Stillborn

di Drosophila Melanogaster
(/viewuser.php?uid=687885)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I ***


Autore : Drosophila Melanogaster
Traccia scelta: 1- Dystopian Madness
Titolo: StillBorn
Fandom: /
Coppia: /
Rating: Arancione
Genere: Romantico, avventura
Avvertimenti: Lime (leggero leggero), violenza
NdA: Non c'è molto da dire, questi due hanno preso vita nella mia testa mesi fa e poi ci sono rimasti come dire... a fare la muffa. Poi è arrivato questo contest e con lui la voglia di riprenderli in mano. Perciò eccoli qui in tutto il loro non-splendore.

   StillBorn       

                                          Drosophila
                                                                    Melanogaster



 


 

A Hipnosis , che per prima ci ha creduto
A Hugin, che ha continuato il sogno



Anni, non ci sono anni.
Qualcosa ha distrutto la superficie, navighiamo senza meta nelle viscere del rifiuto di questo pianeta.
Abbiamo ricominciato, l'umanità ha trovato la via migliore per continuare.
File di uomini e donne e bambini riposano in vasche di liquido amniotico; a loro non è concessa la morte, solo la sofferenza. Sono i Dormienti, Ribelli figli della Madre. Lei è il cuore di tutto il sistema. Siamo tutti prigionieri della grande signora che ci chiude in gabbie, sezioni, livelli. Siamo protetti dall'esterno da pesanti mura di vetro e metallo, ambienti falsi, che si sgretolano sotto lo sguardo.
Poi ci sono gli StillBorn.
Non si può scegliere di essere uno StillBorn.
Il sistema sceglie te. Sei costretto ad obbedire. Non importa quanto tu sia buono. Quanto le tue intenzioni siano nobili. Se nasci morto allora sei uno StillBorn. La bellezza del respiro che manca ti renderà carnefice di tutti coloro che sono vivi da sempre.
Gli StillBorn sono i soldati della società di questo mondo disfatto, collassato su se stesso. Il regime totalitario che ti dice persino l'orario in cui devi andare a pisciare. Schiavo della tua stessa casta, maschera di perfezione ed amore pienissimo.
Non si sceglie di essere uno StillBorn.
Ti macchierai di quel nome, te lo incideranno sul petto.
"Numero di serie."
763425.
"Scansione oculare."
Mi acceca.

______________________________________________________________________________


Quello che vedevo era solo bianco candido. Ospedaliero. Una immensa sala operatoria, e tubi, e luci abbaglianti.
Quello che sentivo erano suoni ritmici, elettrocardiogrammi troppo lenti.
Sulle labbra sentivo il sapore dell'ammoniaca nell'aria.
Avanzavo nudo, nero in mezzo a tutto quel candore. Camminavo a testa alta, legato come un cane.
Eravamo una fila e fissavamo con gli occhi spenti la nostra fine. Cilindri uno dietro l'altro in dieci file ordinate. E ancora tubi, e ancora suoni e luci pulsanti.
Il petto veniva schiacciato lentamente in carenza di aria e la bocca rantolava lamenti che la gola non voleva far uscire.
La consapevolezza della prigionia mi ha reso un verme. Strisciavo, sottomesso ad un sistema che mi teneva appeso ad un filo.
Oltre le porte scorrevoli, la dove potevo vedere il bianco infrangersi e il rosso del nostro sangue scorrere libero dalla costrizione delle vene, c'era lui.
Un rantolo mi salì dalla gola alla vista dei capelli fulvi, lo sguardo di uno squalo, pronto ad azzannarmi.
Allungai il passo, inciampando sull'uomo bianco davanti a me. Dovevo correre da lui.
Il mio Amato, il mio Mai Nato. Mi avrebbe ucciso, prima o poi. Le ferite ogni anno si rimarginavano meno velocemente.
Nella mia frenetica compostezza non lo perdo di vista, i cristalli verdi che ha al posto degli occhi mi seguono, vogliono affogarmi.
Quando ci è dato l'ordine di raggiungere gli StillBorn, di nascere, finalmente, mi lascio andare; cado tra le sue mani.
-E' questo l'anno.- mi sussurra all'orecchio, mentre la mano bianca percorre la mia testa rasata. Sorrido, attendo che passi il momento idilliaco che stiamo vivendo, abbracciati, perché so che poi vedrò rosso, infernale, scuro, il rosso del mio sangue sul suo volto.
Altoparlanti danno l'ordine di ferirci. E' tradizione che chi nasce pianga, gridi al mondo la sua inettitudine.
Lo vedo rabbuiarsi, impugnare il teaser, trattenere le lacrime che hanno creato una patina liquida sopra i suoi occhi. Per lui è una sofferenza colpirmi, lo dice ogni volta, in quel suo silenzio privo di risate.
Deve mostrarsi compiaciuto del male che mi fa, ghignare, essere spietato o la madre lo rinchiuderà tra i dormienti, e non potrebbe più rivedermi.
Alceo, gli dico, più forte. La scarica del teaser era debole, troppo debole, non piangevo. Aumenta il voltaggio e crollo carponi con punte di sale a sfondare le mie palpebre.
Così va bene, Alceo.
Ti porterò via da qui, Alceo. Lo StillBorn non fa per te, sei nato che respiravi, ti hanno confuso con un morto. Io c'ero, ti ho visto. Tua madre per salvarti ha soffocato per poco il tuo respiro. Voleva che vivessi, ha detto. Fallo innamorare di te, mi ha chiesto.
Sapeva che avrei infranto il Regime, che il Sistema non avrebbe schiacciato la mia pelle nera. La tua Caritatevole è tua madre, la tratti da schiava e lei di notte ti accarezza i capelli. Se si scoprisse la ammazzerebbero. La madre è un cancro da cui lo StillBorn si deve liberare. Ma tu sei nato in pura Bontà, la crudeltà non alberga nel tuo cuore.
Gli sussurro la sua storia mentre continua a salvare la apparenze, a squarciare la pelle della mia schiena, a meravigliarsi del fatto che sul mio nero il sangue risulti rosso brillante. Impossibile, avrebbe detto, che si vedesse così bene.
Lo sento trattenere il respiro. -Madre- sussurra, piange senza farsi vedere.
Di nuovo, dall'alto, ordini di carneficina.
La mia vita di un giorno, l'ultima vita di un giorno, è appena cominciata.


Siamo in mezzo ad una marea di altra gente. A coppie, StillBorn e Dormienti sfilano sotto gli occhi dei Guardiani che muniti di fucili scrutano la folla, in cerca di rivoltosi.
Si riconoscono dallo sguardo, dicono. Tengo gli occhi chiusi.
La massa che cammina sembra un formicaio che brulica e ciascuno di noi si sente una formica, schiacciata dal Soldato che gli sta al fianco, che lo tocca, lo seduce con occhi di smeraldo.
Avanziamo ancora.
Sono sempre nudo, ci distacchiamo di nascosto dalla lunga colonna di corpi pronti alla Selezione.
Mi prende per mano; quanto è fredda, Alceo?
I corridoi dell'ala degli StillBorn sono di un nero in cui mi confondo facilmente. Il suo cuccio è il numero 763425. Lo ha inciso sul petto, lo mostra ad una fotocellula e la porta si schiude. Entra e mi trascina con se, mi lascia in piedi in questa stanzetta minuscola e asettica.
Mi guarda, sorride. Allunga le sue dita gelide sul mio petto, sfiora i miei capezzoli e un brivido mi fa rivoltare lo stomaco. Accarezza i miei pettorali e dalla mia gola sale un gemito basso.
La Madre ci osserva.
Devo portarti via, gli dico. Vestimi, ti porto via. Un altro anno e moriremo entrambi. Si accorgeranno che sei buono, ti elimineranno.
Glielo dico e di nuovo piange. Come un bambino, un ragazzino, lui piange. Asciugo le lacrime che lo violano, voglio averlo intatto.
Mi allunga una tuta, bianca come le loro. -Ti confonderai con noi.-, la sua voce è chiara e quasi inudibile.
Il microchip. Suonerà se metterò piede alla centrale.
Estrae un coltello dalla lama affilata, gli porgo il polso, stringo i denti. Recide la mia pelle, asporta un grosso pezzo di carne. Con il teaser cauterizza le vene aperte. -Sopravviverai.-
Si alza sulle punte dei piedi, bacia le mie labbra scure, affondo la mano tra i suoi capelli rossi. Mordo le sue labbra e succhio il suo sangue, lo tengo sulla lingua, una piccola vendetta. Per tutto quello che ha fatto versare a me, penso. Anche se non era lui, anche se mi avrebbe volentieri risparmiato quei trenta giorni, anni, di sofferenze e nascite, e morti sempre uguali. Avrebbe risparmiato al mio corpo il rivivere intensamente ogni volta la prima volta. Il primo bacio, la prima scopata, la prima ferita. Con lui era sempre uguale e sempre nuovo, e avrebbe voluto impedirlo. Ripetere le cose come già fatte, amarmi come un uomo e non come un aguzzino. Il mio Amato carnefice. Quante lacrime di sangue ho sprecato nel mio utero di vetro.
Il rosso macchia vistosamente la tuta di cotone ruvido. Il bianco candido della stoffa avvolge il mio corpo nero. La mia mano nella sua è scuro ebano su bianca arena. La nostra corsa si infrangerà sulle dune desertiche fuori dal ventre. E finalmente la morte sarà unica e irreparabile. Sorrido al pensiero. Desidero morire con lui che mi stringe il petto. Che finalmente le sue lacrime scendano piene d'amore, che non vengano nascoste da diabolici sorrisi. Usciamo dal suo cuccio e di nuovo tutto è nero. Corriamo; svoltando nei corridoi lentamente ritorna il bianco. Quando tutto è candido quasi non mi si vede. Vediamo di sfuggita la colonna ordinata avanzare ancora. Quando alla conta ne mancheranno due tutti gli StillBorn ci daranno la caccia.
Sappiamo che adesso è l'unico momento in cui si può tentare la fuga. Ora che la Madre è occupata a dare alla luce nuovi dormienti, e a regalare l'eterno riposo ad altri. Qualche Amato piange in fondo alla fila, il suo giocattolino verrà rimpiazzato.
Ci affacciamo alla centrale, passo il braccio sotto le fotocellule, nessun suono. Posso entrare.
Qui il bianco si fa quasi accecante. Tutto brilla di luci al neon, tutto è illuminato da plasma fluorescente color della neve.
Mi sfrego gli occhi e cerco Alceo con la mano, gli stringo le dita, vedo i suoi occhi ancora tristi, spaventati.
-Mia madre?- Gli dico che le Caritatevoli non vengono mai uccise, che se il loro StillBorn muore, o sparisce, si occuperanno di altri fino a morire in pace con loro stesse in una enorme casa azzurra, fuori dalla madre. La rivedrà da uomo libero. Mento, per vederlo sorridere, tirare su col naso e stringermi di rimando la mano nera, mento.
Spingo tasti e sposto con le dita ologrammi verdognoli che fluttuano nell'aria. Fisso davanti a me una posta a doppia mandata di piombo pensate. Ha un'anima di titanio, mi dice, non puoi farla saltare.
Non voglio farla saltare. Si aprirà per me.
Con un soffio ansimato la porta scorre, sparisce nella parete.
Lo vedo guardasi dietro ancora una volta. Deve abbandonare questo posto, è per il suo bene. Deve salvarsi la pelle finché è in tempo.
Gli tiro il braccio, esco, lo porto con me. Catturo la sua bocca nell'istante in cui varca la soglia. Fuori l'aria è desertica. Il vento sferza forte il nostro bacio, ci teniamo stretti per la tuta bianca. Dall'interno, ancora troppo vicino a noi, si sentono suoni d'allarme. Lo vedo alzare lo sguardo chiaro sul mio, spaesato, infelice. Urla atroci chiamano il suo numero a gran voce. Incattivite, stridule, le odio. Soffocate.
Lo stringo tra le braccia prima di indicargli la via verso cui correre. Gli dico di andare avanti, si rifiuta, scalcia, il suo piccolo pugno diabolico mi piomba sulla faccia e mi piego. Mi chiama stronzo, vuole che vada con lui, che lo segua. Ma non è così che deve andare. Presto gli StillBorn e le guardie si riverseranno all'esterno, e troveranno me. Lui sarà lontano. Mi stringo la guancia colpita, lo sento appoggiarsi al mio petto, colpirlo forte con altri pugni a cui non mi piego. Mi abbassa la cerniera sul petto, sfiora le cicatrici che mi ha lasciato, traccia le loro scie con la lingua. Lacrime calde mi bagnano la pelle, lo stringo appena sotto le spalle. Corri via, gli dico, arriverò. Non faccio che mentire.
Lo spingo bruscamente verso un sentiero appena visibile sulla sabbia, mi guardo attorno. Le dune sono alte quanto un grattacielo. Lo osservo inerpicarsi sulla collina, lo saluto con lo sguardo mentre alle mie spalle strepitano i rumori dell'armeria. Sento passi marziali, come un solo uomo mille soldati sfilano fuori dalla porta, vengono per lui. Sento dall'alto della collina un grido, mi implora. -Vieni via. Non morire. Hai promesso.- , mi si blocca il respiro, credevo fosse più facile. Estraggo dalla fondina appesa alla tuta una pistola, sparo due colpi, ferisco la coppia in prima linea, il Dormiente mi ringrazia sorridendo, l'altro bestemmia. Corro verso Alceo, lo vedo inciampare, cercando di risalire. Lo faccio passare sulle mie spalle larghe, lo tengo addosso, lo porto su. Dall'alto vediamo il plotone d'esecuzione avanzare compatto, sento che strema, si aggrappa a me con le unghie.
Non ti avranno, gli dico.
Sotto la collina il tempo e le esplosioni delle guerriglie esterne al ventre hanno creato profondi fossati, enormi cavità, a cui puoi accedere attraverso buchi stretti quanto una botte.
L'esercito avanza sul versante impervio, sono veloci, agili. Io arranco con Alceo sulle spalle, stretto a me, sento i suoi capelli corti e tinti sul collo.
Il lontananza, sulle rocce che testimoniano l'antica esistenza di una città, di quelle con luci e rumore, quelle che tutti avrebbero voluto avere come casa natale, si abbatte una tempesta sanguigna. Ci raggiungerà in meno di due minuti, vola in fretta.
A pochi metri dai miei piedi c'è una delle fosse, lo faccio scendere, gli dico di entrare, di scivolare in fondo. Lo spingo verso il foro dai contorni acuminati che si forma tra la terra, stringo nuovamente la pistola, due spari e la seconda linea cade. Ho tempo per entrare nel nascondiglio sicuro che il mondo di fuori ha creato per i ribelli.
Sento il vento, l'esercito, la tempesta. Comincia a soffiare, a spirare dentro il buco. Ci seppellirà.
Tengo la schiena premuta contro l'esterno, Alceo si muove carponi verso di me, appoggia il volto sulle mie gambe. Da sopra le nostre testa giungono urla, suoni di armi, di corse. Respiri affannati e morte.
Trema, il mio Amato, trema forte, piange poco. Mi domanda con quella voce rotta se siamo sopravvissuti.
Sei un bambino, gli dico, siamo vivi. Si tocca sul braccio le venti tacche che dimostrano i suoi anni. Avvicina il capo alla mia testa, abbraccia il mio petto, circonda la mia schiena che ha fatto da scudo alla sua faccia. La tempesta cancella tutto ciò che succede di sopra. Nel buco siamo io, lui e il suono del vento. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II ***


Capitolo II




Stringo a me la sacca di pagliuzze intrecciate. Dentro giacciono alcuni sassi appuntiti, il mio teaser scarico e la lama del coltello. Solter, così si chiama il mio salvatore, stringe la pistola della quale ha conservato i colpi, una granata risalente alla guerra, stranamente intatta, ritrovata per puro caso in fondo alla grotta. Mi guarda. Gli occhi scuri dal bulbo bianchissimo mi intercettano mentre passo la mano aperta sulle pareti della grotta. Mi volto a guardarlo e mi avvicino per stringermi al lui. Bacio le sue labbra, una sorta di bacio d'addio.
Il giorno è arrivato. Torneremo nella madre per curare quella grossa ferita infetta che è per il genere umano. Sappiamo che moriremo. Per questo il nostro è un bacio d'addio.
Scendiamo lungo il fianco della collina che negli ultimi due anni si è inasprito, rendendosi pericoloso e sdrucciolevole. Scivolo velocemente con i piedi a tavoletta, lasciando alle mie spalle una nuvola di polvere dentro la quale scivola Solter. Lascio che la sabbia rossa mi sporchi le scarpe già zozze. La porta da cui siamo usciti é murata, vogliono impedire che qualcun altro scappi. L'unico modo per entrare, mi dice, é passare per le fogne. Saremo nella stanza degli uteri una volta arrivati. Da lì sarà facile raggiungere la Madre e prenderci ciò che ci spetta. Una vendetta sanguigna che profuma di libertà.
Ci inoltriamo nei condotti che puzzano di marcio, mi copro la bocca con la mano e ho un conato di vomito. Lui cammina davanti a me, la pistola carica in mano e la caviglia che si é slogato scendendo dalla collina a ciondoloni. 
Lo vedo barcollare nella melma scivolosa che copre il fondo del condotto in cui camminiamo. Gli bracco il fianco, lascio che appoggi il suo peso sulla mia spalla. Amo il sorriso bianco che vedo crearsi sulla sua bocca nera. La bacio in mezzo a quello schifo, ho bisogno di sentire che é vicino a me, schiacciato al mio corpo, sentire che la sua vita io posso salvarla. Saldare il mio debito, amarlo fino alla fine del tempo che ci é concesso. Di tanto in tanto sopra di noi si apre una grata. Alzo gli occhi ogni volta, cerco di riconoscere le stanze tutte uguali sotto le quali passiamo. Vedo i tavoli della sala mensa, quella stanza in cui si consuma il Primo Pasto. La, dove i dormienti vengono intubati e costretti ad ingurgitare omogeneizzati per poppanti, dove le loro mani vengono bruciate con i mozziconi delle sigarette e le loro labbra trafitte dalle forchette di plastica. Sfioro le labbra di Solter, percorro con il polpastrello le sue cicatrici. Una lacrima lascia il mio occhio destro, piena di senso di colpa. 
Se solo avessi potuto fermare la mia mano. 
Sopra di noi altre grate, luce bianca che ci illumina come farebbe la mano di Dio. Bestemmie escono dalle nostre bocce all'unisono. Si arrampicano dal fondo dello stomaco e sbattono tra i denti prima di sgusciare fuori e salire in alto.
Scalette di ferro battuto poco stabili collegano il fondo del tubo con le grate, per la manutenzione immagino, non devono essere consumate dall'usura.
Il mio stomaco si contorce stretto in una morsa, ricaccio lungo l'esofago grosse boccate di acido. 
Vorrei svegliarmi, trovare la sua mano sulla mia fronte, che mi rassicura. Tutto un sogno, un grosso incubo. Tutto falso, Alceo. Hai anche un nome vero in questo mondo libero.
Mi gratto con insistenza il punto in cui è tatuato il mio numero, sull'avambraccio. La pelle diventa rossa, quasi lucente, la scortico con le unghie mentre continuo a camminare verso l'ultima grata. 
Svegliami.
Lo imploro. Mi aggrappo alle sue spalle.
Svegliami. Non voglio morire. Svegliatevi tutti.
La paura mi ha stretto, alla fine è arrivata. Non piango nemmeno mentre ci arrampichiamo sulla scaletta e lui sfonda con il pugno la grata di stagno, tagliandosi le nocche e sanguinando. 
Alzo gli occhi suo cilindri in cui galleggiano gli uomini e le donne dormienti. Vedo le loro ferite macchiare il liquido amniotico di un rosa ormai pallido. Sono passate circa due settimane dall'ultima nascita, guariscono in fretta.
Una morse mi stringe la gola, non respiro. La puzza della candeggina mi fa lacrimare gli occhi. Sento le sue mani stringermi da dietro attraverso la patina delle lacrime. Mi bacia sul collo, mi dice che è quasi finito, siamo quasi arrivati.
Corriamo. C'è solo lui, lo vedo davanti a me. La sua schiena ampia a cui mi sono aggrappato mentre facevamo l'amore. Sentiamo dall'alto i gemiti strozzati delle generatrici, la risata della Madre che incombe su di loro. Sentiamo i vagiti dei piccoli dormienti, pesano su di noi i silenzi di morte degli StillBorn. Una processione vestita di nero, con visi funerei, e fagotti candidi e inermi tra le braccia, sfila da una porta grande poco più di un uomo, per entrare nelle aree riservate alle caritatevoli. Un'iniezione di vita scuote i piccoli petti quando toccano la pelle delle donne dai capelli bianchi e gli occhi incavati. Le vecchie attaccano i bambini ai loro seni smunti, latte anemico zampilla tra le loro labbra acerbe e posso ancora sentirne il sapore tra i denti. Acido e miele, sotto lo sguardo sottomesso di mia madre.
Devo trovare la forza di correre, andare a mettere il punto a questa carneficina. Sento il sangue dei piccoli dormienti scorrere tra le dita.
Solter mi corre dietro, alla velocità della luce, con i muscoli che dolgono, l'acido lattico alle ginocchia, corriamo verso la porta nera, la vagina di cemento da cui esce la processione. Figure cieche come i gatti appena nati, non ci vedono, o forse fingono di non vederci. Perché anche loro odiano questo massacro.
Dentro tutto è un urlo, una smorfia infinita. Tutto è sangue, e liquido amniotico e placente che vengono espulse da donne senza volto.
Le sirene suonano alte e rumorose. Sanno che siamo qui, Stanno venendo a prenderci e non abbiamo più tempo.
Con la mia lama taglio tubi e cordoni ombelicali. Sono sporco di sangue, lo sento sulle labbra, ferroso e denso. Lo vedo pugnalare una a una le donne che lo implorano di farle fuggire, di liberare le loro anime consumate, di mandarle ad un inferno migliore.
Piango mentre sento i loro ultimi respiri levarsi dietro la mia testa e continuo a fare strage di ciò che ho davanti. Giganteschi uteri di vetro, feti concepiti artificialmente, uno è nero, lo fermo. E' figlio tuo, gli dico, non ucciderlo. Lo vedo uccidersi, uccidere quell'agglomerato di cellule di poche settimane. Lo vedo mentre recide la carotide minuscola, la vede sotto la pelle nera e trasparente.
Infame, gli dico, stupido. Non mi ascolta, vuole vendetta.
L'esercito sta penetrando la figa di cemento, uno dopo l'altro entrano, ci vedono, corrono. I teaser puntati, i fucili carichi. Urlano che se ci arrendiamo, se ci fermiamo ora che siamo così vicini alla vittoria, ora che la donna legata sopra la nostra testa, ora che la Madre può essere uccisa, allora ci risparmieranno.
Li guardo, uno a uno. Prometeo, Medoro, riconosco ciascuno di loro, Nerciso, Virgilio, Nerone, i vostri grandi nomi. Grandi nomi, e siete così piccoli.
Allungo il braccio sopra la testa, recido il ventre della Madre e vengo invaso da una colata di sangue e intestini. Mi cade addosso, l'esofago mi si contorce in un conato di vomito. L'acido dello stomaco mi sfugge di bocca in un fiotto giallognolo, si mischia al muco che mi ricopre la faccia.
Sento degli spari, non ci vedo perché il suo fegato mi penzola sugli occhi. Solter grida, mi grida di scappare. Non mi muovo, le ginocchia sono paralizzate e sono di nuovo atterrito. Spari, altri spari, e un corpo nero davanti al mio.
Altri spari, braccia nere che mi stringono violente.
Grida, labbra che baciano la mia fronte, dita tra i capelli.
Spari. Un peso morto, le mi lacrime sul suo naso, sulle sua labbra. Lo cento cedere, la mano che tengo dietro la sua schiena si bagna. La alzo, mi scrollo di dosso le interiora della madre e li vedo cadere uno a uno.
Solter non respira, mi sta addosso ma non respira. Le sue mani sono ancora calde, la mia è rossa del suo sangue.
Vedo i soldati cadere come foglie, sul viso del mio Dormiente si cela un sorriso. Lo bacio, bacio quella bocca senza vita. Bacio le sue labbra che si raffreddano e mi dispero.
Vorrei finire. Ho finito. La Madre cade, tutti cadono e muoiono. Lui è caduto, è morto, e ancora stringo la sua carcassa tra le braccia.
Ti amo, ripeto, ti amo, sussurro, ti amo, grido forte.
Mi senti?
Ti sento.
Fa freddo.
Il mio sguardo è nero, la tua pelle è nera, il tuo cuore è bianco puro e bellissimo.
Incontriamoci nel Ventre di Maria.










 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2849586