L'ultima battaglia

di Kira05
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro ***
Capitolo 2: *** Ospite ***
Capitolo 3: *** Una storia triste ***



Capitolo 1
*** Incontro ***


Capitolo 1
Incontro

Ciao a tutti sono Kira05 e questa é la mia prima storia su efp. In realtà in passato l'avevo già pubblicata una volta, ma solo il primo capitolo perché poi, per qualche strana ragione, si é cancellata. In ogni caso ho deciso di ripubblicarla, con qualche piccola modifica, sperando non sia venuta una schifezza... Comunque accetto critiche di ogni genere, perché voglio capire dove sbaglio e, se possibile, migliorare. I primi capitoli forse non vi piaceranno, ma la storia migliorerà con il tempo. Vi dico solo che é ambientata tra il quarto e il quinto libro della serie degli Eroi dell'Olimpo: ho cercato di immaginarmi cosa sarebbe successo nella Casa di Ade e di inventarmi un seguito diverso. Spero non ci siano SPOILER, ma non penso, se però ne trovate qualcuno sappiate che non era assolutamente mia intenzione. Un'ultima cosa: è prbabile che la storia subirà delle modifiche anche dopo la sua pubblicazione, 
Baci a tutti dalla, per così dire, autrice e buona lettura!^_^

“ Smettila di scappare: fermati e combatti come si deve!”
Katja ignorò la vocina fastidiosa nella sua testa e continuò a correre. Ultimamente riusciva a darle pessimi consigli, come quest’ultimo: fermarsi a combattere contro un mostro nonostante fosse ferita e completamente esausta, infatti, non si poteva definire certo un’idea geniale. Ormai non aveva più le forze neanche per continuare a scappare e sentiva una terribile fitta all’altezza del torace. Poteva sentire i passi del suo inseguitore dietro di lei farsi sempre più vicini e gli alberi del bosco che crollavano al suo passaggio. Poi, improvvisamente, il rumore cessò e calò il silenzio. Katja si sedette dietro un cespuglio e aspettò che il suo respiro tornasse normale. Sentiva il cuore battergli forte nel petto, quasi tentasse di uscire e andarsene via. Lo avrebbe seguito, se avesse potuto, ma le gambe erano diventate della stessa consistenza della gelatina. Attese ancora un po’, le orecchie pronte a captare ogni singolo rumore sospetto, ma il mostro sembrava essersi dissolto nel nulla. Impossibile, si disse, ma che importanza aveva?  Non sarebbe riuscita ad andare via lo stesso, tanto valeva starsene lì a riposare un po’. Katja si distrasse osservando i giochi di ombre che la lieve luce del sole riusciva a creare passando attraverso il fitto fogliame della foresta. Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando si era seduta a riprendere fiato, ma a un certo punto delle voci disturbarono la sua piccola quiete. Si mise meglio a sedere e, assicuratasi di essere nascosta a sufficienza, sbirciò attraverso il cespuglio: un gruppetto di tre ragazze e cinque ragazzi, più o meno tutti della sua età, stava passando proprio in quel momento davanti al suo nascondiglio, sbraitando a più non posso. Katja era a dir poco sorpresa: si era rifugiata in quel bosco sperduto nel sud dell’Italia proprio perché sperava di non dover incontrare umani o mostri, ma non era stata fortunata. Il gruppetto si fermò esattamente davanti a lei e non sembrava intenzionato ad andarsene, preso com’era dalla discussione. Un ragazzo dai capelli riccioli e le orecchie a punta discuteva animatamente con una ragazza dai capelli biondi; ogni tanto la ragazza con una treccia castana interveniva, cercando di calmarli, ma invano. Come se non ci fosse abbastanza casino, anche altri due ragazzi, uno con i capelli neri spettinati e l’altro alto e biondo, intervenivano, spesso a sproposito, mentre gli ultimi tre membri, una ragazza piccola e di pelle scura con i capelli castani e ricci, un ragazzone asiatico dai capelli neri a spazzola e uno pallido e magro con i capelli scuri e disordinati, se ne stavano in disparte, aspettando che i loro compagni si dessero una calmata. Come se il gruppo non fosse già abbastanza strano di suo, Katja notò con orrore che la maggior parte di loro portava delle armi addosso, una cosa decisamente non comune per dei normali ragazzi a passeggio per i boschi. Il ragazzo riccioluto sembrava fuori di sé.
- Ti ho già detto, Annabeth, che non ci siamo persi: sono sicuro che l’Argo II sia qui da qualche parte! – si difese, ma la biondina sembrava poco convinta.
-  Come fai a dirlo? – gli rispose – Stiamo girando intorno da mezz’ora e ancora ti ostini a voler avere ragione! Sei veramente…! – la ragazza con la treccia però la interruppe:
-  Annabeth, non ha senso prendersela così: adesso cerchiamo un modo per chiamare il coach Hedge e farci venire a prendere, ok?
Il ragazzino riccioluto però non aveva ancora finito di dire la sua.
-  Ma sentila! Guarda che è colpa tua Piper se ci siamo cacciati in questo guaio, tu e la tua voglia di fare passeggiate nei boschi! – disse, prendendosela con la mora.
Lei lo squadrò dalla testa ai piedi, lo sguardo accigliato: - Cosa?!
Lui però non le diede ascolto e si mise a scimmiottarla, cosa che la fece imbestialire ancora di più e inevitabilmente tirò in ballo anche i restanti membri del gruppo. Insomma, una classica gita felice tra amici. Peccato che Katja non avesse il tempo per godersela, ma doveva assolutamente andare. Pregando tutti gli dei del cielo e della terra che le dessero un po’ di fortuna, si accinse a fare il primo passo per andarsene, ma un rametto si spezzò, producendo un insignificante “crack”: qualsiasi persona normale non avrebbe dovuto sentire un così lieve suono, ma evidentemente loro dovevano avere le orecchie molto allenate, perché in un attimo smisero di parlare e si misero in ascolto. Katja si bloccò di colpo. Il ragazzino dalle orecchie a punta parlò per primo:
-Avete sentito? - e con fare lento e inesorabile si avvicinò a quello che ormai era l’ex nascondiglio di Katja. La ragazza si sforzò di restare lucida e calma, ma la paura prese il sopravvento e, quando sentì il ragazzo proprio sopra di lei, fece la prima cosa che le venne in mente: si alzò in piedi e gli tirò un pugno in piena faccia, poi fuggì a gambe levate. Appena fu sicura di averli seminati si gettò dietro un albero e rimase in ascolto. “È fatta”, pensò, ma aveva cantato vittoria troppo presto; dopo pochi secondi sbucò dal fogliame il ragazzo che aveva colpito: il naso si era ingrossato un poco e ora sembrava più arrabbiato che mai. Katja sentiva rumori di passi dietro di lei: presto l’avrebbe trovata e allora cosa sarebbe successo? Dopo un attimo, Katja sentì gli amici del ragazzo chiamarlo e, sbirciando da dietro l’albero, vide che lo stavano raggiungendo. Il biondo intanto gridava a squarciagola:
-  Leo, torna indietro! Dobbiamo ancora trovare la nave! Probabilmente era solo una ninfa che voleva farti uno scher…
Non finì la frase: quello che vide lo prese così alla sorpresa da fargli morire le parole in gola, ma questo successe più o meno a tutti i presenti. Tutti tranne quello di nome Leo che, preso com’era dalla sua ricerca, non si era accorto del nuovo arrivato: il ciclope troneggiava alle sue spalle e faceva roteare una pesante clava sopra la testa. Katja sapeva cosa stava per succedere, e così anche il gruppetto di ragazzi vicino a lei. L’asiatico si stava già preparando per colpire il mostro con una freccia, ma ormai non c’era più tempo: se non si fossero sbrigati, ben presto di Leo non sarebbe rimasto più niente.
“Salvalo, cosa aspetti?” Per una buona volta Katja diede ascolto alla voce: si fece coraggio e si lanciò fuori dal nascondiglio, buttandosi a terra insieme al riccioluto un attimo prima che la clava del ciclope gli tranciasse via la testa. Poi, mentre il ciclope si stava ancora domandando dove diavolo fosse finita la sua cena, l’asiatico lo colpì con una freccia proprio al centro dell’unico occhio, facendo gridare il mostro dal dolore. Questo non ebbe neanche il tempo per vendicarsi che l’aria divenne carica di elettricità e Katja sentì stapparsi le orecchie: il ciclope fu colpito in pieno da un fulmine e si disintegrò in una polverina d’oro, che ricoprì tutti. Katja aveva assistito alla scena con la bocca spalancata: nella sua breve esperienza come semidea mai avrebbe pensato che un mostro potesse essere sconfitto così facilmente.  Mentre era persa nei suoi pensieri, qualcuno le porse gentilmente una mano per rialzarsi.
-  Ti senti bene? – le chiese Leo mentre l’aiutava a mettersi in piedi. Katja annuì, ma quando si rialzò sentì ogni singolo muscolo del corpo urlare di dolore: solo in quel momento si rese conto di quanto era stanca in realtà.
-  Capisci quello che diciamo? – le domandò il moro che affiancava la ragazza bionda.
Parlavano tutti un americano stretto, ma Katja lo capiva benissimo.
- Sì – rispose timidamente, poi chiese: - Siete come me?
I ragazzi sembravano incerti se risponderle o meno, poi però la ragazza bionda prese parola:
-  Sì, siamo semidei.
“Loro sono come me, sono esattamente come me”, pensò Katja felice. La ragazza con la treccia le sorrise:
-  Grazie mille per il tuo intervento: senza di te ora il nostro amico sarebbe morto.
Katja sorrise debolmente: era bello sentirsi utili di tanto in tanto. Sembravano tutti dei bravi ragazzi e Katja pensò che forse aveva trovato degli amici.  Stava giusto per rispondere quando sentì le gambe cedere sotto il suo stesso peso e poi divenne tutto buio.
 
 

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Capitolo 2
*** Ospite ***


 Capitolo 2
 Ospite

Quando Katja si svegliò, sopra di lei non c’erano più gli alti alberi del bosco, ma un limpido cielo azzurro. Le ci volle un po’ per abituarsi alla forte luce del sole e mettere a fuoco gli otto semidei intorno a lei che la stavano fissando.
-  Come ti senti? – le chiese Annabeth.
Katja si mise a sedere, ma la testa cominciò subito a girare vorticosamente, provocandole un dolore allucinante.
-  Bene – mentì, poi si guardò intorno: ora si trovavano su quello che sembrava in maniera sorprendente al ponte di una nave, con tanto di alberi e cannoni; vedeva i gabbiani volare sopra di loro e sentiva il famigliare rumore del mare.
I ragazzi la fissavano con un misto di preoccupazione e curiosità, ma lei era troppo occupata nel tentare di mettere insieme i pezzi: il mare, i gabbiani, la somiglianza con una nave… 
-  Oh no – disse più a se stessa che agli altri, poi si alzò in piedi, si avvicinò al parapetto e per poco non cadde dallo shock: quella su cui si trovava era una VERA nave da guerra greca e sotto di loro c’era VERAMENTE il mare, ma molti, molti metri più sotto. Stavano letteralmente fluttuando per aria, a chissà quante miglia dalla costa.
Il mondo cominciò a girare intorno a lei e Katja sentì che stava cadere, ma fortunatamente Annabeth e Piper la presero in tempo e la misero a sedere con la schiena appoggiata al parapetto.
-  Mi dispiace, - le disse Annabeth, sedendosi vicino a lei – immagino tu sia piuttosto spaventata, ma non ti devi preoccupare, non ti vogliamo far del male: ti abbiamo portato con noi semplicemente perché non potevamo lasciarti da sola svenuta in mezzo al bosco, visti poi i numerosi mostri che c’erano in giro…
-  Non volevo darvi tutti questi problemi… – si scusò Katja, ma la bionda le sorrise gentilmente.
-  Non preoccuparti. Piuttosto, non ci siamo presentati! Io sono Annabeth e questi sono Piper, Percy, Jason, Hazel, Frank, Leo e Nico. Tu invece? Come ti chiami?
-  Katja…
-  Bene Katja, benvenuta a bordo dell’Argo II! Ora, posso farti qualche domanda?
Katja annuì, ancora scossa da prima. 
-  Certo – rispose poi e di colpo Annabeth cambiò espressione: i suoi intelligenti occhi grigi divennero duri come l’acciaio e tutt’ a un tratto l’allegria di prima svanì.
- Bene, come prima cosa, posso sapere da dove vieni?
Lo sguardo duro di Annabeth e la sua voce ferma ricordò molto a Katja i poliziotti nei classici interrogatori delle serie tv.
“ Non si fidano,” pensò con tristezza “non si fidano di me! Forse pensano che io sia un mostro o chissà cosa…”
-  Vengo da Milano - le rispose.
Annabeth annuì, poi continuò:
-  E sei una semidea, giusto?
-  Sì
- Chi è il tuo genitore divino?
- In realtà non lo so…
-  A quale campo appartieni?
-  A quale cosa? – domandò confusa Katja.
-  Niente, lascia stare. – le rispose Annabeth. Chiuse gli occhi e si mise a massaggiarsi le tempie, come se fosse stata appena colpita da un terribile mal di testa: i capelli biondi e riccioluti erano raccolti in una coda laterale, ma qualche piccolo ricciolo ribelle era rimasto libero, incorniciandole il viso e rendendola ancora più bella. Non aveva un filo di trucco, ma Katja pensava non ne avesse bisogno: anche se al naturale, era più che evidente che era una bellissima ragazza, nonostante in quel momento i segni della stanchezza fossero molto evidenti e la facessero sembrare troppo grande rispetto alla sua età. 
Annabeth riaprì gli occhi e rivolse alla ragazza un sorriso stanco: - Hai detto che vieni da Milano, giusto? Miei dei! Dev’essere stato un viaggio estenuante fino in Puglia, sarai stanchissima! Prima di andartene, vorresti qualcosa da mangiare?
Katja era rimasta sorpresa da quel repentino cambio di personalità, ma poi sorrise anche lei: 
-  Grazie, ma non ho fame, sono solo molto stanca.
-  Bene, direi che oggi è stata una giornata pesante per tutti, quindi sarà meglio che tutti andassimo a riposare. Piper, saresti così gentile da lasciare a Katja la tua stanza? Tu intanto potresti stare da Jason…
La ragazza non se lo fece ripetere due volte: prese per mano Katja e la trascinò tutta contenta sottocoperta. Appena videro sparire le due figure femminili, i restanti del gruppo lanciarono un’occhiataccia ad Annabeth.
-  Perché le hai detto i nostri nomi? Potrebbe essere una nemica… – le chiese preoccupato Percy, aiutandola ad alzarsi. Annabeth sospirò: 
- Non penso sia una minaccia, solo una ragazzina spaventata che non sa più dove andare. Contatterò Chirone per sapere cosa ne pensa. Intanto indagheremo per conto nostro sull’identità della nostra ospite: se fosse una romana in incognito o un’alleata di Gea, almeno abbiamo un prigioniero da scambiare, nel caso ce ne fosse il bisogno. 


Nel frattempo, Piper aveva trascinato Katja lungo un corridoio, poi erano entrate in una stanza.
-  Ecco qui la tua nuova camera! – le disse Piper e Katja ne rimase veramente colpita: nonostante non fosse grande, dentro era molto carina, ordinata e pulita; non c’erano molte cose, il minimo indispensabile diciamo, ma rispetto ai posti in cui aveva dormito negli ultimi tempi le sembrò una reggia. 
-  Non posso accettarlo, è la tua stanza…
Piper però le fece un sorriso malizioso.
-  Oh, non ti preoccupare, io starò benissimo… Vieni, ti faccio vedere dove potrai farti una doccia.
Dopo averle mostrato tutto ciò che doveva, Piper riaccompagnò nella sua stanza la ragazza, poi se ne andò. Non appena la porta si chiuse, Katja si lanciò su quel letto soffice e comodo: era così stanca da non avere nemmeno le forze per andare a farsi una doccia, così si accontentò di sistemarsi alla meglio e cambiarsi i vestiti con quelli puliti lasciategli da Piper, poi si rimise a letto. Erano successe così tante cose in quella giornata: ancora non riusciva a crederci di aver trovato qualcun altro come lei! Era così agitata che temeva non sarebbe mai riuscita ad addormentarsi, invece, non appena chiuse gli occhi, inevitabilmente sprofondò nel mondo di Morfeo.











Angolo autrice

Ciao popolo di efp! A tutti i lettori ( ovviamente nessuno, ma lasciatemi sognare ad occhi aperti…) che stavano aspettando da un po’ questo capitolo, chiedo umilmente scusa: mi dispiace non aver potuto pubblicare prima, chiedo pietà! Soprattutto perché ritengo che la vostra attesa sia stata uno spreco di tempo, visto la bruttezza di questo capitolo…vengono i brividi persino a me! Ad ogni modo, qualche buon’anima a cui è piaciuta la storia c’è stata, perciò un grazie mille a:  gaia 2001 per aver recensito ed avermi messo tra gli autori preferiti ( ma io ti adoro!!!! ); ad Ariel_Jackson11 per aver aggiunto la storia alle preferite (ragazza io AMO le tue storie, sul serio! Sei un mito!); a sissi_nox per averla aggiunta alle seguite ( graziegraziegraziegrazie! <3) Grazie ancora per la pazienza e vi prego, se avete qualche consiglio, non esitate a darmelo! O anche solo un semplice commento, per me va benissimo!
Baci a tutti 
Kira05

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Capitolo 3
*** Una storia triste ***


Capitolo 3
Una storia triste

 



Appena addormentata, Katja cominciò subito a sognare. In realtà fu più una specie di flashback, un ricordo che continuava a tormentarla. 

Si trovava nell’ospedale di Milano. Medici e pazienti le passavano di lato degnandola a malapena di uno sguardo mentre lei camminava fissa davanti a se. Con la borsa della scuola sulle spalle e un libro stretto in braccio, si dirigeva verso il reparto per malattie terminali. Percorse il lungo corridoio fino ad arrivare alla stanza 406. Si fermò davanti alla porta, indecisa se entrare oppure no. Alla fine, preso un respiro profondo, abbassò la maniglia ed entrò gentilmente, chiedendo permesso. La stanza era occupata da un solo lettino e una sedia posta lì a fianco. Una forte luce entrava dalla finestra chiusa, illuminando la donna seduta sul letto: era magra e pallida, i capelli castani ricadevano in disordine sulle sue spalle ossute, gli occhi spenti e fissi sul triste panorama che la finestra offriva, il cortile dell’ospedale e l’altra ala dell’edificio. La donna se ne stava immobile in silenzio e sembrava non aver notato la presenza della ragazzina in stanza. Katja si avvicinò lentamente al lettino. 

- Mamma?- chiamò.

Subito, la donna si ridestò dal suo stato di trance per voltarsi verso l’origine della voce. Quando vide la figlia, un lieve sorriso venne a formarsi sulle sue labbra.

- Ciao, cara - la sua voce era, al contrario di quello che si poteva immaginare, forte e sicura. - Com’è andata a scuola?-

Katja scosse le spalle:  - Il solito…tu, invece? Oggi stai un po’ meglio? -

- Certo - rispose sorridendo la donna, ma ormai la figlia aveva imparato a leggere oltre quel sorriso falso e sapeva quanto dolore celava.

- Sono venuti i medici? - domandò allora Katja.

- Sì… - sussurrò la donna.

- E cosa ti hanno detto?

- Le solite cose: non essendo sicuri di quello che ho, preferiscono aspettare prima di intervenire seriamente.

Katja lasciò cadere pesantemente la borsa a terra.

- Com’è possibile? – esclamò - Come fanno a non capire?

- Calmati Katja… - intervenne l’ammalata.

- No, mamma non mi calmo! Qui c’è in gioco la tua vita e loro non fanno altro che rimandare le cure. Sono dei vigliacchi: mentre tu sei qui già da un mese ormai, loro se ne infischiano e continuano a vivere la loro vita ignorandoti, senza nemmeno provare ad aiutarti! Che razza di medico è uno che..!

- Adesso basta Katja! - la interruppe la madre.

Katja si zittì all’istante: odiava arrabbiarsi così in presenza di sua madre e se ne vergognava moltissimo. 

- Scusa - disse timidamente.

La donna espirò profondamente, poi, quando fu sicura di aver recuperato tutta la calma, disse con il tono più dolce che conosceva: - Siediti, per favore, c’è una cosa molto importante che ti devo dire. Sei ormai abbastanza grande, infatti, per sapere la verità. 

Incuriosita, Katja si sedette sulla sedia, pronta ad ascoltare ciò che la madre aveva da dirle.

Vedendo la figlia attenta, la donna cominciò: 

- So di non averti mai raccontato molto di tuo padre e mi dispiace che tu non l’abbia potuto conoscere. Ti ho sempre detto che ci siamo conosciuti quando ero in vacanza in America e che lui era di origini italo-greche. Tutto ciò, mia cara, corrisponde pressappoco alla verità.

- Che intendi dire? - la interruppe la figlia dubbiosa.

- Ascoltami attentamente: quello che sto per raccontarti può sembrare assurdo, ma è la pura verità e , ti prego, devi credermi, ne va della tua incolumità. Vedi, tuo padre è un dio immortale, più precisamente un dio olimpico.

Katja era sbalordita: che la malattia fosse peggiorata e sua madre fosse impazzita? Ignorando lo sguardo stupito e spaventato della figlia, la donna continuò: 

- Io all’inizio non lo sapevo, me lo raccontò solo quando gli dissi di essere incinta. Mi disse che nostro figlio non sarebbe stato un comune mortale, ma un semidio, con poteri e capacità sovrumani, ma anche con un terribile futuro, pieno di mostri e pericoli. L’unico modo per farlo sopravvivere sarebbe stato mandarlo al Campo Mezzosangue o una cosa del genere. Lì sarebbe stato addestrato per diventare un eroe e avrebbe potuto avere un futuro. Ovviamente mi arrabbiai, pensando che mi  stesse prendendo in giro.

Katja era sconvolta. 

- E lui? Cosa ti ha risposto? - riuscì a chiedere.

- Niente. Prima di sparire per sempre mi disse che lui sarebbe riuscito a proteggerti fino al tuo sedicesimo anno di età, che sarà fra una settimana esatta.

Katja sentiva le goccioline di sudore scenderle lungo la schiena. La sua gola era secca, ma non c’erano bottiglie d’acqua in stanza. Non capiva. Non riusciva a capire niente della storia che le aveva raccontato sua madre. Era così assurda e confusa che non poteva essere vera, era troppo irreale. Teneva lo sguardo fisso sul pavimento e il suo corpo era scosso da forti tremori. Poi sentì una stretta fredda alle mani. Katja alzò gli occhi verso sua madre, che stringeva forte le mani della figlia. 

- Lo so che questa storia può sembrare assurda, ma è la verità, devi credermi! - disse la donna guardandola in faccia, disperata.

- Io…io ti credo, - rispose Katja, stupendosi delle sue stesse parole - ma anche così non ha senso. Chi è mio padre? Chi sono io veramente? Sono una specie di mostro per caso?

Nonostante il suo tentativo di fermarle, abbondanti lacrime cominciarono a scendere e rigare le guance della ragazza. Tutto ciò non poteva essere vero. Tutto quello che stava vivendo doveva essere un sogno, o meglio, un incubo. La madre le sorrise con tenerezza.

- Tu sei e resterai sempre Katja Giardini, la mia bambina, e questo non cambierà mai.

Mentre diceva queste parole, la donna tirò più vicino a se la figlia e la strinse in un caloroso abbraccio. Katja si lasciò coccolare e continuò a piangere in silenzio, finendo per bagnare il camice della madre. Alla fine sciolse l’abbraccio e, guardando negli occhi la madre, le chiese: 

- Adesso quindi cosa devo fare?

- Penso sia ora di cercare questo famoso Campo. Se è vero ciò che mi disse tuo padre, presto la tua vita e quella delle persone che ti circondano saranno in grave pericolo. - Vedendo però quanto sua figlia fosse spaventata, le disse per rassicurarla: - Comunque non preoccupiamocene proprio ora, abbiamo ancora una settimana di tempo!

Katja le sorrise grata. 

- Vediamo, invece, il libro che mi hai portato questa volta. - continuò la donna.

La ragazza lo raccolse da terra dove era caduto e lesse il titolo ad alta voce: “Piccole donne”. 

- Ah beh, uno dei miei libri preferiti! Saresti così gentile da leggerlo ad alta voce? Mi sento troppo stanca per leggerlo per conto mio…

Così Katja cominciò a leggere sotto lo sguardo fisso della madre, facendo prendere vita ai personaggi del libro e catapultandole in un altro mondo, dove dei e semidei non erano altro che miti antichi. Katja continuò a leggere fino a che gli occhi della madre non si chiusero e la luce si tinse dei colori del tramonto. Solo allora la ragazza richiuse gentilmente il libro e, senza fare rumore, si alzò dalla sedia, raccolse le sue cose, diede un bacio in fronte alla madre e uscì dalla stanza, pronta per tornare a casa e cucinare la cena. Quella fu l’ultima volta che vide sua madre. Morì, infatti, la stessa notte, nel sonno. I medici si scusarono con i famigliari, dicendo che avevano fatto il possibile, ma Katja sapeva che non era così e per questo non li perdonò mai. 

Il sogno cambiò: ora si trovava in cima a un’arida collina: sotto di lei marciava un enorme esercito, con uomini in armature antiche ed enormi scudi. Era una scena sbalorditiva e Katja rimase con la bocca aperta a osservarla.

-  Hai visto?- le disse un voce vicina. Solo allora la ragazza si rese conto di avere compagnia: una donna di mezza età stava guardando vicino a lei il panorama. La cosa inquietante? Quella donna era fatta di terra e, quando si voltò a guardarla in faccia, Katja vide che i suoi occhi erano scuri e privi di ogni emozione, celati dietro un sottile velo terroso. La donna le sorrise: - Ammira l’esercito che sta per portare una nuova guerra civile! Sangue e lacrime bagneranno il suolo, il mio suolo; dolore e morte segneranno un nuovo capitolo della storia. Tu, cara la mia bambina, sei l’unica che può evitare il massacro.

Katja stava per chiederle spiegazioni, per domandarle chi fosse e cosa centrasse lei in una guerra, ma all’improvviso divenne tutto buio.

 

 

Si svegliò con le lacrime agli occhi e un forte mal di testa. Si mise a sedere sul letto e sospirò: quanto le mancava sua madre, con il suo sorriso dolce e le sue maniere affettuose. E sua zia. Quando i suoi pensieri corsero a lei, Katja cercò subito di scacciarli dalla mente. Era rimasta un po’ a riflettere sul suo sogno, quando qualcuno la chiamò.

-  Ehi, vedo che sei sveglia! Hai riposato bene? – disse Piper, entrando nella stanza con degli asciugamani puliti. La ragazza era vestita con i soliti jeans e una semplice maglietta, ma i capelli adesso erano sciolti, tenuti indietro da alcune treccine. Guardando Katja sembrava essere molto preoccupata e la ragazza si domandò il perché. 

- Benissimo grazie – rispose Katja, tentando di essere il più convincente possibile, ma Piper la guardò di traverso.

- Se lo dici tu – replicò, appoggiando gli asciugamani sulla scrivania.

- Sai, –continuò – hai dormito per molto tempo e non sei stata tanto bene.

- Quanto tempo? – domandò Katja.

- Cinque giorni e sei notti.

- Così tanto? – si sorprese l’ospite e Piper le rispose: - Sì e, come ti dicevo, sei stata anche male nel frattempo, ma fortunatamente adesso stai meglio e questa è la cosa importante! Comunque, qui ci sono dei vestiti puliti e degli asciugamani: quando sarai pronta, vieni su che è già ora di cena!

Ma la ragazza nel frattempo era già scesa dal letto e si era data un’occhiata allo specchio. La vista che aveva avuto non doveva esserle piaciuta molto, perché Piper la vide sbiancare un poco e non poté fare altro che compatirla: la ragazza aveva una quantità indefinita di cicatrici biancastre di tutte le forme e misure sulle gambe e le braccia e i bei capelli mossi e castani erano diventati un nodo unico; durante la malattia era dimagrita parecchio e adesso sembrava ballare nel suo pigiama da tanto gli era diventato grande. Piper e le ragazze avevano fatto il possibile per rimetterla in forma: infatti, mentre i ragazzi combattevano contro mostri di ogni genere durante il viaggio di ritorno, loro erano rimaste sottocoperta per la maggior parte del tempo, curandole le ferite, cambiandole la pezza per la fronte e assicurandosi che la febbre non salisse. La maggior parte delle cicatrici sarebbe sparita di lì a poco grazie agli effetti benefici del nettare, ma ne sarebbero rimaste comunque parecchie e, per farle riprendere un po’ di forma fisica, ci sarebbe voluto un po’ di tempo. La ragazza aveva comunque mantenuto un po’ del fisico atletico che aveva avuto una volta e, Piper ne era sicura, dandole una bella spazzolata ai capelli sarebbe ritornata come nuova. O quasi.

La figlia di Afrodite le fece un sorriso incoraggiante: - Bene, ti lascio prepararti in pace…

Stava già per uscire dalla stanza quando la ragazza parlò.

-  Sono un vero disastro – disse. Piper fu sorpresa di questo suo intervento. Si voltò e la guardò seria, ma non poté fare a meno di provare tenerezza per lei.

-  No che non lo sei, penso tu ti debba solo sistemare un po’ i capelli e poi vedrai che ritornerai come prima!

Notando che la ragazza non sembrava molto convinta, le disse: - Non ti preoccupare, ci penserò io!

Piper mise una sedia di fronte allo specchio e vi fece accomodare Katja, poi prese una spazzola e cominciò a pettinarle i capelli. Inizialmente l’altra si sentiva piuttosto in imbarazzo, ma le chiacchiere di Piper, che non aveva mai smesso di parlare, la misero presto a suo agio. Mentre la figlia di Afrodite le spazzolava i capelli, le sembrò di ritornare a casa, dalle sue cuginette, che adoravano pettinarle i capelli, creando acconciature bizzarre. Piper le raccontò del Campo Mezzosangue, delle loro avventure per sconfiggere Gea, del Campo Giove. Non raccontò mai i dettagli, non sapendo ancora se si poteva fidare completamente di lei, ma il suo istinto le diceva che quella ragazza non era malvagia, né tanto meno una spia. Katja ascoltava attenta, incantata da quel mondo pieno di magia. A un certo punto Piper annunciò: 

-  Bene, ho finito! Che te ne pare?

Katja era sbalordita: ora i capelli le ricadevano in morbide ciocche sulle spalle, incorniciandole delicatamente il viso.

- Non so proprio come ringraziarti!

- Ma figurati! Ora finisci di vestirti, così poi raggiungiamo gli altri, ok?

 

 

 

 

Uscita di nuovo all’aria aperta, Katja fu contenta di rivedere la luce del sole. Tutti i suoi nuovi compagni erano sul ponte: Leo ai comandi, Frank vicino a Hazel e Nico che guardavano oltre il parapetto, Annabeth, Percy e Jason che discutevano su una futura strategia. Katja rimase come incantata: le sembrava di essere finita in un altro mondo. Era rimasta talmente imbambolata, che non si accorse di una figura bassa e tozza che stava per saltarle addosso fino a quando non se la trovò di fronte, ma fu abbastanza rapida da evitarla all’ultimo. La figura gridò “A morteeee!”, un grido di battaglia davvero molto carino e originale, e si schiantò contro il parapetto. Si rialzò subito in piedi, o almeno, sulle zampe. Katja pensò di essere ancora rintontita dal sonno, così si strofinò gli occhi e ritornò a fissare l’omino: no, non stava avendo delle allucinazioni, quell’essere era davvero metà uomo e metà capra! Katja si sforzò di ricordare dove aveva già sentito parlare di creature del genere: in teoria, pensò, questo dovrebbe essere un fauno, ma non mi sembra un tipo da saltellare per i prati raccogliendo margherite…eppure io credevo fossero tutti così!, pensò.

–Intruso! C’è un intruso sulla nave! – gridò quello.

Stava per avventarsi di nuovo contro di lei, ma Frank e Jason lo trattennero per le braccia.

-  No, Coach, non è intruso! È la semidea che abbiamo salvato, si ricorda? Glielo abbiamo già raccontato!

Il satiro digrignò i denti, ma alla fine smise di opporsi e i due ragazzi mollarono la presa. 

-  Va bene... ma se scopro che è un nemico allora ci penserò io a darle una lezione. È chiaro, ragazzina?

Katja per poco non scoppiò a ridergli in faccia: non riusciva a prenderlo sul serio, non con quella grossa pancia da Babbo Natale!

Leo la chiamò dai posti di comando:

-  Buongiorno Bella Addormentata! Dormito bene, eh? Ora che sei sveglia posso finalmente darti il benvenuto ufficiale sull’Argo II! Io sono Leo, il comandante supremo, e questi qui sono tutti i miei sottoposti!

Piper roteò gli occhi, visibilmente esasperata, ma non disse niente. Gli altri salutarono la nuova arrivata con fare più contenuto, anche se qualcuno, in particolare il ragazzo dagli occhi verde mare, le rivolse un sorriso sincero. D’un tratto calò un silenzio pesante: quell’interruzione aveva colto di sorpresa tutti. Fu Hazel a rompere il silenzio per prima.

-  Che ne dite se andiamo a mangiare?- propose.

-  Buona idea! In effetti comincio a sentire i crampi allo stomaco – rispose Percy- Coach Hedge, perché non scende di sotto a preparare la tavola?

Il satiro gli rivolse un’occhiata truce: - Ma certo! Prima devo farvi da babysitter, adesso devo prepararvi da mangiare….volete anche che vi pulisca il sedere, visto che ci siamo?

-  Coach, io non intendevo….- disse Percy, visibilmente dispiaciuto, ma il satiro se ne era già andato offeso. 

-  Bene! –intervenne Annabeth- Il viaggio in fondo non sta andando così male: manca meno di un giorno e arriveremo al Campo. Inoltre, sono già riuscita ad avvertire Chirone di un nuovo arrivo!

Sembrava molto compiaciuta. Katja fece mente locale su chi diavolo fosse Chirone. Poi si ricordò: il centauro.

-  Non vedo l’ora di tornare a casa! – disse con aria sognante Percy, poi si rivolse ad Hazel e Frank – Vedrete, vi piacerà un sacco!

Il ragazzone cinese rispose con un sorriso poco convinto: ora che lo vedeva meglio, Katja notò che era davvero alto, con due braccia che avrebbero potuto spezzare il collo di chiunque senza il minimo sforzo. O almeno, questa era l’impressione che aveva lei.

Jason però sembrava poco contento della notizia:  - Io eviterei di festeggiare troppo in fretta: Gea risorgerà fra tre settimane, i Romani stanno per dichiarare guerra e non sappiamo se Arion è arrivato a destinazione con l’Athena Parthenos. 

Piper gli mise una mano sulla spalla: -  Io invece penso dovremo essere più ottimisti: ci abbiamo messo solo una settimana per tornare a casa, mentre all’andata il viaggio era durato molto di più! E poi gli attacchi dei mostri sono diminuiti: forse Gea e i Giganti si stanno indebolendo, forse le cose andranno finalmente per il verso giusto.

Jason non replicò. Nessuno in realtà credeva alle parole di Piper, lei per prima: non poteva essere diventato di colpo tutto così facile, ci doveva essere qualcosa sotto, ma era bello poter credere almeno per un po’ che finalmente la fortuna stesse dalla loro parte. La voce del Coach Hedge che li chiamava dabbasso interruppe la riunione. Katja si sorprese della velocità con cui aveva cucinato il satiro: com’era stato possibile?

Annabeth diede l’ordine al Coach di rimanere sul ponte a controllare la situazione, poi scese sottocoperta, seguita subito dagli altri. Imbarazzata, non sapendo cos’altro fare, Katja li seguì: era appena entrata nella mensa che già aveva trovato i piatti dei suoi compagni pieni e loro seduti per mangiare. Ogni piatto era riempito di una pietanza diversa, tranne il suo che era vuoto. Era in imbarazzo, perché si sentiva fuori posto, ma il sorriso rassicurante di Piper la tranquillizzò subito.

-  Vieni, siediti vicino a me. – le disse – Vedi Katja, questi sono piatti speciali: puoi decidere di mangiare qualsiasi cosa tu voglia e magicamente questa ti comparirà nel piatto. Prova!

Katja però non si era ancora seduta che Frank era saltato in piedi dal suo posto: 

- In realtà, ragazzi, prima di iniziare a mangiare penso sia meglio organizzare le difese: Jason ha ragione, il viaggio non è ancora concluso e Gea può attaccarci da un momento all’altro: occorre quindi organizzare…

- Oh andiamo, Frank! – la interruppe Leo – Rilassati! Siamo quasi arrivati a casa, noi siamo ancora vivi, la nave è ancora intatta e la nostra ospite non ci ha lasciati per passare a miglior vita.

-   In effetti, penso sarebbe anche ora di sapere un po’ di più su questa “ospite” – disse brusco Nico. 

Tutti si voltarono a guardare il cosiddetto “ospite”, che era rimasto in piedi. Frank si risedette; tutti rimasero come in attesa di un discorso, ma Katja rimaneva immobile. L’aria era carica di elettricità, e con uno come Jason a bordo, pensò Leo, la cosa era del tutto possibile. Il figlio di Efesto tirò fuori alcuni attrezzi dalla sua cintura e si mise a fabbricare qualcosa: cavolo, quanto odiava quei momenti di tensione, ma soprattutto odiava quando Nico si comportava così. Non aveva niente contro di lui, a parte il fatto che gli faceva venire un colpo ogni volta che gli arrivava alle spalle, ma non sopportava la gente che rovinava i bei momenti come quelli. Eccoli lì, tutti sani e salvi in rotta verso casa, con un pacchetto speciale a forma di ragazza per il campo e no che deve arrivare il figlio di Ade a rovinare tutto. Era come se adesso ci fosse un’enorme bomba accesa sul tavolo e nessuno avesse il coraggio di spegnerla o scagliarla via: aspettavano tutti che esplodesse. Leo osservò la ragazza nuova: era imbarazzata, ovviamente, e continuava a stropicciare la maglietta che le aveva dato Piper. Ora che la guardava meglio, Leo dovette ammettere che non era così brutta. Certo, niente di paragonabile alla sua adorata Calypso, ma anche lei era piuttosto carina. Quando l’avevano trovata, sembrava più tra i morti che tra i vivi, ma adesso, dopo una bella ripulita e un po’ di colore in più, era tutta un’altra persona. Aveva i capelli castani e folti, lunghi poco oltre le spalle, e dolci occhi marroni lievemente più scuri; aveva una carnagione olivastra e un fisico atletico, anche se in quel momento troppo magro. Continuava a mordicchiarsi il labbro inferiore dal nervoso. Leo conosceva quel comportamento: era quando si ha un segreto che non si vuole svelare. Percy guardò male Nico: -  Sarà lei a decidere quando raccontare e cosa raccontare e non noi, Nico. Non è giusto che… - ma lei lo interruppe. Parlò, non con una voce timida e imbarazzata, ma forte e sicura. In realtà, a Katja tremavano le gambe all’idea di dover parlare del proprio passato, ma non voleva mostrarsi debole, così accantonò le sue paure e cercò di dimostrarsi più sicura di quanto in realtà non fosse.

-  Ha ragione. è giusto che sappiate chi sono. Innanzitutto io…

Leo però la interruppe: - Fammi indovinare: non è una storia a lieto fine, vero?

Katja abbasso lo sguardo triste: - Veramente…no.

- Fantastico, continua pure allora. Mi piacciono proprio le storie strappalacrime.

Annabeth fece segno a Leo di stare zitto, poi tornò ad osservare Katja. La ragazza, ripreso un po’ di coraggio, ricominciò a raccontare: 

-  Ecco, sì, come prima cosa io…insomma la mia famiglia non è veramente di origine italiana: i miei nonni si trasferirono nel mio paese verso la fine degli anni ’70.  Mia madre crebbe in parte in America e in parte in Italia con sua sorella, imparando entrambe le due lingue. Persino con me, a casa, parlava americano. 
-  Per questo sai parlare così bene la nostra lingua. – intervenne Jason.
Sì. Abbiamo diversi parenti negli Stati Uniti, ma l’unico con cui siamo rimasti veramente in contatto era il cugino di mia mamma. Per il resto, io e mia madre abbiamo sempre vissuto da sole a Milano: non è stato difficile. Certo, vivere tutta la tua infanzia e adolescenza senza mai conoscere il proprio padre non è una passeggiata, ma noi due ce la siamo sempre cavata, sempre. Lei era insegnante di storia dell’arte, ma in realtà le piaceva tutta la storia, dalla preistoria alla storia contemporanea. Era appassionata però di storia antica, in particolare dei miti greci. Quando ero piccola, invece di leggermi le fiabe di Cappuccetto Rosso e Cenerentola, lei mi raccontava delle avventure di Ercole, Achille e Giasone, dell’amazzone Pentesilea e del re Minosse,… Sono praticamente cresciuta in questo mondo, ma mai avrei pensato che fosse reale. Di mio padre non seppi mai niente, se non che lui era di origini italo-greche. Lo odiai. Lo odiai con tutta me stessa. Ogni tanto trovavo mia madre sul terrazzo, che ascoltava le voci provenienti dalla strada, lasciando che il vento le asciugasse le lacrime. Non me lo diceva, ma io sapevo che le mancava, tantissimo. Quale uomo è così subdolo da far soffrire una donna tanto buona come lei? Quale? Me lo sono chiesta così tante volte, che alla fine ho rinunciato a cercare una risposta. Sapete, mia madre era una donna coraggiosa: non avevamo molto, ma non la sentii mai lamentarsi di ciò che non aveva. Ringraziava sempre per quello che aveva. D’altra parte non siamo state mai sole: la sorella di mia madre, zia Claudia, ci fu sempre per noi, ci sostenne e ci aiutò in ogni modo. Anche lei aveva una famiglia, un marito delizioso e due bambine dolcissime. Adoravo quella famiglia. Per me tutto era perfetto così com’era. Forse non ricevevo grandi regali a Natale, non potevo iscrivermi a club sportivi facoltosi e mangiavamo quasi sempre cibo surgelato, ma eravamo felici. Fino a quando mia madre non si ammalò: tumore, dissero i medici, o forse qualcosa di più grave. La ricoverarono e rimase lì per quella che mi sembrò un’eternità. Andavo a trovarla dopo la scuola e stavo con lei fino all’ora di cena: ogni giorno stava sempre peggio, sempre più pallida e sempre più magra. I medici non fecero mai niente per impedire l’avanzamento della malattia, mai. Avevano troppo paura di agire, troppa responsabilità per le loro fragili spalle: non avevano coraggio di prendere un’iniziativa, spaventati dai loro stessi obblighi. Fu mia madre a farne le spese, per colpa della loro vigliaccheria: non avendo ricevuto le adeguate cure, morì. Il vuoto che mi ha lasciato non verrà mai colmato. Dopo la sua morte fui immediatamente lasciata alla famiglia di mia zia. Ero triste, ma almeno avevo il conforto dei miei famigliari. Pensavo che magari, anche dopo la morte di mia madre, sarei riuscita ad andare avanti, a continuare a vivere una vita normale, nonostante il dolore. E invece, dopo appena due settimane, persi anche mia zia. Mi ricorderò di quella sera per sempre: stavamo tornando in macchina insieme. Era buio, in autostrada, e pioveva dirotto. Stavamo ascoltando una musica dolce e lenta alla radio; mia zia mi stava raccontando di quello che Nora e Silvia, le mie due cuginette, avevano fatto in quella giornata. Poi ci fu l’urto: quella creatura maledetta era sbucata fuori dal nulla e ci aveva travolto. Io mi sono salvata praticamente senza un graffio, ma mia zia…lei non ce la fece. Dopo l’incidente decisi di sparire: sapevo che quel mostro stava cercando me, mia madre mi aveva accennato, prima di morire, delle creature del Tartaro e del loro incredibile fiuto. È stata colpa mia se zia Claudia è morta, solo mia. Dovevo andarmene via prima. Dovevo proteggerli, erano una mia responsabilità. Solo una mia responsabilità…io non…

Non riuscì ad andare avanti. Si accorse che stava piangendo, da quanto tempo non lo sapeva. 

Ma ormai era fatta. Aveva tirato fuori quel terribile segreto che teneva nascosto con se da tanto, troppo tempo. Gli altri se ne stavano lì, a guardarla, senza muovere un muscolo. Forse la stavano giudicando per quello che era in realtà: un’assassina. Improvvisamente Piper si alzò in piedi, lasciò il suo posto e si parò di fronte a lei. Katja poté guardarla dritta negli occhi: erano un tripudio di colori che cambiavano continuamente. Erano immobili, l’una di fronte all’altra. A un tratto, Piper l’abbracciò, sussurrandole piano all’orecchio: - Adesso ci siamo noi. Non sei più sola.

Katja rimase allibita: non le aveva detto “passerà”, “ti capisco” o “mi dispiace”. Quelle erano tutte parole inutili, che non sanavano alcun vuoto, ma ciò che Piper le aveva detto era una promessa. 

Sorrise tra le lacrime.

- Grazie - disse.







 

Angolo Autrice:

Ciao a tutti! Ecco..so che non esiste scusa che regga  per la mia lunghissima assenza, posso solo chiedere scusa a tutti. Davvero, mi dispiace tanto. Spero di farmi perdonare con questo capitolo più lungo degli altri. Se trovate errori di battitura, d’espressione o grammaticali mi farebbe piacere saperlo. Un’ultima cosa: come molti di voi ho letto “La casa di Ade”. So che avevo detto in precedenza che la mia storia avrebbe seguito una trama diversa, ma non posso fare a meno di venire influenzata dalla storia originale. Comunque ripeto che questa storia continuerà ad avere una sua trama personale, sperando che Rick Riordan non mi fulmini con l’aiuto di Zeus per quello che scriverò. Concludendo, spero tantotantotanto che vi piaccia.

Baci Kira05

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