Anonymous di redseapearl (/viewuser.php?uid=76050)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Si chiama YAOI! ***
Capitolo 3: *** Il lato positivo ***
Capitolo 4: *** La decisione di Aomine ***
Capitolo 5: *** C'è qualche problema? ***
Capitolo 6: *** Master Basket ***
Capitolo 7: *** Diario segreto ***
Capitolo 8: *** Indovina chi viene a cena? ***
Capitolo 9: *** Una notte difficile ***
Capitolo 10: *** La misteriosa autrice ***
Capitolo 11: *** Per il bene di Kise ***
Capitolo 12: *** Una fonte sicura ***
Capitolo 13: *** Il mio problema ***
Capitolo 14: *** Terapia d'urto ***
Capitolo 15: *** Così evidente ***
Capitolo 16: *** La vita non è una fanfiction ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Piccolo
appunto prima che iniziate a leggere: la storia è ambientata durante il periodo
della scuola media. Più precisamente, un po’ prima che il talento dei miracoli
sbocciasse completamente e quindi quando i 6 erano ancora una squadra unita.
Questa
vuole essere una storia molto soft sia per chi legge che per chi scrive, quindi
uno stile di scrittura semplice e diretto.
Buona
lettura n_n
Anonymous
Prologo
Alzarsi dal letto, mettersi
l’uniforme e varcare il cancello della scuola, per Aomine
non equivaleva a svegliarsi. Di fatti, anche se il corpo si muoveva, il
cervello era ancora placidamente assopito. Sarebbe potuto succedere di tutto
nel cortile della scuola a quell’ora e lui non si sarebbe accorto di nulla.
Poche cose erano in grado di svegliarlo completamente,
tra queste c’era… “Aominecchi!”
L’urlo di Kise lo investì
in pieno da destra. “Ma che cazzo, Kise!” fu il suo
buongiorno. Glielo aveva detto migliaia di volte di non chiamarlo così forte,
specie di prima mattina, ma il messaggio non era mai stato recepito.
Udì alle sue spalle delle ragazze che andavano in
visibilio. Quando il fotomodello era nei paraggi succedeva sempre così: normale
amministrazione quotidiana.
“Buondì! Sei pronto per l’amichevole di questo
pomeriggio?” chiese Kise felice come una Pasqua.
“Capirai, è una squadretta da niente.” Aomine stroncò così ogni entusiasmo del compagno, ma questi
trovò subito altro di cui parlare, cavalcando l’onda dell’entusiasmo mattutino.
Aomine
si chiedeva spesso come facesse ad essere sempre così di buon umore, specie
prima di venire rinchiuso in una classe.
“Oggi c’è qualcosa di strano nelle ragazze” disse a
bruciapelo. Questa volta sembrava essere riuscito ad attirare l’attenzione di Aomine. Di solito non parlava mai delle ragazze con gli
altri compagni, e ciò fu motivo di stupore per l’altro.
“Forse non te ne rendi conto, ma quando ci sei tu
loro sono sempre su di giri.”
“No, non intendo quello. Ormai ci sono così abituato
che non ci faccio più nemmeno caso…”
“Che fai? Ti stai dando delle arie?”
“No, non volevo dire questo!”
“E allora che?”
“Be’, ho notato che tutte…”
“Buongiorno.” Come suo solito, Kuroko
apparve dal nulla, facendo letteralmente saltare i compagni di squadra come due
gatti a cui venga pestata la coda.
Ripresosi dallo shock, Kise
lo salutò a sua volta.
Aomine
non fu così garbato. “Tetsu, mi farai venire un
infarto così!”
“Scusate” rispose il ragazzo incriminato con il
solito tono neutro.
Nel mentre, Kise notò che il
nuovo arrivato teneva stretto in mano il giornaletto della scuola. “Ecco, il
giornale!” esclamò, del tutto fuori luogo. Gli altri due lo guardarono come se
si trattasse di un pazzo. Kise si affrettò a
spiegare. “Riguarda quello che stavamo dicendo prima. Ho notato che tutte le
ragazze oggi stanno leggendo il giornale della scuola in modo… come dire…
appassionato.”
Kise
e Aomine guardarono Kuroko
nella speranza che lui potesse risolvere quell’enigma al femminile.
Il ragazzo si mostrò, stranamente, in difficoltà. Aomine lo conosceva troppo bene per non capire che lui sapeva ma non voleva parlare. In verità
quel mistero non lo interessava per niente, ma, tanto per sfizio, fece scorrere
lo sguardo in giro.
In effetti non c’era una singola ragazza che non
avesse tra le mani una copia del giornaletto della scuola, ma questo dettaglio
era irrilevante per lui in confronto ad un altro. Tutte, o quasi, guardavano
dalla loro parte e non sembravano osservare solo il modello di fianco a lui:
stavano proprio fissando entrambi i giocatori della squadra di basket con degli
occhi da indemoniate.
“Tetsu” lo chiamò con tono
intimidatorio. Avere addosso tutti quegli strani sguardi femminili non lo
faceva sentire troppo a suo agio. Non che disdegnasse l’idea di essere al
centro dell’attenzione delle ragazze, ma qualcosa non lo convinceva.
“Ehm… probabilmente è dovuto alla storia che è stata
pubblicata proprio oggi” spiegò l’interpellato come se fosse la cosa più logica
del mondo. Tuttavia, vedendo le espressioni da triglia lessa dei due amici,
realizzò che doveva essere più chiaro. “Sul giornale di oggi hanno pubblicato il
primo capitolo di una fiction. Si prospetta essere una storia d’amore, suppongo
sia per questo che molte ragazze ne siano attratte.”
“E tu perché l’hai letta?” domandò Aomine.
“Perché mi piace leggere e poi io lo prendo sempre
il giornale della scuola.”
“Kurokocchi, però c’è
qualcosa che non mi torna. Come mai tanto trambusto per una semplice storia
d’amore?”
“Si sta facendo tardi: sarà meglio che andiamo in
classe.”
“TETSU!”
Davanti l’urlo di Aomine, Kuroko capì che gli sarebbe stato impossibile svanire come
faceva su di un campo da basket. Be’, tanto prima o poi lo avrebbero saputo
comunque. “I protagonisti sono due ragazzi… due maschi…” Kise
e Aomine pendevano dalle sue labbra. Quasi non
sbattevano gli occhi nel timore che Kuroko potesse
davvero scomparire in un battito di ciglia. “… sono due membri della squadra di
basket della loro scuola e… si chiamano Aimine e Kisu.”
Kise
sembrava sprofondato in uno stato di catalessi. Dopo cinque secondi abbondanti
di silenzio, fu Aomine a prendere la parola. “Fammi
capire una cosa: qualcuno ha scritto e pubblicato sul giornale della scuola una
storia d’amore tra due ragazzi che giocano a basket e che hanno dei nomi
praticamente uguali ai nostri?”
“Sì.”
Aomine
si voltò ancora una volta verso un gruppetto di quattro ragazze del secondo
anno: lo stavano adocchiando con la stessa golosità con cui avrebbero guardato
un pasticcino al cioccolato. “Non vorrai mica dirmi che adesso tutte le ragazze
della scuola pensano che la storia sul giornale parli in realtà di me e Kise e che addirittura abbiamo una relazione?” Ma quando si
girò, Kuroko non c’era già più. “Dannato Tetsu! Me la pagherà! E tu perché non lo hai fermato?”
disse rivolto a Kise, ma questi versava ancora in uno
stato di shock. “Ohi, Kise, riprenditi!”
“Questa situazione è assurda! Perché mai noi due?
Perché proprio io?”
“E io allora?”
La campanella suonò, segno che dovevano affrettarsi
per non arrivare in ritardo nelle rispettive aule e scamparsi un’ingrata
punizione.
“Adesso ascoltami: dobbiamo scoprire chi è l’autore
di questa storia merdosa e impedirgli di scriverci ancora sopra, a costo di
minacciarlo. Oggi, dopo le lezioni, cominceremo ad indagare.”
“E la partita?”
“Al diavolo la partita! Qui c’è in ballo la nostra
dignità, la nostra virilità. Gli
altri sapranno cavarsela anche senza di noi.”
Di tutto quel discorso, Kise
capì solo una cosa: se Aomine stava anteponendo
quella faccenda al basket, allora la situazione era molto più grave di quanto
avesse immaginato.
Note dell’autrice
Devo
essere impazzita per aver deciso di riprovare a scrivere una long! D: Avevo
abbandonato questo genere di storie perché l’ansia di aggiornare in tempi
ragionevoli e il senso di colpa per il fatto di non riuscirci avevano iniziato
a stressarmi un po’. Per questo mi ero buttata nel fantastico mondo delle oneshot! *w*
Purtroppo,
a causa di questa coppia che ormai si è impossessata della mia mente, non ho
potuto resistere alla tentazione di scrivere qualcosa di più lungo! >.<
Spero
vivamente di non dovermene pentire, in ogni caso ho già tutta la trama scritta,
quindi non scriverò a braccio ogni singolo capitolo. I prossimi capitoli
saranno più lunghi di questo, circa il doppio (ovvero 2000 parole) perché con
una lunghezza così discreta (quanto meno lo è dal mio punto di vista) potrò
garantire degli aggiornamenti piuttosto regolari. ;)
Spero
di avervi incuriosito un po’! Come sempre commenti anche solo di un rigo,
critiche (educate, ovvio) e quant’altro è sempre ben accetto! ^_^
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Capitolo 2 *** Si chiama YAOI! ***
Anonymous
Si chiama YAOI!
Kise
batté due volte le nocche sulla porta dell’aula. Poco dopo, Aomine
aprì la porta. Aveva un’espressione guardinga. “Non ti ha seguito nessuno?”
“Chi mai dovrebbe seguirmi?”
Aomine
si sporse oltre la soglia. Controllò a destra e a sinistra per assicurarsi che
il corridoio fosse deserto. Nessun’anima in vista: tutti gli studenti erano
tornati a casa oppure si erano rinchiusi nelle stanze dei rispettivi club.
Afferrato per il cravattino dell’uniforme, Kise fu letteralmente trascinato nell’aula vuota.
“Si può sapere che ti prende?” chiese rivolto al
compagno.
“È tutto il giorno che mi sento addosso gli sguardi
assatanati delle ragazze. In aula non sono riuscito a dormire neanche cinque
minuti durante la prima ora. E non ti sei accorto in mensa, quando ci siamo
seduti con tutti gli altri, come ci fissavano in attesa di chissà cosa?”
“Calmati, Aominecchi! Non
è da te fare così. Dovresti essere abituato a ricevere attenzioni, dopotutto
nelle partite sei quello che spicca più di tutti in campo.”
“Non è la stessa cosa!”
Kise
sapeva bene quanto il compagno fosse testardo. Cercare di tranquillizzarlo era
inutile. La popolarità è una chimera assai curiosa: non tutti sapevano
affrontarla alla stessa maniera. Il fatto che poi tutte le ragazze lo credevano
gay, per via di quella storia pubblicata sul giornale della scuola, di certo
non aiutava.
“Allora, cosa facciamo?” domandò Kise
senza tergiversare oltre.
“Dobbiamo scoprire chi è l’autore di questo” rispose
l’altro, sollevando il giornale all’altezza della faccia. Sulla pagina spiccava
il testo incriminato. “Purtroppo non c’è scritto il nome, quindi la cosa sarà
più complicata del previsto.”
“Capito. Immagino che dobbiamo andare al club di
giornalismo e farcelo dire allora: di sicuro gli altri membri sapranno chi è.”
“Però! Allora non sei soltanto un bel faccino da
copertina” celiò Aomine in tono palesemente
sarcastico.
“Per chi mi hai preso! Ti ricordo che i miei voti sono
migliori dei tuoi!”
Aomine
non sembrò accusare il colpo e, tra un botta e risposta e l’altro, si diressero
verso l’aula del club di giornalismo.
Perlustrarono la scuola due volte
prima di riuscire a trovarlo. Dopo dieci minuti a girovagare in tondo, Kise si era risolto a chiedere ad Aomine
se fosse sicuro di sapere dove si trovava l’aula che stavano cercando.
“Mi prendi per il culo? Io seguivo te: pensavo lo
sapessi tu!”
“Lo stesso vale per me!”
Dopo una breve discussione di appena dieci secondi,
i due si decisero a telefonare Momoi. Per fortuna, la
ragazza era in possesso dell’informazione che cercavano. Chiaramente domandò ad
Aomine il perché di quella richiesta e il ragazzo
riattaccò il telefono bruscamente.
“Credevo che avessi parlato con lei di questa
faccenda” buttò lì Kise.
“Ho preferito evitare. Sastuki
alle volte è troppo invadente…”
Kise
avrebbe voluto approfondire meglio l’argomento, ma preferì tacere. La questione
sembrava mettere Aomine più a disagio di quanto lui
volesse far trasparire.
Si fermarono davanti la porta. La targhetta su di
essa riportava la scritta ‘Club di giornalismo’.
“Fai parlare me” disse risoluto Aomine
e, prima che Kise potesse dire qualcosa, aprì la
porta di botto, palesandosi ai membri del club più minaccioso che mai.
Era molto scenografico, Kise
glielo riconobbe.
Nella stanza c’erano solo tre persone: una ragazza
minuta con dei grossi occhiali tondi che le coprivano metà viso; un ragazzino
del primo anno seduto ad una scrivania con accanto una macchina fotografica;
uno studente del terzo anno con i capelli tirati all’indietro alla leccata di
cammello.
La ragazza appena vide gli invasori emise un vero e
proprio squittio.
“Chi è il presidente del club?” domandò Aomine.
Seguirono due secondi di teso silenzio. Infine, timoroso,
il ragazzo leccato alzò tremante la mano. “S-sono io…”
Aomine
gli si avvicinò a grandi falcate, sbatté con violenza i pugni sul tavolo
davanti a lui e si sporse così in avanti da investirgli la faccia con il fiato
rovente. “Chi è l’autore della storia gay che avete pubblicato oggi?”
“Si chiama YAOI!” intervenne la ragazza, mostrando
un’audacia molto contrastante con la sua figura mingherlina.
Aomine
le lanciò un’occhiata infuocata, poi ritornò al proprio interrogato.
“N-non lo s-s-s-so…” riuscì a dire quest’ultimo. Dal
modo in cui si rannicchiava sempre più, sembrava che volesse disperatamente
fondersi con la sedia su cui era poggiato.
“Come sarebbe a dire che non lo sai? Pubblicate
storie senza sapere chi le ha scritte?”
“Si può sapere chi sei e che cosa vuoi da noi?” Questa
volta fu il ragazzo con la macchina fotografica ad intervenire. A differenza
del suo presidente, non sembrava affatto intimorito dalla stazza quasi doppia
del suo interlocutore.
“Ve lo dico subito. Sono Aomine
Daiki, titolare della squadra di basket della
scuola.”
“Aomine… Aomine…” ripeté la matricola, cercando di collegare al nome
appena sentito un qualche vago ricordo. “Ah, ma tu sei il protagonista della
storia! Accidenti, che fortuna!” e prima che Aomine
potesse reagire in qualche modo, il fotografo prese la macchinetta e investì il
giocatore con un lampo accecante. “Nel prossimo giornale questa finisce in
prima pagina! Ho già il titolo: Aomine Daiki fa irruzione nel club di giornalismo! Le ragazze
si strapperanno i capelli per accaparrarsene una copia!”
“Cosa vorresti fare tu? Kise,
ma vuoi fare qualcosa o no?” ma quando si voltò per cercare man forte da parte
dell’altro, il modello era intento ad autografare una copia del giornale alla
ragazza con i grossi occhiali.
“È così che si scrive il tuo nome, giusto?” le stava
chiedendo.
“Sì! Ah, che bella calligrafia che hai! E potresti
anche metterci una dedica?”
“Ma certo!” acconsentì lui, sfoderando il suo
sorriso più smagliante.
“Oh, scusa se ti interrompo, Kise,
ma siamo qui anche nel tuo interesse, sai?”
“Scusami, Aominecchi, ma
non potevo negare a questa ragazza un semplice autografo, e poi sei stato
proprio tu a dirmi di lasciar parlare solo te” si lamentò l’accusato.
Vedendo che ormai tutta la sua messa in scena per
estorcere informazioni era saltata, Aomine decise di
dire le cose come stavano. “Sentite, ho bisogno di sapere chi diavolo sta
usando il mio nome per scriverci sopra storie gay…”
“È Yaoi!”
“Ok, ho capito: yaoi!”
Il fotografo rispose: “Credici, non è che non te lo
vogliamo dire, ma noi non sappiamo davvero di chi si tratta.”
“Esatto” disse il presidente. Ora che la
minacciosità di Aomine era stata stemperata, aveva
riacquistato un po’ di colorito sulle guance e non balbettava più. “Ieri
mattina ho trovato nella cassetta della posta questa lettera.” Porse al
giocatore un’anonima busta bianca. “Dentro c’era il testo del primo capitolo
della storia e una nota dell’autore, in cui diceva che se l’avessimo pubblicato
il giornale avrebbe avuto nuova popolarità.”
“Dunque è per questo che lo fate.” Aomine aprì la busta e dentro non vi trovò altro che un
semplice foglio stampato. Nessuna firma, nessun nome… niente di niente. Un
autentico buco nell’acqua. “Merda” imprecò a mezza voce. “E avete avuto davvero
nuova popolarità a pubblicare questa roba?”
“Altro che!” disse il ragazzo del primo anno. “Abbiamo
esaurito tutte le copie: fino ad oggi se in tutta la scuola leggevano il
giornale dieci persone al massimo era anche tanto!”
Aomine
non poteva credere che una cosa simile potesse realmente piacere alla gente
fino a quel punto. Capì che non poteva riporre fiducia nei membri di quel club;
se anche avessero saputo chi era il loro benefattore, di certo non glielo
avrebbero detto: sarebbe stato come darsi la zappa sui piedi. I loro interessi
erano praticamente opposti.
“Andiamocene” disse, dirigendosi verso l’uscita ma
la studentessa lo fermò, gli porse il giornale e gli chiese: “Mi faresti
l’autografo?”.
Prontamente, Kise gli
prestò la penna, sul viso un sorriso solidale. “Benvenuto nel mio mondo.”
Quando chiusero la porta, sentirono
dall’altra parte le urla estatiche della ragazza. “Quella copia del giornale
sarà un vero e proprio trofeo per lei” sentenziò Kise.
“Pazienza, era l’unica pista che avevamo. Non ci resta che aspettare e vedere
cosa succederà. A quest’ora non dovrebbe esserci nessuno in palestra, visto che
saranno tutti andati a vedere l’amichevole. Che ne dici di qualche one on one?”
Aomine
si bloccò di colpo e lo fissò con aria truce come se il compagno lo avesse
offeso nel modo più orribile possibile.
“Ho detto qualcosa che non va?”
“Questa mattina sembravi un ebete quando Tetsu ci ha detto di questa storia. Come mai ora sei così
tranquillo? Sembra quasi che non te ne freghi niente di essere lo zimbello
della scuola!”
Kise
sospirò. Erano ritornati al discorso iniziale. “Non è che non me ne freghi
niente, ma sai… io sono già un personaggio famoso, e questo per me è solo un
effetto collaterale della popolarità. La gente parla, spettegola e fantastica
su tante cose. Io non so come si scriva una storia, ma suppongo che da qualche
parte bisogna pur prendere ispirazione. Penso che l’autore abbia deciso di
creare un personaggio ispirato a me perché godevo già di una certa notorietà.”
“Quindi è colpa tua se io mi sono trovato in questa
merda: mi stai sempre attaccato peggio di un chewingum
sotto la suola delle scarpe!” Aomine riprese a
camminare e Kise lo seguì.
“E ora che si fa?”
“Ho bisogno di scaricare il nervosismo, quindi
preparati: oggi ti straccerò più del solito.”
“Pensavo ce l’avessi con me per averti involontariamente
messo in questa situazione” disse Kise senza
mascherare il sollievo per quel poco cordiale invito.
“Infatti, almeno così ti renderai utile.”
“Aominecchi, non sono mica
il tuo antistress!”
Note dell’autrice
Avrei voluto aggiornare prima, ma
causa impegni vari ho dovuto rimandare ad oggi! I capitoli sono ancora un po’
corti, ma presto diventeranno un po’ più lunghetti, anche se non in modo
eccessivo.
Bene, e anche questa è andata: spero
di rimanere il più costante possibile con gli aggiornamenti ^^
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Capitolo 3 *** Il lato positivo ***
Anonymous
Il lato positivo
Il giorno dopo l’incursione nel club
di giornalismo, Aomine e Kise
dovettero sorbirsi una ramanzina da parte di Akashi. Dopotutto si erano
assentati ad una partita amichevole senza avvisare nessuno: una simile
negligenza non poteva restare impunita.
Per fortuna, Momoi aveva
preso le loro difese, raccontando al capitano dove si erano diretti i due
giocatori il giorno prima.
“Per questa volta chiuderò un occhio, considerata la
delicatezza della situazione in cui vi trovate.” Kise
e Aomine si scambiarono un’occhiata interrogativa:
anche Akashi aveva letto il giornale? “Certe cose non mi interessano” aveva
aggiunto questi con una certa enfasi difensiva, come se avesse letto nel
pensiero dei due.
“Non abbiamo insinuato niente di strano!” si
affrettò a rispondere Kise, quasi timoroso che Akashi
possedesse davvero dei poteri telepatici.
“Le ragazze della mia classe non hanno parlato
d’altro da ieri. Mi sono state persino rivolte delle domande alquanto…
indiscrete.”
“E tu cosa hai risposto?” domandò Aomine. Non aveva nulla da nascondere, ma l’idea che Akashi
fosse stato interrogato lo faceva sentire colpevole di un reato non commesso.
“Ho solo detto la verità.” Entrambi i ragazzi
tirarono un sospiro di sollievo. “Che siete liberi di frequentare chi volete.”
Il sollievo si trasformò in costernazione. Dichiarare una cosa così carica di
sottintesi davanti ad un gruppo di adolescenti femmine in piena tempesta
ormonale era peggio che mostrare loro delle foto compromettenti.
Tutto sommato, esclusa qualche
occhiata curiosa e insistente da parte delle più intrepide yaoiste,
non ci furono avvenimenti insoliti o disturbanti nei quattro giorni seguenti. Lentamente
tutta quella storia iniziò a scivolare via dalla mente di Aomine:
un brutto ricordo da rilegare nell’angolo più remoto della propria mente.
Magari l’autore che aveva dato il via a quella pazzia aveva già perso
l’ispirazione e non sapeva più che pesci pigliare.
Con la cartella in spalla e l’aria annoiata, Aomine era quasi giunto a scuola, quando vide Kise appoggiato al muro a una decina di metri dal cancello.
“Buongiorno, Aominecchi!”
“’Giorno.”
Il modello aveva un sorriso troppo smagliante per i
suoi gusti. L’istinto bussò alla porta del cervello per metterlo in guardia.
“Come stai? Tutto bene? Ho saputo che sta girando il virus dell’influenza in
questi giorni. Non è che per caso sei stato contagiato? Sai, in certi casi è
meglio starsene a casa non solo per la propria salute, ma anche per preservare
quella degli altri.”
“No, sto benissimo.” Aomine
tentò di aggirarlo, ma l’altro lo marcava ben stretto e non sembrava
intenzionato a lasciarlo passare. “Che stai facendo?”
“Ehm… be’… ah, è una bella giornata! È davvero uno
spreco doverla passare chiusi dentro quattro mura: che ne dici se mariniamo la
scuola e…”
La proposta era così assurda da risultare palesemente
falsa. Kise non era poi un granché come attore: se la
sua carriera si fosse basata su quello di certo non avrebbe avuto tanto
successo!
“Taglia corto: che succede?”
“Be’…” Kise tentennò,
incerto se rivelare la verità all’amico o meno, ma ormai la sua tattica era
fallita e l’altro non ci avrebbe messo molto a scoprire tutto. Tirò fuori dalla
cartella una copia del giornale scolastico.
Gli occhi di Aomine si
dilatarono per lo shock. “Non dirmi che…”
“Sì.”
“È proprio…”
“Sì.”
Afferrato con una zampata il giornale, Aomine si ritrovò davanti la propria fotografia in bianco e
nero. Appariva minaccioso e incredulo al contempo. A caratteri cubitali, il
titolo recitava ‘AOMINE DAIKI, L’ASSO DELLA SQUADRA DI BASKET, IRROMPE NEL CLUB
DI GIORNALISMO.’ “Quel maledetto fotografo l’ha fatto davvero!”
Lesse l’articolo a stralci, mentre si incamminava a
piccoli passi nel cortile della scuola. “… entrato
nel club con aria… bla bla bla… Aomine Daiki ha chiesto disperato di sapere… ehi,
disperato?... scoprire l’autore… bla
bla bla… in compagnia del noto
fotomodello Kise Ryota…
bla bla bla…” D’un tratto, Aomine si impietrì. Le
mani strinsero spasmodiche la carta e iniziarono persino a tremare per la
rabbia. “I due giocatori sembrano
mostrare una certa complicità. Sguardi, sorrisi, battute ironiche: tutto del
loro atteggiamento urla qualcosa di più di una semplice amicizia.” Seguirono
parecchi secondi di silenzio.
“Aominecchi? Per favore,
calmati, il gossip giornalistico è così che funziona. Spesso vengono pompate di
proposito certe notizie per accattivarsi il pubblico. Lo sanno tutti che quello
che dicono i giornali è vero solo per il 20%.”
“Io. Lo. Ammazzo. Quel. Marmocchio!”
“C’è un’altra cosa che dovresti sapere” aggiunse Kise. Voltò la pagina e mostrò ad Aomine
l’ultima cosa che questi avrebbe voluto vedere. “È stato pubblicato anche il
secondo capitolo.”
Aomine
cercò di dare fondo a tutte le sue conoscenze lessicali per articolare una
frase di senso compiuto che esprimesse frustrazione, rabbia e incredulità assieme,
ma la sua ricerca mentale fu interrotta dai bisbigli, non tanto discreti, di
alcune ragazze poco distanti.
‘Che carini che sono!’; ‘Quanto è dolce Kise-kun: lo ha aspettato fuori dalla scuola per entrare
insieme!’; ‘Secondo me la storia sul giornale racconta proprio di loro.’; e
così via…
Aomine
si girò verso Kise, lo fissò come se l’artefice di
tutto fosse lui (e, ripensando a quanto si erano detti qualche giorno prima,
pareva proprio di sì) e per poco non lo polverizzò con lo sguardo. “Finché
questa merdosa situazione non sarà risolta, TU stammi il più lontano possibile:
non mi parlare, non mi guardare e non mi pensare neanche!”
Kise
gli rispose con una calma disarmante. “Comportarsi così sarebbe come ammettere
che tutto quello che gli altri dicono è vero. Inoltre, temo che sarà
impossibile: ti ricordo che giochiamo nella stessa squadra.”
Liquidato Kise,
prima del suono della campanella, Aomine andò alla
ricerca di Momoi, ma ebbe scarsa fortuna. “Ma dov’è
finita? Proprio quando ho più bisogno di lei” disse tra sé, camminando
sovrappensiero. Non appena svoltò l’angolo, urtò una ragazza del secondo anno
che avanzava nella direzione opposta. Istintivamente le afferrò un braccio per
evitarle una brutta caduta.
“Scusami, colpa mia” le disse.
“Certo che è colpa tua, mi sei praticamente venuto…”
La risposta non si prospettava delle più gentili, ma la studentessa si ammutolì
non appena sollevò lo sguardo sul volto di Aomine.
Avvampò in meno di un secondo. “Oh, Aomine-kun!” Il
tono di voce si addolcì fino a sembrare il cinguettio di un passerotto. “Ti sei
preoccupato per me. Come sei gentile!”
Dire che Aomine fu
disorientato da quel repentino cambiamento era solo un eufemismo. “Ehm… sì…
be’, lieto che non ti sei fatta niente. Ora vado in classe.” Lo aveva chiamato Aomine-kun come se fossero amici, ma lui era abbastanza
certo di non aver mai rivolto la parola a quella ragazza prima di quel momento.
In verità, non sapeva neanche il suo nome.
Relegò quell’episodio in un cantone della propria
mente come un qualsiasi altro evento quotidiano.
Durante la giornata, altri avvenimenti piuttosto
simili si susseguirono. Compagne di classe che si dimostravano disponibili a
fargli copiare i compiti, ragazze che gli lanciavano sguardi di fuoco neanche
fosse un bignè al cioccolato.
Più che mai sentì il bisogno di parlare con Sastuki: chi più di un’altra ragazza poteva spiegargli cosa
diamine stava succedendo?
Non fosse stato per Kuroko,
non avrebbe mai scoperto che l’amica si trovava nella biblioteca della scuola.
“Abbiamo una biblioteca?” aveva domandato Aomine e da ciò Kuroko capì che avrebbe
fatto prima a scortarlo piuttosto che spiegargli il percorso.
Momoi
si trovava in fondo alla sala. Aomine le si avvicinò
e si sorprese del fatto che l’amica non si fosse accorta della sua presenza
neanche quando si trovò praticamente a mezzo metro da lei. Doveva essere
immersa in una lettura molto interessante per isolarla così dal mondo esterno,
e il ragazzo non aveva un passo propriamente leggiadro. Si sporse quel tanto
che bastava sopra la spalla di Momoi per curiosare.
“Sastuki, anche tu!”
esclamò a voce troppo alta.
La ragazza saltò dalla sedia come se avesse preso
una forte scossa elettrica e si affrettò a coprire con il busto il giornale
aperto davanti a lei. “Dai-chan, vuoi farmi morire
per caso?” Anche lei non riuscì a modulare il volume della propria voce. Come risultato,
tutti gli astanti li rimproverarono per la mancanza di educazione.
“È inutile che lo nascondi” bisbigliò Aomine, sedendosi accanto a lei.
“Non è come credi, lo stavo leggendo solo per
curiosità.” Il rossore di Momoi rivelava ad Aomine ben altro. Era la prima volta che la vedeva così
imbarazzata per qualcosa.
“Raccontalo ad un altro. Comunque, adesso sono
sicuro che tu hai la risposta che voglio.”
“Di che parli?”
“Si tratta delle ragazze. Si comportano in modo
strano da quando per la scuola gira quella roba lì” disse, indicando il
giornaletto scolastico. “Si può sapere perché vi piacciono tanto queste storie yaoi?”
“Oh, come mai conosci quella parola?”
“È una lunga storia. Rispondimi, piuttosto.”
La ragazza si guardò attorno per assicurarsi che
nessuno li sentisse. Per fortuna non c’erano molte persone. “Ti rendi conto che
l’argomento è un po’ delicato?”
“Lo dici a me che ci sono dentro fino al collo?”
Aomine
non aveva tutti i torti. Aveva tutto il diritto di sapere cosa scatenava quei
tifoni di estrogeni attorno a lui. “Vediamo, come posso spiegartelo nel modo
più chiaro possibile? Ecco, a te piacciono molto le… sì, insomma… quelle, no?”
“Le tette?” chiese conferma lui, nel tono più
naturale del mondo.
Momoi
già si stava pentendo di aver scelto quel tipo di approccio. “Parla piano. Sì,
quelle. Se tu dovessi scegliere di leggere tra una storia in cui una ragazza
formosa ha una relazione con un bel tipo e una storia in cui due ragazze
formose si fidanzano, quale preferiresti?”
“Cosa vuoi che me ne importi del bel tipo? A me
interessano le tette grosse!” rispose Aomine, fin
troppo entusiasta per i gusti di Momoi. Un ragazzo a
due tavoli di distanza li lanciò un’occhiata di rimprovero.
“Parla piano, insomma. Ecco, per noi ragazze è lo
stesso principio… all’incirca.”
“Mh…” Aomine
stentava a capire del tutto il ragionamento, ma se lo diceva Momoi allora non poteva fare altro che fidarsi. “C’è anche
un’altra cosa che non capisco. Se tutte pensano che io sia gay, allora perché
sono così gentili e disponibili con me?”
“Questo è più complicato, ma in linea di massima è
perché adesso sei diventato molto più interessante ai loro occhi. Ti
identificano con uno dei due protagonisti della storia, in un certo senso sei
entrato a far parte delle loro fantasie romantiche. E poi non c’è nulla di
ufficiale tra te e Ki-chan: questo ti rende un
ragazzo ancora più intrigante.”
Aomine
ponderò con cura le parole di Momoi.
Non
lo avrebbe mai creduto, ma sembrava proprio che in quella storia ci fosse un
lato positivo da non sottovalutare.
Note dell’autrice
Ed ecco che Aomine
sta iniziando ad esplorare un po’ la psiche delle yaoiste!
Non ho molto da aggiungere solo che spero che la storia continui a piacervi e
che le recensioni sono sempre fonte di gioia da parte mia! Ringrazio tutti
coloro che stanno aggiungendo la storia alle preferite, seguite e ricordate *w*
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Capitolo 4 *** La decisione di Aomine ***
Anonymous
La decisione di Aomine
Il suono della campanella decretò la
fine delle lezioni. Come sempre, Kise si incamminò
verso la palestra per i consueti allenamenti pomeridiani, ma un gruppo di
ragazze gli sbarrò la strada.
Si fece avanti una studentessa del terzo anno che
riconobbe subito: Akane Usaki,
presidentessa, nonché fondatrice, del suo fan club ufficiale. Quello che aveva
davanti era solo un drappello del gruppo associato al club. Poteva definirlo la
scorta personale di Usaki, in un certo senso.
“Buongiorno, Usaki-san!”
la salutò Kise. Durante i primi giorni della
fondazione del club, la sua vita era diventata pressoché impossibile. Usaki, per garantire un continuo rifornimento di materiale
su cui le socie potessero riversare la loro adorazione, gli aveva sguinzagliato
contro ben due stalker per fotografarlo e spiarlo in
ogni momento della giornata. Kise era sempre stato
piuttosto paziente nei confronti delle sue ammiratrici, ma quelli furono
davvero tempi duri per lui.
Decise quindi di scendere a compromessi con la
presidentessa: avrebbe concesso interviste, foto esclusive e incontri con le
ragazze del club a patto che non interferissero con la sua privacy e non
superassero il numero di tre al mese.
“Kise-sama, c’è una domanda che dobbiamo assolutamente
porti.”
Il ragazzo aveva perso il conto di quante volte le
aveva chiesto di non usare il suffisso ‘sama’ con
lui: lo faceva sentire vecchio e idolatrato in modo quasi malsano, neanche
fosse il dio di un culto pagano. Nonostante gli desse un certo fastidio tutta
quella cerimoniosità, indossò il collaudato sorriso da copertina che meglio gli
riusciva. “Certo: di che si tratta?”
Usaki
aveva esaurito da poco più di una settimana il suo terzo e ultimo bonus, ma a
quanto pareva c’era una questione spinosa che non poteva attendere lo scadere
del mese per essere risolta. Kise ebbe un vago
sospetto su cosa potesse essere. “Noi abbiamo il diritto di sapere: tu e Aomine Daiki state davvero
insieme?”
Sospetto confermato. Non si mostrò neanche tanto
sorpreso. Dopotutto, nessuna ragazza sarebbe stata felice di sapere che l’uomo
dei suoi sogni era innamorato di qualcun altro, un altro maschio, per giunta.
La risposta era semplice e non necessitava di alcuna
spiegazione, ma per qualche motivo Kise si sentì
imbarazzato davanti a quel quesito tanto diretto.
“Avete ragione ad avere dei dubbi, in fondo in
questi giorni non si parla d’altro per via del giornale scolastico.”
“Non è solo quello!” intervenne d’istinto una
ragazza con i capelli a caschetto alle spalle di Usaki.
“Che volete dire?”
La presidentessa prese la parola. “Da quando sei
entrato nel club di basket, abbiamo registrato un netto peggioramento
quali-quantitativo del tuo impegno nei nostri confronti. E in particolare,
abbiamo notato che l’assidua frequentazione di Aomine
Daiki sta inficiando sul tuo lavoro di modello e, di
conseguenza, sulla tua popolarità.”
“Ehm… varrebbe a dire?”
“Che da quando hai conosciuto quel ragazzo non pensi
ad altri che a lui!” spiegò la ragazzina di prima e tutte le altre assentirono
energicamente con la testa.
L’idea che l’autrice della storia sul giornale si
nascondesse tra le fila del suo fan club gli balenò in testa in un istante.
Stando a quanto stavano dicendo, ogni cosa che diceva o faceva con Aomine era costantemente monitorata e giudicata. Era chiaro
che Usaki non aveva tenuto fede al loro accordo. Si
sentì in colpa per aver trascinato il compagno sotto i riflettori della fama.
Per di più, le sue ammiratrici mostravano un certo astio nei suoi confronti,
come se Aomine esercitasse una cattiva influenza su
di lui. Anzi, sembravano persino gelose del compagno e delle attenzioni che Kise gli dedicava.
Se solo lo avessero conosciuto meglio e saputo cosa
rappresentava per lui, di sicuro non lo avrebbero giudicato in quel modo. Ma in
fondo loro, che lo vedevano sempre sorridente e gentile, come potevano capire
la monotonia dei suoi giorni? La frustrazione di non avere un obiettivo da
raggiungere e superare?
Si mostrò come sempre cordiale. Se avesse mostrato
anche solo un decimo del fastidio che quelle accuse rivolte all’amico gli
provocavano, avrebbe peggiorato la situazione e allora sì che ci sarebbe stato
modo di fraintendere il loro rapporto già giudicato in modo ambiguo.
“Per favore, non accusate Aominecchi
di colpe che non ha. La verità è che noi…”
“Ti devo parlare.” Aomine,
sbucato all’improvviso alle sue spalle, lo afferrò per il colletto della
camicia e lo trascinò lontano dal gruppo delle studentesse senza dargli il
tempo di concludere il discorso.
Kise
non osò neanche immaginare come le ragazze avrebbero potuto interpretare quella
scena. Una manifestazione estrema di gelosia, probabilmente.
“Aominecchi, io stavo
parlando…”
“Di qualunque cosa si trattava, la mia è più seria e
più urgente.”
Si fermarono vicino alla rampa di scale. Quando Aomine mollò la presa sulla camicia di Kise,
questi poté finalmente guardarlo in faccia. L’espressione del compagno non
sembrava alterata o sconvolta o arrabbiata come spesso gli aveva visto in quei
giorni. “Che cosa è successo?”
“Ho intenzione di lasciar perdere tutto.”
“Tutto cosa? Parli della storia yaoi?”
“Esatto. A quanto pare sono diventato piuttosto
popolare tra le ragazze e, ti dirò, la cosa non mi dispiace poi tanto.”
Kise
fece una risatina nervosa. “Stai scherzando, vero?” Se Aomine
avesse saputo l’opinione che avevano di lui le sue ammiratrici più sfegatate,
di certo non avrebbe parlato così. Tuttavia, preferì non dirgli nulla per non
distruggere le sue fantasie.
“Sono serio. Finora non mi sono mai interessato più
di tanto alle ragazze perché sono troppo complicate; insomma, guarda Sastuki. Ma ora è diventato tutto più semplice e
sinceramente non abbiamo fatto progressi nello scoprire chi è l’autore
misterioso. Tanto vale lasciare le cose così come stanno.”
Non poteva essere vero. Tra loro due, Aomine era quello che si era più battuto per difendere la
propria dignità e ora voleva mollare tutto solo perché qualche ragazza gli
aveva fatto gli occhi dolci. Un fastidioso sfarfallio allo stomaco fece
irrigidire di colpo Kise. Non riusciva a capire
esattamente cosa lo irritava di più: il pensiero che l’amico fosse di colpo
diventato desiderabile agli occhi di molte compagne di scuola o il fatto che
volesse deporre le armi senza il minimo rimpianto. L’idea che ci fosse
qualcos’altro ad unirlo ad Aomine, oltre al basket,
non gli era dispiaciuta per niente, anche se non era qualcosa di propriamente
positivo.
Si rese conto che aveva preso tutta la faccenda un
po’ troppo sottogamba, considerandola nulla più che un gioco adolescenziale. Un
gioco in cui lui e Aomine erano compagni e solo
collaborando avrebbero potuto ottenere la vittoria.
In un certo senso, era come se si sentisse tradito.
“Io non ci sto!” disse risoluto.
Un’espressione meravigliata attraversò il volto di Aomine, quasi fosse convinto che Kise
avrebbe assecondato il suo volere senza battere ciglio. “Non mi sembra che
finora ti sei dato tanto da fare per risolvere la situazione.”
“Ho affrontato la cosa semplicemente in modo diverso
da te, ma ciò non significa che non voglia mettere fine a questa storia.”
“Lo sai che sei peggio di Sastuki
quando ha le sue cose? All’inizio eri sconvolto, poi non hai mostrato il minimo
turbamento per quello che stava accadendo, ti sei affidato solo alle mie
decisioni, e adesso ti atteggi come se fossi l’unico a cui importi davvero
qualcosa?”
I toni iniziarono a farsi più accesi, le parole più
taglienti e le voci più cupe. Prima di quel momento non avevano mai davvero
fatto seriamente discussione per qualcosa, benché Aomine
non fosse proprio la dolcezza fatta persona e Kise
fosse un tipo asfissiante. Ma bene o male andavano d’accordo e tutto si
risolveva con un puerile battibecco.
“Non cambiare le carte in tavola. Eri tu il paladino
della mascolinità e adesso stai mollando tutto solo per un pizzico di
popolarità!”
“Certo, tu parli così perché di popolarità ne hai
fin troppa! Non è che hai paura che qualcuno ti possa rubare la piazza?” disse Aomine, indicando con il pollice sé stesso.
Kise
gli rivolse un sorriso beffardo. L’idiota che aveva davanti non aveva capito
proprio nulla. Non era certo essere il sex symbol
della scuola ciò che più gli premeva. Se gli avessero imposto di scegliere tra
un appuntamento con una top model e un one-on-one con Aomine, Kise avrebbe scelto la seconda opzione senza battere
ciglio. Purtroppo, era certo che Aomine non avrebbe
effettuato la stessa scelta davanti al medesimo dilemma.
Di colpo, l’immagine di Aomine
circondato da tante donne gli fece schizzare il sangue al cervello con la
violenza di un’eruzione. Strinse i pugni per non far trasparire l’irritazione.
“Fai quello che vuoi. Io non voglio saperne più
niente!”
“Lo dici come se ti avessi chiesto il permesso. Be’,
chiusa la questione.” Aomine si voltò con le mani in
tasca e si allontanò fiero, come se avesse battuto l’amico in un nuovo tipo di
scontro a due.
Kise
rimase fermo dov’era per ancora un minuto. Nella sua mente turbinavano i
ricordi della discussione appena avvenuta, le infinite varianti di come sarebbe
potuta andare se avesse risposto in modo diverso a quella o quell’altra frase
di Aomine e le mille supposizioni di come sarebbe
cambiato da quel momento in poi il suo rapporto con l’altro.
Si costrinse ad indossare una maschera di
indifferenza. Svoltò l’angolo e si ritrovò davanti il gruppetto delle sue
ammiratrici rannicchiate contro il muro l’una addosso all’altra colte in
flagrante a spiare. Le osservò in modo freddo, distaccato, come se loro non
fossero realmente lì. Parlò con voce impersonale, quasi stesse parlando solo a
sé stesso. “Prima non ho risposto alla domanda. Io e Aominecchi
non stiamo insieme… per la verità, siamo solo compagni di squadra. Non abbiamo nulla
a che fare l’uno con l’altro.”
Andò
via seguito dal silenzio sconvolto delle studentesse. Anche se era sembrato più
inemotivo di un manichino, non era stato in grado di nascondere l’alone di somma
tristezza che gli aveva velato gli occhi mentre pronunciava quell’ultima,
straziante frase.
Note dell’autrice
Avevo detto che avrei cercato di
aggiornare in modo regolare? L’ho detto davvero? Ho detto anche che stavo
scherzando?
No, be’, a parte gli scherzi avendo
finito da pochissimo gli studi non ho avuto molto tempo per dedicarmi a questa
long. In più, questo capitolo è stato un autentico parto, non sapevo come
scriverlo, non sapevo cosa far dire ai personaggi e ogni volta vedo che i
dialoghi sono a dir poco miseri D:
Alla fine questo è il meglio che mi
è riuscito. L’alternativa era aspettare un aggiornamento che sarebbe arrivato
chissà quando (se sarebbe arrivato…).
Vorrei solo aggiungere una cosina. Ringrazio
immensamente chi preferisce/ricorda/segue questa storia, però è un po’
avvilente vedere questi numeri che salgano e le recensioni che invece
diminuiscono (stiamo parlando di 34 persone come minimo) ^^”” Immagino quindi
che ci sia qualcosa che non va nella storia o nel suo modo di procedere o nel
modo in cui è scritta (o tutte queste 3 cose insieme): saperlo mi aiuterebbe
molto a migliorare. Grazie!
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Capitolo 5 *** C'è qualche problema? ***
Anonymous
C’è qualche problema?
Un pregio che Kise
aveva sempre apprezzato di Aomine era la sua
incapacità di portare rancore. Nonostante i battibecchi, le litigate o gli
screzi, ad Aomine bastavano due giorni per
dimenticare tutto e non darci più peso. Forse perché non attribuiva tanta
importanza alle parole.
Dal canto suo, Kise non
era una persona che amava tenere il broncio con qualcuno. Di solito era sempre
lui quello che faceva il primo passo per riappacificarsi. Queste loro qualità
si erano intrecciate alla perfezione fin dalla prima controversia nata durante
una partita di allenamento.
Quella volta però la cosa era molto più seria… o
almeno lo era per Kise. Non aveva intenzione di manifestare
alcuna volontà di riconciliarsi con Aomine, perché
era certo di avere ragione.
Questo era il suo proposito per quella mattina fino
a quando non passò davanti la sua aula. Discernette la voce scherzosa di Aomine nella giungla di risate civettuole di un gruppo di
sue compagne di classe. Sapeva il significato intrinseco di quei suoni, perché
solitamente erano rivolti a lui. Futili tentativi di compiacere un ragazzo solo
per mostrare il proprio interesse.
Sentire e vedere simili atteggiamenti rivolti ad Aomine gli fece contorcere lo stomaco fino a rischiare di
rimettere la sua frugale colazione.
Ed eccolo lì, Aomine,
seduto con una gamba sul davanzale, in una posa da playboy consumato, pascersi
tra quattro studentesse dagli sguardi infuocati.
L’aveva detto che la storia yaoi
gli aveva donato nuovo fascino agli occhi delle ragazze, ma vederlo era molto
peggio di quel che Kise aveva immaginato.
“Ah, eccolo lì. Ohi, Kise.
Stavamo giusto parlando di te! Vieni qui.” Il richiamo di Aomine
lo destò dai suoi tetri pensieri. Era rimasto imbambolato davanti alla porta
dell’aula senza rendersene conto.
E poi, aveva sentito bene? Aomine
stava parlando di lui? Cioè, in mezzo a un gruppetto di ragazzine adoranti
aveva uscito proprio Kise Ryota
come argomento di conversazione? La voglia di chiedergli spiegazioni era molto
forte, ma si ricordò della discussione avvenuta solo il giorno prima e
l’orgoglio prese le redini del suo cervello. “Tra un po’ suonerà la campanella:
è meglio che vada in classe.”
Le ragazze emisero all’unisono un sospiro di
delusione.
Aomine
però non demorse. Scese dal davanzale con un saltello, gli si avvicinò e gli
passò un braccio attorno alle spalle. “Stavo raccontando di come ogni sera,
dopo gli allenamenti, mi supplichi di giocare almeno una decina di one-on-one, e soprattutto di come
ti metti in ginocchio pur di fartene concedere un altro ogni volta che perdi”
disse come se nulla fosse.
In pratica stava sfruttando ogni loro tipo di interazione
per fomentare qualsiasi fantasia yaoista nelle menti
delle sue spettatrici. Kise si chiese se Aomine comprendesse appieno gli esplosivi effetti delle sue
parole. Probabilmente no.
Non sapeva se essere sorpreso del fatto che il
compagno avesse dimenticato ciò che era successo il giorno prima tra di loro o
essere arrabbiato per averlo ridicolizzato.
Mai come in quel momento desiderò che la campanella
suonasse il prima possibile.
“Questa sera possiamo venire a vedervi?” chiese una
delle compagne di classe di Aomine.
Kise
cercò di rispondere prima che lo facesse l’altro, ma fu battuto sul tempo. “Ci
piacerebbe molto…” Aveva usato il
plurale? “… ma preferiamo restare da soli.”
Kise
poté quasi vedere nelle pupille eccitate delle ragazze ogni oscenità possibile avente
loro due per protagonisti. Nonostante il permesso negato, sembrarono al settimo
cielo. “Oh, d’accordo. Non vogliamo certo disturbarvi.”
Non gli piacque il tono malizioso dell’ultima parola, come se si supponesse che
loro facessero ben altro che giocare a basket.
Il suono della campanella fu rassicurante come il
gorgoglio di una sorgente d’acqua nel deserto.
Dopo essersi deterso il sudore in
eccesso con l’asciugamano, Aomine lo sistemò nel
borsone. Bevve qualche sorso d’acqua dalla borraccia e ripose anche questa.
Attese di sentire da un momento all’altro la voce squillante di Kise chiedergli di restare ancora un po’ per qualche one-on-one, ma non giunse nulla.
Perplesso, fece vagare lo sguardo per tutta la
palestra, ma la testa bionda del compagno non sbucò da nessuna parte.
“Kise-kun è già andato
via” lo informò Kuroko, materializzatosi al suo
fianco.
Ormai era da un bel po’ che Aomine
aveva imparato a non farsi prendere alla sprovvista, tuttavia la ricerca di Kise lo aveva distratto al punto di non accorgersi della
presenza della sua ombra. Almeno non saltava più per lo spavento come le prime
volte.
“Andato via? Quando?”
“Poco dopo che l’allenatore ha detto che per oggi
avevamo finito.”
Aomine,
confuso, si grattò la testa. “Capito.”
“Avete litigato?” indagò Kuroko.
“Certo che no!”
Kuroko
lo fissò insistentemente come se cercasse di leggergli nel pensiero, o peggio,
come se sapesse la verità e volesse costringerlo a dirla. Aomine
si sentì molto a disagio. “Be’, abbiamo discusso di una cosa, ieri. Sai… quella
storia di me e lui e del giornaletto scolastico… però alla fine abbiamo
risolto.”
“Aomine-kun.”
“Sì?”
“Sei proprio stupido.” Era disarmante il modo in cui
Kuroko riusciva a dire le peggiori cattiverie con
tanta naturalezza. Parlava come se quello che diceva non fosse una sua semplice
deduzione, ma un vero e proprio dato di fatto, inconfutabile, come dire che uno
più uno fa due e non si discute.
“Come diavolo ti viene in mente?”
“Forse quello che a te sembra un problema risolto
non lo è altrettanto per Kise-kun.”
Aomine
ci pensò su due secondi e, proprio quando sembrò raggiungere l’illuminazione,
disse: “No, non credo sia questo. Sicuramente aveva solo un impegno, stasera.
Meglio per me… oggi c’è Mai-chan in TV!”
Al terzo giorno consecutivo in cui Kise sembrava svignarsela non appena gli allenamenti
finivano, Aomine iniziò ad avere il leggero sospetto
che qualcosa non andasse. Conoscendo il compagno, come minimo gli avrebbe dato
una spiegazione per il suo comportamento, prodigandosi in mille scuse, quasi
fosse lo stesso Aomine quello che smaniava per un one-on-one in più. Per di più,
anche durante gli allenamenti, Kise era scostante ed
evitava di parlare con lui se non quando strettamente necessario.
“Sai una cosa, Tetsu?”
disse all’amico prima di andare in palestra. “Forse avevi ragione tu.”
Kuroko
lo guardò con la sua solita espressione neutra. “E cosa intendi fare?”
“Non saprei. Persino mia madre, vedendomi tornare
prima a casa in questi giorni, ha pensato che ho litigato con Kise. Comunque se lui non mi vuole parlare ci sarà un
motivo, solo che non riesco a capirlo. Potrei aspettare che gli passi.”
“Potresti andargli a parlare” suggerì Kuroko.
“E che gli dico?”
“Non saprei. Sei tu quello che gli ha fatto
qualcosa.”
“Lo sai che sei proprio un piccolo… Dai per scontato
che sia io ad avere torto!”
“Ho i miei motivi per pensarlo. Comunque sembra che
ti dispiaccia.”
“Non dire stronzate simili. Da quando quello è
entrato in squadra non ho avuto più pace. Ho ripreso un po’ di fiato…”
Kuroko
gli lanciò un’occhiata perplessa.
“Che c’è?” chiese Aomine
sulla difensiva.
“Sembrava che volessi aggiungere qualcosa.”
“No… niente… è solo che… boh, è strano…”
“Strano cosa?”
“Senti… questo discorso è strano! Fra trenta minuti
ci vediamo per gli allenamenti” disse frettolosamente Aomine,
abbandonando Kuroko sulla strada per la palestra.
Era strano non sentire più la voce argentina di Kise invitarlo (per non dire costringerlo) a giocare
insieme, od offrirgli un gelato, o dirgli qualsiasi cosa. E Kuroko
di certo non lo aiutava.
Si diresse verso il tetto della scuola. Un pisolino
di una mezz’ora lo avrebbe aiutato a schiarirsi le idee. Quali idee poi?
L’unica cosa di cui ormai era quasi certo era che Kise
ce l’avesse con lui. Davvero si trattava del fatto che avesse rinunciato
all’idea di cercare l’autore della storia yaoi? Non
c’era scritto mica da nessuna parte che dovevano farlo insieme. Non gli aveva impedito
di continuare ad indagare da solo. Se Kise voleva per
forza un compagno per fare qualsiasi cosa, be’, questi erano problemi suoi:
doveva imparare a cavarsela senza nessuno.
Aomine
arrivò a questa consapevolezza non appena spinse la porta per accedere al tetto
della scuola. Si era già preparato all’idea di trovarsi nel più completo relax,
senza nessuno che lo disturbasse con domande strane o subdoli interrogatori, ma
dovette ben presto abbandonare quell’idillio.
Il tetto era già occupato da ben cinque ragazzi.
Cazzo, addio al suo pisolino! Stava già per andarsene intento a pensare ad un
altro posto dove poter essere lasciato in pace, quando, osservando meglio gli
altri studenti, riconobbe un viso familiare: Kise.
Aveva un livido piuttosto vistoso sullo zigomo
destro. Il cravattino dell’uniforme era allentato. La posa bellicosa con cui
fronteggiava gli altri non lasciò più adito a dubbi: si era lasciato
coinvolgere in una rissa.
A giudicare dallo schieramento, il compagno era solo
contro gli altri quattro. Uno di questi aveva un rivolo di sangue che gli
usciva dal naso e tutti avevano le uniformi piuttosto stropicciate. Nonostante
l’inferiorità numerica, Kise era riuscito a tener loro
testa egregiamente, ma non sarebbe durato a lungo. Aomine
si sarebbe complimentato con lui per il coraggio, ma gli avrebbe anche fatto volentieri
una lavata di capo per la sua stupidità.
Nessuno si era accorto di lui, ma l’idea di allontanarsi
e far finta di nulla non gli passò minimamente per la testa. Avrebbe potuto
approfittare dell’effetto sorpresa, ma
se lo bruciò lasciandosi trasportare da un sentimento molto simile alla paura.
“Che sta succedendo?”
I ragazzi si voltarono all’istante verso di lui.
Dalle facce fu facile dedurre che temevano di essere stati beccati da un
professore. Quando identificarono Aomine, si
rilassarono e ostentarono dei sorrisi di scherno. “Ehi, Kise,
hai visto? Il tuo fidanzato è venuto a salvarti!”
“Il suo cosa?” gli fece eco Aomine.
“Avete rotto con questa storia!” si infervorò Kise.
“Guarda come si agita! Neanche avessi insultato tua
madre.”
Aomine
non aveva bisogno di sentire altro. La situazione era piuttosto chiara. Non
stavano offendendo solo il suo amico, ma anche lui stesso. “Ehi, teste di
cazzo” disse tranquillo, senza nessuna incrinatura nella voce.
Kise
lo guardò preoccupato, come a intimargli di non lasciarsi coinvolgere e di
scappare finché era in tempo, ma ormai aveva capito che era troppo tardi.
“Che hai detto? Un frocio come te ha chiamato me ‘testa
di cazzo’? Cos’è, un modo per dirmi che ti piaccio?
Tu sei frocio e a te piacciono i caz…” Le
provocazioni furono drasticamente interrotte da un pugno di Aomine
sul naso. Fu così potente che riuscì a sentire la cartilagine del setto nasale
rompersi sotto le nocche. I compagni, dopo un attimo di sbalordimento per
quanto successo, si avventarono su di lui come iene su una carogna.
Il ragazzo colpito si accasciò a terra coprendosi il
naso con la mano, ma l’emorragia era troppo forte per essere contenuta.
Imprecava per il dolore e si dimenava come un ossesso.
Intanto, Aomine riuscì ad assestare
un calcio ben piazzato agli stinchi di uno degli assalitori, costringendolo a
mettersi in ginocchio. Uno degli altri due riuscì a immobilizzarlo da dietro,
bloccandogli la braccia dietro la schiena in una presa ferrea, mentre l’altro
lo ricambiò con la stessa moneta. Gli sferrò un cazzotto in pieno viso, ma non
fu preciso allo stesso suo modo e colpì la guancia.
Le nocche impattarono contro l’osso dello zigomo e
il ragazzo agitò la mano per lenire il dolore.
Non un lamento di sofferenza uscì dalla bocca di Aomine, solo ringhi animaleschi per la rabbia di non
riuscire a liberarsi da quella trappola. L’adrenalina che gli scorreva nel
sangue non gli faceva sentire il dolore e lo incitava a lottare ancora.
Si preparò a ricevere il secondo pugno, ma questo
non arrivò mai. Kise aveva bloccato il braccio del
ragazzo e gli assestò una ginocchiata allo stomaco, facendolo accasciare su sé
stesso con le braccia strette attorno all’addome. Rimasto solo, l’ultimo degli
avversari lasciò andare la presa su Aomine e fece
qualche passo indietro, terrorizzato all’idea di essere indifeso.
“Sparite tutti e quattro finché avete le gambe che
vi funzionano ancora!” sbraitò Aomine e il ragazzo
non se lo fece ripetere due volte.
Prese l’amico con il naso rotto sulle spalle e
invitò gli altri ad andarsene con lui. Fuggirono come cani con le code in mezzo
alle gambe.
Quando il pericolo fu passato, Aomine
sembrò accusare tutto d’un tratto la dolenza alla guancia. Si portò la mano al
viso che bruciava e formicolava: di certo sarebbe uscito un bel livido.
Si girò verso Kise e
rimasero in silenzio a fissarsi. Nessuno sapeva cosa dire all’altro, sebbene di
cose ce ne erano parecchie.
Kise
iniziò dalla più semplice. “Grazie.”
“Di niente.”
Poi, dopo altri secondi di interminabile silenzio,
giunse la spiegazione. “Stavo camminando per i fatti miei e li ho sentiti che
mi chiamavano frocio. Mi è salito il sangue alla testa.”
Aomine
assentì con la testa. Anche se mettersi contro quattro ragazzi era stato molto
rischioso e molto stupido, non poteva rimproverarlo: in fondo, lui aveva fatto
la stessa cosa.
“Sai… ti stavo giusto cercando” disse come se fosse
qualcosa di poco conto.
Vide Kise sussultare come
colpito da una scossa elettrica. Di sicuro era l’ultima cosa che si sarebbe
aspettato di sentire. “Per dirmi cosa?”
Quella sì che era una bella domanda. Se Kuroko fosse stato lì lo avrebbe spronato a parlare chiaro,
schietto e diretto. Provò a seguire quel consiglio non detto. “C’è qualche
problema?” chiese, ma dalla faccia interrogativa del compagno capì che doveva
essere più specifico. “Tra noi, intendo.”
“No, nessuno” la risposta fu troppo tempestiva per
essere considerata sincera.
“E perché sono tre giorni che mi eviti?”
Kise
diede chiari segni di agitazione. Sì, c’era qualche problema, ma voleva evitare
di parlarne. “Non ti sto evitando, ho solo avuto molto da fare. Il lavoro, lo
studio… cose così.”
“Cose così?” Aomine non si
reputava un ragazzo troppo fantasioso, ma Kise era
anche peggio di lui quanto a inventiva.
Era evidente che non intendeva dare una spiegazione
plausibile al suo allontanamento, e Aomine non era
tipo da pregare le persone per avere delle informazioni. Almeno non poteva
rimproverarsi di non averci provato, anche se il risultato era stato deludente.
“Vado al club di giornalismo.”
“Per fare cosa? Avevi detto che non volevi saperne
più niente.” Ecco il nodo gordiano. L’eccessiva loquacità di Kise lo aveva tradito. A quanto pare era come aveva detto Kuroko: ciò che per Aomine
sembrava risolto, non lo era altrettanto per Kise.
“Questa volta ce la siamo cavata solo con qualche
livido, ma la situazione rischia di peggiorare. Intendo porre fine a questa
pagliacciata!” disse con impeto, rientrando nell’edificio.
Kise,
basito da quella decisione fulminea, fu travolto da una valanga di domande, tra
cui la più prepotente fu: Aominecchi è preoccupato
per me?
Note dell’autrice
Capitolo più lungo questa volta. Fa
schifo, ma con i tempi che corrono è già tanto se ho trovato il tempo di
scriverlo >.<
Secondo voi Aomine
ce la farà a contrastare il potere dello yaoi? L’importante
è crederci nella vita!
Sono molto laconica in questa
storia, non so perché. Ok, al prossimo capitolo allora e mi raccomando recensite
;)
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Capitolo 6 *** Master Basket ***
Anonymous
Master Basket
Naosuke
Yosano era sempre stato convinto che la sua timidezza
e codardia, fautrici di una grave balbuzie, fossero ampiamente compensate dalle
sue doti di scrittore. La firma sul modulo di iscrizione al club di giornalismo
era stata vergata in modo netto, senza la minima sbavatura. Aveva grandi
progetti per il suo primo anno.
Tramite il giornale scolastico avrebbe pubblicato le
sue storie poliziesche, contando di appassionare la comunità studentesca
attraverso trame intrigate, personaggi accattivanti, misteri indecifrabili e sbalorditivi
colpi di scena. Avrebbe guadagnato una certa notorietà e magari avrebbe potuto
trasformare la sua passione nel proprio lavoro.
Ma nulla di tutto ciò accadde. Fece tre tentativi,
ma il giornale scolastico, dopo la pubblicazione del primo capitolo di ogni
storia, non registrò alcun incremento delle letture. Più volte Naosuke si era chiesto in cosa avesse sbagliato, in cosa
difettava la sua opera per poter ghermire l’attenzione del pubblico.
La risposta gli era arrivata sotto forma di busta
anonima durante il suo ultimo anno di medie: yaoi.
Scettico, aveva deciso di pubblicare quella storia romantica di dubbio gusto,
dallo stile elementare e con dei personaggi fin troppo stereotipati. Eppure,
contro ogni sua previsione, quella roba
piaceva e anche tanto!
Dunque era in questo che si risolvevano i suoi
sogni? Dare al pubblico una pappardella traboccante cliché, condita da
protagonisti superfighi e il tutto servito con uno
stile di scrittura ridicolmente semplice, piatto? La risposta era lampante: sì!
Naosuke
odiava quella storia, dal più profondo del cuore. Stava godendo di un successo
a suo dire immeritato, mentre lui aveva passato notti in bianco per scrivere i
suoi gialli e dare loro un senso e un intreccio narrativo degno di questo nome.
Stava stringendo in mano l’ultima lettera trovata
nella cassetta della posta, ovvero il terzo capitolo, lottando contro l’istinto
di ridurla a brandelli, quando la porta dell’aula si spalancò e un Aomine furioso e contuso fece il suo ingresso.
La scena aveva un che di già visto.
“Cercavo proprio te” gli disse Aomine.
Si avvicinò alla sua scrivania e Naosuke ripose il
foglio che stringeva in mano al sicuro nella propria cartella. “È quello che
penso che sia?”
“G-già.” Naosuke aveva
capito che quel ragazzo non era pericoloso, ma trovarselo davanti con aria a
dir poco incazzata e per di più con un ematoma sul viso, segno che si era preso
a pugni con qualcuno, suscitò in lui un rinnovato terrore. Anche questa paura
aveva un che di già vissuto.
“Lo vedi questo?” domandò Aomine
indicandosi lo zigomo gonfio. “Me lo sono procurato per colpa di quella merda
che pubblicate. E anche Kise ha avuto la sua razione
di pugni.”
“Sta bene, vero?” La vocina allarmata della piccola
ragazza con i grossi occhiali colse Aomine così alla
sprovvista da farlo indietreggiare di un passo.
“E tu da dove spunti?”
“Imbecille, ero qui dall’inizio! Comunque Kise come sta? Non si è fatto niente, spero.”
“Quello sta meglio di me… e solo per merito mio, tra
l’altro.”
“Che cosa meravigliosa!” Cosa ci fosse di così
meraviglioso, Aomine non riuscì a capirlo finché non
la vide prendere un taccuino e una penna. “Vuoi dire che tu lo hai salvato,
vero? Siete stati coinvolti in una rissa? Contro quanti avversari avete
lottato? Come ti sentivi a sapere che il tuo Kise era
in pericolo?”
“Ma come si spegne?” chiese Aomine
rivolto al presidente del club.
“Noi la chiamiamo ‘Yaoi mode
on’: di solito aspettiamo che l’effetto svanisca da solo.”
“Svanisca da solo un cazzo!”
Senza neanche ascoltare le risposte alle sue domande,
la studentessa aveva già iniziato a scrivere un abbozzo di articolo.
D’improvviso si ritrovò a scrivere la fine di una parola sul palmo della
propria mano. Sollevò la testa e vide il suo prezioso taccuino nelle grinfie di
Aomine. “Prima di tutto, Kise
non è ‘mio’… secondo, non ho ‘gli occhi lucidi mentre ripenso al pericolo che
il mio Kise ha corso poco istanti fa’…” lesse il
ragazzo con espressione disgustata.
La ragazza incrociò le corte braccia al petto e
gonfiò le guance in segno di offesa. A quanto pareva, l’effetto Yaoi si stava dissolvendo più in fretta del previsto.
“Tornando a noi. Giuro che se domani sul giornale
della scuola trovo stampato il nuovo capitolo o un qualsiasi articolo che parla
di me e di Kise, darò fuoco a quest’aula.” Le parole
e gli occhi di Aomine trasmettevano sincerità. Nessun
battito di ciglia interruppe il contatto visivo tra il ragazzo e il presidente.
Dopo qualche secondo di grave silenzio, Naosuke riprese la parola. “N-n-n-on… p-p-p-posso…” disse
con grande sforzo, sputacchiando persino sulla sua stessa scrivania.
“Che hai detto?”
“N-non p-p-posso farlo. C’è q-q-qualcos’altro che mi
s-s-spaventa di più.”
“Più di me? E che sarebbe?”
“Le ragazze” rispose per lui la collega. Naosuke si rannicchiò sulla sedia e abbassò lo sguardo,
arrossendo come un peperone. La ragazza continuò. “Quasi tutte le ragazze della
storia aspettano con impazienza l’uscita del prossimo capitolo. Loro sanno che
avverrà tra uno, massimo due giorni. Se non dovessimo pubblicare nulla o
dicessimo che la storia è stata sospesa, stai pur certo che verrebbero qui come
una mandria di bufale inferocite. Guarda il nostro presidente, poverino: quando
è sottopressione inizia a balbettare come un demente. Ma te lo vedi a dover
fronteggiare una schiera di yaoiste agguerrite? Al
confronto tu sei come un chihuahua che abbaia tanto e basta!”
Il presidente confermò energicamente con la testa,
ma senza osare alzare gli occhi, troppo imbarazzato per la sua debolezza.
“Merda” sibilò Aomine.
“Merda!” gridò e sbatté violentemente il pugno sulla scrivania di Naosuke, facendolo saltare di almeno un metro dalla sedia e
strillare come una femminuccia.
Aomine
aveva visto bene dove il presidente aveva nascosto il foglio con su scritto il
capitolo ancora inedito: rubarglielo e distruggerlo sarebbe stato facile.
Meditò seriamente di compiere o meno tale gesto. No, non avrebbe risolto un bel
niente. Sarebbe bastato pubblicare sul giornale un appello all’autore per farsi
inviare una nuova copia, per non parlare del fatto che la sua bravata avrebbe
dato ben più di uno spunto per un nuovo, ambiguo articolo su lui e Kise.
“Meriteresti davvero di essere sbranato da quelle
allupate!” gli inveì contro. Uscì dall’aula sbattendosi la porta alle spalle
così forte da rischiare di scardinarla.
Era più infuriato di quando era entrato. Si appoggiò
al davanzale della finestra. In primo piano, con il campo da calcio della
scuola sullo sfondo, vide il proprio riflesso. Il livido si era fatto piuttosto
evidente, tanto che poteva vederne chiaramente ogni sfumatura violacea. Sua
madre gli avrebbe fatto una bella ramanzina quella sera, giusto per concludere
la giornata in bellezza!
Ovunque volgeva lo sguardo vedeva solo vicoli
ciechi: non sapeva come trovare l’autore anonimo; non poteva impedire al club
di giornalismo di pubblicare la storia; e con Kise le
cose andavano tutt’altro che bene.
Certo, si erano parlati, ma pensandoci non si erano
chiariti quasi per niente.
Si sentì un coglione per aver pensato che quella
faccenda portasse solo lati positivi, ovvero maggiore popolarità tra il gentil
sesso.
“Aomine.”
La vocina stridula della yaoista
lo destò dai suoi pensieri. “Che vuoi?”
“Credo che la tua avversione per lo yaoi sia dovuta alla tua ignoranza.”
“Che hai detto?” disse, voltandosi verso di lei.
La ragazza gli porse un sottile plico di fogli. “Se
leggessi questa storia non la detesteresti così tanto. Qui ci sono i primi due
capitoli trascritti e anche il terzo. È un grande privilegio, quindi sii
grato.”
Aomine
guardò scettico le pagine, poi le afferrò con circospezione, quasi stesse
maneggiando una bomba pronta ad esplodergli in mano al minimo scossone. In
tutto erano una ventina. Non molte in verità, ma lui non era un tipo che si
poteva definire ‘amante della lettura’. “Non è che mi faresti un riassunto?”
“Ne ero certa! Sei praticamente il protagonista e
non ti è mai venuto in mente di leggerla?”
Proprio così, pensò. Si chiese se Kise invece lo avesse fatto. Sfogliò le pagine velocemente.
Meditò persino di andare da Kuroko per chiedergli di
fare un riepilogo generale, ma non sarebbe stata la stessa cosa.
E poi doveva ammetterlo: un po’ era curioso di
sapere cosa ci fosse scritto di così fantastico da ammaliare legioni di ragazze
infervorate.
La studentessa lo salutò frettolosamente e rientrò
nell’aula del club.
Aomine
si sedette sul pavimento lì dov’era e iniziò a leggere.
Ed ecco, essenzialmente, ciò che la sua mente
assimilò ed elaborò al contempo quel pomeriggio.
Master
Basket
Capitolo
1
Aimine
è considerato da tutti un vero genio del basket. È la stella indiscussa della
squadra e ama questo sport con tutto sé stesso.
(Sì,
sono proprio io)
Un giorno, un ragazzo del suo stesso anno, Kisu, gli si avvicina mentre è intento ad allenarsi da solo
in palestra, ben oltre l’orario consueto dei suoi compagni. Gli chiede di
insegnargli a giocare a basket, perché, vedendo lui, si è appassionato a questo
sport. Aimine all’iniziò è contrario a fare da
maestro ad un dilettante, ma riconosce il ragazzo per essere il più popolare
della scuola. Non era raro vederlo circondato da schiere di ragazzine urlanti.
(Mi
ricorda qualcuno…)
Aimine
decide di accettare di fargli da maestro, ma ad una sola condizione: Kisu deve presentargli una ragazza, o anche più di una, che
rispecchi ogni suo desiderio.
(Bella
idea! Devo chiederlo anche io a Kise)
Kisu
acconsente e anche lui pone una condizione: pagherà il suo debito solo dopo essere
diventato un titolare.
(Scommetto
che non lo farà)
Nonostante la riluttanza iniziale e il carattere di Kisu, fin troppo estroverso per i suoi gusti, Aimine gli riconosce un certo potenziale. Il suo allievo
impara molto in fretta, a suo dire perché ha un maestro eccezionale. Inoltre
giocare con lui si rivela molto più divertente del previsto e la soddisfazione
personale nel vedere le sue abilità crescere di giorno in giorno porta Aimine a provare una certa simpatia per l’altro.
Durante una partita ufficiale, anche se gli
avversari non erano molto forti, Kisu riesce a vivere
dieci minuti di gloria sul parquet. Le sue giocate e la sua sintonia con la
stella Aimine gli conferiscono nuova luce agli occhi
del coach.
(Che
palle, ma quando arriva la parte interessante?)
Aimine
si congratula con lui, orgoglioso del proprio pupillo, e non perde occasione
per rammentargli del loro accordo. Un’ombra di dispiacere attraversa il volto
di Kisu, ma Aimine non se
ne avvede.
(E
questo dovrei essere io? Quando mai non mi accorgo delle cose?)
Solo due partite dopo, Kisu
scende in campo fin dal primo minuto e il coach gli conferma che da quel
momento in poi lui farà parte della rosa dei titolari. L’entusiasmo di Kisu esplode, ma subito dopo pare che un pensiero terribile,
noto a lui solo, gli spenga ogni gioia.
(L’ansia
di sapere cos’è mi sta uccidendo… sì, sì, muoio davvero…)
Capitolo
2
Il giorno dopo Aimine gli
rammenta del loro patto: la sua parte l’ha fatta, ora spetta all’altro onorare
il debito. Kisu, anche se un po’ nervoso, gli dice
che provvederà subito a organizzargli un appuntamento con una ragazza.
Tuttavia, passa una settimana e nulla accade.
(Lo
dicevo io che non l’avrebbe fatto)
Aimine,
spazientito, gli chiede spiegazioni per un simile comportamento. Kisu si giustifica dicendo che ancora non è riuscito a
trovare una ragazza che possa soddisfare i suoi gusti e che per lui, essendo il
suo mentore del basket, vuole solo il meglio. Aimine
gli consente un’altra settimana, ma all’orizzonte non si vede ancora nulla.
(Questo
Kisu è proprio uno stronzo!)
Infine, Aimine decide di
affrontarlo a viso aperto. Ormai è evidente che Kisu
non ha intenzione di adempiere al proprio dovere.
(Io
lo avevo capito già dal primo capitolo che finiva così)
Kisu,
messo alle strette, confessa che non aveva mai avuto intenzione di fargli
conoscere alcuna ragazza perché, ammette dopo numerose domande, è geloso di
lui.
(Scontatissimo)
La vera ragione per cui ha iniziato a giocare a
basket era avvicinarsi ad Aimine, del quale, dopo
averlo visto la prima volta, se ne era infatuato. La storia dell’allievo e del
maestro era solo una montatura per poterlo conoscere e stare insieme.
(Io
gli darei un bel pugno)
Aimine
rimane scioccato da una simile confessione. Vorrebbe dire qualcosa ma non sa
esattamente cosa.
(E
la gente pensa davvero che questo sia io?!)
In tono freddo, inespressivo, dice a Kisu che è molto deluso dal suo comportamento e che, a
parte durante gli allenamenti, non vuole né vederlo né parlargli.
(Cos’è,
un fottuto scherzo? Davvero non si incazza neanche un po’? Ehy,
quello ti ha preso in giro, hai speso un mucchio di tempo appresso a lui e te
ne esci con un ‘Sono molto deluso da te’? Ma porca di
quella…)
Capitolo
3
Durante la partita successiva, il duo Aimine-Kisu si inceppa più di una volta, tanto che Kisu finisce con l’infortunarsi una caviglia in modo
abbastanza grave. D’istinto, Aimine è il primo a
correre in suo soccorso quando l’amico cade stringendosi la caviglia dolorante.
(Virilità
sottozero)
Poi si rammenta di quanto accaduto tra loro e si
allontana subito dopo, lasciando che Kisu venga
portato in infermeria.
(Quando
si dice la provvidenza, eh?)
Kisu
non si presenta a scuola il giorno dopo, e neanche quello successivo. L’essere
all’oscuro delle sue condizioni di salute fa sprofondare Aimine
in un mare di angoscia e dispiacere.
(No,
no e poi no: mi rifiuto di credere che questa checca dovrebbe essere me! Ma l’autore
che ha nel cervello?)
Dopo la scuola, decide di andargli a fare visita. Lo
trova in camera sua, steso sul letto, con la caviglia bendata e poggiata su due
cuscini. Non può fare a meno di pensare che ciò che gli è accaduto è solo colpa
sua: se avessero fatto più gioco di squadra, Kisu non
sarebbe stato costretto a scontrarsi da solo contro un avversario di due metri.
Kisu
è sorpreso di vederlo ed anche estremamente felice.
Aimine
è andato a trovarlo solo per sapere come stava, ma trovandoselo davanti,
indifeso e immobile, un po’ per il senso di colpa, un po’ per un moto di
tenerezza, i suoi veri sentimenti gli si manifestano chiari e limpidi come un
lago di montagna.
(TENEREZZA?!)
Era già da un po’ di tempo che le ragazze non lo
attiravano più e in particolare da quando aveva iniziato a frequentarsi con Kisu.
(Che
coincidenza)
Se aveva insistito tanto sulla questione
dell’accordo era solo perché non voleva mostrare questo suo lato al compagno.
Inoltre, era convinto che mai al mondo Kisu lo
avrebbe ricambiato, per questo non aveva mai neanche pensato di dichiararsi a
lui. Era troppo preoccupato di trasmettere un’immagine virile di sé per
accorgersi dell’infatuazione del suo allievo.
(E
Aimine si accorge di provare tutto questo solo ora?
Come se adesso che Kise ha una guancia gonfia e
livida io scoprissi di essere innamorato di lui… Ma perché adesso sto
paragonando questa cosa
alla mia vita reale?)
Kisu
scoppia a piangere per la commozione.
(Questo
è tipico del Kise reale, in effetti)
Aimine
si siede di fianco a lui, gli asciuga le lacrime con il pollice, lo abbraccia e
lo…
(No,
non posso leggere! Saltiamo questa parte)
…sente la mano di Kisu
intrufolarsi sotto…
(…saltiamo
anche questa…)
I pantaloni diventano troppo stretti per contenere
la sua…
(…saltiamo…
saltiamo…)
Finalmente i due sono pronti per consumare la loro
travolgente passione.
(È
finita… grazie al cielo è… no, un momento… vuol dire che… nel quarto capitolo
io e Kise faremo sesso?!)
Note dell’autrice
Ed ecco la storia che ha fatto
trepidare i cuori di tutte le studentesse dalla Teiko:
bella pappardella vero? XD
Ho preferito riportarla in forma
sintetica piuttosto che scriverla pari pari a come
dovrebbe essere perché avrebbe appesantito in modo inutile la fanfic: in pratica quello riportato è quello che Aomine ha recepito di ciò che ha letto, con suoi relativi
commenti.
E anche questa volta ho fatto il mio
dovere e ho aggiornato ^^ Al prossimo chap!
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Capitolo 7 *** Diario segreto ***
Anonymous
Diario
segreto
Momoi
colpì bruscamente il lato tumefatto del viso di Aomine
con una borsa di ghiaccio.
“L’ho capito che sei arrabbiata, non serve infierire
così” berciò lui, reggendosi la borsa beige contro la guancia.
“No, tu non capisci. Se si fosse venuto a sapere che
tu e Ki-chan siete rimasti coinvolti in una rissa, sareste
stati espulsi all’istante dalla squadra!”
Aomine
sollevò gli occhi al cielo per l’esasperazione. Era almeno la quinta volta che
l’amica gli ripeteva sempre la solita ramanzina. “Be’, non è successo, quindi
smettila di farne un dramma.”
“Sei davvero irritante a volte!”
“Almeno io lo sono solo a volte…” commentò lui,
sottovoce.
“Che hai detto?”
“E chi ha parlato.”
Momoi
gli lanciò un’occhiata fulminante. Non aveva sentito le parole esatte, ma sapeva
che lui non le aveva certo fatto un complimento.
Aomine
preferì cambiare discorso. “Com’era oggi la situazione a scuola?”
“C’era un gran fermento: oggi è stato pubblicato il
terzo capitolo della storia sul giornale…”
“Sì, lo so” disse Aomine,
d’istinto.
“E come fai a saperlo?”
“Ehm…” Cazzo, aveva risposto di getto e ora era
obbligato a dire all’amica tutto ciò che aveva fatto il giorno prima, dal
momento in cui aveva lasciato Kise sul tetto della
scuola in poi.
Ah, al diavolo, prima o poi glielo avrebbe detto
comunque. “Lo so perché l’ho letta, ieri, in anteprima…” e seguitò a raccontare
quanto successo.
Momoi
rimase con la bocca e gli occhi spalancati per un minuto buono prima di
riprendersi. “Quindi ora sai di che parla! E come l’hai trovata?” L’entusiasmo
di Momoi era dirompente, come se fosse contenta di poter
finalmente parlare liberamente di una sua grande passione con l’amico
d’infanzia.
“L’ho trovata vomitevole!” rispose spietatamente Aomine. “I protagonisti non hanno niente a che fare con
noi. Be’, forse con Kise sì, ma con me di sicuro
nulla! E io che mi vantavo pure di essere diventato più popolare senza sapere
come mi vedevano esattamente le ragazze! L’autrice di quella storia, perché non
potrebbe essere altrimenti, ha dei seri problemi se pensa che noi maschi siamo
così!”
Momoi
si rabbuiò a quelle parole crudeli e insensibili, quasi l’altro l’avesse offesa
personalmente. Aomine aggrottò le sopracciglia
perplesso, inconsapevole di ciò che aveva fatto.
“Ma come diavolo ti è venuto in mente?” strillò lei.
“Eh?”
“Sei andato al club di giornalismo a dire che hai
difeso Ki-chan da quattro bulli! Ti rendi conto che
hai dato loro un argomento succulento su cui scrivere?
“Insomma, Sastuki, fai
pace con il cervello: prima sembri euforica e ora mi rimproveri, ancora! E poi
stavamo parlando di tutt’altro: perché hai cambiato argomento?”
“Non ti rendi conto che se avessero scritto qualcosa
sul giornale, tutti avrebbero saputo della lite? Per fortuna hanno avuto il
buon senso di non dire nulla” continuò lei imperterrita, ignorando la domanda
di Aomine. “E comunque la fantasia di tutte le
ragazze oggi a scuola era già piuttosto sovraeccitata: il fatto che oltre a te,
anche Ki-chan è stato assente ha dato vita a molte
idee.”
“Mh… quindi anche lui non
è andato…”
“Non dirlo come se non te ne importasse nulla.” Momoi si era placata e guardava Aomine
con un sorriso molto allusivo dipinto sul volto.
“Infatti non me ne frega niente.”
“Sai, Dai-chan,” Aomine non amava molto quel vezzeggiativo, ma fintanto che Momoi lo chiamava così quando erano soli poteva anche
accettarlo; per di più, aveva la netta sensazione che lei lo usasse per fargli
dispetto, “è proprio a causa di questo tuo atteggiamento che Ki-chan non ti parla più.”
“Che vuoi dire con questo?”
“Voglio dire che dovresti andare da lui e
parlargli.”
“Mi sono preso un cazzotto in faccia per lui: cosa
vuole di più?”
“Dai-chan! adesso ti prepari,
vai a casa sua e gli parli chiaro e tondo.”
Aomine
aveva in programma di sollazzarsi con l’ultima rivista gravure
che aveva comprato, ma sapeva quanto Momoi sapesse
essere insopportabile quando si impuntava su qualcosa. Le sue amate idol dovevano aspettare ancora un altro giorno per essere
ammirate nei loro provocanti completi intimi.
Era la prima volta che Aomine andava a trovare Kise
direttamente a casa sua, più che altro perché fino a quel momento non ce n’era
mai stato bisogno, visto che era sempre il modello a rincorrerlo ovunque
andasse. Era una bella villetta di due piani, con tanto di giardinetto esterno:
una tipica dimora da spot pubblicitario. Suonò il campanello e ancora non
sapeva cosa diavolo dire a Kise. Confidava nel
proprio istinto: al momento opportuno le parole sarebbero venute da sole.
Una voce femminile gracchiò dal citofono: “Chi è?”.
“Sono Aomine Daiki, un amico di Ki… Ryota” si corresse all’ultimo: non sarebbe stato molto
intelligente chiamare per cognome il compagno proprio a casa sua, dove tutti si
chiamavano Kise.
“Aomine! Oh mio Dio, vuoi
dire che sei il famoso Aominecchi?” Da quando in qua lui
era famoso? Per un momento, ebbe l’inquietante sensazione di parlare con un Kise al femminile.
Il cancello si aprì e, mentre attraversava il
vialetto, la porta d’ingresso si spalancò, rivelando la figura di una ragazza
di poco meno di vent’anni, biondissima e radiosa.
“Finalmente ti conosco! Piacere io sono Kaori, la
sorella di Ry-chan! Sai, mio fratello non fa altro
che parlare di te da quando vi siete conosciuti: Aominecchi
è fantastico; Aominecchi è sorprendente; Aominecchi di qua e di là. È come se già ti conoscessi, in
un certo senso. Ry-chan sembra una ragazzina alla sua
prima cotta. E sai, guardandoti bene…” la ragazza lo scrutò da testa a piedi
con aria di approvazione, “… la cosa non mi sorprende affatto. Oh, ma guarda,
quello è il famoso livido che ti sei fatto per difenderlo! Accidenti, deve aver
fatto parecchio male. Ti ringrazio per aver protetto il mio fratellino da quei bastardi… Ops, scusami, ma sai io
sono la sua manager e adesso per colpa di quegli ematomi che ha in faccia dovrà
rinunciare a ben due servizi fotografici!”
Aomine
avvertì il principio di un mal di testa. Al confronto con la sorella, Kise era più muto di un pesce rosso solo in una boccia di
vetro.
“Oh, ma che maleducata a trattenerti qui fuori! Non
sei certo venuto qui per me.” Il tono allusivo di Kaori ebbe il potere di
metterlo a disagio molto più della lettura di ‘Master Basket’: in fondo era la
sorella di Kise e vederla patteggiare così
apertamente per una loro relazione non era piacevole, affatto. “Accomodati, ti
accompagno nella sua stanza. È al piano di sopra, ma in questo momento si sta
facendo un bagno: sai a lui piace molto farsene di belli lunghi.” Iniziarono a
salire la scale, che agli occhi di Aomine apparvero
innalzarsi fin sopra le nuvole. “Le prime volte ci spaventavamo sempre, visto
che ha iniziato ad assumere questo atteggiamento da sì e no un anno. Poi ci
siamo ricordati che era entrato nella pubertà e si sa che a questa età a voi
maschietti piace scoprire cose nuove su
voi stessi.” Aomine cercava di contare alla
rovescia il numero di gradini che lo separavano dal pavimento del primo piano
della casa. Non era solo la quantità spropositata di parole che usciva dalla
bocca di Kaori a farlo ammattire, ma anche la tematica della conversazione: parlare
di Kise che si gingillava in una vasca da bagno non
era proprio un argomento che lo mettesse a suo agio. Ancora sette gradini… “Adesso avviserò Ry-chan
che sei qui. Nel frattempo accomodati nella sua stanza: è la porta in fondo a
destra. Nell’attesa, se ti annoi, puoi leggerti il suo diario personale. Lo
tiene nascosto sotto il materasso! Ma, mi raccomando: se lo senti arrivare
nascondilo subito, intesi?” E gli fece l’occhiolino, liberandolo da quella che
per lui era stata un’autentica agonia.
“Sì” rispose solo, temendo che se avesse detto
qualcosa di più le avrebbe dato spunto per un nuovo argomento di conversazione.
Si avviò verso la camera di Kise
e, quando ci entrò, si premurò di chiudere la porta per evitare un ulteriore
assalto della sorella affetta da logorrea cronica. Tirò un profondo respiro di
sollievo: silenzio, mai prima di quel momento gli era parso più bello.
Si concesse qualche secondo di relax prima di
riprendere il regolare flusso di pensieri. Kaori gli aveva detto che Kise nascondeva un diario segreto. Se non fosse stato
troppo intento a soffrire, avrebbe riso nel momento in cui glielo aveva
rivelato. La curiosità di sapere cosa ci scrivesse sopra un ragazzo prevalse
sulla sua buona creanza. Era un’autentica bastardata, ma si trattava di un
boccone ghiottissimo offerto su un piatto d’argento.
Si avvicinò al materasso a una piazza e mezzo. Lo
sollevò da un lato, ma non vide nulla. Andò dall’altro e ripeté la stessa
operazione. Eccolo lì, posto quanto più vicino possibile al centro del materasso
per non essere visto subito, ma c’era. Con un ghigno, Aomine
lo afferrò, ripose il materasso e si accomodò su di esso. Ormai quella della
lettura stava rischiando di diventare una mania per lui.
Aprì una pagina a caso, cercando le annotazioni più recenti;
quelle troppo datate non gli interessavano granché. Una frase letta di sfuggita colpì
particolarmente le sua attenzione. Sul rigo superiore c’era la data, così come
per ogni pagina: risaliva a qualche giorno prima l’ingresso di Kise in squadra.
21
Maggio
Anche
oggi nulla di nuovo da raccontare. Se sto scrivendo questi pensieri è solo
perché sento il bisogno di sfogare la mia noia in qualche modo, altrimenti
rischio di esplodere.
Anche
il calcio ha perso subito di interesse. In poco tempo sono diventato più bravo
del capitano. In un certo senso è come se fossi andato incontro ad un’altra
delusione.
Tutto
ciò che mi circonda mi suscita così poco interesse che riesco a sentire il suono
del vento persino quando sono in mezzo a tante persone.
23
Maggio
Ho
lasciato il club di calcio. Il capitano ne era persino sollevato, forse perché
vedeva in me una minaccia troppo grande.
Non
mi resta che aspettare, come al solito, che si presenti qualcuno abbastanza
forte da stimolarmi; qualcuno che io non possa battere facilmente; qualcuno che
mi tiri fuori da questo tunnel d’apatia in cui sono caduto.
Dove
sei? Fatti avanti!
24
Maggio
Credo
che la mia lunga attesa sia finita! Oggi un ragazzo mi ha colpito per sbaglio
con un pallone da basket. L’ho visto giocare ed è davvero sorprendente. La sua
velocità, la sua tecnica, la sua agilità: riuscirò mai ad imitarlo o
addirittura superarlo? Per la prima volta ho dei dubbi sulle mia capacità, ma
questo non fa che rendermi ancora più felice.
Ho
chiesto informazioni su quel ragazzo e ho scoperto che si chiama Aomine Daiki. Non vedo l’ora di
poter giocare con lui!
25
Maggio
Mi
sono iscritto al club di basket. Visto che sono un principiante mi hanno messo
in terza squadra, ma la scalata non mi spaventa se ho ben in mente il mio
obiettivo. E il mio obiettivo è Aomine Daiki, anzi Aominecchi!
29
Maggio
Mi
sento come una delle mie fan quando mi vengono a spiare durante un qualsiasi
momento della giornata. Non vedevo Aominecchi da tre
giorni, così sono andato alla palestra dove si allena la prima squadra e sono
rimasto ad ammirarlo per venti minuti buoni.
Sarò
ripetitivo, ma continuo a pensare che è davvero sorprendente!
Ah,
il coach oggi mi ha notato e ha detto che sto facendo dei passi da gigante: se
continuo così, in pochi giorni mi passano in seconda squadra.
Aominecchi, sto arrivando!
1
Giugno
Sono
passato in seconda squadra. La mia meta è sempre più vicina. Sono andato ancora
una volta a guardare Aominecchi mentre gioca: uno
spettacolo come sempre! Già riesco a copiare qualche suo movimento, ma la
strada è ancora lunga eppure questo non mi scoraggia per niente, anzi, mi
fortifica.
Devo
impegnarmi di più!
8
Giugno
I
miei sforzi sono stati ripagati. Oggi è venuta la manager della prima squadra, Momoi Sastuki, che mi ha dato il
tanto atteso annuncio. La prima cosa che ho fatto è stato salutare Aominecchi. Purtroppo non ho avuto occasione di giocare con
lui, ma confido di riuscirci domani.
Mi
hanno assegnato anche un tutor, ma è davvero ridicolo: Kuroko
Tetsuya, un ragazzo bassissimo che si nota appena. Ma
come fa ad essere titolare della prima squadra? La cosa peggiore è che Aominecchi lo difende a spada tratta!
È
stata una sorpresa non proprio gradita questa…
9
Giugno
Ho
giocato il mio primo one-on-one contro Aominecchi!
E
ho perso…
Cavolo,
fa davvero schifo perdere, però, non so perché, ma non riuscivo a smettere di
sorridere un solo istante. Aominecchi si è dimostrato
l’avversario valido che ho sempre aspettato di incontrare. Sento che, per
quanto possa sforzarmi, per quanto possa migliorare, non riuscirò mai ad
arrivare al suo livello.
Sembra
un traguardo irraggiungibile e, forse per questo, ancora più ambito e desiderabile.
Mi
sono lamentato ancora una volta di quella mezzacalzetta del mio tutor e Aominecchi mi ha rimproverato per come lo tratto. Ma che
avrà di così speciale poi?
Mi
vien da ridere: sembro una mocciosa gelosa del ragazzo dei suoi sogni!
Ridicolo, vero?
15
Giugno
Domani
dovrò giocare una partita in seconda squadra con Kuroko.
Che palle! Bastavo anche solo io per vincere, perché cavolo deve venire anche
lui?
Questa
storia del tutor comincia davvero a rompermi le palle!
16
Giugno
Kurokocchi è fantastico! Non mi sarei mai
aspettato che avesse un modo così particolare di giocare a basket! Mai visto
niente di simile prima. Ora capisco perché Aominecchi
lo difendeva così tanto.
Comunque,
continuo a pensare di essere io il migliore. È un po’ difficile da spiegare,
però, non so, vedere Aominecchi così affiatato con Kurokocchi mi fa sentire strano, in modo negativo. Si vede
che è successo qualcosa tra loro, che è un’amicizia molto intensa…
Penso…
credo… di essere… geloso… Ecco, sì, l’ho detto (anzi, scritto)! Però la gelosia
non è qualcosa che si associa per forza all’amore, giusto? Altrimenti si
potrebbe pensare che io mi stia innamorando di Aominecchi…
ridicolo!
18
Giugno
È
il mio compleanno e Aominecchi non lo sa. Mi ha
battuto senza pietà anche oggi. Non che mi aspettassi un trattamento di favore,
al contrario. Non sopporterei di vincere solo perché lui me lo ha concesso.
In
verità Aominecchi non sa tante cose. Se finalmente ho
ritrovato il sorriso e le mie giornate sono diventate migliori è solo per merito
suo, e non mi riferisco solo al basket…
Forse
è meglio così; meglio che lui non sappia niente. Mi prenderebbe per pazzo o per
una donnicciola, e l’ultima cosa che voglio è perdere quel pizzico di stima che
mi sono faticosamente guadagnato finora.
Quelle considerazioni erano davvero troppo strane da leggere per Aomine.
Kise che provava davvero qualcosa per lui? No, non
poteva essere, se ne sarebbe senz’altro accorto. Leggere quel diario era come rileggere
‘Master Basket’ una seconda volta, ma dal punto di vista del personaggio di Kisu.
Si disse che era solo suggestione e andò avanti
veloce per un bel po’ di pagine, fino ad arrivare alla data in cui era stato
pubblicato il primo capitolo della storia yaoi.
28
Settembre
Sono
stato scoperto! Sul giornale di oggi è uscita una storia romantica in cui i
protagonisti sembriamo proprio io e Aominecchi!
Qualcuno (non so chi) deve aver capito quello che provo ed ora lo sta
sfruttando per puro divertimento. Non so cosa fare: se manifestassi troppa
preoccupazione desterei sospetti, d’altro canto non posso nemmeno ignorare la
cosa.
Per
fortuna, Aominecchi sembra intenzionato a trovare
l’autore e farlo smettere: mi basterà solo assecondarlo e la questione si
risolverà.
Purtroppo,
il nostro primo tentativo al club di giornalismo è fallito. Dovremmo pensare ad
un’altra strada da seguire.
3
Ottobre
Aominecchi è un vero coglione! Ha venduto la
sua stessa dignità, quella che tanto voleva difendere solo quattro giorni fa,
in cambio di qualche moina da parte delle ragazze. Ha deciso di rinunciare alla
ricerca e abbiamo anche fatto discussione per questo.
Mi
sono sentito abbandonato… tradito…
La
situazione in cui siamo finiti non è delle migliori, ma ero contento per una
volta di condividere con lui qualcosa al di fuori del basket.
Cazzo,
forse sono io il coglione! Scrivo su uno stupido diario tutto quello che provo
e che vivo, neanche fossi una ragazzina innamorata.
Ormai
è evidente: mi basta sfogliare le pagine precedenti per rendermi conto che non
faccio che parlare di lui ogni giorno.
La
situazione mi sta davvero sfuggendo di mano. Non posso evitare Aominecchi, visto che giochiamo nella stessa squadra, ma
potrei limitare i nostri contatti. Sì, credo che sia la soluzione migliore e
poi non ho tanto voglia di parlargli dopo quello che ha fatto. Non gli chiederò
più di giocare con me dopo gli allenamenti. Devo ridimensionarmi o finirò per
farmi scoprire e se mai dovesse succedere...
…gli farei senz’altro schifo…
Mentre Aomine divorava
parole e pagine, udì distintamente la voce di Kise
che urlava nel corridoio.
“Da quando è arrivato?” strillava, palesemente
arrabbiato.
“Saranno dieci minuti…”
rispose vaga la sorella.
“E che aspettavi ad avvisarmi?!” Il suono dei passi
frettolosi di Kise annunciò il suo imminente arrivo.
Note
dell’autrice
Forse mi ammazzerete, ma in realtà questo
capitolo doveva procedere ancora, solo che rischiava di allungarsi davvero
troppo, così ho preferito interromperlo qui! ^^””
Ero un po’ dubbiosa se fosse credibile l’idea
di un diario segreto scritto da un ragazzo, ma il mio consulente mi ha
confermato che può benissimo essere e io mi sono fidata u.u
La storia sta prendendo una piega diversa
da come l’avevo impostata all’inizio, il che si traduce in una maggiore
difficoltà per me di sbrogliare la situazione e farla procedere in modo
corretto >.< Ma mi sono tolta da impicci ben peggiori in passato, quindi
abbiate fede!
Ok, cominciamo un attimino ad esplorare
meglio la sfera sentimentale dei protagonisti! Spero che il capitolo vi sia
piaciuto e ricordate che non mi offendo se vorrete commentare XD
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Capitolo 8 *** Indovina chi viene a cena? ***
Anonymous
Indovina chi viene a cena?
Aomine
chiuse di scatto il diario e cercò di sistemarlo lì dove lo aveva trovato. Il
punto sotto il materasso non era proprio lo stesso, ma quanto meno non sarebbe
stato colto in flagrante. Nel momento esatto in cui si riaccomodò, Kise spalancò la porta agitato, con i capelli ancora zuppi
e solo un accappatoio addosso.
“Aominecchi?” domandò,
come se volesse accertarsi che la persona nella sua camera fosse proprio lui e
non il frutto di un’allucinazione o di uno scherzo di Kaori.
“Già” rispose laconico l’interpellato.
Il livido violaceo di Kise
era molto più evidente del suo, non solo per estensione ma anche per colore,
accentuato dalla carnagione più chiara. Aveva anche il labbro superiore
spaccato, ma la ferita si era già cicatrizzata.
L’istante in cui era salito sul tetto e aveva visto Kise in pericolo si stagliò prepotente nella mente di Aomine, facendogli riprovare in una frazione di secondo
quella che sembrava a tutti gli effetti una reazione di panico. Aveva avuto
paura per lui? Non sapeva dirlo. Tutto ciò a cui era riuscito a pensare in quel
frangente era salvare Kise e nient’altro.
Forse era solo stato influenzato da quello che aveva
appena letto. Ora che aveva esplorato, e violato, la parte più intima
dell’animo di Kise, questi non sarebbe stato più lo stesso
ai suoi occhi e ne aveva una prova tangibile in quel preciso momento.
Gli
farei senz’altro schifo, aveva scritto Kise.
No, Aomine non provava
alcun tipo di disgusto nei suoi confronti, ma qualcosa era cambiato.
Il ricordo della storia letta il giorno prima non
faceva altro che peggiorare le cose: Kisu che si
infortuna e Aimine che lo va a trovare alla casa, con
conseguente dichiarazione d’amore.
È
solo suggestione, si disse Aomine,
cercando di distogliere gli occhi dal volto tumefatto del compagno per impedire
alla mente di continuare a macinare pensieri inopportuni.
“Scusa se ti ho fatto aspettare, ma mia sorella mi
ha avvisato solo pochi secondi fa” spiegò Kise,
stringendosi automaticamente l’accappatoio contro il corpo. Un gesto innocente,
all’apparenza, qualcosa a cui Aomine, prima di
leggere il diario rivelatore , non avrebbe dato alcuna importanza, ma ora ogni azione,
ogni sguardo, ogni parola irradiava una luce diversa. Pudore, ecco come
interpretò l’atteggiamento di Kise.
“Nessun problema” lo rassicurò Aomine.
Di certo Kaori, dopo avergli messo la pulce nell’orecchio riguardo il diario del
fratello, aveva tardato ad avvisare il fratello per dargli il tempo di leggere.
Kise
si appoggiò alla sedia della scrivania. “È forse successo qualcosa?” disse un
po’ sospettoso.
“Si può dire di sì. In verità è stata Sastuki ad obbligarmi a venire.”
“Ah, capito.” Kise mostrò
una palese delusione nello scoprire che dietro quella visita di Aomine c’era la volontà di un’altra persona e ad Aomine il dettaglio non sfuggì. Ora che conosceva bene il
proprio valore agli occhi dell’altro, ogni sua singola reazione lo faceva
sentire sotto esame. Tentò di rimediare.
“Dice che è a causa del mio menefreghismo che tu,
all’improvviso, hai deciso di non parlarmi più. Mentre venivo qui, ho riflettuto
sulle sue parole e su quello che è successo negli ultimi giorni e…” Non poteva
certo dire che aveva letto il suo diario: aveva abbastanza buon senso da
comprendere la gravità del proprio misfatto. Tuttavia, quelle frasi scritte a
penna gli avevano aperto gli occhi su tante cose. Tanto valeva sfruttare le sue
nuove conoscenze per qualcosa di, a suo dire, positivo. “… ho capito di aver
sbagliato.”
Kise
sbarrò gli occhi a quella rivelazione. Sentire Aomine
ammettere di aver sbagliato su qualcosa era un evento più unico che raro, tanto
da meritare come minimo una registrazione con una videocamera. Ma non era
ancora arrivato il momento di cantare vittoria. Era di Aomine
che stava parlando e magari questi non aveva capito proprio un accidente. “A cosa
ti riferisci esattamente?”
“Ho capito che ci siamo trovati in una situazione di
merda, e io ho deciso di mollare tutto solo per avere un po’ di attenzioni da
parte delle ragazze. Che poi se avessi saputo cosa passava veramente per la
loro testa, col cavolo che avrei abbandonato le ricerche!”
“Che intendi dire?”
“Ho letto la storia del giornale… è una roba…
disgustosa! In pratica mi sono reso conto che le ragazze guardavano me, ma
immaginavano quelle cose vomitevoli!” Kise, un po’
come era successo con Momoi, ma in modo meno
plateale, si rabbuiò nell’udire quelle parole sprezzanti. Ma che cavolo aveva
quella storia da essere presa così a cuore da tutti? Aomine
proprio non riusciva a capire. Forse era meglio glissare la questione. “E poi,
be’, la storia della rissa…” Aomine indicò i propri
lividi con un vago cenno della mano. “Non pensavo si sarebbe arrivati a tal
punto.”
Kise
sembrò soddisfatto delle sue ultime parole, tanto che arrivò a sorridergli per
la prima volta dopo giorni.
Aomine
ne fu contento: finalmente tutto sembrava tornare nell’ordine naturale delle
cose, anche se, le scoperte di quel pomeriggio, gettavano nuova luce su
sentimenti nascosti.
“Quindi sei venuto per scusarti con me.”
“Che? Non sono venuto qui per farti delle scuse. Non
dimenticarti che sono stato io a salvarti il culo da quei quattro e lo vedi
bene sulla mia faccia: se mai, sei tu ad essermi debitore.”
“Io? Debitore? Ma hai appena detto che è colpa tua
se sono finito nei guai!”
“Non rigirare i fatti come ti fa più comodo!”
Il puerile battibecco andò avanti ancora per qualche
minuto, senza arrivare ad una vera e propria conclusione perché aa porta si
aprì di scatto e una radiosa Kaori si affacciò. Kise
conosceva la sorella abbastanza bene da sapere che aveva come minimo origliato
tutta la conversazione. Essendo delle due sorelle la più vicina a lui d’età,
spesso riusciva a comprenderlo meglio di chiunque altro. Sapeva quanto lo aveva
addolorato dover litigare con Aomine e dalla sua
espressione si notava la gioia nel rivedere il suo fratellino riappacificato, a
suo modo, con l’amico.
“Non si bussa prima di entrare?” la rimproverò Kise.
“Quando mai ho bussato per entrare in camera tua? E
poi, figurati, ti ricordo che ti ho visto crescere, quindi anche se eri nudo
non mi sarei certo scandalizzata. E comunque sono qui per un altro motivo: Daiki-kun, vorresti restare a cena da noi? Ho già detto che
eri venuto a trovare Ry-chan e sono tutti ansiosi di
conoscerti! Te l’ho detto che Ry-chan non fa altro
che parlare di te da quando ti conosce?”
“KAORI!” Kise divenne più
rosso di un pomodoro a quelle rivelazioni.
Aomine
pensò che se per così poco aveva una reazione tanto spropositata, sarebbe come
minimo svenuto dall’imbarazzo se solo avesse saputo del suo infame gesto e
delle informazioni che gli aveva fruttato. L’idea di affrontare una serata con
un Kise al femminile elevato alla quinta potenza, per
di più senza neanche sapere quali sorprese gli riserbavano gli altri membri
della famiglia, non allettava molto la mente di Aomine.
“Mi piacerebbe restare, ma…”
“Ottimo, allora vado di sotto a dire alla mamma che
abbiamo il famoso Aominecchi
per cena. Sbrigati a vestirti Ry-chan, che è quasi
pronto.”
Kise
le si avvicinò e le sbatté la porta in faccia con violenza, prima di girarsi
verso il compagno. Le guance stavano ritornando ad un colorito più naturale.
Aomine
rimase con la bocca aperta ancora un po’ prima di accorgersi che era appena
stato trattenuto in quella casa contro la sua volontà. “È la seconda volta che
tua sorella mi definisce ‘famoso’: ma non hai altro di cui parlare eccetto me?”
“Ma no, è Kaori che esagera sempre: ti avrò nominato
sì e no, un paio di volte…” Aomine lo guardò
sospettoso. “… ok, magari erano tre…” Il cipiglio non accennava ad andarsene.
“… forse erano quattro… comunque non più di cinque, ma lei ha questo vizio di
ingigantire le cose.” Stando a quanto aveva letto sul diario non era affatto
credibile che la sua fama fosse dovuta alla megalomania della sorella, quanto
piuttosto alla vera e propria ossessione di Kise per
lui.
D’un tratto Aomine
realizzò: si sarebbe trovato circondato da persone che non conosceva mentre lo
osservavano come un fenomeno da circo. La finestra gli apparve come un’ottima
via di fuga e di certo non sarebbe stato un salto dal secondo piano a
spaventarlo. Tuttavia, era impossibile declinare l’invito ora che Kaori lo aveva
annunciato a tutti.
“Immagino di non avere scelta” disse.
Osservò Kise per studiarne
le reazioni. Poteva leggere nei suoi occhi la gioia pura di averlo al suo
fianco quella sera; una gioia che, se non avesse letto il suo diario, non
sarebbe mai riuscito a scorgere. Chissà, forse lui e Aimine
si assomigliavano un po’ da quel punto di vista, giusto un po’ comunque, ma per
il resto non c’era altro che li accomunava.
“Ehm, mi dovrei vestire adesso” fece notare Kise, indicandosi l’accappatoio che ancora portava addosso.
Uscire dalla stanza per dargli la giusta privacy era
come buttarsi tra le fauci di una lupa affamata e farsi sbranare pezzo per
pezzo finché Kise non fosse sopraggiunto per
salvarlo. D’altro canto, restare equivaleva a vedere l’altro mostrarsi in tutta
la sua nudità: una scena che aveva avuto modo di vedere parecchie volte negli
spogliatoi al termine degli allenamenti, ma ora che sapeva cosa si agitava nel
cuore di Kise, tutto era diverso. Inoltre, la
palestra della scuola poteva essere considerata territorio neutrale, mentre lì
era nella sua personale stanza.
Si sentì in difficoltà: che fare?
La soluzione migliore era fare finta di nulla. “Che
c’è, ti vergogni di me?”
“Certo che no, non è questo, però…”
“Va bene, signorinA,
facciamo che mi volto da quella parte e non mi giro finché non hai finito.” La
situazione era tragicomica. Kise non trovò modo di
ribattere in modo convincente e alla fine dovette arrendersi a denudarsi e
vestirsi con Aomine ad appena un metro di distanza da
lui.
Come promesso, quest’ultimo tenne la testa girata
verso la finestra, un gomito poggiato sul ginocchio e la testa sulla mano. Udì
il fruscio dell’accappatoio che veniva posato sul letto, in un punto
imprecisato dietro di lui. In quel preciso istante, Kise
era completamente nudo. Non gli piaceva l’idea di avere qualcuno che si muoveva
alle sue spalle senza poterlo vedere. Avvertì l’impulso di girare il capo, come
se temesse che Kise potesse tendergli un agguato, e Aomine era un tipo che seguiva sempre i propri impulsi:
fino a quel giorno non lo avevano mai tradito.
Si voltò appena per far rientrare la sagoma di Kise, anche se sfocata, nella periferia del proprio campo
visivo. Non poteva mettere a fuoco i dettagli del suo corpo, ma il candore
della pelle era nitido e abbacinante. Aveva sempre pensato che Kise avesse una pelle fin troppo curata per essere quella
di un ragazzo, senza imperfezioni: di certo mantenersi così perfetto era una
necessità dettata dal suo lavoro. Aomine non si era
mai interessato più di tanto, ma si chiese se il modello avesse mai posato
svestito (magari per una marca di costumi da bagno).
Lo vide indossare un paio di slip con movimenti
bruschi e veloci, impaziente di mettersi qualcosa addosso. Poi, sparì dietro le
ante dell’armadio, lasciando esposta ai suoi occhi solo una porzione di
schiena.
Per istinto, Aomine si inclinò
all’indietro per riallacciare un contatto visivo, ma si riscosse subito dopo.
Che diavolo stava facendo? Spiare Kise mentre si
vestiva non solo era un cliché da maniaco degli anime, ma farlo proprio con
lui, un ragazzo, esulava da ogni sua tendenza sessuale. Era stata tutta colpa
di quel dannato diario e di quella maledetta storia yaoi.
Si era riempito la testa di cose assurde.
“Sono pronto” disse Kise,
prelevandolo dai suoi contorti pensieri.
Aomine
prese un bel respiro e si alzò in piedi. Si incamminarono verso il piano
inferiore, diretti al soggiorno, dove ad attenderli c’era la famiglia Kise al completo.
“Eccoci qua” annunciò Kise,
premurandosi di presentare a tutti il suo compagno di squadra.
Come aveva fatto Kaori a suo tempo, anche i genitori
e l’altra sorella di Kise ringraziarono calorosamente
Aomine per averlo difeso contro i quattro bulli.
La primogenita, Sakura, non assomigliava affatto
agli altri due figli. Di fatti, benché fosse una bella ragazza sui venticinque
anni, non possedeva il fascino esplicito del fratello o della sorella minore,
così come non era dotata della loro loquacità: parlava solo quando necessario e
senza arricchire le frasi con elementi inutili o futili, cosa che invece Kaori
adorava fare.
Ciò che più colpì Aomine
fu la straordinaria somiglianza tra Ryota e suo
padre. Il signor Kise era un uomo molto bello, le cui
rughe gli conferivano un fascino da uomo vissuto che ben pochi altri potevano
vantare: sembrava il classico attore da film in bianco e nero. La similitudine
però era circoscritta al solo aspetto fisico. Per tutto il tempo della cena si
era limitato ad ascoltare le incessanti chiacchiere di Ryota,
Kaori e sua moglie, con un’espressione comunque serena. Era chiaro che
l’abitudine aveva temprato la sua pazienza, fino a rendere per lui un piacere stare
con i propri cari che conversavano animatamente.
Aomine
invece riuscì a captare sì e no un quarto delle loro chiacchiere, tante erano
le parole che fuoriuscivano da quelle tre bocche senza la possibilità di
chiedere un minuto di time out.
Tra i tanti, l’argomento principale di conversazione
fu ovviamente il loro ospite e, in particolare, il legame che Ryota aveva instaurato con lui. Kaori non mancò di far
notare quanto il fratellino venerasse il suo Aominecchi
quasi ogni giorno da quando lo aveva conosciuto, e lo stesso Aomine, trascinato dall’ilarità generale, si beò di
raccontare i piagnistei di Ryota quando perdeva e
chiedeva in ginocchio di giocare una nuova sfida a due.
“Questi dettagli imbarazzanti si è sempre ben
mantenuto dal dirceli” intervenne Sakura prima di bere un sorso d’acqua.
“Infatti, non è necessario dirli” puntualizzò Ryota, lanciando un’occhiataccia ad Aomine.
“E perché no? È divertente!” Aomine
continuò a scimmiottarlo per altri dieci minuti buoni, suscitando risate di
scherno a carico del compagno.
Doveva ammettere che, per quanto rumorosa, la
famiglia Kise gli piaceva davvero, forse perché lui,
come figlio unico, non conosceva le gioie e i dolori di avere dei fratelli o
delle sorelle con cui conversare durante i pasti. Tutto sommato, la cena andò
meglio di quanto Aomine avesse previsto; per Kise, invece, era stato tutto l’opposto.
“Si è fatto tardi. È meglio che vada adesso” disse Aomine, pronto ad incamminarsi verso l’uscita.
“Perché non resti a dormire qui?” propose il signor Kise.
Aomine
lo guardò stupito e quasi implorante, quasi volesse dirgli di non suggerire
strane idee alle donne di casa.
“Non vorrei davvero disturbare ancora.”
“Possiamo mettere in camera di Ryota
un futon” intervenne la madre. “Ovviamente, Ryota ti
concederà il suo posto sul letto principale, vero?”
“Sì, mamma” rispose obbediente il figlio, quasi
rassegnato.
“Benissimo, vado a prendere il futon e le lenzuola
pulite, intanto Daiki usa pure il telefono per
avvisare tua madre che rimani qui. Se per caso volesse qualche rassicurazione
potrei anche parlare io con lei, nessun problema.”
Tale madre, tale figlia: per la seconda volta, nel
giro di poche ore, Aomine era stato obbligato a
restare in quella casa senza via di fuga alcuna.
Note dell’autrice
Nello scorso capitolo siete stati tutti
così generosi nel commentare e io vi ripago con questo mostruoso ritardo ç_ç *si fustiga*
No, ok, la verità è che ho avuto un fortissimo
calo emotivo in quest’ultima settimana a causa di problemi famigliari e
sentimentali, quindi efp e ogni altra forma di
divertimento sono stati i miei ultimi pensieri. Per fortuna questo periodo di
scoramento è durato poco e sono potuta tornare all’opera, ma mi scuso lo stesso
per il ritardo.
Lo stesso capitolo risente di questo calo:
spero di poter fare meglio nel prossimo J Grazie ancora a tutti:
ormai, il vostro sostegno è una delle poche cose che davvero mi rallegrano!
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Capitolo 9 *** Una notte difficile ***
Anonymous
Una
notte difficile
Il letto di Kise
era stato rivestito di lenzuola pulite per rispetto all’ospite e il futon sistemato
sul pavimento lì di fianco. Kise stava nuotando da
cinque minuti buoni nel proprio cassettone alla ricerca di un pigiama da
prestare all’amico.
“Lo so che ti scoccia rimanere, puoi dirlo
tranquillamente, non mi offendo” disse con voce neutra e sicura. Non si
aspettava una risposta da Aomine, e in verità la sua
non era una vera e propria richiesta di conferma: sapeva che era così, punto e
basta.
Aomine
non era tanto sicuro che se avesse detto una cosa del genere Kise l’avrebbe presa positivamente, inoltre non sarebbe
stata neanche la verità. “Non sono scocciato, sono solo stato preso alla
sprovvista.”
“I miei sono solo molto… ospitali. Mio padre non
voleva che te ne andassi in giro da solo a quest’ora, anche se penso che alla
fine lo abbiano fatto più per me…” Finalmente Kise
trovò quello che stava cercando e porse ad Aomine un
proprio pigiama a tinta unita, color carta da zucchero. “Dovrebbe starti bene.”
Il compagno afferrò gli indumenti senza degnar loro
neanche di uno sguardo. La sua attenzione era tutta rivolta a Kise e a quello che aveva appena detto. “Che vuol dire che
lo hanno fatto per te?”
“Ah!” Kise si rese conto
solo in quel momento di ciò che aveva detto. Doveva proprio iniziare un corso
per imparare a controllare meglio le parole ed evitare di finire in situazioni
tanto ambigue. Iniziò a grattarsi la nuca, lo faceva sempre quando era nervoso,
persino Aomine lo sapeva. “Niente, mi sono espresso
male.”
Aomine
sbuffò e gettò il pigiama sul letto. “Lo so che mi pentirò di quello che sto
per dire, ma… ti preferivo com’eri prima.” Cominciò a spogliarsi e per prima
cosa aprì la fibbia della cintura.
Kise
sembrò pietrificarsi a quel gesto, come se non avesse considerato il fatto che
per infilarsi il pigiama l’amico doveva necessariamente togliersi i vestiti
attuali di dosso e rimanere, anche se per breve, parzialmente nudo nella sua
stanza, davanti ai suoi occhi. “P-prima?”
“Sì, prima.” Aomine passò
alla patta dei pantaloni con gesto meccanico, senza effettivamente riflettere
sui movimenti da compiere, ma seguendo l’abitudine di sempre fino a muovere le mani
in modo quasi involontario, dimentico che Kise non lo
guardava come un semplice compagno di squadra. “Quando parlavi sempre e non ti
rimangiavi ogni cosa che dicevi.”
“Forse perché non abbiamo mai parlato d’altro che di
futilità.”
Aomine
si bloccò nell’esatto momento in cui stava per calarsi i pantaloni. Fissò lo
sguardo in quello di Kise e finalmente, dopo tanto
tempo, questi glielo restituiva senza distogliere gli occhi. Era un passo
importante nella loro amicizia. Era vero che non avevano mai parlato di nulla
di serio, solo basket, frecciatine sulle sue fan e qualche vago cenno alla
scuola, ma niente di più personale o che richiedesse qualche minuto di
riflessione e confidenza. Doveva calibrare bene le parole. Se era finito in
quella casa era proprio per riappacificarsi una buona volta con lui. Momoi il giorno dopo gli avrebbe richiesto come minimo la
cronaca minuto per minuto del loro incontro, e se non avesse avuto una risposta
che la soddisfacesse, al confronto la logorrea di Kaori sarebbe stata
rilassante da ascoltare come un cd di musica lounge.
“Io…” La suoneria del cellulare interruppe le sue parole.
Calò la mano nella tasca anteriore, facendo
abbassare di qualche centimetro il bordo dei pantaloni e mettere in evidenza
l’elastico dei boxer. Sul display lesse il nome di Momoi.
Sospirò e pigiò il tasto verde.
“Dai-chan, come è andata?”
strillò lei così forte che anche Kise la sentì. Di
fatti non trattenne una risata.
“Sono ancora a casa di Kise”
rispose l’amico, irritato.
“Come? Sei ancora lì? Dormi da lui? Allora avete
fatto pace?”
“Ti racconto tutto domani, adesso chiudi!” berciò Aomine e richiuse il cellulare prima che Momoi dall’altra parte potesse controbattere. “E tu
smettila di ridere!”
“Momoicchi è davvero
un’amica molto altruista.”
“Anche troppo…” Aomine
aveva la netta sensazione che si fosse dimenticato qualcosa, ma proprio non riusciva
a ricordare. “Allora, dove eravamo rimasti?” chiese e si calò in un solo colpo
i pantaloni. La maglia era abbastanza lunga e morbida da coprirgli l’inguine,
ma non appena si liberò la caviglia sinistra dall’indumento e sollevò l’altra
per afferrarlo, Kise poté scorgere le sue zone intime
senza problemi.
“Vado a lavarmi i denti e torno” annunciò e, preso
il suo pigiama, uscì dalla stanza più rigido di uno stoccafisso.
“Oh cazzo, me l’ero scordato” si disse Aomine, avvezzo a cambiarsi negli spogliatoi davanti a
tutti. Tanto valeva finire lo spogliarello e infilarsi il pigiama, così almeno
avrebbe tirato fuori entrambi da quella imbarazzante situazione. Poggiò i
vestiti sulla sedia a ridosso della scrivania e prese tra le mani il morbido indumento
da notte di cotone, fresco di bucato. Era incredibile come nonostante le
famiglie fossero diverse, certi profumi, certi colori, certi piccoli dettagli
fossero comuni a tutte. “Merda! Non ho avvisato mia madre!” Ecco cosa aveva
dimenticato.
Prese il telefono e compose il numero di casa:
questa volta una lavata di capo non gliela avrebbe tolta nessuno.
Intanto, nel bagno, Kise si stava raffreddando la faccia per la quinta volta
con acqua gelida. Aveva usato la prima scusa che gli era venuta in mente per
uscire dalla stanza: vedere Aomine spogliarsi davanti
ai propri occhi era più di quanto potesse sopportare. Si stava maledicendo
anima e corpo per non essere riuscito a mantenere un atteggiamento più
naturale. Se andava avanti così finiva che si sarebbe fatto scoprire molto
presto.
Si tamponò il volto con un asciugamano e controllò
allo specchio che non vi fosse rimasta nessuna traccia di imbarazzo sulla
pelle: la carnagione era ritornata chiara e uniforme. Guardò anche nelle zone
basse, lì dove qualcosa, tutt’altro che pudica, aveva iniziato a fare bella
mostra di sé. L’acqua fredda aveva spento i suoi bollenti spiriti. Tutto era
ritornato al proprio posto.
Si svestì e indossò il proprio pigiama lentamente,
prendendosi tutto il tempo possibile. Voleva assicurarsi che Aomine fosse interamente coperto dal collo alle caviglie quando
sarebbe tornato nella camera.
Si lavò i denti con cura e anche qui li spazzolò
piano, con molta calma.
Era terribile da ammettere, ma si sentiva agitato.
Avevano lasciato in sospeso un argomento scottante. Ormai Aomine
non tollerava più risposte evasive da parte sua, per cui l’unica cosa saggia da
fare sarebbe stato dire la verità. Dopotutto, come poteva pretendere di avere
la sua amicizia se non si mostrava sincero, almeno in parte?
Quanto ebbe finito tutto, ritornò indietro. Aprì la
porta e l’immagine di Aomine quasi integralmente
nudo, fatto salvo per la biancheria intima, semisdraiato sul suo letto mentre
parlava al telefono rischiò seriamente di mandargli il cervello in tilt. Perché
non si era ancora rivestito?
“Ok, stai tranquilla. Ciao.” Aomine
chiuse la chiamata di colpo non appena Kise aveva
fatto il suo ingresso. Non si era accorto di aver perso tanto tempo al
telefono. Si mostrò persino sorpreso di vederlo e lo guardò in modo molto
strano. “Credo che mia madre sia una tua fan segreta.”
“Sarebbe un onore” celiò Kise
per distrarsi da quello spettacolo tanto provocante.
“Si è incazzata come una biscia per l’ora tarda e
appena le ho detto che sarei rimasto a dormire da te si è addolcita di colpo.”
Si tirò su a sedere e iniziò a infilarsi il pigiama che ancora non aveva avuto
il tempo di indossare. Chissà cosa stava pensando Kise
in quel momento nel vederlo così.
“Probabilmente si è solo tranquillizzata perché sa
che sei rimasto a casa di un amico: se fosse stato qualcun altro non avrebbe
fatto differenza.”
“No, non credo. Ultimamente mi vedeva tornare prima
del solito, da quando non mi ammorbi più con i tuoi one
on one. Era preoccupata che ti avessi fatto qualcosa
di male, per questo è contenta nel sapermi con te.”
Ora che Aomine si era
finalmente coperto, Kise poté rilassarsi e
comportarsi come sempre. “Mh, secondo me è solo
contenta che da oggi in poi non ti avrà più tra i piedi in casa la sera
presto!”
“Vai al diavolo!” rimbrottò Aomine,
suscitando l’ilarità di Kise.
“Ritornando al discorso di prima…” riprese questi,
improvvisamente serio, “… anche i miei si sono preoccupati, per lo stesso
motivo di tua madre. Per questo ti hanno ‘costretto’ a restare qui. Lo hanno
fatto perché pensavano… be’, che mi avrebbe reso felice.”
Il candore e il lieve tentennamento con cui Kise si stava confidando con l’amico era a dir poco
disarmante. Se Aomine non avesse saputo dei suoi veri
sentimenti, avrebbe considerato tutto quel discorso solo una cosa da poppanti o
femminucce, tuttavia conosceva il significato recondito di quelle parole. Prese
pieno possesso del letto. Si sdraiò portando le braccia dietro la testa e
incrociò le caviglie. Osservò il soffitto qualche secondo per pensare a cosa
dire. Poi, capì che pensarci troppo non portava a niente. Kise
era sempre Kise, non doveva farsi mille e più
problemi. Doveva solo essere sé stesso, anche se proprio questo lo aveva
portato ad avere uno screzio con lui, ma non si può pretendere in fondo di
andare sempre d’accordo con una persona. Anche con Momoi
aveva litigato tante volte e alla fine erano sempre tornati amici. “Da come lo
dici sembra che i tuoi mi vedano come un animaletto da compagnia per il loro
bambino piagnucoloso.”
“E poi ti lamenti del fatto che ultimamente mi
rimangio le cose. Con certe risposte che dai, cosa pretendi?” Kise si infilò tra le coperte del futon e sbadigliò
rumorosamente. La mezzanotte era passata da un pezzo e la stanchezza si faceva
sentire.
Per fortuna l’indomani era sabato e non c’era
scuola.
“Oggi è uscito sul giornale il terzo capitolo”
annunciò senza preavviso Aomine.
Kise
sbarrò gli occhi per la notizia, la stanchezza si dileguò in un istante. “E me
lo dici solo ora?”
“Ora o prima non fa differenza.” Questa volta fu Aomine a sbadigliare. Si infilò sotto le coperte nella
speranza che Kise capisse che non voleva più
chiacchierare.
“Dobbiamo riprendere le ricerche, ma sembra che
abbiamo esaurite le piste. Cosa possiamo tentare?”
“Non lo so e sono troppo stanco per pensarci. Ne
riparliamo domani.” Non era stata una mossa intelligente rivelare quella
notizia a Kise poco prima di andare a dormire.
“Va bene. Buonanotte, Aominecchi”
augurò e allungò un braccio verso il comodino dietro di lui per spegnere la
lampada.
“’Notte” biascicò l’altro in risposta.
Passarono appena due minuti di pace, quando Kise frantumò il silenzio. “Aominecchi…”
Aomine
fu tentato di non rispondere e fingere di essersi già addormentato, ma Kise lo richiamò una seconda volta e capì che lo avrebbe
fatto finché non avesse risposto. “Che c’è?” La sua voce tradiva sonnolenza e
irritazione insieme, ma l’altro non se ne curò.
“Hai detto di aver letto la storia. Di che parla di
preciso?”
“Ti sembra orario?”
“Sei tu che hai uscito il discorso per primo.”
E Aomine non poteva dargli
torto. Era stato un coglione, doveva ammetterlo. “Due tipi… che giocano a
basket… e si innamorano…”
“Potresti essere un po’ più specifico?”
In risposta arrivò un sonoro sbuffò. “Se te lo dico,
poi mi fai dormire?”
“Sì.”
“Il tuo doppio chiede al mio doppio di insegnargli a
giocare a basket. In realtà il tuo doppio è follemente innamorato del mio, ma
questo lo si scopre solo nel secondo capitolo. Quando il tuo doppio si infortuna
durante una partita, il mio lo va a trovare e capisce che anche lui è
innamorato.” Aomine tacque e Kise
capì che il racconto era terminato.
“Aominecchi, fai proprio
schifo a raccontare.”
“Se ti interessa tanto leggitela da solo.”
“Lo farò. Allora, buonanotte.”
Aomine
non rispose, segno che per lui le ciance erano arrivate al capolinea.
Kise
si voltò su un fianco, nella posizione che meglio gli conciliava il sonno.
Erano giorni che non andava a dormire così rilassato e… felice. Sì, avrebbe
davvero dovuto ringraziare Momoi per aver costretto Aomine ad andare da lui e chiarirsi. Si sentiva così
leggero, ma al contempo scosso. La gioia traboccante unita al pensiero che lì,
a meno di un metro da lui, c’era Aomine addormentato
non aiutavano il suo cervello ad assopirsi. Tentò di restare fermo e non
pensare a niente, lasciando che la mente scivolasse nell’oblio del sonno
dolcemente, ma il suono del respiro di Aomine o il
fruscio delle coperte che generava quando si muoveva gli ricordavano
costantemente della sua presenza.
Si girò verso di lui, ma non poteva vederlo. Solo
una mano faceva capolino oltre il bordo del materasso. Si alzò in piedi,
silenzioso come un gatto. Aomine aveva l’altra mano
sotto il cuscino e la testa rivolta per tre quarti verso il suo lato. Le labbra
erano dischiuse e il respiro cadenzato e regolare. Non c’erano dubbi: stava
dormendo, beato lui.
Un’idea maliziosa gli solleticò la fantasia. Di
sicuro non avrebbe avuto occasione migliore di quella per metterla in atto. Era
folle, rischioso, ma sapeva che se non lo avesse fatto se ne sarebbe pentito
per sempre. Si chinò lentamente, pronto a scattare all’indietro se mai l’altro
avesse dato cenno di svegliarsi. Tirò indietro i ciuffi della frangia per non
solleticargli il viso. Trattenne persino il respiro in modo istintivo. Infine,
giunse alla meta. Posò le labbra su quelle dell’altro in un contatto appena
accennato. Aomine non si mosse. Kise
osò andare oltre. Premette maggiormente le labbra fino a rubare un vero e
proprio bacio a stampo. Era deliziosa la sensazione del respiro di Aomine mentre gli lambiva la guancia. Inspirò il profumo
della sua pelle, saturandosi i polmoni della sua fragranza naturale. La bocca
dello stomaco si contrasse e un brivido gli serpeggiò lungo tutto il corpo. A
malincuore dovette sollevarsi. Aveva cercato di respirare il meno possibile e
ora il suo corpo richiedeva ossigeno.
Quando riportò il voltò ad una distanza di sicurezza
da quella dell’altro, sbarrò gli occhi nel vedere un paio di iridi blu
fissarlo, immobili.
“Aominecchi…?” Non ebbe il
tempo di impensierirsi o di riflettere sul perché Aomine,
nonostante fosse sveglio, non gli avesse impedito di baciarlo. La mano
dell’amico si strinse attorno la maglia del suo pigiama e, con un violento
strattone, fu tirato in giù, sbattendo con la faccia contro il cuscino. Aomine lo costrinse a girarsi verso di lui, muovendolo come
se fosse un burattino nelle sue mani, e si mise sopra, bloccandogli ogni via di
fuga con il proprio corpo.
Kise
si irrigidì completamente, quasi le sue membra si fossero marmorizzate, pronto
ad incassare qualsiasi colpo violento sarebbe arrivato. Chiedere scusa non
sarebbe valso a nulla, lo sapeva. Tanto valeva affrontare la propria punizione
per tanta stupida audacia. Chiuse gli occhi, pronto ad incassare senza
ribellarsi, ma ciò che ricevette fu tutt’altro che un pugno.
Aomine
si impossessò delle sue labbra così violentemente da rischiare di fargli male
con i denti. Con la lingua gli forzò la bocca ad aprirsi e Kise,
succube della sorpresa, assecondò quel bacio famelico. Aomine
era a dir poco prepotente, gli sbuffava soffi roventi di fiato sul volto e più
che baciare sembrava lottare. Le mani non restarono inoperose. Si insinuarono
sotto il pigiama, toccando, graffiando, artigliando ogni lembo di pelle su cui
si posavano: al loro passaggio Kise sentiva la
propria carne andare a fuoco, ma in un modo del tutto piacevole.
Un sospetto terribile, che spiegasse quanto stava
accadendo, fece capolino nella sua mente.
Gli sfuggì un grido di sorpresa e delizia,
prontamente ingoiato da Aomine attraverso quel bacio
infinito, quando quelle belle e grandi mani si infilarono con una facilità
impressionante nelle mutande. Le dita iniziarono a farlo godere in ogni modo
possibile, ora dolce, ora selvaggio a seconda che l’apice del piacere si
avvicinava o si allontanava.
Finalmente, Kise,
recuperata un po’ di lucidità, deciso a godersi il momento, si attivò per
giocare la propria parte. In men che non si dica ogni indumento fu scaraventato
a terra, finché i muscoli nudi di entrambi non si strusciarono reciprocamente.
Bellissimo,
era tutto ciò a cui Kise riusciva a pensare. Non
occorrevano troppi giri di parole per esprimere quanto fosse meravigliosa la
sensazione di avere Aomine sopra di sé, tra le
proprie gambe, pronto a farlo suo. Chiuse gli occhi per assaporare meglio la
sensazione. Era tutto così perfetto, proprio come nelle sue più proibite
fantasie, proprio come nei suoi più impronunciabili desideri, proprio come un…
Aprì gli occhi e si ritrovò ancora una volta nel
proprio futon. Non era la prima volta che gli capitava di sognare una simile
situazione. Il più delle volte l’ambientazione era la palestra della scuola,
alla fine dell’ultimo one on one
della serata; qualche altra invece era lo spogliatoio. Per lo più si trattava
di fantasie erotiche stimolate da situazioni reali che rispondevano ad una
semplice domanda: come sarebbe farlo qui e adesso?
Questa volta invece il sogno era stato più vivido,
realistico, quasi tangibile, di sicuro stimolato dalla vicinanza di Aomine e dalla situazione completamente nuova. Deluso e
irritato, si portò una mano in mezzo alle gambe: le fantasie si erano dissolte
ma il loro effetto no. Come ogni volta, gli toccava porre rimedio da sé. Si
alzò piano e, una volta in piedi, gettò uno sguardo al compagno, beatamente
assopito in una posa scomposta, infantile: avrebbe persino osato definirlo
innocente. Si diresse verso il bagno e si rinchiuse finché ogni goccia di
passione non fu portata via assorbita da diversi strappi di carta igienica giù
per lo sciacquone. Non certo la conclusione che sperava.
Assonnato e sfiancato ritornò in camera. Aomine non si era mosso e il suo respiro era l’unico suono
udibile. Fu tentato di realizzare, almeno per la primissima parte, il proprio
sogno, ma sapeva che sarebbe stata solo una tortura. Ottenere con l’inganno un
bacio non gli avrebbe dato soddisfazione, inoltre il solo pensiero che quelle
labbra non sarebbero mai potute essere sue una seconda volta e per volontà del
loro padrone era sufficiente a stemperare ogni shakespeariana iniziativa.
Si coricò con il pensiero che l’indomani mattina
avrebbe indossato la solita maschera sorridente da amico e compagno di squadra.
Note
dell’autrice
Anche questa volta ce l’ho fatta!! Dunque,
ridendo e scherzando siamo arrivati al capitolo 9 e mi sono accorta che qui le
cose ancora non si decidono a decollare, per cui ho dovuto trovare una
scappatoia per giustificare un attimino quel rating arancione che ho messo XD
Il sistema è vecchio, ma sempre efficace e
(soprattutto) comodo.
Vorrei approfittare di queste note a fine
capitolo per inserirci un bell’annuncio pubblicitario.
In collaborazione con Kalahari, sta prendendo vita una fanfic a quattro mani su un crack pairing
che per puro caso abbiamo scoperto di amare entrambe: Kise
Ryota x Himuro Tatsuya <3
Speriamo vivamente che, quando pubblicheremo il primo capitolo, la
nostra storia possa piacere anche a chi, magari, non aveva mai preso in
considerazione un’accoppiata tra questi due baldi giovani *ç*
Concluso qui lo
spazio pubblicitario e vi ricordo che non mi offendo se vorrete recensire ;) Al
prossimo capitolo!!
|
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Capitolo 10 *** La misteriosa autrice ***
Sono in ritardo
pazzesco, lo so, e me ne scuso profondamente. È stato un periodo davvero
incasinato, per certi tratti neanche molto roseo, e l’ispirazione nonché la
voglia di scrivere si sono prese una bella vacanza (beate loro!). Ma ora sono
di nuovo qui, ho steso un nuovo abbozzo di trama così da non rimanere di nuovo
senza una linea guida ^^
Essendo passati un po’
di mesi dall’ultimo aggiornamento, vi faccio un piccolo riassunto di quanto
successo sino ad ora :)
Secondo
anno per la Generazione dei Miracoli alla scuola media Teiko.
Sul
giornaletto scolastico viene pubblicato il primo capitolo di una storia di
chiaro stampo yaoi. La cosa preoccupante è che i due
protagonisti altri non sono che Aomine e Kise. I due ragazzi, sconvolti, decidono di investigare su
chi possa essere il misterioso autore di questa storia, decisi a farlo smettere
prima che le cose degenerino.
Purtroppo
la cosa non è semplice, in quanto l’autore ha preferito restare nell’anonimato
e il presidente del club di giornalismo, nonostante non approvi la qualità
della storia, si rallegra della rinnovata popolarità del giornale scolastico.
Aomine, che grazie all’influenza di
questo racconto, sembra riscuotere un certo successo tra le ragazze, decide di
abbandonare le ricerche, con grande disappunto di Kise.
I due si allontanano, ma a causa di una rissa in cui Kise
si ritrova coinvolto, Aomine capisce quanto tiene
alla loro amicizia.
Sotto
insistenze di Momoi, quest’ultimo va a trovare il
compagno direttamente a casa sua per riappacificarsi. È qui che, grazie ad una
soffiata di Kaori, la sorella di Kise, trova il suo
diario segreto e lo legge, scoprendo che l’amico prova molto di più che
semplice amicizia nei suoi confronti.
Aomine è confuso, ma cerca di fare finta
di niente, e le cose con Kise tornano alla normalità.
Costretto quasi con la forza, Aomine resta a dormire
da lui, alimentando sogni poco casti nella mente dell'innamorato Kise.
È
qui che la storia riprende… buon proseguimento ^^
Anonymous
La misteriosa autrice
Al mattino, i due ragazzi furono svegliati
dai colpi tonanti di Kaori alla porta. “Ry-chan?”
cantilenò. “Indovina chi è la manager migliore del mondo?”
Kise
aprì pigramente gli occhi. La prima cosa che vide fu il piede di Aomine pericolosamente vicino alla sua faccia. Scansò la
testa d’istinto per evitare spiacevoli incidenti, dopo di che si sollevò e
constatò che, nonostante il baccano che stava facendo la sorella, l’amico non
dava il minimo segno di volersi svegliare. Guardò l’orologio e strabuzzò gli
occhi.
“Kaori! Sono le 8:15 di sabato mattina. Si può
sapere che vuoi?” gridò lui di rimando.
“Ricordi quel servizio che ti avevo annullato a
causa del brutto livido che hai sulla faccia? Ebbene, ho richiamato il
fotografo per chiedere quando ne avrebbe fatto uno nuovo e lui, per tutta risposta,
ha detto che è interessato comunque a vederti. Ha farneticato qualcosa sul
valore artistico di un ematoma o che so io. Quindi, al lavoro!”
Kise
sospirò di delusione. Sperava di avere un sabato mattina libero, magari in
compagni di Aominecchi, e invece gli toccava
lavorare: sua sorella era una manager in gamba… a volte anche troppo. Almeno
aveva avuto la decenza di non entrare in camera, visto che c’era un ospite.
A proposito… Aomine
dormiva ancora, scomposto e intrappolato tra le coperte come un grosso pesce
impigliato nella rete di un pescatore. Non sarebbe stato carino svegliarlo, ma
non aveva altra scelta.
“Aominecchi” chiamò, forse
in modo eccessivamente flebile. Di fatti, il bello addormentato non diede segni
di vita. “Aominecchi, svegliati” insistette, questa
volta alzando la voce. In risposta ebbe un grugnito.
A mali estremi, estremi rimedi. “AOMINECCHI!” urlò
prendendolo per le spalle e scuotendolo come uno shaker per cocktail.
Aomine
si difese dall’attacco nel modo più istintivo che gli venne: sferrando un pugno
al suo aggressore. Solo in seguito, quando vide Kise
rotolarsi dolorante per terra, si destò completamente, realizzando dove fosse e
in compagnia di chi.
Per fortuna il pugno non aveva
lasciato spiacevoli segni sul bel faccino del modello: non più di quanti già
non ne avesse. Finalmente la fortuna stava girando a suo favore. Anche se
alzarsi dal letto di sabato mattina alle 8:15 non era il modo di iniziare al
meglio la giornata, quell’impegno di lavoro di Kise
era stato provvidenziale: gli aveva dato la scusa perfetta per defilarsi da
quella casa senza ulteriori impedimenti. Come minimo avrebbe fatto una maratona
di riviste gravure fino a notte tarda, prendendosi
qualche pausa solo per mangiare, andare al bagno e schiacciare un pisolino.
Purtroppo per lui, la dea bendata lo abbandonò molto
presto. Rientrato a casa, trovò una radiosa Momoi
pronta a fargli il terzo grado. “Raccontami tutto: cosa gli hai detto? Come vi
siete chiariti? E Ki-chan come ha reagito alle tue
scuse?” partì all’attacco lei, ma Aomine, ormai in
overdose di chiacchiere frivole per colpa di Kaori, la scortò fuori dalla porta
di casa spingendola, letteralmente, fino all’uscio.
“Ci siamo chiariti” fu l’unica cosa che le disse
prima di sbatterle la porta in faccia.
Lunedì mattina, Momoi,
sebbene si notasse lontano un miglio quanto smaniava per farsi raccontare tutto
dall’amico, decise di non asfissiarlo di domande. Del resto, la cosa importante
era che lui e Ki-chan si fossero riappacificati: il
modo in cui ciò era successo poteva essere considerato superfluo. E poi, se
proprio non poteva trattenersi, avrebbe sempre potuto domandare a Kise: lui di sicuro sarebbe stato ben lieto di raccontarle
tutto, se non altro in segno di riconoscenza. In fondo, era stata lei a
mandargli Aomine fin sotto il portone di casa. Le
doveva un grosso favore.
Oltrepassato il cancello della scuola, i due furono
travolti dall’entusiasmo di un Kise a dir poco
raggiante. "Aominecchi! Momocchi!
Buongiorno!”
Momoi
non lo vedeva così allegro da un bel po’ di giorni. Se ne rallegrò a sua volta.
“Guardate qui: mi sono fatto consegnare una copia di
‘Master Basket’, così ora saprò anche io di cosa parla questo racconto.”
“Te la sei fatta consegnare da chi?” domandò Aomine, poco entusiasta.
“Da Nakamori-san.”
“E chi sarebbe?”
“La conosci bene, Aominecchi.
E’ la ragazza del club di giornalismo: occhiali grandi, treccia lungha…”
“La fissata di yaoi!”
“Sì, proprio lei.”
Momoi
assisteva a quel dialogo come se fosse la più sublime opera teatrale mai
scritta (solo una dichiarazione d’amore di Tetsu-kun
avrebbe potuto superarla). Le cose tra i due compagni di squadra erano tornate
alla normalità e, anzi, forse il loro rapporto, adesso, era persino migliorato.
Si sentì oltremodo orgogliosa del proprio operato, quanto se non più delle sue
accurate statistiche e previsioni nel basket.
Inutile, per certe cose occorreva per forza un
intervento femminile!
I ragazzi della prima squadra non
potevano averne la certezza, ma avevano tutti la netta sensazione che gli
allenamenti diventassero più lunghi e faticosi di giorno in giorno.
Probabilmente ciò era dovuto all’approssimarsi del torneo delle scuole medie e
il coach li voleva pronti per dare il massimo sin dalle prime partite. Nello
spogliatoio si consumava la solita routine post-allenamento: Murasakibara divorava merendine una dopo l’altra
accumulando nel proprio armadietto una piccola montagnola di carte e buste; Midorima riponeva con cura il proprio oggetto fortunato del
giorno nel borsone; Kuroko annaspava mezzo morto
sulla panca in attesa che gli passasse la nausea ed evitare, almeno per una
volta, di vomitare vergognosamente; Akashi esaminava le schede che gli aveva
passato poco prima Momoi relative ai miglioramenti
dei componenti della squadra; e Kise… si stava
rivestendo.
No, questo non rientrava propriamente nella sfera
della consuetudine. Di solito, Kise si avventava su Aomine per chiedergli di restare a giocare con lui, invece
si stava comportando come se avesse tutta l’intenzione di andare a casa.
Aomine
non lo perse di vista per una buona manciata di minuti. Magari si stava solo
sbagliando. E invece Kise, indossata l’uniforme
scolastica, prese il borsone e si incamminò verso l’uscita.
“Ci vediamo domani!” salutò, prima di richiudersi la
porta dello spogliatoio alle spalle.
Aomine
non era sicuro di potersi definire deluso, ma di certo non accettava l’idea di
aver faticato tanto, di essersi sorbito le chiacchiere incessanti di Kaori e mamma
Kise, per niente. Stentò a crederlo, ma doveva
ammettere che ormai pretendeva di giocare con Kise
fino a sera tarda.
D’improvviso, un dolore lancinante al fianco lo
destò dai suoi pensieri. “Ma che cazzo…?” Si voltò e vide la mano tesa di Kuroko all’altezza del punto che aveva colpito con forza con
la punta delle dita. “Tetsu, hai vomitato anche il
cervello?”
Kuroko
per tutta risposta si limitò a fissare la porta da cui poco prima era uscito Kise, invitando Aomine a
raggiungerlo e a parlargli.
“Mine-chin, non avevi
fatto pace con Kise-chin?” domandò pigramente Murasakibara, accartocciando quella che si sperava fosse
l’ultima confezione di snack.
“Non abbiamo mai litigato!”
“Daiki, non è mia
intenzione intromettermi nei vostri affari personali, ma tra dieci giorni ci
sarà la cerimonia di apertura del torneo e mi sembra superfluo sottolineare che
degli screzi tra compagni di squadra non faranno altro che interferire con la
qualità del gioco di tutti. Quindi, per favore, vai da Ryota
e chiarisciti con lui una volta per tutte.” Se persino Akashi aveva detto la
sua al riguardo, allora la situazione era degenerata molto più di quanto Aomine pensasse. Era come se d’improvviso tutto il mondo si
fosse coalizzato per rimettere le cose a posto tra lui e Kise,
facendolo sentire costantemente sotto processo. Era davvero stanco di farsi
dire da tutti quello che doveva fare: prima Sastuki,
poi Tetsu, e adesso Akashi. Chi altri doveva ficcare
il naso nei suoi affari?
Indossò la giacca della tuta e si fiondò
all’inseguimento di Kise, sperando di farla finita
una volta per tutte. Ma che cosa gli era preso a quell’idiota? Quella mattina
era fastidiosamente pimpante come suo solito e adesso si era rabbuiato di
nuovo. Questa volta, però, Aomine era assolutamente
certo di non aver fatto nulla di male. Si erano visti solo per l’allenamento e
non aveva detto o fatto nulla che avesse potuto offenderlo o contrariarlo.
Per fortuna, Kise non
aveva fatto molta strada. Camminava lento, sovrappensiero. Lo vide costeggiare
il muro esterno della scuola. Ancora pochi passi e sarebbe arrivato
all’incrocio. Fortunatamente il semaforo dei pedoni era rosso.
Lo raggiunse appena la luce verde si accese. Kise mise avanti il piede destro per attraversare la
strada, ma fu bloccato dalla mano di Aomine che si
serrò sul suo braccio, precisamente quello che teneva il borsone a tracolla.
Per lo strattone subito, la borsa cadde a terra con un tonfo sordo.
“Aominecchi?”
“Si può sapere che ti prende? Pensavo ci fossimo
chiariti.”
“Ma di che parli?” Kise
non poteva davvero credere che quello davanti a lui fosse Aomine.
Solo nelle sue più impronunciabili fantasie avrebbe potuto immaginare una
situazione del genere.
“Lo sai che intendo.”
Kise
lo fissò per alcuni attimi confuso, poi realizzò. “Oh, ti sei offeso perché non
ti ho chiesto di rimanere a giocare con me.”
“Non sono offeso, anzi.”
“E allora perché sei venuto da me?” Aomine era sempre il solito orgoglioso: mai una volta che
dicesse realmente quello che pensava o provava. Sotto quell’aspetto era davvero
deludente.
“Perché persino Murasakibara
si è accorto che tra di noi le cose non vanno e francamente mi sono rotto di
sentirmi dire da tutti cosa fare o non fare.”
“Oh, capito.” Come al solito, non era andato da lui
di sua spontanea iniziativa, ma solo perché incitato da qualcun altro, come era
successo a casa sua. Alle volte, Kise si chiedeva se
valeva davvero la pena continuare a struggersi per un tipo simile. “Be’, c’è una cosa in effetti.” Decise di
parlare: sarebbe anche potuto invecchiare se avesse aspettato che Aomine facesse la prima mossa. “Ho letto la storia yaoi, oggi, all’ora di pranzo, e… mi sento strano a parlare
di nuovo con te, dopo aver letto… certe cose. Insomma, tu come fai? Hai anche
detto che è disgustosa.”
“Veramente per disgustoso intendevo che è troppo
sdolcinata e poco realistica. E quell’Aimine è troppo
diverso da me. Non parliamo della confessione d’amore: la fa sembrare una cosa
da niente.”
“Invece siete più simili di quanto immagini” lo
accusò, in tono più aspro di quanto avrebbe realmente voluto.
“Che vuoi dire?”
“Ehm, niente” si affrettò a rimangiarsi la parola Kise. Aomine lo faceva impazzire
di rabbia, ma doveva comunque sforzarsi di contenere le proprie emozioni, o
sarebbe stata davvero la fine della loro amicizia.
“Mi hai rotto il cazzo con questo atteggiamento
schivo, e ne abbiamo già parlato a casa tua: spiegati bene!”
“È proprio questo quello che intendo: anche tu non capisci
bene i sentimenti delle persone che ti sono vicine, a meno che uno non te lo
dica chiaro e tondo.”
Forse c’era un fondo di verità nelle sue parole. Se Aomine non avesse letto il suo diario non avrebbe mai
immaginato quello che Kise provava davvero per lui,
ma quale persona razionale avrebbe mai potuto pensarlo? E poi, Kise per un certo periodo aveva avuto anche una ragazza, sebbene
non fosse niente di che. Aomine non poteva darsi
alcuna colpa. Nessuno lo avrebbe potuto capire.
Ora il problema era un altro. Lui sapeva, ma era
combattuto se dirlo o meno a Kise. Tenere i segreti
non era il suo forte, inoltre poteva davvero lasciare la cosa in sospeso fino
alla fine della scuola media, se non oltre?
Ma
sì,
pensò, adesso glielo dico e la facciamo
finita.
“Invece io conosco bene i tuoi sentimenti”
sentenziò.
Il cuore di Kise iniziò a
battere come impazzito. Possibile che Aomine si
riferisse proprio a quello? Come lo aveva scoperto? Eppure aveva fatto tanto
per dissimulare la sua passione. “Ma di che parli?” chiese, timoroso.
Forse era meglio omettere la parte del diario e
dirgli semplicemente che si era accorto di tutto grazie al suo intuito. Sì,
avrebbe fatto così. E poi il semplice fatto che lo aveva rincorso fin lì
denotava che non aveva problemi in quel senso, che potevano continuare ad
essere amici come prima nonostante tutto. Però… era davvero come prima? Gli
guardò il livido sotto l’occhio. Si era attenuato, ma un vago alone ancora
persisteva. Ripensò a quando lo aveva visto in pericolo, sul tetto della
scuola, e al fatto che tutto ciò che era riuscito a pensare era salvarlo e
nient’altro. Ma Kise era solo un amico, giusto? Aomine lo avrebbe fatto per chiunque…
Prese fiato per parlare, ma un suono indistinto alle
sue spalle lo fece voltare di scatto. Dietro un lampione vide una figura
nascosta, chiaramente intenta a spiarli.
“Chi sei?” domandò, intimidatorio.
La figura sussultò di spavento e subito scappò,
diretta verso il cancello della scuola. Entrambi i ragazzi riconobbero la
treccia nera che dondolava da un lato all’altra seguendo il ritmo della corsa.
Era Nakamori, la studentessa del club di giornalismo.
Senza pensarci su due volte, Aomine la inseguì dando
fondo a tutte le energie che aveva nelle gambe.
Li stava spiando e, se ci aveva visto giusto, la
ragazzina portava al collo una macchina fotografica. Ormai ne era sicuro: la
misteriosa autrice di ‘Master Basket’ era lei. Che stupidi! Ce l’avevano sempre
avuta sotto il naso e non se ne erano accorti. Del resto era logico, a
pensarci. Fin dal primo incontro aveva mostrato una focosa passione per il
genere yaoi; era una fan di Kise;
e chi altri avrebbe avuto interesse a dare nuovo lustro al giornale della
scuola se non uno dei suoi stessi membri?
Mentre la rincorreva, Aomine
non faceva che pensare a tutte queste cose, ciclicamente. Non c’era spazio per
neanche il più piccolo dubbio.
“Aominecchi!” gridava Kise, dietro di lui, ma Aomine
era sordo al suo richiamo. Voleva solo prendere quello scricciolo e dirgliene
quattro per tutti i guai che gli aveva fatto passare.
La ragazza entrò nel cortile della scuola. Poche
falcate dopo, anche Aomine raggiunse il cancello e lo
oltrepassò, ma dovette fermarsi di colpo perché, per un pelo, non rischiò di
travolgere un Kuroko tranquillamente intento a
tornarsene a casa sua. “Tetsu! Hai visto una
ragazzina che correva passare di qua?”
Kuroko
lo fissò con la sua solita aria neutrale e gli indicò l’edificio principale. “È
andata di là.”
“Bene” rispose solo Aomine
prima di rimettersi in moto.
Kuroko
era ancora fermo lì dove lo aveva lasciato quando vide passargli davanti, senza
nemmeno notarlo, un ansante Kise che urlava: “Aominecchi! Fermati! Cosa le vuoi fare?”.
Una scena davvero bizzarra, doveva ammetterlo.
Quando Aomine era uscito dallo spogliatoi per andare
a parlare con Kise non avrebbe mai immaginato di
rivederli intenti a inseguire una ragazza.
“Ora puoi uscire, se ne sono andati” disse, rivolto
ad un cespuglio.
Nakamori
sbucò fuori da dietro le foglie, timorosa che il ragazzo fosse un terzo
complice, ma constatò subito che non le aveva mentito. Si rimise in piedi e si
diede qualche colpetto alla gonna per scuoterla dal terriccio che,
inevitabilmente, le si era attaccato addosso. A casa avrebbe semplicemente
raccontato che era inciampata e caduta su un’aiuola.
“Grazie per l’aiuto.”
“Dovere” rispose Kuroko.
Non le chiese il motivo per cui Aomine la stava
inseguendo così furioso, anche se, vedendo la macchina fotografica che portava
al collo, un sospetto si fece spazio nella sua mente. Non voleva certo remare
contro gli interessi dei suoi amici, ma una fanciulla in difficoltà aveva la
priorità su qualsiasi altra cosa. Quanto ad Aomine e Kise… be’, avrebbero avuto più fortuna la volta successiva.
Note dell’autrice
Mi fa così strano essere tornata
dopo tanto tempo: spero che nessuno mi linci per il mostruoso ritardo ^^” Mi
chiedo anche se delle lettrici ci sia qualche superstite che leggerà questo capitolo:
sarò fortunata se saranno almeno la metà XD
Grazie per la pazienza, e prometto
di essere più costante e non abbandonare la storia fino alla conclusione ;)
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Capitolo 11 *** Per il bene di Kise ***
Anonymous
Per il bene di Kise
Il sogno di ogni ragazza della
scuola media Teiko era lo stesso per tutte (tranne Momoi): trovare Kise Ryota fuori dalla propria aula, in trepidante attesa di
lei.
Nakamori
Haruka, studentessa del terzo anno rinchiusa nel
corpo di una bambina delle elementari, unico membro femminile del club di
giornalismo, appassionata di yaoi estremo, non faceva
eccezione. Lo vide non appena svoltò l’angolo del corridoio che portava alla
sua aula. Bello come un dio greco, poggiato al davanzale della finestra di
fronte la porta come se stesse posando per una copertina e, soprattutto, con lo
sguardo puntato su di lei. Era il sogno nel cassetto di qualunque ragazza (tranne
Momoi), se non fosse stato per un dettaglio, neanche
tanto piccolo, che stonava come una bara in bella vista ad una cerimonia
nuziale. Accanto a Kise, vi era uno spazientito Aomine Daiki che, non appena notò
la sua preda mancata per un soffio il giorno prima, sembrò pronto a saltarle
addosso come una tigre inferocita.
Nakamori
si bloccò di colpo, ma i due ragazzi rimasero lì fermi dov’erano. Sapevano che
ben presto sarebbe dovuta entrare in classe e lei, di contro, sapeva cosa
volevano. Deglutì, si fece forza, e avanzò come un condannato verso il
patibolo. Quanto meno, la presenza di Kise avrebbe
reso più dolce quell’agonia.
“Buongiorno Nakamori-san!”
la salutò Kise, col suo sorriso smagliante.
Aomine
emise un mugolio indecifrabile. Si erano accordarti per lasciar parlare Ryota, perché Daiki, a detta
dello stesso compagno, con le ragazze era indelicato come un orso di foresta.
“Buongiorno a te, Kise-kun”
rispose lei, ignorando deliberatamente l’orso.
“Nakamori-san, ieri ti
abbiamo spaventata, ma non era nostra intenzione farti nulla di male. Ecco,
volevamo semplicemente chiederti una cosa.”
“So cosa volete, ma la risposta è no: non le avrete
mai!” Di fronte alla prospettiva di essere derubata di uno dei suoi beni più
preziosi si risvegliò all’istante tutta la sua baldanza.
“Di cosa stai parlando?”
Aomine
non riuscì più a trattenersi. Sapeva che lasciare le cose in mano a
quell’incapace di Kise avrebbe portato la storia per
le lunghe e di fatti non si era sbagliato. “Avanti, confessa! Sei tu l’autrice
della storia sul giornale, vero?”
“Aominecchi!” lo richiamò
l’amico con tono di rimprovero mescolato a rassegnazione.
“Cosa? Io! Magari lo fossi! No, mi spiace, ma avete
preso un granchio.”
“Non fare la difficile: non potrebbe esserlo nessun
altro!” Aomine avanzò sovrastando la ragazza con la
sua ombra imponente, ma lei non si scansò di un centimetro. La sera prima era
sola, ma di giorno, all’interno della scuola, era pieno di testimoni: Aomine non avrebbe potuto alzare un dito su di lei.
“E io ti dico di no!”
“E allora perché ci stavi spiando? Stavi
raccogliendo materiale per la storia, no?”
“Sbagliato. Scattavo solo qualche foto di voi due.
La coppia AominexKise attira molta attenzione,
ormai.”
“Coppia AominexKise?” le
fece eco Kise. “Perché il mio nome viene messo per
secondo?”
“Be’, l’ordine dei nomi indica il ruolo che ognuno
ha nella relazione. Chi sta dopo significa che è il passivo” spiegò Nakamori con la stessa serietà con cui avrebbe insegnato a
risolvere un’equazione di secondo grado.
“Passivo… quindi, vuol dire che io… sarei…”
“Non abbiamo tempo per questo!” li interruppe Aomine, sul volto un leggero rossore per la piega che la
conversazione aveva preso. “Dacci le foto, subito!”
“Mai!” Nakamori si strinse
al petto la cartellina marrone, rivelando ad Aomine
dove nascondeva i preziosi scatti che aveva rubato agli ignari giocatori.
“Non costringermi a…”
“Aominecchi, per favore.” Kise, ripresosi dall’imbarazzo, mise una mano sulla spalla
del compagno, invitandolo a farsi da parte e lasciare tutto in mano sua.
“Nakamori-san…” soffiò
gentile e prese tra le sue la piccola mano destra della ragazza, “… in questi
ultimi tempi la nostra dignità è stata brutalmente calpestata più volte.
Consegnami quelle fotografie, te ne prego. Te ne sarei davvero, davvero
riconoscente.”
La presa di Nakamori sulla
cartellina si allentò, facendola cadere rovinosamente a terra. Sentì le guance
andare in fiamme e poi tutto il corpo, come se si stesse sciogliendo a fuoco
lento, rischiando di diventare più bassa di cinque centimetri abbondanti. “Kise-kun… se me lo chiedi così…” Prese la cartellina,
l’aprì e tirò fuori le foto. Le consegnò nelle mani di Kise
come una devota che porge dei doni alla propria divinità.
“Grazie, Nakamori-san, sei
stata tanto gentile.”
Allontanandosi lungo il corridoio, Kise sventolava le foto come un trofeo davanti al naso di Aomine, soddisfatto di essere riuscito lì dove il suo idolo
aveva fallito.
“Sì, sì, bravo… diamo un’occhiata a queste foto,
piuttosto.”
Le sfogliarono velocemente per assicurarsi che non ci
fosse nulla di compromettente: loro due durante gli allenamenti, Kise che usciva dallo spogliatoio, Aomine
che lo seguiva, loro che parlavano all’angolo del marciapiede. Kise ripensò subito alle ultime parole dette dal compagno ‘Invece io conosco bene i tuoi sentimenti’;
temeva e al contempo smaniava di sapere cosa significassero.
“Mi era sembrata sincera” disse Aomine.
“Dunque non è lei l’autrice che stiamo cercando.”
Aomine
sospirò di frustrazione. Erano di nuovo punto e a capo. A breve sarebbe uscito
il nuovo capitolo e, stando a come si concludeva il terzo, la cosa si
prospettava molto, molto, molto imbarazzante. Mancavano pochissimi giorni e
della vera autrice ancora nessuna traccia.
Nel frattempo, seduta al proprio banco, Nakamori non riusciva a fare a meno di accarezzarsi la mano
che Kise le aveva tenuto stretta per qualche secondo.
Se la portò alle labbra e pensò che ora poteva anche morire felice.
Terminata la siesta post-pranzo, Aomine scese dal tetto della scuola per ritornare in
classe. A metà strada, si trovò la via sbarrata da una ragazza rigida come uno stoccafisso.
Lo guardava con disprezzo, quasi disgusto. Il ragazzo non aveva la minima idea
di chi fosse, né di cosa volesse.
“Hai bisogno di qualcosa?” chiese lui, ancora
assonnato.
“Sì, ho bisogno di parlare con te. Hai un minuto?”
“Basta che non riguarda la storia del giornaletto
scolastico” ne ho le scatole piene,
avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne.
“Si tratta di Kise-sama.”
“Sama?”
“Sì, mi chiamo Usaki Akane e sono la presidentessa del primo fan club ufficiale
di Kise Ryota.”
Aomine
la guardò come se davanti avesse una pazza con tanto di camicia di forza, ma
aveva imparato che le ragazze a volte perdevano davvero la testa (un esempio
era Sastuki quando parlava di Tetsu)
e facevano le cose più assurde (sempre Sastuki). “Oh,
e cosa c’entra questo con me?”
“Io e tutte le ragazze del club siamo molto
preoccupate per il nostro Kise-sama. Non solo il suo
atteggiamento nei nostri confronti si raffredda di giorno in giorno, ma in
generale lo vediamo molto provato e spento.”
“Ripeto: cosa c’entra questo con me?”
“Sei tu la causa del suo malessere” lo accusò Usaki, aspramente.
“Io? Non è che magari siete voi che lo asfissiate
continuamente ogni giorno?”
“Impossibile! È successo da quando Kise-sama è entrato nella squadra di basket e precisamente
da quando frequenta te.” Usaki puntò il dito indice
contro di lui come se stesse impugnando una pistola. “La tua compagnia è
deleteria per l’animo gentile e solare di Kise-sama.
Lui si logora nel corpo e nella mente per raggiungere il tuo livello di
bravura, si dispera per elemosinare un briciolo della tua compagnia e
approvazione, mentre tu lo ripaghi con insulti e angherie.”
“Sai che ti dico? Sei solo una pazza e non intendo
stare qui a farmi insultare da te. Me ne vado” disse Aomine,
avviandosi verso le scale per scendere al primo piano.
“Se sei suo amico, se ci tiene a lui anche solo un
minimo, faresti meglio a stargli lontano e a non farlo soffrire più” lo ammonì Usaki, dalla cima delle scale.
Aomine
posò piede sul pianerottolo nell’istante in cui la voce della ragazza si zittì.
Parlava come se sapesse come stavano davvero le cose, ma ciò era impossibile.
Nessuno, eccetto il diretto interessato, poteva essere a conoscenza del fatto
che Kise avesse un’infatuazione per lui. Però, ciò
che Usaki gli aveva detto non era del tutto falso.
Kise
lo amava e lui non poteva ricambiarlo…
Kise
sapeva essere davvero terribile a volte, ma Aomine
non voleva essere la causa della sua sofferenza, per nulla al mondo. Che fare?
Stargli vicino lo avrebbe fatto penare, alimentando
in lui l’illusione che forse dalla loro amicizia sarebbe potuto scaturire
qualcosa di più. Di contro, allontanarlo gli avrebbe arrecato comunque dolore.
Le prospettive erano due: una lenta agonia nel primo caso o una sofferenza
intensa ma breve nel secondo.
Forse era meglio la seconda opzione. Kise ne avrebbe sofferto, ovvio, ma se ne sarebbe fatto una
ragione, lo avrebbe dimenticato e, quando le loro strade si fossero divise ai
superiori, avrebbe trovato qualcun altro su cui riversare i suoi sentimenti.
Sì, avrebbe fatto così: avrebbe costruito un muro
tra lui e Kise, così da preservarlo da un’orribile
delusione futura. Semplice, no?
Quella stessa sera, conclusi gli allenamenti, dopo
aver riposto le attrezzature nello stanzino, i ragazzi della squadra si
avviarono verso lo spogliatoio, tranne uno.
“Aominecchi, che ne dici
di qualche uno-contro-uno?” propose Kise.
“No, non mi va” rispose freddamente l’interpellato,
senza neanche voltarsi per guardarlo.
Kise
sbarrò gli occhi a quel rifiuto. Ma come? Il giorno prima lo aveva persino
rincorso fuori dalla scuola, offeso per il suo comportamento schivo, e adesso
quello che lo ignorava era proprio lui? Era assurdo quel cambio di
atteggiamento nell’arco di ventiquattr’ore. “Ma ieri tu stesso mi dicesti…”
“Ieri era ieri” lo interruppe Aomine,
anche questa volta senza fermarsi o degnarlo di uno sguardo. Uscì dalla
palestra, lasciando un confuso quanto rattristato Kise
solo, in mezzo al campo. Anche se all’esterno poteva sembrare che non gliene
importasse nulla, in realtà era stato più difficile di quanto pensasse. Non era
facile troncare di punto in bianco un’amicizia, senza motivo apparente, per
giunta, ma era la soluzione migliore. Lo faceva per Kise
e per il suo bene. Doveva focalizzarsi su questo pensiero e basta. Aomine non era tipo da pensare troppo agli altri, ma con Kise non gli riusciva così facile. Perché poi? Era un
rompiscatole in tutti i sensi, strillava in continuazione e dove c’era lui
c’era sempre un gran casino tutto intorno… ma per qualche ragione ci teneva a
lui.
Tutta
colpa di questa maledetta storia e di quel dannato diario,
pensò. Mi sto facendo suggestionare
troppo!
Kise,
immobile come una statua, veniva lentamente sepolto dalle sue stesse domande: cos’altro
era successo adesso? Possibile che Aominecchi fosse
rimasto offeso dalle sue parole? ‘…anche
tu non capisci bene i sentimenti delle persone che ti sono vicine…’
No, era assurdo. Lui non era un tipo da prendersela
per così poco. E allora cosa? Non ci capiva più niente. Aomine
era il ragazzo più semplice da comprendere, sotto alcuni aspetti, ma negli
ultimi tempi era diventato più complicato di un sudoku.
Kise
lanciò la palla che ancora teneva in mano contro la parete di fronte,
imprecando e tremando. Aveva solo voglia di sfogare la propria rabbia in
qualche modo. Aominecchi scivolava via come acqua tra
le dita e lui, per quanto tentasse di serrarle, non riusciva a trattenerlo in
nessun modo. Si stava solo torturando, lo sapeva. Desiderava stargli accanto
ogni momento della giornata, ma sapeva che il compagno non avrebbe mai al mondo
ricambiato i suoi sentimenti. Era come perdere continuamente contro di lui. La
sconfitta era amara, ma gli piaceva, perché aveva trovato qualcuno che sapesse
stimolarlo. Era proprio un masochista, doveva riconoscerlo.
Immerso in questi pensieri, non si accorse di una
persona che, cautamente, gli si era avvicinato alle spalle. “Kise-kun.” Kise sobbalzò. In un
primo momento pensò si trattasse di Kuroko, ma quando
si voltò vide i grandi occhi marroni di Nakamori Haruka, ingigantiti dalle spesse lenti degli occhiali,
guardarlo con compassione, come se stesse osservando un cucciolo che tremava
dal freddo.
“Nakamori-san. Che ci fai
qui? Non dirmi che ci stavi spiando?”
“No… cioè… non proprio… non ho fatto fotografie,
comunque” rispose lei.
“Mi devi scusare, ma non è proprio un buon momento
questo” le disse Kise, sperando che la ragazza
cogliesse l’antifona e lo lasciasse solo per un po’.
“Lo so, ho visto tutto. Proprio per questo ti sono
venuta a parlare.” Ora Kise le rivolse la sua più
totale attenzione. “Dopo l’ora di pranzo, stavo… ehm… casualmente… seguendo Aomine-kun, quando ho visto Usaki
Akane, la presidentessa del tuo fan club, a cui tra l’altro
sono iscritta con la tessera numero quarantotto, tra l’altro, fermarlo per
parlargli.”
“Usaki-san? E cosa si sono
detti?” Lentamente i pezzi iniziarono a combaciare e rivelare il disegno
completo.
“Non lo so, ero troppo lontana per sentire. Ma da
quel momento in poi Aomine-kun è stato molto pensiero
e adombrato. Penso che sia per questo che prima si è rifiutato di giocare con
te.”
“Aominecchi è proprio un
idiota. Grazie, Nakamori-san. Ora ho capito tutto. Ma
perché ci tieni così tanto ad aiutarmi?”
“Oh, voi due siete una coppia così bella! Io faccio
il tifo per voi, sai? E poi preferisco vederti con Aomine-kun
piuttosto che insieme a qualche altra ragazza!” Gli occhi di Nakamori iniziarono a brillare come pepite: era entrata in
quella che i suoi compagni giornalisti definivano ‘Yaoi
mode on’.
Kise
si allontanò da lei finché era ancora in tempo. Doveva raggiungere Aominecchi e parlargli al più presto. Arrivò a pochi metri
dallo spogliatoio quando lo vide uscire in compagnia di Kuroko.
“Aominecchi, dobbiamo parlare” gli disse, prima
ancora di raggiungerli.
“Ho
da fare, non posso fermarmi. Andiamo, Tetsu” ma Tetsu era già sparito. “Piccolo…” imprecò a mezza voce. Lo
detestava quando spariva così, lasciandolo sadicamente solo tra le grinfie di Kise.
Note dell’autrice
Non c’è pace per i nostri eroi!
Purtroppo c’è sempre qualcuno pronto a mettersi in mezzo, ma se così non fosse
non ci sarebbe nemmeno gusto :P Sono un po’ sadica, lo ammetto XD
Ho aggiornato un po’ prima del
previsto, per farmi ulteriormente perdonare del ritardo con cui è uscito il
capitolo precedente ^^ Non manca moltissimo alla conclusione della storia in realtà,
ma qualche altro piccolo intoppo ci sarà. Sono felicissima di aver ritrovato
alcune vecchie lettrici e anche di nuove! Al prossimo capitolo ;)
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Capitolo 12 *** Una fonte sicura ***
Brevissimo
riassunto per riprendere il filo del discorso: Kise e
Aomine credono di aver scoperto chi è l’autrice della
storia yaoi pubblicata sul giornale, ovvero Nakamori Haruka, la giornalista
occhialuta che ama spiarli e che confessa di essere una fan di loro come
coppia. Interrogandola capiscono che non è lei e si ritrovano al punto di
partenza. Intanto, la presidentessa del fan club di Kise
decide di parlare con Aomine, intimandogli di
lasciare in pace il bel modello perché la sua presenza è deleteria per lui, in
quanto Kise smania per avere un po’ delle sue
attenzioni, senza troppo successo e tralasciando i suoi doveri di idolo delle
ragazze. Aomine avendo letto il diario segreto di Kise, sa che questi è innamorato di lui e, sapendo anche di
non poterlo ricambiare, capisce che è meglio allontanarlo così da non creare in
lui false illusioni, sperando che col tempo i sentimenti di Kise
per lui si scompaiano.
Kise, a fine allenamento, gli chiede di giocare insieme,
ma Aomine rifiuta in modo brusco e se ne va a casa in
compagnia di Kuroko. Intanto, Nakamori
Haruka, che ha assistito alla scena informa Kise del discorso avuto tra Aomine
e l’egoista presidentessa del fan club. Ed ecco che Kise
corre per inseguire Aomine…
Anonymous
Una
fonte sicura
Kuroko
non lo aveva mai mostrato apertamente, in particolare perché lui era tutto
tranne che una persona aperta, ma Aomine era convinto
che il compagno di squadra nascondesse un lato sadico dentro di sé. Non di rado
lo abbandonava nel momento del bisogno, usando la sua misdirection
per sparire e lasciare a lui tutte le grane. E quella volta non fece eccezione.
Parlare con Kise era l’ultima cosa che voleva e se Tetsu fosse rimasto al suo fianco avrebbe avuto la scusante
perfetta per andarsene, invece il diabolico fantasma si era dissolto e ora, Aomine, era costretto a fronteggiare un Kise
smanioso di parlargli.
In effetti, era troppo irreale sperare di poter
ignorare Kise senza che questi facesse troppe storie.
“Che vuoi? Ti ho già detto che non mi va di giocare
con te” lo attaccò, confidando che la sua rudezza avrebbe stemperato ogni
desiderio di Kise.
“Stai mentendo e so anche perché.”
Aomine
accennò un sorriso amaro. Kise non poteva sapere
davvero perché stava inscenando tutta quella pantomima. “Non c’è un perché: non
ti voglio tra i piedi e basta.”
“So che hai parlato con Usaki-san.”
Aomine non poté nascondere lo stupore. “Anche se non
conosco di preciso cosa vi siete detti, posso benissimo immaginarlo. Un po’ di
giorni fa, lei venne da me, lamentandosi del fatto che da quando faccio parte
della squadra di basket non dedico al suo club le giuste attenzioni che
pretende. Vorrebbe che la mia vita ruotasse tutta intorno a lei e che mi
dedicassi anima e corpo a quell’inutile fan club. Non ho idea di come abbia
fatto a convincerti a comportarti così, ma sappi che è ridicolo questo tuo
atteggiamento.”
Aomine
ascoltò la fiumana di parole senza battere ciglio, lasciando che queste gli
scivolassero addosso innocue come una pioggerellina primaverile. “Davvero mi
reputi così stupido?”
“Eh?”
“Pensi sul serio che non abbia capito cosa voleva
quella pazza lì? Cavolo, non credevo avessi un’opinione così bassa di me.” Non
ci voleva un genio per capire che Usaki desiderava
rendere Kise il suo personale bambolotto, ma dei
desideri di quella ragazza ad Aomine non importava
proprio un accidente.
“E allora perché ti comporti così? Che senso ha
evitarmi? Ti ha forse minacciato o cosa?”
“Minacciarmi? Non sono mica un suo rivale o che so
io! Per quel che mi riguarda lei può pure sequestrarti per un mese intero.”
“Aominecchi, sei
snervante! Vuoi dirmi o no cosa c’è sotto?”
Quando Kise schiamazzava
in modo isterico, Aomine trovava difficile mantenere
il controllo e impedirsi di sferrargli un bel pugno sulla testa. “Sono fatti
miei, chiaro? Posso solo dirti che quello che mi ha detto la pazza ha un fondo
di verità. Quindi, credimi, è meglio così.”
“Meglio così? Che ne sai tu di cosa è meglio e di
cosa non lo è? Davvero pensi di poter decidere tu per me? Credi sul serio di
poter fare quello che ti pare e sperare che gli altri se ne stiano zitti e
buoni ad assecondare i tuoi umori? Be’, mi spiace, ma io non intendo
assecondare un bel niente.”
Aomine
rimaneva sempre stupito dalla spropositata quantità di parole che potevano
uscire tutte in una volta dalla bocca di Kise. Certo,
non arrivava ai livelli della sorella Kaori, ma quando ci si metteva sapeva
tenerle testa. Il cervello gli stava per scoppiare e quello non la finiva più
di parlare. Ma perché doveva rendere tutto così complicato? Non era proprio
capace di starsene zitto e buono? Aomine digrignò i
denti. “… tu e Usaki mi trattate come se fossi un
pupazzo…” La vena sulla tempia era in procinto di scoppiare e sentiva il sangue
pompato così forte da fargli venire un tic all’occhio, “… lo so che non ci
conosciamo da molto, ma so che tu sei migliore di così…” Quella che
inizialmente era una pioggerella, si era tramutata in un vero e proprio temporale,
acido per di più.
Sbottò. “Lo so quello che provi per me perché ho
letto il tuo diario, idiota!” Non avrebbe mai voluto confessarlo, ma Kise non sembrava volersi fermare più e, conoscendolo, non
gli avrebbe dato tregua per tutti i giorni seguenti finché non avesse avuto una
risposta.
Rimasero in silenzio a fissarsi per qualche secondo.
Kise aveva un’aria smarrita: evidentemente era
l’ultima cosa che si aspettava di sentirsi dire. Tuttavia, c’era qualcos’altro
nel suo sguardo. Scrutava il viso di Aomine come se
stesse frugando alla ricerca di qualcosa, una risposta ad una domanda non detta
e che sembrava timoroso di chiedere. “Di che stai parlando?”
“È inutile che fingi. Te l’ho detto, so tutto.”
“Ma tutto cosa?”
“I tuoi sentimenti… per me.”
“Sentimenti? Per… te?” Kise
non aveva propriamente l’espressione di una persona che veniva smascherata,
quanto piuttosto quella di un ragazzo accusato ingiustamente. Qualcosa non
quadrava. “Se è uno scherzo è davvero di pessimo gusto.”
“Non è uno scherzo, parlo sul serio, che tu ci creda
o no.”
“Aominecchi, io non so
cosa tu abbia letto… ma io non ho nessun diario.”
Negare anche l’evidenza era la prima regola di chi
veniva colto in flagranza di reato, nonché una scappatoia comoda che l’istinto
di sopravvivenza portava naturalmente a seguire. Aomine
si sentì offeso dal goffo tentativo di Kise: lo
riteneva davvero tanto stupido? “Piantala di fare il finto tonto! Sto parlando
del diario che hai nascosto sotto il letto.”
“Non ho niente sotto il letto, tanto meno un diario…
Mi devi credere!”
Kise
aveva lo sguardo puntato nel suo, fiero e limpido. Aomine
non riuscì a scorgervi alcuna traccia di menzogna. L’amico era sincero e lui si
sentì veramente stupido, raggirato per di più. Corrugò le sopracciglia,
confuso.
“Cosa c’era scritto di preciso?” Aomine
gli aveva detto che grazie a questo diario aveva scoperto i suoi sentimenti. Per
un attimo Kise si era sentito smascherato, esposto,
vulnerabile, ma per fortuna l’amico aveva creduto alla sua sincerità ed era
riuscito a salvare le apparenze. Ma ciò non voleva dire che quanto Aomine avesse letto corrispondesse al falso.
“Tante cose…”
“Del tipo?”
“Che importanza ha? Se è vero che non hai un diario,
significa che quello che ho trovato era solo uno scherzo, quindi che te ne
frega?”
Giusto, pensò Kise. Meglio
non insistere troppo, altrimenti avrebbe rischiato di scoprirsi, inoltre
mostrarsi eccessivamente preoccupato per uno scherzo si sarebbe ritorto contro
di lui.
“E come lo avresti trovato questo presunto diario?”
lo interrogò; stava già maturando un sospetto su chi fosse il burattinaio che
muoveva i fili di quella tragicommedia.
“Tua sorella, Kaori” rispose schietto Aomine.
Kaori, proprio come aveva immaginato Kise. Questa volta sua sorella aveva superato il limite!
Afferrò il telefono nella tasca della giacca dell’uniforme scolastica, lo aprì
e cercò il numero in rubrica. Era così cieco di rabbia che per poco non se andò
senza prima salutare Aomine, rimasto impalato ad osservare
il viso del compagno di squadra infuriato come non lo aveva mai visto: gli fece
quasi paura.
“Ah” si ricordò in quell’istante Kise,
voltandosi verso di lui, “ti chiedo scusa da parte di mia sorella per tutto
questo. Non avrebbe dovuto farti… farCi uno scherzo
così brutto” e senza attendere risposta si incamminò verso casa, con il
telefono attaccato all’orecchio in attesa che Kaori rispondesse alla chiamata.
Aomine
restò ancora un po’ a fissare la sua schiena allontanarsi. Non ci stava capendo
più niente. Kise non gli aveva mentito: il diario era
fasullo, non c’era ombra di dubbio. Ma perché diavolo Kaori avrebbe dovuto
mettere su tutto quel teatrino? Solo per burlarsi del fratello? Avevano un
rapporto molto giocoso, come aveva potuto vedere lui stesso, ma questo…
Inutile pensarci ancora troppo. Si rimise la
cartella in spalla e si avviò per la sua strada.
“Aomine-kun” lo chiamò una
voce pacata superato il primo angolo e l’interpellato sussultò di spavento.
“Ah, sei qui?” constatò Aomine,
in tono molto rude.
“Ho pensato che tu e Kise-kun
aveste bisogno di parlare da soli” rispose Kuroko,
serafico come suo solito.
“Fortuna che almeno in campo posso contare su di te,
eh” lo punzecchiò l’amico, affiancandolo sulla strada di casa.
Kaori rispose al quarto squillo di
cellulare. “Ciao, Ry-chan!”
“Hai superato il limite” sbraitò il fratello,
incurante del volume della voce troppo alto.
“Di che parli?”
“Aominecchi mi ha detto di
un diario che TU hai scritto e nascosto sotto il mio letto per farglielo
leggere! Ti sembrano scherzi da fare questi?”
La risata argentina di Kaori gli fece accapponare la
pelle come lo stridio di un paio di unghie su di una lavagna. “E così ne avete
parlato? E come è uscito fuori l’argomento?”
“Non è questo il punto!”
“Perché non ne parliamo con calma a casa?”
“No, ne parliamo adesso e anche dopo a casa. Ti rendi
conto della figuraccia che mi hai fatto fare? Aominecchi
ha detto che sapeva dei miei sentimenti per lui o qualcosa del genere: mi
spieghi che volevi fare?”
Kaori sospirò dolcemente. “Ry-chan,
anche io ho avuto quindici anni come te e so per certo che il modo in cui parli
del tuo Aominecchi non è il modo in cui si parla di
un semplice compagno di squadra. Ho solo voluto dare una spintarella agli
eventi...”
“Non ho bisogno di nessuna spinta e poi io non ho
mai detto di avere una cotta per lui o che so io!”
“Infatti non lo hai mai detto, ma ce l’hai scritto
in fronte peggio di un’insegna lampeggiante al neon. Te l’ho detto, anche io ho
avuto la tua età e so riconoscere tutti i segnali dell’innamoramento
adolescenziale. Quindi ora stai zitto un attimo e ascoltami. Ti ho creato un’occasione
perfetta per confessarti e l’hai buttata alle ortiche! Hai idea di quanto tempo
mi ci sia voluto per scrivere quel diario, per ricordarmi bene dei giorni e
delle cose che mi raccontavi? È stato un lavoraccio e non sei stato in grado di
cogliere la palla al balzo.”
“No, non era…”
“E dovresti piantarla di farti tante seghe mentali e
dirgli quello che provi chiaro e tondo. Che ci guadagni a non dirgli nulla, me
lo spieghi? Anche io mi ero innamorata persa di un ragazzo strafigo che veniva in
classe con me alle medie e che faceva parte del mio stesso club, ma non gli ho
mai detto dei miei sentimenti per paura di rovinare l’amicizia. Sai che vuol
dire questo? Che in pratica mi sono accontentata di un’amicizia, anziché
tentare di avere qualcosa di più. E sai come è andata a finire? Che quello si è
poi fidanzato con un’altra e ci stavo così male che ho pure lasciato il club. E
sai un’altra cosa? Quando abbiamo finito le medie e decidemmo di andare a
scuole diverse lui venne da me e mi disse che in realtà quella che gli era
sempre piaciuta ero io, ma non vedendo da parte mia alcun interesse non si è
mai fatto avanti. Mi sono mangiata le mani per due anni interi. Quindi se sto
facendo tutto questo è perché non voglio che accada la stessa cosa a te.”
“A me è diverso! Aominecchi
non prova niente per me.”
“Stai ragionando esattamente come quel ragazzo di
cui ti ho detto.”
“Non è la stessa cosa…”
“Sì che lo è!” Kaori aveva alzato la voce così tanto
che Kise era stato costretto ad allontanarsi il
telefono dalla faccia per timore che gli esplodesse il timpano destro.
“No che non lo è!” gli rispose a distanza. Mancavano
solo un paio di isolati per arrivare a casa sua e non vedeva l’ora di parlare
faccia a faccia con Kaori: il padiglione gli bruciava come se lo avesse tenuto
attaccato ad una stufa accesa al massimo per un’ora.
“E io ti dico che lo è!”
“Come fai ad esserne così sicura?”
Silenzio dall’altra parte. Quando sua sorella si
ammutoliva così all’improvviso, Kise sapeva che era
un brutto segno. Kaori aveva un grosso difetto: non sapeva mentire! Fintanto che
si trattava di dire tutto quello che le passava per la testa in piena sincerità
si tramutava in un torrente di parole, ma quando veniva messa alle strette, in
cui l’unica via di fuga era mentire, proprio non ci riusciva. Pertanto, non le
restava che tacere e tenere il segreto, con sforzo titanico.
“… lo sono” disse solo.
“Come” insistette Kise. Sembrava
che al mondo tutti conoscessero ogni cosa di lui e Aominecchi,
tranne i due diretti interessati.
“Posso solo dirti che ho delle fonti sicure.”
“Chi sono queste fonti e cosa ti hanno detto?”
Kaori riattaccò il telefono. Kise
era quasi giunto a casa. Avrebbe messo sotto torchio la sorella per ore, giorni,
anche settimane se necessario, e non l’avrebbe lasciata in pace sino a che non
gli avesse detto tutta la verità. Aveva capito solo che lei sapeva qualcosa
riguardo Aomine, qualcosa di molto importante e che
lo riguardava probabilmente. Aveva il cuore accelerato come dopo una partita
giocata a pieno regime dal primo all’ultimo minuto. Si sentiva energico e la
rabbia di qualche minuto prima si era tramutata in euforia per quell’inaspettato
risvolto che aveva preso la conversazione.
Mentre
ricoprì i pochi metri che lo separavano dal portone di casa con passo
trottante, Kaori mandò un sms per ragguagliare la sua ‘fonte sicura’ sugli
ultimi eventi.
Note dell’autrice
E dopo altri 4 mesi, non so, sono
ritornata: niente da fare, mi scoccia troppo lasciare questa storia in sospeso,
tra l’altro si sta allungando molto più del previsto, ma preferisco così ^^ Ho
inserito all’inizio un piccolo riassunto perché mi rendo conto che dopo un po’
di tempo è difficile tenere a memoria gli eventi passati, spero che sia stato
sufficiente per aiutarvi a rientrare nella trama!
Non ho molto da dire, se non che ci
stiamo avvicinando alla risoluzione del caso, nonostante escano fuori nuovi ‘misteri’!
Vi ricordo che il vostro supporto è
essenziale per me: se ho deciso di non arrendermi e continuare è solo grazie ai
vostri commenti che mi riempiono di gioia e che hanno reso questa storia una
delle long più seguite del fandom! Grazie, grazie
infinite a tutti, davvero <3 Mi spiace non essere riuscita a rispondere agli
ultimi commenti, ma ho un po’ tralasciato efp in
questi tempi per fare spazio a doveri più pressanti, ma cercherò di fare la
brava da ora in poi! Al prossimo chap! X3
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Capitolo 13 *** Il mio problema ***
Anonymous
Il mio problema
“Insomma,
Ry-chan, finiscila di fare il bambino!”
Kise
aveva letteralmente preso d’assedio la camera della sorella maggiore. Dopo
essere entrato in casa, la prima cosa che aveva fatto era fiondarsi in camera
sua. Kaori aveva chiaramente lasciato intendere che sapeva delle cose su Aominecchi, in particolare per ciò che riguardava i suoi
sentimenti. Aveva afferrato la maniglia ma, dopo averla abbassata, la porta
della stanza di Kaori non si era mossa, segno che si era previdentemente chiusa
dentro.
Il ragazzo aveva battuto entrambi i pugni sulla
porta prima alternandoli, poi tutte e due insieme. “Fammi entrare e raccontami
tutto quello che sai!”
E così, da tre quarti d’ora, andava avanti quella
guerra psicologica, tra Ryota che ripeteva le stesse
domande (“Con chi hai parlato?”, “Che cosa sai di Aominecchi?”,
“Cosa hai scritto in quel diario?”) e sua sorella che glissava le risposte
dicendogli quanto fosse infantile il suo comportamento.
La situazione era già abbastanza tragicomica di suo
e, tanto per complicare maggiormente le cose e metterla ancora di più in
difficoltà, Kaori sentiva già da dieci minuti la vescica gonfia e l’impellente
bisogno di andare in bagno per svuotarla. Ma andare al bagno significava uscire
e uscire significava affrontare il fratellino più agguerrito che mai.
Era calato il silenzio tra loro, così, speranzosa,
Kaori si avvicinò alla porta, estrasse la chiave e spiò dal buco della
serratura. Ryota era proprio lì, seduto sul pavimento
del corridoio a gambe incrociate come un pellerossa e non sembrava intenzionato
a muovere un solo muscolo.
Accidenti! Strinse le gambe per trattenersi, ma non
servì a nulla, anzi, lo stimolo sembrava persino aumentare.
“Ry-chan, è inutile: tanto
non ti dirò nulla di nulla” cercò di scoraggiarlo, ma a quanto pareva l’altro
non fu minimamente toccato dal suo blando tentativo di dissuaderlo.
“Prima o poi dovrai uscire da lì.”
Purtroppo aveva ragione. Kaori iniziò a saltellare
da un piede all’altro. Era davvero al limite e non c’erano vie di fuga. Sentiva
il bassoventre pulsare dolorosamente e aveva tutti i muscoli contratti. Se non
si fosse liberata al più presto di quella piattola del fratello avrebbe finito
per fare la pipì lì dov’era e allora sì che non avrebbe avuto più il coraggio
di uscire dalla sua stanza.
“Che ne dici di un patto?” tentò.
“Che genere di patto?”
Bene, si disse la ragazza. Ryota
era estremamente curioso e se si trattava del suo Aominecchi
sicuramente si sarebbe lasciato raggirare facilmente pur di ottenere un
briciolo di informazioni. Non era facile pensare lucidamente in quella
situazione e soprattutto apparire serafica, ma non poteva certo confessare che
aveva bisogno di andare al bagno: Kise ne avrebbe
approfittato per spillarle la verità fino all’ultima goccia. Non poteva tradire
così la sua ‘fonte sicura’, ma date le circostanze era costretta a cedere.
“Tu mi prometti che non mi assillerai più con questa
storia ed io in cambio ti darò il diario che ho fatto leggere a Daiki-kun: mi sembra più che equo, non trovi?”
Kise
doveva ammettere che leggere il famoso diario era una prospettiva allettante e
magari gli avrebbe anche permesso di capire perché Aomine
si era comportato in modo così strano con lui. Ma il fatto che sua sorella
avesse avanzato quella proposta voleva dire che stava per cedere. Anche per lui
era snervante starsene appostato lì senza potersi muovere, ma la posta in gioco
era troppo alta.
Era riuscito a salvare la sua amicizia con Aominecchi dicendogli che il diario era fasullo e che
qualsiasi cosa avesse letto su di esso non era stata scritta da lui, ma ciò non
voleva dire che le parole sul diario fossero false. Come aveva detto al
telefono Kaori, si stava accontentando di un’amicizia senza fare niente per
ottenere qualcosa in più e fino a un’ora prima era certo che con Aomine non ci sarebbe mai potuto essere quel ‘qualcosa in
più’, ma le parole di sua sorella avevano acceso una luce che difficilmente si
sarebbe spenta.
“Ma che sta succedendo qui?” Sakura, rientrata da
lavoro, aveva trovato il fratello minore seduto sul pavimento a parlare con
Kaori, attraverso una porta: non era difficile capire che la situazione era
alquanto bizzarra, persino per gli standard di quei due.
Kaori per poco non cantò un accorato Alleluja quando sentì la voce della sorella maggiore
dall’altra parte. Aveva proprio un urgente bisogno di aiuto e i loro genitori
sarebbe rientrati solo più tardi.
“Kaori mi ha fatto un brutto scherzo e mi ha messo
in ridicolo davanti ad Aominecchi. Dice che sa delle
cose di lui che non mi vuole dire e adesso io…”
“Un momento!” imperò Sakura e subito Kise si zittì. “Ricomincia tutto da capo e cerca di essere
più dettagliato possibile.”
Kaori si inginocchiò per la disperazione. Non poteva
attendere un solo minuto di più. Era la sua grande occasione di fuga, ora che Ryota era impegnato a narrare tutta la vicenda a Sakura.
Girò la chiave nella toppa molto piano, in modo da
non far sentire il clangore della serratura che veniva aperta. Per fortuna, la
voca squillante del fratellino copriva bene il rumore.
Contò fino a tre. Aprire la porta e sgusciare via
verso il bagno fu un secondo.
Kise,
preso alla sprovvista, impiegò più tempo del necessario per disincrociare le
gambe, ma Kaori era già giunta alla porta del bagno e Sakura gli mise una mano
sulla testa per impedirgli di alzarsi. “Continua a raccontare” gli disse e lui
obbedì.
Intanto Kaori si concesso un lungo e meritato
momento di relax.
Una volta ascoltate le versioni sia
di Ryota che di Kaori, Sakura si prese qualche
secondo per soppesare la situazione. Si era casualmente ritrovata a recitare il
ruolo di giudice e giuria, ma se fossero stati lasciati a sé stessi, suo
fratello e sua sorella non avrebbero cavato un ragno dal buco. E visto che
oltre ad essere fratello e sorella erano anche modello e sua manager, era
essenziale trovare un accordo quanto prima.
In attesa di giudizio, i due contendenti erano
seduti sul letto di Ryota, mentre Sakura si era
accomodata sulla sedia della sua scrivania, a gambe e braccia incrociate.
“Kaori.”
“Sì?”
“Anche se a fin di bene non avresti dovuto
intromettermi negli affari di cuore di Ryota. Le
incertezze e gli errori sono tipici degli adolescenti, e sono essenziali per
loro. Per cui, d’ora in avanti, gli darai consigli solo se Ryota
dovesse chiederteli esplicitamente. Inoltre, gli hai proposto di fargli leggere
questo diario galeotto, quindi daglielo.”
“Va bene” rispose remissiva la sorella.
“Ryota.”
“Sì!”
“Kaori ha diritto ad avere i suoi segreti e se ha
promesso a questa persona di non spifferare nulla, è giusto che lei mantenga la
parola data. Per cui prenderai il diario segreto e non le chiederai nient’altro
al riguardo. Se vuoi scoprire cosa prova per te Daiki
dovrai farlo da solo, fermo restando che potrai sempre venire da noi per
qualsiasi consiglio.”
“D’accordo.”
“E ora vado a prendermi un’aspirina: mi avete fatto
venire il mal di testa” concluse Sakura, uscendo dalla stanza mentre si
massaggiava le tempie.
Kise
aveva letto, sconvolto, il diario. Era sconcertante come molte cose
corrispondessero ai suoi veri pensieri e sentimenti, segno che la sorella lo conosceva
davvero bene. Era rimasto anche sorpreso dalla dovizia di particolari e
dettagli riguardo le date e gli avvenimenti che vi erano riportati: non credeva
che Kaori avesse una memoria così eccellente e soprattutto che fosse stata così
scrupolosamente attenta alla sua vita.
Per sicurezza, il giorno dopo si era portato il
diario a scuola; ora che ne era entrato in possesso non lo avrebbe lasciato
andare tanto facilmente. Dio solo sapeva cosa avrebbe potuto architettare
ancora quella impicciona!
Finite le lezioni, si recò nello spogliatoio e
ripose con cura la cartella e il suo prezioso contenuto nell’armadietto, per
poi iniziare a cambiarsi per l’allenamento.
“Yo!” Il familiare saluto
di Aomine lo colse così alla sprovvista che per
istinto Kise si voltò e si parò tra l’amico e il
proprio armadietto, come se temesse di essere derubato.
Aomine
lo fissò con un sopracciglio inarcato. “Nervoso, eh!” lo canzonò. A quanto pare
era di buon umore.
Secondo Kise, ciò era
dovuto al fatto che il giorno prima avesse negato di provare qualsiasi tipo di
sentimento per lui. Evidentemente, ora Aomine era più
rilassato e poteva riprendere a trattarlo come sempre. Kaori sosteneva che Ryota avrebbe dovuto confessarsi, ma visto l’atteggiamento
che il ragazzo oggetto dei suoi desideri aveva assunto, dichiarare il proprio
amore era la cosa più sbagliata di questo mondo.
“Diciamo che sono solo un po’ pensieroso…” abbassò
poi la voce per non farsi udire dai compagni nello spogliatoio, tutti intenti a
cambiarsi, “… ieri ho avuto una discussione con mia sorella per… quel fatto
lì…”
“Oh, già…” Aomine sembrò a
disagio. Evidentemente, ora che era stato chiarito tutto (o almeno questo era
quello che lui credeva) tornare sull’argomento era inutile, nonché
imbarazzante.
Certo, sarebbe stato facile far finta che non fosse
successo niente, tuttavia Kise sentiva che non poteva
chiudere lì la questione. Era come se ci fosse un piccolo ingranaggio
all’interno di quel meccanismo che non facesse funzionare tutto come avrebbe
dovuto. Una piccola vite piantata nel posto sbagliato. Non sapeva dire cose
fosse, ma qualcosa non quadrava. “Possiamo parlare da soli?”
Aomine
sbarrò gli occhi per la sorpresa. Il tono di Kise non
faceva presagire nulla di buono e lui era sinceramente stanco di trovarsi in
mezzo a quei casini sentimentali che non sapeva gestire. “Ok” acconsentì.
Magari voleva solo parlargli delle loro ‘indagini’ riguardo la storia yaoi del giornale. Ora che ci pensava: il nuovo capitolo,
quello più scottante, sarebbe stato pubblicato a breve.
Uscirono dallo spogliatoio e si incamminarono nel
più assoluto silenzio verso l’esterno della palestra. Il cuore di Kise batteva così forte da farlo sentire una ragazzina
innamorata davanti alla propria rockstar preferita: vicino, eppure così
irraggiungibile.
“Ieri quando ho saputo quello che aveva fatto mia
sorella sono praticamente corso via e non abbiamo concluso la nostra
conversazione.”
“Credevo non ci fosse altro da dire, visto che era
uno scherzo.”
E invece no, pensava Kise:
c’era molto da dire. Kaori sosteneva che Aomine
provasse qualcosa, per lui, e che una fonte sicura glielo aveva rivelato. Non
voleva dare troppo credito alle parole della sorella, ma non riusciva a fare a
meno di illudersi che forse, nel profondo, nell’angolo più remoto
dell’universo, si nascondesse un briciolo di verità. “Però questo non cancella
il fatto che hai iniziato ad evitarmi: perché?”
Aomine
digrignò i denti e si portò una mano dietro la nuca per grattarsela. Era
nervoso e in quel momento voleva solo prendere un pallone da basket e fare
qualche schiacciata per scaricare la tensione. “Senti, mi trovavo in una
situazione strana: la storia gay sul giornale della scuola, quelle psicopatiche
delle tue fan che mi minacciano, tu che… be’, insomma, non ci stavo capendo
niente.”
“Aominecchi, sei troppo
evasivo!”
“Ma che cosa vuoi che ti dica?”
I toni iniziarono ad alzarsi. Ancora una volta
stavano litigando e Kise proprio non riusciva a
trattenere la propria frustrazione. “Sono riuscito ad avere il diario, ieri! Mi
vergogno se penso che anche tu lo hai letto e credevi che io provassi certi…
sentimenti… per te… ma falsi o veri che siano, non ti stavi comportando bene.
Ti vergognavi a parlarmi dopo aver saputo certe cose, oppure… oppure ti facevo
schifo?”
Aomine
si sentiva alle strette. Ma perché cazzo se la stava prendendo tanto a cuore?
Perché doveva rendere le cose così difficili? E soprattutto perché tutti quanti
(Sastuki, Tetsu, Kise) lo rimproveravano come se fosse sempre lui quello
dalla parte del torto? Non ne poteva davvero più.
“Mi avete proprio rotto le palle, tutti quanti! Te
la stai prendendo come se ti avessi spezzato il cuore per davvero! Da quando è
cominciata questa storia non avete fatto altro che rompermi l’anima! Ma si può
sapere qual è il tuo problema?”
“Il mio problema è che mi piaci! Ecco, qual è il mio
problema!” Kise urlò così forte che solo per miracolo
non lo avrebbero sentito tutti quelli nella palestra. Lo aveva detto. Non
poteva crederci, ma lo aveva fatto sul serio. Era così esasperato che non ce
l’aveva fatta a tenersi tutto dentro un secondo di più. Rimasero entrambi
pietrificati senza proferir parola; il silenzio tra loro era squarciato dal
chiacchiericcio dei ragazzi nella palestra e dal suono dei palloni che
rimbalzavano sul parquet.
D’un tratto, Aomine si
accorse di un’altra presenza lì vicino. Voltò la testa di scatto, non sapendo
se essere grato di avere un pretesto per uscire dal limbo di imbarazzo e
meraviglia in cui erano caduti oppure temere il peggio.
“Stiamo per iniziare e l’allenatore mi ha chiesto di
venirvi a cercare” spiegò Kuroko per giustificare la
sua presenza lì. Di certo aveva udito la confessione di Kise.
“Sì,
arriviamo” rispose Aomine, camminando meccanicamente.
Notò che Kise era rimasto impalato lì dov’era e si
fermò per guardarlo. Aprì la bocca per dirgli qualcosa, anche solo incitarlo ad
entrare, ma non riuscì ad emettere alcun suono dalle labbra dischiuse. Si voltò
e lo lasciò lì, solo, nel suo limbo di sconcerto e disperazione.
Note dell’autrice
Che ci crediate o no, questo è stato
un colpo di scena anche per me XD Inizialmente non l’avevo pensata così la
dichiarazione, ma scrivendo ho lasciato che gli eventi mi guidassero e sono
giunta a scrivere ciò.
Altro che storia romantica, qui Kise e Aomine passano la maggior
parte del tempo a litigare! D:
Ringrazio le ben 114 persone che
preferiscono/ricordano/seguono questa long (non pensavo nemmeno che lo
frequentassero il fandom così tanti lettori) e
ovviamente chi recensisce con tanta passione e pazienza trasmettendomi l’entusiasmo
per continuare X3
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Capitolo 14 *** Terapia d'urto ***
Anonymous
Terapia d’urto
Di ritorno a casa, Momoi osservava preoccupata il suo accompagnatore, pensoso
e taciturno molto più del solito. “C’è qualcosa che non va, Tetsu-kun?”
“No, niente. Mi devi scusare, non sono molto di
compagnia oggi.”
“Oh no, niente affatto, anzi, grazie per esserti
offerto di accompagnarmi a casa, visto che Aomine-kun
è praticamente sparito dopo l’allenamento. Chissà che gli è preso.” A dire il
vero Momoi si chiedeva cosa gli fosse preso a tutti, Kuroko compreso, ma non osò dirlo per timore di risultare
troppo acida. E poi, tutto sommato, non poteva dire di essere tanto dispiaciuta
per come si erano messe le cose: in fondo ora stava passeggiando con il suo Testu-kun senza avere Aomine tra
i piedi che monopolizzava la sua attenzione parlando di basket.
“Io credo di sapere cosa aveva Aomine-kun.”
“Davvero?”
“Sì. Non l’ho fatto apposta, in verità. L’allenatore
mi aveva chiesto di andare a cercare lui e Kise-kun
per iniziare l’allenamento, ma quando li ho trovati, ho sentito Kise-kun che si dichiarava ad Aomine-kun.”
Momoi
si fermò di colpo, pietrificata. Kuroko avanzò di
altri due passi prima di fermarsi e girarsi per guardarla.
La ragazza aveva la bocca spalancata, gli occhi
sbarrati e sembrava sul punto di dare di matto. “Cooooooooooooooooooooosa?
Dichiarato? Intendi dire che Ki-chan ha… cioè, ha
proprio confessato di…”
“Sì, quello” confermò serafico Kuroko.
“Oh mio Dio! Non posso crederci, finalmente ce l’ha
fatta!” Momoi era passata dallo stupore all’euforia
in un attimo. Era sinceramente entusiasta per quella notizia, come se avesse
aspettato secoli prima di poterla sentire.
“Finalmente?”
“Ehm… be’, diciamo che non era un mistero che Ki-chan provasse qualcosa per Dai-chan.”
“No, in effetti no. Solo, non credevo che ciò potesse
renderti tanto felice.”
Ripresero a camminare, Kuroko
aveva il consueto passo cadenzato e regolare, Momoi
quasi trottava di gioia. “E Dai-chan che cosa gli ha
risposto?”
“Niente. Mi ha seguito in palestra.”
“Cooooooooooooooooooosa?”
Kuroko
provò un fastidioso senso di déjà vù.
Di nuovo si fermarono, ma questa volta era stata l’indignazione a frenare i
piedi di Momoi. “Non ha detto neanche una parola?
Niente di niente?”
“Sembrava che volesse dirgli qualcosa, ma non sapeva
bene neanche lui cosa, quindi ha preferito tacere.”
“Ora capisco perché si comportava così oggi ed era
sempre distratto. Questa sera vado a casa sua e gli faccio una ramanzina che…”
“Ti consiglio di no” la frenò subito Kuroko, prima che i livelli di estrogeno schizzassero alle
stelle.
“Dici che non dovrei?”
“Io non conosco bene Aomine-kun
come te, ma non credo che spronarlo ad andare da Kise-kun
e parlargli sia in questo caso la soluzione migliore. Poteva andare bene quando
hanno litigato, ma questa è una situazione diversa. Se Aomine-kun
andasse a parlargli, non saprebbe cosa dire, perché in verità neanche lui sa
esattamente cosa prova, oppure lo sa ma non riesce a convincersene. Sono
convinto che Aomine-kun abbia bisogno di una terapia
d’urto.”
“Terapia d’urto?”
“Hai presente la storia pubblicata sul giornaletto
scolastico?”
“Certo che sì. Ah, ma la conosci anche tu? Credevo
che ad un maschietto non interessassero certi generi.”
“Mi piace leggere un po’ di tutto. Comunque, da
quando Aomine-kun ha letto quella storia è come se
fosse stato costretto ad affrontare i suoi pensieri. È diventato più
consapevole di tante cose che prima ignorava e ha riflettuto su molte altre
ancora. Adesso è confuso, si vede, per questo ha bisogno di una terapia
d’urto.”
“E in cosa dovrebbe consistere questa terapia?” Momoi pendeva letteralmente dalle labbra di Kuroko. Era così raro vederlo tanto loquace. Lei adorava
ascoltarlo. Parlava in modo limpido, articolato, senza sbavature: si capiva che
era un accanito lettore di romanzi. E poi la sua voce serafica, pacata, a volte
ipnotica. Lo avrebbe ascoltato per ore, se solo Kuroko
fosse stato il tipo di ragazzo che parlava per ore, ma forse era proprio questo
a rendere quei rari momenti di loquacità ancora più preziosi e affascinanti.
“Aomine-kun ha bisogno di qualcuno
che gli dica chiaro e tondo quali sono i suoi stessi sentimenti e costringerlo,
in questo modo, ad accettarli.”
Seduto alla panca, con l’asciugamano
intorno alle spalle e una bibita energetica nella mano destra, Kise sprofondava sempre più in una voragine di
autocommiserazione. Come aveva fatto ad essere così stupido, il giorno prima,
da esternare così i propri sentimenti ad Aomine?
Dannata la sua lingua lunga e la sua impulsività! Ma non poteva semplicemente
far finta di nulla, invitarlo a giocare a qualche one-on-one e dopo amici come prima?
Che idiozia! Ma quali amici come prima? Aomine non era suo amico, o meglio Kise
non poteva vederlo come amico, perché Aominecchi era
molto, molto più che un semplice amico o compagno di squadra. E lui era stato
così insistente e così stupido da pretendere a tutti i costi qualcosa di più;
qualcosa che non esisteva e mai sarebbe esistito.
Ora era facile immaginare cosa sarebbe successo. Aomine aveva letto il suo presunto diario segreto e aveva
deciso di ignorarlo, evitarlo. Kise lo aveva convinto
che era tutto falso, non solo il diario, ma anche ciò che vi era scritto sopra.
Invece adesso non poteva rimangiarsi la parola.
Aveva scoperto le sue carte e non c’era modo di
riprenderle in mano e sperare di cambiare il corso della partita. Aomine sarebbe ritornato ad evitarlo. Avrebbe solo voluto
chiedergli il perché, solo questo. Dopotutto, era così difficile rimanere
amici? Evidentemente per Aomine lo era. Ed era
inutile mentire, lo sarebbe stato anche per Kise.
Con la testa china, sentì tutti gli altri compagni
di squadra andarsene. Doveva ancora farsi la doccia, ma aveva le membra troppo
molli anche solo per pensare di muoversi. Udì la porta aprirsi e richiudersi di
nuovo alle sue spalle. Forse era qualcuno che aveva dimenticato qualcosa
nell’armadietto.
“Yo.”
Kise
riconobbe subito quel saluto. Si voltò di scatto, sorpreso. Sorpreso perché lui
e Aominecchi erano soli nello spogliatoio, sorpreso
perché Aominecchi lo aveva salutato, sorpreso perché
sembrava che Aominecchi fosse lì appositamente per
parlare con lui. A giudicare dalla tenuta sportiva e dal sudore che ancora gli
imperlava la fronte, Aomine si era trattenuto in
palestra più a lungo. Possibile che lo avesse fatto di proposito per parlargli
a quattr’occhi?
“Aominecchi…”
“Sì, mi chiamo così.” Kise
avrebbe voluto sorridere alla sua battuta ma proprio non ci riuscì. “Dobbiamo
parlare.”
“Oh, e chi è stato a mandarti da me questa volta? Momoicchi, di nuovo, oppure è stato Kurokocchi?”
Non voleva essere sgarbato, in fondo l’altro non gli aveva fatto niente di
male, per il momento, ma sapeva che il discorso che si apprestavano ad
intavolare sarebbe stato più corrosivo di un acido; per tanto, meglio mettersi
subito sulla difensiva, in modo da attenuare il colpo che presto Aomine gli avrebbe sferrato.
“Nessuno. L’ho deciso io.”
Questo sì che colpì seriamente Kise.
Maledizione, ma perché bastava così poco per farlo vacillare? “D’accordo,
parliamo.”
“In verità, non c’è molto di cui parlare. Visto che
ormai hai messo in chiaro le cose, volevo fare lo stesso anche io e chiudere
definitivamente la faccenda. Volevo dirti che io non posso ricambiare i tuoi
sentimenti.”
“Era per questo che volevi evitarmi, allora?”
“Sì.”
Kise
si aspettava una risposta simile alla sua dichiarazione, eppure, in cuor suo,
aveva continuato ingenuamente ad illudersi di sentire qualcosa di diverso. Le parole
di Aomine avevano spento drasticamente anche l’ultimo
barlume di speranza. “Va bene. Grazie per la sincerità e la… correttezza.” Mostrò
un sorriso così falso e tirato che persino Aomine lo
capì.
Questi aprì la bocca per dire qualcosa, chiedergli
se era tutto a posto, ma si sarebbe sentito un vero stupido, data l’ovvietà
della risposta. Forse avrebbe dovuto chiedergli come si sarebbero dovuti
comportare da adesso in poi, ma sentiva che Kise
aveva bisogno di un po’ di tempo per metabolizzare la notizia.
Aomine
non sapeva cosa significasse essere rifiutati da qualcuno, ma una vaga idea se
l’era fatta. In silenzio si appropinquò al proprio armadietto, mentre Kise apriva il suo più per tenersi occupato che per altro. Trovò
una lettera in bella mostra. Non era raro per lui trovarne qualcuna scritta
dalle sue ammiratrici. La prese con non curanza. Sulla parte frontale non vi
era alcuna scritta. La girò e ciò che vi lesse gli fece scattare un campanello
d’allarme nella testa.
‘Per
Kise e Aomine.’
Un brutto presentimento iniziò a serpeggiargli lungo
la spina dorsale, facendolo rabbrividire. Aprì la busta nervoso e ne tirò fuori
quattro fogli scritti al computer. Ovviamente, non c’era il nome dell’autrice.
“Aominecchi!”
‘Cari
Kise e Aomine,
per
prima cosa volevo ringraziarvi con tutto il mio cuore per avermi ispirato la
storia Master Basket. Senza di voi e la vostra magnifica personalità non sarei
mai riuscita a dare vita ad una trama così bella da far sognare tutte le
studentesse della nostra scuola.
Purtroppo,
sono a conoscenza di alcuni spiacevoli eventi che vi hanno coinvolto
addirittura in una rissa a causa di quello che ho scritto. Sfortunatamente non
tutti hanno una mentalità aperta e libera.
So
che avete letto la mia fiction. Spero che sia stata di vostro gradimento e qui
arriviamo al motivo per cui ho scritto questa lettera. Il nuovo capitolo è
molto atteso dai miei lettori e, data la natura dello stesso, ho preferito
farvelo leggere in anteprima, di modo da prepararvi al meglio per quando verrà
pubblicato, dopodomani.
Confido
che vi piaccia e vi auguro una buona lettura.’
“Cosa c’è?” Aomine si
voltò verso un Kise esterrefatto con gli occhi incollati
ad una lettera. “Allora? Perché mi hai chiamato?”
Senza dire una parola, Kise
gli porse il foglio che aveva appena terminato, apprestandosi a leggere il
quarto capitolo inedito di Master Basket.
‘Aimine era goffo ma adorabile allo stesso tempo. Aveva
troppa paura di fare del male a Kisu, a causa della
gamba infortunata.
Kisu lo tranquillizzò subito. –Non
trattenerti: ho aspettato così tanto questo momento.
Si
baciarono a lungo e con trasporto, mentre la mano di Kisu,
dentro i pantaloni di Aimine, nelle sue mutande, lo
stava mandando in estasi. Tra maschi era facile, ognuno sapeva perfettamente cosa
volesse l’altro e cosa piacesse di più.
In
men che non si dica si tolsero i vestiti. Si strinsero l’uno all’altro nudi,
eccitati. Kisu era impaziente di ricevere ed essere
travolto dal desiderio di Aimine. Aprì le gambe più
che poté per farlo stendere tra di esse. Era talmente felice che temeva sarebbe
venuto in pochi secondi.
–Sii
gentile, è la mia prima volta.
–Anche
per me – confessò Aimine.
Lo
prese piano, godendo di ogni secondo che impiegò per entrare in lui. Avvolto dal
suo calore si sentiva in paradiso. Non aveva mai provato una sensazione simile
prima di quel momento e rimpianse di non essersi deciso a confessare prima i
suoi sentimenti.
Fecero
l’amore con dolcezza, l’uno specchiato negli occhi dell’altro. Si sorrisero,
felici come non mai. Kisu a stento riusciva a
trattenere i gemiti.
–Voglio
sentire quanto ti piaccio.
–Se
mi lasciassi andare, mi sentirebbe tutta la città.
Aimine aumentò la passione con cui lo
possedeva e Kisu davvero non riuscì più a strozzare
le urla di piacere. Raggiunsero l’orgasmo insieme, in perfetta sincronia. Era
durato poco, ma per la loro prima volta non avrebbero potuto sperare di meglio.
–Ti
amo tanto– disse Kisu, con voce miagolante.
–Anch’io
ti amo– rispose Aimine, regalandogli il suo sorriso
più bello. Si stese di lato, per riprendere fiato.
Il
sudore evaporò lentamente, ma i due giovani non se ne curarono. Aimine osservò a lungo il bel corpo del compagno. Lo accarezzò
tutto, dal petto alle cosce. Non c’era da stupirsi se molte ragazze impazzissero
per lui.
Aimine, invece, aveva un fisico più
scolpito e un fascino rozzo, animalesco. Kisu seguì
il suo esempio e iniziò a toccarlo allo stesso modo; aveva fantasticato un
migliaio di volte su quei bei muscoli tonici.
Bastarono
poche carezze ben mirate per risvegliare il loro desiderio.
–Ancora–
supplicò Kisu. –Ti voglio ancora una volta.
Aimine lo accontentò subito. Se non fosse
stato per la gamba malridotta di Kisu avrebbero
potuto fare molto di più. Si inginocchiò tra le sue gambe, gli sollevò le anche
e lo prese di nuovo, questa volta meno delicato, ma sapeva che il peggio era
già passato.
Gli
inferse dei colpi di bacino rudi e selvaggi, mentre con la mano gli dava sempre
più piacere seguendo il proprio ritmo. Questa volta durò più a lungo e continuò
anche dopo che Kisu si era svuotato per la seconda
volta. Quando esausto si accasciò su di lui, si baciarono per diversi minuti,
senza mai essere sazi l’uno della bocca dell’altro.
–Forse
è meglio che ci rivestiamo adesso o potrei decidere di farlo una terza volta–
disse Aimine.
–A
me non dispiacerebbe.
Ma
erano troppo stanchi per pensare di concedersi una terza volta. Si assopirono l’uno
di fianco all’altro, Kisu stretto tra le braccia del
suo amato, addormentandosi tra dolci baci e ripetuti ‘Ti amo’.
’
Kise
sentì le guance bruciare, segno che era arrossito vistosamente. Era come se
qualcuno fosse entrato nella sua testa e avesse riportato su carta i suoi sogni
più proibiti. Aveva tentato di leggere con un certo distacco, immaginando i due
protagonisti con delle fattezze diverse da quelle di lui e Aominecchi
ma aveva fallito miseramente.
Lasciò andare i fogli e corse in bagno prima che Aomine potesse vedere il suo imbarazzo.
Lo sentì biascicare qualcosa, forse una bestemmia,
ma non afferrò il significato delle sue parole. Si chiuse la porta alle spalle,
aprì il rubinetto di acqua fredda e si bagnò il viso una, due, tre, moltissime
volte.
Niente da fare. Leggere nero su bianco quella scena
erotica aveva scatenato le sue più sfrenate fantasie e ora aveva un vistoso
problema in mezzo alle gambe che proprio non aveva il tempo di risolvere. Non
ci voleva, assolutamente.
Se prima, quando Aomine lo
aveva esplicitamente rifiutato, era riuscito a mantenere una parvenza di
dignità, ora rischiava di mandare tutto all’aria. Si preoccupò quando non sentì
il compagno parlare o chiamarlo dallo spogliatoio.
Aveva il sangue ancora tutto mescolato in circolo,
ma aprì lo stesso la porta.
Aomine
era seduto sulla panca, di spalle a lui, con ancora i fogli in mano. Chissà
cosa gli passava per la testa dopo aver letto quella… cosa.
“Aominecchi? Tutto a
posto?”
“No, non c’è niente di a posto! Dobbiamo fermarla!
Non possiamo permettere che il giornaletto scolastico pubblichi questa roba.”
Così dicendo, Aomine si alzò e, senza guardare in
faccia Kise, si diresse a passo di marcia verso
l’uscita.
Tuttavia, Kise lo vide
rosso come un pomodoro e questo lo tranquillizzò: evidentemente non era l’unico
a subire gli effetti collaterali di una lettura tanto osé. Ma ci fu un altro
dettaglio, molto più sconcertante, che notò.
Forse era stato solo il frutto della sua
immaginazione, la suggestione per ciò che aveva letto stava influenzando i suoi
occhi e vedeva cose che non esistevano.
Aomine
posò la mano sulla maniglia della porta. Stava andando via troppo di fretta,
come se… stesse scappando.
Kise
poggiò il palmo della mano sulla porta, così da impedirgli di aprirla.
“Che cazzo fai?” imprecò Aomine,
ma non accennò a voltarsi.
“Girati.”
“Che?”
“Ti ho chiesto di girarti” ripeté Kise.
“Mi prendi in giro? Guarda che mi stai facendo
arrabbiare ancora di più…”
Il rifiuto persistente di Aomine
a voltarsi non fece altro che confermare i sospetti di Kise.
Questi lo prese per il braccio, cogliendolo alla sprovvista, e lo costrinse e
girare su sé stesso facendogli sbattere la schiena al muro. Gli occhi di Kise corsero verso il basso e no, non si era sbagliato.
All’altezza del cavallo dei pantaloni sportivi
di Aomine c’era un inconfondibile rigonfiamento.
“Aominecchi… tu…”
“Non è quello che pensi.”
“Aominecchi…”
“Non lo so nemmeno io che diavolo mi è preso, ma non
farti strani film in testa. A me piacciono solo le…”
Non
sapeva perché lo avesse fatto, forse era solo stanco di sentire tante menzogne,
di essere preso continuamente in giro, ma una cosa la sapeva, adesso: che le
labbra di Aominecchi erano più morbide di quanto
avesse mai immaginato.
Note dell’autrice
Rispetto ai miei standard ci sto
mettendo molto più tempo del previsto per ‘arrivare al sodo’.
Intanto ecco un piccolo antipasto: ovviamente la scena è frettolosa e non
eccessivamente dettagliata per adeguarmi allo stile dell’autrice di Master
basket.
Siamo quasi all’arrivo, non
mancheranno molti capitoli, anzi: se tutto andrà per il meglio dovrebbero
essere 3, massimo 4. Dipende da cosa mi verrà in mente scrivendo di volta in
volta gli altri capitoli ^^ Mi raccomando non abbandonatemi proprio ora che
siamo giunti (quasi) alla fine: i vostri commenti sono il mio sostentamento per
scrivere <3
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Capitolo 15 *** Così evidente ***
Anonymous
Così evidente
Il suo primo bacio ad Aominecchi non fu esattamente come Kise
se lo era sempre immaginato. Anzi, a dire il vero, non era certo il migliore
che avesse mai ricevuto, magari perché Aomine rimase
pietrificato per l’incredulità di quanto successo. Se Kise
avesse baciato una statua con le sue fattezze avrebbe avuto, forse, più
soddisfazione.
Ma lo stupore non durò a lungo e quando Aomine realizzò la situazione non decise affatto di
ricambiare. Artigliò la gola dell’altro per allontanarlo da sé e fissarlo negli
occhi con uno sguardo che avrebbe potuto incenerirlo. Tutto ciò che vide di
rimando fu il sorriso di scherno di Kise.
“Ti puzza forse la vita?”
“Aominecchi, Aominecchi!” cantilenò Kise che
proprio non riusciva a smettere di sorridere tronfio della sua audacia.
“Giochiamo a basket insieme da tanto tempo, so bene quanto sono pronti i tuoi
riflessi. Se davvero avessi voluto mi avresti evitato senza problemi.”
“Non riderai più dopo che ti avrò fatto di nuovo
l’occhio nero!” Il pugno di Aomine si strinse in modo
minaccioso, ma Kise non credette neanche per un
secondo che l’amico lo avrebbe colpito.
“Fallo! Se ho sbagliato oppure ho capito male
colpiscimi pure, perché me lo merito. Ma se ho ragione…” lasciò la frase in
sospeso. L’aria si caricò di tensione e sottintesi.
La prese al collo non accennò a diminuire, ma il
pugno era ancora lì, immobile, vicino al fianco di Aomine.
Kise lo conosceva abbastanza bene da sapere che se
avesse voluto fargli del male lo avrebbe già fatto. Del resto, quando lo aveva
aiutato nella rissa sopra il tetto, si era fiondato contro i suoi quattro
avversari guidato solo dall’istinto, senza pensarci su due volte.
Sorrise ancora. Gli afferrò il polso e si liberò
dalla sua presa senza sforzo. Tuttavia, non si allontanò neanche di mezzo
passo.
“Non ti colpisco solo perché non vorrei sorbirmi le
lamentele di tua sorella per averti sfigurato quel faccino da modello che hai.”
“Va bene, fingerò di crederti. Ma a parte minacciarmi
di darmi un pugno, non c’è altro che vuoi dirmi?”
Aomine
mostrò per un attimo smarrimento e nervosismo a quella esortazione. “Su cosa?”
Kise
sospirò sonoramente. Stava seriamente meditando l’idea di darglielo lui il
pugno, così si sarebbe svegliato una volta per tutte. “Ti ho appena baciato,
meno di un minuto fa, non hai nulla da dirmi?”
“No, niente.” Aomine fece
un passo in avanti, gli poggiò una mano sul petto per allontanarlo, ma Kise oppose resistenza e non volle indietreggiare nemmeno
di mezzo passo. Tutta la sicurezza e la spavalderia di poco prima erano
scomparse, lasciando il posto ad un’espressione delusa, amareggiata e
arrabbiata.
“Guardati nei pantaloni: ti sembra niente quello?”
“Ho avuto una reazione imprevista, anche per me. Non
ho davvero niente da dire…”
“Bugiardo!”
“Ok, allora non so che cosa dire. In questo momento
sono solo confuso.”
Finalmente Kise aveva
avuto una risposta sensata, anche se era davvero stanco di quell’atteggiamento.
Da quando era iniziata quella storia non facevano che litigare, continuamente.
Appena provavano ad addentrarsi in un argomento spinoso, i toni si alzavano e
subito finivano per urlarsi contro. Cercò di modulare la voce in modo da
renderla il più morbida e confortante possibile: in quel momento, Aomine gli sembrava solo un grosso animale spaventato che
attacca per difendersi. “È normale essere confusi. Anche io lo ero quando ho
iniziato a provare certi sentimenti. Poi ho imparato a concentrarmi solo su
quello che mi piaceva e allora ho capito tutto.” Fece una pausa e il suo volto
si addolcì per far metabolizzare ad Aomine il
significato delle sue parole e fargli comprendere che ‘quello che gli piaceva’
era in riferimento a lui.
“La fai facile tu. Come quella… cosa… là…” disse Aomine, indicando vagamente le pagine sulla panca dietro Kise, “… dove fanno sembrare che una dichiarazione d’amore
sia una cosa da niente.”
“Non è facile, lo so. Ci sono passato anche io. Aominecchi, ormai è così evidente, non puoi far finta di
nulla.”
Aomine
poggiò la testa contro il muro dietro di sé, sollevò gli occhi al cielo e poi
li chiuse, come se avesse bisogno di rintanarsi un attimo in sé stesso per
elaborare quella realtà che il suo corpo, per primo, gli aveva mostrato in modo
tanto spudorato. “Evidente, dici?” Sospirò.
Era evidente che leggere quella scena erotica in cui
i due protagonisti non erano altri che lui e Kise lo
aveva eccitato, con sua somma sorpresa, per giunta.
Era evidente che avrebbe potuto scansare il bacio di
Kise: si era accorto delle intenzioni dell’altro, ma
il suo corpo lo aveva tradito, bloccandolo e costringendolo ad entrare in
contatto con le labbra di Kise quasi volesse dirgli
‘In fondo è questo quello che vuoi davvero’.
Era evidente, infine, che lo stesso bacio, per
quanto imprevisto, per quanto la sua mente avesse tentato di lottare, non era
stato affatto sgradevole. Il respiro di Kise contro
le sue guance, le loro labbra premute le une contro le altre, tutto, per un
istante, gli aveva procurato un delizioso formicolio alla bocca dello stomaco.
Non aveva mai baciato nessun altro prima, ma era certo che fosse quella la
sensazione che si dovesse provare quando succede con la persona che più ti
piace.
“Aominecchi?” lo chiamò Kise dopo un lungo, profondo silenzio.
L’altro aprì gli occhi e li fissò nei suoi: due
laghi dorati in trepidante attesa di una sua parola, un suo gesto. Un sorriso
amaro gli arricciò le labbra. “Lo dicevo io che quella merda la faceva troppo
facile.”
“Eh? Vuoi dire che…?”
“Voglio dire che in quella storia Aimine si accorge dei propri sentimenti per Kisu in modo troppo semplice e sempre in modo troppo
semplice glieli confessa. Ah, nella vita reale non è affatto così!”
Kise
stentò a credere alle proprie orecchie. Ci era riuscito! In un modo o
nell’altro era riuscito a far aprire gli occhi ad Aominecchi.
Sentiva il proprio cuore scoppiargli in petto per la gioia. Non poté più
trattenersi e lo abbracciò al collo, spingendolo ancora una volta contro la
parete e premendolo con il proprio corpo.
“Aspetta, idiota! Dammi almeno il tempo…”
“Aominecchi, lasciami
fare” sussurrò Kise.
Aomine
si ammutolì, irrigidendosi tutto come se i muscoli fossero diventati di legno,
quando sentì le labbra del compagno dargli un bacio sul collo, proprio nell’incavo
della curva con la spalla. Salì di poco, sfiorandogli la pelle con la punta del
naso e posò un altro bacio, questa volta un po’ più forte e lungo. Sorrise
appena quando sentì Aomine rabbrividire. La pelle d’oca
era senza dubbio un buon segno.
Continuò così fino a raggiungere l’orecchio, fece
schioccare le labbra sul lobo e lo rilasciò subito. Lentamente percorse la
linea della mandibola, come se volesse dire all’altro ‘Sto
per darti un bacio sulla bocca, quindi tieniti pronto’.
Quando infine giunse alla meta, aveva gli occhi socchiusi, ma da sotto le
ciglia poteva sbirciare l’espressione tesa di Aomine.
Premette maggiormente il corpo contro il suo, poggiò una mano all’altezza del
cuore e l’altra sulla spalla opposta. Voleva godersi ogni istante di quel
momento che aveva vissuto solo nelle sue fantasie.
Per la seconda volta, le loro labbra si unirono,
questa volta più dolcemente. Aomine si limitò a
restare passivo, con le mani abbandonate lungo i fianchi, lasciando a Kise piena libertà d’azione.
E Kise si prese tutte le
libertà possibili. Gli succhiò appena il labbro inferiore, giocherellandoci un
paio di secondi con i denti, poi lo rilasciò, leccandolo con solo la punta
della lingua che salì a lappare anche quello superiore. Gli tempestò la bocca
di piccoli, languidi baci prima di osare.
La lingua lo invitò a dischiudere le labbra e Aomine accettò, aprendole appena. Quando ne avvertì il
calore e la morbidezza, timidamente provò ad assecondarla. Doveva ammettere che
Kise ci sapeva davvero fare. Non c’era da stupirsi in
fondo. Bello com’era aveva avuto qualche fidanzata e di certo le ragazze non si
erano accontentate di passeggiare con lui mano nella mano.
Per la prima volta, Aomine
si sentì inadeguato ma Kise sapeva condurlo e
adattarsi al suo ritmo impacciato. Temeva il momento in cui si sarebbero dovuti
separare. Cosa avrebbe dovuto dire o fare? Non ne aveva idea, ma in quel
momento voleva solo godersi quella nuova, eccitante sensazione.
Anche se a malincuore, Kise
considerò che era abbastanza. Era ben lontano dal ritenersi sazio e
soddisfatto, ma non voleva rischiare di esagerare e sembrare un affamato
disperato. Cercò di allontanarsi, ma con sua somma sorpresa Aomine
lo abbracciò, stringendolo a sé. Fino a quel momento era stato ben attento a
non entrare in contatto con il suo corpo in un certo modo, ma l’impeto del
gesto lo schiacciò così tanto che le loro parti basse finirono per scontrarsi.
Un gemito acuto di eccitazione e meraviglia gli scappò, ingoiato da Aomine che proprio non ne voleva sapere di staccarsi più.
Nonostante la foga del bacio che aumentava di secondo in secondo, Kise riuscì persino a sorridere.
Infilò la mano sotto la larga maglietta di Aomine, ancora umida di sudore, e gli accarezzò con ampi
movimenti circolari quegli splendidi addominali che tante, troppe volte aveva
desiderato toccare. Ma Aomine riuscì a stupirlo davvero
quando, ormai più sicuro e padrone della situazione, invertì le posizioni
sbattendolo contro il muro e approfondì il bacio fino a impedirgli di
respirare.
Non che a Kise dispiacesse
l’idea che il ragazzo dei suoi sogni ci stesse mettendo così tanta passione nel
loro primo vero bacio, ma la mancanza d’aria era un problema da non
sottovalutare.
“Ao…” tentò di chiamarlo
ma invano. “Aomi…” Aveva bisogno d’aria e così fece
l’unica cosa che gli venne in mente, anche se ciò significava sacrificare la
complicità e la passionalità che si era accesa: gli morse la lingua, ma non
troppo forte.
“Ahia!”
Finalmente Aomine si
staccò e Kise poté prendere fiato a pieni polmoni.
“Mi stavi soffocando…” si giustificò, prima che l’altro potesse inveirgli
contro. Sentiva le labbra formicolare come mai gli era successo prima.
“Potevi anche dirlo.”
“C’era la tua lingua che me lo impediva” celiò.
Aomine
anche sorrise, ma subito voltò la testa da un’altra parte nel vano tentativo di
nascondere qualcosa e subito Kise intuì cosa fosse: il
suo rossore in volto. Non si sarebbe mai aspettato di vederlo, eppure eccolo
lì, Aomine Daiki, l’asso
della squadra di basket, il rude e virile power forward con le guance appena tinte di rosso. Ah, se solo
avesse potuto fotografarlo!
La tentazione di baciarlo ancora fu quasi
irresistibile e Kise dovette appellarsi a tutto il
suo autocontrollo per trattenersi. Voleva vedere quali sarebbero state le
reazioni dell’altro ora che i reciproci sentimenti erano emersi alla luce del
sole.
“E ora che si fa?” domandò Aomine.
Odiava sentirsi così imbranato, ma una situazione del genere non sapeva proprio
come gestirla, del resto non aveva mai avuto una fidanzata prima… o un
fidanzato.
“Non c’è un regolamento da seguire. Possiamo fare
quello che vogliamo. Continuare a comportarci come sempre. Possiamo uscire insieme
nei fine settimana, magari.”
“Però evitiamo di fare certe cose davanti ad altre
persone” specificò Aomine.
Kise
tirò fuori dal suo arsenale di sorrisi quello più malizioso che gli riuscì. “Ovviamente”
rispose languido, come se avesse voluto dirgli che non era mica un idiota
assatanato che gli sarebbe saltato addosso alla minima occasione. Subito dopo scoppiò
a ridere di gusto e con tutta la spontaneità di questo mondo lo prese per mano
e lo tirò. “Andiamo a farci una doccia, adesso.”
“Che?”
Il tono allarmato nella voce di Aomine
non gli sfuggì. Si girò subito per rassicurarlo, dandogli un bacio a fior di
labbra. “Parli come se non avessimo mai fatto la doccia nello stesso momento.”
“Sì, ma adesso…”
“Guarda che anche per me è tutto nuovo. E poi non
intendevo farci la doccia insieme in quel senso lì. Sei tu che sei malizioso.
Al massimo ti laverò la schiena, se vuoi.” Kise non
era sicuro di poter resistere alla tentazione di toccare Aomine
ovunque non appena lo avesse visto nudo e ricoperto di schiuma, ma accelerare
troppo le cose sarebbe stato sconveniente. Del resto, anche per lui erano le
prime esperienze con un ragazzo. Meglio seguire il naturale flusso degli
eventi, pensò.
“Io non sono affatto malizioso” puntualizzò l’altro.
In risposta ebbe solo una risatina accondiscendente, che aveva tanto il suono
di una presa in giro.
Le docce erano strutturate con dei separé senza le
porte. I due ragazzi si spogliarono nel più assoluto silenzio. Il primo a
finire fu Aomine, che subito si fiondò sotto la
doccia. Come aveva detto Kise non era la prima volta
che si mostravano nudi l’uno agli occhi dell’altro, ma ora tutto aveva
acquisito una sfumatura diversa: i loro corpi erano sempre gli stessi, ma non
il modo in cui si guardavano. In particolare, non voleva certo fargli vedere
quanto ancora era su di giri a causa della lettura insolita e di quel bacio che
di casto aveva ben poco. E mentre era perso nelle proprie elucubrazioni
mentali, sentì un secondo scroscio d’acqua alla sua destra, segno che anche Kise aveva iniziato a lavarsi.
Per quest’ultimo era davvero strano sapere che Aomine, il ragazzo dei suoi sogni, si trovava a meno di un
metro da lui, nudo e, chissà, forse con i suoi stessi dubbi nella testa.
Sarebbe stato incantevole fare la doccia insieme, ma quello sarebbe stato il
classico passo più lungo della gamba. Meglio lasciare che Aomine
digerisse l’esperienza di pochi minuti prima, e solo dopo proporgli nuove
prelibate pietanze da assaggiare.
Peccato solo che la sua virilità proprio non voleva
saperne di calmarsi e attendeva trepidante la conclusione di quello che avevano
iniziato.
Mi
devo calmare, non so come, ma devo.
Si versò dello shampoo sui capelli e iniziò a
frizionarli, concentrando tutti i suoi pensieri e le sue energie nelle punte
delle dita.
E
Aominecchi? Anche lui ha lo stesso problema? Prima
sembrava proprio di sì. Non posso certo chiederglielo però.
Tuttavia il desiderio di andare da lui era così
prepotente e pulsante che, senza ragionare, gli chiese: “Aominecchi,
posso lavarti la schiena?”. Si morse la lingua subito dopo, ma non poteva
rimangiarsi le parole ormai.
Aomine
disse qualcosa ma tra lo scroscio dell’acqua e i suoi tormentosi pensieri Kise non riuscì a sentire. “Come hai detto?”
“Ho detto che va bene.”
“Davvero?” Emozionato, entusiasta e incredulo, Kise si risciacquò i capelli dalla schiuma, chiuse la
manopola dell’acqua e aggirò il divisorio per infilarsi nel cubicolo di Aomine. Questi non si girò per tutto il tempo. Lasciò che
le mani di Kise gli frizionassero la schiena, con
somma beatitudine di quest’ultimo. Era qualcosa di così intimo e pieno di
complicità che non avrebbe potuto desiderare di meglio. Forse solo…
“Ho finito.” Stava per girarsi e uscire dalla doccia
quando Aomine gli afferrò il polso per bloccarlo.
Erano soli ed entrambi ancora ubriachi di desiderio.
Quando avrebbero riavuto un’altra occasione simile? Non lo sapevano, quindi
perché non approfittarne? Aveva avuto solo un assaggio, prima, e non gli era
certo bastato. Visto che ormai era in ballo, tanto valeva concludere nel
migliore dei modi e al diavolo tutto il resto.
Abbracciò Kise di nuovo e,
come prima, lo spinse contro il muro. Questa volta non c’erano i vestiti a
nascondere la loro eccitazione. Kise, che tanto aveva
sognato e immaginato quel giorno, prese l’iniziativa, insinuando la mano tra i
loro corpi, in basso, toccando, carezzando, massaggiando.
Aomine
guardò verso il basso, curioso quasi di vedere come facesse il compagno a
dargli tutto quel piacere che provava.
Kise
sorrise e disse: “Puoi toccarmi anche tu. Fallo come lo faresti a te stesso.”.
Annebbiato
dalla libido e dal piacere che aumentava sempre più, Aomine
seguì il suggerimento, soddisfacendosi reciprocamente nel giro di pochi,
pochissimi minuti. Aveva seguito solo l’istinto dal momento in cui lo aveva
bloccato e baciato di nuovo, e, come al solito, sentiva che aveva fatto la cosa
migliore non solo perché ora versava in uno stato di divina beatitudine,
svuotato di ogni energia, ma anche perché, dovette riconoscere, Kise era di una bellezza incomparabile quando raggiungeva
il picco del piacere ed emetteva quel lungo, acuto gemito di liberazione. Baciò
ancora quella bocca invitante che gli aveva riempito le orecchie di ansiti
voluttuosi e davvero non gli importava più niente di tutto il resto.
Note dell’autrice
La stesura di questo capitolo è
stata piuttosto controversa. All’inizio non sapevo come far cadere le difese di
Aomine e convincerlo che doveva sbattersi Kise una volta per tutte! Poi, il dubbio riguardo la scena
un po’ più hot: ci sta o non ci sta? Ma visto che nella vita in qualunque modo
la fai sembra che non vada mai bene, ho deciso di fregarmene e lasciarmela
perché un po’ di zozzerie le dovevano fare dopo tutta questa trafila che hanno
dovuto subire u.u
E visto che il manga è giunto alla
sua conclusione, per non essere da meno vi informo che il prossimo sarà l’ultimo
capitolo, in cui sveleremo: chi è l’autore/autrice di Master basket? Chi è la
fonte sicura di Kaori, la sorella di Kise? E cosa
accadrà una volta che il quarto capitolo di Master Basket sarà pubblicato?
Al prossimo chap
:3
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Capitolo 16 *** La vita non è una fanfiction ***
Anonymous
La vita non è una fanfiction
Kise
emanava luce propria tanta era la gioia che pervadeva tutto il suo essere.
Entrò in casa canticchiando e salì le scale saltellando come un fauno in un
bosco pieno di ninfe. Non appena scaraventò la cartella sul pavimento e si
tolse la giacca, sua sorella Kaori bussò alla porta e, senza attendere il
permesso l’aprì.
“Ti ho mai detto che sono la migliore manager del
mondo?”
“Tutte le volte che mi procuri un nuovo lavoro”
rispose scherzoso Kise.
“Be’ questa volta mi sono superata. Sono riuscita a…
eh?”
“Eh? che cosa?”
Il modo curioso, quasi indagatore, con cui Kaori lo
guardava gli spense immediatamente il sorriso che aveva mantenuto per tutto il
tempo da quando si era salutato con Aomine.
“È successo qualcosa?”
Kise
non poteva certo raccontarle che finalmente, dopo tante settimane di travaglio,
lui e Aomine si erano ufficialmente messi insieme e
in modo a dir poco soddisfacente. Al solo pensiero delle effusioni che si erano
scambiati sotto la doccia, delle mani che avevano regalato loro reciproco
piacere, l’eccitazione tornò a farsi sentire spudorata e prepotente. “Niente di
che.”
Per tutta risposta, Kaori gli si avvicinò fino a
ridurre la distanza tra di loro a pochi centimetri. Era come se lo stesse
scandagliando alla ricerca di un piccolo indizio. “Hai fatto pace con Daiki-kun?”
“Eh? Ma come diavolo hai fatto a…” Kise si portò subito le mani alla bocca per zittirsi, ma
ormai era troppo tardi.
Kaori alzò le braccia in segno di esultanza. “Lo
sapevo! Lo sapevo! In questi giorni eri diventato un musone spaventoso, ma
adesso sei fin troppo raggiante!”
“Non mi stavi parlando di lavoro?”
“Chi se ne frega! Voglio, anzi no, pretendo che
adesso mi racconti tutto, per filo e per segno: come vi siete riappacificati?
Chi ha fatto la prima mossa? È stato complicato oppure…”
Kise
prese la sorella per le spalle e la spinse di peso fuori dalla porta della sua
stanza. “Ry-chan, non si trattano così le sorelle
maggiori!”
“Solo quelle troppo impiccione come te” e non appena
Kaori ebbe varcato la soglia della camera, Kise
richiuse la porta con un sonoro tonfo. “Siamo di nuovo amici. Accontentati di
questo.”
“Sicuro che siete solo amici adesso? Non mi sembra
che tu abbia quella faccia lì.” Nessuna risposta giunse dall’altra parte, segno
che Kise aveva deciso di barricarsi dietro un muro di
silenzio per non tradirsi una seconda volta.
Kaori dovette accontentarsi delle sue supposizioni e
subito corse in camera sua per prendere il telefono e chiamare qualcuno. Al
quarto squillo la persona dall’altra parte rispose.
“Ciao, ho da dirti una cosa molto importante.”
Raccontò quanto aveva visto e ipotizzato, dilungandosi su quanto Kise fosse sorprendentemente felice e arzillo più che mai.
“Tu ne sai niente?... Ah, capisco… va bene, allora domani controlla tu e fammi
sapere non appena scopri qualcosa… Ok, a domani allora!”
Aomine
e Kise erano impalati davanti al cancello della
scuola come due condannati a morte che presto sarebbero stati condotti al
patibolo nella piazza pubblica. Il quarto capitolo di Master Basket, come aveva dichiarato lo stesso autore nella lettera
anonima, era stato sicuramente pubblicato quella mattina. I due ragazzi
sarebbero stati oggetto di sguardi maliziosi, risate giulive e, probabilmente,
di scherzi maligni da parte degli altri studenti maschi.
“Be’, è inutile starsene qui. Prima o poi succederà,
quindi entriamo e basta” esordì Aomine dopo svariati
minuti di teso silenzio.
“Sì, credo tu abbia ragione” disse Kise, anche se non troppo convinto.
Entrati nel cortile della scuola respirarono un’aria
ben diversa da quella che si aspettavano. Nessun chiacchiericcio concitato;
nessuna euforia; nessuna gioia…
I due si guardarono prima l’un l’altro come per
chiedersi reciprocamente conferma di quello che stava succedendo, o non stava
succedendo, poi fecero vagare lo sguardo tutto intorno. Le ragazze riunite in
gruppetti da tre, quattro o addirittura dieci reggevano il giornale e lo
fissavano come se vi avessero letto un necrologio.
Le espressioni erano contrite, allibite, da lutto. Aomine individuò Momoi da sola,
anch’ella intenta a leggere la prima pagina del giornaletto scolastico,
completamente assorta.
“Sastuki, che sta
succedendo?”
Momoi
si voltò verso l’amico e quando sollevò la testa mostrò un’espressione così
addolorata che sembrava in procinto di piangere per la disperazione. “Dai-chan… la storia… è stata…” singhiozzò.
Aomine
le strappò il giornale di mano e Kise lo affiancò per
leggere l’annuncio riportato in prima pagina.
‘La
redazione del giornale è sentitamente mortificata di dover annunciare ai propri
affezionati lettori che la storia a capitoli Master Basket non potrà essere più pubblicata, in quanto
i contenuti in essa presenti violano l’Art. 85 e l’Art.98 del regolamento
scolastico.
Pertanto,
a seguito delle restrizioni imposte dal Preside dell’istituto, vi chiediamo di
non fare richiesta a questa redazione di proseguire ugualmente con la
pubblicazione e invitiamo l’autore della storia a non inviare più i suoi
scritti.
Cordialmente,
Yosano Naousuke
Presidente
del club di giornalismo’
“Questo non è giusto” sbottò Momoi.
“Non c’era scritto niente di male in quella storia, anzi, parlava di sentimenti
bellissimi, di amore, di amicizia, di…”
Ma Aomine e Kise già non l’ascoltavano più. Troppo increduli
dell’assurda fortuna che gli era piovuta dal cielo, lessero tre volte di
seguito l’annuncio per assicurarsi di non aver preso un abbaglio.
“Aominecchi, siamo salvi”
bisbigliò Kise per non farsi sentire da Momoi, che di certo non avrebbe apprezzato il loro
sollievo.
La loro dignità era salva e finalmente quell’incubo
era finito! Certo, non potevano negare che era stato proprio grazie a Master Basket se loro due si erano messi
insieme, ma ciò non toglieva il fatto che la loro vita intima sarebbe stata
letta da chiunque portando non poco disagio e imbarazzo.
“Scommetto che ora ne sarete contenti, vero? Era
quello che volevate…”
Aomine
non aveva la minima intenzione di farsi rovinare il buon umore dalla scenata
isterica di Momoi in piena astinenza da yaoi. “Vieni, Kise, qui tira una
brutta aria!”
“DAI-CHAN! Non mi trattare così e non mi ignorare!”
Ma Aomine e Kise erano già lontani e parlottavano tra loro, in
particolare Kise sembrava rinato e pieno di
entusiasmo.
Momoi
li osservò finché non sparirono oltre l’edificio. Prese subito il cellulare
dalla cartella e digitò un sms con su scritto: ‘Avevi ragione’. Con un sorriso
furbo e trionfante inviò il messaggio. Un paio di minuti dopo il cellulare
trillò e Momoi lesse la risposta: ‘Che ti avevo detto
ieri?’.
Entrati nell’edificio, i due si
sentirono chiamare da una voce ferma e autoritaria. Videro Akashi avvicinarsi
ed ebbero il forte sentore che stesse per rimproverarli di qualcosa.
“Cercavo proprio voi due. Immagino che avete saputo
della sospensione della storia sul giornaletto scolastico.”
“Sì, appena pochi minuti fa” rispose Kise.
“Bene. Vi informo che sono stato io a fare la
segnalazione al Preside in persona, visto che la storia violava in modo
abbastanza esplicito alcuni articoli del regolamento scolastico. Mi sono anche
premurato di fargli notare che alcuni professori sono troppo negligenti nel loro
lavoro e che dovrebbero prestare maggiore attenzione durante le attività dei
vari club.”
Aomine
e Kise si guardarono. Entrambi si sentirono degli
idioti per non aver pensato subito di richiedere l’intervento di qualche
professore. Era anche vero, però, che per loro il regolamento scolastico, e
quindi ciò che è consentito e ciò che non lo è all’interno della scuola, era un
documento misterioso e ignoto. Avevano peccato di ingenuità, pensando che se la
storia veniva pubblicata allora non violava alcuna regola.
“Grazie, Akashicchi! Ci
hai salvato!”
“Ma io non l’ho fatto per voi.”
L’allegria di Kise si
spense all’istante, mentre Aomine si irrigidì tutto.
“Eravate un po’ troppo presi da questa storia e il
vostro rendimento durante gli allenamenti era drasticamente calato. Eravate
distratti e persino goffi. Per non parlare del fatto che avete saltato una
partita.”
“È successo solo una volta ed era solo una partita
di allenamento” intervenne Aomine che proprio non
sentiva di meritarsi una ramanzina.
“Ad ogni modo, ora che siete liberi da questi
stupidi pensieri vi voglio più concentrati che mai. Vi ricordo che presto
inizierà il campionato e non ci tengo a perdere due dei nostri migliori
titolari per colpa di qualcosa di così futile. Ci vediamo dopo le lezioni, in
palestra, per l’allenamento.”
Kise
e Aomine rimasero fermi ancora qualche secondo quando
Akashi fu andato via. Alle volte, quel ragazzo diventava davvero spaventoso.
Durante la pausa pranzo, Aomine aveva preferito andare sul tetto per starsene un po’
tranquillo, ma il suo neofidanzato non era dello stesso avviso. Così si
ritrovarono entrambi a consumare il loro bento sulla
terrazza in cima alla scuola.
“Ora che la storia non sarà più pubblicata, non
sapremo mai chi è l’autore misterioso” rifletté Kise.
“Non me ne importa più niente, ormai. Sono solo
felice che questa storia sia finita.”
“Non dire così. Anche tu eri curioso, in fondo.” Kise poggiò a terra il proprio contenitore vuoto e appoggiò
la testa sulla spalla del compagno, strofinando il naso contro il suo collo
inebriandosi del suo profumo.
“Piantala! Se venisse qualcuno…”
“Ma lo hai detto tu stesso che qui sopra non ci
viene mai nessuno.” Kise non sembrava intenzionato a
staccarsi dall’altro.
Aomine,
che ben conosceva la sua insistenza, si rassegnò ad accettare passivamente le
sue coccole. Coccole che ben presto cominciarono a diventare troppo calorose. Kise lo baciò sul collo, a piccoli tocchi. Aveva capito
quanto piacevano quelle particolari attenzioni al suo Aominecchi
e insistette particolarmente sotto l’orecchio, lì dove lo sentì rabbrividire di
più. Istintivamente gli portò una mano al cavallo dei pantaloni.
Aomine
gliel’afferrò con gesto fulmineo, allontanandolo da sé. “Stai esagerando,
adesso.”
Per tutta risposta Kise
gli sorrise malizioso, baciandolo poi sulle labbra senza preavviso. Per Aomine era accaduto tutto nell’arco di pochi giorni, ma Kise erano mesi che lo sognava, desiderava e ora che
finalmente aveva ciò che gli spettava non intendeva perdere altro tempo. “Solo
cinque minuti…” gli sussurrò voluttuoso.
Le promesse non dette che gli occhi di Kise gli trasmettevano bastarono a far sciogliere la presa
di Aomine, lasciando al compagno campo libero.
La mano birichina del modello si insinuò sotto i
pantaloni, dentro i boxer, con un’agilità felina e Kise
fu più che lieto di constatare che i suoi baci avevano già sortito un certo
effetto. Continuarono a baciarsi, mentre il respiro di Aomine
si faceva sempre più pesante. Doveva ricambiare come aveva fatto sotto la
doccia il giorno prima o poteva starsene comodamente seduto a farsi toccare? Kise non gli chiese nulla e lui lo lasciò fare.
“Aominecchi, c’è una cosa
che vorrei fare, ma se non vuoi fa niente.”
Aomine
sbarrò gli occhi. Il tetto della scuola, durante l’ora di pranzo, non gli
sembrava né il luogo né il momento adatto per fare delle proposte indecenti.
Non che non avesse voglia di Kise, ma una camera, con
un bel letto, senza genitori tra i piedi, sarebbe stata molto più rilassante.
“Che cosa?”
Kise
si avvicinò al suo orecchio e gli bisbigliò il proibito desiderio.
Improvvisamente, Aomine sentì i boxer farsi ancora
più stretti. Davvero non si aspettava tanta audacia da parte di Kise già il loro secondo giorno insieme. Non che la cosa
gli dispiacesse, tutt’altro…
Kise
capì subito che Aomine non gli avrebbe mai dato il
suo consenso apertamente, così decise di passare all’azione senza troppi
preamboli. Mancavano solo dieci minuti alla fine della pausa pranzo. Lo baciò a
piena bocca, facendo guizzare la lingua per creare la giusta ‘atmosfera’,
mentre con la mano passò ad aprirgli di più i pantaloni. Non riuscì a fare a
meno di sorridere quando sentì l’inconfondibile gonfiore dentro i boxer
giungere al suo massimo. Abbassò la biancheria quel tanto che bastava a
scoprire la sua zona più intima e subito calò la testa tra le sue gambe. Era un
desiderio su cui aveva fantasticato numerose volte nei mesi passati. Certo, nei
suoi sogni Aomine gli restituiva il favore con gioia,
ma confidava che presto sarebbe stato pronto per farlo.
Intanto, si godeva i suoi gemiti rochi e silenziosi.
Sentì la mano del fidanzato carezzargli la testa che andava su e giù, persino,
soffermandosi in particolar modo sulla nuca. Strinse le labbra appena un po’ di
più e le dita gli artigliarono i capelli così forte che per poco non gliene
strappavano qualcuno. Continuò a dargli piacere con la bocca ancora qualche
minuto, fino a che non si accorse che Aomine era già
arrivato al suo limite. Sollevò la testa e completò il lavoro con la mano. Non
gli sfuggì il mugugno di dissenso di Aomine per quel
cambio di modalità, ma Kise lo ignorò.
“Sai, Aominecchi…”
“Cosa?” Aomine aveva una
voce stanca e beata, come se gli stesse parlando da un angolo remoto della
coscienza. Era la prima volta che provava una cosa del genere e già meditava di
chiederlo al suo ragazzo un’altra volta, dopo l’allenamento, sotto la doccia.
“Dovresti allenarti un po’ sulla resistenza.”
“Senti chi parla.”
“Ti ricordo che ieri fosti tu ad arrivare per
primo.”
“Sì, di un paio di secondi e neanche.”
“Allora vorrà dire che considererò la tua scarsa
resistenza come un complimento alla mia bravura.”
“Potresti fare di meglio.” Aomine
si risistemò i pantaloni e proprio in quel momento la campanella che segnava la
fine della pausa pranzo suonò.
“E tu che ne sai di cosa sia meglio?” domandò un
indispettito, nonché allarmato, Kise.
Aomine
raccolse il contenitore vuoto del suo bento e si
avviò verso le scale. “Mai fatto un giro su qualche sito porno?” e scomparve
oltre la porta che dava accesso al terrazzo.
“Pervertito!”
Nella palestra non era ancora giunto
nessuno per l’inizio degli allenamenti. Momoi si
sedette alla panca a bordo campo e ritornò a leggere l’annuncio sul giornaletto
scolastico che tanto l’addolorava.
“Momoi-san.”
La ragazza sussultò visibilmente di paura nel
sentirsi chiamare così all’improvviso. Si voltò e vide alla sua destra l’unico
ragazzo capace di fare una cosa del genere: Kuroko.
“Tetsu-kun, scusami non ti
avevo sentito entrare.”
“Veramente ero già qui quando sei arrivata tu.”
“Ah, sul serio?” Momoi non
era poi così sicura, ma preferì non approfondire la questione per non urtare i
sentimenti del ragazzo. In fondo come poteva risultare credibile quando diceva
che gli piaceva tanto se poi neanche notava la sua presenza?
“Momoi-san, volevo dirti
una cosa molto importante.”
“Sarebbe?”
Kuroko
si profuse in un profondo inchino e Momoi si turbò
non poco davanti a quel comportamento. “Io ti devo le mie più profonde scuse,
perché so che sei tu l’autrice di Master
Basket, ma ho sempre fatto finta di niente.”
Momoi
restò pietrificata per alcuni istanti prima di realizzare quanto Kuroko le avesse detto. Lui sapeva. Era convinta che
nessuno, eccetto Kaori Kise, sapesse che dietro Master Basket si nascondesse il suo
estro creativo. In fondo, era stata proprio un’idea della sorella di Kise. Si erano incontrate un giorno per caso. Gli
allenamenti pomeridiani non erano ancora iniziati e quella ragazza dai lunghi
capelli biondi chiese a Momoi se sapesse dove poteva
trovare Kise, dato che si era dimenticato il pranzo a
casa e non voleva certo che il suo fratellino modello svenisse per la fame.
Strinsero amicizia da subito. Kaori era un vulcano
di parole, senza alcuna vergogna nel dire quello che pensava, tanto che arrivò
persino a parlare apertamente della mostruosa cotta che suo fratello si era
preso per Aomine.
In quel momento, Momoi
ebbe la conferma che ciò che pure lei sospettava da tempo avesse del
fondamento. Da parte sua aveva notato che Aomine
aveva sviluppato un insolito interesse per Kise,
molto diverso da quello per Kuroko. Con il suo
adorato Tetsu-kun si era creata un’amicizia ben
consolidata, in cui i loro due caratteri così diversi si incastravano alla
perfezione, ma con Kise era tutta un’altra storia.
Conosceva molto bene Aomine da poter dire che i tipi
chiacchierini e insistenti come Kise gli davano sui
nervi, eppure anziché mandarlo al diavolo finiva persino per assecondare le sue
piagnucolose richieste di giocare insieme da soli. Altra cosa strana, visto che
Aomine non amava perdere tempo con i novellini.
Tutte teorie e congetture che fino a quel momento Momoi aveva tenuto rigorosamente per sé, ma con Kaori
sentiva che poteva confidarsi. Inutile dire che quando raccontò tutto, la
ragazza sembrò esplodere di gioia nell’udire che forse il suo fratellino aveva
qualche possibilità di conquistare il ragazzo dei suoi sogni.
Le idee per ‘aiutarli’ a scoprire i loro reciproci
sentimenti iniziarono a fioccare, fino a raggiungere il culmine con il diario
segreto e la storia da pubblicare sul giornale scolastico. Dopotutto, non era
stato un caso che Kaori avesse sistemato il diario sotto il letto del fratello
poco prima che Aomine andasse a suonare alla loro
porta, così come non era stato un caso che lei avesse spinto Ryota a parlare apertamente con lui.
Momoi
era certa che nessuno mai lo avrebbe potuto scoprire e invece ecco che Kuroko l’aveva smascherata.
“Da quando lo sai?”
“Ho sospettato qualcosa già dal primo capitolo, ma
la certezza l’ho avuta solo dopo aver letto il secondo.”
“Ma come hai fatto?”
“Di solito un autore prende sempre spunto dalla
realtà che lo circonda per trovare l’ispirazione. Quindi ho pensato che a
scrivere Master Basket dovesse essere
una persona molto vicina ad Aomine-kun e Kise-kun. Considerata la natura della storia, poi, era
ovvio che fosse una ragazza, quindi i sospetti si erano ristretti a te e alle altre
ragazze che danno una mano nel club. Infine, ho notato che Aimine
aveva parecchie cose in comune con l’Aomine vero e
quindi ho ritenuto che solo una persona che lo conosceva bene avrebbe potuto
sapere determinati aspetti del suo carattere. E l’unica persona a cui mi hanno
portato tutti questi indizi sei tu, Momoi-san.
Inoltre ho notato come li guardi quando stanno insieme.”
“In che modo li guardo?”
“Molto contenta.”
“Oh, non me ne ero mai accorta.” Kuroko
le aveva spiegato tutto in modo semplice, quasi scontato. “E pensare che
nemmeno i diretti interessati hanno mai sospettato nulla.”
“Aomine-kun e Kise-kun non capiscono nemmeno loro stessi.”
Mai affermazione era stata più vera e Momoi rise di gusto a quella battuta.
“Quindi, quando mi hai fatto quel discorso sulla
terapia d’urto, in realtà mi stavi convincendo a far leggere il quarto capitolo
a Dai-chan e Ki-chan?”
“Sì, per questo mi devi scusare se non sono stato
sincero, ma temevo che la cosa potesse imbarazzarti.”
Ancora una volta Momoi si
ritrovò estasiata dall’intelligenza di Kuroko, dal
suo spirito di osservazione e dal suo profondo rispetto per i sentimenti
altrui. Aveva tutte le caratteristiche che cercava in un ragazzo e quello era
davvero il momento perfetto per dire qualcosa di romantico, in pieno stile
romanzo d’amore. Chissà se anche per lei ci sarebbe stato un bel finale come
era accaduto per Aomine e Kise.
“Oh, Tetsu-kun, sei così
acuto e sensibile! Nessun ragazzo riesce a capirmi come te…”
Il suono metallico di un pallone che rimbalzava sul
ferro del canestro le troncò la frase a metà.
“Hai detto qualcosa, Momoi-san?
Stavo tentando qualche tiro.”
Più sconfortata che mai, Momoi
dovette scontrarsi con la dolorosa verità: la vita reale non è come una fanfiction.
Note dell’autrice
E sono riuscita a concludere anche
questa! Caspita ci ho messo la bellezza di un anno e mezzo per farlo >.<
Vergogna su di me! Però, considerato che stavo quasi per mollarla alla fine
posso ritenermi più che soddisfatta!
Vorrei davvero ringraziare tutti
coloro che l’hanno seguita e soprattutto chi l’ha recensita (anche se molti
sembra che abbiano abbandonato il fandom *sob) dandomi così la forza di continuare a scriverla!
Ben 138 lettori tra
preferiti/seguiti/ricordati *w* Cioè, wow, neanche pensavo che in questo fandom gironzolassero tante persone! Sono sicura che molte
di queste non aprono più la pagina di Kuroko no
basket da parecchio tempo, ma per chi c’è ancora sarei molto felice se volesse
farmi sapere la sua opinione sulla storia ora che è conclusa. Sì, lo so che
molti di voi pensano ‘se ho letto 16 capitoli è perché mi piace, che altro c’è
da dire?’, però io di qua non lo so chi ha letto tutti i capitoli e chi no ^^
Grazie in anticipo a chi lo farà e un enorme GRAZIE a chi lo ha già fatto nei
capitoli precedenti! Alla prossima storia… chissà :3
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