The Keepers

di Jess_Giu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo -Perdite e Abbandoni ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Musica e ricordi ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Boccali e partenze... ***



Capitolo 1
*** Prologo -Perdite e Abbandoni ***


 


 PROLOGO
 
 

-Perdite e Abbandoni...    
 
 

 



Il buio era denso in quella cameretta rivolta a Nord, dalle tende tirate che però lasciavano
comunque entrare uno spiraglio di luce dei lampioni fuori, perennemente accesi. Le luci esterne
disegnavano un gioco di chiari e scuri sul soffitto e sulle pareti blu della sua camera e al bambino
sdraiato sotto le sue calde coperte piacevano. Le ombre che inseguivano la luce, erano dei
cacciatori interessanti, abili a tal punto da essere sempre attaccati alla loro preda, ma mai
abbastanza forti da sorpassarla e catturarla definitivamente.  Suo padre gli aveva spiegato che tra
le Ombre e le Luci in realtà c’erano delle sottili linee tessute nel tempo e che da sempre, sin
dall’antichità, c’erano queste linee a dividere uomini e donne che rappresentavano questi due
schieramenti.
E gli aveva pure detto che quelle linee erano anche loro persone, persone molto speciali.
E che quelle persone molto speciali avevano da sempre fatto parte anche della loro famiglia.
Erano persone rare, creature che condensavano in loro quella linea ed erano essenziali per
mantenere il Segreto.
Il bambino si portò una mano davanti alla faccia e si lasciò andare a un piccolo sbadiglio, per poi
stropicciarsi gli occhi. Quella sera era molto tardi, il vecchio orologio a pendolo nel corridoio
aveva appena rintoccato la mezzanotte eppure i suoi occhi non avevano alcuna intenzione di
chiudersi, era come se stesse aspettando qualcosa. Le ombre improvvisamente si allargarono in
modo innaturale, mentre le macchie di luce facevano lo stesso e la linea sottile che li divideva
scomparve, lasciando spazio solo a un buio pesante che fece scattare in piedi  il bambino.  
C’era qualcosa che non andava, lo sentiva nel petto, come un peso che stava piano piano
aumentando e gli schiacciava il cuore, lasciandolo senza parole e con un espressione sofferente e
confusa.
Si liberò dalle coperte e lasciò perdere le pantofole, facendo scontrare i suoi piedini da bambino di
appena sei anni con le fredde piastrelle color pastello della sua stanza. Si spostò un ciuffo di capelli
scuri dalla fronte e avanzò rapidamente verso la soglia della sua stanza, chiedendosi che
cosa avesse, perché si sentisse improvvisamente così…
Attraversò il corridoio buio senza però aver paura di sbattere da qualche parte era conscio di
conoscere la propria casa a memoria e poi lui…lui improvvisamente si accorse di riuscire a
vedere al buio, come se non fosse un ostacolo ma solo una tonalità più bassa della luce a cui si
era ormai abituato. Un brivido gli percosse la sua fragile spina dorsale, troppo lunga per la sua
tenera età, mentre si avvicinava alla stanza padronale dove dormivano i suoi genitori.
Decisamente c’era qualcosa che non andava.
La porta di legno pesante e ornata di bassirilievi era socchiusa, una debole luce di una abatjour
illuminava come una pallida pozza d’acqua il tappeto che rivestiva il corridoio, ma ai suoi occhi
quella luce era improvvisamente più intensa.  Come se stesse diventando più sensibile.
Appoggiò una mano alla porta e la scostò ancora di più, per osservare la grande stanza dalle pareti
chiare e il soffitto a volta, che ospitava il grande letto matrimoniale dei suoi genitori  dalle
lenzuola stropicciate, e scoprire che fosse vuota. La lampada era stata accesa, e poi abbandonata
frettolosamente, anche i suoi genitori non avevano preso le pantofole, ma suo padre aveva raccolto
il proprio libro, quello che teneva sempre dentro al cassetto vicino alla sua parte di letto e il cui
contenuto era riverso tutto a terra a parte per il suddetto libro, non ne vedeva la copertina di
velluto, metà blu e metà violetta.
Il piccolo, rimase stupito da quel disordine, inusuale per lo standard del proprio genitore.
Poi sentii un urlo.
Non seppe che cosa successe esattamente da quel momento in poi, si ricordò solo di essersi
messo a correre, lungo il corridoio, giù dalle scale, inciampando nel pigiama troppo lungo, per poi
rialzarsi e fermarsi con il fiato in gola davanti al salotto dove si affacciava la porta d’ingresso.
Quel salotto caldo, dalle pareti antiche coperte da quadri e arazzi, scaffali colmi di libri e le piante
che sua madre curava e infilava in ogni nicchia per dare colore con i loro fiori durante la bella
stagione, in quel momento gli sembrò la stanza più fredda del mondo.
C’erano  due figure che fronteggiavano i suoi genitori e che in quel momento gli davano le spalle,
entrambe avevano lunghi capelli che ricadevano sulle loro spalle e inizialmente pensò che fossero
due donne, ma poi la voce che udì fu quella di un uomo.
-Inutile negare l’evidenza, sappiamo tutti chi siete e, soprattutto, che cosa siete. Il tempo delle
chiacchiere è finito, dovette ammettere le vostre colpe e poi andare in pace.- era una voce fredda,
dal tono tagliente.
-State facendo uno sbaglio.- ribatté in tono severo suo padre, sistemandosi indietro i capelli scuri
tanto simili a quelli del figlio, mentre con un braccio ferito portava la mogli dietro di sé –Dovreste
saperlo, noi siamo i buoni e se abbiamo colpe sono quelle che hanno  tutti.-
-Le vostre colpe sono cento volte peggiori, perché voi sapete, siete nati sapendo…- aggiunse una
seconda voce, mentre entrambe le figure alzavano le mani che avevano all’esterno –E voi dovrete
morire sapendo.-
-Ce ne sono altri come noi, la nostra morte non ci eliminerà.- disse fiero suo padre, mentre sua
madre, piangeva, aggrappandosi alle sue spalle forti.
-No, gli altri sono tutti morti. Siete gli ultimi.- scosse la testa una delle due figure, staccandosi
dall’altra ed estraendo una lama dal nulla, come se gli si fosse solidificata dalla propria ombra.
-Non è possibile…- fremette sua madre, guardando il volto sconvolto di suo marito.
Uno scatto luminoso e uno di tenebre, congiunti nello stesso momento e le due figure scomparvero
formandone una sola, un mostro. Il bambino urlò a quella vista mentre quell’essere si abbatteva
verso la gol di suo padre e sua madre finiva a terra, spinta dall’uomo che amava e che aveva
cercato di salvarla.
Gli occhi azzurri di sua madre cercarono quelli del bambino, terrorizzati, mentre suo padre gli
gridava di scappare e andarsene da lì al più presto, ripetendo :-Andate alla cantina, correte!
Sua madre lo afferrò per un braccio, sollevandolo, ma fu colpita da qualcosa, qualcosa di lungo e
doloroso, una specie di frusta che le strappò il retro della camicia da notte. Il piccolo urlò di
nuovo, mentre suo padre si rialzava a fatica e si gettava un’altra volta tra la moglie e la bestia
dalle sembianze umane.
Sua madre  lo afferrò, facendogli scudo con il suo corpo una volta che suo padre non fu altro che
un corpo senza vita con il sangue che impregnava il tappeto e fuoriusciva da ogni punto della sua
pelle. Il piccolo spalancò gli occhi, incapace di chiuderli, sapendo di non poter perdersi la fine
delle loro vite e dell’orrore che c’era nelle iridi di quella creatura a metà.
Un rumore disordinato di vetri infranti irruppe in quel momento nel salotto mentre qualcuno
rotolava per terra e scattava in piedi di fronte a loro, frapponendosi fra la morte e la loro vita,
proprio mentre sua madre gridava il suo nome:
-HELIOS!
E fu in quella notte che si abituò al peso che aveva dentro, quel peso che non era dovuto a una
cattiva sensazione o a una cena troppo pesante.  No, niente del genere.
Quel peso che sempre si sarebbe portato dietro era il peso della conoscenza, del sapere, quella
condanna o dono che poteva essere, che aveva portato alla morte suo padre e che in quel momento
gli aveva rivelato il nome di quella linea tra Ombre e Luci.

Il suo nome.
 
 







******************************************************************************









 
Il livello dell’acqua era salito notevolmente dopo una settimana di  continue piogge e i canali di
Venezia erano a dir poco pieni, l’acqua si riversava ovunque, con la sua forza e una velocità tale
che persino lui che vi viveva ormai da anni e vi era pure nato tra quei canali ne era rimasto
sorpreso.
Stavano per arrivare grandi novità  nella sua bella e trascurata Venezia.
Lo capì ancora prima che suonassero al suo campanello, quella notte.
Posò il vecchio libro sgualcito, dalle pagine gialle e dall’odore di vecchio, una delle prime edizioni
in lingua originale di Don Chisciotte e aspettò che la sua governante andasse ad aprire, sbirciando
dalla finestra la figura che entrava rapida, chiudendo l’ombrello e ringraziando la donna tonda che
gli aveva appena aperto.
L’uomo seduto sulla sua vecchia poltrona di velluto rossa, si portò di nuovo la pipa alla bocca,
sbuffando una nuvoletta di fumo blu, mentre sentiva le scale scricchiolare al passaggio della
governante e del nuovo venuto.  Si chiese chi fosse venuto a disturbarlo proprio in quel momento,
mentre si rigirava una piuma tra le dita lunghe e affusolate. Si pettinò i capelli brizzolati sulle
tempie e arricciò un baffo co delicatezza.
Quando bussarono alla sua porta si lasciò sfuggire un “Avanti” accennato con una sbuffata di
fumo azzurrino che ormai aveva impregnato tutto il suo studio ricolmo di cartacce impolverate e
tomi dall’aspetto spettrale e antico.
La governante lasciò entrare lo straniero e se ne andò subito dopo, senza dire niente, aspettando
fuori una richiesta dal suo superiore. L’uomo che si trovò di fronte il vecchio Vincenzo lo
conosceva bene, ma non sapeva cosa stesse stringendo al petto, sotto al cappotto rigonfio.
-Lieto di vederti, mio caro…- sorrise il vecchio, passandosi una mano sulla barba e osservando il
suo ospite con interesse. Era da molto che non lo vedeva, ma lo trovava incredibilmente cresciuto,
certo che l’ultima volta che lo aveva visto frequentava il collegio, ma ne rimase lo stesso stupito.
-Mi piacerebbe che il nostro ricongiungimento non fosse avvenuto in queste circostanze, ma non ho
molto tempo…- ribatté lui, in tutta fretta, sospirando e massaggiandosi la tempia destra con una
mano.
-Dov’è Sofia?- chiese improvvisamente Vincenzo, per poi notare un movimento sospetto di nuovo
sotto al giaccone dell’uomo di fronte a lui.
Lui scosse la testa e sospirò:-Ti devo chiedere un favore…
-Cosa?
L’uomo aprì lentamente la giacca e mostrò un fagotto da cui dopo poco spuntò una piccola mano
rosea, che lasciò basito il vecchio, mentre due occhioni azzurri lo fissavano, ridendo.
-Una bambina…- borbottò, spalancando gli occhi.
-Ti prego, Vincenzo. Dovresti tenerla.- mormorò di nuovo l’uomo, sforzandosi di fissarlo negli
occhi senza emozione  -Lei è…Dafne.
-Io…io cosa?!- esclamò quest’ultimo strabuzzando gli occhi.
 
 
 
 
 
 
 
 



 
Passarono quasi quindici anno da quella notte.
Da quella notte il destino di quei due bambini cambiò e crebbe con loro, in città diverse,
con persone diverse, ma destinato ad intrecciarsi, a portarli uno verso l’altro…

 
 
 




















Angolo Autrici: Ciao a tutti! Questa è la nostra prima storia in questa categoria!
                        Speriamo che vi piaccia... Se vi interessa lasciate un commento
                        ci farebbe molto piacere!
                        Grazie per aver letto fino a qui!
                        Un abbraccio 
                        Jess e Giu ;)






Helios:


Dafne:

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Musica e ricordi ***


Capitolo 1

Musica e ricordi

La musica della variazione di Odile
partì immediatamente e io iniziai a
eseguire la mia parte senza esitazione
perdendomi nella musica e lasciando
che i miei piedi si muovessero da soli.
Adoravo quella variazione perchè
era la più complicata. Mi mossi
sul palco del teatro la Fenice della mia
città Venezia. Iniziai a girare su me
stessa continuando a non pensare
e senza sentire il minimo sforzo.
Sentivo gli occhi della mia insegnante
fissi su di me.
La musica cessò e mi esibì in un
inchino.
-Brava Dafne è stato perfetto-
sorrise Madame Caterina
soddisfatta
-La ringrazio Madame- risposi
io passandomi una mano tra
i capelli umidi di sudore.
Nonostante li avessi liegati
qualche ciuffo cremisi dei
miei capelli ribelli era sfuggito
allo chignon ed ora mi penzolava
davanti al viso.
-Le prove sono terminate potete
tornare a casa. Ci vediamo domani
alle nove e mezza- ci congedò Madame
mentre andavo negli spogliatoi a
cambiarmi.
Mi tolsi il body, gli scaldamuscoli
e mi misi un paio di jeans attillati,
felpa azzurra e scarpe nere. Sciolsi
i capelli lasciandoli cadere liberi sulle
spalle. Ritirai tutto nella sacca e dopo
aver salutato i miei compagni uscì dal
teatro. Venezia pareva sempre uguale
eppure erano passati molti anni da
quando ero stata presa da Vincenzo
che mi aveva cresciuta come fossi figlia
sua, e permettendomi di studiare danza.
L'aria iniziava a diventare fredda, preludio
di un inverno rigido. Alzai lo sguardo verso
il cielo. Era raro vedere la neve a Venezia
però mi sarebbe piaciuto tanto vederla.
Con un tuffo nei ricordi ripercorsi i pochi
avvenimenti che riguardavano me e Vincenzo.
Ricordavo quasi fosse ieri la notte in cui
quell'uomo mi aveva portata da Vincenzo.
Non ricordavo il motivo sapevo solo che
era per proteggermi. Già, ma proteggermi
da chi? Non lo sapevo e Vincenzo non aveva
mai voluto darmi una risposta.
Mi fermai davanti alla porta di casa mia.
La aprii e subito notai che c'era più
trambusto del solito
-Ma insomma signorina Rose cosa ha
fatto ai capelli?- la voce della governante
mi fece sorridere.
Arrivai nell'atrio d'ingresso e vidi la
governante intenta a sgridare una
ragazza più o meno della mia età
con degli strani capelli rosa.
Sorrisi ancora di più riconoscendola.
Era mia cugina Rose.
Appena mi vide mi saltò al collo felicissima.
-O Dafne sono contentissima di vederti!-
affermò lei stringendomi talmente forte
da soffocarmi.
-Buonasera signorina Dafne sono andate
bene le prove?- mi chiese la goverante
con un timido sorriso.
Annuii e le feci intendere che volevo
restare sola con mia cugina.
La donna se ne andò annunciando
che la cena sarebbe stata servita
a breve. Rose mi trascinò nella
sua stanza, mentre nella mia mente
vorticavano le note del "Lago dei
cigni". Per una volta ero contenta
di rivedere Rose.
-Sono felice anch'io ma lasciami mi
stai soffocando- affermai annaspando.
Lei mi lasciò e io potei respirare

  
  
                                                       


 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Boccali e partenze... ***


 
Boccali e partenze... 



-Ci sono persone che sanno tutto
e, purtroppo, questo è tutto quello che sanno.-



 
Roma.
Città antica dalle mille sfaccettature, mille rovine per mille luci. 
Fu la casa di contadini, poi guerrieri, grandi legionari, condottieri, imperatori, schiavi e mendicanti.
Il Tevere scrosciante l’attraversava, come un’arteria che attraversa il muscolo pulsante quale il cuore
di un corpo umano, con le sue acqua torbide e mosse dalla fitta pioggia che cadeva dall’alto quella
sera. Nubi grigie e poco gradite dai suoi abitanti eclissavano il cielo e a tratti coprivano un piccolo spicchio di sole, vacillante in quel turbine.
L’Anfiteatro Flavio, meglio noto al mondo con il nome di Colosseo, riposava calmo e placido al
centro di Roma racchiudendo in sé storie e avvenimenti accaduti ormai troppo in là nei secoli per
essere rimembrati, mentre la sua fontana zampillava armoniosamente lì vicino, con le sue acque
schiarite dai lampioni tutti accesi. Poco lontana, vicino a una riva del Tevere in una antica villa le
luci erano ancora accese, sebbene fosse passata da poco la mezzanotte.  
Stavano aspettando in silenzio il suo ritorno.
Un’ombra scura e densa, più densa di una semplice ombra, poiché aveva un corpo si mosse in
silenzio in mezzo ai vicoli stretti della parte antiche della città, immersa nelle ombre cos’ simili a
quella stessa figura. Non aveva molto tempo, doveva sbrigarsi prima che fosse tardi.
Superò  in fretta un vicolo dove qualche cane randagio aveva fatto rovesciare i secchi
dell’immondizia e si avvicinò a un locale ancora aperto, dall’insegna consumata dal tempo e che
recitava una sola e unica parola latina “Nox”. Era uno di quei posti nascosti, fatti apposta per non
essere notati dai soliti turisti che arrivavano da tutto il mondo, in tutte le stagioni per visitare e
scoprire i misteri della capitale italiana, non sapendo che fosse inutile.  Un solo viaggio non avrebbe mai potuto rivelare i misteri nascosti persino a coloro che vi erano nati…
Il campanello appeso di fianco alla porta trillo dolcemente quando la porta si aprì e si richiuse dietro
il nuovo venuto. Quello era l’unico rumore dolce che avrebbe mai potuto ascoltare là dentro, dove
insieme all’ossigeno si poteva respirare solo fumo e musica jazz datata e un po’ stridente che
fuoriusciva da un vecchio giradischi posato di fianco al bancone lucido del pub. L’arredamento era
consumato ma ben tenuto, morbido e vissuto…sapeva in qualche modo di casa per chiunque ci si
rifugiasse e, gira che rigira, le facce erano sempre le stesse, un po’ come le facce di una seconda
famiglia.
Il nuovo venuto, quindi, non era di certo un forestiero e questo lo dimostrò anche il modo in cui si
mosse sicuro verso uno dei divanetti sul fondo del  locale, vicino alla finestra con le inferiate
abbellite con delle piante rampicanti e delle tende purpuree, dove vi era stravaccato un ragazzo dai
capelli nascosti sotto a un berretto di lana verde acido e la felpa di un rosso acceso che era come un
pugno in un occhio per chi lo guardasse. Aveva spalle non molto larghe, ma muscolose, con un fisico
asciutto e flessuoso per essere un ragazzo, le gambe ben divaricate e le dita impegnate nel farsi
scorrere a una velocità impressionante una piccola biglia dai colori sgargianti. Di fronte a lui un
boccale pieno di una sostanza rosa dalla schiuma chiara e densa, da cui ogni tanto traeva un sorso
tramite una cannuccia violetta.
Il nuovo venuto scosse la testa, avvicinandosi, ormai privo di parole.
-Possibile che tu sia sempre qua?- sbuffò il ragazzo, senza neppure voltarsi, posando di scatto la
pallina sul tavolo di fronte a sé con un movimento molto rapido, che però lui distinse nettamente.
-Possibile che tu debba sempre farmi fare figuracce venendo qui a bere quella poltiglia?- ribatté la
figura, ormai alle sue spalle.
Il ragazzo posò le braccia mollemente sullo schienale del divano e si volto per metà mostrando un
viso giovane da ventenne con labbra non troppo grandi piegate in un ghigno divertito sotto  a un naso
dritto a patatina e due grandi occhi verdi che lo guardavano scherzosi come sempre, mentre  dal
cappello fuoriuscivano qualche ciuffo disordinato di capelli biondo cenere spettinati verso l’alto.
-Che problemi ai con i frullati alla fragola?
-Che problemi hai TU con il sottoscritto?- l’altro si lasciò scivolare di fronte all’amico, passandosi
una mano fra i capelli scuri e alzando una mano verso la cameriera, una ragazza sui diciotto anni dai
capelli chiari che si apprestò ad avvicinarsi –Una birra media, Anna, grazie!
Anna sorrise, sbrigandosi ad accostarsi al bancone, senza preoccuparsi dello scollo della maglia che
dava modo al barista di intravedere il reggiseno azzurrino che portava, o delle gambe lasciate
scoperte dai pantaloncini corti e coperte appena dalle calze sottilissime.
-Il mio problema con te è che quando decido di farti una visita non ti trovo mai a casa! Anzi, se devo
dirla tutta…non ti trovo da nessuna parte! Cos’è sta storia che devi sempre essere tu a farti vivo se no
pace e avanti il prossimo? Anch’io ho dei sentimenti! E una vita!– rispose teatralmente il biondino,
agitando in aria un braccio e facendo spuntare un live sorriso sulle labbra serie dell’altro.
-Ma se ogni volta che vengo sei sempre qui…- gli fece notare, lasciando che Anna gli posasse il
boccale davanti e  si sedesse di fianco all’amico.
-State di nuovo battibeccando come una coppia sposata?- rise la ragazza, accavallando le gambe e
posando un braccio sul tavolo fece scorrere i suoi occhi chiari su entrambi.
-Lui battibecca, io espongo le mie ragioni!- sentenziò il biondino, per poi abbracciarla e sollevarla
per prendersela in braccio –E tu, mia bella punzella? Hai finito il turno? O dovrò ancora aspettare
molto?
-Oh! Come siamo impazienti!- si divincolò la ragazza, ridendo.
-Non sono impaziente! Sono preoccupato! Come dovrei sentirmi sapendoti in questo postaccio
frequentato da burberi e rozzi maschi vestita in tale maniera?!?- ed indicò con faccia indignata i suoi
abiti.
-Andiamo Luke! Se questo posto lo frequentate sempre voi due!
-Esattamente! Io perché sono un gentiluomo e devo badare a questa testa calda, rozza e burbera!-
indicò il ragazzo dai capelli scuri, che se ne stava lì tranquillo a sorseggiare la propria birra, con un
gesto della mano.
-Ti devo ricordare che questa testa calda, rozza e burbera è il tuo migliore amico?- lo freddò l’altro
con nonchalance, con gli occhi scuri divertiti.
-Lo so, e gli amici si accettano per quelli che sono!- scrollò le spalle Luke per poi farsi serio –Comunque tu, cara la mia principessina, non uscirai mai più vestita in tale maniera per lavorare in un
tale posto!-
-Dai Lu! Sono abbastanza grande per decidere cosa indossare quando esco!
-No che non lo sei, come i fatti dimostrano!
-Invece lo sono!
-No!
-Sì!
-Nooo!
-Siiiiiiiiiiiiiii!
-Ora finitela! – sbuffò, indispettito il ragazzo dai capelli scuri e gli occhi ancora più bui -   Luke, Anna è abbastanza grande per decidere da sola cosa mettere!
-Visto!- gli fece la linguaccia la ragazza, mentre Luke incrociava le braccia indignato.
-Anna, Luke si preoccupa perché oggi sei davvero svestita e lui ci tiene molto a te, perciò la prossima
volta indossa qualcosa di più adatto, ok?
-Visto?!?!- fu il turno del biondo e l’altro alzava gli occhi.
-Va bene…scusami…- mormorò Anna baciandogli una guancia e alzandosi –Finisco di lavorare e
arrivo!
Luke la osservò riprendere in mano i vassoi e dirigersi dietro al bancone parlando con il barista,
anche lui giovane dagli occhi scuri e i capelli ricci, sospirando. Poi tornò ad osservare l’amico. Il
ragazzo di fronte a lui si stava sistemando il lungo cardigan nero, alzandone il colletto, così scuro da
far risaltare il chiarore così intenso della sua pelle, su cui gli occhi scuri risaltavano ancora di più,
grandi e profondi, velati sempre da quel sentimento che con il tempo si era abituato ad identificare.
I capelli neri corti erano scompigliati e gli si addicevano, rispecchiando quel tormento interiore che
aveva fin da bambino.
-Anna è una ragazza in gamba…- lo rassicurò.
-Così in gamba che si è presa una cotta enorme per te…- si strinse nelle spalle il biondino,
distogliendo lo sguardo e sorseggiando il suo frullato.
Il ragazzo scuro rimase in silenzio a guardarlo, per poi scuotere la testa:-Luke, lo sai benissimo che…
-…la vedi come una sorella, sì…Ma lei è mia sorella, non tua…-sorrise tristemente il ragazzo –A
volte sembra che siano le persone a volerti più bene di quanto tu ne sia capace di dare persino a te
stesso…-
Silenzio.
I due evitarono per un attimo di guardarsi, poi l’altro si schiarì la voce e si alzò,
posando i soldi sul tavolo.
-Ci si vede, Luke…
Sapeva che forse pareva che stesse scappando, ma non era affatto così, era solo stanco, Stanco che le
persone gli dicessero ciò che lui già sapeva su se stesso, era incapace di amare davvero una persona,
sapeva cosa voleva dire, perché lui sapeva ogni cosa, ma non ne era in grado.  O non voleva, detto in
modo più semplice.
Si avvicinò rapidamente alla porta, facendo trillare i campanelli mentre l’apriva.
-Questa volta non ti permetterò di scomparire nel nulla, lo sai vero?- lo bloccò sulla soglia il biondo,
alzandosi dal divanetto e fissandogli le spalle.
Non rispose.
-Noi due siamo legati, Helios, questo lo sappiamo entrambi.
Il ragazzo strinse i pugni e sospirò :-Non dirmi ciò che devo sapere, perché io lo so mille volte
eglio di te, Luke…
E con tali parole uscì da quel posto, inoltrandosi un’altra volta nelle tenebre, mentre il suo migliore
amico finiva tutto d’un sorso il frappè e posava rumorosamente il boccale sul tavolo, prima di
lanciarsi anche lui nelle tenebre della fredda e notturna Roma. 
Helios non sapeva che quella notte sarebbe partito dalla sua città, in seguito a una scoperta, e ben che
meno non sapeva che non sarebbe stato l’unico ad andarsene…
 






 

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