Sinners

di Clary F
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sinners (act 1) ***
Capitolo 2: *** Sinners (act 2) ***



Capitolo 1
*** Sinners (act 1) ***


Titolo: Sinners.
Contesto: Inghilterra, ai giorni nostri.
Personaggi: Merry Grey, Ariadne Grey, Daniel Hamilton, Christopher Hamilton, Elizabeth Sheridan, Virginia Sheridan, Julian Sheridan, Adrian Parrish, Damian Parrish, Fabian Parrish, Emmett Khan, Helen Bell.
Avvertimenti: Tutti i luoghi nominati nella storia sono reali, ad eccezione di Cypress Island, isola fittizia inventata da me e che si rifà decisamente all'isola della Christie. La storia contiene scene di violenza e scene slash.
Disclaimer: Ispirato al libro Dieci piccoli indiani di Agatha Christie e al telefilm Harper's Island.
Note: Questa è la mia prima originale in assoluto. Ci ho messo davvero tutto l'impegno del mondo per scriverla bene e per far sì che i personaggi non risulti piatti e privi di personalità, spero di essere riuscita nell'intento e spero tanto che, se qualcuno avrà la forza di arrivare fino in fondo, mi lasci una piccola recensione per farmi sapere che ne pensa. Ho postato questa storia nella sezione romantica, con i dovuti sottogeneri, perché credo che le storie d'amore tra i personaggi siano l'elemento principale, ma se così non vi risultasse fatemi sapere e provvederò. Detto ciò, vi lascio alla lettura e ringrazio in anticipo tutti quelli che leggeranno. Per il banner con i personaggi, in alto: Helen, Adrian, Chris, Damian, Julian, Elizabeth; in basso: Merry, Ariadne, Virginia, Fabian, Daniel, Emmett.
 
 

SINNERS
(ACT 1)
 
 
Quattro anni prima.
 
Virginia Sheridan non si era più ripresa da quel giorno. Caduta in un vortice di disperazione e di domande senza risposta, non riusciva ad accettare la scomparsa della sorella maggiore, Elizabeth.
Ho visto la polizia varcare la soglia di casa nostra infinite volte. Ho visto i miei genitori abbracciarsi l'un l'altro, in cerca di conforto. Ho visto mio fratello Julian piangere per la prima volta. Ho visto la camera di Elizabeth, messa completamente a soqquadro dalle forze dell'ordine. Ho subito un breve interrogatorio, in cui mi veniva chiesto di descrivere mia sorella. Timida, sognatrice, con la passione per la poesia e la scrittura; il genere di ragazza che non scompare così, da un giorno all'altro, lasciando solo un misero biglietto, adagiato sulla scrivania della sua stanza: Vado via, non cercatemi, Elizabeth.
La polizia eseguì una perizia calligrafica, interrogò, cercò, indagò … Nessun corpo su cui piangere, nessun segno di violenza. La polizia archiviò il caso, informando la famiglia Sheridan che non c'era alcuna prova che testimoniasse il contrario di ciò che constatava il biglietto. Elizabeth se n'era andata di sua spontanea volontà e non voleva essere trovata.
Aveva solo quindici anni.
E io quattordici.
E, anche se nessuno vuole credermi, io so che mia sorella è morta.
 
*
 
«Tesoro, devi alzarti o faremo tardi.» Sussurrò Helen Bell, all'orecchio del suo fidanzato, Emmett Khan.
Il giovane nascose la testa sotto il cuscino, emettendo un verso di disapprovazione. «Devo proprio?» Mugolò. «Non ho alcuna voglia di passare un'intera settimana sopra un'isola sperduta.»
«Sì, sai bene che Ariadne non tollera il ritardo.» Squittì Helen, sollevando le lenzuola e scoprendo il corpo semi nudo del suo ragazzo.
Era proprio un bel corpo, pensò lei, assaporando la vista del torace abbronzato di Emmett, soffermandosi sulle linee dei suoi addominali, fino all'elastico dei boxer neri. Così bello e così distante. Da alcuni mesi, infatti, Emmett si era completamente chiuso in sé stesso, la sua mente avvolta da chissà quali pensieri. Una ragazza normale avrebbe chiesto un confronto, ma Helen continuava ad accantonare quell'opzione, dicendo a sé stessa che era un comportamento del tutto normale. Emmett era stressato dal nuovo lavoro nella compagnia del padre, da tutti gli impegni che ne derivavano e dall'imminente matrimonio di sua cugina Ariadne.
In realtà, Helen non voleva perderlo. Né lui, né tutta la famiglia allargata che gli gravitava attorno. Era ciò che desiderava da sempre e non lo avrebbe lasciato andare per nulla al mondo.
«Mia cugina non tollera un sacco di cose.» Sbuffò lui, alzandosi finalmente dal letto e dirigendosi verso il bagno.
Helen lo guardò, mentre con un gesto secco si chiudeva la porta alle spalle. Se non fossero riusciti a prendere il battello delle tre in punto, diretto a Cypress Island, Ariadne sarebbe sicuramente andata in paranoia. Li aspettava un'intera settimana all'insegna della bella vita, immersi nella natura e nella pace di quella piccola isoletta a soli tre chilometri dalla costa del Devon. Finiti i sette giorni di relax, i genitori, parenti e amici dei futuri sposi li avrebbero raggiunti sull'isola, per assistere alla celebrazione del matrimonio tra Ariadne e Adrian Parrish. Agli occhi di Helen, Ariadne Grey era la persona più fortunata che conoscesse. A soli ventitre anni aveva già tutto ciò che una ragazza potesse desiderare. O almeno, tutto ciò che Helen desiderava. Una famiglia amorevole, un conto in banca prosperoso, un lavoro alla Storm Model Management di Londra e un futuro sposo innamorato. Ariadne era la sua migliore amica, ma a volte Helen non riusciva a non guardarla attraverso il velo acido dell'invidia.
Il viaggio in macchina insieme a Emmett fu caldo, lungo ed estremamente silenzioso; fino a quando, superato l'ultimo dosso, il piccolo porticciolo e l'oceano blu fecero capolino davanti ai loro occhi, insieme a quella che Helen definiva la famiglia allargata.
Merry Grey era la cugina di Emmett e sorella minore di Ariadne, la futura sposa. La ragazza se ne stava mollemente appoggiata contro un paletto di legno, tenendo fermo il cappello di paglia sui capelli scuri, mossi dal vento. Accanto a lei c'era l'altra cugina di Emmett, Virginia Sheridan, Helen guardò meglio, cercando con gli occhi la figura di Julian Sheridan, il fratello maggiore di Virginia, ma non lo vide. I gemelli Hamilton, Daniel e Christopher, erano i cugini dello sposo, Adrian Parrish; assolutamente identici in ogni dettaglio, Helen non riusciva mai a distinguerli, fin tanto che uno dei due non apriva bocca. In quel caso era difficile sbagliare: Daniel era uno sbruffone sfacciato, mentre Christopher era molto timido e dolce. Poco più in là, intenti a lanciare chissà cosa nel mare, c'erano anche i fratelli minori dello sposo, Damian e Fabian Parrish, due combina guai di prima categoria; Helen aveva sentito così tante storie assurde su quei due … anche se adesso, entrambi maggiorenni, sembrava si fossero dati una regolata.
«Emmett!» Merry si lanciò tra le braccia del cugino e lo strinse forte. Il ragazzo ricambiò con affetto, anche se i suoi occhi si spostarono freneticamente tra i visi dei suoi amici e parenti, soffermandosi su un altro paio di occhi, che incrociarono i suoi. Emmett avvertì una stretta allo stomaco e il suo cuore iniziò a battere più veloce per quegli stessi occhi, di un verde così particolare.
«Ciao, Merry, mi sei mancata.» Disse, anche se la sua mente era da tutt'altra parte.
 
*
 
Merry si spostò dal viso i capelli scuri scompigliati dal vento. Si aggrappò con le mani alla ringhiera del battello e guardò l'enorme distesa blu che si allontanava dal piccolo porticciolo. Sospirò e si aggiustò gli occhiali da sole sul naso.
«Non sembri felice.»
La voce di Fabian le giunse all'orecchio. Si voltò e vide i due fratelli Parrish, Damian e Fabian raggiungerla sulla prua.
«Di cosa dovrei essere felice? Di passare un'intera settimana ad assecondare i capricci di mia sorella?» Rispose, alzando un sopracciglio in modo critico.
Damian si appoggiò alla ringhiera accanto a lei, mentre Fabian la osservava senza smettere di sorridere. Quei due ragazzi erano come fratelli per lei. In realtà lo erano tutte le persone presenti su quella piccola imbarcazione, eccetto Helen, la fidanzata di Emmett, unica intrusa in una rimpatriata di familiari e vecchi amici di infanzia.
«Dovresti essere elettrizzata dal fatto che entro qualche giorno saremo ufficialmente parenti.» Ribadì Fabian, mostrando un'espressione di finta offesa.
«Tecnicamente i cognati non sono proprio parenti, no?» Si intromise Damian, sarcastico.
Merry roteò gli occhi. Quei due erano esasperanti quando ci si mettevano. «Ancora devo capire come faccia vostro fratello,» disse Merry. Adrian Parrish, il loro fratello maggiore avrebbe sposato Ariadne, a sua volta sorella maggiore di Merry. «Mia sorella è una despota irritante. E lui è così … dolce.»
Fabian scrollò le spalle, come per dire che anche per lui quel legame fosse un improbabile mistero. Ariadne e Adrian erano fidanzati praticamente dalle elementari, quando Adrian, durante la ricreazione, cedeva il suo cestino del pranzo alla piccola, e già molto persuasiva, Ariadne.
«Non capisco come faccia a sopportarla.» Continuò Merry, imperterrita. Voleva bene a sua sorella, ma in lei non vedeva altro che egoismo, sprezzo e despotismo.
«Io sopporterei volentieri Ariadne,» disse Damian, sollevando gli angoli della bocca in un sorrisetto diabolico. Merry gli tirò uno schiaffetto sulla spalla. Sapeva bene a cosa si stesse riferendo Damian. Ariadne era una ragazza davvero bella, a dir poco. Con i suoi occhi scuri e i lunghissimi capelli castani non passava di certo inosservata agli occhi dell'intero genere maschile. «La sopporterei. Ma non la sposerei.» Precisò il ragazzo, con un ghigno infantile.
Fabian sghignazzò e aprì la bocca per dire qualcosa ma venne interrotto dall'arrivo dei gemelli.
«Ragazzi, che si dice?» Daniel e il suo gemello, Christopher, si accostarono a loro.
L'intero corpo di Merry si irrigidì all'istante, la bocca le si assottigliò in una linea dura e silenziosa. Non vedeva Daniel da circa un anno. Da quando si erano diplomati insieme alla Dalton.
«Ehi, Dan. Chris,» li salutò Fabian con un cenno del capo. «Stavamo sparlando di Ariadne, come al solito.» Spiegò, senza la minima traccia di imbarazzo. Ogni membro della famiglia riteneva Ariadne una gran rompiscatole.
Daniel annuì con un sorriso accondiscendente sulle labbra. Merry strinse il metallo della ringhiera fino a farsi sbiancare le nocche.
Christopher rimase in silenzio, osservando l'oceano con i suoi occhi blu.
All'occhio di una persona inesperta i gemelli erano assolutamente, totalmente identici. A volte anche la loro madre faticava a riconoscerli, ma negli ultimi anni l'impresa di distinzione era diventata più semplice. Erano identici in ogni piccolo dettaglio, ad eccezione dell'espressione. Le loro espressioni erano completamente differenti. Christopher aveva gli occhi perennemente tristi e vaghi, mentre Daniel indossava la sua tipica smorfia strafottente ed era difficile non vederlo sorridere.
«Allora, Fabian, la mamma mi ha detto che ti sei diplomato, hai già scelto in che università andrai? Raggiungerai Merry e Damian all'Anglia Ruskin?» Chiese Daniel, incrociando le braccia al petto e facendo guizzare i muscoli sotto la polo bianca. Merry deglutì.
Fabian fece un gesto con la mano, come per minimizzare il suo recente diploma. «Ho fatto domanda all'Anglia Ruskin, sì, anche se, in realtà, ho intenzione di prendermi un anno sabbatico. Sai, per viaggiare e altre cose.»
«I tuoi genitori non ne saranno felici.» Christopher parlò bruscamente e per la prima volta. Si voltarono tutti a guardarlo, ma Fabian sembrò non far caso alla sua scontrosaggine.
«C'è già Adrian che frequenta medicina a Cambridge, Damian è alla Anglia Ruskin. Direi che hanno soddisfatto a sufficienza l'ossessivo bisogno genitoriale di spedire i figli al college.» Scrollò le spalle.
Merry sapeva che per i gemelli il discorso di Fabian era incomprensibile. Ricordava bene le pressioni del loro padre affinché entrambi entrassero a Oxford. Era diventata una specie di ossessione, ricordava Daniel e le notti insonni passate a studiare ciò che già sapeva; suo padre che lo obbligava a riscrivere il tema di presentazione da allegare alla domanda per l'università circa cento volte …
Damian si schiarì la voce e cercò di spostare la conversazione su un altro argomento. «A proposito, che fine ha fatto Julian?»
Julian era il fratello maggiore di Virginia Sheridan. Lavorava in una banca nel centro di Londra, aveva ventiquattro anni ed era il più grande tra "i piccoli". «Non lo vedo da una vita.»
Fu Daniel a rispondere. «Virginia ha detto che è stato trattenuto al lavoro. Ci raggiungerà stasera.» I suoi occhi blu indugiarono su Merry e lei fu felice di nascondersi dietro gli occhiali da sole. Quando lui non accennò a distogliere lo sguardo lei si voltò e gli diede le spalle. Scrutò l'orizzonte e intravide una minuscola protuberanza fitta di vegetazione.
«Benvenuti a Cypress Island.» Disse con voce atona.
Gli altri si sporsero accanto a lei.
«Allora Ariadne non scherzava quando diceva che sull'isola c'era solo una casa.» Sussurrò Daniel, con voce apparentemente scioccata.
«È minuscola.»
«Già.»
 
*
 
Cypress Island si rivelò essere ancora più piccola del previsto. A soli tre chilometri dalla costa del Devon, l'isoletta si estendeva in lungo, ospitando una varia vegetazione, per lo più cipressi. Il lato sud dell'isola cadeva a picco sul mare, attraverso una scogliera liscia e levigata. La spiaggia su cui approdò il battello, invece, era di fine sabbia bianca. Il gruppo di ragazzi marciò lungo il molo e poi verso la scalinata, ricavata dalla pietra, che saliva verso l'alto, dove si intravedeva la facciata di un'imponente villa in stile vittoriano. Il sole era alto nel cielo del primo pomeriggio.
In testa alla fila c'era Merry, affiancata dai due fratelli Parrish, Damian e Fabian; Emmett e Helen procedevano per mano, subito dietro di loro. E, infine, Virginia, con al seguito i gemelli Hamilton.
Ariadne e Adrian li accolsero calorosamente, presentando loro ai due gestori della villa, la signora e il signor Stonem, entrambi sulla quarantina circa.
I nuovi ospiti vennero subito attratti dall'atmosfera magica e lussuosa del luogo. La villa sorgeva sopra un'enorme terrazza, affacciata sul mare. La parte posteriore della casa era occupata da un giardino squadrato, tenuto perfettamente e munito di fiori esotici, tavolini, ombrelloni e sedie a sdraio, oltre che di una grande piscina rettangolare. La villa era l'unica costruzione sull'isola, il resto era solo fitta vegetazione e sabbia.
I ragazzi si salutarono, si scambiarono battute e abbracci, dopodiché si ritirarono, ognuno con la propria chiave tra le mani, nelle loro stanze.
«Questo posto è magnifico!» Esclamò Helen, non appena Emmett ebbe chiuso la porta della camera alle sue spalle.
La stanza era molto ampia, grandi portefinestre conducevano ad un terrazzo con vista sull'oceano. C'era un letto matrimoniale dall'aria soffice, comodini, armadio, poltrone e un bagno privato.
«È vero.» Ammise Emmett, posando le valige a terra e guardandosi attorno.
Helen fece per sdraiarsi sul letto, per testarne la comodità, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Un piccolo cartoncino bianco, scritto in un'elegante calligrafia stampata. Lo prese fra le mani e lesse.
 
Nella casetta sulla collina
corrono insieme Merry e Virginia.
Poi c'è Ariadne, nasconde un segreto
il suo amore per Adrian, è ancora un divieto.
Damian e Fabian son spesso un fastidio
vivon di scherzi, un vero stilicidio!
Il povero Emmett è il loro bersaglio
sacrificato alla causa, da buon ammiraglio.
Daniel e Chris, i gemelli uguali
difficili da distinguere ai comuni mortali
e infine, Julian attende vendetta
aspettando e tessendo la trama perfetta.
Ognuno di loro per me è speciale
il sangue ci lega, non in modo casuale.
 
Helen alzò lo sguardo e incrociò quello perplesso di Emmett.
«Che cos'è?» Chiese il ragazzo, avvicinandosi.
Helen gli porse il piccolo cartoncino e lo vide corrugare la fronte, man mano che leggeva. «È una delle filastrocche di Elizabeth.» Sussurrò lui. «Deve averla messa qui Ariadne.»
«Non credo sia molto di buon gusto. E poi questa filastrocca è inquietante, mette i brividi.» Rispose Helen, guardandosi attorno con aria circospetta, come se un killer potesse uscire dall'armadio da un momento all'altro.
«Non essere ridicola.» La liquidò Emmett, con un gesto della mano. «Elizabeth l'ha scritta a nove anni. Non credo che l'opera di una bambina si possa definire inquietante.»
«Oh, andiamo, 'Julian attende vendetta, aspettando e tessendo la trama perfetta'? Per me è molto inquietante.» Ribatté lei, caparbia.
«Helen, non dire sciocchezze. Si riferisce a quando passavamo l'estate nella casa sulla collina del padre di Ariadne. Damian e Fabian combinavano sempre qualche guaio, di solito ai danni di Julian e me. Julian cercava di vendicarsi, escogitando qualche scherzo. Ecco cosa vuol dire la filastrocca.» Sbottò Emmett.
Helen si morse il labbro. «Mi dispiace, non volevo turbarti parlando di Elizabeth. So che soffrite ancora molto per la sua scomparsa.»
«Non fa niente. Avanti, faremmo meglio a -»
Emmett non riuscì a concludere la frase, che un urlo lacerò la quiete della casa. Ci fu un coro di porte sbattute, Emmett e Helen si affacciarono dalla loro, per assistere allo spettacolo che si stava svolgendo in corridoio.
«Chi diavolo ha messo questo nelle camere?» Merry stava urlando, il viso distorto dalla rabbia e il cartoncino bianco tenuto alto in una mano. «Chi?!»
Virginia era a pochi passi dietro di lei. Stringeva la filastrocca tra le mani e si nascondeva il viso, singhiozzando copiosamente. Non era mai riuscita a superare la scomparsa di sua sorella Elizabeth.
«Merry, vuoi abbassare la voce?» Sibilò Ariadne, dirigendosi verso la sorella con aria altrettanto furiosa.
Emmett pensò che le due ragazze non si fossero mai somigliate così tanto come in quel momento. Entrambe alte, dalla carnagione olivastra, lunghi capelli castano scuro e occhi altrettanto scuri. Due amazzoni pronte allo scontro.
«Non abbasso la voce. Perché diavolo hai messo questa filastrocca in ogni stanza? Credevi fosse un'idea carina, ricordare a tutti noi la perdita di Elizabeth?» La aggredì Merry, sventolandole in faccia il pezzo di carta.
Ariadne glielo strappò dalle mani e lesse. L'espressione sul suo viso divenne allarmata. «Non sono stata io a metterlo nelle vostre camere.»
Virginia singhiozzò più forte e Christopher le si avvicinò per darle piccole pacche consolatorie sulle spalle.
«Chi è stato, allora?» Ormai tutti gli ospiti erano nel corridoio e Merry scannerizzò ogni viso, con aria di gelida furia. Arrivata a quelli di Damian e Fabian si fermò. «Scommetto che siete stati voi. I due piccoli guastafeste.» Sibilò.
«Ehi, rilassati. Posso dire con assoluta sincerità che per una volta noi non c'entriamo.» Rispose Fabian, per entrambi.
«Non ti credo.»
«Okay, okay, smettetela tutti quanti.» Adrian intervenne per placare la baraonda. Era sempre stato uno dei più grandi e anche uno dei più saggi. Il pacificatore delle liti fra i mocciosi. «Merry, calmati. Qualcuno porti Virginia in camera sua e, chiunque abbia pensato che questo scherzo potesse essere divertente, beh, non lo è. Ora basta.»
Una ad una, le teste curiose si ritirarono nelle proprie stanze. Christopher accompagnò Virginia nella sua e i fratelli Parrish se ne andarono borbottando. Rimasero solo Merry e Ariadne nel corridoio ormai vuoto.
«Sarà meglio che ti rilassi, sorellina. Se hai intenzione di rovinare le mie nozze, te ne pentirai per il resto della vita.» Disse Ariadne, con un sorriso tirato sulle labbra, prima di voltarsi e andarsene. Merry rimase a lungo da sola, immobile nel corridoio, stringendo tra le mani la filastrocca, che un tempo aveva scritto la sua migliore amica.
 
*
 
Era tardo pomeriggio, quando Emmett scese al piano di sotto per utilizzare uno dei bagni comuni. Helen aveva rivendicato il loro bagno privato, per fare una lunghissima doccia e chissà quale altro assurdo rituale da ragazza. La cena era prevista per le sette in punto, perciò Emmett si affrettò a chiudersi la porta alle spalle e si spogliò dei vestiti del pomeriggio. Entrò nella doccia e lasciò che l'acqua calda lavasse via il sale e la sabbia dal suo corpo. Chiuse gli occhi, facendosi cullare dal rumore scrosciante dell'acqua. Per poco non scivolò e cadde sul ripiano bagnato di sapone, quando qualcuno strattonò la tenda, scoprendo il suo corpo completamente nudo e insaponato.
«Ma che diavolo -» Emmett si coprì istintivamente le parti intime, prima di alzare gli occhi grigi verso la figura che se ne stava immobile e sorridente a pochi passi da lui.
«Che cosa stai facendo?» Sibilò in sua direzione, passandosi una mano fra i capelli neri e bagnati, cercando inutilmente di non farsi ipnotizzare da quegli occhi verdi che fissavano insistentemente ogni linea del suo corpo.
«Stavo impazzendo, avevo bisogno di toccarti.» Disse e allungò una mano, facendola scivolare sull'addome di Emmett.
Lui represse un brivido e deglutì a fatica, cercando di mantenere un minimo di auto controllo.
«Non puoi stare qui, se qualcuno ci vedesse …» Lasciò cadere la frase. Non c'era bisogno di puntualizzare, se qualcuno li avesse sorpresi insieme, sarebbe successo il finimondo.
«Non mi importa.» Si avvicinò ancora. Emmett rimase immobile, il getto della doccia scrosciava in sottofondo. Le loro labbra si sfiorarono, prima con incertezza, come se uno dei due potesse tirarsi indietro da un momento all'altro. Ma questo non successe, anzi fu Emmett a spingere la bocca contro la sua con forza, fino a quando le loro lingue non si incontrarono con foga. Il bacio durò pochi istanti, ma bastò a Emmett per rimanere completamente senza fiato. Si staccò, con riluttanza.
«Devi andartene, non è prudente. Vediamoci questa notte, in camera tua. Verrò appena Helen si sarà addormentata.»
 
*
 
Merry si preparò per la cena e scese al piano di sotto con dieci minuti di anticipo. Quando entrò nella sala da pranzo andò a sbattere contro una superficie piatta e solida. Il torace di Daniel. Alzò lo sguardo e incrociò gli occhi blu del ragazzo.
«È una vita che ti raccomando di guardare dove vai,» le disse lui, con la sua odiosa aria da saputello.
Si accorse di avere ancora i palmi delle mani aperti sul suo petto. Si scostò bruscamente. «Sei in anticipo.»
«Anche tu.» Rispose con un sorrisetto sinistro.
«Io sono scesa a bere qualcosa.»
«E io sono sceso perché tutto quel nuoto mi ha messo un gran appetito.»
Merry roteò gli occhi. «Come no, deve essere faticoso stare a galla sopra una poltrona gonfiabile dentro a una piscina.» Borbottò lei con voce acida.
«Proprio così.» Asserì Daniel.
«Lascia perdere.» Sbottò Merry, andando verso il mobiletto degli alcolici e versandosi da bere.
«Io ne vorrei uno liscio, grazie. Ah, è una fettina di limone sarebbe il massimo.» Continuò lui con la sua pronuncia strascicata.
Merry fu dispensata dal mandarlo al diavolo dall'arrivo degli altri ospiti. Helen entrò nel salone insieme a Emmett, seguiti da tutti e tre i fratelli Parrish e da Chris, il gemello di Daniel. La penultima ad arrivare fu Ariadne, per creare quella sorta di 'entrata ad effetto', come la chiamava lei, nel suo abito di lustrini lilla. Si sedettero al lungo tavolo di mogano, al centro della sala, addobbato con ogni tipo di argenteria e porcellane. Il signor Stonem iniziò a servire la cena cucinata dalla moglie allo scoccare delle sette in punto, come da programma.
«Dov'è Virginia?» Chiese Ariadne, con aria offesa, come se saltare la cena fosse un dispetto fattole appositamente.
«È in camera sua.» Rispose Christopher, seduto accanto a Daniel. «È ancora molto scossa per oggi pomeriggio,» Ariadne fece un'espressione vaga, così Christopher puntualizzò. «Sai, la filastrocca? Quella scritta da sua sorella scomparsa ormai da quattro anni?» Il suo tono di voce trasudava un gelido sarcasmo. Merry ricordava che Elizabeth e Chris erano stati molto legati in passato.
Ariadne agitò in aria una forchetta, con nonchalance. «Sciocchezze.»
Merry infilzò una patata arrosto con eccessiva violenza, meritandosi un'occhiata perplessa da parte di Adrian, che aggiunse: «Speriamo che l'arrivo di Julian riesca a farla ragionare.»
«A che ora arriva Julian?» Si informò Fabian, tutto pimpante, scambiandosi uno sguardo di intesa con il fratello Damian. Probabilmente quei due gli avevo già teso qualche bello scherzetto di benvenuto.
«Il suo traghetto parte alle nove.» Rispose Adrian, sorridendo. «Tra non molto dovrebbe essere qui.»
«Julian che fa ragionare la sorella mi sembra un'ipotesi assurda.» Disse Daniel, servendosi la seconda porzione di arrosto.
«Perché?» Chiese Adrian, confuso.
«Beh, sappiamo tutti che Julian ha qualche problemino a gestire la rabbia.» Continuò lui. «Tipo che è stato bandito da quasi tutti i pub di Londra? Per aver scatenato delle risse?» Spiegò Daniel, con fare esasperato.
Damian e Fabian si scambiarono un ulteriore sguardo compiaciuto. «Ricordiamoci di congratularci con Julian appena arriva.» Sussurrò Fabian al fratello.
«Tesoro, questo posto è splendido, l'idea di sposarvi qui è davvero meravigliosa.» Tubò Helen, interrompendo i discorsi inappropriati dei ragazzi, da brava migliore amica. Era quel tipo di voce che usava spesso per elogiare Ariadne, così dolce e mieloso, non serviva un genio per coglierne la sfumatura invidiosa. «Non è così, Emmett?» Chiese, rivolgendosi al suo ragazzo con una gomitata nelle costole, per farlo smettere di parlare di videogiochi con Fabian e Damian.
«Come? Oh, sì.» Rispose lui, vago, prima di fiondarsi nuovamente nella conversazione sui videogiochi.
Merry ridacchiò. Helen non le era mai piaciuta. Non era una parente né un'amica di famiglia, come tutti loro, era semplicemente un'intrusa, per niente simpatica.
«Meraviglioso,» si intromise Damian, «se non fosse che quest'isola non è stata cablata e non esiste nemmeno una rete wi-fi.» Sbuffò il ragazzo.
Ariadne gli rivolse un'occhiata gelida. «Ho pensato che fosse una buona idea passare un po’ di tempo insieme isolati da tutti e tutto.» In realtà anche lei sentiva la mancanza del suo cellulare, ma non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce.
«Ma io devo chiamare Brittany, altrimenti mi ucciderà!» Sbottò Damian.
«C'è un telefono nel corridoio accanto allo studio. Puoi chiamarla da lì. E poi la tua ragazza non si chiamava Sophie?» Ribatté Ariadne.
«Sei rimasta indietro, sorellina. Sophie era quella del mese scorso.» Sghignazzò Merry.
Damian la ignorò volutamente. «L'unico telefono si trova nel corridoio accanto allo studio? Ma dove diavolo è finita la privacy?» Si lamentò, in tono fintamente pomposo.
Emmett rise. «Perché? Tu e Brittany vi cimentate nel sesso telefonico?»
Risero quasi tutti e Damian assunse una vaga sfumatura rossa, ad eccezione di Helen che diede una seconda gomitata nel fianco di Emmett, come se avesse detto chissà quale oscenità.
Il resto della cena passò tra chiacchiere futili, risate e pietanze decisamente squisite. «Dì a tua moglie che la cena era ottima.» Disse Adrian, gentilmente, mentre il signor Stonem sparecchiava la tavola. Lui annuì con un sorriso, dopodiché gli ospiti si spostarono tutti nel salone per un drink.
Per un drink si intendeva far fuori cinque bottiglie di scotch, una di vodka e metà di Porto. Si poteva dire tutto degli inglesi, ma non che fossero degli scarsi bevitori. Il primo a ritirarsi nella sua stanza fu Chris, seguito da Ariadne e Helen. Damian, Fabian, Adrian e Emmett rimasero in salone a giocare a biliardo. Merry li punzecchiò con battute sarcastiche dal divano, fino a quando Daniel non si sedette accanto a lei, in bilico sul bracciolo di velluto.
Merry alzò lo sguardo e la testa prese a vorticarle furiosamente, forse per il troppo alcool, forse per la sua vicinanza inaspettata. Era passato così tanto tempo dall'ultima volta che le era stato vicino.
 
*
 
Julian Sheridan si era liberato appena in tempo dal lavoro per riuscire a prendere l'ultimo battello delle nove di sera, diretto a Cypress Island. Essendo l'unico passeggero, si accomodò accanto al comandante.
«Un viaggio solitario, eh?» Chiese all'uomo dalla barba brizzolata.
«Già, pare che una coppia di sposi abbia affittato l'isola per un'intera settimana.» Rispose il comandante, lanciando un'occhiata di traverso al ragazzo. «E tu devi essere uno dei loro ospiti.»
«Esatto. Sono il cugino.» Julian si accese una sigaretta e accavallò le gambe. «Non le dispiace se fumo, vero?» Formulò la domanda per pura formalità. Non che la risposta del comandante avrebbe potuto fermarlo, perché lui continuò a fumare. «Quindi, quest'isola è così bella come dicono?»
«È un panorama molto suggestivo, se si è amanti della natura. Ma a volte capita di rimanere bloccati lì per giorni, a causa del mal tempo.»
«Quindi il servizio del battello non è assicurato?» Chiese Julian.
«Se c'è mal tempo è rischioso. E no, non è assicurato. Varia in base agli ospiti dell'isola. Nella bassa stagione la villa rimane disabitata per settimane. E questa è l'ultima tratta, per tre giorni il servizio sarà sospeso.»
«E se qualcuno avesse bisogno di tornare indietro?» Continuò Julian, allarmato.
«In quel caso basta chiamare la capitaneria. C'è un telefono sull'isola e anche una radio sintonizzata sulla frequenza dei sorveglianti, giù al porticciolo. Per qualunque problema, saremo lì in venti minuti massimo.»
Julian gettò il mozzicone di sigaretta in mare, guadagnandosi un'occhiata di sdegno da parte del comandante. «Mi scusi, ma lei ha detto che sull'isola c'è un telefono. Cosa significa? Non siamo mica nel Medioevo, esistono i cellulari per chiamare.»
Il comandante nascose un sorriso sotto i baffi. «Non c'è alcuna copertura telefonica a Cypress Island.»
L'espressione orripilata di Julian ripagò il comandante per quella sigaretta buttata in mare. Il ragazzo scese dal battello quando ormai la notte era calata. Il cielo sembrava un manto di velluto blu, costellato di stelle e il giovane si affrettò su per le scale di pietra. Tirò fuori il cellulare dalla tasca della camicia e lo sollevò in aria, per cercare traccia di un misero segnale. Quel maledetto marinaio aveva ragione. Qui non c'è rete, né wi-fi … solo fottutissimi insetti.
La rabbia iniziava già a montargli nel petto. Julian scacciò via una zanzara piuttosto grande e si arrestò, alzando il viso. Si trovava ormai a metà della rampa di scale.
«E tu che ci fai qui?» Esclamò, sorpreso.
Due mani lo afferrarono bruscamente per le spalle, dopodiché lo spinsero verso il basso. Al resto ci pensò la forza di gravità e l'impatto con l'asfalto.
 
*
 
Emmett salì al piano di sopra molto tempo dopo di Helen. Contando i gradini, pregò silenziosamente che la ragazza si fosse già addormentata. E la sua preghiera fu esaudita. Helen giaceva supina sopra il loro letto, i capelli rossi sparsi sul cuscino bianco, il respiro calmo e regolare, tipico del sonno. Emmett sostituì i vestiti della sera con il pigiama e si sdraiò accanto a lei. Helen avvertì la sua presenza, perché mugolò il suo nome e si strinse contro il suo corpo.
«Ssssh, dormi.» Le sussurrò, accarezzandole appena i capelli. Lei sospirò, profondamente addormentata.
Si sentiva un mostro. Un mostro della peggior specie. Un subdolo traditore bugiardo. Ma il senso di colpa che lo attanagliava non era neanche lontanamente paragonabile alla pulsione che lo attraeva verso la camera di qualcun altro. La camera che rimaneva giusto a tre porte di distanza. Si alzò e, il più silenziosamente possibile, uscì dalla stanza, percorrendo il corridoio a ritroso. La luce lunare filtrava attraverso la finestra sul fondo. Contò le porte che lo separavano da lui. Una. Due. Tre. Posò la mano sulla maniglia e spinse giù. La porta non era chiusa a chiave, come aveva immaginato. Entrò.
L'atmosfera era completamente buia. Se quella non fosse stata una notte di luna piena non avrebbe visto nulla. Invece vedeva, vedeva eccome. Fabian era sdraiato sul suo letto, la schiena appoggiata contro la testiera. Quando lo vide sorrise, con quel suo sorriso così giovane e luminoso.
«Ce ne hai messo di tempo.»
Emmett lasciò che il suo sguardo indugiasse sul torace nudo del ragazzo. La luna illuminava ogni linea retta e curva del suo corpo. La sua pelle pallida e levigata, i capelli castani ritti sulla testa e quegli occhi verde mare. Si leccò le labbra e scoprì di avere la bocca completamente asciutta. «Dovevo assicurarmi che Helen dormisse.» Disse con un filo di voce.
Rimasero a fissarsi, silenziosi. «Hai intenzione di rimanere lì impalato sulla porta per sempre?» Chiese Fabian, ironico. «In quel caso potresti toglierti quello stupido pigiama. Sarebbe molto più divertente.» Fabian fece un sorriso sghembo e si alzò dal letto.
Dio, da quando sono diventato un tale idiota? 
Emmett non riusciva a muovere un passo da quella maledetta porta. La situazione gli sembrava assolutamente irreale, trovarsi lì, nella stanza di Fabian, quando a pochi metri giacevano addormentati tutti i loro cugini e amici d'infanzia. Erano tre mesi che si frequentavano di nascosto e i loro incontri clandestini gli erano sempre parsi come un sogno, lontani da tutto e da tutti. Questa volta era diverso.
Fabian si avvicinò di qualche passo e Emmett si domandò come diavolo fosse finito in quella situazione. In una situazione che comprendeva l'andare a letto con il ragazzo a cui un tempo faceva da babysitter.
Nella sua mente, vide l'immagine sfocata di Fabian da piccolo. Fabian e Damian che gli si buttavano addosso, facendolo ruzzolare sul prato davanti a casa. Lui, che a quindici anni lo prendeva con forza e lo buttava nel lago gelato nella tenuta dell'Hampshire … ricordava ancora la strigliata di suo padre. Ma ne era valsa la pena, vedere l'espressione profondamente sorpresa sul viso di quella piccola peste di Fabian.
Lo aveva visto crescere e lui era cresciuto a sua volta. Lo aveva visto trasformarsi da bambino pestifero ad adolescente pestifero e poi in questo. In un ragazzo dalla bellezza straordinaria, dallo spirito allegro e superbo. E, quando aveva scoperto le sue inclinazioni sessuali, ne era rimasto completamente scioccato e affascinato al tempo stesso. Forse perché lui non avrebbe mai avuto il coraggio di confessare alla sua famiglia di essere gay. La sola possibilità lo faceva tremare di disagio. Suo padre non gli avrebbe rivolto mai più parola, lo avrebbe licenziato dalla sua stessa compagnia e sua madre ne sarebbe morta di dolore.
«Smettila di rimuginare.» Alzò gli occhi di scatto. Non si era nemmeno accorto che, ora, Fabian era a pochi centimetri da lui.
Sorrise.
Fabian allungò il braccio e lo tirò per il collo della maglietta. Emmett chiuse gli occhi e cercò di tenera a bada il suo cuore impazzito. Senza successo, perché Fabian gli sfiorò la spalla con le labbra e il suo cuore fece un'ulteriore capriola. Le sue labbra si spostarono sul collo, poi sul mento e infine sulle bocca.
Emmett la dischiuse e lasciò che le loro lingue si intrecciassero. Mentre riprendeva coscienza dei suoi arti, lo afferrò per le braccia, continuando a baciarlo con forza e lo spinse giù sul letto.
Vide gli occhi verdi di Fabian brillare di divertimento. «Così mi piaci molto di più dell'Emmett impalato.»
Non rispose. Lo scavalcò, mettendosi sopra di lui e reggendosi sugli avambracci. Fabian gli tolse il pigiama con un unico movimento fluido. Sentì il calore della sua pelle nuda contro la sua. Lo baciò a lungo, affondando le dita nei suoi capelli castani e lui fece lo stesso con i suoi, mordendogli le spalle e il torace. Stringendolo contro di lui. Emmett smise di pensare, o rimuginare, lasciando che la sua parte razionale si rintanasse in un angolo buio della sua mente e concentrandosi invece su Fabian. Sulla sua bocca che scorreva lungo tutto il suo corpo, sulla curva delle sue labbra, sollevate all'insù, come se sapesse che non poteva fare a meno di lui. Gli morse quelle labbra insolenti e Fabian gemette nella sua bocca. Quel suono lo fece impazzire. I loro corpi si aggrovigliarono fra le lenzuola e Emmett si abbandonò a quel tipo di felicità che solo Fabian poteva dargli, ricordando la prima volta che l'aveva assaporata, circa tre mesi prima …
 
Gents. L'insegna luminosa diceva già tutto su quel locale, a Soho. Questo posto si chiama come il bagno dei signori, fantastico. Ancora non sapeva come quella piccola peste di Fabian fosse riuscito a convincerlo ad accompagnarlo in un locale gay. Probabilmente suo fratello Damian lo aveva bidonato, per uscire con quella nuova ragazza di nome Tiffany, o Brittany. Non che avesse qualcosa contro i gay. Solo, non era il suo genere.
«Non fare quella faccia, Piccolo Principe.» Aveva ribattuto Fabian, dopo aver visto la sua espressione semi-disgustata.
Come previsto, l'interno del club non si rivelò essere migliore della facciata. Uomini, giovani, vecchi, travestiti … uomini ovunque, di ogni nazionalità, di ogni ceto sociale e con addosso ogni sorta di improbabile vestito. Non ci volle molto, prima che Emmett perse di vista Fabian, fino a quando non lo ritrovò avvinghiato ad un altro ragazzo. Uno molto più grande di loro. Qualcosa scattò in lui. Lo trascinò fuori dal locale, furioso.
«Sei pazzo!»
«No, tu sei pazzo. Cosa credevi di fare con quello? Sembra un avanzo di galera!»
«Cercavo di divertirmi. Parola che tu hai completamente buttato nel dimenticatoio da quando stai con quella Helen. Andiamo, Emmett.»
«No. È tutto sbagliato.»
Perché diavolo si sentiva così male? Lo stomaco stretto in una morsa di gelida furia. Perché?
Fabian lo guardò, la sua espressione fu simile a quella di quando lo aveva buttato a tradimento nel lago gelato. Completamente scioccata e sincera. «T-tu … sei geloso?»
Idiota. Certo che no.
Fabian si ricompose, indossando la sua solita maschera di superbia e ironia. «Sei geloso di me. Che tesoro!» Lo prese in giro, senza cattiveria.
Doppiamente idiota. Emmett sbuffò.
«Volevi esserci tu al posto dell'avanzo di galera? Volevi assaggiare le mie dolci labbra?»
Emmett non rispose. E in quel preciso momento entrambi capirono che era quella la pura verità. Fu una sorta di illuminazione inaspettata per entrambi. Fabian abbandonò la sua ironia e lo baciò.
Ed Emmett non si tirò indietro.
 
*
 
Merry aprì gli occhi. Fu un risveglio improvviso e l'emicrania l'assalì all'istante. La sera prima aveva bevuto decisamente troppo. Si rigirò nel letto, sentiva di non essere ancora del tutto riposata, richiuse gli occhi nella speranza di riaddormentarsi e fu in quel momento che lo percepì. Qualcosa di caldo, proprio accanto a lei. Il cuore le saltò in gola e, molto lentamente, si voltò su un fianco, anche se immaginava già quello che avrebbe trovato.
Oh, no. No, no, no. Ti prego, fa che non sia lui, fa che non sia lui.
Ma quella muta speranza non la rallegrava più di tanto, perché se non era lui, sarebbe stato qualche suo parente, o peggio, il suo gemello.
Come previsto, Daniel era steso accanto a lei. I riccioli neri gli ricadevano sulla fronte e il suo torace si abbassava e alzava lentamente. Il lenzuolo gli si era attorcigliato ad una gamba, lasciando scoperto il resto del corpo abbronzato.
Merda.
Alcuni flash della sera prima le tornarono alla mente. Flashback in cui lei e Daniel facevano qualcosa di molto sbagliato e molto divertente. Le parve di risentire le sue mani ruvide sulla sua schiena, i loro sospiri e lui che la guardava dritta negli occhi, con quelle sue iridi eccessivamente blu. Si soffermò a guardarlo da vicino, addormentato sembrava così dolce, giovane … Merry ricordò i tempi in cui lo era per davvero. Tempi in cui loro due erano inseparabili. A scuola passavano ogni minuti insieme, eccetto quando avevano lezioni separate; finito l'orario scolastico, lei passava il resto del pomeriggio a casa sua, o viceversa, fino a quando i loro genitori dovevano impuntarsi e staccarli con la forza l'uno dall'altro, riportando ognuno nella propria casa. Era per quel motivo che Merry amava l'estate. L'arrivo dell'estate significava ventiquattro ore su ventiquattro insieme a Daniel, quando lui e tutto il resto della famiglia allargata si trasferiva nell'Hampshire per tutto il mese di luglio.
«Mi stai fissando.»
Merry venne bruscamente riportata alla realtà. Non si era accorta che si fosse svegliato, soprattutto perché il ragazzo aveva continuato a tenere gli occhi chiusi, anche se ora, sulle sua labbra piene, aleggiava l'accenno di un sorriso.
«Vattene subito dal mio letto.» Rispose lei, bruscamente, voltandosi a pancia in su, per non essere costretta a guardare il suo profilo aggraziato.
«Ieri sera mi hai praticamente obbligato ad entrarci e ora mi cacci così?» Ribatté con un ghigno. «Non sei affatto gentile, Merry.»
Sentirgli pronunciare il suo nome le diede i brividi. Era passato più di un anno dall'ultima volta. «Davvero, Daniel, è stato uno sbaglio. Devi andartene.» Ripeté con voce di ferro.
Lui si voltò su un fianco, conficcando il gomito sul cuscino per sostenersi la testa arruffata. «Non farlo.» Le disse piano.
«Che cosa?» Merry rise, piuttosto istericamente. «Che cosa non dovrei fare? Venire a letto con te? Troppo tardi, sono un'idiota.»
«Non respingermi di nuovo.» Disse, semplicemente. «E ciò che abbiamo fatto è stato … non è stato un errore. È stato perfetto e mi fa pensare che tutto l'odio che cerchi di dimostrare nei miei confronti non sia poi così reale.»
Merry sbuffò. «Oh, io ti odio. Ti odio eccome.»
«Perché?» Daniel si passò una mano fra i capelli, esasperato.
«Lo sai.»
«No. Io non so niente. So solo che un giorno di tre anni fa ti sei svegliata e hai deciso per entrambi che la nostra relazione era finita.»
«Lo sai perché.» Ripeté di nuovo, in un sussurro.
Daniel allungò una mano e le accarezzò il ventre piatto, sfiorandola appena. Lei rabbrividì sotto il suo tocco leggero e ripensò a tutte le volte che lui l'aveva toccata in quel modo. A quanto la facesse sentire bene. «Ti prego. So che sono stati anni difficili. Ma possiamo superare tutto insieme. Credi che per me sia stato facile? Anche io volevo bene a Elizabeth. Come voglio bene a te, a mio fratello, Adrian, Fabian, Virginia … a tutti loro.»
Merry rimase paralizzata dalla sincerità delle sue parole. Iniziò a dubitare di tutto e del motivo per cui lo aveva allontanato. Insieme potevano sorreggersi a vicenda. Ma lei aveva scelto di portare tutto il peso della perdita sulle sue spalle, e poi il viso di Daniel le faceva ricordare …
Lui spostò la mano lungo la sua gamba, risalendo lentamente tutto il corpo, fino alle labbra. Si chinò su di lei e le baciò dolcemente uno zigomo.
«Non so che dire, davvero.» Sospirò lei a bassa voce.
«Perché sei venuta a letto con me, Merry?» Chiese Daniel, scostandosi da lei. Non sembrava arrabbiato, solo confuso. «Era un altro tentativo per umiliarmi? Non credi di averlo già fatto abbastanza? Mi hai lasciato dicendomi che non riuscivi più a guardare la mia faccia.» Incrociò le braccia dietro la nuca e lei vide i muscoli dei bicipiti guizzare. Distolse lo sguardo. Ricordava perfettamente quel giorno, alle superiori. Ricordava anche il sollievo provato dopo il diploma, quando il tormento di doverlo osservare per i corridoi della scuola era finito. Perché ogni volta che guardava lui, o Christopher, vedeva lei. «Non credevo di avere una così brutta faccia.» Aggiunse Daniel, allentando la tensione che si era creata.
«La tua faccia è okay,» borbottò, lanciando un breve sguardo al suo naso sottile e alle labbra carnose. Sì, era decisamente okay, pensò, mentre lui abbassava le palpebre, facendo ciondolare un piede fuori dal letto.
«Okay è già qualcosa.» Sorrise appena, senza guardarla.
Rimasero in silenzio, fino a quando un grido petulante non li fece sobbalzare.
«Meredith!»
Sentendosi chiamare con il suo nome completo, Merry si alzò di scatto dal letto, fin troppo conscia dello sguardo di Daniel fisso sul suo corpo. Le bruciava la nuca da quanto era intenso.
«Meredith!» L'urlo proruppe nuovamente, questa volta ancora più vicino. Cercò qualcosa da indossare, finendo con una canottiera al contrario e un paio di pantaloncini che non ricordava nemmeno di aver messo in valigia.
«Credo che tua sorella ti stia cercando.» Disse Daniel, alzando un sopracciglio con fare ironico e studiando attentamente la canottiera di Merry infilata al contrario.
«Meredith. Dove. Diavolo. Sei!» Un ticchettio di tacchi sul pavimento annunciò l'imminente arrivo di Ariadne.
«Dio santo, perché non la finisce di urlare come un'aquila?» Sibilò irritata, andando verso la porta della stanza. «Sono qui!»
La porta si spalancò in quell'esatto istante. Una Ariadne piuttosto turbata si avventò sulla sorella minore. «Devi aiutarmi. È successa una cosa terribile, io non -» Ariadne si fermò per prendere un bel respiro e Merry avvertì una morsa d'ansia stringerle lo stomaco.
«Che succede? Che è successo?»
«Il … Oh,» fece Ariadne, guardando verso il letto. «Che ci fa Daniel nel tuo letto?»
Le guance di Merry divennero paonazze, mentre Daniel sorrise affabile.
«Lui … È stato un errore di circostanza.» Rispose Merry, senza riflettere.
Daniel fece una smorfia e si alzò dal letto, completamente nudo, lasciando entrambe a boccheggiare, scioccate.
«Oddio. Vuoi metterti qualcosa addosso, per favore?» Sibilò Ariadne, distogliendo lo sguardo e concentrandosi nuovamente sulla sorella. «C'è un'emergenza. Il vestito da sposa. Non riesco ad entrare nel mio vestito!» Squittì, sull'orlo di una crisi di nervi. «Devi aiutarmi, subito!»
Le spalle di Merry si rilassarono. Certo, era ovvio, le emergenze di sua sorella, se così si potevano definire, riguardavano sempre gli abiti, o i brufoli, o i minuscoli ragni cattivi. Sbuffò, alzando gli occhi al cielo e constatando che Daniel si era finalmente rivestito. «Andiamo.» Disse sconfitta e si lasciò trascinare via.
Quando arrivarono nella stanza di Ariadne, l'attenzione di Merry fu subito colta da un piccolo cartoncino posato sul copriletto. Si avvicinò e lo prese tra le mani. «E questo?»
Sua sorella le lanciò un'occhiata e scrollò le spalle. «Quando sono uscita dalla stanza non c'era.» Si avvicinò e la sua espressione accigliata si trasformò in un sorrisino. «Deve essere un biglietto romantico da parte di Adrian. È così dolce.»
Merry roteò gli occhi e lasciò che la sorella leggesse il contenuto del messaggio ad alta voce, per poter vantarsi del suo perfetto e assolutamente romantico futuro sposo.
 
Il lunedì ci si sposa per salute e bellezza,
il martedì per avere ricchezza,
il mercoledì è il giorno migliore,
il giovedì porta solo dolore,
il venerdì privazioni e rimpianto,
il sabato sfortuna soltanto.
 
Merry ricordava perfettamente quella stupida poesia popolare, non perché le piacesse granché, né perché alle elementari la maestra aveva imposto alla classe di impararla a memoria, ma perché era la preferita di Elizabeth.
Guardò sua sorella e si accorse che era mortalmente pallida. «Quando …» deglutì a fatica. «Quando hai detto che ti sposi?»
«Sabato.»
 
*
 
Dopo aver risolto l'importantissima emergenza vestito di Ariadne (bastava allargare i lacci del corsetto), Merry indossò il costume, un prendisole e si avviò verso il giardino sul retro. Alcuni ragazzi erano già lì. Damian e Fabian nuotavano nella piscina, schizzandosi e affogandosi a vicenda, proprio come quando avevano dieci anni. Helen e Emmett erano sdraiati al sole, lei si era addormentata, mentre Emmett osservava con un sorriso divertito i due ragazzi nella piscina. Adrian sedeva all'ombra, con un libro tra le mani. Merry si voltò in ogni direzione per assicurarsi che non ci fosse Daniel, magari appostato dietro a un cespuglio, ma non vide traccia dei gemelli. Con un sospiro salutò gli altri e si accomodò su una delle sdraio, godendosi il perfetto mix di sole caldo e brezza fresca, associato con i, non tanto perfetti, schizzi d'acqua provenienti da Damian e Fabian.
«Merry …»
Quella voce la riscosse, aprì gli occhi e trovò Virginia in piedi accanto a lei.
«Ehi,» le fece segno di sedersi e lei ubbidì. «Finalmente sei uscita dalla tua stanza.» Le disse sorridendo.
Virginia indossava un vestito nero, occhiali da sole enormi e un altrettanto enorme cappello di paglia. Sembrava una piccola diva vecchio stampo, nella versione disperata e diciottenne. Merry immaginò che avesse pianto tutta la notte.
«Come stai? Julian è riuscito a tirarti su di morale?»
Gli angoli della bocca di Virginia si abbassarono all'ingiù e tremolarono. «Julian non è arrivato.»
Merry aggrottò la fronte. «Come non è arrivato?»
In effetti ricordava vagamente che Julian dovesse prendere il traghetto delle nove e raggiungerli per quell'ora. Ma ieri sera era decisamente ubriaca per far caso alla sua mancanza.
«Non è arrivato, Merry. Non è da lui … ho provato a chiamarlo dal telefono della casa ma ha il cellulare spento e a casa non risponde nessuno. Ho chiamato la mamma ma dice che non lo ha sentito.»
Il respiro di Virginia si fece affannoso.
Merry allungò una mano e le accarezzò una spalla. «Non preoccuparti, probabilmente avrà avuto dei problemi al lavoro. Scommetto che ci raggiungerà oggi pomeriggio.»
«No. C'è qualcosa che non va qui.» Sbottò, torcendosi le mani.
Merry prese un bel respiro e parlò: «So che sei scossa per la filastrocca e ora per Julian, ma vedrai che lui arriverà e la filastrocca … beh, sono ancora convinta che sia uno degli scherzi di cattivo gusto di Damian e Fabian.» Evitò accuratamente di riferirle della poesia preferita da Elizabeth trovata sul letto di Ariadne poco prima.
«E se non fosse così? Questo posto è strano … io … non mi sento a mio agio. Ho pregato Damian e Fabian di dirmi se erano stati loro e mi hanno giurato il contrario. Credo che -» si interruppe e fissò lo sguardo su un punto lontano.
«Cosa credi?» Sussurrò Merry. Senza motivo il suo cuore aveva iniziato a battere più forte.
«E se fosse stata proprio Elizabeth a mettere la filastrocca nelle nostre camere?» Continuò Virginia, lentamente.
Merry si irrigidì e non rispose.
«Per tutti questi anni ho creduto che fosse morta … ma se non fosse così?»
Merry chiuse gli occhi per mantenere il controllo. Si accorse delle sue mani tremanti e le chiuse a pugno. «Non è possibile.» Disse in tono duro. «Tua sorella non … non è possibile.»
«Pensaci, Merry, il suo presunto cadavere non è mai stato ritrovato e le autorità sostengono tutt'ora che lei sia scappata di casa. Magari è proprio così, no?» Insisté Virginia.
«Ma perché sarebbe dovuta scappare di casa? Quello che dici non ha senso.» Sbottò Merry, alzandosi in piedi.
«Ragazze, che succede?» Chiese la fastidiosa voce di Helen.
Ma quando diavolo si è alzata? Pensò Merry, irritata.
«Niente.» Risposero in coro.
«Io e Emmett stiamo per andare a fare una passeggiata nel bosco, volete venire con noi?»
«No.» Risposero, nuovamente all'unisono. Poi Virginia aggiunse: «grazie.» E se ne andò.
Helen fissò i suoi slavati occhi castani su Merry e la sua bocca si distorse in un sorrisino malizioso. «Meglio così.» Disse e poi corse a prendere a braccetto Emmett, scoccandogli un bacio sulla guancia, lui sembrava essere entusiasta nemmeno la metà di Helen.
Merry si accorse che anche Fabian li stava guardando, così alzò gli occhi al cielo e lui finse un conato di vomito. Le tornò il buon umore e si sforzò di dimenticare l'assurda conversazione con Virginia, la filastrocca, la poesia e tutto il resto.
«Io e Damian andiamo a fare immersioni, vieni?» Le chiese Fabian, passandosi una mano fra i capelli castani ancora fradici.
Merry annuì e insieme si avviarono nella dépendance, dove erano tenuti tutti gli attrezzi. Dopo qualche minuto si ritrovarono sulla terrazza, con in mano pinne e maschere.
«Damian?» Chiese Merry, visto che Fabian era solo.
Lui scrollò le spalle. «Ha detto che ci raggiunge, prima deve fare una telefonata importante.» Fece una smorfia. «Probabilmente a quell'oca di Brittany.»
Merry rise e prese il ragazzo sottobraccio, mentre insieme scendevano le scale di pietra che conducevano alla spiaggia. «E tu invece? Hai qualche bel ragazzo per le mani, al momento?»
Fabian roteò gli occhi, ma sorrise. «In realtà … sì.»
Merry esplose in un gridolino compiaciuto. «Chi è? Lo conosco? Non hai una foto?»
Fabian la guardò con entrambe le sopracciglia alzate. «Cavolo, la tua vita sentimentale deve proprio fare schifo se ti agiti così tanto per la mia.» La prese in giro, scuotendo la testa.
«Esatto. Ora rispondi alle domande.»
«N-non lo conosci, mi dispiace. L'ho conosciuto in un locale e sì, più tardi ti mostro una foto, contenta?»
«Abbastanza.» Fece Merry, poi si bloccò. Abbassò lo sguardo in prossimità dei suoi piedi e aggrottò la fronte. Ormai erano arrivati alla fine della scala. «Che cos'è quello?» Chiese indicando una macchia color ruggine in prossimità del penultimo gradino. «Sembra sangue. Oddio.»
«Lascia perdere, sarà quello di un procione ferito, andiamo.» La prese per un braccio e la trascinò via, verso la riva. Merry non staccò gli occhi dal gradino incriminato, ripensando alle parole di Vriginia: C'è qualcosa che non va qui. Questo posto è strano. Non mi sento a mio agio.
 
*
 
Damian afferrò il telefono nel corridoio, accanto allo studio. Digitò il numero nel tastierino e in quel momento si sentì tanto come un galeotto in prigione, o un pazzo chiuso in manicomio nell'ora della telefonata giornaliera.
Sospirò, concentrandosi sugli squilli.
Al terzo rispose una voce maschile. «Pronto?»
«Ehi, John. Sono Damian, scusa se ti chiamo da questo numero, ma sono bloccato su un'isola con la famiglia e non c'è campo.» Disse di getto.
«Questa scusa non l'avevo ancora sentita, davvero.» Borbottò l'altro, in un tono per nulla amichevole.
«È la verità, John. Dammi qualche giorno, ancora.»
«Senti, Damian, mi devi ancora i soldi dall'ultima partita a poker, ma siamo amici, perciò non te lo rinfaccerò.»
Non l'ha appena fatto? Pensò Damian, avvolgendosi il filo del telefono attorno al dito e guardando il corridoio libero. «E ora te ne esci con questa scusa? Mi avevi promesso un Courbet originale entro ieri sera. Domani ci sarà l'asta e io ho promesso alla vecchia che avrei avuto un fottuto Courbet originale, capisci?»
«Senti, John …»
«No. Ne va della mia credibilità, capisci?»
«Capisco.» Damian roteò gli occhi al cielo. «Mia nonna aveva un Courbet nel suo salone, dopo che è morta devono averlo riposto da qualche parte, ma so che c'è, okay? Devo solo trovarlo, dopodiché sarà tuo.»
«Sarà meglio, Damian. Sono stufo delle tue promesse a vuoto. Non sei l'unico figlio di papà rimasto senza soldi e disposto a vendere le cianfrusaglie di famiglia, sai?»
Considerare una cianfrusaglia il quadro Le Bagnanti di Gustave Courbet era un atto illegale, secondo Damian, ma lo tenne per sé. John non avrebbe sicuramente apprezzato l'antifona.
«Ti ho detto che avrai quel maledetto -»
Damian si interruppe di colpo. Non si era accorto dell'arrivo di Daniel nel corridoio e che ora si trovava a soli pochi passi da lui. «quel maledetto anello, Brittany. Non fare la cattiva, su, su. Lo avrai a tempo debito, piccola. Ora devo proprio andare, ti amo!»
Damian riagganciò bruscamente e sospirò con fare esasperato, in direzione di Daniel: «Le donne!» Dopodiché sgattaiolò via.
Si chiese cosa avesse pensato John, probabilmente che era partito di testa. Doveva assolutamente trovare quel quadro.
 
*
 
Helen aveva fatto preparare un cestino con il pranzo alla signora Stonem, Emmett se l'era caricato in spalla e pensava a quanto fosse maledettamente pesante e a quanto desiderasse trovarsi in un altro luogo, con un'altra persona.
«Oh, non è adorabile?» Disse Helen, vorticando su sé stessa e indicando il paesaggio boschivo che si ergeva tutto attorno a loro.
«Sì, è molto bello.» Bofonchiò Emmett, arrancando sul sentiero sassoso e pieno di rovi.
«Sento rumore di acqua. Dovremmo essere quasi arrivati alla cascata. Ariadne mi ha detto che è un luogo divino, magico!» Cinguettò la ragazza, camminando avanti. I lunghi capelli rossi le fluttuavano sulla schiena, ondeggiando al ritmo dei suoi passi. Emmett pensò che era davvero bella, peccato che a lui piacesse un altro genere. Nel verso senso del termine.
«Lo spero bene, stiamo camminando da due ore, abbiamo percorso quasi tutta l'isola.»
«Andiamo, non fare il pigrone.» Esclamò lei, infilandosi tra due cipressi e proseguendo lunga una piccola discesa, oltre la quale si intravedeva un piccolo fiumiciattolo. A monte si ergeva la cascata di cui parlava Ariadne. Era davvero un luogo magico, pensò Emmett.
Sulla riva del fiume si estendeva un praticello verde dall'aria soffice. Il rumore della acqua sulle rocce era rilassante e i cipressi riparavano il luogo dal sole del mezzogiorno.
«Emmett, è favoloso! Fermiamoci qui a mangiare.»
Lui ubbidì e oltrepassò il fiumiciattolo, bagnandosi i piedi. Posizionò un telo sul prato e finalmente posò a terra il maledetto cestino. «Che diavolo c'è qui dentro? Mattoni, per caso?» Sbottò, iniziando a sistemarsi per il picnic, mentre Helen volteggiava scrutando il paesaggio.
Rise alla sua battuta, anche se Emmett non stava di certo scherzando. Era di pessimo umore. La sua mente continuava a correre verso l'immagine di Fabian, con addosso solo il costume fradicio. I capelli impregnati di goccioline luminose e gli occhi verdi illuminati dal sole che si rifletteva nell'acqua della piscina. Lo aveva guardando mentre afferrava suo fratello per la testa e lo faceva affondare sotto il suo peso, proprio come un bambino pestifero. Emmett avrebbe dato qualsiasi cosa per essere al posto di Damian, in quel momento, per poter sentire la pelle nuda e bagnata di Fabian contro la sua. Per poterlo toccare, baciare …
Non si accorse di aver chiuso gli occhi e per un attimo mugolò di piacere nel sentire le labbra di Helen sulle sue. Poi realizzò che era Helen. Helen, la sua ragazza. Non Fabian. Si staccò da lei.
«Mangiamo? Sto morendo di fame e dalla voglia di scoprire se in questo cestino ci sono davvero dei mattoni.» Si esibì in un sorriso forzato, tanto che la mascella gli dolse.
Helen si stese sul telo accanto a lui, agganciandolo per il collo della maglietta e trascinandolo giù con lei.
Emmett chiuse gli occhi e cercò di rimanere calmo e rilassato. Era un mostro, e sapeva di esserlo. Helen non era la persona migliore del mondo, ma non meritava ciò che lui le stava facendo. Voleva dirglielo, voleva lasciarla, ma non ne aveva la forze, né il coraggio. Era un mostro codardo.
Sentì le mani piccole e lisce di lei insinuarsi sotto la sua maglietta. Le sue labbra rosse scorrere lungo l'incavo del collo. Se chiudeva gli occhi poteva farcela.
«Tesoro, adoro questo posto. Anche noi potremmo sposarci qui.» Helen gli sussurrò all'orecchio.
Emmett strinse i denti e si scostò da lei. «Non dire sciocchezze. Sai bene che non credo nel matrimonio. Io non mi sposerò mai, Helen.» Si accorse di aver pronunciato quelle parole in tono troppo duro, quando aprì gli occhi, vide quelli di Helen riempirsi di lacrime.
Si sentì l'essere più spregevole della terra.
«Ehi,» allungò la mano e le accarezzò una guancia, fermando il cammino solitario di una lacrima calda. «Mi dispiace, non volevo … voglio dire, sai come la penso … ne abbiamo già parlato.» Le disse il più dolcemente possibile.
«L-lo so,» mugolò lei, tra un singhiozzo e l'altro. «È che pensavo che con il tempo, magari avresti cambiato i-idea.» Tirò su col naso e si asciugò le lacrime, ricomponendosi. «Lascia perdere, non voglio rovinare questo momento.» Gli prese il viso fra le mani e lo baciò nuovamente sulle labbra. «Ho bisogno di stare un po’ con te. Sei sempre al lavoro, oppure fuori con Damian e Fabian. Voglio solo qualche ora per noi due, soli.»
Emmett percepì un vago senso di nausea, ma lo ricacciò giù in fondo alla gola. «Okay,» sussurrò, sforzandosi di sorridere e la baciò a sua volta.
Helen si mise a cavalcioni sopra di lui, il vestito che indossava si alzò sulla vita, scoprendole le gambe nude. Si chinò su di lui e lo baciò sul viso, sul collo e sul torace. Emmett strinse la presa sulla sua vita, ma la sua mente era completamente bianca. Vuota. Voleva Fabian, non c'era altro da dire.
Helen si staccò da lui, raddrizzandosi. Aveva il rossetto sbavato e lo sguardo in allerta.
«Che cosa è stato?» Disse, guardandosi attorno. «Tu l'hai sentito?»
Emmett, il quale era rimasto solo vagamente partecipe di tutta la situazione si risvegliò. Non aveva sentito assolutamente niente, ma vide in quell'occasione una via d'uscita.
«Ehm, sì ho sentito. Sarà meglio andare a controllare.» Rispose, aggiustandosi la maglietta e rialzandosi.
A quel punto anche lui sentì forte e chiaro un rumore di foglie calpestate e rami spezzati.
Helen emise un gridolino di terrore. «Cosa può essere? Un orso?»
Emmett sospirò. Quella ragazza sapeva essere davvero stupida a volte.
«No, Helen. Non ci sono orsi qui.»
Il rumore si fece sentire ancora. Questa volta più vicino.
«Chi c'è?» Urlò Emmett, abbastanza forte da essere udito fino alla casa.
Non ci fu risposta.
Emmett fece appello a tutta la sua parte razionale per rimanere calmo. C'era qualcosa, in quell'isola, che lo rendeva nervoso, ma non sapeva bene identificare cosa.
Sentì i peli della nuca rizzarsi ed Helen rabbrividì, facendo eco ai suoi pensieri. «Qualcuno ci sta guardando …» sussurrò pianissimo, mordendosi il labbro inferiore.
Emmett avrebbe voluto risponderle che non era vero, che era una sciocca, ma la sensazione era indubbiamente quella di essere osservato.
«Chi c'è?» Ripeté.
Helen si strinse a lui.
Il rumore di un ramo spezzato, a pochi passi da loro li fece sussultare e voltare di schiena. In quel momento si udì un urlo. Anzi due urla.
Poi tre.
Il terzo urlo proveniva dalla bocca di Helen, che si era aggrappata a lui fino a fargli male. Gli altri due urli invece provenivano da …
Fabian e Damian.
Ovvio.
Quei due idioti stavano ridendo a crepapelle, anche se c'era qualcosa di sbagliato nella postura di Fabian.
Era a dir poco assurdo, aveva desiderato così tanto che Fabian fosse lì e ora, eccolo, a pochi centimetri da lui e a farsi beffe di lui.
Emmett scoppiò a ridere.
«Avreste dovuto vedere le vostre facce, ragazzi.» Disse Damian, tra una risata e l'altra. «Davvero mitico!»
«Siete due idioti.» Constatò Emmett, sorridendo.
Helen però era furiosa. Si eresse in tutta la sua altezza e lanciò occhiate glaciali a tutti quanti, dopodiché, senza dire una parola, sfrecciò lungo il sentiero del ritorno.
«Dici che se l'è presa?» Chiese Fabian, al fratello, in tono fintamente pensieroso.
«Non saprei, tu che dici Emmett?» Rispose l'altro, ghignando.
«Fantastico. Tanto sono io che devo dividere la stanza con lei.» Sospirò, esasperato. «Andiamo.» Disse, raccogliendo il cestino del pranzo e lanciando un'occhiata di traverso a Fabian.
Lui lo ignorò e il cuore di Emmett perse un battito.
«Ehi, amico, abbiamo forse interrotto qualcosa di romantico?» Fece Damian, sarcastico. «Sei completamente ricoperto di rossetto.»
Merda.
 
*
 
All'ora di cena, Merry uscì dalla sua stanza. Nelle scale incrociò Daniel, che le si mise accanto, la sua spalla coperta dalla camicia sfiorava la sua, mandandole brividi elettrici lungo tutto il corpo.
«Come sta procedendo la tua missione?» Le chiese, senza guardarla negli occhi, con un ghigno che aleggiava sulle labbra.
«Quale missione?»
«Quella di evitarmi.» Rispose secco.
«Non è assolutamente vero.» In realtà era più che vero.
«Alla fine della settimana capitolerai fra le mie braccia.» Disse, sorridendo. «Di nuovo.» Poi la superò, aumentando il passo e Merry ebbe l'irrefrenabile voglia di tirargli un pugno su quel bel naso delicato.
Nella sala da pranzo la tavola era stata già imbandita con le stoviglie e tutti i ragazzi sedevano ai propri posti chiacchierando. Merry fu felice di vedere Virginia, seduta accanto a Christopher, sembrava quasi che l'isteria del pomeriggio l'avesse abbandonata. Prese posto di fronte a Daniel, suo malgrado, e Ariadne sbottò all'improvviso: «Dove diavolo è finito il signor Stonem? La cena doveva essere servita dieci minuti fa.»
Merry roteò gli occhi, mentre Adrian posava un leggero bacio sulla testa della sua futura sposa e si alzava per andare a controllare in cucina. Quando tornò la sua fronte era corrugata.
Disse: «Il cibo è pronto da servire. Ma non c'è traccia dei signori Stonem.»
«Questo è assurdo!» Ariadne alzò la sua irritante voce acuta. «Devono servirci la cena, dove si sono cacciati?»
«Mi sembra che tutti noi siamo ancora dotati di mani. Se il cibo è pronto possiamo andare a prendercelo da soli. I signori Stonem avranno avuto qualche imprevisto.» Disse Merry scocciata e fece per alzarsi.
«No.» Ariadne la guardò con aria di sfida. «Non sei tu quella pagata per fare la cameriera. Aspetteremo che il signor Stonem ci degni della sua presenza.»
Damian sbuffò sonoramente. «Ma io sto morendo di fame.»
Ariadne fulminò anche lui con il suo sguardo nocciola.
«Facciamo così, noi ragazzi andremo a cercare il signor Stonem,» propose Adrian, con la sua solita voce pacifica. «Quando lo troveremo sarà sicuramente mortificato del suo ritardo e ci servirà la cena, va bene?» Chiese ad Ariadne, in particolare, dopotutto era lei la regina di Cypress Island.
Lei mise il broncio ma acconsentì.
I ragazzi si alzarono dal tavolo e si sparpagliarono per l'enorme villa, alla ricerca dell'indispensabile cameriere.
«È assurdo,» borbottò Merry, incrociando le braccia esattamente come sua sorella.
«È assurdo che delle persone pagate fior di sterline non eseguano il proprio lavoro, cara.» Ribatté Ariadne.
«È assurdo che tu non abbia l'umiltà di andarti a prendere la cena con le tue gambette scheletriche.» Ribatté Merry.
Le due si guardarono in cagnesco, con Helen e Virginia ad osservarle, come il pubblico di una partita a tennis piuttosto movimentata.
«Per favore, non litigate.» Sussurrò Virginia, con lo sguardo fisso sul suo piatto vuoto.
Le sue parole attirarono l'attenzione di Ariadne, che si concentrò su di lei, lasciando perdere il battibecco con la sorella. «A proposito, dove cavolo è finito tuo fratello? Julian dovrà farmi un regalo di nozze davvero molto bello per farsi perdonare del suo ritardo.»
«Non lo so.» Rispose lei, a voce bassissima.
Merry stava per urlare in faccia alla sorella ma i ragazzi tornarono uno ad uno dalla perlustrazione. A mani vuote, visto che del signor Stonem e sua moglie non c'era traccia.
«Sono spariti.» Proclamò Daniel.
«Puff.» Aggiunse Fabian, con un cenno delle mani.
«Questo è inaccettabile.» Sbottò Ariadne, alzandosi in piedi.
I ragazzi iniziarono tutti a parlare contemporaneamente. Adrian cercava di calmare la sua fidanzata; Helen si lamentava con Emmett del servizio scadente; Daniel, Chris e Fabian facevano battute inappropriate e Merry tentava di tirare su di morale Virginia, che sembrava piombata nuovamente nella disperazione più nera.
«Ehi.» La voce di Damian sovrastò quella di tutti gli altri. Nel salone tornò il silenzio. «Cosa sono … questi?»
Sulla mensola del camino c'erano delle buste impilate. Il giovane le prese tra le mani, osservandole una ad una.
«Sarà la posta, no?» Sbraitò Ariadne.
«Stamattina non c'erano e il servizio dei battelli è sospeso fino a dopo domani.» Disse Adrian.
«Ci sono sopra i nostri nomi.» Fece Damian, voltandosi verso gli altri e mostrando undici piccole buste di carta.
Sopra ognuna di esse c'era un nome: Merry, Adrian, Ariadne, Damian, Fabian, Christopher, Daniel, Virginia, Helen, Emmett, Julian.
«Da' qua.» Sbottò Ariadne e prese la busta con sopra il suo nome. «Devono averle messe i signori Stonem oggi pomeriggio. Forse sono da parte dei nostri genitori.»
Damian diede ad ognuno la propria busta. Ci fu un momento di puro silenzio, interrotto solo dal fruscio della carta che veniva aperta per leggere il contenuto dei biglietti.
Dopodiché il gelo calò nella stanza. «Che diavolo significa?» Fu Emmett il primo a parlare.
Si guardarono tutti con la stessa identica espressione: paura mista a confusione.
«Cosa c'è scritto nei vostri biglietti?» Chiese Christopher, in un sussurro.
Non ci fu risposta, finché non fu Virginia la prima a parlare.
«Disperazione.» Disse, con la voce rotta dai singhiozzi. Le lacrime le rigavano le guance e stava tremando nonostante il caldo della sera estiva. Era l'unica a tenere tra le mani due biglietti, uno era il suo e l'altro indirizzato a suo fratello. «E in quello di Julian c'è scritto: ira.»
«Negligenza.» Disse Adrian, confuso.
«Lussuria.» Disse Ariadne.
Fu il turno di Helen. «Invidia.»
«Superbia.» Disse Fabian.
«Prodigalità.» Disse Damian.
«Indolenza.» Disse Christopher.
«Sono tutti … peccati?» Adrian guardò i visi dei ragazzi, pallidi e confusi. Lentamente si voltò verso i suoi due fratelli minori, Damian e Fabian. «Ragazzi, se questo è il vostro ennesimo scherzo, non è divertente. Davvero.» Parlò con voce calma, anche se l'espressione tirata dal suo viso mal celava la sua rabbia.
«Ehi, perché la colpa ricade sempre su di noi?» Chiese Fabian, sulla difensiva.
«E te lo chiedi anche?» Era stata la voce di Helen a parlare. Acida come veleno.
«Tu non mi conosci nemmeno, sta' zitta.» Sbottò Fabian, infastidito. Helen fece un'espressione scioccata e tirò la manica di Emmett, aspettandosi che lui la difendesse, ma non lo fece. Fabian continuò: «Adrian, non siamo stati noi. Non rovineremmo mai la settimana delle tue nozze e lo sai. Non siamo stati noi.» Aggiunse poi, rivolto a tutti gli altri, scandendo le parole una ad una.
«Allora chi?» Proruppe Daniel.
«Il punto non è chi, ma perché.» Adrian parlò con voce ferma. «Questi sono tutti peccati. Peccati che, presumo, noi abbiamo commesso?»
«Beh, non ci vuole un genio per capire che Virginia è disperata da quando Elizabeth è scomparsa. Basta guardarla.» Fece Ariadne, indicando la ragazza con il viso rigato di lacrime e scossa da forti singhiozzi. «E che suo fratello sia iroso, neanche quello è un segreto. Julian ha fatto a botte con tutti i frequentatori di pub di Londra.» Continuò impassibile, anche se le sue parole fecero singhiozzare Virginia ancora più violentemente.
«E quindi … io sarei un superbo?» Chiese Fabian, alzando le sopracciglia. Gli altri gli rivolsero delle occhiate ovvie, quindi lui aggiunse, ridacchiando: «Sì, beh, forse un po’.»
«Non credo che questa sia una situazione divertente.» Christopher si rivolse a Fabian con voce tagliente.
Lui alzò un sopracciglio. «Oh, andiamo, sembri uno di quei personaggi tormentati delle tragedie shakespeariane. Ti farebbe bene sorridere, qualche volta. Tutti commettiamo dei peccati, è normale. Virginia è disperata, Julian è iroso, io sono superbo e Helen è palesemente un'invidiosa.» Esclamò. «Non sono certo delle novità.»
«Io non sono invidiosa!» Sbottò Helen, paonazza.
«Certo, certo tu non sei invidiosa, in particolare di Ariadne, e io non pecco di superbia, okay?» Fabian le fece l'occhiolino e Helen fremette di rabbia. Fece per aprire bocca ma lui la liquidò con un gesto della mano.
«Io non so nemmeno cosa voglia dire, il mio.» Disse Damian sventolando il suo biglietto. «Prodigalità? Che cosa diamine significa?»
«Significa dare senza parsimonia. Sperperare.» Lo zittì Chris.
Damian fece una smorfia. «Sono un tipo altruista, in effetti.»
«Un tipo che sperpera tutto il suo fondo fiduciario in beni materiali e poi ruba i quadri di valore alla nonna defunta e li rivende all'asta?» Daniel parlò per la prima volta.
I ragazzi si voltarono contemporaneamente verso Damian. Adrian lo fissò con occhi turbati. «Hai sperperato tutto il fondo fiduciario?» Ripeté boccheggiando. «Hai rubato i quadri della nonna?»
Damian fulminò Daniel con lo sguardo.
«Ho sentito la tua telefonata, oggi nel corridoio. Scusa.» Si giustificò Daniel.
Adrian imprecò. E Adrian non diceva mai parolacce. «Come hai fatto ad essere così stupido? Quei soldi servivano per l'università, per i tuoi studi!» Sbottò verso il fratello, che si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore.
«I-io … n-non lo so. Una mattina mi sono svegliato e il mio conto era in rosso. N-non -»
«Santo Dio, Damian!» Lo interruppe Adrian, furioso.
«Anche tu non sei un santo secondo quel maledetto biglietto!» Sbottò Damian, a sua volta. «Negligenza. Che diavolo hai combinato, tu? O meglio, cosa non hai combinato.»
La rabbia di Adrian defluì all'istante dal suo viso, lasciando il posto ad un'espressione confusa. «Io non ho idea a cosa si riferisca. Davvero. Non credo di essere mai stato negligente.»
Ariadne gli accarezzò un braccio. «Pensaci tesoro, magari durante il tirocinio in ospedale … ti sei dimenticato di fare qualcosa, può essere?»
«No! Assolutamente no!»
Ci furono attimi di silenzio.
«Questi peccati non vogliono dire niente.» Proruppe Ariadne.
Virginia singhiozzò forte e alzò il viso. Il mascara le era colato sulle guance, dandole un espressione spaventosa. «Quali sono i vostri peccati? Quali sono?» Parlò guardando fisso verso Merry, Daniel e Emmett, gli unici a non aver ancora rivelato il contenuto dei loro biglietti.
Merry sembrava una statua di marmo. Il suo corpo era un fascio di nervi e non aveva ancora aperto bocca da quando aveva letto la sua lettera.
«Spergiuro.» Rispose Daniel, distogliendo lo sguardo da Virginia.
«E tu, Emmett?»
«Io … niente. Non voglio leggerlo.» Disse il ragazzo, muovendosi a disagio.
«Oh, andiamo, non essere stupido.» Esclamò Helen e gli tolse il biglietto dalle mani con un gesto brusco e inatteso. Emmett inorridì, mentre la ragazza leggeva il suo peccato.
Gli occhi di Helen non tardarono a riempirsi di lacrime.
«Cosa c'è scritto?» Chiese Fabian, con un senso di disagio sempre crescente.
Helen sussurrò: «Tradimento.» Qualcuno trattenne il fiato, dopodiché  lei scoppiò a piangere, ma non smise di parlare. «Tu mi hai tradito, Emmett?»
Emmett si sforzò di non incrociare i suoi occhi.
«Non è vero. Dimmelo. So che non lo faresti mai.» Continuò Helen.
A Emmett sarebbe bastato dirle che, sì, non l'aveva mai tradita, e lei gli avrebbe creduto. Ma a quel punto sarebbe ricaduto nella sua rete di bugie e questa poteva essere la sua svolta.
«L'ho fatto, invece. Mi dispiace tanto, Helen.»
Helen si lasciò cadere su una sedia e si prese il viso fra le mani. Ariadne le si avvicinò per consolarla e mormorarle parole di conforto, non senza aver prima lanciato un'occhiata truce al cugino traditore. Emmett e Fabian si scambiarono un veloce sguardo, nessuno lì notò ad eccezione di Damian. Lui li stava fissando. Emmett si chiese se lui sapesse.
«Con chi mi hai tradito? E quante volte?» Helen parlò con la voce rotta dal pianto.
«Ti prego, non è questo il momento giusto per parlarne.» Sussurrò Emmett, sotto gli sguardi penosi di tutti.
«Perché no? Sono la tua famiglia, meritano di sapere che razza di persona sei.» Urlò Helen e gli altri distolsero lo sguardo a disagio. Le scenate pietose non erano le benvenute tra le famiglie Sheridan, Grey e Parrish, ma Helen questo non poteva saperlo. 
«Dimmelo!»
Emmett posò gli occhi azzurri su quelli verdi di Fabian, in cerca di aiuto o qualcosa del genere. Il ragazzo annuì in modo impercettibile e Emmett si preparò a rivelare la verità. Ma non ci riuscì, perché Damian si frappose tra lui ed Helen.
«Helen, ci dispiace tanto per il comportamento di Emmett, ma non credo sia il caso di parlarne adesso. Dobbiamo capire cosa sta succedendo, trovare i signori Stonem, magari, e chiedere loro delle spiegazioni su questi biglietti. Dopotutto siamo soli su quest'isola, non c'è nessun altro, perciò devono averli messi per forza loro due, qui.»
Il monologo di Damian trovò dei brusii di assenso e lui scoccò un'occhiata eloquente a Emmett. In quel momento capì che Damian sapeva … sapeva tutto di lui e Fabian, e aveva sviato la conversazione apposta. Avvampò per l'imbarazzo.
All'improvviso Merry emise un verso strozzato. Daniel si chinò su di lei e le cinse la vita con le braccia. «Stai bene?» Le sussurrò dolcemente, ma lei non rispose.
Merry sembrava completamente assente. Non aveva mai aperto bocca ed era rimasta ferma immobile per tutti il tempo.
«Che c'è scritto nel tuo biglietto?» Chiese Christopher, con voce allarmata. «Sei l'unica a non avercelo ancora detto.»
Tutti gli sguardi si spostarono su di lei.
«Non posso.» Disse con una vaga sfumatura di panico nella voce.
«Oh, andiamo, peggio di Emmett non puoi fare.» Sbottò Ariadne, lasciando perdere la Helen singhiozzante e avvicinandosi alla sorella.
Lei non rispose.
«Non è obbligata e leggercelo, se non vuole.» La difese Daniel, stringendola in modo protettivo.
«Sì, invece.» Lo contraddisse Christopher.
«Avanti, Merry.» Questa era la voce di Adrian.
La mente di Merry era vuota, completamente bianca. Sapeva che se non avesse detto il suo peccato spontaneamente, qualcuno le avrebbe strappato il biglietto di mano, proprio come a Emmett.
Si schiarì la voce, che le uscì ugualmente tremolante e disse: «Omicidio.»
Sentì i respiri di tutti bloccarsi nelle loro gole. Poi la risata di Ariadne. «È assurdo. Mia sorella non uccide nemmeno le zanzare, figuriamoci un essere umano.»
«Forse alcuni dei peccati, tipo il tuo, quello di Adrian, Daniel e Merry devono ancora verificarsi.» Propose Helen, che si era recentemente rianimata alla parola 'omicidio'.
«E come farebbe qualcuno a sapere i peccati che commetteremo nel futuro?» Sibilò Fabian.
«Stai per commettere un omicidio, Merry?» Cercò di sdrammatizzare Damian, senza grande successo. A quella parola erano diventati tutti tesi e rigidi.
«Ovviamente, no.» Merry rise nervosamente. Sentiva la presa di Daniel stritolarle il fianco e gli occhi severi di Christopher che la scrutavano dall'altro lato della stanza.
«Ora basta.» Disse proprio quest'ultimo, con voce ferma. «Io so a cosa si riferisce il biglietto di Merry.»
Gli sguardi corrucciati si posarono su Christopher, in piedi al centro della stanza, i pugni chiusi lungo i fianchi e gli occhi blu determinati. «E anche a cosa si riferisce il mio, quello di Daniel, di Ariadne e Adrian. Omicidio, indolenza, spergiuro, lussuria, negligenza.» Recitò.
Merry spalancò gli occhi e rimase di pietra, ad osservare la sua imminente rovina.
«Ti prego, Chris, non farlo …» provò a fermarlo Daniel.
Ariadne e Adrian si guardarono senza capire. «Vuoi spiegarci, per favore?» Chiese Adrian.
Chris annuì. «Mi dispiace, Daniel, sono stato zitto per troppo tempo. Indolente per troppo tempo. Non ce la faccio più, lo capisci?» Continuò con voce triste, rivolto al gemello in particolare.
«Ti prego.» Ritentò Daniel, stringendo i denti.
Chris chiuse gli occhi, si schiarì la voce, poi li riaprì e iniziò a raccontare. «Quattro anni fa, io, Daniel, Merry, Ariadne e Adrian eravamo nella tenuta di campagna nell'Hampshire. I nostri genitori erano usciti e noi ragazzi eravamo rimasti da soli in casa, sotto la supervisione di Ariadne e Adrian …»
Merry chiuse gli occhi e si sentì mancare, mentre focalizzava alla perfezione quel giorno orribile di quattro anni prima.
 
*
 
Quattro anni prima.
 
Un temporale piuttosto violento si stava abbattendo sul panorama dell'Hampshire. Le finestre della casa di campagna dei Grey tremarono a causa di un tuono e Elizabeth si strinse le gambe al petto. Lei e Christopher erano seduti sul tappeto persiano, mentre Merry e Daniel avevano rivendicato il divano, come luogo di accoppiamento. Sentiva le risatine sommesse di lei e con la coda dell'occhio riusciva a vedere le mani di Daniel muoversi lentamente sotto il maglione della ragazza. Inutile dire che, nessuno dei due stava prestando attenzione al film. Lo stesso film scelto da Merry, Scream, per la precisione. Elizabeth odiava i film horror, ma la sua migliore amica era spesso una despota nelle decisioni, anche in quelle più insignificanti. Sullo schermo apparve la maschera bianca dai lineamenti liquefatti e Elizabeth si coprì gli occhi con le mani.
«Tutto bene?» Le sussurrò Chris, con voce gentile.
Lei annuì, sbirciando lo schermo attraverso le dita. Per fortuna la maschera era scomparsa. «Odio questo film, è terrificante.»
«Anche io non sono un fan del genere.» Rispose Chris, con un sorriso, passandole la bottiglia di whisky trovata nell'armadietto degli alcolici del padre di Merry.
Elizabeth scosse la testa, aveva già bevuto abbastanza e la testa iniziava a dolerle.
«Betty sei davvero una noia.» Esclamò Merry, arraffando la bottiglia del padre dalle mani di Chris e bevendone un sorso. Poi la passò a Daniel che la imitò, prima di tornare a concentrarsi sulle sue labbra.
«Aspetta, aspetta» lo respinse lei. «Questa è la mia parte preferita.» Disse, sedendosi a gambe incrociate e fissando lo schermo.
«Perché? Non succede niente di ché.» La schernì Daniel, mascherando l'offesa di essere stato respinto.
«Adesso trova il padre legato e imbavagliato nel ripostiglio, e capisce che non era lui il killer.» Spiega Merry, concentrata.
«Questo film non mi piace, Merry.» Disse Elizabeth.
Lei le lanciò un'occhiata carica di delusione. Elizabeth conosceva bene quello sguardo, Merry glielo aveva rivolto svariate volte nel corso della loro amicizia. Come se lei non fosse abbastanza forte, abbastanza disinibita o divertente. A volte si chiedeva perché la reputasse la sua migliore amica, se in realtà la considerava una noia mortale. Forse perché era sua cugina e si sentiva costretta a volerle bene
«Ho mal di testa.» Esordì Elizabeth, alzandosi in piedi a fatica e barcollando. «Vado a chiedere ad Ariadne se ha qualcosa da darmi.»
Merry fece un verso a metà fra una risata e uno sbuffo. «Certo, prego, fa' pure. Vai al piano di sopra, se è il genere erotico ciò che ti piace.»
Elizabeth sgranò gli occhi. «Non credo che Ariadne e Adrian stiano facendo sesso. Tuo padre li ucciderebbe se lo scoprisse.»
«Ma mio padre non è in casa, come vedi e quei due hanno diciotto anni. Credi che siano di sopra a fissarsi negli occhi?» Ribatté Merry, irritata. «Vieni, ti do io un'aspirina.» Aggiunse, alzandosi dal divano e avviandosi verso la cucina. Elizabeth si voltò solo un istante. Daniel sorrideva con quel suo ghigno inquietante, la bottiglia ancora stretta in una mano. Chris la osservava con quel suo tipico cipiglio triste e preoccupato, era l'unico a preoccuparsi per lei, pensò la ragazza con un moto di affetto per il gemello. Lo schermo proiettò per l'ennesima volta la maschera bianca dai lineamenti distorti e Elizabeth distolse lo sguardo in fretta. Se qualcuno le avesse ricordato che quella stessa maschera era una specie di tributo al quadro di Munch, L'urlo, probabilmente avrebbe apprezzato la citazione artistica di quel miserabile film.
Seguì Merry in cucina, dove sul tavolo giaceva abbandonata la sua borsa. Frugò all'interno di essa, dopodiché le porse una piccola pastiglia bianca. «Ecco, qui. Fa miracoli per l'emicrania.» Disse lei, con un sorriso bianco perfetto.
Elizabeth ingoiò la pillola con un sorso d'acqua ed entrambe tornarono in salotto.
L'emicrania passò quasi immediatamente e il film iniziò ad acquistare una sfumatura ancora più inquietante. Il ragazzo della protagonista si scoprì essere il fantomatico killer, sporco di sangue dalla testa ai piedi, lo sguardo folle …
Elizabeth mugolò di terrore e strinse tra le dita il braccio di Chris, seduto al suo fianco. «Non preoccuparti, è quasi finito.» Le sussurrò lui all'orecchio.
Si voltò a guardarlo e il terrore prese il sopravvento. Chris non era più Chris. O almeno, riconosceva il suo collo e il suo fisico magro asciutto, la camicia a quadri e i jeans sgualciti che indossava. Ma al posto del suo viso dolce e triste, c'era la maschera bianca, uguale identica a quella del film. Elizabeth urlò e si allontanò dal giovane. Gattonando all'indietro, andò a sbattere contro il tavolino di cristallo e avvertì un dolore lancinante alla spalla. Il dolore le rese un po’ di lucidità, perché quando riaprì gli occhi la maschera non c'era più e al suo posto il volto di Chris la osservava preoccupato.
«Ehi, che hai?» Le chiese, corrugando la fronte.
«I-io, n-niente.» Balbettò.
Oh, Dio, sto impazzendo. Ti prego fa' che non stia impazzendo e che questo stupido film finisca all'istante.
Percepì una lieve risata alla sue spalle e si voltò. Merry e Daniel la osservavano con aria di scherno e dalla fronte di Merry colava un rivolo di sangue fino al mento. I suoi occhi erano vitrei e maligni, mentre Daniel era ricoperto dalla testa ai piedi di una sostanza viscosa, rosso brillante. Sangue.
Il grido le si soffocò nella gola, mentre cercava di rialzarsi in piedi, ma la stanza sembrava aver preso a girare e girare, come una giostra in piena corsa. Sbatté le palpebre più volte e quando tornò a guardare i suoi amici, il sangue era scomparso e i loro occhi erano perfettamente normali. Quelli blu di Daniel la fissavano divertiti, quelli nocciola di Merry con accondiscendenza.
«È completamente fatta!» Esclamò Daniel, ridendo.
«Che cosa lei hai dato?» Sibilò Chris, alzandosi in piedi e guardando furente sia Merry che Daniel.
«N-niente, solo una semplice aspirina.» Disse Merry, soffocando a stento una risatina.
Elizabeth seppe che stava mentendo e l'angoscia l'avvolse come una coperta calda, facendola sudare freddo. Mi ha drogata. La mia migliore amica e cugina mi ha drogata. Realizzò in preda al panico. Improvvisamente la stanza divenne troppo piccola e troppo stretta, una sensazione strana visto che si trovava in un salone di circa novanta metri quadri. Chris le si accovacciò accanto, mormorando parole di conforto che si distorsero in minacce di morte, alle orecchie di Elizabeth. Il respiro iniziò a mancarle.
«Ho bisogno d'aria,» riuscì a sussurrare con un filo di voce.
Merry e Daniel saltarono giù dal divano e si accovacciarono accanto a lei. Sui loro volti non c'era più traccia di ilarità. Elizabeth iniziò a tremare. Merry guardò con un certo distacco ciò che stava accadendo alla sua migliore amica. Non perché non le importasse, ma per il terrore paralizzante che l'assalì. Osservò i gemelli scuoterla, cercare di alzarla in piedi per portarla fuori sul terrazzo. Elizabeth diventava sempre più pallida, ogni secondo che passava, fino a che le sue labbra non assunsero un colorito bluastro. La vide in preda ai conati. Collassò e poi rinvenne, il corpo scosso da forti tremori simili a convulsioni. Collassò di nuovo e poi più nulla.
«Che cosa hai fatto?» Sibilò Chris, gettandosi su Merry.
Lei rimase immobile, ancora preda dello shock, fu Daniel ad afferrare il gemello e a impedirgli di colpire Merry.
«È m-morta?» Sussurrò lei. Gli occhi fissi sul corpo esile di Elizabeth, riverso sul pavimento. I capelli biondo scuro erano sparsi attorno alla testa e gli occhi, un tempo azzurri e brillanti, erano vuoti. Sì, era morta. Cadde in ginocchio accanto lei, afferrandola per le spalle. «Elizabeth, svegliati, ti prego.» Singhiozzò, scuotendo il corpo privo di vita. «Mi dispiace così tanto. Era solo uno scherzo, uno stupido scherzo.» Merry si prese il viso fra le mani e iniziò piangere.
«Dobbiamo chiamare un'ambulanza.» Disse Chris, riprendendo il controllo, anche se il suo sguardo era folle. «Dov'è il mio cellulare?»
«A che scopo? È morta, Chris! Non lo vedi!» Urlò Merry. Il terrore paralizzante aveva lasciato posto all'isteria.
«Allora chiamiamo la polizia!» Sbottò il ragazzo. «Vado a chiamare tua sorella e Adrian.»
«Non possiamo.» Merry parlò a bassa voce. Gli occhi fissi su Elizabeth, lacrime di coccodrillo rigavano le sue guancie.
«Cosa vuol dire?» Chiese Chris, confuso e agitato.
«Credi che saranno clementi con noi, solo perché abbiamo quindici anni? Credi che a Oxford accettino gli studenti con la fedina penale sporca?» Sibilò, sapendo bene che il sogno di entrambi i gemelli era quello di frequentare la prestigiosa università, proprio come aveva fatto il loro padre.
«Merry,» sussurrò Daniel, dolcemente, cercando di rassicurarla. «È stato un incidente, capiranno -»
Lei lo interruppe, afferrandoli un braccio e costringendolo a guardarla in viso. Quel viso sempre sorridente e studiato, ora era una maschera di disperazione. «No, no, no. Io le ho dato quella pasticca apposta! Non credevo che l'avrebbe uccisa!»
Chris la guardò con disgusto. «Dobbiamo dirlo ad Ariadne e Adrian.»
«Così anche loro pagheranno per il mio stupido errore? Adrian non verrà ammesso a Cambridge e non diventerà mai un medico. Mia sorella perderà il lavoro come stagista. Vi prego, non possiamo.» Continuò Merry, il suo piccolo torace si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro affannato.
«Stai suggerendo di insabbiare tutto?» Chiese Chris, scioccato.
Merry si rivolse a Daniel. «Dan, finirò in prigione. Ti prego fallo per me, fallo per noi.» Supplicò.
Lui annuì lentamente.
«Daniel, non posso credere che tu sia d'accordo.» Esclamò Chris, muovendosi a disagio verso il gemello.
«Merry ha ragione. Cosa credi che ci farà nostro padre, se lo venisse a sapere? Chris, ti prego, devi fidarti di me … Ho un piano.»

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Capitolo 2
*** Sinners (act 2) ***


SINNERS
(ACT 2)
 
 
Quattro anni prima.
 
Adrian venne letteralmente trascinato su per le scale da Ariadne. La casa di campagna nello Hampshire era avvolta dalla nebbia e il tempo non prometteva altro se non un temporale in arrivo. Ariadne si richiuse la porta della camera da letto alle spalle, dopo avervi praticamente buttato dentro Adrian. Un sorrisino malizioso aleggiava sulle sue belle labbra.
«Che hai intenzione di fare?» Le chiese Adrian, senza riuscire a trattenere un sorriso. Dopotutto erano in una camera da letto, senza la supervisione di alcun adulto, quindi le intenzioni di Ariadne erano piuttosto chiare, inoltre Adrian non era uno stupido.
«Tu che dici?» Replicò lei a bassa voce, chiudendo a chiave la porta e avvicinandosi lentamente al suo ragazzo.
Le mani sottili di lei si attorcigliarono sulla sua nuca e il corpo di Adrian esplose di calore e desiderio, come ogni volta che lei lo toccava.
Non poteva farne a meno. Aveva capito di amare Ariadne fin dal primo istante in cui l'aveva vista e ciò era accaduto più o meno alle scuole elementari. L'adorava e il fatto che una come lei ricambiasse il suo amore riusciva ancora a sconvolgerlo, dopo tanti anni passati insieme. Ariadne era semplicemente troppo. Era bellissima, intelligente e piena di passione, a volte anche po’ arrogante, questo doveva riconoscerlo, ma quel lato del suo carattere non lo infastidiva.
Ariadne avvicinò il viso al suo e lo baciò delicatamente sulle labbra.  «Nessuna idea?» Gli sussurrò all'orecchio, facendolo rabbrividire.
«In realtà qualche idea l'avrei …» Rispose lui, stringendola per la vita e portandola ancora più vicina. Tra i loro corpi non c'era un centimetro di spazio. «Ma … i ragazzi sono di sotto e tuo padre ci ha espressamente chiesto di badare a loro.»
Adrian voleva più di ogni altra cosa levare di dosso ad Ariadne quegli inutili vestiti e passare il resto del pomeriggio sotto le coperte in sua compagnia, ma il senso del dovere era una caratteristica innata in lui e non prendeva mai nulla troppo alla leggera.
Ariadne roteò gli occhi scuri e fece ondeggiare la chioma castana. «Oh, andiamo, non hanno mica due anni!»
«Ne hanno quindici, il che è ancora peggio.» Borbottò Adrian, passandosi una mano fra i capelli castani.
«La smetti di essere così attraentemente responsabile?» Ariadne batté le lunghe ciglia e fece scivolare le mani sotto il maglione di lui, accarezzando la pelle del suo torace.
«Così pensi che io sia attraente?» Disse Adrian, sollevando gli angoli della bocca all'insù.
«Molto attraente.» Ariadne iniziò a tracciare un sentiero di baci lungo l'incavo del collo di Adrian. Lui socchiuse gli occhi e per un attimo si abbandonò alle fantastiche sensazioni che quei baci gli trasmettevano. Poi tornò in sé stesso, dando prova di grande forza di volontà.
«Ari,» la spinse via delicatamente. «Davvero, non dovremmo lasciare Merry e Elizabeth da sole con i gemelli. Probabilmente stanno già svaligiando l'armadietto degli alcolici o peggio ancora.»
Ariadne mise il broncio. «E allora? Si divertono un po’, nulla di grave …» riprese a baciargli il collo e Adrian si sottrasse da lei nuovamente.
«Ma tuo padre -»
Adrian non riuscì a finire la frase. Due dita di Ariadne si erano posate sulle sue labbra, zittendolo. «Davvero vuoi parlare di mio padre, ora?»
Lui arrossì e lei ridacchiò. «Lascia che si divertano, non succederà niente.» La voce di Ariadne era dolce e sensuale e Adrian si ritrovò a pensare che forse non aveva tutti i torti. Dopotutto c'era Elizabeth insieme a Merry, Chris e Daniel, e lei era una ragazza molto responsabile.
Fece per aprire bocca e ribattere qualcosa, ma Ariadne lo precedette, liberandosi del maglione e della T-shirt che indossava sotto.
Adrian rimase a bocca aperta, senza parole. Ariadne annuì soddisfatta, probabilmente era la reazione che aveva sperato di ottenere rimanendo solo in jeans e reggiseno. Lo stuzzicò, tornando accanto a lui e riprendendo a baciarlo sul collo. Le sue mani aggraziate lavorarono per liberarlo dal maglione e poi si avventarono sui bottoni della camicia bianca che indossava. Adrian era ancora immobile. Non che non avesse mai visto Ariadne senza vestiti, stavano insieme da parecchi anni, ma ogni volta che la guardava era come se fosse la prima per lui. Ogni volta era più bella, il che era assurdo, ma non secondo Adrian. La razionalità che lo contraddistingueva lasciò presto il posto al desiderio di lei. Di sentirla vicino a sé, di stringerla tra le braccia e baciarla.
La prese per la vita e la adagiò sul letto, entrambi con addosso solamente i jeans, e iniziò a baciarla sulle labbra, affondando le mani tra i suoi capelli lunghi e morbidi e restituendole il favore, baciando ogni centimetro del suo collo.
«Sei stato arrendevole più del solito.» Lo stuzzicò lei, facendo scivolare le mani sulla sua schiena nuda.
«Con te non c'è battaglia che io possa vincere.» Sussurrò lui, tra un bacio e l'altro.
«Mai dette parole più vere.» Rise lei, spingendo i fianchi contro i suoi e rotolando sul materasso fino a ribaltare le posizioni. Ora Ariadne era sopra di lui, le ginocchia allineate ai suoi fianchi e la lunga coltre di capelli castani le pendeva da una spalla come una tenda. Adrian giaceva sulla schiena e i suoi occhi ambrati erano rivolti solamente a lei, pieni di pura adorazione e amore …
 
*
 
Negligenza. Lussuria. Adrian si sentiva male. Ora anche il suo peccato e quello di Ariadne erano spiegati. Così come quelli di Chris e Daniel. Spergiuro per Daniel, che aveva mentito alle forze dell'ordine per proteggere Merry e indolenza per Chris, che era stato troppo debole per imporsi sugli altri due. Quel pomeriggio, quello in cui Elizabeth era morta, lui e Ariadne erano in camera da letto a divertirsi. Il senso di colpa gli oppresse il petto. «Oh mio Dio.» Sussurrò, attirando l'attenzione degli altri su di sé. «È tutta colpa mia. Se non mi fossi fatto convincere e vi avessi tenuti d'occhio Elizabeth sarebbe ancora viva.»
Si prese la testa fra le mani, tra gli sguardi scioccati di tutti. «Non dire stronzate. Tu non hai nessuna colpa!» Gli disse Ariadne con passione, stringendogli un braccio.
«Certo che non ha nessuna colpa. La colpa qui è di Merry, è lei che l'ha uccisa.» La voce tagliente di Helen fece calare un ulteriore gelo nella stanza.
Merry si accasciò sul divano, il viso tra le mani e le lacrime che non smettevano di rigarle le guance.
«Sta' zitta.» Sibilò Ariadne, guadagnandosi un'occhiata scioccata da tutti i presenti. Ariadne era una persona prepotente, questo era un dato di fatto, ma Helen era la sua migliore amica e le due ragazze non avevano mai litigato prima di allora. «Mia sorella non ha fatto niente di male. È stato uno sbaglio.» Puntò gli occhi marroni dritti in quelli spalancati di Helen, che assunse una vaga sfumatura di rosso, molto simile a quella dei suoi capelli.
«M-ma che dici? L'ha uccisa!» Ripeté lei.
Merry alzò la testa di scatto. Non perché Helen l'avesse appena definita un'assassina, ma perché sua sorella, Ariadne, aveva preso le sue difese, un evento più unico che raro.
Ariadne sfoderò una delle sue espressione stoiche ed ostinate. «Tutti concordiamo sul fatto che Merry abbia commesso un errore, non un omicidio. Non è così?»
Ci fu un momento di assoluto silenzio, seguito da un vago brusio di assenso. Merry spalancò gli occhi. Era assurdo, quei ragazzi la stavano giustificando per un crimine indicibile. Aveva pensato spesso a quel momento. Quello in cui tutto sarebbe venuto a galla e se l'era immaginato sempre in modi diversi, ma mai così.
«Merry è una di famiglia. Noi siamo una famiglia e non accusiamo i nostri amici e parenti. Ha chiaramente commesso un errore, un errore terribile, drammatico ma … cosa guadagneremmo a denunciarla o insultarla? Sta già abbastanza male senza che noi infieriamo. Il senso di colpa le si legge in faccia.»
Damian lasciò tutti a bocca aperta con il suo discorso, solitamente non era un grande oratore.
Christopher serrò le labbra in una linea dura, segno che dimostrava appieno la sua disapprovazione. Ma gli altri … gli altri iniziarono ad annuire e Helen si trovò a fronteggiare nove persone che la fissavano con sguardi torvi, come a invitarla a contestare la loro tesi.
«È inammissibile. Ha commesso un omicidio, dovrebbe pagare per ciò che ha fatto.» Strillò la rossa, cercando appoggio nel suo ormai ex ragazzo, Emmett.
Lui si limitò a fissarla con i grandi occhi grigi e uno sguardo di pietra. «Elizabeth era la sua migliore amica, Helen. Il senso di colpa che si porterà appresso per tutta la vita è una punizione più che sufficiente. Tu non fai parte di questa famiglia, non puoi capire.»
Adrian, Ariadne, Fabian e Daniel annuirono. Christopher distolse lo sguardo. Ma nessuno si era ancora dato la pena di osservare bene Virginia. Lei era la sorella minore di Elizabeth, ed era forse la persona che aveva sofferto di più in assoluto per la sua scomparsa. Il suo viso era mortalmente pallido, i pugni stretti tanto da conficcarsi le unghie nella carne, gli occhi vitrei e pieni di lacrime pronte a sgorgare.
«Helen ha ragione.» Sussurrò Virginia con un filo di voce. Inizialmente nessuno badò a lei, poi la sua voce si fece più forte e acuta. Virginia stava tremando incontrollatamente quando si rivolse a Merry.
«Non posso credere che tu abbia fatto questo. E che tu,» sputò, puntando un dito accusatorio su Daniel, «e tu» lo spostò su Christopher, «l'abbiate aiutata a tenerlo nascosto.» Venne scossa dai singhiozzi, poi riprese a parlare.
«Mi avete fatto credere che Elizabeth fosse scomparsa, scappata di sua volontà. Mi avete lasciato un biglietto … un b-biglietto scritto con la sua calligrafia.» Singhiozzò rumorosamente e Merry distolse lo sguardo. Elizabeth era stata la sua migliore amica e compagna di banco da sempre. Aveva scritto lei quel biglietto: Vado via, non cercatemi. Elizabeth, imitando perfettamente la sua grafia.
«L'avete uccisa!» Urlò e il suo grido sembrò squarciare la notte ormai calata sulla villa. «Mi fate schifo! Tutti voi.» Si prese il viso fra le mani, tremando convulsamente. «D-dov'è mia sorella? Dove l'avete messa?!» Christopher le si avvicinò per consolarla ma lei si scansò con sguardo feroce. «Non provare a toccarmi!»
«Virginia … io … mi dispiace.» Disse Merry, suonando terribilmente banale. Ma era la verità e non sapeva in che altro modo giustificarsi.
Adrian si avvicinò a Virginia, allungando un braccio per toccarle la spalla. Lei reagì allontanando anche lui con uno schiaffo. «Dov'è mio fratello? Dov'è Julian?» Le lacrime erano inarrestabili. Ci fu un momento di totale immobilità nella stanza, dopodiché Virginia scappò via correndo.
Rimasero tutti a guardarsi, immobili come statue di cera.
«Voglio andarmene da qui.» Sussurrò Helen.
«Anche io.» Concordò Damian.
Adrian assunse nuovamente il controllo della situazione. «Damian, vai al telefono e chiama il porto. Digli di mandare subito un traghetto.» Il fratello annuì. «Io vado a cercare Virginia. È notte fonda, non voglio che cada e si faccia male. Soprattutto nello stato di shock in cui si trova.»
Di nuovo, tutti annuirono. Era bello avere accanto qualcuno come Adrian in quei momenti. Una solida roccia di razionalità.
 
*
 
Damian percorse i corridoi della villa a passo spedito. I pensieri di quell'assurda serata continuavano a vorticargli nella mente. Merry. Elizabeth. Fabian e Emmett. Sì, perché lui sapeva. Lo aveva scoperto circa un mese prima, quando aveva preso in prestito il cellulare di Fabian per fare una telefonata importante e, preso dalla noia del momento, si era messo a scorrere i messaggi del fratello. Sapeva da tempo che Fabian era gay, lo sapevano tutti, ma Emmett non sembrava proprio il tipo. Non che gli stereotipi contassero molto per lui, ma l'ultima persona con cui immaginava che Fabian intrecciasse una relazione amorosa era Emmett. Ma neanche questo gli importava, voleva semplicemente che i due fossero felici e, in ogni caso, c'erano cose più importanti di cui occuparsi in quel momento. Tipo andare via da quella maledetta isola inquietante.
Raggiunse il corridoio con il telefono a muro, lo stesso che aveva usato quel pomeriggio per parlare con John, anche se quella telefonata sembrava essere avvenuta secoli prima. Secoli in cui Merry non era una assassina e i gemelli i suoi complici.
Prese la cornetta e digitò il numero che avrebbe dovuto metterlo in contatto con la capitaneria del piccolo porticciolo. Digitò sulla tastiera ma non ci fu alcuno segnale, alcun suono. Abbassò gli occhi castano-verdi e vide che il cavo telefonico era stato tagliato. Sì, tagliato era la parola giusta.
Ma chi diavolo avrebbe mai potuto fare una cosa del genere?
Le lettere con i peccati, la filastrocca infantile e ora il telefono fuori uso. Era tutto così surreale e, per un attimo, Damian si sentì in preda ai capogiri.
Calmati. Non c'è niente che non va.
Anche se c'era tutto che non andava.
Ipotesi avanzarono nella sua mente annebbiata.
Forse i signori Stonem, i proprietari della villa, erano due dannati psicopatici che si stavano divertendo a farli andare fuori di testa.
Quando si fu calmato, Damian ricordò il signor Stonem che lo informava di una radio collegata direttamente con il porticciolo. Si trovava nel capanno degli attrezzi, all'esterno, perciò vi si diresse praticamente correndo.
Attraversò il giardino sul retro e quando si trovò davanti al dépendance era ormai senza fiato. Spinse la porta che cigolò in modo sinistro e individuò subito la radio.
Sapeva usare quell'aggeggio e vide che il pulsante era su ON. Era accesa, benissimo. Avvicinò le labbra al microfono e schiacciò un pulsante, come illustrato nelle indicazioni d'uso appese sul muro lì accanto. Tutto in quella villa era meticolosamente organizzato.
«C'è qualcuno?»
Attese.
«Mi sentite? C'è qualcuno?»
La radio non emetteva alcun suono.
«Abbiamo bisogno di aiuto. Ci serve un traghetto e -»
Era tutto inutile. La radio era muta come una tomba.
«Ci serve un … maledizione!»
Tirò un pugno al muro, scorticandosi le nocche. Aveva l'affanno ed era ormai chiaro che c'era qualcosa di sbagliato in tutta quella faccenda. Qualcuno aveva manomesso il telefono e anche la radio. I cellulari non prendevano, perciò quelli erano gli unici due modi per contattare il mondo reale.
Damian si passò le mani fra i capelli castano dorati, respirando affannosamente. E fu allora che lo notò.
C'era un odore strano in quel capanno, ma prima era stato troppo preso dalla radio per farvi caso. Come se un gatto vi fosse morto dentro. Si guardò attorno, ma la casetta era formata da una sola stanza. C'era un tavolo, una sedia, la radio manomessa e un divanetto giallo. Non c'era altro lì dentro, eccetto un armadio a muro, anch'esso di legno. Si avvicinò con passo cauto e l'odore sgradevole aumentò leggermente. Con le mani tremanti, aprì le ante di scatto e un urlo gli soffocò la gola, lo fece barcollare all'indietro e per poco non cadde a terra.
I signori Stonem erano lì dentro. Ma adesso era ovvio che non fossero loro i due psicopatici della villa. Perché erano morti. C'era sangue rappreso sulla testa della donna e una chiazza brunastra imbrattava la camicia dell'uomo, come se fosse stato pugnalato all'addome. I loro occhi erano vitrei e spaventati. I corpi accasciati uno sull'altro.
Erano morti.
C'era un assassino sull'isola.
 
*
 
Non aveva idea di dove si trovasse. Non aveva idea del mondo circostante. Tutto era buio e i rami si spezzavano sotto i suoi piedi, mentre correva nella vegetazione dell'isola senza alcuna meta, ma con uno scopo: dimenticare. Voleva dimenticare ciò che aveva appena sentito. Dimenticare che sua sorella era morta e non semplicemente morta, ma uccisa stupidamente da Merry Grey, la sua presunta migliore amica.
Elizabeth meritava di più. Meritava una vita bella e piena.
Virginia, stremata dalla corsa e dalla disperazione, si lasciò cadere a terra. Le ginocchia le affondarono nel terreno morbido e per un attimo non capì. Poi realizzò di essere arrivata sulla spiaggia sabbiosa. Non che avesse importanza. Si strinse le ginocchia al petto e continuò a piangere furiosamente. I singhiozzi le mozzavano il respiro da quanto erano forti e dolorosi e l'intero corpo era percorso da spasmi. Il freddo sembrava averle ghiacciato il sangue nelle vene e ogni scheggia di ghiaccio le feriva il cuore, già martoriato. Disperazione. Questo era il suo peccato e la giovane pensò che non ci fosse altra parola più adatta per descriverla. Era disperata per il peso della perdita, per le recenti scoperte, che si andavano ad aggiungere alla preoccupazione per Julian, che non si era ancora fatto vivo.
È morto anche lui.
Quel pensiero la colpì come un pungo in faccia.
Ne era sicura, lo sentiva.
Entrambi i suoi fratelli erano morti, la sua vita era un vortice di disperazione. Che senso aveva vivere?
«Virginia.»
Quella voce. C'era una voce che la stava chiamando. Ripeteva il suo nome come un mantra, con la dolcezza e l'affetto di una sorella che reclama il sangue del suo sangue.
Era la voce di Elizabeth.
«… Beth?» Sussurrò tremante, rimettendosi in piedi a fatica.
La voce si fece udire di nuovo, questa volta più forte.
«Sei tu? N-non sei … morta
Virginia smise di respirare a causa del terrore misto al sollievo nell'aver sentito la voce di sua sorella. Guardò in ogni direzione, aspettandosi di scorgere da un momento all'altro gli occhi chiari della sorella e la sua chioma biondo scuro così simile alla sua. «Dove sei, Beth?» Gridò con voce rotta.
Non ci fu risposta, ma un guizzo dorato attirò la sua attenzione. L'acqua dell'oceano era nera e scura come la notte che la circondava. Ma la grossa luna illuminava la sua superficie e faceva spiccare qualcosa di dorato in mezzo a tutto quel nero. Erano capelli, pensò Virginia. Capelli dorati, di quella sfumatura tipica della famiglia Sheridan. Lei, Elizabeth e Julian condividevano quei capelli.
«Beth!» Urlò Virginia. Poi, andando contro ogni razionalità, si tuffò in mare.
Nella sua mente Elizabeth era lì, a pochi metri da lei, e aveva bisogno di lei. Stava affogando e doveva essere salvata. Non c'era più niente di sano nella testa di Virginia. La disperazione aveva ottenebrato il suo cervello, lasciando spazio alla sola e pura irrazionalità.
La ragazza nuotò con tutte le sue forze, anche se le sembrava di muoversi a una lentezza esasperante. Poi qualcosa l'afferrò per la vita, per le gambe. Si dimenò, ma il peso dell'acqua e di quelle mani che la tiravano a fondo era più forte.
Presto si ritrovò sott'acqua e il mare le inondò i polmoni, stordendola e facendola bruciare di dolore. In un lampo di lucidità spalancò gli occhi e nel fondale vide il corpo di Julian. Le sue gambe erano impigliate a delle alghe lunghe e spesse, ma parte del suo corpo era tornato a galla, come la testa.
Virginia realizzò che i capelli che aveva visto scintillare alla luce della luna erano quelli di suo fratello e non quelli di Elizabeth. Poi realizzò che stava per morire e che presto sarebbe stata di nuovo con loro.
Chiuse gli occhi e smise di ribellarsi alla morte.
 
*
 
Fabian era tornato nella sua stanza a fare le valige, come quasi tutti gli altri ragazzi. Avevano convenuto che rimanere lì impalati nel salone ad aspettare il ritorno di Adrian e Virginia era pressoché inutile. In quel modo sarebbero stati pronti non appena il battello fosse tornato a prenderli.
A salvarci da questo posto infernale.
Avrebbe voluto con tutto il cuore che Emmett fosse lì con lui, anziché a tre porte di distanza insieme a quella arpia di Helen.
Come se la forza di quel pensiero potesse esaudire il suo desiderio, la porta della sua camera si aprì e Emmett apparve sulla soglia.
Fabian non riuscì a trattenere un enorme sorriso, nonostante la scoperta terribile riguardo a Elizabeth.
«Posso? Non riesco a stare nella stessa stanza con Helen, il suo sguardo accusatorio mi fa sentire ancora più orribile di quello che già mi sento.» Mormorò Emmett, fissando i suoi occhi grigi su quelli verdi di Fabian.
«Certo.» Rispose il ragazzo, continuando meccanicamente a riempire la valigia. «È assurdo quello che hanno fatto Merry e i gemelli.»
«Lo so,» sospirò Emmett, avvicinandosi al giovane. «Mi chiedo come siano riusciti a insabbiare tutto … tutte le prove intendo.»
Fabian seppe che con la parola prove, Emmett si riferiva al corpo di Elizabeth. In effetti era inconcepibile come tre quindicenni fossero riusciti a farla franca senza destare alcun sospetto.
«C'è una cosa buona, però, in tutto questo.» Continuò Emmett.
L'altro lo guardò con aria interrogativa.
«Io e Helen abbiamo rotto. Ora possiamo stare insieme, nel senso, insieme per davvero, senza nasconderci.» Le parole di Emmett uscirono un po’ più tremolanti di quanto avrebbe voluto.
«Non credo che sia il momento opportuno per dirlo agli altri, hanno avuto già troppi shock per oggi.» Fabian rise, anche se non c'era nulla di divertente.
«Non dico oggi. Ma più avanti, quando tutto questo sarà passato … sempre che tu lo voglia.» Aggiunse Emmett velocemente, con il cuore che gli martellava forte nel petto. Forse, ora che la loro relazione era arrivata a un punto successivo, Fabian si sarebbe tirato indietro. Forse tutta l'attrazione che provava nei suoi confronti era dettata semplicemente dal proibito e dall'agire in segreto.
Emmett deglutì a fatica, sperando che non fosse così. Il silenzio dall'altra parte lo stava uccidendo. Fabian si mosse velocemente e gli prese il viso fra le mani.
«Certo che voglio. È tutto ciò che voglio.» Gli sussurrò con voce appassionata. «Prima, quando ho visto te e Helen che vi baciavate nel bosco, mi sono sentito malissimo. Come se mi avessero appena pugnalato il cuore.»
Emmett posò le mani sopra quelle di lui. «Mi dispiace, l'ho fatto solo perché iniziava a essere sospettosa, ma -»
«Basta, non devi giustificarti. Ora non ha più importanza.» Fabian concluse con uno dei suoi sorrisini sghembi, dunque si tuffò sulle labbra dell'altro ragazzo in un bacio profondo e pieno di sentimenti e parole non dette. Emmett sentì la testa leggera come un palloncino e non esitò a rispondere al bacio, affondando le dita fra i capelli dorati dell'altro. Si staccò da lui solo un istante.
«Paradossalmente, questo potrebbe essere uno dei giorni più belli della mia vita.»
Fabian rise, questa volta fu una risata sincera, e riprese a baciarlo con foga sulle labbra, per poi scendere sul collo e ritornare ancora sulle labbra. Emmett lo strinse contro di sé, sentendosi immensamente bene accanto a lui e al suo profumo costoso che indossava sempre.
«Fabian!» Damian ruzzolò nella stanza e i due ragazzi si separarono immediatamente, ma non abbastanza da non essere visti.
«Merda.» Imprecò Fabian, abbassando lo sguardo.
«Senti, Damian, non è come sembra -» iniziò Emmett, cercando di giustificarsi, anche se era sicuro che Damian sapesse già da tempo della loro relazione clandestina. Il ragazzo lo interruppe bruscamente.
«Chi se ne frega!» Urlò Damian, il viso paonazzo. «So che state insieme di nascosto e mi sta bene.» Il volto gli si fece mortalmente serio. «I signori Stonem sono morti. Assassinati, nel capanno degli attrezzi. C'è uno psicopatico sull'isola, dobbiamo trovarlo.»
 
*
 
Si riunirono tutti nuovamente nel grande salone e vennero tutti informati sulle inquietanti novità. Questo suscitò un'ondata di panico prevedibile e Ariadne iniziò a strillare che Adrian era ancora là fuori a cercare Virginia, quindi una facile preda dello psicopatico che albergava sull'isola. Nessuno riuscì a calmarla, fino a quando Adrian non riapparve, mezz'ora dopo, con i vestiti sporchi di terra e l'aria di uno che ha perso la partita più importante della sua vita.
Ariadne gli si fiondò tra le braccia, sull'orlo delle lacrime. «Non l'ho trovata.» Sussurrò lui fra i suoi capelli, a nessuno in particolare, con lo sguardo spento e assente. Ovviamente Adrian non era ancora stato messo al corrente della morte dei signori Stonem e dell'impossibilità di contattare il porto. Quando lo scoprì per poco non ebbe uno shock, come tutti gli altri, e iniziò a urlare che Virginia doveva essere trovata e subito. I ragazzi decisero di organizzare una spedizione di gruppo. Avrebbero setacciato l'isola da cima a fondo e se c'era qualcun altro lì, oltre a loro, lo avrebbero trovato. Dopotutto l'isola era davvero di piccole dimensioni e non provvedeva molti nascondigli al di fuori della villa, a causa delle rocce scoscese e levigate da una parte e della spiaggia sabbiosa dall'altra. L'unico posto in cui qualcuno si sarebbe potuto nascondere era il bosco, ma anche in quel caso era molto piccolo e facile da setacciare.
Prima di tutto la casa venne perquisita da cima a fondo. Ogni angolo di ogni stanza, dispensa e sgabuzzino venne controllato e ricontrollato da tutti. Anche il capanno degli attrezzi venne perlustrato da Damian e Adrian, anche se entrambi ne avrebbero volentieri fatto a meno.
La casa era sicura. Non c'era nessuno che si nascondeva in essa.
«Qualcuno deve rimanere con le ragazze.» Ordinò Adrian, a capo della spedizione. I ragazzi tenevo coltelli e altri aggeggi pericolosi tra le mani, il che li rendeva in un certo senso comici agli occhi delle altre, anche se la situazione era più tragica che altro.
«Resto io, se per voi va bene.» Si offrì Christopher. «Le battute di caccia all'uomo non sono mai state la mia passione.» Si giustificò con una certa amarezza.
«Perfetto,» disse Adrian, baciando Ariadne sulla fronte e rincuorandola con bisbigli di conforto. «Rimanete tutti nel salone. Non andate da nessuna parte. Se qualcuno deve andare in bagno, ci andrà in coppia. Chiaro?»
Nessuno ebbe qualcosa da obbiettare. Adrian, Fabian, Damian, Daniel e Emmett uscirono nella notte che iniziava a schiarirsi, segno dell'alba imminente. Ariadne, Merry, Helen e Chris rimasero in silenzio nella stanza.
Helen si rannicchiò in una delle poltrone e iniziò a singhiozzare. «Non posso credere che tutto questo stia capitando a me.» Mormorò a un certo punto. «È assurdo.»
Ariadne, sorprendendo Merry per la seconda volta quel giorno, le mise un braccio sulle spalle e la strinse a sé.
«Io … mi dispiace. È tutta colpa mia.» Disse Merry, torturandosi le mani.
«Sciocchezze. Cosa c'entri tu con uno psicopatico che cerca di ucciderci?» Sbottò Ariadne.
«Prima le lettere con i peccati, ora tutto questo! Ci deve essere un qualche collegamento. Vuole punirci per i peccati commessi, forse? Ma come fa a sapere cosa abbiamo fatto, cosa io ho fatto?»
«Ma soprattutto, chi può essere?» Si intromise Chris, rimasto in silenzio fino a quel punto.
«È inutile barcamenarsi con le congetture. I ragazzi lo troveranno e a quel punto scopriremo chi è.» Ariadne parlò in tono definitivo e nessuno aggiunse altro.
Come ordinato da Adrian, ci furono i turni per andare al bagno. La notte passò lentamente fino a quando il chiarore del sole non illuminò la stanza. Christopher andò in cucina a preparare del caffè e le ragazze lo seguirono per non rimanere da sole. Dopo quelle che a tutti parvero ore interminabili, i ragazzi tornarono dalla loro ricerca. A mani vuote, evidentemente. Con loro non c'era alcuna traccia di Virginia, né di un probabile assassino. I loro volti erano coperti di sudore e terra.
«Niente?» Domandò Christopher, porgendo loro tazze di caffè fumante, che rifiutarono.
Merry si allarmò all'istante. C'era qualcosa nell'atteggiamento dei ragazzi che aveva un ché di ambiguo. C'era troppo dolore nei loro occhi.
«Che è successo? Cosa avete trovato?» Saltò su dal divano, sul quale era rimasta per ore, intorpidendole i muscoli.
Daniel le si avvicinò e le prese una mano. Un gesto che in qualche modo la scaldò, ma allo stesso tempo la terrorizzò. I suoi occhi blu erano fissi sui suoi. Aveva della terra sullo zigomo destro e Merry allungò una mano e la strofinò via con il pollice, come era solita fare nella sua giovinezza, quando entrambi giocavano a rotolare giù per le collinette terrose dell'Hampshire. In quel momento le sembrava quasi che gli anni di separazione non fossero mai avvenuti. Lui era Daniel, il ragazzo con cui era cresciuta e che aveva amato.
Amo, si corresse mentalmente.
Perché era così, non aveva mai smesso di amarlo e l'unico motivo per cui lo aveva allontanato era lo sgradevole ricordo della morte di Elizabeth a cui entrambi avevano assistito.
Daniel si morse il labbro e la strinse contro di sé, come se avesse letto i suoi pensieri, e iniziò a raccontare.
«Abbiamo perlustrato tutta l'isola. Io e Adrian la costa est, mentre Damian, Fabian e Emmett il lato ovest. Non c'è alcun nascondiglio possibile sulle coste, tutto è visibile anche da lontano. Abbiamo perlustrato il perimetro più e più volte, poi ci siamo dati appuntamento sulla collinetta al sorgere del sole, così da poter perlustrare anche l'interno e il bosco, tutti insieme e alla luce del giorno.» Si fermò, come se dire quelle parole gli costasse un enorme sforzo di volontà. «E così abbiamo fatto. Il bosco è fitto, sì, ma non ci sono casette, né grotte o cunicoli che potrebbero fornire un riparo. Non c'è niente, sull'intera isola, dove qualcuno possa nascondersi. Così abbiamo rifatto il giro della costa, questa volta con il sole a nostra disposizione e, mentre stavamo tornado, li abbiamo visti.»
«Chi!?» Helen fece sobbalzare tutti con il suo grido isterico. La tensione stava divorando tutti, ma evidentemente lei non riusciva più a sopportarla. «Chi avete visto? L'assassino?»
«No.» Rispose Daniel, sforzandosi di rimanere calmo. «Virginia e Julian. Proprio nel punto in cui la spiaggia di sabbia finisce e iniziano gli scogli. I loro corpi erano lì, galleggiavano quasi in superficie, ma durante la perlustrazione notturna non c'era abbastanza luce per vederli. Sono morti, affogati credo. Entrambi sono morti.»
Merry rimase agghiacciata dalla scoperta. Helen scoppiò a piangere e questa volta anche Ariadne la seguì. Chris si prese il viso fra le mani e si lasciò cadere su una sedia.
«M-ma avete detto che non c'è nessun nascondiglio sull'isola. Quindi, chi li ha uccisi, se non può esserci nessun altro a parte noi qui?» Chiese Chris, con aria allucinata.
Calò un silenzio di tomba. I vari occhi si incrociarono in muti sguardi carichi di significato. Ognuno stava apprendendo lentamente il significato di quelle parole e la conclusione ovvia che ne derivava era ancora più scioccante di tutto ciò che avevano vissuto fino a quel momento.
Helen mugolò.
E Ariadne trovò finalmente il coraggio di parlare. «No. Quello che state dicendo non ha senso.»
«Non ci sono altre spiegazioni.» Disse Fabian, con voce piatta.
«C'è un fottuto psicopatico fra di noi e, sinceramente, non ho la più pallida idea di chi possa essere.» Continuò Damian.
Il sole era ormai alto nel cielo, segno che il mezzogiorno era vicino, ma nessuno dei presenti aveva il benché minimo appetito.
All'improvviso, dopo un susseguirsi di sguardi tesi e angosciati, scoppiò il caos e tutti iniziarono a parlare all'unisono.
«È stata Merry! Ha già ucciso prima di oggi.» Urlò Helen, istericamente.
«Oh Dio, voglio andare a casa.»
«Dobbiamo aspettare il battello.»
«Smettila di strillare come un'arpia, Helen!»
«Non dirmi cosa devo fare! Non ne hai più alcun diritto.»
«E tu smettila di incolpare Merry per qualsiasi cosa!»
«Allora sei stato tu, in fondo mi hai tradito, saresti capace di fare cose ben peggiori …»
«Sei ridicola.»
«Basta, tutto questo è assurdo.»
«Mi stai accusando?!»
«Basta!»
L'urlo di Daniel era stato così forte e potente che tutti si zittirono all'istante. «Dobbiamo stare calmi. Il capitano ci aveva detto che il prossimo traghetto era programmato per domani mattina. Dobbiamo solo superare questa giornata e domani potremmo tornare a casa.»
«O alla polizia.» Borbottò Chris, facendo avanti e indietro lungo il salone. «Sempre che lo psicopatico che si nasconde fra noi non decida di farci a pezzi durante la notte.» Aggiunse con un sarcasmo intriso di amarezza e disperazione.
«Per questo staremo tutti uniti. Nessuno lascerà questo salone fino a domani per prendere quel maledetto battello.» Adrian parlò con voce stranamente calma. Era sorprendente come quel ragazzo riuscisse a mantenere i nervi saldi in ogni tipo di emergenza. Forse lo insegnavano a tutti gli studenti di Medicina, a Cambridge.
Helen, come al solito, si ribellò. «Non ho intenzione di passare la notte accanto a un assassino a sangue freddo.»
«Preferisci passarla da sola in camera tua? Accomodati.» La schernì Fabian, con voce tagliente come una lama.
«No.» Adrian riportò l'ordine, facendo segno a Helen di non ribattere. «Rimarremo tutti qui. Se qualcuno dovrà andare in bagno, ci andrà accompagnato da altre due persone. Dobbiamo aspettare tutti insieme, così non ci accadrà nulla.»
La razionalità di quelle parole sembrò calmare in minima parte gli altri ragazzi che, uno dopo l'altro, annuirono in segno di consenso.
«Be', mettiamoci comodi. Sarà una lunga giornata.» Disse Fabian, in un tono forzatamente ironico. Si accomodò su uno dei divani e sprofondò fra i cuscini. Emmett lo seguì senza dire una parola e gli si sedette accanto. Le loro spalle erano a contatto l'una con l'altra. A breve anche alcuni degli altri lì imitarono. Helen si sedette solitaria su una poltrona. Daniel e Merry su un altro dei divani, insieme a Damian. Adrian e Ariadne rimasero in piedi, abbracciati, così come Chris, che andò alla finestra che dava sul mare.
«Non posso credere che Virginia e Julian siano morti.» Sussurrò Merry a Daniel, stringendosi a lui e intrecciando le mani con le sue. Nel silenzio totale il suo sussurro arrivò anche alle orecchie degli altri. «Lo so,» le rispose Daniel dolcemente, posando le labbra piene sulla sua fronte. «Non è rimasto più nessun Sheridan.»
Virginia, Elizabeth e Julian Sheridan erano fratelli e ora erano tutti morti.
«Forse a Merry non piaceva quella famiglia.» Sibilò Helen, gelida.
«La vuoi finire, Helen?» Sbottò Ariadne, sciogliendosi dall'abbraccio con Adrian e andando a sedersi sul tappeto. «Io fatico davvero a credere che ci sia un killer fra di noi. Ci deve essere un'altra spiegazione.»
«E quale, di grazia?» Tornò a sibilare Helen. Era strano vederla rivolgersi in quel modo irrispettoso ad Ariadne. Di solito c'erano solo complimenti e paroline dolci per la sua migliore amica.
Lei non rispose e nessuno degli altri parlò più per parecchio tempo. Le menti stanche e assonnate iniziarono a rilassarsi. Ognuno si perse nei suoi pensieri, nel sonno o nei ricordi.
 
*
 
Quattro anni prima.
 
Aveva smesso di piovere, benché il cielo dell'Hampshire fosse ancora denso di nuvole e nebbia. La casa di campagna dei Grey sorgeva su una piccola collinetta, dietro alla quale si estendeva un bosco e un lago piuttosto profondo e melmoso. Da piccoli quasi tutti i ragazzi ci erano finiti dentro per sbaglio o per scherzo, nonostante gli adulti avessero espressamente proibito loro di fare il bagno in quel covo di alghe e batteri. Molto meglio la piscina sul retro.
Ed era proprio sulla riva di quel lago che si trovavano Merry, Daniel e Christopher, insieme al corpo di Elizabeth.
«Non posso crederci che lo stiamo facendo. Non posso crederci. Non posso crederci.» Chris aveva continuato a ripetere quelle parole per tutto il tragitto dalla casa fino al lago. Trasportare un corpo era un'attività davvero faticosa, constatò Merry, ma l'adrenalina e le braccia forti dei gemelli avevano avuto un ruolo fondamentale nell'impresa.
Le scarpe dei tre ragazzi erano affondate nella fanghiglia presente sulla riva.
«E adesso?» Chiese Daniel, con occhi vitrei molto simili a quelli senza vita di Elizabeth.
«Adesso la buttiamo nel lago.» Rispose Merry.
«Non posso crederci. Non posso cre-» Chris si bloccò. «Cristo, tu non hai idea di quello che stai facendo! Il corpo tornerà a galla!»
Merry sembrò scioccata da quella constatazione, ma in breve riprese il suo autocontrollo. «Quindi cosa suggerisci?»
Chris non aprì bocca.
«Ci sono dei mattoni nella cantina.» Dichiarò Daniel, lanciando una breve occhiata al corpo di Elizabeth. «Possiamo metterli nelle tasche del suo cappotto e dei suoi vestiti.»
Chris fece un verso strano, ma continuò a non dire nulla.
«Okay.» Annuì Merry.
«Andremo a prenderli io e Chris, tu rimani e se riesci porta qui la barca. Torniamo subito.»
I ragazzi presero a correre lungo la collinetta e Merry si ritrovò per la prima volta da sola con Elizabeth. Non voleva guardare i suoi occhi azzurri e vuoti che la fissavano, o i suoi capelli biondo scuro incrostati di terra e fango. Non meritava questa fine, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
C'era una piccola barchetta di legno attraccata a un palo, anch'esso di legno, tramite una corda. La usavano spesso Damian e Fabian insieme a il nonno di Merry, quando ancora erano piccoli, per pescare nel lago. Ma ormai erano anni che nessuno la toccava. Merry la portò al punto in cui si trovava Elizabeth, pregando che il legno non fosse marcito col tempo. Aspettò, e presto i gemelli tornarono con le braccia cariche di mattoni.
La situazione iniziava a essere surreale.
«Ma che diavolo è successo?» Chiese Merry, osservando Chris che arrancava zoppicando.
I tre iniziarono a riempire le tasche di Elizabeth, mentre Daniel rispose alla sua domanda. «Si è ferito in cantina. C'era un ferro sporgente che non abbiamo visto nel buio.»
Merry guardò meglio Chris, che continuava a chiudersi nel suo mutismo ostinato. Sui pantaloni si stava allargando una chiazza di sangue piuttosto grande. Le venne la nausea, così distolse lo sguardo.
Daniel e Merry remarono fino al centro del lago. Non ci furono più imprevisti, la barca non cedette, i remi non si spezzarono e presto Elizabeth fu lasciata cadere nell'acqua torbida.
Affondò e non la rividero più.
Tornarono a casa di corsa. Adrian e Ariadne erano presumibilmente ancora chiusi in camera, così ne approfittarono per ripulirsi dal fango e per dare un'occhiata alla ferita di Chris.
Merry andò a prendere delle garze e del disinfettante e quando tornò nel bagno trovò Chris seduto sul pavimento, in boxer, con Daniel chino su di lui.
La ferita era davvero profonda. Come se il ferro si fosse conficcato a fondo nella carne. E, probabilmente era proprio ciò che era successo.
«Dannazione. Ti rimarrà una bella cicatrice, Chris.» Disse Daniel, mentre Merry medicava la ferita al suo gemello.
«Sentite, ecco cosa diremo a Adrian e Ariadne.» Iniziò lei, con voce dura. «Io e Elizabeth abbiamo litigato, lei ha preso le sue cose e se ne è voluta andare. Ci ha detto di aver chiamato suo padre e che sarebbe passato a prenderla lui con la macchina. L'abbiamo accompagnata fino alla strada, in questo modo giustificheremo le scarpe sporche di fango, e l'abbiamo lasciata lì, credendo che il signor Sheridan sarebbe arrivato da un momento all'altro. Quindi siamo andati in cantina per prendere del vino ed è lì che Chris è caduto. Chiaro?»
«Dovremmo scrivere un biglietto.» Aggiunse Chris, inaspettatamente.
«Un biglietto?»
«Sì, uno in cui lei dice che se ne voleva andare da tempo e di non cercarla. In questo modo non indagheranno troppo a fondo, né cercheranno un cadavere, ma semplicemente una ragazza scappata di casa.»
 
*
 
Quattro anni e qualche mese prima.
 
La famiglia Sheridan possedeva svariate proprietà immobiliari, ma la loro vera casa si trovava nel quartiere centrale di Clapham, Londra. La finestra della camera di Elizabeth si trovava al secondo piano, affacciata su un piccolo parco in cui spesso le persone andavano a correre o a far passeggiare i cani. Ed era proprio quella finestra, l'obbiettivo di Chris, mentre si arrampicava sulla grata di legno sopra la quale cresceva un fastidioso rampicante. Non era la prima volta che lo faceva, ma questo non rendeva le cose più semplici. Fortunatamente il tempo era stranamente bello e il sole del tardo pomeriggio lo riscaldava un po’, durante la sua scalata.
Ancora un passo.
Artigliò la mano all'infisso della finestra aperta e con un grugnito per niente regale, ruzzolò sul parquet, imprecando.
«Merda!»
«Oh mio - Chris?»
«Ciao, Elizabeth.» Rispose lui con un sorriso, ancora steso sul pavimento.
«Sei matto? Avrei potuto ucciderti credendoti un ladro!» Alzò la voce, per poi abbassarla immediatamente. Non voleva di certo che i suoi accorressero in camera sua per trovare Christopher steso sul pavimento.
Lui si rialzò, aggiustandosi i vestiti e togliendosi il giubbotto di pelle che indossava. «Non credo che tu sia così forte da potermi uccidere.» Ghignò, osservando Elizabeth in piedi a pochi passi da lui.
Sul suo viso dolce ben presto si dipinse un'espressione esasperata, spazzando via lo shock di pochi secondi prima. La ragazza indossava una tuta rosa pallido, e aveva i capelli legati in una coda disordinata. Era senza trucco e teneva ancora in mano la penna con cui stata scrivendo i compiti, a giudicare dalla scrivania ingombra di libri e quaderni.
«Davvero volevo uccidermi con una penna?» La prese in giro, Chris, senza toglierle gli occhi di dosso. La trovava bellissima anche con quei vestiti casalinghi.
«Okay, la prossima volta che deciderai di fare irruzione dalla mia finestra ti accoglierò con un coltello.» Ribatté lei, incrociando le braccia con aria scocciata, anche se in realtà stava sorridendo.
«Adoro le ragazze violente.» Chris si sedette sul letto di Elizabeth, tastandone la morbidezza e guardandosi in giro.
«Quello è nuovo.» Disse, indicando con un cenno del mento un poster che ritraeva una foto di una band, i Death Cab For Cutie. «Non c'era l'ultima volta che ho fatto irruzione dalla tua finestra, per usare le tue parole.»
Elizabeth seguì il suo sguardo e annuì. «Già, sono una nuova scoperta. Li conosci?»
«Se li conosco? Li adoro. Dovrebbero tenere un concerto qui a Londra prossimamente.» Le disse sorridendo.
«Sul serio? Mi piacerebbe tantissimo andarci.»
Chris non rispose, anche se la sua mente era già al lavoro, prendendo nota di comprare assolutamente due biglietti per il concerto. Se ne sarebbe occupato non appena uscito da lì.
«Comunque … che ci fai qui?» 
Lui si riscosse dai suoi pensieri e sorrise affabile. «Sono qui per aiutarti, ovviamente.» Rispose, pronto.
Elizabeth alzò un sopracciglio. «E perché avrei bisogno di aiuto?»
«Beh, da quello che ho capito sei un po’ scarsa in Algebra II, ultimamente. Si da il caso che io sia un genio della matematica.» Disse, orgogliosamente.
Elizabeth trattenne a stento una risata. «Un genio, eh? Quindi sei qui per aiutarmi a fare i compiti?»
Lui annuì con fare serissimo.
«Perfetto allora. Ho appena finito con letteratura e stavo proprio per iniziare le equazioni per domani.» Continuò lei, con quell'aria buffa che Chris adorava e, sebbene odiasse le equazioni, avrebbe fatto qualunque cosa per far felice Elizabeth. In quel modo forse un giorno lei lo avrebbe amato come lui amava lei.
«Adoro le equazioni.»
Elizabeth gli rivolse un ultimo sguardo scettico, prima di liberare una sedia da alcuni vestiti e portarla accanto alla sua, davanti alla scrivania.
Passarono il resto del pomeriggio a fare i compiti insieme. Non parlarono molto, Elizabeth era una ragazza piuttosto taciturna, e Chris apprezzava anche questo suo lato. Non gli importava di dover riempire il silenzio con inutili chiacchiere, gli bastava semplicemente starle accanto e, ogni volta che le loro braccia si sfioravano inavvertitamente, era la sensazione migliore che Chris avesse mai provato.
 
*
 
Tre mesi prima.
 
«Non posso crederci che stiamo andando a cena a Peckham.» Disse Emmett, affondando sul sedile del passeggero nell'auto di Fabian.
Era passata una settimana dal bacio inaspettato fuori dal Gents, il locale per soli uomini di dubbio gusto. Quella sera poteva essere considerata come il loro primo vero appuntamento. «È una zona poco raccomandabile, nel 2011 ci sono stati molti problemi riguardanti la criminalità. Oltre ad essere lontanissima dalle nostre case.» Emmett concluse il suo monologo, sentendosi improvvisamente molto vecchio e molto noioso. 
Perché diavolo stava parlando di dati sulla criminalità londinese ad un primo appuntamento?
Perché diavolo le sue mani non smettevano di sudare?
Ci mancava che iniziasse a snocciolare percentuali sulle rapine avvenute nella zona.
«Cavolo, sembri mio padre.» Disse Fabian, dopo un lungo silenzio, senza staccare gli occhi dalla strada.
Fantastico. Non che Emmett fosse tanto più grande di Fabian, aveva soli ventitre anni a confronto con i diciannove dell'altro, non erano poi un grande divario, ma lo erano quel tanto per farlo sentire inspiegabilmente vecchio. E, con quel discorsetto, probabilmente ne aveva guadagnati altri dieci, di anni.
«Ehm, scusa.» Borbottò, sbottonandosi in parte la giacca elegante che indossava. Se Fabian si fosse preso il disturbo di informarlo riguardo la loro malfamata destinazione, probabilmente avrebbe scelto un abbigliamento un po’ meno ricercato. Tipo felpa, jeans e giubbotto, proprio come aveva fatto Fabian.
«Comunque è proprio per quel motivo che stiamo andando a Peckham.» Continuò il giovane.
«Per l'alto tasso di criminalità?» Chiese Emmett, stupidamente.
Fabian trovò la frase molto divertente, infatti rise a lungo sotto lo sguardo torvo di Emmett.
«La vuoi piantare di ridere di me?» Sbottò lui.
«Oh Dio, scusa. Il tuo nervosismo ti rende esilarante.» Fabian finse di asciugarsi le lacrime agli occhi.
«Io non sono nervoso.» Sì, come no, pensò dentro di sé Emmett.
«La ragione per cui stiamo andando a cena lì è appunto perché è un quartiere lontano da quelli che frequentiamo di solito. Non correremo il rischio di incontrare nessuno che conosciamo.» Continuò Fabian, in tono ragionevole. «Così se avrò voglia di baciarti non dovrò trattenermi.» Aggiunse, sorridendo.
Emmett sentì le guance avvampare. Il che lo fece sentire abbastanza patetico, in realtà, e ringraziò l'atmosfera buia del crepuscolo che avvolgeva l'abitacolo. Il pensiero di ripetere quell'epico bacio con Fabian gli fece aumentare la frequenza cardiaca e improvvisamente divenne conscio della vicinanza con il corpo dell'altro. Del suo profilo concentrato sulla strada, dei suoi occhi verdi, luminosi anche alla luce fioca della sera, dei suoi capelli dorati scompigliati ad arte. Dovette lottare con tutte le sue forze, quando Fabian posò la mano sul cambio, per non coprirla con la sua e stringerla.
Che assurdità!
Conosceva quel ragazzo da quando era nato. Gli aveva fatto da babysitter infinite volte. Perché doveva sentirsi così a disagio proprio ora, dopo una vita passata insieme a lui?
Fabian parcheggiò l'auto in una stradina deserta. C'erano alberi su un lato e piccole casette in mattoni rossi sull'altro. Un insegna gialla e rossa sopra una di queste recitava: Golden Palace, il ristorante cinese in cui avrebbero cenato. Aveva tutta l'aria di essere una bettola.
«In realtà credo che ci abiti il nostro giardiniere a Peckham.» Disse Emmett, tanto per spezzare il silenzio.
«Credo che l'assegno cospicuo che gli elargisce tua madre ogni settimana basti a farlo stare zitto.» Rispose Fabian, ironico. «Se così non fosse potremmo sempre elogiarlo per il suo incredibile pollice verde. Che poi è anche la verità, quell'uomo è riuscito a far crescere delle splendide azalee nel centro di Londra. Deve essere un genio.»
Emmett aggrottò la fronte, mentre insieme entravano nel ristorante e venivano scortati fino al loro tavolo da un cameriere.
«Stiamo davvero parlando del mio giardiniere?» Chiese sedendosi sul divanetto di pelle rossa, subito seguito da Fabian. Le loro ginocchia si sfiorarono sotto il tavolo e lui dovette reprimere un brivido.
«Di cosa vorresti parlare? Magari di come e quando precisamente hai capito di essere gay?» Rispose l'altro, in un modo così disinvolto che fece cascare il mento a Emmett.
«Ehm,» fu dispensato dal rispondere dall'arrivo del cameriere, che prese le loro ordinazioni e poi si dileguò.
Fabian però sembrava ancora focalizzato sulla sua domanda di un attimo prima. «Allora?» Lo incitò, bevendo un sorso d'acqua.
«Io … ehm, quando ci siamo baciati, credo.»
«Ma è assurdo!» Sbottò Fabian, facendo voltare alcune teste curiose. «Andiamo, è impossibile. Io lo so praticamente da sempre. Con quante ragazze sei stato?»
Questo appuntamento stava andando di male in peggio.
«Anzi, non rispondere. Lo so io con quante ragazze sei stato, devo solo fare mente locale.» Fabian prese ad osservare il soffitto con aria pensierosa, contando con le mani. «Dunque, c'è stata quella Jenny al primo anno, giusto? Ricordo che è stata con noi per qualche giorno d'estate. Poi la mora con le belle labbra. La bionda di nome Christine, o Chrystal? Poi Kerry. Lei mi piaceva, in realtà. E infine quella rossa, la più odiosa di tutte in assoluto.»
Emmett sapeva che la rossa più odiosa di tutte era Helen Bell, la ragazza con cui conviveva attualmente.
«Beh, cinque dita di una mano alzate. Un bel riassunto per la mia vita sentimentale.» Rispose fiacco.
«E il sesso com'era? Insomma, dovrai esserti accorto che qualcosa non andava.» Disse Fabian, proprio mentre il cameriere portava le loro ordinazioni al tavolo.
«Vuoi abbassare la voce? Santissimo cielo.» Sibilò Emmett, diventando rosso di vergogna.
Teoricamente era lui il più grande, il più maturo. Non poteva farsi mettere a disagio da Fabian. Anche se non aveva tutti i torti. Da ragazzino aveva sempre pensato al sesso come a qualcosa di grandioso, poi quando era giunto il momento cruciale, con la mora dalle belle labbra per essere precisi, era stato una totale delusione su tutti i fronti. Allora aveva pensato che forse non era la persona giusta. Quindi aveva cambiato ragazza. Ancora e ancora, ma nulla era cambiato. Si era rassegnato, pensando tra sé e sé che in fondo il sesso era sopravvalutato, questo finché non aveva baciato Fabian.
La moltitudine di sensazioni che aveva provato in quell'istante erano state indescrivibili e uniche. Il suo corpo era stato attraversato da una scossa elettrica carica di eccitazione che non aveva mai sperimentato.
Pensò a tutto questo e arrossì ancora di più, poi pensò al fatto che Fabian avesse molta più esperienza di lui e, se possibile, toccò un' ulteriore sfumatura di rosso acceso.
«Emmett, ti stai sentendo male per caso? Sei paonazzo.» Fabian parlò con voce preoccupata e posò una mano sulla fronte del ragazzo, scostandogli una ciocca di capelli castano scuro.
Il contatto gli provocò la stessa scarica di energia che aveva provato durante il loro primo bacio.
«Stai scottando! Non è che hai la febbre?»
Come faceva a spiegargli che il suo viso scottava dall'imbarazzo e non per la febbre?
Emmett agitò la testa in senso di diniego, borbottando che stava benissimo. Prese le bacchette e si infilò in bocca una quantità esagerata di riso e pollo thai. Per poco non risputò tutto nel piatto, rischiando il soffocamento. «Bleah, questa roba fa schifo!»
Fabian prese una minuscola porzione del suo piatto e fece una smorfia. «Il mio riso sa di plastica.» Constatò con aria tetra.
In quell'arco di tempo Emmett era riuscito a riacquistare un colorito normale.
«Questo è l'appuntamento più orribile dell'universo, vero?» Chiese il più giovane, poggiando i gomiti sul tavolo e sostenendosi la testa fra le mani. Sembrava in preda allo sconforto e solo in quel momento Emmett si rese conto di essere stato troppo concentrato sulle sue insicurezze per vedere attraverso la solita facciata di Fabian, fatta di scherno e ironia.
Si sentì stranamente confortato, nonostante vederlo in quello stato di abbattimento gli fece stringere lo stomaco. Posò una mano sul suo ginocchio, anche attraverso la stoffa dei jeans riusciva a percepire il calore della sua pelle, e con l'altra mano gli sfiorò il mento in modo che voltasse il viso verso il suo.
«Possiamo renderlo meno peggiore di quello che è.» Gli disse in tono serio.
«E come? Facendo un reclamo ufficiale al cuoco?»
«Magari è arrivata l'ora di quel bacio di cui parlavi in macchina.»
Gli occhi verdi di Fabian si spalancarono leggermente, poi sulle sue labbra si disegnò uno dei suoi sorrisi indolenti. «Ma il tuo giardiniere potrebbe entrare da un momento all'altro e vederci. Mi sembra proprio il tipo che adora il riso che sa di plastica e, prima quando dicevo che avremmo potuto corromperlo con la sola arte della lusinga non -»
Lo sproloquio di Fabian venne interrotto bruscamente dalle labbra di Emmett che si posarono sulle sue. Ci fu un attimo di immobilità da parte di entrambi, fino a quando le loro labbra si dischiusero all'unisono e le loro lingue si intrecciarono in un bacio lento e languido, decisamente poco appropriato al luogo in cui si trovavano. Ma a Emmett non importava, era come se il mondo circostante fosse scomparso, lasciandoli soli a gustarsi quell'attimo perfetto.
 
*
 
Emmett si riscosse bruscamente dai suoi pensieri e si accorse che la testa di Fabian era poggiata sopra la sua spalla, le lunghe ciglia nere del ragazzo proiettavano disegni geometrici sui suoi zigomi pallidi, alla luce delle lampade accese nel salone. Fuori era buio e anche alcuni degli altri, oltre a Fabian, si erano assopiti per la stanchezza.
Emmett moriva dalla voglia di abbracciare il ragazzo e stringerlo più forte contro di sé. Voleva accarezzargli il viso e guardarlo con dolcezza mentre dormiva. Ma non poteva, non davanti a tutti.
Ma che senso aveva poi, continuare a mentire?
Voleva stare insieme a Fabian liberamente, voleva gridarlo a chiunque nonostante la situazione. O forse era proprio quella situazione che lo spingeva a voler rivelare i suoi veri sentimenti.
Sentì il petto gonfiarsi di una strana sensazione … coraggio, forse?
Voleva annunciare ai suoi amici di essere innamorato di Fabian. E lo avrebbe fatto. Ora. Si sentiva forte e pronto ad affrontare qualsiasi sfida, aprì la bocca e fece per parlare.
«Io ho bisogno di caffè.» 
Non era stato lui a pronunciare quelle parole, visto che si stava preparando ad urlare qualcosa del tipo: io amo Fabian e non mi interessa la vostra approvazione.
Era stato Christopher, alzatosi dal divano su cui giaceva.
Tutto il coraggio che Emmett aveva provato un attimo prima svanì. Aveva perso la sua occasione, per la stupida voglia di caffè di Christopher Hamilton.
«Immagino di non poter andare da solo in cucina, perciò, chi si offre volontario?» Continuò Chris, scrutando i ragazzi con i suoi profondi occhi blu.
«Io.» Rispose subito il suo gemello.
Daniel era teso, come tutti in quella stanza, ma sul suo viso c'era un'espressione così tetra che lasciò Emmett di stucco.
Lo aveva osservato, prima di perdersi nelle reminescenze romantiche riguardanti Fabian, e la sua faccia era diventata sempre più buia man mano che le ore passavano.
Era solamente lo stress dell'attesa?
O c'era dell'altro?
I due gemelli lasciarono la stanza, da dietro erano praticamente irriconoscibili, se non fosse stato per i loro vestiti.
 
*
 
«La cucina è da questa parte, fratello.»
«Lo so.» Rispose Daniel, senza smettere di camminare lungo il corridoio, diretto alle scale. «Dobbiamo parlare. In un posto appartato.»
Chris aggrottò la fronte e scrollò le spalle. «Come vuoi.»
I due gemelli camminarono in silenzio lungo il tragitto che li portò fino al secondo piano della villa, dove si diramavano le varie camere da letto. Daniel entrò nella sua senza esitare, aspettò che il fratello fosse dentro, poi la richiuse e accese la luce.
Chris incrociò le braccia al petto e lo fissò con aria interrogativa. «Allora?»
Daniel prese a camminare avanti e indietro, la testa fra le mani e il viso sconvolto. Quel minimo di autocontrollo che era riuscito ad ostentare davanti agli altri stava svanendo rapidamente.
«Chris … ti prego. Dimmi che non sei stato tu.» Sbottò alla fine, fermandosi davanti al fratello.
«Non sono stato io a fare cosa?»
«Tutto questo! A scrivere le lettere, a … a uccidere.» Aggiunse in un sussurro. «Ci ho pensato e ripensato tutto il giorno e …» si interruppe, incapace di esprimersi a parole.
«E?»
«E tu sei l'unico ad avere un motivo per fare tutto questo. Forse sto delirando. Basta che tu mi dica che non sei stato tu. Io ti crederò e ti lascerò in pace. Ma non riesco a smettere di togliermi dalla testa quel motivo. Un motivo che non ha alcun senso, ma -»
«Alcun senso?» Ringhiò Christopher.
Quelle due parole furono più chiare che una confessione. Daniel per poco non cadde per lo shock. Si appoggiò al muro con la schiena e non riuscì a trattenere le lacrime.
«Oddio. No. No, no.»
Nelle ultime ore aveva rimuginato a lungo ed era arrivato alla conclusione che l'assassino doveva essere il suo gemello, era l'unico tra loro ad avere un movente, ma aveva sperato fino all'ultimo di aver commesso un terribile errore.
«Io l'amavo!» Urlò Chris, con il volto rosso di rabbia. «Amavo Elizabeth. Questo motivo non ha alcun senso per te?» Sputò, avvicinandosi pericolosamente al gemello.
«Ma hai ucciso Virginia e Julian, i fratelli della ragazza che amavi! Questo non ha senso!» Anche Daniel urlò in preda alla disperazione.
Il volto di Chris si storse in una smorfia di disgusto. «Non c'è bisogno che tu capisca. Io amavo Elizabeth, Merry me l'ha portata via. L'ha uccisa. E tutti voi siete andati avanti con le vostre stupide vite. Come se lei non fosse importante, e per questo dovete pagare.» Sibilò Chris, lo sguardo folle.
«Ti prego, Chris. So che hai sofferto tantissimo, io so che l'amavi, lo avevo sospettato da tempo. Ma tutto questo è troppo, non lo capisci? Oh Dio. Devo dirlo agli altri.» Aggiunse Daniel, singhiozzando e voltando le spalle al fratello per raggiungere la maniglia della porta.
«No.»
Non fu quell'unica sillaba a immobilizzarlo, ma il modo in cui Chris la pronunciò gli fece gelare il sangue nelle vene.
 
*
 
«Avete sentito?» Chiese Merry alzandosi di scatto dal divano.
Da quando Daniel aveva lasciato la stanza non era più riuscita a chiudere occhio.
«Cosa?» Chiese Damian, ancora mortalmente assonnato.
Anche gli altri iniziarono a parlare contemporaneamente e Merry fece loro segno di tacere.
Si udirono voci concitate, provenienti dal piano di sopra.
Poi un colpo. Un urlo strozzato.
«Oh mio Dio!» Strillò Helen.
Schizzarono tutti fuori dal salone, Adrian in testa alla fila. Si udì il cigolio di una porta, altri colpi e poi una voce urlò, seguita da un tonfo sordo.
Dopodiché il silenzio.
I ragazzi continuarono a correre fino a che non giunsero alla base dell'imponente scalinata di marmo, che conduceva alle stanze da letto. Ai piedi di essa giaceva una figura immobile, gli arti distorti in una posizione innaturale e sulla fronte spiccava un taglio, contornato da una tumefazione. Merry passò gli istanti più terrificanti della sua vita quando si soffermò sul volto del ragazzo e vi scorse il naso dritto di Daniel, gli occhi blu di Daniel, gli zigomi alti e i capelli neri di Daniel. Poi guardò i vestiti.
Si trattava di Christopher.
Non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo.
Adrian, come sempre, doveva essere giunto a quella stessa conclusione un attimo prima di lei, perché si fiondò sul corpo e posò due dita sulla gola del ragazzo, alla ricerca di battiti inesistenti. Alzò il viso disperato sulla figura immobile che ancora sostava in cima alle scale.
«Daniel … hai … hai ucciso tuo fratello?» Chiese con uno sconcerto tale da lasciar perdere tutte le altre sensazioni che sicuramente stava provando in quel momento: paura, orrore, disperazione.
Daniel cadde in ginocchio, il suo corpo venne scosso violentemente dai singhiozzi, mentre si prendeva il viso fra le mani e articolava frasi sconnesse.
«Era … lui … lui ha ucciso gli altri.» Mugolò, sforzandosi di parlare. Merry lo raggiunse di corsa, scavalcando il corpo senza vita del gemello e fiondandosi sul ragazzo che amava.
Non aveva importanza se aveva appena ucciso una persona, voleva solo assicurarsi che stesse bene e, in ogni caso, Daniel non avrebbe mai ucciso suo fratello senza una ragione. Un ragione che iniziava a farsi strada nella mente di Merry.
Abbracciò Daniel, stringendolo contro di sé. «L'ho ucciso. Ho ucciso mio fratello. Lui ha cercato - lui mi ha aggredito, sono corso fuori. L'ho spinto. Non volevo.» Soffocò il viso nella spalla della ragazza e continuò a piangere ininterrottamente. Solo molto tempo dopo fu di nuovo in grado di parlare e di spiegare dettagliatamente ciò che era successo in camera da letto.
Christopher aveva confessato di essere stato lui ad uccidere i signori Stonem e i fratelli Sheridan. Lo aveva fatto perché era profondamente innamorato di Elizabeth e non tollerava che tutti fossero andati avanti con le loro vite, dimenticandosi di lei.
Era un ragionamento senza senso, tutti ne convennero.
Nel frattempo, il senso di colpa stava divorando Daniel, ma i ragazzi lo aiutarono a superarlo, assicurandogli che aveva fatto la cosa giusta. Chris era una minaccia, grazie a lui erano salvi.
Era di nuovo mattina, quando Damian avvistò il battello approdare sull'isola.
 
*
 
La polizia recuperò i corpi dei signori Stonem, ma non riuscirono mai a trovare quelli di Virginia e Julian; la marea li aveva reclamati e, ancora una volta, la famiglia Sheridan avrebbe dovuto seppellire due bare vuote. Anche il corpo di Christopher fu recuperato dalla scientifica.
I testimoni vennero interrogati, uno ad uno. Le loro versioni erano identiche e non fu fatta parola della confessione di Merry riguardo l'aver ucciso Elizabeth, da nessuno, neppure da Helen.
Il battello riportò i ragazzi nel mondo reale. Seguirono altri interrogatori, le prove vennero analizzate, le testimonianze trascritte. Christopher Hamilton fu accusato di quadruplo omicidio. Daniel se la cavò senza alcuna macchia sulla fedina penale, grazie alla legittima difesa. E, dopotutto, lui era l'eroe.
 
*
 
L'appartamento di Merry si trovava nel quartiere residenziale di Mayfair, Londra. La casa era una di quelle tipiche, fatta di mattoni rossi e colonne bianche, che ospitava più appartamenti all'interno. Nella via antistante, i platani facevano ombra sui cortili frontali e l'aria fredda dell'autunno imminente svegliò Merry.
Si strofinò gli occhi, districandosi tra le lenzuola. Non ricordava di aver lasciato la finestra aperta quella notte. Forse era stato Daniel.
Si voltò su un fianco e ammirò il ragazzo disteso accanto a lei. Sveglio.
«Ehi,» le disse, sorridendo appena.
«Ehi,» Merry gli posò la testa sul petto, cingendolo con un braccio. «Sto ancora morendo di sonno. Stanotte ho dormito malissimo.» Si lamentò, accarezzando l'addome di Daniel.
«Ancora incubi?»
Merry annuì, continuando a percorrere con le dita gli avvallamenti dei suoi muscoli.
«Vuoi che scenda di sotto da Starbucks a prenderti un caffè molto forte?»
Lei non riuscì a trattenere un sorriso. «Stai scherzando?»
«Non direi.»
Daniel mosse le gambe e il lenzuolo gli scivolò da un lato del corpo. Indossava solo un paio di pantaloncini del pigiama.
Merry sentì una breve fitta allo stomaco.
«Lo sai. Io non bevo quella roba. Macchia i denti, fa venire gli infarti …» continuò ad accarezzarlo, scendendo lungo le gambe, fino all'orlo dei pantaloni.
«Oh, certo. Che idiota.» Daniel ridacchiò, facendole traballare la testa. «Vado a prepararti un tè.»
Erano passate quattro settimane dagli spiacevoli eventi accaduti a Cypress Island e lei ancora non riusciva a capacitarsene. Gli incubi la tormentavano, così come i visi di Virginia e Julian e anche quello di Christopher. Il che era paradossale, visto che un viso identico al suo le stava porgendo una tazza di tè fumante, proprio in quel momento. Daniel tornò a sdraiarsi nella stessa posizione di poco prima e Merry bevve alcuni sorsi dalla tazza, per poi accoccolarsi nuovamente accanto a lui.
Ho perso Daniel già una volta, questa sarà diversa, non lo lascerò, non affronterò tutto da sola. Riusciremo a superare tutto questo insieme.
Merry fece scivolare la mano lungo la coscia di lui, la sua pelle era ruvida al tatto, tranne in un punto. Un piccolo ovale di pelle liscia e levigata come marmo. Passò i polpastrelli sul quel punto e realizzò cosa fosse.
Un cicatrice.
Una cicatrice rotonda, proprio sulla coscia destra.
La stessa cicatrice che si era procurato Christopher quattro anni prima, nell'intento di occultare il cadavere di Elizabeth andando a recuperare dei mattoni.
Lei l'aveva vista. Aveva visto la ferita, ed era molto profonda.
«Dannazione. Ti rimarrà una bella cicatrice, Chris.»
Gli aveva detto Daniel.
La gola le si secco all'istante. Il cuore schizzò di frequenza. Una sensazione di disagio le appesantì l'intero corpo. Terrore, disgusto e adrenalina correvano nelle sue vene.
Si tirò su a sedere lentamente, coprendosi il corpo con il lenzuolo il più possibile.
Aveva baciato questo ragazzo per quattro settimane. Aveva passato con lui quasi ogni momento. Gli aveva confidato tutte le sue paure e angosce. Era quasi andata a letto con lui.
Credendo che fosse lui, ma non era lui.
Non era Daniel.
Era Christopher.
E questo significava solo una cosa: Daniel era morto.
Il terrore doveva leggersi chiaramente sul suo viso perché Christopher sorrise.
«Diavolo, Merry, credevo che non te ne saresti mai accorta. Ti ho dato tanti indizi, ma evidentemente ho sopravvalutato la tua intelligenza.» Sorrise educatamente.
Merry boccheggiò, le mancava l'aria e i muri della sua stanza sembravano chiudersi su di lei. «T-tu … cosa … oh mio -»
«Già. Credevi fosse finita? Che ti avrei lasciata andare via, libera di vivere la tua vita al meglio?» Ora la sua voce aveva assunto una sfumatura minacciosa. Merry tentò di scendere dal letto ma le sue gambe sembravano non funzionare. La testa le girava.
«P-perché lo stai facendo?»
«I motivi non sono cambiati. Elizabeth non meritava di morire. Io l'amavo, non lo hai ancora capito? Era così pura, dolce, innocente. Credo che lei ricambiasse i miei sentimenti ma, ehi -» rise amaramente «non lo sapremo mai, perché tu l'hai uccisa
«È stato un incidente, lo sai!» Strillò, ma la sua voce uscì bassa e rauca. La testa continuava a pulsarle e la vista le si era annebbiata. Provò di nuovo ad alzarsi, ma il suo corpo non collaborava.
«Non importa.» Rispose lui, pacato. Continuava a starsene lì sdraiato come se nulla fosse, con la schiena appoggiata alla testiera del letto e le gambe allungate sul materasso. «Il risultato è lo stesso, Merry. E tu devi pagare. Devo finire quello che ho iniziato sull'isola.»
«M-ma perché non mi hai uccisa e basta? Che motivi avevi per uccidere Virginia e Julian … e Daniel. Oh, Dio! Hai ucciso il tuo gemello, sei un mostro!» Prese a singhiozzare, ma Chris non vi badò.
«Come ti ho già detto, meriti di pagare per ciò che hai fatto. Volevo uccidere ogni persona a cui tenevi davanti ai tuoi stessi occhi. Per farti provare ciò che ho provato io, quando mi hai portato via Elizabeth. Dovevano tutti morire prima di te e solo allora sarebbe arrivato il tuo turno. E quell'isola sperduta e dimenticata da Dio era la location perfetta.» Sbottò in una risata priva allegria. «Purtroppo non ho tenuto conto della spiccata intelligenza di Adrian, quel ragazzo riesce a stupirmi ogni volta. La trovata del salone è stata geniale! Nessuno va in bagno da solo, nessuno lascia la stanza e tutte quelle altre stronzate … geniale. Peccato che con quel trucco da libro giallo mi abbia impedito di mettere a punto il mio intero piano. Ma non mi sono arreso, come vedi. Daniel aveva capito tutto e quando mi ha fronteggiato in quella camera da letto ho visto un'occasione e l'ho colta. L'ho colpito e lui è svenuto. Ho scambiato i nostri vestiti, poi l'ho trascinato fino alla scale per dare via alla messinscena. E ora eccomi qui, il tuo momento è arrivato, Meredith.» La guardò con quei grandi occhi blu, identici a quelli di Daniel, e Merry si sentì orribile per non essersi accorta subito dello scambio di persona.
Il suo corpo era completamente intorpidito e le palpebre diventavano ogni minuto più pesanti.
«Cosa hai messo nel mio tè?» Sussurrò appena.
Il viso di Chris si illuminò con un grande sorriso. «Qualcosa che ti farà molto male.»
«Morirò?»
«Puoi scommetterci.»

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