Anonymous

di redseapearl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Si chiama YAOI! ***
Capitolo 3: *** Il lato positivo ***
Capitolo 4: *** La decisione di Aomine ***
Capitolo 5: *** C'è qualche problema? ***
Capitolo 6: *** Master Basket ***
Capitolo 7: *** Diario segreto ***
Capitolo 8: *** Indovina chi viene a cena? ***
Capitolo 9: *** Una notte difficile ***
Capitolo 10: *** La misteriosa autrice ***
Capitolo 11: *** Per il bene di Kise ***
Capitolo 12: *** Una fonte sicura ***
Capitolo 13: *** Il mio problema ***
Capitolo 14: *** Terapia d'urto ***
Capitolo 15: *** Così evidente ***
Capitolo 16: *** La vita non è una fanfiction ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Piccolo appunto prima che iniziate a leggere: la storia è ambientata durante il periodo della scuola media. Più precisamente, un po’ prima che il talento dei miracoli sbocciasse completamente e quindi quando i 6 erano ancora una squadra unita.

Questa vuole essere una storia molto soft sia per chi legge che per chi scrive, quindi uno stile di scrittura semplice e diretto.

Buona lettura n_n

 

 

Anonymous

 

 

Prologo

 

 

Alzarsi dal letto, mettersi l’uniforme e varcare il cancello della scuola, per Aomine non equivaleva a svegliarsi. Di fatti, anche se il corpo si muoveva, il cervello era ancora placidamente assopito. Sarebbe potuto succedere di tutto nel cortile della scuola a quell’ora e lui non si sarebbe accorto di nulla.

Poche cose erano in grado di svegliarlo completamente, tra queste c’era… “Aominecchi!”

L’urlo di Kise lo investì in pieno da destra. “Ma che cazzo, Kise!” fu il suo buongiorno. Glielo aveva detto migliaia di volte di non chiamarlo così forte, specie di prima mattina, ma il messaggio non era mai stato recepito.

Udì alle sue spalle delle ragazze che andavano in visibilio. Quando il fotomodello era nei paraggi succedeva sempre così: normale amministrazione quotidiana.

“Buondì! Sei pronto per l’amichevole di questo pomeriggio?” chiese Kise felice come una Pasqua.

“Capirai, è una squadretta da niente.” Aomine stroncò così ogni entusiasmo del compagno, ma questi trovò subito altro di cui parlare, cavalcando l’onda dell’entusiasmo mattutino.

Aomine si chiedeva spesso come facesse ad essere sempre così di buon umore, specie prima di venire rinchiuso in una classe.

“Oggi c’è qualcosa di strano nelle ragazze” disse a bruciapelo. Questa volta sembrava essere riuscito ad attirare l’attenzione di Aomine. Di solito non parlava mai delle ragazze con gli altri compagni, e ciò fu motivo di stupore per l’altro.

“Forse non te ne rendi conto, ma quando ci sei tu loro sono sempre su di giri.”

“No, non intendo quello. Ormai ci sono così abituato che non ci faccio più nemmeno caso…”

“Che fai? Ti stai dando delle arie?”

“No, non volevo dire questo!”

“E allora che?”

“Be’, ho notato che tutte…”

“Buongiorno.” Come suo solito, Kuroko apparve dal nulla, facendo letteralmente saltare i compagni di squadra come due gatti a cui venga pestata la coda.

Ripresosi dallo shock, Kise lo salutò a sua volta.

Aomine non fu così garbato. “Tetsu, mi farai venire un infarto così!”

“Scusate” rispose il ragazzo incriminato con il solito tono neutro.

Nel mentre, Kise notò che il nuovo arrivato teneva stretto in mano il giornaletto della scuola. “Ecco, il giornale!” esclamò, del tutto fuori luogo. Gli altri due lo guardarono come se si trattasse di un pazzo. Kise si affrettò a spiegare. “Riguarda quello che stavamo dicendo prima. Ho notato che tutte le ragazze oggi stanno leggendo il giornale della scuola in modo… come dire… appassionato.”

Kise e Aomine guardarono Kuroko nella speranza che lui potesse risolvere quell’enigma al femminile.

Il ragazzo si mostrò, stranamente, in difficoltà. Aomine lo conosceva troppo bene per non capire che lui sapeva ma non voleva parlare. In verità quel mistero non lo interessava per niente, ma, tanto per sfizio, fece scorrere lo sguardo in giro.

In effetti non c’era una singola ragazza che non avesse tra le mani una copia del giornaletto della scuola, ma questo dettaglio era irrilevante per lui in confronto ad un altro. Tutte, o quasi, guardavano dalla loro parte e non sembravano osservare solo il modello di fianco a lui: stavano proprio fissando entrambi i giocatori della squadra di basket con degli occhi da indemoniate.

Tetsu” lo chiamò con tono intimidatorio. Avere addosso tutti quegli strani sguardi femminili non lo faceva sentire troppo a suo agio. Non che disdegnasse l’idea di essere al centro dell’attenzione delle ragazze, ma qualcosa non lo convinceva.

“Ehm… probabilmente è dovuto alla storia che è stata pubblicata proprio oggi” spiegò l’interpellato come se fosse la cosa più logica del mondo. Tuttavia, vedendo le espressioni da triglia lessa dei due amici, realizzò che doveva essere più chiaro. “Sul giornale di oggi hanno pubblicato il primo capitolo di una fiction. Si prospetta essere una storia d’amore, suppongo sia per questo che molte ragazze ne siano attratte.”

“E tu perché l’hai letta?” domandò Aomine.

“Perché mi piace leggere e poi io lo prendo sempre il giornale della scuola.”

Kurokocchi, però c’è qualcosa che non mi torna. Come mai tanto trambusto per una semplice storia d’amore?”

“Si sta facendo tardi: sarà meglio che andiamo in classe.”

“TETSU!”

Davanti l’urlo di Aomine, Kuroko capì che gli sarebbe stato impossibile svanire come faceva su di un campo da basket. Be’, tanto prima o poi lo avrebbero saputo comunque. “I protagonisti sono due ragazzi… due maschi…” Kise e Aomine pendevano dalle sue labbra. Quasi non sbattevano gli occhi nel timore che Kuroko potesse davvero scomparire in un battito di ciglia. “… sono due membri della squadra di basket della loro scuola e… si chiamano Aimine e Kisu.”

Kise sembrava sprofondato in uno stato di catalessi. Dopo cinque secondi abbondanti di silenzio, fu Aomine a prendere la parola. “Fammi capire una cosa: qualcuno ha scritto e pubblicato sul giornale della scuola una storia d’amore tra due ragazzi che giocano a basket e che hanno dei nomi praticamente uguali ai nostri?”

“Sì.”

Aomine si voltò ancora una volta verso un gruppetto di quattro ragazze del secondo anno: lo stavano adocchiando con la stessa golosità con cui avrebbero guardato un pasticcino al cioccolato. “Non vorrai mica dirmi che adesso tutte le ragazze della scuola pensano che la storia sul giornale parli in realtà di me e Kise e che addirittura abbiamo una relazione?” Ma quando si girò, Kuroko non c’era già più. “Dannato Tetsu! Me la pagherà! E tu perché non lo hai fermato?” disse rivolto a Kise, ma questi versava ancora in uno stato di shock. “Ohi, Kise, riprenditi!”

“Questa situazione è assurda! Perché mai noi due? Perché proprio io?”

“E io allora?”

La campanella suonò, segno che dovevano affrettarsi per non arrivare in ritardo nelle rispettive aule e scamparsi un’ingrata punizione.

“Adesso ascoltami: dobbiamo scoprire chi è l’autore di questa storia merdosa e impedirgli di scriverci ancora sopra, a costo di minacciarlo. Oggi, dopo le lezioni, cominceremo ad indagare.”

“E la partita?”

“Al diavolo la partita! Qui c’è in ballo la nostra dignità, la nostra virilità. Gli altri sapranno cavarsela anche senza di noi.”

Di tutto quel discorso, Kise capì solo una cosa: se Aomine stava anteponendo quella faccenda al basket, allora la situazione era molto più grave di quanto avesse immaginato.

 

 

 

 

Note dell’autrice

Devo essere impazzita per aver deciso di riprovare a scrivere una long! D: Avevo abbandonato questo genere di storie perché l’ansia di aggiornare in tempi ragionevoli e il senso di colpa per il fatto di non riuscirci avevano iniziato a stressarmi un po’. Per questo mi ero buttata nel fantastico mondo delle oneshot! *w*

Purtroppo, a causa di questa coppia che ormai si è impossessata della mia mente, non ho potuto resistere alla tentazione di scrivere qualcosa di più lungo! >.<

Spero vivamente di non dovermene pentire, in ogni caso ho già tutta la trama scritta, quindi non scriverò a braccio ogni singolo capitolo. I prossimi capitoli saranno più lunghi di questo, circa il doppio (ovvero 2000 parole) perché con una lunghezza così discreta (quanto meno lo è dal mio punto di vista) potrò garantire degli aggiornamenti piuttosto regolari. ;)

Spero di avervi incuriosito un po’! Come sempre commenti anche solo di un rigo, critiche (educate, ovvio) e quant’altro è sempre ben accetto! ^_^

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Capitolo 2
*** Si chiama YAOI! ***


Anonymous

 

 

Si chiama YAOI!

 

 

 

Kise batté due volte le nocche sulla porta dell’aula. Poco dopo, Aomine aprì la porta. Aveva un’espressione guardinga. “Non ti ha seguito nessuno?”

“Chi mai dovrebbe seguirmi?”

Aomine si sporse oltre la soglia. Controllò a destra e a sinistra per assicurarsi che il corridoio fosse deserto. Nessun’anima in vista: tutti gli studenti erano tornati a casa oppure si erano rinchiusi nelle stanze dei rispettivi club.

Afferrato per il cravattino dell’uniforme, Kise fu letteralmente trascinato nell’aula vuota.

“Si può sapere che ti prende?” chiese rivolto al compagno.

“È tutto il giorno che mi sento addosso gli sguardi assatanati delle ragazze. In aula non sono riuscito a dormire neanche cinque minuti durante la prima ora. E non ti sei accorto in mensa, quando ci siamo seduti con tutti gli altri, come ci fissavano in attesa di chissà cosa?”

“Calmati, Aominecchi! Non è da te fare così. Dovresti essere abituato a ricevere attenzioni, dopotutto nelle partite sei quello che spicca più di tutti in campo.”

“Non è la stessa cosa!”

Kise sapeva bene quanto il compagno fosse testardo. Cercare di tranquillizzarlo era inutile. La popolarità è una chimera assai curiosa: non tutti sapevano affrontarla alla stessa maniera. Il fatto che poi tutte le ragazze lo credevano gay, per via di quella storia pubblicata sul giornale della scuola, di certo non aiutava.

“Allora, cosa facciamo?” domandò Kise senza tergiversare oltre.

“Dobbiamo scoprire chi è l’autore di questo” rispose l’altro, sollevando il giornale all’altezza della faccia. Sulla pagina spiccava il testo incriminato. “Purtroppo non c’è scritto il nome, quindi la cosa sarà più complicata del previsto.”

“Capito. Immagino che dobbiamo andare al club di giornalismo e farcelo dire allora: di sicuro gli altri membri sapranno chi è.”

“Però! Allora non sei soltanto un bel faccino da copertina” celiò Aomine in tono palesemente sarcastico.

“Per chi mi hai preso! Ti ricordo che i miei voti sono migliori dei tuoi!”

Aomine non sembrò accusare il colpo e, tra un botta e risposta e l’altro, si diressero verso l’aula del club di giornalismo.

 

Perlustrarono la scuola due volte prima di riuscire a trovarlo. Dopo dieci minuti a girovagare in tondo, Kise si era risolto a chiedere ad Aomine se fosse sicuro di sapere dove si trovava l’aula che stavano cercando.

“Mi prendi per il culo? Io seguivo te: pensavo lo sapessi tu!”

“Lo stesso vale per me!”

Dopo una breve discussione di appena dieci secondi, i due si decisero a telefonare Momoi. Per fortuna, la ragazza era in possesso dell’informazione che cercavano. Chiaramente domandò ad Aomine il perché di quella richiesta e il ragazzo riattaccò il telefono bruscamente.

“Credevo che avessi parlato con lei di questa faccenda” buttò lì Kise.

“Ho preferito evitare. Sastuki alle volte è troppo invadente…”

Kise avrebbe voluto approfondire meglio l’argomento, ma preferì tacere. La questione sembrava mettere Aomine più a disagio di quanto lui volesse far trasparire.

Si fermarono davanti la porta. La targhetta su di essa riportava la scritta ‘Club di giornalismo’.

“Fai parlare me” disse risoluto Aomine e, prima che Kise potesse dire qualcosa, aprì la porta di botto, palesandosi ai membri del club più minaccioso che mai.

Era molto scenografico, Kise glielo riconobbe.

Nella stanza c’erano solo tre persone: una ragazza minuta con dei grossi occhiali tondi che le coprivano metà viso; un ragazzino del primo anno seduto ad una scrivania con accanto una macchina fotografica; uno studente del terzo anno con i capelli tirati all’indietro alla leccata di cammello.

La ragazza appena vide gli invasori emise un vero e proprio squittio.

“Chi è il presidente del club?” domandò Aomine.

Seguirono due secondi di teso silenzio. Infine, timoroso, il ragazzo leccato alzò tremante la mano. “S-sono io…”

Aomine gli si avvicinò a grandi falcate, sbatté con violenza i pugni sul tavolo davanti a lui e si sporse così in avanti da investirgli la faccia con il fiato rovente. “Chi è l’autore della storia gay che avete pubblicato oggi?”

“Si chiama YAOI!” intervenne la ragazza, mostrando un’audacia molto contrastante con la sua figura mingherlina.

Aomine le lanciò un’occhiata infuocata, poi ritornò al proprio interrogato.

“N-non lo s-s-s-so…” riuscì a dire quest’ultimo. Dal modo in cui si rannicchiava sempre più, sembrava che volesse disperatamente fondersi con la sedia su cui era poggiato.

“Come sarebbe a dire che non lo sai? Pubblicate storie senza sapere chi le ha scritte?”

“Si può sapere chi sei e che cosa vuoi da noi?” Questa volta fu il ragazzo con la macchina fotografica ad intervenire. A differenza del suo presidente, non sembrava affatto intimorito dalla stazza quasi doppia del suo interlocutore.

“Ve lo dico subito. Sono Aomine Daiki, titolare della squadra di basket della scuola.”

AomineAomine…” ripeté la matricola, cercando di collegare al nome appena sentito un qualche vago ricordo. “Ah, ma tu sei il protagonista della storia! Accidenti, che fortuna!” e prima che Aomine potesse reagire in qualche modo, il fotografo prese la macchinetta e investì il giocatore con un lampo accecante. “Nel prossimo giornale questa finisce in prima pagina! Ho già il titolo: Aomine Daiki fa irruzione nel club di giornalismo! Le ragazze si strapperanno i capelli per accaparrarsene una copia!”

“Cosa vorresti fare tu? Kise, ma vuoi fare qualcosa o no?” ma quando si voltò per cercare man forte da parte dell’altro, il modello era intento ad autografare una copia del giornale alla ragazza con i grossi occhiali.

“È così che si scrive il tuo nome, giusto?” le stava chiedendo.

“Sì! Ah, che bella calligrafia che hai! E potresti anche metterci una dedica?”

“Ma certo!” acconsentì lui, sfoderando il suo sorriso più smagliante.

“Oh, scusa se ti interrompo, Kise, ma siamo qui anche nel tuo interesse, sai?”

“Scusami, Aominecchi, ma non potevo negare a questa ragazza un semplice autografo, e poi sei stato proprio tu a dirmi di lasciar parlare solo te” si lamentò l’accusato.

Vedendo che ormai tutta la sua messa in scena per estorcere informazioni era saltata, Aomine decise di dire le cose come stavano. “Sentite, ho bisogno di sapere chi diavolo sta usando il mio nome per scriverci sopra storie gay…”

“È Yaoi!”

“Ok, ho capito: yaoi!”

Il fotografo rispose: “Credici, non è che non te lo vogliamo dire, ma noi non sappiamo davvero di chi si tratta.”

“Esatto” disse il presidente. Ora che la minacciosità di Aomine era stata stemperata, aveva riacquistato un po’ di colorito sulle guance e non balbettava più. “Ieri mattina ho trovato nella cassetta della posta questa lettera.” Porse al giocatore un’anonima busta bianca. “Dentro c’era il testo del primo capitolo della storia e una nota dell’autore, in cui diceva che se l’avessimo pubblicato il giornale avrebbe avuto nuova popolarità.”

“Dunque è per questo che lo fate.” Aomine aprì la busta e dentro non vi trovò altro che un semplice foglio stampato. Nessuna firma, nessun nome… niente di niente. Un autentico buco nell’acqua. “Merda” imprecò a mezza voce. “E avete avuto davvero nuova popolarità a pubblicare questa roba?”

“Altro che!” disse il ragazzo del primo anno. “Abbiamo esaurito tutte le copie: fino ad oggi se in tutta la scuola leggevano il giornale dieci persone al massimo era anche tanto!”

Aomine non poteva credere che una cosa simile potesse realmente piacere alla gente fino a quel punto. Capì che non poteva riporre fiducia nei membri di quel club; se anche avessero saputo chi era il loro benefattore, di certo non glielo avrebbero detto: sarebbe stato come darsi la zappa sui piedi. I loro interessi erano praticamente opposti.

“Andiamocene” disse, dirigendosi verso l’uscita ma la studentessa lo fermò, gli porse il giornale e gli chiese: “Mi faresti l’autografo?”.

Prontamente, Kise gli prestò la penna, sul viso un sorriso solidale. “Benvenuto nel mio mondo.”

 

 

Quando chiusero la porta, sentirono dall’altra parte le urla estatiche della ragazza. “Quella copia del giornale sarà un vero e proprio trofeo per lei” sentenziò Kise. “Pazienza, era l’unica pista che avevamo. Non ci resta che aspettare e vedere cosa succederà. A quest’ora non dovrebbe esserci nessuno in palestra, visto che saranno tutti andati a vedere l’amichevole. Che ne dici di qualche one on one?”

Aomine si bloccò di colpo e lo fissò con aria truce come se il compagno lo avesse offeso nel modo più orribile possibile.

“Ho detto qualcosa che non va?”

“Questa mattina sembravi un ebete quando Tetsu ci ha detto di questa storia. Come mai ora sei così tranquillo? Sembra quasi che non te ne freghi niente di essere lo zimbello della scuola!”

Kise sospirò. Erano ritornati al discorso iniziale. “Non è che non me ne freghi niente, ma sai… io sono già un personaggio famoso, e questo per me è solo un effetto collaterale della popolarità. La gente parla, spettegola e fantastica su tante cose. Io non so come si scriva una storia, ma suppongo che da qualche parte bisogna pur prendere ispirazione. Penso che l’autore abbia deciso di creare un personaggio ispirato a me perché godevo già di una certa notorietà.”

“Quindi è colpa tua se io mi sono trovato in questa merda: mi stai sempre attaccato peggio di un chewingum sotto la suola delle scarpe!” Aomine riprese a camminare e Kise lo seguì.

“E ora che si fa?”

“Ho bisogno di scaricare il nervosismo, quindi preparati: oggi ti straccerò più del solito.”

“Pensavo ce l’avessi con me per averti involontariamente messo in questa situazione” disse Kise senza mascherare il sollievo per quel poco cordiale invito.

“Infatti, almeno così ti renderai utile.”

Aominecchi, non sono mica il tuo antistress!”

  

 

 

Note dell’autrice

Avrei voluto aggiornare prima, ma causa impegni vari ho dovuto rimandare ad oggi! I capitoli sono ancora un po’ corti, ma presto diventeranno un po’ più lunghetti, anche se non in modo eccessivo.

Bene, e anche questa è andata: spero di rimanere il più costante possibile con gli aggiornamenti ^^

 

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Capitolo 3
*** Il lato positivo ***


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Il lato positivo

 

 

 

Il giorno dopo l’incursione nel club di giornalismo, Aomine e Kise dovettero sorbirsi una ramanzina da parte di Akashi. Dopotutto si erano assentati ad una partita amichevole senza avvisare nessuno: una simile negligenza non poteva restare impunita.

Per fortuna, Momoi aveva preso le loro difese, raccontando al capitano dove si erano diretti i due giocatori il giorno prima.

“Per questa volta chiuderò un occhio, considerata la delicatezza della situazione in cui vi trovate.” Kise e Aomine si scambiarono un’occhiata interrogativa: anche Akashi aveva letto il giornale? “Certe cose non mi interessano” aveva aggiunto questi con una certa enfasi difensiva, come se avesse letto nel pensiero dei due.

“Non abbiamo insinuato niente di strano!” si affrettò a rispondere Kise, quasi timoroso che Akashi possedesse davvero dei poteri telepatici.

“Le ragazze della mia classe non hanno parlato d’altro da ieri. Mi sono state persino rivolte delle domande alquanto… indiscrete.”

“E tu cosa hai risposto?” domandò Aomine. Non aveva nulla da nascondere, ma l’idea che Akashi fosse stato interrogato lo faceva sentire colpevole di un reato non commesso.

“Ho solo detto la verità.” Entrambi i ragazzi tirarono un sospiro di sollievo. “Che siete liberi di frequentare chi volete.” Il sollievo si trasformò in costernazione. Dichiarare una cosa così carica di sottintesi davanti ad un gruppo di adolescenti femmine in piena tempesta ormonale era peggio che mostrare loro delle foto compromettenti.

 

Tutto sommato, esclusa qualche occhiata curiosa e insistente da parte delle più intrepide yaoiste, non ci furono avvenimenti insoliti o disturbanti nei quattro giorni seguenti. Lentamente tutta quella storia iniziò a scivolare via dalla mente di Aomine: un brutto ricordo da rilegare nell’angolo più remoto della propria mente. Magari l’autore che aveva dato il via a quella pazzia aveva già perso l’ispirazione e non sapeva più che pesci pigliare.

Con la cartella in spalla e l’aria annoiata, Aomine era quasi giunto a scuola, quando vide Kise appoggiato al muro a una decina di metri dal cancello.

“Buongiorno, Aominecchi!”

“’Giorno.”

Il modello aveva un sorriso troppo smagliante per i suoi gusti. L’istinto bussò alla porta del cervello per metterlo in guardia. “Come stai? Tutto bene? Ho saputo che sta girando il virus dell’influenza in questi giorni. Non è che per caso sei stato contagiato? Sai, in certi casi è meglio starsene a casa non solo per la propria salute, ma anche per preservare quella degli altri.”

“No, sto benissimo.” Aomine tentò di aggirarlo, ma l’altro lo marcava ben stretto e non sembrava intenzionato a lasciarlo passare. “Che stai facendo?”

“Ehm… be’… ah, è una bella giornata! È davvero uno spreco doverla passare chiusi dentro quattro mura: che ne dici se mariniamo la scuola e…”

La proposta era così assurda da risultare palesemente falsa. Kise non era poi un granché come attore: se la sua carriera si fosse basata su quello di certo non avrebbe avuto tanto successo!

“Taglia corto: che succede?”

“Be’…” Kise tentennò, incerto se rivelare la verità all’amico o meno, ma ormai la sua tattica era fallita e l’altro non ci avrebbe messo molto a scoprire tutto. Tirò fuori dalla cartella una copia del giornale scolastico.

Gli occhi di Aomine si dilatarono per lo shock. “Non dirmi che…”

“Sì.”

“È proprio…”

“Sì.”

Afferrato con una zampata il giornale, Aomine si ritrovò davanti la propria fotografia in bianco e nero. Appariva minaccioso e incredulo al contempo. A caratteri cubitali, il titolo recitava ‘AOMINE DAIKI, L’ASSO DELLA SQUADRA DI BASKET, IRROMPE NEL CLUB DI GIORNALISMO.’ “Quel maledetto fotografo l’ha fatto davvero!”

Lesse l’articolo a stralci, mentre si incamminava a piccoli passi nel cortile della scuola. “… entrato nel club con aria… bla bla bla… Aomine Daiki ha chiesto disperato di sapere… ehi, disperato?... scoprire l’autore… bla bla bla… in compagnia del noto fotomodello Kise Ryota… bla bla bla…” D’un tratto, Aomine si impietrì. Le mani strinsero spasmodiche la carta e iniziarono persino a tremare per la rabbia. “I due giocatori sembrano mostrare una certa complicità. Sguardi, sorrisi, battute ironiche: tutto del loro atteggiamento urla qualcosa di più di una semplice amicizia.” Seguirono parecchi secondi di silenzio.

Aominecchi? Per favore, calmati, il gossip giornalistico è così che funziona. Spesso vengono pompate di proposito certe notizie per accattivarsi il pubblico. Lo sanno tutti che quello che dicono i giornali è vero solo per il 20%.”

“Io. Lo. Ammazzo. Quel. Marmocchio!”

“C’è un’altra cosa che dovresti sapere” aggiunse Kise. Voltò la pagina e mostrò ad Aomine l’ultima cosa che questi avrebbe voluto vedere. “È stato pubblicato anche il secondo capitolo.”

Aomine cercò di dare fondo a tutte le sue conoscenze lessicali per articolare una frase di senso compiuto che esprimesse frustrazione, rabbia e incredulità assieme, ma la sua ricerca mentale fu interrotta dai bisbigli, non tanto discreti, di alcune ragazze poco distanti.

‘Che carini che sono!’; ‘Quanto è dolce Kise-kun: lo ha aspettato fuori dalla scuola per entrare insieme!’; ‘Secondo me la storia sul giornale racconta proprio di loro.’; e così via…

Aomine si girò verso Kise, lo fissò come se l’artefice di tutto fosse lui (e, ripensando a quanto si erano detti qualche giorno prima, pareva proprio di sì) e per poco non lo polverizzò con lo sguardo. “Finché questa merdosa situazione non sarà risolta, TU stammi il più lontano possibile: non mi parlare, non mi guardare e non mi pensare neanche!”

Kise gli rispose con una calma disarmante. “Comportarsi così sarebbe come ammettere che tutto quello che gli altri dicono è vero. Inoltre, temo che sarà impossibile: ti ricordo che giochiamo nella stessa squadra.”

 

Liquidato Kise, prima del suono della campanella, Aomine andò alla ricerca di Momoi, ma ebbe scarsa fortuna. “Ma dov’è finita? Proprio quando ho più bisogno di lei” disse tra sé, camminando sovrappensiero. Non appena svoltò l’angolo, urtò una ragazza del secondo anno che avanzava nella direzione opposta. Istintivamente le afferrò un braccio per evitarle una brutta caduta.

“Scusami, colpa mia” le disse.

“Certo che è colpa tua, mi sei praticamente venuto…” La risposta non si prospettava delle più gentili, ma la studentessa si ammutolì non appena sollevò lo sguardo sul volto di Aomine. Avvampò in meno di un secondo. “Oh, Aomine-kun!” Il tono di voce si addolcì fino a sembrare il cinguettio di un passerotto. “Ti sei preoccupato per me. Come sei gentile!”

Dire che Aomine fu disorientato da quel repentino cambiamento era solo un eufemismo. “Ehm… sì… be’, lieto che non ti sei fatta niente. Ora vado in classe.” Lo aveva chiamato Aomine-kun come se fossero amici, ma lui era abbastanza certo di non aver mai rivolto la parola a quella ragazza prima di quel momento. In verità, non sapeva neanche il suo nome.

Relegò quell’episodio in un cantone della propria mente come un qualsiasi altro evento quotidiano.

Durante la giornata, altri avvenimenti piuttosto simili si susseguirono. Compagne di classe che si dimostravano disponibili a fargli copiare i compiti, ragazze che gli lanciavano sguardi di fuoco neanche fosse un bignè al cioccolato.

Più che mai sentì il bisogno di parlare con Sastuki: chi più di un’altra ragazza poteva spiegargli cosa diamine stava succedendo?

Non fosse stato per Kuroko, non avrebbe mai scoperto che l’amica si trovava nella biblioteca della scuola.

“Abbiamo una biblioteca?” aveva domandato Aomine e da ciò Kuroko capì che avrebbe fatto prima a scortarlo piuttosto che spiegargli il percorso.

Momoi si trovava in fondo alla sala. Aomine le si avvicinò e si sorprese del fatto che l’amica non si fosse accorta della sua presenza neanche quando si trovò praticamente a mezzo metro da lei. Doveva essere immersa in una lettura molto interessante per isolarla così dal mondo esterno, e il ragazzo non aveva un passo propriamente leggiadro. Si sporse quel tanto che bastava sopra la spalla di Momoi per curiosare.

Sastuki, anche tu!” esclamò a voce troppo alta.

La ragazza saltò dalla sedia come se avesse preso una forte scossa elettrica e si affrettò a coprire con il busto il giornale aperto davanti a lei. “Dai-chan, vuoi farmi morire per caso?” Anche lei non riuscì a modulare il volume della propria voce. Come risultato, tutti gli astanti li rimproverarono per la mancanza di educazione.

“È inutile che lo nascondi” bisbigliò Aomine, sedendosi accanto a lei.

“Non è come credi, lo stavo leggendo solo per curiosità.” Il rossore di Momoi rivelava ad Aomine ben altro. Era la prima volta che la vedeva così imbarazzata per qualcosa.

“Raccontalo ad un altro. Comunque, adesso sono sicuro che tu hai la risposta che voglio.”

“Di che parli?”

“Si tratta delle ragazze. Si comportano in modo strano da quando per la scuola gira quella roba lì” disse, indicando il giornaletto scolastico. “Si può sapere perché vi piacciono tanto queste storie yaoi?”

“Oh, come mai conosci quella parola?”

“È una lunga storia. Rispondimi, piuttosto.”

La ragazza si guardò attorno per assicurarsi che nessuno li sentisse. Per fortuna non c’erano molte persone. “Ti rendi conto che l’argomento è un po’ delicato?”

“Lo dici a me che ci sono dentro fino al collo?”

Aomine non aveva tutti i torti. Aveva tutto il diritto di sapere cosa scatenava quei tifoni di estrogeni attorno a lui. “Vediamo, come posso spiegartelo nel modo più chiaro possibile? Ecco, a te piacciono molto le… sì, insomma… quelle, no?”

“Le tette?” chiese conferma lui, nel tono più naturale del mondo.

Momoi già si stava pentendo di aver scelto quel tipo di approccio. “Parla piano. Sì, quelle. Se tu dovessi scegliere di leggere tra una storia in cui una ragazza formosa ha una relazione con un bel tipo e una storia in cui due ragazze formose si fidanzano, quale preferiresti?”

“Cosa vuoi che me ne importi del bel tipo? A me interessano le tette grosse!” rispose Aomine, fin troppo entusiasta per i gusti di Momoi. Un ragazzo a due tavoli di distanza li lanciò un’occhiata di rimprovero.

“Parla piano, insomma. Ecco, per noi ragazze è lo stesso principio… all’incirca.”

Mh…” Aomine stentava a capire del tutto il ragionamento, ma se lo diceva Momoi allora non poteva fare altro che fidarsi. “C’è anche un’altra cosa che non capisco. Se tutte pensano che io sia gay, allora perché sono così gentili e disponibili con me?”

“Questo è più complicato, ma in linea di massima è perché adesso sei diventato molto più interessante ai loro occhi. Ti identificano con uno dei due protagonisti della storia, in un certo senso sei entrato a far parte delle loro fantasie romantiche. E poi non c’è nulla di ufficiale tra te e Ki-chan: questo ti rende un ragazzo ancora più intrigante.”

Aomine ponderò con cura le parole di Momoi.

Non lo avrebbe mai creduto, ma sembrava proprio che in quella storia ci fosse un lato positivo da non sottovalutare.  

 

 

Note dell’autrice

Ed ecco che Aomine sta iniziando ad esplorare un po’ la psiche delle yaoiste! Non ho molto da aggiungere solo che spero che la storia continui a piacervi e che le recensioni sono sempre fonte di gioia da parte mia! Ringrazio tutti coloro che stanno aggiungendo la storia alle preferite, seguite e ricordate *w*

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Capitolo 4
*** La decisione di Aomine ***


Anonymous

 

 

La decisione di Aomine

 

 

 

Il suono della campanella decretò la fine delle lezioni. Come sempre, Kise si incamminò verso la palestra per i consueti allenamenti pomeridiani, ma un gruppo di ragazze gli sbarrò la strada.

Si fece avanti una studentessa del terzo anno che riconobbe subito: Akane Usaki, presidentessa, nonché fondatrice, del suo fan club ufficiale. Quello che aveva davanti era solo un drappello del gruppo associato al club. Poteva definirlo la scorta personale di Usaki, in un certo senso.

“Buongiorno, Usaki-san!” la salutò Kise. Durante i primi giorni della fondazione del club, la sua vita era diventata pressoché impossibile. Usaki, per garantire un continuo rifornimento di materiale su cui le socie potessero riversare la loro adorazione, gli aveva sguinzagliato contro ben due stalker per fotografarlo e spiarlo in ogni momento della giornata. Kise era sempre stato piuttosto paziente nei confronti delle sue ammiratrici, ma quelli furono davvero tempi duri per lui.

Decise quindi di scendere a compromessi con la presidentessa: avrebbe concesso interviste, foto esclusive e incontri con le ragazze del club a patto che non interferissero con la sua privacy e non superassero il numero di tre al mese.

 Kise-sama, c’è una domanda che dobbiamo assolutamente porti.”

Il ragazzo aveva perso il conto di quante volte le aveva chiesto di non usare il suffisso ‘sama’ con lui: lo faceva sentire vecchio e idolatrato in modo quasi malsano, neanche fosse il dio di un culto pagano. Nonostante gli desse un certo fastidio tutta quella cerimoniosità, indossò il collaudato sorriso da copertina che meglio gli riusciva. “Certo: di che si tratta?”

Usaki aveva esaurito da poco più di una settimana il suo terzo e ultimo bonus, ma a quanto pareva c’era una questione spinosa che non poteva attendere lo scadere del mese per essere risolta. Kise ebbe un vago sospetto su cosa potesse essere. “Noi abbiamo il diritto di sapere: tu e Aomine Daiki state davvero insieme?”

Sospetto confermato. Non si mostrò neanche tanto sorpreso. Dopotutto, nessuna ragazza sarebbe stata felice di sapere che l’uomo dei suoi sogni era innamorato di qualcun altro, un altro maschio, per giunta.

La risposta era semplice e non necessitava di alcuna spiegazione, ma per qualche motivo Kise si sentì imbarazzato davanti a quel quesito tanto diretto.

“Avete ragione ad avere dei dubbi, in fondo in questi giorni non si parla d’altro per via del giornale scolastico.”

“Non è solo quello!” intervenne d’istinto una ragazza con i capelli a caschetto alle spalle di Usaki.

“Che volete dire?”

La presidentessa prese la parola. “Da quando sei entrato nel club di basket, abbiamo registrato un netto peggioramento quali-quantitativo del tuo impegno nei nostri confronti. E in particolare, abbiamo notato che l’assidua frequentazione di Aomine Daiki sta inficiando sul tuo lavoro di modello e, di conseguenza, sulla tua popolarità.”

“Ehm… varrebbe a dire?”

“Che da quando hai conosciuto quel ragazzo non pensi ad altri che a lui!” spiegò la ragazzina di prima e tutte le altre assentirono energicamente con la testa.

L’idea che l’autrice della storia sul giornale si nascondesse tra le fila del suo fan club gli balenò in testa in un istante. Stando a quanto stavano dicendo, ogni cosa che diceva o faceva con Aomine era costantemente monitorata e giudicata. Era chiaro che Usaki non aveva tenuto fede al loro accordo. Si sentì in colpa per aver trascinato il compagno sotto i riflettori della fama. Per di più, le sue ammiratrici mostravano un certo astio nei suoi confronti, come se Aomine esercitasse una cattiva influenza su di lui. Anzi, sembravano persino gelose del compagno e delle attenzioni che Kise gli dedicava.

Se solo lo avessero conosciuto meglio e saputo cosa rappresentava per lui, di sicuro non lo avrebbero giudicato in quel modo. Ma in fondo loro, che lo vedevano sempre sorridente e gentile, come potevano capire la monotonia dei suoi giorni? La frustrazione di non avere un obiettivo da raggiungere e superare?

Si mostrò come sempre cordiale. Se avesse mostrato anche solo un decimo del fastidio che quelle accuse rivolte all’amico gli provocavano, avrebbe peggiorato la situazione e allora sì che ci sarebbe stato modo di fraintendere il loro rapporto già giudicato in modo ambiguo.

“Per favore, non accusate Aominecchi di colpe che non ha. La verità è che noi…”

“Ti devo parlare.” Aomine, sbucato all’improvviso alle sue spalle, lo afferrò per il colletto della camicia e lo trascinò lontano dal gruppo delle studentesse senza dargli il tempo di concludere il discorso.

Kise non osò neanche immaginare come le ragazze avrebbero potuto interpretare quella scena. Una manifestazione estrema di gelosia, probabilmente.

Aominecchi, io stavo parlando…”

“Di qualunque cosa si trattava, la mia è più seria e più urgente.”

Si fermarono vicino alla rampa di scale. Quando Aomine mollò la presa sulla camicia di Kise, questi poté finalmente guardarlo in faccia. L’espressione del compagno non sembrava alterata o sconvolta o arrabbiata come spesso gli aveva visto in quei giorni. “Che cosa è successo?”

“Ho intenzione di lasciar perdere tutto.”

“Tutto cosa? Parli della storia yaoi?”

“Esatto. A quanto pare sono diventato piuttosto popolare tra le ragazze e, ti dirò, la cosa non mi dispiace poi tanto.”

Kise fece una risatina nervosa. “Stai scherzando, vero?” Se Aomine avesse saputo l’opinione che avevano di lui le sue ammiratrici più sfegatate, di certo non avrebbe parlato così. Tuttavia, preferì non dirgli nulla per non distruggere le sue fantasie.

“Sono serio. Finora non mi sono mai interessato più di tanto alle ragazze perché sono troppo complicate; insomma, guarda Sastuki. Ma ora è diventato tutto più semplice e sinceramente non abbiamo fatto progressi nello scoprire chi è l’autore misterioso. Tanto vale lasciare le cose così come stanno.”

Non poteva essere vero. Tra loro due, Aomine era quello che si era più battuto per difendere la propria dignità e ora voleva mollare tutto solo perché qualche ragazza gli aveva fatto gli occhi dolci. Un fastidioso sfarfallio allo stomaco fece irrigidire di colpo Kise. Non riusciva a capire esattamente cosa lo irritava di più: il pensiero che l’amico fosse di colpo diventato desiderabile agli occhi di molte compagne di scuola o il fatto che volesse deporre le armi senza il minimo rimpianto. L’idea che ci fosse qualcos’altro ad unirlo ad Aomine, oltre al basket, non gli era dispiaciuta per niente, anche se non era qualcosa di propriamente positivo.

Si rese conto che aveva preso tutta la faccenda un po’ troppo sottogamba, considerandola nulla più che un gioco adolescenziale. Un gioco in cui lui e Aomine erano compagni e solo collaborando avrebbero potuto ottenere la vittoria.

In un certo senso, era come se si sentisse tradito.

“Io non ci sto!” disse risoluto.

Un’espressione meravigliata attraversò il volto di Aomine, quasi fosse convinto che Kise avrebbe assecondato il suo volere senza battere ciglio. “Non mi sembra che finora ti sei dato tanto da fare per risolvere la situazione.”

“Ho affrontato la cosa semplicemente in modo diverso da te, ma ciò non significa che non voglia mettere fine a questa storia.”

“Lo sai che sei peggio di Sastuki quando ha le sue cose? All’inizio eri sconvolto, poi non hai mostrato il minimo turbamento per quello che stava accadendo, ti sei affidato solo alle mie decisioni, e adesso ti atteggi come se fossi l’unico a cui importi davvero qualcosa?”

I toni iniziarono a farsi più accesi, le parole più taglienti e le voci più cupe. Prima di quel momento non avevano mai davvero fatto seriamente discussione per qualcosa, benché Aomine non fosse proprio la dolcezza fatta persona e Kise fosse un tipo asfissiante. Ma bene o male andavano d’accordo e tutto si risolveva con un puerile battibecco.

“Non cambiare le carte in tavola. Eri tu il paladino della mascolinità e adesso stai mollando tutto solo per un pizzico di popolarità!”

“Certo, tu parli così perché di popolarità ne hai fin troppa! Non è che hai paura che qualcuno ti possa rubare la piazza?” disse Aomine, indicando con il pollice sé stesso.

Kise gli rivolse un sorriso beffardo. L’idiota che aveva davanti non aveva capito proprio nulla. Non era certo essere il sex symbol della scuola ciò che più gli premeva. Se gli avessero imposto di scegliere tra un appuntamento con una top model e un one-on-one con Aomine, Kise avrebbe scelto la seconda opzione senza battere ciglio. Purtroppo, era certo che Aomine non avrebbe effettuato la stessa scelta davanti al medesimo dilemma.

Di colpo, l’immagine di Aomine circondato da tante donne gli fece schizzare il sangue al cervello con la violenza di un’eruzione. Strinse i pugni per non far trasparire l’irritazione.

“Fai quello che vuoi. Io non voglio saperne più niente!”

“Lo dici come se ti avessi chiesto il permesso. Be’, chiusa la questione.” Aomine si voltò con le mani in tasca e si allontanò fiero, come se avesse battuto l’amico in un nuovo tipo di scontro a due.

Kise rimase fermo dov’era per ancora un minuto. Nella sua mente turbinavano i ricordi della discussione appena avvenuta, le infinite varianti di come sarebbe potuta andare se avesse risposto in modo diverso a quella o quell’altra frase di Aomine e le mille supposizioni di come sarebbe cambiato da quel momento in poi il suo rapporto con l’altro.

Si costrinse ad indossare una maschera di indifferenza. Svoltò l’angolo e si ritrovò davanti il gruppetto delle sue ammiratrici rannicchiate contro il muro l’una addosso all’altra colte in flagrante a spiare. Le osservò in modo freddo, distaccato, come se loro non fossero realmente lì. Parlò con voce impersonale, quasi stesse parlando solo a sé stesso. “Prima non ho risposto alla domanda. Io e Aominecchi non stiamo insieme… per la verità, siamo solo compagni di squadra. Non abbiamo nulla a che fare l’uno con l’altro.”

Andò via seguito dal silenzio sconvolto delle studentesse. Anche se era sembrato più inemotivo di un manichino, non era stato in grado di nascondere l’alone di somma tristezza che gli aveva velato gli occhi mentre pronunciava quell’ultima, straziante frase.  

 

 

Note dell’autrice

Avevo detto che avrei cercato di aggiornare in modo regolare? L’ho detto davvero? Ho detto anche che stavo scherzando?

No, be’, a parte gli scherzi avendo finito da pochissimo gli studi non ho avuto molto tempo per dedicarmi a questa long. In più, questo capitolo è stato un autentico parto, non sapevo come scriverlo, non sapevo cosa far dire ai personaggi e ogni volta vedo che i dialoghi sono a dir poco miseri D:

Alla fine questo è il meglio che mi è riuscito. L’alternativa era aspettare un aggiornamento che sarebbe arrivato chissà quando (se sarebbe arrivato…).

Vorrei solo aggiungere una cosina. Ringrazio immensamente chi preferisce/ricorda/segue questa storia, però è un po’ avvilente vedere questi numeri che salgano e le recensioni che invece diminuiscono (stiamo parlando di 34 persone come minimo) ^^”” Immagino quindi che ci sia qualcosa che non va nella storia o nel suo modo di procedere o nel modo in cui è scritta (o tutte queste 3 cose insieme): saperlo mi aiuterebbe molto a migliorare. Grazie!

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Capitolo 5
*** C'è qualche problema? ***


Anonymous

 

 

C’è qualche problema?

 

 

 

Un pregio che Kise aveva sempre apprezzato di Aomine era la sua incapacità di portare rancore. Nonostante i battibecchi, le litigate o gli screzi, ad Aomine bastavano due giorni per dimenticare tutto e non darci più peso. Forse perché non attribuiva tanta importanza alle parole.

Dal canto suo, Kise non era una persona che amava tenere il broncio con qualcuno. Di solito era sempre lui quello che faceva il primo passo per riappacificarsi. Queste loro qualità si erano intrecciate alla perfezione fin dalla prima controversia nata durante una partita di allenamento.

Quella volta però la cosa era molto più seria… o almeno lo era per Kise. Non aveva intenzione di manifestare alcuna volontà di riconciliarsi con Aomine, perché era certo di avere ragione.

Questo era il suo proposito per quella mattina fino a quando non passò davanti la sua aula. Discernette la voce scherzosa di Aomine nella giungla di risate civettuole di un gruppo di sue compagne di classe. Sapeva il significato intrinseco di quei suoni, perché solitamente erano rivolti a lui. Futili tentativi di compiacere un ragazzo solo per mostrare il proprio interesse.

Sentire e vedere simili atteggiamenti rivolti ad Aomine gli fece contorcere lo stomaco fino a rischiare di rimettere la sua frugale colazione.

Ed eccolo lì, Aomine, seduto con una gamba sul davanzale, in una posa da playboy consumato, pascersi tra quattro studentesse dagli sguardi infuocati.

L’aveva detto che la storia yaoi gli aveva donato nuovo fascino agli occhi delle ragazze, ma vederlo era molto peggio di quel che Kise aveva immaginato.

“Ah, eccolo lì. Ohi, Kise. Stavamo giusto parlando di te! Vieni qui.” Il richiamo di Aomine lo destò dai suoi tetri pensieri. Era rimasto imbambolato davanti alla porta dell’aula senza rendersene conto.

E poi, aveva sentito bene? Aomine stava parlando di lui? Cioè, in mezzo a un gruppetto di ragazzine adoranti aveva uscito proprio Kise Ryota come argomento di conversazione? La voglia di chiedergli spiegazioni era molto forte, ma si ricordò della discussione avvenuta solo il giorno prima e l’orgoglio prese le redini del suo cervello. “Tra un po’ suonerà la campanella: è meglio che vada in classe.”

Le ragazze emisero all’unisono un sospiro di delusione.

Aomine però non demorse. Scese dal davanzale con un saltello, gli si avvicinò e gli passò un braccio attorno alle spalle. “Stavo raccontando di come ogni sera, dopo gli allenamenti, mi supplichi di giocare almeno una decina di one-on-one, e soprattutto di come ti metti in ginocchio pur di fartene concedere un altro ogni volta che perdi” disse come se nulla fosse.

In pratica stava sfruttando ogni loro tipo di interazione per fomentare qualsiasi fantasia yaoista nelle menti delle sue spettatrici. Kise si chiese se Aomine comprendesse appieno gli esplosivi effetti delle sue parole. Probabilmente no.

Non sapeva se essere sorpreso del fatto che il compagno avesse dimenticato ciò che era successo il giorno prima tra di loro o essere arrabbiato per averlo ridicolizzato.

Mai come in quel momento desiderò che la campanella suonasse il prima possibile.

“Questa sera possiamo venire a vedervi?” chiese una delle compagne di classe di Aomine.

Kise cercò di rispondere prima che lo facesse l’altro, ma fu battuto sul tempo. “Ci piacerebbe molto…” Aveva usato il plurale? “… ma preferiamo restare da soli.”

Kise poté quasi vedere nelle pupille eccitate delle ragazze ogni oscenità possibile avente loro due per protagonisti. Nonostante il permesso negato, sembrarono al settimo cielo. “Oh, d’accordo. Non vogliamo certo disturbarvi.” Non gli piacque il tono malizioso dell’ultima parola, come se si supponesse che loro facessero ben altro che giocare a basket.

Il suono della campanella fu rassicurante come il gorgoglio di una sorgente d’acqua nel deserto.

 

Dopo essersi deterso il sudore in eccesso con l’asciugamano, Aomine lo sistemò nel borsone. Bevve qualche sorso d’acqua dalla borraccia e ripose anche questa. Attese di sentire da un momento all’altro la voce squillante di Kise chiedergli di restare ancora un po’ per qualche one-on-one, ma non giunse nulla.

Perplesso, fece vagare lo sguardo per tutta la palestra, ma la testa bionda del compagno non sbucò da nessuna parte.

Kise-kun è già andato via” lo informò Kuroko, materializzatosi al suo fianco.

Ormai era da un bel po’ che Aomine aveva imparato a non farsi prendere alla sprovvista, tuttavia la ricerca di Kise lo aveva distratto al punto di non accorgersi della presenza della sua ombra. Almeno non saltava più per lo spavento come le prime volte.

“Andato via? Quando?”

“Poco dopo che l’allenatore ha detto che per oggi avevamo finito.”

Aomine, confuso, si grattò la testa. “Capito.”

“Avete litigato?” indagò Kuroko.

“Certo che no!”

Kuroko lo fissò insistentemente come se cercasse di leggergli nel pensiero, o peggio, come se sapesse la verità e volesse costringerlo a dirla. Aomine si sentì molto a disagio. “Be’, abbiamo discusso di una cosa, ieri. Sai… quella storia di me e lui e del giornaletto scolastico… però alla fine abbiamo risolto.”

Aomine-kun.”

“Sì?”

“Sei proprio stupido.” Era disarmante il modo in cui Kuroko riusciva a dire le peggiori cattiverie con tanta naturalezza. Parlava come se quello che diceva non fosse una sua semplice deduzione, ma un vero e proprio dato di fatto, inconfutabile, come dire che uno più uno fa due e non si discute.

“Come diavolo ti viene in mente?”

“Forse quello che a te sembra un problema risolto non lo è altrettanto per Kise-kun.”

Aomine ci pensò su due secondi e, proprio quando sembrò raggiungere l’illuminazione, disse: “No, non credo sia questo. Sicuramente aveva solo un impegno, stasera. Meglio per me… oggi c’è Mai-chan in TV!”

 

Al terzo giorno consecutivo in cui Kise sembrava svignarsela non appena gli allenamenti finivano, Aomine iniziò ad avere il leggero sospetto che qualcosa non andasse. Conoscendo il compagno, come minimo gli avrebbe dato una spiegazione per il suo comportamento, prodigandosi in mille scuse, quasi fosse lo stesso Aomine quello che smaniava per un one-on-one in più. Per di più, anche durante gli allenamenti, Kise era scostante ed evitava di parlare con lui se non quando strettamente necessario.

“Sai una cosa, Tetsu?” disse all’amico prima di andare in palestra. “Forse avevi ragione tu.”

Kuroko lo guardò con la sua solita espressione neutra. “E cosa intendi fare?”

“Non saprei. Persino mia madre, vedendomi tornare prima a casa in questi giorni, ha pensato che ho litigato con Kise. Comunque se lui non mi vuole parlare ci sarà un motivo, solo che non riesco a capirlo. Potrei aspettare che gli passi.”

“Potresti andargli a parlare” suggerì Kuroko.

“E che gli dico?”

“Non saprei. Sei tu quello che gli ha fatto qualcosa.”

“Lo sai che sei proprio un piccolo… Dai per scontato che sia io ad avere torto!”

“Ho i miei motivi per pensarlo. Comunque sembra che ti dispiaccia.”

“Non dire stronzate simili. Da quando quello è entrato in squadra non ho avuto più pace. Ho ripreso un po’ di fiato…”

Kuroko gli lanciò un’occhiata perplessa.

“Che c’è?” chiese Aomine sulla difensiva.

“Sembrava che volessi aggiungere qualcosa.”

“No… niente… è solo che… boh, è strano…”

“Strano cosa?”

“Senti… questo discorso è strano! Fra trenta minuti ci vediamo per gli allenamenti” disse frettolosamente Aomine, abbandonando Kuroko sulla strada per la palestra.

Era strano non sentire più la voce argentina di Kise invitarlo (per non dire costringerlo) a giocare insieme, od offrirgli un gelato, o dirgli qualsiasi cosa. E Kuroko di certo non lo aiutava.

Si diresse verso il tetto della scuola. Un pisolino di una mezz’ora lo avrebbe aiutato a schiarirsi le idee. Quali idee poi? L’unica cosa di cui ormai era quasi certo era che Kise ce l’avesse con lui. Davvero si trattava del fatto che avesse rinunciato all’idea di cercare l’autore della storia yaoi? Non c’era scritto mica da nessuna parte che dovevano farlo insieme. Non gli aveva impedito di continuare ad indagare da solo. Se Kise voleva per forza un compagno per fare qualsiasi cosa, be’, questi erano problemi suoi: doveva imparare a cavarsela senza nessuno.

Aomine arrivò a questa consapevolezza non appena spinse la porta per accedere al tetto della scuola. Si era già preparato all’idea di trovarsi nel più completo relax, senza nessuno che lo disturbasse con domande strane o subdoli interrogatori, ma dovette ben presto abbandonare quell’idillio.

Il tetto era già occupato da ben cinque ragazzi. Cazzo, addio al suo pisolino! Stava già per andarsene intento a pensare ad un altro posto dove poter essere lasciato in pace, quando, osservando meglio gli altri studenti, riconobbe un viso familiare: Kise.

Aveva un livido piuttosto vistoso sullo zigomo destro. Il cravattino dell’uniforme era allentato. La posa bellicosa con cui fronteggiava gli altri non lasciò più adito a dubbi: si era lasciato coinvolgere in una rissa.

A giudicare dallo schieramento, il compagno era solo contro gli altri quattro. Uno di questi aveva un rivolo di sangue che gli usciva dal naso e tutti avevano le uniformi piuttosto stropicciate. Nonostante l’inferiorità numerica, Kise era riuscito a tener loro testa egregiamente, ma non sarebbe durato a lungo. Aomine si sarebbe complimentato con lui per il coraggio, ma gli avrebbe anche fatto volentieri una lavata di capo per la sua stupidità.

Nessuno si era accorto di lui, ma l’idea di allontanarsi e far finta di nulla non gli passò minimamente per la testa. Avrebbe potuto approfittare dell’effetto sorpresa,  ma se lo bruciò lasciandosi trasportare da un sentimento molto simile alla paura. “Che sta succedendo?”

I ragazzi si voltarono all’istante verso di lui. Dalle facce fu facile dedurre che temevano di essere stati beccati da un professore. Quando identificarono Aomine, si rilassarono e ostentarono dei sorrisi di scherno. “Ehi, Kise, hai visto? Il tuo fidanzato è venuto a salvarti!”

“Il suo cosa?” gli fece eco Aomine.

“Avete rotto con questa storia!” si infervorò Kise.

“Guarda come si agita! Neanche avessi insultato tua madre.”

Aomine non aveva bisogno di sentire altro. La situazione era piuttosto chiara. Non stavano offendendo solo il suo amico, ma anche lui stesso. “Ehi, teste di cazzo” disse tranquillo, senza nessuna incrinatura nella voce.

Kise lo guardò preoccupato, come a intimargli di non lasciarsi coinvolgere e di scappare finché era in tempo, ma ormai aveva capito che era troppo tardi.

“Che hai detto? Un frocio come te ha chiamato me ‘testa di cazzo’? Cos’è, un modo per dirmi che ti piaccio? Tu sei frocio e a te piacciono i caz…” Le provocazioni furono drasticamente interrotte da un pugno di Aomine sul naso. Fu così potente che riuscì a sentire la cartilagine del setto nasale rompersi sotto le nocche. I compagni, dopo un attimo di sbalordimento per quanto successo, si avventarono su di lui come iene su una carogna.

Il ragazzo colpito si accasciò a terra coprendosi il naso con la mano, ma l’emorragia era troppo forte per essere contenuta. Imprecava per il dolore e si dimenava come un ossesso.

Intanto, Aomine riuscì ad assestare un calcio ben piazzato agli stinchi di uno degli assalitori, costringendolo a mettersi in ginocchio. Uno degli altri due riuscì a immobilizzarlo da dietro, bloccandogli la braccia dietro la schiena in una presa ferrea, mentre l’altro lo ricambiò con la stessa moneta. Gli sferrò un cazzotto in pieno viso, ma non fu preciso allo stesso suo modo e colpì la guancia.

Le nocche impattarono contro l’osso dello zigomo e il ragazzo agitò la mano per lenire il dolore.

Non un lamento di sofferenza uscì dalla bocca di Aomine, solo ringhi animaleschi per la rabbia di non riuscire a liberarsi da quella trappola. L’adrenalina che gli scorreva nel sangue non gli faceva sentire il dolore e lo incitava a lottare ancora.

Si preparò a ricevere il secondo pugno, ma questo non arrivò mai. Kise aveva bloccato il braccio del ragazzo e gli assestò una ginocchiata allo stomaco, facendolo accasciare su sé stesso con le braccia strette attorno all’addome. Rimasto solo, l’ultimo degli avversari lasciò andare la presa su Aomine e fece qualche passo indietro, terrorizzato all’idea di essere indifeso.

“Sparite tutti e quattro finché avete le gambe che vi funzionano ancora!” sbraitò Aomine e il ragazzo non se lo fece ripetere due volte.

Prese l’amico con il naso rotto sulle spalle e invitò gli altri ad andarsene con lui. Fuggirono come cani con le code in mezzo alle gambe.

Quando il pericolo fu passato, Aomine sembrò accusare tutto d’un tratto la dolenza alla guancia. Si portò la mano al viso che bruciava e formicolava: di certo sarebbe uscito un bel livido.

Si girò verso Kise e rimasero in silenzio a fissarsi. Nessuno sapeva cosa dire all’altro, sebbene di cose ce ne erano parecchie.

Kise iniziò dalla più semplice. “Grazie.”

“Di niente.”

Poi, dopo altri secondi di interminabile silenzio, giunse la spiegazione. “Stavo camminando per i fatti miei e li ho sentiti che mi chiamavano frocio. Mi è salito il sangue alla testa.”

Aomine assentì con la testa. Anche se mettersi contro quattro ragazzi era stato molto rischioso e molto stupido, non poteva rimproverarlo: in fondo, lui aveva fatto la stessa cosa.

“Sai… ti stavo giusto cercando” disse come se fosse qualcosa di poco conto.

Vide Kise sussultare come colpito da una scossa elettrica. Di sicuro era l’ultima cosa che si sarebbe aspettato di sentire. “Per dirmi cosa?”

Quella sì che era una bella domanda. Se Kuroko fosse stato lì lo avrebbe spronato a parlare chiaro, schietto e diretto. Provò a seguire quel consiglio non detto. “C’è qualche problema?” chiese, ma dalla faccia interrogativa del compagno capì che doveva essere più specifico. “Tra noi, intendo.”

“No, nessuno” la risposta fu troppo tempestiva per essere considerata sincera.

“E perché sono tre giorni che mi eviti?”

Kise diede chiari segni di agitazione. Sì, c’era qualche problema, ma voleva evitare di parlarne. “Non ti sto evitando, ho solo avuto molto da fare. Il lavoro, lo studio… cose così.”

“Cose così?” Aomine non si reputava un ragazzo troppo fantasioso, ma Kise era anche peggio di lui quanto a inventiva.

Era evidente che non intendeva dare una spiegazione plausibile al suo allontanamento, e Aomine non era tipo da pregare le persone per avere delle informazioni. Almeno non poteva rimproverarsi di non averci provato, anche se il risultato era stato deludente.

“Vado al club di giornalismo.”

“Per fare cosa? Avevi detto che non volevi saperne più niente.” Ecco il nodo gordiano. L’eccessiva loquacità di Kise lo aveva tradito. A quanto pare era come aveva detto Kuroko: ciò che per Aomine sembrava risolto, non lo era altrettanto per Kise.

“Questa volta ce la siamo cavata solo con qualche livido, ma la situazione rischia di peggiorare. Intendo porre fine a questa pagliacciata!” disse con impeto, rientrando nell’edificio.

Kise, basito da quella decisione fulminea, fu travolto da una valanga di domande, tra cui la più prepotente fu: Aominecchi è preoccupato per me?  

 

 

Note dell’autrice

Capitolo più lungo questa volta. Fa schifo, ma con i tempi che corrono è già tanto se ho trovato il tempo di scriverlo >.<

Secondo voi Aomine ce la farà a contrastare il potere dello yaoi? L’importante è crederci nella vita!

Sono molto laconica in questa storia, non so perché. Ok, al prossimo capitolo allora e mi raccomando recensite ;)

 

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Capitolo 6
*** Master Basket ***


Anonymous

 

 

Master Basket

 

 

 

Naosuke Yosano era sempre stato convinto che la sua timidezza e codardia, fautrici di una grave balbuzie, fossero ampiamente compensate dalle sue doti di scrittore. La firma sul modulo di iscrizione al club di giornalismo era stata vergata in modo netto, senza la minima sbavatura. Aveva grandi progetti per il suo primo anno.

Tramite il giornale scolastico avrebbe pubblicato le sue storie poliziesche, contando di appassionare la comunità studentesca attraverso trame intrigate, personaggi accattivanti, misteri indecifrabili e sbalorditivi colpi di scena. Avrebbe guadagnato una certa notorietà e magari avrebbe potuto trasformare la sua passione nel proprio lavoro.

Ma nulla di tutto ciò accadde. Fece tre tentativi, ma il giornale scolastico, dopo la pubblicazione del primo capitolo di ogni storia, non registrò alcun incremento delle letture. Più volte Naosuke si era chiesto in cosa avesse sbagliato, in cosa difettava la sua opera per poter ghermire l’attenzione del pubblico.

La risposta gli era arrivata sotto forma di busta anonima durante il suo ultimo anno di medie: yaoi. Scettico, aveva deciso di pubblicare quella storia romantica di dubbio gusto, dallo stile elementare e con dei personaggi fin troppo stereotipati. Eppure, contro ogni sua previsione, quella roba piaceva e anche tanto!

Dunque era in questo che si risolvevano i suoi sogni? Dare al pubblico una pappardella traboccante cliché, condita da protagonisti superfighi e il tutto servito con uno stile di scrittura ridicolmente semplice, piatto? La risposta era lampante: sì!

Naosuke odiava quella storia, dal più profondo del cuore. Stava godendo di un successo a suo dire immeritato, mentre lui aveva passato notti in bianco per scrivere i suoi gialli e dare loro un senso e un intreccio narrativo degno di questo nome.

Stava stringendo in mano l’ultima lettera trovata nella cassetta della posta, ovvero il terzo capitolo, lottando contro l’istinto di ridurla a brandelli, quando la porta dell’aula si spalancò e un Aomine furioso e contuso fece il suo ingresso.

La scena aveva un che di già visto.

“Cercavo proprio te” gli disse Aomine. Si avvicinò alla sua scrivania e Naosuke ripose il foglio che stringeva in mano al sicuro nella propria cartella. “È quello che penso che sia?”

“G-già.” Naosuke aveva capito che quel ragazzo non era pericoloso, ma trovarselo davanti con aria a dir poco incazzata e per di più con un ematoma sul viso, segno che si era preso a pugni con qualcuno, suscitò in lui un rinnovato terrore. Anche questa paura aveva un che di già vissuto.

“Lo vedi questo?” domandò Aomine indicandosi lo zigomo gonfio. “Me lo sono procurato per colpa di quella merda che pubblicate. E anche Kise ha avuto la sua razione di pugni.”

“Sta bene, vero?” La vocina allarmata della piccola ragazza con i grossi occhiali colse Aomine così alla sprovvista da farlo indietreggiare di un passo.

“E tu da dove spunti?”

“Imbecille, ero qui dall’inizio! Comunque Kise come sta? Non si è fatto niente, spero.”

“Quello sta meglio di me… e solo per merito mio, tra l’altro.”

“Che cosa meravigliosa!” Cosa ci fosse di così meraviglioso, Aomine non riuscì a capirlo finché non la vide prendere un taccuino e una penna. “Vuoi dire che tu lo hai salvato, vero? Siete stati coinvolti in una rissa? Contro quanti avversari avete lottato? Come ti sentivi a sapere che il tuo Kise era in pericolo?”

“Ma come si spegne?” chiese Aomine rivolto al presidente del club.

“Noi la chiamiamo ‘Yaoi mode on’: di solito aspettiamo che l’effetto svanisca da solo.”

“Svanisca da solo un cazzo!”

Senza neanche ascoltare le risposte alle sue domande, la studentessa aveva già iniziato a scrivere un abbozzo di articolo. D’improvviso si ritrovò a scrivere la fine di una parola sul palmo della propria mano. Sollevò la testa e vide il suo prezioso taccuino nelle grinfie di Aomine. “Prima di tutto, Kise non è ‘mio’… secondo, non ho ‘gli occhi lucidi mentre ripenso al pericolo che il mio Kise ha corso poco istanti fa’…” lesse il ragazzo con espressione disgustata.

La ragazza incrociò le corte braccia al petto e gonfiò le guance in segno di offesa. A quanto pareva, l’effetto Yaoi si stava dissolvendo più in fretta del previsto.

“Tornando a noi. Giuro che se domani sul giornale della scuola trovo stampato il nuovo capitolo o un qualsiasi articolo che parla di me e di Kise, darò fuoco a quest’aula.” Le parole e gli occhi di Aomine trasmettevano sincerità. Nessun battito di ciglia interruppe il contatto visivo tra il ragazzo e il presidente.

Dopo qualche secondo di grave silenzio, Naosuke riprese la parola. “N-n-n-on… p-p-p-posso…” disse con grande sforzo, sputacchiando persino sulla sua stessa scrivania.

“Che hai detto?”

“N-non p-p-posso farlo. C’è q-q-qualcos’altro che mi s-s-spaventa di più.”

“Più di me? E che sarebbe?”

“Le ragazze” rispose per lui la collega. Naosuke si rannicchiò sulla sedia e abbassò lo sguardo, arrossendo come un peperone. La ragazza continuò. “Quasi tutte le ragazze della storia aspettano con impazienza l’uscita del prossimo capitolo. Loro sanno che avverrà tra uno, massimo due giorni. Se non dovessimo pubblicare nulla o dicessimo che la storia è stata sospesa, stai pur certo che verrebbero qui come una mandria di bufale inferocite. Guarda il nostro presidente, poverino: quando è sottopressione inizia a balbettare come un demente. Ma te lo vedi a dover fronteggiare una schiera di yaoiste agguerrite? Al confronto tu sei come un chihuahua che abbaia tanto e basta!”

Il presidente confermò energicamente con la testa, ma senza osare alzare gli occhi, troppo imbarazzato per la sua debolezza.

“Merda” sibilò Aomine. “Merda!” gridò e sbatté violentemente il pugno sulla scrivania di Naosuke, facendolo saltare di almeno un metro dalla sedia e strillare come una femminuccia.

Aomine aveva visto bene dove il presidente aveva nascosto il foglio con su scritto il capitolo ancora inedito: rubarglielo e distruggerlo sarebbe stato facile. Meditò seriamente di compiere o meno tale gesto. No, non avrebbe risolto un bel niente. Sarebbe bastato pubblicare sul giornale un appello all’autore per farsi inviare una nuova copia, per non parlare del fatto che la sua bravata avrebbe dato ben più di uno spunto per un nuovo, ambiguo articolo su lui e Kise.

“Meriteresti davvero di essere sbranato da quelle allupate!” gli inveì contro. Uscì dall’aula sbattendosi la porta alle spalle così forte da rischiare di scardinarla.

Era più infuriato di quando era entrato. Si appoggiò al davanzale della finestra. In primo piano, con il campo da calcio della scuola sullo sfondo, vide il proprio riflesso. Il livido si era fatto piuttosto evidente, tanto che poteva vederne chiaramente ogni sfumatura violacea. Sua madre gli avrebbe fatto una bella ramanzina quella sera, giusto per concludere la giornata in bellezza!

Ovunque volgeva lo sguardo vedeva solo vicoli ciechi: non sapeva come trovare l’autore anonimo; non poteva impedire al club di giornalismo di pubblicare la storia; e con Kise le cose andavano tutt’altro che bene.

Certo, si erano parlati, ma pensandoci non si erano chiariti quasi per niente.

Si sentì un coglione per aver pensato che quella faccenda portasse solo lati positivi, ovvero maggiore popolarità tra il gentil sesso.

Aomine.”

La vocina stridula della yaoista lo destò dai suoi pensieri. “Che vuoi?”

“Credo che la tua avversione per lo yaoi sia dovuta alla tua ignoranza.”

“Che hai detto?” disse, voltandosi verso di lei.

La ragazza gli porse un sottile plico di fogli. “Se leggessi questa storia non la detesteresti così tanto. Qui ci sono i primi due capitoli trascritti e anche il terzo. È un grande privilegio, quindi sii grato.”

Aomine guardò scettico le pagine, poi le afferrò con circospezione, quasi stesse maneggiando una bomba pronta ad esplodergli in mano al minimo scossone. In tutto erano una ventina. Non molte in verità, ma lui non era un tipo che si poteva definire ‘amante della lettura’. “Non è che mi faresti un riassunto?”

“Ne ero certa! Sei praticamente il protagonista e non ti è mai venuto in mente di leggerla?”

Proprio così, pensò. Si chiese se Kise invece lo avesse fatto. Sfogliò le pagine velocemente. Meditò persino di andare da Kuroko per chiedergli di fare un riepilogo generale, ma non sarebbe stata la stessa cosa.

E poi doveva ammetterlo: un po’ era curioso di sapere cosa ci fosse scritto di così fantastico da ammaliare legioni di ragazze infervorate.

La studentessa lo salutò frettolosamente e rientrò nell’aula del club.

Aomine si sedette sul pavimento lì dov’era e iniziò a leggere.

Ed ecco, essenzialmente, ciò che la sua mente assimilò ed elaborò al contempo quel pomeriggio.

 

 

Master Basket

Capitolo 1

Aimine è considerato da tutti un vero genio del basket. È la stella indiscussa della squadra e ama questo sport con tutto sé stesso.

(Sì, sono proprio io)

Un giorno, un ragazzo del suo stesso anno, Kisu, gli si avvicina mentre è intento ad allenarsi da solo in palestra, ben oltre l’orario consueto dei suoi compagni. Gli chiede di insegnargli a giocare a basket, perché, vedendo lui, si è appassionato a questo sport. Aimine all’iniziò è contrario a fare da maestro ad un dilettante, ma riconosce il ragazzo per essere il più popolare della scuola. Non era raro vederlo circondato da schiere di ragazzine urlanti.

(Mi ricorda qualcuno…)

Aimine decide di accettare di fargli da maestro, ma ad una sola condizione: Kisu deve presentargli una ragazza, o anche più di una, che rispecchi ogni suo desiderio.

(Bella idea! Devo chiederlo anche io a Kise)

Kisu acconsente e anche lui pone una condizione: pagherà il suo debito solo dopo essere diventato un titolare.

(Scommetto che non lo farà)

Nonostante la riluttanza iniziale e il carattere di Kisu, fin troppo estroverso per i suoi gusti, Aimine gli riconosce un certo potenziale. Il suo allievo impara molto in fretta, a suo dire perché ha un maestro eccezionale. Inoltre giocare con lui si rivela molto più divertente del previsto e la soddisfazione personale nel vedere le sue abilità crescere di giorno in giorno porta Aimine a provare una certa simpatia per l’altro.

Durante una partita ufficiale, anche se gli avversari non erano molto forti, Kisu riesce a vivere dieci minuti di gloria sul parquet. Le sue giocate e la sua sintonia con la stella Aimine gli conferiscono nuova luce agli occhi del coach.

(Che palle, ma quando arriva la parte interessante?)

Aimine si congratula con lui, orgoglioso del proprio pupillo, e non perde occasione per rammentargli del loro accordo. Un’ombra di dispiacere attraversa il volto di Kisu, ma Aimine non se ne avvede.

(E questo dovrei essere io? Quando mai non mi accorgo delle cose?)

Solo due partite dopo, Kisu scende in campo fin dal primo minuto e il coach gli conferma che da quel momento in poi lui farà parte della rosa dei titolari. L’entusiasmo di Kisu esplode, ma subito dopo pare che un pensiero terribile, noto a lui solo, gli spenga ogni gioia.

(L’ansia di sapere cos’è mi sta uccidendo… sì, sì, muoio davvero…)

 

Capitolo 2

Il giorno dopo Aimine gli rammenta del loro patto: la sua parte l’ha fatta, ora spetta all’altro onorare il debito. Kisu, anche se un po’ nervoso, gli dice che provvederà subito a organizzargli un appuntamento con una ragazza. Tuttavia, passa una settimana e nulla accade.

(Lo dicevo io che non l’avrebbe fatto)

Aimine, spazientito, gli chiede spiegazioni per un simile comportamento. Kisu si giustifica dicendo che ancora non è riuscito a trovare una ragazza che possa soddisfare i suoi gusti e che per lui, essendo il suo mentore del basket, vuole solo il meglio. Aimine gli consente un’altra settimana, ma all’orizzonte non si vede ancora nulla.

(Questo Kisu è proprio uno stronzo!)

Infine, Aimine decide di affrontarlo a viso aperto. Ormai è evidente che Kisu non ha intenzione di adempiere al proprio dovere.

(Io lo avevo capito già dal primo capitolo che finiva così)

Kisu, messo alle strette, confessa che non aveva mai avuto intenzione di fargli conoscere alcuna ragazza perché, ammette dopo numerose domande, è geloso di lui.

(Scontatissimo)

La vera ragione per cui ha iniziato a giocare a basket era avvicinarsi ad Aimine, del quale, dopo averlo visto la prima volta, se ne era infatuato. La storia dell’allievo e del maestro era solo una montatura per poterlo conoscere e stare insieme.

(Io gli darei un bel pugno)

Aimine rimane scioccato da una simile confessione. Vorrebbe dire qualcosa ma non sa esattamente cosa.

(E la gente pensa davvero che questo sia io?!)

In tono freddo, inespressivo, dice a Kisu che è molto deluso dal suo comportamento e che, a parte durante gli allenamenti, non vuole né vederlo né parlargli.

(Cos’è, un fottuto scherzo? Davvero non si incazza neanche un po’? Ehy, quello ti ha preso in giro, hai speso un mucchio di tempo appresso a lui e te ne esci con un ‘Sono molto deluso da te’? Ma porca di quella…)

 

Capitolo 3

Durante la partita successiva, il duo Aimine-Kisu si inceppa più di una volta, tanto che Kisu finisce con l’infortunarsi una caviglia in modo abbastanza grave. D’istinto, Aimine è il primo a correre in suo soccorso quando l’amico cade stringendosi la caviglia dolorante.

(Virilità sottozero)

Poi si rammenta di quanto accaduto tra loro e si allontana subito dopo, lasciando che Kisu venga portato in infermeria.

(Quando si dice la provvidenza, eh?)

Kisu non si presenta a scuola il giorno dopo, e neanche quello successivo. L’essere all’oscuro delle sue condizioni di salute fa sprofondare Aimine in un mare di angoscia e dispiacere.

(No, no e poi no: mi rifiuto di credere che questa checca dovrebbe essere me! Ma l’autore che ha nel cervello?)

Dopo la scuola, decide di andargli a fare visita. Lo trova in camera sua, steso sul letto, con la caviglia bendata e poggiata su due cuscini. Non può fare a meno di pensare che ciò che gli è accaduto è solo colpa sua: se avessero fatto più gioco di squadra, Kisu non sarebbe stato costretto a scontrarsi da solo contro un avversario di due metri.

Kisu è sorpreso di vederlo ed anche estremamente felice.

Aimine è andato a trovarlo solo per sapere come stava, ma trovandoselo davanti, indifeso e immobile, un po’ per il senso di colpa, un po’ per un moto di tenerezza, i suoi veri sentimenti gli si manifestano chiari e limpidi come un lago di montagna.

(TENEREZZA?!)

Era già da un po’ di tempo che le ragazze non lo attiravano più e in particolare da quando aveva iniziato a frequentarsi con Kisu.

(Che coincidenza)

Se aveva insistito tanto sulla questione dell’accordo era solo perché non voleva mostrare questo suo lato al compagno. Inoltre, era convinto che mai al mondo Kisu lo avrebbe ricambiato, per questo non aveva mai neanche pensato di dichiararsi a lui. Era troppo preoccupato di trasmettere un’immagine virile di sé per accorgersi dell’infatuazione del suo allievo.

(E Aimine si accorge di provare tutto questo solo ora? Come se adesso che Kise ha una guancia gonfia e livida io scoprissi di essere innamorato di lui… Ma perché adesso sto paragonando questa cosa alla mia vita reale?)

Kisu scoppia a piangere per la commozione.

(Questo è tipico del Kise reale, in effetti)

Aimine si siede di fianco a lui, gli asciuga le lacrime con il pollice, lo abbraccia e lo…

(No, non posso leggere! Saltiamo questa parte)

…sente la mano di Kisu intrufolarsi sotto…

(…saltiamo anche questa…)

I pantaloni diventano troppo stretti per contenere la sua…

(…saltiamo… saltiamo…)

Finalmente i due sono pronti per consumare la loro travolgente passione.

(È finita… grazie al cielo è… no, un momento… vuol dire che… nel quarto capitolo io e Kise faremo sesso?!)

 

 

 

Note dell’autrice

Ed ecco la storia che ha fatto trepidare i cuori di tutte le studentesse dalla Teiko: bella pappardella vero? XD

Ho preferito riportarla in forma sintetica piuttosto che scriverla pari pari a come dovrebbe essere perché avrebbe appesantito in modo inutile la fanfic: in pratica quello riportato è quello che Aomine ha recepito di ciò che ha letto, con suoi relativi commenti.

E anche questa volta ho fatto il mio dovere e ho aggiornato ^^ Al prossimo chap!

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Capitolo 7
*** Diario segreto ***


Anonymous

 

 

Diario segreto

 

 

 

Momoi colpì bruscamente il lato tumefatto del viso di Aomine con una borsa di ghiaccio.

“L’ho capito che sei arrabbiata, non serve infierire così” berciò lui, reggendosi la borsa beige contro la guancia.

“No, tu non capisci. Se si fosse venuto a sapere che tu e Ki-chan siete rimasti coinvolti in una rissa, sareste stati espulsi all’istante dalla squadra!”

Aomine sollevò gli occhi al cielo per l’esasperazione. Era almeno la quinta volta che l’amica gli ripeteva sempre la solita ramanzina. “Be’, non è successo, quindi smettila di farne un dramma.”

“Sei davvero irritante a volte!”

“Almeno io lo sono solo a volte…” commentò lui, sottovoce.

“Che hai detto?”

“E chi ha parlato.”

Momoi gli lanciò un’occhiata fulminante. Non aveva sentito le parole esatte, ma sapeva che lui non le aveva certo fatto un complimento.

Aomine preferì cambiare discorso. “Com’era oggi la situazione a scuola?”

“C’era un gran fermento: oggi è stato pubblicato il terzo capitolo della storia sul giornale…”

“Sì, lo so” disse Aomine, d’istinto.

“E come fai a saperlo?”

“Ehm…” Cazzo, aveva risposto di getto e ora era obbligato a dire all’amica tutto ciò che aveva fatto il giorno prima, dal momento in cui aveva lasciato Kise sul tetto della scuola in poi.

Ah, al diavolo, prima o poi glielo avrebbe detto comunque. “Lo so perché l’ho letta, ieri, in anteprima…” e seguitò a raccontare quanto successo.

Momoi rimase con la bocca e gli occhi spalancati per un minuto buono prima di riprendersi. “Quindi ora sai di che parla! E come l’hai trovata?” L’entusiasmo di Momoi era dirompente, come se fosse contenta di poter finalmente parlare liberamente di una sua grande passione con l’amico d’infanzia.

“L’ho trovata vomitevole!” rispose spietatamente Aomine. “I protagonisti non hanno niente a che fare con noi. Be’, forse con Kise sì, ma con me di sicuro nulla! E io che mi vantavo pure di essere diventato più popolare senza sapere come mi vedevano esattamente le ragazze! L’autrice di quella storia, perché non potrebbe essere altrimenti, ha dei seri problemi se pensa che noi maschi siamo così!”

Momoi si rabbuiò a quelle parole crudeli e insensibili, quasi l’altro l’avesse offesa personalmente. Aomine aggrottò le sopracciglia perplesso, inconsapevole di ciò che aveva fatto.

“Ma come diavolo ti è venuto in mente?” strillò lei.

“Eh?”

“Sei andato al club di giornalismo a dire che hai difeso Ki-chan da quattro bulli! Ti rendi conto che hai dato loro un argomento succulento su cui scrivere?

“Insomma, Sastuki, fai pace con il cervello: prima sembri euforica e ora mi rimproveri, ancora! E poi stavamo parlando di tutt’altro: perché hai cambiato argomento?”

“Non ti rendi conto che se avessero scritto qualcosa sul giornale, tutti avrebbero saputo della lite? Per fortuna hanno avuto il buon senso di non dire nulla” continuò lei imperterrita, ignorando la domanda di Aomine. “E comunque la fantasia di tutte le ragazze oggi a scuola era già piuttosto sovraeccitata: il fatto che oltre a te, anche Ki-chan è stato assente ha dato vita a molte idee.”

Mh… quindi anche lui non è andato…”

“Non dirlo come se non te ne importasse nulla.” Momoi si era placata e guardava Aomine con un sorriso molto allusivo dipinto sul volto.

“Infatti non me ne frega niente.”

“Sai, Dai-chan,” Aomine non amava molto quel vezzeggiativo, ma fintanto che Momoi lo chiamava così quando erano soli poteva anche accettarlo; per di più, aveva la netta sensazione che lei lo usasse per fargli dispetto, “è proprio a causa di questo tuo atteggiamento che Ki-chan non ti parla più.”

“Che vuoi dire con questo?”

“Voglio dire che dovresti andare da lui e parlargli.”

“Mi sono preso un cazzotto in faccia per lui: cosa vuole di più?”

Dai-chan! adesso ti prepari, vai a casa sua e gli parli chiaro e tondo.”

Aomine aveva in programma di sollazzarsi con l’ultima rivista gravure che aveva comprato, ma sapeva quanto Momoi sapesse essere insopportabile quando si impuntava su qualcosa. Le sue amate idol dovevano aspettare ancora un altro giorno per essere ammirate nei loro provocanti completi intimi.

 

Era la prima volta che Aomine andava a trovare Kise direttamente a casa sua, più che altro perché fino a quel momento non ce n’era mai stato bisogno, visto che era sempre il modello a rincorrerlo ovunque andasse. Era una bella villetta di due piani, con tanto di giardinetto esterno: una tipica dimora da spot pubblicitario. Suonò il campanello e ancora non sapeva cosa diavolo dire a Kise. Confidava nel proprio istinto: al momento opportuno le parole sarebbero venute da sole.

Una voce femminile gracchiò dal citofono: “Chi è?”.

“Sono Aomine Daiki, un amico di Ki… Ryota” si corresse all’ultimo: non sarebbe stato molto intelligente chiamare per cognome il compagno proprio a casa sua, dove tutti si chiamavano Kise.

Aomine! Oh mio Dio, vuoi dire che sei il famoso Aominecchi?” Da quando in qua lui era famoso? Per un momento, ebbe l’inquietante sensazione di parlare con un Kise al femminile.

Il cancello si aprì e, mentre attraversava il vialetto, la porta d’ingresso si spalancò, rivelando la figura di una ragazza di poco meno di vent’anni, biondissima e radiosa.

“Finalmente ti conosco! Piacere io sono Kaori, la sorella di Ry-chan! Sai, mio fratello non fa altro che parlare di te da quando vi siete conosciuti: Aominecchi è fantastico; Aominecchi è sorprendente; Aominecchi di qua e di là. È come se già ti conoscessi, in un certo senso. Ry-chan sembra una ragazzina alla sua prima cotta. E sai, guardandoti bene…” la ragazza lo scrutò da testa a piedi con aria di approvazione, “… la cosa non mi sorprende affatto. Oh, ma guarda, quello è il famoso livido che ti sei fatto per difenderlo! Accidenti, deve aver fatto parecchio male. Ti ringrazio per aver protetto il mio fratellino da quei bastardi… Ops, scusami, ma sai io sono la sua manager e adesso per colpa di quegli ematomi che ha in faccia dovrà rinunciare a ben due servizi fotografici!”

Aomine avvertì il principio di un mal di testa. Al confronto con la sorella, Kise era più muto di un pesce rosso solo in una boccia di vetro.

“Oh, ma che maleducata a trattenerti qui fuori! Non sei certo venuto qui per me.” Il tono allusivo di Kaori ebbe il potere di metterlo a disagio molto più della lettura di ‘Master Basket’: in fondo era la sorella di Kise e vederla patteggiare così apertamente per una loro relazione non era piacevole, affatto. “Accomodati, ti accompagno nella sua stanza. È al piano di sopra, ma in questo momento si sta facendo un bagno: sai a lui piace molto farsene di belli lunghi.” Iniziarono a salire la scale, che agli occhi di Aomine apparvero innalzarsi fin sopra le nuvole. “Le prime volte ci spaventavamo sempre, visto che ha iniziato ad assumere questo atteggiamento da sì e no un anno. Poi ci siamo ricordati che era entrato nella pubertà e si sa che a questa età a voi maschietti piace scoprire cose nuove su voi stessi.” Aomine cercava di contare alla rovescia il numero di gradini che lo separavano dal pavimento del primo piano della casa. Non era solo la quantità spropositata di parole che usciva dalla bocca di Kaori a farlo ammattire, ma anche la tematica della conversazione: parlare di Kise che si gingillava in una vasca da bagno non era proprio un argomento che lo mettesse a suo agio. Ancora sette gradini… “Adesso avviserò Ry-chan che sei qui. Nel frattempo accomodati nella sua stanza: è la porta in fondo a destra. Nell’attesa, se ti annoi, puoi leggerti il suo diario personale. Lo tiene nascosto sotto il materasso! Ma, mi raccomando: se lo senti arrivare nascondilo subito, intesi?” E gli fece l’occhiolino, liberandolo da quella che per lui era stata un’autentica agonia.

“Sì” rispose solo, temendo che se avesse detto qualcosa di più le avrebbe dato spunto per un nuovo argomento di conversazione.

Si avviò verso la camera di Kise e, quando ci entrò, si premurò di chiudere la porta per evitare un ulteriore assalto della sorella affetta da logorrea cronica. Tirò un profondo respiro di sollievo: silenzio, mai prima di quel momento gli era parso più bello.

Si concesse qualche secondo di relax prima di riprendere il regolare flusso di pensieri. Kaori gli aveva detto che Kise nascondeva un diario segreto. Se non fosse stato troppo intento a soffrire, avrebbe riso nel momento in cui glielo aveva rivelato. La curiosità di sapere cosa ci scrivesse sopra un ragazzo prevalse sulla sua buona creanza. Era un’autentica bastardata, ma si trattava di un boccone ghiottissimo offerto su un piatto d’argento.

Si avvicinò al materasso a una piazza e mezzo. Lo sollevò da un lato, ma non vide nulla. Andò dall’altro e ripeté la stessa operazione. Eccolo lì, posto quanto più vicino possibile al centro del materasso per non essere visto subito, ma c’era. Con un ghigno, Aomine lo afferrò, ripose il materasso e si accomodò su di esso. Ormai quella della lettura stava rischiando di diventare una mania per lui.

Aprì una pagina a caso, cercando le annotazioni più recenti; quelle troppo datate non gli interessavano granché.  Una frase letta di sfuggita colpì particolarmente le sua attenzione. Sul rigo superiore c’era la data, così come per ogni pagina: risaliva a qualche giorno prima l’ingresso di Kise in squadra.

 

21 Maggio

Anche oggi nulla di nuovo da raccontare. Se sto scrivendo questi pensieri è solo perché sento il bisogno di sfogare la mia noia in qualche modo, altrimenti rischio di esplodere.

Anche il calcio ha perso subito di interesse. In poco tempo sono diventato più bravo del capitano. In un certo senso è come se fossi andato incontro ad un’altra delusione.

Tutto ciò che mi circonda mi suscita così poco interesse che riesco a sentire il suono del vento persino quando sono in mezzo a tante persone.

 

23 Maggio

Ho lasciato il club di calcio. Il capitano ne era persino sollevato, forse perché vedeva in me una minaccia troppo grande.

Non mi resta che aspettare, come al solito, che si presenti qualcuno abbastanza forte da stimolarmi; qualcuno che io non possa battere facilmente; qualcuno che mi tiri fuori da questo tunnel d’apatia in cui sono caduto.

Dove sei? Fatti avanti!

 

24 Maggio

Credo che la mia lunga attesa sia finita! Oggi un ragazzo mi ha colpito per sbaglio con un pallone da basket. L’ho visto giocare ed è davvero sorprendente. La sua velocità, la sua tecnica, la sua agilità: riuscirò mai ad imitarlo o addirittura superarlo? Per la prima volta ho dei dubbi sulle mia capacità, ma questo non fa che rendermi ancora più felice.

Ho chiesto informazioni su quel ragazzo e ho scoperto che si chiama Aomine Daiki. Non vedo l’ora di poter giocare con lui!

 

25 Maggio

Mi sono iscritto al club di basket. Visto che sono un principiante mi hanno messo in terza squadra, ma la scalata non mi spaventa se ho ben in mente il mio obiettivo.  E il mio obiettivo è Aomine Daiki, anzi Aominecchi!

 

29 Maggio

Mi sento come una delle mie fan quando mi vengono a spiare durante un qualsiasi momento della giornata. Non vedevo Aominecchi da tre giorni, così sono andato alla palestra dove si allena la prima squadra e sono rimasto ad ammirarlo per venti minuti buoni.

Sarò ripetitivo, ma continuo a pensare che è davvero sorprendente!

Ah, il coach oggi mi ha notato e ha detto che sto facendo dei passi da gigante: se continuo così, in pochi giorni mi passano in seconda squadra.

Aominecchi, sto arrivando!

 

1 Giugno

Sono passato in seconda squadra. La mia meta è sempre più vicina. Sono andato ancora una volta a guardare Aominecchi mentre gioca: uno spettacolo come sempre! Già riesco a copiare qualche suo movimento, ma la strada è ancora lunga eppure questo non mi scoraggia per niente, anzi, mi fortifica.

Devo impegnarmi di più!

 

8 Giugno

I miei sforzi sono stati ripagati. Oggi è venuta la manager della prima squadra, Momoi Sastuki, che mi ha dato il tanto atteso annuncio. La prima cosa che ho fatto è stato salutare Aominecchi. Purtroppo non ho avuto occasione di giocare con lui, ma confido di riuscirci domani.

Mi hanno assegnato anche un tutor, ma è davvero ridicolo: Kuroko Tetsuya, un ragazzo bassissimo che si nota appena. Ma come fa ad essere titolare della prima squadra? La cosa peggiore è che Aominecchi lo difende a spada tratta!

È stata una sorpresa non proprio gradita questa…

 

9 Giugno

Ho giocato il mio primo one-on-one contro Aominecchi!

E ho perso…

Cavolo, fa davvero schifo perdere, però, non so perché, ma non riuscivo a smettere di sorridere un solo istante. Aominecchi si è dimostrato l’avversario valido che ho sempre aspettato di incontrare. Sento che, per quanto possa sforzarmi, per quanto possa migliorare, non riuscirò mai ad arrivare al suo livello.

Sembra un traguardo irraggiungibile e, forse per questo, ancora più ambito e desiderabile.

Mi sono lamentato ancora una volta di quella mezzacalzetta del mio tutor e Aominecchi mi ha rimproverato per come lo tratto. Ma che avrà di così speciale poi?

Mi vien da ridere: sembro una mocciosa gelosa del ragazzo dei suoi sogni! Ridicolo, vero?

 

15 Giugno

Domani dovrò giocare una partita in seconda squadra con Kuroko. Che palle! Bastavo anche solo io per vincere, perché cavolo deve venire anche lui?

Questa storia del tutor comincia davvero a rompermi le palle!

 

16 Giugno

Kurokocchi è fantastico! Non mi sarei mai aspettato che avesse un modo così particolare di giocare a basket! Mai visto niente di simile prima. Ora capisco perché Aominecchi lo difendeva così tanto.

Comunque, continuo a pensare di essere io il migliore. È un po’ difficile da spiegare, però, non so, vedere Aominecchi così affiatato con Kurokocchi mi fa sentire strano, in modo negativo. Si vede che è successo qualcosa tra loro, che è un’amicizia molto intensa…

Penso… credo… di essere… geloso… Ecco, sì, l’ho detto (anzi, scritto)! Però la gelosia non è qualcosa che si associa per forza all’amore, giusto? Altrimenti si potrebbe pensare che io mi stia innamorando di Aominecchi… ridicolo!

 

18 Giugno

È il mio compleanno e Aominecchi non lo sa. Mi ha battuto senza pietà anche oggi. Non che mi aspettassi un trattamento di favore, al contrario. Non sopporterei di vincere solo perché lui me lo ha concesso.

In verità Aominecchi non sa tante cose. Se finalmente ho ritrovato il sorriso e le mie giornate sono diventate migliori è solo per merito suo, e non mi riferisco solo al basket…

Forse è meglio così; meglio che lui non sappia niente. Mi prenderebbe per pazzo o per una donnicciola, e l’ultima cosa che voglio è perdere quel pizzico di stima che mi sono faticosamente guadagnato finora.

 

 

Quelle considerazioni erano davvero troppo  strane da leggere per Aomine. Kise che provava davvero qualcosa per lui? No, non poteva essere, se ne sarebbe senz’altro accorto.  Leggere quel diario era come rileggere ‘Master Basket’ una seconda volta, ma dal punto di vista del personaggio di Kisu.

Si disse che era solo suggestione e andò avanti veloce per un bel po’ di pagine, fino ad arrivare alla data in cui era stato pubblicato il primo capitolo della storia yaoi.

 

28 Settembre

Sono stato scoperto! Sul giornale di oggi è uscita una storia romantica in cui i protagonisti sembriamo proprio io e Aominecchi! Qualcuno (non so chi) deve aver capito quello che provo ed ora lo sta sfruttando per puro divertimento. Non so cosa fare: se manifestassi troppa preoccupazione desterei sospetti, d’altro canto non posso nemmeno ignorare la cosa.

Per fortuna, Aominecchi sembra intenzionato a trovare l’autore e farlo smettere: mi basterà solo assecondarlo e la questione si risolverà.

Purtroppo, il nostro primo tentativo al club di giornalismo è fallito. Dovremmo pensare ad un’altra strada da seguire.

 

3 Ottobre

Aominecchi è un vero coglione! Ha venduto la sua stessa dignità, quella che tanto voleva difendere solo quattro giorni fa, in cambio di qualche moina da parte delle ragazze. Ha deciso di rinunciare alla ricerca e abbiamo anche fatto discussione per questo.

Mi sono sentito abbandonato… tradito…

La situazione in cui siamo finiti non è delle migliori, ma ero contento per una volta di condividere con lui qualcosa al di fuori del basket.

Cazzo, forse sono io il coglione! Scrivo su uno stupido diario tutto quello che provo e che vivo, neanche fossi una ragazzina innamorata.

Ormai è evidente: mi basta sfogliare le pagine precedenti per rendermi conto che non faccio che parlare di lui ogni giorno.

La situazione mi sta davvero sfuggendo di mano. Non posso evitare Aominecchi, visto che giochiamo nella stessa squadra, ma potrei limitare i nostri contatti. Sì, credo che sia la soluzione migliore e poi non ho tanto voglia di parlargli dopo quello che ha fatto. Non gli chiederò più di giocare con me dopo gli allenamenti. Devo ridimensionarmi o finirò per farmi scoprire e se mai dovesse succedere...

…gli farei senz’altro schifo…

 

Mentre Aomine divorava parole e pagine, udì distintamente la voce di Kise che urlava nel corridoio.

“Da quando è arrivato?” strillava, palesemente arrabbiato.

“Saranno dieci minuti…” rispose vaga la sorella.

“E che aspettavi ad avvisarmi?!” Il suono dei passi frettolosi di Kise annunciò il suo imminente arrivo.  

 

 

Note dell’autrice

Forse mi ammazzerete, ma in realtà questo capitolo doveva procedere ancora, solo che rischiava di allungarsi davvero troppo, così ho preferito interromperlo qui! ^^””

Ero un po’ dubbiosa se fosse credibile l’idea di un diario segreto scritto da un ragazzo, ma il mio consulente mi ha confermato che può benissimo essere e io mi sono fidata u.u

La storia sta prendendo una piega diversa da come l’avevo impostata all’inizio, il che si traduce in una maggiore difficoltà per me di sbrogliare la situazione e farla procedere in modo corretto >.< Ma mi sono tolta da impicci ben peggiori in passato, quindi abbiate fede!

Ok, cominciamo un attimino ad esplorare meglio la sfera sentimentale dei protagonisti! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ricordate che non mi offendo se vorrete commentare XD

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Capitolo 8
*** Indovina chi viene a cena? ***


Anonymous

 

 

Indovina chi viene a cena?

 

 

 

Aomine chiuse di scatto il diario e cercò di sistemarlo lì dove lo aveva trovato. Il punto sotto il materasso non era proprio lo stesso, ma quanto meno non sarebbe stato colto in flagrante. Nel momento esatto in cui si riaccomodò, Kise spalancò la porta agitato, con i capelli ancora zuppi e solo un accappatoio addosso.

Aominecchi?” domandò, come se volesse accertarsi che la persona nella sua camera fosse proprio lui e non il frutto di un’allucinazione o di uno scherzo di Kaori.

“Già” rispose laconico l’interpellato.

Il livido violaceo di Kise era molto più evidente del suo, non solo per estensione ma anche per colore, accentuato dalla carnagione più chiara. Aveva anche il labbro superiore spaccato, ma la ferita si era già cicatrizzata.

L’istante in cui era salito sul tetto e aveva visto Kise in pericolo si stagliò prepotente nella mente di Aomine, facendogli riprovare in una frazione di secondo quella che sembrava a tutti gli effetti una reazione di panico. Aveva avuto paura per lui? Non sapeva dirlo. Tutto ciò a cui era riuscito a pensare in quel frangente era salvare Kise e nient’altro.

Forse era solo stato influenzato da quello che aveva appena letto. Ora che aveva esplorato, e violato, la parte più intima dell’animo di Kise, questi non sarebbe stato più lo stesso ai suoi occhi e ne aveva una prova tangibile in quel preciso momento.

Gli farei senz’altro schifo, aveva scritto Kise.

No, Aomine non provava alcun tipo di disgusto nei suoi confronti, ma qualcosa era cambiato.

Il ricordo della storia letta il giorno prima non faceva altro che peggiorare le cose: Kisu che si infortuna e Aimine che lo va a trovare alla casa, con conseguente dichiarazione d’amore.

È solo suggestione, si disse Aomine, cercando di distogliere gli occhi dal volto tumefatto del compagno per impedire alla mente di continuare a macinare pensieri inopportuni.

“Scusa se ti ho fatto aspettare, ma mia sorella mi ha avvisato solo pochi secondi fa” spiegò Kise, stringendosi automaticamente l’accappatoio contro il corpo. Un gesto innocente, all’apparenza, qualcosa a cui Aomine, prima di leggere il diario rivelatore , non avrebbe dato alcuna importanza, ma ora ogni azione, ogni sguardo, ogni parola irradiava una luce diversa. Pudore, ecco come interpretò l’atteggiamento di Kise.

“Nessun problema” lo rassicurò Aomine. Di certo Kaori, dopo avergli messo la pulce nell’orecchio riguardo il diario del fratello, aveva tardato ad avvisare il fratello per dargli il tempo di leggere.

Kise si appoggiò alla sedia della scrivania. “È forse successo qualcosa?” disse un po’ sospettoso.

“Si può dire di sì. In verità è stata Sastuki ad obbligarmi a venire.”

“Ah, capito.” Kise mostrò una palese delusione nello scoprire che dietro quella visita di Aomine c’era la volontà di un’altra persona e ad Aomine il dettaglio non sfuggì. Ora che conosceva bene il proprio valore agli occhi dell’altro, ogni sua singola reazione lo faceva sentire sotto esame. Tentò di rimediare.

“Dice che è a causa del mio menefreghismo che tu, all’improvviso, hai deciso di non parlarmi più. Mentre venivo qui, ho riflettuto sulle sue parole e su quello che è successo negli ultimi giorni e…” Non poteva certo dire che aveva letto il suo diario: aveva abbastanza buon senso da comprendere la gravità del proprio misfatto. Tuttavia, quelle frasi scritte a penna gli avevano aperto gli occhi su tante cose. Tanto valeva sfruttare le sue nuove conoscenze per qualcosa di, a suo dire, positivo. “… ho capito di aver sbagliato.”

Kise sbarrò gli occhi a quella rivelazione. Sentire Aomine ammettere di aver sbagliato su qualcosa era un evento più unico che raro, tanto da meritare come minimo una registrazione con una videocamera. Ma non era ancora arrivato il momento di cantare vittoria. Era di Aomine che stava parlando e magari questi non aveva capito proprio un accidente. “A cosa ti riferisci esattamente?”

“Ho capito che ci siamo trovati in una situazione di merda, e io ho deciso di mollare tutto solo per avere un po’ di attenzioni da parte delle ragazze. Che poi se avessi saputo cosa passava veramente per la loro testa, col cavolo che avrei abbandonato le ricerche!”

“Che intendi dire?”

“Ho letto la storia del giornale… è una roba… disgustosa! In pratica mi sono reso conto che le ragazze guardavano me, ma immaginavano quelle cose vomitevoli!” Kise, un po’ come era successo con Momoi, ma in modo meno plateale, si rabbuiò nell’udire quelle parole sprezzanti. Ma che cavolo aveva quella storia da essere presa così a cuore da tutti? Aomine proprio non riusciva a capire. Forse era meglio glissare la questione. “E poi, be’, la storia della rissa…” Aomine indicò i propri lividi con un vago cenno della mano. “Non pensavo si sarebbe arrivati a tal punto.”

Kise sembrò soddisfatto delle sue ultime parole, tanto che arrivò a sorridergli per la prima volta dopo giorni.

Aomine ne fu contento: finalmente tutto sembrava tornare nell’ordine naturale delle cose, anche se, le scoperte di quel pomeriggio, gettavano nuova luce su sentimenti nascosti.

“Quindi sei venuto per scusarti con me.”

“Che? Non sono venuto qui per farti delle scuse. Non dimenticarti che sono stato io a salvarti il culo da quei quattro e lo vedi bene sulla mia faccia: se mai, sei tu ad essermi debitore.”

“Io? Debitore? Ma hai appena detto che è colpa tua se sono finito nei guai!”

“Non rigirare i fatti come ti fa più comodo!”

Il puerile battibecco andò avanti ancora per qualche minuto, senza arrivare ad una vera e propria conclusione perché aa porta si aprì di scatto e una radiosa Kaori si affacciò. Kise conosceva la sorella abbastanza bene da sapere che aveva come minimo origliato tutta la conversazione. Essendo delle due sorelle la più vicina a lui d’età, spesso riusciva a comprenderlo meglio di chiunque altro. Sapeva quanto lo aveva addolorato dover litigare con Aomine e dalla sua espressione si notava la gioia nel rivedere il suo fratellino riappacificato, a suo modo, con l’amico.

“Non si bussa prima di entrare?” la rimproverò Kise.

“Quando mai ho bussato per entrare in camera tua? E poi, figurati, ti ricordo che ti ho visto crescere, quindi anche se eri nudo non mi sarei certo scandalizzata. E comunque sono qui per un altro motivo: Daiki-kun, vorresti restare a cena da noi? Ho già detto che eri venuto a trovare Ry-chan e sono tutti ansiosi di conoscerti! Te l’ho detto che Ry-chan non fa altro che parlare di te da quando ti conosce?”

“KAORI!” Kise divenne più rosso di un pomodoro a quelle rivelazioni.

Aomine pensò che se per così poco aveva una reazione tanto spropositata, sarebbe come minimo svenuto dall’imbarazzo se solo avesse saputo del suo infame gesto e delle informazioni che gli aveva fruttato. L’idea di affrontare una serata con un Kise al femminile elevato alla quinta potenza, per di più senza neanche sapere quali sorprese gli riserbavano gli altri membri della famiglia, non allettava molto la mente di Aomine.

“Mi piacerebbe restare, ma…”

“Ottimo, allora vado di sotto a dire alla mamma che abbiamo il famoso Aominecchi per cena. Sbrigati a vestirti Ry-chan, che è quasi pronto.”

Kise le si avvicinò e le sbatté la porta in faccia con violenza, prima di girarsi verso il compagno. Le guance stavano ritornando ad un colorito più naturale.

Aomine rimase con la bocca aperta ancora un po’ prima di accorgersi che era appena stato trattenuto in quella casa contro la sua volontà. “È la seconda volta che tua sorella mi definisce ‘famoso’: ma non hai altro di cui parlare eccetto me?”

“Ma no, è Kaori che esagera sempre: ti avrò nominato sì e no, un paio di volte…” Aomine lo guardò sospettoso. “… ok, magari erano tre…” Il cipiglio non accennava ad andarsene. “… forse erano quattro… comunque non più di cinque, ma lei ha questo vizio di ingigantire le cose.” Stando a quanto aveva letto sul diario non era affatto credibile che la sua fama fosse dovuta alla megalomania della sorella, quanto piuttosto alla vera e propria ossessione di Kise per lui.

D’un tratto Aomine realizzò: si sarebbe trovato circondato da persone che non conosceva mentre lo osservavano come un fenomeno da circo. La finestra gli apparve come un’ottima via di fuga e di certo non sarebbe stato un salto dal secondo piano a spaventarlo. Tuttavia, era impossibile  declinare l’invito ora che Kaori lo aveva annunciato a tutti.

“Immagino di non avere scelta” disse.

Osservò Kise per studiarne le reazioni. Poteva leggere nei suoi occhi la gioia pura di averlo al suo fianco quella sera; una gioia che, se non avesse letto il suo diario, non sarebbe mai riuscito a scorgere. Chissà, forse lui e Aimine si assomigliavano un po’ da quel punto di vista, giusto un po’ comunque, ma per il resto non c’era altro che li accomunava.

“Ehm, mi dovrei vestire adesso” fece notare Kise, indicandosi l’accappatoio che ancora portava addosso.

Uscire dalla stanza per dargli la giusta privacy era come buttarsi tra le fauci di una lupa affamata e farsi sbranare pezzo per pezzo finché Kise non fosse sopraggiunto per salvarlo. D’altro canto, restare equivaleva a vedere l’altro mostrarsi in tutta la sua nudità: una scena che aveva avuto modo di vedere parecchie volte negli spogliatoi al termine degli allenamenti, ma ora che sapeva cosa si agitava nel cuore di Kise, tutto era diverso. Inoltre, la palestra della scuola poteva essere considerata territorio neutrale, mentre lì era nella sua personale stanza.

Si sentì in difficoltà: che fare?

La soluzione migliore era fare finta di nulla. “Che c’è, ti vergogni di me?”

“Certo che no, non è questo, però…”

“Va bene, signorinA, facciamo che mi volto da quella parte e non mi giro finché non hai finito.” La situazione era tragicomica. Kise non trovò modo di ribattere in modo convincente e alla fine dovette arrendersi a denudarsi e vestirsi con Aomine ad appena un metro di distanza da lui.

Come promesso, quest’ultimo tenne la testa girata verso la finestra, un gomito poggiato sul ginocchio e la testa sulla mano. Udì il fruscio dell’accappatoio che veniva posato sul letto, in un punto imprecisato dietro di lui. In quel preciso istante, Kise era completamente nudo. Non gli piaceva l’idea di avere qualcuno che si muoveva alle sue spalle senza poterlo vedere. Avvertì l’impulso di girare il capo, come se temesse che Kise potesse tendergli un agguato, e Aomine era un tipo che seguiva sempre i propri impulsi: fino a quel giorno non lo avevano mai tradito.

Si voltò appena per far rientrare la sagoma di Kise, anche se sfocata, nella periferia del proprio campo visivo. Non poteva mettere a fuoco i dettagli del suo corpo, ma il candore della pelle era nitido e abbacinante. Aveva sempre pensato che Kise avesse una pelle fin troppo curata per essere quella di un ragazzo, senza imperfezioni: di certo mantenersi così perfetto era una necessità dettata dal suo lavoro. Aomine non si era mai interessato più di tanto, ma si chiese se il modello avesse mai posato svestito (magari per una marca di costumi da bagno).

Lo vide indossare un paio di slip con movimenti bruschi e veloci, impaziente di mettersi qualcosa addosso. Poi, sparì dietro le ante dell’armadio, lasciando esposta ai suoi occhi solo una porzione di schiena.

Per istinto, Aomine si inclinò all’indietro per riallacciare un contatto visivo, ma si riscosse subito dopo. Che diavolo stava facendo? Spiare Kise mentre si vestiva non solo era un cliché da maniaco degli anime, ma farlo proprio con lui, un ragazzo, esulava da ogni sua tendenza sessuale. Era stata tutta colpa di quel dannato diario e di quella maledetta storia yaoi. Si era riempito la testa di cose assurde.

“Sono pronto” disse Kise, prelevandolo dai suoi contorti pensieri.

Aomine prese un bel respiro e si alzò in piedi. Si incamminarono verso il piano inferiore, diretti al soggiorno, dove ad attenderli c’era la famiglia Kise al completo.

“Eccoci qua” annunciò Kise, premurandosi di presentare a tutti il suo compagno di squadra.

Come aveva fatto Kaori a suo tempo, anche i genitori e l’altra sorella di Kise ringraziarono calorosamente Aomine per averlo difeso contro i quattro bulli.

La primogenita, Sakura, non assomigliava affatto agli altri due figli. Di fatti, benché fosse una bella ragazza sui venticinque anni, non possedeva il fascino esplicito del fratello o della sorella minore, così come non era dotata della loro loquacità: parlava solo quando necessario e senza arricchire le frasi con elementi inutili o futili, cosa che invece Kaori adorava fare.

Ciò che più colpì Aomine fu la straordinaria somiglianza tra Ryota e suo padre. Il signor Kise era un uomo molto bello, le cui rughe gli conferivano un fascino da uomo vissuto che ben pochi altri potevano vantare: sembrava il classico attore da film in bianco e nero. La similitudine però era circoscritta al solo aspetto fisico. Per tutto il tempo della cena si era limitato ad ascoltare le incessanti chiacchiere di Ryota, Kaori e sua moglie, con un’espressione comunque serena. Era chiaro che l’abitudine aveva temprato la sua pazienza, fino a rendere per lui un piacere stare con i propri cari che conversavano animatamente.

Aomine invece riuscì a captare sì e no un quarto delle loro chiacchiere, tante erano le parole che fuoriuscivano da quelle tre bocche senza la possibilità di chiedere un minuto di time out.

Tra i tanti, l’argomento principale di conversazione fu ovviamente il loro ospite e, in particolare, il legame che Ryota aveva instaurato con lui. Kaori non mancò di far notare quanto il fratellino venerasse il suo Aominecchi quasi ogni giorno da quando lo aveva conosciuto, e lo stesso Aomine, trascinato dall’ilarità generale, si beò di raccontare i piagnistei di Ryota quando perdeva e chiedeva in ginocchio di giocare una nuova sfida a due.

“Questi dettagli imbarazzanti si è sempre ben mantenuto dal dirceli” intervenne Sakura prima di bere un sorso d’acqua.

“Infatti, non è necessario dirli” puntualizzò Ryota, lanciando un’occhiataccia ad Aomine.

“E perché no? È divertente!” Aomine continuò a scimmiottarlo per altri dieci minuti buoni, suscitando risate di scherno a carico del compagno.

Doveva ammettere che, per quanto rumorosa, la famiglia Kise gli piaceva davvero, forse perché lui, come figlio unico, non conosceva le gioie e i dolori di avere dei fratelli o delle sorelle con cui conversare durante i pasti. Tutto sommato, la cena andò meglio di quanto Aomine avesse previsto; per Kise, invece, era stato tutto l’opposto.

“Si è fatto tardi. È meglio che vada adesso” disse Aomine, pronto ad incamminarsi verso l’uscita.

“Perché non resti a dormire qui?” propose il signor Kise.

Aomine lo guardò stupito e quasi implorante, quasi volesse dirgli di non suggerire strane idee alle donne di casa.

“Non vorrei davvero disturbare ancora.”

“Possiamo mettere in camera di Ryota un futon” intervenne la madre. “Ovviamente, Ryota ti concederà il suo posto sul letto principale, vero?”

“Sì, mamma” rispose obbediente il figlio, quasi rassegnato.

“Benissimo, vado a prendere il futon e le lenzuola pulite, intanto Daiki usa pure il telefono per avvisare tua madre che rimani qui. Se per caso volesse qualche rassicurazione potrei anche parlare io con lei, nessun problema.”

Tale madre, tale figlia: per la seconda volta, nel giro di poche ore, Aomine era stato obbligato a restare in quella casa senza via di fuga alcuna.  

 

 

Note dell’autrice

Nello scorso capitolo siete stati tutti così generosi nel commentare e io vi ripago con questo mostruoso ritardo ç_ç *si fustiga*

No, ok, la verità è che ho avuto un fortissimo calo emotivo in quest’ultima settimana a causa di problemi famigliari e sentimentali, quindi efp e ogni altra forma di divertimento sono stati i miei ultimi pensieri. Per fortuna questo periodo di scoramento è durato poco e sono potuta tornare all’opera, ma mi scuso lo stesso per il ritardo.

Lo stesso capitolo risente di questo calo: spero di poter fare meglio nel prossimo J Grazie ancora a tutti: ormai, il vostro sostegno è una delle poche cose che davvero mi rallegrano!

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Capitolo 9
*** Una notte difficile ***


Anonymous

 

 

Una notte difficile

 

 

 

Il letto di Kise era stato rivestito di lenzuola pulite per rispetto all’ospite e il futon sistemato sul pavimento lì di fianco. Kise stava nuotando da cinque minuti buoni nel proprio cassettone alla ricerca di un pigiama da prestare all’amico.

“Lo so che ti scoccia rimanere, puoi dirlo tranquillamente, non mi offendo” disse con voce neutra e sicura. Non si aspettava una risposta da Aomine, e in verità la sua non era una vera e propria richiesta di conferma: sapeva che era così, punto e basta.

Aomine non era tanto sicuro che se avesse detto una cosa del genere Kise l’avrebbe presa positivamente, inoltre non sarebbe stata neanche la verità. “Non sono scocciato, sono solo stato preso alla sprovvista.”

“I miei sono solo molto… ospitali. Mio padre non voleva che te ne andassi in giro da solo a quest’ora, anche se penso che alla fine lo abbiano fatto più per me…” Finalmente Kise trovò quello che stava cercando e porse ad Aomine un proprio pigiama a tinta unita, color carta da zucchero. “Dovrebbe starti bene.”

Il compagno afferrò gli indumenti senza degnar loro neanche di uno sguardo. La sua attenzione era tutta rivolta a Kise e a quello che aveva appena detto. “Che vuol dire che lo hanno fatto per te?”

“Ah!” Kise si rese conto solo in quel momento di ciò che aveva detto. Doveva proprio iniziare un corso per imparare a controllare meglio le parole ed evitare di finire in situazioni tanto ambigue. Iniziò a grattarsi la nuca, lo faceva sempre quando era nervoso, persino Aomine lo sapeva. “Niente, mi sono espresso male.”

Aomine sbuffò e gettò il pigiama sul letto. “Lo so che mi pentirò di quello che sto per dire, ma… ti preferivo com’eri prima.” Cominciò a spogliarsi e per prima cosa aprì la fibbia della cintura.  

Kise sembrò pietrificarsi a quel gesto, come se non avesse considerato il fatto che per infilarsi il pigiama l’amico doveva necessariamente togliersi i vestiti attuali di dosso e rimanere, anche se per breve, parzialmente nudo nella sua stanza, davanti ai suoi occhi. “P-prima?”

“Sì, prima.” Aomine passò alla patta dei pantaloni con gesto meccanico, senza effettivamente riflettere sui movimenti da compiere, ma seguendo l’abitudine di sempre fino a muovere le mani in modo quasi involontario, dimentico che Kise non lo guardava come un semplice compagno di squadra. “Quando parlavi sempre e non ti rimangiavi ogni cosa che dicevi.”

“Forse perché non abbiamo mai parlato d’altro che di futilità.”

Aomine si bloccò nell’esatto momento in cui stava per calarsi i pantaloni. Fissò lo sguardo in quello di Kise e finalmente, dopo tanto tempo, questi glielo restituiva senza distogliere gli occhi. Era un passo importante nella loro amicizia. Era vero che non avevano mai parlato di nulla di serio, solo basket, frecciatine sulle sue fan e qualche vago cenno alla scuola, ma niente di più personale o che richiedesse qualche minuto di riflessione e confidenza. Doveva calibrare bene le parole. Se era finito in quella casa era proprio per riappacificarsi una buona volta con lui. Momoi il giorno dopo gli avrebbe richiesto come minimo la cronaca minuto per minuto del loro incontro, e se non avesse avuto una risposta che la soddisfacesse, al confronto la logorrea di Kaori sarebbe stata rilassante da ascoltare come un cd di musica lounge. “Io…” La suoneria del cellulare interruppe le sue parole.

Calò la mano nella tasca anteriore, facendo abbassare di qualche centimetro il bordo dei pantaloni e mettere in evidenza l’elastico dei boxer. Sul display lesse il nome di Momoi. Sospirò e pigiò il tasto verde.

“Dai-chan, come è andata?” strillò lei così forte che anche Kise la sentì. Di fatti non trattenne una risata.

“Sono ancora a casa di Kise” rispose l’amico, irritato.

“Come? Sei ancora lì? Dormi da lui? Allora avete fatto pace?”

“Ti racconto tutto domani, adesso chiudi!” berciò Aomine e richiuse il cellulare prima che Momoi dall’altra parte potesse controbattere. “E tu smettila di ridere!”

Momoicchi è davvero un’amica molto altruista.”

“Anche troppo…” Aomine aveva la netta sensazione che si fosse dimenticato qualcosa, ma proprio non riusciva a ricordare. “Allora, dove eravamo rimasti?” chiese e si calò in un solo colpo i pantaloni. La maglia era abbastanza lunga e morbida da coprirgli l’inguine, ma non appena si liberò la caviglia sinistra dall’indumento e sollevò l’altra per afferrarlo, Kise poté scorgere le sue zone intime senza problemi.

“Vado a lavarmi i denti e torno” annunciò e, preso il suo pigiama, uscì dalla stanza più rigido di uno stoccafisso.

“Oh cazzo, me l’ero scordato” si disse Aomine, avvezzo a cambiarsi negli spogliatoi davanti a tutti. Tanto valeva finire lo spogliarello e infilarsi il pigiama, così almeno avrebbe tirato fuori entrambi da quella imbarazzante situazione. Poggiò i vestiti sulla sedia a ridosso della scrivania e prese tra le mani il morbido indumento da notte di cotone, fresco di bucato. Era incredibile come nonostante le famiglie fossero diverse, certi profumi, certi colori, certi piccoli dettagli fossero comuni a tutte. “Merda! Non ho avvisato mia madre!” Ecco cosa aveva dimenticato.

Prese il telefono e compose il numero di casa: questa volta una lavata di capo non gliela avrebbe tolta nessuno.

 

Intanto, nel bagno, Kise si stava raffreddando la faccia per la quinta volta con acqua gelida. Aveva usato la prima scusa che gli era venuta in mente per uscire dalla stanza: vedere Aomine spogliarsi davanti ai propri occhi era più di quanto potesse sopportare. Si stava maledicendo anima e corpo per non essere riuscito a mantenere un atteggiamento più naturale. Se andava avanti così finiva che si sarebbe fatto scoprire molto presto.

Si tamponò il volto con un asciugamano e controllò allo specchio che non vi fosse rimasta nessuna traccia di imbarazzo sulla pelle: la carnagione era ritornata chiara e uniforme. Guardò anche nelle zone basse, lì dove qualcosa, tutt’altro che pudica, aveva iniziato a fare bella mostra di sé. L’acqua fredda aveva spento i suoi bollenti spiriti. Tutto era ritornato al proprio posto.

Si svestì e indossò il proprio pigiama lentamente, prendendosi tutto il tempo possibile. Voleva assicurarsi che Aomine fosse interamente coperto dal collo alle caviglie quando sarebbe tornato nella camera.

Si lavò i denti con cura e anche qui li spazzolò piano, con molta calma.

Era terribile da ammettere, ma si sentiva agitato. Avevano lasciato in sospeso un argomento scottante. Ormai Aomine non tollerava più risposte evasive da parte sua, per cui l’unica cosa saggia da fare sarebbe stato dire la verità. Dopotutto, come poteva pretendere di avere la sua amicizia se non si mostrava sincero, almeno in parte?

Quanto ebbe finito tutto, ritornò indietro. Aprì la porta e l’immagine di Aomine quasi integralmente nudo, fatto salvo per la biancheria intima, semisdraiato sul suo letto mentre parlava al telefono rischiò seriamente di mandargli il cervello in tilt. Perché non si era ancora rivestito?

“Ok, stai tranquilla. Ciao.” Aomine chiuse la chiamata di colpo non appena Kise aveva fatto il suo ingresso. Non si era accorto di aver perso tanto tempo al telefono. Si mostrò persino sorpreso di vederlo e lo guardò in modo molto strano. “Credo che mia madre sia una tua fan segreta.”

“Sarebbe un onore” celiò Kise per distrarsi da quello spettacolo tanto provocante.

“Si è incazzata come una biscia per l’ora tarda e appena le ho detto che sarei rimasto a dormire da te si è addolcita di colpo.” Si tirò su a sedere e iniziò a infilarsi il pigiama che ancora non aveva avuto il tempo di indossare. Chissà cosa stava pensando Kise in quel momento nel vederlo così.

“Probabilmente si è solo tranquillizzata perché sa che sei rimasto a casa di un amico: se fosse stato qualcun altro non avrebbe fatto differenza.”

“No, non credo. Ultimamente mi vedeva tornare prima del solito, da quando non mi ammorbi più con i tuoi one on one. Era preoccupata che ti avessi fatto qualcosa di male, per questo è contenta nel sapermi con te.”

Ora che Aomine si era finalmente coperto, Kise poté rilassarsi e comportarsi come sempre. “Mh, secondo me è solo contenta che da oggi in poi non ti avrà più tra i piedi in casa la sera presto!”

“Vai al diavolo!” rimbrottò Aomine, suscitando l’ilarità di Kise.

“Ritornando al discorso di prima…” riprese questi, improvvisamente serio, “… anche i miei si sono preoccupati, per lo stesso motivo di tua madre. Per questo ti hanno ‘costretto’ a restare qui. Lo hanno fatto perché pensavano… be’, che mi avrebbe reso felice.”

Il candore e il lieve tentennamento con cui Kise si stava confidando con l’amico era a dir poco disarmante. Se Aomine non avesse saputo dei suoi veri sentimenti, avrebbe considerato tutto quel discorso solo una cosa da poppanti o femminucce, tuttavia conosceva il significato recondito di quelle parole. Prese pieno possesso del letto. Si sdraiò portando le braccia dietro la testa e incrociò le caviglie. Osservò il soffitto qualche secondo per pensare a cosa dire. Poi, capì che pensarci troppo non portava a niente. Kise era sempre Kise, non doveva farsi mille e più problemi. Doveva solo essere sé stesso, anche se proprio questo lo aveva portato ad avere uno screzio con lui, ma non si può pretendere in fondo di andare sempre d’accordo con una persona. Anche con Momoi aveva litigato tante volte e alla fine erano sempre tornati amici. “Da come lo dici sembra che i tuoi mi vedano come un animaletto da compagnia per il loro bambino piagnucoloso.”

“E poi ti lamenti del fatto che ultimamente mi rimangio le cose. Con certe risposte che dai, cosa pretendi?” Kise si infilò tra le coperte del futon e sbadigliò rumorosamente. La mezzanotte era passata da un pezzo e la stanchezza si faceva sentire.

Per fortuna l’indomani era sabato e non c’era scuola.

“Oggi è uscito sul giornale il terzo capitolo” annunciò senza preavviso Aomine.

Kise sbarrò gli occhi per la notizia, la stanchezza si dileguò in un istante. “E me lo dici solo ora?”

“Ora o prima non fa differenza.” Questa volta fu Aomine a sbadigliare. Si infilò sotto le coperte nella speranza che Kise capisse che non voleva più chiacchierare.

“Dobbiamo riprendere le ricerche, ma sembra che abbiamo esaurite le piste. Cosa possiamo tentare?”

“Non lo so e sono troppo stanco per pensarci. Ne riparliamo domani.” Non era stata una mossa intelligente rivelare quella notizia a Kise poco prima di andare a dormire.

“Va bene. Buonanotte, Aominecchi” augurò e allungò un braccio verso il comodino dietro di lui per spegnere la lampada.

“’Notte” biascicò l’altro in risposta.

Passarono appena due minuti di pace, quando Kise frantumò il silenzio. “Aominecchi…”

Aomine fu tentato di non rispondere e fingere di essersi già addormentato, ma Kise lo richiamò una seconda volta e capì che lo avrebbe fatto finché non avesse risposto. “Che c’è?” La sua voce tradiva sonnolenza e irritazione insieme, ma l’altro non se ne curò.

“Hai detto di aver letto la storia. Di che parla di preciso?”

“Ti sembra orario?”

“Sei tu che hai uscito il discorso per primo.”

E Aomine non poteva dargli torto. Era stato un coglione, doveva ammetterlo. “Due tipi… che giocano a basket… e si innamorano…”

“Potresti essere un po’ più specifico?”

In risposta arrivò un sonoro sbuffò. “Se te lo dico, poi mi fai dormire?”

“Sì.”

“Il tuo doppio chiede al mio doppio di insegnargli a giocare a basket. In realtà il tuo doppio è follemente innamorato del mio, ma questo lo si scopre solo nel secondo capitolo. Quando il tuo doppio si infortuna durante una partita, il mio lo va a trovare e capisce che anche lui è innamorato.” Aomine tacque e Kise capì che il racconto era terminato.

Aominecchi, fai proprio schifo a raccontare.”

“Se ti interessa tanto leggitela da solo.”

“Lo farò. Allora, buonanotte.”

Aomine non rispose, segno che per lui le ciance erano arrivate al capolinea.

Kise si voltò su un fianco, nella posizione che meglio gli conciliava il sonno. Erano giorni che non andava a dormire così rilassato e… felice. Sì, avrebbe davvero dovuto ringraziare Momoi per aver costretto Aomine ad andare da lui e chiarirsi. Si sentiva così leggero, ma al contempo scosso. La gioia traboccante unita al pensiero che lì, a meno di un metro da lui, c’era Aomine addormentato non aiutavano il suo cervello ad assopirsi. Tentò di restare fermo e non pensare a niente, lasciando che la mente scivolasse nell’oblio del sonno dolcemente, ma il suono del respiro di Aomine o il fruscio delle coperte che generava quando si muoveva gli ricordavano costantemente della sua presenza.

Si girò verso di lui, ma non poteva vederlo. Solo una mano faceva capolino oltre il bordo del materasso. Si alzò in piedi, silenzioso come un gatto. Aomine aveva l’altra mano sotto il cuscino e la testa rivolta per tre quarti verso il suo lato. Le labbra erano dischiuse e il respiro cadenzato e regolare. Non c’erano dubbi: stava dormendo, beato lui.

Un’idea maliziosa gli solleticò la fantasia. Di sicuro non avrebbe avuto occasione migliore di quella per metterla in atto. Era folle, rischioso, ma sapeva che se non lo avesse fatto se ne sarebbe pentito per sempre. Si chinò lentamente, pronto a scattare all’indietro se mai l’altro avesse dato cenno di svegliarsi. Tirò indietro i ciuffi della frangia per non solleticargli il viso. Trattenne persino il respiro in modo istintivo. Infine, giunse alla meta. Posò le labbra su quelle dell’altro in un contatto appena accennato. Aomine non si mosse. Kise osò andare oltre. Premette maggiormente le labbra fino a rubare un vero e proprio bacio a stampo. Era deliziosa la sensazione del respiro di Aomine mentre gli lambiva la guancia. Inspirò il profumo della sua pelle, saturandosi i polmoni della sua fragranza naturale. La bocca dello stomaco si contrasse e un brivido gli serpeggiò lungo tutto il corpo. A malincuore dovette sollevarsi. Aveva cercato di respirare il meno possibile e ora il suo corpo richiedeva ossigeno.

Quando riportò il voltò ad una distanza di sicurezza da quella dell’altro, sbarrò gli occhi nel vedere un paio di iridi blu fissarlo, immobili.

Aominecchi…?” Non ebbe il tempo di impensierirsi o di riflettere sul perché Aomine, nonostante fosse sveglio, non gli avesse impedito di baciarlo. La mano dell’amico si strinse attorno la maglia del suo pigiama e, con un violento strattone, fu tirato in giù, sbattendo con la faccia contro il cuscino. Aomine lo costrinse a girarsi verso di lui, muovendolo come se fosse un burattino nelle sue mani, e si mise sopra, bloccandogli ogni via di fuga con il proprio corpo.

Kise si irrigidì completamente, quasi le sue membra si fossero marmorizzate, pronto ad incassare qualsiasi colpo violento sarebbe arrivato. Chiedere scusa non sarebbe valso a nulla, lo sapeva. Tanto valeva affrontare la propria punizione per tanta stupida audacia. Chiuse gli occhi, pronto ad incassare senza ribellarsi, ma ciò che ricevette fu tutt’altro che un pugno.

Aomine si impossessò delle sue labbra così violentemente da rischiare di fargli male con i denti. Con la lingua gli forzò la bocca ad aprirsi e Kise, succube della sorpresa, assecondò quel bacio famelico. Aomine era a dir poco prepotente, gli sbuffava soffi roventi di fiato sul volto e più che baciare sembrava lottare. Le mani non restarono inoperose. Si insinuarono sotto il pigiama, toccando, graffiando, artigliando ogni lembo di pelle su cui si posavano: al loro passaggio Kise sentiva la propria carne andare a fuoco, ma in un modo del tutto piacevole.

Un sospetto terribile, che spiegasse quanto stava accadendo, fece capolino nella sua mente.

Gli sfuggì un grido di sorpresa e delizia, prontamente ingoiato da Aomine attraverso quel bacio infinito, quando quelle belle e grandi mani si infilarono con una facilità impressionante nelle mutande. Le dita iniziarono a farlo godere in ogni modo possibile, ora dolce, ora selvaggio a seconda che l’apice del piacere si avvicinava o si allontanava.

Finalmente, Kise, recuperata un po’ di lucidità, deciso a godersi il momento, si attivò per giocare la propria parte. In men che non si dica ogni indumento fu scaraventato a terra, finché i muscoli nudi di entrambi non si strusciarono reciprocamente.

Bellissimo, era tutto ciò a cui Kise riusciva a pensare. Non occorrevano troppi giri di parole per esprimere quanto fosse meravigliosa la sensazione di avere Aomine sopra di sé, tra le proprie gambe, pronto a farlo suo. Chiuse gli occhi per assaporare meglio la sensazione. Era tutto così perfetto, proprio come nelle sue più proibite fantasie, proprio come nei suoi più impronunciabili desideri, proprio come un…

Aprì gli occhi e si ritrovò ancora una volta nel proprio futon. Non era la prima volta che gli capitava di sognare una simile situazione. Il più delle volte l’ambientazione era la palestra della scuola, alla fine dell’ultimo one on one della serata; qualche altra invece era lo spogliatoio. Per lo più si trattava di fantasie erotiche stimolate da situazioni reali che rispondevano ad una semplice domanda: come sarebbe farlo qui e adesso?

Questa volta invece il sogno era stato più vivido, realistico, quasi tangibile, di sicuro stimolato dalla vicinanza di Aomine e dalla situazione completamente nuova. Deluso e irritato, si portò una mano in mezzo alle gambe: le fantasie si erano dissolte ma il loro effetto no. Come ogni volta, gli toccava porre rimedio da sé. Si alzò piano e, una volta in piedi, gettò uno sguardo al compagno, beatamente assopito in una posa scomposta, infantile: avrebbe persino osato definirlo innocente. Si diresse verso il bagno e si rinchiuse finché ogni goccia di passione non fu portata via assorbita da diversi strappi di carta igienica giù per lo sciacquone. Non certo la conclusione che sperava.

Assonnato e sfiancato ritornò in camera. Aomine non si era mosso e il suo respiro era l’unico suono udibile. Fu tentato di realizzare, almeno per la primissima parte, il proprio sogno, ma sapeva che sarebbe stata solo una tortura. Ottenere con l’inganno un bacio non gli avrebbe dato soddisfazione, inoltre il solo pensiero che quelle labbra non sarebbero mai potute essere sue una seconda volta e per volontà del loro padrone era sufficiente a stemperare ogni shakespeariana iniziativa.

Si coricò con il pensiero che l’indomani mattina avrebbe indossato la solita maschera sorridente da amico e compagno di squadra.  

 

 

Note dell’autrice

Anche questa volta ce l’ho fatta!! Dunque, ridendo e scherzando siamo arrivati al capitolo 9 e mi sono accorta che qui le cose ancora non si decidono a decollare, per cui ho dovuto trovare una scappatoia per giustificare un attimino quel rating arancione che ho messo XD

Il sistema è vecchio, ma sempre efficace e (soprattutto) comodo.

Vorrei approfittare di queste note a fine capitolo per inserirci un bell’annuncio pubblicitario.

In collaborazione con Kalahari, sta prendendo vita una fanfic a quattro mani su un crack pairing che per puro caso abbiamo scoperto di amare entrambe: Kise Ryota x Himuro Tatsuya <3  Speriamo vivamente che, quando pubblicheremo il primo capitolo, la nostra storia possa piacere anche a chi, magari, non aveva mai preso in considerazione un’accoppiata tra questi due baldi giovani *ç*

Concluso qui lo spazio pubblicitario e vi ricordo che non mi offendo se vorrete recensire ;) Al prossimo capitolo!!

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Capitolo 10
*** La misteriosa autrice ***


Sono in ritardo pazzesco, lo so, e me ne scuso profondamente. È stato un periodo davvero incasinato, per certi tratti neanche molto roseo, e l’ispirazione nonché la voglia di scrivere si sono prese una bella vacanza (beate loro!). Ma ora sono di nuovo qui, ho steso un nuovo abbozzo di trama così da non rimanere di nuovo senza una linea guida ^^

Essendo passati un po’ di mesi dall’ultimo aggiornamento, vi faccio un piccolo riassunto di quanto successo sino ad ora :)

 

Secondo anno per la Generazione dei Miracoli alla scuola media Teiko.

Sul giornaletto scolastico viene pubblicato il primo capitolo di una storia di chiaro stampo yaoi. La cosa preoccupante è che i due protagonisti altri non sono che Aomine e Kise. I due ragazzi, sconvolti, decidono di investigare su chi possa essere il misterioso autore di questa storia, decisi a farlo smettere prima che le cose degenerino.

Purtroppo la cosa non è semplice, in quanto l’autore ha preferito restare nell’anonimato e il presidente del club di giornalismo, nonostante non approvi la qualità della storia, si rallegra della rinnovata popolarità del giornale scolastico.

Aomine, che grazie all’influenza di questo racconto, sembra riscuotere un certo successo tra le ragazze, decide di abbandonare le ricerche, con grande disappunto di Kise. I due si allontanano, ma a causa di una rissa in cui Kise si ritrova coinvolto, Aomine capisce quanto tiene alla loro amicizia.

Sotto insistenze di Momoi, quest’ultimo va a trovare il compagno direttamente a casa sua per riappacificarsi. È qui che, grazie ad una soffiata di Kaori, la sorella di Kise, trova il suo diario segreto e lo legge, scoprendo che l’amico prova molto di più che semplice amicizia nei suoi confronti.

Aomine è confuso, ma cerca di fare finta di niente, e le cose con Kise tornano alla normalità. Costretto quasi con la forza, Aomine resta a dormire da lui, alimentando sogni poco casti nella mente dell'innamorato Kise.

È qui che la storia riprende… buon proseguimento ^^

 

 

 

 

Anonymous

 

 

La misteriosa autrice

 

 

 

Al mattino, i due ragazzi furono svegliati dai colpi tonanti di Kaori alla porta. “Ry-chan?” cantilenò. “Indovina chi è la manager migliore del mondo?”

Kise aprì pigramente gli occhi. La prima cosa che vide fu il piede di Aomine pericolosamente vicino alla sua faccia. Scansò la testa d’istinto per evitare spiacevoli incidenti, dopo di che si sollevò e constatò che, nonostante il baccano che stava facendo la sorella, l’amico non dava il minimo segno di volersi svegliare. Guardò l’orologio e strabuzzò gli occhi.

“Kaori! Sono le 8:15 di sabato mattina. Si può sapere che vuoi?” gridò lui di rimando.

“Ricordi quel servizio che ti avevo annullato a causa del brutto livido che hai sulla faccia? Ebbene, ho richiamato il fotografo per chiedere quando ne avrebbe fatto uno nuovo e lui, per tutta risposta, ha detto che è interessato comunque a vederti. Ha farneticato qualcosa sul valore artistico di un ematoma o che so io. Quindi, al lavoro!”

Kise sospirò di delusione. Sperava di avere un sabato mattina libero, magari in compagni di Aominecchi, e invece gli toccava lavorare: sua sorella era una manager in gamba… a volte anche troppo. Almeno aveva avuto la decenza di non entrare in camera, visto che c’era un ospite.

A proposito… Aomine dormiva ancora, scomposto e intrappolato tra le coperte come un grosso pesce impigliato nella rete di un pescatore. Non sarebbe stato carino svegliarlo, ma non aveva altra scelta.

Aominecchi” chiamò, forse in modo eccessivamente flebile. Di fatti, il bello addormentato non diede segni di vita. “Aominecchi, svegliati” insistette, questa volta alzando la voce. In risposta ebbe un grugnito.

A mali estremi, estremi rimedi. “AOMINECCHI!” urlò prendendolo per le spalle e scuotendolo come uno shaker per cocktail.

Aomine si difese dall’attacco nel modo più istintivo che gli venne: sferrando un pugno al suo aggressore. Solo in seguito, quando vide Kise rotolarsi dolorante per terra, si destò completamente, realizzando dove fosse e in compagnia di chi.

 

Per fortuna il pugno non aveva lasciato spiacevoli segni sul bel faccino del modello: non più di quanti già non ne avesse. Finalmente la fortuna stava girando a suo favore. Anche se alzarsi dal letto di sabato mattina alle 8:15 non era il modo di iniziare al meglio la giornata, quell’impegno di lavoro di Kise era stato provvidenziale: gli aveva dato la scusa perfetta per defilarsi da quella casa senza ulteriori impedimenti. Come minimo avrebbe fatto una maratona di riviste gravure fino a notte tarda, prendendosi qualche pausa solo per mangiare, andare al bagno e schiacciare un pisolino.

Purtroppo per lui, la dea bendata lo abbandonò molto presto. Rientrato a casa, trovò una radiosa Momoi pronta a fargli il terzo grado. “Raccontami tutto: cosa gli hai detto? Come vi siete chiariti? E Ki-chan come ha reagito alle tue scuse?” partì all’attacco lei, ma Aomine, ormai in overdose di chiacchiere frivole per colpa di Kaori, la scortò fuori dalla porta di casa spingendola, letteralmente, fino all’uscio.

“Ci siamo chiariti” fu l’unica cosa che le disse prima di sbatterle la porta in faccia.

 

Lunedì mattina, Momoi, sebbene si notasse lontano un miglio quanto smaniava per farsi raccontare tutto dall’amico, decise di non asfissiarlo di domande. Del resto, la cosa importante era che lui e Ki-chan si fossero riappacificati: il modo in cui ciò era successo poteva essere considerato superfluo. E poi, se proprio non poteva trattenersi, avrebbe sempre potuto domandare a Kise: lui di sicuro sarebbe stato ben lieto di raccontarle tutto, se non altro in segno di riconoscenza. In fondo, era stata lei a mandargli Aomine fin sotto il portone di casa. Le doveva un grosso favore.

Oltrepassato il cancello della scuola, i due furono travolti dall’entusiasmo di un Kise a dir poco raggiante. "Aominecchi! Momocchi! Buongiorno!”

Momoi non lo vedeva così allegro da un bel po’ di giorni. Se ne rallegrò a sua volta.

“Guardate qui: mi sono fatto consegnare una copia di ‘Master Basket’, così ora saprò anche io di cosa parla questo racconto.”

“Te la sei fatta consegnare da chi?” domandò Aomine, poco entusiasta.

“Da Nakamori-san.”

“E chi sarebbe?”

“La conosci bene, Aominecchi. E’ la ragazza del club di giornalismo: occhiali grandi, treccia lungha…”

“La fissata di yaoi!”

“Sì, proprio lei.”

Momoi assisteva a quel dialogo come se fosse la più sublime opera teatrale mai scritta (solo una dichiarazione d’amore di Tetsu-kun avrebbe potuto superarla). Le cose tra i due compagni di squadra erano tornate alla normalità e, anzi, forse il loro rapporto, adesso, era persino migliorato. Si sentì oltremodo orgogliosa del proprio operato, quanto se non più delle sue accurate statistiche e previsioni nel basket.

Inutile, per certe cose occorreva per forza un intervento femminile!

 

 

I ragazzi della prima squadra non potevano averne la certezza, ma avevano tutti la netta sensazione che gli allenamenti diventassero più lunghi e faticosi di giorno in giorno. Probabilmente ciò era dovuto all’approssimarsi del torneo delle scuole medie e il coach li voleva pronti per dare il massimo sin dalle prime partite. Nello spogliatoio si consumava la solita routine post-allenamento: Murasakibara divorava merendine una dopo l’altra accumulando nel proprio armadietto una piccola montagnola di carte e buste; Midorima riponeva con cura il proprio oggetto fortunato del giorno nel borsone; Kuroko annaspava mezzo morto sulla panca in attesa che gli passasse la nausea ed evitare, almeno per una volta, di vomitare vergognosamente; Akashi esaminava le schede che gli aveva passato poco prima Momoi relative ai miglioramenti dei componenti della squadra; e Kise… si stava rivestendo.

No, questo non rientrava propriamente nella sfera della consuetudine. Di solito, Kise si avventava su Aomine per chiedergli di restare a giocare con lui, invece si stava comportando come se avesse tutta l’intenzione di andare a casa.

Aomine non lo perse di vista per una buona manciata di minuti. Magari si stava solo sbagliando. E invece Kise, indossata l’uniforme scolastica, prese il borsone e si incamminò verso l’uscita.

“Ci vediamo domani!” salutò, prima di richiudersi la porta dello spogliatoio alle spalle.

Aomine non era sicuro di potersi definire deluso, ma di certo non accettava l’idea di aver faticato tanto, di essersi sorbito le chiacchiere incessanti di Kaori e mamma Kise, per niente. Stentò a crederlo, ma doveva ammettere che ormai pretendeva di giocare con Kise fino a sera tarda.

D’improvviso, un dolore lancinante al fianco lo destò dai suoi pensieri. “Ma che cazzo…?” Si voltò e vide la mano tesa di Kuroko all’altezza del punto che aveva colpito con forza con la punta delle dita. “Tetsu, hai vomitato anche il cervello?”

Kuroko per tutta risposta si limitò a fissare la porta da cui poco prima era uscito Kise, invitando Aomine a raggiungerlo e a parlargli.

“Mine-chin, non avevi fatto pace con Kise-chin?” domandò pigramente Murasakibara, accartocciando quella che si sperava fosse l’ultima confezione di snack.

“Non abbiamo mai litigato!”

Daiki, non è mia intenzione intromettermi nei vostri affari personali, ma tra dieci giorni ci sarà la cerimonia di apertura del torneo e mi sembra superfluo sottolineare che degli screzi tra compagni di squadra non faranno altro che interferire con la qualità del gioco di tutti. Quindi, per favore, vai da Ryota e chiarisciti con lui una volta per tutte.” Se persino Akashi aveva detto la sua al riguardo, allora la situazione era degenerata molto più di quanto Aomine pensasse. Era come se d’improvviso tutto il mondo si fosse coalizzato per rimettere le cose a posto tra lui e Kise, facendolo sentire costantemente sotto processo. Era davvero stanco di farsi dire da tutti quello che doveva fare: prima Sastuki, poi Tetsu, e adesso Akashi. Chi altri doveva ficcare il naso nei suoi affari?

Indossò la giacca della tuta e si fiondò all’inseguimento di Kise, sperando di farla finita una volta per tutte. Ma che cosa gli era preso a quell’idiota? Quella mattina era fastidiosamente pimpante come suo solito e adesso si era rabbuiato di nuovo. Questa volta, però, Aomine era assolutamente certo di non aver fatto nulla di male. Si erano visti solo per l’allenamento e non aveva detto o fatto nulla che avesse potuto offenderlo o contrariarlo.

Per fortuna, Kise non aveva fatto molta strada. Camminava lento, sovrappensiero. Lo vide costeggiare il muro esterno della scuola. Ancora pochi passi e sarebbe arrivato all’incrocio. Fortunatamente il semaforo dei pedoni era rosso.

Lo raggiunse appena la luce verde si accese. Kise mise avanti il piede destro per attraversare la strada, ma fu bloccato dalla mano di Aomine che si serrò sul suo braccio, precisamente quello che teneva il borsone a tracolla. Per lo strattone subito, la borsa cadde a terra con un tonfo sordo.

Aominecchi?”

“Si può sapere che ti prende? Pensavo ci fossimo chiariti.”

“Ma di che parli?” Kise non poteva davvero credere che quello davanti a lui fosse Aomine. Solo nelle sue più impronunciabili fantasie avrebbe potuto immaginare una situazione del genere.

“Lo sai che intendo.”

Kise lo fissò per alcuni attimi confuso, poi realizzò. “Oh, ti sei offeso perché non ti ho chiesto di rimanere a giocare con me.”

“Non sono offeso, anzi.”

“E allora perché sei venuto da me?” Aomine era sempre il solito orgoglioso: mai una volta che dicesse realmente quello che pensava o provava. Sotto quell’aspetto era davvero deludente.

“Perché persino Murasakibara si è accorto che tra di noi le cose non vanno e francamente mi sono rotto di sentirmi dire da tutti cosa fare o non fare.”

“Oh, capito.” Come al solito, non era andato da lui di sua spontanea iniziativa, ma solo perché incitato da qualcun altro, come era successo a casa sua. Alle volte, Kise si chiedeva se valeva davvero la pena continuare a struggersi per un tipo simile.  “Be’, c’è una cosa in effetti.” Decise di parlare: sarebbe anche potuto invecchiare se avesse aspettato che Aomine facesse la prima mossa. “Ho letto la storia yaoi, oggi, all’ora di pranzo, e… mi sento strano a parlare di nuovo con te, dopo aver letto… certe cose. Insomma, tu come fai? Hai anche detto che è disgustosa.”

“Veramente per disgustoso intendevo che è troppo sdolcinata e poco realistica. E quell’Aimine è troppo diverso da me. Non parliamo della confessione d’amore: la fa sembrare una cosa da niente.”

“Invece siete più simili di quanto immagini” lo accusò, in tono più aspro di quanto avrebbe realmente voluto.

“Che vuoi dire?”

“Ehm, niente” si affrettò a rimangiarsi la parola Kise. Aomine lo faceva impazzire di rabbia, ma doveva comunque sforzarsi di contenere le proprie emozioni, o sarebbe stata davvero la fine della loro amicizia.

“Mi hai rotto il cazzo con questo atteggiamento schivo, e ne abbiamo già parlato a casa tua: spiegati bene!”

“È proprio questo quello che intendo: anche tu non capisci bene i sentimenti delle persone che ti sono vicine, a meno che uno non te lo dica chiaro e tondo.”

Forse c’era un fondo di verità nelle sue parole. Se Aomine non avesse letto il suo diario non avrebbe mai immaginato quello che Kise provava davvero per lui, ma quale persona razionale avrebbe mai potuto pensarlo? E poi, Kise per un certo periodo aveva avuto anche una ragazza, sebbene non fosse niente di che. Aomine non poteva darsi alcuna colpa. Nessuno lo avrebbe potuto capire.

Ora il problema era un altro. Lui sapeva, ma era combattuto se dirlo o meno a Kise. Tenere i segreti non era il suo forte, inoltre poteva davvero lasciare la cosa in sospeso fino alla fine della scuola media, se non oltre?

Ma sì, pensò, adesso glielo dico e la facciamo finita.

“Invece io conosco bene i tuoi sentimenti” sentenziò.

Il cuore di Kise iniziò a battere come impazzito. Possibile che Aomine si riferisse proprio a quello? Come lo aveva scoperto? Eppure aveva fatto tanto per dissimulare la sua passione. “Ma di che parli?” chiese, timoroso.

Forse era meglio omettere la parte del diario e dirgli semplicemente che si era accorto di tutto grazie al suo intuito. Sì, avrebbe fatto così. E poi il semplice fatto che lo aveva rincorso fin lì denotava che non aveva problemi in quel senso, che potevano continuare ad essere amici come prima nonostante tutto. Però… era davvero come prima? Gli guardò il livido sotto l’occhio. Si era attenuato, ma un vago alone ancora persisteva. Ripensò a quando lo aveva visto in pericolo, sul tetto della scuola, e al fatto che tutto ciò che era riuscito a pensare era salvarlo e nient’altro. Ma Kise era solo un amico, giusto? Aomine lo avrebbe fatto per chiunque…

Prese fiato per parlare, ma un suono indistinto alle sue spalle lo fece voltare di scatto. Dietro un lampione vide una figura nascosta, chiaramente intenta a spiarli.

“Chi sei?” domandò, intimidatorio.

La figura sussultò di spavento e subito scappò, diretta verso il cancello della scuola. Entrambi i ragazzi riconobbero la treccia nera che dondolava da un lato all’altra seguendo il ritmo della corsa. Era Nakamori, la studentessa del club di giornalismo. Senza pensarci su due volte, Aomine la inseguì dando fondo a tutte le energie che aveva nelle gambe.

Li stava spiando e, se ci aveva visto giusto, la ragazzina portava al collo una macchina fotografica. Ormai ne era sicuro: la misteriosa autrice di ‘Master Basket’ era lei. Che stupidi! Ce l’avevano sempre avuta sotto il naso e non se ne erano accorti. Del resto era logico, a pensarci. Fin dal primo incontro aveva mostrato una focosa passione per il genere yaoi; era una fan di Kise; e chi altri avrebbe avuto interesse a dare nuovo lustro al giornale della scuola se non uno dei suoi stessi membri?

Mentre la rincorreva, Aomine non faceva che pensare a tutte queste cose, ciclicamente. Non c’era spazio per neanche il più piccolo dubbio.

Aominecchi!” gridava Kise, dietro di lui, ma Aomine era sordo al suo richiamo. Voleva solo prendere quello scricciolo e dirgliene quattro per tutti i guai che gli aveva fatto passare.

La ragazza entrò nel cortile della scuola. Poche falcate dopo, anche Aomine raggiunse il cancello e lo oltrepassò, ma dovette fermarsi di colpo perché, per un pelo, non rischiò di travolgere un Kuroko tranquillamente intento a tornarsene a casa sua. “Tetsu! Hai visto una ragazzina che correva passare di qua?”

Kuroko lo fissò con la sua solita aria neutrale e gli indicò l’edificio principale. “È andata di là.”

“Bene” rispose solo Aomine prima di rimettersi in moto.

Kuroko era ancora fermo lì dove lo aveva lasciato quando vide passargli davanti, senza nemmeno notarlo, un ansante Kise che urlava: “Aominecchi! Fermati! Cosa le vuoi fare?”.

Una scena davvero bizzarra, doveva ammetterlo. Quando Aomine era uscito dallo spogliatoi per andare a parlare con Kise non avrebbe mai immaginato di rivederli intenti a inseguire una ragazza.

“Ora puoi uscire, se ne sono andati” disse, rivolto ad un cespuglio.

Nakamori sbucò fuori da dietro le foglie, timorosa che il ragazzo fosse un terzo complice, ma constatò subito che non le aveva mentito. Si rimise in piedi e si diede qualche colpetto alla gonna per scuoterla dal terriccio che, inevitabilmente, le si era attaccato addosso. A casa avrebbe semplicemente raccontato che era inciampata e caduta su un’aiuola.

“Grazie per l’aiuto.”

“Dovere” rispose Kuroko. Non le chiese il motivo per cui Aomine la stava inseguendo così furioso, anche se, vedendo la macchina fotografica che portava al collo, un sospetto si fece spazio nella sua mente. Non voleva certo remare contro gli interessi dei suoi amici, ma una fanciulla in difficoltà aveva la priorità su qualsiasi altra cosa. Quanto ad Aomine e Kise… be’, avrebbero avuto più fortuna la volta successiva.

 

 

 

Note dell’autrice

Mi fa così strano essere tornata dopo tanto tempo: spero che nessuno mi linci per il mostruoso ritardo ^^” Mi chiedo anche se delle lettrici ci sia qualche superstite che leggerà questo capitolo: sarò fortunata se saranno almeno la metà XD

Grazie per la pazienza, e prometto di essere più costante e non abbandonare la storia fino alla conclusione ;)

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Capitolo 11
*** Per il bene di Kise ***


Anonymous

 

 

Per il bene di Kise

 

 

 

Il sogno di ogni ragazza della scuola media Teiko era lo stesso per tutte (tranne Momoi): trovare Kise Ryota fuori dalla propria aula, in trepidante attesa di lei.

Nakamori Haruka, studentessa del terzo anno rinchiusa nel corpo di una bambina delle elementari, unico membro femminile del club di giornalismo, appassionata di yaoi estremo, non faceva eccezione. Lo vide non appena svoltò l’angolo del corridoio che portava alla sua aula. Bello come un dio greco, poggiato al davanzale della finestra di fronte la porta come se stesse posando per una copertina e, soprattutto, con lo sguardo puntato su di lei. Era il sogno nel cassetto di qualunque ragazza (tranne Momoi), se non fosse stato per un dettaglio, neanche tanto piccolo, che stonava come una bara in bella vista ad una cerimonia nuziale. Accanto a Kise, vi era uno spazientito Aomine Daiki che, non appena notò la sua preda mancata per un soffio il giorno prima, sembrò pronto a saltarle addosso come una tigre inferocita.

Nakamori si bloccò di colpo, ma i due ragazzi rimasero lì fermi dov’erano. Sapevano che ben presto sarebbe dovuta entrare in classe e lei, di contro, sapeva cosa volevano. Deglutì, si fece forza, e avanzò come un condannato verso il patibolo. Quanto meno, la presenza di Kise avrebbe reso più dolce quell’agonia.

“Buongiorno Nakamori-san!” la salutò Kise, col suo sorriso smagliante.

Aomine emise un mugolio indecifrabile. Si erano accordarti per lasciar parlare Ryota, perché Daiki, a detta dello stesso compagno, con le ragazze era indelicato come un orso di foresta.

“Buongiorno a te, Kise-kun” rispose lei, ignorando deliberatamente l’orso.

Nakamori-san, ieri ti abbiamo spaventata, ma non era nostra intenzione farti nulla di male. Ecco, volevamo semplicemente chiederti una cosa.”

“So cosa volete, ma la risposta è no: non le avrete mai!” Di fronte alla prospettiva di essere derubata di uno dei suoi beni più preziosi si risvegliò all’istante tutta la sua baldanza.

“Di cosa stai parlando?”

Aomine non riuscì più a trattenersi. Sapeva che lasciare le cose in mano a quell’incapace di Kise avrebbe portato la storia per le lunghe e di fatti non si era sbagliato. “Avanti, confessa! Sei tu l’autrice della storia sul giornale, vero?”

Aominecchi!” lo richiamò l’amico con tono di rimprovero mescolato a rassegnazione.

“Cosa? Io! Magari lo fossi! No, mi spiace, ma avete preso un granchio.”

“Non fare la difficile: non potrebbe esserlo nessun altro!” Aomine avanzò sovrastando la ragazza con la sua ombra imponente, ma lei non si scansò di un centimetro. La sera prima era sola, ma di giorno, all’interno della scuola, era pieno di testimoni: Aomine non avrebbe potuto alzare un dito su di lei.

“E io ti dico di no!”

“E allora perché ci stavi spiando? Stavi raccogliendo materiale per la storia, no?”

“Sbagliato. Scattavo solo qualche foto di voi due. La coppia AominexKise attira molta attenzione, ormai.”

“Coppia AominexKise?” le fece eco Kise. “Perché il mio nome viene messo per secondo?”

“Be’, l’ordine dei nomi indica il ruolo che ognuno ha nella relazione. Chi sta dopo significa che è il passivo” spiegò Nakamori con la stessa serietà con cui avrebbe insegnato a risolvere un’equazione di secondo grado.

“Passivo… quindi, vuol dire che io… sarei…”

“Non abbiamo tempo per questo!” li interruppe Aomine, sul volto un leggero rossore per la piega che la conversazione aveva preso. “Dacci le foto, subito!”

“Mai!” Nakamori si strinse al petto la cartellina marrone, rivelando ad Aomine dove nascondeva i preziosi scatti che aveva rubato agli ignari giocatori.

“Non costringermi a…”

Aominecchi, per favore.” Kise, ripresosi dall’imbarazzo, mise una mano sulla spalla del compagno, invitandolo a farsi da parte e lasciare tutto in mano sua.

Nakamori-san…” soffiò gentile e prese tra le sue la piccola mano destra della ragazza, “… in questi ultimi tempi la nostra dignità è stata brutalmente calpestata più volte. Consegnami quelle fotografie, te ne prego. Te ne sarei davvero, davvero riconoscente.”

La presa di Nakamori sulla cartellina si allentò, facendola cadere rovinosamente a terra. Sentì le guance andare in fiamme e poi tutto il corpo, come se si stesse sciogliendo a fuoco lento, rischiando di diventare più bassa di cinque centimetri abbondanti. “Kise-kun… se me lo chiedi così…” Prese la cartellina, l’aprì e tirò fuori le foto. Le consegnò nelle mani di Kise come una devota che porge dei doni alla propria divinità.

“Grazie, Nakamori-san, sei stata tanto gentile.”

Allontanandosi lungo il corridoio, Kise sventolava le foto come un trofeo davanti al naso di Aomine, soddisfatto di essere riuscito lì dove il suo idolo aveva fallito.

“Sì, sì, bravo… diamo un’occhiata a queste foto, piuttosto.”

Le sfogliarono velocemente per assicurarsi che non ci fosse nulla di compromettente: loro due durante gli allenamenti, Kise che usciva dallo spogliatoio, Aomine che lo seguiva, loro che parlavano all’angolo del marciapiede. Kise ripensò subito alle ultime parole dette dal compagno ‘Invece io conosco bene i tuoi sentimenti’; temeva e al contempo smaniava di sapere cosa significassero.

“Mi era sembrata sincera” disse Aomine.

“Dunque non è lei l’autrice che stiamo cercando.”

Aomine sospirò di frustrazione. Erano di nuovo punto e a capo. A breve sarebbe uscito il nuovo capitolo e, stando a come si concludeva il terzo, la cosa si prospettava molto, molto, molto imbarazzante. Mancavano pochissimi giorni e della vera autrice ancora nessuna traccia.

Nel frattempo, seduta al proprio banco, Nakamori non riusciva a fare a meno di accarezzarsi la mano che Kise le aveva tenuto stretta per qualche secondo. Se la portò alle labbra e pensò che ora poteva anche morire felice.

 

 

Terminata la siesta post-pranzo, Aomine scese dal tetto della scuola per ritornare in classe. A metà strada, si trovò la via sbarrata da una ragazza rigida come uno stoccafisso. Lo guardava con disprezzo, quasi disgusto. Il ragazzo non aveva la minima idea di chi fosse, né di cosa volesse.

“Hai bisogno di qualcosa?” chiese lui, ancora assonnato.

“Sì, ho bisogno di parlare con te. Hai un minuto?”

“Basta che non riguarda la storia del giornaletto scolastico” ne ho le scatole piene, avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne.

“Si tratta di Kise-sama.”

Sama?”

“Sì, mi chiamo Usaki Akane e sono la presidentessa del primo fan club ufficiale di Kise Ryota.”

Aomine la guardò come se davanti avesse una pazza con tanto di camicia di forza, ma aveva imparato che le ragazze a volte perdevano davvero la testa (un esempio era Sastuki quando parlava di Tetsu) e facevano le cose più assurde (sempre Sastuki). “Oh, e cosa c’entra questo con me?”

“Io e tutte le ragazze del club siamo molto preoccupate per il nostro Kise-sama. Non solo il suo atteggiamento nei nostri confronti si raffredda di giorno in giorno, ma in generale lo vediamo molto provato e spento.”

“Ripeto: cosa c’entra questo con me?”

“Sei tu la causa del suo malessere” lo accusò Usaki, aspramente.

“Io? Non è che magari siete voi che lo asfissiate continuamente ogni giorno?”

“Impossibile! È successo da quando Kise-sama è entrato nella squadra di basket e precisamente da quando frequenta te.” Usaki puntò il dito indice contro di lui come se stesse impugnando una pistola. “La tua compagnia è deleteria per l’animo gentile e solare di Kise-sama. Lui si logora nel corpo e nella mente per raggiungere il tuo livello di bravura, si dispera per elemosinare un briciolo della tua compagnia e approvazione, mentre tu lo ripaghi con insulti e angherie.”

“Sai che ti dico? Sei solo una pazza e non intendo stare qui a farmi insultare da te. Me ne vado” disse Aomine, avviandosi verso le scale per scendere al primo piano.

“Se sei suo amico, se ci tiene a lui anche solo un minimo, faresti meglio a stargli lontano e a non farlo soffrire più” lo ammonì Usaki, dalla cima delle scale.

Aomine posò piede sul pianerottolo nell’istante in cui la voce della ragazza si zittì. Parlava come se sapesse come stavano davvero le cose, ma ciò era impossibile. Nessuno, eccetto il diretto interessato, poteva essere a conoscenza del fatto che Kise avesse un’infatuazione per lui. Però, ciò che Usaki gli aveva detto non era del tutto falso.

Kise lo amava e lui non poteva ricambiarlo…

Kise sapeva essere davvero terribile a volte, ma Aomine non voleva essere la causa della sua sofferenza, per nulla al mondo. Che fare?

Stargli vicino lo avrebbe fatto penare, alimentando in lui l’illusione che forse dalla loro amicizia sarebbe potuto scaturire qualcosa di più. Di contro, allontanarlo gli avrebbe arrecato comunque dolore. Le prospettive erano due: una lenta agonia nel primo caso o una sofferenza intensa ma breve nel secondo.

Forse era meglio la seconda opzione. Kise ne avrebbe sofferto, ovvio, ma se ne sarebbe fatto una ragione, lo avrebbe dimenticato e, quando le loro strade si fossero divise ai superiori, avrebbe trovato qualcun altro su cui riversare i suoi sentimenti.

Sì, avrebbe fatto così: avrebbe costruito un muro tra lui e Kise, così da preservarlo da un’orribile delusione futura. Semplice, no?

 

 

Quella stessa sera, conclusi gli allenamenti, dopo aver riposto le attrezzature nello stanzino, i ragazzi della squadra si avviarono verso lo spogliatoio, tranne uno.

Aominecchi, che ne dici di qualche uno-contro-uno?” propose Kise.

“No, non mi va” rispose freddamente l’interpellato, senza neanche voltarsi per guardarlo.

Kise sbarrò gli occhi a quel rifiuto. Ma come? Il giorno prima lo aveva persino rincorso fuori dalla scuola, offeso per il suo comportamento schivo, e adesso quello che lo ignorava era proprio lui? Era assurdo quel cambio di atteggiamento nell’arco di ventiquattr’ore. “Ma ieri tu stesso mi dicesti…”

“Ieri era ieri” lo interruppe Aomine, anche questa volta senza fermarsi o degnarlo di uno sguardo. Uscì dalla palestra, lasciando un confuso quanto rattristato Kise solo, in mezzo al campo. Anche se all’esterno poteva sembrare che non gliene importasse nulla, in realtà era stato più difficile di quanto pensasse. Non era facile troncare di punto in bianco un’amicizia, senza motivo apparente, per giunta, ma era la soluzione migliore. Lo faceva per Kise e per il suo bene. Doveva focalizzarsi su questo pensiero e basta. Aomine non era tipo da pensare troppo agli altri, ma con Kise non gli riusciva così facile. Perché poi? Era un rompiscatole in tutti i sensi, strillava in continuazione e dove c’era lui c’era sempre un gran casino tutto intorno… ma per qualche ragione ci teneva a lui.

Tutta colpa di questa maledetta storia e di quel dannato diario, pensò. Mi sto facendo suggestionare troppo!

 

 

Kise, immobile come una statua, veniva lentamente sepolto dalle sue stesse domande: cos’altro era successo adesso? Possibile che Aominecchi fosse rimasto offeso dalle sue parole? ‘…anche tu non capisci bene i sentimenti delle persone che ti sono vicine…’

No, era assurdo. Lui non era un tipo da prendersela per così poco. E allora cosa? Non ci capiva più niente. Aomine era il ragazzo più semplice da comprendere, sotto alcuni aspetti, ma negli ultimi tempi era diventato più complicato di un sudoku.

Kise lanciò la palla che ancora teneva in mano contro la parete di fronte, imprecando e tremando. Aveva solo voglia di sfogare la propria rabbia in qualche modo. Aominecchi scivolava via come acqua tra le dita e lui, per quanto tentasse di serrarle, non riusciva a trattenerlo in nessun modo. Si stava solo torturando, lo sapeva. Desiderava stargli accanto ogni momento della giornata, ma sapeva che il compagno non avrebbe mai al mondo ricambiato i suoi sentimenti. Era come perdere continuamente contro di lui. La sconfitta era amara, ma gli piaceva, perché aveva trovato qualcuno che sapesse stimolarlo. Era proprio un masochista, doveva riconoscerlo.

Immerso in questi pensieri, non si accorse di una persona che, cautamente, gli si era avvicinato alle spalle. “Kise-kun.” Kise sobbalzò. In un primo momento pensò si trattasse di Kuroko, ma quando si voltò vide i grandi occhi marroni di Nakamori Haruka, ingigantiti dalle spesse lenti degli occhiali, guardarlo con compassione, come se stesse osservando un cucciolo che tremava dal freddo.

Nakamori-san. Che ci fai qui? Non dirmi che ci stavi spiando?”

“No… cioè… non proprio… non ho fatto fotografie, comunque” rispose lei.

“Mi devi scusare, ma non è proprio un buon momento questo” le disse Kise, sperando che la ragazza cogliesse l’antifona e lo lasciasse solo per un po’.

“Lo so, ho visto tutto. Proprio per questo ti sono venuta a parlare.” Ora Kise le rivolse la sua più totale attenzione. “Dopo l’ora di pranzo, stavo… ehm… casualmente… seguendo Aomine-kun, quando ho visto Usaki Akane, la presidentessa del tuo fan club, a cui tra l’altro sono iscritta con la tessera numero quarantotto, tra l’altro, fermarlo per parlargli.”

Usaki-san? E cosa si sono detti?” Lentamente i pezzi iniziarono a combaciare e rivelare il disegno completo.

“Non lo so, ero troppo lontana per sentire. Ma da quel momento in poi Aomine-kun è stato molto pensiero e adombrato. Penso che sia per questo che prima si è rifiutato di giocare con te.”

Aominecchi è proprio un idiota. Grazie, Nakamori-san. Ora ho capito tutto. Ma perché ci tieni così tanto ad aiutarmi?”

“Oh, voi due siete una coppia così bella! Io faccio il tifo per voi, sai? E poi preferisco vederti con Aomine-kun piuttosto che insieme a qualche altra ragazza!” Gli occhi di Nakamori iniziarono a brillare come pepite: era entrata in quella che i suoi compagni giornalisti definivano ‘Yaoi mode on’.

Kise si allontanò da lei finché era ancora in tempo. Doveva raggiungere Aominecchi e parlargli al più presto. Arrivò a pochi metri dallo spogliatoio quando lo vide uscire in compagnia di Kuroko. “Aominecchi, dobbiamo parlare” gli disse, prima ancora di raggiungerli.

“Ho da fare, non posso fermarmi. Andiamo, Tetsu” ma Tetsu era già sparito. “Piccolo…” imprecò a mezza voce. Lo detestava quando spariva così, lasciandolo sadicamente solo tra le grinfie di Kise.  

 

 

 

Note dell’autrice

Non c’è pace per i nostri eroi! Purtroppo c’è sempre qualcuno pronto a mettersi in mezzo, ma se così non fosse non ci sarebbe nemmeno gusto :P Sono un po’ sadica, lo ammetto XD

Ho aggiornato un po’ prima del previsto, per farmi ulteriormente perdonare del ritardo con cui è uscito il capitolo precedente ^^ Non manca moltissimo alla conclusione della storia in realtà, ma qualche altro piccolo intoppo ci sarà. Sono felicissima di aver ritrovato alcune vecchie lettrici e anche di nuove! Al prossimo capitolo ;)

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Capitolo 12
*** Una fonte sicura ***


Brevissimo riassunto per riprendere il filo del discorso: Kise e Aomine credono di aver scoperto chi è l’autrice della storia yaoi pubblicata sul giornale, ovvero Nakamori Haruka, la giornalista occhialuta che ama spiarli e che confessa di essere una fan di loro come coppia. Interrogandola capiscono che non è lei e si ritrovano al punto di partenza. Intanto, la presidentessa del fan club di Kise decide di parlare con Aomine, intimandogli di lasciare in pace il bel modello perché la sua presenza è deleteria per lui, in quanto Kise smania per avere un po’ delle sue attenzioni, senza troppo successo e tralasciando i suoi doveri di idolo delle ragazze. Aomine avendo letto il diario segreto di Kise, sa che questi è innamorato di lui e, sapendo anche di non poterlo ricambiare, capisce che è meglio allontanarlo così da non creare in lui false illusioni, sperando che col tempo i sentimenti di Kise per lui si scompaiano.

Kise, a fine allenamento, gli chiede di giocare insieme, ma Aomine rifiuta in modo brusco e se ne va a casa in compagnia di Kuroko. Intanto, Nakamori Haruka, che ha assistito alla scena informa Kise del discorso avuto tra Aomine e l’egoista presidentessa del fan club. Ed ecco che Kise corre per inseguire Aomine

 

Anonymous

 

 

Una fonte sicura

 

 

 

 

Kuroko non lo aveva mai mostrato apertamente, in particolare perché lui era tutto tranne che una persona aperta, ma Aomine era convinto che il compagno di squadra nascondesse un lato sadico dentro di sé. Non di rado lo abbandonava nel momento del bisogno, usando la sua misdirection per sparire e lasciare a lui tutte le grane. E quella volta non fece eccezione. Parlare con Kise era l’ultima cosa che voleva e se Tetsu fosse rimasto al suo fianco avrebbe avuto la scusante perfetta per andarsene, invece il diabolico fantasma si era dissolto e ora, Aomine, era costretto a fronteggiare un Kise smanioso di parlargli.

In effetti, era troppo irreale sperare di poter ignorare Kise senza che questi facesse troppe storie.

“Che vuoi? Ti ho già detto che non mi va di giocare con te” lo attaccò, confidando che la sua rudezza avrebbe stemperato ogni desiderio di Kise.

“Stai mentendo e so anche perché.”

Aomine accennò un sorriso amaro. Kise non poteva sapere davvero perché stava inscenando tutta quella pantomima. “Non c’è un perché: non ti voglio tra i piedi e basta.”

“So che hai parlato con Usaki-san.” Aomine non poté nascondere lo stupore. “Anche se non conosco di preciso cosa vi siete detti, posso benissimo immaginarlo. Un po’ di giorni fa, lei venne da me, lamentandosi del fatto che da quando faccio parte della squadra di basket non dedico al suo club le giuste attenzioni che pretende. Vorrebbe che la mia vita ruotasse tutta intorno a lei e che mi dedicassi anima e corpo a quell’inutile fan club. Non ho idea di come abbia fatto a convincerti a comportarti così, ma sappi che è ridicolo questo tuo atteggiamento.”

Aomine ascoltò la fiumana di parole senza battere ciglio, lasciando che queste gli scivolassero addosso innocue come una pioggerellina primaverile. “Davvero mi reputi così stupido?”

“Eh?”

“Pensi sul serio che non abbia capito cosa voleva quella pazza lì? Cavolo, non credevo avessi un’opinione così bassa di me.” Non ci voleva un genio per capire che Usaki desiderava rendere Kise il suo personale bambolotto, ma dei desideri di quella ragazza ad Aomine non importava proprio un accidente.

“E allora perché ti comporti così? Che senso ha evitarmi? Ti ha forse minacciato o cosa?”

“Minacciarmi? Non sono mica un suo rivale o che so io! Per quel che mi riguarda lei può pure sequestrarti per un mese intero.”

Aominecchi, sei snervante! Vuoi dirmi o no cosa c’è sotto?”

Quando Kise schiamazzava in modo isterico, Aomine trovava difficile mantenere il controllo e impedirsi di sferrargli un bel pugno sulla testa. “Sono fatti miei, chiaro? Posso solo dirti che quello che mi ha detto la pazza ha un fondo di verità. Quindi, credimi, è meglio così.”

“Meglio così? Che ne sai tu di cosa è meglio e di cosa non lo è? Davvero pensi di poter decidere tu per me? Credi sul serio di poter fare quello che ti pare e sperare che gli altri se ne stiano zitti e buoni ad assecondare i tuoi umori? Be’, mi spiace, ma io non intendo assecondare un bel niente.”

Aomine rimaneva sempre stupito dalla spropositata quantità di parole che potevano uscire tutte in una volta dalla bocca di Kise. Certo, non arrivava ai livelli della sorella Kaori, ma quando ci si metteva sapeva tenerle testa. Il cervello gli stava per scoppiare e quello non la finiva più di parlare. Ma perché doveva rendere tutto così complicato? Non era proprio capace di starsene zitto e buono? Aomine digrignò i denti. “… tu e Usaki mi trattate come se fossi un pupazzo…” La vena sulla tempia era in procinto di scoppiare e sentiva il sangue pompato così forte da fargli venire un tic all’occhio, “… lo so che non ci conosciamo da molto, ma so che tu sei migliore di così…” Quella che inizialmente era una pioggerella, si era tramutata in un vero e proprio temporale, acido per di più.

Sbottò. “Lo so quello che provi per me perché ho letto il tuo diario, idiota!” Non avrebbe mai voluto confessarlo, ma Kise non sembrava volersi fermare più e, conoscendolo, non gli avrebbe dato tregua per tutti i giorni seguenti finché non avesse avuto una risposta.

Rimasero in silenzio a fissarsi per qualche secondo. Kise aveva un’aria smarrita: evidentemente era l’ultima cosa che si aspettava di sentirsi dire. Tuttavia, c’era qualcos’altro nel suo sguardo. Scrutava il viso di Aomine come se stesse frugando alla ricerca di qualcosa, una risposta ad una domanda non detta e che sembrava timoroso di chiedere. “Di che stai parlando?”

“È inutile che fingi. Te l’ho detto, so tutto.”

“Ma tutto cosa?”

“I tuoi sentimenti… per me.”

“Sentimenti? Per… te?” Kise non aveva propriamente l’espressione di una persona che veniva smascherata, quanto piuttosto quella di un ragazzo accusato ingiustamente. Qualcosa non quadrava. “Se è uno scherzo è davvero di pessimo gusto.”

“Non è uno scherzo, parlo sul serio, che tu ci creda o no.”

Aominecchi, io non so cosa tu abbia letto… ma io non ho nessun diario.”

Negare anche l’evidenza era la prima regola di chi veniva colto in flagranza di reato, nonché una scappatoia comoda che l’istinto di sopravvivenza portava naturalmente a seguire. Aomine si sentì offeso dal goffo tentativo di Kise: lo riteneva davvero tanto stupido? “Piantala di fare il finto tonto! Sto parlando del diario che hai nascosto sotto il letto.”

“Non ho niente sotto il letto, tanto meno un diario… Mi devi credere!”

Kise aveva lo sguardo puntato nel suo, fiero e limpido. Aomine non riuscì a scorgervi alcuna traccia di menzogna. L’amico era sincero e lui si sentì veramente stupido, raggirato per di più. Corrugò le sopracciglia, confuso.

“Cosa c’era scritto di preciso?” Aomine gli aveva detto che grazie a questo diario aveva scoperto i suoi sentimenti. Per un attimo Kise si era sentito smascherato, esposto, vulnerabile, ma per fortuna l’amico aveva creduto alla sua sincerità ed era riuscito a salvare le apparenze. Ma ciò non voleva dire che quanto Aomine avesse letto corrispondesse al falso.

“Tante cose…”

“Del tipo?”

“Che importanza ha? Se è vero che non hai un diario, significa che quello che ho trovato era solo uno scherzo, quindi che te ne frega?”

Giusto, pensò Kise. Meglio non insistere troppo, altrimenti avrebbe rischiato di scoprirsi, inoltre mostrarsi eccessivamente preoccupato per uno scherzo si sarebbe ritorto contro di lui.

“E come lo avresti trovato questo presunto diario?” lo interrogò; stava già maturando un sospetto su chi fosse il burattinaio che muoveva i fili di quella tragicommedia.

“Tua sorella, Kaori” rispose schietto Aomine.

Kaori, proprio come aveva immaginato Kise. Questa volta sua sorella aveva superato il limite! Afferrò il telefono nella tasca della giacca dell’uniforme scolastica, lo aprì e cercò il numero in rubrica. Era così cieco di rabbia che per poco non se andò senza prima salutare Aomine, rimasto impalato ad osservare il viso del compagno di squadra infuriato come non lo aveva mai visto: gli fece quasi paura.

“Ah” si ricordò in quell’istante Kise, voltandosi verso di lui, “ti chiedo scusa da parte di mia sorella per tutto questo. Non avrebbe dovuto farti… farCi uno scherzo così brutto” e senza attendere risposta si incamminò verso casa, con il telefono attaccato all’orecchio in attesa che Kaori rispondesse alla chiamata.

Aomine restò ancora un po’ a fissare la sua schiena allontanarsi. Non ci stava capendo più niente. Kise non gli aveva mentito: il diario era fasullo, non c’era ombra di dubbio. Ma perché diavolo Kaori avrebbe dovuto mettere su tutto quel teatrino? Solo per burlarsi del fratello? Avevano un rapporto molto giocoso, come aveva potuto vedere lui stesso, ma questo…

Inutile pensarci ancora troppo. Si rimise la cartella in spalla e si avviò per la sua strada.

Aomine-kun” lo chiamò una voce pacata superato il primo angolo e l’interpellato sussultò di spavento.

“Ah, sei qui?” constatò Aomine, in tono molto rude.

“Ho pensato che tu e Kise-kun aveste bisogno di parlare da soli” rispose Kuroko, serafico come suo solito.

“Fortuna che almeno in campo posso contare su di te, eh” lo punzecchiò l’amico, affiancandolo sulla strada di casa.

 

 

Kaori rispose al quarto squillo di cellulare. “Ciao, Ry-chan!”

“Hai superato il limite” sbraitò il fratello, incurante del volume della voce troppo alto.

“Di che parli?”

Aominecchi mi ha detto di un diario che TU hai scritto e nascosto sotto il mio letto per farglielo leggere! Ti sembrano scherzi da fare questi?”

La risata argentina di Kaori gli fece accapponare la pelle come lo stridio di un paio di unghie su di una lavagna. “E così ne avete parlato? E come è uscito fuori l’argomento?”

“Non è questo il punto!”

“Perché non ne parliamo con calma a casa?”

“No, ne parliamo adesso e anche dopo a casa. Ti rendi conto della figuraccia che mi hai fatto fare? Aominecchi ha detto che sapeva dei miei sentimenti per lui o qualcosa del genere: mi spieghi che volevi fare?”

Kaori sospirò dolcemente. “Ry-chan, anche io ho avuto quindici anni come te e so per certo che il modo in cui parli del tuo Aominecchi non è il modo in cui si parla di un semplice compagno di squadra. Ho solo voluto dare una spintarella agli eventi...”

“Non ho bisogno di nessuna spinta e poi io non ho mai detto di avere una cotta per lui o che so io!”

“Infatti non lo hai mai detto, ma ce l’hai scritto in fronte peggio di un’insegna lampeggiante al neon. Te l’ho detto, anche io ho avuto la tua età e so riconoscere tutti i segnali dell’innamoramento adolescenziale. Quindi ora stai zitto un attimo e ascoltami. Ti ho creato un’occasione perfetta per confessarti e l’hai buttata alle ortiche! Hai idea di quanto tempo mi ci sia voluto per scrivere quel diario, per ricordarmi bene dei giorni e delle cose che mi raccontavi? È stato un lavoraccio e non sei stato in grado di cogliere la palla al balzo.”

“No, non era…”

“E dovresti piantarla di farti tante seghe mentali e dirgli quello che provi chiaro e tondo. Che ci guadagni a non dirgli nulla, me lo spieghi? Anche io mi ero innamorata persa di un ragazzo strafigo che veniva in classe con me alle medie e che faceva parte del mio stesso club, ma non gli ho mai detto dei miei sentimenti per paura di rovinare l’amicizia. Sai che vuol dire questo? Che in pratica mi sono accontentata di un’amicizia, anziché tentare di avere qualcosa di più. E sai come è andata a finire? Che quello si è poi fidanzato con un’altra e ci stavo così male che ho pure lasciato il club. E sai un’altra cosa? Quando abbiamo finito le medie e decidemmo di andare a scuole diverse lui venne da me e mi disse che in realtà quella che gli era sempre piaciuta ero io, ma non vedendo da parte mia alcun interesse non si è mai fatto avanti. Mi sono mangiata le mani per due anni interi. Quindi se sto facendo tutto questo è perché non voglio che accada la stessa cosa a te.”

“A me è diverso! Aominecchi non prova niente per me.”

“Stai ragionando esattamente come quel ragazzo di cui ti ho detto.”

“Non è la stessa cosa…”

“Sì che lo è!” Kaori aveva alzato la voce così tanto che Kise era stato costretto ad allontanarsi il telefono dalla faccia per timore che gli esplodesse il timpano destro.

“No che non lo è!” gli rispose a distanza. Mancavano solo un paio di isolati per arrivare a casa sua e non vedeva l’ora di parlare faccia a faccia con Kaori: il padiglione gli bruciava come se lo avesse tenuto attaccato ad una stufa accesa al massimo per un’ora.

“E io ti dico che lo è!”

“Come fai ad esserne così sicura?”

Silenzio dall’altra parte. Quando sua sorella si ammutoliva così all’improvviso, Kise sapeva che era un brutto segno. Kaori aveva un grosso difetto: non sapeva mentire! Fintanto che si trattava di dire tutto quello che le passava per la testa in piena sincerità si tramutava in un torrente di parole, ma quando veniva messa alle strette, in cui l’unica via di fuga era mentire, proprio non ci riusciva. Pertanto, non le restava che tacere e tenere il segreto, con sforzo titanico.

“… lo sono” disse solo.

“Come” insistette Kise. Sembrava che al mondo tutti conoscessero ogni cosa di lui e Aominecchi, tranne i due diretti interessati.

“Posso solo dirti che ho delle fonti sicure.”

“Chi sono queste fonti e cosa ti hanno detto?”

Kaori riattaccò il telefono. Kise era quasi giunto a casa. Avrebbe messo sotto torchio la sorella per ore, giorni, anche settimane se necessario, e non l’avrebbe lasciata in pace sino a che non gli avesse detto tutta la verità. Aveva capito solo che lei sapeva qualcosa riguardo Aomine, qualcosa di molto importante e che lo riguardava probabilmente. Aveva il cuore accelerato come dopo una partita giocata a pieno regime dal primo all’ultimo minuto. Si sentiva energico e la rabbia di qualche minuto prima si era tramutata in euforia per quell’inaspettato risvolto che aveva preso la conversazione.

Mentre ricoprì i pochi metri che lo separavano dal portone di casa con passo trottante, Kaori mandò un sms per ragguagliare la sua ‘fonte sicura’ sugli ultimi eventi.  

 

 

Note dell’autrice

E dopo altri 4 mesi, non so, sono ritornata: niente da fare, mi scoccia troppo lasciare questa storia in sospeso, tra l’altro si sta allungando molto più del previsto, ma preferisco così ^^ Ho inserito all’inizio un piccolo riassunto perché mi rendo conto che dopo un po’ di tempo è difficile tenere a memoria gli eventi passati, spero che sia stato sufficiente per aiutarvi a rientrare nella trama!

Non ho molto da dire, se non che ci stiamo avvicinando alla risoluzione del caso, nonostante escano fuori nuovi ‘misteri’!

Vi ricordo che il vostro supporto è essenziale per me: se ho deciso di non arrendermi e continuare è solo grazie ai vostri commenti che mi riempiono di gioia e che hanno reso questa storia una delle long più seguite del fandom! Grazie, grazie infinite a tutti, davvero <3 Mi spiace non essere riuscita a rispondere agli ultimi commenti, ma ho un po’ tralasciato efp in questi tempi per fare spazio a doveri più pressanti, ma cercherò di fare la brava da ora in poi! Al prossimo chap! X3

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Capitolo 13
*** Il mio problema ***


Anonymous

 

 

Il mio problema

 

 

 “Insomma, Ry-chan, finiscila di fare il bambino!”

Kise aveva letteralmente preso d’assedio la camera della sorella maggiore. Dopo essere entrato in casa, la prima cosa che aveva fatto era fiondarsi in camera sua. Kaori aveva chiaramente lasciato intendere che sapeva delle cose su Aominecchi, in particolare per ciò che riguardava i suoi sentimenti. Aveva afferrato la maniglia ma, dopo averla abbassata, la porta della stanza di Kaori non si era mossa, segno che si era previdentemente chiusa dentro.

Il ragazzo aveva battuto entrambi i pugni sulla porta prima alternandoli, poi tutte e due insieme. “Fammi entrare e raccontami tutto quello che sai!”

E così, da tre quarti d’ora, andava avanti quella guerra psicologica, tra Ryota che ripeteva le stesse domande (“Con chi hai parlato?”, “Che cosa sai di Aominecchi?”, “Cosa hai scritto in quel diario?”) e sua sorella che glissava le risposte dicendogli quanto fosse infantile il suo comportamento.

La situazione era già abbastanza tragicomica di suo e, tanto per complicare maggiormente le cose e metterla ancora di più in difficoltà, Kaori sentiva già da dieci minuti la vescica gonfia e l’impellente bisogno di andare in bagno per svuotarla. Ma andare al bagno significava uscire e uscire significava affrontare il fratellino più agguerrito che mai.

Era calato il silenzio tra loro, così, speranzosa, Kaori si avvicinò alla porta, estrasse la chiave e spiò dal buco della serratura. Ryota era proprio lì, seduto sul pavimento del corridoio a gambe incrociate come un pellerossa e non sembrava intenzionato a muovere un solo muscolo.

Accidenti! Strinse le gambe per trattenersi, ma non servì a nulla, anzi, lo stimolo sembrava persino aumentare.

Ry-chan, è inutile: tanto non ti dirò nulla di nulla” cercò di scoraggiarlo, ma a quanto pareva l’altro non fu minimamente toccato dal suo blando tentativo di dissuaderlo.

“Prima o poi dovrai uscire da lì.”

Purtroppo aveva ragione. Kaori iniziò a saltellare da un piede all’altro. Era davvero al limite e non c’erano vie di fuga. Sentiva il bassoventre pulsare dolorosamente e aveva tutti i muscoli contratti. Se non si fosse liberata al più presto di quella piattola del fratello avrebbe finito per fare la pipì lì dov’era e allora sì che non avrebbe avuto più il coraggio di uscire dalla sua stanza.

“Che ne dici di un patto?” tentò.

“Che genere di patto?”

Bene, si disse la ragazza. Ryota era estremamente curioso e se si trattava del suo Aominecchi sicuramente si sarebbe lasciato raggirare facilmente pur di ottenere un briciolo di informazioni. Non era facile pensare lucidamente in quella situazione e soprattutto apparire serafica, ma non poteva certo confessare che aveva bisogno di andare al bagno: Kise ne avrebbe approfittato per spillarle la verità fino all’ultima goccia. Non poteva tradire così la sua ‘fonte sicura’, ma date le circostanze era costretta a cedere.

“Tu mi prometti che non mi assillerai più con questa storia ed io in cambio ti darò il diario che ho fatto leggere a Daiki-kun: mi sembra più che equo, non trovi?”

Kise doveva ammettere che leggere il famoso diario era una prospettiva allettante e magari gli avrebbe anche permesso di capire perché Aomine si era comportato in modo così strano con lui. Ma il fatto che sua sorella avesse avanzato quella proposta voleva dire che stava per cedere. Anche per lui era snervante starsene appostato lì senza potersi muovere, ma la posta in gioco era troppo alta.

Era riuscito a salvare la sua amicizia con Aominecchi dicendogli che il diario era fasullo e che qualsiasi cosa avesse letto su di esso non era stata scritta da lui, ma ciò non voleva dire che le parole sul diario fossero false. Come aveva detto al telefono Kaori, si stava accontentando di un’amicizia senza fare niente per ottenere qualcosa in più e fino a un’ora prima era certo che con Aomine non ci sarebbe mai potuto essere quel ‘qualcosa in più’, ma le parole di sua sorella avevano acceso una luce che difficilmente si sarebbe spenta.

“Ma che sta succedendo qui?” Sakura, rientrata da lavoro, aveva trovato il fratello minore seduto sul pavimento a parlare con Kaori, attraverso una porta: non era difficile capire che la situazione era alquanto bizzarra, persino per gli standard di quei due.

Kaori per poco non cantò un accorato Alleluja quando sentì la voce della sorella maggiore dall’altra parte. Aveva proprio un urgente bisogno di aiuto e i loro genitori sarebbe rientrati solo più tardi.

“Kaori mi ha fatto un brutto scherzo e mi ha messo in ridicolo davanti ad Aominecchi. Dice che sa delle cose di lui che non mi vuole dire e adesso io…”

“Un momento!” imperò Sakura e subito Kise si zittì. “Ricomincia tutto da capo e cerca di essere più dettagliato possibile.”

Kaori si inginocchiò per la disperazione. Non poteva attendere un solo minuto di più. Era la sua grande occasione di fuga, ora che Ryota era impegnato a narrare tutta la vicenda a Sakura.

Girò la chiave nella toppa molto piano, in modo da non far sentire il clangore della serratura che veniva aperta. Per fortuna, la voca squillante del fratellino copriva bene il rumore.

Contò fino a tre. Aprire la porta e sgusciare via verso il bagno fu un secondo.

Kise, preso alla sprovvista, impiegò più tempo del necessario per disincrociare le gambe, ma Kaori era già giunta alla porta del bagno e Sakura gli mise una mano sulla testa per impedirgli di alzarsi. “Continua a raccontare” gli disse e lui obbedì.

Intanto Kaori si concesso un lungo e meritato momento di relax.

 

 

Una volta ascoltate le versioni sia di Ryota che di Kaori, Sakura si prese qualche secondo per soppesare la situazione. Si era casualmente ritrovata a recitare il ruolo di giudice e giuria, ma se fossero stati lasciati a sé stessi, suo fratello e sua sorella non avrebbero cavato un ragno dal buco. E visto che oltre ad essere fratello e sorella erano anche modello e sua manager, era essenziale trovare un accordo quanto prima.

In attesa di giudizio, i due contendenti erano seduti sul letto di Ryota, mentre Sakura si era accomodata sulla sedia della sua scrivania, a gambe e braccia incrociate.

“Kaori.”

“Sì?”

“Anche se a fin di bene non avresti dovuto intromettermi negli affari di cuore di Ryota. Le incertezze e gli errori sono tipici degli adolescenti, e sono essenziali per loro. Per cui, d’ora in avanti, gli darai consigli solo se Ryota dovesse chiederteli esplicitamente. Inoltre, gli hai proposto di fargli leggere questo diario galeotto, quindi daglielo.”

“Va bene” rispose remissiva la sorella.

Ryota.”

“Sì!”

“Kaori ha diritto ad avere i suoi segreti e se ha promesso a questa persona di non spifferare nulla, è giusto che lei mantenga la parola data. Per cui prenderai il diario segreto e non le chiederai nient’altro al riguardo. Se vuoi scoprire cosa prova per te Daiki dovrai farlo da solo, fermo restando che potrai sempre venire da noi per qualsiasi consiglio.”

“D’accordo.”

“E ora vado a prendermi un’aspirina: mi avete fatto venire il mal di testa” concluse Sakura, uscendo dalla stanza mentre si massaggiava le tempie.

 

 

Kise aveva letto, sconvolto, il diario. Era sconcertante come molte cose corrispondessero ai suoi veri pensieri e sentimenti, segno che la sorella lo conosceva davvero bene. Era rimasto anche sorpreso dalla dovizia di particolari e dettagli riguardo le date e gli avvenimenti che vi erano riportati: non credeva che Kaori avesse una memoria così eccellente e soprattutto che fosse stata così scrupolosamente attenta alla sua vita.

Per sicurezza, il giorno dopo si era portato il diario a scuola; ora che ne era entrato in possesso non lo avrebbe lasciato andare tanto facilmente. Dio solo sapeva cosa avrebbe potuto architettare ancora quella impicciona!

Finite le lezioni, si recò nello spogliatoio e ripose con cura la cartella e il suo prezioso contenuto nell’armadietto, per poi iniziare a cambiarsi per l’allenamento.

Yo!” Il familiare saluto di Aomine lo colse così alla sprovvista che per istinto Kise si voltò e si parò tra l’amico e il proprio armadietto, come se temesse di essere derubato.

Aomine lo fissò con un sopracciglio inarcato. “Nervoso, eh!” lo canzonò. A quanto pare era di buon umore.

Secondo Kise, ciò era dovuto al fatto che il giorno prima avesse negato di provare qualsiasi tipo di sentimento per lui. Evidentemente, ora Aomine era più rilassato e poteva riprendere a trattarlo come sempre. Kaori sosteneva che Ryota avrebbe dovuto confessarsi, ma visto l’atteggiamento che il ragazzo oggetto dei suoi desideri aveva assunto, dichiarare il proprio amore era la cosa più sbagliata di questo mondo.

“Diciamo che sono solo un po’ pensieroso…” abbassò poi la voce per non farsi udire dai compagni nello spogliatoio, tutti intenti a cambiarsi, “… ieri ho avuto una discussione con mia sorella per… quel fatto lì…”

“Oh, già…” Aomine sembrò a disagio. Evidentemente, ora che era stato chiarito tutto (o almeno questo era quello che lui credeva) tornare sull’argomento era inutile, nonché imbarazzante.

Certo, sarebbe stato facile far finta che non fosse successo niente, tuttavia Kise sentiva che non poteva chiudere lì la questione. Era come se ci fosse un piccolo ingranaggio all’interno di quel meccanismo che non facesse funzionare tutto come avrebbe dovuto. Una piccola vite piantata nel posto sbagliato. Non sapeva dire cose fosse, ma qualcosa non quadrava. “Possiamo parlare da soli?”

Aomine sbarrò gli occhi per la sorpresa. Il tono di Kise non faceva presagire nulla di buono e lui era sinceramente stanco di trovarsi in mezzo a quei casini sentimentali che non sapeva gestire. “Ok” acconsentì. Magari voleva solo parlargli delle loro ‘indagini’ riguardo la storia yaoi del giornale. Ora che ci pensava: il nuovo capitolo, quello più scottante, sarebbe stato pubblicato a breve.

Uscirono dallo spogliatoio e si incamminarono nel più assoluto silenzio verso l’esterno della palestra. Il cuore di Kise batteva così forte da farlo sentire una ragazzina innamorata davanti alla propria rockstar preferita: vicino, eppure così irraggiungibile.

“Ieri quando ho saputo quello che aveva fatto mia sorella sono praticamente corso via e non abbiamo concluso la nostra conversazione.”

“Credevo non ci fosse altro da dire, visto che era uno scherzo.”

E invece no, pensava Kise: c’era molto da dire. Kaori sosteneva che Aomine provasse qualcosa, per lui, e che una fonte sicura glielo aveva rivelato. Non voleva dare troppo credito alle parole della sorella, ma non riusciva a fare a meno di illudersi che forse, nel profondo, nell’angolo più remoto dell’universo, si nascondesse un briciolo di verità. “Però questo non cancella il fatto che hai iniziato ad evitarmi: perché?”

Aomine digrignò i denti e si portò una mano dietro la nuca per grattarsela. Era nervoso e in quel momento voleva solo prendere un pallone da basket e fare qualche schiacciata per scaricare la tensione. “Senti, mi trovavo in una situazione strana: la storia gay sul giornale della scuola, quelle psicopatiche delle tue fan che mi minacciano, tu che… be’, insomma, non ci stavo capendo niente.”

Aominecchi, sei troppo evasivo!”

“Ma che cosa vuoi che ti dica?”

I toni iniziarono ad alzarsi. Ancora una volta stavano litigando e Kise proprio non riusciva a trattenere la propria frustrazione. “Sono riuscito ad avere il diario, ieri! Mi vergogno se penso che anche tu lo hai letto e credevi che io provassi certi… sentimenti… per te… ma falsi o veri che siano, non ti stavi comportando bene. Ti vergognavi a parlarmi dopo aver saputo certe cose, oppure… oppure ti facevo schifo?”

Aomine si sentiva alle strette. Ma perché cazzo se la stava prendendo tanto a cuore? Perché doveva rendere le cose così difficili? E soprattutto perché tutti quanti (Sastuki, Tetsu, Kise) lo rimproveravano come se fosse sempre lui quello dalla parte del torto? Non ne poteva davvero più.

“Mi avete proprio rotto le palle, tutti quanti! Te la stai prendendo come se ti avessi spezzato il cuore per davvero! Da quando è cominciata questa storia non avete fatto altro che rompermi l’anima! Ma si può sapere qual è il tuo problema?”

“Il mio problema è che mi piaci! Ecco, qual è il mio problema!” Kise urlò così forte che solo per miracolo non lo avrebbero sentito tutti quelli nella palestra. Lo aveva detto. Non poteva crederci, ma lo aveva fatto sul serio. Era così esasperato che non ce l’aveva fatta a tenersi tutto dentro un secondo di più. Rimasero entrambi pietrificati senza proferir parola; il silenzio tra loro era squarciato dal chiacchiericcio dei ragazzi nella palestra e dal suono dei palloni che rimbalzavano sul parquet.

D’un tratto, Aomine si accorse di un’altra presenza lì vicino. Voltò la testa di scatto, non sapendo se essere grato di avere un pretesto per uscire dal limbo di imbarazzo e meraviglia in cui erano caduti oppure temere il peggio.

“Stiamo per iniziare e l’allenatore mi ha chiesto di venirvi a cercare” spiegò Kuroko per giustificare la sua presenza lì. Di certo aveva udito la confessione di Kise.

“Sì, arriviamo” rispose Aomine, camminando meccanicamente. Notò che Kise era rimasto impalato lì dov’era e si fermò per guardarlo. Aprì la bocca per dirgli qualcosa, anche solo incitarlo ad entrare, ma non riuscì ad emettere alcun suono dalle labbra dischiuse. Si voltò e lo lasciò lì, solo, nel suo limbo di sconcerto e disperazione.  

 

 

Note dell’autrice

Che ci crediate o no, questo è stato un colpo di scena anche per me XD Inizialmente non l’avevo pensata così la dichiarazione, ma scrivendo ho lasciato che gli eventi mi guidassero e sono giunta a scrivere ciò.

Altro che storia romantica, qui Kise e Aomine passano la maggior parte del tempo a litigare! D:

Ringrazio le ben 114 persone che preferiscono/ricordano/seguono questa long (non pensavo nemmeno che lo frequentassero il fandom così tanti lettori) e ovviamente chi recensisce con tanta passione e pazienza trasmettendomi l’entusiasmo per continuare X3

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Capitolo 14
*** Terapia d'urto ***


Anonymous

 

 

Terapia d’urto

 

 

Di ritorno a casa, Momoi osservava preoccupata il suo accompagnatore, pensoso e taciturno molto più del solito. “C’è qualcosa che non va, Tetsu-kun?”

“No, niente. Mi devi scusare, non sono molto di compagnia oggi.”

“Oh no, niente affatto, anzi, grazie per esserti offerto di accompagnarmi a casa, visto che Aomine-kun è praticamente sparito dopo l’allenamento. Chissà che gli è preso.” A dire il vero Momoi si chiedeva cosa gli fosse preso a tutti, Kuroko compreso, ma non osò dirlo per timore di risultare troppo acida. E poi, tutto sommato, non poteva dire di essere tanto dispiaciuta per come si erano messe le cose: in fondo ora stava passeggiando con il suo Testu-kun senza avere Aomine tra i piedi che monopolizzava la sua attenzione parlando di basket.

“Io credo di sapere cosa aveva Aomine-kun.”

“Davvero?”

“Sì. Non l’ho fatto apposta, in verità. L’allenatore mi aveva chiesto di andare a cercare lui e Kise-kun per iniziare l’allenamento, ma quando li ho trovati, ho sentito Kise-kun che si dichiarava ad Aomine-kun.”

Momoi si fermò di colpo, pietrificata. Kuroko avanzò di altri due passi prima di fermarsi e girarsi per guardarla.

La ragazza aveva la bocca spalancata, gli occhi sbarrati e sembrava sul punto di dare di matto. “Cooooooooooooooooooooosa? Dichiarato? Intendi dire che Ki-chan ha… cioè, ha proprio confessato di…”

“Sì, quello” confermò serafico Kuroko.

“Oh mio Dio! Non posso crederci, finalmente ce l’ha fatta!” Momoi era passata dallo stupore all’euforia in un attimo. Era sinceramente entusiasta per quella notizia, come se avesse aspettato secoli prima di poterla sentire.

“Finalmente?”

“Ehm… be’, diciamo che non era un mistero che Ki-chan provasse qualcosa per Dai-chan.”

“No, in effetti no. Solo, non credevo che ciò potesse renderti tanto felice.”

Ripresero a camminare, Kuroko aveva il consueto passo cadenzato e regolare, Momoi quasi trottava di gioia. “E Dai-chan che cosa gli ha risposto?”

“Niente. Mi ha seguito in palestra.”

Cooooooooooooooooooosa?”

Kuroko provò un fastidioso senso di déjà . Di nuovo si fermarono, ma questa volta era stata l’indignazione a frenare i piedi di Momoi. “Non ha detto neanche una parola? Niente di niente?”

“Sembrava che volesse dirgli qualcosa, ma non sapeva bene neanche lui cosa, quindi ha preferito tacere.”

“Ora capisco perché si comportava così oggi ed era sempre distratto. Questa sera vado a casa sua e gli faccio una ramanzina che…”

“Ti consiglio di no” la frenò subito Kuroko, prima che i livelli di estrogeno schizzassero alle stelle.

“Dici che non dovrei?”

“Io non conosco bene Aomine-kun come te, ma non credo che spronarlo ad andare da Kise-kun e parlargli sia in questo caso la soluzione migliore. Poteva andare bene quando hanno litigato, ma questa è una situazione diversa. Se Aomine-kun andasse a parlargli, non saprebbe cosa dire, perché in verità neanche lui sa esattamente cosa prova, oppure lo sa ma non riesce a convincersene. Sono convinto che Aomine-kun abbia bisogno di una terapia d’urto.”

“Terapia d’urto?”

“Hai presente la storia pubblicata sul giornaletto scolastico?”

“Certo che sì. Ah, ma la conosci anche tu? Credevo che ad un maschietto non interessassero certi generi.”

“Mi piace leggere un po’ di tutto. Comunque, da quando Aomine-kun ha letto quella storia è come se fosse stato costretto ad affrontare i suoi pensieri. È diventato più consapevole di tante cose che prima ignorava e ha riflettuto su molte altre ancora. Adesso è confuso, si vede, per questo ha bisogno di una terapia d’urto.”

“E in cosa dovrebbe consistere questa terapia?” Momoi pendeva letteralmente dalle labbra di Kuroko. Era così raro vederlo tanto loquace. Lei adorava ascoltarlo. Parlava in modo limpido, articolato, senza sbavature: si capiva che era un accanito lettore di romanzi. E poi la sua voce serafica, pacata, a volte ipnotica. Lo avrebbe ascoltato per ore, se solo Kuroko fosse stato il tipo di ragazzo che parlava per ore, ma forse era proprio questo a rendere quei rari momenti di loquacità ancora più preziosi e affascinanti.

Aomine-kun ha bisogno di qualcuno che gli dica chiaro e tondo quali sono i suoi stessi sentimenti e costringerlo, in questo modo, ad accettarli.”

 

 

Seduto alla panca, con l’asciugamano intorno alle spalle e una bibita energetica nella mano destra, Kise sprofondava sempre più in una voragine di autocommiserazione. Come aveva fatto ad essere così stupido, il giorno prima, da esternare così i propri sentimenti ad Aomine? Dannata la sua lingua lunga e la sua impulsività! Ma non poteva semplicemente far finta di nulla, invitarlo a giocare a qualche one-on-one e dopo amici come prima?

Che idiozia! Ma quali amici come prima? Aomine non era suo amico, o meglio Kise non poteva vederlo come amico, perché Aominecchi era molto, molto più che un semplice amico o compagno di squadra. E lui era stato così insistente e così stupido da pretendere a tutti i costi qualcosa di più; qualcosa che non esisteva e mai sarebbe esistito.

Ora era facile immaginare cosa sarebbe successo. Aomine aveva letto il suo presunto diario segreto e aveva deciso di ignorarlo, evitarlo. Kise lo aveva convinto che era tutto falso, non solo il diario, ma anche ciò che vi era scritto sopra. Invece adesso non poteva rimangiarsi la parola.

Aveva scoperto le sue carte e non c’era modo di riprenderle in mano e sperare di cambiare il corso della partita. Aomine sarebbe ritornato ad evitarlo. Avrebbe solo voluto chiedergli il perché, solo questo. Dopotutto, era così difficile rimanere amici? Evidentemente per Aomine lo era. Ed era inutile mentire, lo sarebbe stato anche per Kise.

Con la testa china, sentì tutti gli altri compagni di squadra andarsene. Doveva ancora farsi la doccia, ma aveva le membra troppo molli anche solo per pensare di muoversi. Udì la porta aprirsi e richiudersi di nuovo alle sue spalle. Forse era qualcuno che aveva dimenticato qualcosa nell’armadietto.

Yo.”

Kise riconobbe subito quel saluto. Si voltò di scatto, sorpreso. Sorpreso perché lui e Aominecchi erano soli nello spogliatoio, sorpreso perché Aominecchi lo aveva salutato, sorpreso perché sembrava che Aominecchi fosse lì appositamente per parlare con lui. A giudicare dalla tenuta sportiva e dal sudore che ancora gli imperlava la fronte, Aomine si era trattenuto in palestra più a lungo. Possibile che lo avesse fatto di proposito per parlargli a quattr’occhi?

Aominecchi…”

“Sì, mi chiamo così.” Kise avrebbe voluto sorridere alla sua battuta ma proprio non ci riuscì. “Dobbiamo parlare.”

“Oh, e chi è stato a mandarti da me questa volta? Momoicchi, di nuovo, oppure è stato Kurokocchi?” Non voleva essere sgarbato, in fondo l’altro non gli aveva fatto niente di male, per il momento, ma sapeva che il discorso che si apprestavano ad intavolare sarebbe stato più corrosivo di un acido; per tanto, meglio mettersi subito sulla difensiva, in modo da attenuare il colpo che presto Aomine gli avrebbe sferrato.

“Nessuno. L’ho deciso io.”

Questo sì che colpì seriamente Kise. Maledizione, ma perché bastava così poco per farlo vacillare? “D’accordo, parliamo.”

“In verità, non c’è molto di cui parlare. Visto che ormai hai messo in chiaro le cose, volevo fare lo stesso anche io e chiudere definitivamente la faccenda. Volevo dirti che io non posso ricambiare i tuoi sentimenti.”

“Era per questo che volevi evitarmi, allora?”

“Sì.”

Kise si aspettava una risposta simile alla sua dichiarazione, eppure, in cuor suo, aveva continuato ingenuamente ad illudersi di sentire qualcosa di diverso. Le parole di Aomine avevano spento drasticamente anche l’ultimo barlume di speranza. “Va bene. Grazie per la sincerità e la… correttezza.” Mostrò un sorriso così falso e tirato che persino Aomine lo capì.

Questi aprì la bocca per dire qualcosa, chiedergli se era tutto a posto, ma si sarebbe sentito un vero stupido, data l’ovvietà della risposta. Forse avrebbe dovuto chiedergli come si sarebbero dovuti comportare da adesso in poi, ma sentiva che Kise aveva bisogno di un po’ di tempo per metabolizzare la notizia.

Aomine non sapeva cosa significasse essere rifiutati da qualcuno, ma una vaga idea se l’era fatta. In silenzio si appropinquò al proprio armadietto, mentre Kise apriva il suo più per tenersi occupato che per altro. Trovò una lettera in bella mostra. Non era raro per lui trovarne qualcuna scritta dalle sue ammiratrici. La prese con non curanza. Sulla parte frontale non vi era alcuna scritta. La girò e ciò che vi lesse gli fece scattare un campanello d’allarme nella testa.

‘Per Kise e Aomine.’

Un brutto presentimento iniziò a serpeggiargli lungo la spina dorsale, facendolo rabbrividire. Aprì la busta nervoso e ne tirò fuori quattro fogli scritti al computer. Ovviamente, non c’era il nome dell’autrice.

Aominecchi!”

 

‘Cari Kise e Aomine,

per prima cosa volevo ringraziarvi con tutto il mio cuore per avermi ispirato la storia Master Basket. Senza di voi e la vostra magnifica personalità non sarei mai riuscita a dare vita ad una trama così bella da far sognare tutte le studentesse della nostra scuola.

Purtroppo, sono a conoscenza di alcuni spiacevoli eventi che vi hanno coinvolto addirittura in una rissa a causa di quello che ho scritto. Sfortunatamente non tutti hanno una mentalità aperta e libera.

So che avete letto la mia fiction. Spero che sia stata di vostro gradimento e qui arriviamo al motivo per cui ho scritto questa lettera. Il nuovo capitolo è molto atteso dai miei lettori e, data la natura dello stesso, ho preferito farvelo leggere in anteprima, di modo da prepararvi al meglio per quando verrà pubblicato, dopodomani.

Confido che vi piaccia e vi auguro una buona lettura.’

 

“Cosa c’è?” Aomine si voltò verso un Kise esterrefatto con gli occhi incollati ad una lettera. “Allora? Perché mi hai chiamato?”

Senza dire una parola, Kise gli porse il foglio che aveva appena terminato, apprestandosi a leggere il quarto capitolo inedito di Master Basket.

 

Aimine era goffo ma adorabile allo stesso tempo. Aveva troppa paura di fare del male a Kisu, a causa della gamba infortunata.

Kisu lo tranquillizzò subito. –Non trattenerti: ho aspettato così tanto questo momento.

Si baciarono a lungo e con trasporto, mentre la mano di Kisu, dentro i pantaloni di Aimine, nelle sue mutande, lo stava mandando in estasi. Tra maschi era facile, ognuno sapeva perfettamente cosa volesse l’altro e cosa piacesse di più.

In men che non si dica si tolsero i vestiti. Si strinsero l’uno all’altro nudi, eccitati. Kisu era impaziente di ricevere ed essere travolto dal desiderio di Aimine. Aprì le gambe più che poté per farlo stendere tra di esse. Era talmente felice che temeva sarebbe venuto in pochi secondi.

–Sii gentile, è la mia prima volta.

–Anche per me – confessò Aimine.

Lo prese piano, godendo di ogni secondo che impiegò per entrare in lui. Avvolto dal suo calore si sentiva in paradiso. Non aveva mai provato una sensazione simile prima di quel momento e rimpianse di non essersi deciso a confessare prima i suoi sentimenti.

Fecero l’amore con dolcezza, l’uno specchiato negli occhi dell’altro. Si sorrisero, felici come non mai. Kisu a stento riusciva a trattenere i gemiti.

–Voglio sentire quanto ti piaccio.

–Se mi lasciassi andare, mi sentirebbe tutta la città.

Aimine aumentò la passione con cui lo possedeva e Kisu davvero non riuscì più a strozzare le urla di piacere. Raggiunsero l’orgasmo insieme, in perfetta sincronia. Era durato poco, ma per la loro prima volta non avrebbero potuto sperare di meglio.

–Ti amo tanto­­– disse Kisu, con voce miagolante.

–Anch’io ti amo­– rispose Aimine, regalandogli il suo sorriso più bello. Si stese di lato, per riprendere fiato.

Il sudore evaporò lentamente, ma i due giovani non se ne curarono. Aimine osservò a lungo il bel corpo del compagno. Lo accarezzò tutto, dal petto alle cosce. Non c’era da stupirsi se molte ragazze impazzissero per lui.

Aimine, invece, aveva un fisico più scolpito e un fascino rozzo, animalesco. Kisu seguì il suo esempio e iniziò a toccarlo allo stesso modo; aveva fantasticato un migliaio di volte su quei bei muscoli tonici.

Bastarono poche carezze ben mirate per risvegliare il loro desiderio.

–Ancora­­– supplicò Kisu. –Ti voglio ancora una volta.

Aimine lo accontentò subito. Se non fosse stato per la gamba malridotta di Kisu avrebbero potuto fare molto di più. Si inginocchiò tra le sue gambe, gli sollevò le anche e lo prese di nuovo, questa volta meno delicato, ma sapeva che il peggio era già passato.

Gli inferse dei colpi di bacino rudi e selvaggi, mentre con la mano gli dava sempre più piacere seguendo il proprio ritmo. Questa volta durò più a lungo e continuò anche dopo che Kisu si era svuotato per la seconda volta. Quando esausto si accasciò su di lui, si baciarono per diversi minuti, senza mai essere sazi l’uno della bocca dell’altro.

–Forse è meglio che ci rivestiamo adesso o potrei decidere di farlo una terza volta– disse Aimine.

–A me non dispiacerebbe.

Ma erano troppo stanchi per pensare di concedersi una terza volta. Si assopirono l’uno di fianco all’altro, Kisu stretto tra le braccia del suo amato, addormentandosi tra dolci baci e ripetuti ‘Ti amo’. ’

 

Kise sentì le guance bruciare, segno che era arrossito vistosamente. Era come se qualcuno fosse entrato nella sua testa e avesse riportato su carta i suoi sogni più proibiti. Aveva tentato di leggere con un certo distacco, immaginando i due protagonisti con delle fattezze diverse da quelle di lui e Aominecchi ma aveva fallito miseramente.

Lasciò andare i fogli e corse in bagno prima che Aomine potesse vedere il suo imbarazzo.

Lo sentì biascicare qualcosa, forse una bestemmia, ma non afferrò il significato delle sue parole. Si chiuse la porta alle spalle, aprì il rubinetto di acqua fredda e si bagnò il viso una, due, tre, moltissime volte.

Niente da fare. Leggere nero su bianco quella scena erotica aveva scatenato le sue più sfrenate fantasie e ora aveva un vistoso problema in mezzo alle gambe che proprio non aveva il tempo di risolvere. Non ci voleva, assolutamente.

Se prima, quando Aomine lo aveva esplicitamente rifiutato, era riuscito a mantenere una parvenza di dignità, ora rischiava di mandare tutto all’aria. Si preoccupò quando non sentì il compagno parlare o chiamarlo dallo spogliatoio.

Aveva il sangue ancora tutto mescolato in circolo, ma aprì lo stesso la porta.

Aomine era seduto sulla panca, di spalle a lui, con ancora i fogli in mano. Chissà cosa gli passava per la testa dopo aver letto quella… cosa.

Aominecchi? Tutto a posto?”

“No, non c’è niente di a posto! Dobbiamo fermarla! Non possiamo permettere che il giornaletto scolastico pubblichi questa roba.” Così dicendo, Aomine si alzò e, senza guardare in faccia Kise, si diresse a passo di marcia verso l’uscita.

Tuttavia, Kise lo vide rosso come un pomodoro e questo lo tranquillizzò: evidentemente non era l’unico a subire gli effetti collaterali di una lettura tanto osé. Ma ci fu un altro dettaglio, molto più sconcertante, che notò.

Forse era stato solo il frutto della sua immaginazione, la suggestione per ciò che aveva letto stava influenzando i suoi occhi e vedeva cose che non esistevano.

Aomine posò la mano sulla maniglia della porta. Stava andando via troppo di fretta, come se… stesse scappando.

Kise poggiò il palmo della mano sulla porta, così da impedirgli di aprirla.

“Che cazzo fai?” imprecò Aomine, ma non accennò a voltarsi.

“Girati.”

“Che?”

“Ti ho chiesto di girarti” ripeté Kise.

“Mi prendi in giro? Guarda che mi stai facendo arrabbiare ancora di più…”

Il rifiuto persistente di Aomine a voltarsi non fece altro che confermare i sospetti di Kise. Questi lo prese per il braccio, cogliendolo alla sprovvista, e lo costrinse e girare su sé stesso facendogli sbattere la schiena al muro. Gli occhi di Kise corsero verso il basso e no, non si era sbagliato. All’altezza del  cavallo dei pantaloni sportivi di Aomine c’era un inconfondibile rigonfiamento.

Aominecchi… tu…”

“Non è quello che pensi.”

Aominecchi…”

“Non lo so nemmeno io che diavolo mi è preso, ma non farti strani film in testa. A me piacciono solo le…”

Non sapeva perché lo avesse fatto, forse era solo stanco di sentire tante menzogne, di essere preso continuamente in giro, ma una cosa la sapeva, adesso: che le labbra di Aominecchi erano più morbide di quanto avesse mai immaginato.  

 

 

Note dell’autrice

Rispetto ai miei standard ci sto mettendo molto più tempo del previsto per ‘arrivare al sodo’. Intanto ecco un piccolo antipasto: ovviamente la scena è frettolosa e non eccessivamente dettagliata per adeguarmi allo stile dell’autrice di Master basket.

Siamo quasi all’arrivo, non mancheranno molti capitoli, anzi: se tutto andrà per il meglio dovrebbero essere 3, massimo 4. Dipende da cosa mi verrà in mente scrivendo di volta in volta gli altri capitoli ^^ Mi raccomando non abbandonatemi proprio ora che siamo giunti (quasi) alla fine: i vostri commenti sono il mio sostentamento per scrivere <3

 

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Capitolo 15
*** Così evidente ***


Anonymous

 

 

Così evidente

 

 

Il suo primo bacio ad Aominecchi non fu esattamente come Kise se lo era sempre immaginato. Anzi, a dire il vero, non era certo il migliore che avesse mai ricevuto, magari perché Aomine rimase pietrificato per l’incredulità di quanto successo. Se Kise avesse baciato una statua con le sue fattezze avrebbe avuto, forse, più soddisfazione.

Ma lo stupore non durò a lungo e quando Aomine realizzò la situazione non decise affatto di ricambiare. Artigliò la gola dell’altro per allontanarlo da sé e fissarlo negli occhi con uno sguardo che avrebbe potuto incenerirlo. Tutto ciò che vide di rimando fu il sorriso di scherno di Kise.

“Ti puzza forse la vita?”

Aominecchi, Aominecchi!” cantilenò Kise che proprio non riusciva a smettere di sorridere tronfio della sua audacia. “Giochiamo a basket insieme da tanto tempo, so bene quanto sono pronti i tuoi riflessi. Se davvero avessi voluto mi avresti evitato senza problemi.”

“Non riderai più dopo che ti avrò fatto di nuovo l’occhio nero!” Il pugno di Aomine si strinse in modo minaccioso, ma Kise non credette neanche per un secondo che l’amico lo avrebbe colpito.

“Fallo! Se ho sbagliato oppure ho capito male colpiscimi pure, perché me lo merito. Ma se ho ragione…” lasciò la frase in sospeso. L’aria si caricò di tensione e sottintesi.

La prese al collo non accennò a diminuire, ma il pugno era ancora lì, immobile, vicino al fianco di Aomine. Kise lo conosceva abbastanza bene da sapere che se avesse voluto fargli del male lo avrebbe già fatto. Del resto, quando lo aveva aiutato nella rissa sopra il tetto, si era fiondato contro i suoi quattro avversari guidato solo dall’istinto, senza pensarci su due volte.

Sorrise ancora. Gli afferrò il polso e si liberò dalla sua presa senza sforzo. Tuttavia, non si allontanò neanche di mezzo passo.

“Non ti colpisco solo perché non vorrei sorbirmi le lamentele di tua sorella per averti sfigurato quel faccino da modello che hai.”

“Va bene, fingerò di crederti. Ma a parte minacciarmi di darmi un pugno, non c’è altro che vuoi dirmi?”

Aomine mostrò per un attimo smarrimento e nervosismo a quella esortazione. “Su cosa?”

Kise sospirò sonoramente. Stava seriamente meditando l’idea di darglielo lui il pugno, così si sarebbe svegliato una volta per tutte. “Ti ho appena baciato, meno di un minuto fa, non hai nulla da dirmi?”

“No, niente.” Aomine fece un passo in avanti, gli poggiò una mano sul petto per allontanarlo, ma Kise oppose resistenza e non volle indietreggiare nemmeno di mezzo passo. Tutta la sicurezza e la spavalderia di poco prima erano scomparse, lasciando il posto ad un’espressione delusa, amareggiata e arrabbiata.

“Guardati nei pantaloni: ti sembra niente quello?”

“Ho avuto una reazione imprevista, anche per me. Non ho davvero niente da dire…”

“Bugiardo!”

“Ok, allora non so che cosa dire. In questo momento sono solo confuso.”

Finalmente Kise aveva avuto una risposta sensata, anche se era davvero stanco di quell’atteggiamento. Da quando era iniziata quella storia non facevano che litigare, continuamente. Appena provavano ad addentrarsi in un argomento spinoso, i toni si alzavano e subito finivano per urlarsi contro. Cercò di modulare la voce in modo da renderla il più morbida e confortante possibile: in quel momento, Aomine gli sembrava solo un grosso animale spaventato che attacca per difendersi. “È normale essere confusi. Anche io lo ero quando ho iniziato a provare certi sentimenti. Poi ho imparato a concentrarmi solo su quello che mi piaceva e allora ho capito tutto.” Fece una pausa e il suo volto si addolcì per far metabolizzare ad Aomine il significato delle sue parole e fargli comprendere che ‘quello che gli piaceva’ era in riferimento a lui.

“La fai facile tu. Come quella… cosa… là…” disse Aomine, indicando vagamente le pagine sulla panca dietro Kise, “… dove fanno sembrare che una dichiarazione d’amore sia una cosa da niente.”

“Non è facile, lo so. Ci sono passato anche io. Aominecchi, ormai è così evidente, non puoi far finta di nulla.”

Aomine poggiò la testa contro il muro dietro di sé, sollevò gli occhi al cielo e poi li chiuse, come se avesse bisogno di rintanarsi un attimo in sé stesso per elaborare quella realtà che il suo corpo, per primo, gli aveva mostrato in modo tanto spudorato. “Evidente, dici?” Sospirò.

Era evidente che leggere quella scena erotica in cui i due protagonisti non erano altri che lui e Kise lo aveva eccitato, con sua somma sorpresa, per giunta.

Era evidente che avrebbe potuto scansare il bacio di Kise: si era accorto delle intenzioni dell’altro, ma il suo corpo lo aveva tradito, bloccandolo e costringendolo ad entrare in contatto con le labbra di Kise quasi volesse dirgli ‘In fondo è questo quello che vuoi davvero’.

Era evidente, infine, che lo stesso bacio, per quanto imprevisto, per quanto la sua mente avesse tentato di lottare, non era stato affatto sgradevole. Il respiro di Kise contro le sue guance, le loro labbra premute le une contro le altre, tutto, per un istante, gli aveva procurato un delizioso formicolio alla bocca dello stomaco. Non aveva mai baciato nessun altro prima, ma era certo che fosse quella la sensazione che si dovesse provare quando succede con la persona che più ti piace.

Aominecchi?” lo chiamò Kise dopo un lungo, profondo silenzio.

L’altro aprì gli occhi e li fissò nei suoi: due laghi dorati in trepidante attesa di una sua parola, un suo gesto. Un sorriso amaro gli arricciò le labbra. “Lo dicevo io che quella merda la faceva troppo facile.”

“Eh? Vuoi dire che…?”

“Voglio dire che in quella storia Aimine si accorge dei propri sentimenti per Kisu in modo troppo semplice e sempre in modo troppo semplice glieli confessa. Ah, nella vita reale non è affatto così!”

Kise stentò a credere alle proprie orecchie. Ci era riuscito! In un modo o nell’altro era riuscito a far aprire gli occhi ad Aominecchi. Sentiva il proprio cuore scoppiargli in petto per la gioia. Non poté più trattenersi e lo abbracciò al collo, spingendolo ancora una volta contro la parete e premendolo con il proprio corpo.

“Aspetta, idiota! Dammi almeno il tempo…”

Aominecchi, lasciami fare” sussurrò Kise.

Aomine si ammutolì, irrigidendosi tutto come se i muscoli fossero diventati di legno, quando sentì le labbra del compagno dargli un bacio sul collo, proprio nell’incavo della curva con la spalla. Salì di poco, sfiorandogli la pelle con la punta del naso e posò un altro bacio, questa volta un po’ più forte e lungo. Sorrise appena quando sentì Aomine rabbrividire. La pelle d’oca era senza dubbio un buon segno.

Continuò così fino a raggiungere l’orecchio, fece schioccare le labbra sul lobo e lo rilasciò subito. Lentamente percorse la linea della mandibola, come se volesse dire all’altro ‘Sto per darti un bacio sulla bocca, quindi tieniti pronto’. Quando infine giunse alla meta, aveva gli occhi socchiusi, ma da sotto le ciglia poteva sbirciare l’espressione tesa di Aomine. Premette maggiormente il corpo contro il suo, poggiò una mano all’altezza del cuore e l’altra sulla spalla opposta. Voleva godersi ogni istante di quel momento che aveva vissuto solo nelle sue fantasie.

Per la seconda volta, le loro labbra si unirono, questa volta più dolcemente. Aomine si limitò a restare passivo, con le mani abbandonate lungo i fianchi, lasciando a Kise piena libertà d’azione.

E Kise si prese tutte le libertà possibili. Gli succhiò appena il labbro inferiore, giocherellandoci un paio di secondi con i denti, poi lo rilasciò, leccandolo con solo la punta della lingua che salì a lappare anche quello superiore. Gli tempestò la bocca di piccoli, languidi baci prima di osare.

La lingua lo invitò a dischiudere le labbra e Aomine accettò, aprendole appena. Quando ne avvertì il calore e la morbidezza, timidamente provò ad assecondarla. Doveva ammettere che Kise ci sapeva davvero fare. Non c’era da stupirsi in fondo. Bello com’era aveva avuto qualche fidanzata e di certo le ragazze non si erano accontentate di passeggiare con lui mano nella mano.

Per la prima volta, Aomine si sentì inadeguato ma Kise sapeva condurlo e adattarsi al suo ritmo impacciato. Temeva il momento in cui si sarebbero dovuti separare. Cosa avrebbe dovuto dire o fare? Non ne aveva idea, ma in quel momento voleva solo godersi quella nuova, eccitante sensazione.

Anche se a malincuore, Kise considerò che era abbastanza. Era ben lontano dal ritenersi sazio e soddisfatto, ma non voleva rischiare di esagerare e sembrare un affamato disperato. Cercò di allontanarsi, ma con sua somma sorpresa Aomine lo abbracciò, stringendolo a sé. Fino a quel momento era stato ben attento a non entrare in contatto con il suo corpo in un certo modo, ma l’impeto del gesto lo schiacciò così tanto che le loro parti basse finirono per scontrarsi. Un gemito acuto di eccitazione e meraviglia gli scappò, ingoiato da Aomine che proprio non ne voleva sapere di staccarsi più. Nonostante la foga del bacio che aumentava di secondo in secondo, Kise riuscì persino a sorridere.

Infilò la mano sotto la larga maglietta di Aomine, ancora umida di sudore, e gli accarezzò con ampi movimenti circolari quegli splendidi addominali che tante, troppe volte aveva desiderato toccare. Ma Aomine riuscì a stupirlo davvero quando, ormai più sicuro e padrone della situazione, invertì le posizioni sbattendolo contro il muro e approfondì il bacio fino a impedirgli di respirare.

Non che a Kise dispiacesse l’idea che il ragazzo dei suoi sogni ci stesse mettendo così tanta passione nel loro primo vero bacio, ma la mancanza d’aria era un problema da non sottovalutare.

Ao…” tentò di chiamarlo ma invano. “Aomi…” Aveva bisogno d’aria e così fece l’unica cosa che gli venne in mente, anche se ciò significava sacrificare la complicità e la passionalità che si era accesa: gli morse la lingua, ma non troppo forte.

“Ahia!”

Finalmente Aomine si staccò e Kise poté prendere fiato a pieni polmoni. “Mi stavi soffocando…” si giustificò, prima che l’altro potesse inveirgli contro. Sentiva le labbra formicolare come mai gli era successo prima.

“Potevi anche dirlo.”

“C’era la tua lingua che me lo impediva” celiò.

Aomine anche sorrise, ma subito voltò la testa da un’altra parte nel vano tentativo di nascondere qualcosa e subito Kise intuì cosa fosse: il suo rossore in volto. Non si sarebbe mai aspettato di vederlo, eppure eccolo lì, Aomine Daiki, l’asso della squadra di basket, il rude e virile power forward con le guance appena tinte di rosso. Ah, se solo avesse potuto fotografarlo!

La tentazione di baciarlo ancora fu quasi irresistibile e Kise dovette appellarsi a tutto il suo autocontrollo per trattenersi. Voleva vedere quali sarebbero state le reazioni dell’altro ora che i reciproci sentimenti erano emersi alla luce del sole.

“E ora che si fa?” domandò Aomine. Odiava sentirsi così imbranato, ma una situazione del genere non sapeva proprio come gestirla, del resto non aveva mai avuto una fidanzata prima… o un fidanzato.

“Non c’è un regolamento da seguire. Possiamo fare quello che vogliamo. Continuare a comportarci come sempre. Possiamo uscire insieme nei fine settimana, magari.”

“Però evitiamo di fare certe cose davanti ad altre persone” specificò Aomine.

Kise tirò fuori dal suo arsenale di sorrisi quello più malizioso che gli riuscì. “Ovviamente” rispose languido, come se avesse voluto dirgli che non era mica un idiota assatanato che gli sarebbe saltato addosso alla minima occasione. Subito dopo scoppiò a ridere di gusto e con tutta la spontaneità di questo mondo lo prese per mano e lo tirò. “Andiamo a farci una doccia, adesso.”

“Che?”

Il tono allarmato nella voce di Aomine non gli sfuggì. Si girò subito per rassicurarlo, dandogli un bacio a fior di labbra. “Parli come se non avessimo mai fatto la doccia nello stesso momento.”

“Sì, ma adesso…”

“Guarda che anche per me è tutto nuovo. E poi non intendevo farci la doccia insieme in quel senso lì. Sei tu che sei malizioso. Al massimo ti laverò la schiena, se vuoi.” Kise non era sicuro di poter resistere alla tentazione di toccare Aomine ovunque non appena lo avesse visto nudo e ricoperto di schiuma, ma accelerare troppo le cose sarebbe stato sconveniente. Del resto, anche per lui erano le prime esperienze con un ragazzo. Meglio seguire il naturale flusso degli eventi, pensò.

“Io non sono affatto malizioso” puntualizzò l’altro. In risposta ebbe solo una risatina accondiscendente, che aveva tanto il suono di una presa in giro.

Le docce erano strutturate con dei separé senza le porte. I due ragazzi si spogliarono nel più assoluto silenzio. Il primo a finire fu Aomine, che subito si fiondò sotto la doccia. Come aveva detto Kise non era la prima volta che si mostravano nudi l’uno agli occhi dell’altro, ma ora tutto aveva acquisito una sfumatura diversa: i loro corpi erano sempre gli stessi, ma non il modo in cui si guardavano. In particolare, non voleva certo fargli vedere quanto ancora era su di giri a causa della lettura insolita e di quel bacio che di casto aveva ben poco. E mentre era perso nelle proprie elucubrazioni mentali, sentì un secondo scroscio d’acqua alla sua destra, segno che anche Kise aveva iniziato a lavarsi.

Per quest’ultimo era davvero strano sapere che Aomine, il ragazzo dei suoi sogni, si trovava a meno di un metro da lui, nudo e, chissà, forse con i suoi stessi dubbi nella testa. Sarebbe stato incantevole fare la doccia insieme, ma quello sarebbe stato il classico passo più lungo della gamba. Meglio lasciare che Aomine digerisse l’esperienza di pochi minuti prima, e solo dopo proporgli nuove prelibate pietanze da assaggiare.

Peccato solo che la sua virilità proprio non voleva saperne di calmarsi e attendeva trepidante la conclusione di quello che avevano iniziato.

Mi devo calmare, non so come, ma devo.

Si versò dello shampoo sui capelli e iniziò a frizionarli, concentrando tutti i suoi pensieri e le sue energie nelle punte delle dita.

E Aominecchi? Anche lui ha lo stesso problema? Prima sembrava proprio di sì. Non posso certo chiederglielo però.

Tuttavia il desiderio di andare da lui era così prepotente e pulsante che, senza ragionare, gli chiese: “Aominecchi, posso lavarti la schiena?”. Si morse la lingua subito dopo, ma non poteva rimangiarsi le parole ormai.

Aomine disse qualcosa ma tra lo scroscio dell’acqua e i suoi tormentosi pensieri Kise non riuscì a sentire. “Come hai detto?”

“Ho detto che va bene.”

“Davvero?” Emozionato, entusiasta e incredulo, Kise si risciacquò i capelli dalla schiuma, chiuse la manopola dell’acqua e aggirò il divisorio per infilarsi nel cubicolo di Aomine. Questi non si girò per tutto il tempo. Lasciò che le mani di Kise gli frizionassero la schiena, con somma beatitudine di quest’ultimo. Era qualcosa di così intimo e pieno di complicità che non avrebbe potuto desiderare di meglio. Forse solo…

“Ho finito.” Stava per girarsi e uscire dalla doccia quando Aomine gli afferrò il polso per bloccarlo.

Erano soli ed entrambi ancora ubriachi di desiderio. Quando avrebbero riavuto un’altra occasione simile? Non lo sapevano, quindi perché non approfittarne? Aveva avuto solo un assaggio, prima, e non gli era certo bastato. Visto che ormai era in ballo, tanto valeva concludere nel migliore dei modi e al diavolo tutto il resto.

Abbracciò Kise di nuovo e, come prima, lo spinse contro il muro. Questa volta non c’erano i vestiti a nascondere la loro eccitazione. Kise, che tanto aveva sognato e immaginato quel giorno, prese l’iniziativa, insinuando la mano tra i loro corpi, in basso, toccando, carezzando, massaggiando.

Aomine guardò verso il basso, curioso quasi di vedere come facesse il compagno a dargli tutto quel piacere che provava.

Kise sorrise e disse: “Puoi toccarmi anche tu. Fallo come lo faresti a te stesso.”.

Annebbiato dalla libido e dal piacere che aumentava sempre più, Aomine seguì il suggerimento, soddisfacendosi reciprocamente nel giro di pochi, pochissimi minuti. Aveva seguito solo l’istinto dal momento in cui lo aveva bloccato e baciato di nuovo, e, come al solito, sentiva che aveva fatto la cosa migliore non solo perché ora versava in uno stato di divina beatitudine, svuotato di ogni energia, ma anche perché, dovette riconoscere, Kise era di una bellezza incomparabile quando raggiungeva il picco del piacere ed emetteva quel lungo, acuto gemito di liberazione. Baciò ancora quella bocca invitante che gli aveva riempito le orecchie di ansiti voluttuosi e davvero non gli importava più niente di tutto il resto.  

 

Note dell’autrice

La stesura di questo capitolo è stata piuttosto controversa. All’inizio non sapevo come far cadere le difese di Aomine e convincerlo che doveva sbattersi Kise una volta per tutte! Poi, il dubbio riguardo la scena un po’ più hot: ci sta o non ci sta? Ma visto che nella vita in qualunque modo la fai sembra che non vada mai bene, ho deciso di fregarmene e lasciarmela perché un po’ di zozzerie le dovevano fare dopo tutta questa trafila che hanno dovuto subire u.u

E visto che il manga è giunto alla sua conclusione, per non essere da meno vi informo che il prossimo sarà l’ultimo capitolo, in cui sveleremo: chi è l’autore/autrice di Master basket? Chi è la fonte sicura di Kaori, la sorella di Kise? E cosa accadrà una volta che il quarto capitolo di Master Basket sarà pubblicato?

Al prossimo chap :3

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Capitolo 16
*** La vita non è una fanfiction ***


Anonymous

 

 

La vita non è una fanfiction

 

 

Kise emanava luce propria tanta era la gioia che pervadeva tutto il suo essere. Entrò in casa canticchiando e salì le scale saltellando come un fauno in un bosco pieno di ninfe. Non appena scaraventò la cartella sul pavimento e si tolse la giacca, sua sorella Kaori bussò alla porta e, senza attendere il permesso l’aprì.

“Ti ho mai detto che sono la migliore manager del mondo?”

“Tutte le volte che mi procuri un nuovo lavoro” rispose scherzoso Kise.

“Be’ questa volta mi sono superata. Sono riuscita a… eh?”

“Eh? che cosa?”

Il modo curioso, quasi indagatore, con cui Kaori lo guardava gli spense immediatamente il sorriso che aveva mantenuto per tutto il tempo da quando si era salutato con Aomine.

“È successo qualcosa?”

Kise non poteva certo raccontarle che finalmente, dopo tante settimane di travaglio, lui e Aomine si erano ufficialmente messi insieme e in modo a dir poco soddisfacente. Al solo pensiero delle effusioni che si erano scambiati sotto la doccia, delle mani che avevano regalato loro reciproco piacere, l’eccitazione tornò a farsi sentire spudorata e prepotente. “Niente di che.”

Per tutta risposta, Kaori gli si avvicinò fino a ridurre la distanza tra di loro a pochi centimetri. Era come se lo stesse scandagliando alla ricerca di un piccolo indizio. “Hai fatto pace con Daiki-kun?”

“Eh? Ma come diavolo hai fatto a…” Kise si portò subito le mani alla bocca per zittirsi, ma ormai era troppo tardi.

Kaori alzò le braccia in segno di esultanza. “Lo sapevo! Lo sapevo! In questi giorni eri diventato un musone spaventoso, ma adesso sei fin troppo raggiante!”

“Non mi stavi parlando di lavoro?”

“Chi se ne frega! Voglio, anzi no, pretendo che adesso mi racconti tutto, per filo e per segno: come vi siete riappacificati? Chi ha fatto la prima mossa? È stato complicato oppure…”

Kise prese la sorella per le spalle e la spinse di peso fuori dalla porta della sua stanza. “Ry-chan, non si trattano così le sorelle maggiori!”

“Solo quelle troppo impiccione come te” e non appena Kaori ebbe varcato la soglia della camera, Kise richiuse la porta con un sonoro tonfo. “Siamo di nuovo amici. Accontentati di questo.”

“Sicuro che siete solo amici adesso? Non mi sembra che tu abbia quella faccia lì.” Nessuna risposta giunse dall’altra parte, segno che Kise aveva deciso di barricarsi dietro un muro di silenzio per non tradirsi una seconda volta.

Kaori dovette accontentarsi delle sue supposizioni e subito corse in camera sua per prendere il telefono e chiamare qualcuno. Al quarto squillo la persona dall’altra parte rispose.

“Ciao, ho da dirti una cosa molto importante.” Raccontò quanto aveva visto e ipotizzato, dilungandosi su quanto Kise fosse sorprendentemente felice e arzillo più che mai. “Tu ne sai niente?... Ah, capisco… va bene, allora domani controlla tu e fammi sapere non appena scopri qualcosa… Ok, a domani allora!”

 

 

Aomine e Kise erano impalati davanti al cancello della scuola come due condannati a morte che presto sarebbero stati condotti al patibolo nella piazza pubblica. Il quarto capitolo di Master Basket, come aveva dichiarato lo stesso autore nella lettera anonima, era stato sicuramente pubblicato quella mattina. I due ragazzi sarebbero stati oggetto di sguardi maliziosi, risate giulive e, probabilmente, di scherzi maligni da parte degli altri studenti maschi.

“Be’, è inutile starsene qui. Prima o poi succederà, quindi entriamo e basta” esordì Aomine dopo svariati minuti di teso silenzio.

“Sì, credo tu abbia ragione” disse Kise, anche se non troppo convinto.

Entrati nel cortile della scuola respirarono un’aria ben diversa da quella che si aspettavano. Nessun chiacchiericcio concitato; nessuna euforia; nessuna gioia…

I due si guardarono prima l’un l’altro come per chiedersi reciprocamente conferma di quello che stava succedendo, o non stava succedendo, poi fecero vagare lo sguardo tutto intorno. Le ragazze riunite in gruppetti da tre, quattro o addirittura dieci reggevano il giornale e lo fissavano come se vi avessero letto un necrologio.

Le espressioni erano contrite, allibite, da lutto. Aomine individuò Momoi da sola, anch’ella intenta a leggere la prima pagina del giornaletto scolastico, completamente assorta.

Sastuki, che sta succedendo?”

Momoi si voltò verso l’amico e quando sollevò la testa mostrò un’espressione così addolorata che sembrava in procinto di piangere per la disperazione. “Dai-chan… la storia… è stata…” singhiozzò.

Aomine le strappò il giornale di mano e Kise lo affiancò per leggere l’annuncio riportato in prima pagina.

 

 

‘La redazione del giornale è sentitamente mortificata di dover annunciare ai propri affezionati lettori che la storia a capitoli Master Basket non potrà essere più pubblicata, in quanto i contenuti in essa presenti violano l’Art. 85 e l’Art.98 del regolamento scolastico.

Pertanto, a seguito delle restrizioni imposte dal Preside dell’istituto, vi chiediamo di non fare richiesta a questa redazione di proseguire ugualmente con la pubblicazione e invitiamo l’autore della storia a non inviare più i suoi scritti.

 

Cordialmente,

Yosano Naousuke

Presidente del club di giornalismo’

 

“Questo non è giusto” sbottò Momoi. “Non c’era scritto niente di male in quella storia, anzi, parlava di sentimenti bellissimi, di amore, di amicizia, di…”

Ma Aomine e Kise già non l’ascoltavano più. Troppo increduli dell’assurda fortuna che gli era piovuta dal cielo, lessero tre volte di seguito l’annuncio per assicurarsi di non aver preso un abbaglio.

Aominecchi, siamo salvi” bisbigliò Kise per non farsi sentire da Momoi, che di certo non avrebbe apprezzato il loro sollievo.

La loro dignità era salva e finalmente quell’incubo era finito! Certo, non potevano negare che era stato proprio grazie a Master Basket se loro due si erano messi insieme, ma ciò non toglieva il fatto che la loro vita intima sarebbe stata letta da chiunque portando non poco disagio e imbarazzo.

“Scommetto che ora ne sarete contenti, vero? Era quello che volevate…”

Aomine non aveva la minima intenzione di farsi rovinare il buon umore dalla scenata isterica di Momoi in piena astinenza da yaoi. “Vieni, Kise, qui tira una brutta aria!”

“DAI-CHAN! Non mi trattare così e non mi ignorare!”

Ma Aomine e Kise erano già lontani e parlottavano tra loro, in particolare Kise sembrava rinato e pieno di entusiasmo.

Momoi li osservò finché non sparirono oltre l’edificio. Prese subito il cellulare dalla cartella e digitò un sms con su scritto: ‘Avevi ragione’. Con un sorriso furbo e trionfante inviò il messaggio. Un paio di minuti dopo il cellulare trillò e Momoi lesse la risposta: ‘Che ti avevo detto ieri?’.

 

 

Entrati nell’edificio, i due si sentirono chiamare da una voce ferma e autoritaria. Videro Akashi avvicinarsi ed ebbero il forte sentore che stesse per rimproverarli di qualcosa.

“Cercavo proprio voi due. Immagino che avete saputo della sospensione della storia sul giornaletto scolastico.”

“Sì, appena pochi minuti fa” rispose Kise.

“Bene. Vi informo che sono stato io a fare la segnalazione al Preside in persona, visto che la storia violava in modo abbastanza esplicito alcuni articoli del regolamento scolastico. Mi sono anche premurato di fargli notare che alcuni professori sono troppo negligenti nel loro lavoro e che dovrebbero prestare maggiore attenzione durante le attività dei vari club.”

Aomine e Kise si guardarono. Entrambi si sentirono degli idioti per non aver pensato subito di richiedere l’intervento di qualche professore. Era anche vero, però, che per loro il regolamento scolastico, e quindi ciò che è consentito e ciò che non lo è all’interno della scuola, era un documento misterioso e ignoto. Avevano peccato di ingenuità, pensando che se la storia veniva pubblicata allora non violava alcuna regola.

“Grazie, Akashicchi! Ci hai salvato!”

“Ma io non l’ho fatto per voi.”

L’allegria di Kise si spense all’istante, mentre Aomine si irrigidì tutto.

“Eravate un po’ troppo presi da questa storia e il vostro rendimento durante gli allenamenti era drasticamente calato. Eravate distratti e persino goffi. Per non parlare del fatto che avete saltato una partita.”

“È successo solo una volta ed era solo una partita di allenamento” intervenne Aomine che proprio non sentiva di meritarsi una ramanzina.

“Ad ogni modo, ora che siete liberi da questi stupidi pensieri vi voglio più concentrati che mai. Vi ricordo che presto inizierà il campionato e non ci tengo a perdere due dei nostri migliori titolari per colpa di qualcosa di così futile. Ci vediamo dopo le lezioni, in palestra, per l’allenamento.”

Kise e Aomine rimasero fermi ancora qualche secondo quando Akashi fu andato via. Alle volte, quel ragazzo diventava davvero spaventoso.

 

 

Durante la pausa pranzo, Aomine aveva preferito andare sul tetto per starsene un po’ tranquillo, ma il suo neofidanzato non era dello stesso avviso. Così si ritrovarono entrambi a consumare il loro bento sulla terrazza in cima alla scuola.

“Ora che la storia non sarà più pubblicata, non sapremo mai chi è l’autore misterioso” rifletté Kise.

“Non me ne importa più niente, ormai. Sono solo felice che questa storia sia finita.”

“Non dire così. Anche tu eri curioso, in fondo.” Kise poggiò a terra il proprio contenitore vuoto e appoggiò la testa sulla spalla del compagno, strofinando il naso contro il suo collo inebriandosi del suo profumo.

“Piantala! Se venisse qualcuno…”

“Ma lo hai detto tu stesso che qui sopra non ci viene mai nessuno.” Kise non sembrava intenzionato a staccarsi dall’altro.

Aomine, che ben conosceva la sua insistenza, si rassegnò ad accettare passivamente le sue coccole. Coccole che ben presto cominciarono a diventare troppo calorose. Kise lo baciò sul collo, a piccoli tocchi. Aveva capito quanto piacevano quelle particolari attenzioni al suo Aominecchi e insistette particolarmente sotto l’orecchio, lì dove lo sentì rabbrividire di più. Istintivamente gli portò una mano al cavallo dei pantaloni.

Aomine gliel’afferrò con gesto fulmineo, allontanandolo da sé. “Stai esagerando, adesso.”

Per tutta risposta Kise gli sorrise malizioso, baciandolo poi sulle labbra senza preavviso. Per Aomine era accaduto tutto nell’arco di pochi giorni, ma Kise erano mesi che lo sognava, desiderava e ora che finalmente aveva ciò che gli spettava non intendeva perdere altro tempo. “Solo cinque minuti…” gli sussurrò voluttuoso.

Le promesse non dette che gli occhi di Kise gli trasmettevano bastarono a far sciogliere la presa di Aomine, lasciando al compagno campo libero.

La mano birichina del modello si insinuò sotto i pantaloni, dentro i boxer, con un’agilità felina e Kise fu più che lieto di constatare che i suoi baci avevano già sortito un certo effetto. Continuarono a baciarsi, mentre il respiro di Aomine si faceva sempre più pesante. Doveva ricambiare come aveva fatto sotto la doccia il giorno prima o poteva starsene comodamente seduto a farsi toccare? Kise non gli chiese nulla e lui lo lasciò fare.

Aominecchi, c’è una cosa che vorrei fare, ma se non vuoi fa niente.”

Aomine sbarrò gli occhi. Il tetto della scuola, durante l’ora di pranzo, non gli sembrava né il luogo né il momento adatto per fare delle proposte indecenti. Non che non avesse voglia di Kise, ma una camera, con un bel letto, senza genitori tra i piedi, sarebbe stata molto più rilassante.

“Che cosa?”

Kise si avvicinò al suo orecchio e gli bisbigliò il proibito desiderio. Improvvisamente, Aomine sentì i boxer farsi ancora più stretti. Davvero non si aspettava tanta audacia da parte di Kise già il loro secondo giorno insieme. Non che la cosa gli dispiacesse, tutt’altro…

Kise capì subito che Aomine non gli avrebbe mai dato il suo consenso apertamente, così decise di passare all’azione senza troppi preamboli. Mancavano solo dieci minuti alla fine della pausa pranzo. Lo baciò a piena bocca, facendo guizzare la lingua per creare la giusta ‘atmosfera’, mentre con la mano passò ad aprirgli di più i pantaloni. Non riuscì a fare a meno di sorridere quando sentì l’inconfondibile gonfiore dentro i boxer giungere al suo massimo. Abbassò la biancheria quel tanto che bastava a scoprire la sua zona più intima e subito calò la testa tra le sue gambe. Era un desiderio su cui aveva fantasticato numerose volte nei mesi passati. Certo, nei suoi sogni Aomine gli restituiva il favore con gioia, ma confidava che presto sarebbe stato pronto per farlo.

Intanto, si godeva i suoi gemiti rochi e silenziosi. Sentì la mano del fidanzato carezzargli la testa che andava su e giù, persino, soffermandosi in particolar modo sulla nuca. Strinse le labbra appena un po’ di più e le dita gli artigliarono i capelli così forte che per poco non gliene strappavano qualcuno. Continuò a dargli piacere con la bocca ancora qualche minuto, fino a che non si accorse che Aomine era già arrivato al suo limite. Sollevò la testa e completò il lavoro con la mano. Non gli sfuggì il mugugno di dissenso di Aomine per quel cambio di modalità, ma Kise lo ignorò.

“Sai, Aominecchi…”

“Cosa?” Aomine aveva una voce stanca e beata, come se gli stesse parlando da un angolo remoto della coscienza. Era la prima volta che provava una cosa del genere e già meditava di chiederlo al suo ragazzo un’altra volta, dopo l’allenamento, sotto la doccia.

“Dovresti allenarti un po’ sulla resistenza.”

“Senti chi parla.”

“Ti ricordo che ieri fosti tu ad arrivare per primo.”

“Sì, di un paio di secondi e neanche.”

“Allora vorrà dire che considererò la tua scarsa resistenza come un complimento alla mia bravura.”

“Potresti fare di meglio.” Aomine si risistemò i pantaloni e proprio in quel momento la campanella che segnava la fine della pausa pranzo suonò.

“E tu che ne sai di cosa sia meglio?” domandò un indispettito, nonché allarmato, Kise.

Aomine raccolse il contenitore vuoto del suo bento e si avviò verso le scale. “Mai fatto un giro su qualche sito porno?” e scomparve oltre la porta che dava accesso al terrazzo.

“Pervertito!”

 

 

Nella palestra non era ancora giunto nessuno per l’inizio degli allenamenti. Momoi si sedette alla panca a bordo campo e ritornò a leggere l’annuncio sul giornaletto scolastico che tanto l’addolorava.

Momoi-san.”

La ragazza sussultò visibilmente di paura nel sentirsi chiamare così all’improvviso. Si voltò e vide alla sua destra l’unico ragazzo capace di fare una cosa del genere: Kuroko.

Tetsu-kun, scusami non ti avevo sentito entrare.”

“Veramente ero già qui quando sei arrivata tu.”

“Ah, sul serio?” Momoi non era poi così sicura, ma preferì non approfondire la questione per non urtare i sentimenti del ragazzo. In fondo come poteva risultare credibile quando diceva che gli piaceva tanto se poi neanche notava la sua presenza?

Momoi-san, volevo dirti una cosa molto importante.”

“Sarebbe?”

Kuroko si profuse in un profondo inchino e Momoi si turbò non poco davanti a quel comportamento. “Io ti devo le mie più profonde scuse, perché so che sei tu l’autrice di Master Basket, ma ho sempre fatto finta di niente.”

Momoi restò pietrificata per alcuni istanti prima di realizzare quanto Kuroko le avesse detto. Lui sapeva. Era convinta che nessuno, eccetto Kaori Kise, sapesse che dietro Master Basket si nascondesse il suo estro creativo. In fondo, era stata proprio un’idea della sorella di Kise. Si erano incontrate un giorno per caso. Gli allenamenti pomeridiani non erano ancora iniziati e quella ragazza dai lunghi capelli biondi chiese a Momoi se sapesse dove poteva trovare Kise, dato che si era dimenticato il pranzo a casa e non voleva certo che il suo fratellino modello svenisse per la fame.

Strinsero amicizia da subito. Kaori era un vulcano di parole, senza alcuna vergogna nel dire quello che pensava, tanto che arrivò persino a parlare apertamente della mostruosa cotta che suo fratello si era preso per Aomine.

In quel momento, Momoi ebbe la conferma che ciò che pure lei sospettava da tempo avesse del fondamento. Da parte sua aveva notato che Aomine aveva sviluppato un insolito interesse per Kise, molto diverso da quello per Kuroko. Con il suo adorato Tetsu-kun si era creata un’amicizia ben consolidata, in cui i loro due caratteri così diversi si incastravano alla perfezione, ma con Kise era tutta un’altra storia. Conosceva molto bene Aomine da poter dire che i tipi chiacchierini e insistenti come Kise gli davano sui nervi, eppure anziché mandarlo al diavolo finiva persino per assecondare le sue piagnucolose richieste di giocare insieme da soli. Altra cosa strana, visto che Aomine non amava perdere tempo con i novellini.

Tutte teorie e congetture che fino a quel momento Momoi aveva tenuto rigorosamente per sé, ma con Kaori sentiva che poteva confidarsi. Inutile dire che quando raccontò tutto, la ragazza sembrò esplodere di gioia nell’udire che forse il suo fratellino aveva qualche possibilità di conquistare il ragazzo dei suoi sogni.

Le idee per ‘aiutarli’ a scoprire i loro reciproci sentimenti iniziarono a fioccare, fino a raggiungere il culmine con il diario segreto e la storia da pubblicare sul giornale scolastico. Dopotutto, non era stato un caso che Kaori avesse sistemato il diario sotto il letto del fratello poco prima che Aomine andasse a suonare alla loro porta, così come non era stato un caso che lei avesse spinto Ryota a parlare apertamente con lui.

Momoi era certa che nessuno mai lo avrebbe potuto scoprire e invece ecco che Kuroko l’aveva smascherata.

“Da quando lo sai?”

“Ho sospettato qualcosa già dal primo capitolo, ma la certezza l’ho avuta solo dopo aver letto il secondo.”

“Ma come hai fatto?”

“Di solito un autore prende sempre spunto dalla realtà che lo circonda per trovare l’ispirazione. Quindi ho pensato che a scrivere Master Basket dovesse essere una persona molto vicina ad Aomine-kun e Kise-kun. Considerata la natura della storia, poi, era ovvio che fosse una ragazza, quindi i sospetti si erano ristretti a te e alle altre ragazze che danno una mano nel club. Infine, ho notato che Aimine aveva parecchie cose in comune con l’Aomine vero e quindi ho ritenuto che solo una persona che lo conosceva bene avrebbe potuto sapere determinati aspetti del suo carattere. E l’unica persona a cui mi hanno portato tutti questi indizi sei tu, Momoi-san. Inoltre ho notato come li guardi quando stanno insieme.”

“In che modo li guardo?”

“Molto contenta.”

“Oh, non me ne ero mai accorta.” Kuroko le aveva spiegato tutto in modo semplice, quasi scontato. “E pensare che nemmeno i diretti interessati hanno mai sospettato nulla.”

Aomine-kun e Kise-kun non capiscono nemmeno loro stessi.”

Mai affermazione era stata più vera e Momoi rise di gusto a quella battuta.

“Quindi, quando mi hai fatto quel discorso sulla terapia d’urto, in realtà mi stavi convincendo a far leggere il quarto capitolo a Dai-chan e Ki-chan?”

“Sì, per questo mi devi scusare se non sono stato sincero, ma temevo che la cosa potesse imbarazzarti.”

Ancora una volta Momoi si ritrovò estasiata dall’intelligenza di Kuroko, dal suo spirito di osservazione e dal suo profondo rispetto per i sentimenti altrui. Aveva tutte le caratteristiche che cercava in un ragazzo e quello era davvero il momento perfetto per dire qualcosa di romantico, in pieno stile romanzo d’amore. Chissà se anche per lei ci sarebbe stato un bel finale come era accaduto per Aomine e Kise.

“Oh, Tetsu-kun, sei così acuto e sensibile! Nessun ragazzo riesce a capirmi come te…”

Il suono metallico di un pallone che rimbalzava sul ferro del canestro le troncò la frase a metà.

“Hai detto qualcosa, Momoi-san? Stavo tentando qualche tiro.”

Più sconfortata che mai, Momoi dovette scontrarsi con la dolorosa verità: la vita reale non è come una fanfiction.

 

 

Note dell’autrice

E sono riuscita a concludere anche questa! Caspita ci ho messo la bellezza di un anno e mezzo per farlo >.< Vergogna su di me! Però, considerato che stavo quasi per mollarla alla fine posso ritenermi più che soddisfatta!

Vorrei davvero ringraziare tutti coloro che l’hanno seguita e soprattutto chi l’ha recensita (anche se molti sembra che abbiano abbandonato il fandom *sob) dandomi così la forza di continuare a scriverla!

Ben 138 lettori tra preferiti/seguiti/ricordati *w* Cioè, wow, neanche pensavo che in questo fandom gironzolassero tante persone! Sono sicura che molte di queste non aprono più la pagina di Kuroko no basket da parecchio tempo, ma per chi c’è ancora sarei molto felice se volesse farmi sapere la sua opinione sulla storia ora che è conclusa. Sì, lo so che molti di voi pensano ‘se ho letto 16 capitoli è perché mi piace, che altro c’è da dire?’, però io di qua non lo so chi ha letto tutti i capitoli e chi no ^^ Grazie in anticipo a chi lo farà e un enorme GRAZIE a chi lo ha già fatto nei capitoli precedenti! Alla prossima storia… chissà :3

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