1997 - ?

di xitsgabs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue. ***
Capitolo 2: *** First chapter: Something’s happening ***



Capitolo 1
*** Prologue. ***


1997 – ?
Prologue.

I muri della stanza erano scuri, di un blu metallizzato molto tetro e freddo, tanto che Gwen si portò le mani alle braccia come per riscaldarsele. Il respiro era agitato a causa della paura, una paura che non le era mai davvero appartenuta: si era sempre dimostrata coraggiosa, anche per far capire a Peter che non era una bambina da proteggere. Peter. Dov’era lui?
Un singhiozzo fuoriuscì dalle sue labbra, quando nella sua mente si fece spazio l’immagine del suo ragazzo che la piangeva su una lapide bianca, che portava scritto in caratteri cubitali: “Gwendolyne Stacy. 1997 – 2014”. Il che aveva anche senso, dato che era tragicamente morta.
Ma se era morta, perché si trovava in quella stanza?
La porta si aprì lentamente, ma Gwen comunque si voltò allarmata. Una ragazza, non molto più grande di lei, varcò la soglia e le rivolse un sorriso incoraggiante e una parte del cuore di Gwen decise che avrebbe potuto fidarsi di lei.
Questa si andò a sedere di fronte a lei, sul tavolo cupo e freddo come il resto della stanza. «Ciao, io sono Skye.» si presentò, mantenendo sulle labbra quel sorriso pieno di calore.
Gwen provò senza successo a ricambiare il sorriso, poi abbassò di poco lo sguardo. «Mi chiamo Gwen.»
«Suppongo tu abbia delle domande. E hai il diritto di porle. Noi agenti, invece, abbiamo il dovere di risponderle.» annunciò meccanicamente, con voce solenne. Gwen immaginò che si fosse provata la frase decine di volte dinnanzi allo specchio della sua camera.
«Perché sono viva?» fu la prima domanda che uscì dalle labbra pallide e secche della giovane donna. Skye la guardò, come se stesse pensando a cosa dirle di preciso.
Doveva esserci una risposta a quella domanda, no? Sicuramente non poteva essere semplicemente tornata in vita! Doveva esserci una ragione logica, un motivo per cui era accaduto. Ma poteva semplicemente essere tornata in vita? Forse quel posto pieno d’agenti aveva lo staff giusto per far tornare indietro le persone dal mondo dei morti?
«Perché sei viva. Sei semplicemente viva.» rispose dopo poco l’agente, con una voce di chi vorrebbe dire di più ed è costretto a mantenersi.
«Ma io sono morta.» ribatté Gwen, insoddisfatta da quella risposta poco esauriente. «So di essere morta. È stato orribile. Ero così spaventata.» cominciò, ricordando con orrore il momento in cui la ragnatela di Spiderman si era spezzata, lasciandola cadere malamente nel vuoto. «Non riuscivo a pensare a niente. Se non al fatto che ...» le lacrime rigarono il viso della bionda, la cui voce aveva cominciato a spezzarsi e sulle cui labbra si fece spazio un piccolo singhiozzo. «Non volevo lasciare Peter da solo.» finì. L’agente Skye la guardò con uno sguardo pieno di solidarietà.
«Avevamo il compito di proteggerti e così abbiamo fatto, miss Stacy.»
Quella semplice frase creò milioni di domande nella mente di Gwen, che fissò l’altra incuriosita. Cosa voleva dire: “Avevamo il compito di proteggerla”? Chi glielo aveva chiesto? Perché dovevano proteggere lei?
Le domande persero importanza pochi secondi dopo, quando una nuova richiesta prese forma sulle labbra della bionda: «Quando tornerò a casa?»
«Tu non puoi tornare a casa.» la risposta arrivò più velocemente delle altre, e fece più male delle altre.
 

***

 
«State parlando con la segreteria telefonica di Peter Parker. Io sono Gwen Stacy, la sua ragazza. Peter è troppo pigro per personalizzare la segreteria. Comunque, vi richiamerà al più presto. Nel frattempo, lasciate un messaggio dopo il segnale acustico!»
Quando a Peter veniva voglia di riascoltare la voce di Gwen – e non si trovava a casa propria per mettere ‘play’ al tanto ambito video del discorso del diploma – prendeva il telefono e faceva partire la registrazione. La fidanzata aveva deciso di personalizzarla perché quella con la voce meccanica del telefono era “troppo triste” a sentirla parlare, così aveva scelto di trasformarla radicalmente. E mentre parlava non riusciva a trattenere le risate. E Gwen quando rideva ... era il sole.
E nessuno poteva dimenticare il sole, no? Quel raggio di calore nei momenti freddi, bello abbastanza di accecarti. Lo stesso sole il cui ricordo, però, cominciava ad affievolire dopo tanti mesi di buio. Per questo le foto di Gwen erano ordinatamente attaccate al muro della camera di Peter, oppure appostate sul suo comodino, o impostate come sfondo del suo smartphone. Per questo guardava il video del discorso del diploma fino allo sfinimento e ascoltava più di una quarantina di volte al giorno la segreteria telefonica personalizzata.
Peter Parker – il supereroe di New York: quello impavido, scherzoso e senza paura – aveva il terrore di non riuscire più a focalizzare nella sua mente le labbra dolci di Gwen piegate in un sorriso, il naso teneramente arricciato, gli occhi perennemente entusiasti e di non riuscire a ricordare il suono della sua voce, quella melodia che col tempo era sul serio diventata la sua canzone preferita. Perché, Peter lo sapeva, il giorno in cui avrebbe dimenticato tutte queste cose, Gwen sarebbe morta davvero. Per colpa sua, ancora una volta.
Non poteva accettarlo. Se lo ripeteva assiduamente fra se e se, mentre fissava la lapide di Gwen con le lacrime agli occhi. C’era solo una cosa peggiore del leggere il nome della sua amata lì, ed era leggere la data di nascita sotto: 1997 – 2014. Diciassette anni. Solo diciassette anni di vita.
A volte Peter provava ad essere ottimista, pensando di essere stato comunque il più fortunato: diciassette anni sulla Terra per un angelo sono davvero tanti, potevo mai aspettarmi di invecchiare con lei? Era il suo pensiero fisso, in un certo senso reale, ma comunque poco confortevole.
Si era sempre immaginato che sarebbe stata Gwen a piangere sulla sua lapide, un giorno. Magari con qualche ruga sul viso, stringendo dolcemente la mano di un bambino con i capelli biondi e gli occhi marroni da cerbiatto. Perché lui era Spiderman, rischiava la vita ogni giorno. Poteva morire ogni giorno. Eppure era ancora vivo. Ma lui era Spiderman, salvava la vita di persone che non conosceva, vite di cui non poteva importargli davvero troppo. Eppure non era riuscito a salvare la vita più importante di tutte.
E non importava se ci aveva provato davvero, se Harry era uno psicopatico vendicatore, se qualunque cosa sarebbe stata inutile davanti all’imminente morte di Gwen: Peter doveva fare l’impossibile per salvarla, e non c’era riuscito.

 

***


Quando Gwen riaprì gli occhi, le mura scure della stanza piccola dove si trovava le sembrarono offuscate, come se si fosse trovata in un sogno. Faticava un po’ a tenere le palpebre alzate e si sentiva troppo pigra anche solo per muovere un muscolo.
Mugugnò qualcosa di incomprensibile, mentre riconosceva l’effetto di un tranquillante. L’avevano sedata. Perché?
Aveva qualche mezzo ricordo che le girava per la testa, non ancora ben definita. Sentiva la sua voce come se fosse in lontananza mentre urlava qualcosa come: «Non potete tenermi qui! Devo tornare a casa! Devo dire alla mia famiglia che sono viva, devo partire con il mio ragazzo. Ho una vita a New York, non potete impedirmi di riprenderla!» e ricordava anche delle lacrime, dei singhiozzi e delle urla insensate, realizzate solo per infastidire le persone che si trovavano nei paraggi. Gwen non era il tipo di ragazza che perdeva così facilmente il controllo, ma non era neanche il tipo di ragazza che poteva tornare in vita senza pensare di star impazzendo.
Per quanto tempo sarebbe rimasta lì? Per quanto tempo la sua famiglia e Peter avrebbero pianto la sua falsa morte? Peter. Quando avrebbe rivisto Peter? E se non l’avesse rincontrato più? Avrebbe dimenticato il suo viso, negli anni? Avrebbe dimenticato il suono della sua voce? La morbidezza delle sue labbra? La sicurezza che soggiornava in lei solo quando si trovava fra le sue braccia?
Lui si sarebbe rifatto una vita o l’avrebbe amata per sempre, come le aveva promesso? Una parte di Gwen sperava che si innamorasse ancora, che smettesse di star male. Un’altra parte, più egoista, non riusciva ad accettare l’idea di Peter che baciava un’altra ragazza, che accarezzava un altro viso, che infilava una mano in altri capelli, che fissava altri due occhi. Era lei il suo binario, lo sarebbe stata per sempre. Ma se nel frattempo il suo treno avesse cambiato ferrovia?
«Signorina Stacy?» la voce di un uomo interruppe i suoi pensieri. La bionda si voltò verso l’uomo, che si prese tranquillamente la libertà di entrare in quella stanza.
Gwen si mise a mezzo busto sul letto, un po’ faticosamente, e guardò l’uomo con aria sospetta. Non sembrava malvagio, ma si era appena risvegliata dopo essere stata sedata. La cosa non gli aveva dato punti a favore. «Chi mi cerca?»
«Phil Coulson.» rispose l’uomo, appoggiandosi al muro davanti alla ragazza e guardandola, serio in volto. Gwen provò subito rispetto nei suoi confronti, pur non sapendone la ragione. Era semplicemente un uomo da rispettare. «Ti senti meglio? Dopo la scenata di prima siamo stati costretti a sedarti.»
«Sì, l’ho notato. Ho notato anche che vi piace comandare le vite degli altri.» bofonchiò Gwen, la voce dolce come sempre aveva preso una nota tagliente. «Mi avete ridato la vita, ma io non ve l’ho chiesto.»
«Preferivi essere morta?»
«Sempre meglio che essere viva e sapere che la tua famiglia soffre la tua perdita.»
Phil sorrise. Un sorriso divertito, compiaciuto. Per un secondo, nella mente di Gwen si fece spazio un sorriso timido, nervoso, di chi sorride perché pensa che fare qualunque altra cosa avrebbe portato brutte conseguenze. Una morsa allo stomaco le fece perdere la sicurezza sul volto. Era felice di poter ancora raffigurare il sorriso che l’aveva fatta follemente innamorare. Ma avrebbe non potuto vederlo più dal vivo, a causa di quell’uomo che la guardava divertito.
Perché sorrideva, poi? La cosa cominciava ad essere irritante e Gwen stava per rispondergli per le rime, quando l’uomo parlò: «Benvenuta nello S.H.I.E.L.D., Agente Stacy.»

 

Paths.
L’idea di un crossover con la serie Agents of S.H.I.E.L.D. mi girava in mente da un po’. La mia serie tv preferita mescolata al mio film preferito, il risultato non poteva che essere ottimo! Finalmente ho trovato il tempo di scrivere, anche grazie al pc riavuto. Ovviamente è una Peter/Gwen e lo sarà fino alla fine.
Spero vi piaccia, ovviamente una recensione per sapere cosa ne pensate non fa mai male! Ammetto di non aver riletto, alle dieci di sera sono poco lucida, quindi passatemi gli errori, domani correggerò :3
Buona serata!

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Capitolo 2
*** First chapter: Something’s happening ***


First chapter: Something’s happening
Gwendolyne Stacy si aggirava per il laboratorio, ispezionandolo in ogni angolo e macchinario. Non vi stava trovando chissà quali differenze con la qualità dei marchingegni della Oscorp, ma doveva ammettere che nello S.H.I.E.L.D. c’era molto più calore e sicurezza. Almeno, dopo otto settimane passate con loro, poteva ammettere che si sentiva quasi a casa propria.
Non aveva subito cominciato il lavoro da scienziata a causa delle conseguenze delle operazioni che l’avevano fatta tornare in vita: tra queste, le più frequenti crisi esistenziali, in cui la ragazza cominciava sul serio a credere di non esistere più. Il suo cuore le diceva che era morta davvero, quella notte sulla torre, pur essendo poi tornata in vita e, non riprendendo in mano la sua quotidianità, restava comunque defunta per il resto del mondo.
Durante quei momenti difficili era riuscita a trovare sollievo solo nella compagnia dell’Agente Skye, che si era scoperto non avesse un vero e proprio passato. O meglio, era adottata e le sue origini restavano un mistero per lei e per lo S.H.I.E.L.D. che l’aiutava nella ricerca. «Cosa ne pensi?» domandò appunto la ragazza, che osservava l’amica bionda esaminare ogni lato di quella stanza.
Gwen la guardò, il volto ancora serio ma l’ombra di un sorriso soddisfatto sulle labbra. «Sì, può andare.»
Skye rise e scosse la testa, divertita da quanto le pretese di quella giovane donna fossero alte. «Ti divertirai a lavorare con Fitz e Simmons, sono bravi ragazzi. Sono anche bravi scienziati, da come dicono tutti. Io non credo di avere le conoscenze necessarie per pronunciarmi.»
Gwen annuì, ignorando il fatto che la sua amica si sforzasse di utilizzare parole professionali. Si era fatto spazio nella sua mente il ricordo di quando lavorava alla Oscorp come capo stagista di Connors. Quando incontrò Peter e lui venne morso. Sospirò un po’, sedendosi sullo sgabello per prendere delle relazioni e leggerle, giusto per sapere il lavoro che era già stato fatto e quello che doveva ancora esser fatto.
 
***
 
Il sacco da box era quasi completamente rotto, a causa della violenza con cui veniva colpito. Flash aveva consigliato a Peter di sfogarsi in quel modo, lasciando che ad agire fossero le sue frustrazioni, la sua rabbia e il suo rancore.
C’è solo una cosa peggiore del perdere l’amore della tua vita a diciassette anni ed è: perderla a causa di un omicidio. Perché non doveva accadere, Gwen non doveva morire. Era una ragazza bella e sana, con un futuro davanti, distrutto da Harry Osborn. E chi era, Harry Osborn, per decidere la fine di una vita? Chi era lui?
Il viso di Goblin si materializzò al posto del sacco e con un calcio secco, Peter lo scaraventò contro al muro. Erano passati due mesi dalla morte della sua amata e adesso il suo dolore e la sua voglia di gettarsi dalla torre più alta di New York senza la sicurezza della spararagnatele si alternava con la rabbia, la violenza, la voglia di urlare, la voglia di uccidere. Perché se Harry Osborn aveva potuto decidere di mettere la parola ‘fine’ alla vita di Gwen, anche Peter Parker poteva fare lo stesso con il carnefice della ragazza.
La stessa ragazza di cui ormai si erano tutti dimenticati. Ogni qualvolta che Peter usciva per andare al cimitero, notava tutte le persone che camminavano felici e contente per andare a fare la spesa o per andare a lavorare; notava le coppie di innamorati che si abbracciavano e si baciavano tranquillamente per strada; le famiglie felici composte dai genitori che tenevano per mano i figli. E gli veniva da vomitare, perché era inconcepibile il fatto che il mondo continuasse a girare anche senza Gwen Stacy. Il pensiero che lei fosse morta non sfiorava più la mente di nessuno, se non quella di Peter e della famiglia della diretta interessata. Era come se fosse solo un’altra delle tante vittime dei cattivi di New York. Come se le vittime fossero tante. Spiderman aveva sempre salvato tutti. Eccetto Gwen. Aveva salvato la vita di ogni persona a New York, tranne quella della donna della sua vita.
Sapeva di dover andare avanti, che se Gwen fosse stata lì davanti a lui gli avrebbe rivolto un sorriso dolce e incoraggiante, lo avrebbe guardato negli occhi nel modo in cui solo loro riuscivano a guardarsi. Il verde che si intrecciava nel castano. E gli avrebbe detto: «Continua a vivere, Peter. Innamorati ancora, ridi ancora. Sii felice ancora. Vivi il doppio anche per me.»
Ma lui non avrebbe mai potuto farlo. Non avrebbe mai potuto amare degli occhi che non fossero della ragazza, non avrebbe mai potuto sentirsi protetto nell’abbraccio di un’altra, non avrebbe mai potuto provare la stessa fame di baci che aveva provato con Gwen. E non avrebbe mai potuto respirare senza sentirsi in colpa, per il semplice motivo che lei non avrebbe respirato più. Quella notte alla torre, Peter lo sapeva, Gwen non era morta davvero. Viveva ancora nel cuore di chi la ricordava, come se fosse sul serio partita per l’Inghilterra. Ma Peter era morto dentro, come sarebbe morto se Gwen fosse sul serio andata via in Inghilterra.
E quando una persona muore dentro, non c’è più niente che possa fare. Perché Peter ormai non aveva più motivo di vivere, perché Peter era stato sconfitto dalla vita: aveva superato la morte dei genitori, aveva imparato a vivere senza la figura di suo zio Ben. Aveva perso abbastanza, aveva sul serio perso abbastanza. Perché togliergli anche Gwen?
Se lo chiedeva ogni giorno, da quando si svegliava fino all’ora tarda nella notte in cui riusciva a dormire. Quelle poche ore in cui riusciva a chiudere gli occhi prima di svegliarsi, urlando quel nome. Perché i suoi incubi, da due mesi a quella parte, erano sempre gli stessi: gli occhi sgranati, le gocce limpide che colavano sulle guance, la delusione nel volto nell’attimo prima di morire.
 
***
 
«Bene, qual è il problema?» domandò Gwen sedendosi al fianco di Skye, che muoveva con maestria le dieci dita delle mani sui tasti del suo notebook.
«Sembra che ci siano problemi nella Grande Mela.» svelò lei, trafficando sulle schede di persone a Gwen del tutto sconosciute. Quest’ultima la guardò preoccupata, mentre in lei si faceva spazio la paura. Qualcuno si sarebbe fatto male? Se lo S.H.I.E.L.D. si stava interessando al caso un motivo doveva esserci, se fosse stata una sciocchezzuola da niente allora non si sarebbero messi in mezzo.
«Non capisco, cosa succede? Qualcuno vuole spiegarmi?» domandò ancora.
Phil Coulson arrivò lì da loro, scorse un attimo lo schermo del computer di Skye che cambiava pagina ogni due istanti e si rivolse a Gwen. «Nemmeno noi riusciamo a capirlo. Sappiamo solo che New York è in balia di mostri e nessuno la sta proteggendo.»
«Spiderman? Lui dov’è?» non fu Gwen a chiederlo. Benché stesse per porgergli quella domanda, Skye la precedette.
«Scomparso, da due mesi a questa parte.» rispose Phil.
E qualcosa dentro Gwen si ruppe. Dov’era Peter? Per tutto quel tempo aveva immaginato il ragazzo piangere sulla sua lapide bianca, ma non aveva mai preso in considerazione la possibile reazione del supereroe dopo la sua morte: e se si fosse scontrato con Goblin? E se fosse morto, nella lotta?
«Ho trovato qualcosa nell’archivio del Ravencroft Institute. Gwen, penso che ti risulterà familiare.» disse la giovane hacktivist, mettendo il notebook davanti all’amica. Il ghigno di Harry Osborn, che Gwen sperava di aver dimenticato, si parò davanti ai suoi occhi.
Figlio del potente Norman Osborn, Harry Osborn è stato sollevato dal suo incarico di custodire l’eredità del padre per curarsi nel Ravencroft Institute. Dopo essersi iniettato il veleno dei ragni radioattivi, allevati anni addietro dallo scienziato Richard Parker, è diventato un pericolo pubblico per la società. Ricordiamo il suo tentato omicidio due mesi fa nei confronti di Spiderman, preceduto dall’uccisione riuscita di una diciassettenne newyorkese, di cui nome non riportato.
«Come può c’entrare qualcosa, se è rinchiuso in un manicomio?» chiese l’Agente Trip, appoggiandosi piano al tavolo.
«Voi non conoscete Harry Osborn.» disse la giovane scienziata in tutta risposta, prima di posare lo sguardo su Skye. «Entra in ogni archivio, qualunque. Anche quelli che possono sembrarti futili.»

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