere astuto come una Serpe! - -intelligente come un Corvonero! – -vorrei essere leale come un Tassorosso, ed essere un riferimento per i miei amici! – Il gruppetto raggiunse velocemente il tavolo degli insegnanti, ove una sola sedia era vuota: quella del professore di Difesa Contro le Arti Oscure. Non ci badai molto: il professor Murray non era mai stato puntuale, era un’irrimediabile ritardatario. Ad uno ad uno i ragazzini venivano chiamati in ordine alfabetico, si sedevano sul vecchio sgabello e sulle loro teste veniva posto il cappello parlante che li smistava nelle varie casate. Ogni volta che il cappello dava il suo verdetto, una casata si alzava in piedi, esultante. Dopo due Tassorosso, tre Serpeverde, un Grifondoro e due Corvonero, il portone della Sala Grande si spalancò. Una figura alta e snella, avvolta in un mantello nero con l’interno del cappuccio glitterato, fece il suo ingresso. Non aveva più di venticinque anni: gli occhi da gatto, color degli aghi di pino, il naso piccolo e aggraziato, le labbra sottili. L’uomo si incamminò lungo la Sala Grande e, quando mi passò davanti, il bicchiere che tenevo in mano si ruppe. Nessuno, se non Annabelle che mi lanciò una sguardo interrogativo, l’aveva notato. Non era possibile. Non aveva alcun senso. Che ci faceva lui ad Hogwarts? Magnus Bane non poteva essere ciò che pensavo…. -Buonasera professore! – “P-professore?! COSA?! “Furono le uniche parole che la mia mente riuscì a mettere insieme. -Buonasera preside, scusi l’interruzione ma alcuni pixie erano scappati dalle loro gabbie e non potevo certo permetter loro di seminare zizzania lungo i corridoi di questo magnifico castello…. - La sua voce…. Così melliflua, convincente… mi tremavano le mani, ero probabilmente tutto rosso in viso. -certamente professor Bane! Prego, si sieda pure, così potrà assistere almeno alla parte finale della cerimonia! – Bane… allora era proprio lui… Magnus Bane, il sommo stregine di Brooklynn.


Quando entrai platealmente in Sala Grande, tutti gli occhi erano puntati su di me. D’altronde, poteva accadere altrimenti? Sebbene mi lusingasse tutta quell’attenzione e i mormorii che mi giungevano alle orecchie erano una manna dal cielo, in quel momento il mio pensiero era rivolto solo a un paio di quelle centinaia di occhi, solo ad una persona, dai capelli color della notte e gli occhi del mare in tempesta, dallo sguardo sicuro ma dall’animo dolce. Lo trovai fra i Corvonero, a detta della professoressa di Divinazione (una rospa bisbetica alta un metro e cinquanta), i più intelligenti. Alexander Lightwood non era il tipico Shadowhunter tutta azione niente neuroni come il suo amichetto arrogante Jace. Era astuto, temerario, intraprendente, furbo… non solo crudele. Appena il preside, un uomo alto e muscoloso, che aveva passato la vita a difendere il proprio paese mi invitò a sedermi, mi giustificai e mi dirisi in silenzio al mio posto. Ammetto che della cerimonia non me n’è importato molto, ero troppo impegnato a decifrare i suoi movimenti: era agitato, le guance rosse e avrei voluto correre da lui e baciarlo. Davanti a tutti, ad insegnanti e studenti, perché le sue labbra non le avevo mai assaggiate, perché lui non era mai stato mio, perché io non gli ho mai dato niente. E ritrovarmelo davanti quella mattina era stato un colpo, perché lui impersonava tutti i miei sbagli e le mie paure. Era troppo bello, troppo innocente, troppo Nephilim per me. Cos’ero io? Solo uno Nascosto e lui? Destinato a salvare il mondo da tutti i suoi mali e tra l’altro era anche un mago… poteva essere più perfetto? Dannato lui, dannato me e il mio orgoglio! La cerimonia finì mezz’ora dopo e il preside concluse il suo discorso prima di dare il via al banchetto: -bene studenti e professori, ora che tutti sono stati smistati, ho solo alcune informazioni da darvi: per prima cosa, come tutti gli anni ricordo che la Foresta Proibita è ASSOLUTAMENTE VIETATA AD OGNI STUDENTE E CHIUNQUE VENGA SORPRESO ENTRO I SUOI CONFINI AVRÀ L’ADEGUATA PUNIZIONE. Detto questo, dal terzo anno sono permesse le visite alla cittadina di Hogsmeade, permesse solo a chi ha firmato la circolare allegata alla lettera d’Ammissione. Potete consegnarle ai professori responsabili delle vostre casate: Per Serpeverde la signorina Scamander, di incantesimi – Una donna dalla corporatura esile, vestita con un semplice tailleur nero, si alzò e salutò con la mano la platea di adolescenti sottostante. -per Tassorosso, il professor Krum, insegnante di volo e nostro stimato arbitro per le partite di Quidditch- Un uomo dalle spalle larghe e dai tratti orientali si alzò anch’egli dalla sua postazione e sorrise agli studenti. -per Grifondoro ci sono io e insegno erbologia come credo saprete. E ultimo, ma non meno importante, per Corvonero il nuovo professore di Difesa Contro le Arti Oscure: il signor Magnus Bane, da New York! – Uno scrosciante mormorio si diffuse per tutto il salone. -il professor Bane è un uomo di Mondo, sono sicuro che imparerete molto da lui, non solo sui pericoli che potreste trovare in Inghilterra, ma anche nel resto del pianeta. – Un applauso generale divampò da tutti gli angoli della Sala Grande, ed io sorrisi come sorride la regina Elisabetta ad uno dei suoi discorsi. Appena il preside smise di parlare e diede il via ai festeggiamenti, il mio sguardo tornò sull’unica persona minimamente interessante in quel castello ma, appena posai gli occhi sui suoi capelli color carbone, Alec si alzò e uscì dalla sala. Ero nel panico, non sapevo che fare. Avrei dovuto seguirlo? Oppure far finta di niente?

Scusate per il capitolo, sappiamo bene che non è lungo, ma dal prossimo le cose si faranno di certo più interessanti!!! Pensiamo di pubblicare ogni 7/14 giorni, in base agli impegni scolastici. A presto!

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Capitolo 3
*** Notti al chiaror della luna ***


~~CALL IT MAGIC


Uscii dalla Sala Grande ancor prima dell’inizio del banchetto, deciso a fiondarmi dritto in dormitorio. Non volevo vedere, parlare o tantomeno guardare nessuno. Ero riuscito ad appioppare ad Annabelle una scusa banalissima e, benedetta la sua spiccata intelligenza, aveva capito e m’aveva lasciato andare senza troppe domande. Per circa due ore me la potrei cavare, ma stasera farò i conti con la sua testardaggine. Stavo pensando allo stregone, ai suoi occhi verdi e felini che continuavano a scrutarmi, anche nei miei pensieri. Okay, averlo come insegnante era ancora accettabile, l’avrei visto sì e no qualche ora a settimana e durante i pasti, ma responsabile della casata?! Voleva dire incontrarlo in sala comune, scontare le SUE punizioni e irrompere nei dormitori di ragazze… e ragazzi, a qualsiasi ora, in qualsiasi momento. Per me significava morte certa o, quanto meno, un’esplosione ormonale da sedicenne innamorato. In fondo che avevo fatto di male? I miei doveri da Cacciatore li ho sempre rispettati alla perfezione, sono un buon parabatai, un fratello premuroso… l’unica mia colpa è essere diverso. Diverso dai canoni richiesti dal Conclave, diverso perché amo un altro uomo. Sarei stupido a non ammettere che lo amo seppur io lo conosca da così poco tempo e così poco bene ma ho bisogno di lui come il mare ha bisogno degli scogli, come il sole del giorno e la luna della notte.  Ma questa storia non è possibile. Non ora che lui è un mio insegnante. È contro il regolamento ed io ho il dovere di rispettarlo. Come Caposcuola e come studente.
La porta della Sala Grande si aprì. Non ci feci troppo caso, aumentai solo il passo per evitare di imbattermi in qualche viso conosciuto e in quel momento, sull’orlo di un pianto disperato, non avevo voglia di riaccomiatarmi con qualche vecchio amico. Stavo iniziando a correre, i sentimenti contrastanti che erano esplosi in una guerra bellicosa nel mio petto stavano salendo su, sempre più vicini alla gola, e presto si sarebbero trasformati in singhiozzi isterici. O in urla. Poi una mano si poggiò sulla mia spalla. Il suo tocco leggero e rassicurante mi calmò un poco, almeno fin quando non mi voltai per vedere il proprietario di quella mano: era Magnus.

-P-professore… -
-Alec io…-
-Mi scusi, avrei una faccenda importante da sbrigare… -

Cercai di allontanarmi dall’artefice del mio dolce dolore, più somigliante ad una droga che ad una ferita aperta e pulsante. Non potevo farne a meno, Magnus per me era come la cioccolata per un bambino goloso. Avrei voluto ubriacarmi di lui, della sua voce, delle sue labbra, dei suoi occhi da gatto… sfiorare la sua pelle, percorrere ogni centimetro di quel corpo perfetto nascosto sotto strati e strati di brillantini. Imparare a memoria la forma dell’incavo del suo collo, delle sue braccia, del suo torace… non staccarmi da lui fin quando non sarei stato ebbro dei suoi baci… ma non potevo. Non potevo e non dovevo. Dovevo convincermi ad odiarlo. Oh! Sarebbe stato tutto molto più semplice se quell’uomo si fosse lasciato odiare!

-ti prego Alexander ascoltami! –


Quanto amavo essere chiamato da lui col mio nome per intero! Sembrava quasi gradevole se uscito dalle sue labbra…


-Professore, non credo sia il luogo né il momento adatto per una conversazione di questo genere. -
-Miseriaccia! Smettila di trattarmi come un estraneo! -
-E COME DOVREI TRATTARTI SCUSA? DOVREI CHIAMARTI AMORE? CORRERE DA TE ALLA FINE DELLE LEZIONI E FARE INSIEME UNA PASSEGGIATA AL LAGO?! DIMMELO TU COME MI DEVO COMPORTARE PERCHÉ, MAGNUS, IO NON LO SO PIÙ! DOVRESTI CONOSCERE IL REGOLAMENTO, MAGNUS BANE, O LE HAI INFRANTE TROPPE VOLTE LE LEGGI PER RICORDARTI DELLA LORO ESISTENZA? –


Sapevo di averlo ferito, sapevo che mi avrebbe odiato, ma non potevo fare altrimenti. Non avrebbe passato dei guai per colpa mia. Alcune lacrime iniziavano a solcarmi le guance, ad evidenziare gli zigomi tesi per l’azione masochista che stavo compiendo e per il ribrezzo che avevo di me stesso. Lui provò a sfiorarmi il viso per cancellare quello sfregio sulle mie guance, ma io mi scostai bruscamente.


-Alec… che stai dicendo? –

- mi dispiace Magnus. –


Mi voltai e corsi verso il dormitorio come un pazzo. Varcai la soglia rispondendo all’indovinello e mi fiondai sul mio letto dalle coperte blu notte e gli intarsi del legno in ebano, rappresentanti antiche vicende mitologiche della cultura Shadowhunter: come l’origine della nostra razza, come siamo destinati ad uccidere tutto ciò che da noi è diverso…

Piansi per un bel po’, forse per due minuti, forse per due ore, smisi solo quando la porta si aprì con un cigolio e Juliàn entrò silenzioso come suo solito.


-Alec! Che ti succede? -


Disse, sedendosi sul mio letto e poggiandomi una mano sulla spalla, quella che fino a poco fa era stata sfiorata da lui…


-nulla, Juliàn lasciami in pace! -


Gli risposi in malo modo. Quel ragazzo non aveva nessuna colpa, ma avrei risposto male anche all’Inquisitrice in quel momento…


-scusa, non volevo essere insolente… -

Almeno con Juliàn dovevo essere gentile, dopotutto, in tutti quegli anni non s’era mai comportato male con me.
-scusami Juliàn, è che… non è giornata… -
 -non preoccuparti, l’avevo capito, ma è proprio in questi momenti che si ha più bisogno di avere qualcuno accanto. –
Il bel francese, a mia grande sorpresa, si stese accanto a me. Io mi girai e lo sorpresi a pochi centimetri dal mio viso, con un sorriso rassicurante sul volto. Mi avvolse in un abbraccio silenzioso e mi asciugò le ultime lacrime rimaste sulle guance. Poi, con una voce che a me parve di miele, mi sussurrò:
-per qualsiasi cosa io sarò sempre con te, Alec Lightwood –


Provai a sorridergli con disinvoltura, ma ero accaldato e imbarazzato per quel contatto improvviso.


-grazie Juliàn per non aver chiesto spiegazioni –
-ti capisco, sono affari tuoi e se mai vorrai raccontarmeli ne sarò felice, ma non mi permetterei mai di forzarti. –


Gli sorrisi. Quel ragazzo era davvero saggio… e maledettamente bello… e intelligente…e…
Basta! Stava così male per Magnus… e Juliàn era capitato lì come una meteora, un’ancora di salvezza…  Mi stava capendo quando nessuno avrebbe mai provato a capirmi… tranne forse Ann.


-Scusami Juliàn, adesso credo che andrò a fare un giro… -
-oh, certamente, ti accompagno fino in sala comune, vado a salutare un po’di vecchi amici-
-okay-


Mi diede un leggero bacio sulla punta del naso, il che mi fece arrossire ancora di più, poi si alzò e sorrise quando mi vide tutto rosso. Cercai di scacciare ancora una volta l’imbarazzo e mi alzai. Mentre Juliàn era in bagno, presi dal baule una spada angelica e alcuni coltelli con la lama in argento, la sicurezza non era mai troppa, la bacchetta e il mantello nero. Mi misi un paio di stivali, un maglione e dei pantaloni di pelle dello stesso colore del mantello e mi tracciai sulle braccia alcune rune di velocità. Poi uscii dal dormitorio con Juliàn, che lasciai in sala comune. Appena fui fuori, mi nascosi in una rientranza e con lo stilo mi tracciai delle rune di disillusione, in modo che nessuno mi vedesse. Corsi fuori dal castello, verso il lago, davanti a me solo la foresta. Appena fui fuori dalla visuale, mi tolsi il cappuccio del mantello e rallentai il passo. Sapevo d’essere invisibile agli occhi della maggior parte degli studenti, ma Isabelle, Clary e Jace potevano sempre vedermi. Meglio non farsi riconoscere. Camminai costeggiando il limitare della foresta, spinto da una forza misteriosa ad andare sempre più avanti. Inconsapevolmente varcai il limitare della foresta, ritrovandomi circondato da alberi secolari e maestosi. Camminai in cerca di tutto e di niente come un magnete attratto da un polo opposto.





“Mi dispiace Magnus” quelle parole risuonavano nella mia mente, quasi fossero amplificate. Mi trovavo nelle mie stanze, sdraiato sul lussuoso letto a baldacchino. Decisamente troppo largo per dormirci da solo. Quando vidi Alec alla stazione, in un primo momento ne fui intimorito. Mi domandai un sacco di cose senza senso… poi mi convinsi del fatto che eravamo innamorati, e nulla o quasi sarebbe cambiato. Sarei stato solo un suo professore dopotutto…

Avevo intenzione di andarci piano con lui, sapeva che volevo solo il suo amore, di nient’altro mi sarebbe importato. Avrebbe dettato lui i tempi e le regole, ero solo uno strumento nelle sue mani, sarei morto per quel Nephilim. L’avrei amato come meritava, l’avrei fatto sentire a casa come nessuno l’aveva mai fatto sentire. Ma m’aveva rinnegato. Lo capivo, non voleva passar guai anche se sentivo che mi avrebbe abbracciato volentieri in quel momento e chissà che altro mi avrebbe fatto. Erano due settimane che non lo vedevo, e già ero terrorizzato di dimenticarmi i lineamenti del suo viso, il suono della sua voce… Anch’io avevo paura, ma ero certo che insieme ce l’avremmo fatta. Per lui avrei rinunciato anche alla cattedra.
Ero perso fra i miei pensieri, sapevo che la tristezza mi stava trascinando nel suo mondo, ma appena in tempo qualcuno bussò alla mia porta. Mi ridestai e mi sistemai i capelli davanti allo specchio, grazie al Cielo ero ancora presentabile. Camminai lento fino al portone di legno intagliato.


-chi è? –
Chiesi cercando di domare il tono della mia voce un po’traballante. Era di certo il preside, o qualche insegnante che voleva fare le presentazioni.


-MAGNUS, FAMMI ENTRARE IMMEDIATAMENTE!!!!–


Isabelle? che ci faceva qui lei? Di certo voleva spiegazioni su quello che era successo al banchetto poco fa. E non sembrava essere affatto dell’umore giusto…


-entra pure, è aperto. –


Isabelle indossava una maglietta scollatissima color verde smeraldo e un paio di leggings neri super attillati.
Più che aperto, aveva sfondato la porta. Era entrata come una furia verde di rabbia. Se non fossi stato un insegnante, di certo mi avrebbe già lanciato uno stupeficium e qualcuno dei suoi coltelli.


-COSA HAI FATTO AD ALEC?! –
-io?! NIENTE! Ho solo cercato di parlargli, di sistemare la situazione, ma non mi ha dato retta. Poi se n’è andato. Credo in sala comune. –
-BEH, SI DÀ IL CASO CHE IO SIA APPENA PASSATA PER LA SALA COMUNE CORVONERO, E L’ULTIMA VOLTA CHE L’HANNO VISTO È STATO APPENA DOPO IL BANCHETTO. E STAVA USCENDO. TI GIURO CHE… CHE… NON ESITERÒ A FARTI MALE SE GLI È SUCCESSO QUALCOSA DI BRUTTO! -


Non ho sentito una sola parola dopo “stava uscendo”. Dove cavolo s’era cacciato quell’irresponsabile? C’era anche la luna piena… i lupi mannari…

-Isabelle, Alec l’ho visto l’ultima volta quando ho tentato di parlargli. Prima del banchetto. Sarà andato da qualche parte… -
-Alec mi dice sempre dove va. Ho incontrato per caso un suo compagno di stanza, Juliàn, mi ha detto che aveva intenzione di fare una passeggiata… ma non ha specificato dove. –
Mi ridestai da quel torpore e tirai fuori di tasca la bacchetta, presi il mantello e mi dirisi verso la porta seguito da Isabelle.

-Isabelle ha qui delle armi? –
-ehm… ho alcuni coltelli, la bacchetta, lo stilo e la Stregaluce… mi servirebbe qualcosa contro i lupi mannari ma è tutto in dormitorio… -
-e che ci fai ancora qui?! Svelta, corri nei sotterranei e prendi tutto l’arsenale possibile. Ti aspetto fuori in riva al lago. –

Isabelle mi precedette e uscì di corsa diretta al suo dormitorio. Io mi misi in fretta e furia il mantello e uscii dalla stanza chiudendomi la porta alle spalle. Con passo deciso mi avviai verso l’uscita della sala d’ingresso. Appena fui fuori iniziai a correre. Affinai i miei sensi il più possibile ma non ero un Cacciatore…
Così mi limitai ad aspettare Isabelle sulla riva del lago, impaziente, e la rimproverai quando vidi che si era cambiata.

-ti sembrava l’abbigliamento adatto per andare a caccia di lupi mannari?! –
-se mio fratello stesse rischiando di morire, non me ne sarei preoccupato più di tanto! E cerca di trattarmi con più rispetto signorina! Sono pur sempre il tuo insegnante adesso! –
-COS… –
Non la feci finire di parlare
-senti, adesso muoviamoci, l’amore della mia vita rischia di farsi sbranare il sedere da un branco di lupi mannari affamati, quindi muoviti! -

Corremmo verso la foresta ove speravo di incontrarlo. Il sole era già calato e la luna splendeva in tutta la sua inquietante maestosità. Stupido ragazzo… se s’era cacciato nei guai solo per dimenticarsi di me gliele avrei dette… ci avrei pensato io ad ucciderlo se i lupi mannari non fossero stati sufficienti…






ANGOLO DELL’AUTORE:


Ciao ragazze e ragazzi! Scusateci per questo aborto che abbiamo scritto, siamo consapevoli che cose scritte così male siano illegali.


MAGNUS: certo che potevi risparmiarmi una retata nella Foresta Proibita di notte, con la luna piena! Così mi rovino l’acconciatura!
ALEC: non pensare all’acconciatura, pensa piuttosto a salvarmi il sedere, sennò non potrai più ammirarlo.
MAGNUS: c-cosa?!
ALEC: credevi che non me ne sarei accorto? Quest’estate a Central Park non facevi altro!
MAGNUS: MA NON È ASSOLUTAMENTE VERO!
ELISA: SMETTETELA VOI DUE!
MAGNUS/ALEC: NON PUOI DARCI ORDINI!
ANNA: se non ci ascoltate, saremo costrette a cancellarvi… dopotutto siete solo un ammasso di bit e tra l’altro occupate un sacco di memoria!
ELISA: finalmente il tuo lato Serpeverde sta venendo allo scoperto!
ANNA: sta zitta schifosa Grifondoro! Stupeficium!
ELISA: Protego!
ISABELLE: SMETTETELA TUTTI E QUATTRO SENNÒ VI FACCIO FUORI CON LA MIA FRUSTA!
CLARY: JACE!!! AIUTO!!! IZZY VUOLE UCCIDERE ALEC, MAGNUS E DUE STRANE TIZIE DALL’ARIA NON TROPPO NORMALE…
JACE: e lasciali fare! Stò guardando una partita dei Cannoni di Chudley!
ELISA/ALEC/ANNA/MAGNUS: okay, okay, la smettiamo!


Bene!!! Adesso sapete che siamo una Grifondoro ed una Serpeverde e, chissà per quale assurdo caso, io ho ancora entrambe le braccia!!
*Si allontana da Anna, per evitare che provi a morderla*
Beh, ragazzi, buona lettura e al prossimo capitolo!!!!!!!!


Elisa ed Anna

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Capitolo 4
*** Pomeriggi in biblioteca ***


~~CALL IT MAGIC

“Ci sono carceri peggiori delle parole”
-Carlos Ruiz Zafón, L’ombra del vento


Dopo la sera dei lupi mannari non vidi più Magnus né gli parlai. Non ne avevo nessuna intenzione. Mi sentivo male, solo, perso in un mondo che non m’apparteneva più. Avrei voluto correre da lui e dirgli quanto lo amavo, ma sugellai un patto con me stesso il primo giorno di scuola: non avrei permesso ai miei sentimenti di rovinargli la vita. Quel pomeriggio, mi recai in biblioteca per la ricerca di Pozioni ed incontrai Jace.
-hey ciao! –
Il Grifondoro mi si avvicinò, Clary che gli scorrazzava dietro come un cagnolino.
-ho saputo della tua… passeggiata nella Foresta Proibita… -
-Izzy? –
-Izzy e… Magnus. –
-TE NE HA PARLATO LUI?! –
-NO! Assolutamente! È stata Izzy! Ma, visti i vostri precedenti… C’è ancora qualcosa fra voi due? –
- no. Non c’è più nulla… -
-beh, in fondo è meglio così non credi? Pensa che casino sarebbe saltato fuori dopo che la vostra relazione sarebbe diventata pubblica! –
-Jace! Evita di urlare! Sono cose private che riguardano solo Magnus e Alec! –
-si, scusa Clary –
Le scompigliò i capelli disordinati e le diede un leggero bacio sulla fronte. Lei arrossì. Divenne quasi del colore dei suoi capelli.
-Lo so, è proprio per questo che ho deciso di… lasciar perdere… -
Cercai di mantenere il mio umore di sempre, ma la mia voce si abbassò di un tono appena pronuncia la parola “perdere”. Cosa voleva dire poi? Si perdono i documenti, le cartoline, i portachiavi e le matite, non le persone! Odiavo l’idea di perderlo definitivamente come un vecchio giocattolo senza importanza e il mio cervello stava diventando una minestra a forza di pensare tanto.
-okay ragazzi, io me ne vado. Fra poco abbiamo gli allenamenti di Quidditch! A più tardi Alec. Ah, Clary, ricordati di finire il mio bellissimo autoritratto! –
- si certo Jace, appena l’ho concluso farò in modo di fartelo avere –
-perché? Non puoi portarmelo direttamente tu, venerdì sera, nel mio dormitorio? –
-preferirei di no Jace, vorrei evitare… certi incidenti… -
Jace sbuffò rumorosamente e si spostò una ciocca bionda che gli era ricaduta sugli occhi.
-perché voi artisti avete quest’idea idilliaca dell’amore romantico? –
La bibliotecaria, che già ci aveva squadrato un paio di volte, ci fulminò con i suoi occhi acquosi, quasi si potessero sciogliere da un momento all’altro, lasciando il suo volto rugoso con solo due orbite nere e vuote.
-va bene, me ne vado! Tolgo il disturbo! Ciao ragazzi! –
Il ragazzo si allontanò con la sacca del Quidditch su una spalla e l’aria distratta.
-perché ci hai mentito? –
Chi aveva parlato? Non stavo da solo? Mi girai e vidi che la voce apparteneva a Clary: mi scrutava tenendo le braccia conserte.
-a cosa ti riferisci scusa? –
-oh, Alexander, lo sai bene a che mi riferisco. Tu Magnus non l’hai dimenticato, e mai lo farai. Ho visto come vi cercate con lo sguardo a cena: sembra che non possiate respirare l’uno senza l’altro! –
-ma… non è assolutamente vero! –
Come aveva fatto quella ragazza, che a malapena mi conosceva, a capirlo?
-va bene, continua a negare l’evidenza, ma sappi che farai solo male a te. –
-si vede così tanto? –
-cosa? Che il tuo polo magnetico è il professor Bane? Abbastanza… lo guardi come io guardo Jace…
Alec, non preoccuparti troppo, io l’ho notato perché conosco tutta la storia, o la maggior parte. Le comparse non sono tenute in grande considerazione in uno spettacolo. –
Non sapevo che dire, forse Clary non era più così sciocca da andare a caccia di demoni senza una spada angelica…
-non so che dire Clary, grazie… -
-di nulla Alec, per qualsiasi cosa conta pure su di me! Adesso scusami, devo tornare in sala comune a studiare con Simon. A stasera! –
Tassorosso, prima aiutano gli altri poi pensano a sé stessi… e tutti che li considerano un branco di imbranati!
-si… a presto Clary… -
Cercai il mio tavolo preferito, quello vicino alla finestra dietro gli scafali dedicati a Difesa Contro le Arti Oscure, e mi immersi nella lettura. Dopo circa mezz’ora, sentii la presenza di qualcuno:
-posso sedermi? –
Alzai lo sguardo e vidi che era Juliàn.
-certo Juliàn! Non farti problemi! Sei qui per Pozioni? –
-teoricamente si, praticamente leggo un libro che fingo sia Pozioni. –
-cosa leggi? –
-è un libro di un autore spagnolo, s’intitola L’ombra del vento. –
-è bello? –
-diciamo che quest’uomo è molto particolare, le sue storie sono singolari, ed esalta molto i sentimenti. Riesce ad incastrare il mondo reale e quello immaginario rendendoli una cosa sola, qualcosa di magnifico. Ti fa tornare bambino e credo che ognuno di noi abbia bisogno di rivivere la propria infanzia anche solo per qualche ora, per dimenticarsi un attimo dall’uragano che è la nostra vita. L’ho già letto cinque volte sai? Parla di una storia d’amore impossibile e di un uomo deciso a bruciare i libri di uno scrittore dal macabro passato. Parla di intrighi ed omicidi vissuti in una Barcellona del Dopoguerra. –
-sembra interessante… -
-lo è eccome! Fidati, non potrai più farne a meno! –
Sorrisi a quel ragazzo a cui si illuminavano gli occhi per una cosa così comune come un libro:
-mi hai convinto, lo leggerò! –
-tienilo pure, te lo presto –
-davvero? –
-certo, basta che me lo riporti intero: è il mio libro preferito! –
-non preoccuparti, lo tratterò bene! –
Misi il volume nella cartella e la chiusi.
-hai voglia di studiare con me Pozioni? Se ti serve una mano ti aiuto volentieri! –
Passammo le due ore seguenti studiando strani ingredienti e nomi impronunciabili poi, all’ora di chiusura, uscimmo dalla biblioteca con il sorriso sulle labbra e la mente un po’ più piena.
-vado a fare una passeggiata al lago, ti va? –
-scusami Juliàn, facciamo un altro pomeriggio, devo fare una cosa –
-va bene, ci vediamo dopo in dormitorio! –
Corsi su per le scale in tutta fretta, sfruttando passaggi segreti e scorciatoie: ero felice e nulla avrebbe potuto intaccare il mio umore. Sembrava che i giorni precedenti non fossero mai esistiti, che le sere affogate nel pianto e nel sangue s’erano finalmente concluse, che l’avevo superato quel breve ma brutto momento… e invece no. Appena mi chiusi alle spalle la porta della stanza che condividevo con Juliàn, il mondo mi cadde di nuovo addosso. Corsi in bagno e vomitai tutti i lividi della mia anima, cercai di mandarli via tirando lo sciacquone, ma capii che sarebbero tornati di nuovo. Magari il dolore si celava nel sangue, così provai a depurarlo, ma i tagli sui polsi coprivano solo per poco la pena che mi annebbiava il cuore. Così, come ogni altra sera, mi rassegnai al fatto che avrei vissuto un’altra notte insonne e uscii dal bagno con il volto cinereo e un grande maglione sformato. Mi rintanai sotto il calore fugace delle coperte e mi chiesi ancora una volta cosa avevo fatto, e mi ripetei che ero uno stupido e che nella vita non avrei mai combinato niente. Ero destinato a sgozzare demoni fino all’ultimo dei miei giorni. Avevo deluso i miei genitori rivelando quello che ero. E mi sentivo perso. Qualcuno mi avrebbe mai salvato?




-STUPIDE VERIFICHE! –
Avevo la scrivania stracolma di compiti e documenti: ma chi me l’aveva fatto fare? Ah, vero, non potevo assolutamente perdermi le vetrine della Londra modaiola! Quanto mai non m’ero semplicemente preso una vacanza…
Firmai anche l’ultima scartoffia e mi distesi letteralmente sulla scrivania. Ora capivo i miei studenti quando si comportavano a quel modo. Sprecavano tutte le loro energie per amare ed innamorarsi e, se era difficile ascoltare una lezione con le farfalle nello stomaco, correggere un centinaio di verifiche era un’impresa titanica. Soprattutto se, fra domande su come rendere innocuo un molliccio o neutralizzare un kelpie, la voce di Alec riaffiorava dall’anticamera del mio cervello pronta a perseguitarmi.
-miseriaccia! –
Chiesi ad un elfo domestico di portarmi un thè con zucchero e pasticcini, quando alla porta qualcuno bussò.
-prego, è aperto! –
Una massa di capelli scuri e vaporosi fece capolino da dietro la porta.
-buonasera professor Bane, sono Annabelle Price di Corvonero –
-oh, so benissimo chi sei carissima, prego accomodati pure! –
Feci comparire una poltrona morbida e soffice. La ragazza, evidentemente molto maldestra, era inciampata almeno un paio di volte nei risvolti dei tappeti, e continuava a scusarsi senza sosta. Iniziai a capire perché era la migliore amica di Alec.
-mi scusi per l’intrusione professore, so che è molto impegnato per via delle verifiche e prometto che farò presto –
-non mi disturba affatto signorina Price anzi, mi sto pentendo di avervi assegnato così tanti compiti! –
Lei rise intimidita e le sue guance divennero rosee per l’imbarazzo.
-okay, devo riferirle che ho notato qualcosa di strano in questi giorni… -
-riguarda lei signorina? Qualcuno la importuna? –
-oh no, affatto, niente di questo genere. Riguarda un mio caro amico, Alexander Lightwood. –
Il mio cuore perse un battito a sentire il suo nome.
-gli è successo qualcosa? –
Dissi improvvisamente rigido.
-no, nulla di potenzialmente mortale, per ora… diciamo che il problema è stato scatenato da un avvenimento emotivamente forte. –
-sia più precisa signorina –
-professore, io sono la migliore amica che Alec abbia mai avuto qui ad Hogwarts dopo Jace, e l’ho visto crollare più volte sotto il peso di sé stesso. L’ho visto invecchiare di giorno in giorno e tornare alla vita in meno di una settimana. Lei sa perfettamente a cosa mi riferisco signor Bane. –
Era vero, lo sapevo. Sapevo di quanto Alec fosse fragile, sapevo quanto era sensibile. Ed io l’avevo fatto stare peggio. Per pura codardia.
-si, ne sono informato… -
-con il dovuto rispetto signore, lei è più che informato. Lei è uno dei protagonisti di questo spettacolo e stà recitando malissimo la sua parte! Io non voglio perdere Alec un’altra volta… ho già rischiato di perderlo tre anni fa. Non gli permetta di cadere nella sua stessa trappola. –
La ragazza si alzò e se ne andò veloce e impettita come era entrata. Quelle parole mi fecero aprire gli occhi. Dovevo fare qualcosa, dovevo salvarlo, a qualsiasi costo.





ANGOLO DELL’AUTORE:
Ciao a tutti! Questo capitolo è uscito di merda… però sorvoliamo dai! Lo sappiamo, siamo super veloci con la pubblicazione, ma la verità è che non abbiamo nessuna voglia di studiare e ci limitiamo a passare le giornate tra scuola, amici, libri e la fanfiction! Ahahahahaah! Sappiate che più ci avvicineremo all’inverno più la scuola ingloberà tutto il nostro tempo libero e quindi le pubblicazioni saranno meno frequenti… la citazione è presa come già detto da un capolavoro: l'ombra del vento è uno dei romanzi preferiti di Elisa e ve lo consigliamo vivamente!!! Sia per la storia, sia per lo scrittore nel senso che consideriamo quest'uomo un genio. Se qualcuno l'ha letto, ci dica che cosa ne pensia!! Abbiamo deciso di inserire proprio una citazione di questo libro perchè uno dei personaggi si chiama Juliàn ed è da lì che abbiamo preso il nome per il nostro. Detto questo, speriamo vi piaccia anche il quinto capitolo!
Elisa ed Anna

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Capitolo 5
*** Mai infrangere le regole ***


~~CALL IT MAGIC
Stavo seguendo un sentiero da circa dieci minuti quando m’imbattei in un piccolo specchio d’acqua. In antichità l’area dove ora sorge il castello era paludosa, capita di trovare piccole depressioni o stagni nei pressi del lago nero o della foresta, per la maggior parte ancora inesplorata. Ne approfittai per ridestarmi un attimo e tracciare qualche runa un po’più potente: a dire la verità speravo di imbattermi in qualche creatura, di certo alcuni graffi avrebbe fatto meno male dei coltelli che trafiggevano il mio muscolo cardiaco. Il Sole stava cedendo il passo alla Luna, sua rivale sin dalla creazione dell’universo. Quei due si rincorrevano da millenni, eppure il Sole non s’era mai stancato della Luna, né la Luna s’era stancata del Sole. Si trovavano sempre alla stessa distanza, due valori direttamente proporzionali. Non s’erano mai parlati, eppure tutte le notti il Sole la sognava, tutti i dì lei lo immaginava avvolta nella sua tenebra perenne. S’attendevano e s’aspettavano, sperando nella pietà del Destino che non aveva concesso loro di vivere quel sentimento. Così, stanchi di attendere, avevano finito per odiarsi. Da amore nasce odio, la differenza fra i due è molto più sottile di quanto si voglia credere. La Luna piena vegliava gli abitanti della Terra, suo nuovo frivolo amore. Per questo odiava il Sole, anch’egli s’era infatuato della Terra: stanco di corteggiare l’unica di cui davvero era innamorato, s’era accontentato di un sentimento leggero e di poca importanza, mascherandolo per qualcosa di immenso ed incondizionato. Tutti nel Cielo parlavano dell’amore impossibile tra Sole e Luna, mormoravano della Terra, a detta di tutti una grande puttana.
Sorrisi. Perché ogni cosa mi ricordava il volto di Magnus? Sebbene la Luna fosse molto bella, non era niente in confronto a lui… nessuno brillava quanto il Sole, tranne Magnus Bane. Ovunque andasse, tutti soffermavano lo sguardo su di lui. Se lui era Sole e Luna, allora io chi ero? I miei pensieri vennero interrotti da un leggero fruscio di foglie. Non tutti l’avrebbero sentito, ma le mie orecchie erano addestrate a percepire anche il più minimo dei rumori, i miei muscoli a scattare come molle, la mia testa ad analizzare le situazioni ed a sfruttarle a mio vantaggio. Ero una macchina da guerra. Ero stato cresciuto come tale. Balzai in piedi, nella mano sinistra la bacchetta, nella destra il coltello con la lama d’argento. Sapevo chi mi scrutava nell’oscurità, ed ero pronto a fronteggiarlo. Innalzai attorno a me un incantesimo protettivo non verbale, insegnatomi l’anno scorso da Jace che era abile in incantesimi. Io me la cavavo in tutto quello in cui lui non riusciva, Difesa Contro le Arti Oscure era la mia specialità.
Da un cespuglio balzò fuori un grosso lupo fulvo con le zanne in bella vista. Produceva un ringhio basso e continuo. Gli occhi gialli fendevano la notte, alla ricerca di un qualsiasi mio punto debole, senza trovarlo. L’unica cosa che l’aveva attirato era la mia carne e la fame è la cosa di più simile alla pazzia che si possa provare. Per questo, ben sapendo di non trovarsi contro una preda facile, il lupo attaccò. Fece un lungo balzo, puntando alla mia gola, ma io fui più veloce e gli recisi la giugulare. Era morto ancor prima che toccasse terra. Altri cinque lupi, due neri, uno bruno e due grigi uscirono dalla boscaglia. Le loro ringhia erano l’unico suono udibile, almeno per le mie orecchie. Dietro di loro, spuntò qualcos’altro. Ma erano troppo piccoli per essere lupi, avevano una postura eretta e sembravano… Magnus ed Isabelle.


Io ed Isabelle avevamo deciso di addentrarci nella foresta e, nemmeno dieci minuti più tardi, sentimmo il rumore inconfondibile di una spada sguainata e di un corpo che sbatteva violentemente a terra.
-ALEC! -
Gridai. Ed il terrore ebbe la meglio sul buonsenso. Iniziai a correre come un dannato verso la fonte del rumore, nella mia mente immagini raccapriccianti prendevano forma: il bel corpo di Alec dilaniato dalle fauci di un lupo mannaro, nero come un ombra, che sfigurava quel viso idilliaco che popolava i miei sogni torturando il mio cuore senza alcuna pietà. Sbucai in una radura appena due minuti più tardi, deciso ad uccidere chiunque mi separasse da lui. Isabelle era passata in secondo piano, volevo solo rivedere il suo sorriso. Davanti a me, cinque lupi dall’aria minacciosa puntavano al MIO Alec. Senza nemmeno pensarci ne schiantai due, ma i più minacciosi erano ancora in piedi. Quello nero, che somigliava molto al lupo della mia immaginazione, era il più grosso e feroce: la bava gli colava dalla bocca, adorna di due file di denti ben affilati e letali, creati per uccidere e dilaniare la carne. Isabelle si stava occupando del lupo grigio, mentre Alec dell’altro cane nero. Il lupo nero era deciso ad assaporare il sapore del sangue di Alec, gli occhi gialli fissi sulla sua gola candida. Mi buttai sulla belva, circondandogli il collo con le braccia. Il coltello che Isabelle mi aveva affidato prima di introdurci nella foresta era agganciato alla caviglia, troppo lontano per essere preso. Avrei dovuto usare la magia. Con grande fatica, mentre il lupo tentava di staccarmi una mano, riuscì a puntare la bacchetta. Ma lui fu più veloce: mi disarcionò come un pupazzo dal suo dorso, e si scagliò dritto su di me deciso a sbrandellarmi senza pietà, come il gatto con il topo. La bacchetta l’avevo persa nella caduta, distava da me un paio di metri, ma la belva già mi correva incontro.
Alec… non lo vedevo… era fuori dalla mia visuale. Il lupo nero più piccolo giaceva a terra apparentemente incapacitato a muoversi. Ma del mio angelo nessuna traccia… era rimasto ferito? Presi in fretta il coltello dalla fondina deciso a tagliargli la gola a quel bastardo. Se era successo qualcosa ad Alec… il lupo era ormai a poco meno di un metri da me, le zampe anteriori s’erano staccate dal terreno… la mascella contratta ad esporre ogni dente giallognolo lungo quanto un mignolo. Il coltello tremava nelle mie mani inesperte… chiusi gli occhi, sapevo che non avevo alcuna possibilità. Ma il lupo non mi schiacciò mai con il suo peso. Alec gli era saltato addosso di lato e gli aveva reciso lo stomaco con un unico, profondo colpo all’addome. Quando si rialzò era coperto di sangue. La guancia destra colorata di scarlatto. Mi ricordai di un rituale africano a cui avevo assistito molti anni fa. Adornarsi con denti e dipingersi il volto con sangue di animale o maschere era un rituale propiziatorio molti diffuso. Mi guardai attorno: Isabelle era illesa, scrutava il bosco coprendo le spalle a me e ad Alec. Lui si avvicinò a me e si inginocchiò. Il peggio era passato.
-tutto a posto? –
Mi chiese con una voce apparentemente fredda, ma che celava tutta la tensione e la preoccupazione di cui un essere umano poteva disporre. Avrei voluto dirgli come mi sentivo, fargli sapere che piuttosto di vivere senza di lui mi sarei fatto divorare le interiora da quel cane troppo cresciuto, ma mi trattenni.
-si, credo di sì. –
Mi rialzai a fatica, la testa e il braccio doloranti. Alec mi afferrò il polso con impeto, quasi vorace.
-sei ferito-
Disse indicando il mio braccio. Avevo un profondo taglio sull’avambraccio, che sanguinava copiosamente.
-non è nulla di grave, non preoccupart...-
-dammi qua, faccio io. Flagramus! –
Delle bende comparvero e mi fasciarono la ferita.
-per ora non posso fare di più, ma dopo sarà meglio passare dall’infermeria… -
-aspetta Alec, avvicinati –
Gli tesi la mano verso la fronte, ove un brutto taglio la sfigurava.
-vieni qui –
Dissi protettivo e lo medicai con lo stesso incantesimo. Poi gli misi il cappuccio del mantello in modo che non si notasse la fasciatura. Lui barcollava un po’per il trauma subito e per il sangue perso, il che mi fece allarmare ancor di più. Senza dire niente gli feci avvolgere un braccio attorno alle mie spalle, in modo da sorreggerlo.
-Ho interrotto qualcosa? –
Isabelle Lightwood ci fissava a braccia conserte scandendo lo scorrere lento del tempo battendo a terra il piede e con un sorrisino finto ma apparentemente innocente stampato sul volto. La frusta in una mano, in apparenza inoffensiva ora che non era impegnata a strangolare un lupo mannaro. Io mi limitai a fulminarla con lo sguardo, ma Alec non si trattenne.
-Vai al diavolo Izzy –
Lei fece una faccia indignata, voltandosi verso il sentiero da cui eravamo arrivati facendo fluttuare i suoi capelli lunghissimi domati da una coda alta.
-scusate se non ho nessuna intenzione di giocare un altro round contro qualche altra bestia potenzialmente letale! –
Non l’ascoltammo e uscimmo velocemente dalla foresta percorrendo la stradina affiancata al lago in pochi minuti.
Arrivati ai piedi del castello, Alec si reggeva in piedi da solo e così ne approfittai per spingere il grosso portone d’ingresso della scuola, sperando di trovarla deserta. Ma la sfortuna sembrava decisa a perseguitarci. Feci entrare i due ragazzi, i cui postumi della battaglia stavano scomparendo in fretta. Merito del loro sangue da Cacciatori.
-COSA CI FACEVATE VOI DUE FUORI DALLE MURA DAL CASTELLO A QUEST’ORA?! –
La voce di un vecchio, vecchissimo Gazza rimbombò fra le spesse pareti del castello, infuriata come mai.
-noi… -
Biascicarono i due ragazzi, colti con le mani nel sacco. In quel momento entrai con un sorriso mesto che mi incorniciava il viso.
-oh, buonasera signor Gazza! Vedo che sta già egregiamente esercitando il suo nobile compito all’interno di questa scuola! Ma in questo caso i suoi servigi non sono necessari signore. –
-ma… gli studenti hanno violato il coprifuoco! –
-si dà il caso che i suddetti studenti siano entrambi Caposcuola, più che degni di fiducia. Stavo chiarendo con loro alcune questioni personali riguardo al corso che quest’anno terrò, Difesa Contro le Arti Oscure come be saprà. Abbiamo solamente preso una boccata d’aria e siamo rimasti seduti tutto il tempo sui gradini dell’entrata. Anche in presenza di un’insegnante è contro il regolamento? –
-ma io avevo chiuso il portone a chiave! –
-beh, non sarei insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure se non fossi in grado di utilizzare un incantesimo che viene imparato al primo anno di studi. Ed ora, con permesso, vorrei concludere la serata facendo un rilassante bagno caldo e sono già terribilmente in ritardo sulla tabella di marcia! Buona serata mastro Gazza. –
Fu così che mi diressi verso le mie stanze, seguito dallo sguardo sospettoso di Gazza, accomiatandomi da Isabelle appena fummo fuori dal campo visivo. Alec non aveva più aperto bocca da quando avevamo lasciato la foresta.
-signor Lightwood, la prego di seguirmi nel mio ufficio per parlare di quello che è successo nella foresta. –
-ma… Magnus… -
-non mi chiami per nome signorino! Lei è un mio studente, della mia Casata tra l’altro, e come tale deve essere trattato. Quindi non esigo alcun genere di scusa. Nel mio ufficio, immediatamente! –
Alec chinò il capo, demoralizzato. Mi faceva male vederlo così, ma era stato lui a volerlo. Lui ha voluto rispettare le regole, non i sentimenti... sto mettendo in pratica quello che lui mi ha chiesto.

Non era possibile. Voleva punirmi per qualcosa che lui stesso aveva provocato! Ma non ero stato proprio io a chiedergli di rispettare le regole? Nonostante questo, mi sentivo tradito. Non ero più speciale per lui, o forse lo ero, ma lui fingeva di essere completamente indifferente alla mia presenza. Lo seguii in silenzio fino al suo ufficio. Era un’ampia stanza circolare, tappezzata di colori. Tappeti esotici coprivano interamente il pavimento e un’ampia scrivania in mogano dominava il centro della stanza. In un angolo v’era una poltrona arancione dall’aspetto comodo e soffice ove riposava Il Presidente Meow, il gatto di Magnus. La parete dietro la scrivania era completamente nascosta da una libreria stracolma di strani oggetti e antichi libri.
Magnus Bane si sedette su una sedia con un alto schienale e imbottito: in quella stanza, contorniato da ciò che più rappresentava la sua personalità, Magnus sembrava un principe indiano. La pelle olivastra era un po’più pallida del solito, forse per la tensione di poco prima o per il clima più rigido rispetto alla Grande Mela. I capelli multicolori erano spettinati e imperlati di sudore. Ed era bello, bello e idilliaco.
-Signor Lightwood, prego si sieda -
Mi indicó una sedia di legno di fronte alla scrivania. Rimasi in silenzio e eseguii l’ordine.
-mi dica, cosa pensava di fare, da solo, nella foresta proibita, con la luna piena? La credevo più responsabile… -
-mi dispiace professore… non so che mi è preso. –
-Alexander Lightwood, alla sua età dovrebbe essere più responsabile delle sue azioni. Per questa volta, non dirò nulla, solo perché non ho voglia di rovinarmi il primo giorno di scuola. Ora, vai in dormitorio e non uscirci fino a domani mattina. Non verrò a pararti le chiappe un’altra volta.–
 Lo guardai sofferente: la sua indifferenza mi stava pugnalando il cuore e il mio corpo era scosso da forti tremiti. Gli augurai la buonanotte richiamando a me tutta la forza che in corpo m’era rimasta e uscii dall’ufficio. Fu lì, nell’eterno silenzio di quel corridoio vuoto, che caddi a terra. Iniziai a singhiozzare per la seconda volta nel giro di poche ore. Un lupo mannaro poteva dilaniarmi e farmi a pezzi lentamente, ma nulla era più crudele e devastante quanto quello che stavo provando. Mi trascinai fino in dormitorio. Prima di entrare cercai di nascondere il pianto isterico che m’aveva invaso un’altra volta. Fu in quel momento che notai la luce accesa: Juliàn.
Entrai senza bussare, consapevole di non disturbare nessuno. Juliàn era in piedi di fronte a me, che vegliava il mio ritorno. Appena entrai e chiusi la porta, lui si avvicinò e mi strinse fra le sue braccia protettive.
-Alec… sei distrutto… -
-ne sono consapevole purtroppo… credo di aver lasciato il mio cuore da qualche parte, in giro per il castello. –
-non preoccuparti, sono qui –
Rimanendo abbracciati ci sdraiammo sul mio letto, l’uno confortato dalle braccia dell’altro, alla disperata ricerca di un modo per riempire quel vuoto che aleggiava su entrambi. Quella notte fu memore di pianti e rancori.

 



ANGOLO DELL’AUTORE:

BUONASERA RAGAZZI!!! Siamo sempre noi due scassapluffe e non abbiamo nessuna intenzione di demordere!!!!
Questo capitolo, come tutti del resto, è dedicato a voi. In particolare a Marty060201, tini fray, GretaCrazyWriter, emily12_ e Trislot, che hanno recensito i nostri precedenti capitoli e ci seguono con costanza spronandoci a migliorare e ad impegnarci sempre di più per questo nuovo, piccolo, grande traguardo della nostra vita. Vi pensiamo sempre sperando di essere all’altezza delle vostre aspettative.
Un grazie va anche a tutti i lettori silenziosi che sebbene non lascino la loro impronta recensendo ci riempiono di gioia ed orgoglio.
GRAZIE DI CUORE!!!!

Elisa ed Anna

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Capitolo 6
*** Allenamenti e aeroplanini di carta ***


CALL IT MAGIC
 
 
-Allora ragazzi, qualcuno sa rispondermi? –
Chiese interrogativo il professor Bane.
-Eddai, non è difficile, tutti conoscono le procedure da seguire se ci si trova dinnanzi ad un dissennatore! –
Sorrisi. I miei compagni biascicarono solo alcune parole sull’invocare un Patronus, ma nessuno era in grado di dire cosa allevia la spossatezza e debolezza che si prova dopo che quelle creature ti rubano un pezzo di anima. Io sapevo tutto, ma non volevo partecipare troppo a quella lezione.
-bene, lasciamo perdere l’argomento di settimana scorsa. Passiamo a quello di questa settimana –
I ragazzi, tutti troppo impegnati a pensare a qualunque altra cosa fuorché ascoltare il professore, svolgevano le più svariate attività: c’era chi copiava i compiti delle ore successive, chi leggeva, chi inventava stupidi scherzi o piani inconcludenti per irrompere nel dormitorio delle ragazze, ma nessuno prestava il benché minimo interesse per il nuovo argomento, almeno non fin quando lo stregone non finì di scrivere alla lavagna.
-ebbene, nonostante le vostre ridotte capacità mentali, credo che siate più o meno tutti in grado di leggere: sarà un capitolo molto importante e impegnativo, che ci terrà occupati almeno fino alla metà di novembre. Chi ha mai sentito parlare dei demoni e vuole parlarmene? –
Dopo un paio di minuti di assoluto silenzio intervallati da aeroplanini di carta svolazzanti, Magnus fece scorrere l’indice perfettamente smaltato lungo l’elenco degli studenti.
-vediamo un po’ qui…. Lightwood Alexander, data la sua evidente indifferenza verso la mia lezione, ci illustri! Di certo saprà essere… esaustivo. –
Mi guardò come un leone guarda una gazzella, famelico e curioso. Mi immobilizzai, in preda al panico. “Chissà perché proprio me, poi” pensai mentre formulavo qualcosa di non troppo personale ma esclusivamente tecnico e poco interessante sull’argomento e contemporaneamente cercavo un modo per dissolvermi nell’aria o sprofondare sottoterra. Magari, schiacciando qualche bottone sotto al mio banco, sarei scivolato in un tunnel invisibile che mi avrebbe portato direttamente fuori da quell’aula, o chissà dove altro, invece era solo contrassegnato da un numero infinito di promesse d’amore eterno e amicizia incise sul legno vecchio e secco, completamente invaso dalle tarme, e qualche chewingum magico vecchio di decenni, ovviamente marchiato Mielandia. Dopo una veloce ma attenta analisi, mi rassegnai al fatto che quello era solo un normale banco scolastico.
-ehm, io… -
-so bene che è più che informato sull’argomento, signor Lightwood. Il preside mi ha parlato molto bene di lei. –
Avrei voluto essere colpito da un Anatema che Uccide in quel momento. Adesso sarei passato per il cocco del preside e del nuovo stravagante insegnante di Difesa tutto glitter e frivolezze, quando nella sua lista avrei voluto occupare un podio molto più alto che quello dello studente prediletto.
-beh, ecco… i demoni sono… sono creature provenienti da altre dimensioni e… e ne esistono di diversi tipi. Ognuno con le proprie caratteristiche e potenzialmente letale. –
Tutta la classe s’era girata a contemplare le mie guance che da color cenere stavano diventando scarlatte: tutti sapevano che io, Izzy, Jace e Clary eravamo Shadowhunters, o almeno era impossibile nascondere tutte le rune che ci ornavano il corpo, ma nessuno ci badava più di tanto ormai. Guardai di nuovo il professore sul cui viso era comparso un sorriso sornione, gli occhi gialli e felini scintillanti per la soddisfazione.
-molto bene Lightwood, speravo in qualcosa di più… completo, o quanto meno più tecnico, ma fondamentalmente è così. –
Arrossii ancora. Avrei potuto tenere dieci lezioni sui demoni: avrei saputo classificarli, elencarne gli effetti dei veleni e come riconoscere la specie da quelli, le migliori tecniche di uccisione … per non parlare delle armi e degli addestramenti più efficaci. Sarei stato mille volte meglio di lui in quell’ambito.
La campanella suonò un quarto d’ora dopo ed io raccolsi le mie cose in fretta e furia e uscii dall’aula. Odiavo essere visto come quello che ammazza i demoni anche in quella scuola, odiavo essere al centro dell’attenzione anche solo per un quarto di secondo e Magnus lo sapeva. Mi tirai giù ancora più violentemente le maniche del maglione, come a proteggere i brandelli di me stesso da un pericolo inesistente, dato che stavolta il demone non si trovava davanti a me, ma mi scorreva dentro come un parassita. Cosicché, di conseguenza, anch’io ero infetto.
-ALEC! ASPETTA! –
Mi girai. Ann cercava di raggiungermi sgomitando controcorrente tra la folla agitata e frettolosa e finalmente mi si parò davanti col fiatone.
-andiamo insieme fino alla serra di Erbologia? –
Le sorrisi; come si poteva non volerle bene? Insieme, due punti in mezzo alla folla, passammo il resto della giornata tra una lezione e l’altra, fra battute sullo strano aspetto dei professori e lamentele per i troppo compiti, come due studenti normali. Il pomeriggio tornammo in Sala Comune distrutti e ci buttammo su due poltrone dall’aspetto comodo e accogliente.
 -è stata dura oggi vero? –
-sì, ma siamo sopravvissuti! –
Dissi esultando trionfante.
-hai ragione… adesso vado a farmi una doccia: proprio oggi dovevamo fare il ripasso sulle Mandragole dico io?! –
Risi. Notai infatti che i suoi capelli erano più aggrovigliati del solito e i vestiti un po’sporchi di fango.
-tu come fai ad essere sempre impeccabile? Ma guardati! Sembri appena uscito dalla lavanderia! –
Disse imbronciata.
-beh, è più che ovvio: sono Alexander Lightwood! –
Lei si alzò e mi abbandonò con una linguaccia e i capelli in subbuglio. Appena scomparve nel corridoio del dormitorio femminile, mi alzai dalla poltrona e percorsi a grandi falcate la stanza semivuota, diretto al settimo piano. Quasi corsi per raggiungerlo! Arrivato, attraversai il corridoio fermandomi davanti ad una parte di parete spoglia di fronte all’arazzo di Barnaba il Babbeo e camminai avanti e indietro per tre volte. Quando un portone di pesante legno scuro comparì, sorrisi ed entrai assicurandomi la totale solitudine. Appena la porta si chiuse alle mie spalle e mi voltai a guardare, trovai un’ampia palestra col pavimento in parquet chiaro, un percorso ad ostacoli, un angolo dedicato al sollevamento pesi ed una postazione di tiro. Ma la cosa più sorprendente era la parete di fondo: era completamente occupata da archi e frecce di tutte le dimensioni e tipi, spade angeliche e coltelli, addirittura una decina di fruste tutte di diversa robustezza e lunghezza.
-questa piacerebbe ad Isabelle –
Pensai sfiorando il manico di una delle fruste interamente decorato con motivi floreali.
-ma questo è il mio santuario, almeno per stasera. –
Mi avvicinai alla zona dedicata agli archi e li esaminai attentamente: ne trovai uno adorno di diverse strisce blu che ricordavano l’oceano in tempesta. Partivano dalla base e si diramavano fino alla sommità in un gioco di sfumature e effetti ottici magnifici. Lo presi e lo esaminai più da vicino: oltre ad essere sorprendentemente bello esteticamente, era perfetto e preciso, rigido al punto giusto. Presi una faretra ed una ventina di frecce e con passo quasi solenne mi avvicinai alla zona di tiro e mi posizionai. Era come trovarsi in riva ad un lago, ed ero convinto che se avessi chiuso gli occhi avrei visto un immenso specchio d’acqua. Tesi l’arco, i muscoli vibranti e la mente concentrata. Eravamo solo noi, io e lui, il bersaglio che mi sfidava a centrarlo. Uno… due… tre… e la freccia partì. Sferzò l’aria e centrò l’obiettivo. Sorrisi soddisfatto e posai l’arma su una panca: basta divertimento, era tempo di allenarsi seriamente. Passai le due ore successive a sollevare pesi, correre, saltare ostacoli e fare addominali. Ero ad Hogwarts, ma rimanevo pur sempre un Nephilim e non potevo permettermi di rimanere fuori forma.
Finito l’allenamento, uscii accaldato e sudato dalla Stanza, pregando che non ci fosse nessuno al settimo piano. Ma non fu così.  Juliàn mi si parò davanti nel momento stesso in cui la porta scomparve alla vista.
-cosa ci facevi lì dentro? – chiese il francese.
-tu piuttosto, che ci fai qui? – domandai sulla difensiva.
-sei adorabile quando tenti di nascondermi qualcosa. –
Involontariamente arrossii ancora di più, ma sperai che il rossore venisse associato al fatto che avevo corso parecchio.
-non preoccuparti Alec, so che eri lì dentro per allenarti. –
-come facevi a saperlo? –
-beh, sei un Nephilim, mi sembra più che ovvio no? –
-giusto. –
-mi spiace… non volevo allarmarti in qualche modo. –
Si avvicinò a me prendendomi la mano: la sua era gelida, come se fosse appena stato sommerso da una valanga e mi spinse verso la parete. In poco meno di un secondo mi ritrovai imprigionato fra il suo corpo e il muro e quella situazione d’impotenza mi faceva sentire a disagio, impreparato.
-non farei mai qualcosa che possa turbarti. –
Sibilò al mio orecchio debolmente.
-io… - tentai di continuare a parlare, a dire qualsiasi cosa, ma lui mi zittì.
-Alexander, se devo fermarmi, dimmelo adesso o taci per sempre. –
Fu qualcosa di veloce e inaspettato, come un fulmine a ciel sereno, quando Juliàn mi baciò. Era un bacio vorace, quasi violento, famelico… e maledettamente sbagliato. Mi irrigidii come una tavola di legno mentre lui fondeva le sue labbra con le mie. Era come se avesse un disperato bisogno d’aria che solo io potevo offrirgli. Quando si staccò rimasi ancora più impietrito di prima . Lui fece un sorriso che in altre circostanze sarebbe parso magnifico, ma in quel corridoio vuoto, umido e semibuio era stranamente inquietante. Era tutto un grosso errore, un madornale errore di calcolo. Come in un’espressione sommare prima i termini e dopo moltiplicarli. Andava contro logica. Uno scherzo del destino. Non era Juliàn che avrei voluto lì con me, anche se sarebbe stata la cosa piùgiusta per tutti, non erano le sue labbra che sognavo la notte nei momenti di tregua tra un incubo e l’altro, non volevo che le sue labbra scaldassero le mie. Il mio cuore non aveva ripreso a battere con quel gesto d’amore anzi, sembrava ancora più fermo e vuoto di prima.
-Juliàn –
mi sorpresi quando riuscii a parlare.
-non… non posso farlo! –
E scappai via. L’arco blu oceano che rimbalzava nella sacca semivuota allargata da un incantesimo di estensione irriconoscibile. Mi fiondai in dormitorio e poi subito in bagno evitando ogni sguardo in Sala Comune. Cosa era successo? Mi interrogai fissando il mio volto sbiadito allo specchio, una figura che non riconoscevo. Era solo un bacio, ma fu doloroso quanto un pugnale affondato lentamente nel petto. Sapevo di averlo ferito, ma non volevo mentire né a lui né a me stesso. Mi tolsi i vestiti freddi e intrisi di sudore. Ero distrutto. E l’allenamento non c’entrava niente.
 
 
Il corridoio era diventato improvvisamente gelido quando Alec se ne andò via correndo non dandomi nemmeno il tempo di scusarmi e spiegare il mio gesto. Ma cosa c’era da spiegare? Un altro brivido mi percorse la schiena: era come se la scuola fosse stata attaccata da un branco di Dissennatori.
Sapevo che Alec non mi avrebbe più parlato,mi avrebbe odiato fino all’ultimo dei suoi giorni. Ormai lo conoscevo meglio di me stesso. Lui serbava tutto il rancore nel cuore, per non ferire gli altri. Ed era questo che lo distruggeva. E involontariamente distruggeva anche me. Eppure, nonostante lui mi avrebbe odiato fino alla morte, io l’amavo. Continuavo a desiderarlo e mai avrei smesso.
Mossi i primi passi lentamente invocando la Stanza delle Necessità. Mi sdraiai sull’anonimo divano che era comparso al centro della sala, completamente tinteggiata di grigio e colori tenui e tristi, del tutto anonimi. Quando mi sdraiai mi sentii un po’ meglio: almeno la Stanza sembrava funzionare ancora correttamente in un mondo dove tutto sembrava andare al contrario. Avevo desiderato qualcosa che in quel momento mi facesse sentire meglio e il macigno che mi schiacciava il cuore si alleggerì di un poco: gli ingranaggi del mio cervello si misero in moto cercando un modo per alleviare quel supplizio senza fine apparente. L’amore era distruttivo, l’amore era possessione. E io amavo Alexander Lighwood e volevo fosse mio più di ogni altra cosa al mondo.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE:
Ciao ragazzi!!!! Scusate il ritardo, ma i compiti sono un inferno ed oltre alla scuola i miei genitori mi assillano e non mi lasciano in pace un attimo. Tra l’altro oggi ho preso 4 in matematica e non so come dirglielo (ormai sono passate due settimane dal 9 nel tema e non ho più una scusa!!!!!!! Mini trauma adolescenziale) ho voluto osare un po’ questa volta, spero sia valsa la pena rischiare. Anna, la beta, è in stand-by e non so quando (ne se) ritornerà. Aspetto un sacco di recensioni voglio sapere che ne pensate e criticate se necessario!!!!!
Elisa e Anna(fantasma)
 

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Capitolo 7
*** Promesse ***


~~CALL IT MAGIC
Quella mattina mi svegliai con lo stomaco in subbuglio. Era passato poco più di un mese dall’inizio della scuola, una settimana e mezza dal bacio con Juliàn, e già avevo preso due E. Una in incantesimi, l’altra in storia della magia. Il che, per me, equivaleva ad un miracolo. Avevo passato tutto il mio tempo libero studiando, cercando di tenere la mente, e me stesso, lontani da Magnus. Ogni sera mi chiudevo in bagno e il dolore tornava di giorno in giorno più forte del precedente. Io e Juliàn non proferimmo parola su quello che era successo al settimo piano, forse per imbarazzo, forse per dolore o pentimento.
Annabelle mi invitava a studiare al lago, ma io rifiutavo sempre per paura che la mia fragile corazza si spezzasse. Un giorno, stanca di rimanere rintanata in dormitorio, Ann perse la pazienza:
-ALEC, È INUTILE CHE TI RINCHIUDI QUI, E NON NE CAPISCO PIÙ DI TANTO IL MOTIVO!
Non le avevo detto nulla dei lupi mannari e del giretto nell’ufficio di Magnus, tantomeno di quello che era successo alla Stanza delle Necessità. Così mi limitavo a rispondere con aria assente.
-scusami Ann, hai ragione… È che non sto molto bene oggi…-
-tu non stai mai bene Alec, solo che mi fa male vederti così. So di chi è la colpa, ma devi provare ad andare avanti e ad uscire di qui. –
Qualche giorno dopo non ero cambiato di una virgola. Ero pronto per un’altra serata passata a disperarmi rintanato in un angolo della doccia. Ma, quella sera, la porta si spalancò e la visione che diedi di me ad Annabelle dovette essere terrificante: le guance erano rigate dalle lacrime, la voce roca per le urla di disperazione, le occhiaie scolpite da settimane sotto ai miei occhi di mare, i polsi pallidi solcati da tagli scuri e sangue coagulato sul piatto della doccia e sulle pareti in piastrelle, a tracciare inquietanti spirali e forme insensate. Stavo diventando il mio incubo. E questo lento oblio mi dava un minimo di sollievo dall’inferno in cui la mia vita s’era trasformata.
Annabelle mi rimase vicina quella sera, come solo lei sapeva fare durante le mie ricadute, mi convinse a rialzarmi e a darmi una ripulita. Mi fece mettere il pigiama e sdraiarmi sotto le coperte. Mi tenne la mano e vegliò su di me tutta la notte. La mattina seguente mi portò un vassoio pieno di leccornie: una caraffa di succo di zucca, un caffè, un piatto di biscotti al cioccolato e una fetta di torta. Rifiutai. Ormai saltavo almeno un pasto al giorno per non vederlo ed ero abituato ai digiuni con la cucina di Izzy, o agli spuntini alle due di notte, ma lei mi costrinse a mangiare fino all’ultima briciola. Aveva un sorriso perenne stampato sul volto, anche se era molto preoccupata per la mia salute. Purtroppo mi aveva già visto così, più di una volta, e ogni volta doveva fare sempre più male. Aveva giurato eterno silenzio sulla faccenda, sapeva che non volevo far preoccupare troppo Jace e Isabelle. Quella mattina nei suoi occhi vidi celata una preoccupazione tale da giurare a me stesso che avrei reagito o almeno avrei fatto finta di stare meglio. Quanto sarei stato egoista se non l’avessi fatto? Se non per me stesso, di cui ormai non m’importava più nulla, per lei.
Quella mattina mi stavo dirigendo verso l’Aula di Difesa Contro le Arti Oscure, materia che odiavo a causa delle domande inopportune del professor Bane, quando lui mi bloccò la strada e mi spinse in una rientranza nel corridoio schiacciandomi al muro col suo corpo. Gemetti per il dolore: mi aveva afferrato i polsi con forza. Mi lasciò andare quasi subito, all’apparenza terrorizzato di avermi fatto del male, senza lasciarmi però alcuna via di fuga.
-lasciami andare! –
Ringhiai. Se quel tono di voce fosse stato un pugno, come minimo gli avrei spaccato il naso.
-No. Alza le maniche del mantello Alexander. –
Mi ritrassi il più possibile da lui schiacciandomi contro al muro, cercando di nascondermi nell’ombra come un demone, ma lui non sembrava cedere.
-lasciami in pace Bane. –
Ero indeciso tra il graffiargli la faccia, impazzire o tentare di scappare il più lontano possibile da quell’uomo. Ma lui non mollava la presa… ed io mi sentivo così… così in trappola e allo stesso tempo così bene… la sua presenza era inebriante…
-non te lo chiederò un’altra volta, solleva quelle maniche o ti lascio completamente nudo. Sai che è molto più semplice con la magia. –
-ed io ti denuncio per molestia. –
-non puoi, sto agendo nel tuo interesse, sai chi dei due ha ragione Alexander Lightwood, tu la legge la conosci fin troppo bene e la rispetti. –
- ti prego smettila… -
Dissi con un rantolo nella voce. Poi rimasi immobile, le labbra contratte come ogni altro muscolo del corpo, pronto a scattare alla minima distrazione del mio avversario. Non sapevo per quanto sarei stato in grado di sopportarlo.
-bene, visto che non vuoi ragionare… -
Mi prese di nuovo i polsi ed io non potei ignorare il doloroso fremito che quel contatto mi causò percorrendomi tutta la spina dorsale. Non potei fare a meno di lamentarmi. Lui allentò la presa, senza però lasciarmi, e scoprì la mia pelle candida alla flebile luce dell’insenatura ove ci trovavamo. Espose i miei peccati alla luce del sole, ed il suo volto si rabbuiò.
-oh Alec, non di nuovo ti prego… -
Furono quelle le parole che non m’aspettavo. Credevo che mi avrebbe assegnato una severa punizione, un’ammonizione verbale o quantomeno un colloquio immediato nell’ufficio del preside…
Quelle parole le aveva pronunciate come se sentisse lui stesso il dolore scorrergli nelle vene, nei muscoli, nello stomaco, nei polmoni. Come se il mio e il suo corpo avessero una specie di legame per cui uno sentiva quello che sentiva anche l’altro.
Ma fu quel che successe subito dopo che mi lasciò ancor di più senza parole.
-mi dispiace così tanto… avevo giurato di proteggerti da tutto, e adesso guardati… mi sono scordato che il pericolo più grande a volte si nasconde dentro di noi… -
Magnus tirò un pugno al muro, ove si fece scivolare subito dopo. Io mi inginocchiai accanto a lui scostandogli le ciocche sudate e asciugando con le dita le lacrime silenziose che sgorgavano dai suoi occhi.
-Ma- Magnus… -
Stavo iniziando a piangere anch’io.
–non è colpa tua, tu sei sempre stato perfetto. Per il mio egoismo sto tornando quello di un tempo… sto tornando il mostro di una volta. Il poco tempo che ho passato con te è stato anche il migliore, e non cancellerei nulla. Perché ti amo. Miseriaccia se ti amo, e ci ho provato a smetterla di amarti, perché ora come ora non posso farlo liberamente. Ho provato di tutto, ma non ne sono capace. Ed è per questo che faccio quello che faccio. Perché sono uno stupido. E non ti merito. E voglio dimenticare, ma non ce la faccio… i ricordi sono difficili da sradicare, soprattutto quelli belli. –
Lui alzò lo sguardo e mi prese il volto fra le sue mani tremanti.
-perché Alec? Perché mi fai questo? Sarebbe tutto più semplice se ci odiassimo… se vivessimo di rancori come ogni stregone e Shadowhunter che si rispetti… -
-Magnus… -
-non parlare ti prego… tu non sai quanto mi è costato reprimere i miei sentimenti, non stringerti fra le mie braccia ogni volta che intravedevo il tuo viso nei corridoi… non sai quanto mi costa non baciare le tue labbra adesso, in questo momento. –
- Allora fallo Magnus, ti prego, per tutti e due. Perché mi uccide stare senza di te. E non voglio morire pensando che tu mi ami, che noi siamo come il Sole e la Luna… io voglio che la nostra distanza si azzeri, non voglio innamorarmi di qualcun altro che non risponda al tuo nome. –
E fu in quel momento che successe. Fu qualcosa di rapido e immediato. Come la quiete prima della tempesta, una stella cadente, un fulmine a ciel sereno. Lui mi baciò con tutto l’amore che nelle vene gli scorreva, mettendoci anche la paura che quei sentimenti portavano con loro. Fu dolce e vorace, deciso ma delicato. E mai più avrei rivissuto quello che stavo provando. Quando i nostri occhi si incontrarono di nuovo, questa volta con una scintilla nuova che ci guizzava dentro, insieme dicemmo:
-cosa stiamo facendo? –


La risposta a quella domanda era più difficile di quanto potesse sembrare. Io ed                                                                                       Alec, imboscati in un corridoio vuoto. Io insegnante, lui studente. La realtà mi piombò addosso come un blocco di cemento e fece male quanto il mignolo picchiato contro la porta. L’euforia di quel bacio che sognavo da cinque mesi mi aveva annebbiato la mente, ma gli incubi della quotidianità stavano riaffiorando velocemente…
Eravamo ancora seduti sul freddo pavimento di pietra, avvinghiati in una specie di abbraccio precipitoso perché, adesso che ci eravamo ritrovati, non volevamo più lasciarci.
-cosa… cosa ho fatto? –
Mi poggiai una mano sulla fronte. La mia mente non capiva più nulla.
- ti sei pentito Magnus? –
Alzai lo sguardo e incontrai il suo. La scintilla si stava spegnendo, gli occhi stavano tornando tristi e apatici.
-NO! Te l’ho detto, ho bisogno di te come dell’aria, non potrei mai rinunciare... ma dobbiamo prendere in considerazione il ruolo che abbiamo qui a scuola, non è permesso… -
-non mi importa. –
Non avevo mai visto Alec così. Certo, aveva sempre quell’aria decisa, soprattutto quando aveva qualche demone da uccidere, ma in quel momento era diverso. In quel preciso istante, capii che Alexander Lightwood non aveva alcuna intenzione di rispettare le regole, almeno per quella volta.
-baciami di nuovo Alexander Lightwood –
Lui mi avvolse le braccia attorno al collo incastrando le dita nei miei capelli, scompigliandoli. Con quel bacio sugellammo il nostro destino.  Una promessa scritta nero su bianco.
-promettimi una cosa –
Gli sussurrai quando ci staccammo quel tanto per guardarci negli occhi.
-dimmi Magnus –
Aveva un’espressione dolce e negli occhi tutta l’innocenza della scoperta di un sentimento nuovo e magnifico ed il mio nome pronunciato da lui era paragonabile ad un prato di fiori di campo mossi dal vento. Sorrisi.
-quello che è successo nei giorni precedenti, non accadrà mai più. Nessuno deve star male per causa mia. –
-tu promettimi un’altra cosa –
-che cosa Alec? –
-non abbandonarmi a me stesso –
-mai. –
S’era affidato completamente a me, ero la sua medicina, lui era il mio antidoto. Non potevamo guarire l’uno senza l’altro. Da soli, due mondi destinati ad implodere, insieme un sistema perfetto. Sorridevo per la prima volta da quando ero arrivato lì. Finalmente potevamo provarci per davvero, metterci alla prova. Non avrei sbagliato quella volta.




Quando Alexander Lightwood scomparve in un’insenatura del corridoio in compagnia del professor Bane, il mio mondo crollò un’altra volta. Il mio compagno di stanza se la faceva con un insegnante… quel ragazzo così ingenuo, eppure straordinariamente astuto e calcolatore, aveva corso un rischio così grande. Ora tutti i tasselli del puzzle erano al loro posto. Ora tutto prendeva forma. Ecco perché aveva reagito a quel modo. Lui apparteneva già ad un altro. Alec non parlava molto per natura, ma in quelle due settimane s’era praticamente trasformato in un vegetale: si alzava, mangiava, seguiva le lezioni, studiava, si chiudeva in bagno per tre ore a disperarsi, per un motivo adesso a me chiaro, e tornava a letto. Tutti i giorno così, tutti i giorni la stessa storia. Io non sapevo più che fare. La prima notte passata ad Hogwarts era stata ricca di pianti e parole dolci, ma lui non è mai stato mio. Quando mi guardava cercava gli occhi del professor Bane, non i miei. C’erano alcuni momenti in cui sembrava con me, ma non volli sbilanciarmi troppo per paura. Il Cappello ha fatto bene a non smistarmi in Grifondoro.
Anche se Corvonero mi rappresentava abbastanza, ho sempre saputo che la mia casata era Serpeverde. La mia ambizione era stata scambiata per intelligenza. Non che fossi stupido anzi, ma il modo in cui usavo le mie capacità era molto diverso dagli altri Corvonero. Loro la usavano per motivi futili come i voti scolastici, io la sfruttavo per ideare piani. Nuovi incantesimi, pozioni, anche maledizioni di bassa entità.
Stava di fatto che quello stregone strampalato era sbarcato in Inghilterra con i suoi dodici bauli stracolmi di vestiti firmati ed una nuvola di brillantini e mi aveva rubato ciò che era mio. Un Serpeverde non può permettersi un errore di questo genere. Non può lasciare agli altri ciò che di diritto è suo. È suo dovere riprenderselo e proteggerlo, tenerselo ancora più stretto. Alexander Lightwood è stato mio da quando misi piede in questo manicomio che chiamano più comunemente scuola. È stato mio quando lo prendevano in giro per le rune che aveva sul corpo, per quegli idioti chissà che significati derisori avevano… io sapevo che erano sinonimo di forza e potere. Quel ragazzino con i capelli spettinati e gli occhi tristi era diventato uno splendido ragazzo. E non avrei permesso a nessuno di allontanarlo da me.

 

ANGOLO DELL’AUTORE:

FINALMENTE LE COSE INIZIANO A FARSI INTERESSANTI PER I NOSTRI RAGAZZI!!
Non sono riuscita ad aspettare a pubblicarlo, diciamo che l’avevo già pronto da due settimane!

ANNA: la storia è sempre stata interessante, sei tu che l’hai resa noiosa.
ELISA: cosa?! Ti hanno smistato bene allora! Sei peggio di Juliàn!
ANNA: oh grazie, era un complimento?
ELISA: non direi proprio, Serpe!
ANNA: cosa hai detto sottospecie di gatto domestico?!
ELISA: che strisci, come tutti quelli come te *le fa la linguaccia e scappa via*
ANNA: FACCIAMO I CONTI DOPO NOI DUE!!! Vabbè, lasciamo stare quella grifona da strapazzo… piuttosto, vi piace la storia? La trovate scritta bene? Dateci la vostra opinione nelle recensioni! Siamo sempre felici di leggerne delle nuove!!! Altrimenti… vi crucio tutti!!! *si allontana alla ricerca di Elisa*

Un bacio
Elisa e Anna

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Capitolo 8
*** Allenamenti ***


~~CALL IT MAGIC
“Oh, non giurare sulla luna, la luna incostante che ogni mese cambia la sua orbita!”
-William Shakespeare, Romeo e Giulietta

La squadra di Quidditch di Corvonero era formata dai più validi elementi della casata: a capitanarla v’era Cashmere Brown, ragazza dai fluenti capelli biondi e mossi ed un fisico da modella, ma forte e decisa nelle partite. Giocava nel ruolo del cacciatrice.
Eric ed Aaron Williams, fratelli rispettivamente al quinto e quarto anno, giocavano come battitori. Entrambi con i capelli castani e gli occhi chiari, avevano un fisico robusto ed era quasi impossibile distinguerli se non li si conosceva bene.
Julia Evans, ragazza dai capelli rosso ramato, era la personalità più spiccata del gruppo: mangiava quanto una squadra di football ma rimaneva sempre magra ed alta come un filo d’erba. Aveva una dote innata per la ginnastica e spesso si divertiva a improvvisare coreografie in mezzo al prato di fronte al lago, provocando sospiri d’invidia ed ammirazione da parte delle ragazze, ed un fiume di bava da parte della popolazione maschile. Giocava come cercatrice.
Amira Johnson era la sua migliore amica, capelli lunghi e pelle color caramello, era una ragazza timida ma straordinariamente volenterosa, dall’animo generoso. Non mancava mai l’anello. Giocava come cacciatrice.
Juliàn Martinez, capelli d’oro e sorriso rapace, era il portiere e mai una pluffa aveva superato la sua zona difensiva.
E poi c’ero io, cacciatore, spalle larghe e prontezza di riflessi fuori dal normale, giocavo a Quidditch come combattevo: amavo quello sport. Gli allenamenti erano iniziati ormai da un’ora e nessuno aveva perso forma durante i mesi estivi, tantoché Cashmere decise di farci fare un allenamento speciale (ovviamente extra) per aumentare le nostre doti collaborative. Io, lei e Julia facevamo passaggi talmente veloci che era difficile vederli e mettevano addirittura in difficoltà Julian.
Amira stava inseguendo il boccino per la quindicesima volta, alternando gli inseguimenti a slalom ed acrobazie senza precedenti. Eric ed Aaron ci davano dentro con le mazze e quasi rischiavano di frantumare il cranio a qualche spettatore che curioso s’era fermato a seguire gli allenamenti.
-se continuiamo così non potremo far altro che migliorare! –
Urlava Cashmere facendo fluttuare i suoi lunghi capelli al vento.
-Cash, ricorda, mai abbassare la guardia. -
Diceva Juliàn con il suo tono pacifico e tranquillo.
“Non è stato così pacato quando mi ha praticamente sbattuto contro al muro e mi ha baciato come un leone dilania la sua preda.” Pensai un po’ infastidito ricordando l’accaduto e come Juliàn si stesse comportando.
-settimana prossima abbiamo la partita contro i Tassi. Dovremo stare attenti a quel Lewis, non è affatto da sottovalutare. –
Tutti si girarono verso Amira. Era raro sentire la sua voce.
-perché ne sei così sicura Amira? –
-Beh, semplicemente perché l’anno scorso ha eseguito una Finta Wronski degna di Victor Krum, come sapete padre del nostro attuale arbitro ed insegnante di volo. –
Tutti la guardammo a bocca aperta. Solo adesso che me l’aveva ricordato, m’era tornata alla mente quella partita, in cui Simon impressionò tutti afferrando il boccino eseguendo la tecnica perfettamente.
-Hai una buona memoria ragazza! –
Disse Aaron che da almeno due anni ne era pazzamente innamorato.
-solo per i dettagli importati. –
Per un’altra mezz’ora mi accanii sul portiere con tutte le mie forse cercando di abbattere il suo muro difensivo, ma nessuna delle mie tecniche aveva la benché minima efficacia. Riusciva a pararle tutte senza il minimo sforzo apparente. Cashmere era emozionatissima per i miglioramenti di Juliàn e non faceva altro che ripeterglielo. Stessa farsa dovevamo subirci io e i fratelli Williams, per non parlare degli elogi riservati ad Amira e Julia.
Alle otto di sera Cash ci fece andare a cambiare. Ci fiondammo negli spogliatoi, la maggior parte solo per raccogliere il proprio materiale e andare a fare la doccia in dormitorio, ma io decisi di lavarmi lì. Non avevo ricordi piacevoli del bagno in Sala Comune e ancora non mi ero completamente ripreso, ma che la mettevo tutta per la promessa fatta a Magnus e a me stesso. Per tale ragione mi liberai della divisa e mi avvolsi un asciugamano bianco alla vita. Presi lo shampoo e il bagnoschiuma e strisciai i piedi fino ad uno dei box doccia, o almeno era quello che avevo intenzione di fare finché non sentii la porta del vecchio e anonimo spogliatoio cigolare in modo familiare e poi richiudersi. Mi girai di scatto con la bacchetta puntata verso la fonte del rumore ma non vidi nessuno. Lo sconosciuto era già dietro di me e non ebbi nemmeno il tempo di reagire che mi immobilizzò bloccandomi le mani e spingendomi contro al muro, impedendo ogni movimento. I miei muscoli iniziarono a contrarsi ed in un attimo mi ricordai che ero mezzo nudo, in un vecchio spogliatoio, distante almeno un chilometro da ogni altro essere umano.
-non ti facevo così sprovveduto signor Lightwood. –
-Magnus! Che ci fai qui? –
Se fino ad un secondo prima il fatto d’essere avvolto solo da un asciugamano era no svantaggio nel caso la situazione si fosse fatta pericolosa, ora era un evidente motivo d’imbarazzo.
-scusami- nel suo tono non c’era nulla che intravedeva dispiacere
-volevo farti una sorpresa. Ti ho visto giocare oggi e volevo farti i complimenti… sei stato magnifico, ed eri anche terribilmente sexy…-
Sebbene non mi avesse ancora liberato, Magnus allentò un po’ la presa dai miei polsi per iniziare a giocare con i miei capelli e solleticarmi l’orecchio con le labbra.
I miei muscoli si rilassarono all’istante al contatto con quel corpo familiare e delicato nei movimenti.
-credo che tu ti meriti… un po’ di riposo dopo tutto quello che hai fatto oggi… -
Allontanò le mani dai miei polsi solo per farle scivolare più in basso, sfiorandomi i fianchi fino a raggiungere la salvietta ed allentare il nodo.
Gemetti per la sorpresa ed il piacere che quelle carezze mi suscitavano costringendo lo stregone a continuare.
-Magnus… -
Dissi con un tono d’affanno ed eccitazione nella voce.
-aspetta un attimo… -
Esitò a staccarsi da me, non avevo alcuna intensione di ferirlo, poi lui si allontanò quel tanto da permettermi di girarmi e guardarlo in faccia.
-scusami Alec… non volevo essere così precipitoso… -
-non è questo, e lo sai benissimo, voglio farlo tanto quanto lo vuoi fare tu ma non credo di essere ancora pronto. Voglio che sia speciale, e che sia con te. –
-lo so, mi dispiace, è che è difficile… insomma, ti desidero Alec, come mai non avevo desiderato nessuno, e mi fai impazzire. –
-A-anche io Magnus, tu non sai quanto è difficile fermarti adesso, è solo che me lo sento, non è ancora questo il momento ma arriverà. E sarà bellissimo. –
A quel punto Magnus mi prese fra le sue braccia e iniziò a baciarmi la fronte, il collo, le guance, i lobi, riempiendomi di carezze e parole dolci.
-nessuno deve avermi mai desiderato così tanto da aspettare il momento giusto Alec. Credo che tu sia il primo che mi abbia amato veramente. –
A quelle parole pensa a quanto Magnus si fosse sentito solo nel suo appartamento di Brooklyn, a quante storie di poco conto dovesse aver avuto.
-Magnus, io ti aspetterò sempre. Anche perché sono soprattutto io quello che deve essere aspettato. E ti voglio, ma ho paura, e se avessi il coraggio di un Grifondoro avrei già fatto tutto il possibile con te, ma sono Corvonero e sono abbastanza intelligente da capire che ti amo e devo viverti lentamente, giorno dopo giorno, come un bel ricordo. Non voglio che il nostro rapporto sia come il lampo, ma piuttosto una pioggia leggera e duratura. –
Da dove cavolo erano uscite quelle parole? Io con le parole non ero mai stato bravo, me la cavavo di più quando c’era da rimboccarsi le maniche ma adesso… sembravo uscito da una poesia di Leopardi-.
Due settimane prima quello stregone mi aveva baciato nell’angusta rientranza di un corridoio e da quella mattina ci tendevamo agguati nei posti più disparati, ritagliandoci alcuni momenti di tenerezze fra una lezione e l’altra. Ci davamo appuntamento al Platano Picchiatore o alla Stanza delle Necessità. Quelli passati con Magnus erano i momenti migliori della giornata. Era pericoloso, ma non potevamo farne a meno. Adesso capisco perfettamente la teoria dei poli opposti.
Magnus mi stava guardando come se fossi un oggetto prezioso ed unico, da custodire a qualsiasi costo. Io lo guardavo come un cocainomane in astinenza.
-non mi abbandonare –
-mai. –
E quella volta fui io a promettere a lui.

 

Non abbandonarmi. Era la nostra promessa, quello che avevo giurato ad Alec, ed ora era lui a giurarlo a me.
Che cavoli! Avevo sbagliato di nuovo con lui. Solo che… eravamo soli, lontano da tutti, in uno spogliatoio… E LUI AVEVA ADDOSSO SOLO UN ASCIUGAMANO PER L’ANGELO! Oh cavoli da quando dicevo per l’Angelo? Gli Stregoni non dicono per l’Angelo! Ma cazzo, quel corpo… nessuno avrebbe potuto resistergli! Alec aveva le spalle larghe e muscolose, gli addominali scolpiti e le gambe… aveva delle gambe stupende! E il mio istinto aveva preso il sopravvento. Lo guardavo come se fosse stata l’ultima volta, come se avessi avuto solo un minuto per dirgli tutto quello che provavo. E per spiegarglielo ci avrei messo più o meno tutta l’eternità.
-cazzo Alec! Smettila di essere così perfetto! –
Sfiorai le sue labbra con le mie e lui sembrò apprezzare quel contatto e sorrise mentre lo baciavo in modo così casto.
-scusa Magnus, sai che non è colpa mia se sono irresistibilmente attraente! –
-maledetto Nephilim, mi farai impazzire prima o poi! –
Gli soffiai staccandomi appena dalle sue labbra ma continuando a sfiorargli il petto, le spalle e la vita. Lui si avvicinò al mio orecchio e, con tutta la malignità concessa ad un uomo, mi sussurrò:
-spero presto perché io sono già pazzo. –
-ora vado se non vuoi ritrovarti nudo nel giro di quindici secondi. –
-okay, così potrò farmi questa maledetta doccia in pace, senza il rischio che qualcuno mi salti addosso. A presto prof. –
-non ne sarei così sicuro, almeno sull’ultima parte… -
Lui mi baciò velocemente, per poi baciarmi ancora e ancora per un buon minuto. Eravamo talmente affamati l’uno dell’altro che il tempo per noi non era un fattore indispensabile.
Mi allontanai da lui prima che cominciasse un altro giro da cui non ero sicuro di riuscire a fermarmi e mi chiusi la porta dello spogliatoio alle spalle, prendendo il sentiero che dallo stadio portava al castello. Ero circa a metà strada quando un demone mi bloccò la strada. Cosa ci faceva un demone ad Hogwarts?! Subito tirai fuori la bacchetta, più per abitudine che necessità dato che ero in grado di eseguire incantesimi anche senza, e gli lanciai uno schiantesimo che lo tramortì. A quel punto lasciai perdere la bacchetta e lo misi fuori gioco come mio solito. Quello che rimaneva della creatura si dissolse ed io iniziai a correre verso la scuola. Quel tipo di demoni non erano affatto difficili da eliminare se presi da soli, infatti si muovevano a gruppi di due o tre, normalmente. Per sicurezza feci un incantesimo di disillusione temporaneo per essere meno visibile e innalzai una protezione attorno a me. Dovevo subito parlarne col preside.
-preside Paciock! Preside Paciock! –
Avevo percorso l’ultimo tratto che mi rimaneva di corsa, fiondandomi all’interno della scuola e su per rampe e rampe di scale, accompagnato dal continuo brusio dei quadri alle mie spalle, allarmati per la mia sorprendente agitazione.
Ero arrivato di fronte al gargouille di pietra e avevo salito le scale a tempo di record. Ora mi trovavo sulla soglia dell’ufficio.
-per favore preside! Sono il prefessor Bane! È importante! –
La porta si aprì con un cigolio ed io mi catapultai all’interno dell’elegante stanza col fiato corto e le gambe doloranti. All’interno del locale, però, il preside non era solo, c’era infatti uno studente Corvonero, alto e ben piazzato, dai capelli color oro lunghi che gli ricadevano sulle spalle. Sembrava appena uscito da una macchina del tempo, era totalmente sbagliato per quell’era. Sarebbe stato meglio in un salone dell’alta nobiltà francese di fine ‘800.
-Professor Bane, sono io che dovrei parlare con lei. Prego, si sieda pure. –
Mi irrigidii. Se possibile ancor più di prima. Il tono del preside era talmente freddo e distaccato che ebbi la sensazione che il mio sangue si fosse congelato.
-lei signor Martinez è congedato, può tornare nella sua Sala Comune. –
-buona serata signore preside, professor Bane. –
Con un gesto del capo, il ragazzo uscì. Ricordava una foglia che caduta dall’albero si lasciava trasportare dal vento.
-preside, devo dirle una cos… -
-professor Bane, adesso lei ascolta e per favore. –
Non capivo. Perché sembrava così infuriato?
-si starà chiedendo di cosa deve essere informato professore, anche se credo lei sappia già perché le stò parlando così seriamente. –
-io… non so che intende dire… -
- oh, non faccia il finto tonto professore, lei è fin troppo intelligente. Sono venuto a conoscenza di fatti spiacevoli che la riguardano in prima persona. –
Finsi un’espressione confusa, il più innocente possibile. Ci avevano scoperti, sapevano tutto.
-sono venuto a sapere che lei ha frequentato e continua tutt’ora a frequentare un suo studente. Ha qualcosa da dire in sua difesa? –

 

ANGOLO DELL’AUTORE:
TA DA DA DAAAAAAAANNNNN *si chiude il sipario al termine dell’Atto VIII* lasciamo stare, oggi ho fatto la verifica sul genere teatrale ecco perché ho fatto riferimenti a Romeo e Giulietta e sto facendo la pazzoide qui nell’angolo dell’autore che dovrebbe essere una cosa seria! Questo capitolo è dedicato ai miei amici più fedeli, cui ho già fatto leggere questo capitolo oggi in classe, a cui chiedo sempre consigli e direttive. GRAZIE PER TUTTO L’APPOGGIO E PER ESSERE COSI MAGNIFICI!!! VI AMO :-* Per motivi puramente scolastici, non so quando riuscirò ad aggiornare, spero entro due settimane!
A voi, miei cari lettori, come sempre buona lettura!

Elisa

 

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Capitolo 9
*** A tutti i costi ***


CALL IT MAGIC
-io... –
Tutto era scomparso. I demoni, le promesse in spogliatoio fatte ad Alec, i suoi allenamenti, le lezioni, la Stanza delle Necessità… era tutto una macchia confusa. Un vortice di immagini all’apparenza senza senso, perché ora davanti a me svettava la figura del preside. Arrabbiata, delusa, addirittura sorpresa.
-professor Bane, io non so per quale ragione lei abbia fatto una cosa del genere. Conosce bene il regolamento e quello che ha fatto è inaudito. Dovrebbe essere punito per legge. Ma… ho visto come lavora qui, quanto ama questo mestiere e l’insegnamento. Potrei darle un’altra possibilità se ammette adesso le sue colpe e tronca la relazione con lo studente in questione. Più tardi parlerò anche con lui. –
-LA PREGO, MI ASCOLTI PER DUE MINUTI! C’È QUALCOSA DI MOLTO PIÙ IMPORTANTE DEL REGOLAMENTO IN BALLO, QUALCUNO È RIUSCITO A SUPERARE LA BARRIERA, CI SONO DEMONI AD HOGWARTS! –
L’uomo mi guardò pietosamente, arrabbiato.
-Ma per favore professor Bane! È impossibile che qualcuno abbia interrotto la protezione che circonda la scuola! Nessuno può riuscirci! La smetta di dire scemenze e non trovi scuse per minimizzare quello che ha fatto! –
-preside io… non mentirei… -
Ma non terminai mai la frase perché in quel momento la professoressa Scamander irruppe nell’ufficio accaldata e con i capelli tutti in disordine. La professoressa di Serpeverde non aveva MAI e dico MAI i capelli in disordine.
-signore… - disse cercando di riprendere fiato e non svenire lì sulla soglia della presidenza.
-signore, c’è stato un attacco, un esercito di demoni. –
Il signor Paciock, le cui guance erano spesso rosee e in salute, divenne pallido e marmoreo in meno di un istante.
-c…cosa!? –
-preside, gliel’avevo detto! Dobbiamo intervenire immediatamente! –
-CALMATEVI TUTTI QUANTI! –
Sbottò l’uomo e a quelle parole io e la professoressa ci zittimmo.
-per favore signorina, si sieda e formuli una frase con un minimo di senso logico. – il preside aspettò che la donna si sedesse su una sedia fatta apparire apposta per lei e lui continuò il suo discorso.
-per prima cosa, dove sono gli studenti? Sono al sicuro? –
-i ragazzi sono tutti nelle loro sale comuni e i prefetti e i caposcuola si sono mobilitati per tenere la situazione sotto controllo. Stiamo facendo gli appelli per assicurarci che non ci siano dispersi e abbiamo incaricato i migliori studenti di eseguire incantesimi difensivi e di protezione. Non abbiamo potuto evitare di far partecipare gli studenti maggiorenni alla battaglia, a livello legale sono autonomi. Se sarà necessario evacueremo la struttura. –
-molto bene signorina. Credo che ora come ora l’unica cosa da fare sia avvisare il Ministero e difendere la nostra scuola. –
In meno di un attimo il preside invocò il suo Patrous e gli ordinò di avvisare il Ministero dell’attacco. Poi, bacchetta in mano e armato di puro coraggio Grifondoro, uscì dall’ufficio dando per scontato che gli altri due lo seguissero.
Io pensavo solo ad Alec, dovevo raggiungerlo subito! Non sarei mai dovuto andare dal preside, dopo l’attacco del demone sarei dovuto correre da lui, mantener fede alla promessa fatta a me stesso. Poteva già essere… non dovevo pensarci. Ogni secondo era importante. Dovevo agire subito.
-professoressa, la prego, raggiunga gli alunni della sua casata e vegli su di loro. non è nelle condizioni adatte nemmeno per stare in piedi. Io raggiungo gli altri. –
Non ascoltai nemmeno la risposta della donna che già correvo giù per la prima rampa di scale, e in men che non si dica ero fuori, nel pieno dello scontro. Nel prato che si affacciava di fronte alla scuola ci saranno stati una cinquantina di demoni e noi eravamo decisamente in svantaggio come fattore numerico. Il professor Krum, con la sua stazza considerevole, affrontava da solo tre di quelle orribili creature a cui non lasciava un attimo per riprendersi. Il preside ne affrontava a mani nude un altro, spezzandogli il collo. Riuscii a vedere a malapena quello che rimaneva della creatura contorcersi e sparire a contatto con il terreno.
Uno…due…tre! Chiusi gli occhi, contai e poi partì. Sfrecciai in mezzo alla battaglia diretto verso lo stadio. Non so quanti demoni schiantai tanto ero concentrato nel mettere un piede davanti all’altro per evitare di cadere. Cinque, sei, sette passi… ancora cinquecento metri, cento, cinquanta. Mi appoggiai all’entrata dell’arena esausto, il peso di tutti quei bombardamenti emotivi si faceva sentire non solo sul mio cuore. Meno di un’ora prima ero con Alec, un quarto d’ora dopo dal preside, poi di nuovo da lui. Dovevo raggiungerlo, non potevo fermarmi adesso. Con la bacchetta in mano e il terrore del cuore, spinsi piano la porta di quella struttura malandata senza la minima idea di cosa trovarmi di fronte.
 
 
Appena Magnus ebbe lasciato lo spogliatoio, mi diressi di nuovo verso la doccia e finalmente potei rilassarmi sotto l’acqua bollente. Mi lavai con calma, assaporando la sensazione dell’acqua scorrere sulla pelle, analizzando l’odore del sapone e giocando con le bolle. Dopo un buon quarto d’ora uscii e mi asciugai  con un asciugamano, lasciandomi solleticare il collo dalle ciocche di capelli bagnate e gocciolanti. Mi rivestii con calma: pantaloni della tuta, la mia solita maglietta nera e una felpa e mi preparai ad uscire quando sentii un rumore. In men che non si dica sfilai il coltello dalla fondina e appellai con la bacchetta l’arco che avevo preso nella Stanza delle Necessità il giorno del bacio di Juliàn. Dopo quell’avvenimento me lo portai sempre appresso. La scena che mi si presentò davanti sorprese pure me: demoni, cinque demoni nello spogliatoio dello stadio di Quidditch… a Hogwarts. Come avevano fatto a superare gli incantesimi difensivi? Erano antidemoni, fungevano allo stesso modo delle torri di Alicante… solo che oltre a loro tenevano lontani anche i Babbani e le creature più pericolose. Mi misi il coltello in bocca in modo da avere le mani libere per tirare. Incoccai la prima freccia che partì e mirò il bersaglio. Il primo dei cinque era caduto, stroncato da una freccia al centro di quella che pareva essere una fronte. Quelle creature erano piuttosto massicce, dalla pelle nera e liscia, somigliante al petrolio come consistenza da quello che potevo vedere. La bocca era un buco al centro di un ovale vuoto senza occhi ne naso ne orecchie, affilata di denti gialli e appuntiti, vagamente somiglianti a lunghi spilli. “Come i denti di una balena”, pensai, ma letali e intrisi di un veleno mortale.
Il secondo demone partì alla carica saltandomi addosso e facendomi cadere, tentando di azzannarmi la gola: gli altri si stavano avvicinando sempre più, rallentati però dalla mole del loro simile e dalle mie armi. Con uno sforzo sovraumano, riuscii a issarmi sopra di lui e a pugnalarlo al centro del petto, ma la ferita si rimarginò subito.
Che strano, credo che l’unico modo sia usare una spada angelica!” pensai, ormai stanco e allo stremo delle forze. Oltre all’attacco c’era da sommare l’allenamento di Quidditch e il peso della giornata studentesca. Avevo un taglio piuttosto profondo al polpaccio e grondavo di sudore. In pratica la doccia non era servita a niente.
Quanto mai non avevo chiesto a Magnus di restare con me! Ma cosa stavo dicendo? Lì le cose si stavano mettendo davvero male, grazie a Dio se n’era andato! Sperai solo che fosse al sicuro…
Mi trascinai dolorante fino alla parete, cercando simultaneamente lo stilo e la bacchetta, mentre i demoni si riprendevano e si preparavano a saltarmi addosso. Certo che erano davvero stupidi, però lodavo la loro seppur rozza collaborazione. Mi ricordavano Jace e Izzy, la mia squadra, con cui avevo vinto tante battaglie.
-accio…- 
Stavo per dirlo quando il primo demone saltò verso di me.
-spada-
In un attimo dalla sacca uscì un’arma dall’elsa argento, incisa da rune che nemmeno io conoscevo e dal potere inestimabile. Appena fu tra le mie mani, la invocai.
-Micahel! –
E questa si illuminò di un bagliore divino, accecando i demoni e confondendoli per alcuni secondi.
Provai a sollevarmi, ma il dolore alla gamba e al fianco era insopportabile. Era come se il mio corpo stesse cedendo sotto il suo stesso peso.
Appoggiato con la spalla alla parete, mi avvicinai trascinando la spada. La stanza si allargava e si stringeva, i demoni mutavano forma. Ne erano davvero in grado o la mia mente stava cedendo ad un lento e inesorabile oblio? Lo stilo… dove cavolo era quel maledetto stilo? Poco importava. Non avrei avuto tempo per tracciarmi un Iratze e non sarebbe servito a molto probabilmente. Ero ad un passo dalle creature, se solo la spada fosse stata più leggera e i demoni meno minacciosi… uno di quelli si fiondò di nuovo su di me ferendomi la guancia con uno dei suoi letali artigli ma io riuscì a trafiggerlo macchiandomi del suo sangue nero e appiccicoso. Appena quel che rimaneva del suo corpo straziato si dissolse, sentì la porta sbattere e subito pensai ad un altro attacco. Altri demoni, forse più dei primi, sarebbero sopraggiunti di lì a poco. Ed io a malapena distinguevo il pavimento dal soffitto. Ero rassegnato, consapevole che solo un miracolo mi avrebbe tirato fuori da quella situazione. Poggiai la schiena alla parete e mi lasciai scivolare, attratto dalla gravità. Posai lo sguardo verso la porta, come a far capire ai miei nuovi aggressori che non stavo morendo senza aver lottato. L’unica cosa che distinsi fra lo stridere dei demoni e il soffiare del vento di metà ottobre fu un mantello con l’interno del cappuccio glitterato.
Quando riaprì gli occhi Magnus era seduto con la schiena alla parete, e sulle sue gambe ci stava la mia testa. Mi carezzava i capelli, un gesto che serviva a calmare più lui che me probabilmente. Era sporco di sangue, la camicia sgualcita fuori dai pantaloni, i capelli in disordine e appiccicati alla fronte, gli occhi terrorizzati, il volto cinereo e la cravatta allentata.
-Alec! Grazie al Cielo ti sei svegliato! -
-c…cosa è successo? –
-sei svenuto, hai perso molto sangue, ma non preoccuparti, adesso è tutto finito. –
Provai a sedermi, anche se avevo un gran mal di testa, mi guardai attorno e vidi che le pareti erano tornate al loro posto e non c’era nessuna traccia dei demoni.
-cosa sta succedendo fuori da questo spogliatoio Magnus? –
-Alec, sdraiati, sei ancora troppo debole. _
-COSA È SUCCESSO MAGNUS? –
-i demoni hanno superato le difese e stiamo cercando di sistemare la situazione –
-devo andare là fuori. –
-Alec per favore… -
-no Magnus, Izzy e Jace stanno combattendo, di certo anche Clary e Simon non si sono tirati indietro… non posso restare qui. Bisogna dare una mano. Sono un Nephilim, sono nato per questo. –
Lo stregone mi afferrò il braccio, costringendomi a guardarlo negli occhi.
-quando ti ho visto a terra… ho avuto paura… ho avuto paura di essere arrivato troppo tardi, di non aver tenuto fede alla promessa anche stavolta.-
Abbassò lo sguardo, fissando il pavimento, rimanendo zitto e, sapevo, pregando che io avessi cambiato idea. Gli accarezzai la guancia e lo costrinsi ad agganciare nuovamente lo sguardo al mio, per rassicurarlo.
-Magnus… senza di te adesso sarei morto e non sai per quanto te ne sono grato. Non credo ci sia una misura per definirlo. Ma ho dei doveri e non posso rimanere qui mentre fuori si sta combattendo. Va contro quello che sono, contro il sangue che scorre nelle mie vene. –
Lui abbassò di nuovo lo sguardo ma io fui più veloce e lo costrinsi a guardare ancora i miei occhi azzurri.
-ti amo Magnus Bane. Ti amo e non permetterei mai che ti succeda qualcosa, non permetterei a niente e a nessuno di separarci. –
-allora resta, se mi ami, andrò io là fuori. –
A quel punto lo baciai. Lo baciai a lungo, allontanando da noi tutta la paura che provavamo.
-andremo entrambi, insieme. –
Lui rimase in silenzio per alcuni secondi, poi mi sorrise. Di un sorriso timido, insicuro ed impotente. Non ero abituato a quel tipo di sorrisi. I suoi erano decisi, sprizzavano sicurezza e ilarità da tutti i pori.
-insieme. –
Questa volta fu lui a baciarmi una volta e poi ancora. Io premetti il più possibile le mie labbra sulle sue, come a rubargli l’anima, o a cercare di riprendermi la mia, perché ormai aveva tutto di me.
Mi alzai e instabile mi diressi verso la porta, con Magnus al mio seguito, che mi teneva per mano, perché sapeva che fuori le avrebbe usate per combattere. Mi tenne per mano fino all’ultimo ,come a mantenere un minimo contatto fisico, per assicurarsi di fare ancora parte di quel mondo.
Appena la fredda aria della notte ci riempì i polmoni, ci rendemmo conto che la battaglia ancora imperversava e pregai, pregai che nessuno fosse ferito. Che nessuno stesse soffrendo per la perdita di un amico. Per quanto amassi la mia famiglia e i miei amici, ero abituato all’idea di poterli perdere in ogni momento.  Invidiavo la vita dei miei compagni di corso, ma adesso avevo pena per loro perché s’erano trovati sbalzati in un universo di cui avevano sentito parlare solo nei libri.
Quei minuti passarono veloci, senza lasciare traccia, come vento sulla sabbia. Dall’apparente quiete dello stadio, alla confusione del conflitto, all’apparente quiete della Foresta Proibita, custode di segreti. Si, perché con i capelli intrisi di sudore e sangue rappreso mio e demoniaco, stavo correndo facendomi largo tre il fogliame, cercando di raggiungere un gruppo di demoni che avevano rapito Annabelle.
 
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE:
Heilà cari amici! Spero non mi odierete troppo, lo sto tirando un po’ per le lunghe questo scontro che non è nemmeno di così larga entità! Comunque… dopo un Halloween burrascoso (meglio che non entri nei dettagli, vi informo solo che quasi mi mettevo ad urlare ad un attaccapanni di smettere di torturare Klaus, se non lo sapete un personaggio del manga Maiden Rose, vi lascio immaginare), mi sono messa sotto e l’ultima parte l’ho scritta proprio venerdì sera! Quindi… voi che conoscete le mie infermià mentali e più o meno la situazione in cui ero, abbiate pietà di me! Come al solito spero vi piaccia il capitolo e aspetto con ansia le vostre recensioni! Tra l’altro con il capitolo 8 abbiamo superato ogni record: ben 7 commenti!!!
Nel prossimo vedremo come andrà a finire e che provvedimenti prenderà il preside!
A presto,
Elisa
 

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Capitolo 10
*** Buona fortuna signor Bane ***


~~CALL IT MAGIC
Dopo aver visto il corpo inerme di Annabelle avvolto dai tentacoli di quei demoni iniziai a correre incurante dei rovi che mi graffiavano il viso e le braccia. Vedere che la stavano trascinando lontano da me era come se mi stessero tagliando il cuore a metà: non potevo permettere a nessuno di infliggermi questo dolore. Non potevo vivere senza lei, senza quella metà indispensabile che rappresentava ogni mia cosa buona.
Fendevo la vegetazione con il coltello pensando solo a raggiungerla. Riuscì a colpire una di quelle creature con una freccia, ma altri sembravano spuntarne da ogni parte. Isabelle mi stava alle spalle tagliando le liane con la sua frusta di elettro. Speravo che il suo cuore battesse ancora, speravo resistesse solo un altro poco, speravo sapesse che l’avrei salvata ad ogni costo. I rumori della battaglia rimbombavano sui tronchi degli alberi e sulle superfici muschiose delle rocce: sibili strazianti e familiari, esplosioni, urla terrificanti che mi riempivano le orecchie e sembravano volermi far esplodere i timpani.
La mia mente non riusciva a concentrarsi sul luogo circostante, riusciva solo a pensare ad Annabelle, a Magnus, se stessero bene o almeno respirassero ancora. Magnus che era rimasto al lago, Magnus che stava combattendo ed io non ero lì con lui a difenderlo.
Saltai un grosso tronco cavo e mi ritrovai in una piccola depressione circolare. Di fronte a me tre o quattro demoni circondavano il corpo di Annabelle, probabilmente indecisi su che tecnica usare per dilaniarlo.
Isabelle scrutava ogni insenatura e angolo del luogo dove ci trovavamo, alla ricerca di ulteriori minacce. Io semplicemente non ero cauto quanto lei. Mi lanciai sul primo demone che mi capitò a tiro, deciso a ridurlo a pezzetti ma lui fu più veloce e riuscì a scansare il mio colpo. Subito non perse tempo e passò al contrattacco, sferzando l’aria con la sua lunga coda da rettile e lanciandosi su di me. Balzai di lato e caddi a terra sentendo un dolore lancinante alla spalla. A fatica schivai il colpo, e poi anche l’altro e l’altro ancora mentre l’aria sibilava al veloce passaggio della mia spada. Riuscì a farlo indietreggiare e approfittai della sua distrazione per assestargli il colpo di grazia. La creatura cadde a terra e scomparve, segno che era tornata nella sua dimensione. Dietro di me Isabelle ne affrontava un altro mentre il terzo e il quarto demone erano ancora su Annabelle.
-confundus! –
Gridai puntando la bacchetta contro uno dei demoni che subito rimase intontito mentre l’altro si lanciava, zanne sguainate, verso di me. Saltai in aria cercando di schivare la sua coda che s’era messo a far roteare tentando probabilmente di rompermi un arto. Per fortuna Jace mi aveva insegnato come sfruttare le debolezze del nemico a mio vantaggio: il demone era possente e la sua coda l’arma peggiore, dotata certamente di muscoli forgiati per uccidere ma questo, sebbene gli desse la possibilità di causare un trauma cranico alla sua vittima, richiedeva tempo e dispendio di energie nei movimenti. Notai subito che la sua agilità diminuiva di colpo in colpo e pensai al modo più ingegnoso per farlo fuori. Affrontarlo direttamente era fuori discussione, l’avevo constatato poco prima rimettendoci probabilmente la spalla, l’unico modo era essere più furbo di lui. Sfortunatamente non ero il mio parabatai, nato e cresciuto per essere non solo un genio nella lotta corpo a corpo, ma anche nelle parole. Riusciva ad ammaliarti con una frase, a farsi fidare dei suoi occhi dopo solo cinque minuti di conversazione. Ma, se Jace era affascinante e suggestivo nella voce e nei movimenti, io ero tutto il contrario. Diffidente, di indole solitaria e poco propenso alla socializzazione, le mie qualità emergevano per di più nei momenti di progettazione e non pratici. Ero in grado di formulare piani e strategie formidabili, ma solo se rinchiuso nella biblioteca dell’Istituto o nella mia camera da letto. Non di certo appeso al ramo di un albero con un demone dalla lingua biforcuta pronto a farmi a fettine e a servirmi come antipasto alla sua cena della Vigilia. “Pensa Alec! Pensa!” d’improvviso, una scintilla sembrò accendersi nella mia mente. Il demone era proprio sotto di me, anch’egli alle prese con il considerare le mie debolezze e punti di forza cercando il modo più doloroso per farmi fuori. “Lui è forte e veloce, ma più lo stanco più per lui sarà difficile sopraffarmi e già si vede che le sue energie stanno terminando…” I miei pensieri vennero interrotti da un, sapevo ultimo, tentativo di disarcionarmi dal ramo e farmi precipitare al suolo, e fu quello che successe. La coda colpì la base del grosso ramo che cedette in un vortice di foglie, rami e resina precipitando verso il suolo dove la creatura mi aspettava con le zanne spalancate. Presi la spinta e riuscì a saltare oltre facendogli cadere il ramo addosso. Non ebbi nemmeno il tempo di girarmi che il demone era già scomparso lasciando solo un po’di sangue nero a testimoniare la sua presenza. Camminai verso Annabelle, ma appena misi a terra il piede, sentii un dolore lancinante e quasi un urlo uscì dalla mia gola. “Gli Shadowhunters non si lamentano, sopportano il dolore fino alla fine e combattono fino all’ultimo senza mai dare segno di cedimento…” Diceva Hodge a volte. Con lo sguardo cercai Isabelle che nel frattempo aveva ucciso il demone contro cui lottava prima ed eliminato con estrema facilità quello che avevo confuso. Era china sul minuto corpo di Annabelle, l’espressione concentrata e la bacchetta alla mano intenta a formulare incantesimi di guarigione e protezione. “Le rune non funzionano su mondani e nascosti…”  Presi lo stilo dalla cintura e tracciai un iratze sulla caviglia probabilmente slogata e appena fece effetto balzai in piedi e corsi verso mia sorella.
-Isabelle!- quasi le finì addosso da quanto ero preoccupato.
-Iz, come sta? - adesso potevo vederla chiaramente: gli stessi capelli marroni, le stesse mani delicate, lo stesso volto aggraziato e gli zigomi eleganti… le palpebre chiuse sotto un paio di occhi grandi e luminosi. Era pallida, pallida come la Dama Grigia e se il suo torace non si fosse sollevato e abbassato debolmente, la si poteva considerare cadavere. Isabelle mi guardava preoccupata, segno che i suoi tentativi di rianimarla erano stati vani.
- Dobbiamo tornare subito al castello. –
Disse solo. Cercai sulle sue braccia e sulle gambe segni di morsi e le mie ipotesi furono presto confermate. Un profondo squarcio sull’interno dell’avambraccio troneggiava come una macabra decorazione di Halloween. Veleno demoniaco… quanto impiegava ad uccidere un umano? Un’ora. Quanto impiegava ad uccidere una ragazza di nemmeno cinquanta chili di peso e reduce da una battaglia contro esseri che mai aveva visto prima se non nei libri o nella sua immaginazione? Scattai in piedi, con la mia amica in braccio ed Isabelle davanti a me che mi faceva strada. Non ricordo quanto tempo ci volle per uscire da quell’intrico di rami che ci ospitava, né sentii la fatica o i postumi della lotta contro i demoni. Ricordo solo il nero davanti a me, terrificante e concreto e all’apparenza senza una fine.

 


Quanto tempo era passato dalla riunione nell’ufficio del preside? Quanto da quando avevo abbandonato Alec per combattere contro uno stupido demone dai viscidi tentacoli? Probabilmente un’ora, ma per me era passata un’eternità. Avevo perso il conto delle creature schiantate, decapitate, dilaniate e trucidate e la battaglia stava giungendo al termine. I soccorsi erano arrivati e il Ministero si stava dando da fare per mettere ko i superstiti del fronte avversario e soccorrere i feriti. Ce n’erano tanti, tra cui una decina piuttosto gravi, ma nessun morto. In pochi minuti dal pieno della battaglia m’ero ritrovato in una landa desolata ricoperta dal sangue nero e ustionante dei demoni a incrociare sguardi terrorizzati con i miei colleghi e studenti più grandi. Sui loro visi si leggeva lo sconforto più totale, l’incertezza, la paura di una terza guerra magica. La maggior parte dei volti presenti aveva assistito alla tragedia della Seconda, verificatasi sullo stesso suolo ove i miei piedi erano poggiati. Il terrore dei Mangiamorte aleggiava ancora per le strade di Londra e dai muri traspariva tutt’oggi la paura di dover affrontare quei persecutori che per mesi erano riusciti a cancellare ogni briciolo di speranza e umanità da un’intera nazione, soggiogandola e corrompendola alla violenza e all’intolleranza. Continuavo a guardarmi attorno, alla ricerca di quegli occhi blu e di quei capelli corvini. Dove si era cacciato quel dannato figlio di Nephilim? Iniziai a correre come un pazzo, chiamando il suo nome, chiedendo di lui… ma nessuno lo vedeva dall’inizio della battaglia. E nemmeno di Isabelle c’era traccia. Avevano detto che non c’erano ostaggi, nemmeno morti, e allora dov’era? Era rimasto ferito? Era in infermeria? In quel momento vidi una giovane strega in uniforme bianca che passava chiedendo informazioni a chi incontrava. Mi avvicinai a lei, cercando di calmarmi e ripetendomi che andava tutto bene.
-mi scusi signorina… -
Chiesi con voce flebile. La donna si voltò verso di me con un sorriso che nulla aveva di rassicurante e gli occhi nocciola grandi e segnati da profonde occhiaie, segni più di tensione che di vera e propria mancanza di sonno. Era minuta, coi capelli biondi raccolti in una severa crocchia. Stringeva in mano una cartellina probabilmente compilata con una lista dei feriti e delle persone ancora in piedi.
-signorina, scusi il disturbo, potrei chiederle un’informazione? -
Per quanto possibile, il suo sorriso velato di terrore si allargò ancora di più.
-certo, mi dica pure signor? –
-Bane. Sono professore qui alla scuola di magia. Se è nelle sue facoltà, saprebbe dirmi se nella lista dei feriti compare un Alexander Lightwood?  -
La donna sfogliò i fogli sulla cartellina, cercando la L.
-Lightwood, Lightwood… no, non lo vedo da nessuna parte, mi dispiace… per caso è un suo studente? -
-si, ha preso parte allo scontro… -
-lo immaginavo… beh, molte persone che hanno combattuto e non sono ferite gravemente sono tornate nelle Sale comuni o nelle rispettive stanze, provi lì. –
La ringraziai e cercai di sorriderle ma mi risultò difficile come sollevare un masso da duecento chili senza magia.
-grazie mille signorina, mi scusi ancora per il disturbo. –
-non si preoccupi signor Bane e buona fortuna. –
La guardai allontanarsi per un po’ avvolta nella sua divisa bianca e rossa poi la mia mente tornò alla realtà. Dove cavolo era finito quel dannato ragazzo?
Stava iniziando a prendermi il panico, la gola secca e le tempie che pulsavano sempre più forte ad ogni minuto che passava, annunciando un’imminente crisi di nervi.  Fra la folla vidi il preside e mi decisi a informarlo del fatto che non trovavo uno, forse due studenti quando una voce ruppe il silenzio che s’era posato su di noi come una cappa di vetro.
-AIUTO! PERFAVORE AIUTATECI! –
Isabelle Lightwood che chiedeva aiuto? Quel demone di poco prima doveva avermi colpito davvero forte in testa… mi girai verso quella che pareva la direzione da dove proveniva il suono e la vidi: insanguinata, madida di sudore e distrutta dalla stanchezza. Lei, sempre truccata alla perfezione e con i capelli in ordine, stava uscendo dalla Foresta Proibita con la manica della maglietta nera strappata, braccia e gambe coperte di lividi e ciuffi di capelli che sfuggivano caotici dalla coda alta che li domava. Dietro di lei Alexander Lightwood, se possibile messo peggio, reggeva fra le braccia una ragazza minuta dai capelli scuri e disordinati, esangue e priva di sensi: Annabelle.
In poco meno di un nano secondo mi ritrovai avvolto dallo sconcerto più totale alla gioia più sfrenata, poi sfociata in preoccupazione e di nuovo in sconcerto. Mi fiondai dritto su Alec mentre un gruppo di medimaghi spostava Annabelle dalle braccia del mio ragazzo ad una barella, più consona alla situazione. Lo sentii parlare con loro di veleno di demone e di quanto il tempo fosse prezioso per salvarle la vita. Ero solo a dieci metri da lui, poco meno di una dozzina di passi ci separavano. Mi buttai a capofitto fra le sue braccia senza nemmeno pensare alle conseguenze, dimenticandomi del fatto che la comparsa dei due fratelli e della studentessa Corvonero aveva suscitato in tutti il massimo interesse e che quindi i volti delle persone presenti, compreso il preside i miei colleghi e i rappresentanti del Ministero, erano puntate su me e lui. Lo baciai con impeto, sicuro di avergli rubato il respiro, consapevole solo del fatto che fosse lì con me. Terrorizzato, ferito e preoccupato per Annabelle, ma ancora vivo.
-wow, dovrei scomparire più spesso se è questa la tua reazione! -
La gente iniziava a mormorare, bisbigliando indignata alla vista di quella scena incestuosa, ma per me era irrilevante, come il fatto che stessi ancora poggiando i piedi a terra e non fossi già a mille chilometri dal suolo. Poteva finire il mondo, poteva Dio reclamare il suo popolo e Satana approvvigionarsi di tutto il male dell’Universo, ma non avrebbe contato nulla se solo io fossi stato vicino ad Alec.
 -Prova a farmi spaventare così un’altra volta e giuro che ti torturo e ti uccido con le mie stesse mani! –
Alec sapeva di sangue, umidità e sudore e la voce gli era calata di almeno un’ottava.
-sarebbe un onore essere ucciso dal Sommo Stregone di Brooklyn. –
Ridemmo all’unisono a quell’affermazione, poi tornai serio cercando di mettere un po’di ordine agli eventi.
-sei ferito? Cosa è successo? –
-non sono grave come sembra Magnus, non preoccuparti. Credo che la ferita più dolorosa sia stata avere la consapevolezza di non poter vedere i tuoi capelli imperlati di gel un’ultima volta. –
Gli presi il viso fra le mani scostandogli i capelli neri e umidi dal volto, arricciandoli e scompigliandoli, sfiorando i suoi zigomi come per constatare davvero la sua presenza, per aver la consapevolezza di averlo lì ad un palmo da me. Perdersi nei suoi occhi era così semplice, ma la consapevolezza di dove ci trovavamo e di cosa era appena successo prese il sopravvento.
-cosa è accaduto ad Annabelle? –
In un attimo il sollievo che bussava piano alla porta degli occhi di Alec, quegli occhi in cui era così facile perdersi, si dissolse lasciando campo libero alla preoccupazione che fino ad un attimo prima li popolava. Si guardò attorno nuovamente in preda al panico.
-dov’è? Dove l’hanno portata? –
Cercò con lo sguardo la barella rossa e i suoi capelli voluminosi e appena la scorse partì al suo inseguimento, zoppicando un po’. Io semplicemente gli andai dietro arrancando nel terreno umido di pioggia e foglie morte.
Entrammo nella sala d’ingresso improvvisata come infermeria di primo soccorso per i traumi lievi, non facendo troppo caso a chi sedeva per terra o sulle brandine. Ci fermammo solo davanti all’aula di incantesimi, probabilmente dedicata ai maghi e alle streghe che erano stati morsi dai demoni. Nella sala v’erano cinque persone, fra cui il professor Krum la cui spalla destra non sembrava per niente in ottime condizioni. Tutti gli infermi presenti si erano più o meno ripresi, per la maggior parte dormivano e riposavano, cosa normale per la situazione. A tutti erano già state somministrate le adeguate cure e la situazione era molto stabile. Solo Annabelle era preoccupante. Infatti, non solo era stata morsa, ma aveva passato molto tempo svenuta e non si conosceva di preciso da quanto il veleno le era entrato in circolo. Alec si mise a spintonare, cercando di raggiungerla, senza però troppo successo. La ragazza era circondata da un’equipe di medici ed infermieri, intenti a somministrarle dosi da elefante di antidoti magici e pozioni multicolori. Nessuno s’era davvero accorto della mia presenza. Mi schiarii rumorosamente la voce. Tutti i presenti ancora in stato cosciente si girarono verso di me, allibiti.
-scusate se vi interrompo signori. Ma non credo che tutta quella roba che le state somministrando serva a qualcosa ormai e…-
-e cosa dovremmo fare allora? Lasciarla morire? –
Un dottore sui trentacinque, di bell’aspetto, aveva preso la parola ed ora mi guardava indignato.
-dottor Malfoy, con tutto il rispetto, ho curato decine di casi come questo a New York e sebbene non abbia mai dovuto prendere queste precauzioni con un mondano, sono certo di riuscire a guarirla. –
L’uomo, malgrado avesse quasi raggiunto i quarant’anni, era di una bellezza sorprendente: capelli biondo platino scompigliati, messi a freno da un po’di gel e occhi grigio nebbia, diffidenti, capaci di farti perdere l’orientamento con un incrocio di sguardi. Spalle non troppo larghe ma di certo dotate di muscoli possenti. Avevo letto alcuni fascicoli su di lui e su come fosse diventato uno dei migliori medimaghi della storia del Regno Unito. Sapevo del suo passato da Mangiamorte ed ero convinto del fatto che si impegnasse così tanto nel suo lavoro non solo per evidente talento e orgoglio, ma anche per riscattare un suo personale debito con chi suo padre aveva umiliato ed ucciso. In fondo lui durante la guerra non era altro che un ragazzo nato sotto una cattiva stella. Alle mie parole abbassò lo sguardo e si fece da parte.
-professor Bane, non ho mai perduto un paziente. Faccia in modo che non succeda proprio questa volta. –
Lo congedai con un cenno del capo e mi avvicinai al corpo esangue della ragazza. Alec mi guardava terrorizzato, indeciso su cosa fare. L’unica altra emozione che traspariva nel suo sguardo era fiducia.
-perfavore, facciamo un po’di spazio. – chiesi gentilmente a due infermiere che subito si mobilitarono per sgombrare un po’la sala.
-Salvala Magnus! –
Disse solo prima di essere trasportato via con la forza da un indispettito dottor Malfoy.
-ti sei già dimenticato che sono stato io a salvarti dal veleno di un demone superiore giovane Lightwood? –
Sussurrai fra me e me ormai concentrato su mille formule e incantesimi di guarigione.
“Mettiamoci al lavoro, e tu ragazzina non fare scherzi!” pensai corrugando la fronte.


ANGOLO DELL’AUTORE:
Ed eccomi qui! Credevate di essermi liberati di me vero? Ahahahahahaha!
A parte gli scherzi, mi scuso immensamente con voi per il mega ritardo, ma la scuola ha preso il sopravvento sul mio tempo libero e anche sul mio sonno! Diciamo che non faccio una dormita decente da almeno… due settimane! Fra un impegno e l’altro sono riuscita a scrivere pezzi del capitolo e finalmente eccolo qui, pronto per essere letto e (spero) apprezzato!!
Come già detto in precedenza la mia vita non sta seguendo affatto uno schema regolare quindi non posso assicurarvi nulla sulla prossima data di pubblicazione. Quindi, se non ci sentiamo prima del 20, felici Hunger Games a tutti e possa la fortuna sempre essere a vostro favore (nel trovare un posto al cinema)!
Elisa

 

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Capitolo 11
*** Dura Lex, Sed Lex ***


~~CALL IT MAGIC
Dopo aver urlato ogni insulto possibile alla porta sbarrata dell’aula di incantesimi ed ai due infermieri che mi tenevano fermo per evitare che buttassi giù tutta l’ala est del castello, decisi che dovevo fidarmi di Magnus e mi fu consigliato di tornare nel mio dormitorio per riposarmi. Giunto alla torre ovest, risposi stancamente all’indovinello postomi dal batacchio di bronzo e appena la porta nera e lucida si aprì, un milione di occhi si puntarono su di me e all’unisono tutti trasalirono, sussurrando il mio nome. Dopo alcuni secondi che a me parvero ore di imbarazzante silenzio, mi s’avvicinò un ragazzo alto e dai capelli biondi che mi avvolse in un abbraccio soffocante e mi parlò con la voce carica di tensione:
-Alec! Stai bene? –
Mi chiese squadrando i miei vestiti logori e i capelli scompigliati.
In poco tempo tutta la stanchezza e la rabbia repressa di quella giornata vennero vomitate dalle mie labbra.
-TI SEMBRA CHE STIA BENE MALEDETTO VIGLIACCO?! –
Juliàn assunse un’espressione ferita, da cane bastonato.
-Ma cosa stai dicendo? Alec sei solo molto stanco… -
Non gli permisi di sputare mezza parola di più.
-IO NON SONO AFFATTO STANCO! JULIÀN AVEVI L’ETÀ PER VENIRE LÀ FUORI A COMBATTERE INVECE CHE STARE RINTANATO IN DORMITORIO! ANNABELLE È QUASI MORTA LÀ FUORI! ED È ANCORA IN PERICOLO… -
Malgrado stessi urlando, la mia voce s’incrinò pericolosamente.
-cos’è successo ad Annabelle? –
Alcuni ragazzi posero la domanda all’unisono, non ricevendo risposta.
-Alec ti prego, vai a riposarti… -
Disse con voce calma cercando di sfiorarmi la spalla.
-NON TOCCARMI! LASCIAMI STARE! SEI SOLO UN CODARDO… -
-sono rimasto qui a vegliare su tutti gli altri! –
-POTEVI LASCIARE IL COMPITO AI PREFETTI! SONO MOLTO PIÙ SVEGLI DI TE SAI? MA NON TI SEI ACCORTO CHE ERI L’UNICO DEL NOSTRO CORSO AD ESSERE QUI?! TUTTI GLI ALTRI ERANO LÀ FUORI A RISCHIARE LA PROPRIA VITA, E MOLTI SONO ANCORA IN INFERMERIA MENTRE TU TE NE SEI STATO QUI AL SICURO A “VEGLIARE SUGLI ALTRI” ?! –
Feci le virgolette con le dita per evidenziare quanto la situazione fosse ridicola.
-OH, MI SCUSI SIGNOR SHADOWHUNTER DEI MIEI STIVALI! SCUSA SE NON SIAMO STATI TUTTI EDUCATI A RISCHIARE LA PELLE ALLA MINIMA RICHIESTA DI AIUTO COME TE OKAY? SCUSA SE NON PRENDIAMO ESEMPIO DAL NOSTRO MAGNIFICO E IMPAVIDO CAPOSCUOLA SENZA PAURA CHE È NATO E CRESCIUTO CON LA MORTE AL SUO FIANCO! E ADESSO NON VENIRE A LAGNARTI SUL FATTO CHE LA TUA VITA SIA INGIUSTA QUA DA NOI! –
Mi si avvicinò sogghignando, come se stesse godendo della situazione e delle parole che mi stava rivolgendo contro. Non lo avevo mai visto così. Juliàn era sempre stato un ragazzo tranquillo e solitario, forse anche troppo, ma in quel momento assomigliava più a Salazar Serpeverde nel pieno di un attacco d’ira.
-So bene cosa combini Lightwood. Ti ho visto l’altro giorno con il professor Bane: sembrava molto più di un normale rapporto fra insegnante e studente a meno che adesso il regolamento sia cambiato e per prendere un Eccezionale sia richiesto anche un palpeggiamento del fondoschiena. –
Un’esclamazione di stupore divampò repentinamente da ogni angolo della sala comune e la gente iniziò a mormorare e a guardarmi indignata, proprio come era successo al prato poco meno di un’ora addietro.
-non osare… -
Sibilai al ragazzo che adesso troneggiava in tutta la sua altezza su di me, assaporando ogni secondo di quell’oblio che mi stava tessendo attorno.
-oh, certo che oso! A quanto pare non sei poi così perfetto Alexander. Forse ti sei stancato di rispettare il regolamento perché, per quanto ne so, tu e il nostro giovane ed attraente professore di Difesa Contro le Arti Oscure avete infranto almeno una decina di regole in poco meno di tre settimane... complimenti! Avete battuto il record dei leggendari gemelli Weasley! –
In quel momento mi sembrò di scoppiare. L’adrenalina pulsava ancora irrefrenabile nelle vene e per un momento pensai di prendere per la gola quel maledetto figlio di… ma non lo feci. Rovistai solamente nella tasca interna del mio mantello alla ricerca della bacchetta di legno di pesco e gliela puntai al petto.
-STUPEFICIUM! –
Gridai e in poco meno di un millesimo di secondo Juliàn era volato per aria sbattendo violentemente la schiena contro al muro opposto all’entrata, svenuto. Guardai tutti i miei compagni, che mi fissavano con gli occhi fuori dalle orbite e pallidi in viso.
-Lasciatelo lì a marcire quel verme. Non si merita la vostra compassione. –
Tutto d’un tratto l’effetto dell’adrenalina si estinse lasciando posto ad un’improvvisa stanchezza. Semplicemente mi feci scorrere lungo la parete, tenendomi la testa fra le mani. Sapevo che Juliàn aveva ragione. Avevo infranto il regolamento ma soprattutto avevo messo in pericolo Magnus. Lacrime lente e amare iniziarono a incidermi le guance esangui come uno stilo traccia silenzioso i suoi marchi e leggeri tremiti mi percorsero il corpo. Sentii che qualcuno mi stava sfiorando la spalla, o forse era solo una conseguenza della stanchezza che mi stava divorando come una bestia vorace. Alzai lo sguardo e vidi stringersi attorno a me tutta la squadra di Quidditch di Corvonero, escluso il portiere.
Cashmere si sedette accanto a me avvolgendomi le spalle con un braccio, cercando di rassicurarmi.
-Alec, Alec cerca di calmarti… è tutto a posto okay? Noi siamo dalla tua parte e credo anche il resto delle persone in questa stanza. –
Tutti i Corvi, dal primo al settimo anno, annuirono alle parole della bionda.
-Quello che proviamo per te non è cambiato. Di certo non sarà Juliàn a modificare l’opinione che abbiamo delle persone che amiamo davvero. Per noi sarai sempre un modello da seguire. –
Scostai un poco le braccia dagli occhi e vidi Eric ed Aaron annuire all’unisono, seguiti poi da Amira e Julia.
-è normale che tu sia così distrutto, ma vedrai che Annabelle starà bene, ha solo bisogno di riprendersi. È sempre stata una ragazza forte. -
Annuii anche se non ero affatto convinto delle parole del mio capitano.
-forza, portiamolo in dormitorio. E che qualcuno sistemi quell’essere. –
Disse acida Amira indicando Juliàn com lo sguardo. In un batter d’occhio venni sollevato da Aaron e da Eric che mi portarono fino alla mia stanza adagiandomi sul letto. Lì Julia prese degli abiti puliti e mi fece cambiare mentre Cashmere mi medicava le decine di graffi che mi ero procurato nella foresta. Non ricordo molto di quella sera ma quello che la mia squadra fece per me fu un gesto indimenticabile che mai scorderò.
Malgrado tutto quello che i miei amici avevano fatto per me, il mio sonno fu popolato da tremendi incubi. Rivivevo continuamente la scena nella foresta, in cui Annabelle moriva tutte le volte uccisa però da Juliàn. Dormii per poco meno di due ore, poi mi alzai dal letto e mi vestii in tutta fretta con una vecchie maglietta nera e scolorita e un paio di jeans. Mi infilai un maglione sformato di almeno tre taglie più grande ed uscii diretto verso l’aula di incantesimi. Attraversai i corridoi in silenzio, malgrado questi fossero gremiti di gente che si affaccendava a dare una mano. Voltato l’ennesimo angolo, raggiunsi l’aula sulla cui soglia v’erano ancora gli infermieri che mi avevano trascinato via a forza. Dedicai loro un cenno del capo e questi, rimanendo in silenzio, mi diedero il permesso di entrare. L’aria profumava di medicinali e disinfettante, adorna di tendine bianche che separavano i pazienti l’uno dall’altro: per fortuna sapevo quale era occupato dalla mia amica. Superai due divisorie e entrai nella terza sulla sinistra richiudendomi la tendina alle spalle. Annabelle era sdraiata su un letto dalle lenzuola bianche, indosso una camicia da notte dello stesso colore, i capelli le ricadevano sul cuscino ricordando vagamente le radici di un grosso albero. Seduto su una sedia, con la testa poggiata sul bordo del letto, v’era Magnus palesemente addormentato. Sorrisi vedendolo così e mi soffermai a contemplare quel viso che conoscevo così bene sfigurato da un leggero graffio sullo zigomo. Mi avvicinai a lui e fui vinto dalla tentazione di sfiorargli i capelli. Gli posai un leggero bacio sulla fronte e gli presi la mano stringendola forte. Con l’altra afferrai quella della mia amica, gelida come ghiaccio ma ancora pulsante di un debole soffio di vita. Rimasi così, stringendo le mani di due delle persone più care a me fino al risveglio di Magnus.


-buongiorno –
Fui risvegliato dalla voce di Alec, il miglior risveglio della mia vita nonostante avessi riposato su una sedia di plastica con la testa appoggiata al materasso di un letto d’ospedale.
-Alec… buongiorno. –
Farfugliai un po’assonnato sollevando la testa e mettendomi seduto: ogni singolo osso del mio corpo sembrava scricchiolare come un rametto secco schiacciato da uno scarpone.
-come stai? –
Domandò mettendosi la mano fra i capelli per tirarseli indietro. Erano decisamente troppo lunghi ma lui non sembrava farci caso. E poi Alec era bello proprio perché era spontaneo e incurante di quello che pensava la gente attorno a sé.
-sei bellissimo –
-come? –
-ho detto che sei bellissimo –
Lui mi squadrò da cima a fondo probabilmente pensando che avessi bevuto qualche pozione soporifera di troppo o che avessi picchiato forte la testa. Le guance gli si tinsero di rosso.
-smettila Magnus… -
-ma che ho detto di male? –
-nulla, è solo che… -
In quel momento la porta dell’aula si spalancò lasciando entrare il preside Paciock ancora vestito con gli abiti che gli avevo visto il giorno prima e i capelli arruffati e sporchi di sangue.
-signor Bane… mi avevano avvisato della sua presenza… -
Gli occhi gli caddero su Alec che teneva la mano accanto alla mia poggiata sul letto.
-oh, buongiorno signor Lightwood. Come si sente? Ho saputo che insieme a sua sorella ha eroicamente salvato la signorina Price ieri. –
-era mio dovere signore. –
Per i Nephilim era normale avere a che fare con persone di una certa autorità ed Alec rimase impassibile nel sentir nominare Annabelle nonostante l’angoscia gli stesse divorando le pareti delle vene.
-ebbene, dovevo parlare ecco… con entrambi quindi, se mi fate il favore di seguirmi nel mio ufficio… -
-e chi veglierà su Annabelle? –
Nonostante l’autocontrollo, le sue emozioni abbatterono le barriere rivelando il suo voler rimanere accanto all’amica fino al suo risveglio.
-ci penserà il personale medico signor Lightwood, non si preoccupi. –
-voglio essere il primo che lei vedrà quando i suoi occhi si riapriranno. –
-ci sono cose più importanti in questo momento signorino e adesso mi segua, non ammetto obiezioni. –
Sapevo cosa voleva dirgli. Cosa c’era di più importante della vita di Annabelle? Beh, ovviamente, le vicende di poche ore prima. Dovevano calmarsi le acque, fare in modo che il caso venisse isolato e che le difese fossero aumentate, rassicurare il paese sul fatto che non sarebbe scoppiata nessuna nuova guerra. Ma nemmeno io ne ero più sicuro… demoni ad Hogwarts? Impossibile. Hogwarts era il luogo più sicuro di tutta la Gran Bretagna. Appunto… era.
Uscimmo dalla stanza senza proferir parola con il preside che ci precedeva e noi due dietro a testa china. Uno di fianco all’altro, silenziosi, due prigionieri condannati alla pena di morte.
-bene, siamo di nuovo qui. –
Disse il professor Paciock appena si sedette sulla sua poltrona dietro la scrivania facendo comparire due sedie per me e il mio accompagnatore.
-dove tutto è cominciato… -
Mormorai io a denti stretti. L’uomo mi dedicò uno sguardo di ghiaccio per poi soffermare lo sguardo su Alec. NESSUNO aveva il diritto di guardarlo con quello sguardo accusatorio. Nessuno. Ma lui era il preside e poteva tutto.
-credo sappiate entrambi il motivo della vostra presenza qui. –
-lui non c’entra niente! –
Alec s’era alzato in piedi, rosso di rabbia, incapace di contenere le sue emozioni.
-qui sono io a decidere chi ha ragione e chi ha torto Lightwood. –
Non l’avevo mai sentito parlare così. Neville Paciock era sempre stato un uomo piuttosto bonario, ma doveva pur far rispettare la Legge…
-come già detto prima a lei, professore, avete infranto uno dei punti del nostro regolamento. È inammissibile una cosa del genere. Avete un ruolo all’interno di questa realtà scolastica piuttosto rilevante e io non posso permettere che nella mia scuola si infranga il regolamento con tanta frivolezza… -
-FRIVOLEZZA?! MA LEI CHE NE SA DI COSA È DAVVERO IMPORTANTE NELLA VITA?! –
-NON PARLARMI IN QUESTO MODO RAGAZZINO! LEI NON È CERTO L’UNICO CHE NELLA VITA CI HA PIÙ PERSO CHE GUADAGNATO! Ho vissuto una guerra, gli anni che ne sono seguiti e adesso gestisco una scuola. La mia scuola. In passato ho infranto anch’io il regolamento, ma non certo per interessi miei. –
Sapevo cosa avrebbe fatto il ragazzo seduto alla mia destra, ma non so come riuscii a prendergli la mano e a stringergliela forte prima che potesse dire qualcos’altro.
-è lodevole il contributo che avete dato nello scontro di ieri, ma non posso rimanere indifferente mi capite? Dura Lex, Sed Lex. Mi può comprendere signor Lightwood. –
L’intero corpo del Nephilim si irrigidì a quelle parole ed io non potei fare a meno di notarlo.
-Dura Lex, Sed Lex. Lo so. Quindi cosa vuole farci? Impedirmi di avvicinarmi a Magnus? Se lo caccerà, non si aspetti che io rimanga signore. –
-non ho alcuna intenzione di cacciare nessuno dei due. Vi sto solo dicendo… di stare più cauti. Vi ho visti là fuori, li ho visti i vostri sguardi. Ho visto quell’espressione poche volte nella mia vita e sul viso di persone a cui affiderei la mia esistenza. Solo poche volte nei momenti peggiori e voi siete come loro ed io ho potere su tutto entro queste mura fuorché l’amore. O almeno quello vero. -
I miei occhi incontrarono quelli azzurri di Alec alimentati da una scintilla di speranza.
-quindi sta dicendo… -
-sto dicendo che dovrete stare attenti. Ma finché questa storia rimarrà fra le mura di quest’ufficio non c’è nessun vero pericolo. Dopotutto, non si può condannare nessuno senza delle prove. Fate in modo che io né terzi ne abbiano. –


ANGOLO DELL’AUTORE:
Buon pomeriggio carissimi! Eccomi qui con un nuovo capitolo! Spero vivamente che vi sia piaciuto e non vedo l’ora di leggere le vostre opinioni!!! Cosa succederà adesso? Come si evolverà la situazione? Ma soprattutto… chi è stato a permettere ai demoni di superare i confini inviolabili della scuola di magia? Avranno mai pace questi due ragazzi? Io credo di no, anche perché non sarebbe così divertente!
Un bacio,
Elisa

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Capitolo 12
*** Domande e chiarimenti ***


CALL IT MAGIC


“Non si perdona qualcuno perché si ritiene di non avere altra scelta. Quello non si chiama perdono, si chiama disperazione.”
Sarah Addison Allen, Giorni di zucchero fragole e neve


Erano passate due settimane dalla notte della battaglia e le cose stavano pian piano tornando alla normalità. Annabelle era continuamente sotto osservazione ma sembrava reagire bene alle cure prescritte dai medici, le lezioni erano iniziate da tre giorni e tra i corridoi aleggiava già un perenne vociare su quanto i professori stessero caricando di compiti i poveri studenti e sui leggendari diritti di quest’ultimi di avere una sola verifica al giorno o la possibilità di eliminare il coprifuoco.
A volte gli incubi mi assalivano riportandomi sempre nella stessa foresta, in quella radura circolare con i demoni ed Annabelle… Isabelle che veniva scagliata via con forza da una delle code dei demoni, si accasciava contro al troco di un albero e non si alzava più mentre il sangue iniziava a colarle dalla testa. Magnus che rimaneva a corto di energie proprio mentre un enorme creatura lo assaliva e se lo portava via con sé, nell’oblio più totale. Mai mi è capitato di sognare la mia morte. Io rimanevo sempre incolume, avvolto nella mia aura da codardo, consapevole di essere l’unico sopravvissuto. Al mio fianco solo il senso di colpa. Mi svegliavo costantemente in un bagno di sudore con le gambe attorcigliate fra le coperte e la paura che ciò che avevo sognato si avverasse. Quella mattina dovevano essere all’incirca le sei così ne approfittai per fare una corsa lungo il lago. Faceva piuttosto freddo ma con una felpa e dei pantaloni lunghi si stava bene. Iniziai a correre ammirando le foglie ormai morte ammucchiate agli angoli del sentiero e ascoltando ancora insonnolito il regolare infrangersi dell’acqua lungo la riva. Corsi finché non mi fecero male le gambe e mi fermai appoggiandomi al troco di un vecchio salice riprendendo fiato e regolarizzando il battito del cuore. D’un tratto sentì un suono continuo, regolare, di un battere di mani, proprio come… un applauso.
-vedo che nonostante tutto non hai smesso di tenerti in forma fratellino. –
Eccolo, il tipico tono scherzoso degli Herondale, quella nota pungente di ilarità caratteristica di Jace.
-che ci fai qui? –
Chiesi più incuriosito che scocciato.
-quello che stai facendo tu Alec, non è ovvio? –
In effetti aveva l’aria un po’ affaticata. Si passò una mano fra i capelli color miele, gocce di sudore scivolavano lungo il viso evidenziandone gli zigomi pronunciati ormai tipici di un uomo e non più di un ragazzo. Jace avrebbe avuto un aspetto mozzafiato anche dopo aver passato dieci giorni nella Foresta Amazzonica senza cibo né acqua.
-corriamo insieme? Come agli allenamenti all’Istituto? –
Lui sorrise e sbatté le palpebre un paio di volte prima di rispondere.
-volentieri. –
Adesso che ci pensavo, Jace non aveva mai accennato alla battaglia né a quello che successe nel prato dopo che io, Izzy ed Annabelle ci fummo lasciati la foresta alle spalle, ma ero certo che non aspettava altro che il momento giusto per chiedermelo.
-così… -
Iniziò lui dopo poco più di un chilometro.
-tu e Magnus non avete mai smesso di frequentarvi. –
Nonostante l’imbarazzo stesse tingendo le mie guance di scarlatto, io sorrisi, di quei sorrisi che si possono dedicare solo a poche persone importanti nella vita.
-sai bene che ci siamo visti tutta estate. –
Lui annuì vagamente perplesso, esortandomi a continuare.
-non abbiamo mai chiarito… ecco, quello che eravamo l’uno per l’altro e il primo giorno di scuola… per me è stato un colpo. –
Feci una breve pausa, non solo per riprendere fiato ma anche per assicurarmi che la terra sotto la quale avevo seppellito quei dolorosi ricordi non stesse per cedere facendoli riaffiorare in superficie in pochi secondi. Ci eravamo seduti su due grossi massi piatti, l’uno di fronte all’altro, entrambi con le gambe incrociate. Jace giocherellava con un filo d’erba che aveva preso da chissà dove.
-all’inizio ho provato ad ignorarlo, ma non ce l’ho fatta. -
Avrei voluto raccontargli come mi sentivo, sapevo di doverlo e poterlo fare, ma non ero certo che avrebbe capito. Come si poteva spiegare a parole il brivido che mi percorreva la schiena quando Magnus mi sfiorava una guancia, mi sussurrava all’orecchio nomignoli idioti che in fondo mi facevano sentire speciale o quando mi baciava… ogni cellula del mio corpo che emanava luce e calore, donava tutta sé stessa a qualcuno che avrebbe potuto far di me briciole.
-e ora? Cioè, cosa ti è saltato in mente? L’hai baciato davanti a tutta la scuola, al preside, persino al Ministero e ad una sostanziosa parte dei dipendenti del San Mungo! Se fosse stato uno studente non ci sarebbero stati problemi… ma un insegnante Alec! Stai andando contro il regolamento! –
-e da quando ti importa del regolamento?! –
Gli occhi di Jace diventarono color ossidiana dall’ambra che prima erano.
-da quando è il mio migliore amico e parabatai ad infrangerle! –
-Jace, stai parlando proprio come me… io ho passato una vita a dirti di non infrangere le regole! Proprio perché sai che ho questo innato senso del dovere, dovresti capire che Magnus per me è importante, non è un capriccio. –
Nonostante non accennassero a schiarirsi, gli occhi di Jace sembravano… più deboli. Come se una delle tante difese erette attorno a sé avesse subito dei gravi danni.
-io… io lo so Alec, so che è piuttosto ridicolo che sia io a dirti di stare attento dato che se ne avessi la possibilità affronterei da solo uno dei Principi dell’Inferno ma… non voglio che tu stia male. Non voglio che lui ti faccia male. Perché io ti ho visto, c’ero quando Robert… quando ha detto quelle cose e c’ero anche nei giorni successivi e ricordo ogni singolo istante perché l’agonia che passavi la vivevo anche io con te e non mi sono mai sentito così vicino ad una persona come in quei giorni. E proprio perché l’ho vissuto, perché l’ho sentito –
Si puntò forte il pugno al petto
-non voglio vederti mai più così. Voglio che tu abbia il meglio di questo mondo. Perché sei il mio parabatai, la parte migliore di me, e meriti il meglio. -
Io sbarrai gli occhi. Jace non era proprio il tipo da mostrare i suoi sentimenti. Piuttosto avrebbe affrontato in duello Voldemort in persona. Gli presi il polso gelido e lo strinsi. Il battito era veloce e irregolare sotto ai miei polpastrelli e ad ogni pulsazione sembrava che il sangue volesse riversarsi fuori dai vasi sanguigni.
-Jace, Jace calmati perfavore. Io lo apprezzo molto, non sai quanto queste parole mi rendano felice ma so anche che non posso tornare indietro. Perché non voglio. Io e Magnus abbiamo parlato con il preside e lui ha acconsentito a patto che rimanga un segreto. Ricordo anch’io quei giorni, come se li avessi vissuti quindici minuti fa. Ricordo la tua espressione e tutti i tentativi per farmi stare meglio e sono questi ricordi che mi mandano avanti. Siete tu, Isabelle, Clary… e si, un po’ anche Simon che mi date la carica ma, se voi siete il sangue che pulsa nelle mie vene, Magnus è il cuore. E il sangue senza un muscolo cardiaco non serve a niente capisci? Lui tiene legati insieme i pezzi di me. È il filo conduttore che permette a tutto di funzionare. Una persona non può vivere senza un cuore come io non posso vivere senza Magnus. –
Incrociai nuovamente lo sguardo con il suo, acqua e luce del sole che si scontravano: un arcobaleno. Jace sembrava distrutto sebbene non avessimo corso molto e gli davo ragione. Anch’io mi sentivo affaticato e stanco malgrado il sole fosse appena sorto.
-mi dispiace averti fatto questa scenata, sono solo preoccupato per te. –
-a me ha fatto piacere essere sgridato. Da che io ricordi, sono sempre stato io a sgridare te! –
Percorremmo la strada verso la scuola chiacchierando del più e del meno, gli avevo chiesto addirittura come andava la storia con Clary e come procedevano le lezioni. Io gli avevo parlato del recupero di Annabelle e degli allenamenti di Quidditch con la squadra.
Eravamo quasi sulla soglia quando ci passò accanto un ragazzo con la sciarpa blu-argento e i capelli lunghi e color platino svolazzanti: Juliàn. Teneva le mani in tasca e una ruga di frustrazione gli solcava la fronte; dopo la notte della battaglia non ci eravamo più rivolti la parola malgrado vedessi quanto odio sprigionassero i suoi occhi verdi e quante crudeltà avesse ancora in serbo per me. Non me ne rammaricavo, se anche avesse tentato di parlarmi, non sarei stato di certo loquace nei suoi confronti. Ci sono cose che non si possono perdonare e quella che aveva fatto Juliàn rientrava nella categoria. Mi sfregai le nocche fino a farle diventare rosse proseguendo la mia strada verso il castello con accanto il mio parabatai.

 

 

 

Ero contento che le cose fossero tornate alla normalità, che si fossero ripresi i regolari ritmi delle lezioni e mi mancavano le mattine scandite dal suono della campanella e dal vociare dei ragazzini al cambio dell’ora. Quel giorno Alec non aveva lezione con me cosa che mi demoralizzò non poco. Avevo una carrellata di verifiche da correggere, altrettante da fare, recuperi ed interrogazioni a sorpresa. Sebbene avessi io il coltello dalla parte del manico, odiavo la scuola. Erano i primi di Novembre e a causa dell’attacco da parte dei demoni non s’era organizzata nessuna festa di Halloween. Appena ebbi iniziato a correggere un’esercitazione di un Grifondoro del terzo anno in cui chiedevo la descrizione dettagliata di come affrontare un molliccio, ecco che qualcuno bussò alla porta.
-avanti! –
Dissi senza nemmeno sforzarmi di assumere un tono allegro nella voce. Dietro la porta sbucò prima una chioma selvaggia rosso fuoco, poi il corpo minuto di una ragazza Tassorosso che ormai conoscevo troppo bene.
-mi aveva chiamato professore? –
-oh, ciao Clary. Prego, siediti. –
Speravo di incrociare gli occhi azzurri di Alec, invece mi ritrovai immerso in quelli color smeraldo di Clary e la delusione era evidente nel tono della mia voce.
-la vedo un po’stravolto professor Bane. –
-sai bene che puoi chiamarmi Magnus quando non sto tenendo una lezione biscottino. –
-scusami, è che dopo un po’ ci si fa l’abitudine immagino. –
Mi presi il mento fra pollice ed indice con fare pensieroso.
-suppongo di si Clarissa, non saprei… -
Lei mi guardava come si guarda un matto rinchiuso in un manicomio. Dovevo avere un aspetto piuttosto malconcio per far compassione a Clary, la regina dei jeans strappati e delle magliette da nerd troppo grandi rubate dall’armadio di Simon, ma non ne davo molta importanza in quel momento. Dopotutto, fare l’insegnante era peggio che andare in guerra sotto certi punti di vista.
-cosa dovevi chiedermi? Riguarda Alec? –
Sembrava veramente preoccupata per lui malgrado le loro rivalità iniziali.
-no, lui non c’entra nulla, riguarda me. –
-è qualcosa di grave? –
I suoi occhi verdi mi fissavano sinceramente turbati e quasi mi fece tenerezza nel suo metro e sessanta scarso di altezza.
-no, volevo solo chiederti un favore. Mi è capitato, in questi giorni, di sentirmi parecchio strano: leggeri vuoti di memoria, vertigini, incubi… e non saprei a cosa associarli. So che sei molto brava in antiche rune ed ecco –
Le porsi un foglio di pergamena ingiallito, sul cui dorso era stato tracciato più e più volte lo stesso disegno. Tre linee orizzontali che tagliavano un segmento verticale che a sua volta si diramava lungo il foglio formando un intricato labirinto di intersezioni e figure geometriche irregolari e sconnesse.
-questo… segno, l’ho disegnato parecchie volte in sogno in questi giorni. Ho confrontato il Libro Grigio, non che sperassi di trovare qualcosa dato che non sono uno Shadowhunter anche se in passato ne ho conosciuti fin troppi, ho guardato e riguardato tutti i miei manuali sulle rune non solo angeliche ma anche demoniache e di questo simbolo ho trovato meno di zero. Vorrei che tu, dato che sei la migliore della scuola in Antiche Rune e sai crearne di nuove, mi aiutassi a venir capo a questa situazione. Potresti provarci? –
Clary era rimasta zitta tutto il tempo ascoltandomi paziente e appena mise mano sul foglio ed esaminò la runa scosse la testa.
-non l’ho mai vista né la mia mente mi dice qualcosa. Però sento che ha un significato profondo, anche se non riesco a capirne l’origine. Sembra quasi fatta apposta per non esserne rintracciata la provenienza. Sei sicuro di non aver trovato nulla? –
Scossi di nuovo la testa.
-non ti avrei menzionato questa storia se non fosse perché da solo non riesco a venirne a capo. –
Lei annuì, probabilmente pensando che avessi ragione.
-beh, sono felice di aiutarti. Se scoprirò qualcosa ti farò sapere. –
-okay, ed evita di parlarne con gli altri, non voglio si preoccupino per niente. –
-va bene, la esaminerò. Spero di riuscire a trovare qualcosa di utile. Magari nel reparto proibito qui alla biblioteca. –
-già controllato, non c’è niente. Conto solo sul tuo talento. -
-grazie Magnus, tornerò da te appena saprò qualcosa. –
Io annuii grato alla ragazza e la segui con lo sguardo mentre usciva dall’aula.
-ah, Clary! –
Lei affacciò di nuovo la testa.
-cosa c’è? –
-grazie infinite –
Lei sorrise teneramente.
-questo ed altro per gli amici! –
Appena uscì dalla stanza, crollai sulla cattedra. Non avrei concluso nient’altro di buono quella sera, dovevo assolutamente vedere Alec. Presi piuma e un foglietto di pergamena trovato sul tavolo e scrissi frettolosamente il messaggio per poi mandarlo con il fuoco. Raccolsi in fretta tutte le mie cose e uscì dall’aula. Erano le otto.
Sul biglietto avevo scritto poche parole:

“Vediamoci stasera alle nove nelle mie stanze, ho bisogno di vederti.
                      Magnus”

 

ANGOLO DELL’AUTORE:
Buonasera ragazzi miei! Avete tutto il diritto di uccidermi dato che sono in un ritardo pazzesco quindi semplicemente mi giustificherò con le seguenti, familiari parole: la scuola. Settimana scorsa ho scritto una one-shot sul manga junjou romantica e anche per questo ho ritardato un po'con la stesura del capitolo.
Almeno sono andata a vedere Hunger Games e sono così… così sconvolta! Oh il mio povero, povero Peeta!
*prova a riprendersi dallo sfollo da fangirl* PER NON PARLARE DEL LIBRO CHE È DA POCO USCITO IN LIBRERIA! Le cronache di Magnus Bane il 13 Dicembre sarà mio! Muahahahahahahahah! (Risata malvagia da suprema dea del male). Come per tutti i capitoli spero che anche questo vi piaccia e sapete ormai fin troppo bene che ci tengo ci tengo ci tengo a sapere che ne pensate.
Spero a presto (se l’interrogazione di storia di venerdì andrà bene)!

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Capitolo 13
*** Ricordatelo ***


CALL IT MAGIC
Mancava un quarto d’ora allo scoccare delle nove ed io mi trovavo già di fronte alla porta dietro la quale v’erano le stanze private di Magnus. Alzai il braccio, la mano a pugno pronta a bussare, poi la riabbassai.
Cos’era successo? Non l’avevo visto per tutto il giorno e poi quel messaggio… Avrei voluto spalancare la porta e chiedergli quale fosse la causa, abbracciarlo e perdermi nei suoi baci. E se fosse successo qualcosa di grave? Se il preside gli avesse comunicato che qualcuno ci aveva scoperti? No, impossibile, eravamo stati cauti… anche adesso avevo delle rune dell’invisibilità che mi correvano su per l’avambraccio. Alzai di nuovo il braccio. Bussai piano, un battito inudibile ne scaturì.
“Okay Alec, tira fuori le palle una buona volta!”  Pensai.
Bussai più forte in modo che fosse udibile all’orecchio umano e dopo circa un minuto la porta si aprì rivelandone il residente: Magnus indossava un paio di pantaloni neri in pelle ed una camicia verde smeraldo perfettamente stirata, i capelli color ebano bagnati, segno che aveva appena fatto la doccia. Era magnifico ed era semplicemente, tipicamente Magnus. Chi avrebbe indossato dei pantaloni di pelle per correggere una montagna di verifiche o per stare stravaccati sul divano?! Alzai lo sguardo sul suo viso e incrociai i suoi occhi. Occhi da gatto, furbi e pericolosi, giallo ocra, caotici. Ricordavano una tempesta di sabbia e rappresentavano tutta la perfezione che si poteva trovare solo nelle cose create dalla natura più incontaminata.
-Entra. –
Io ubbidii. L’aveva detto piano, gentilmente, ma nelle sue parole c’era tutta la decisione del mondo. Lui richiuse la porta subito dietro di me.
-Magnus, cos… -
Ma lui mi aveva già attirato a sé con un impeto che mi lasciò quasi senza fiato per poi baciarmi. Sapeva di sandalo, preoccupazione e desiderio. Le sue labbra erano morbide al contatto con le mie. Quando ci staccammo, io mi ritrovai con la schiena al muro e cercai di nuovo i suoi occhi prendendo il suo viso fra le mani.
-Magnus, perché mi hai chiamato? Cosa è successo? –
-niente. –
Si liberò dalla mia presa piuttosto velocemente iniziando a baciarmi il collo. Io gemetti più per la sorpresa che per vero e proprio piacere anche se mi bastava solo la sua presenza per sentirmi già bene.
-e allora perché sono qui? –
Le sue mani correvano frenetiche sul mio corpo, esplorandolo in continuazione, come a memorizzare ogni centimetro di pelle. Mi sentivo inadeguato avvolto nella mia divisa Corvonero: sapevo di volere di più. Liberarmi di tutte le ansie che si erano sovraccaricate in quelle due settimane, la tensione e la preoccupazione per le persone a cui volevo bene. Volevo stare con lui, volevo che il mondo si dissolvesse, lasciando solo noi due, l’unica cosa davvero indispensabile.
-avevo… bisogno di vederti. –
A guardarlo adesso sembrava davvero un gatto, le mani lunghe e affusolate che mi sfioravano i fianchi e la schiena, gli occhi che memorizzavano ogni dettaglio del mio viso, il suo sguardo adoratore che mi faceva sentire così indispensabile, così unico, che tutte le volte mi toglieva il respiro. Un’improvvisa scarica elettrica mi percorse la schiena, ed ero convinto fosse per il piacere.
-Alec… tu non sai quanto ti voglio. –
Lui, che pronunciava quelle parole a me, con quella voce così rauca e bassa e seducente, lui con la sua bocca, le sue spalle, i suoi fianchi… lui, che mi sembrava così lontano avvolto in quei vestiti. Ansimai un po’ prima di rispondere dato che Magnus non aveva nessuna intenzione di lasciarmi.
-e allora prendimi. –
Sorprendentemente fui io a spingerlo verso il grande letto a baldacchino che spiccava nella stanza come una rosa in un campo di margherite mentre lui continuava a tenermi stretto a sé, come se avessi potuto dissolvermi da un momento all’altro, come se avesse paura che io me ne andassi via, improvvisamente pentito del meccanismo che avevo messo in moto. Sapevo che era impossibile. Lo volevo troppo e mai mi ero sentito così deciso, mai avevo agito senza prima pensare come avevo invece fatto qualche secondo prima. Semplicemente, come camminare o leggere, mi ero sdraiato sul letto e Magnus con me, tenendosi sollevato con i gomiti in modo che non mi schiacciasse con il suo peso: aveva i capelli scompigliati che gli ricadevano sul viso e sugli occhi in riccioli ribelli e multicolore, le guance rosse per l’emozione.
-Alec… ne sei sicuro? –
-Magnus nella mia vita non sono mai stato sicuro di niente, da bambino ero indeciso persino su come allacciarmi le scarpe. Ma tu, tu sei l’unica mia scelta buona, l’unica che ha avuto solo conseguenze positive e per nulla al mondo mi tirerei indietro. Perché sei l’unico che voglio e che mai vorrò. Ricordatelo. –
A quel punto Magnus riprese a baciarmi come faceva quando davvero ne aveva bisogno, lasciandomi con la sensazione di non avere più aria nei polmoni, come se l’atmosfera si fosse improvvisamente privata di tutto l’ossigeno e l’unica cosa che ci rimaneva prima di morire soffocati erano i nostri occhi. Mi aveva baciato così solo all’inizio della battaglia e in quella rientranza di un corridoio anonimo, di cui nemmeno ricordavo il piano, ma che aveva ospitato l’inizio della parte migliore della mia vita. Sentii le sue dita incespicare sul primo bottone della mia camicia ma prontamente iniziai a baciargli il collo, esortandolo a continuare. Primo bottone, secondo, terzo, quarto, fino a quando non raggiunse l’ultimo e me la sfilò dalle spalle. Il freddo della stanza mi percorse il corpo per un millesimo di secondo, subito sopraffatto dal calore delle mani di Magnus. In qualche modo riuscì a issarmi a cavalcioni sopra di lui e a sfilargli la camicia tanto meticolosamente quanto fugacemente mentre lo sentivo tremare ogni volta che lo sfioravo.
-hai le mani così fredde Alec… -
Disse lo stregone accarezzandomi una guancia.
-è perché non ho nessuno che me le scaldi –
Magnus sorrise a quelle parole che lo incitavano ancora di più ad andare fino in fondo, a prendermi e a non lasciarmi mai più, come se fossi potuto scappare da qualche parte.
Ci ritrovammo entrambi a petto nudo e notai piacevolmente che malgrado Magnus fosse più esile di me aveva delle spalle da mozzare il fiato e la pelle olivastra faceva risaltare i muscoli ben delineati sul petto. La vena che aveva sul collo sembrava stesse per scoppiare e quando la baciai nuovamente, la sentì sulle mie labbra con il suo pulsare veloce e irregolare che era addirittura più forte degli ansiti di lui. Abbassai lo sguardo su quei dannati pantaloni di pelle neri e lucidi desiderando solo toglierli di mezzo anche se allo stesso tempo ne ero intimidito. Indugiai su quel bottone argentato sfiorandolo per un po’ finché Magnus non mi prese la mano e mi fece sdraiare sul letto, lui di nuovo sopra di me, riprendendo il controllo della situazione questa volta certo di non perderlo più.
-faccio io-
Aveva detto.
-fermami in qualunque momento okay? –
Io, troppo emozionato anche solo per distogliere lo sguardo dal suo stomaco, annuii leggermente mentre sentivo la stoffa morbida dei pantaloni della divisa scivolare lungo le gambe. Quando li sentii cadere con un fruscio leggero sul pavimento in pietra della stanza, vidi Magnus che iniziava ad armeggiare con i suoi. Raccogliendo tutto il coraggio che avevo, forse complice l’adrenalina o il senso di pazzia che mi stava lentamente invadendo, lo fermai.
-aspetta, voglio farlo io. –
Lui mi sorrise così teneramente che quasi mi venne da piangere.
-sono completamente tuo, -
 Mi sussurrò.
–lo sarò per sempre. –
E quelle parole rimbalzarono sulle pareti della mia mente per tutta la sera, non trovando un posto consono a contenere tutta quella felicità. I miei polpastrelli sfiorarono di nuovo il materiale liscio e duro del bottone argentato, questa volta non più titubanti. Lo feci scorrere nel buco che lo teneva imprigionato e appena questi fu libero, li sfilai con tutta la lentezza del mondo, esaminando ogni centimetro di pelle che man mano veniva scoperto.
-li hai scelti proprio bene i boxer –
Mi fece notare Magnus.
-si intonano al colore dei tuoi occhi –
Io risi perdendomi nell’immensa gioia di quel momento. Era sorprendente come Magnus fosse capace di farmi sentire a mio agio anche in una situazione così emozionante e a me del tutto nuova. Lui buttò di nuovo l’occhio sul capo di biancheria, infilò l’indice oltre l’elastico e lo fece scorrere sul bordo mantenendo un sorriso sornione e curioso. Mi attirò a sé e mi baciò facendo scorrere le mani sempre più oltre il bordo dei boxer e facendomi sobbalzare per la sorpresa causando un irrigidimento generale di tutti i muscoli del mio corpo.
-Magnus… -
-stai calmo –
-fai in fretta ti prego! –
Ci ritrovammo senza vestiti ma non mi sentivo affatto imbarazzato né intimidito. Forse la gente intendeva questo quando diceva che solo con la persona giusta si può essere davvero se stessi.
I minuti scorsero veloci fra grovigli di coperte, baci e sudore e se era quello che si provava da ubriachi o da drogati giuro, avrei fatto di tutto per non rimanere in astinenza da Magnus.
 
 
 
 
Alec occupava il posto accanto al mio nel letto. Mi ripetevo quel fatto ovvio nella mente da quando i miei  occhi s’erano aperti e invece del pelo grigio e arruffato di Chairman Meow avevo visto i capelli neri del mio ragazzo. Il mio ragazzo… era strano definirlo così; risultava sdolcinato e innaturale sebbene quello fosse il titolo che gli spettasse. Dormiva di fianco rivolgendomi la schiena che si sollevava e abbassava ad ogni respiro regolare. Era pallido e sotto la pelle si intravedevano oltre alle vene azzurrine anche le scapole e i muscoli tipici di un Cacciatore. Mi avvicinai un po’di più a lui cingendolo con un braccio e avvicinando il mio viso alla sua nuca, memorizzando l’odore della sua pelle  e sfiorandogliela piano con le labbra. Alec sapeva di ciliegio e sudore, ormai intriso sul suo corpo dopo innumerevoli battaglie e  scontri. Amavo quell’odore che solo poche ore prima s’era mescolato con il mio ed avergli lasciato qualcosa di così personale come il mio profumo mi regalava un forte senso di appartenenza.
-buongiorno –
Gli sussurrai all’orecchio mordendone il lobo.
-è ora di alzarsi –
-mh mh –
Mugolò lui tutt’altro che desideroso di svegliarsi. Si girò verso di me mettendosi una mano sotto al viso per appoggiarsi meglio: aveva gli occhi gonfi di sonno e i capelli scompigliati, lo sguardo era quello di un bambino che non ricordava bene dove si trovasse. Io non resistetti e posai le mie labbra sulle sue, delicatamente. Lui mi attirò a sé spostandosi poi a cavalcioni sopra di me.
-buongiorno Magnus –
-buongiorno ancora Alec –
-per questa volta te lo perdono, ma ricordati che è sempre meglio non svegliare un Nephilim addormentato. –
-oh, sto già tremando dalla paura Cacciatore –
Gli soffiai sulle labbra le ultime parole, ed io lo sentii sorridere.
-quale punizione mi spetterebbe per questo imperdonabile affronto?–
-beh, potresti aiutarmi a trovare qualche idea non credi stregone? –
Iniziò a percorrermi il busto con le mani, soffermandosi particolarmente sul bacino e sulle clavicole, facendomi il solletico. Si abbassò fino ad arrivare all’altezza del mio collo, nel punto proprio sotto all’orecchio.
-avevo qualche idea in mente però ho bisogno di te per metterla in pratica. –
-sarei felice di aiutarti ma abbiamo scuola. –
-ma... –
-niente ma. Sei il mio ragazzo ed il mio studente, spero che tu abbia fatto i compiti che avevo affidato settimana scorsa. –
Lui mi guardò malizioso; ero certo che avesse in mente qualcosa.
-il tuo ragazzo hai detto? –
-si, il mio ragazzo. Ti avviso però che dopo una notte di sesso non sono troppo loquace quindi… -
Non mi fece terminare la frase che già partì alla carica.
-e quindi cosa mi fa se non svolgo i compiti professore?  -
Io sorrisi in un modo molto simile al suo, deciso ad assecondare i suoi giochetti.
Gli feci segno di avvicinarsi a me e quando mi fu a breve distanza gli avvolsi i fianchi con le gambe, mi sollevai e lo feci cadere sul letto, sotto di me, in trappola fra le mie braccia. Mi avvicinai al suo orecchio, mordendolo di nuovo come avevo fatto poco prima e lo sentii sobbalzare, desideroso di avere di più.
-signor Alexander Lightwood, se non ha svolto i miei compiti non rivedrà questo letto per un bel po’ e nemmeno me fuori dall’orario delle mie lezioni. –
Lui rise, mettendo il broncio e fingendosi un po’offeso.
-uffa! Non ho voglia di studiare, voglio fare l’amore! –
Io arrossii violentemente, nemmeno io volevo passare la giornata correggendo verifiche e non avevo la minima intenzione di allontanarmi da lui ma sapevo anche che non potevo assecondarlo sempre.
-abbi pazienza e tracciati quei marchi che tra poco ti sbatto fuori! –
Lo baciai con passione, mettendogli una mano sotto la nuca e l’altra all’altezza del cuore.
-ed ora alzati. –
Mi sedetti sul letto mentre lui si alzava e si rivestiva. Nel prendere la maglietta, alzò nuovamente lo sguardo su di me, inarcando un sopracciglio.
-mettitela prima che ti salti di nuovo addosso! –
-okay, okay! Stai calmo! –
Appena ebbe terminato, prese lo stilo dalla tracolla di cui non avevo nemmeno fatto caso la sera prima e si tracciò i marchi.
-dovrebbero durare fino alla sala comune, poi lì si dissolveranno a poco a poco. –
Mi alzai anch’io dal letto avvolgendomi in un accappatoio di seta nera, lo legai in vita avvicinandomi a lui.
-ci vediamo dopo a lezione okay? –
Fu lui a baciarmi piano, come provando a rallentare il tempo.
-va bene Magnus, a dopo. –
Eravamo sulla soglia ed Alec aprì lentamente il grosso portone di legno. Il suo aspetto non era cambiato molto da quando s’era svegliato accanto a me; aveva solo un po’ più di vestiti anche se la camicia era abbottonata storta, i pantaloni erano spiegazzati e la cravatta era allentata.
-ah, Magnus! –
-dimmi Alec. -
-ti amo. –
Il mio cuore perse un battito, o forse correva così forte da non distinguere più le single pulsazioni. Velocemente chiusi la porta da cui Alec stava per uscire, bloccandolo ancora una volta fra me e la parete.
-Alexander Gideon Lightwood –
Lo presi per la cravatta il cui nodo già si stava sciogliendo e avvicinai i suoi occhi ai miei.
-torna immediatamente a letto. –
 
ANGOLO DELL’AUTORE:
Ciao carissimi!!! Questo è stato il capitolo fin ora più difficile da scrivere: ogni parola, ogni lettera che digitavo sulla tastiera è stata una vera tortura perché mi addentravo sempre di più nell’intimità di Magnus ed Alec e ovviamente mi sentivo un’intrusa. È stato davvero, davvero difficile ma ce l’ho fatta, sono qui e sono viva! Dopo quanto? Tre giorni che lo sistemo, finalmente è pronto, impacchettato e spedito apposta per voi! È il mio pre-regalo di Natale, spero di farvene almeno un altro prima del 25 Dicembre perché vi dico già che dal 21 al 24 sarò via per impegni irrimandabili e non potrò stare a casa al computer a scrivere magari bevendo una buona e gustosa cioccolata calda! Ahhhhhhh quanto mi mancano le cioccolate calde! Avevo la vaga idea di scrivere una ‘altra one-shot ma non saprei su chi scriverla. Accetto idee e suggerimenti in grande quantità!
A presto,
Elisa.
 

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Capitolo 14
*** Chiacchiere di corridoio ***


~~CALL IT MAGIC
La porta della stanza di Magnus si chiuse silenziosa dietro di me ed io corsi in fretta verso la sala comune. Erano le 13:00. Risolto l’indovinello e entrato in Sala Comune, varcai la porta della mia stanza in tutta fretta facendo un gran baccano. Mi ero tracciato le rune dell’invisibilità malissimo e per di più dentro le mura del castello non duravano molto a causa delle interferenze magiche, ma era pur sempre qualcosa.
-Alexander Lightwood. –
Mi girai verso il mio letto, dove v’era accomodata una ragazza alta e snella dai capelli neri e lunghi fino alla vita.
-Dove sei stato?! –
-Iz…Izzy?! –
Lei sorrise alzando l’indice.
-Ti do una sola possibilità di rispondere dettagliatamente e con sincerità alla mia domanda. –
Io la fulminai con lo sguardo. Ma come aveva fatto ad entrare nella NOSTRA Sala Comune? Non era certo conosciuta per le spiccate doti intellettive… più che altro per le sue gambe che quel pomeriggio erano fasciate in una striminzita gonnellina nera con delle sfumature di verde e argento quasi impercettibili.
-Come hai fatto ad entrare qui?! –
-Okay Alec, mi conosci, ti ho addirittura dato una possibilità dato che sei il mio fratellino ma a quanto pare nessuno qui mi ascolta mai… -
Nemmeno avevo notato che teneva in pugno la bacchetta e in men che non si dica la sollevò verso di me sussurrando con un tono da bambina capricciosa:
-Legilmens! –
L’incanto mi colpì in pieno e non ero per nulla preparato. Nella mia mente si susseguirono tutti i fatti avvenuti nelle precedenti dodici ore: Magnus che mi faceva entrare nella sua stanza, i suoi baci, la mia camicia, i suoi stupidi pantaloni di pelle così difficili da sbottonare, quel “ti amo” sussurrato a mezza voce e le sue braccia che mi facevano di nuovo suo. Tutto, dal primo all’ultimo particolare.
-Lurida Serpeverde! –
Mia sorella era troppo impegnata a ridere per ascoltarmi davvero. Si teneva la pancia perdendosi in un mare di scroscianti risate e allegri singhiozzi, mentre io diventavo sempre più rosso in faccia e sempre più inferocito. Gliene avrei parlato se solo me ne avesse lasciato la possibilità, ma ormai la conoscevo troppo bene per non sapere che la pazienza non era una sua qualità, né il rispetto della privacy a quanto pare.
-Vi siete dati da fare finalmente! –
Smise di ridere limitandosi a far sollevare gli angoli della bocca in una smorfia divertita asciugandosi gli occhi lucidi con la mano.
-Stai zitta. -
-Okay, okay! Sono solo molto felice per te! –
-Potevi evitare di leggermi la mente… -
-Non preoccuparti, ho censurato apposta il tuo ricordo perché me l’aspettavo. Giuro che ho chiuso gli occhi! –
-Non ti è saltato per la mente che non volevo farlo sapere? –
-Ovviamente, ma non ti ho ascoltato. –
-Logico, quanto potrebbe importare l’opinione del legittimo proprietario dei ricordi che hai appena profanato?! –
-Non molto direi, ma non prendertela! Sai che sono muta come una tomba! –
-Lo spero per te, sennò ti ci spedisco io in una tomba e non ti ci tiro più fuori. –
-Quanto sei tragico Alec! –
Lei si avvicinò a me schioccandomi un rumoroso bacio sulla guancia.
-E comunque… i tuoi compagni di casata sono stati davvero mooolto gentili a farmi passare! Ringraziali anche da parte mia e manda loro un bacio okay? –
-SONO STATI LORO A FARTI ENTRARE?! –
-Credi davvero che avrei sprecato tempo per risolvere quegli stupidi indovinelli? –
-VAI VIA DI QUI IMMEDIATAMENTE ISABELLE! –
Lei uscì di corsa lasciando solo l’odore del suo profumo alle spalle. “Stupida sorella!” pensai. Gliele avrei dette dietro a quei traditori! Izzy era troppo consapevole della sua…fisicità. Appena se ne fu andata, decisi di farmi una doccia e di cambiarmi velocemente prima dell’inizio delle lezioni pomeridiane. Alle 13:50 mi catapultavo fuori dalla Sala Comune diretto a Divinazione. Che inutile materia! Non saprei spiegare il perché ma ero particolarmente portato anche se la reputavo totalmente inutile. I Corvonero frequentavano il corso insieme ai Grifondoro così, appena entrato in aula, andai a sedermi accanto a Jace che mi accolse con un sorrisetto beffardo.
-Dove sei stato stamattina? –
-In infermeria –
Dissi con voce neutra raccogliendo dallo zaino il materiale necessario per la lezione.
-Strano, prima di pranzo ci sono passato ed era vuota. Madama White mi ha anche detto che nessun Alexander Gideon Lightwood, caposcuola Corvonero, è stato in infermeria. O almeno non negli ultimi… tre anni. –
Io sbuffai sollevando le braccia in segno di resa.
-Okay, okay, mi hai scoperto! Ho saltato lezione e sono rimasto al lago tutto il tempo! –
-Sarebbe una scusa plausibile se non fosse che ho parlato anche con quel verme del tuo compagno di stanza, quel Martinez, e mi ha informato del fatto che ieri sera non sei rientrato in Sala Comune, non prima dell’una almeno… come giustifichi quest’assenza? –
-Ehm… Jace! È arrivato l’insegnante! –
Provai a sviare le sue accuse ma il giovane Herondale ignorò completamente il professore, mantenendo il contatto visivo con i miei occhi blu.
-Ti sei ingarbugliato da solo, parabatai. Eri da Magnus vero? –
Io arrossii per la seconda volta in meno di due ore, sentendomi più che mai un’idiota.
-Possibile che in questo posto nessuno si faccia mai i fatti propri? –
-Possibile. Tua sorella mi ha già raccontato tutto Alec. Davvero ti ha letto nel pensiero? –
-Quell’idiota creerà un casino me lo sento –
Lo sapevo! Stupido me! Mai abbassare la guardia quando si tratta di mia sorella! L’avrà già raccontato a Clary, forse addirittura a Simon, il suo giocattolino, per non parlare di Annabelle…
-Cosa ti ha detto esattamente? –
-Abbastanza da aver modificato completamente la mia opinione su di te. –
Non credevo si potesse diventare più rossi di come ero in quel momento, ma i palmi delle mani sudati erano un’avvisaglia troppo esplicita per non essere interpretata come sinonimo di vergogna.
-Non sei l’unico che a volte infrange le regole sai? Soprattutto qui ad Hogwarts, dove la trasgressione è all’ordine del giorno.
-Lo so, lo so, solo… -
Mi diede una leggera pacca sulla spalla.
-È forte l’Alec ribelle, starò a vedere che combini! –
Risi alle parole di Jace prima di essere richiamato dall’insegnante.
-Signori Lightwood ed Herondale! Un po’ di contegno per favore! –
Finita l’ora di Divinazione e la successiva di Pozioni, sbrigai gli ultimi compiti e all’ora di cena andai in Sala Grande. Per tutta la durata del pasto lanciai rapidi sguardi verso il tavolo degli insegnanti in cerca degli occhi di Magnus: erano sempre lì che mi fissavano radiosi ma quella sera non avrei potuto avvicinarmi a lui. Mi aspettava una lunga, lunghissima ronda della durata di almeno tre ore. Annabelle era seduta di fronte a me come suo solito e sorrideva gioiosa. Almeno con lei mi sarei divertito.
Alle 21:00 i caposcuola di tutte e quattro le casate erano riuniti nell’apposita aula. I Serpeverde, una ragazza dai capelli lunghi e biondi ed un ragazzo dai capelli ramati entrambi del settimo, se ne stavano in disparte confabulando probabilmente sulla partita di sabato contro di noi. I Tassorosso, i cui caposcuola erano un ragazzo occhialuto dalla magra corporatura di nome Oliver Palmer ed una ragazza dai capelli neri e gli occhi verdi Christina Grey, chiacchieravano rumorosamente con i due Grifondoro, ragazzo e ragazza, entrambi mori. Io ed Annabelle fummo gli ultimi due, ma notammo che la professoressa Scamander non era ancora arrivata.
-Annabelle! Che bello vederti! –
Esclamò ad alta voce Christina.
-Sei proprio migliorata dall’ultima volta che ti ho vista per i corridoi! –
-Oh, grazie Chris, in effetti mi sento meglio di giorno in giorno. La terapia del professor Bane sta funzionando e anche il dottor Malfoy è stato molto gentile. È davvero una brava persona a differenza di come lo descrivono. –
-A quanto pare il nuovo insegnante è davvero in grado di fare qualcosa oltre che adescare dei maghi minorenni… -
Era stata Margot, la Caposcuola Serpeverde a parlare.
-Cosa intendi dire Margot? –
-oh sapete tutti benissimo cosa voglio dire… -
-stai zitta. –
Sibilai con voce fredda e pacata, stringendo i pugni fin quando non sentii le unghie conficcarsi nella carne.
-Attenta a quello che dici. –
Disse Klaus, il ragazzo Grifondoro, prendendo le mie difese.
-Ma perfavore, è talmente ovvio! Tu,-
Puntò il suo indice laccato di verde smeraldo verso di me.
-Te ne stai sempre in disparte, parli solo con la tua ristretta cerchia di amici, indossi maglioni anche d’estate… -
Duncan sghignazzava alle parole della sua compagna di casa e alla sua reazione tutti gli altri presero le bacchette puntandole verso le due Serpi.
-Per favore, lasciateli stare, stanno solo tentando di provocarci. Per la partita di sabato. Sanno che perderanno, è ovvio no? Non assecondiamoli, sappiamo tutti che sono solo stupide dicerie. Siamo abbastanza intelligenti per essere superiori a questi rettili –
Sputai fuori le parole come veleno, che a quanto pare colpirono Margot più di quanto si aspettasse, facendole spalancare la bocca indignata.
-stupido Cacciatore come ti… -
In quel momento la porta si spalancò facendo entrare la professoressa Scamander avvolta in un fruscio di seta rossa.
-Buonasera ragazzi, scusate il ritardo, stasera non c’è tempo per le chiacchiere. Dividetevi e fate il vostro turno di ronda. Per mezzanotte tornate pure in sala comune okay? –
Io annuii poco convinto. Senza davvero prestare attenzione alle monotone raccomandazioni della donna.
“Evitate Pix e i fantasmi fastidiosi, non soffermatevi a parlare con i quadri e mi raccomando non perdetevi. Già dobbiamo controllare i più piccoli, se pure voi infrangete le regole siamo a posto…”
Le persone pensavano davvero quello di Magnus?  Alcuni anni prima mi era capitata la stessa cosa, ero abituato ad essere evitato e preso in giro, ma stavolta non ero solo io ad essere offeso. Era soprattutto Magnus. E nessuno fa del male alle persone che amo.

 

 

         

 

Ero fin troppo consapevole del fatto che quella sera non avrei visto Alec, e la cosa mi irritava parecchio.  Ma ancora di più odiavo la sensazione di non essere più padrone del mio corpo, sempre più soggetto agli strani sintomi legati alla runa misteriosa. Fisicamente non stavo affatto male anzi, era la mia testa che mi dava fastidio in continuazione. Era come se una piovra mi avesse spruzzato dell’inchiostro in pieno viso, e la mia vista ne avesse temporaneamente risentito. Scossi la testa per scacciare via quel pensiero. Il profumo di Alec non si era ancora completamente dissolto e volevo godermi il recente ricordo della notte prima finché fosse durato. In quell’istante qualcuno bussò alla mia porta, così mi avvicinai all’entrata e l’apri. Una ragazza alta e snella che vestiva di verde-argento entrò nella stanza senza nemmeno chiedere il permesso.
-Carino qui, eppure sei un uomo. Ero convinta che tutte le persone di sesso maschile fossero dei patiti del disordine e della playstation, o almeno così dice Simon. –
-Per fortuna a questo mondo esisto ancora io che ho un minimo di decenza e sfato ogni mito sulla cafonaggine maschile! Cosa vuoi Isabelle? –
Lei incrociò le braccia evidenziando il petto prosperoso. Possibile che tutti i Lightwood fossero dannatamente irresistibili?!
-Sono qui per mettere in chiaro le cose –
-Ma sei impazzita? Di che stai parlando?! –
Oltre ad essere dannatamente irresistibili, soffrivano anche di gravi problemi mentali.
-Sto parlando di Alec. Se lo fai soffrire, sei morto Bane. –
-Okay, okay Isabelle! E dammi un buon motivo per cui dovrei far del male ad Alec perfavore! –
-Diciamo che ne ho una lunga lista, ma non voglio soffermarmi su inutili dettagli. Alec è… l’unico che davvero mi è rimasto della mia famiglia oltre a Jace e non posso permettere a nessuno di fargli alcun male mi capisci? –
- Isabelle, finché potrò, proteggerò Alec da qualsiasi cosa. Fidati di me. –
-Non posso, ma ci proverò. –
Era diventata improvvisamente cupa e seria il che era piuttosto insolito data la sua prorompente empatia e vitalità e capii che era davvero seria.
-Isabelle. Non ho alcuna intenzione di fargli del male. So quanto è fragile nonostante la sua corazza e so anche quanto allo stesso tempo sia coraggioso e determinato e intelligente. Lo amo Isabelle Lightwood. -            
-Spero sia vero. –
Capii che era inutile convincerla. Era troppo diffidente. Dopotutto, non si poteva pretendere altrimenti, la vita è crudele con le persone più fragili.
-C’è qualcos’altro di cui hai bisogno Izzy? –
-Si, volevo dirti che so tutto-
Io sbiancai. Con ‘tutto’ non intendeva certo QUEL ‘tutto’ vero?
-C-cosa intendi scusa? –
-Intendo quel che hai capito –
Mi concesse uno dei suoi sorrisi schietti mentre con una mano si ravvivava i capelli di seta.
-Come fai a saperlo?! –
-Oh, è stato semplice, un minimo di furbizia e un’innata capacità recitativa. –
-Alec lo sa? –
-Certo, è stato lui a dirmelo, anche se non era certo nelle sue intenzioni. –
-Che gli hai fatto?! –
La ragazza si mise a ridere a crepapelle, guardando la mia faccia terrorizzata e pallida come una mozzarella.
-Sono solo stata attenta all’ultima lezione di incantesimi professore! –
Aprii la bocca per parlare, ma lei precedette esattamente quello che volevo dirle.
-Non preoccuparti, non ne farò parola con nessuno, dopotutto sono consapevole del fatto che la vostra relazione non rientra certo nei limiti della legalità, e poi vedere il perfetto-caposcuola-sotuttoio che infrange le regole è… insolito e dannatamente divertente! –
Sorrisi alle sue parole malgrado fossi ancora preoccupato.
-Isabelle ricordati che non siamo in un film, le conseguenze sarebbero disastrose. Soprattutto per Alec. –
Lei annuii ripetutamente, come per scacciare via le mie parole che memorizzarle.
-Non preoccuparti, lo so. E l’ultima cosa che ho intenzione di fare è recargli altro dolore. Non dovete sempre spiegarmi tutto! Certo che voi Corvonero siete tutti uguali e dannatamente pignoli! –
-Io non sono Corvonero! –
-Non sei stato smistato, ma sei il professore della Casata. Non ti avrebbero assegnato questo ruolo se non ne fossi all’altezza. –
-Non ci avevo mai pensato sotto questo punto di vista… -
-Beh, provaci se hai tempo! Ora vado, ho un sacco di inutili compiti da svolgere per domani! Ciao Bane! –
Lei uscì fuori di corsa mentre le urlavo che ero sempre un suo professore e doveva portarmi rispetto, ma non ero affatto credibile dato che stavo sghignazzando.
Pesai davvero a quello che mi aveva detto Isabelle. Se avessi frequentato Hogwarts sarei stato smistato in Corvonero? L’idea non mi era mai passata per la testa. Io ero Magnus Bane, e Magnus Bane non assomigliava a nessuno. Ma forse, nella mia eccentrica originalità, sarei stato perfetto per la casata blu-argento… si sarebbero di certo intonati alla mia carnagione i colori dei corvi...
Pensai a quanto amavo Alec, a quanto lui non fosse in alcun modo insostituibile e a quanto sua sorella gli voleva bene. Io non avevo mai avuto fratelli. Non sapevo cosa volesse dire essere legati così tanto a qualcuno da condividere lo stesso sangue né nella mia vita qualcuno si era anche solo avvicinato a quel ruolo, nemmeno in senso figurativo. Pensai a mio padre e a quello che di lui mi scorreva nelle vene. Ognuno ha i propri fantasmi, la differenza sta in come li si nasconde. Stupida Isabelle Lightwood! Oltre ad annebbiarti la mente, ti creava ancora più dubbi di quelli che avevi al principio!

 

 

 

ANGOLO DELL’AUTORE
Ciao carissimi! Per prima cosa Buon Natale a tutti! Ormai le feste sono agli sgoccioli e la scuola è appena terminata. Questo è sinonimo di due cose: tempo, finalmente un minimo di tempo libero da sfruttare come più mi pare e di certo un po’lo dedicherò anche a voi! In secondo luogo…i tanto odiati compiti delle vacanze! In questi (troppo brevi) dieci-quindici giorni dovrò dare tutta me stessa nel recuperare matematica perché non ho nessunissima intenzione di ritrovarmela a settembre quindi dovrò mettermi d’impegno e risolvere quelle dannate disequazioni e valori assoluti di cui ancora non ho capito la vera e propria utilità pratica. Domani parto per quattro giorni (si spera ma senza contarci troppo) sulla neve e spero in un drastico calo delle temperature perché, lo ammetto, mi manca sciare! Spero anche che il capitolo vi piaccia e di trovare moltissime recensioni al mio ritorno!
Buone Feste a tutti carissimi fan della Malec!!!
Elisa

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Capitolo 15
*** Una svolta inaspettata ***


~~CALL IT MAGIC

Finalmente era arrivato il giorno della seconda partita del torneo interno di Quidditch, la prima se l’erano giocata i Grifondoro e i Tassorosso, con la sorprendente vittoria di quest’ultimi, quindi noi eravamo contro i Serpeverde… avevamo fatto un’amichevole contro i Tassi ad inizio anno ed era finita in parità, per questo ero piuttosto sicuro dell’esito dell’evento di quel giorno.
La squadra verde-argento era composta per la maggior parte da studenti dal quarto anno in su, tra cui Margot, capitano e cercatrice. Mi alzai dal letto in un baleno e mi vestii con un paio di pantaloni neri un po’sformati e una maglietta vecchia di chissà quanti anni. Il borsone era già pronto ai piedi del letto e la Firebolt era appoggiata al muro lì accanto. Feci un sorriso impercettibile nascosto dalla poca luce che filtrava dalla finestra, mi alzai e raccolsi tutto il materiale. La sera prima mi ero messo d’accordo con la squadra per trovarci tutti all’uscita della Sala Comune alle 8:00, così da poter fare colazione con calma ed essere negli spogliatoi per le 9:00.
La partita era fissata per le 9:30.
Aprì la porta un po’ infagottato per quanta attrezzatura avevo: erano le otto meno cinque. Ad un certo punto la pesante porta del dormitorio non esercitò più la sua pressione su di me, così mi chiesi chi l’avesse tenuta ferma anche se già conoscevo la risposta. Juliàn indossava un paio di pantaloni aderenti che portava come se fossero il capo d’abbigliamento più comodo del mondo e la maglia della squadra. Praticamente le nostre conversazioni dopo quella sera si erano ridotte ad una raffica di “si”, “ciao”, “tutto a posto”, “hai fatto i compiti di Pozioni?” quest’ultimo era il periodo più lungo e complesso che ci concedevamo e io di certo non intendevo intraprendere conversazioni di spessore più alto.
-grazie. –
Dissi con voce ferma e gelida come il ghiaccio che iniziava a ricoprire il Lago Nero.
-di nulla e… buona fortuna per la partita, so che andrai benissimo. –
-andremo bene entrambi. Sennò non saremmo nella squadra. È un tuo obbligo dare il meglio nelle partite in quanto membro ufficiale. –
Lui aprì di nuovo la bocca per ribattere ma non gli diedi il tempo ed uscii dalla stanza quasi con affanno per fermarmi solo vicino a Cashmere e ad Aaron. Juliàn arrivò subito dopo di me. Amira, che aveva occhi per intendere e non sprecava affatto le parole, aveva percepito la tensione e me lo fece capire guardandomi con aria interrogativa. Io scossi piano la testa e sorrisi. Non volevo creare scompiglio prima della partita. Per quello ci sarebbe stato tutto il tempo dopo. Arrivammo allegri in Sala Grande dimostrando all’intera scuola quanto fosse unito il nostro gruppo. Ma si sa, ogni famiglia ha i suoi segreti e le verità scomode vengono sempre nascoste. Sapevo anche che l’accusato stava facendo di tutto per redimersi, senza grandi risultati. L’accusa non demordeva e non avrebbe ceduto tanto facilmente. Ci sedemmo ed io mi abbuffai come non mai mentre revisionavo gli schemi con il resto del gruppo. La calligrafia rotondeggiante di Cashmere spiccava in ogni foglio del fascicolo ben ricco di appunti e dettagli aggiunti in giorni differenti con inchiostro nero, blu, rosso e verde.
-bene Amira, tu occuperai la fascia destra come tuo solito mentre io la sinistra. Alec sbaraglierà la difesa dal centro. Mi raccomando, massima concentrazione. Eric ed Aaron, andateci pesante. Soprattutto su Margot e i cacciatori. Con il capitano delle Serpi abbiamo un piccolo conto in sospeso. Non preoccupatevi del fatto che sia una ragazza, quella è in grado di uccidervi senza il minimo pentimento. Spaccatele più denti possibile con quei bolidi ragazzi! –
Loro annuirono entusiasti dell’idea ed io fui grato ancora una volta alla mia squadra. Avremmo vinto ad ogni costo, per l’onore Corvonero.
-bene, mancano solo Juliàn e Julie. A voi non ho molto da dire, ricordatevi gli allenamenti e i fondamentali. Non abbiate paura, non esitate. Date il massimo. Tu Juliàn non far passare nemmeno mezza pluffa da quegli anelli mentre tu, Julie, sii furba. Margot cercherà di non lasciarti il minimo spiraglio. Esegui una delle tue finte Wronski e vedrai che andrà alla grande! –
Alzammo tutti lo sguardo dagli appunti e ci sorridemmo: insieme ce l’avremmo fatta!
Ad un quarto alle nove eravamo già negli spogliatoi, così ci cambiammo e a nove e un quarto eravamo vestiti perfettamente con le divise pulite e profumate che di lì a poco si sarebbero tinte di marrone e aloni di sudore.
Uscimmo all’ora indicata e appena i pochi raggi del sole che quella mattina tinteggiavano il cielo ci illuminarono, uno sciame di voci, grida e urli d’incitamento ci invase. Quello era in assoluto il momento migliore della partita: tutta la scuola era riunita per te, curiosa dell’esito del match ma anche attenta a studiare ogni tuo movimento per poter poi sfruttare una contromossa nella partita successiva. I Corvonero acclamavano esultanti mentre le Serpi tentavano di sovrastarli, Grifondoro e Tassorosso erano un misto di colori. C’era chi votava per noi, chi invece per le Serpi. La maggior parte dei Grifoni indossava bandane blu-argento, segno che nonostante tutto non avrebbero mai tifato per i nostri avversari. I Tassorosso, imparziali come al solito, si erano spartiti fra le due casate sfidanti. Cashmere era la prima, seguita da Julia, Aaron, Amira, Eric, Juliàn e per ultimo io. Ci posizionammo in ordine al centro del campo, i Serpeverde dal lato opposto. Per prime si strinsero la mano le due capitane, e poi via via tutti gli altri. I verde-argento avevano tutti un ghigno stampato sul volto che doveva farli sembrare inquietanti e sicuri di sé, ma in realtà li faceva risultare ridicoli. Prima della partita Isabelle, Jace, Clary, Simon ed Annabelle erano passati ad augurarmi buona fortuna. Jace aveva solo commentato il bel sedere del mio capitano e Clary l’aveva zittito, e atterrato, con una fattura degna di un auror. Annabelle mi aveva abbracciato forte dicendomi che contava su di me ed Isabelle mi aveva solo chiesto di buttare giù dalla scopa Lisa, cacciatrice Serpeverde conosciuta per la sua frivolezza e la sua lunga lista di ragazzi di ogni età e casata, perché le aveva rubato il suo rossetto preferito.
-beh, diciamo che le starebbe bene visto che è una gran… -
Per fortuna le tappai la bocca in tempo.
Simon mi si avvicinò e anche lui mi fece gli auguri timidamente, promettendo che avrebbe tifato per me.
-di a Julia che Margot è solita giocare sporco, l’anno scorso me la sono trovata contro e non ha rispettato nessuna regola. Consigliale anche di non rispondere alle sue provocazioni e di concentrarsi solo sul gioco. Alla fine vince sempre chi se lo merita, non chi non rispetta le regole. –
-non sono proprio sicuro che vada sempre così ma… grazie. –
Il professor Krum fischiò l’attenzione e mi riportò alla realtà.
-giocatori, tutti sulle scope! –
Aveva detto.
-al mio prossimo fischio avrà inizio la partita! –
Mi issai sulla Firebolt che fremette come se fosse viva. Il professore liberò il boccino, i bolidi e la pluffa e poi si mise il fischietto fra le labbra. Di lì a pochi secondi avrei sentito il vento fischiare nelle orecchie, la sensazione di totale libertà che provavo solo nel volo.
Triiiiiiiiii il verso acuto e familiare mi stordì per un tempo brevissimo. Mi fiondai sulla pluffa deciso ad afferrarla e così fu. Puntai verso la porta avversaria protetta dall’enorme stazza del portiere Serpeverde, forse si chiamava Brutus o qualcosa di simile, con gli occhi fissi sul centro dell’anello di destra. Dietro di me solo il fruscio rassicurante del vento e dell’aria spezzata dai miei inseguitori, davanti solo Brutus e poi il niente. Mi slanciai pronto finalmente a liberarmi da quel peso ma una voce sopraggiunse al mio timpano prima del glorioso momento.
-Alec! A me! –
I lunghi capelli di Amira si interposero fra me ed il traguardo. Come suo solito era stata silenziosa. Le tirai la pluffa sfoderando un lancio veloce e preciso e aspettai con il sangue nelle orecchie il verdetto.
La pluffa superò l’anello accompagnata dalle acclamazioni di chi tifava per noi e dai buuu dei sostenitori Serpeverde. Come era iniziato, tutto finì nelle esultazioni di Amira accanto a me, orgogliosa di essere stata lei a segnare i primi dieci punti della partita.
-DIECI A ZERO! DIECI A ZERO PER I CORVONERO! –
Urlava il presentatore Weasley nell’altoparlante, subito ammonito da un’indignata professoressa Scamander.
-SIGNOR WEASLEY! LA PREGO DI MOSTRARE UN MINIMO DI DECORO, ALMENO IN LUOGO PUBBLICO! –
Le parole della professoressa fecero ridere tutta la platea mentre la partita continuava. Le Serpi pareggiarono quasi subito e acquistarono un lieve vantaggio.
-QUARANTA A DIECI PER LE BISC… -
Attraverso il microfono si sentì il gemito del ragazzo Weasley.
-PROFESSORESSA SCAMANDER! IL MIO PIEDE! –
-STIA ZITTO SIGNORINO O SARÒ COSTRETTA A LANCIARLE UNA FATTURA! –
-OKAY, OKAY, SI CALMI LA PREGO! PFFF COSA FACCIO ALLE DONNE…-
Alzai un attimo lo sguardo alla ricerca dei capelli multicolore di Magnus ma non lo vidi da nessuna parte. Non era negli spalti riservati ai professori e nemmeno fra i Corvi… dove cavolo poteva essere?
-HEY, HEY GUARDATE QUEL BOLIDE! –
Non ebbi il tempo di metabolizzare l’informazione che qualcosa di pesante mi colpì la spalla, facendomi momentaneamente perdere l’equilibrio. “Luridi schifosi battitori…” pensai fra me e me mordendomi il labbro per non lamentarmi del dolore alla spalla. Il gioco non si era fermato e Cashmere e Amira continuavano a difendere impetuose la porta insieme a Juliàn. Tutti e tre erano evidentemente in difficoltà. Mi fiondai nuovamente in mezzo alla mischia con la spalla che urlava per il colpo appena ricevuto e presi il possesso della palla.
-I CORVI NON SEMBRANO DEMORDERE NONOSTANTE IL COLPO SÙBITO DAL CACCIATORE LIGHTWOOD E PROPRIO GUIDATI DA QUEST’ULTIMO STANNO RAGGIUNGENDO VELOCEMENTE LA PORTA! FORZA CORVONERO! TENIAMO TUTTI PER VOI! –
-SIGNOR WEASLEY! LEI DOVREBBE ESSERE IMPARZIALE IN QUANTO PRESENTATORE! –
-MA PROFESSORESSA! HO DIRITTO DI DARE LA MIA OPINIONE! –
-CONTINUA A COMMENTARE L’ANDAMENTO DELLA PARTITA INVECE DI TIFARE PER UNA SQUADRA PIUTTOSTO CHE… -
-CORVONERO SEGNA! CORVONERO SEGNA! VENTI A QUARANTA PER I SERPEVERDE! MA I CORVI NON MOLLANO LA PRESA! INTANTO ANDIAMO A VEDERE COME SE LA CAVANO LE DUE CERCATRICI DI OGGI…
 -
La testa mi pulsava leggermente, ma sapevo che era completamente normale considerate le condizioni. Cashmere era affaticata, Amira pensierosa. Probabilmente aveva qualcosa in mente. Eric ed Aaron scaricavano come al solito la loro iperattività in colpi ben assestati contro Margot che aveva l’espressione tipica di chi ti avrebbe lanciato all’istante un Avada Kedavra. La vidi scagliarsi contro Julie proprio mentre quest’ultima effettuava una Finta Wronski degna di un professionista facendo sfracellare rovinosamente l’avversaria a terra. La pluffa era ancora nelle nostre mani, precisamente fra le braccia di Cashmere, che assestò un altro punto a nostro favore. I Serpeverde segnarono una volta, noi altre tre. Era il momento per Julie di intervenire. La vidi lanciarsi verso l’alto all’inseguimento di qualcosa di sferico e aureo. Subito dietro di lei, ad oscurare il debole bagliore del sole invernale, Margot non accennava a demordere. Ma con un ultimo, repentino sforzo Julie si protese in avanti ed afferrò… il niente. Il boccino aveva virato di lato ed era nuovamente scomparso dalla visuale. Amira segnò un altro punto e la stessa cosa fece uno dei cacciatori Serpeverde, poi colpito da un bolide di Aaron: mai mettersi contro quelle piccole pesti. Noi Corvonero sapevamo essere piuttosto vendicativi, se ci veniva fatto un torto. E si sa, una mente intelligente è in grado di elaborare piani ancor più malefici del più ingenuo dei Grifondoro o del più burlone dei Tassorosso.
-SIAMO SETTANTA A SESSANTA PER I BLU-ARGENTO CHE SEMBRANO RISPONDERE BENE ALLA ROZZA… –
La professoressa Scamander estrasse la bacchetta dal mantello.
-EHM… VOLEVO DIRE… BEN STUDIATA TATTICA? –
Lei annuì soddisfatta.
-DEI SERPEVERDE E… -
-E SERPEVERDE SEGNA DI NUOVO! SIAMO DI NUOVO IN PARITÀ AMATI SPETTATORI! –
Era proprio così. Cody, il più grosso fra i cacciatori verde-argento, aveva sbaragliato la difesa e segnato un colpo degno di essere ricordato nello stomaco di Juliàn, che di conseguenza era arretrato al di là dell’anello centrale. “Cazzo…” per quanto il portiere risultasse frastornato ed un scarica di urla e lamenti piuttosto offensivi verso i nostri avversari giungeva alle mie orecchie, la situazione non degenerò ed io segnai altri due punti con Eric che mi copriva le spalle.
Julie aveva effettuato un’altra Finta Wronski, ma questa volta non venne seguita da Margot, che commise un grave errore dato che non si trattava di una finta, ma dell’azione decisiva alla nostra vittoria. Julie raggiunse il boccino quando questi era ad appena due metri da terra. Lo afferrò saldamente e eseguì una meravigliosa virata per poi poggiarsi sul bel prato verde del campo da Quidditch sollevando entusiasta il suo trofeo: avevamo vinto.
Il professor Krum fischiò la fine dello scontro mentre un esultante presentatore Weasley urlava il risultato alla bacchetta, ancora sotto effetto dell’incantesimo sonorus:
-DUECENTOQUARANTA A NOVANTA SIGNORE E SIGNORI! DUECENTOQUARANTA PUNTI PER I CORVONERO CHE SI AGGIUDICANO A PIENO TITOLO LA PARTITA! COMPLIMENTI! –
Atterrammo al suolo trionfanti e ci stringemmo in un forte abbraccio attorno a Julie che come un automa continuava a tenere saldamente il boccino, come prova della nostra vittoria. I Serpeverde atterrarono sconfitti e con l’amarezza negli occhi. Con il termine della partita v’era anche il consueto saluto. Tutti sorridenti ci mettemmo in fila. Io dietro Cashmere orgoglioso del nostro risultato. Per prima sfiorai la mano di Margot, che mi si avvicinò:
-avevi previsto giusto, frocetto, ma non credere di essere superiore a noi. Non abbiamo bisogno di un’insulsa partita di Quidditch per dimostrare la nostra superiorità. –
Fu in quel momento che la mia pazienza finì, proprio mentre il naso di Margot veniva colpito da un pugno di Cashmere. Io la guardai interdetto per qualche secondo prima che scoppiasse una rissa in pieno campo.

 

 

 




-Dannati corridoi! Certo che i fondatori dovevano essere dotati di una spiccata fantasia dato che li hanno fatti tutti uguali! Dove cavolo sta l’infermeria?!-
Era da un quarto d’ora che percorrevo quelle dannate mura tutte identiche in cerca dell’infermeria: un elfo domestico aveva varcato la soglia della mia camera tutto trafelato, avvisandomi che l’intera squadra di Quidditch dei Corvonero era ricoverata insieme alla squadra avversaria Serpeverde in infermeria. Causa lesioni riportate in seguito ad un duello babbano.
-quegli idioti! Ma soprattutto quell’idiota di Alec! È pure Caposcuola e si mette a spaccare nasi e a creare tumulti! –
Dopo un buon venti minuti trovai la tanto ricercata porta dell’infermeria e vi entrai. Non l’avevo mai vista così piena se non il giorno dopo la battaglia. La bella Cashmere, che sfoggiava una divisa malmessa e sporca tanto quanto il braccio fasciato, discuteva animatamente con Madama White sulla sua ottima salute.
-SIGNORINA BROWN, SI RIMETTA SUBITO A LETTO O SARÒ COSTRETTA A LANCIARLE UNA FATTURA! –
-MA MADAMA WHITE! STO BENISSIMO! L’UNICA COSA CHE MI FAREBBE STARE MEGLIO IN QUESTO MOMENTO SAREBBE SPACCARE ANCOR DI PIÙ LA FACCIA A QUELLA INFIDA SERPE, MA A QUANTO PARE NON MI È PERMESSO AVVICINARMI A LEI! –
-SIGNORINA, NON GLIELO RIPETERÒ UN’ALTRA VOLTA, SI DIA UNA CALM... –
L’anziana donna si girò verso di me e subito sul volto le comparve un sorriso gioviale.
-oh! Professore Bane! Vedo che ci ha raggiunti! Prego, abbiamo isolato le due squadre in modo da evitare ulteriori disguidi. La sua collega, la professoressa Scamander, si trova nella stanza qui accanto, adibita ad infermeria apposta per la spiacevole occasione. –
-grazie mille Madama White, ma sono qui per parlare con il caposcuola Lightwood. Quello che è successo poco fa è inammissibile. E lui come figura di riferimento dovrà subirne le conseguenze o quantomeno capire di aver sbagliato. –
-MA NON È STATA COLPA SUA! QUELLA MEGERA DI MARGOT HA INNESCATO TUTTO! E POI SONO STATA IO A SPACCARLE IL NASO! –
La bionda Corvonero gonfiò il petto fiera evidentemente di quello che aveva fatto e mi fissava sorridente, probabilmente aveva collegato un po’di cose.
-mi dispiace professore, ma ho somministrato a tutti una pozione soporifera e la signorina Brown è l’ultima che dovrà prenderla. –
In poche ed agili mosse la donna riuscì a far sdraiare l’irrequieta ragazzina e a somministrarle la potente pozione tranquillante. Dopo pochi minuti dormiva già profondamente.
-uffff-
Madama White si passò l’avambraccio sulla fronte per togliere le goccioline di sudore che le si erano formate per lo sforzo.
-a quest’età credono di essere invincibili, ed io sono dell’opinione che lo siano. Lasciamoglielo credere prima che la realtà del mondo li investa con il suo pesante fardello di doveri e responsabilità. –
Sorrisi a quell’anziana donna che probabilmente era fra le persone più sagge del castello.
-sono pienamente d’accordo con lei signora White. –
-se vuole posso richiamarla quando il signor Lightwood si sarà ripreso… -
Scossi lievemente la mano come a scacciare un brutto pensiero.
-se è possibile vorrei vederlo comunque per alcuni minuti.
-oh, ma certo! Mi segua! –
Mi fece attraversare l’intera stanza e vidi con piacere che tutti i ragazzi erano profondamente addormentati e all’apparenza sembravano innocui come solo il sonno riesce a renderli.
Dietro all’ultimo separé si trovava Alexander, disteso fra le lenzuola candide che contrastavano con i suoi capelli corvini.
Appena mi sedetti sulla sedia accanto al letto l’infermiera riprese parola.
-io esco qualche minuto in corridoio a prendere una boccata d’aria e a controllare le condizioni degli altri sette. Se ha bisogno di qualsiasi cosa, non esiti a chiamarmi. –
Annuii lievemente col capo e appena sentii il portone sbattere mi avventai sulla mano del mio compagno.
-Alec, come stai? –
Ero consapevole del fatto che non poteva sentirmi, ma non me ne preoccupavo troppo. Gli solleticai il dorso della mano, proprio dove era marchiato con la runa della vista, producendo dei movimenti circolari che servivano più a calmare me che il corpo inerme di lui. Aveva la pelle candida e…
D’improvviso sentii una fitta fortissima alla tempia e il mondo si oscurò per alcuni secondi. Mi piegai su me stesso tenendomi il capo. Poi, nella mia mente, sentii risuonare una voce. Era come stare immersi nell’acqua e tentare di raggiungere la superficie per prendere una boccata d’aria pur sapendo di essere troppo in profondità ed essere destinati a morire affogati.
Ah, il bel giovane Lightwood! Quanto coraggio e lealtà esternano i suoi occhi blu! In quelle iridi v’è l’oceano e se ci si sofferma ad ammirarle meglio, vien quasi voglia di buttarcisi.
Sentii un’altra fitta ancora più bruciante e dolorosa smuovermi il petto.
Uccidilo Magnus Bane, puoi farlo! È un Nephilim come tanti! La sua famiglia ha ammazzato a sangue freddo migliaia dei tuoi simili e ancora a migliaia ne ucciderà! Rivendica la tua stirpe stregone!
Nuotavo, nuotavo sempre più veloce, ma l’aria iniziava a mancare sempre più. Mi girai verso il tavolino posto accanto al letto su cui v’erano alcuni oggetti di primo soccorso, fra cui un piccolo bisturi. L’afferrai per il manico: la lama luccicava alla luce del sole di mezzogiorno che filtrava dalla finestra.
Uccidi! Uccidi! Rivendica le tue origini!
Sollevai l’arma sopra al collo di Alec, la giugulare pulsava ad un ritmo regolare e tranquillo. La voce estranea che mi rimbombava nella testa rivendicava sangue.
Annaspavo come se stessi affogando per davvero, la sensazione era insopportabile.
Con una forza che non credevo di avere, sollevai l’arma ancor di più e la lanciai violentemente contro al muro opposto. In un istante la sensazione svanì insieme ai brutti sintomi che l’avevano accompagnata. Spostai lo sguardo sulle mie mani: tremavano incessantemente ed erano più pallide del solito, troppo pallide per il normale. Cosa mi stava succedendo? Stavo per fare del male alla persona che di più cara avevo al mondo, e non capivo più se ero io a volerlo o qualcun altro.
Senza pensarci due volte, mi alzai di scatto dalla sedia e corsi fuori dall’infermeria. Non mi fermai nemmeno quando urtai Madama White che stava rientrando per il gran trambusto che si era creato ed iniziai a scappare in cerca di un luogo sicuro in cui rintanarmi.

 




ANGOLO DELL’AUTORE:
Non so se mi crederete se vi dico che mi sono letteralmente bloccata: piuttosto regolarmente accendevo il computer e mi ritrovavo davanti uno schermo completamente bianco e la mia mente non sembrava voler reagire a quell’interminabile vuoto. Sta di fatto che solo pochi giorni fa mi sono risvegliata dal mio torpore e sono tornata operativa, così come la scuola e i miei odiosi professori. L’unica cosa positiva è stata la sufficienza in matematica di oggi, che mi ha sollevato un po’il morale e la voglia di tornare a studiare. Detto questo, non vedo l’ora di leggere le vostre recensioni e gli eventuali consigli per rendere ‘Call it magic’ se non bella almeno accettabile!
Torno a studiare diritto, buona lettura!!!

Elisa

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Capitolo 16
*** Risvegli traumatici ***


~~CALL IT MAGIC




Il pavimento di pietra era freddo in quella rientranza di corridoio al quinto piano e il mio corpo non contribuiva a renderlo più caldo. Ero seduto proprio lì, dove avevo baciato Alec chissà quanto tempo prima, a non fare altro che disperarmi. Pensavo ai suoi occhi in cui mi sembrava di essermici tuffato senza pensare troppo al mare in burrasca che contenevano, e solo ora mi rendevo conto che non era affatto semplice riaffiorare in superficie e probabilmente ero già affogato. Non era ancora stato inventato un antidoto per sopravvivere all’amore. Con il viso nascosto fra le braccia pensai ad un modo per spiegarmi quello che era successo poco prima, ma non me ne davo una ragione diversa da quella che il mio cuore aveva già formulato. Un’incontenibile furia omicida mi aveva assalito ed io conoscevo benissimo il motivo, sapevo cosa fare ma quello che dovevo fare era fuori dalla mia portata.
Mi alzai d’improvviso da terra e mi diressi verso le mie stanze: in qualche modo dovevo pur controbattere. Non potevo permettere a nessuno di portarmi via la mia libertà. Lungo la strada non trovai nessuno e me ne rallegrai ma, appena svoltato l’angolo dell’ultimo corridoio, vidi una chioma rosso fiamma correre e schiantarsi su di me. Probabilmente non mi aveva visto.
-Clary! Ma che fai? Sei impazzita?! –
-Alec! Magnus, hai visto Alec? Come sta? Jace è corso via alla velocità della luce e sai quanto è veloce… -
Alec. Sapere che in quel momento poteva stare tutt’altro che bene per me era davvero troppo. Il mio cervello lavorava ancora in cerca di una dannata soluzione, senza però trovarla. Poi, all’improvviso, ecco che uno spiraglio di luce si fa largo fra la nebbia della mia mente.
-Hey Magnus, tutto okay? Sei pallido e sembri un po’stravolto… -
-Clary, vieni con me subito. È importante. –
La presi vigorosamente per mano e la portai nella mia stanza. Appena la porta fu chiusa con un tonfo, la assicurai con un colloportus e mi girai verso la mia ospite, evidentemente destabilizzata.
-Magnus! Ma che diavolo stai facendo?! –
-Clary, ho capito l’origine di quella runa… ha qualcosa di demoniaco, una runa di controllo. Vieni, siediti. Ti devo spiegare un po’ di cose. –
La feci sedere su una soffice poltrona viola e io di fronte a lei.
-Magnus… mi stai facendo preoccupare… riguarda Alec? Hai davvero un’espressione distrutta… -
-non preoccuparti, dopo tutto quello che è successo nella scorsa mezz’ora, potrei fare qualsiasi cosa. E ora ascoltami. –
Le raccontai tutto, dalla costante sensazione di stare per affogare all’impeto di pazzia in infermeria, a tutti i miei ragionamenti, alla strana runa…
-okay, quindi, se ho capito bene, hai tentato di assassinare il tuo ragazzo perché un demone te l’ha chiesto? E come hai fatto a fermarti? –
Io arrossii alle parole ‘il tuo ragazzo’. Avrei dovuto abituarmici, ma il pensiero di fargli del male era molto più terrificante e insistente di tutti i possibili nomignoli e le ‘cose da fidanzati’.
-ecco…si, più o meno… sento che quella runa è la chiave per capire meglio tutto ciò. Ma non credo tu possa decifrarla: dopotutto hai sangue di angelo nelle tue vene, non demoniaco. E questa cosa –
Indicai uno dei tanti fogli su cui avevo scarabocchiato durante le mie notti irrequiete.
-non viene certo dal cielo. –
Clarissa annuì energicamente, la massa di capelli che si muoveva ad ogni suo cenno e sembrava ingarbugliarsi sempre più.
-va bene. Dobbiamo assolutamente trovare una soluzione. Non puoi evocare il demone che ti sta possedendo? –
-a sapere chi è l’avrei già fatto bambina, ma si dà il caso che ci sono un numero infinito di regni demoniaci con altrettanti demoni che li popolano. –
-ah… giusto… dobbiamo assolutamente parlarne con gli altri. –
Lei si alzò di scatto dirigendosi verso la porta ma io fui più veloce e la bloccai.
-COSA PENSI DI FARE?! –
La mia voce era stridula e terrorizzata.
-ho intenzione di dirlo a Jace e ad Izzy e soprattutto ad Alec. Sono di certo molto più competenti di me in fatto di demoni e potrebbero aiutarci con le ricerche. -
La sua voce era ferma ed irremovibile. Assomigliava molto a Jocelyn in quel momento, con il viso semi oscurato dall’ombra riflessa dal fuoco nel caminetto e gli occhi accesi di una determinazione quasi più ustionante delle fiamme.
-Clary, non posso farlo, non posso dirlo a… -
Il suo nome nemmeno prendeva forma fra le mie labbra. Come avrei potuto guardarlo ancora negli occhi? Come avrei potuto prenderlo da parte, trascinarlo in un abbraccio e dirgli che cosa avevo fatto seppur inconsapevolmente?
-perché non puoi dirglielo Magnus? Vi amate, e non è colpa tua quello che ti sta succedendo, ma di quello stupido demone! –
-lo so che non è colpa mia, ma è stata la mia mano ad afferrare quel bisturi! –
Sollevai il braccio, e per la prima volta da quando era entrata nella mia stanza Clary sembrava sconvolta.
-è stato il mio braccio a sollevarsi e a bramare il suo sangue mentre lui era inerme ed indifeso! Come potrò guardare ancora quegli occhi blu e non pensare alle cose orribili che la mia mente, malata o sana che sia, ha pensato? Come posso amarlo senza sapere se sarà mai al sicuro con me? –
Un impeto di rabbia mi avvolse tutto il corpo ed io tirai un forte pugno al muro, sentendo le vibrazioni provocate nell’impatto giungere fino alla mia spalla e sentendola dolorante.
-merda! –
Mi toccai la spalla con l’altra mano sotto agli occhi terrorizzati di Clary.
-Magnus… ascolta… -
-vai via ti prego. –
-ma io… -
-HO DETTO VAI VIA! E NON RIVELARE NULLA DI QUELLO CHE È APPENA SUCCESSO. A NESSUNO INTESI? –
Lei annuì meccanicamente, in maniera piuttosto goffa e tesa. Se ne andò in silenzio ed io rimasi da solo, avvolto nella più totale oscurità, con lo scoppiettio del fuoco, un dolore tremendo alla spalla e un peso ancor più doloroso sul cuore.

 

 

 





La luce che filtrava dalle finestre mi solleticava gli occhi in modo piuttosto fastidioso ed insistente.
Una cascata di capelli neri e lisci si scaraventò su di me appena aprì le palpebre.
-Alec! Grazie al Cielo stai bene! –
Izzy mi avvolse in uno dei suoi consueti abbracci soffocanti, uno dei pochi momenti in cui poteva esprimere le sue emozioni.
-Izzy ti prego sto bene… -
Gemetti più soffocato dalla sua stretta che dai lividi riportati dalla zuffa. Appena si allontanò da me, la mia dolce e affettuosa sorellina si rabbuiò in volto: probabilmente le erano tornate alla mente le cause per le quali mi ritrovavo su quel letto.
-Alexander Gideon Lightwood. Ora che sei fuori pericolo, mi puoi spiegare come ti è venuto in mente di dare vita ad un duello alla babbana al termine di una partirta di Quidditch?! –
-ma… non è stata colpa mia! –
-lo sapevo! Voi uomini non avete mai nessuna colpa! “Non è colpa mia se la cucina ha preso fuoco”, “io non centro nulla con la scomparsa del nostro gatto!” siete tutti dannatamente scansa fatiche e irresponsabili! –
Non me la presi affatto per le parole di Isabelle. Dopotutto aveva un’espressione così buffa quando si arrabbiava! Assomigliava tanto ad una pantera ma sotto sotto era un micino. Risi piuttosto sonoramente prima di chiederle degli altri.
-Jace e Clary sono andati via poco fa, avevano Pozioni e sai quanto poco magnanimo sia quell’uomo! Io mi sono categoricamente rifiutata di abbandonarti. Dopotutto sei mio fratello ed io non dovrei studiare così tanto! La conoscenza mi fa venire le rughe e sai bene che la divisa scolastica non mi dona affatto! –
Era difficile prendersela con lei. A volte dava l’impressione di essere una vera vipera, ma era la ragazza più dolce che avessi mai conosciuto.
-Izzy… sai per caso… ecco… per caso Magnus è passato di qui? –
Lei fece un sorriso sornione e vidi i suoi occhi luccicare.
-so che è stato qui poco dopo la rissa ma tu già dormivi e Clary mi ha detto di averlo incontrato mentre si stava dirigendo qui: diceva che si sentiva poco bene e aveva un gran bisogno di riposare. Probabilmente lo stress dovuto all’accaduto l’ha un po’scosso. Dopotutto è l’insegnante responsabile della casata, aggiungi il fatto che il suo ragazzo era stato coinvolto in una rissa ed ecco che non lo vedremo per almeno tre giorni a lezione! –
Il mio volto si rabbuiò al pensiero che Magnus stesse male e d’improvviso mi accorsi di non sapere che ore fossero.
-Izzy! Per quanto ho dormito? –
-ormai sono più di ventiquattr’ore, ti hanno somministrato la pozione soporifera ieri alle quattordici e adesso sono le quindici... –
Notando la mia espressione, lei ritornò ancora più allegra ed energica di prima.
-ma non preoccuparti! È normale dormire così tanto con quegli intrugli che ci prepara Madama White! E a scuola non ti sei perso proprio nulla. In poco tempo potrai uscire di qui, vedrai! –
-voglio vedere Magnus. –
Isabelle si accostò a me e mi fece una lieve carezza sulla guancia, spostandomi i capelli neri dagli occhi.
-appena ti sarai rimesso okay Alec? –
-devo vederlo adesso, ti prego! –
-dobbiamo chiedere il permesso a Madama White, e sai com’è irascibile quando si tratta della salute degli studenti… se invece aspettassi ancora un po’ sono certa che non avrebbe nulla in contrario a… -
Le presi i polsi e li strinsi forte costringendola a guardarmi negli occhi.
-ti prego Izzy, è importante! –
Lei mi guardò ancora dubbiosa, poi sembrò cedere.
-e va bene, ma solo perché sei mio fratello! Forza, alzati da lì e mettiti qualcosa! –
Solo in quel momento notai di essere in boxer e maglietta, e con mio grande imbarazzo mi infilai velocemente un paio di jeans strappati e una felpa larga con il cappuccio a detta di Isabelle portati da Annabelle quella mattina stessa. Ormai avevo capito cosa mia sorella aveva intenzione di fare e la seguii nascondendomi dietro la sua esile figura. D’un tratto la sagoma un po’tozza di Madama White spuntò da dietro le ante di un armadio a muro stracolmo di farmaci e pozioni ed io repentinamente mi nascosi dietro al paravento candido dove su un letto giaceva una Cashmere addormentata. Se da sveglia poteva benissimo assomigliare ad un dea, mentre dormiva ricordava molto un troll delle montagne. Era sistemata in una posa del tutto innaturale, aveva la bocca aperta ed un filo di bava le colava sul mento. Mi scappò un risolino che misi subito a tacere. In quel momento sperai per lei che non si rendesse conto di quanto fosse imbarazzante mentre dormiva, ma qualcosa mi diceva che non le sarebbe importato più di tanto.
-Madama White! Madama White! –
Sentì mia sorella chiamare l’anziana donna con voce squillante e fin troppo mielosa. Un rumore di ante che si chiudono risuonò nell’infermeria.
-dimmi, signorina Lightwood, è tutto a posto? –
-in realtà no. Mi sento la testa girare terribilmente, credo di avere un leggero calo di pressio… -
Potevo immaginarmi benissimo la misera recita di Izzy che solo una donna con un’eccessiva dose di affetto materno come Madama White poteva scambiare per vero.
-OH SANTO GODRIC! Signorina Lightwood, vieni con me nell’altra stanza e sdraiati sul lettino, ti proverò la pressione! –
Appena il ticchettio dei passi si fece più flebile, sgattaiolai fuori dal mio nascondiglio e in un secondo mi ritrovai in corridoio. Mi concessi un profondo respiro di sollievo e sorridente mi misi a correre verso la stanza di Magnus.
Arrivato davanti al portone bussai e lui mi aprì subito: indossava una canottiera blu piuttosto sgualcita e un paio di pantaloni della tuta grigi, i capelli erano in uno stato pietoso persino per i miei standard così bassi e sul mento era cresciuta una barba ispida, segno che lo stregone non si era rasato. Nonostante l’aspetto trasandato e così poco da lui, mi fiondai su di lui senza nemmeno aspettare un invito ad entrare assaporando il suo odore di sandalo e sudore e lo baciai con trasporto. Lui si irrigidì al mio tocco e non contraccambiò il bacio anzi, si divincolò via dalle mie carezze.
-Magnus, ma che… -
-Alec no, io… è successa una cosa e credo sia meglio che tu non ti avvicini troppo a me. –
Nel silenzio irreale del corridoio, sentì chiaramente il mio cuore andare in frantumi, esplodendo contro la cassa toracica. Pregai in silenzio che il danno fosse abbastanza grave da uccidermi nel giro di pochi secondi ma non fu così. Passarono forse dieci secondi, forse qualche minuto o qualche ora mentre il silenzio e la distanza fra noi due diventava sempre più insaziabile.
-cosa?! Ma perché? È per quello che è successo alla partita? Magnus mi dispiace, non avrei mai creduto che Cashmere reagisse in modo così violento, ti prego… -
Ma la voce mi si spezzò e sentì che anche le gambe stavano per cedermi sotto al peso della realtà dei fatti. Sentivo le lacrime pungermi gli occhi ma mi obbligai a non piangere, almeno fino a quando non sarei stato abbastanza lontano da quell’uomo.
-ti prego non odiarmi. –
La porta si chiuse con un tonfo e io mi ritrovai di nuovo solo, nel corridoio vuoto. Le lacrime iniziarono a scorrere incessanti sul mio viso e presto mi risultò difficile distinguere le nervature del legno sulla porta di Magnus. Magnus… il suo nome prima mi riempiva il cuore di gioia, ora assomigliava ad una pugnalata alla schiena anzi, la pugnalata in confronto al suo nome era una passeggiata… non capivo nulla, ma ero troppo confuso anche solo per muovere un piede davanti all’altro e camminare. Così, lentamente, ritornai in infermeria. Forse non stavo poi così bene dopotutto.

 

 

ANGOLO DELL’AUTORE:


Non ho nessuna scusa per questo mega ritardo perché non esistono scuse: semplicemente mi sono buttata a capofitto nei libri non solo scolastici e il tempo è volato, lasciando questo capitolo nella sezione documenti del mio pc in attesa di un aggiornamento. Sarò breve e concisa: causa impegni irrimandabili quali scuola e attività extracurricolari potrei non essere più regolare negli aggiornamenti come un tempo, ma ho tutte le intenzioni di finire questa storia che ormai mi ha coinvolto troppo per rimanere incompleta! Spero solo che mi capiate e che io non faccia scatenare in voi una repentina furia omicida.

Spero a presto.

Elisa

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Capitolo 17
*** Vendetta, domande e cuori infranti ***


~~CALL IT MAGIC
La porta cigolante della stanza del dormitorio era un rumore rassicurante per le mie orecchie.
Tornato in infermeria Madama White mi accolse rossa di rabbia in viso, nella mano destra teneva una siringa e per una frazione di secondo fui tentato di scappare ma, dopo la ramanzina, mi rimise a letto e controllò il mio stato di salute: dopo un’ora ero già stato dimesso. Tutti gli altri miei compagni se n’erano ormai andati da un pezzo, così raccolsi in fretta le poche cose che Annabelle mi aveva portato quella mattina e tornai in dormitorio. Come al solito la stanza profumava di pino e di un leggero ma penetrante odore di sandalo, lo stesso odore del bagnoschiuma che mi aveva regalato Magnus e di cui mi sarei al più presto sbarazzato. Inevitabilmente il suo nome mi soffocò, ed il respiro mi si fece irregolare per lo sconcerto. Volevo pensare a tutto fuorché a lui, ai suoi occhi da gatto, ai suoi zigomi alti, alla sua carnagione olivastra, alla sua pelle e al suo respiro irregolare a tempo con il mio in quel letto troppo impregnato del suo odore.
-Alec! –
Juliàn stava in piedi davanti a me, fissandomi con la sua solita aria apprensiva.
-ci stavamo preoccupando tutti per te, non ti abbiamo visto in infermeria e Madama White era così arrabbiata… -
Il suo accento francese si sentiva più del solito, forse per la pozione soporifera non ancora completamente smaltita o forse perché si trovava davanti una persona che gli avrebbe volentieri spezzato il collo. Si capiva lontano un miglio che era piuttosto imbarazzato mentre io ero completamente indifferente alla sua presenza ed il mio pessimo umore non mi aiutava affatto a smaltire la sua vicinanza.
-perché perdi tempo a cercare di redimerti Juliàn? –
Il ragazzo dai capelli biondi avvampò improvvisamente e posò lo sguardo sul pavimento, in preda al più evidente sconcerto, indeciso su cosa dire.
-perché ti amo Alec –
Wow, per essere un Serpeverde mancato era stato piuttosto schietto! Non me lo sarei mai aspettato da quel verme. Ammettere così le proprie emozioni poteva segnare l’inizio di una rovina o del più meraviglioso dei sogni. Peccato che dai sogni si sia costretti a svegliarsi. Nonostante tutto sorrisi a quelle parole. Era proprio quello che volevo sentire dopo… dopo quello che Magnus mi aveva fatto. Mi avvicinai a lui e gli afferrai il mento con decisione, le mie azioni guidate solo da un improvviso desiderio di vendetta. Juliàn gemette a quel contatto, forse per il dolore che le mie unghie conficcate nella sua carne gli procuravano, forse per l’eccitazione di quella inconsueta vicinanza, desideroso di colmare quella poca distanza che ci separava. Decisi di accontentare la sua muta richiesta.
Lo baciai con violenza, mordendogli il labbro inferiore fino a sentire il suo sangue nella mia bocca, senza nemmeno lasciargli il tempo di riprendere fiato fra un ansito e l’altro. Sentivo di averlo completamente a pugno, avrei potuto fare di lui qualsiasi cosa volessi. Un insaziabile desiderio carnale mi contraeva la bocca dello stomaco. Pensai che non poteva arrivare in un momento migliore. Io non desideravo altro che piacere e vendetta, due acidi troppo forti per dar vita ad una soluzione neutra, ma non era un mio problema. Per quel ragazzo non provavo ormai più niente, se non compassione.
Abbassai la mano sul cavallo dei pantaloni del mio compagno, massaggiandolo e percependo il suo impaziente desiderio. Lo spinsi frettolosamente verso il letto e gli sfilai la camicia ed i pantaloni, bloccandolo fra le mie gambe, alla disperata ricerca di una qualche emozione che colmasse il mio vuoto. I suoi capelli mi solleticavano il volto mentre gli mordevo il collo e gli graffiavo il petto, a ritmo con il respiro e i movimenti di lui. Gemetti anch’io fra le labbra in preda ad un’inevitabile eccitazione.
Gli tolsi anche l’ultimo indumento lasciandolo completamente nudo e nemmeno aspettai che fosse pronto per entrare dentro di lui. Mi mossi con violenza e fugacità.
Sapevo che mancava poco al culmine del suo piacere ma non ci badai affatto: non avrei smesso fin quando non sarei stato soddisfatto, gli avrei fatto male se necessario, anche se probabilmente l’avevo già fatto. In quel momento non mi importava di niente se non di me stesso.
Juliàn venne sopra di me e poco dopo anche io dentro di lui. Ci sdraiammo stremati e con il respiro irregolare uno accanto all’altro ma, appena lui tentò di posarmi una mano sul petto, io mi ritrassi e mi alzai per vestirmi.
-dove vai? –
Lo vidi sollevarsi su un gomito per parlarmi mentre io mi allacciavo i jeans: i suoi occhi chiari celavano un sentimento ferito.
-non credere che quello che ho appena fatto l’abbia fatto per amore. Questa era la mia vendetta, per tutto quello che mi hai fatto. –
Il mio tono di voce così incolore sorprese persino me, ma non lo diedi a vedere. Mi infilai anche la maglietta e mi sistemai velocemente i capelli indomabili di fronte allo specchio nel piccolo bagno del nostro dormitorio. Avevo un lieve accenno di barba e le borse sotto agli occhi, sembravo reduce dalla peggiore sbornia di Whisky Incendiario dell’ultimo decennio.
-credevo mi avessi perdonato. –
La voce del francese era roca e sembrava sul punto di spezzarsi da un momento all’altro. Risi di gusto alle sue parole patetiche.
-io non perdono così facilmente. Una volta ti consideravo un amico, ma tu hai rovinato tutto infamandomi e spifferando gli affari miei al preside e chissà quali altre voci hai messo in giro infangando il mio nome! –
Presi la tracolla e la bacchetta che avevo buttato malamente sulla cassapanca accanto all’entrata quando ero arrivato poco prima.
-è stato bello fotterti Martinez. –
Sibilai soddisfatto aprendo la porta e uscendo dalla stanza, richiudendola con un tonfo. Attraverso la parete sentii un gemito sommesso mentre mi incamminavo verso l’uscita.
Non sapevo bene perché l’avevo fatto, semplicemente ero così arrabbiato che credevo che vendicandomi il vuoto che Magnus mi aveva lasciato sarebbe passato almeno un po’ ma… no. Molto tempo prima glielo avevo promesso e i Cacciatori mantengono sempre la parola data. Non sarei tornato quello di un tempo, non sarei più stato debole. Il mondo mi aveva già sopraffatto una volta ed era bastata. Ero pronto, mi sentivo così bene da poter sollevare una montagna, ma il mio cuore a malapena avrebbe retto una piuma. Cosa mi stava succedendo? Era vero, gli avevo detto che lo amavo, ma quello stregone si era preso gioco dei miei sentimenti con tanta leggerezza… una fitta mi fece gemere di un dolore nuovo, completamente diverso da quelli procurati dalle ferite di battaglia, ma almeno dieci volte più doloroso. Innamorato… in passato credevo di essere stato innamorato di Jace, ma mai mi ero sentito così. Allora cos’era quello che provavo per lui? Solamente il semplice ed unico amore che si provava per il proprio parabatai? Probabile. Con Magnus era tutto differente, e sapevo che non avrei potuto cambiare le cose. Lui voleva così, punto. “Lightwood accettalo, non sei abbastanza per il Sommo Stregone di Brooklyn.”
Un altro ansito, stavolta più doloroso e brutale. Premetti le mani contro al petto soffocando le lacrime, ma ormai sgorgavano a fiotti dai miei occhi blu.
L’oceano si infrange sempre contro gli scogli, ma questi non lo accettano mai. Magnus era il mio scoglio, e le mie onde erano troppo scivolose per aggrapparsi veramente a lui. L’imponenza dell’oceano aveva trovato un ostacolo.

 

 

 

 




Cosa avevo fatto? Avevo allontanato da me l’unica persona di cui mi importasse qualcosa, e l’avevo fatto in un modo orribile. Sebbene avessi vissuto per più di ottocento anni, mi sentivo un sedicenne alle prese con la mia prima cotta adolescenziale. Più rimuginavo sulla svolta che gli eventi avevano preso, più mi rendevo conto di aver sbagliato tutto. Non potevo farcela da solo.
“Bane pensa! Ci sarà pur qualcuno in grado di aiutarti!”
Clarissa era da scartare completamente, per non parlare di Jace o Isabelle… avevo bisogno di qualcun altro. Posai nuovamente lo sguardo sui miei manuali ed appunti sparsi sull’enorme scrivania di mogano.
-non servite a nulla e che cavoli! –
Mi ero portato da New York ogni genere di manuale di demonologia e stregoneria, ma non mi avevano rivelato nulla che già non sapessi. La situazione era simile a quella in cui si era trovato, a suo tempo, Will Herondale. L’unica differenza era che lui almeno era partito da una maledizione poi rivelatasi inesistente e da un demone blu, mentre io non sapevo nulla. Non sapevo nulla, ma avrei potuto scoprirlo, ma certo! La scarica elettrica che mi attraversò fu piacevole e repentina. Sapevo esattamente chi poteva darmi una mano.
Presi carta e penna e scrissi un messaggio di fuoco:

Carissima signorina Grey,
Come ben sarai informata, in questo momento mi trovo alla prestigiosa scuola di magia e stregoneria di Hogwarts in Scozia e, sebbene il mio soggiorno sia dei migliori, ho un grosso fardello di cui non riesco a liberarmi. Solo tu puoi aiutarmi mia cara amica, ti prego di raggiungermi qui il prima possibile.
Con affetto,
Magnus Bane.

Il biglietto si dissolse in fretta fra le mie mani diretto alla destinataria. Sperai che lo leggesse in fretta e soprattutto che avesse una soluzione all’incubo in cui si stava trasformando la mia vita. Decisi che per quel giorno non avrei risolto molto di più così, ancora affranto ma un po’ rincuorato dalla speranza dell’aiuto di una vecchia amica, mi feci una doccia. Entrato nel box e avvolto dal vapore mi lasciai andare a tutto lo stress che m’invadeva e il fatto che anche Alec avesse passato del tempo con me fra quelle mura non aiutava. Il pensiero di aver sbagliato tutto mi uccideva. Gli avevo promesso di stargli vicino, di non abbandonarlo a se stesso, di proteggerlo da tutto nonostante lui fosse più forte e più addestrato di me per i suoi diciassette anni. E se fosse ritornato come prima della nostra storia? Oppure ancora peggio? Se avesse perso tutto ciò che l’aveva sempre caratterizzato? La sua dolcezza e fragilità ben nascosta dietro i tratti duri di un giovane uomo e cacciatore, la sua decisione e la sua passione, l’amore che mi aveva donato con così tanta spontaneità? Mi avrebbe ancora amato in futuro? Io già lo sapevo, se in quel momento avesse bussato alla mia porta e mi avesse detto che mi amava non avrei potuto far niente per fermarlo ed evitare le conseguenze, sarei stato in balia dei suoi occhi blu. Ma non potevo. Non fin quando quella cosa che mi governava la mente ed i pensieri si insinuava dentro di me. No.
Uscito dalla doccia, l’aspetto ancor più stravolto di quando ero entrato, mi vestii per dormire e mi preparai una tazza di the inglese per provare a calmare i nervi.
Poi mi misi a letto e appena mi avvolsi fra le coperte un messaggio si compose fra fumo e cenere davanti a me.

Carissimo Magnus Bane,
Dalle tue parole qualcosa mi dice che c’entra un giovane Lightwood dai capelli neri e gli occhi blu. Ricordo quella volta in cui mi dissi che era la tua combinazione preferita! Beh, ormai sai, con una certa melanconia, che è anche la mia. Sto già facendo i bagagli e al più presto mi recherò ad Hogwarts. Gli stregoni del Labirinto a Spirale hanno già provveduto ad avvisare il preside del mio arrivo. Sarò lì in veste di visitatrice ma, visti i nostri trascorsi, non ci saranno problemi nel svolgere le indagini. Mi hanno anche detto che hanno una grande biblioteca in quella scuola, perché non me ne hai parlato? Professor Bane, mi vedo costretta, in cambio dei miei servigi, a chiederle una visita fra quei suppongo meravigliosi scaffali.
Spero di rivederti presto,
Theresa Grey

Mi avrebbe aiutato! Sarebbe stata qui nel giro di qualche giorno e forse avrei risolto tutto! L’euforia stava crescendo nelle mie vene all’idea di poter riabbracciare presto Alec.
Tessa era sorprendente: in poche righe aveva capito almeno la metà della situazione. Certo, non sapeva ancora nulla del demone e della runa ma aveva capito quanto stessi male per Alec. Rinunciai al mio precedente programma riguardante il dormiveglia perenne dominato dai sensi di colpa e scrissi subito una risposta che inviai immediatamente. Forse c’era speranza per me ed Alec, forse non tutto era ancora perduto.

 


ANGOLO DELL’AUTORE:

Ciao ragazzi! Okay, probabilmente la maggior parte di voi, se non tutti, avrà pensato seriamente se considerarmi una persona sana di mente oppure di no. Ebbene, sono qui proprio per giustificare la mia pazzia apparente: punto primo, Alec attivo. Sono consapevole del fatto che quello che ho scritto corrisponde al contrario di quello in cui credo, ma la fantasia ha preso il sopravvento e le dita hanno iniziato a scrivere sulla tastiera senza interpellare il mio cervello. Principalmente le cose sono andate in questo modo perché il nostro sensibile Alec non ha più avuto il controllo di se stesso e le forti emozioni che lo contrastavano (rabbia, delusione, insoddisfazione, vendetta solo per citarne alcune) hanno preso il controllo sulla ragione e inevitabilmente hanno spezzato, attraverso il proprietario, il povero cuore di Juliàn (sono consapevole del fatto che in quanto autrice dovrei essere imparziale e trattare tutti i personaggi allo stesso modo ma ben gli sta, credo che nella situazione in cui si è trovato il nostro Lightwood preferito avrei fatto la stessa cosa). Inoltre, sebbene mi costi molto dirlo, quest’Alec attivo mi intriga un po’ anche se per quanto mi riguarda con Magnus sarà sempre e solo passivo.
Punto secondo, Tessa Grey. Okay, ammetto che non l’avevo affatto prevista ma… è sempre colpa delle mie dita dotate di vita propria, per favore non odiatemi!!!!!!!!
Detto questo, come andranno a finire le cose? Risolvere il puzzle sta diventando un’impresa sempre più ardua, forse addirittura impossibile e, per citare il mio saggio (si fa per dire) padre: ce la faranno i nostri eroi?
A prestissimo,
La vostra pazza pazza pazza e affezionata Elisa.

 

 

 

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Capitolo 18
*** Un po'di sollievo ***


~~CALL IT MAGIC

Perché non diminuiva?
Me ne stavo seduto a gambe incrociate nella Stanza delle Necessità circondato da armi e strumenti degni della migliore sala di addestramento, eppure il cuore non la smetteva di far male. Mi ero comportato in modo orribile, ma Magnus si era comportato anche peggio… ma che idiota! Lui non mi aveva tradito. Aveva solo smesso di amarmi, il che faceva ancora più male sebbene non giustificasse il tradimento. Mi ero comportato esattamente come mio padre. Come colui che non volevo essere. Colui che mi aveva ripudiato per quello che ero e solo Magnus mi aveva ridato la speranza… e dopo aveva gettato acqua sul fuoco. Avevamo distrutto in poche ore mesi di lavoro: e tolte le fondamenta, il ponte crolla in pochi istanti.
Avevo distrutto tutto ciò che avevo attorno accecato dalla rabbia e dalle lacrime: scaffali, panche, armi… e subito dopo averle ridotte a brandelli ne comparivano delle altre, segno che non dovevo smettere fin quando attorno a me non sarebbe rimasto altro che macerie. Ma ero stanco. Avevo le mani tutte graffiate ed il fiatone, le rune di forza non erano servite a nulla e la pozione che mi avevano dato in infermeria a quanto pareva aveva ancora un effetto su di me. Sentivo un vuoto al cuore e avevo bisogno di qualcuno che mi rimanesse accanto. Il suo nome mi rimbombava nel petto e sapevo che solo lui avrebbe capito: Jace. Probabilmente già sentiva quanto stavo male e si chiedeva dove fossi, oppure perché ero scappato dall’infermeria prima di essere dimesso… probabilmente stava tentando di ricostruire il puzzle di quegli ultimi mesi dato che da perfetto caposcuola mi ero trasformato in una persona sconsiderata, peggiore del più incosciente Herondale nella storia della famiglia: sprezzante delle regole e terribilmente tragico e melodrammatico. Mi sollevai sulle mie gambe notando piacevolmente che nonostante il mio cuore fosse a pezzi loro non si erano disintegrate ed uscii dal templio dell’oblio della mia mente malata per andare a cercare Jace. Ma a quanto parve fu lui a trovare me.
-Alec!!-
Urlò una voce a metà del corridoio del sesto piano.
-per l’Angelo Alexander Gideon Lightwood! Spiegami dove cavolo sei stato nelle ultime quattro… -
Ma si bloccò quando vide in che condizioni era la mia faccia.
-Hey… che succede fratello? –
Azzerò a grandi falcate lo spazio che ci divideva e mi abbracciò forte.
-sei sparito dall’infermeria, c’era Madama White che giurava di tagliarti a metà appena ti avrebbe trovato… è per quello? È stata così cattiva? –
-magari fosse per quello Jace…-
Sussurrai sulla sua spalla tentando di mantenere un tono di voce normale anche se fallii.
-e allora che succede?! Alec parlami! Sono il tuo parabatai! –
-vorrei tanto farlo ma non è né il luogo né il momento… andiamo da un’altra parte. –
Gli feci segno di seguirmi lungo i corridoi fino al terzo piano, di fronte alla statua della strega orba e poi subito dietro, nel passaggio segreto. Appena entrati e assicuratomi che nessuno ci avesse visti e che l’entrata fosse ancora ben nascosta, accesi la stregaluce e mi trovai la faccia del mio parabatai a poca distanza, che mi osservava terrorizzato. Jace fece un balzo di due metri, finendo con lo sbattere la testa sul basso soffitto di pietra e cadde a terra, con un braccio tremante puntato verso di me.
-Tu! Che diavolo hai fatto ad Alec?! Per l’Angelo! Sei quasi peggio di me! –
Strillò con finto terrore. Mi avvicinai a lui e lo aiutai ad alzarsi: sentivo il sangue defluire sempre più dal volto, dandomi più l’aspetto di un fantasma che di un essere vivente.
-sono sempre io, solo… a volte le ronde notturne sono piuttosto lunghe e noiose e dato che non posso evitarle sfrutto il mio tempo per girovagare e un giorno ho trovato questo passaggio… -
-e dove caspiterina porta?! –
Chiese Jace aumentando di un tono il volume della voce: non potevo crederci! Avevo lasciato senza parole Jace Herondale!
Risi rendendomi improvvisamente conto di avere in pugno la situazione.
-beh, se te lo dicessi non mi staresti ad ascoltare nemmeno per un secondo. Quindi, prima sediamoci e parliamone. Dopo avrò bisogno di quello che si trova in fondo a questa dannata galleria. –
Il biondo si fece improvvisamente serio e si sedette a gambe incrociate di fronte a me. Poco dopo lo imitai, sguainando un pugnale dalla fondina e giocherellandoci mentre le parole uscivano a fiotti. Gli parlai di come Magnus mi aveva lasciato, della mia rabbia cieca e feroce, del desiderio di vendetta… gli parlai di Juliàn e sentì Jace sibilare un “ben gli sta!” fra sé e sé, del tempo passato nella Stanza e di come questi sembrava non finire mai ora che tutto non aveva più un senso apparente. Dopo un buon quarto d’ora carico di parole che uscivano a fiotti dalla mia bocca, Jace prese un lungo respiro, alzò lo sguardo ed incontrò i miei occhi. Le sue iridi avevano il potere di rassicurarmi: mi guidavano verso una spiaggia sicura e se mi trovavo in un mare in tempesta, bastava il giovane Herondale a calmare le onde impetuose. Dopo alcuni attimi di silenzio, Jace si morse le labbra tentando di reprimere una scrosciante risata ma non ci riuscì e cedette alle lacrime che gli inondavano gli occhi per la repressione di quel sentimento di allegria. Gli tirai un pugno sulla spalla facendolo barcollare leggermente ma questo non aiutò a calmarlo.
-SI PUÒ SAPERE CHE DIAVOLO C’È DI COSÌ DIVERTENTE?! –
Chiesi io in preda allo sconcerto.
-voi…voi due… ahahaha siete esilaranti! –
-beh, dalla tua reazione l’avevo capito, ma io non so cosa tu possa trovare di esilarante in questa situazione! Mi hanno spezzato il cuore, e poi io l’ho spezzato ad un’altra persona. IO! Alexander Gideon Lightwood! –
Puntai un dito verso di me fissandolo truce. Il fatto che ridesse della mia situazione mi infastidiva, ma non avrei mai potuto essere arrabbiato con lui.
-Per l’Angelo Alec! Proprio perché sei tu non riesci a cogliere la comicità della situazione! –
Jace si circondò i piedi con le mani da pianista scompigliandosi i capelli. Risultava più giovane ed infantile in quella posa assurda e assomigliava più ad un angelo anziché ad un fastidioso folletto quale era.
-per prima cosa, sebbene sappia che la vendetta non sia mai la soluzione, in questo caso hai fatto bene a comportarti così con Juliàn: se lo meritava quell’infido dopo quello che ha detto su di te. E questo ci ha fatto capire una cosa ulteriore che mai avrei creduto possibile: sotto un certo punto di vista sei desiderabile! –
Gli tirai un altro pugno incitandolo a continuare.
-non cambiare discorso e vai avanti, oppure faccio comparire un’anatra sulla tua testa. Non c’è molto spazio per fuggire… -
Jace rabbrividì guardandosi attorno, calcolando ogni possibile via di fuga in vista dell’attacco di un anatra.
-quelle piccole bestie malefiche… mai fidarsi di un’anatra! Comunque, dato che non ci tengo affatto a provare l’ebrezza di avere un pennuto adagiato sui miei bellissimi capelli biondo naturale, continuo con i discorsi noiosi. –
Si sistemò un po’ più vicino a me, cercando il mio sguardo.
-Alec… ma non l’hai ancora capito che Magnus sta facendo tutto questo per proteggerti? –
Strabuzzai gli occhi.
-io non voglio essere protetto! Non ne ho bisogno! L’unica cosa di cui avevo bisogno era la sua presenza! Non ero certo alla ricerca di un luogo sicuro e accogliente! Ho passato una vita ad addestrarmi e a vivere in luoghi tutt’altro che sicuri durante le nostre missioni! –
Dissi tutto d’un fiato, ansimando quando finii di obiettare le parole del mio parabatai che mi aveva nel frattempo poggiato una mano sulla spalla.
-Alec… Magnus sta cercando di proteggerti dall’unica cosa che non può controllare: se stesso. C’è qualcosa… l’ho osservato in questi giorni, c’è qualcosa che lo tormenta. E probabilmente è giunto alla conclusione che potrebbe essere dannoso per te. –
Mi presi La testa fra le mani guardando il pavimento di roccia nuda.
-come… Jace… perché diavolo l’ha fatto? Perché vuole farmi stare così male? –
-forse crede, sebbene ci siano poche cose peggiori di un cuore spezzato, che questo sia meglio di quello che teme ti possa far male… -
-quello stregone! È un idiota! Un emerito idiota! Non me ne importa un’emerita pluffa se con lui sono in pericolo o meno! Mi uccide più di un pugnale conficcato nel cuore stargli lontano! Non son passate nemmeno quarantotto ore… e già l’ho tradito e mi stavo consumando a forza di brandire spade sempre più pesanti! –
Mi alzai e Jace fece lo stesso, con gesto teatrale ed aggraziato.
-e un altro mistero è stato risolto dall’intrepido investigatore Herondale, Jace Herondale! –
Il giovane finse di avere un cappello in testa e si inchinò con estrema eleganza.
-ed ora, prima di combinare altri disastrosi casini, vai da lui e parlagli! A meno che tu non voglia che ti ci mandi a forza con la magia… -
-ma…-
-niente ma! Da quando stai con Magnus, sebbene non approvi appieno il suo eccentrico modo di vestire, sei stato la persona più felice della terra. Non ti avevo mai visto così, se non quando siamo diventati parabatai e… voglio essere certo che tu lo sia il più possibile. Voglio abituarmi a vedere il tuo sorriso. Sei stato per me il migliore dei fratelli e il mio faro nella notte, e saremo sempre l’uno per l’altro indispensabili, finché la morte non ci dividerà. Voglio che tu sia felice tanto quanto lo vorrei per me stesso, fratello. –
Senza nemmeno pensarci, mi avvicinai al mio parabatai e lo abbracciai. Ormai era un gesto così abituale, quasi come respirare, che a volte nemmeno me ne accorgevo.
-grazie… grazie davvero. –
Jace ricambiò i miei ringraziamenti con una pacca sulla spalla ed una stretta ancora più forte, dopo si allontanò da me.
-ed ora vai. –
Feci gli scalini che mi separavano dalla statua della strega orba due alla volta e arrivato alla sommità sentì la voce di Jace che mi fermò ancora una volta.
-hey Alec… cosa c’è in fondo alla caverna? –
Risi di gusto pensando al giorno che l’avevo scovata, e alla meraviglia che provai nel rendermi conto che mi trovavo nella cantina di un negozio di dolciumi.
-ti piacciono i dolci Jace? –
Lui annuì infervorato.
-bene, allora ti basti sapere questo! –
Uscito in corridoio notai che il sole s’era ormai abbassato e decisi di andare in dormitorio: avrei parlato con Magnus il giorno dopo.

 

 






Il giorno dopo lo scambio di corrispondenze con Tessa ecco che il preside venne a farmi visita per annunciarmi il suo arrivo.
-professor Bane! La sua amica, la signorina Grey, è arrivata stamattina dal Labirinto a Spirale. –
-ma… ma come… -
Biascicai.
-mi aveva scritto che ci sarebbero voluti un paio di giorni… -
-e invece eccomi qui! –
Da dietro le spalle possenti del preside Paciock spuntò una figura esile in jeans e maglione, ai piedi un paio di stivaletti alla caviglia neri.
-Tessa! –
Ero ancora sdraiato a letto ma mi alzai e mi avvolsi attorno una vestaglia per poi correre ad abbracciarla.
-Tessa! Sembra passata un’eternità dall’ultima volta che ti ho vista! –
-beh, più o meno… -
Disse lei ridacchiando appena.
-bene signori, io penso che tornerò ad occuparmi delle mie faccende. Signor Bane, signorina Grey, a più tardi! –
Il preside chiuse dietro di sé il grande portone e si dileguò, lasciandoci soli.
Invitai la mia ospite a sedersi e le offrii del tè portato lì probabilmente da degli elfi domestici.
-allora Magnus… -
Tessa accavallò le gambe osservandomi mentre le servivo la bevanda.
-parlami un po’del tuo problema. –
Feci un breve riassunto di quello che era successo. Lei si limitò ad annuire di tanto in tanto, sorseggiando lentamente la bevanda.
-quindi mi stai dicendo… che un demone ha in qualche modo preso il controllo di te e ti sta inducendo ad uccidere Alec? –
-si, in poche parole si. È per questo che l’ho lasciato, avevo paura di fargli del male. –
-beh, è comprensibile… ma non avresti potuto farlo in un modo un po’meno brusco? –
Magnus sospirò abbassando lo sguardo.
-non ce l’avrei fatta… è stato doloroso anche per me Tessa…-
La ragazza sospirò, prendendomi la mano.
-mi dispiace che le cose siano così difficili Magnus… farò tutto il possibile per aiutarti. –
Sorrisi e strinsi la sua mano a mia volta.
-ti sono così riconoscente Tessa… Alec per me ha un ruolo che nessuno ha mai avuto prima nel mio cuore. –
-capelli neri ed occhi azzurri: una combinazione letale. –
Sospirò malinconica la ragazza.
-La notte e l’oceano mischiati insieme… come fai a non affogare nei suoi occhi? –
-ci sono già affogato e non credo che ne uscirò mai indenne. E poi… anche tu ci sei già passata, con Will. –
Tessa sorrise e capii che aveva intuito cosa provavo. Dopotutto, anche lei aveva conosciuto il vero amore.
Parlammo per un paio d’ore di qualsiasi cosa ci venisse in mente, lei di come passasse le giornate nel Labirinto, io delle mie lezioni a quella banda di adolescenti incontrollabili, che a loro modo mi recavano qualche soddisfazione di tanto in tanto. La giornata passò velocemente in compagnia di Tessa Grey e giungemmo alla conclusione che dovevamo partire da un punto ben preciso: il mio ultimo contatto con un demone. Verso sera il tavolino era un disastro, stracolmo di fogli e libri di demonologia.
-bene, per quel che ne sappiamo l’ultima volta che sei entrato in diretto contatto con un demone è stato durante il misterioso attacco alla scuola, qualche mese fa. –
-Si, ma non si trattava di demoni superiori… erano delle comunissime creature demoniache. Neanche troppo intelligenti a dirla tutta. –
-abbiamo saltato qualche passaggio. Di certo la chiave della soluzione è qui di fronte a noi, e si nasconde in quello che hai fatto in quei giorni. –
-per esempio? –
-per esempio durante la battaglia. Anzi, è l’unico momento in cui sei venuto direttamente a contatto con un demone. Dopo sei andato in infermeria e hai curato il morso di quella ragazza… Annabelle. Non è successo nient’altro dopo questi eventi riconducibili ad un contatto con un demone e solo nelle ultime settimane ti sei sentito diverso, fino al culmine, l’altro giorno, quando quella creatura ha tentato di prendere il controllo su di te. –
Sospirai al pensiero di quei brutti momenti giocherellando con le dita perfettamente smaltate.
-Si, è così, ma questo per ora non mi fa sentire meglio… dobbiamo trovare un rimedio il prima possibile. –
Tessa accavallò le gambe e mi guardò, le sopracciglia aggrottate.
-la prima cosa da fare Magnus, e mi sorprendo che tu non l’abbia ancora fatta nonostante la tua veneranda età ed esperienza, è sistemare le cose con Alec. Il prima possibile. O rischi di perderlo seriamente. Se il vostro sentimento è forte come dici e il modo in cui l’hai lasciato così orrendo e deplorevole, dev’essere a pezzi. -
-grazie Tessa, tu si che mi fai sentire meglio e soprattutto fiero di me stesso! Lo so di aver combinato un casino ed ora devo rimediare. Spero solo che non sia troppo tardi. Spero di non aver lacerato irrimediabilmente il suo cuore. –
-se ti ama come dici saprà perdonarti se solo avrai abbastanza coraggio e gli spiegherai tutto. –
-lo spero. –
Tessa si alzò in piedi e si sistemò il maglione che si era leggermente spiegazzato quando si era seduta.
-benissimo, allora dimmi: perché sei ancora seduto? Alzati e va da lui! –
-ma è tardi… sarà già in dormitorio… -
-e allora?! Un paio di mura possono fermarti adesso? Ti sei rammollito parecchio in questi anni! –
-hey! Piccola strega insolente… non osare! –
Dissi fingendomi offeso e ridendo insieme a lei.
-invece oso! Ed ora vai da lui! Veloce! –
Mi liquidò con un gesto della mano praticamente spingendomi fuori dalla mia stessa stanza. Quando ci ritrovammo entrambi sull’uscio, lei si dileguò e andò alla ricerca dell’immensa biblioteca della scuola, mentre io mi sistemai la giacca e andai in direzione della torre di Corvonero.

ANGOLO DELL’AUTORE:


Buona Pasqua, anche se un po’ in ritardo, a tutti voi!
Sono consapevole di essere terribilmente in ritardo con la pubblicazione ma il motivo è sempre lo stesso: la scuola. Questo per me è il periodo più critico e dato che sono una persona molto lunatica rischio di entrare in crisi nel giro di pochi decimi di secondo e devo restare costantemente concentrata per evitare qualsiasi crollo mentale. Ormai mancano pochi capitoli alla fine della storia e spero vivamente che vi lasci, se non senza fiato, quantomeno con un bel ricordo. Ma non parliamone adesso, dopotutto siamo ancora nel pieno della festa!
Spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto e vi prego di recensire per darmi la vostra opinione, sia negativa che positiva, in merito.

A presto!
Elisa

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