The Fault In Our Stars - Pernico.

di SisterofNicoDiAngelo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Do molta confidenza agli sconosciuti. ***
Capitolo 2: *** La mia mentalità mi porta nella casa di un pazzo. ***



Capitolo 1
*** Do molta confidenza agli sconosciuti. ***


Uno.
Do molta confidenza agli sconosciuti.
 

Ciao sono Nico di Angelo, e sono vivo e vegeto. Ma che dico?! Okay, ricomincio.
Ciao, sono Nico di Angelo e i miei polmoni fanno un vero schifo come la mia vita! Ora sembra perfetto come inizio, vero? Beh, dico per cominciare la mia storia che io non sono depresso, cosa che qualcuno come per esempio mia madre crede di sapere sul mio conto. Se per depresso intendete un ragazzo che legge lo stesso libro, dorme sempre, guarda la tv costantemente da mattina a sera e non frequenta nessuno per pura noia che cresce ogni minuto.. quello ero io per essere onesti. Certo, potevo ammettere che  la mia vita non è stata così facile fin dall’inizio. I miei polmoni non funzionavano un granché e di solito mi ritrovavo dell’acqua in essi, portandomi a soffocare e ad urlare come un pazzo nel bel mezzo della notte. Quanto odiavo essere così... malato. Sbuffai pestando il piede a terra, quando mia madre continuava e continuava a dirmi che dovevo socializzare. Ma io stavo già socializzando con il divano: ci volevamo così bene che ci dormivo abbracciandolo. Chi mi credeva pazzo aveva ragione. Meglio non dirlo a mia madre, peggiorerebbe solo la situazione. La sua fantastica e mitica idea per me era una semplice e deprimente idea, dovrebbe far due più due. Andare al gruppo avrebbe solamente portato la mia vita alla morte, ma più in fretta. Perché prima o poi ci arriverò, giovane o vecchio che importa! Ognuno muore, nessuno è immortale.
« Certo che sei un testardo, Nico! » Ringhiò infastidita mentre ripuliva un altro piatto. Sgranocchiai tranquillamente un biscotto al cioccolato da lei preparato, e finii in fretta per risponderle.
« Se io non voglio andare a questo santissimo e sottolineo santissimo gruppo di sostegno, supporto o come lo vogliamo chiamare, non mi ci manderai mai e poi mai senza il mio permesso! » Le dissi. Mi pulii le labbra con il dorso della mano e battei un pugno sul banco di lavoro della cucina. « Ci sono le Haribo? » Chiesi affamato.
« Finché non ti deciderai ad andare al gruppo di supporto, niente Haribo. E neanche Happy Meal, amore mio. »
Posso dire che era un bel ricatto per mandarmi a quel gruppo, però avrei rinunciato anche ad un Happy Meal solo per non poggiare il piede su quel suolo piatto e liscio. Non mi avrebbe aiutato così tanto quanto me ne serviva per la mia stabilità mentale, ma certo che era veramente una grande testarda se non capisce che sto rifiutando!
« Mamma, rinuncio anche ai Happy Meal ma io non voglio andarci! » Sospirai affranto. « Non puoi costringermi, e non chiamarmi amore mio. »
« Sei un adolescente, tesoro. Okay? Non puoi passare tutti i santissimi giorni a casa, su un letto, senza far nulla e a leggere quel cavolo di libro ogni volta che entro in stanza! » Sibilò a denti stretti. « Goditi la vita, perché ne hai solo una purtroppo. E non cento come nei cartoni animati, che quando muoiono si ricreano o peggio. »
« Sì, un adolescente con dei ormoni a mille  che si innamorerebbe della prima ragazza che passa per strada. » Presi la bombola d’ossigeno in braccio e la poggiai sul tavolo. Poi mi sedetti affaticato per lo sforzo. « Se devo vivere la vita, fammi un documento falso e mandami in una discoteca, a bere e a sparare erba. Sarebbe un bel modo per socializzare. »
« Amore, l’erba non si spara come dici tu. » Mi corresse  riponendo l’ennesimo piatto nel mobile davanti a sé, poco sopra al lavello. « Sei testardo come un mulo. »
« Chissà da chi ho preso. » Commentai sorridendo maliziosamente.
« Non da me, amore. » Ghignò divertita. « Semmai da tuo padre, quell’idiota quando si ritira a casa?! »
« Oggi aveva il turno di notte, mamma. La vecchiaia si fa sentire presto, eh! » Le ricordai sghignazzando.
« Ragazzino, tengo solo quarantadue anni e per questi quindici anni non ti ho educato solo per passatempo, sia chiaro. Prendi esempio da Bianca, no? Rispetta chi ti ha messo al mondo. »
« Lo farò madre. » Dissi con tono aristocratico. « Iniziando da domani, quando io dormirò alle sei nel mio lettuccio caldo invece di partecipare a quel fastidioso incontro che inizia alle cinque in punto nel pomeriggio inoltrato. »
« Cosa devo fare per farti dire sì? Quel fatidico sì?! »
« Niente, perché io non cambierò idea, mamma. » Sbuffai alzandomi, afferrai  la bombola e la trascinai con il manico fino alla mia stanza che si trovava a pochi centimetri dalla cucina.
Non potevo sopportare le scale, avrei preso un infarto o cosa se mi sforzavo ancora di più. Se non fosse per i miei polmoni fradici e inutili, in quel momento potevo essere insieme  a due sconosciuti per strada, a bere qualcosa di alcolico come la tequila e fumare di brutto venti Merit di fila. Se non fosse per i miei polmoni avrei fatto tutto, apparte tenere una bombola d’ossigeno sempre dietro che mi dava aria nei polmoni ogni minuto. La trasmetteva in un tubo (una cannula che io miseramente chiamavo tubo) che arrivava fino al collo, ma si divideva sotto al mio pomo d’Adamo, poggiati dietro alle mie orecchie e si piegavano fino a riunirsi sotto al mio naso, nelle mie narici. Certamente in quelle condizioni non mi avrebbe notato neanche un miserabile. Onesti al cento per cento. Misi lentamente la bombola a terra, accanto al mio letto dove in pochi minuti mi ritrovai con la faccia che sprofondava nel cuscino a piume. Perché non avevo una vita facile. Il mio telefono, poggiato sul mio comodino vibrò per qualche secondo per farsi notare dal sottoscritto. Mi rimisi seduto sbadigliando, e trascinai il dito sul touch screen del mio Iphone 4S leggendo il messaggio di mia madre.
“Pronto per un incontro al gruppo di supporto, amore? :) ”
Con tanto di faccina, anche. Era seria la situazione.
“Manco se sprofondassi negli abissi dell’Inferno, madre!”
 
Se solo potessi aprire la terra sotto i miei piedi, e sprofondare lo farei. Se solo mia madre con euforia e forza il giorno dopo non mi avesse infilato in macchina e portato nel retro della chiesa dove si teneva l’incontro starei a casa nel mio letto a dormire. Comunque, il merito era tutto di Jason. Un ragazzo che avevo incontrato proprio ad un incontro, il primo. Potevo definirlo uno che era simpatico, anche se era difficile ammetterlo per uno come me. Solitario e diverso. Jason aveva avuto il cancro agli occhi (possibilmente, non ne ho la minima idea di come fosse capitato proprio in quel punto). Portava delle lenti invisibili, che li rendevano celesti e enormi. Erano bellissimi da vedere, come potevo non dirlo?! La sua fidanzata, Reyna, lo veniva sempre a trovare, poi chissà dove se ne andavano. Ma questo, di certo, non erano affari miei. Con mosse meccaniche scesi dalla macchina, non appena mia madre si fermò sul vialetto accanto alla chiesa. Posai la bombola che poco fa era sul mio ventre a terra e aspettai che il rimbombo del motore finisca.
« Ti voglio bene, amore. »
« Anch’io, mamma. Ci vediamo dopo. » Le dissi baciandole le guance.
Arrossì leggermente, lo notai poco per la sua carnagione olivastra ma sorrisi. La sensibilità delle donne era così fragile e carina, pensai avviandomi lentamente nella porta della sala. Quel che sembrava una palestra con un parquet liscio e levigato era invece il posto in cui si teneva l’incontro del gruppo di supporto che dovevo sopportare ogni venerdì alle cinque in punto. Nel bel mezzo della sala padroneggiava un enorme tappeto con raffigurante il viso angelico di Cristo, e ben dodici sedie che lo accerchiavano.  Chirone era seduto a gambe incrociate sul tappeto, mentre la stanza si riempiva in pochi minuti. Be’, che dire? La solita riunione fin quando nella stanza non irruppe un ragazzo dai capelli neri con riflessi verdi (sì, lo trovai stranamente strano e carino) e gli occhi di questo medesimo colore, ma sembrava come un oceano poco profondo. Camminava zoppicando e si sedette accanto a Jason, i quali si scambiarono delle pacche sulla spalla e delle risatine nervose ad ogni battuta squallida dell’altro.
« Buon pomeriggio, ragazzi. » Iniziò Chirone, attirando l’attenzione dei dodici presenti, compreso me. «       Oggi abbiamo l’onore di ospitare un nuovo ragazzo nella nostra famiglia. Con le presentazioni ci penseremo dopo, chi ha voglia di parlare? »
Era tutto così palesemente noioso. La stanza si ammutolì all’istante, quando Chirone finì di proporre la sua richiesta che nessuno voleva eseguire. Quel nessuno era Jason che alzò la mano in attesa che il vecchio esaudisse il suo desiderio.
« Jason Grace. Parla pure. »
Il ragazzo balzò in piedi provocando le risate di tutti, anche di Chirone, ma le cessò tossendo. « Okay, uhm. Sono Jason, Jason Grace e ho compiuto diciotto anni l’altro ieri. Sono affetto da un cancro agli occhi, e purtroppo diventerò cieco in meno che non si dica. Per essere precisi e sinceri, fra due settimane o il mese prossimo. Che dire? Non è mica bellissimo o stra-figo essere cieco all’età di diciotto anni? Affatto, dico che mi fa disgusto sapere che sarò peggio di un vecchietto di ottanta anni, cosa che diventerò per la mia malattia rara. Ma con me c’è Reyna, la mia ragazza, e questo idiota di un Percy Jackson. Posso almeno accontentarmi, fino a questo punto no? »
« Certo che sì! » Annuì il vecchio. « Percy! Vuoi parlare tu? »
« Ehm, io? » Domandò rosso. Deglutì con così tanta foga e rumorosamente che lo sentii perfino io. « E cosa..? »
« Raccontaci di te, di cos’hai, se ti senti bene.. » Disse Chirone incoraggiandolo, nel frattempo diedi uno sguardo ai ragazzi e le ragazze lì. Leo Valdez, leucemia. Annabeth Chase, cancro all’appendice. Direi che uno era in un mare di guai più dell’altro. E non notai neanche i bellissimi occhi grigio tempesta di Annabeth fissavano incessantemente quelli di Percy che boccheggiava trovando delle parole giuste da dire. Quando venne il momento, si alzò quando scoccarono le cinque e un quarto. Il tempo non volava mai.
« Ehm, ciao! Mi chiamo Percy Jackson, e ho diciassette anni. Fin da piccolo ho avuto un osteosarcoma alla gamba destra. Vedete? » Si piegò in avanti e alzò il lembo del jeans mostrandoci la sua gamba artificiale. La abbassò poi sospirando. « Ho abbandonato il nuoto, l’unica cosa che mi rendeva felice. Ma ora mi sto rialzando, grazie a quest’idiota. »
Darsi dell’idioti a vicenda era davvero entusiasmante. Jason che ci rimaneva male poi era la fine del mondo, perché sporgeva il labbruccio e si ancorava a Percy dicendogli “ma mi vuoi sempre bene, vero?”. E quest’ultimo rispondeva un “va al diavolo”. Scena esilarante, fin quando Chirone mi inquadrò e mi indicò.
« Nico, vuoi parlarci di te? » Mi chiese divertito. La mia risata cessò come quella degli altri quando iniziai a balbettare e a sudare freddo stringendo tra le braccia la mia bombola d’ossigeno. Peggio di un’interrogazione, davvero, pensavo che sarei svenuto da un momento all’altro per il nervosismo che circolava nelle mie vene. Mi diedi una regolata, feci un sospirone e cominciai a parlare di quel che ne so sulla mia vita contata.
« Mi chiamo Nico, ho quindici anni e sono affetto da una tiroide con metastasi polmonari. E’ uno schifo non respirare. Seriamente, ve lo sconsiglio. » Commentai sospirando.
L’aula cadde in un silenzio assordante, tutti cacciavano sospiri e altri bisbigliavano come se stessero svelando un segreto troppo segreto. Due di questi erano infatti Percy e Jason che non la smettevano di  ridere e parlare. Incrociai le braccia al petto, e in quello stesso momento Chirone aprì bocca.
« Percy Jackson. » Lo interruppe il vecchio, avvicinandosi al corvino. « Vorresti raccontarci delle tue paure? »
« Cosa? »
« Le tue paure. Sveglia ragazzo! »
Rise. « Oh, le mie paure?  Ehm…io ho paura dell’oblio. Già. Oblio, brutta cosa. » Con un po’ di esitazione divenne talmente rosso che mi fece pena. Pena?! Nico! Risvegliati porca miseria!  Mi trattenni da non schiaffeggiarmi da solo, ma forse Chirone mi fissò non appena chiusi gli occhi talmente forte che ebbi paura di non vederci mai più un attimo dopo averli aperti.
« Nico.. » Sibilò con tono innocente. «Vorresti dire qualcosa?  »
« I-io? » Poggiai una mano al petto, certo, sei l’unico Nico di Angelo qui! Fesso! Svegliati! Scossi il capo e sospirai, nonostante l’aria si fosse riempita di risate dirette a me, che avevo fatto la figura dell’idiota davanti undici ragazzi, tra i quali anche il nuovo arrivato. Con enorme fatica, mi misi in piedi e....
« Fra qualche anno, non ora forse, saremo tutti morti. Nessuno escluso, tutti noi saremo, che ne so, negli Inferi o a ricevere congratulazioni dagli angeli in Paradiso. Non so, tutto questo sarà perso. Non potremmo riaverlo indietro, mai, tutto ciò che stiamo vivendo e questo momento andrà disperso tra i nostri ricordi. Non rimarranno persone che si ricorderanno Napoleone e come morì, o Cristoforo Colombo che scoprì l’America nel 1492 con le Tre Marie. Neanche te ricorderanno, sai? Un tempo in cui noi non saremo presenti quando verrà.. » – feci le due virgolette con l’indice e il medio – « “La fine del mondo”, o forse sì, saremo qui quando il mondo andrà completamente nell’oblio. Se ti preoccupa, ignora tutto. Okay? Un consiglio tra due che ne sanno del male che ci porta ad affrontare il nostro mondo. »
Dopo che sospirai per il lungo discorso, Chirone fissava le sue unghie mentre il resto del gruppo aveva abbassato lo sguardo, poiché ciò che avevo detto non era andato perso all’aria nella stanza. No, coloro che partecipavano non erano undici bambini che da un orecchio entrava e dall’altro usciva: quella era la dimostrazione alla mia affermazione che era sbagliata. Jason mi fissò inquietante, poi strizzò l’occhio; Percy invece aveva spalancato la bocca e si sporse verso di me, con il pugno chiuso. Credei che volesse battere il suo con il mio così mi avvicinai e li scontrammo.
Accompagnato dal suo sorriso, e gli occhi verdi luccicanti che ricordavano il mare annuì. « Sei molto interessante, hai le idee chiare. Mi piaci ragazzino. »
Feci per ribattere che io non ero un ragazzino se aveva sputato quelle parole come veleno. Dovrebbe rendersene conto, per un momento immaginai di prenderlo a schiaffi e a pugni, anche a calci per essere onesti. Ma non lo feci purtroppo, perché il rumore delle sedie che strisciavano sul pavimento attirò la mia attenzione, anche il braccio di Jason che tirava il mio.
«Eh- » Gridai arrabbiato, ma l’enorme mano del biondo tappò le mie parole premendoci, quasi facendomi male. Increspai le labbra chiudendo le palpebre, quasi per trattenere il male che Jason mi causava solo con la sua mano. Il tubo mi fece male, che per un momento avevo quasi dimenticato, poi lo staccò sussurrandomi uno “scusa” dispiaciuto. Veramente. Risistemai i tubicini sotto al mio naso a distanza perfetta poi Chirone ci ricordò di prenderci per mano per la preghiera finale. Non mi ero reso conto che era passata mezz’ora, volando.
« Cristo, Signore, siamo riuniti qui, nel tuo cuore, essendo sopravvissuti al cancro. Tu e solo tu ci conosci come noi ci conosciamo. Guidaci attraverso l’oscurità, verso la luce nei momenti di difficoltà. Preghiamo per gli occhi di Jason, per il sangue di Leo, per la gamba di Percy, per la gola di Hazel, per le braccia di Frank, per i polmoni di Nico, per l’appendice di Annabeth, per il cuore di Piper. Preghiamo che tu possa guarire e che noi possiamo finalmente meritarci il tuo amore e la tua pace che supera ogni comprensione. Ricordiamo color che noi abbiamo amato e supportato, che in questo momento sono tornati a casa. Da te. Preghiamo per Percy, Nico, Jason, Leo, Annabeth, Hazel, Frank, Piper, Silena, Reyna, Calypso e Will. Amen. »
Dopo che fummo liberati, chiusi le palpebre deciso ad essere il primo ad uscire. A pochi passi dall’uscita del retro della chiesa, sentii afferrarmi la maglia, cadendo per terra. Non proprio a terra, bensì tra le braccia del nuovo arrivato, fortunatamente Jason salvò la mia bombola d’ossigeno, o sarebbe esplosa. Mi rimisi in piedi completamente confuso, ripresi il mio ‘porta-ossigeno’ e diedi uno sguardo ai due ragazzi che ridevano da ebeti. « Chi è stato? »
« Jackson. » Rispose il biondo con un tono malizioso.
Percy gli rivolse un’occhiataccia poi iniziò a fissarmi, quasi scrutando nel profondo dei miei occhi d’ossidiana. « Sì, sono stato io. Volevo parlarti. »
Mi ammutolii all’istante poi sospirai. « Ah sì? »
« Sì. Come ti chiami? »
« Nico. » Risposi da ‘capitan ovvio’.
« Il tuo nome completo, ragazzino. »
« Primo, io non sono un ragazzino! Secondo..Nico di Angelo. »
« Hai il nome di un angelo ma non ci assomigli neanche un po’. » Sghignazzò il corvino. Sbattei le palpebre per poco, fermando la voglia di rovinargli il suo bel sorrisino scorbutico e feci per andarmene scendendo le scale con lentezza. Misi a terra la bombola e la trascinai fino al marciapiede dove incominciai ad avviarmi verso casa.
« Aspetta! » Urlò Percy venendomi incontro. Cercai di affrettare il passo, ma i lampioni accesi non illuminavano granché. Una più avanti scoppiò in mille scintille: Come non detto.
Percy mi raggiunse, si mise davanti a me come per proteggermi nel suo enorme abbraccio poi si scostò imbarazzato. Si grattò la nuca e rise. « Scusami, troppo protettivo con la gente che mi interessa. »
« Scommetto che l’hai fatto anche con Annabeth prima di entrare nel “cuore di Gesù”. » Ribattei provocatorio. « Posso? »
« Eh no. » Scosse il capo, poggiò il braccio sulle mie spalle e mi ricondusse verso la chiesa quasi lanciando un’occhiataccia al lampione esploso. « Tu vieni con me. »
« Casa mia è dall’altra parte!! »
« Stai zitto. » Rise. Quando passammo davanti alla chiesa, mi strinse ancora più forte e salutò quel che pensai fosse Annabeth, ma invece era Jason che sbaciucchiava amorevolmente una ispanica di spalle. La riconobbi dalla treccia ordinata che le cadeva sulla schiena in seguito i suoi jeans skinny e la maglia da football senza cognome: Reyna Avila Ramìrez Arellano.  Ci fermammo poco dopo davanti alla fermata dell’autobus, in quel preciso istante ci allontanammo entrambi ma il suo sguardo rimaneva sul mio corpo esile come se lo stava attraendo.
« Perché mi fissi Jackson? »
« Perché sei carino, e bello.. forse ho sbagliato. Mi sembri un vero angelo..dark. » Commentò.
Purtroppo la mia attenzione non era su di lui, ero attratto da figure lontane, quasi irriconoscibili, ma i muscoli delle braccia di Jason che guizzavano ad ogni movimento, le avrei riconosciute ovunque. Percy colse il mio sguardo, e tutti e due allo stesso tempo facemmo una faccia disgustata. Reyna aveva bloccato al muro Jason, nonostante le lamentele di lui che voleva liberarsi dalla stretta della ragazza. Ma non volevano saperne affatto.
« Ehw, che schifo. » Sputai come se fossero veleno, ma Percy ricominciò a fissarmi. « Smettila. »
« Okay. » Alzò le spalle e frugò nelle sue tasche da dove uscì un pacchetto di sigarette nuovo, aprì il coperchio e ne sfilò uno che mise tra i denti, manualmente. Il tutto seguì con lo sguardo i movimenti che fece per afferrarla e metterla tra le labbra. Strinsi i pugni e pestai il piede sul marmo rivolgendomi contro di lui con un rabbia davvero inimitabile.
« Hai rovinato tutto! Sei un’idiota! » Ringhiai portandomi le mani ai capelli, ringhiai a denti stretti e abbassai il capo, come se mi stesse per venire un’emicrania. La sua risata cristallina fece di scatto aprire i miei occhi e iniziarlo a osservare come faceva cadere di proposito la sigaretta che riprendeva di scatto.
Sorrise, un mezzo sorriso inquietante. « Semmai te. »
« Stai parlando con il tuo assassino, deficiente. » Lo provocai con uno sguardo a dir poco di fuoco. « Non sai come si può sentire maledettamente da schifo non avere dei polmoni buoni come i tuoi. Vorrei fare quel che fai tu, ma non posso. Perché vuoi farmi incazzare?! Lo fai apposta?! Sei un’idiota! Un’idiota che sa solo far star male la gente! Stronzo, cretino, egoista.. » Di scatto con una mano afferrò il mio viso, e mi costrinse a schiudere le labbra.
« Schiudi le labbra. »
« Niu. » Quel che era un semplice ‘no’ divenne un ‘niu’ specie ad un mugugno di un bambino. Alla fine le schiusi e poggiò la sigaretta così da farmi star zitto.
« Niu? Ti sta bene piccoletto? Guarda, tieni la cosa che può ucciderti. Ma se non la accendi, non lo farà mai capisci? E’ tutta una metafora, ragazzino. Oh scusa, angelo. » Si corresse automaticamente prima che io aprissi bocca per ribattere. « Ti metti la cosa che può ucciderti fra i denti, ma non le dai il potere di farlo se non la accendi, okay? »
« Oh. » Sospirai, quasi mortificato. Mortificato? Ma sei scemo o cosa Nico! « Dove vuoi portarmi? » Nonostante fosse quasi sera, tirava un aria gelida così feci per prendere i lembi della giacca e stringerli in un pugno.
« A vedere un film. A casa mia, ti va? »
« Mi ucciderai? » Sfilai la sigaretta di bocca, sorridendogli.
« No. » Scosse il capo poggiando nuovamente il braccio sulle mie spalle. « Tranquillo, sono un’amorevole mammone. »
« Mamma! » Esclamai scrollandomi il suo avambraccio dal collo, mi schiaffeggiai inutilmente la faccia e afferrai di fretta e furia il telefono, facendo partire la chiamata con mia madre.  « Mamma! Sì, È finito da un bel po’. Dove sei? Cosa!? Oh dio mio! Dalle le congratulazioni e dille che le voglio un mondo di bene! Senti, tornerò più tardi a casa, vedo un film con un amico. Sì, avevi ragione tu.. ok? Okay, ti amo mamma. Sì, anch’io. Ciao. »
Mi voltai verso il corvino, che increspava le labbra per non scoppiare a ridere da solito deficiente. Trascinai la cartellina che manteneva la bombola e con la mano libera gli afferrai il polso. « Oggi l’autobus mi odia. »
« Ma dove vai?! Non sai neanche dov’è casa mia! »
« C’è Google Maps. E io… »
« Nico. » Sibilò Percy serio. « Sei stanco.. »
« Non..fa niente. » Sospirai enormemente quasi cadendo per lo sforzo delle parole cacciate , ma quando Percy fece per inchinarsi davanti a me di schiena capì che volle portarmi sulle spalle. Gli fui sopra all'istante in cui lo vidi, poggiando il mento sulla sua spalla e allacciando le gambe attorno la sua vita mentre trascinava la mia bombola con facilità. La sua schiena, ad essere sincero, sembrava una nuvola. 
« Un piccolo angelo stanco. » Sghignazzò.
« Sta’ zitto, Jackson. »
 

Da perfetta cretina che sono ho voluto scrivere una Pernico in stile "The Fault In Our Stars". Spero vi piaccia e scusate i piccoli (o grandi) errori ortografici nel capitolo. :)

SisterOfNicoDiAngelo vi ama <3

 

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Capitolo 2
*** La mia mentalità mi porta nella casa di un pazzo. ***


Due.
La mia mentalità mi porta nella casa di un pazzo.

Nel bel mezzo della “passeggiata” –se così posso definirla– Percy non  faceva altro che sballottarmi avanti e indietro saltando come un perfetto cretino. In risposta i miei schiaffi colpivano la sua spalla, la sua nuca, la sua fronte o iniziavo a premere il piede nel suo ventre per ripicca. Ad un certo punto ci fermammo davanti ad una jeep dalle dimensioni enormi, sembrava più un autobus ma la mia paura cresceva: se Percy guidava come sapeva camminare, era un problema per chiunque. Mi intimò di salire sul sedile del passeggero, e con un piccolo aiutino mi sistemai prima che salisse dalla parte opposta alla mia. Non volevo che partisse mentre sistemavo la bombola, o avrei avuto un bel segno  sulla faccia.
« Pronto? » Chiese mettendo la chiave nella toppa, esitante.
Deglutii. « Sto tremando. »
« Maddai. » Sbuffò allungando una mano verso i miei capelli, li mosse un po’ come se gli facesse piacere poi premette il piede sull’acceleratore. La mia testa piegata verso la bombola ai miei piedi, fece una botta contro il sedile. Il mio cervello sembrò scoppiare mentre Percy ridacchiava nervosamente. Che aveva da ridere?! Allacciai la cintura di sicurezza e in ogni modo pensavo di sprofondare nella morbidezza che quella macchina mi offriva solo appoggiandomici. In radio trasmetteva “We Found Love” di Rihanna, e per qualche secondo mi calmai poggiando la fronte sul finestrino. Almeno finché quell’insulso idiota fece un mugugno schifato e cambiò stazione, scattai all’improvviso e prima che potessi picchiarlo a morte battei la fronte in avanti, sull’airbag. La luce rossa del semaforo mi fece capire che aveva frenato con un rimbombo, non capivo più niente. Stavo sballottando nonostante lui cercasse di tenermi tenendo la mano sul mio petto, come per proteggermi da un’ennesima frenata. Aveva una guida talmente mediocre e inesperta che il mio unico pensiero era quello di staccargli entrambe le gambe (sì, artificiale e naturale, tutte e due). Non ero affatto preoccupato, terrorizzato perché stavo in macchina con un pazzo senza gamba, ma ogni volta che dava gas dimenticavo ogni cosa a causa delle botte.
«Mi hanno bocciato all’esame di guida per qualche volta.. » Aggiunse girando l’angolo con estrema fatica.
Roteai gli occhi, cercando di non ridere poi lo fissai alzando il sopracciglio destro provocatorio. « Ops, ma non mi dire.. »
« Mi stai provocando? » Sibilò Percy lanciandomi un’occhiata, maliziosa? Sì, era il termine giusto. Decisamente era il termine giusto per descrivere quei occhi verdi che mi scrutavano curiosi.
« Sì, problemi? » Mi finsi interessato alle mie converse nere (dubitavate di me?), quando un clacson mi attirò. Girai il capo verso destra e notai il biondo a bordo di una BMW nera di zecca, troppo bella per essere vera.
Abbassò gli occhiali da sole (sì, solo Jason Grace andava con gli occhiali da sole di sera, quando il sole non c’era minimamente) e strizzò l’occhio verso di me. « E’ qui la festa? »
« Jas! » Ghignò Percy, evidentemente con una nota di nervosismo nel tono in cui lo chiamò. « Non siamo ancora arrivati. »
« Già lo sapevo, idiota. » Aggiunse il biondo, con velocità raggiunse la fine del vicolo in cui eravamo, e scese dalla BMW bussando alla porta di casa Jackson.
« Allora a che eravamo rimasti? » Disse Percy, quasi con la mano cercando il mio viso. Peggio di un cieco.
« Che stavamo raggiungendo casa tua o che scendevo dalla macchina avviandomi verso la mia? »
« Nono. Preferisco la prima, angelo. »
Risi imbarazzato. « Devi dirmi chi ti ha dato la patente.. un asino, o forse un vecchio di novant’anni? Scommetto che è un Premio Cancro, vero? »
« Hai indovinato, angelo. » Accostò a pochi metri da casa sua poi spense il motore. « BlackJack è un regalo di mia madre, voleva che io potessi guidare nonostante non ho la patente, un giorno la prenderò. »
« Di questo ne sono certo. » Aggiunsi con un mezzo sorriso. « Ma devi dirmi perché hai dato un nome alla tua macchina e perché il nome è BlackJack se è blu elettrico? Scusa, devo liberarmi di pensieri inutili.. »
Alzò le spalle, e sghignazzò per rifarmi lo  stesso servizio: affondò la mano tra i miei capelli neri e li mosse. « Perché era un bel nome. Il nero non c’era e fare un lavoretto con i colori non serviva a niente se poi veniva bruttissimo. Quindi.. » Con la mano premetti sulle sue labbra, zittendolo.
« Ho capito. Ho capito okay? »
« Okay. » Annuì serio. « Vuoi raccontarmi di te? »
« Di me? » Domandai stranito. « E cosa dovrei dirti di me? So che non ti interessa, non é interessato mai a nessuno. »
« A me sì. » Le sue parole mi fecero effetto dentro causando il mio rossore sulle guance pallide, come gli antibiotici lo fecero con i miei polmoni due anni fa, quando stavo per morire in un lettino. Mio padre singhiozzava rumorosamente come uno tsunami che stava per travolgermi, quel tsunami che io chiamavo miseramente “morte” ma che non arrivò mai. Mia madre accarezzava il mio volto e serrava i denti, increspava le labbra per non urlare davanti all’infermiera. Io boccheggiavo in cerca di aria, quasi come se stessero bruciando la mia anima, come il fiume Stige. In un sogno dove io feci per affogare in quel fiume degl’Inferi sgretolandomi finché di me non rimase nulla, il nulla assoluto. Ero lì, in persona, a vedere la mia anima distrutta dal fiume immortale, da quel che pensavo fosse il peggior bagno della mia vita in un sogno. Sperai che ciò che stavo passando era un incubo senza fine, mi resi conto che era la mia realtà purtroppo.  Gli raccontai dall’inizio fino a quella che credevo fosse la fine dei miei problemi che stavo ancora tenendo a bada. Era un buon ascoltatore, non fece domande e rimase a fissare la mia bocca mentre pronunciavo le parole adatte per fargli capire l’argomento: “la mia vita problematica”.
« Wow, di belle non ne hai passate. Mi dispiace. »
« Acqua passata ormai.  » Sorrisi sollevato. Diedi uno sguardo dal finestrino poi aprì lo sportello. « Mi aiuti a scendere? »
« Certo. »
La sua casa, come avevo appena detto, era l’ultima del vicolo, ma quando sorpassammo la macchina di Jason, iniziai finalmente a formulare che quella era casa Grace, e molto più avanti quella di Percy. Mi prese di nuovo sulla schiena, cercando di non farmi affaticare a camminare per qualche metro inutilmente. Quando fummo sul suo portico, prese le chiavi e aprì la porta mostrandomi un’entrata spettacolare. Beh, cosa dovevo immaginare? Un porcile se poi era una villa da veri ricconi molto meglio della mia? Un lampadario illuminava sopra le nostre teste, c’era una scala laterale che portava al piano di sopra e un’altra porta alla mia sinistra che dava al salone. Più avanti, c’era la cucina e sotto alle scale ancora una porta che portava chissà dove. Percy mi guidò fino in cucina dove i suoi genitori parlavano amorevolmente preparando un’insalata russa che mi fece venire l’acquolina in bocca. Non potevo non aggiungere che quasi tutte le stanze che ho visto era tappezzata di frasi di ogni tipo. Incoraggiamenti, disse Percy notando il mio sguardo. Quella che mi attirò maggiormente fu: “Se vuoi l'arcobaleno devi sopportare la pioggia”. Quello sì, che era un incoraggiamento coi fiocchi.
« Mamma.. » Sibilò scocciato. « Papà, lui è Nico di Angelo. »
« Chiamatemi Nico. » Aggiunsi sbuffando.
« Oh, piacere di conoscerti Nico. Sono Sally. » la madre di Percy si avvicinò e mi abbracciò calorosamente, tenendo a distanza dalla mia maglia le sue mani sporche di riso e prosciutto cotto di duecento grammi appena tagliato. Il padre del corvino invece, sorrise nella mia direzione e continuò a mescolare i vari ingredienti nella grande ciotola azzurra.
« Io e Di Angelo andiamo a vedere un film in seminterrato., chiamateci quando è pronto. »
« Okay, tesoro. » Disse Sally baciandogli la guancia ruvida a causa della barbetta. Gliel’avevo toccata, quando gli ero sulla schiena ma con uno schiaffo sonoro giusto per fargli cambiare il modo di camminare così scherzoso. Ma non con le labbra, senza rendermene conto iniziai a tastarmele con il semplice gusto di sapere di quale sapore sanno, ma sarebbe stato un mistero finché non lo avrei chiesto a colei che mi avrebbe baciato per primo. O colui. Era un mistero. Percy mi prese per l’avambraccio e mi condusse davanti alla porta sotto alle scale onorandomi di avventurarmi  per primo  nel seminterrato della casa dei Jackson. Con fatica trascinai la cartellina contenente la bombola, ma forse mi intimò di andare per primo non per curiosità ma per un aiuto con la bombola. Vari scaffali riempiti di trofei di nuoto, pinne, una tuta per l’apnea, e in un’altra stanza invece c’erano videogiochi, film, una tv al plasma e un divanetto con accanto una poltrona rossa che ti sussurrava un “Accarezzami, siediti.. godi la mia morbidezza sulla tua pelle”. Accidenti, quello era il sogno di una vita.
« Ti piace, vero? » Rise notando il mio rossore nel vederla con occhi sognanti. Paragonando le mie guance al colore della mitica poltroncina potete commentare che sono davvero un pazzo con due polmoni poco funzionanti. Seriamente. « Siediti, se.. »
Non lo ascoltai, mi ci fiondai letteralmente e azionai il seggiolino così da tenermi sospeso come su una nuvola, ero in Paradiso ma non proprio. Percy si tuffò nel divano in pelle e accese la tv con a tutto volume una canzone rock a me sconosciuta. Sobbalzai quando i miei timpani strillarono, serrai i denti, e sgranai gli occhi quasi urlando. Relax? Con Percy Jackson il relax nel suo mini pianeta da sciocchi non esiste. Solo rock, e pazzia assoluta e una stramaledettissima voglia di rompermi le scatole ogni volta che ne ha la possibilità. A me non faceva piacere, ma le mie intenzioni di rovinarlo con le brutte non erano ancora svanite.
« Ma sei impazzito?! Ci sei o ci fai Jackson!? »
« Ci faccio, ovvio. » Rispose divertito. « La tua faccia?! Indimenticabile! » Poggiò una mano sulla pancia  e si piegò dalle risate, si, credo di aver fatto un’altra figura di merda davanti ad un ragazzo sconosciuto.  Sentimmo con difficoltà la voce stridula di Sally, ma ciò che mi preoccupò non fu se l’avrei fatta infuriare per il ritardo, ma come salire le scale se avevo urlato così forte e mi mancava aria. Sistemai la cannula sotto le narici e portai la mano sul cuore, iniziando a tossire per mancanza di ossigeno. In iperventilazione fra 3…2…1..
« Nico! »
Percy si inginocchiò davanti a me, prendendo la mia mano libera. Iniziò a maneggiare la manovra della bombola, ci riuscì e l’ossigeno ritornò nei miei polmoni normalmente. Il corvino sibilò per un paio di volte uno “scusa” abbracciandomi. Boccheggiavo , presi della stoffa della sua maglia tra i pugni quando cominciai a stare meglio di qualche minuto primo.
« Stai bene? » Chiese prendendo il viso tra le mie mani. « Ho avuto paura, mi hai fatto davvero morire in pochi secondi.. »
« Mi dispiace, non volevo farti avere un mini-infarto. Ma tu non provarci ancora o morirò a causa tua. » Sorrisi.
« Ah ah, divertente. Vedo che non hai perso l’umorismo, angelo, nonostante sia quasi morto per iperventilazione. Alla grande, tu sì que vales.  » Con un accento spagnolo –che di spagnolo non ne aveva manco il zero per cento–  pronunciò quelle parole come se non riuscisse a capire il significato. Comunque non risi, anzi, ero indeciso sul non iniziare a spiegargli che cosa significava o di schiaffeggiargli un libro di spagnolo in faccia piuttosto. Avrei scelto di sicuro la seconda.
« Su questo non mi batti. » Sussurrai alzando le sopracciglia, quasi con tono di indifferenza e  maliziosità.
Sally scese le scale, quasi preoccupata, e ci raggiunse correndo ma la nostra immagine (Percy seduto sul braccio della poltrona e io ancorato al suo busto) la addolcì, e non poco.
« Oh, che spavento.. a mangiare ragazzi. Nico ti aiuto? » Si offrì per prendere la bombola ma scossi il capo.
« E’ generosissima Mrs. Jackson.. »
« Chiamami Sally, mi faresti sentire vecchia se continuassi a chiamarmi per cognome.. »
« E’ generosissima Sally, ma grazie, preferisco non darle il disturbo di prenderla. Ce la faccio. »
« Credo che la mangeremo qui, vedendo il film mamma.. vado a prendere i piatti. Nico, tu, non muoverti ok? »
« Okay.  » Annuii sincero, rivolgendogli un sorriso amichevole che ricambiò immediatamente.
 
 
« Allora?! Ti piace V per Vendetta? »
« Non che mi interessa, ma sì, è carino. A me piace molto leggere libri piuttosto che vedere i film corrispondenti ad essi.  » Commentai ingoiando un altro boccone di riso con mais e olive. Percy poggiò sul tavolino in vetro ai nostri piedi la sua ciotola vuota e mise il capo sulla mia spalla sospirando.
« Carino è poco! Lo rivediamo? Tu leggi? »
« Sì, leggo. »
« Quale  genere di libri? »
« Il mio preferito è “Un’imperiale afflizione” se ti interessa. » Aggiunsi.
« Ci sono soldati speciali? »
« No. »
« E zombie? Delle scimmie parlanti..? »
« Sfortunatamente una ne è uscita da chissà quale libro, la tengo proprio davanti.. »
« Chi è? Aspetta.. EHI! » Urlò alzando di scatto il viso, notai quanti centimetri ci separavano, ma finsi di essere nervoso e cercai inoltre di stringere le dita in un pugno per il solo fatto che tremavo come una foglia. « Tremi. » Sospirò sulle mie labbra.
« Ho freddo, qui fa freddo. »
« Okay, io sento un caldo pazzesco. Comunque ti consiglio di leggere un libro, il mio libro preferito. Se lo leggerai, io cercherò di seguire ogni riga di quel noioso libro senza soldati o zombie che staccano teste e mangiano cervelli. » Si allontanò avviandosi verso la libreria. Sia lodato Gesù, pensai.  « The Price Of Dawn, spero ti piaccia. Tienilo con cura. »
« Almeno non ti ho consigliato Twilight. Ritieniti fortunato fottuto babbeo. » Sputai prendendo tra le mani The Price Of Dawn. Inutile dire che sembrava quasi la copertina di un fumetto manga ma tralasciamo questo dettaglio. Percy con la sua grazia pari a quella di un elefante si buttò sul divano e mise la testa sulle mie gambe facendomi sussultare all’istante. « Fortunatamente no, Twilight non mi piace da matti. Ma perché sobbalzi quando ti tocco? »
« E’ normale. Lo fanno tutti. »
« Sul serio? Quando.. » Si zittì in fretta, rimettendosi composto.
« Credo che è meglio andare. » Suggerii alzandomi dal divano.
« Di già? »
« Sì, mia madre mi ucciderà.. »
Mi accompagnò fino alla Jeep, salutammo anche Jason che stava rientrando in casa, e quella volta fui io a guidare mentre Percy posteggiava sul sedile del passeggero, dove lì avevo completamente perso una parte della mia testa. Accesi il motore e  nel tragitto il corvino accese la radio facendomi ascoltare  la canzone rock di prima, questa volta seriamente mi ci abituai mandandogli un’occhiataccia fulminante.
« Mi piacciono i Metallica. » Sbuffò, mentre mi fermai al semaforo di qualche ora fa. « Sembri una lumaca. »
« Meglio aspettare che morire sballottandosi qua e là, o sbaglio? Ricordati..chi va piano va sano e lontano, chi va veloce va contro alla morte. »
« Touchè. » Sibilò. Appena fummo davanti casa mia, ero pronto a scendere ma Percy mi prese il braccio trattenendomi. « Ci rivedremo? »
« Oh Jackson, ti piaccio? » Scherzai mostrando un sorriso malizioso. « Quanto corri.. »
« Maddai. » Roteò gli occhi. « Allora?  Ci vediamo domani? »
« Forse, perché devo andare a lezione ma sono disposto a risponderti di sì se non fossi troppo.. »
« Stupido? » Mi interruppe concludendo la frase. Annuii alzando le spalle. « Allora sono troppo stupido se ti vedo domani? Ti vorrei anche vedere stanotte, che ne so, all’una? Ma comunque per te potrei aspettare tutta la notte, e una buona parte di domani solo perché domani, alle quattro, davanti al vialetto di casa tua voglio rivedere i tuoi occhi color pece brillare alla luce del sole.  Ti sembro stupido o troppo sdolcinato? »
« Sei uno sconosciuto sdolcinato, non posso definirti oltre ad amico. E se facciamo la promessa che quando finisco il tuo libro ci telefoniamo? »
« Ma tu non hai il mio numero.. » Aggiunse innocente.
Lo guardai provocatorio, ripresi il libro dall’airbag e lo apri notando il numero scritto a matita. « Avevo una certa idea che lo avessi scritto qui. »
« Poi dici che siamo degli sconosciuti, angelo. »
« Smettila di definirmi angelo. Okay? »
« Okay, angelo.» Annuì, si allungò verso di me e poggiò le sue candide e morbide labbra sulla mia guancia, prima che io scappassi –lentamente– per l’imbarazzo che aveva invaso il mio corpo in un nano secondo. Sì, ero un pazzo.

 
Spero vi sia piaciuto, perché non ci ho messo molto..e neanche poco.
Vi ricordo che non è a scopo di Copyright, e poche cose le inventerò di santa ragione.
Recensite in tanti!!! 

 

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