Un giorno a Lazulis

di Le notti con Salem
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In buona compagnia ***
Capitolo 2: *** Al mercato ***
Capitolo 3: *** L'indovina ***
Capitolo 4: *** La visione ***



Capitolo 1
*** In buona compagnia ***



In buona compagnia

Dagran si era svegliato prima del sorgere del sole e aveva lasciato la Taverna facendo meno rumore possibile. Solo il taverniere Kentis e quell'indovina che sostava sempre di fronte alla Taverna lo avevano notato. Aveva girovagato per ore per l'isola, rimuginando sugli ultimi avvenimenti, prima di fermarsi su quella scogliera. Era un posto isolato e tranquillo, l'ideale per starsene da solo; cosa di cui aveva un gran bisogno in quel periodo. Stette per un po' seduto a fissare l'orizzonte perso nei suoi pensieri, agitati come le onde sotto di lui, senza trovare però il conforto che cercava.
Stufo delle proprie elucubrazioni, incrociò le mani dietro la testa e si lasciò cadere all'indietro sul prato, accanto alle sue due spade, le gambe penzoloni dallo sperone. A quel punto svuotare la mente sembrava la scelta più giusta da fare.
In quel momento notò nell'aria quella strana polvere, simile a frammenti secchi di petali. Ormai arrivava ovunque. Dagran la fissò, all'erta. Ma prima che si posasse sul prato il vento la sospinse oltre lo strapiombo, verso il mare aperto.
Possibile che questa polvere sia davvero il segno che il nostro mondo sta morendo?
 Ma dove ne appariva di più, lo sapeva, la gente tendeva ad ammalarsi, ad avvizzire. E chi sopravviveva non era poi così fortunato.
Anche lui in realtà ne era avvelenato da tempo, tuttavia le cure che Mirania prestava al gruppo durante le battaglie avevano rallentato il corso della malattia, permettendogli di nascondere la cosa a tutti, perfino alla maga.
Forse a lungo andare avrebbe potuto guarirlo del tutto...
Dagran chiuse gli occhi e scacciò la polvere dalla propria mente, la soffiò via come il vento poco prima e per un po' rimase solo insieme al grido dei gabbiani.
Rimase lì a sonnecchiare finché i raggi del sole non fecero capolino dalle rocce sovrastanti e i morsi della fame gli ricordarono che era quasi mezzogiorno.
Era rimasto per più tempo del previsto, senza contare che dormire da soli in un luogo così esposto e lontano da ogni possibile aiuto era un azzardo.
Si tirò su e dopo essersi spolverato la corta cotta di maglia e le braccia, si dette un'ultima occhiata intorno. Prese in considerazione l'idea di accontentarsi di qualche frutto selvatico e rimanere lì a godersi la tranquillità di quell'anfratto ancora un po'; la fame però era troppa: ci voleva della carne, e lì non ce n'era. Si passò una mano fra i capelli scuri. Tanto valeva tornare alla Taverna.
Raccolse le spade, le fissò alla cintura coprendole con la mantella attorno alla vita e si avviò verso la spaccatura nella parete di roccia alle sue spalle. Si destreggiò tra gli spuntoni del passaggio per una decina di minuti, con la poca luce che arrivava dalle fessure sopra la sua testa a illuminargli la strada, prima di arrivare alla galleria principale che dava accesso alla Torre degli Astronomi. Girandosi verso destra, diede le spalle alle rovine illuminate dal sole appena oltre l'uscita e si preparò a proseguire verso la città quando una giovane voce femminile alle sue spalle lo chiamò.
«Dagran, sei tu?»
Riconoscendo la voce, si voltò. Dall'ingresso delle rovine vide avvicinarsi di corsa la chioma rossa di Ariela, seguita da Jenna, la mercante che viveva alla Taverna.
Dopo averlo raggiunto, la ragazza dovette alzare la testa per incrociare il suo sguardo e gli rivolse un sorriso mentre riprendeva fiato.
«Non pensavo di trovarti da queste parti. Da dove sei sbucato? Quando siamo passate prima, non c'era nessuno.»
«Sono arrivato poco fa per dare un'occhiata alla Torre...» improvvisò «...ma non mi ero reso conto dell'ora e quindi stavo tornando alla Taverna. Piuttosto, voi due come mai siete qui? Può essere pericoloso andare in giro da sole.»
«Oh, di questo non devi preoccuparti» replicò tranquilla Jenna battendosi una mano sul fianco.
Solo in quel momento Dagran notò che, oltre a una borsa di tela mezza vuota, la donna portava appese alla cintura dei pantaloni anche una spada e una piccola balestra.
«Le armi non so solo venderle» aggiunse lei con un sorrisetto.
«Avevo voglia di guardare un po' il mare e ho chiesto a Jenna di accompagnarmi» cominciò a spiegare Ariela. «Sai, al porto e all'ingresso della città c'è sempre un gran viavai e io volevo stare un po' tranquilla. Stavamo tornando anche noi ormai. Ti va di fare la strada insieme?»
Accettò volentieri. Di Jenna non sapeva molto, ma Ariela alla Taverna si era sempre dimostrata una compagnia piacevole e ora che la vedeva al di fuori delle mura di casa sua sembrava quasi più allegra del solito.
«Come mai tutta questa voglia di vedere il mare?» le chiese dopo un po' che camminavano, in parte per curiosità e in parte nella speranza che le chiacchiere bastassero a coprire le proteste sempre più insistenti del suo stomaco.
«Beh...» cominciò Ariela «Hai presente il muro alla Taverna con le monete straniere attaccate sopra? Ogni volta che lo guardo, mi fa venire voglia di viaggiare e guardare il mare mi fa sentire come se potessi raggiungere qualunque posto.»
«È un bel pensiero» commentò lui mentre Jenna tirava fuori dalla borsa un paio di mele e gliene offriva una «Magari un giorno non ti limiterai a guardarlo, ma lo solcherai e visiterai terre esotiche, non si sa mai. Guarda me: da bambino volevo diventare Cavaliere ed è per questo che appena ho potuto ho fondato un gruppo di mercenari con Zael. Abbiamo lavorato sodo e dopo tanti sforzi il sogno è quasi realizzato» concluse dando un morso deciso al frutto che aveva in mano. Per quanto piccola, quella mela gli portò comunque un gran sollievo.
«Già. Ho sentito del tuo amico» iniziò Jenna «Ora che lui ha passato l'esame per diventare Apprendista Cavaliere, lo sosterrai anche tu, vero?» 
Vedendolo annuire, la donna continuò soddisfatta: «Fa piacere vedere che qualcuno alla fine realizza i propri sogni d'infanzia. Suppongo che da bambino immaginassi di combattere per la giustizia o cose simili con un'armatura scintillante.»
«Sì, qualcosa del genere...»
All'inizio era così, ma dopo la distruzione del suo villaggio e la morte della sua famiglia aveva deciso di farlo per vendetta. Era stata proprio una fortunata coincidenza il fatto che il Generale Asthar avesse preso Zael in simpatia.
Così tutto era più semplice: poco tempo ancora e avrebbe finalmente tolto la vita all'uomo che aveva distrutto la sua. 
Ma quello sarebbe stato solo il primo passo verso il suo vero obbiettivo, e anche se lo faceva soffrire, era necessario che Zael non sapesse niente dei suoi piani; era troppo idealista per perseguire la vendetta insieme a lui.
Curioso, come due bambini rimasti orfani per motivi simili e cresciuti insieme siano diventati due uomini con punti di vista così diversi...
Dopo qualche attimo di silenzio si accorse che Ariela e Jenna lo fissavano, in attesa di qualche dettaglio in più.
«Beh» continuò indicando la cotta che indossava «questa roba non è certo l'armatura che immaginavo da bambino, ma come mercenario non potevo permettermi di più. E farsi pagare dal primo che passa per fare qualunque cosa non lo definirei “combattere per la giustizia”.»
Ariela gli ricordò che, in fondo, dal loro arrivo a Lazulis non avevano fatto altro che aiutare persone bisognose, lei compresa, senza chiedere niente in cambio e che quello doveva pur valer qualcosa.
Jenna invece lo squadrò con un'intensità tale da farlo sentire a disagio.
«In effetti quella cotta ha l'aria un po' vecchiotta, e mi sembra anche troppo sottile» A quanto pareva era più interessata ai loro mezzi che ai loro scopi «Non è certo roba che venderei, ma immagino che a qualcosa sia servita, visto che sei ancora qui a parlarne.»
«Chissà quante ne hai viste!» replicò Ariela entusiasta «Dai, raccontaci qualche  avventura che hai vissuto con i tuoi compagni!»
Dagran si grattò la testa cercando di prendere tempo «Ehm, francamente  Ariela, non mi piace molto parlare del nostro lavoro. Per la maggior parte non sono ricordi piacevoli.»
La ragazza sembrò delusa, ma dopo qualche secondo ripartì all'attacco.
«Magari potresti parlaci di quel che avete fatto qui su Lazulis. Qui le cose vi sono andate bene: ho già sentito alcune voci alla Taverna, ma tu potresti darci tutti i dettagli. L'avrei chiesto anche agli altri, ma non volevo disturbare troppo...»
E adesso che lui era solo con lei e Jenna, era a sua totale disposizione.
«E va bene. Cosa vuoi sapere?» sospirò Dagran.
Ariela non se lo fece ripetere due volte «Vediamo... magari qualcosa in più di quella volta che avete preso la medicina per mio fratello al covo di quei banditi... no, forse invece di quando avete salvato quella bambina - come si chiamava, Alice? - alla Lucertola di Fuoco... Ah, ci sono!» esclamò soddisfatta alla fine.
«Raccontaci di come avete salvato mia sorella Meredith. È successo non molto tempo fa quindi dovrebbe andar bene, no? Horace era troppo agitato per raccontarmi tutto...»
«Horace? L'occhialuto che ha il negozio vicino alla Taverna?»
A quanto pareva Jenna non ne sapeva niente, mentre Horace aveva la lingua più lunga di quanto immaginasse, ma Dagran in fondo se l'aspettava: quella volta, mentre li ringraziava per l'aiuto, si era lasciato sfuggire dei dettagli molto privati su ciò che avevano fatto lui e Meredith una volta tornati a casa.
«Non sapevo che fosse tua sorella. Comunque sì,» le confermò «Meredith era sparita e Horace si era convinto che l'avessero presa gli “abitanti” della villa abbandonata nella zona nord della città. Aveva ragione alla fine.»
«Ma dai! Quindi le storie erano vere?»
«C'erano davvero fantasmi e morti viventi come si dice?» si intromise Ariela.
«Sì, e anche troppi!»
Le due si guardarono eccitate e lo incitarono a continuare.
«Purtroppo non posso dirvi molto di più. Quegli esseri sbucavano da ogni parte cercando di catturarci e...» man mano che parlava abbassò sempre di più la voce «... mi hanno preso. Per primo. Ho passato metà del tempo chiuso in una bara» concluse mesto. A quelle parole Jenna inarcò un sopracciglio mentre Ariela fece di tutto per non scoppiare a ridergli in faccia.
Tipico. In fondo anche Zael e gli altri mi sfottono sempre per questo. Se cado sempre in ogni trappola e agguato è solo per sfortuna, non lo faccio mica apposta!
«Comunque alla fine ci siamo liberati tutti e grazie alla magia di Lowell e Yurick abbiamo polverizzato quegli esseri.»
«Come mai rapivano la gente? Se la mangiavano?» domandò Ariela turbata.
«Non loro, ma quello che li comandava. Non abbiamo capito cosa fosse di preciso - credo fosse una specie di vampiro o roba simile - comunque si nutriva di energia vitale. Da quel che abbiamo scoperto leggendo dei diari trovati là dentro, l'aveva evocato il nobile che abitava in quella villa per aumentare il suo potere, ma richiedeva continui sacrifici umani e alla fine ne è stato sopraffatto.»
«Inquietante. Ma voi l'avete sconfitto, giusto?»
«Già. In fondo non era niente che non fossimo in grado di affrontare» Dagran non poté fare a meno di dirlo con un pizzico di orgoglio. La cosa non sfuggì a Jenna, che decise di rimetterlo in riga.
«Ma sentilo! Non hai detto che hai passato metà del tempo in una bara? Dovete per forza aver usato qualche trucco bislacco per sconfiggerlo.»
«Ehm, Zael ha detto che il figlio del nobile gli ha dato le armi giuste, ma lì c'eravamo solo noi quattro, Horace e Meredith. Inoltre non ho notato niente di diverso nelle sue armi.»
«Quindi vi avrebbe aiutato un fantasma?»
Dagran annuì.
«Roba da far venire i brividi!» commentò Ariela «Come se non bastassero già i Reptid e i Gurak a causare problemi. In qualunque caso, finché ci sono in giro anche persone come voi, mi sento più serena. Se mi rapiscono venite a salvarmi, mi raccomando!» concluse mettendo una mano sulla spalla di Dagran.
Lui le sorrise, sperando che la sua faccia esprimesse di più l'imbarazzo per il complimento ricevuto piuttosto che la vergogna per la fiducia immeritata. Sapere che in pratica per mettere in atto la sua vendetta era stato lui a condurre i Gurak sull'isola, l'avrebbe fatta sentire tutto fuorché serena.
Per fortuna quando rivolse il suo sguardo di nuovo in avanti si rese conto che avevano ormai raggiunto la grande e trafficata via d'accesso di Lazulis.
Ariela si allontanò dalle pareti rocciose che sovrastavano il lato occidentale della strada e si affiancò alla staccionata che dava sullo strapiombo sul mare: nonostante la loro fretta, voleva rimanere un attimo lì a scrutare l'orizzonte.
Jenna le si avvicinò e le due ripresero a parlare, ma Dagran non prestava più attenzione. Guardandosi intorno aveva notato che diverse persone in mezzo a quel viavai gli lanciavano delle occhiate, come se lo conoscessero, per poi rivolgergli dei cenni di saluto a cui rispondeva educatamente. Alcune erano in gruppo e dopo esser riuscite ad ottenere un gesto di risposta iniziavano a confabulare eccitate tra loro, come se avessero appena incontrato chissà quale celebrità. Altre ancora, anche se in numero minore, fingevano di non averlo visto o si voltavano sdegnate. Dovette fare un notevole sforzo di autocontrollo affinché la sua faccia non mostrasse il disprezzo che provava per tutta quella gente.
Ipocriti.
Grazie alle imprese ufficiali di Zael, ora lui e il resto del gruppo erano tenuti in maggiore considerazione, ma al loro arrivo a Lazulis che accoglienza hanno ricevuto? Scansati come appestati, quasi colpevoli del semplice fatto di esistere. E pensare che appena arrivati, qualche mese prima, giusto in fondo a uno degli sbocchi di quella stessa strada, avevano salvato dei bambini dall'attacco di quella strana tigre bianca: tutti lodi e ringraziamenti, almeno fino a quando non scoprirono che i loro “eroi” erano dei mercenari... bella gratitudine!
«Andiamo?»
Ariela e Jenna lo stavano aspettando per avviarsi verso i cancelli della città.
Due delle poche persone che non si erano fermate alle apparenze e li avevano trattati con rispetto. Certo, visti i loro mestieri era abbastanza normale che trattassero così dei potenziali clienti, tuttavia, col passare del tempo e ricordando esperienze passate, si erano resi conto che  l'atteggiamento che avevano nei loro confronti era sincero.
Momenti come quello non facevano altro che sottolinearlo.
«Va bene» rispose con gentilezza e assieme alle due donne superò i cancelli e proseguì lungo la salita che conduceva alla città di Lazulis.

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Capitolo 2
*** Al mercato ***



Al mercato

La piazza d'ingresso era gremita come sempre, nonostante fosse ora di pranzo. Dagran e le sue due compagne dovettero faticare parecchio per riuscire a superare la folla senza intoppi. Una volta sfuggiti a quel caos, fecero per dirigersi verso la Taverna, al centro di Lazulis, quando Ariela si fermò di botto.
«Aspettate, prima devo fare un salto al mercato. Ho promesso a Mina di andare a trovarla, e poi devo anche rifare scorta di cibo: ieri Mirania ha mangiato quasi tutto quello che avevamo.»
«Come ti capisco...» replicò Dagran pensando al proprio portafogli quasi vuoto a causa dei mastodontici “spuntini” che aveva offerto alla sua amica mercenaria.
«Se vuoi tornare subito alla Taverna vai pure, non ti voglio obbligare a venire.»
«E lasciarvi da sole a portare tutto quel peso? Figuriamoci! Che razza di Aspirante Cavaliere sarei?»
«D'accordo allora» rispose Ariela con una risata. Presero una delle vie laterali e si inoltrarono nel labirinto di stradine di Lazulis, verso la loro meta. Le case, addossate una all'altra, lasciavano poco spazio per muoversi, costringendoli perfino a procedere in fila in alcuni punti. I loro passi riecheggiavano solitari per le strade lastricate. Pochi altri, intabarrati nel tentativo di non respirare quella dannata “polvere” che aleggiava ormai ovunque, attraversavano quelle vie anguste. A furia di fare continue svolte, Dagran aveva quasi perso il senso dell'orientamento, quando finalmente arrivarono all'ampia strada in cui si teneva il mercato principale.
Entrambi i lati della via erano occupati per intero da bancarelle e tendoni e da ogni direzione venivano i richiami dei mercanti che esaltavano la qualità della loro merce. Ariela si allontanò alla ricerca della sua amica, mentre Dagran e Jenna si guardavano intorno.
«Chissà quanto paga questa gente per mettere qui il suo banco... magari potrei venire anch'io a vendere le mie armi, qualche volta. La Taverna è comoda, senza dubbio, ma qui all'aperto passa più gente» fece la donna.
«Se ti metti d'accordo con qualcuno, puoi condividere uno spazio in cambio di una piccola percentuale.»
«Sembri informato. Per caso sei venuto qui a vendere qualcosa?»
«Non io, ma Zael. Quando siamo arrivati ha fatto un favore a uno dei mercanti là in fondo e quello gli ha permesso di usare parte del suo spazio.»
Jenna fischiò impressionata.
«Vi siete dati da fare fin da subito! Ha fatto buoni guadagni il tuo amico?»
«Abbastanza. Avevamo un po' di roba inutile da parte e ce ne siamo sbarazzati guadagnandoci qualcosa. In realtà ne abbiamo ancora, se t'interessa...»
«Certo che sì!» rispose lei «Uno di questi giorni tu e i tuoi amici passate da me e vedremo che si può fare.»
«Allora siamo d'acc...»
Un grido seguito da un tonfo fecero voltare i due.
Accanto al banco di un fruttivendolo, una ragazza bionda era seduta a terra. Con una mano si massaggiava la schiena mentre con l'altra teneva in grembo una scodella di legno vuota. Sparse tutt'attorno molte arance rotolavano per il lastricato. A giudicare dall'abito semplice e dal grembiule doveva essere lei a occuparsi del banco.
«Mina!» Ariela era tornata da loro e aveva riconosciuto la ragazza. «Ti sei fatta male?»  
«Ahia... niente di grave. Mi hanno sparso di nuovo le biglie vicino al bancone» le rispose infelice. A quel punto Dagran si avvicinò tendendole la mano.
«Aspetta, che ti aiuto...»
«Dagran, attento!» lo avvertì troppo tardi Jenna.
La mercante fece appena in tempo a concludere la frase che Dagran era già faccia a terra poco distante da Mina.
La maggior parte dei passanti era troppo impegnata nel fare acquisti per prestare attenzione alla scena, ma lui fu certo di averne sentiti almeno un paio sghignazzare alle sue spalle.
«Sembra che le biglie questa volta abbiano fatto due vittime anziché una. Tutto bene?» gli chiese Jenna chinandosi su di lui, mentre Ariela raccoglieva quei giocattoli malefici.
Grugnì una risposta affermativa ma poco convinta mentre si metteva in ginocchio. Era caduto su alcune arance e oltre alle fitte per la caduta, adesso aveva la cotta sporca di pezzi di frutta e la pelle umida di succo appiccicoso.
«Mi dispiace!» fece Mina, che nel frattempo si era rimessa in piedi e provò a raggiungerlo.
Purtroppo alcune biglie fuggitive minarono di nuovo i suoi passi e mulinando le braccia nel tentativo di mantenere l'equilibrio, la ragazza lo colpì forte alla fronte con la scodella che teneva ancora in mano. Per qualche secondo Dagran non vide altro che scintille. Mina era sempre più agitata e continuava a scusarsi.
«Non preoccuparti» cercava di rincuorarla massaggiandosi la fronte «Se bastasse così poco a mandarmi al tappeto, come mercenario non sarei durato un giorno.»
«Sono mortificata. Vorrei poter fare qualcosa per rimediare...»
«Un panno per asciugarmi andrà benissimo.»
Dagran era di nuovo in piedi e aveva iniziato a togliersi di dosso i pezzi d'arancia. Almeno i pantaloni di cuoio e la mantella si erano salvati.
«Oh, la cotta sarà tutta appiccicaticcia! Guardi, posso darle un ricambio: casa mia è giusto una porta più in là» fece Mina indicando la viuzza alle sue spalle.
«Dai, non è necessario. Questa si è sporcata con roba ben peggiore...» 
«Ma adesso lavori per il Conte, no?» si intromise Ariela «Andare in giro sporchi di cibo non è adatto a un simile impegno.» 
«Senza contare che ha già troppi animali alle sue dipendenze...» aggiunse sottovoce Jenna lanciando un'occhiataccia a un paio di guardie dalle lunghe giacche bianche dall'altra parte della via.
Seguendo lo sguardo della donna, Dagran notò che i due stavano importunando un panettiere. Dopo uno scambio di battute tutt'altro che amichevoli, le guardie avevano strappato dalle mani del panettiere una cesta piena di pane e dolci e se ne erano andate via ridendo senza pagare.
Strinse le labbra in un'espressione dura.
Vendicare la sua famiglia era solo l'inizio. Era giunto lì in cerca di potere sufficiente per far sì che nessun altro patisse quello che aveva passato lui e senza neanche farlo apposta Zael aveva risvegliato quel potere sepolto sull'isola: l'Ignoto. Era esattamente quello che stava cercando, tuttavia quella forza evocata dalle stelle era spezzata a metà: per portare a termine i suoi piani, doveva ottenere anche la parte mancante...
Mentre seguiva con lo sguardo le due guardie, si sentì tirare le braccia.
«Forza, su» Ariela e Jenna lo stavano trascinando verso la porta in cui era entrata Mina.
«E va bene...» fece lui, vedendo che non aveva scelta.
Il locale in cui l'avevano portato era semplice: giusto un tavolo con quattro sedie e una cassettiera. Dritto di fronte a lui, una tenda separava la cucina dal resto della stanza, mentre il lato destro era occupato quasi per intero dalle scale che portavano al piano superiore.
«Ecco.»
Mina stava scendendo le scale e invitò Dagran a raggiungerla dietro la tenda della cucina. Lì gli porse un asciugamano, una sacca di tela e una grossa maglia color crema.
«Questa è di mio fratello; non credo che gli dispiaccia se ve la presto, però mi sa che è un po' grande. Quando non vi servirà più potete tornare a farmi visita o darla ad Ariela.»
«Grazie.»
La ragazza gli rivolse un timido sorriso e poi tornò dalle altre, tirando la tenda per lasciargli un po' di riservatezza. Mentre scioglieva i lacci lungo i fianchi della cotta pensò che riguardi simili non ne aveva ricevuti quasi mai. Dopo averla tolta la ripiegò, la ripose nella sacca - l'avrebbe pulita con calma alla Taverna - e prese dell'acqua dal lavello per sciacquarsi di dosso il succo colato tra gli anelli. Dall'altra parte della tenda sentiva le ragazze parlare fra loro, ma non ci badò.
«Bel tatuaggio.» 
Con la coda dell'occhio, vide Jenna dietro di lui. Aveva scostato la tenda quel tanto che bastava da permetterle di infilarsi nella cucina e ora stava appoggiata al muro giocando con una delle sue corte ciocche castane.
«Ha un significato?» chiese continuando a guardargli il disegno alla base del collo.
«Non saprei» le rispose mentre si asciugava «Quando me lo sono fatto avevo sì e no undici anni: l'avevo scelto solo perché mi piaceva la forma delle ali.»
«Magari ha a che fare con il desiderio di libertà...»
«Può essere, ma credo che all'epoca volessi solo dimostrare che ero un duro.»
«Senza dubbio. In fondo, i bambini che possono contare solo su se stessi per vivere, sono costretti a crescere più in fretta degli altri.»
Dagran la guardò per un attimo. Le era bastato così poco per capire parte della sua storia?
«Ne so qualcosa anch'io» proseguì con un sospiro «e ho anche un tatuaggio simile al tuo, ma più in basso. Magari un giorno possiamo scambiarci qualche aneddoto sulle nostre cicatrici...»
Mentre parlava, gli si era avvicinata sempre di più, studiando la sua schiena con la stessa attenzione che lui aveva visto negli occhi di Lowell quando passavano vicino a una bella donna.
«...anche se da quel che vedo, sembra che tu non ne abbia, almeno dietro.»
«Io e Zael ci siamo sempre guardati le spalle a vicenda: a quanto pare ha fatto un buon lavoro con me.»
«Parli di lui così spesso» notò lei con un sorriso «Siete molto legati, vero?»
«È normale, siamo cresciuti insieme: in pratica siamo fratelli» le parole gli uscirono con una sfumatura più triste di quanto non volesse.
Jenna aveva visto giusto sul loro legame. Ma da quando Zael aveva conosciuto Calista, le cose erano cambiate. Il colpo di fulmine tra lui e la nipote del Conte Arganan col tempo aveva giovato parecchio ai piani di Dagran, rendendo il suo amico più incline a obbedire agli ordini del Signore di Lazulis, ma adesso la faccenda stava iniziando a complicarsi. Lei cercava in tutti i modi di liberarsi dal controllo dello zio e ciò distraeva Zael dal suo obbiettivo. In realtà Dagran condivideva le loro idee di libertà, ma assecondarle poteva distruggere tutto ciò per cui aveva lavorato. Senza contare che la loro vicinanza sempre più profonda stava iniziando a infastidirlo, rendendolo quasi geloso.
Me lo sta portando via...
«Ho detto qualcosa che non va?»
«Mmh?» Dagran si accorse che Jenna lo guardava con aria preoccupata.
«Ti sei incupito all'improvviso...»
«No, è solo che mi era venuta in mente una cosa stupida. Niente di cui preoccuparsi» la tranquillizzò.
Lei fece per dire qualcosa, ma Ariela la chiamò e poco dopo la ragazza, seguita da Mina, li raggiunse.
«Possiamo?» fece scostando un poco la tenda «Jenna, che fai lì?»  
«Stavamo giusto facendo quattro chiacchiere» rispose Dagran al posto della donna infilandosi la maglia e scostando del tutto la tenda. In effetti Mina aveva ragione sulle sue dimensioni: anche se lui era molto alto, gli arrivava comunque a metà coscia ed era talmente ampia che le spalle, per quanto le avesse larghe, quasi gli uscivano dal colletto. Suo fratello doveva essere un gigante! Guardando come la maglia gli cadeva addosso, Dagran non poté fare a meno di chiedersi come fosse possibile che qualcuno continuasse a fare scherzi a Mina con un fratello così in giro. Si tolse la mantella e la riallacciò più stretta attorno alla vita per mascherare la taglia sbagliata dell'indumento.
«Direi che così può andare. Grazie ancora, Mina.»
Prese la sacca con la cotta sporca e dopo averla assicurata alla cintura, si rivolse ad Ariela.
«Ora, non avevamo delle provviste da prendere? Ormai tuo padre starà cucinando i mobili per far mangiare i clienti.»
La ragazza lo guardò confusa, ma le bastò poco per ricordarsi l'altro motivo che l'aveva portata lì. Accompagnati da Mina, i tre uscirono dalla casa e fecero in fretta il giro dei banconi del mercato, prendendo accordi per le consegne con i venditori e portandosi dietro ciò che potevano prendere sul momento. Dagran insistette per portare da solo quasi tutto il carico; cosa di cui si pentì presto. Con una cesta grossa quasi come lui e piena di carne sulla schiena, un paio di piccole botti di birra e due enormi sacchi di ortaggi tra le braccia, arrancava a fatica lungo la strada quasi senza vedere dove stava andando. Quando arrivarono in vista del fiume che tagliava a metà la città, Ariela e Jenna lo affiancarono preoccupate.
«Sicuro di non voler lasciare a noi almeno i sacchi? Le nostre ceste sono quasi vuote...»
«Tranquille, ce la faccio» replicò ostinato col poco fiato rimasto. Le due però  notarono il suo volto paonazzo per lo sforzo e il sudore che gli grondava dalla fronte e decisero di affiancarlo e sorreggerlo quanto potevano lungo il percorso.
Dopo una breve pausa, i tre proseguirono lungo la via. Nel giro di una decina di minuti raggiunsero la grande piazza centrale della città e dopo aver fatto un cenno di saluto all'indovina ancora seduta al suo banchetto, entrarono nella Taverna.
L'ambiente era accogliente e i posti ai tavoli erano tutti occupati, inclusi quelli del soppalco da cui si accedeva alle stanze per gli ospiti, da quanto poteva vedere Dagran. Al bancone sulla destra del salone, il taverniere Kentis stava servendo quelli che sembravano gli ultimi pezzi rimasti di un arrosto quando li vide oltrepassare il portone. Alla vista di quella carne, Dagran si ricordò della fame che aveva e ringraziò che il locale fosse così pieno e rumoroso: i ruggiti che venivano dalla sua pancia potevano fare quasi concorrenza a quelli di Mirania, e questo era tutto dire! Kentis uscì da dietro il bancone facendosi largo tra i presenti con la sua enorme mole, li raggiunse e guardò con aria burbera la figlia.
«Dove diavolo ti eri cacciata? Hai visto che ore sono? Ho dovuto fare i salti mortali per servire i clienti!»
«Scusa pa'»
Kentis sbuffò e si grattò la barba bionda.
«Almeno vedo che sei passata dal mercato. Adesso va di là e cura le pentole.»
Dopo che Ariela se ne andò dietro il bancone seguita da Jenna rivolse la sua attenzione a Dagran.
«Grazie per aver dato una mano a mia figlia, Mastro Dagran.»
«Di nulla» rispose mentre il taverniere lo liberava dall'ingombro del suo bagaglio «In fondo le vostre scorte - lasci pure, questa la posso portare ancora - non sarebbero così vuote se non fosse per il mio gruppo.»
«Beh, fa piacere avere clienti che apprezzano la buona cucina.»
Kentis sorrise sotto i baffi e guidò Dagran sul retro del locale. Posate le provviste, l'omone iniziò a suddividerle e ne portò un po' in cucina.
«Ah, è passato Mastro Zael» disse strada facendo «Vi cercava per una richiesta che gli hanno fatto.» 
«Ha detto di cosa si trattava?»
«Solo che un soldato gli aveva parlato di una grotta. Gli altri però erano andati tutti all'Arena e non sono ancora tornati. Ora, se volete scusarmi, è meglio che prepari altra roba da mangiare. Volete che vi serva qualcosa subito?»
«No, credo che aspetterò il ritorno degli altri.»
«Allora vi farò trovare delle porzioni abbondanti, così sarà soddisfatta anche la vostra amica Mirania» aggiunse il taverniere con una risata.
Dagran fece un cenno di assenso, ringraziò Kentis per le informazioni e si avviò verso l'ingresso. Di fronte al portone c'era Jenna ad aspettarlo.
«Sembra proprio che oggi tu non voglia star fermo! Oh be', basta che ti ricordi di farmi una visitina: mi hai incuriosita, con la storia del mercato. E poi dovrei avere nascosto da qualche parte un gilè rinforzato che a occhio dovrebbe essere della tua taglia, se t'interessa.»
«Verrò senz'altro.»
«Un'ultima cosa...»
La donna gli si avvicinò e dopo avergli passato un braccio al collo, gli sussurrò divertita all'orecchio «La prossima volta che vai a zonzo per l'isola, portati dietro qualcosa da mangiare: si sentiva benissimo la tua fame!» e con la mano libera gli diete un debole pugno allo stomaco per sottolineare le sue parole.
«Speravo che fosse passato inosservato...» ridacchiò massaggiandosi.
Quante volte lui e gli altri avevano preso in giro Mirania per quello stesso motivo!
«Ecco perché Ariela parlava a voce così alta!»
«In parte, sì... ma per fortuna eri con due signorine ben educate e non te l'abbiamo fatto notare. Comunque per quando torni ti farò trovare una mia miscela speciale per pulire la tua cotta. Stammi bene.»
Jenna gli dette un paio di pacche sulla schiena e si allontanò verso la stanza dove Kentis le lasciava vendere le sue armi. Decisamente una donna interessante.
Con quell'ultimo pensiero in testa, Dagran aprì il portone e uscì dal locale per raggiungere i suoi compagni.

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Capitolo 3
*** L'indovina ***



L'indovina

Mentre scendeva dal portico della Taverna, Dagran lanciò un occhiata alla piazza centrale davanti alla taverna.
Occupata quasi per intero da una grande fontana, la piazza univa le due metà della città facendo da enorme ponte sul fiume che le divideva. A causa dei suoi ornamenti, non c'era mai tanta gente da quelle parti, a parte le coppiette che avevano l'abitudine di appartarsi sulle sue balconate laterali, e quel giorno non faceva eccezione. Non vedendo i suoi compagni, decise di incamminarsi verso il Ponte Arganan alla sua sinistra e raggiungere l'Arena.
«Volete sapere cosa vi riserva il futuro, nobile cavaliere?»
Si guardò intorno. A parlare era stata l'indovina, seduta  proprio dove l'aveva vista pochi minuti prima e quella stessa mattina alle prime luci dell'alba, sotto la più vicina delle quattro colonne che delimitavano la piazza. Avvolta nella sua tunica viola, il viso mezzo nascosto dal cappuccio, la donna gli faceva cenno di sedersi sullo sgabello di fronte a lei.
«Vi hanno informata male» le disse «Non sono ancora cavaliere.» 
«Ma viste le recenti imprese del vostro gruppo lo sarete presto, no? Permettetemi di mostrarvi il vostro destino...»
«No, grazie: so già come sarà senza doverci perdere del denaro.»
«Non ho intenzione di chiedervi niente in cambio» insistette la donna «Aver visto il futuro di un eroe sarà una ricompensa più che sufficiente...»
Dagran sbuffò sarcastico.
«… d'altronde, con il vostro amico avevo visto giusto. Come sempre, del resto.»
«Il mio amico?» chiese perplesso.
«Il signor Zael. Ha chiesto il mio aiuto poco dopo il vostro arrivo sull'isola. E ne è rimasto molto soddisfatto; tanto che mi ha chiesto spesso dei consigli.»
Dagran sorrise a quella frase. Era tipico di Zael lasciarsi abbindolare da simili offerte. Se non ricordava male, durante il loro primo giorno in quella città era stato derubato da una banda di mocciosi. Ma in fondo anche loro due, circa quindici anni prima, avevano iniziato in maniera simile, prima di diventare dei mercenari veri e propri. Anche se in realtà all'epoca faceva lui la maggior parte del lavoro: Zael era troppo fragile all'inizio...
Il ricordo di quei giorni gli fece venire una fitta di malinconia.
Scosse la testa. «Grazie per l'offerta, ma non sono interessato.»
Decise di proseguire senza voltarsi. La donna però sembrava altrettanto decisa a non mollarlo.
«È risaputo che la conoscenza è potere, nobile “quasi” cavaliere, e ogni informazione può essere utile, se si sa come usarla. Anche un'umile indovina come me può conoscere alcuni segreti di Lazulis, segreti che nemmeno il Conte può immaginare.»
A quelle parole si fermò a riflettere. C'erano molti creduloni in giro per il mondo e sicuramente anche Lazulis ne era piena. Sapeva inoltre che quelli che si rivolgono agli indovini spesso si ritrovano a svelare parecchie informazioni senza rendersene conto: magari poteva trarne qualche vantaggio.
«Segreti, eh?» le disse «E senza dover dare qualche genere di compenso? È difficile da credere...»
«Se non sarete soddisfatto, non ci perderete niente.»
Dagran finse di esitare un po', poi si avvicinò al tavolino di fronte a lei e si sedette sullo sgabello. Tanto i suoi compagni sarebbero tornati a momenti: Mirania non avrebbe permesso a niente e nessuno di farle saltare il pranzo.
«In fondo posso darti qualche minuto.»
«Ne ero certa. Datemi la vostra mano.»
«E quella non la usiamo?» replicò lui accennando alla sfera sul tavolo. Gli occhi dorati del proprio riflesso nella pietra, lucida come uno specchio, ricambiarono il suo sguardo. L'indovina non badò all'oggetto e dedicò la sua attenzione alla mano che Dagran le porse.
«Quella serve solo per le domande precise e per impressionare gli allocchi... Comprendo il vostro scetticismo. Ci sono molti ciarlatani in giro per il mondo, tuttavia alcuni di noi sono davvero in grado di far ciò che dicono. Siamo maghi anche noi, dopotutto.»
«Certo, certo...»
Senza badare al commento, la donna continuò a osservare la sua mano. Il suo tocco era strano, come se fosse gelido e bollente allo stesso tempo.
«Tenete molto ai vostri amici» disse dopo un po' «ma vedo che tra loro c'è una persona a cui vorreste offrire molto più della vostra amicizia.»
Era vero, tuttavia quasi tutti quelli che si rivolgevano a una indovina lo facevano per questioni d'amore: non era granché come rivelazione. 
«Non è sempre così?»
La donne sorrise «È proprio vero. Vedo anche che nonostante la forza dei vostri sentimenti, non vi siete mai dichiarato. È forse colpa della vita che fate? È perché siete mercenari?»
Era evidente che quest'ultima informazione gliel'aveva fornita Zael in uno dei loro incontri, oppure aveva assistito al loro arrivo a Lazulis. Visto che era una domanda innocua, decise di rispondere sinceramente.
«Beh, anche se adesso ci tengono più in considerazione, siamo poco più che carne da macello venduta al miglior offerente: che razza di vita potrei offrire? Ho già perso così tanti compagni, senza contare che...»
Dagran si fermò prima di scendere nel personale. Quel ricordo che stava per rievocare lo faceva star male ancora adesso.
«Capisco... L'amore che provate per questa persona, per quanto sia forte, non è in grado di soffocare la rabbia e l'odio che vi portate dentro da lungo tempo.»
Questa volta il suo scetticismo cedette il posto allo stupore «Di che stai parlando?»
«Avverto un profondo rancore in voi» rispose la donna «Qualcuno in passato vi ha fatto un grave torto, qualcosa che ha lasciato un marchio indelebile sulla vostra vita.»
Scrollò le spalle «Come ho già detto, sono un mercenario e ho perso molti dei miei...»
L'indovina lo interruppe subito «Risale a molto prima di tutto questo. Quando eravate bambino...»
Il discorso stava iniziando a prendere una piega che non gli piaceva affatto. Batte forte la mano libera sul tavolo. «Preferisco non parlarne!» sbottò.
Fino a quel momento la donna aveva parlato continuando a far scorrere le dita sulla mano destra di Dagran con una concentrazione tale che la sua reazione improvvisa la fece sobbalzare e perse la presa. Lei sembrò quasi sollevata. Attese un paio di secondi prima di riprendere a parlare.
«Vi chiedo perdono. Non era mia intenzione rievocare brutti ricordi.»
Sembrava sincera, ma la cosa a Dagran non importava. Quel riferimento a quando era bambino invece...
Solo Zael sa cos'è successo, e non gli ho nemmeno raccontato tutto. Non può averglielo detto lui. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere! Possibile che...?
…che fosse veramente in grado di predire il futuro? Che avesse visto davvero il suo passato?
Che sapesse cosa stava facendo?
Iniziava a temere che la donna avesse davvero i poteri che affermava di possedere e si sentì uno stupido ad aver accettato la sua offerta: c'era il rischio che potesse rivelare a qualcuno i suoi piani, se davvero fosse riuscita a vederli.
La sua faccia doveva rivelare piuttosto bene la sua agitazione, perché dandosi una rapida occhiata attorno notò che i pochi passanti che erano lungo la via e nella piazza gli lanciavano sguardi perplessi. Con sua sorpresa, la cosa lo aiutò a calmarsi.
La gente vedeva tante cose, anche se non se ne rendeva conto, e prendendo vari dettagli da più fonti si potevano ottenere informazioni di ogni genere. Anche a Jenna era bastato sentire pochi dettagli e unirli alla sua esperienza personale per capire che lui era rimasto orfano quando era ancora bambino.
Un pensiero lo folgorò. Lei era davanti al portone poco prima che lui uscisse: forse era stata lei stessa a riferire all'indovina quel dettaglio del suo passato.
E perché mai avrebbe dovuto farlo? No, era troppo ridicolo.
Sto diventando paranoico...
«Vi sentite bene?»
Dagran riportò la sua attenzione sull'indovina. Il suo lungo silenzio sembrava averla preoccupata.
«Ero solo sovrappensiero» le rispose massaggiandosi gli occhi.
«Se volete, possiamo lasciar perdere. Temo di avervi turbato più del dovuto.»
«No, no. Ho solo avuto una reazione un po' esagerata, tutto qui. Concludiamo» le porse di nuovo la mano «Solo... il mio passato già lo conosco: puoi limitarti a “osservare” solo il mio futuro?»
La donna sembrava esitante, come se avesse preferito che lui rinunciasse. Dopo qualche secondo, riprese la mano di Dagran tra le sue. L'espressione del suo viso era quasi rassegnata.
«Sì, si può fare, ma vi avverto che sarà piuttosto vago.»
«Dimmi quello che puoi» la rassicurò.
L'indovina chinò la testa e riprese a studiare la sua mano. Il suo tocco tornò presto a farlo rabbrividire. Fu lei questa volta a rimanere a lungo in silenzio. Dagran era curioso di scoprire come terminava la faccenda: era un'imbrogliona o una vera indovina?
«Stai progettando qualcosa che aiuterà tutti e ridarà a te la pace...»
Si fece attento. Quelli che lo stavano “aiutando” non potevano di certo aver parlato con quella donna, e se qualcun altro sapeva dei suoi piani, l'avrebbero già fatto fuori da tempo.
«Finora è andato tutto bene» continuò lei «Tuttavia... sì, qualcuno tradirà la tua fiducia. Qualcuno molto importante.»
Dagran inarcò un sopracciglio. Tradirlo? Quel pensiero lo lasciò perplesso mentre ascoltava il resto.
«Non riesco a vedere chi sarà o cosa farà per tradire la tua aspettativa, ma non devi preoccuparti: riuscirai comunque a raggiungere il tuo obbiettivo.»
Si sentì quasi deluso. Aveva cercato tutto il tempo di convincerlo dell'autenticità dei suoi poteri e poi concludeva il tutto in maniera così banale?
«Ah, bene. Cominciavo quasi a preoccuparmi!» commentò sarcastico.
Quel poco del viso della donna che riusciva a vedere sotto il cappuccio assunse un'espressione che lo fece pentire delle parole appena dette. Era sdegno o tristezza?
«C'è qualcos'altro?» chiese.
«Beh, ecco...» sembrava restia a parlare. Dopo qualche attimo scosse la testa e lasciò la sua mano. «No, non c'è altro.»
Dagran la fissò a lungo. Alla fine cedette e iniziò a ridacchiare.
«Complimenti. Per un po' mi avevi quasi convinto. E pensare che mi aspettavo chissà quali rivelazioni! Segreti che nemmeno il conte può immaginare! Dubito che gli possano interessare i progetti di un mercenario.»
Lei lo ascoltò in silenzio e la cosa gli sembrò strana.
«Questo non dovrebbe essere il momento in cui cerchi di convincermi che quel che hai detto finora è la verità?»
«Perché dovrei? Sembra che vi soddisfi di più credere che io sia un'impostora. E per certi versi è meglio per entrambi che continuate a crederlo.»
La voce della donna si era fatta triste. Forse stava cercando di impietosirlo.
«Per quel che vale» riprese «sappiate che le mie predizioni si avverano sempre.»
«Ma davvero?» replicò scettico.
«Purtroppo sì.»
Quell'uscita mesta lo sorprese.
«Supponiamo che io ti creda. Che male potrebbe fare il fatto che le tue predizioni si avverano sempre? Hai detto che raggiungerò il mio obbiettivo nonostante un tradimento e hai visto che porterà del bene a tutti: credi che sia un motivo per dispiacersi?»
«Il fatto è che...»
«Ehi, Dagran!»
La voce di Zael interruppe l'indovina. Era appena sbucato dalla strada del Ponte e li stava raggiungendo insieme agli altri. Gli abiti dei cinque erano tutti impolverati per gli scontri nell'Arena e a giudicare dalla faccia soddisfatta di Syrenne e dal sacchetto rigonfio che faceva saltare nella mano, il gioco era andato ancora una volta a loro favore.
«Ti fai predire il futuro anche tu? Credevo che interessasse solo a Zael. Dai, vieni che festeggiamo!» disse la guerriera dandogli una pacca sulla spalla.
«Ci scusi, mia cara» fece Lowell rivolgendo all'indovina uno dei suoi sorrisi da sciupafemmine «ma dobbiamo portar via il nostro amico. Sa, siamo così impegnati oggi...»
«Non c'è problema, avevamo appena finito.»
Dagran in realtà voleva continuare il loro discorso. Aveva il sospetto che l'indovina gli stesse nascondendo qualcosa, ma la presenza dei compagni lo frenava. Concluse che era meglio lasciar perdere la faccenda. Mentre seguiva gli amici che salivano sul portico della Taverna, l'indovina gli fece segno di avvicinarsi.
«Solo una cosa ancora» gli disse a bassa voce.
Lui si voltò e diede una rapida occhiata ai compagni per assicurarsi che non potessero sentire la conversazione. Syrenne canzonava Lowell e la sua abitudine di provarci con quasi ogni donna che vedeva, mentre Mirania stava spiegando a Yurick cosa avrebbero trovato in tavola.
«A volte mi sembra di avere accanto un cane da tartufi anziché una maga!» lo sentì commentare: il naso di Mirania non smetteva mai di stupirlo. Anche Zael era sul portico e seguiva la scena divertito.
A quel punto Dagran rivolse di nuovo la sua attenzione all'indovina.
«Di che si tratta?»
«Quando prima ho parlato dei segreti di Lazulis, dicevo sul serio: ci sono cose che nemmeno il Conte sa; cose che precedono la fondazione di Lazulis stessa. Visto che non ci incontreremo mai più, chiederò al vostro amico del negozio qui vicino di aiutarmi a trascrivere ciò che so e di consegnarvelo al più presto. So che non leggerete mai quei testi, ma in futuro per i vostri amici saranno fondamentali...»
«Aspetta un attimo! Cos'è questa storia? Che intendi dire con “non ci incontreremo...”» Dagran era ormai a pochi centimetri dal volto della donna e poteva scorgerla bene sotto il cappuccio. Doveva avere giusto una decina d'anni in più di lui e il suo viso era piuttosto comune, ma i suoi grandi occhi castani avevano qualcosa di inquietante. Lasciò la frase a metà quando capì cosa lo turbava nel suo sguardo: gli occhi della donna erano privi di pupille e leggermente opachi.
«Ma tu sei...?»
«Cieca? Sì, ma non voglio annoiarvi con la mia storia. Ricordate di lasciare le informazioni che vi farò avere in un punto in cui i vostri amici possano trovarle.»
La guardò confuso, chiedendosi il motivo di quel suggerimento.
«Ora è meglio se vi avviate: vi stanno aspettando.»
L'indovina si alzò e con gesti rapidi raccolse le sue cose e iniziò ad allontanarsi lungo la piazza centrale.
«Aspetta» la fermò Dagran «Io... beh, ti ringrazio, credo.»
«Di niente, Mastro Dagran.»
«A proposito... Visto che a quanto pare non ci incontreremo mai più, potresti dirmi il tuo nome? Giusto per sapere chi mi ha “rivelato” dei segreti.»
La donna lo fissò per un momento - i suoi occhi erano rivolti verso di lui, anche se non poteva vederlo - prima di rispondere.
«Mi chiamo Cassandra.»
Quel nome gli era familiare. Prima che potesse tornargli in mente dove l'avesse sentito, Zael lo raggiunse e gli chiese se andava tutto bene. Gli fece un cenno affermativo. Nel frattempo Cassandra era sparita.
A quel punto i due tornarono alla Taverna. Zael era curioso di sapere cosa gli avesse rivelato l'indovina, senza contare che aveva notato la maglia fuori misura che aveva addosso, così Dagran gli cinse le spalle con un braccio e mentre entravano e si accomodavano con gli altri al tavolo preparato da Kentis, raccontò di Ariela e del resto, omettendo alcuni particolari della conversazione con Cassandra.
«Quindi farci diventare Cavalieri porterà benefici alla popolazione? È una buona notizia, anche se non mi sorprende più di tanto» commentò Lowell prendendo il suo boccale di birra.
«Già...»
«Io comunque le credo» replicò Zael «Poteri del genere esistono sul serio. Yurick e Mirania in questi giorni hanno studiato un po' di volumi sulla magia nella biblioteca del Castello e hanno trovato numerosi riferimenti a formule per predire il futuro e veggenti famosi, giusto?»
Yurick scrollò le spalle. «Sì, anche se si tratta più che altro di “ipotizzare” il futuro: secondo quei libri, conoscere il futuro significa cambiarlo e ciò rende le predizioni poco affidabili, soprattutto se fatte per degli sciocchi.»
Yurick si interruppe quando vide Ariela che portava loro il pranzo. Quando la ragazza gli passò il suo piatto la ringraziò e riprese il discorso: «Comunque dubito che un'indovina di strada possa avere accesso a roba simile: cose del genere hanno sempre un prezzo» aggiunse battendosi l'indice sulla benda che gli copriva l'occhio destro.
Dagran rifletté su quel dettaglio. Per poter avere il pieno controllo dei suoi poteri, il ragazzo aveva dovuto sostituire il proprio occhio con una pietra incantata.
«Forse è per questo che Cassandra è cieca...» borbottò tra sé.
«È cieca? Accidenti, sono andato da lei tante volte e non l'ho mai...»
«Aspetta un secondo!» Syrenne interruppe Zael e si rivolse a Dagran «Quell'indovina si chiama Cassandra?»
Lui confermò e la donna chinò la testa dubbiosa. Sembrava che si stesse sforzando di ricordare qualcosa. Lowell non perse l'occasione per infastidirla e iniziò ad arruffarle i lunghi capelli rossi.
«Lascia perdere, altrimenti ti scoppia la testa.»
«Piantala!»
«Si chiama come la veggente maledetta di quella leggenda.»
A parlare era stata Mirania. Gli altri si voltarono verso di lei mentre, tra un boccone e l'altro, riassumeva la storia «Le sue predizioni erano sempre corrette, ma a causa di una maledizione non le credeva nessuno, neppure quando si realizzavano.»
 Syrenne schioccò le dita verso l'amica quando ricordò anche lei quella storia.
«Lo sapevo di averla già sentita!»
«Ora la ricordo anch'io. Mi ha sempre intristito. Ma lasciamo perdere questi discorsi e pensiamo a cose più importanti» tagliò corto Dagran «Zael, Kentis mi ha detto che un soldato ti aveva parlato di una grotta. Di preciso, di cosa si tratta?»

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Capitolo 4
*** La visione ***



La visione

Mentre percorreva le strade di Lazulis, Cassandra tornò con la mente al momento in cui aveva rivelato a quel giovane uomo il suo nome. Aveva notato la sua incertezza. Era sicura che in poco tempo lui o uno dei suoi amici avrebbero colto il collegamento. Sì, il suo nome era Cassandra e come quella della leggenda aveva un dono... e una maledizione, anche se diversa. Molti anni prima era riuscita a  evocare uno spirito a cui aveva chiesto il potere di vedere il futuro.
Quel giorno i suoi occhi sul presente si chiusero per sempre, dandole però la possibilità di guardare oltre, sia avanti che indietro nel tempo. Diventata cieca, non poteva più “vedere”, tuttavia riusciva a percepire qualcosa, come una musica lontana, e riusciva a interpretarne il significato con una certa precisione. Quello che lo spirito non le aveva detto era che se avesse smesso di usarlo sarebbe morta nel giro di pochi giorni, e che nel momento stesso in cui lei avesse “sentito” il futuro di qualcuno, esso sarebbe diventato immutabile, senza alcuna possibilità di rimedio.
Certo, questo dipendeva da quanto in là si spingeva con la predizione: era per questo che si limitava alle faccende d'amore o d'affari. A volte però, il potere premeva così forte dentro di lei che era costretta a sentire tutto.
Proprio come era successo quel giorno.
Mentre proseguiva nel suo mondo di oscurità, Cassandra pensò con tristezza al  passato dell'uomo che aveva appena condannato. La sua famiglia sterminata. Il suo piano di vendetta. L'incontro con il bambino che sarebbe diventato molto più di un amico. Cassandra si sentì in colpa per avergli detto che avrebbe raggiunto il suo obbiettivo e che avrebbe portato felicità a tutti.
Già... peccato che per ottenere tutto ciò, prima si trasformerà un mostro e poi costringerà una delle persone più importanti per lui a ucciderlo.
E lei non poteva farci niente.
Rimpianse di esser riuscita a convincerlo ad ascoltarla. Se non avesse sentito il futuro del suo amico Zael, probabilmente non avrebbe mai attirato la sua attenzione, ma durante uno dei loro incontri aveva avvertito che negli anni seguenti quel giovane avrebbe sofferto immensamente per qualcosa che stava per accadere. Quella volta era riuscita a non sentire tutto, garantendo a Zael la possibilità di cambiare anche solo in minima parte il suo futuro, ma la sua curiosità e il suo stesso potere l'avevano spinta a cercare i dettagli mancanti e così, una volta riconosciuto Dagran come l'oggetto di quella predizione, aveva voluto saperne di più. Non era preparata per ciò che sentì del suo futuro.
Dovette fermarsi un attimo in un viottolo solitario a riposare. Quell'incontro era stato il più spossante e sinistro mai fatto. Nel corso degli anni aveva avvertito eventi funesti, ma il modo in cui si concludeva quella predizione...
Aveva sentito la lancia attraversare la carne di Dagran; le sue ultime parole uscirgli dalle labbra; la vita abbandonare il suo corpo.
E nonostante la morte, la predizione era continuata in un lungo e misterioso silenzio, come se qualcuno avesse cancellato ogni cosa. La spiegazione più logica era che fosse così perché Dagran era morto, eppure la cosa non la convinceva del tutto. Già, perché alla fine quel silenzio innaturale si era interrotto, e subito dopo aveva visto Lei.
Era stata un'immagine nitida e perfetta, come quando era ancora in grado di vedere. Una donna era china su Dagran. La luce che emanava impediva di vedere dove si trovavano. Aveva la pelle bianca come porcellana, e non aveva sopracciglia. Anche le sue labbra erano bianche, prive di emozioni. I suoi lineamenti facevano pensare ai popoli delle terre fredde del nord. Anziché da vestiti, il suo corpo formoso era coperto da viticci scheletrici simili a edera morta, che le avvolgevano in parte il petto lasciando scoperte le spalle e poi scendendo si infittivano a coprire le gambe e avvolgerle come una gonna. Le sue braccia erano protese verso di lui, la loro pelle bianca era squarciata e piegata all'indietro attorno agli avambracci come i petali di un fiore, mostrando mani contorte simili a radici. Al posto dei capelli, un groviglio di rovi pieni di spine di ferro si contorceva come un mucchio di serpenti verso l'alto occupando tutto lo spazio che trovava. Poco prima della fine della visione, la donna fu così vicina al volto di Dagran che Cassandra, attraverso lui, poteva distinguere solo i suoi occhi. Grandi occhi dalle iridi bianche racchiuse in un sottile anello nero. Avrebbe trovato quella creatura meravigliosa, anche se un poco inquietante, se non avesse saputo chi era.
Ma lo sapeva. E questo la rendeva terrificante.
Senza contare le grida. Per tutta quella visione, c'era stato un unico suono a riempirle le orecchie: le urla di Dagran. Era morto, eppure stava urlando di dolore.
In passato, Cassandra aveva viaggiato in lungo e in largo per il mondo e attraverso il suo studio, oltre a trovare la formula d'evocazione che l'avrebbe resa veggente, riscoprì antichi manoscritti che parlavano di Lei e del suo sonno eterno.
I più recenti, nonché gli ultimi a parlarne, affermavano che quando a Lazulis venne evocata dalle stelle la forza chiamata Ignoto, il suo sonno iniziò a diventare agitato. Cassandra sapeva che l'immenso potere dell'Ignoto richiamava a sé tutta l'energia che lo circondava e la incanalava nella creazione di qualcosa di nuovo e non le era sfuggito il legame tra di esso e Lei, come non le era sfuggita nemmeno la sua furia. Anche nella sua visione, nonostante la sua espressione quasi triste, quell'essere trasmetteva rabbia.
Presto si sveglierà. Io l'ho vista e perciò accadrà. Moriremo tutti e sarà solo colpa mia!
Forse però poteva ancora fare qualcosa. Il destino di Dagran era segnato ormai, ma tramite lui poteva passare tutto ciò che sapeva su di Lei ai suoi amici e avvisarli del pericolo. Quella tenue speranza era tutto quello che aveva.
Si accasciò a terra e presa la faccia fra le mani, iniziò a piangere disperata nella solitudine del viottolo.
Che cosa ho fatto?

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