Disruption of Evangelion: Timeless sorcery

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I – Prelude in red ***
Capitolo 2: *** II – Primo movimento: Ambassadrice d'ire ***
Capitolo 3: *** III – Secondo movimento: La belle dame sans merci ***
Capitolo 4: *** IV – Prima interferenza: Blackening ***
Capitolo 5: *** V – Prima interferenza, secondo momento: Il sepolcro di ruggine ***
Capitolo 6: *** VI – Intermezzo: Siamo una famiglia, no? ***
Capitolo 7: *** VII – Intermezzo, secondo momento: Bailamme ***
Capitolo 8: *** VIII – Intermezzo, terzo momento: Liquid breath ***
Capitolo 9: *** IX – Terzo movimento: Nascosto nell'ombra ***
Capitolo 10: *** X – Improvviso #1: New lethal disease ***
Capitolo 11: *** XI – Improvviso #2: The Undead ***
Capitolo 12: *** XII – Improvviso #3: The black knot ***
Capitolo 13: *** XIII – Within the mirror's cracks ***
Capitolo 14: *** XIV – Sinfonia #1: The Knight ***
Capitolo 15: *** XV – Seconda interferenza: A way to end the fear ***
Capitolo 16: *** XVI – Ripresa: Silence and Words ***
Capitolo 17: *** XVII – Ripresa, secondo momento: All I could say ***



Capitolo 1
*** I – Prelude in red ***


I
Prelude in red
 
Aprì gli occhi all’improvviso. Sopra di lui si stagliava l’ampia volta del cielo, un manto nero costellato di miliardi di luci. Sul suo corpo nudo, la fredda sensazione di quell’abominevole letto in cui era stato costretto a dormire per tanto, tantissimo tempo. Si sollevò lentamente in piedi, volgendo uno sguardo alla superficie azzurra della Terra, ed estese la testa come per sgranchirsi le ossa.
– Lo so, – disse improvvisamente, anticipando una notizia che sapeva gli sarebbe stata riferita di lì a breve. – Il ragazzo laggiù si è svegliato, ed è appena entrato nella fase di sintesi, giusto?
– Il ragazzo? Di che cosa stai parlando?
Si girò con una certa sorpresa scoprendo di non essere solo, nel mare lunare macchiato di un sangue troppo antico per essere ricordato: un altro essere lo stava fissando.
Non era certamente umano: sembrava un gatto col pelo bianchissimo, con grandi ciuffi che sbucavano dalle orecchie e un anello sospeso attorno ad ognuno di essi. La sua lunga e soffice coda ondeggiava morbidamente dietro di lui, i suoi piccoli occhi rossi erano puntati sul ragazzo.
– Chi sei?
– In realtà, – obiettò la creatura, – questo dovrei chiedertelo io. Stavo tranquillamente osservando le stelle quando mi sono ritrovato qui.
Il ragazzo trovò che quel piccolo essere fosse abbastanza curioso: non muoveva le labbra né cambiava espressione, ma le sue parole gli giungevano chiaramente.
– Sì, – lo anticipò la creatura, – in effetti io non sto parlando. Sto comunicando telepaticamente con te.
– Telepatia… – mormorò il ragazzo. – Che cosa affascinante. Comunque, neanche io mi sono mai mosso da qui.
– Mmh… che strano. Però, in effetti, – disse l’essere guardandosi intorno, – non credo che tutto questo sia arrivato qui solo ora.
Un’enorme fossa si estendeva a poche centinaia di metri da loro. Gru, impalcature e ponteggi circondavano un gigantesco essere umano, la pelle ricoperta da un tendone bianco cucito in più punti. Il volto del colosso era celato da una grande maschera viola con un simbolo triangolare segnato da sette occhi stilizzati.
– Credo di essere io, l’ultimo arrivato. Tornando alla tua domanda di prima, – riprese la creatura, – io sono Kyuubey, e sono ciò che tu definiresti un alieno.
Il ragazzo fissò quegli occhi, privi di ogni tratto umano ma rossi come i suoi. – Io sono Kaworu, Kaworu Nagisa. Piacere di conoscerti, Kyuubey.
– In realtà, – intervenne l’alieno, – non credo che il nostro incontro sia un evento positivo.
Il ragazzo chiuse gli occhi con un profondo sospiro. – Già, – annuì. – Lo credo anch’io.
Si voltò, rivolgendo lo sguardo in alto, verso il vuoto dietro di lui. – Dico bene?
– Purtroppo, sì.
Un enorme monolite nero si materializzò a mezz’aria, nel punto in cui Kaworu stava guardando. Seguirono altre sei grandi lastre identiche, ognuna con un numero da uno a sette disegnato in rosso, insieme alla dicitura “SOUND ONLY” e ad uno strano simbolo, simile a quello dipinto sulla maschera del gigante. – Era previsto che le pergamene del Mar Morto entrassero nel novero delle leggi, – disse qualcuno, parlando con voce grave attraverso il monolite marchiato col numero uno. Sembrava un uomo molto anziano, e la sua voce era colma di stanchezza. – Tuttavia, è avvenuto qualcosa che ha modificato completamente il copione da noi previsto.
– Qualcosa? – chiese Kaworu. – Intende dire che non sapete di cosa si tratti?
Un lungo silenzio lasciò intendere la risposta.
Kaworu si voltò verso la creatura bianca comparsa poco prima. – Tu ne sai qualcosa, Kyuubey?
– In realtà, no, – disse l’essere. Il suo volto inespressivo era in qualche modo inquietante. – Però, la mia presenza in questo luogo potrebbe voler dire che l’evento che vi interessa potrebbe essere partito dal mio mondo di provenienza.
– Un altro mondo? – tuonò il monolite numero quattro. Questo aveva una voce più profonda rispetto al primo, ma forse era solo un effetto dovuto ad una distorsione del suono. – Non sarai per caso un Angelo?
– Come ho già detto al ragazzo qui presente, – spiegò pazientemente Kyuubey, – io sono un alieno, e mi chiamo Kyuubey. Tuttavia, in questo momento non avverto la presenza di altri esseri appartenenti alla mia specie.
– Un messaggero inviato da un altro mondo… – mormorò con preoccupazione la stele col numero cinque. – Che sia un presagio dell’ora promessa?
– Non so di cosa stiate parlando, – sospirò l’alieno scuotendo la testa. Dopodiché si voltò e si allontanò scodinzolando pigramente, rivelando l’ovale violetto sulla sua schiena. – Io intendo solo badare ai miei affari e tornare nel mio mondo il prima possibile.
– Se non intendi ostacolarci, – disse il numero uno, – noi non interverremo contro di te. Tuttavia, – aggiunse con tono serio, – se la tua presenza dovesse rivelarsi d’intralcio per il nostro disegno ultimo, non avremo riguardi.
– Non sono io quello da cui dovete guardarvi, ma quelli che mi hanno seguito.
Kaworu sollevò un sopracciglio, guardando l’alieno con sospetto. – Di chi si tratta?
– Più che di chi, – lo corresse Kyuubey, – sarebbe più corretto parlare di cosa.
– Stai sfidando la nostra pazienza! – esclamò il numero due. – Parla chiaramente.
L’alieno tornò a guardare il gruppo di lastre nere, sospirando con aria condiscendente. – Va bene, va bene. Non serve che vi arrabbiate.
– Da quando sono arrivato qui, come vi ho già detto, – cominciò a dire accovacciandosi in posizione seduta, – non ho più avvertito la presenza dei miei simili. Ho pensato di essere rimasto da solo, e quindi ho cercato altri esseri provenienti dal mio mondo. Quelli che ho trovato… non sono tutti amichevoli. Nello specifico, ho localizzato cinque ragazze e alcune entità note con il nome di Streghe.
– Streghe? – mormorò il numero uno.
– Si tratta di creature dotate di grande potere magico, che dopo la morte sono cadute vittima della loro disperazione e sono diventate inumane. Non risultano visibili, normalmente, in quanto si nascondono nelle profondità di spazi magici chiamati Barriere, ma condizionano le menti degli esseri umani intorno a loro. Nel mondo da cui provengo, le Streghe sono le responsabili di numerosi suicidi e omicidi, e in generale di molti crimini violenti.
L’alieno inclinò leggermente la testa, chiuse gli occhi e cominciò a grattarsi con una delle zampe posteriori. – Davvero non ne avete mai sentito parlare?
– Da noi non esistono cose come la magia, – disse il numero sei. – E non credo che quanto dici sia vero.
– Io, invece, – intervenne l’uomo del primo monolite, – temo che non stia mentendo.
– Ma…
– Kyuubey, – riprese il numero uno. – Hai detto di avere degli interessi anche in questo mondo. Cosa intendevi, dicendo questo?
– Vedete, – spiegò l’alieno roteando il capo, – la mia specie si occupa da tempo immemorabile di fermare le Streghe. Per farlo, noi siamo dotati della capacità di creare delle ragazze magiche. Possiamo cioè conferire poteri magici alle ragazze che sottoscrivono un contratto con noi. Produciamo maghe, insomma, in modo che siano loro stesse ad occuparsi delle Streghe. In cambio, il contratto prevede che noi esaudiamo un desiderio della ragazza che sta accettando di diventare una maga.
Il silenzio calò nuovamente sulla landa lunare. Solo Kaworu lo interruppe. – Hai detto che anche cinque ragazze sono arrivate in questo mondo con te. Si tratta di maghe?
– Per ora solo tre di loro hanno sottoscritto il contratto, – disse Kyuubey. – Si tratta di Mami Tomoe, Kyoko Sakura e Homura Akemi. Le altre due sono riluttanti, ma sono già riuscito ad avvicinarmi a loro. Si chiamano Sayaka Miki e Madoka Kaname. Ormai è solo questione di tempo, prima che accettino la mia offerta.
– Sai dirmi, – continuò il ragazzo, – se loro cinque sono a conoscenza del fatto che questo non è il loro mondo?
– Non è così semplice, – disse l’alieno scuotendo la testa. – Il passaggio a questo mondo è avvenuto mentre dormivano, perciò i loro ricordi sono stati riscritti in modo da inserirsi in questo contesto. Nonostante questo, però, le maghe potrebbero avvertire una anomalia nel mondo intorno a loro, una specie di eco del nostro mondo d’origine. Anche se…
Kyuubey ebbe un attimo di esitazione, forse un po’ troppo teatrale. – No, – sospirò alla fine. – No, niente.
– Cosa stavi dicendo? – lo incitò il numero tre. – Coraggio, parla!
– Non era nulla di importante, – disse Kyuubey con indifferenza. – È solo che non sono mai riuscito a leggere nella mente di Homura. È come se non mi volesse lasciare entrare nei suoi pensieri.
– Queste “maghe”… – chiese il numero sette, – sono pericolose?
– Dipende da voi. Se saprete ottenere la loro fiducia, non avranno interesse nel farvi del male. Per il resto, anche le loro personalità avranno una certa rilevanza. Mami dovrebbe dimostrarsi piuttosto ben disposta a collaborare, mentre Kyoko sarà più difficile da convincere. Per quanto riguarda Homura… come vi ho già detto, quella ragazza è un mistero persino per me. D’altronde, non sono sicuro di essere stato io a darle i poteri.
Il monolite numero uno riprese a parlare con voce decisa. – Se ti chiedessimo di aiutarci, – chiese, – tu saresti disposto a farlo?
– Penso di sì, – rispose Kyuubey grattandosi un orecchio. – Tuttavia, i miei poteri non sono di natura offensiva. Posso creare delle combattenti, ma non so combattere per conto mio.
– La tua conoscenza sarà sufficiente, per il momento. Se veramente le Streghe sono esseri temibili come dici, dovremo in primo luogo capire come affrontarle.
– In questo caso, non temete, – disse la creatura voltandosi di spalle e riprendendo a camminare. – Vi fornirò tutto l’aiuto che vi servirà.
Kyuubey corse via, sparendo rapidamente dal campo visivo di Kaworu. Il ragazzo si passò una mano fra i capelli argentei, la pelle chiara illuminata dalla luce delle stelle e dalla debole albedo lunare. – E adesso? – chiese rivolto ai monoliti disposti in cerchio intorno a lui. – Cosa facciamo?
– Il progetto per il perfezionamento dell’uomo non può subire ulteriori ritardi, – mormorò la prima stele. – Procederemo come stabilito, e daremo a Ikari la stessa disposizione. Nel frattempo, raccoglieremo informazioni su di lui e su ciò che ha detto.
– Quindi la Nerv saprà dell’accaduto?
– Sì. Non mi fido di Kyuubey, chiunque egli sia e qualunque sia la sua natura. Voglio che anche la Nerv sia pronta a intervenire contro di lui.
– Anche a me ha dato la stessa impressione, – rifletté Kaworu spostando lo sguardo sulla Terra. – Credo che ci stia nascondendo qualcosa.
– Non ti crucciare troppo su questo, e procedi con la tua preparazione. Se tutto andrà come previsto, non sarà necessario scoprirlo.
Le lastre nere scomparvero nel nulla, inghiottite dai proiettori che le avevano generate. Kaworu rimase da solo, e si incamminò verso l’enorme essere disteso davanti a lui. – Questa volta le cose sembrano andare diversamente, Shinji Ikari, – commentò con un sorriso. – Cominciavo giusto ad annoiarmi.
***
Homura si alzò a fatica dal cornicione sul quale era atterrata. Una fitta pioggia rossastra stava cadendo ormai da diversi minuti, mentre l’enorme creatura scintillante e di forma irregolare che aveva strillato poco prima si era schiantata pesantemente fra gli altissimi palazzi di quella città a lei sconosciuta, sotto un vasto arcobaleno.
Quelle gocce dense e pregne di uno strano odore parevano provenire proprio da quell’essere simile ad un artefatto di vetro azzurro, che ancora stillava quel liquido dai suoi numerosi aculei cristalliformi. In un primo momento Homura aveva pensato che fosse sangue, ma il suo odore era diverso, più sgradevole per certi versi: sembrava il distillato di una persona, come se un essere vivente fosse confluito in quelle gocce con la sua stessa anima.
In lontananza, un’intera collina era stata sventrata e ridotta ad un cratere fumante, e ai suoi piedi la ragazza scorse due giganteschi esseri meccanici che si muovevano confusamente.
– Ce l’ho fatta, – ansimò trionfante. – Questa volta… questa volta…
– Questa volta, cosa?
Una voce troppo familiare per non risultarle odiosa le fece accapponare la pelle. La ragazza si voltò di scattò, estraendo una pistola automatica dal piccolo scudo fissato al suo braccio sinistro. Mirò nel punto in cui sapeva si sarebbe trovato il suo bersaglio e fece fuoco. Il corpo decapitato di Kyuubey rotolò ai suoi piedi dalla piccola antenna parabolica accanto a lei.
– Dovresti smettere di essere così ostile nei miei confronti, – la rimproverò l’alieno spuntando da un angolo. La sua voce era come al solito inespressiva e inutilmente cordiale. – Non voglio mica farti del male.
– Vattene, – intimò Homura, ma Kyuubey la ignorò e le andò vicino per sbranare il suo corpo ormai inservibile. – Sei disgustoso.
– Anche voi riciclate i rifiuti, no? – chiese Kyuubey, alzando gli occhi dal suo macabro pasto e prendendo a fissarla. – È la stessa cosa.
– No che non lo è. Tu mangi cadaveri.
– Magari dal vostro punto di vista è così, ma sai bene che io non sono come voi. I vostri metodi di giudizio non si applicano su di me.
Homura strinse i denti. Quell’essere la raccapricciava, ma adesso era troppo stanca per combatterlo. Sarebbe stata tutta fatica sprecata.
– Comunque, mi fa piacere che tu e le altre siate qui con me, – proseguì Kyuubey una volta che ebbe finito di mangiare. – Avrei trovato ugualmente delle maghe di riserva, ma mi sarebbe servito del tempo. Invece, dato che voi siete qui, sarà di certo più facile trovare altre candidate. Inoltre, è un bene che almeno tu sia cosciente del fatto che questo non è il nostro mondo.
Homura pensò che forse la storia della mancanza di emozioni era solo una menzogna detta dall’alieno per logorare la sua mente. Ogni frase di Kyuubey, infatti, le sembrava crudele e inopportuna. Per il momento, decise di ignorare le sue parole. – A me basta che Madoka Kaname non diventi una maga, – mormorò scostandosi i capelli dalle spalle con un gesto elegante. – Per il resto, sono disposta a rimanere con te a combattere Streghe anche per il resto dell’eternità, specie se questo significa tenerti lontano da lei.
– Ma come? Non lo sai?
Le pupille di Homura si dilatarono, e il suo corpo fu scosso da un tremito.
– Madoka Kaname, – continuò Kyuubey, gli occhi risplendenti di rosso come la pioggia che cadeva incessante, – è qui insieme a noi.
L’alieno si voltò e saltò agilmente da una sporgenza del palazzo all’altra. – Credo che andrò in cerca di Mami, adesso. Voglio accertarmi che lei sia ancora in grado di aiutarmi. Perché non provi a fare lo stesso con Kyoko? Potrebbe esserti utile, lavorare in squadra con lei.
– Sparisci!
L’urlo rabbioso di Homura si propagò ovunque lungo le strade deserte e gli edifici evacuati, ma Kyuubey era già sparito. La ragazza si accasciò a terra in ginocchio, distrutta dalla fatica di quel viaggio maledettamente lungo e dalla tensione causatale da quello sgradito incontro. “Tutto questo… tutto questo per niente…”
La pioggia cominciò a indebolirsi, per poi cessare del tutto dopo qualche minuto. “No…” pensò Homura digrignando i denti e alzandosi in piedi. “Questo mondo è diverso. Posso ancora salvare Madoka, e lo farò.”
La ragazza si accovacciò, spiccando un altissimo salto e raggiungendo il palazzo accanto al suo con un leggero scalpiccio dovuto ai tacchi neri. In pochi balzi raggiunse il grande oggetto blu che troneggiava nel mezzo della città. Ne esaminò attentamente la superficie, passandovi una mano sopra e osservando le grandi macchie rosse visibili in trasparenza attraverso il cristallo che lo componeva. Un’enorme energia proveniva da quella massa rossa, anche se si stava disperdendo rapidamente, e tutto il volume di quell’essere irradiava un potere spaventoso.
Homura si sistemò nuovamente i capelli, cercando con lo sguardo i due giganti che aveva visto prima. Erano molto lontani, ma si poteva vedere chiaramente che uno dei due si era inginocchiato accanto all’altro, che invece era caduto al suolo.
“A qualunque costo.”
***
L’angolo dell’autore:
Eccomi di nuovo qui! Sono tornato sul luogo del delitto per un progetto un po’ più impegnativo, che potrebbe richiedere parecchio tempo per essere concluso. Inoltre, non ho idea di quanti capitoli riuscirò a scrivere, né con che cadenza; vi prego quindi di avere fiducia in me: vi aspettano sviluppi inaspettati, colpi di scena, tanta drammaticità e combattimenti epici ed emozionanti (o almeno, così si spera)!
Perciò non perdiamoci in chiacchiere ed espandiamo gli A.T. Field, perché la storia è appena cominciata!
 
Bookmaker

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Capitolo 2
*** II – Primo movimento: Ambassadrice d'ire ***


II
Primo movimento: Ambassadrice d’ire
 
– Contatto confermato, diagramma d’onda blu. Non ci sono dubbi: è un Angelo.
– Roger. Procedo all’ingaggio.
­– All green, zero-due. Rimozione delle sicure.
La macchina umanoide multifunzione Evangelion zero-due si sganciò dalla fusoliera dell’aereo di trasporto, cominciando la sua caduta verso un grande lago costeggiato da una strada montana. Nel mezzo dello specchio d’acqua si ergeva un essere gigantesco, simile ad una gru con due esili gambe che oscillavano puntellandosi sulla superficie del lago.
L’intero corpo della creatura sembrava composto da elementi geometrici semplici, tanto sottili da apparire monodimensionali. Tra i sostegni del mostro c’era una grande sfera nera appesa ad un robusto stelo. In alto, invece, ben visibile sopra la parte centrale, una lunga torretta sosteneva una testa simile ad una maschera di carnevale, con un’asta rossastra che girava a piccoli scatti facendo perno su di essa. All’interno di un piccolo rombo, sotto quella specie di testa, c’era una sfera rossa e dall’aspetto torbido.
Asuka Shikinami Langley, pilota dell’Eva zero-due, analizzò l’intera struttura dell’Angelo nei primi tre secondi di caduta libera, quando ancora il suo bersaglio non si era nemmeno accorto di lei. “È proprio un Angelo stupido,” pensò con un ghigno. “Crede davvero che mi faccia ingannare così facilmente?”
Non appena il suo cervello formulò il comando, l’enorme macchina da lei pilotata imbracciò il fucile in dotazione, prendendo la mira e facendo fuoco con precisione chirurgica sulla sfera rossa. L’oggetto esplose in una piccola pioggia di liquido organico rosso, e la piccola torretta superiore collassò sotto il suo stesso peso.
Subito dopo, però, l’essere cambiò radicalmente la propria struttura: la sfera inferiore risalì verso l’alto come un pendolo, e i segmenti neri che costituivano il corpo si riassemblarono in una nuova conformazione. La grande sfera si rivelò a sua volta rossa, e l’essere sembrò finalmente aver notato la presenza dello zero-due.
“Un’esca,” sogghignò Asuka, i capelli che ondeggiavano nell’LCL che riempiva l’abitacolo. “Come previsto.”
Dal corpo dell’Angelo si dipartirono decine di appendici nere e appuntite, che si diressero a gran velocità contro l’Evangelion. Asuka fu presa alla sprovvista da quell’attacco, e il primo colpo le fece perdere la presa sulla sua arma. I successivi, però, non andarono a segno: la ragazza riuscì a evitarli tutti, volteggiando nell’aria con una leggerezza impensabile per quell’enorme macchina.
“Devo recuperarlo!” pensò a denti stretti, seguendo la caduta del fucile rimasto poco lontano da lei. Le braccia dell’Evangelion si allargarono in modo da rallentare la caduta, e finalmente il fucile fu a portata di mano. Asuka si portò di nuovo in posizione di fuoco, pronta a dare il colpo di grazia all’Angelo.
“Sei mio!”
Sparò una serie di dardi in rapida successione, costringendo il nemico a manifestare il proprio scudo, l’A.T. Field, a pochi metri dal nucleo. I proiettili si infissero l’uno sull’altro, conficcandosi in quello scudo di luce cangiante. Alcuni viticci prodotti dalla creatura cercarono di trafiggere l’Evangelion, ma ancora una volta Asuka li evitò con un’elegante manovra evasiva.
“Guardatemi,” pensò. Sul suo volto si era dipinta una smorfia carica di bramosia, mentre i suoi occhi scrutavano impazientemente il suolo sotto di lei. “Coraggio, guardatemi adesso!”
L’Evangelion fece una capriola su se stesso, lanciandosi poi in un calcio contro il nucleo dell’Angelo. Era questione di secondi, ormai, e persino l’Angelo non sembrava più intenzionato ad opporre resistenza.
Poi la vide.
Una ragazza.
Aveva all’incirca la sua età, a giudicare dall’aspetto, ma c’era in lei qualcosa di strano che Asuka non riuscì a valutare completamente. La cosa più rilevante, però, era che quella ragazza era seduta sul nucleo del settimo Angelo.
Asuka chiuse gli occhi pensando di aver visto male, ma quando li riaprì la misteriosa ragazza era ancora lì, immobile. Anzi, ora anche lei la stava fissando.
Si guardarono reciprocamente solo per un istante, ma ad Asuka sembrò un tempo molto più lungo. Poi, senza fare una piega, la ragazza spiccò un balzo e fece comparire dal nulla una specie di enorme lancia. La fece roteare sopra di sé, per poi abbatterla sul nucleo della creatura crepandolo in profondità.
Asuka arrivò un momento più tardi, perforando agilmente l’A.T. Field grazie ai dardi sparati poco prima e distruggendo senza sforzo il nucleo già danneggiato.
L’atterraggio non fu dei migliori: lo zero-due si schiantò pesantemente su un grande spiazzo vicino alla strada, e fu costretto ad appoggiarsi sulle braccia per non cadere. A bordo, Asuka era pazza di rabbia.
– Chi cazzo sei? – urlò attraverso gli altoparlanti dell’Eva facendo alzare in piedi la macchina. – Fatti vedere!
– Ehi, ma sei scema? Io sono qui.
Asuka sollevò lo sguardo, scoprendo che la ragazza di prima la stava squadrando con sufficienza attraverso la superficie dell’abitacolo. Era in piedi sopra di lei e stava sgranocchiando una mela a grandi morsi, i lunghi capelli rosso porpora legati con un fiocco nero dietro la testa in una grande coda. Indossava un abito rosso bordeaux senza maniche, con una corta gonna rosa e un paio di stivali rossi. Non riusciva a capire come avesse fatto ad arrivarle sulla testa: anche nella posizione carponi che aveva dovuto assumere, la testa dell’Evangelion si trovava ad almeno venti metri dal suolo. – Chi sei? – ripeté Asuka. – Cosa ci fai, qui?
– Che domande… – sbuffò l’altra. – Ammazzo Streghe, no?
Asuka la fissò con un’espressione interrogativa e sospettosa stampata sul volto. – Streghe? Di cosa diavolo parli?
– Lo stavi facendo anche tu, no? – disse la ragazza addentando il frutto. – Quel grosso affare ti stava attaccando.
– Ma cosa… Ascoltami bene, non so chi o cosa tu sia, ma se ti stai prendendo gioco di me io…
– Asuka!
Una voce familiare, anche se non particolarmente piacevole da sentire, richiamò il pilota dell’unità zero-due. Asuka volse lo sguardo a terra, dove vide una Renault Alpine blu parcheggiata in malo modo ai piedi dell’Eva. Una giovane donna dai lunghi capelli corvini, tanto neri da apparire venati da riflessi viola, si stava sbracciando in vicinanza della macchina. – Asuka, mi senti? Sono Misato, Misato Katsuragi!
La ragazza fissò Misato con un’espressione infastidita. – Misato! Mi spieghi cosa sta succedendo? Chi è questa teppista?
– Ehi, modera la parole, – la redarguì la ragazza bussando vigorosamente sulla testa dell’Evangelion. A giudicare dal rumore prodotto dalla bussata, era più forte di quanto sembrasse. – Io sto solo facendo il mio lavoro.
– È tutto a posto, Asuka, – la rassicurò Misato. – Ti spiegherò ogni cosa quando avremo messo a posto l’Evangelion…
Mentre la donna finiva di parlare, il tempo di operatività dell’Eva si esaurì. La batteria interna era ormai scarica e la macchina si irrigidì inarcando leggermente la schiena. Dal suo interno si levò un urlò furioso, ben udibile anche se non più supportato dagli altoparlanti.
***
– Maggiore Katsuragi a rapporto, signore.
– Ho sentito di quanto è accaduto con il settimo Angelo.
– Me ne assumo la piena responsabilità. Non sapevo dell’arrivo dell’unità zero-due, e non ho pensato al contenimento del Terzo Soggetto. Inoltre, come lei sa, il pilota dell’unità zero-uno era con me e non ha potuto raggiungere l’Evangelion.
– L’ultimo punto è anche colpa mia. Per il resto, la Second Child e il Terzo Soggetto Deviante avrebbero dovuto incontrarsi comunque. Per il futuro, tuttavia, la invito a mantenere un maggiore controllo sui piloti.
– Sissignore.
La comunicazione con il comandante Ikari si interruppe, e solo allora Misato poté tirare un profondo sospiro. La sua testa era ancora al suo posto, e questo era un esito insperato. Si abbandonò pesantemente sulla poltrona, le gambe accavallate in maniera ben poco decorosa per un’ufficiale della Nerv. Diede un’occhiata distratta all’ufficio spoglio in cui era stata allestita quella specie di sala comunicazioni, provando un po’ di malinconia davanti a quel luogo così trascurato.
In effetti, la base Nerv in cui si trovavano in quel momento non era pensata per la presenza di personale operativo. Si trattava di un hangar, fondamentalmente, e perciò ospitava quasi solo operai e tecnici. In quel caso, era stato provvidenziale che una struttura del genere si trovasse così vicina al punto in cui l’Eva zero-due si era arrestato. Già così erano state necessarie più di due ore per spostare la gigantesca macchina, fare anche un chilometro di più sarebbe stato a dir poco complicato.
“Ritsuko mi farà una bella lavata di testa,” pensò Misato con un brivido. L’ufficiale scientifico e direttore del progetto E Ritsuko Akagi era la sua migliore amica da quasi quattordici anni, ormai, ma le faceva quasi più paura del comandante Ikari.
Nel frattempo, dalla stanza attigua continuavano a provenire le urla di rabbia di Asuka. “Mi sa che dovrò fare l’adulta,” sbuffò Misato sollevando un sopracciglio e alzandosi malvolentieri in piedi. Si sistemò il tubino nero sulle gambe, quindi aprì la porta e raggiunse il grande passaggio all’aperto lungo il quale stava transitando l’unità zero-due.
Non vide subito Asuka, ma Shinji la stava aspettando a pochi metri dall’ufficio. Il pilota dell’unità zero-uno, il Third Child, era seduto per terra, la schiena appoggiata ad un pilastro di cemento armato. Nelle orecchie aveva gli auricolari del suo solito lettore musicale, e si stava abbracciando le ginocchia. Nei suoi occhi c’era uno sguardo vuoto, tanto da far pensare che il ragazzo non si trovasse realmente in quel luogo, insieme a lei.
Misato gli si avvicinò con passo deciso, determinata a riscuoterlo da quello stato di torpore, ma alla fine si limitò a toccargli la spalla con la punta delle dita. Shinji sollevò la testa, e quando vide la sua tutrice si tolse le cuffie con un gesto stereotipato.
– Signorina Misato… – la salutò. Accanto a lui, l’enorme sagoma dell’Eva zero-due stava scomparendo progressivamente nell’hangar coperto. – Shikinami e Sakura stanno ancora litigando.
– Sì, – sospirò la donna. – Le sentivo dall’altra stanza. Dove sono?
Shinji indicò dietro di sé, girando la testa oltre il pilastro. – Di là.
– Vado a vedere se riesco a farle ragionare. Tu vieni con me?
Il ragazzo sembrò un po’ indeciso, ma dopo l’esitazione iniziale annuì e si alzò lentamente. Guardandolo attentamente, Misato ebbe l’impressione che sul suo volto si fosse disegnata una strana smorfia. Tuttavia, preferì non farci caso.
Insieme si diressero verso il nuovo campo di battaglia.
Asuka aveva ancora indosso la plug suit che usava per pilotare l’Evangelion, rossa fiammante come i suoi capelli. Faceva piuttosto caldo, e quell’abbigliamento non doveva essere particolarmente comodo; ciononostante, la ragazza sembrava troppo presa dal litigio per farci caso.
L’altra ragazza, invece, si era cambiata d’abito. Ora indossava una maglietta nera, una felpa verde e dei pantaloncini cortissimi di jeans, e aveva l’ombelico scoperto. Stava con le braccia incrociate, appoggiata alla parete in una posa a dir poco provocante, e fissava con aria annoiata un’Asuka sempre più furiosa. Fra i denti teneva un sottile stecchino ricoperto di cioccolato, facendolo dondolare oziosamente su e giù.
– Ma mi stai ascoltando, almeno? – esclamò Asuka sporgendosi su di lei con fare minaccioso. – Che diavolo ci facevi nella mia zona operativa?
– Zona operativa? – rise l’altra. – Ma dai… se mi avessi detto che stavamo giocando alla guerra, avrei portato almeno una pistola giocattolo!
– Questo non è un gioco! – gridò il pilota. La sua voce era feroce, incattivita dal quel commento sarcastico. I suoi occhi azzurri erano spalancati, ma le pupille erano ristrette per l’immensa furia che la pervadeva. Fuori di sé, afferrò la ragazza per il collo della felpa e la strattonò facendole cadere il bastoncino dalla bocca. – E ora, per l’ultima volta, dimmi chi sei!
Il bastoncino colpì il suolo, spezzandosi con uno schiocco e rotolando sotto il piede del pilota dello zero-due. Un tenue bagliore rosso scaturì dalla tasca della felpa, riflettendosi negli occhi di Asuka e distraendola per un attimo. Quando tornò a concentrarsi sull’avversaria, sentì una presa ferrea serrarsi sulla sua gola. Il vestito della ragazza era cambiato di nuovo, tornando ad essere quello di prima, e Asuka era stata sollevata in aria e sbattuta contro un grande container di lamiera.
– Cosa c’è? – ringhiò Asuka con un ghigno arrogante. – Non ti piace il mio atteggiamento?
– Non fraintendere, bambina-soldato, – disse la ragazza con voce monotona. Le sue mani si strinsero ulteriormente intorno alla gola di Asuka, togliendole il respiro. – È solo che non si butta il cibo. Fallo di nuovo, e io ti ammazzo.
– Kyoko!
Misato strattonò violentemente la ragazza, costringendola a mollare la presa su Asuka. Il pilota dello zero-due si accasciò con la schiena contro il container respirando affannosamente, il viso ancora livido. Shinji si avvicinò a lei per aiutarla, ma fu allontanato con una manata.
– Lasciami stare! – abbaiò Asuka rimettendosi in piedi. Era ancora incerta sulle gambe, ma ostentava la sua forza e non distoglieva lo sguardo dalla rivale. – Ce la faccio da sola.
– Ma si può sapere che vi prende? – esclamò Misato con severità. La ragazza dietro di lei aveva ripreso l’abbigliamento casual, e ora osservava la scena, apparentemente divertita. – Avete appena abbattuto un Angelo, e l’avete fatto insieme! I compagni di squadra non si saltano al collo in questo modo.
– Io non sono la sua compagna di squadra! – mugghiò Asuka stringendo i pugni. – E nessuno ha chiesto il suo intervento! Inoltre, qualcuno mi vuole spiegare perché un civile si trovava nell’area di un’operazione militare che coinvolgeva materiale top secret?
– Su questo hai ragione, – sospirò Misato. – Avrei dovuto dirtelo prima. Asuka, lei è il Terzo Soggetto Deviante, Kyoko Sakura. Kyoko, – aggiunse poi rivolta alla ragazza in jeans, – lei è Asuka Shikinami Langley, il pilota dell’unità zero-due. È appena arrivata dalla sede tedesca della Nerv.
Shinji si era già portato a distanza di sicurezza dalla conversazione, in modo da evitare di essere coinvolto, ma il maggiore Katsuragi lo agguantò per una spalla e lo strinse a sé con un sorriso smagliante. – E lui è il Third Child, Shinji Ikari. È lui che pilota lo zero-uno…
– Soggetto Deviante? – la interruppe Asuka. – Che cosa dovrebbe significare?
– Significa che non provengo da questo mondo, bambina-soldato, – replicò Kyoko con aria di sfida. La ragazza estrasse da chissà dove un nuovo pacchetto di biscotti, tirandone un altro fuori dalla scatola direttamente con i denti. – Inoltre sono una maga, con i poteri magici e tutto il resto. Quindi ti renderai conto che io e il concetto di “top secret” andiamo a braccetto.
– Perché nessuno mi ha avvisato?
– Era complicato da spiegare al telefono, – si giustificò Misato. – Io stessa, inoltre, non ho capito molto di questa faccenda. Ti so solo dire che quello che ha detto Kyoko è vero.
– Insomma, adesso dobbiamo occuparci anche di voi! – ringhiò il pilota rivolta alla maga.
Kyoko si limitò a sorridere in maniera provocante. – Non scaldarti, bellina. Io e te stiamo dalla stessa parte, anche se a vedere te non si direbbe.
– Kyoko dice la verità, Asuka, – disse Misato. – Lei e gli altri Soggetti Devianti vogliono solo tornare nel loro mondo.
– E far fuori le Streghe, – la corresse Kyoko.
– E quest’altra storia cosa vorrebbe dire? – chiese Asuka, più esasperata che mai. – È da prima che farnetichi di Streghe! Qualcuno mi vorrebbe spiegare cosa sta succedendo?
– Posso provarci io.
Una nuova voce fece voltare tutto il gruppo. Kyoko fu l’ultima a girarsi, sapendo già chi si sarebbe trovata davanti. Misato sembrò molto sollevata mentre salutava la ragazza bionda appena arrivata al settore di transito. – Ciao, Mami, che piacere vederti!
– Buongiorno a tutti, e scusatemi per il ritardo, – salutò gentilmente la nuova arrivata, portandosi le mani intrecciate davanti alle gambe e accennando un cortese inchino col capo. Indossava una semplice uniforme da liceale, con grandi fermagli a forma di fiore che fissavano in posizione due grandi codini a ricciolo. La sua era una dolcezza di altri tempi, che per qualche motivo fece arrossire timidamente Shinji. Kyoko si limitò a ricambiare il saluto con un cenno della mano, mentre Asuka sembrò sul punto di esplodere. Misato se ne accorse, e subito intervenne per evitare che accadesse l’irreparabile.
– Asuka, questa è il Secondo Soggetto Deviante, Mami Tomoe. Mami, ti prego, spiega ad Asuka quello che voleva sapere.
– Certamente, – sorrise Mami. Dopodiché si rivolse ad Asuka porgendole una mano. – So che la signorina Misato l’ha già detto, ma io sono Mami Tomoe. Piacere di conoscerti.
Il pilota in rosso continuò a guardare Mami negli occhi, rifiutandosi di ricambiare la cortesia. – Asuka Shikinami Langley, – mormorò minacciosamente, scandendo ogni singola sillaba.
Mami rimase abbastanza sorpresa da quel comportamento, ma Misato le fece intendere con un gesto eloquente che non era il caso di tentare la strada dei convenevoli. – Ad ogni modo, – disse la maga ritraendo la mano, – noi maghe siamo semplici ragazze, come…
Mami stava per dire “come te”, ma Misato replicò lo stesso gesto di prima riuscendo a interromperla per miracolo. – … siamo semplici ragazze che hanno stipulato un patto con un alieno di nome Kyuubey. A quanto ci ha detto il comandante Ikari, dopo aver scoperto che ci trovavamo in questo mondo, la Nerv ha chiesto la collaborazione di Kyuubey nella lotta contro le creature che chiamate Angeli. Kyuubey ha contattato noi, e ora stiamo lavorando insieme ai piloti di Evangelion per sconfiggere gli Angeli. In cambio, noi abbiamo chiesto aiuto per tornare nel nostro mondo e per sconfiggere le Streghe, entità malvage che sono arrivate in questo mondo insieme a noi.
– Adesso capisci, Asuka? – chiese Misato. – Ecco perché Kyoko ha attaccato il settimo Angelo.
– In realtà, – borbottò Kyoko portandosi le mani dietro la testa e appoggiandosi nuovamente alla colonna, – io pensavo che quell’affare a forma di pendolo gigante fosse una Strega. Era più grande del solito, ma lo stile era più o meno lo stesso. D’altronde, questo è il primo che vediamo dal vivo.
Asuka non disse niente. Fece un passo in avanti, scostando rudemente Mami e rivolgendo un’occhiata iraconda a Kyoko, quindi uscì dall’installazione. Non degnò Shinji nemmeno di uno sguardo.
Mami guardò Misato con un’espressione spaesata dipinta sul volto. – Ho… ho per caso detto qualcosa che non va?
Il maggiore Katsuragi si limitò a sospirare, rimproverando per l’ennesima volta se stessa per non aver organizzato un incontro preliminare fra i Children e i Soggetti Devianti. Ormai, però, era tardi.
– No, Mami, – disse infine. – Tu non hai fatto nulla di male.
– Ma che problemi ha, quella? – chiese seccamente Kyoko. Sembrava un’affermazione, più che una domanda.
– Non farci caso, – la calmò Misato. – Non vedo Asuka da un bel po’, ma da quando la conosco è sempre stata molto orgogliosa. Tu le hai sottratto il palcoscenico, e lei si è sentita insultata. Tutto qui.
– Povero Shin-chan! – esclamò Kyoko avvicinandosi al ragazzo e mettendogli un braccio intorno al collo con un sorrisetto. – Quella scema ti ha trattato proprio male, eh? E dire che volevi solo essere gentile…
Shinji assunse un colorito rosso acceso, e nella sua testa comparve nitidamente l’immagine di lui che sprofondava nel pavimento. Poi, il ragazzo si accorse che Mami si era avvicinata a lui, e il suo colore divenne indescrivibile.
– Non essere così dura con lei, Sakura, – disse la maga con un sorriso. – Sono sicura che Shikinami è solo un po’ timida. Sono sicura che si aprirà, una volta che ci saremo conosciute meglio.
– Tu sei sempre troppo buona, – rise Kyoko. Misato le rivolse uno sguardo severo ma paziente, e la ragazza le rispose con un linguaccia scherzosa e un occhiolino.
Senza Shikinami in giro, si respirava un’aria ben diversa: era tutto più calmo, e anche Shinji sembrava meno rigido rispetto a pochi minuti prima. La fisicità ingombrante di Kyoko gli dava ancora un po’ di disagio, ma cominciava a farci l’abitudine. Strano a dirsi, la sensazione della sua pelle sulla propria era… piacevole.
– Andiamo, adesso, – li incitò Misato. – Non voglio che Asuka mi scassini la macchina.
***
– … non voglio che Asuka mi scassini la macchina.
Una sonora risata risuonò al di là della porta. Asuka strinse i pugni fino a sbiancarsi le nocche, mordendosi le labbra e fissando il pavimento ai suoi piedi con una rabbia folle che le montava nel petto.
“Maledetti… Chi vi credete di essere?”
I passi degli altri si avvicinarono, e lei scappò via. Corse alla macchina di Misato, la mente tormentata da pensieri furiosi.
Chi diavolo erano quelle due? Perché erano lì, e perché nessuno diceva niente? E poi, quel moccioso era davvero il pilota dello zero-uno? Il fenomeno che aveva ottenuto il quaranta percento di sincronia con l’Evangelion alla sua prima uscita, e senza plug suit? Che stronzate! Era chiaro come il sole che quell’inetto non sarebbe mai riuscito a far partire l’Eva, figuriamoci pilotarlo.
Aprì la porta che dava sul parcheggio della struttura con una spallata, sbattendola dietro di sé con tanta forza da far tremare le pareti.
“Gli farò vedere io.”
Si avvicinò alla Renault di Misato, le mani serrate lungo i fianchi. Avrebbe voluto spaccare i finestrini a pugni, sventrare il serbatoio a mani nude e far esplodere quel rottame in mille pezzi.
“Gli dimostrerò chi è la migliore.”
***
Dal tetto dell’hangar si aveva una splendida visuale, non c’è che dire. Kyuubey era rimasto accoccolato lassù per tutto il tempo, fissando placidamente la scena con i suoi occhi rossi come rubini.
– Asuka Shikinami Langley… – sussurrò pensieroso. – Certo che sei un bel tipo. Credo proprio che ti terrò d’occhio.
Mami, Kyoko e la donna e il ragazzo che le accompagnavano arrivarono a loro volta nel parcheggio deserto, avvicinandosi ad Asuka chiacchierando tra loro. La ragazza li ignorò completamente, muovendosi verso la portiera del posto del passeggero.
– Allora, Shin-chan, – esclamò allegramente Kyoko prendendo il ragazzo a braccetto e avvicinando il proprio volto alla sua guancia. – Ti va di stare in mezzo fra me e Mami?
– Ehm… io…
Kyoko lo guardò con aria languida, per poi scoppiare a ridere fragorosamente. – Ma come siamo nervosi! Non mordiamo mica, sai?
Mami stava in silenzio, a fianco della donna, e guardava la scena con un sorriso condiscendente. Il pilota dello zero-due gettò una rapida occhiata sul gruppo cercando di non far trapelare il suo stato d’animo, ma Kyuubey sapeva cosa c’era nel suo cuore: rabbia.
Una rabbia incontenibile, da spaccare il mondo in due. Qualcosa che affondava con radici profonde dentro quella ragazza, in un passato troppo brutto per poter essere ricordato, aveva plasmato la sua mente avvolgendola con stretti lacci in un gomitolo di filo spinato. In fondo a quell’anima tormentata, però, schiacciata in un angolo e affogata dai filamenti di mille lampadine esauste, c’era un’emozione molto diversa: la paura.
– Sei una ragazza molto interessante, Asuka, – mormorò l’alieno, la coda che si muoveva lentamente dietro di lui. Poi si alzò sulle quattro zampe, cercando con lo sguardo molto più lontano di quanto si potesse pensare. – Per ora ho un altro impegno… ma penso che presto potresti avere anche tu l’opportunità di firmare un contratto con me.
***
Le portiere si chiusero sulle risate di Kyoko. Asuka fu l’ultima ad entrare, aspettando fino all’ultimo secondo per accertarsi che tutti sapessero che lei stava entrando. Poco prima di chiudere il suo sportello, però, la ragazza si sporse leggermente dal finestrino. La macchina partì subito, e lei decise che non aveva visto niente. “Ci mancavano solo le allucinazioni,” pensò appoggiando il gomito sulla portiera e fissando fuori dalla macchina con aria distratta. “Che giornata di merda.”
***
L’angolo dell’autore:
L’avventura continua, o per meglio dire comincia qui. L’arrivo di Asuka ha portato (quasi) tutti i pezzi sulla scacchiera, e adesso tutti gli equilibri che io e voi conosciamo bene stanno per cambiare. Restate sintonizzati, perché molto presto le cose si faranno incandescenti.
 
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Capitolo 3
*** III – Secondo movimento: La belle dame sans merci ***


III
Secondo movimento: La belle dame sans merci
 
– Base militare Betlehem a velivolo sconosciuto, attenzione: state sorvolando uno spazio aereo interdetto. Allontanatevi subito, o sarete abbattuti.
– Negativo, Betlehem. Disponiamo di un’autorizzazione speciale fornitaci dall’IPEA. Il nostro codice identificativo è Shepherd due-tre.
– Attendete.

– Shepherd due-tre, il vostro identificativo è stato convalidato. Tre aerei da caccia MIG vi scorteranno fino al vostro ingresso nello spazio aereo giapponese mantenendosi a distanza di sicurezza. Buona fortuna.
– Ricevuto, Betlehem. Passo e chiudo.
***
Un professore vecchio e con un’ampia stempiatura aveva detto ad Asuka di aspettare fuori dall’aula, ma la ragazza cominciava a stufarsi. Era da quasi dieci minuti che la facevano aspettare, e il suo videogioco aveva smesso di intrattenerla già da cinque.
Adesso, priva di ogni distrazione, aveva tutto il tempo di accorgersi degli sguardi curiosi delle ragazze che passavano nel corridoio. Sembravano sorprese di vederla, forse per via dei tratti occidentali che aveva ereditato del padre, o forse a causa dell’aria truce con cui rispondeva alle loro occhiate. Anche i ragazzi la fissavano passandole davanti, ma i loro sguardi lasciavano trapelare un altro tipo di curiosità.
“Mocciosi inutili,” pensò Asuka dopo il passaggio dell’ennesima coppia di studenti parlottanti. “Lasciatemi in pace.”
Dalla classe continuava a provenire la voce del professore. Non era chiaro se stesse ancora facendo l’appello, se stesse dando delle comunicazioni alla classe o se si fosse completamente dimenticato dell’esistenza di Asuka, cominciando la lezione senza nemmeno farla entrare.
Una lacrima si fece dolorosamente strada fino agli occhi della ragazza, ma Asuka riuscì a trattenerla e a ricacciarla in profondità. La sua espressione si fece più dura, feroce.
– Ehi, guarda là…
Due ragazzi di qualche anno più grandi stavano camminando a qualche metro da lei. Uno dei due, uno spilungone biondo ossigenato e con un ridicolo taglio di capelli, stava bisbigliando qualcosa nell’orecchio dell’altro, che invece era grasso e tarchiato e portava una specie di parrucchino rigonfio in testa. Parlava a voce bassa, ma non abbastanza per non farsi sentire da Asuka.
– Che ne pensi?
– Whoa… – fece l’altro, un verso da cavernicolo. – Che bocce!
– È proprio una bella sventola, eh?
– Non sembra di qui…
– Chissà, magari ha bisogno di qualcuno che le faccia vedere la città!
I due scoppiarono a ridere sghignazzando come iene. Asuka digrignò i denti. Dalla porta accanto a lei continuava a venire la monotona e stupida voce del professore, intento a farneticare chissà che cosa. Aveva tempo.
– Ehi, voi due!
I due teppisti si voltarono con stupore verso di lei, fissandola con espressione idiota. Lei ricambiò i loro sguardi, con un’aria sospesa fra il ribrezzo e la provocazione. Il tizio più alto si guardò intorno, come se non riuscisse a capacitarsi di essere stato chiamato in causa da quella ragazza.
– Dici a noi?
– Che domanda idiota… – ringhiò Asuka. – Stavate dicendo di essere interessati a mostrarmi la città, no? Perché non cominciamo da questa scuola?
Il ragazzo grasso guardò il suo compare con gli occhi sbarrati, e l’altro lo imitò. Poi tornarono all’unisono a guardare Asuka, e il lungo si schiarì la voce con aria di superiorità. – Ah… ma certo! Ehm… da dove ti piacerebbe iniziare?
– Avevo pensato ai bagni delle ragazze.
Nell’istante in cui Asuka finì di parlare, il ragazzo grasso prese a respirare affannosamente. Quello più alto deglutì con forza rischiando di strozzarsi, ma si riprese in fretta. – O… okay! Volentieri. I bagni sono da questa parte.
***
– … e per finire, ricordo a tutta la classe che la prossima settimana si terrà un compito di storia sul programma svolto finora.
Un sonoro lamento corale si alzò da quasi tutti i banchi della classe, ma il professore sembrò non rendersene conto. Si sistemò i grandi occhiali sul naso, dopodiché prese il registro portandoselo a pochi centimetri dal volto e cercando di leggervi qualcosa. – Bene, pare che ci sia una nuova studentessa. Si è appena trasferita dalla Germania.
A quelle parole, le orecchie di Shinji si drizzarono per la tensione. Il ragazzo era stato abbastanza apatico per buona parte delle comunicazioni infinite del professore, scambiando solo qualche chiacchiera di straforo con i suoi amici Kensuke e Touji, ma adesso quel trasferimento minacciava di portare nuvole temporalesche nella sua routine.
“Magari è solo una coincidenza,” si sforzò di pensare. “Shikinami non è certo l’unica ragazza tedesca al mondo…”
– Horaki, – chiese l’anziano rivolgendosi alla capoclasse, – per favore, vai a chiamarla. Le ho detto di aspettare qui fuori.
Hikari Horaki scattò in piedi con la precisione di un marine, esclamando un vigoroso “Sì!” e dirigendosi a passo svelto verso la porta. La aprì e si sporse sul corridoio, ma non vide nessuno.
– Professore, è sicuro di averla avvertita?
– Oh, cielo, spero di sì… – mormorò l’uomo raggiungendo la capoclasse e sporgendosi a sua volta. – Dove potrà essere?
– Eccomi!
Una voce squillante e solare, seguita da un lieve scalpiccio, segnalò l’avvicinarsi della nuova compagna. – Scusate, dovevo andare al bagno e mi sono persa.
– Non fa niente, – la tranquillizzò il professore. – È colpa mia, ti ho fatto aspettare per un bel po’.
L’uomo rientrò in classe e si posizionò appena a destra della grande lavagna di ardesia, indicando la porta con un braccio. – Prego.
Asuka entrò con un’andatura spensierata, uno sguardo determinato dipinto sul volto. Si fermò davanti alla lavagna, afferrò un gessetto e in pochi secondi scrisse il suo nome completo sulla lavagna, in perfetti caratteri occidentali.
– Il mio nome è Asuka Shikinami Langley, – esclamò con un largo sorriso. – Piacere di conoscervi.
Un tonfo proveniente dal fondo dell’aula richiamò l’attenzione di tutta la classe sull’occupante dell’ultimo banco della seconda fila a partire dalla finestra. Era una ragazza dai lunghi capelli rossi, e si era addormentata profondamente al punto di crollare con la testa sul piano ingombro di quaderni.
Anche Asuka fissò la ragazza, e la riconobbe quasi subito.
Guardandola in volto, si sarebbe vista solo la sua espressione indispettita e superiore, ma un osservatore più attento, com’era Shinji in quel momento, si sarebbe accorto della sottile piega che aveva storto il suo sopracciglio sinistro per una frazione di secondo.
– Tu!
Kyoko russò rumorosamente, riscuotendosi dal mondo dei sogni e scoprendo di avere gli occhi della classe puntati addosso. Il professore, naturalmente, aveva cominciato a snocciolare informazioni su Asuka e su ciò che avrebbe dovuto studiare per portarsi al passo con il resto della classe.
Si guardò intorno, e seguì lo sguardo attonito di Shinji fino a che Asuka non entrò nel suo campo visivo. Le sue pupille si dilatarono, e la maga si alzò dal proprio posto poggiando entrambe le mani sul banco.
– Che ci fai, qui? – esclamò, ma Asuka la rimbeccò subito puntandole un dito contro.
– Dovrei fartela io, questa domanda! Che ci fai nella mia scuola?
– La tua scuola? – le fece il verso Kyoko. – Vorrai dire la nostra.
Asuka digrignò i denti, al che la sua rivale fece un sorrisetto sornione. – Ci siamo trasferite qui non appena siamo arrivate.
***
Shinji passò le ore successive a cercare di capire come avesse fatto la capoclasse a convincere Asuka a sedersi. Dopodiché suonò la campanella dell’intervallo, e Shikinami si lanciò oltre la porta spintonando un ragazzo alto e con la carnagione scura, Touji Suzuhara.
– Ma che maleducata! – esclamò lui, sistemandosi con aria infastidita la tuta da ginnastica. Shinji lo stava a sentire con un mezzo sorriso sul volto, leggermente divertito da quella reazione così esasperata. – Si crede superiore a tutto e a tutti.
– Touji ha ragione, – intervenne Kensuke Aida, il migliore amico di Suzuhara. – Però, è innegabile che Shikinami sia una ragazza fenomenale.
Shinji sospirò a lungo. Era vero, Asuka Shikinami Langley era una ragazza straordinaria. In base a quanto gli aveva detto la signorina Misato, il pilota dello zero-due era un asso dell’aviazione tedesca, con eccezionali abilità tattiche e di combattimento. Laureatasi brillantemente a meno di quattordici anni, si era iscritta al liceo di Shinji solo per formalità.
– Ah, Shinji, non so se compiangerti o invidiarti! – disse Touji dando al ragazzo una sonora pacca sulla schiena. – Da oggi dovrai convivere con quella vipera, ma certo che quella ragazza è parecchio sexy!
– In realtà, – lo corresse Shinji, – non è venuta da noi.
Kensuke e Touji si scambiarono uno sguardo perplesso. Shinji sembrava perso nella contemplazione della porta. – Che vuoi dire? – gli chiesero, quasi all’unisono.
– Ieri sera, a casa della signorina Misato sono arrivati diversi camion carichi di vestiti e roba varia, – spiegò il ragazzo. – Abbiamo impiegato più di due ore per sistemare tutto nell’appartamento, ma Shikinami non è mai arrivata. Adesso, la mia camera è completamente piena di scatoloni da trasloco.
Touji grugnì sonoramente. – Scommetto che non vorrà abbassarsi a vivere con gente qualunque. Si certo avrà preteso di essere sistemata in un superattico di lusso.
Ci fu una pausa. La conversazione si era esaurita, e i tre ragazzi andarono ognuno per conto proprio. Shinji, però, rivolse un’altra occhiata al corridoio.
“Chissà dov’è andata…”
– Shin-chan!
Kyoko si gettò sulle spalle di Shinji, pungendogli il collo con la punta di uno dei suoi soliti stecchini al cioccolato. – Andiamo, che cos’è quel muso lungo?
– N… niente, Sakura… – balbettò Shinji. La sensazione del seno di Kyoko sulla sua schiena lo mandava in confusione. – Mi stavo solo chiedendo dove fosse andata Shikinami.
– Ah, lasciala perdere! – lo rimproverò la maga, lasciandolo andare ma afferrando subito la sua mano. – E poi ti ho già detto che puoi chiamarmi Kyoko!
Era chiaro che la ragazza lo stesse solo prendendo in giro, ma Shinji si sentì comunque in profondo imbarazzo. Kyoko se ne accorse, e mollò la presa con un sorriso. – Le altre hanno già raggiunto Mami nel corridoio. Tu vieni con me?
Shinji distolse lo sguardo timidamente, rivolgendolo verso una ragazza seduta a fianco della finestra, che fissava con aria assorta il cielo sereno. Kyoko seguì quello sguardo, e quando vide il caschetto di capelli azzurri della ragazza sfoderò un sorriso sornione. – Ho capito, – sghignazzò, facendo diventare paonazzo il povero Shinji. – Ti lascio un po’ di intimità…
La maga spezzò con decisione lo stecchino che teneva fra i denti, divorandolo con un unico movimento della sua portentosa mandibola. Dopodiché diede una vigorosa pacca sulle spalle a Shinji, guardandolo con la coda dell’occhio e uscendo a sua volta nel corridoio.
Il ragazzo aspettò finché non fu uscita dall’aula, poi afferrò dal proprio posto un oggetto avvolto in un fazzoletto di lino e si incamminò verso il banco della ragazza con i capelli azzurri. – Buongiorno, Ayanami.
Rei Ayanami, First Child e pilota dell’unità Evangelion zero-zero, si voltò placidamente verso di lui, fissandolo con i suoi grandi occhi rossi. La pelle diafana della ragazza era resa ancora più candida dai raggi del sole che la illuminavano. – Buongiorno, Ikari.
Shinji le sorrise impacciatamente, porgendole il pacchetto con entrambe le mani. – Tieni, – disse sforzandosi di sorridere in maniera naturale. – È per te.
Rei smise di essere inespressiva per qualche istante, e una lieve sorpresa si dipinse sul suo volto. Prese con gentilezza il regalo di Shinji e la appoggiò delicatamente sul suo banco. Sciolse il nodo che manteneva ripiegato il fazzoletto e guardò con perplessità il contenitore metallico contenuto al suo interno.
– È un cestino del pranzo, – disse Shinji. – Ho visto che non ne porti mai uno, e ho pensato…
Il ragazzo non terminò la frase, incerto sul significato della reazione di Rei. L’aveva offesa? O forse l’aveva messa in imbarazzo?
La ragazza aprì piano il suo bento, studiandone il contenuto sovrappensiero. Shinji aveva sistemato una generosa quantità di riso sulla sinistra, affiancandola con dei piccoli tocchetti di verdure grigliate e un uovo sodo. – L’hai fatto tu?
Shinji annuì. – La signorina Misato non cucina, quindi per il pranzo devo arrangiarmi da solo. Non sapevo cosa ti piacesse, così ho cucinato qualcosa di semplice. Se preferisci, domani potrei aggiungere anche della carne.
– No, – disse Rei, senza smettere di fissare il pranzo preparatole dal ragazzo. – Va bene così. Io non mangio carne.
Shinji tirò un sospiro di sollievo, ma subito dopo si lasciò prendere nuovamente dall’imbarazzo. – Beh… allora… io me ne vado.
Fece per voltarsi, mordendosi le labbra per non essere riuscito a trovare delle parole migliori.
– Ikari.
La voce di Ayanami lo richiamò. La ragazza lo stava guardando con un lieve sorriso. – Grazie.
Il colore di Shinji virò rapidamente verso il rosso, e il ragazzo sorrise a sua volta, colmo di stupore e di inaspettata felicità.
***
L’acqua aveva inondato il pavimento, ma Asuka entrò ugualmente nel bagno delle ragazze a passo deciso. Le sue scarpe si sarebbero bagnate, ma non le importava. Si diresse verso il grande specchio che copriva la parete con i lavandini, aprì con veemenza un rubinetto e si bagnò le mani con l’acqua gelida, per poi gettarsela sul volto strofinandosi le guance.
“Mi hanno messo nella sua classe!”
La ragazza digrignò i denti premendosi le mani sugli occhi, ripensando ancora una volta allo sguardo odioso di Sakura. Ma chi si credeva di essere, quella lì?
– Aiutaci…
Un mugolio sommesso fuoriuscì da una delle porticine laterali. Asuka allontanò le mani dal volto, guardando in tralice il riflesso della porta nello specchio. – State zitti, voi due, – disse lapidaria. – Non vi è bastata, la lezione?
Ci fu un leggero scalpiccio, come se qualcuno si stesse muovendo nell’acqua riversatasi dal W.C., poi una mano maschile si sporse al di sotto della porta. Le nocche erano diventate livide dopo essere state schiacciate violentemente fra la tavoletta del water e il suo orlo di ceramica. – Ti… prego…
Asuka continuò a fissare lo specchio, affondando lo sguardo nei suoi stessi occhi. C’era qualcosa di strano che si agitava in lei, una rabbia che non aveva mai sentito, data dalla somma degli eventi delle ultime ore, dal pesantissimo jet lag e da una tremenda sensazione di oppressione che le aveva stretto il petto in una morsa.
“State zitti,” pensò serrando le mani sul bordo del lavandino. L’acqua continuava a defluire dal rubinetto, accumulandosi e producendo minuscoli maelstrom nella bacinella. Stava cominciando ad essere molta, ma Asuka non tolse il tappo e lasciò che il suo livello crescesse.
La sensazione di schiacciamento aumentò di intensità, invadendole il cranio. Alzando lo sguardo, la ragazza ebbe l’impressione di vedere il fantasma di se stessa, una bambola inespressiva e con grandi occhi azzurri e vuoti come il cielo di quella giornata orribile.
– Ti prego… aiutaci…
Asuka staccò le mani dal lavello, girandosi verso la porta del bagno. Si avvicinò senza dire una parola alla mano ancora protesa, producendo un rumore lieve e cadenzato. – Grazie… – ansimò il ragazzo. – Grazie, grazie…
Un urlo piagnucoloso prese il posto di quelle parole. La Second schiacciò con violenza le dita del ragazzo sotto la sua scarpa, ruotando il piede facendo perno sul tallone. Il suo volto era quasi completamente privo di espressione, lei stessa non si capacitava di quanto stava facendo. Sapeva solo che le stava piacendo.
– Hai capito, adesso? – ringhiò. – Tu e il tuo amico siete escrementi, quello è il vostro posto!
La porta d’ingresso si aprì. Un chiacchiericcio allegro filtrò nel bagno, costituito da risate oziose e discorsi inconcludenti. – Io vado un attimo in bagno, – esclamò una voce femminile, rivolta a qualcuno all’esterno. – Torno subito…
La ragazza si interruppe non appena vide Asuka. La Second si girò verso di lei, squadrandola con uno sguardo gelido. – Che c’è? – domandò. – Hai qualche problema?
– N… no… – balbettò la nuova arrivata con timore. Poi, però, il suo sguardo si posò sulla mano che sporgeva da sotto la porta. – Che cosa sta succedendo? – esclamò.
– Niente che ti riguardi, – sibilò Asuka.
La ragazza indietreggiò a piccoli passi, quasi incespicando. Era insopportabile, troppo zuccherosa, con dei ridicoli capelli rosa acconciati in due corti codini da sottili fiocchi rossi. I suoi occhi erano desolatamente stupidi, e anche solo guardarla tacere accresceva la rabbia di Asuka. – E adesso fila via.
La nuova arrivata non se ne andò. Fece un timido passo in avanti, diretta verso la porta bloccata da Asuka poche ore prima. Sembrava che stesse lottando disperatamente contro la paura. – Cosa c’è, là dentro?
– A… aiuto!
Il pianto del teppista fu messo a tacere con un ulteriore pestone, e la ragazzina si coprì la bocca con le mani per lo spavento. Urlò: – Che cosa stai facendo?
La Second cominciava ad infuriarsi anche contro di lei. – Niente! E adesso, sparisci di qui!
Una seconda mano, più in carne della prima, sfiorò la caviglia di Asuka, facendole fare un balzo verso i lavandini e permettendo al primo ragazzo di ritrarre il braccio.
Asuka strinse i denti fino a farsi male. – Maledetti! Come osate toccarmi?
Presa da un furore incontrollabile, la ragazza afferrò la maniglia della porta e la strattonò con violenza, fino a farla staccare dal legno. Solo allora ricordò di aver chiuso a chiave, e cominciò a frugarsi confusamente in tasca. Sembrava fuori dal suo stesso controllo.
La ragazza con i capelli rosa le si rivolse in tono supplichevole: – Ti prego, fermati!
– Sta zitta! – mugghiò Asuka estraendo dalla tasca la chiave che aveva sottratto poco prima dal banco del bidello e infilandola a forza nella serratura. – A te penserò dopo!
La chiave girò con uno scatto, e Asuka tirò a sé la porta.
Si aspettava di vedere i due ragazzi riversi al suolo, ancora sofferenti per via delle botte che aveva dato loro. Si aspettava di vedere la tazza del water traboccante di acqua, come quando vi aveva affondato le teste di quei due bastardi. Tuttavia, non vide niente di tutto ciò.
– Ma cosa…
La voce di Asuka si trasformò in un’eco lontana, e il pilota dell’Evangelion zero-due sparì davanti agli occhi atterriti della ragazzina con i capelli rosa. – No!
– Madoka! Che succede?
Una ragazza con i capelli azzurri, appena più scuri rispetto a quelli di Rei Ayanami, entrò di corsa nel bagno nell’udire l’urlo dell’amica. Quando si guardò intorno, però, non vide nulla di strano, a parte l’acqua che defluiva copiosamente da un rubinetto lasciato aperto da qualcuno. Un lamento richiamò la sua attenzione verso una porta aperta, ma Madoka la fermò trattenendola per una manica. – Sayaka, aspetta! C’è qualcosa di strano, là davanti!
Sayaka Miki si voltò verso l’amica con aria interrogativa. Madoka era molto agitata.
– Una ragazza… ha aperto la porta ed è sparita!
Sayaka tornò a guardare con attenzione la porta da cui proveniva quel pianto singhiozzante. Era aperta. – È meglio chiamare Mami e Kyoko, – disse con aria pensosa. – Temo che si tratti di una Strega.
***
L’angolo dell’autore:
Salve a tutti, e ben ritrovati nella fucina degli orrori! Se fino a questo momento avevamo visto solo il “lato tenero” dei Children e delle Puellae Magi, d’ora in poi le cose cambieranno radicalmente.
Immagino che vi siate già accorti che alcuni particolari, per il momento non troppo rilevanti, sono stati alterati. In futuro, però, ci saranno stravolgimenti di tutt’altro calibro.
Continuate a seguirmi, dunque, e recensite! La vostra opinione è importante, e ogni consiglio sarà accolto con entusiasmo.
Alla prossima!
 
Bookmaker

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Capitolo 4
*** IV – Prima interferenza: Blackening ***


IV
Prima interferenza: Blackening
 
Asuka riaprì gli occhi. Era stranita: non ricordava nulla di quanto fosse successo dopo lo scontro con i due teppisti e l’arrivo della ragazza con i capelli rosa. Sapeva solo di aver aperto la porta del bagno.
Si accorse di essere distesa a terra, e subito fu presa da un moto di disgusto: era stata lei stessa ad allagare il pavimento, e di certo il bagno di una scuola pubblica non era il posto migliore per starsene sdraiati. Poi, però, si rese conto di avere i vestiti perfettamente asciutti. Inoltre, guardandosi meglio intorno, vide che il bagno aveva qualcosa di strano.
In realtà, era solo una sensazione. Le pareti non erano particolarmente diverse da prima, e anche lo specchio era come l’aveva lasciato. Tuttavia c’era qualcosa, nel modo di muoversi delle ombre dei lavandini e delle porte, che le ricordava un brutto disegno fatto con i pastelli a cera.
Si alzò in piedi, dirigendosi verso lo specchio, e si guardò fissamente per qualche secondo.
Il suo volto era poco più che uno scarabocchio. Enormi occhi fatti di linee ricalcate più volte perforavano il suo cranio, fissando con compiacimento il suo cervello scoperchiato.
Asuka si allontanò da quell’immagine, chiudendo gli occhi per riprendersi dal mal di testa che l’aveva avvinta. Andò alla porta che dava sul corridoio. Solo allora si accorse che il bagno era stranamente buio.
Aprì la porta con un cigolio, e sbarrò gli occhi davanti allo spettacolo grottesco di quello che avrebbe dovuto essere il corridoio della sua nuova scuola.
***
– Maggiore Katsuragi, l’edificio è stato completamente sgomberato.
– Ottimo. I piloti?
– La stanno aspettando nel punto di raccolta. I Soggetti Devianti sono con loro.
Misato si congedò dall’operatore Nerv ringraziandolo, quindi si diresse verso il punto di raccolta. Quando vi arrivò, i suoi assistiti la stavano aspettando.
– Signorina Misato, – chiese Shinji, – cos’è successo?
– Asuka è scomparsa, – spiegò lei. – Madoka l’ha vista sparire nel bagno. È così, Madoka?
La ragazza con i capelli rosa annuì con aria timorosa. – Sì… Ha aperto una porta ed è sparita.
Mami intervenne facendo un passo in avanti. – Da ciò che mi ha detto Kaname, penso che fosse sotto l’influenza di una Strega. Se è così, dobbiamo intervenire subito, prima che si perda nella Barriera e…
– Mi dispiace, Mami, ma dovrete aspettare per un altro po’.
Mami e le altre si voltarono verso una donna giovane, ma con un piglio deciso che la faceva sembrare più grande di quanto non fosse. I suoi capelli erano biondi, ma palesemente tinti (le sopracciglia avevano un’evidente tinta castana). Indossava un maglione blu a collo alto, coperto da un lungo camice da laboratorio. Misato si girò verso di lei e la indicò con aria grave alle ragazze.
– Lei è la dottoressa Ritsuko Akagi, responsabile del progetto E e soprintendente della nuova sezione Deviant. Shinji e Rei la conoscono già.
Mami si fece avanti per prima, tendendole la mano e abbozzando le sue presentazioni, ma la dottoressa Akagi la fermò. – Non occorre che vi presentiate, Mami. Ho letto i vostri profili per diverse decine di volte, in questi ultimi giorni.
La ragazza ritrasse la mano con una punta di imbarazzo, e Kyoko scattò in avanti. – Perché ci ha detto di aspettare? Insomma, Shikinami mi sta abbastanza odiosa, ma bisognerà pur andare a salvarla.
– Non ho detto che non la salveremo, – replicò Ritsuko. Solo allora Kyoko si accorse del piccolo portatile che teneva con la mano sinistra. – Tuttavia, mi servono dei dati più precisi per avviare l’operazione.
– E cioè?
La donna aprì il computer e cominciò a battere sulla tastiera ad una velocità impressionante. – Sulla base dei dati raccolti da voi maghe e da Kyuubey, i vostri diagrammi d’onda sono differenti sia da quelli umani, sia da quelli degli Angeli. Nello specifico, voi maghe emettete onde elettromagnetiche di tutte le frequenze, e quindi producete un diagramma d’onda bianco. Kyuubey sembra emettere onde gravitazionali, piuttosto che elettromagnetiche, e questo causa un leggero redshift sul suo grafico di emissione…
Le ragazze la fissavano con aria assorta, senza riuscire esattamente a capire cosa stesse dicendo. Shinji stava cercando di fare altrettanto, ma era continuamente distratto dall’espressione calma e distesa di Ayanami, che invece pareva perfettamente in grado di comprendere quella spiegazione.
– Per quanto riguarda gli esseri che voi definite Streghe, non avendo ancora effettuato una misurazione precisa non siamo ancora a conoscenza del loro diagramma d’onda. È per questo motivo, – concluse Ritsuko estraendo un piccolo oggetto rettangolare dalla tasca del camice, – che Shinji e Rei vi seguiranno portando questo.
Shinji si sporse verso di lei, studiando attentamente quell’oggetto. Non parevano esserci display o cose simili, solo una piccola spia luminosa che emetteva luce rossa a lunghi intervalli. Inoltre, un lungo cavo collegava l’apparecchio con il computer della dottoressa Akagi. – Di che si tratta? – chiese il ragazzo.
– È un rilevatore di onde elettromagnetiche, – spiegò Ritsuko staccando lo spinotto dall’oggetto. – L’ho appena modificato per rilevare i picchi di radianza spettrale e conservarne memoria. Inoltre, vi ho incorporato un modulo sonar per mappare l’interno della Barriera.
– Non è sicuro per loro seguirci, – protestò Kyoko. – Solo le maghe dovrebbero entrare in una Barriera!
– Non ti preoccupare, Kyoko, – la rassicurò Misato. – Abbiamo preparato un equipaggiamento speciale, per queste evenienze.
***
– E questo sarebbe l’equipaggiamento speciale?!
Shinji era a dir poco imbarazzato dall’equipaggiamento di tipo W. Consisteva fondamentalmente in una tuta aderente (molto aderente) azzurra e bianca con un rigonfiamento sulla schiena, molto simile alla sua normale plug suit, ma con una specie di cappuccio e uno schermo trasparente che gli copriva il volto. La tuta era molto comoda, in effetti, ma poco adatto ad una missione da compiere in squadra con tre ragazze. Ayanami, ovviamente, sembrava non pensarla allo stesso modo, ed era pienamente a suo agio.
– È solo un prototipo, – disse la dottoressa Akagi. – Non abbiamo avuto molto tempo per sistemare i dettagli estetici e funzionali. Diciamo che è una versione alpha.
– D’accordo, ma… devo proprio indossarla?
– Almeno per oggi, sì, – annuì la donna. – Non sappiamo che condizioni ci siano in una Barriera. Nel dubbio abbiamo usato una fibra ibrida di carbonio costituita da nanotubuli dello spessore di due Angstrom. Vi proteggerà dal caldo e dal freddo, e il serbatoio montato sulle vostre spalle contiene ossigeno sufficiente per due giorni. Inoltre è dotata di una ricetrasmittente e di un modulo di ricerca. Semmai doveste perdervi, ci basterebbe seguire il segnale emesso dalla tuta.
– Limitatevi a seguire Mami e Kyoko, – disse Misato. – Per questa volta, non c’è niente che possiate fare. Per quanto riguarda Madoka e Sayaka, loro vi aspetteranno insieme a noi. Bene, io ho finito. Domande?
Rei alzò una mano. – Se Tomoe e Sakura dovessero fallire, quali sono gli ordini per me e Ikari?
Kyoko e Mami guardarono Rei con aria indispettita, e Misato e Ritsuko si scambiarono una rapida occhiata. – In tal caso, – disse infine Ritsuko, – dovrete ritirarvi immediatamente. L’esistenza delle Streghe è un’informazione classificata come oltre il top secret, e nemmeno il governo giapponese ne è a conoscenza. Per giustificare l’evacuazione della scuola abbiamo segnalato la presenza di un Angelo in stato quiescente, e in caso di fallimento l’area sarà bombardata.
Mami dissentì: – Ma questo non ucciderà la Strega! Le persone continueranno a risentire della sua presenza.
– È per questo motivo che useremo le mine N2, – precisò Misato. – Il cratere sarà talmente profondo da non permettere il ripristino dell’area urbana prima di due mesi. Per quel momento, spero che avremo un nuovo piano d’attacco.
Quelle ultime parole fecero calare un silenzio mortale sul gruppo. Le maghe si guardarono a vicenda, rendendosi conto per la prima volta di cosa significasse abitare in quel mondo.
***
Il grande aereo da trasporto C-17 atterrò pesantemente su una pista troppo piccola per la sua enorme stazza. In lontananza, il profilo del monte Futago era illuminato dal sole pieno di mezzogiorno. – Shepherd due-tre a torre di controllo, atterraggio compiuto. Nessun danno rilevato alla strumentazione o allo scafo. Siamo pronti allo scarico.
– Torre di controllo a Shepherd due-tre. Attendete, Shepherd, un camion corazzato è in arrivo sulla pista per prelevare il carico.
– Ricevuto, torre. Il personale sta scendendo sulla pista per coadiuvare le operazioni di scarico.
L’operatore della torre di controllo spense il comunicatore. Dietro di lui un uomo alto, con il codino e la barba incolta, stava fumando una sigaretta appoggiato alla parete. Aveva lo sguardo perso sulla pista di atterraggio, e stava seguendo il profilo dell’aereo con gli occhi.
– Signore, sono arrivati. Istruzioni?
L’uomo tirò una profonda boccata con la sigaretta, per poi staccarsi dalla parete e avvicinarsi al controllore. Spense la sigaretta in un posacenere già strapieno, per poi soffiare via il fumo in ampi cerchi. – Scaricate il contenuto come previsto. Dopodiché, chiedete istruzioni al comando Nerv di Neo-Tokyo 3. Io qui ho finito.
L’uomo afferrò la sua giacca dalla poltrona a fianco del controllore con un gesto distratto, quindi uscì dalla stanza. Scese le scale in fretta e furia, raggiungendo la macchina che lo aspettava parcheggiata in vicinanza di un hangar. Salì al posto del passeggero, e subito una signora di mezza età mise in moto partendo a tavoletta.
– Hai ancora il cuore tenero, dopotutto, – commentò la donna.
– C’è un limite alla mia capacità di obbedire agli ordini, – sbuffò l’altro. – Se vogliono uccidere tutto il personale dell’aereo, se ne prendano la responsabilità.
– Sai che mi stupisci, signor Kaji? Dopo tutti questi anni alla Nerv, sei rimasto una brava persona.
***
– Ingresso nella Barriera in tre… due… uno… ingresso avvenuto.
– Verificare tenuta dei sistemi di rilevamento.
– Sistemi di rilevamento online. Riceviamo il segnale, ma pare esserci un’interferenza.
– Aspetta, Maya… ma guarda un po’.
Ritsuko si avvicinò al terminale della postazione mobile Nerv, passando con il busto al di sopra della sedia su cui era seduta l’operatrice Maya Ibuki. La ragazza si fece da parte con un certo imbarazzo, in modo da lasciare alla sua senpai lo spazio necessario per esaminare i dati. – C’è qualcosa di strano, senpai?
– Qualcosa di interessante, piuttosto, – commentò Ritsuko contemplando assorta i dati comparsi sul monitor. – In base alle rilevazioni, Shinji e Rei sono ancora nella scuola e si stanno muovendo al suo interno seguendo la sua pianta. Tuttavia, a giudicare dalle rilevazioni, i ragazzi non si stanno muovendo solo nello spazio, ma su un livello dimensionale completamente diverso, avulso dai concetti convenzionali di spazio e tempo. In pratica, questa “Barriera” pare essere uno spazio adimensionale definibile tramite equazioni immaginarie, completamente sviluppato in un piano di esistenza parallelo al nostro, ma da esso separato.
Gli operatori, Misato, Madoka e Sayaka la fissarono in silenzio. Le sue parole erano state a dir poco criptiche, ma bastarono a trasmettere un senso di inquietudine a tutti i presenti. – In altre parole, – disse Misato, cercando di rompere il silenzio, – non possiamo intervenire.
– Non è detto. In linea di massima, la Barriera non è dissimile da un A.T. Field. Con un energia sufficiente, è possibile infrangere la barriera dimensionale e oltrepassarla.
Sayaka protestò: – Ma allora, perché non siete intervenuti subito con questo metodo? Così avreste almeno evitato di mettere a repentaglio le vite di Kyoko e Mami!
– Non abbiamo idea di cosa possa verificarsi, in seguito alla rottura della Barriera, – replicò la dottoressa. – Inoltre ci servono dati da poter usare in eventualità future.
– Però…
Misato interruppe Sayaka appoggiandole una mano sulle spalle con fare materno. – So che hai paura per le tue amiche, Sayaka. Tuttavia, non c’è da preoccuparsi. Dopotutto, – ammiccò, – ci sono io a comando dell’operazione, no?
***
Rei e Shinji seguirono le maghe lungo il corridoio che portava al bagno. Rei avanzava con passo risoluto, ma Shinji era in soggezione a causa delle stranezze che affollavano lo spazio circostante. Tanto per cominciare, il corridoio era pieno di manichini. Erano ovunque, di ogni sesso, con grandi occhi dipinti in posizione asimmetrica sui volti appena abbozzati. Alcuni di essi mancavano degli arti o della testa, altri erano parzialmente affogati nelle pareti, nel pavimento o nel soffitto. Tutti quanti, però, sembravano muoversi debolmente, e i loro “occhi” seguivano con lentissimi movimenti i passi di Shinji e degli altri membri del gruppo.
– Che diavolo sta succedendo? – chiese Shinji. La sua voce era distorta dal filtro per l’aria, e il risultato era un suono un po’ gracchiante. – Mi sembra di essere in un vecchio film.
– Le Streghe riempiono le Barriere con i prodotti della loro magia, tutto qui, – disse Mami guardandosi intorno con tranquillità. – Non avete nulla da temere.
– Non distraiamoci, – esclamò Kyoko. – Non mi va di restare bloccata qui a cercare Shikinami per il resto della giornata.
La ragazza si fermò davanti alla loro classe, fissando la porta con sospetto: un grande disegno a cera l’aveva imbrattata completamente, macchiando anche parte del muro e del pavimento intorno. Benché fosse molto confuso, dava l’impressione di rappresentare una bambola, con grandi bottoni al posto degli occhi. Accanto alla porta, due manichini senza braccia facevano da guardie giurate, i corpi ingombri di occhi con lunghe ciglia.
– Che strano… – mormorò Kyoko. – Non sembra che ci sia una Strega.
Mami si avvicinò a sua volta, fissando attentamente il ritratto. – Hai ragione. La Soul Gem non dà segni di reazione.
Shinji fece un’espressione perplessa. – Soul… Gem?
La ragazza indicò la piccola pietra gialla incastonata nel fermaglio del suo cappello piumato. – È la sede del nostro potere magico. In presenza di una Strega, comincia a brillare intensamente.
Shinji osservò bene il gioiello, che in effetti era piuttosto opaco. – Ma allora, perché c’è un disegno sulla porta?
– Non lo so, – disse Mami togliendosi il cappello. Lo prese con entrambe le mani, facendolo roteare finché non ne fuoriuscì un oggetto di legno. La maga lanciò in aria il cappello, e davanti a lei comparve un lungo fucile a pietra focaia. Mami lo prese con un gesto aggraziato, e il cappello piumato tornò leggiadramente sul suo capo. – Ma ora lo scopriremo.
***
Intorno alla scuola c’era un gran fermento di veicoli militari. Sembrava che stesse succedendo qualcosa di grosso.
Una ragazza di circa quattordici, con gli occhiali e una gonna a scacchi sgattaiolò al di dietro di una jeep nera, osservando con circospezione la strada intorno a sé. C’erano due militari in divisa, davanti a lei, ma sembravano più intenti a parlare tra loro che a pattugliare la zona.
“Gli adulti sono proprio ingenui, a volte,” pensò con un sorriso, raccogliendo da terra un piccolo sasso e gettandolo a qualche metro dalla macchina. La coppia di soldati smise di parlare, guardando in direzione del rumore e incamminandosi verso la jeep con i mitra in mano. “E di certo Gendo poteva curare di più la selezione del personale.”
La ragazza scivolò al di là della macchina, aggirando i soldati e insinuandosi fra i nastri gialli e neri che delimitavano la scuola. Girò subito oltre l’entrata, sparendo dietro il muretto e accovacciandosi a terra dietro un piccolo cespuglio. Non c’era nessuno. “Perfetto.”
La ragazza si sfilò lo zaino dalle braccia, portandolo davanti alle sue gambe e cominciando a frugarvi dentro. Ne estrasse un piccolo dispositivo di forma cilindrica, una specie di lattina con un pulsante rosso sulla cima, e lo ripose accanto a sé. Dopodiché, tirò fuori un telefonino vecchio modello, uno di quelli con l’antenna estraibile. Digitò un numero sul piccolo tastierino, allungò l’antenna e premette il tasto di chiamata. Quindi si appoggiò il cellulare all’orecchio e lo tenne fermo fra la testa e la spalla destra, riprendendo subito ad armeggiare con lo zaino.
Dopo qualche squillo, qualcuno rispose. – Pronto?
– Sono Mari, – bisbigliò la ragazza. Dallo zaino emerse una torcia elettrica senza batterie. – Sono dentro.
– Ma guarda un po’… – commentò l’interlocutore, un uomo sulla trentina con la voce leggermente arrochita dal fumo. – Non pensavo di risentirti.
– Cosa c’è, sei deluso? – ridacchiò la ragazza con aria sorniona.
L’uomo si difese con leggerezza: – Ci mancherebbe altro. È solo che non mi aspettavo di avere ancora tue notizie. Dove sei?
Le batterie della torcia uscirono dallo zaino, e la ragazza le sistemò nello scompartimento facendo attenzione a non far scattare l’interruttore. – Te l’ho detto. Sono dentro il perimetro di una zona operativa.
– Una zona operativa? – chiese l’uomo con aria meravigliata. – Della Nerv?
– Oh, sì.
– Non ti smentisci mai, eh? Puoi dirmi almeno cosa hai intenzione di fare?
– Ho ricevuto una soffiata interessante, qualche giorno fa, – disse la ragazza richiudendo lo zaino. – Sto andando a verificare che sia vera.
Ci fu qualche momento di silenzio. – Pronto? Ci sei ancora?
– Sì, scusa. Sei sicura che sia una buona idea?
La ragazza riprese il telefono in mano e si rimise lo zaino in spalla, quindi cominciò a raccogliere il suo equipaggiamento da terra. – C’è qualcosa che tu sai e che io dovrei sapere?
– Lascia stare, Mari. Fidati, non è una questione in cui vorresti essere invischiata. Ci sono in gioco forze troppo grandi.
– Come al solito, insomma, – rise la ragazza. – Non preoccuparti, draghetto. Ho tutto sotto controllo. Dopotutto mi chiamo Mari Illustrious Makinami, no? Ho ben tre nomi a cui fare onore.
L’uomo all’altro capo della comunicazione fece una lieve risata. – Fai attenzione.
– Come sempre, no? Passo e chiudo.
Mari chiuse il telefono e fece rientrare l’antenna nell’apparecchio, dopodiché premette il pulsante sul piccolo dispositivo preso poco prima. Appese la torcia e la lattina alla cintura, si tirò su le calze e mise il cellulare in una tasca della camicia. “E ora, mettiamoci all’opera.”
***
Kyoko era sicura di averla solo sfiorata, la porta. Tuttavia, essa si aprì sbattendo, rivelando il contenuto della stanza con un tonfo sordo.
Anche qui, l’ambiente era completamente diverso rispetto a qualche ora prima: contro ogni logica, il soffitto era alto diverse decine di metri, e formava una specie di volta a crociera dipinta con una cupa combinazione di rosso, nero e blu. Il pavimento era ingombro di un materiale spugnoso, simile all’imbottitura di un pupazzo di pezza, e al di sotto di quello strato si intravedeva un disegno bianco su piastrelle nere.
Tutti i banchi e le sedie della classe erano stati ammonticchiati a formare un’altissima torre, sulla cui cima era rannicchiata una ragazza con lunghi capelli rossi.
– Shikinami! – urlò Kyoko. – Come diavolo ci sei arrivata, lassù?
La Second mormorò qualcosa, ma era troppo lontana per essere udita. Shinji si fece avanti, avvicinandosi alla torre: – Aspetta, Shikinami! Veniamo a prenderti!
– No.
La mano di Rei strinse il braccio del ragazzo, impedendogli di proseguire. – Ayanami… che stai facendo?
– La nostra missione è quella di accompagnare Tomoe e Sakura, – disse la First. Nei suoi occhi rossi c’era un velo di preoccupazione, ma forse era solo un’impressione di Shinji. – Tu non devi fare niente.
– Ma…
– Ayanami ha ragione, Ikari, – intervenne Mami guardando in cima alla torre. Non sembrava affatto preoccupata dalla situazione. – Lascia fare a noi.
Dalle maniche di Mami scaturirono due lunghi nastri gialli, che scattarono quasi in verticale fissandosi al soffitto. La maga ne porse uno a Kyoko, che lo prese e se lo arrotolò al polso sinistro, impugnando con la mano destra la sua lancia.
– Andiamo, Sakura.
Mami tirò il suo nastro, subito imitata da Kyoko, ed entrambe scattarono verso l’alto sotto lo sguardo sbalordito di Shinji. Le maghe sfruttarono la spinta dei lacci per avvicinarsi gradualmente all’apice della torre, e quando furono arrivate in prossimità di Asuka si fermarono e saltarono sulle sedie.
La torre traballò appena, per poi tornare stabile dopo qualche secondo. Asuka non sembrò accorgersi di nulla. – Io vado avanti, tu coprimi, – disse Kyoko rivolgendosi a Mami. – Ho un brutto presentimento.
Mami annuì con perplessità. Non capiva perché l’amica fosse così preoccupata, né da cosa derivasse il suo turbamento. Kyoko prese ad arrampicarsi cautamente sugli ultimi pezzi della torre. Le sedie scricchiolarono sotto il suo peso, ma non si smossero più di tanto. Sembrava che ci fosse una forza magica a tenerle sospese in quella struttura pencolante.
– Ehi, bambina-soldato! – chiamò Kyoko. – Che ne dici di scendere da lì, così ce ne andiamo tutti quanti a casa?
Asuka sussurrò nuovamente qualcosa di incomprensibile. Stava rannicchiata in posizione fetale, incastrata malamente fra tre sedie e un grande banco. I suoi piedi sporgevano nel vuoto sottostante.
– Che ragazzina viziata… – commentò la maga con una smorfia infastidita. – Mami, non puoi tirarla giù con i tuoi nastrini?
Mami scosse la testa. – Rischierei di farle male. Posso aiutarti, ma dovrai prenderla tu.
La ragazza sollevò un braccio, e diversi nastri si diressero verso la cima della torre per poi fermarsi a pochi metri da Asuka. – Se riesci a portarla fino a questi nastri, potrò prenderla e accompagnarla fino a terra.
– Mica facile… – mormorò Kyoko. La maga riprese ad arrampicarsi, raggiungendo infine il piano traballante su cui si trovava Asuka. La Second era sdraiata, immobile. Sembrava che dormisse. Kyoko la squadrò con sufficienza rimanendo in piedi sopra di lei. – Alzati.
Asuka produsse di nuovo quel mormorio, e di nuovo Kyoko non lo comprese. La maga digrignò i denti con aria seccata, ormai stanca di quel gioco che la Second stava facendo con lei. – Adesso smettila!
Si chinò su Asuka, afferrandola senza troppe cerimonie per una spalla e strattonandola in modo da farla girare su un fianco. – Piantala di fare la stupida!
Quando vide il volto della ragazza, Kyoko tornò di scatto in piedi con un urlo. – Ma cosa…
Mami si accorse del suo spavento. – Sakura! Tutto bene?
– No, – rispose Kyoko. – No, non va tutto bene.
Il volto di Asuka era stato sostituito da una faccia di pezza con la bocca cucita in un largo sorriso con grossi punti metallici. I suoi occhi erano stati rimpiazzati da bottoni circolari, e tutto il suo corpo sembrava appartenere ad una bambola piuttosto che a lei.
Kyoko esaminò il corpo per qualche secondo. Il battito del suo cuore rallentò progressivamente fino a tornare normale, e a quel punto la maga schiacciò il petto della Second con un piede. Il risultato fu un rumore strozzato e a malapena udibile. “Che figlia di…”
Con un calcio, la maga gettò il corpo di Asuka giù dalla torre di banchi e sedie. Shinji e Rei seguirono con lo sguardo il moto di caduta, fino a che la Second non si sfracellò al suolo con un ultimo rantolo.
– Sakura! – urlò Shinji in preda al panico. – Cos’hai fatto?
– Non ti scaldare, Shin-chan, – esclamò Kyoko. Si tuffò in picchiata, afferrando uno dei nastri di Mami e scendendo fino a trovarsi di fronte a Shinji. Si avvicinò al corpo, afferrandolo per i capelli e sollevandolo in aria senza sforzo. Pesava sì e no un paio di chili. – È solo un fantoccio. Un’esca.
Shinji fece una faccia sorpresa. – Un… un’esca?
– Esatto, – disse Mami atterrando a poca distanza da Kyoko. – La Strega che ha generato la Barriera voleva attirarci in questa stanza e farci rimanere al suo interno per un po’. Probabilmente, anche il disegno di prima era stato fatto da lei.
– Ma avevi detto…
– Ho detto che la Soul Gem non indicava la presenza di una Strega, e infatti la Strega non c’è. Per quanto riguarda il disegno, non escludo che possa averlo fatto lei.
– Andiamocene, – disse Ayanami. – Non è sicuro rimanere qui.
– Con calma, Rei, – fece Kyoko, sgranchendosi rumorosamente le braccia. – Abbiamo appurato che qui non c’è niente…
Rei la interruppe con la sua solita voce. – Se quella era un’esca rivolta a noi, vuol dire che finché rimarremo qui saremo vulnerabili. Suggerisco di continuare a spostarci finché non individuiamo Shikinami.
– Ayanami ha ragione, – disse Mami andando verso la porta. I fucili a pietra focaia scomparvero all’unisono, dopo averla seguita durante quei lunghissimi minuti. – Continuiamo a cercare Shikinami, alla Strega penseremo…
La porta si richiuse sbattendo davanti agli occhi della ragazza, e un grosso catenaccio di ferro scattò a richiuderla. La maga fece comparire rapidamente un fucile e mirò alla porta, ma altre catene, spranghe e chiodi andarono a rinforzare lo sbarramento. Un colpo partì con un boato, producendo una profonda scalfittura nell’ultimo strato di ferraglie. In pochi istanti, però, un nuovo livello risalì dal pavimento diventando il più superficiale e coprendo il danno appena provocato.
Mami gettò via il fucile, mentre un fitto intrico di fil di ferro andava ad avvolgere la porta trafiggendo i muri accanto agli stipiti.
– Ikari, Ayanami, state indietro! La Strega è qui!
Improvvisamente, un grande occhio si aprì fra i graffiti tracciati al di sopra della porta. Si agitò per qualche istante, per poi fissarsi su Mami. La grande pupilla stilizzata nel suo centro si restrinse, e un senso di smarrimento attanagliò la ragazza. Dal groviglio di ferro fuoriuscì una matassa di filo spinato, che si avvolse davanti alla maga in un enorme gomitolo.
Una mano afferrò Mami per il polso, strattonandola all’indietro. Un attimo dopo, dalla palla di ferro si dipanarono decine di spuntoni affilati, che trinciarono il pavimento fino a pochi centimetri dai piedi della maga. Mami rimase atterrita, e subito si guardò alle spalle per vedere chi l’avesse salvata.
Rei Ayanami era dietro di lei, immobile, e fissava il groviglio di filo spinato con uno sguardo freddo e deciso.
– Gra… grazie…
– È quella, la Strega?
La domanda di Ayanami la prese alla sprovvista. Si alzò in piedi e rivolse di nuovo lo sguardo alla cosa che l’aveva attaccata. Non aveva l’aspetto di una Strega, tuttavia…
La matassa si ricompose, cominciando ad agitarsi convulsamente su se stessa. – Sakura!
Kyoko comprese immediatamente le intenzioni della compagna. Gettò la lancia in aria afferrandola con la mano destra, quindi la scagliò contro la palla di ferro mirando proprio al suo centro.
Una tempesta di cavi immobilizzò l’arma poco prima dell’impatto. Nel fare questo, tuttavia, la sfera lasciò scoperte diverse fessure. Attraverso le fessure, Mami scorse una piccola figura di aspetto umanoide.
– È lì dentro!
***
– Senpai Akagi, venga qui, per favore.
Ritsuko si avvicinò nuovamente alla postazione di Maya. Il monitor del suo computer era ricoperto di grafici che forse solo loro due sarebbero state in grado di decifrare.
– C’è qualche problema, Maya?
– Non lo so. Insomma, a parte i diagrammi d’onda dei ragazzi e delle maghe non rilevo nient’altro, però…
L’operatrice indicò un punto dello schermo. Non c’erano dati. – È come se ci fosse un’area in cui non ci sono diagrammi d’onda di nessun genere.
– Ti sbagli, – mormorò Ritsuko. C’era una nota di eccitazione nella sua voce, legata alla straordinaria scoperta che la sottoposta le aveva rivelato. – Quello è un diagramma d’onda, proprio come tutti gli altri.
Maya fece una faccia stupita e preoccupata. – Vuol dire che…
– Sì, Maya. È un diagramma d’onda nero. L’entità che lo produce sta assorbendo tutte le onde elettromagnetiche emesse nell’ambiente circostante, e come risultato sta generando una regione di spazio completamente priva di attività elettromagnetica. Non c’è dubbio: si tratta di una Strega.
***
L’angolo dell’autore:
Salve, internauti. Questo piccolo sproloquio sarà un po’ più serio del solito, pertanto saltate direttamente alla fine, se volete (giuro che non mi offendo).
Ho notato che il feedback della storia è abbastanza scarso: nonostante le numerose visualizzazioni le recensioni sono pochine. Il problema è che se non ricevo un giudizio, positivo o negativo che sia, non posso sapere come sto andando! Il mio scopo è quello di intrattenere, e ho intrapreso questa piccola avventura anche per migliorarmi. Con il vostro aiuto, sono sicuro che le cose potranno soltanto migliorare.
Ok, sproloquio finito, torniamo in Dummy mode. La storia si evolve, in una scacchiera ormai completamente affollata, e finalmente la battaglia con la Strega sta entrando nel vivo. Tuttavia, i misteri insoluti stanno aumentando. Chi sarà l’informatore di Mari? Dov’è Asuka, e come sta? E qual è il misterioso contenuto del volo Shepherd due-tre? Lo scoprirete nelle prossime puntate!
Sempre, magnificamente vostro.
 
Bookmaker

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Capitolo 5
*** V – Prima interferenza, secondo momento: Il sepolcro di ruggine ***


V
Prima interferenza, secondo momento: Il sepolcro di ruggine
 
La lancia di Kyoko fu scaraventata a pochi metri da lei. Mami materializzò una decina di fucili intorno a sé e prese a sparare all’impazzata contro la Strega. La creatura accelerò la rotazione del suo convoluto involucro, riuscendo così a far rimbalzare i proiettili sulla superficie di filo spinato. Uno di essi rischiò di colpire Rei, che però non sembrò affatto turbata dalla cosa.
– Ayanami! – urlò Shinji, terrorizzato. – Allontanati, presto!
La ragazza non si voltò nemmeno, ma continuò a fissare la Strega mentre si contraeva in un potente sferragliare di lamiera. Davanti a lei, Mami aveva esaurito le munizioni, mentre Kyoko stava recuperando la lancia. Quando la maga in rosso alzò lo sguardo, i suoi occhi si sbarrarono.
– Mami, attenta!
Una frusta di filo spinato sfrecciò a circa un metro e mezzo da suolo, proprio all’altezza del collo di Mami.
– Tomoe, sta giù.
La maga si sentì trascinare verso il basso, e la frusta passò pochi centimetri sopra la sua testa. Cadde riversa al suolo, e subito qualcosa la schiacciò al suolo. Quando Mami riaprì gli occhi, le sue mani erano macchiate di sangue.
“Mi ha colpita?” pensò. “Eppure non ho sentito dolore…”
Alcune gocce di sangue caddero sui suoi palmi, imbrattandoli di una tinta rossa e scura e dandole una sensazione viscida e calda fra le dita. Il peso che gravava sulle sue spalle rotolò di lato, e il corpo di Ayanami cadde a fianco a lei.
– Sakura!
La frusta rientrò nella sfera, che nuovamente si contrasse per poi proiettare sopra di sé un enorme maglio di cavi arrotolati. Kyoko scattò verso Rei, sollevandola per il braccio destro, e Mami la aiutò con il sinistro. Le due maghe scattarono con un salto, poco prima che il martello calasse davanti a loro scavando una profonda voragine nel pavimento. Arrivarono a pochi metri da Shinji, e deposero Rei al suolo senza perdere di vista la Strega. Il ragazzo le guardò con occhi colmi di terrore, senza sapere cosa fare.
Dalla sfera si levò un grido, e il mazzuolo si disgregò in un vortice di spire arrugginite. Ayanami ansimò pesantemente, cercando di dire qualcosa ma senza riuscirci. La grande torre di sedie e banchi di scuola ondeggiò pericolosamente, minacciando di crollare da un momento all’altro.
– Pensaci tu, a lei! – esclamò Kyoko rivolgendosi a Shinji. – Cerca un’uscita e vattene! Qui possiamo farcela da sole!
Dal gorgo di tentacoli si protesero numerosi filamenti che cercarono di ghermire le maghe, e Kyoko riuscì a fermarli colpendoli con la sua lancia. Era strano che quella ferraglia non si spezzasse sotto l’urto della sua arma magica, e che i proiettili di Mami non la perforassero.
– Tende a lasciare degli spiragli quando attacca, – disse Mami, ancora scossa. – In quel momento è vulnerabile.
– Va bene, – annuì Kyoko. – Io provo ad attirare la sua attenzione, tu sparale quando mostra il suo interno.
– Aspettate! – esclamò Shinji chinandosi sul corpo di Ayanami. – Cosa devo fare?
– Te l’ho detto, portala via! – urlò Kyoko agitando una mano verso di lui. – Finché rimanete qui siete in pericolo!
Una raffica di tralicci metallici fuoriuscì dalla sfera come una mitragliatrice, tempestando le ragazze e costringendole ad arretrare. La Strega avanzò lentamente, levitando a una decina di centimetri da terra e strisciando rumorosamente al suolo con alcuni filamenti. Mami fece comparire altri cinque fucili, sparando con tutti loro in contemporanea. La creatura gridò orribilmente, e un nuovo uragano di filo spinato si scatenò contro le maghe. Dietro di loro, Shinji prese Ayanami e la portò via issandosela a fatica sulle spalle.
Brancolò per qualche secondo in giro per l’enorme stanza che poche ore prima era la sua classe. Intorno a lui, però, le pareti si estendevano sterminate per centinaia di metri. I graffiti che le ricoprivano producevano uno strano effetto iperprospettico, dando l’impressione di trovarsi in un corridoio infinito immerso in una penombra spettrale.
Improvvisamente, però, un sottile fascio di luce squarciò l’ombra che avvolgeva le pareti. Shinji lo seguì con lo sguardo, cercandone disperatamente la fonte, e quando vide una porta semiaperta poco lontana da lui caracollò verso di essa sforzandosi di mantenere salda la presa su Rei.
Dietro di lui, la Strega lanciò un grido furioso.
***
La frusta spazzò il pavimento, puntando alle caviglie delle ragazze. Le maghe spiccarono un salto per evitare l’impatto, e Kyoko si lanciò sulla Strega puntando la lancia contro di lei. – Facciamola finita!
Un lungo viticcio si distaccò dalla frusta, cambiando improvvisamente orientamento e dirigendosi verso la maga. Il cavo le afferrò la lancia, strattonandola e facendole perdere il controllo sulla caduta. Mami sparò un colpo con un nuovo fucile, ma un secondo filamento intercettò il proiettile in volo.
Kyoko atterrò malamente, e subito la frusta tornò indietro percorrendo la sua traiettoria in senso opposto. Un vigoroso laccio di filo spinato si avvolse intorno alla gamba sinistra della ragazza, risalendo fino a tutta la coscia con un orribile rumore di carne lacerata. Kyoko lanciò un grido, sollevando la lancia e amputando con rabbia il viticcio della Strega.
Il moncone della frusta rimase attaccato a lei per qualche secondo, ma poi cominciò a stringersi più vigorosamente, scavando ferite nella carne viva. La maga cadde a terra in preda al dolore, e la lancia produsse un tonfo sordo nel colpire il pavimento.
– Lasciala andare!
L’urlo di Mami precedette di pochi secondi una raffica di proiettili, che costrinse la Strega ad arretrare mugolando. Anche l’appendice rimasta adesa alla gamba di Kyoko si distaccò contorcendosi, e in pochi secondi si ridusse a una manciata di polvere. La maga tossì convulsamente, allungando le mani per afferrare la lancia, quindi si alzò in piedi puntellandosi con il manico dell’arma.
La sua gamba era ridotta ad un ammasso di sangue rappreso e ferite sfrangiate. Le spine non erano affondate in profondità, ma avevano perforato agevolmente la pelle. Era un miracolo che i muscoli fossero rimasti intatti.
– Ce la fai a muoverti? – chiese Mami osservando le ferite dell’amica con aria preoccupata.
Kyoko digrignò i denti, issandosi sulla lancia e cercando di spostare il peso sulla gamba illesa. – Più o meno…
Davanti a loro, la Strega riassunse la sua forma precedente. Violenti tremiti turbavano la compostezza della sfera, e il filo spinato continuava a lasciare profondi graffi nel pavimento. – Di questo passo ci faremo ammazzare, – ringhiò Kyoko stringendo la presa sulla lancia fino a sbiancarsi le nocche.
– Forse dovremmo ritirarci, – suggerì Mami. La compagna la fissò con uno sguardo sorpreso. Quelle parole non sembravano adatte alla personalità orgogliosa di Mami, ma la ragazza stava tremando visibilmente. Aveva bisogno di una scossa.
– Non dire sciocchezze. Abbiamo fatto fuori bestie più grandi di questa, perché dovremmo ritirarci proprio adesso?
***
Mari girò l’angolo del muretto guardandosi intorno con circospezione. Non aveva intenzione di rovinare l’operazione incappando in qualche soldato troppo zelante. Per fortuna non sembrava esserci nessuno.
Si spostò mantenendosi rasente al muro, fuoriuscì per pochi metri dai cespugli che lo costeggiavano e si portò silenziosamente fino al tratto successivo del giardino perimetrale della scuola. Diede un’occhiata al di là di una grande siepe fiorita, senza vedere nulla di particolare. Questo, tuttavia, non la tranquillizzò.
“Dove diavolo è?”
Raggiunse il piccolo recesso laterale del muro seminascosto dalla siepe, l’unica parte di quella specie di cortile che fosse riparata dal sole grazie ai numerosi alberi che vi erano cresciuti. Entrò nella rientranza con fare circospetto, avanzando a piccoli passi e stando attenta a non fare rumore.
Ad un tratto, un fruscio tra la vegetazione la fece sussultare. – C’è qualcuno?
Nessuna risposta.
Mari si portò cautamente una mano allo zaino, in modo da tastare il contorno sporgente della tasca posteriore. Fece scorrere lentamente la zip, infilando la mano nella tasca e trovando un oggetto freddo e dalla superficie levigata. Lo estrasse dallo zaino, tenendo le dita ben ferme sull’impugnatura e portandolo accanto alla coscia.
– Sono una studentessa di un’altra scuola, – mentì tirando indietro il piccolo dispositivo a scatto montato sull’oggetto. Lo smarrimento nella sua voce era straordinariamente credibile. – Mi sono persa… e qui intorno non c’è nessuno. Ho tanta paura!
Un secondo fruscio, proveniente stavolta dalle sue spalle, la fece voltare. La pistola che impugnava produsse un debole bagliore, colpita da un raggio di sole passato attraverso le chiome degli alberi.
Tuttavia, non ci fu nessuno sparo. Sul volto di Mari si dipinse un’espressione sorpresa, dopodiché la ragazza rimise la sicura all’arma facendo una faccia divertita. – E tu saresti il mio contatto? – ridacchiò. – Spero proprio di no.
– Nyaan!
Un gattino di poche settimane incespicò nel terreno di fronte a lei, inciampando nelle radici di un piccolo arbusto. Mari si chinò di fronte a lui piegandosi sulle ginocchia, la pistola ancora stretta in pugno. – Dov’è la tua mamma? – chiese. Allungò una mano, tentata dall’idea di coccolare il morbido pelo di quell’esserino, ma la ritrasse quasi subito. – Scusami, piccolino, – sospirò con un sorriso amaro, – ma non posso toccarti. Se lascio il mio odore su di te, la tua mamma non ti riconoscerà più.
Rimase per qualche istante a fissare l’animaletto, catturata da un ricordo non abbastanza lontano per essere dimenticato e non abbastanza vicino per poter essere affrontato con razionalità. Poi, un nuovo rumore la riscosse da quel pensiero.
Si rialzò di scatto, togliendo la sicura all’arma e puntandola davanti a sé. Stavolta non era un gatto, non c’erano dubbi.
***
Shinji si gettò goffamente al di là della porta, inciampando e cadendo dolorosamente con le ginocchia sul pavimento di legno logoro. Ayanami respirava ancora a fatica, ma sembrava volesse dirgli qualcosa.
– Ayanami… – mormorò il ragazzo. – Come ti senti?
– Ma che razza di stupida domanda è, questa?
Shinji sussultò nell’udire quelle parole, e si voltò di scatto verso la porta che aveva appena oltrepassato. Asuka era lì, e stava giusto chiudendo il passaggio. – Shikinami! – esclamò. – Meno male che stai bene!
– Bene un corno! – replicò la ragazza guardandolo con aria di sufficienza. – Sono ore che aspetto che qualcuno venga a tirarmi fuori da questo buco, e proprio adesso che speravo nei rinforzi mi arrivano una ragazzina ferita e un idiota in tutina aderente. Tsk! Già che c’erano potevano farvi portare qualche manga, almeno avrei avuto un passatempo.
Shinji fu abbastanza imbarazzato da quel commento, ma cercò di non darlo a vedere. – Non siamo venuti da soli. Anche Tomoe e Sakura…
La Second Child gli rivolse uno sguardo carico di rabbia. – Quei due fenomeni da baraccone sono qui?
Il ragazzo annuì timidamente, al che Asuka avvampò. – Perché le hanno fatte venire? – urlò. – Pensavano che avessi bisogno del loro aiuto?
– Ma se tu stessa hai detto…
– So che cosa ho detto, stupido! Mi serviva qualcuno che mi guidasse fuori di qui, non una scorta!
Shinji insistette: – Ma… quella Strega sembra molto forte…
– Dimmi un po’, – lo interruppe Asuka con un mezzo sorriso. – Secondo te, perché sono ancora tutta intera?
Il ragazzo la guardò con perplessità, senza riuscire a capire cosa volesse dire esattamente.
La Second sbuffò con noncuranza e gli rivolse le spalle, prendendo a camminare a passi lenti e dondolanti. – Quando mi sono svegliata in questo posto, quell’affare ha cercato di prendermi per riservarmi lo stesso trattamento della First. Sono fuggita, e sono riuscita a fargli perdere le mie tracce usando una bambola che mi assomigliava come esca.
Shinji spalancò gli occhi. Ayanami aveva detto che se il fantoccio era un’esca per loro, loro erano la preda della Strega; tuttavia, se si trattava di un’esca per la Strega, era la creatura ad essere la preda di Asuka.
– E adesso, – chiese Asuka, – come pensi di farci uscire da questo posto?
Il Third Child si guardò intorno, cercando di fare ordine fra i suoi pensieri. Attraverso la porta, il rumore della battaglia arrivava alle sue orecchie attutito. Rei respirava malamente, anche se pareva che la perdita di sangue si fosse interrotta. –Dobbiamo aiutare Ayanami, – disse. – È stata ferita, e…
– Ho capito, ho capito, – sbuffò Asuka avvicinandosi alla First. – Ci penso io.
La tuta di Rei era sporca di sangue lungo tutto il braccio destro, e in parte sulla spalla. Asuka armeggiò per qualche secondo prima di capire come si aprissero le cerniere a tenuta stagna. – Equipaggiamento di lusso, eh? – commentò. – Certo, non vi è servito a molto.
Scostò la tuta dalla spalla insanguinata, causando un certo imbarazzo a Shinji (non che fosse la prima volta che vedeva Ayanami nuda). – Niente di grave, – decretò alla fine, ispezionando la ferita con attenzione. – Il taglio è più brutto a vedersi che a guarire. Non è neanche troppo profondo, bisogna solo disinfettarlo e bendarlo un po’.
– Ma noi non abbiamo…
– Quello è un serbatoio dell’ossigeno, giusto?
Shinji rimase abbastanza sorpreso da quella domanda. In effetti, si era completamente dimenticato di avere un respiratore artificiale. – Sì, ma…
– Levatelo, – ordinò Asuka. Poi si indicò il volto con un gesto della mano. – Come puoi vedere, è assolutamente inutile.
Shinji obbedì all’ordine della ragazza, chiudendo la valvola dell’erogatore e sganciandosi il casco dalla tuta. Ebbe un lieve giramento di testa nel passare dall’aria arricchita di ossigeno all’ambiente esterno, ma niente di più. Difatti, si trattava di un luogo perfettamente identico al mondo esterno, anche per quanto riguardava la temperatura.
– Sganciati il serbatoio, muoviti!
Il ragazzo cercò di capire come si togliesse quell’aggeggio, ma non ci riuscì. Asuka sospirò, esasperata, quindi si alzò e lo fece voltare con uno strattone. – Sei proprio un buono a nulla! – esclamò. – Scommetto che devi ringraziare il paparino per essere entrato nella Nerv!
– Non è proprio così, – si difese Shinji, senza troppa convinzione. – Io…
Le parole gli morirono in gola quando si accorse che Asuka gli aveva abbassato completamente le cerniere posteriori della tuta. – Ma che stai facendo?!
Un cazzotto colpì Shinji alla testa. – Non farti venire strane idee! Sto solo staccando il serbatoio da questa dannata tuta. Maniaco!
La ragazza tornò da Rei senza degnarsi di richiudere il didietro della tuta di Shinji, che si contorse vergognosamente nel tentativo di coprirsi il fondoschiena. Dopodiché estrasse da una tasca un flacone di plastica. – Okay, cocca del comandante, – disse con tono serio, quasi dispiaciuto. – Questo brucerà un po’.
Asuka svitò il beccuccio dell’erogatore, stando attenta a non smuovere la valvola, quindi lo avvitò sul flacone. Distese con le dita i lembi della ferita, vi avvicinò il contenitore e spruzzò una generosa quantità di liquido trasparente. Rei contrasse i muscoli del dorso, ma non si lamentò quasi per niente, mentre Shinji smise di badare alle cerniere e fissò la scena con preoccupazione.
– Dovrebbe bastare, – mormorò alla fine. – Sei stata brava, cocca del comandante.
– Che hai fatto? – chiese Shinji, leggermente preoccupato per la reazione di Ayanami al trattamento.
Asuka lo fissò con sufficienza. – Sei proprio ignorante, lo sai? – esclamò estraendo un pacchetto di fazzoletti dalla tasca della gonna. – L’acqua ossigenata uccide parecchi batteri. Sarebbe stato meglio dell’alcool, ma ora come ora questo è il massimo che potessi fare.
– E dove hai trovato l’acqua ossigenata?
– In infermeria, – disse lei con fare sbrigativo. Tirò un fazzoletto fuori dal pacco, tamponando delicatamente la ferita e assicurandosi che l’acqua la bagnasse anche sotto i suoi lembi irregolari. – La prima cosa da fare, se ci si trova in ambiente ostile, è procurarsi i generi di prima necessità, e i medicinali sono tra quelli.
– Ma era proprio necessario, – insistette Shinji, – togliermi l’erogatore e costringermi a spogliarmi?
– Usando un beccuccio sono stata più precisa, – disse Asuka. – La ferita aveva i bordi sfrangiati, e così ho potuto spargere l’acqua ossigenata con più cura. Cosa diavolo credevi?
Shinji arrossì violentemente, e la ragazza tornò a concentrarsi su Ayanami senza aspettare la sua risposta.
Avvolse con cura un fazzoletto intorno alla ferita di Rei, ormai calmatasi. – Ecco fatto, – disse con aria soddisfatta. – Così dovrebbe andar bene. Come ti senti, cocca del comandante?
Ayanami fissò Asuka con i suoi occhi rossi, resi lucidi dal dolore. – Sto meglio. Grazie.
– Ora che facciamo? – chiese Shinji.
– Come sarebbe a dire “ora che facciamo”? Sono stata io a farti questa domanda, no?
Il ragazzo arrossì, evidentemente imbarazzato. – Lo so… è che sembri così esperta…
– Io sono esperta, – lo rimbeccò Asuka. La ragazza sbuffò per l’ennesima volta, rivolgendo uno sguardo distratto alla porta. Il combattimento sembrava essere ancora nel vivo. – D’accordo, senti qua. Dato che la cocca del comandante non sembra nelle condizioni di muoversi, avremo bisogno dell’aiuto di quelle due per uscire da qui senza farci ammazzare. Pertanto, andremo ad aiutarle.
– Ma loro hanno detto…
– Le domande alla fine, grazie! Stavo dicendo, dato che quelle due non sembrano capaci di far fronte a quella… come si chiama?
– Strega.
– Sì, giusto, dato che non sono capaci di badare a quella Strega da sole, interverremo per creare un diversivo. In questo modo non solo risolveremo la situazione, ma dimostreremo la schiacciante superiorità della Nerv su questi fenomeni da circo. Tutto chiaro?
– Ehm… sì. Ma qual è il piano, esattamente?
Asuka sogghignò. Ora sì che veniva il bello.
***
– Chi sei?
– Il tuo contatto.
Mari sogghignò senza riporre la pistola. Aveva saputo dell’operazione solo poche ore prima, e non aveva avuto il tempo di informarsi sul suo contatto. Tuttavia, quella situazione le sembrava ridicola.
Il suo “contatto” era una ragazzina, forse anche più piccola di lei. Era vestita in maniera abbastanza bizzarra, con una corta gonna grigia orlata di bianco e una specie di corsetto elisabettiano bianco. I suoi lunghi capelli neri erano tenuti fermi da una frontierina dello stesso colore.
– So di essere l’ultima a potertelo dire, – rise Mari. – Tuttavia, non sei un po’ troppo giovane?
– Se non ti fidi di me, puoi anche ignorarmi, – replicò la ragazza scostandosi i capelli dalle spalle. – Io, però, non te lo consiglio.
Mari la fissò per un lungo istante al di sopra della canna luccicante della pistola. C’era qualcosa nel suo sguardo, nei suoi grandi e tristi occhi viola, che la faceva sembrare molto più vicina ad una adulta che ad una ragazzina. Sembrava che avesse vissuto per un tempo straordinariamente lungo, e che quella lunghissima esistenza le avesse segnato l’animo con innumerevoli ferite.
– Supponiamo che io ti creda, – disse Mari. – Cosa faresti, in quel caso?
– Ti darei i dettagli su ciò che sta accadendo in questo momento in questa scuola.
Mari rimase immobile per qualche secondo, un po’ indecisa sul da farsi. Alla fine, però, ripose la pistola con un sospiro. – E va bene. In tal caso, proporrei di cominciare presentandoci. Io sono Mari.
La ragazza sembrò colta di sorpresa da quel gesto. – Ho… Homura. Homura Akemi.
– Akemi? – esclamò Mari con gli occhi lucidi di bramosia. – Quella Akemi?
Homura annuì timidamente. – Ma guarda un po’… – ridacchiò Mari. – Il Sesto Soggetto Deviante. Pensavo che la Nerv vi tenesse tutti sotto controllo.
– Ho fatto in modo che la Nerv non potesse rintracciarmi, – disse Homura. – Sono abituata a muovermi da sola.
Mari sorrise maliziosamente, prendendo a fissare con attenzione la maga. Il suo sguardo sembrava intento a dissezionarla, e Homura si ritrovò ben presto a disagio. – Ad ogni modo, – disse per portare l’attenzione di Mari su qualcos’altro, – l’operazione della Nerv…
– Dimmi… – la ignorò l’altra. – È vero che tu e le tue amiche siete delle maghe?
Homura si portò le mani in grembo, coprendo il piccolo scudo tondo fissato al suo avambraccio sinistro. – Mami Tomoe e Kyoko Sakura non sono mie amiche.
– Ma sono maghe, – sorrise Mari. – E anche tu lo sei.
La ragazza annuì senza dir nulla.
– Non ti preoccupare, – la tranquillizzò Mari sistemandosi gli occhiali sul volto. – Non ho intenzione di rivelare a nessuno la tua identità, finché non intralci i miei progetti. Piuttosto, – aggiunse, – mi chiedo perché tu mi abbia contattato.
Homura sembrò confortata dalle parole della ragazza. – Forse io e te possiamo collaborare.
– Ma non avevi detto che lavori da sola?
– Le mie sole forze non saranno sufficienti per ciò che mi accingo a fare. Avrò bisogno di tutto l’aiuto possibile.
– Capisco. Anzi, c’è un dettaglio che mi sfugge. Se ti serve aiuto, perché non contatti la Nerv? Di certo saranno contenti di darti una mano, se questo darà loro la possibilità di studiare te e i tuoi poteri.
– Lo farò, – disse Homura scostandosi nuovamente i capelli dal volto. – Ma prima volevo assicurarmi la tua alleanza.
Mari la osservò. Parlava con compostezza, ma era evidente che stesse nascondendo una grande tensione. – È per questo che mi hai chiamato?
La maga annuì. – So che sei interessata al progetto E e ai Children. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere osservarli mentre si misuravano contro un avversario del mio mondo.
– Ehi, ehi, aspetta un secondo! Come fai a sapere del progetto E?
– Mi sono infiltrata nel mainframe della Nerv, – disse Homura con aria sbrigativa. A Mari brillarono gli occhi.
– Nel Magi System? Devi essere un hacker incredibile per superare le difese di ben quattro supercomputer…
– No… – tentennò Homura. – È che…
– Non sei mai entrata nel Magi.
La ragazza sbarrò gli occhi. Davanti a lei, Mari enumerò sulle dita tre nomi.
– Melchior, Balthasar, Casper. Sono tre terminali, non quattro. Dovresti controllare meglio le tue informazioni. Comunque, non è necessario che tu mi dica tutti i dettagli. Voglio solo sapere se la tua conoscenza ha a che fare con i tuoi poteri. Allora? È così?
Homura esitò per un po’. – Sì, – ammise alla fine. – Possiamo dire di sì.
Mari sorrise con aria trionfante. – Okay, ora che abbiamo chiarito la situazione, dammi le mie informazioni. Dopodiché, potrai contare su di me per qualunque necessità.
La maga si avvicinò senza parlare all’apertura nel muro da cui Mari era arrivata. Quest’ultima la seguì accostando il proprio volto al suo con curiosità, e Homura le indicò il grande edificio scolastico. – In questo momento, – spiegò, – all’interno della scuola si sta manifestando un’entità magica chiamata Strega.
– Streghe, eh? – meditò Mari. – Ne ho sentito parlare in alcuni rapporti, ma non erano molto chiari. Mi è parso di capire che siano pericolose, ma non molto altro.
– Non c’è molto altro da capire, in realtà, – glissò Homura, attirandosi così uno sguardo sospettoso di Mari. – Sono esseri nati dalla disperazione, e in essa cercano conforto.
Mari non sembrò particolarmente soddisfatta da quella spiegazione, ma preferì non insistere. Homura proseguì nella sua spiegazione. – La Strega si nasconde in uno spazio magico chiamato Barriera. Mami Tomoe e Kyoko Sakura vi sono entrate per sconfiggerla. Shinji Ikari e Rei Ayanami le hanno seguite.
– E la Principessa?
Homura la fissò con aria interrogativa. Improvvisamente, sul volto di Mari si era dipinta un’espressione preoccupata. – Di chi parli?
– Di Asuka, ovviamente. Non può essere sparita.
La maga distolse lentamente lo sguardo da lei, tornando a fissare la scuola. – Lei è stata intrappolata nella Barriera. Non credo che sia ancora viva.
– Questo perché non la conosci.
Quella frase fece voltare Homura di scatto, anche per il tono allegro con cui era stata pronunciata. Quando la maga si voltò, Mari era sorridente e sorniona come prima. – La Principessa non è una persona comune, – esclamò. – Di certo sarà più utile lei del Cagnolino.
Homura era piuttosto confusa, ma Mari non ci fece caso. – C’è qualcos’altro che mi devi dire?
– Sì, – annuì la maga. Indicò una grande tensostruttura poco distante dall’edificio. – Il centro di comando della Nerv è stato momentaneamente trasferito qui, in modo da poter seguire meglio l’operazione. Sayaka Miki e Madoka Kaname sono lì dentro.
– Ho capito.
Mari uscì dalla rientranza nel muro, riparandosi gli occhi per non essere abbagliata dal sole.
– Grazie di tutto.
Fece per andarsene, ma la voce di Homura la fermò. – Allora è deciso, – disse la maga con decisione. – D’ora in poi, siamo alleate.
Mari si girò per risponderle, ma quando si fu voltata Homura era già scomparsa. “Immagino che sia questo, il significato pratico di essere una maga,” pensò con un sorriso. Dopodiché rivolse uno sguardo alla scuola. – Mi hai fatto prendere un bello spavento, Principessa, – sospirò. – Ho temuto che questa volta avessi deciso di non farti vedere.
***
Un proiettile colpì la corazza di filo spinato, deformandola e facendo urlare la Strega di dolore. Un laccio rugginoso stridette al contatto con il pavimento, puntando contro Mami e cercando di afferrarla. Prima dell’impatto, tuttavia, la lancia di Kyoko si abbatté sul tentacolo schiacciandolo al suolo. La Strega strillò, e il viticcio si avvolse sulla lancia nel tentativo di raggiungere le braccia di Kyoko.
– Non pensarci nemmeno!
La maga sollevò la lancia, mulinandola sopra la sua testa e trascinando l’intero corpo della Strega in quel movimento. La creatura perse la presa sull’arma e fu scagliata contro la torre di sedie, che prese a basculare pericolosamente. – Mami, buttala giù!
Mami estrasse dal nulla una decina di fucili a pietra focaia, formando un plotone d’esecuzione davanti alla Strega. Il primo fucile che sparò fece barcollare la torre, i successivi spararono a brevi intervalli puntando mano a mano più in alto. Quando l’ultimo fucile colpì il bersaglio, la torre si inclinò sulla Strega.
L’essere sollevò i tentacoli cercando disperatamente di sorreggere l’enorme pila di sedie, ma la torre si schiantò su di lei con un fragore spaventoso. Kyoko atterrò accanto a Mami, stringendo i denti per il dolore alla gamba. Nonostante tutto, però, la ragazza aveva un sorriso trionfante stampato sul volto.
– Ce l’abbiamo fatta…
– Così sembra, – ansimò Mami, asciugandosi un rivolo di sudore dalla fronte. – Ad ogni modo, sbrighiamoci a cercare Ikari e Ayanami.
– Perché ti ostini a chiamarli per cognome? – la schernì Kyoko. – Anzi, perché chiami tutti per cognome?
– È una questione di educazione, – sorrise Mami.
– Ah, perché io non sarei educata? – scherzò l’altra, fingendosi offesa e colpendo l’amica con una leggera gomitata. – Ne terrò conto, la prossima volta che mi chiederai uno stecchino.
Le due presero a ridere, finalmente libere dalla tensione dello scontro appena concluso. Dal mucchio di sedie non sembrava provenire alcun suono.
***
Dolore… tutto è dolore…
Non mi sentite?
Venite da me, vi prego!
Tiratemi fuori da qui!
Perché sono qui?
Non ho fatto niente! Giuro che non ho fatto niente!
Oh, Dio, qualcuno mi aiuti!
QUALCUNO MI AIUTI!
***
Un traliccio ricoperto di chiodi si liberò dalla catasta, lanciando sedie e tavoli dappertutto. Un enorme mazzuolo colpì Mami alla schiena scagliandola contro il muro, mentre una frusta di fil di ferro affilato e sottile si arrotolò intorno alla lancia di Kyoko.
– Non ti è bastato? – ringhiò la ragazza. – Vieni, ti faccio fare un altro giro!
Prima che Kyoko potesse sollevare la Strega in aria, la creatura strattonò il filamento e caricò la maga roteando a gran velocità. Kyoko non riuscì a scansarsi, e la sfera di ferro la investì brutalmente lasciandola ansimante sul pavimento.
– Kyoko…
Mami materializzò un nuovo fucile, mirando incerta contro la Strega. Il colpò partì, senza riuscire a scalfire la corazza di ferro del mostro. – Sono a corto di potere magico… – mormorò la ragazza accasciandosi al suolo sulle ginocchia. La sua Soul Gem stava cominciando a perdere colore, tingendosi di uno strano pigmento nero. – Non posso più fare molto.
La Strega ritrasse tutte le appendici, portandosi sopra a Kyoko e fermandosi proprio su di lei. La sua superficie si contrasse, e un attimo dopo si ricoprì di spuntoni affilati.
Davanti agli occhi di Kyoko, la grande sfera si sollevò di diversi centimetri. Giunta all’apice della salita si fermò, roteando lentamente come un piccolo pianeta annerito.
“Io… sto per morire?”
La Strega lanciò un grido assordante, che alle orecchie di Kyoko suonò come un rumore morbido, troppo lontano per essere udito distintamente.
“Che peccato. Avrei voluto prendere in giro Shin- chan… almeno un’altra volta.”
Ci fu un tonfo sordo. La Strega si spostò di qualche metro allontanandosi da Kyoko e gridando senza sosta, ritraendo quasi tutti gli aculei e tornando ad essere una palla compatta. La maga avrebbe voluto chiedersi cosa stesse succedendo, ma una figura femminile le saltò sopra scavalcandola con un balzo.
– Ikari, la valvola!
Ci fu un altro urlo di rabbia e di paura dalla Strega, seguito dal rumore di una superficie che si incrinava. Kyoko tirò un profondo respiro. La Soul Gem le aveva fatto recuperare almeno parte delle sue forze, e questo le consentì di voltare la testa in direzione delle grida.
Asuka stava picchiando la Strega.
La stava colpendo violentemente, usando l’erogatore di ossigeno della tuta di Shinji come martello, e la cosa incredibile era che stava vincendo. C’erano delle lunghe crepe, nel corpo della Strega. “Com’è possibile?” si chiese la maga. “Quella corazza non ha fatto una piega, con me e Mami…”
– Apri! – urlò Asuka alla volta del Third Child. Shinji, in effetti, era dietro di lei. Reggeva un tubo di gomma rabboccato, lungo un paio di metri e con una grande valvola all’estremità. Sembrava la manichetta di una pompa antincendio.
– Subito! – esclamò Shinji ruotando la valvola.
Un getto di ossigeno pressurizzato scaturì dal bocchettone dell’erogatore, investendo in pieno l’armatura della Strega. Nel momento in cui il gas colpì il ferro, una patina rossastra ricoprì la corazza.
Asuka urlò furiosamente, quindi abbatté nuovamente l’erogatore sulla Strega. Stavolta, le crepe lasciarono il posto a profonde scalfitture, che lasciarono vedere chiaramente l’interno del carapace ferroso ormai ridotto a fragile ruggine. – Ti ho stanata! – esclamò Asuka con un sorriso da predatore dipinto sul volto. Insistette nel colpire il punto di rottura, tanto che l’erogatore sembrò sul punto di ridursi a pezzi. Alla fine, però, riuscì a ricavare un’apertura abbastanza grande da potervi gettare dentro l’intero attrezzo.
– E ora, – urlò infilando a forza la bombola nello squarcio, – vediamo come sei veramente…
Mentre diceva queste parole, Asuka si paralizzò. Lasciò cadere l’erogatore nella sfera, ma se ne allontanò subito con un’espressione spaventata. – Ma cosa…
La Strega produsse uno strano suono, simile ad un pianto, e si portò a distanza da lei senza riuscire a ricomporsi. Shinji perse la presa sulla manichetta, che prese a strisciare pateticamente seguendo il movimento caotico della Strega.
– Ikari! – esclamò Asuka. La sua faccia manifestava tutto il suo sconvolgimento, benché la ragazza si sforzasse di celarlo. – Sei un incapace! Dovevi aprire la valvola!
– Ci penso io.
Mami si era rialzata. Sembrava stremata, e perdeva sangue da numerose ferite, ma riusciva in qualche modo a reggersi in piedi. Sollevò una mano davanti a sé, richiamando in essa tutta l’energia che le era rimasta. Chiuse gli occhi, e i fucili che aveva usato e gettato via fino a quel momento si diressero verso di lei.
Presero a girarle intorno con un movimento lento, che andò accelerando progressivamente fino a che i loro contorni non si fecero confusi e fumosi. Mami sollevò ulteriormente il braccio, e i fucili furono sostituiti da un unico apparato metallico informe. In pochi secondi, i pezzi che componevano quell’ammasso luccicante si rimescolarono, e un grande cannone simile ad un’arma da contraerea comparve davanti alla maga.
– Vattene, adesso, – mormorò Mami, gli occhi ridotti a fessure. – Tiro finale!
Il boato del cannone fu forte, ma non fu il rumore più potente, né lo fu quello dell’esplosione del serbatoio d’ossigeno. Ciò che veramente impressionò Shinji, Asuka, Kyoko e la stessa Mami fu l’ultimo, atroce grido della Strega.
– Finalmente… – ansimò Mami mentre il cannone scompariva di fronte a lei in una gragnola di frammenti metallici. – Abbiamo vinto…
La maga si accasciò al suolo, un sorriso beato stampato in faccia.
– Oh, fantastico, – fece Asuka sospirando profondamente e grattandosi il capo con aria spazientita. – Proprio adesso che la cocca del comandante si era rimessa in piedi…
***
L’angolo dell’autore:
BOOM! Adrenalina a mille per le nostre maghe e per Asuka (che si conferma campionessa incontrastata di badassery), mentre un nuovo, sconvolgente plot twist vede arrivare all’orizzonte un’inaspettata alleanza fra Mari e Homura.
Cosa aspetta i nostri protagonisti nel futuro? E soprattutto, che senso ha la parola “futuro”, in un mondo alla deriva nel tempo? Lo scoprirete nelle prossime puntate. Alla prossima, e ricordate: stay tuned!
 
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Capitolo 6
*** VI – Intermezzo: Siamo una famiglia, no? ***


VI
Intermezzo: Siamo una famiglia, no?
 
La stanza era desolatamente silenziosa. Si udiva solo il ronzio dell’impianto di ricircolo dell’aria, unito al rumoreggiare lontano di qualche infermiere. Asuka non poteva sopportarlo.
– Insomma, – sbuffò, distogliendo lo sguardo dai letti di fronte a lei, – non volevo farvi del male. Non così tanto, almeno.
La ragazza prese un profondo respiro. Non poteva crederci, lo stava facendo. Chinò il capo, imitando impacciatamente quel ridicolo inchino giapponese che aveva visto tante volte, quindi disse qualcosa che non avrebbe mai pensato di dover dire. – Vi chiedo scusa.
I ragazzi allettati sbarrarono gli occhi, ma si affrettarono a ricomporsi quando Asuka risollevò la testa fissandoli con uno sguardo irritato. Per qualche secondo rimasero muti, indecisi sul da farsi, ma poi capirono che la Second si aspettava una risposta.
– Non ti preoccupare, – abbozzò il tizio più alto, portandosi la mano fasciata dietro la testa e sorridendo con aria imbarazzata. – Ti abbiamo provocato noi, ci siamo comportati da idioti.
– Dovremmo essere noi, – intervenne il ragazzo più in carne, – a chiederti scusa.
– Tsk… ­– commentò Asuka con un lieve sorriso. – Certo che voi giapponesi chiedete scusa per qualsiasi cosa.
***
Ci fu qualche saluto, e qualcuno si avvicinò alla porta. Kyoko si rigirò il lecca-lecca fra i denti, e quando Asuka uscì dalla stanza dell’ospedale di Neo-Tokyo 3 si staccò dal muro al quale si era appoggiata.
– Che cosa vuoi? – le chiese la Second. Non sembrava realmente irritata, pareva piuttosto che stesse recitando una parte.
– Perché hai chiesto scusa? – domandò Kyoko tenendo un occhio socchiuso. – Non è stata mica colpa tua, se quei due si sono fatti male.
– Li ho picchiati io, mi sembra.
– Ti abbiamo già spiegato che eri sotto l’influenza della Strega. Non c’era niente per cui ti dovessi scusare.
– Oh, insomma! Sei nel mio campo visivo da nemmeno sessanta secondi e già mi stai facendo saltare i nervi!
– Scusa, scusa! – rise la maga. Estrasse da una tasca (ma dove diavolo li teneva?) un altro paio di lecca-lecca, offrendone uno ad Asuka. – Tieni, facciamo pace.
La ragazza fissò l’offerta di pace con aria dubbiosa, ma lo sfavillio della caramella al di sotto dell’incarto le fece venire una certa acquolina. – Okay, – disse alla fine prendendo il dolce dalla mano di Kyoko. – Se dovremo stare insieme per chissà quanto tempo, tanto vale essere in buoni rapporti.
La maga sfoderò un sorriso di vittoria, frantumando il primo lecca-lecca fra i denti. – Non avrei saputo dirlo meglio.
Prese in mano lo stecco di plastica, che sparì misteriosamente non appena lei fece un gesto del polso. Quindi addentò avidamente il secondo lecca-lecca. – Coraggio, vieni con me.
Afferrò il polso di Asuka e prese a trascinarla con foga lungo il corridoio, ignorando il suo tentativo di opporle resistenza.
– Ehi! Dove credi di portarmi?
– Sai, Asuka, – la ignorò Kyoko, – penso che abbiamo cominciato con il piede sbagliato.
– Questo non mi sembra un approccio migliore!
Erano giunte alla fine del corridoio. Kyoko aprì con uno spintone la porta, spingendo Asuka sul grande terrazzo dell’ospedale. La ragazza rimase accecata dalla luce del sole a picco, e si portò subito la mano libera al volto per coprirsi gli occhi.
– Ciao, Asuka! – esclamò qualcuno. – Finalmente sei qui.
Quando Asuka riaprì gli occhi, si ritrovò di fronte ad una Misato più sorridente del solito (il che era tutto dire). – Misato! – esclamò seccata. – Si può sapere che succede?
– Come ti stavo dicendo, – la interruppe Kyoko arrivandole alle spalle e dandole una vigorosa pacca sulla schiena, – abbiamo cominciato nel modo sbagliato. E allora ho pensato: perché non rifacciamo tutto da capo, e ci conosciamo un po’ meglio?
– Buongiorno, Shikinami.
Mami Tomoe comparve alle spalle di Misato, emergendo da un piccolo gazebo montato nel bel mezzo del terrazzo. Indossava una gonna lunga fino alla caviglia che sembrava uscita da un’altra epoca, una candida camicetta di lino e un grazioso cappello piumato simile a quello che Asuka aveva visto durante lo scontro con la Strega. Solo in quel momento la Second si accorse che Mami era un po’ più alta di lei e di Shinji.
– Abbiamo pensato di farti una sorpresa, – spiegò infine Misato indicando il gazebo. – Vieni, forza. Gli altri sono già tutti qui.
***
Homura rimase immobile, il binocolo calcato sugli occhi, sperando che il buio della stanza bastasse a celare la sua presenza. Sarebbe bastato il riflesso delle lenti per tradirla, ma per fortuna Mami e Kyoko sembravano troppo occupate ad accompagnare Asuka nel piccolo gazebo.
La ragazza aspettò che le maghe si voltassero, dopodiché si alzò e ripose il binocolo, facendolo sparire dietro al piccolo scudo fissato al braccio. “Non manca molto,” pensò guardando il sole ormai alto attraverso la saracinesca abbassata. “Devo fare in fretta.”
Si diresse verso la porta della stanza, scendendo rapidamente le scale del palazzo abbandonato che fronteggiava l’ospedale, ripetendo mentalmente tutto ciò che le sarebbe servito sapere nelle successive ore. Aveva preparato tutto fin nei minimi dettagli.
Non le erano concessi errori.
***
Non appena varco la tenda bianca, Asuka cominciò a sospettare seriamente che Kyoko e Mami avessero usato la magia: il gazebo, che da fuori era grande sì e no quanto la stanza d’ospedale che aveva visitato poco prima, visto da dentro era simile ad una grande sala da ricevimento.
– Ma che diavolo… – mormorò la Second guardandosi intorno con stupore. Intorno a lei c’era un salone di diverse centinaia di metri quadrati, con i muri ricoperti da un’improbabile carta da parati rossa e dorata. Al posto del tendone, sopra la sua testa c’era un’ampia volta decorata da ghirigori biondi e fiamme scarlatte.
– Ehi, essere delle maghe ha i suoi vantaggi! – esclamò Kyoko entrando nel gazebo. – E non ci abbiamo neanche messo tanto impegno, sai?
– Non darle retta, Shikinami, – rise Mami entrando a sua volta, seguita subito da Misato. – Ci abbiamo lavorato per tutta la mattina.
– Dovevi proprio dirlo? – esclamò Kyoko, esasperata. – Mi rovini sempre i momenti migliori.
– Dove sono gli altri? – chiese Asuka guardandosi intorno.
Kyoko indicò con un cenno del capo una piccola porta. – Ci stanno aspettando nell’altra stanza.
– C’è anche un’altra stanza?
Il gruppo si diresse verso la porta, e la varcò arrivando in una sala leggermente più piccola della precedente. Un grande lampadario pendeva dal soffitto, illuminando a giorno quell’ambiente privo di finestre, e proiettando una lunga ombra ai piedi di quella che sembrava una montagna coperta di neve. A pochi metri dalla montagna c’era una tavola imbandita a festa, ricoperta di cibarie di ogni genere, e accanto ad essa quattro figure stavano parlando tra di loro.
– Eccoci, – esclamò Kyoko sbracciandosi in direzione della tavolata, e subito una ragazza con i capelli rosa ricambiò il suo saluto.
– Ciao, Kyoko! – disse correndole incontro con un sorriso. Quando vide Asuka, però, la sua espressione cambiò all’improvviso. – Oh… – mormorò esitante. – Buongiorno, Shikinami.
Asuka la fissò con attenzione, cercando di ricordare dove avesse già visto quei capelli e quei nastrini rossi. Poi, finalmente, la Second ricordò tutto. – Tu… – disse, – tu sei quella del bagno.
La ragazza annuì timidamente. – Sì… – mormorò abbassando il capo. – Mi chiamo Madoka, Madoka Kaname.
Asuka continuò a guardarla fissamente, mettendola un po’ a disagio. – Hai cercato di fermarmi, ieri.
Madoka arretrò appena, portando le mani avanti come per proteggersi. – Scusami! – si affrettò a dire. – Non volevo…
– Ancora a scusarvi! – sbottò il pilota. – Siete inqualificabili, voi giapponesi.
Asuka si avvicinò a Madoka con passo marziale, tendendole la mano ed esclamando con aria imperiosa: – Io sono Asuka Shikinami Langley. Grazie, Madoka Kaname.
Kyoko, Mami e Misato impallidirono, stupefatte dalle parole della rossa, e Madoka perse all’istante quel poco di colore che le era rimasto. – Come, scusa?
– Ho mandato quei due tizi all’ospedale, – disse Asuka senza ritrarre la mano. – Se non mi avessi fermata, chissà cosa avrei fatto.
– Ah… capisco. – mormorò Madoka. Prese la mano di Asuka stringendola delicatamente, al che la Second rispose con una stretta vigorosa, ma tutto sommato cordiale.
– Hai avuto fegato, Kaname, – disse con un sorriso spavaldo. – La prossima volta, però, farai bene ad avere più cervello che fegato.
Madoka sorrise impacciatamente a quella minaccia neanche tanto velata, e nessuno dei presenti riuscì a capire se si trattasse di uno scherzo o di un avvertimento concreto.
– Ehi, che avete da chiacchierare tanto?
Shinji e Rei si avvicinarono ad Asuka insieme ad una ragazza con un caschetto di capelli turchini, leggermente più scuri di quelli di Ayanami. Sembrava che fosse stata lei a parlare.
– Asuka, lei è Sayaka Miki, – intervenne Misato. – Il Quinto Soggetto Deviante.
– Beh, pare che le presentazioni siano finite, – disse Asuka stringendo la mano di Sayaka. – E adesso, cosa volevate fare?
– Ecco… – abbozzò Shinji. – Io, Kaname, Tomoe e Ayanami abbiamo preparato qualcosa da mangiare.
– E poi, – esclamò Kyoko con gli occhi luccicanti, – c’è la torta!
Asuka storse un sopracciglio. Non c’era traccia di torte, su quella tavola imbandita a festa. – Quale torta?
Kyoko rivolse un avido sguardo alla montagna illuminata dal lampadario, portando la Second a fare lo stesso. Fu allora che Asuka si rese conto che quell’affare era una gigantesca torta, quasi del tutto ricoperta da una fioccante massa di panna. Centinaia di ciliegie al maraschino risplendevano con una lieve sfumatura violetta sotto la luce del lampadario, incorniciate fra sbuffi di panna e riccioli di cioccolato. Come fosse umanamente possibile cucinare una cosa del genere, Asuka non avrebbe saputo dirlo.
– Notevole, vero? – ammiccò Mami. – Ha richiesto quasi più lavoro di tutto il resto, ma Kyoko ci teneva tanto.
– Diciamo che neanche a me dispiace, – disse Sayaka divorando la torta con lo sguardo.
– Sarebbe stato più facile, se avessi detto di sì a Kyuubey, – la rimproverò Kyoko in tono scherzoso. – Avresti potuto chiedergli una torta, o almeno ci avresti aiutato con la tua magia. E invece non hai aiutato nemmeno il povero Shin-chan!
– Ti ho già detto che ai fornelli sono una frana, – si difese Sayaka. – E poi, c’era Madoka, al posto mio.
Shinji si limitò a sorridere con espressione calma. – Non è un problema, Miki, davvero, – disse. – Mi piace stare ai fornelli, e Kaname e Ayanami sono validissime assistenti. E poi, – aggiunse con un certo imbarazzo, – Tomoe è bravissima, in cucina.
Asuka sentì un lieve languore risalire dal suo stomaco, e decise di intervenire per far terminare quella conversazione. – Sì, sì, ho capito, – esclamò. – Ora, che ne direste se ci mettessimo a mangiare, una buona volta?
– Ah, finalmente! – proruppe Kyoko abbracciando Asuka con un gesto cameratesco. – Una persona che ha il senso delle priorità!
***
– Ma… è buonissimo!
Asuka si aspettava che i piatti preparati da Shinji fossero roba di poco conto, ma dovette ricredersi non appena assaggiò il primo cucchiaio di ramen.
Shinji si portò una mano alla nuca con modestia. – Diciamo che ho fatto di necessità virtù. La signorina Misato non cucina, e il mio tutore ha insistito per farmi imparare qualcosa.
– E ha fatto un ottimo lavoro, aggiungerei, – disse Kyoko azzannando un pezzo di sushi con soddisfazione. – È tutto squisito. E anche Mami se l’è cavata bene, non trovate?
– Per me è diverso, – disse Mami con un sorriso. – Vivo da sola, per me cucinare è una necessità.
Vivevi da sola, – la corresse Sayaka agitando le bacchette. – Adesso vivi alla Nerv con noi, no?
Mami sorrise nuovamente, lasciando trasparire una grande serenità. – Sì, Miki. Hai ragione.
– E tu, Shikinami? – chiese Madoka. – La signorina Misato ci ha detto che non hai dormito a casa sua, in questi giorni. Alloggi anche tu alla Nerv?
– Ehm… – mormorò Asuka immergendo il cucchiaio nel ramen e poi riversando la zuppa nella ciotola. Benché le sapesse usare abbastanza bene, con le bacchette non riusciva a pescare gli spaghetti di soia. – Sì, per ora mi sono trasferita lì.
– I tuoi pacchi però sono nel mio appartamento, – borbottò Misato sorseggiando il contenuto del suo bicchiere, misteriosamente intorbiditosi a seguito della “piccola” correzione operata dalla donna. – Mi hanno bloccato tutti i corridoi. Casa mia non è una reggia già di per sé; se ti ci metti tu con quattro camion di roba, io e Shinji dove viviamo?
– Ho già chiesto alla Nerv di far spostare i pacchi al mio alloggio attuale. Entro domani passeranno a prenderli.
– Non è questo che intendevo, – bofonchiò Misato rimettendo il bicchiere sul tavolo. – Quello che volevo dire… è che se proprio devi riempirmi casa di roba, come minimo devi venire a vivere con noi.
Asuka quasi si strozzò con il brodo del ramen. – Che?
– Ho già preparato la tua camera. Puoi venire oggi stesso, se a te sta bene.
La ragazza rimase per qualche secondo indecisa, rimestando la zuppa con il cucchiaio. – Se proprio insisti, – sbuffò, – stasera mi trasferirò da te.
– Ottimo! – esclamò Misato risollevando prontamente il bicchiere. – Allora, propongo un brindisi per la nuova coinquilina!
– Che esagerata! E poi, non è scotch quello nel tuo bicchiere?
– Lo sarebbe, se me lo potessi permettere!
Forse fu solo un’impressione di Shinji, ma per un attimo sul volto di Asuka transitò un lieve sorriso.
***
Homura percorse rapidamente la breve distanza che separava il suo nascondiglio dall’ospedale, atterrando sul tetto con grazia e guardandosi intorno con circospezione. Non sembrava esserci nessuno, a parte un gatto dal pelo grigio che annusava l’aria in cerca di cibo, e dal gazebo non proveniva alcun suono. Le altre dovevano aver espanso l’interno con la magia.
Si diresse a grandi passi verso la tenda bianca, appoggiando una mano su di essa come per cercare qualcosa. “Non è ancora qui,” pensò sistemandosi i capelli. “Ho ancora tempo.”
Le sembrò di sentire un rumore dietro di lei, ma quando si voltò non vide nulla se non il gatto, ancora intento a curiosare in giro. Scostò le tende, entrando nel grande salone creato da Mami e Kyoko, e sul terrazzo tornò a regnare il silenzio.
Il gatto grigio si avvicinò alla tenda, allungando una zampa sulla sua superficie tesa e grattandola con curiosità. L’animale si allontanò, non più interessato al gazebo, e si diresse verso la porta che collegava il terrazzo con l’interno dell’ospedale. Si fermò accanto alla porta, strusciandosi miagolando contro il nulla.
– Ehi! Vattene via! Vuoi farmi scoprire?
Ci fu un leggero tremolio, e l’aria dietro al gatto si fece progressivamente più opaca, rivelando una piccola massa di tessuto nero e ruvido.
– C’è mancato poco…
Mari Illustrious Makinami sollevò quella specie di mantello, emergendo da lì e stiracchiandosi con una smorfia soddisfatta. – Cavolo, non pensavo di trovarla anche qui. È una fortuna che avessi portato la mimetica ottica.
Il gatto strisciò contro le sue gambe, sollevando la coda e avvolgendola intorno alla caviglia della ragazza con fare compiaciuto. Mari lo sollevò, destando un leggero gorgheggio di protesta. Si portò il gatto davanti al volto, sfiorandogli il musetto con la punta del naso. – Per stavolta ti perdono. Augurami buona fortuna.
Mari depose il gatto a terra, rimise la mimetica ottica nel grande zaino da sopravvivenza e si avvicinò alla tenda, assicurandosi che il piccolo cilindro metallico appeso alla sua cintura stesse mandando luce verde.
– Sto arrivando, Principessa, – mormorò con un sorrisetto. – Aspettami.
***
– Cioè… mi state dicendo che voi avete quindici anni?
– Sedici, in realtà, – intervenne Sayaka. – Inoltre, Mami ne ha quasi diciotto.
Asuka sollevò un sopracciglio con aria pensosa e guardò verso l’alto. – Beh, così si spiega perché non siete in classe con noi. Però, – aggiunse rivolgendosi a Kyoko, – perché tu eri a lezione da noi, ieri?
– Kyoko è rimasta un po’ indietro con lo studio, – spiegò Misato, ma Kyoko la fermò.
– È un po’ più complicato di così, – disse la ragazza servendosi di altro sashimi dal grande vassoio davanti a lei, ormai quasi vuoto. – Io e la mia famiglia… diciamo che abbiamo avuto una storia particolare. La morale della favola però è quella, sono rimasta indietro. È per questo che sono in classe con voi, e non in seconda come Madoka e Sayaka.
– Dì un po’, ma tu chiami tutti per nome? – sbuffò Sayaka. – Insomma, Madoka te l’ha chiesto espressamente, e va bene, ma io non ho mai acconsentito a che tu…
– Preferisci che sia più formale? – la schernì Kyoko con uno sguardo malizioso. – Cotanto riguardo non è da lei, Miki-sama.
– Aaah, sei impossibile! – esclamò Sayaka volgendo gli occhi al cielo.
– Ti ho invitato a chiamarmi per nome, se non sbaglio, – insistette Kyoko indicando verso di lei con le bacchette. – Ho solo dato per scontato che tu mi ricambiassi la cortesia.
– E va bene, chiamami come vuoi, – sospirò alla fine la ragazza. – Ma sappi che da oggi, anch’io ti chiamerò Kyoko.
– Ehi, ho una grande idea!
Tutti smisero di mangiare e fissarono con tanto d’occhi la signorina Misato. La donna aveva evidentemente esagerato col sakè, tanto che ad un certo punto aveva smesso di fingere e se l’era versato direttamente nel bicchiere, e ora le sue guance erano rosse come pomodori maturi. Era un miracolo che il suo cervello riuscisse a mantenere il pensiero lineare con oltre mezzo litro di liquore a spasso nel suo sangue.
– Perché non cominciamo a chiamarci tutti per nome? Così, senza onorifici. D’altronde, – esclamò abbrancando Shinji con il braccio e stringendolo a sé, – siamo una famiglia, no? È giusto che ci prendiamo un po’ di confidenza in più.
Kyoko colse la palla al balzo. – Che bella idea, Misato!
– Vero? – sorrise la donna. I suoi occhi erano un tripudio di serenità familiare e alcolismo. – In fondo, c’è un motivo se sono un’ufficiale della Nerv! Non sei d’accordo, Shinji?
– S… sì, signorina Misato, – balbettò il ragazzo. Misato lo stava stringendo troppo forte, e la sua faccia era quasi a contatto con il seno della donna. Non serve dire che il suo rossore stava eguagliando quello della sua tutrice. – Ora, però, potrebbe lasciarmi andare?
Shinji riuscì a divincolarsi dalla sua presa, e Misato lo guardò con una buffa aria di rimprovero. – Ma insomma, sempre con questo “signorina Misato”! Oh, pazienza, – sbuffò alla fine, – ci lavoreremo su… ora sono tanto, tanto…
Il maggiore Misato Katsuragi si accasciò proprio sulla spalla di Shinji, prendendo a ronfare rumorosamente e destando l’ilarità generale. Shinji fu un po’ meno contento, in quanto dovette sforzarsi di risollevare la donna e di farla rimanere ferma al suo posto.
– Però… – disse Kyoko tenendosi la pancia per le risate. – A ben pensarci, non è un’idea tanto cattiva. Non so voi, ma io sono d’accordo con Misato.
Tutte esclamarono un sì allegro, travolgendo uno Shinji più imbarazzato che mai.
– Certo che non cambia mai, – disse Asuka con le lacrime agli occhi. – Anche quando era con me alzava spesso il gomito, e da noi c’è la birra bavarese!
– E avresti dovuto vederla alla nostra festa di benvenuto! – esclamò Kyoko sporgendosi verso la Second. – Era così brilla che ad un certo punto l’abbiamo convinta a chiamare il suo ex-fidanzato. Gli ha fatto una sfuriata al telefono in pubblico, nel bel mezzo del locale! È stato esilarante.
Tutti risero di nuovo, e stavolta anche Shinji si lasciò contagiare dalla personalità esplosiva della maga in rosso. Rei, invece, sembrava del tutto assente dalla conversazione.
– Ehi, cocca del comandante! – la chiamò Asuka. Questa volta non c’era scherno, in quel soprannome, né rabbia o risentimento. – Perché sei così silenziosa? E poi, non hai toccato né il pesce, né la carne.
Rei rivolse lo sguardo verso la Second, senza mutare espressione. – La carne… mi ripugna.
Asuka rispose a quell’affermazione con uno sguardo perplesso, ma non disse nulla. In altre situazioni avrebbe attaccato una protesta sul fatto che gli animali mangiassero altri animali per sopravvivere o roba del genere, ma in quel momento era troppo felice per rovinare l’atmosfera con un inutile battibecco.
E fu proprio allora, che Asuka capì che, almeno in quell’istante, lei era felice.
– Non fare caso ad Ayanami, – intervenne Madoka. – È sempre piuttosto taciturna.
– Ma al momento giusto sa farsi valere, – disse Mami. – Mi ha salvata, ieri.
La conversazione sembrò esaurita, e tutti tornarono a mangiare chiacchierando tra di loro degli argomenti più disparati. In pochi minuti, quasi tutto il cibo sulla tavola si esaurì, e Mami sollevò una mano con fare teatrale. – Con permesso…
I lembi della tovaglia si alzarono lentamente, intrecciandosi tra di loro e sollevando in aria la tovaglia con il cibo rimasto, i piatti e tutto il resto. Il grande sacco così formatosi roteò su se stesso fino a sparire, e Shinji, Madoka, Sayaka e perfino Asuka si prodigarono in un applauso entusiasta per Mami. Dopodiché, Kyoko fece comparire una tovaglia nuova di zecca, tutta bordeaux con i margini decorati da fiamme rosso rubino. Uno dopo l’altro, dei piccoli piattini da dolce comparvero intorno alla torta, e dall’enorme mole di pan di spagna, panna e crema si distaccarono delle generose porzioni che andarono a riempire i piatti uno per uno.
– Ed ora, – disse Kyoko leccandosi le labbra mentre i piattini scivolavano davanti ai presenti, – vediamo com’è venuto il piatto forte.
– Scusami, Kyoko, – la fermò Asuka, – ma non manca qualcuno?
Le ragazze si scambiarono uno sguardo interrogativo. – Cosa intendi? – chiese Sayaka.
– Beh, so che i Soggetti Devianti sono sei, – spiegò Asuka. – Voi, però, siete solo quattro.
– In effetti, – mormorò Mami grattandosi il mento, – È da un paio di giorni che non vedo Kyuubey.
– Kyu… chi?
– L’essere che ci ha dato i poteri, – spiegò Kyoko. – Lui fa questo, nella vita, esaudisce un tuo desiderio e ti rende una maga per combattere le Streghe.
– Contento lui… – commentò Asuka. – Comunque, questo spiega un assente. L’altro, dov’è?
– Proprio qui.
Tutti si girarono verso l’ingresso del grande salone. Una ragazza con lunghi capelli corvini era appena entrata, richiudendo con cura la porta dietro di sé. – Io sono il Sesto Soggetto Deviante, Homura Akemi. Scusatemi per il ritardo.
 ***
 
L’angolo dell’autore:
Salve a tutti, e scusate per il ritardo. Questo nuovo capitolo fa un po’ da raccordo, ma ci dà modo di osservare una piega interessante nei rapporti fra i protagonisti. Homura e Mari inoltre si stanno ancora muovendo, e sembrano intenzionate a scombussolare parecchio le cose. Come andrà a finire? Lo scopriremo insieme, perché al momento non ne ho la più pallida idea!
Sempre con affetto, vi saluto.
 
Bookmaker

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Capitolo 7
*** VII – Intermezzo, secondo momento: Bailamme ***


VII
Intermezzo, secondo momento: Bailamme
 
– Io sono il Sesto Soggetto Deviante, Homura Akemi. Scusate per il ritardo.
Uno strano silenzio era calato sulla sala, rotto solo dal pesante russare di Misato. Shinji allungò un gomito verso la sua tutrice, che si ridestò con un grugnito e girò la testa dall’altra parte, ancora mezza stordita dalla sbronza di poco prima. – Shinji… – protestò mugugnando. – Non è ancora mattina…
Shinji la pungolò ulteriormente. – Signorina Misato, c’è qualcosa che credo dovrebbe vedere.
La donna aprì pigramente gli occhi, guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa di strano. Quando però i suoi occhi incontrarono la sagoma di Homura, ancora ferma a qualche metro dal tavolo, il suo atteggiamento cambiò all’improvviso.
Misato scattò in piedi, subito imitata da Mami e Kyoko, e anche Asuka fece lo stesso pur non sapendo esattamente cosa stesse accadendo.
– Ciao, Homura, – esclamò Misato con un sorriso amichevole. Era incredibile come il suo tono fosse completamente cambiato, diventando professionale e rassicurante nel giro di pochi secondi. – Finalmente ci conosciamo! Io sono Misato Katsuragi, e sono la vostra responsabile.
– Il piacere è tutto mio, – rispose Homura freddamente. Il suo volto non tradiva emozioni, e i suoi occhi erano intenti a esaminare punto per punto il grande salone. Sembrava distratta, come se stesse cercando qualcosa.
– Siediti, Akemi, – la invitò Mami indicando con un gesto una sedia vuota. Asuka e Shinji non l’avevano notata, prima, e non erano sicuri che ci fosse sempre stata. – Sapevamo che prima o poi saresti arrivata.
Homura attese qualche secondo, prima di rispondere, continuando nel frattempo a perlustrare la stanza con lo sguardo. – Sì, – disse infine. – Arrivo.
La ragazza si avvicinò al banco, ma fece il giro opposto rispetto a quello per arrivare alla sedia indicatale da Mami. Si diresse invece verso Madoka, sollevando la mano destra e facendo così sollevare la sedia in aria. La ragazza dai capelli rosa sembrò un po’ intimorita da quel comportamento, e si spostò leggermente verso Sayaka, ma Homura ignorò la sua reazione e si sedette ugualmente a poca distanza da lei. Kyoko e Mami si scambiarono uno sguardo d’intesa, ma decisero di non fare commenti e si sedettero a loro volta. Asuka si sedette subito dopo, e Misato rimase l’unica in piedi.
– Bene, Homura, – esclamò ostentando entusiasmo. – Finalmente ti sei fatta viva! Devi aver avuto un sacco di cose da fare, in questo periodo, chissà quante ne hai passate! Avrai parecchie cose da dirci, immagino.
– No, in realtà, – disse la ragazza. Un piattino con una grossa fetta di torta si era adagiato sulla tovaglia davanti a lei, sospinto dalla magia di Mami, ma Homura non lo degnò di uno sguardo. – Non ho fatto nulla.
Misato rimase abbastanza stranita da quella risposta che non lasciava spazio a repliche. Si sedette, prendendo a mangiare la sua fetta di torta a piccoli pezzi e studiando Homura con sguardo attento. La ragazza, per conto suo, ignorò completamente il suo dolce, e rimase in silenzio ad osservare Madoka.
Misato riprovò a spingere la ragazza nella conversazione. – Immagino che ci siano un po’ di cose che vorresti chiedermi, ad esempio chi sono, o cosa…
– So già tutto, – la interruppe Homura seccamente. – È per questo che sono venuta qui.
Misato fece un’espressione perplessa. – Scusami, Homura, ma cosa intendi con “tutto”?
– So cos’è la Nerv e qual è il suo scopo, – disse la ragazza abbassando lo sguardo sul piatto ancora pieno. – So dell’esistenza degli Angeli e degli Evangelion, so chi sono i Children, e so chi sono.
Detto questo, Homura rivolse uno sguardo enigmatico a Shinji, Asuka e Rei. – Shinji Ikari, Asuka Shikinami Langley, Rei Ayanami. Vi stavo cercando.
Asuka sentì un inspiegabile brivido di tensione correrle lungo la schiena. C’era qualcosa di strano, in Homura Akemi. – Ehi, aspetta un momento, – esclamò. – Queste sono informazioni riservate! Come fai ad essere entrata in loro possesso?
Misato intervenne per prevenire la discussione incombente. – Asuka, non è il caso di…
– La domanda è giusta, Akemi, – disse Kyoko addentando un pezzo di torta con un sorriso malizioso stampato in volto. – Prima hai detto di non aver fatto nulla, ma sai un sacco di cose che non dovresti sapere. Noi quattro ci siamo sorbite quasi cinque ore di test, scansioni e visite mediche, prima di avere uno straccio di spiegazione. Tu cos’hai fatto, Akemi?
Homura rispose alla stoccata di Kyoko fulminandola con un’occhiata. – Non sono affari tuoi.
– Okay, okay, – disse Mami alzando la voce per sovrastare possibili repliche di Kyoko. – Penso che sia ora di darci una calmata.
– Aspetta, Mami, – esclamò Asuka con fare perentorio. – Miss faccio-la-misteriosa ha qualcosa da dirci.
Gli occhi di tutti si posarono su Homura. Anche Madoka, che fino a quel momento era stata abbastanza restia a rivolgerle lo sguardo, si ritrovò a fissarla timidamente.
– Io… non ho niente da dirvi. – abbozzò Homura. Sembrava un’altra, rispetto a prima, forse a causa dell’attenzione improvvisamente calata su di lei.
– Allora puoi anche andartene, – sbuffò Asuka, scuotendo la testa e accavallando le gambe davanti a sé. Shinji la guardò con un certo interesse, affascinato da quel semplice gesto e dall’onda prodotta dai suoi capelli nel ricaderle sulle spalle. – Se le tue informazioni sono così preziose, evidentemente noi non ti serviamo poi a molto.
Homura si alzò in piedi con uno scatto, facendo sobbalzare Madoka. Mami e Kyoko si guardarono a vicenda per un istante, ma si limitarono a osservare l’espressione concentrata della maga dai capelli corvini. – Per piacere, Shikinami, ascoltami. Non abbiamo molto tempo.
– Oh, insomma! – replicò Asuka chiudendo gli occhi con sufficienza. – Spiegati chiaramente, per una volta.
– Non posso.
– In tal caso, – sorrise malignamente la Second, riaprendo gli occhi e fulminando Homura con uno sguardo, – credo che resterò qui per un bel po’ a mangiare la torta di Mami e Stupi-Shinji.
– Ehi! – protestò il Third Children, sentendosi chiamare in causa con un appellativo così poco lusinghiero. Lui stesso, però, si rese conto di quanto fosse inappropriata la sua lamentela in un momento come quello.
Homura rimase in silenzio per qualche secondo, studiando gli occhi di Asuka e cercando di decifrare la sua espressione beffarda. – Va bene, – si arrese alla fine. – La verità è che fra poco arriverà una creatura.
– Un Angelo? – esclamò Misato scattando sulla sedia. Homura, tuttavia, scosse la testa.
– No. Si tratta di un essere ben più temibile.
– Peggio di un Angelo? – chiese Asuka, sinceramente perplessa. – Se ti riferisci ad una Strega, sappi che ne abbiamo già incontrata una e…
– Lasciami parlare, ti prego! – sbottò Homura, interrompendo Asuka e attirandosi uno sguardo risentito. – Lui potrebbe arrivare da un momento all’altro!
– Lui? – intervenne Shinji. – Lui chi?
– Credo che Homura si riferisca a me, Shinji Ikari.
Una voce acuta, quasi infantile, eppure matura come quella di un uomo adulto, raggiunse Shinji. Il ragazzo si guardò intorno, cercando di scoprire la fonte di quel suono, ma non vide nulla.
– Ehi, Stupi-Shinji, – lo schernì Asuka. – Che stai facendo? Ti dai allo stretching?
– Voi non l’avete sentito? – chiese il ragazzo rivolgendosi alle commensali. Rei lo guardò sollevando leggermente un sopracciglio.
– Di cosa parli, Ikari? – chiese, le sue prime parole dopo un silenzio piuttosto lungo.
– Non so… – mormorò Shinji. – Credevo di aver sentito qualcuno.
– E l’hai sentito davvero, Shinji Ikari. Solo che stai cercando quel qualcuno nella direzione sbagliata.
Shinji sollevò lo sguardo, e le ragazze fecero altrettanto. L’aveva sentito di nuovo, ne era certo. – Ehi! C’è qualcuno?
– Shinji… – intervenne Misato, una lieve preoccupazione dipinta sul volto. – Chi stai chiamando?
– Signorina Misato, c’è qualcuno! – esclamò Shinji. – Mi sta parlando, ma non riesco a capire da dove arrivi la sua voce!
– Adesso stai calmo, Shinji, – disse la donna. – Non c’è nessuno, qui, a parte noi.
In quel momento, Homura spiccò un balzo e raggiunse la parete a ridosso del grande tavolo imbandito. Mami e Kyoko si trasformarono istantaneamente, richiamando i loro abiti da maghe ed evocando le loro armi davanti a sé.
Prima che Mami potesse puntarle addosso un fucile, Homura estrasse dallo scudo una grande pistola automatica e si lanciò con uno scatto sul lampadario posto al centro della sala. Il grande oggetto ondeggiò pericolosamente, spingendo tutti i presenti ad allontanarsi di corsa dalla tavola, e un insistente tintinnio si spanse in tutta la sala.
Senza dire una parola, Homura puntò la pistola contro un punto del lampadario e aprì il fuoco, facendo esplodere diverse lampadine con un rumore di vetri infranti.
– Che succede, Homura? Ti ho fatto per caso qualcosa di male?
Questa volta tutti poterono sentire quella voce squillante risuonare nelle loro teste. Homura digrignò i denti, stringendo convulsamente la presa sull’arma. – Sta zitto.
Una nuova raffica di proiettili investì il lampadario, danneggiando la catena che lo agganciava al soffitto e facendolo cadere rovinosamente al suolo. Homura saltò prima dell’impatto col pavimento, atterrando senza difficoltà a qualche metro dal lucernario e gettando via la pistola ormai scarica.
– Sei scostante come al solito, vedo. È una cosa che proprio non riesco a capire.
– Ma chi diavolo è che parla? – esclamò Asuka, esasperata da quella situazione, e la sua domanda ricevette ben presto una risposta.
– Ma io, ovviamente.
Una specie di palla bianca e batuffolosa rotolò fuori dai resti del lampadario, per poi aprirsi dopo qualche metro. Un piccolo gatto dagli occhi rossi e lucenti prese a guardarsi intorno, agitando mollemente i lunghi ciuffi di pelo che fuoriuscivano dalle sue orecchie e facendo ondeggiare dietro di sé la sua grande coda. – Buongiorno a tutti, – disse, le labbra immobili. – Io sono Kyuubey, e per voi sono il Primo Soggetto Deviante.
***
C’era un’atmosfera stranamente tesa, nel quartier generale della Nerv. Il corridoio del settore di transito era immerso nel silenzio, e le luci erano state in gran parte spente. Il risultato era un lunghissimo corridoio sospeso nel nulla e dal nulla circondato, di cui non si riusciva a vedere la fine. In questo luogo lugubre, solo i passi di Ritsuko Akagi risuonavano distintamente per via dei tacchi che la donna indossava.
– Ehm… senpai Akagi… – mormorò Maya dietro di lei, guardandosi intorno con aria impaurita. – Ma era proprio necessario lasciare accese solo le luci del corridoio?
– Questione di fondi, come sempre, – replicò Ritsuko voltandosi appena. – Il comandante Ikari ha deciso di applicare dei tagli ai consumi.
– Sì… però adesso non si vede praticamente nulla.
Il passaggio di Ritsuko attivò un sensore di movimento, che a sua volta fece accendere le luci in posizione più avanzata. Contemporaneamente, l’area subito alle spalle di Maya fu inghiottita dall’oscurità, facendo rabbrividire la giovane operatrice.
– Guarda il lato positivo, – disse la dottoressa Akagi, una punta di ironia nella voce. – Meglio un taglio ai consumi che un taglio al personale.
Maya fece una breve risata, sforzandosi di apparire rasserenata dalle parole della sua senpai. – Sì, ha proprio ragione. Di questi tempi, poi, non si sa mai cosa può succederci.
L’operatrice si aspettava un’altra risposta arguta, magari condita con il salace sarcasmo della brillante dottoressa Akagi, ma Ritsuko rimase in silenzio, e l’eco dei suoi passi nel corridoio desolato si fece più cupa.
Ma forse fu solo un’impressione di Maya.
***
– E tu… tu saresti l’alieno che trasforma la gente in maghe?
L’espressione di Asuka era impagabile, sospesa fra l’incredulità e il divertimento per quella situazione ai limiti dell’assurdo. – Tu, con quella faccia?
– Perché? – ribatté Kyuubey storcendo la testa di lato con fare perplesso. – Ti sembra tanto strano?
– Ma ti sei visto allo specchio, di recente? ­– esclamò Asuka sollevando un sopracciglio. – Senza offesa, ma sembri un incrocio fra un coniglio e un gatto sotto acidi.
– E meno male che è senza offesa… – commentò Kyoko dando una gomitata d’intesa a Shinji.
– Però è vero, – disse l’alieno. – Immagino che Mami e Kyoko te ne abbiano già parlato. Giusto, Asuka Shikinami Langley?
Lo sguardo di Asuka si fece più serio. – Come fai a conoscere il mio nome?
– Kyuubey è un essere telepatico, – disse Kyoko. – È così che comunica. La sua voce arriva dritta nel cervello, l’hai notato?
– Ragazze, potete fare un attimo di silenzio? – chiese Misato. Non si era mai ritrovata a dover gestire così tante persone, e cominciava a sentirsi in difficoltà.
A complicare ulteriormente le cose, Homura decise di ignorarla del tutto. – Perché sei venuto, Kyuubey?
– Volevo conoscere i famosi Children, ovviamente, – rispose l’alieno in tutta tranquillità, allungando una zampa per grattarsi l’orecchio destro. – E, in secondo luogo, volevo rivedere Sayaka e Madoka.
Detto ciò, si rivolse a queste ultime e le fissò negli occhi rimettendosi sulle quattro zampe.
– Allora, ragazze, avete preso una decisione?
– Beh, – abbozzò Sayaka portandosi una mano alla nuca e nascondendo l’altra dietro la schiena. – In realtà, eravamo ancora abbastanza incerte. Però…
– Loro non sono interessate.
L’interruzione di Homura spinse Sayaka a guardare verso di lei, e ciò che vide la allarmò alquanto.
La maga in nero aveva estratto una nuova arma dallo scudo, un grande fucile a pompa con due canne sovrapposte, e lo stava puntando minacciosamente con Kyuubey. Il suo sguardo era furioso, i suoi occhi ridotti a fessure. Il bossolo rosso del primo proiettile era ben visibile attraverso una piccola apertura nel telaio dell’arma, e Homura lo spinse in canna tirando all’indietro l’astina del fucile con un rumore secco. – E adesso, vattene.
– Mi spiace, Homura, – ribatté Kyuubey. La sua voce era sempre la stessa, inespressiva e inutilmente allegra. – I miei impegni sono troppo importanti, per poter essere rimandati.
– Ora basta, Homura! – urlò Misato. Nessuno l’aveva vista, ma la donna aveva già estratto dalla fondina la pistola d’ordinanza. – Metti giù quel fucile!
La ragazza non diede retta a Misato e sparò alla volta di Kyuubey, producendo un rumore assordante e spingendo Madoka, Sayaka e Shinji a coprirsi le orecchie con un’esclamazione di paura. L’alieno schivò il colpo saltando di lato, e la frammentazione del proiettile fece esplodere un’ampia porzione del pavimento di legno nel punto in cui fino a pochi secondi prima si trovava lui.
– Mami!
All’urlo di Kyoko, la maga bionda sparò contro Homura con un fucile a pietra focaia, materializzandone subito un altro e ripetendo l’attacco più e più volte, sollevando un grande polverone proprio davanti all’avversaria. Contemporaneamente Kyoko scattò verso la ragazza, brandendo l’enorme lancia all’altezza della sua testa.
– Vediamo se questo ti fa calmare un po’! – esclamò la rossa, abbattendo l’asta sul pavimento e sfondando le assi. La tempesta di proiettili di Mami si arrestò, e quando la polvere si depositò al suolo, Homura era scomparsa.
– Ma come…? – mormorò incredula Kyoko fissando la voragine nel pavimento, le mani ancora strette sull’impugnatura della lancia. – Dove diavolo è andata?
Mami sollevò una mano con fare imperioso, e dal pavimento intorno a lei emerse una decina di fucili pronti all’uso. La maga ne afferrò un paio, girando rapidamente su se stessa alla ricerca del suo bersaglio, e fu molto stupita nel ritrovarsi Homura a pochi metri di distanza, il fucile a pompa puntato verso di lei.
– Scusami, Tomoe, – disse la ragazza, trapassando Mami con un’occhiata glaciale. – Tu non mi servi.
***
L’ascensore si fermò con un leggero sobbalzo, e Maya rischiò di perdere la presa sul costosissimo terminale mobile stretto fra le sue mani.
– Beh, eccoci arrivate, – disse la dottoressa Akagi dando un’occhiata alla grande D maiuscola comparsa sul contatore dei piani. Dopodiché, la donna si girò di sfuggita verso la sua assistente. – Seguimi, svelta.
Maya non comprese appieno il senso di quelle parole, ma si mise sull’attenti e andò dietro la senpai non appena le porte dell’ascensore si aprirono. Il corridoio successivo era quanto di più buio Maya avesse mai visto. Man mano che le due avanzarono, dei piccoli led luminosi si accesero a destra e a sinistra, illuminando le pareti dello strettissimo passaggio. Maya si avvicinò ulteriormente alla senpai, quasi stringendosi alla sua schiena.
– Senpai Akagi… – mormorò, guardandosi intorno con soggezione. – Dove ci troviamo?
– È una dipendenza del livello sotterraneo E, – spiegò Ritsuko senza smettere di camminare. – Il livello provvisorio W. È qui che custodiamo il materiale relativo ai Soggetti Devianti.
Maya sbarrò gli occhi con stupore, accostandosi alla senpai nonostante lo spazio angusto in cui si trovassero. – Vuole dire… che io ho l’autorizzazione per entrare in un posto simile?
– Ma certo, – disse la scienziata. – Altrimenti non saresti qui con me.
Il corridoio era giunto ad una porta blindata con diverse sbarre di acciaio a vista che la sbarravano. Probabilmente, l’interno era altrettanto corazzato. Maya fece per avanzare ulteriormente, ma Ritsuko la ostacolò sollevando un braccio e sbarrandole la strada. – Non muoverti, ora, – disse sottovoce. Dopodiché si schiarì la voce, rivolgendosi alla porta e scandendo: – Apertura. Identificativo: dottoressa Ritsuko Akagi. Password: Alma Mater.
Diversi faretti si accesero ai piedi di Ritsuko abbagliando Maya, ma la donna rimase immobile. Una serie di sottili fasci di luce azzurra scaturì dai lati della porta, dal soffitto e dalle pareti laterali, scorrendo lentamente lungo il corpo della donna. Una volta che tutta la sua figura fu mappata, Ritsuko si avvicinò con cautela alla porta d’acciaio e accostò la mano destra al piccolo schermo opaco che sporgeva di qualche centimetro dal muro. Contemporaneamente avvicinò il volto ad una finestrella di vetro scavata nella porta, e sottili fili luminosi scansionarono entrambi i suoi occhi.
Una volta che tutte quelle operazioni furono completate, la porta si aprì scorrendo lateralmente nelle pareti, e rivelò un nuovo ambiente avvolto dall’oscurità.
– Che seccatura, – esclamò Ritsuko in tono stizzito. – Non ne posso più di questo buio. Collegare l’alimentazione secondaria.
Non appena la donna ebbe pronunciato il suo ordine, potenti lampade si accesero davanti a lei, illuminando a giorno un’enorme sala simile ad un incrocio tra un archivio e un laboratorio e destando lo stupore di Maya.
– Coraggio, Maya, – disse Ritsuko. – Abbiamo del lavoro da fare.
– Sì!
Nonostante la stanza fosse abbastanza spoglia, con un unico grande tavolo che ne occupava la parte centrale, non c’era quasi spazio per muoversi. Tanto il tavolo quanto il pavimento erano ingombri di fascicoli e appunti scritti con la tipica, illeggibile grafia di Ritsuko. La gran parte delle pareti era ricoperta di fogli colmi di grafici e formule, molte delle quali risultavano oscure anche per Maya. Il risultato di tutto ciò era un senso di disordine generalizzato, quasi angosciante.
La dottoressa Akagi si avvicinò al tavolo, prendendo una sedia pieghevole e trascinandola verso un’altra identica. – Siediti, forza. C’è qualcosa che dovresti vedere.
***
Il boato dello sparo risuonò cupamente nel salone. Mami rimase immobile, gli occhi sbarrati, domandandosi perché non sentisse alcun dolore.
“Io sono… morta?”
Si sentiva paralizzata, incapace di muovere anche il più piccolo muscolo. Solo i suoi occhi erano ancora sotto il suo controllo, sebbene tremolassero leggermente e faticassero a mettere a fuoco gli oggetti davanti a lei. Il suo sguardo indugiò sul volto di Akemi, contratto in una smorfia di rabbia o di dolore, per poi spostarsi su Madoka e Sayaka, che osservavano atterrite la scena in posizione più arretrata. Mami vide il fucile di Homura passare davanti al proprio volto, la canna ancora fumante per via del colpo appena esploso, ma ebbe l’impressione che ci fosse qualcosa di strano, in quel movimento.
L’arma si spostò dapprima verso la destra di Mami, per poi tornare indietro e colpire Homura alla tempia sinistra. Tutto ciò avvenne in poche frazioni di secondo, che a Mami apparvero dilatarsi in un tempo infinito. Dopodiché, una mano afferrò la maga per il colletto del suo abito e la strattonò via, facendola cadere supina sul pavimento ancora odorante di fumo.
– Mami! Va tutto bene?
La voce di Kyoko non sembrava appartenerle: la preoccupazione che trasmetteva non si addiceva affatto al suo carattere. Tuttavia Mami non fece caso a quel dettaglio, e prese a singhiozzare timidamente per via della tensione.
Kyoko sollevò uno sguardo feroce verso Homura, ma ciò che vide la lasciò stupefatta.
Asuka aveva preso il fucile.
Era stata lei a deviare la traiettoria del colpo indirizzato a Mami, ma non solo. Era riuscita a disarmare Homura, e ora stava lottando con lei in una specie di corpo a corpo usando il fucile come arma da mischia.
– Kyoko! – esclamò Shinji arrivando alle spalle della rossa. – Come sta, Mami?
– È solo un po’ scossa, credo, – lo rassicurò Kyoko. In realtà, lei stessa non si sentiva particolarmente serena. – Si è presa un bello spavento.
– Non ce l’ho con te, Shikinami! – ansimò Homura ripulendosi il sangue colato dall’angolo della sua fronte a seguito del colpo infertole da Asuka. – Fatti da parte!
– Non se ne parla! – urlò Asuka. La ragazza ritrasse il fucile, per poi affondare un colpo mirando all’addome dell’avversaria e colpirla con l’estremità di entrambe le canne.
Homura rimase senza fiato. In parte dipendeva dall’attacco di Asuka, che le aveva completamente svuotato i polmoni comprimendole il diaframma; in secondo luogo, la sensazione delle due canne sovrapposte del fucile che premevano contro il suo stomaco le impediva di pensare.
Asuka tirò il carrello del fucile, espellendo la cartuccia già esplosa e rimpiazzandola con un nuovo proiettile. – E ora, – sibilò lapidaria, – ti consiglio di andartene in fretta.
Homura deglutì a fatica, sforzandosi di rimanere immobile e di sostenere lo sguardo truce della Second Child. – Non posso farlo.
La maga indietreggiò con uno scatto, prendendo Asuka alla sprovvista e spingendola a premere il grilletto. Il proiettile fuoriuscì ruggendo dalla canna dell’arma, spargendo scintille tutt’intorno alla bocca di fuoco, e sul volto di Asuka comparve una smorfia, una specie di sorriso crudele e brutale: a quella distanza, di Homura Akemi non sarebbe rimasta che l’impronta sulla carta da parati.
***
– È straordinario…
– Vero? E quelli sono solo i dati relativi all’elettromagnetismo locale. Tieni.
La dottoressa Akagi porse a Maya una serie di plichi tenuti malamente insieme per mezzo di graffette e spille, e l’operatrice cominciò a sfogliarli con cautela.
– Quelli sono i risultati dei test di valutazione psico-fisica, – disse Ritsuko senza smettere di trascrivere dati sul suo terminale portatile. – Guardali pure, li ho già ricopiati.
Maya scorse rapidamente le cartelle, senza riuscire a trovarvi niente di strano. – Non capisco, – disse mordendosi le labbra per la concentrazione. – Le onde cerebrali sono un po’ alterate rispetto alla norma, ma abbiamo appurato che questo deriva dal contatto telepatico con Kyuubey. A parte questo, non mi sembra che ci sia niente di strano.
– Anche alle ragazze è stato detto lo stesso. Tuttavia, ci sono alcuni dettagli che potrebbero esserti sfuggiti. Prova a leggere i risultati dei test fisici di Kyoko e Mami, e soprattutto l’analisi istologica.
Maya rivolse alla senpai uno sguardo interrogativo, ma non le chiese nulla e scorse i fascicoli fino alle pagine relative al Secondo e al Terzo Soggetto Deviante. Cominciò a leggere attentamente i risultati dei vari test, ma scoprì ben presto di non avere le conoscenze mediche necessarie a comprenderli.
Scosse la testa con determinazione, riprendendo a leggere i dati e confrontandoli stavolta con quelli del Quarto Soggetto, Madoka Kaname, e del Quinto Soggetto, Sayaka Miki. Nuovamente, non le sembrò di vedere nulla di strano, ma un dato catturò la sua attenzione. Non conosceva il significato di quei numeri, ma vederli così diversi nelle due coppie di fascicoli le fece capire la portata di quella anomalia.
– Ma questo… – mormorò incredula. – Questo non è possibile!
– È per questo che ti ho portata qui, – sospirò Ritsuko deponendo il portatile e togliendosi gli occhiali per guardare Maya negli occhi. – Devi aiutarmi a capire cosa diavolo sta succedendo a quelle ragazze.
***
Era sparita.
Asuka rimase impietrita, il fucile ancora stretto fra le mani, a fissare lo sfregio nerastro comparso sulla parete di fronte a lei in seguito al suo sparo. Si guardò intorno, ma Homura era scomparsa.
– Dov’è andata? – urlò. Tutti presero a cercare ansiosamente la ragazza dai capelli corvini, ma sembrava sparita nel nulla.
– Vado a cercarla! – esclamò Kyoko serrando la presa sulla lancia, ma Misato la fermò.
– Nessuno si muova! – urlò la donna. La sua voce aveva riacquistato un piglio autoritario, forse a causa dello spavento di poco prima. Improvvisamente, il fatto che tenesse in mano una pistola non sembrò per niente rassicurante. – Chiamerò il quartier generale e farò circondare la zona. Se Homura è ancora qui, la troveremo.
– Ma…
– Non voglio obiezioni, – disse Misato in tono lapidario, stroncando il tentativo di protesta di Asuka. – Se ci dividiamo, diventiamo un bersaglio facile.
La Second e Kyoko sembrarono non condividere appieno quella scelta, ma preferirono tacere.
La sala era completamente in subbuglio. La torta era stata sventrata da un proiettile vagante, probabilmente sparato da Mami nell’impeto della battaglia, e come risultato si era accasciata sul tavolo con tutta la sua mole, sfondando il piano di legno e imbrattando il pavimento e le sedie tutt’intorno.
I muri presentavano numerosi fori di proiettili, ciascuno circondato da una piccola bruciatura nerastra, e lo stesso valeva per il pavimento. Mentre Asuka e Kyoko si erano avvicinate a Misato e stavano discutendo animatamente con lei, Shinji, Madoka e Sayaka stavano assistendo Mami, ormai ripresasi ma ancora incerta sulle gambe.
Quanto a Rei, la First Child aveva preso una sedia ancora pulita e ci si era seduta. Ora assisteva senza interesse alle scaramucce di Misato e delle due guerriere dai capelli rossi, tenendo però gli occhi vermigli fissi sulla porta d’ingresso. Sembrava che stesse aspettando qualcosa.
Oltre la porta, non si udiva nulla.
***
Homura spiò cautamente l’interno del salone, badando a rimanere nella zona d’ombra proiettata dallo stipite della porta d’ingresso. La ragazza con gli occhi rossi, Rei Ayanami, stava guardando verso di lei. Ritrasse immediatamente la testa e trattenne il respiro, restando in attesa di sue reazioni e sperando di non essere stata vista. Non successe nulla, e Homura si concesse di respirare di nuovo.
“C’è mancato poco…” pensò deglutendo. Ripensò alla scena appena svoltasi, riepilogando gesto per gesto le sue azioni. Nonostante tutto, non era riuscita a convincere i tre ragazzi ad allearsi con lei. “Ho fallito di nuovo”.
Fece per muovere un passo verso l’uscita di quel luogo, ma avvertì un movimento fulmineo proveniente dall’ombra che la circondava.
Prima che potesse fare qualcosa, un braccio si saldò intorno al suo collo in una stretta ferrea. Homura fu trascinata verso il muro, e una mano le coprì la bocca impedendole di parlare.
– Ma guarda che cosa ha catturato il gatto, miao!
Homura rabbrividì nell’udire quella voce familiare, e girando la testa riuscì a vedere il profilo di Mari Illustrious Makinami.
– Salve, Homura Akemi. Ci incontriamo di nuovo.
La ragazza l’aveva abbrancata saldamente, e la fissava con un sorriso spiritato. I suoi occhi, in particolare, fecero gelare il sangue nelle vene di Homura: nel buio della stanza risplendevano di una tenue fosforescenza verde, proiettando un inquietante alone luminoso sul volto della maga.
– Ora toglierò la mano, – disse Mari. Il suo tono era allegro, sebbene stranamente minaccioso. Sembrava un predatore a caccia, una belva che giocava con la sua vittima prima di darle il colpo di grazia. – Naturalmente, se urlerai non potrò garantire per la tua incolumità. Hai compreso?
Homura annuì debolmente, e Mari si esibì in un diabolico sorriso. – Bravo topolino.
La mano scivolò via dalla bocca di Homura, permettendole di respirare di nuovo correttamente. La maga si affrettò a mormorare: – Posso spiegarti tutto.
– Ah-ah-ah, – la interruppe Mari, avvolgendo entrambe le braccia intorno al suo addome e appoggiando la testa sulla sua spalla destra. – Al tempo. Adesso, sarei molto curiosa di sapere che cosa ci facevi qui.
– Io… – esitò Homura. Non avrebbe voluto rivelare il suo scopo, specialmente ad un soggetto che si era dimostrato così imprevedibile. Tuttavia, le circostanze non deponevano a suo favore. – Stavo cercando i piloti degli Eva. Volevo arrivare da loro prima di Kyuubey.
– Ah, sì? – chiese Mari con una punta di ironia. Lentamente, la sua stretta intorno a Homura si fece più forte, arrivando a schiacciarle gli organi interni e provocandole una strana sensazione, più simile alla paura che al dolore. La maga gemette, sforzandosi di rimanere più silenziosa possibile.
– E dimmi, piccola infiltrata, – ghignò Mari. – Perché stavi per fare del male alla Principessa? Perché stavi per ferire Asuka?
– Ti… sbagli, – ansimò Homura. La stretta di Mari era sempre più forte, stava arrivando a comprimerle il diaframma fino a impedirle di respirare. – Shikinami… mi serve per salvarla!
Un’espressione sorpresa comparve sul volto di Mari. La ragazza allentò la presa su Homura, lasciandola riprendere fiato. – Salvarla? – chiese. – Salvare chi?
Homura la fissò negli occhi per qualche secondo, senza dire nulla. – Non posso dirtelo.
Mari fece una smorfia delusa. – Ancora segreti? Pensavo che ormai mi conoscessi abbastanza bene da non nascondermi più questo genere di cose.
– È troppo importante, – disse la maga sostenendo lo sguardo della ragazza. – Non posso mettere a rischio la mia missione rivelandone il significato.
– Okay, va bene, basta che non ricominci a parlare per enigmi.
Homura si accorse ad un tratto che Mari l’aveva liberata dalla sua morsa, arretrando di qualche passo. I suoi occhi, inoltre, erano tornati alla loro normale tinta verde acqua.
– Mi credi, dunque? – chiese Homura avvicinandosi cautamente a lei.
– Suppongo di sì, – borbottò Mari frugando nel suo zaino. – Non avresti motivo per mentire. Inoltre, in base a quanto mi hai detto fino ad ora e a quanto ho visto, deduco che tu e quella specie di gatto alieno non andiate molto d’accordo. La faccenda della Principessa, tuttavia, mi è poco chiara.
– Non ho intenzione di farle del male.
– Lo so, me l’hai già detto. Voglio però che tu sappia, – disse ad un tratto, sollevando lo sguardo dalla sacca e fissando Homura dritto negli occhi, – che se dovesse succedere qualcosa alla Principessa, esigerò di persona una ritorsione dal responsabile.
Homura annuì, intimidita dall’espressione truce di Mari. In risposta a quel gesto, Mari sorrise amichevolmente. – Ottimo. L’importante è capirsi, no?
Estrasse dallo zaino una specie di ampio mantello nero, gettandoselo sulle spalle con un ampio movimento. – Scusami, ho un po’ di freddo. E adesso, perché non torni di là e ti scusi con tutti quanti per il casino che hai combinato?
– Ma…
– Oh, andiamo! – disse Mari con un occhiolino. – Ti accompagno io, così potrò aiutarti a spiegare la tua versione della storia.
– Va… va bene.
Homura voltò le spalle a Mari, dirigendosi poi verso la porta ancora aperta. Si fermò poco prima di varcare la soglia, timorosa di cosa sarebbe accaduto.
– Coraggio, – la incitò Mari picchiettandole la schiena con la punta dell’indice. – Vai!
Homura avanzò oltre, e fu subito abbagliata da un fascio di luce. A quanto pareva, Mami e Kyoko avevano riparato il lampadario. – Ecco… – mormorò, le mani protese a coprirsi il volto. – Volevo scusarmi, e…
– Rei!
Quando Homura aprì gli occhi, scoprì che Rei Ayanami era davanti a lei. La fissava con aria inespressiva, gli occhi rossi puntati nei suoi, le mani distese lungo i fianchi. Homura non l’aveva notato, prima, ma indossava un meraviglioso abito di lino bianco.
– Eseguo.
Rei afferrò il braccio di Homura e lo sollevò, girando su se stessa e immobilizzando la maga minacciando di dislocarglielo. – Aspetta! – esclamò Homura. – Mi arrendo!
– Scusami, – disse Rei con voce monocorde. – Ma questi sono gli ordini.
Il ginocchio della First spinse contro le gambe di Homura, costringendola a mettersi in ginocchio, e in pochi secondi la maga si ritrovò con la faccia schiacciata contro il pavimento e il peso di Rei gravato sulla schiena.
– Ottimo lavoro, cocca del comandante! – esclamò Asuka correndo da lei.
Homura non ascoltò il resto della conversazione. Era troppo impegnata a fissare torvamente la stanza attigua attraverso la porta, constatando che Mari era sparita nella mimetica ottica.
“Okay,” pensò con rassegnazione. “Questa volta hai vinto tu."

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Capitolo 8
*** VIII – Intermezzo, terzo momento: Liquid breath ***


VIII
Intermezzo, terzo momento: Liquid breath
 
– Okay, abbiamo finito. Ottimo lavoro, tutti quanti.
Shinji riaprì gli occhi. Il mare di liquido giallo-arancio che lo circondava ondeggiava lentamente intorno a lui, riempiendogli i polmoni al punto da non permettere al diaframma di contrarsi.
Era una strana sensazione, quella dell’LCL. La prima volta che quel liquido viscoso e maleodorante aveva riempito l’entry plug dell’Eva zero-uno, Shinji si era sentito soffocare. Quando poi aveva riempito i suoi polmoni, il ragazzo era stato preso da una paura terribile, evocata dal pensiero di morire lì, annegato nell’abitacolo di un gigantesco robot.
Solo qualche secondo più tardi la dottoressa Akagi gli aveva spiegato che l’LCL era stato pensato apposta per il rifornimento intrapolmonare di ossigeno, in modo tale da consentire al corpo dei piloti di sostenere le violente sensazioni di uno scontro contro un Angelo.
Il ragazzo rimase in attesa dell’estrazione dell’entry plug dal circuito spinale di simulazione, pensando fra sé e sé agli eventi delle ultime settimane.
Sin da quando erano arrivate Madoka, Sayaka e le altre, la sua routine giornaliera era stata stravolta. In realtà, non si poteva più nemmeno dire che lui avesse una routine: le giornate a scuola erano diventate una giostra impazzita, in cui Shinji si sforzava di divincolarsi da Kyoko e puntualmente non ci riusciva. Una volta Touji e Kensuke avevano cercato di infiltrarsi nel gruppo delle maghe sfruttando Shinji come cavallo di Troia, e ci erano riusciti. Tuttavia, quel giorno stesso, i due avevano finito con l’essere intimiditi dall’angelica bellezza della senpai Tomoe, e non si erano mai più fatti rivedere.
L’impatto di Asuka sulla sua vita, poi, era stato devastante: la convivenza con un colonnello dell’aeronutica quattordicenne si era rivelata più complessa del previsto. In particolare, i turni al bagno, le faccende domestiche e la condivisione degli spazi erano stati argomento di lunghe dispute, che si erano concluse con la libera decisione da parte di Shinji di rinunciare ad ogni diritto sulla propria esistenza.
“In conclusione,” pensò Shinji, “credo di essere almeno in parte felice.”
L’LCL si muoveva lentamente, lambendo dolcemente il suo corpo avvolto nella plug suit e facendo ondeggiare i suoi capelli castani come ciuffi di alghe marine. Il ragazzo respirò, sorpreso dalla piacevolezza del contatto con quel fluido tiepido e denso.
Con una lieve accelerazione verso l’alto, l’entry plug modificato risalì verso la superficie. Il liquido aranciato fu espulso in quattro sottili fiotti, e Shinji si ritrovò di nuovo all’asciutto.
Uscì dalla struttura, rivolgendo un ultimo sguardo al bizzarro cranio di acciaio e cavi elettrici che costituiva il simulatore. Era una figura mostruosa, eppure stranamente umana, e comunicava a Shinji un misto di ansia e sicurezza.
– Buongiorno, Shinji.
Il ragazzo si voltò. – Ciao, Kyuubey, – esclamò. – Che ci fai, qui?
– Niente di particolare, – disse Kyuubey avvicinandosi a Shinji. I lunghi ciuffi che fuoriuscivano dalle sue orecchie fluttuavano nell’aria, seguendo il suo movimento in leggere volute. – Facevo una passeggiata e mi sono trovato a passare di qui.
Shinji indicò con un gesto il corridoio che portava agli spogliatoi. – Stavo andando a cambiarmi, – disse. – Vieni con me?
– Certo, – rispose la creatura, e si mosse in avanti anticipando Shinji e facendogli strada lungo la passerella sospesa sul grande bacino di LCL.
– Ehm… scusami, Kyuubey, – esitò Shinji, – come fai a conoscere la strada?
– L’altro giorno ho stabilito un contatto con te, ricordi? – replicò l’alieno voltandosi verso Shinji e rivolgendogli il suo solito sguardo inespressivo. – Da quel momento, io sono capace di comunicare telepaticamente con te. In questo momento, mi sto solo rifacendo ai tuoi ricordi sul percorso. Ovviamente, tu puoi fare lo stesso con me.
– Ah… capisco.
– E non solo, – continuò Kyuubey. – Puoi comunicare telepaticamente con chiunque abbia avuto un contatto con me.
Shinji guardò l’alieno con aria interrogativa. – Quindi sono connesso anche con Mami e le altre?
– Precisamente.
– Esatto, Shin-chan, quindi bada bene a ciò che pensi prima di andare a dormire!
Il commento di Kyoko risuonò nella testa di Shinji come uno sparo di fucile, facendo arrossire il ragazzo e portandolo a guardarsi attorno. – Kyoko? – chiamò timidamente.
– Ehilà! Sono quassù!
Shinji alzò lo sguardo verso la grande vetrata che si affacciava sul ponte di sperimentazione. La maga rossa lo stava salutando sbracciandosi, sotto lo sguardo divertito di Misato e Mami. – Buongiorno, Shinji, – lo salutò quest’ultima facendo un lieve gesto con la mano. – Ho visto che il test è andato bene.
– Buongiorno a te, Mami, – rispose Shinji. Gli veniva abbastanza difficile parlare in quel modo, immaginando non solo le parole ma anche il tono con cui avrebbe voluto pronunciarle. – E anche a lei, signorina Misato.
– Eravamo qui per alcuni controlli, – spiegò Mami. – Abbiamo pensato di farti una visita. La signorina Misato è stata tanto gentile da invitarci a cena.
– Sbrigati a salire, Shinji! – pensò Misato incrociando le braccia e picchiettandosi nervosamente il gomito sinistro con le dita della mano destra. Sembrava essersi subito adattata a quel sistema di comunicazione, tanto da riuscire a far risuonare tutta la propria impazienza nella mente di Shinji. – Non sono andata nemmeno a pranzo, oggi!
Il ragazzo non indugiò oltre, e riprese a camminare verso gli spogliatoi. Kyuubey l’aveva aspettato, e subito tornò a precederlo lungo la passerella.
– Ad ogni modo, – disse l’alieno, – non devi preoccuparti. Se vuoi nascondere i tuoi pensieri, nessuno potrà conoscerli, nemmeno io.
Shinji fece una faccia sollevata, al pensiero che avrebbe potuto conservare almeno la privacy dei propri pensieri.
– Inoltre, – riprese Kyuubey mentre una porta automatica si apriva per lasciar passare lui e Shinji nel corridoio seguente, – la telepatia ha una portata limitata a qualche decina di metri. Persone come Mami possono estenderla fino a cento metri o poco più, ma non ho mai visto un essere umano che fosse capace di spingersi oltre questo limite.
Shinji continuò a seguire l’alieno. L’LCL aveva già cominciato a evaporare, lasciando una patina appiccicosa sui suoi capelli e sul suo volto. Era una sensazione strana, non del tutto sgradevole ma in qualche modo inquietante.
Percorsero il resto del corridoio in silenzio. Una volta raggiunti gli spogliatoi, Kyuubey si fermò dietro al grande telone di plastica che faceva da divisorio fra gli armadietti, in modo che Shinji potesse spogliarsi in privato.
– In realtà, – disse ad un tratto, – c’era una cosa che volevo chiederti.
Shinji si infilò la camicia dell’uniforme scolastica. Non gli piacevano le maniche corte, ma col caldo perenne che caratterizzava la sua epoca c’era poco da fare. – È per questo che mi hai seguito fino a qui? – chiese. – Perché nessuno ci sentisse?
– Non volevo che qualcuno influenzasse la tua decisione, – si giustificò Kyuubey. – E se ti avessi detto chiaramente di volerti dire qualcosa in privato, Kyoko ci avrebbe sicuramente seguiti.
– Già, – ammise Shinji finendo di abbottonare la camicia e infilandosela nei pantaloni. – Non credo che avrebbe resistito alla tentazione di farsi i fatti miei. Comunque, cosa c’è di tanto importante? E quale decisione dovrei prendere?
Kyuubey rimase per qualche istante in silenzio. La sua sagoma era chiaramente visibile al di là del telone di plastica, la sua coda continuava a fluttuare con un movimento vaporoso. – Allora? – lo incalzò Shinji tirando via la tenda. – Cosa c’è?
Kyuubey lo guardò. I suoi piccoli occhi rossi furono attraversati da un bagliore appena percepibile. – Shinji Ikari, – scandì in tono solenne. – Vuoi stipulare un contratto con me, e diventare un mago?
***
La Renault Alpine di Misato era ormai piuttosto silenziosa. Kyoko stava mangiando come suo solito, cercando senza troppo impegno di non spargere briciole sui sedili posteriori della macchina. Asuka, ovviamente seduta al posto davanti, continuava a tamburellare impazientemente le dita sul bracciolo della portiera, studiando con aria distratta le nuvole che veleggiavano nel cielo limpido del tardo pomeriggio. Mami e Misato erano rimaste fuori, e aspettavano Shinji chiacchierando di qualcosa che ad Asuka non interessava sapere. Quanto a Rei, lei aveva rifiutato l’invito a cena affermando di avere qualcosa da fare. Una volta terminati i suoi test, aveva salutato col suo tono distaccato ed era andata da qualche parte nel quartier generale.
– Ehi, Asuka, – esclamò Kyoko porgendo alla Second uno dei soliti stecchini. – Ti va?
– No, grazie, – rispose Asuka senza spostare lo sguardo da una grande nuvola a forma di dirigibile.
– Sicura? – insistette la maga, facendo ticchettare i biscotti nella confezione. – Non hai messo niente sotto i denti, dall’ora di pranzo. Non si ammazzano gli Angeli, a stomaco vuoto.
Asuka si voltò appena verso la mano di Kyoko. Stavolta, lo stecchino era ricoperto di rosa. Fragola, senza dubbio.
– Se proprio insisti… – disse, ed estrasse uno stecchino per poi addentarlo. Doveva ammetterlo, il cibo era più invitante quando era Kyoko a offrirlo. – Grazie.
– Un grazie dall’impenetrabile Asuka Shikinami Langley! – la schernì Kyoko con un sorriso beffardo. – Che rarità!
– Non ti preoccupare, – rispose Asuka spezzando lo stecco fra i denti. – Non ne sentirai altri per un bel po’.
– Scusa, scusa. Ad ogni modo, prego.
La conversazione sembrò terminata, ma il silenzio che seguì lasciò Asuka con l’amaro in bocca, nonostante il biscotto. – Quello stupido di Shinji… – borbottò, abbastanza forte da poter essere udita da Kyoko. – Ma quanto diavolo ci mette?
La maga sghignazzò, cercando di trattenere una fragorosa risata. – Che c’è? – chiese Asuka, domandandosi il perché di quella reazione.
– Niente, niente, – glissò Kyoko cercando di ricomporsi. – È che stavo pensando al soprannome con cui l’hai chiamato l’altro giorno.
– Stupi-Shinji, intendi? – sorrise Asuka.
La maga rossa esplose in una risata incontrollabile. Bastava davvero poco, per farla divertire.  – Sì, sì! Ma come ti è venuto?
– Beh, lui è un po’ Stupi-Shinji, dai! Potrei cominciare a chiamarlo sempre così.
– Povero Shin-chan, lo maltratti sempre.
 Le due si fecero una risata. Asuka fu nuovamente meravigliata dall’effetto che la vicinanza delle maghe aveva su di lei. Lei, l’asso indiscusso dell’aviazione europea, poteva nonostante tutto sorridere e sparlare con una sua coetanea. Comportarsi come una ragazza normale, contrariamente a tutto ciò che aveva sempre pensato, dava una sensazione piacevole.
– Però, sul serio, – disse ad un tratto Kyoko. – Dov’è finito?
***
Homura sussultò leggermente. Le era parso di sentire qualcosa, ma forse era stata solo la sua immaginazione. Aprì gli occhi, rimanendo supina sul letto della sua cella di contenimento, e fissò il soffitto con aria assorta. Si accorse che la camicia dell’uniforme scolastica le dava fastidio. Cercò di sistemarla con un movimento delle spalle, ma senza riuscirci del tutto.
Non aveva mai dismesso l’abito da maga, da quando era arrivata in quel mondo, e non aveva avuto modo di cambiarsi: erano stati giorni troppo pieni per poter pensare all’abbigliamento. Solo adesso si rendeva conto di quanto fosse scomoda la sua camicetta bianca. Si slacciò il grande fiocco rosso fissato al collo della camicia, abbandonandolo distrattamente sul pavimento accanto al suo maglione color crema e alle scarpe.
“Per quanto tempo dovrò rimanere qui?” pensò, sollevando una mano e indugiando con lo sguardo sulle pieghe che ne segnavano il palmo. – Dottoressa Akagi?
Non ci fu risposta. Il grande altoparlante appeso in un angolo della stanza rimase muto. Homura si alzò in piedi e si infilò le scarpe, raccogliendo i vestiti sparsi al suolo e riponendoli poi sul letto quasi intatto. Dopodiché si avvicinò alla porta, verificando che non ci fossero serrature. Sembrava un qualche tipo di porta automatizzata, e di certo non si sarebbe aperta anche sparandoci contro.
“È sempre una prigione, dopotutto.”
In effetti, era difficile pensare a quel posto come ad una cella. Era un ambiente luminoso, pur trovandosi nel Geo Front sotterraneo, e aveva almeno un minimo di arredamento a rallegrarlo. Tuttavia, era una stanza fin troppo silenziosa. Una delle pareti, inoltre, era completamente priva di mobili; Homura sospettava che celasse un qualche sistema di sorveglianza, ma aveva preferito comportarsi normalmente e non dare nell’occhio.
– Dottoressa Akagi, posso parlarle?
Dall’altoparlante scaturì un leggero crepitio, seguito da un rumore sordo. – Dimmi, Homura, – disse la dottoressa Akagi. – Ti ascolto.
– Vorrei sapere se le misure contentive nei miei confronti possono cessare.
– Mi dispiace, è ancora presto.
– Quanto ci vorrà?
– Non molto, ormai. Dobbiamo finire di analizzare i tuoi pattern psicologici, dopodiché potrai andare.
– Capisco, – mormorò Homura. – Immagino che la mia aggressione contro Kyuubey non abbia deposto a mio favore.
– Non posso dire il contrario.
La maga sospirò, sedendosi pesantemente sul letto e passandosi una mano fra i lunghi capelli neri. Non poteva alienarsi la fiducia della Nerv, ma rimanere lì avrebbe voluto dire dare altro tempo a Kyuubey.
E perfino lei non aveva più tempo.
***
Shinji arrivò in silenzio, portandosi dietro la cartella scolastica. Kyuubey zampettava a fianco a lui, la coda che sventolava lentamente.
– Finalmente! – esclamò Misato. – Ti stiamo aspettando da quasi un’ora, cos’hai fatto per tutto questo tempo?
Shinji distolse lo sguardo, passandosi una mano dietro la nuca con aria distratta. – La dottoressa Akagi mi ha chiamato per dirmi che domani avevamo la giornata libera.
– Ma non te l’avevo già detto io? – incalzò la donna.
– Sì… ma lei pensava che io non sapessi nulla, e ha voluto riferirmelo personalmente.
– Quella Ritsuko! – esclamò Misato avvampando di rabbia. – Mi crede sempre irresponsabile! La prossima volta che la vedo…
– No! – esclamò Shinji. Misato gli rivolse uno sguardo perplesso, e lui si corresse subito con un tono più pacato. – Volevo dire… che anche la dottoressa Akagi si è scusata. Non voleva essere sgarbata nei suoi confronti.
– Ah… meglio così, – disse la donna. Sul suo volto comparve un sorriso rassicurante. – E adesso, ti dispiacerebbe salire in macchina?
Queste ultime parole furono pronunciate con un tono particolarmente significativo, che spinse Shinji ad affrettarsi ad aprire la portiera posteriore della macchina. – Prego, Tomoe… – mormorò con un leggero rossore sulle guance.
La ragazza gli sorrise dolcemente ed entrò in macchina, mentre Misato chiudeva la propria portiera e accendeva il motore. – Grazie. Ma prego, chiamami Mami.
– E tu… – rispose Shinji salendo impacciatamente in auto e chiudendo la porta. – Tu puoi chiamarmi Shinji. Voglio dire, se ti fa piacere…
– Sì, Shinji, – disse Mami. – Mi piacerebbe molto.
Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale Shinji fissò intensamente il volto di Mami.
– Ehi, piccioncino! – proruppe Kyoko interrompendo l’idillio. – Si può sapere che fine avevi fatto? Guarda qui, – disse porgendogli il pacchetto di biscotti. – Ho finito un’intera scatola di dolci!
– Ma è ancora piena a metà, – obiettò Shinji.
– Questa è la seconda scatola, cosa credi? Mi porto sempre dietro una scorta di emergenza.
Asuka intervenne a sua volta, voltandosi dal posto del passeggero e rivolgendo un’occhiataccia a Shinji. – Potremmo tornare alla domanda principale? Perché ci hai messo tanto?
– Sono stato trattenuto dalla dottoressa Akagi, tutto qui. Scusatemi se vi ho fatto aspettare così tanto.
– E lui? – esclamò Asuka indicando Shinji. – Che ci fa, qui?
Shinji fissò Asuka senza capire a cosa si riferisse, ma poi seguì il suo dito. Kyuubey era entrato di straforo in macchina, accoccolandosi sul grembo di Shinji in attesa che qualcuno si accorgesse di lui. – Salve, Asuka, – disse l’alieno. – Ho pensato di seguirvi, per incontrare Madoka e Sayaka. È dal giorno dell’incidente con Homura che non ho più parlato con loro.
– Oh, ciao, Kyuubey, – lo salutò Misato rivolgendogli uno sguardo di sfuggita e tornando poi a guardare la strada davanti a sé. – Se vuoi venire con noi fai pure, ma non ho mangime per animali a casa mia. Ho del pesce, ma Pen Pen ne è molto geloso.
– Non ti preoccupare, Misato, – disse Kyuubey. – Io non mangio semplice cibo per animali. A tal proposito…
Lo sguardo dell’alieno si posò su Mami. – Hai finito di utilizzarlo?
La maga prese a frugare in una tasca dell’uniforme. – Sì, certo. Scusa se non te l’ho dato già prima, ma la dottoressa Akagi voleva analizzarlo. Me l’ha ridato solo poco prima che uscissimo dal quartier generale.
Mami estrasse dalla tasca un piccolo oggetto, una pietra annerita e opaca incastonata in una cuspide di metallo rugginoso. Asuka e Shinji o guardarono con curiosità. – Cos’è? – chiese la Second.
– È un Grief Seed, – spiegò Mami mostrando la pietra ai Children. Anche Misato rivolse una rapida occhiata a quell’oggetto, catturata dal suo aspetto. – Le Streghe li lasciano cadere quando vengono sconfitte.
Asuka rimase a fissare il Grief Seed per qualche secondo. C’era qualcosa di strano, in quella specie di pendente, qualcosa di corrotto. – Ne so quanto prima. Potresti spiegarlo in maniera meno criptica?
– Detto in parole povere, – intervenne Kyoko, – il Grief Seed è l’essenza della maledizione della Strega. Contiene il suo potere, e noi maghe lo utilizziamo per purificare le nostre Soul Gem. Basta avvicinarlo alla pietra e funziona come una spugna, assorbendo le impurità accumulate con l’utilizzo.
– Sembra la pubblicità di un detersivo per piatti, – la schernì Asuka. – Ad ogni modo, quell’affare mi sembra bello pieno.
– È per questo che ho chiesto a Mami di darmelo, – disse Kyuubey volgendosi verso la maga dai capelli biondi. – Anzi, se permetti…
Mami lanciò l’oggetto a Kyuubey. L’alieno abbassò la testa, protendendo la schiena verso il Grief Seed. L’area ricoperta dalla losanga fucsia si sollevò di scatto, rivelando l’interno cavo del corpo dell’alieno, e il pendente scomparve in quella specie di bocca.
– Che schifo era? – urlò Asuka, ritraendosi verso il cruscotto con aria disgustata e facendo sobbalzare Misato. Shinji, dal canto suo, rimase impietrito da quella scena da film dell’orrore, specie perché si era verificata sulle sue gambe.
– È un po’ complicato da spiegare. Diciamo che è il mio modo di nutrirmi, – disse Kyuubey mentre la tasca si richiudeva sotto gli occhi stravolti di Shinji. – So che non è molto grazioso, ma una volta che il loto potere purificatore si esaurisce, i Grief Seed devono essere smaltiti. Questo è l’unico modo.
– Almeno avverti, la prossima volta! – protestò Asuka. – Mi hai fatto prendere un colpo!
Kyoko puntò uno stecchino contro la Second, sorridendole maliziosamente. – Che c’è, Asuka? Ti spaventi per così poco? Non me l’aspettavo, dal formidabile asso dell’aviazione europea.
– Perché a te sembra normale, quell’affare? Voglio dire, ha una fottuta bocca sulla schiena! È disgustoso!
– Che esagerata…
– In effetti anch’io sono rimasta impressionata, la prima volta che l’ho visto mangiare, – disse Mami. – Col tempo però ci si abitua.
– Intendi dire che lo rifarà? – chiese Shinji senza allontanare lo sguardo da Kyuubey, abbastanza preoccupato da quell’eventualità.
– Okay, – sbottò Misato. – La prossima volta, prendete tutti quanti l’autobus!
***
C’è silenzio.
Lo spazio si è fatto
strano,
vitale eppure spogliato
da ogni forma di vita. Come il cielo,
ma privo dell’angoscia nata dal vuoto,
privo di quella sensazione spiacevole
di essere troppo
troppo
lontana da casa.
È proprio mio, questo spazio,
dove il mio essere si cala nell’essere,
e la mia immagine si fa forma dell’Io.
Quante sono,
Io?
– Rei?
Rei aprì gli occhi, guardando placidamente il corridoio davanti a sé. Un uomo la stava fissando. Indossava una giacca con una mostrina triangolare verde, e un paio di guanti bianchi. I suoi occhiali ambrati riflettevano la luce del corridoio, rendendo impossibile distinguere i suoi occhi. – Forza, Rei, – disse l’uomo. – Dobbiamo andare.
***
– Comandante Ikari?
Gendo sollevò lo sguardo verso l’altro capo del tavolo, cercando di mettere a fuoco l’esile sagoma di Rei. La mensa ufficiali della Nerv era un ambiente raffinato, senza dubbio, ma la luce scarseggiava. – Sì, Rei?
La First Child era seduta di fronte a lui. Indossava un lungo abito bianco, con un fine ricamo di pizzo sull’orlo. Era stato Gendo a dirle di indossare quei vestiti, ovviamente: Rei non avrebbe mai dismesso l’uniforme scolastica.
– Stamattina mi è stato ordinato di trattenermi qui, – mormorò la ragazza. I suoi grandi occhi rossi scrutavano senza sforzo il volto di Gendo, nonostante il buio che avvolgeva l’ampio salone. – Posso saperne il perché?
Il comandante Ikari sfiorò il cibo nel suo piatto con la forchetta, ma depose la posata sul bordo del piatto con i rebbi rivolti verso il basso. – Rei, – disse alzandosi dal tavolo e pulendosi le labbra con un tovagliolo. Sembrava incerto delle sue parole, come se stesse cercando il coraggio di dirle. – Vieni con me.
Camminarono a lungo, fino a raggiungere l’ascensore principale del Geo Front. Qui, Gendo estrasse da un taschino una tessera magnetica rettangolare. Se la rigirò fra le mani per qualche secondo, per poi inserirla in una fessura nella pulsantiera dell’ascensore. L’ascensore partì con un’intensa accelerazione, e una tenue luce verde si accese sul pannello metallico.
Rei non disse niente. Si limitò a fissare il panorama dei livelli più profondi del Geo Front, un bizzarro susseguirsi di strutture che ricordavano un gigantesco organismo sotterraneo. Ad un tratto, però, l’ascensore sprofondò in un pozzo buio. I faretti al led della cabina si accesero dopo pochi istanti, diffondendo una debole luce bianca sulle pareti di vetro antiproiettile. Gendo percorse con lo sguardo i simboli incisi sulla superficie nera del pozzo. – I vecchi della Seele hanno raggiunto un nuovo livello di insensatezza, – commentò Gendo sottovoce. Rei si voltò appena, forse incuriosita dalle sue parole. Ancora una volta, però, la ragazza rimase in silenzio.
L’ascensore si fermò. Le porte scorrevoli di vetro si aprirono su una parete nera. Sembrava una lavagna, nonostante la sua superficie fosse evidentemente quella di una roccia ruvida e irregolare. Grossolani segni impressi da gesso bianco si componevano in disegni di facce devastate dalla paura, con occhi vuoti e stravolti.
“Gli spauracchi della Seele.”
Gendo estrasse la carta magnetica dalla fessura del pannello, e la parete davanti a lui scomparì nel pavimento. L’uomo uscì dall’ascensore, subito seguito da Rei, e insieme si incamminarono nell’ultimo corridoio.
Raggiunsero una stanza completamente buia. Quando vi entrarono la fioca luce del corridoio filtrò attraverso la porta aperta, ma subito dopo tornò a regnare l’oscurità.
– Sono qui, – annunciò Gendo. Un ronzio elettrico permeò l’aria, e un fascio di luce mostrò l’enorme immagine di un monolito nero contrassegnato dal numero uno.
– Ti stavamo aspettando, – sospirò una voce, apparentemente proveniente dall’enorme stele. – Siediti, Ikari.
– Rei è con me, – disse l’uomo, poggiando un braccio sulla spalla sinistra della ragazza. – È il momento di illustrarle i progetti della Seele.
***
La serata stava andando bene. Asuka, Sayaka e Kyoko battibeccavano allegramente dall’inizio della cena, mentre Shinji, Mami e Madoka facevano da silenzioso contorno alla scena. Misato, invece, si era costruita un fortino di lattine di birra vuote, e lo fissava pigramente rigirando gli spaghetti di soba nella sua ciotola.
Shinji guardò la donna per qualche istante, senza però soffermarcisi realmente. La sua mente era impegnata in un altro pensiero, che lo tormentava da diverse ore senza dargli tregua. La coda fioccosa di Kyuubey, acciambellato placidamente sul pavimento, non fece che peggiorare quella sensazione.
– Scusami, Shinji…
La voce di Madoka riportò Shinji alla realtà. – Sì, Madoka?
– Homura… – esitò la ragazza. – Homura è ancora sotto custodia della Nerv, vero?
– Credo di sì, – rispose Shinji rigirandosi le bacchette di legno fra le dita. – Non mi hanno detto gran che, in realtà.
– Ah… capisco.
La ragazza rivolse lo sguardo da un’altra parte. Shinji rimase attonito, fissando mortificato l’espressione di Madoka. – Però, – esclamò alla fine, – la signorina Misato mi ha detto che sta bene. La stanno solo sottoponendo alle stesse analisi di Mami e Kyoko.
– Shinji ha ragione, – intervenne Mami. – Vedrai che tra pochi giorni verrà a cena insieme a noi.
Madoka sorrise, un po’ consolata dalle parole di Shinji e Mami. All’improvviso, un trillo riempì la piccola cucina di casa Katsuragi. Misato afferrò svogliatamente il cellulare, portandoselo all’orecchio e rispondendo mugugnando. – Pronto?
Shinji e le ragazze non riuscirono a sentire il resto della conversazione. Videro solo l’espressione sul volto del maggiore cambiare repentinamente in una smorfia rabbiosa. – Ho capito. Arriviamo subito.
Misato chiuse il telefono con uno scatto, alzandosi in piedi e afferrando la giacca dallo schienale della sedia. – Shinji, Asuka, venite con me. Mami, Kyoko, preparatevi a raggiungerci al Geo Front.
– Ehi, Misato! – protestò Asuka. – Cos’è successo? Sembra che abbia visto un fantasma.
– Signorina Misato… – disse Mami con aria preoccupata. – Va tutto bene?
– No, Mami, – sospirò la donna. – La città è sotto attacco.

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Capitolo 9
*** IX – Terzo movimento: Nascosto nell'ombra ***


IX

Terzo movimento: Nascosto nell’ombra

 
– Un Angelo? Adesso?
Le parole di Asuka rimbombarono nel lungo corridoio mobile del settore di transito. Le alte pareti della struttura erano interamente ricoperte di pannelli illuminati di rosso, con avvisi di pericolo scritti ovunque a caratteri cubitali. – Il diagramma d’onda blu è stato confermato solo dieci minuti fa, – spiegò Misato. Il suo sguardo era fisso davanti a lei, sulla porta che si avvicinava a gran velocità. – Neanche io ne so nulla.
– Mami e Kyoko ci aiuteranno? – chiese Shinji. C’era una nota di trepidazione nella sua voce.
– Chiederò l’autorizzazione al comandante Ikari per farle intervenire nello scontro, – disse Misato sovrappensiero. – L’ultima volta Kyoko ci è stata piuttosto utile, pertanto non credo che ci saranno obiezioni.
– Ma non sappiamo che tipo di Angelo sia! – protestò Asuka. – Non sappiamo nemmeno dove si trovi!
Quelle parole spinsero Misato a riflettere. Non avevano visto nulla di strano, lungo il percorso per arrivare alla Nerv. Gli edifici della città-fortezza non erano nemmeno stati fatti rientrare nel sottosuolo. Sembrava tutto normale.
– È inutile farci domande, – mormorò la donna. – Tra poco ci spiegheranno tutto.
Il pavimento del corridoio continuò a muoversi rapidamente, per poi rallentare in prossimità della fine del settore di transito. Una porta automatizzata si aprì subito prima che il movimento del nastro trasportatore cessasse, e Misato si incamminò con passo marziale verso la sala successiva. Shinji la seguì, ma si fermò sulla soglia.
Il ponte di comando era nel caos. Schiere di operatori armeggiavano con i terminali fissi, urlando informazioni che il ragazzo non riusciva a comprendere, e un gran viavai di uomini armati lasciava presagire la gravità della situazione.
– Muoviti, Stupi-Shinji, – esclamò Asuka, spingendo Shinji in avanti con un colpo secco del palmo. Il ragazzo si scostò, e la Second lo afferrò per il polso prendendo a trascinarlo verso la torre di comando principale. – Ma che fai? Non abbiamo tutto il giorno!
Misato era già arrivata, e stava discutendo animatamente con Shigeru Aoba e Makoto Hyuga, due dei tre operatori di più alto grado. Maya Ibuki, invece, era impegnata a gestire una decina di terminali fissi e mobili insieme alla dottoressa Akagi.
Quando i Children arrivarono a portata d’orecchio, Misato stava finendo di parlare. – … capisco. Insomma, è un attacco diretto.
Makoto annuì, sistemandosi gli occhiali sul volto con un gesto nervoso. – Esatto. I rilevamenti sono stati rieffettuati ogni trenta secondi, dopo la prima individuazione, e hanno dato tutti lo stesso risultato.
– E non è finita, – intervenne Shigeru, i lunghi capelli malamente pettinati per l’agitazione e la fretta. – Abbiamo controllato l’intero circuito di sorveglianza, ma non c’è traccia dell’aggressore.
– Misato! – esclamò Asuka. – Posso sapere che diavolo succede?
Gli operatori tacquero, rivolgendo ad Asuka e Shinji un’occhiata colma di preoccupazione. Anche Maya e Ritsuko smisero di armeggiare con i loro computer, scambiandosi uno sguardo d’intesa.
– Quattordici minuti e venti secondi fa, – disse Maya sollevando uno dei tablet, – è stato rilevato un diagramma d’onda blu. È esattamente come per gli altri Angeli, ma…
Maya sospirò, quindi disse con gravità: – Ma si trova nell’interno del quartier generale.
Shinji e Asuka si sentirono mancare il fiato, a quelle parole. – Nel quartier generale? – esclamò la rossa. – Cioè, nel Geo Front?
Misato annuì. – Esatto, Asuka. Per questo non vi ho inviati alle gabbie. Ora come ora, gli Evangelion sono inutilizzabili.
– Ma come ha fatto un Angelo ad entrare nel Geo Front? – chiese Shinji. – E dov’è, adesso?
– È questo, il vero mistero, – intervenne Makoto. – Non riusciamo a rintracciarlo. Le telecamere di sorveglianza non danno riscontro, e lo stesso vale per i sistemi a rilevazione termocinetica.
Shinji si guardò nuovamente intorno. Nel trambusto generale, riuscì a malapena a notare che suo padre non era seduto al solito posto. Solo il vicecomandante Fuyutsuki scrutava imperturbabile la scena, coordinando la frenetica attività delle squadre di tecnici e soldati. – Ma allora, noi che possiamo fare?
– Per il momento, abbiamo ritenuto opportuno farvi rimanere qui, – disse Ritsuko. Shinji notò che la donna era ritornata a lavorare su cinque diversi terminali in contemporanea, e che stava continuando a farlo anche parlando con lui. – Tuttavia, se entro un minuto non ci saranno nuovi dati, dovrete recarvi alle gabbie ed entrare negli Eva. In questo modo, eviteremo che gli Eva stessi siano aggrediti dall’Angelo.
– E Rei? – chiese Shinji. – E mio padre?
– Rei è già alle gabbie in misura preventiva, – rispose Shigeru. – Inoltre, il comandante Ikari si sta dirigendo da noi in questo momento. Vi consiglio di avviarvi a vostra volta, se…
All’improvviso, tutti i monitor cessarono di emettere luce rossa. Gli avvisi di pericolo si cancellarono, tutti i membri del personale si immobilizzarono per lo stupore, e l’intero ponte di comando cadde in un silenzio irreale.
– Ma che…
Ritsuko e Maya presero a scorrere rapidamente i file accumulatisi in pochi istanti sugli schermi dei terminali. – Non è possibile! – esclamò la dottoressa Akagi, la fronte imperlata di sudore. – È scomparso!
***
La luce verde del piccolo dispositivo di Mari si accese nuovamente, e la ragazza riallacciò l’oggetto alla cintura facendolo tintinnare contro la fondina della pistola automatica.
Tutto aveva funzionato alla perfezione.
Mari continuò a muoversi, restando accovacciata sotto la mimetica ottica. Camminava rasente al muro, tastando di tanto in tanto la parete per rendersi conto della propria posizione. Purtroppo la copertura di fibre ottiche non le permetteva di vedere, e anche i sistemi di isolamento termico le rendevano impossibile seguire sistemi idrici o elettrici sulla base della dispersione di calore. “D’altronde,” pensò la ragazza, “è scienza, mica magia.”
Cercò appoggio al muro con la mano destra, ma non trovò nulla e rischiò di cadere di fianco. Si accovacciò, portando la testa a pochi centimetri dal suolo e sollevando appena un lembo della mimetica ottica. Sbirciò oltre, accorgendosi di essere arrivata ad un incrocio, quindi si affrettò a nascondersi nuovamente per non lasciarsi vedere. Diede un’occhiata ad una piccola mappa piena di scarabocchi, frecce e didascalie varie, localizzando rapidamente la propria posizione sulla base degli spostamenti fatti fino a quel momento. L’ascensore era proprio alla sua destra, a poche decine di metri dall’incrocio dei corridoi.
“Yes!” pensò, lasciandosi sfuggire un sorriso di vittoria. “Ci sono!”
Percorse gli ultimi metri con cautela, più lentamente di prima. Arrivata davanti all’ascensore, si appiattì contro la porta automatica e vi si appoggiò con entrambe le mani. Posò l’orecchio sulla porta: l’ascensore non si stava muovendo. Ottimo.
“E adesso…” pensò Mari, “viene il difficile.”
Fece scorrere una mano lungo il fianco, fino a raggiungere una scatoletta metallica con tre interruttori laterali fissata alla sua schiena. Sembrava un vecchio modello di radio, con tanto di manopola di sintonizzazione. Mari la appoggiò sul pannello di comando dell’ascensore, schiacciando un paio di tasti sul dispositivo e ruotando la manopola di novanta gradi circa. Dopodiché, premette l’interruttore dell’ascensore.
***
– Mh?
Shigeru si voltò di scatto verso Makoto, sentendo il suo verso di perplessità. – Qualcosa non va?
– No, niente, – lo rassicurò l’operatore, distaccandosi per un attimo dalle immagini delle telecamere di sorveglianza. – Mi pareva di aver visto l’ascensore muoversi, ma mi sono sbagliato.
– Fammi vedere… – disse Shigeru guardando a sua volta il monitor. – Sembra tutto tranquillo.
– Sarà stata una mia impressione. Sono ancora teso.
Makoto non era l’unico, ovviamente. Benché l’agitazione di pochi minuti prima fosse cessata, il personale del ponte di comando era visibilmente vittima dell’inquietudine. Anche il comandante Ikari, da poco sedutosi al suo solito posto, scrutava in silenzio i monitor e le registrazioni dei sistemi di sorveglianza, assorto nei suoi pensieri.
– Lasciamo perdere, per ora, – glissò Shigeru abbozzando un sorriso. L’uomo si guardò intorno con aria attenta. – Piuttosto, il maggiore Katsuragi?
– Non è ancora arrivata alle gabbie, – disse Makoto guardando il suo monitor e ingrandendo un paio di finestre. Il maggiore Katsuragi, Shinji e Asuka stavano camminando a passo svelto in un corridoio privo di porte laterali. – Ma sarà lì in un paio di minuti.
Il comunicatore di Makoto squillò imperioso, e l’operatore si affrettò a risponderle. – Qui Hyuga.
– Siamo quasi arrivati alle gabbie, – esclamò Misato. – La situazione?
– Tutto tranquillo, per ora. La dottoressa Akagi sta esaminando le registrazioni.
– E ha scoperto qualcosa?
Makoto scosse la testa, come se la donna potesse vederlo. – No. Il diagramma d’onda blu era autentico, non c’è dubbio. Tuttavia, sembra essere scomparso nel nulla. Inoltre non ci sono registrazioni anomale, e nei tracciati di sorveglianza non compare nulla di sospetto. Non abbiamo idea di cosa ci abbia colpito.
– O se ci abbia effettivamente colpito qualcosa, – disse il maggiore con tono pensoso. – Il comandante Ikari cosa ne pensa?
– Lui non ha detto nulla, da quando è arrivato, – mormorò Makoto, stando attento a non farsi sentire dal comandante. – Sta studiando i dati in entrata e in uscita dell’ultima ora, ma non ci ha ancora dato nessun ordine. Non so proprio cosa dirle.
La donna rimase per qualche istante in silenzio, per poi fare un lungo sospiro. – Va bene. Per ora porterò i ragazzi alle gabbie degli Evangelion. Tenetemi aggiornata.
Makoto chiuse la comunicazione, continuando a seguire gli spostamenti del maggiore Katsuragi attraverso le telecamere di sicurezza. Accanto a lui, Shigeru stava osservando il monitor della sua postazione a braccia conserte, cercando di interpretare alcune file di dati. Makoto stava per chiedergli qualcosa, ma lui lo anticipò.
– Ancora non riesco a localizzare la fonte dell’emissione. Sicuramente è nel quartier generale, visto che i sistemi di rilevamento esterni non l’hanno registrato. Stavo cercando di risalire alla fonte sulla base della sequenza di attivazione dei sistemi di sorveglianza, ma lo scarto temporale delle rilevazioni è troppo ridotto.
– È naturale, – intervenne la dottoressa Akagi, senza smettere di leggere i tracciati sui suoi terminali portatili. – Le onde elettromagnetiche viaggiano alla velocità della luce. Non disponiamo di apparecchiature tanto sensibili da discriminare rilevazioni così vicine tra loro.
Shigeru annuì, facendo roteare pigramente la sedie girevole. – Non so più che fare, – ammise. – A questo punto, mi verrebbe da pensare che si sia trattato solo di un guasto.
– È l’ipotesi più ragionevole, – concordò Makoto con un cenno del capo. – E anche la più probabile.
Ritsuko alzò lo sguardo dai monitor. – Non vuol dire che sia quella giusta. Dobbiamo analizzare tutte le possibilità, oppure…
Una spia luminosa si attivò nell’angolo in basso a destra del grande schermo centrale del ponte di comando, quello con i diagrammi del Magi System. In pochi secondi, prima ancora che suonasse la sirena d’emergenza, tutto il personale ammutolì.
– Assetto di guerra di primo grado, – scandì il comandante Ikari, le mani intrecciate davanti al volto pensoso. – Prepararsi al lancio degli Evangelion.
***
Mami e Kyoko stavano aspettando da quasi un’ora. Erano arrivate al Geo Front come stabilito, ma Misato le aveva richiamate dicendo che avrebbero dovuto aspettare all’esterno del quartier generale. A Mami non dispiaceva, quella decisione. Per quanto la volta artificiale e priva di stelle trasmettesse un lieve senso di desolazione, la grande piramide che ospitava il quartier generale della Nerv era certamente uno spettacolo imponente.
Lei e Kyoko avevano esplorato l’ampia zona alberata nei pressi dell’edificio principale, girando dapprima intorno al contorno del lago artificiale e percorrendo poi i sentieri che correvano fino alle aree boscose. Qualcuno, strano a dirsi, aveva piantato una ragguardevole quantità di piante di cocomero sfruttando quel lungo tratto di strada sterrata. Naturalmente, Kyoko non aveva esitato a spaccarne una con la sua lancia, e adesso la stava mangiando avidamente seduta su una piccola zolla di terreno, smossa forse per fare spazio alle colture.
– Che buona! – esclamò ad un tratto, leccandosi le labbra e pulendosi le guance con il polso. – Era da un sacco di tempo che non mangiavo della frutta decente!
Mami era rimasta seduta in disparte fino a quel momento, e quando Kyoko se ne accorse tagliò un grossolano pezzo e lo porse all’amica. – Ne vuoi un po’?
– Grazie, Kyoko, – sorrise Mami. – Non ho fame.
– Agitata per la faccenda dell’Angelo? – chiese la rossa, affondando i denti nella polpa e sputacchiando una gragnola di semini neri. – Stai tranquilla. In fondo, Misato ti ha già detto che era stato un falso allarme, no?
– Sarà… – mormorò Mami alzando lo sguardo e abbracciandosi le ginocchia con entrambe le braccia. – Ma allora, perché ci ha chiesto di rimanere?
– Per precauzione, no? – disse Kyoko. Era arrivata fino alla buccia del cocomero, e la gettò via afferrandone la parte restante. Reggeva ancora il pezzo che aveva messo da parte per Mami. – Ti avverto, se quando avrò finito questo pezzo ce ne sarà un altro ancora intero, io lo mangerò.
Mami ridacchiò appena, prendendo il pezzo di cocomero offertole da Kyoko. – Grazie.
La ragazza diede a sua volta un piccolo morso, stando attenta a non sporcarsi i mezzi guanti neri. – Hai ragione, – disse alla fine. – È molto buona.
– Vero? – esclamò Kyoko con un occhiolino. – Dev’essere perché è stata coltivata sul terreno, e non in una serra. A quanto dicono a scuola, sul suolo non cresce quasi più niente.
– A causa del Second Impact? – chiese Mami. Kyoko annuì rapidamente, continuando a mangiare a grandi morsi.
– Se ho capito bene, – mugugnò la rossa ancora masticando, – c’è stata una serie di cambiamenti climatici molto forti. È per questo che fa sempre così caldo.
– Per te non è un gran problema, – rise Mami. – Vai sempre in giro con quei pantaloncini…
La maga si interruppe nel sentire un lieve tremito. Sembrava provenire dalla volta del Geo Front. Alzò gli occhi cercandone l’origine, ma non vide nulla. Kyoko smise per un attimo di mangiare, fissando con curiosità la compagna. – Cosa c’è?
– Ho sentito qualcosa… – mormorò Mami, strizzando gli occhi per distinguere meglio l’immenso soffitto. – Proveniva dall’esterno.
Un nuovo tremore, molto più forte, scosse l’intera cavità sotterranea. Kyoko e Mami scattarono in piedi, lasciando cadere i pezzi di cocomero, ed entrambe sfoderarono le armi. Rimasero attonite, tuttavia, nel vedere un’enorme macchia nera spandersi fra le radici sotterranee dei palazzi di Neo-Tokyo 3.
***
– Inserimento dell’Entry Plug completato. Immissione dell’LCL.
– Tutti i valori nella norma. Procedere alla rimozione di tutti i gruppi di sicure.
La macchina umanoide multifunzione Evangelion zero uno si accese silenziosamente, mentre il grande ponte mobile si distaccava dal suo torace. Un gran trafficare di operai animava l’hangar, mentre Misato osservava la scena dall’alto del ponte di osservazione. – Hyuga, – mormorò nel comunicatore. – È sicuro che sia un Angelo?
– Stavolta sì, – confermò l’operatore. – Il diagramma d’onda è stabile, e abbiamo il contatto visivo.
– Le analisi hanno dato risultati?
– Per ora no. L’obiettivo si limita a sorvolare la zona, ma non sembra ostile.
– Neanche il Sesto Angelo sembrava ostile, – replicò la donna mordendosi le labbra. – E adesso abbiamo una montagna in meno.
– Questo sembra diverso. Non rileviamo emissioni di energia, al di fuori dell’emissione elettromagnetica di base. C’è una leggera attività di jamming nella bassa atmosfera, ma non interferisce con le comunicazioni.
– A cosa è dovuta?
– La dottoressa Akagi ci sta lavorando. Non abbiamo dati per fare ipotesi precise.
– I Soggetti Devianti sono ancora nel Geo Front?
– Per ora sì. Stiamo seguendo i loro movimenti con le telecamere di sorveglianza.
Uno dei monitor alle spalle di Misato si accese, mostrando Mami e Kyoko intente a fissare la volta del Geo Front con le armi in pugno. “Non staranno pensando di attaccare?”
– Puoi passarmi gli altoparlanti esterni?
– La collego subito.
Con un leggero soffio, il microfono posto sulla scrivania del ponte di osservazione si accese. Misato lo sollevò, portandoselo davanti alla bocca e tornando a guardare le immagini dei monitor. – Kyoko, Mami, mi sentite?
Le ragazze sobbalzarono, nel sentire la voce di Misato. Si guardarono intorno, cercando di capire da dove venisse, ma non riuscirono a vedere gli altoparlanti. – Sono Misato. Non attaccate l’Angelo, avete capito?
Mami si portò la mano destra al volto per amplificare la voce. Nella sinistra stringeva già uno dei suoi fucili. – Signorina Misato! È un Angelo, quello?
Misato studiò l’immagine delle telecamere, ma non vide nulla. Kyoko era tornata a rivolgersi con lo sguardo verso l’alto. – Hyuga, – disse la donna parlando nuovamente nel comunicatore, – dammi le immagini della volta del Geo Front.
– Sì.
Il monitor inquadrò un enorme cerchio nero, esteso in un raggio di almeno due chilometri sulla volta del Geo Front. Le radici degli edifici lo interrompevano, dando l’impressione che le fondamenta sotterranee emergessero da un lago di pece. – Cosa diavolo è?
– Non ne ho idea, maggiore, – esclamò Makoto. Sembrava sconvolto almeno quanto lei. – Le telecamere di superficie continuano a inquadrare l’Angelo, e non è nemmeno a contatto con il suolo!
– Dannazione! Effettuate delle analisi approfondite, voglio sapere che cos’è quell’affare! Quanto a voi, – ordinò afferrando il microfono dell’altoparlante esterno, – non attaccate fino al mio ordine.
Mami e Kyoko videro finalmente la telecamera, e annuirono verso di essa. Nessuna delle due, però, depose le armi. – Va bene, – disse Kyoko. – Ma se quell’affare fa movimenti strani, lo fulmino.
Misato scosse la testa con un lieve sorriso. Nell’hangar, l’Evangelion zero uno era già in posizione sulla rotaia elettromagnetica. – Asuka, tutto bene?
Il monitor della telecamera collegata con l’abitacolo dell’Evangelion zero due si accese all’improvviso. Asuka stava respirando profondamente, ad occhi chiusi. Quando dischiuse le palpebre, uno sguardo temerario e un sorriso da eroe salutarono Misato. – E me lo chiedi? – esclamò. Intrecciò le dita davanti a sé, stiracchiandosi vigorosamente e sollevando le mani sopra la testa. – È da un sacco di tempo che non combatto seriamente. L’ultimo Angelo è stato veramente una mezza calzetta.
Misato si lasciò sfuggire una risata. – Mi fa piacere vederti così, ma non esagerare. Non sappiamo ancora cosa troverete, quando sarete là fuori.
– Signorina Misato?
La voce di Shinji richiamò Misato verso il monitor dell’Entry Plug dello zero uno. Il ragazzo stava guardando in direzione della telecamera, un’espressione preoccupata dipinta sul volto. – Kyoko e Mami stanno bene?
– Ho appena parlato con loro. Vi stanno aspettando all’esterno.
– E Ayanami?
– Lei è già a bordo dello zero zero. Tra poco potremo lanciarvi in superficie.
Misato diede un’occhiata alla consolle del ponte di osservazione. Le luci delle rotaie elettromagnetiche erano tutte accese sul verde, a segnalare che tutti gli Eva erano in posizione.
– Unità pronte al lancio, – disse Makoto dal comunicatore a conferma di ciò. – Attendiamo il suo ordine.
Misato si sedette alla scrivania del ponte di osservazione per la prima volta, da quando era arrivata. Il cuore le batteva con prepotenza, quasi volesse uscirle dal petto. Prese fra le dita la piccola croce a bracci uguali che le pendeva dal collo, rigirandola lentamente fra i polpastrelli e assaporando la sensazione di calore che quell’oggetto le dava.
– Shinji, Asuka, Rei, – mormorò alla fine, la croce ancora stretta fra le dita. – Il vostro bersaglio è un Angelo identificato come l’Ottavo. In questo momento è in volo sulla città, e non sembra intenzionato a fare nulla, ma ha fatto comparire una specie di propaggine all’interno del Geo Front. Non sappiamo quali siano le sue caratteristiche, perciò siate prudenti. Per il momento non ritireremo i palazzi corazzati, quindi potrete usarli come copertura. Recuperate subito un’arma dagli edifici strategici, e organizzatevi per un attacco coordinato contro l’obiettivo. Tutto chiaro?
Asuka e Shinji esclamarono – Ricevuto! – quasi in sincrono, mentre Rei rimase stranamente in silenzio. In altre condizioni sarebbe stato normale, per Rei, ma non in momenti come quello. Misato non ci badò, e preferì non indagare più a fondo. “Anche lei, in fondo, ha paura come tutti.”
La donna lasciò la croce, afferrando con mano ferma il comunicatore attaccato al bavero dell’uniforme. – Hyuga, – ordinò. – Lanciate gli Evangelion.
Le enormi sicure metalliche che bloccavano lo scorrimento dei carrelli sulle rotaie elettromagnetiche scattarono di lato, e in un istante gli Evangelion furono proiettati a gran velocità verso la superficie del suolo. Misato fece un sospiro, nel vedere lo zero uno sparire davanti ai suoi occhi, ma non riuscì ad abbandonarsi sullo schienale della poltrona come avrebbe voluto.
Un solo pensiero attraversava la sua mente: “Ho una pessima sensazione.”
***
Mari alzò lo sguardo all’improvviso. Qualcosa aveva richiamato la sua attenzione, qualcosa di molto vicino.
La ragazza rimase immobile, fissando il soffitto con sospetto. Il suo sguardo ricadde sulla mimetica ottica abbandonata in un angolo dell’ascensore. Forse era il caso di indossarla nuovamente, ma Mari preferì aspettare un altro po’. Faceva un caldo infernale, sotto quell’ammasso di fibre isolanti.
L’ascensore in movimento produceva un debole ronzio, e le luci esterne andavano e venivano al passaggio dell’oggetto davanti ai fari impiantati nel pozzo. Il contatore scattava monotono, indicando i piani percorsi fino a quel momento dalla macchina.
“Magari l’ho solo immaginato.”
Il contatore scattò un’ultima volta, arrestandosi su una cifra a cui Mari non badò. La ragazza si rimise la mimetica, prendendo un bel respiro e sgattaiolando oltre la porta non appena questa si aprì. Si ritrovò in una grande sala completamente vuota, eccezion fatta per una grande ed elegante scrivania. Dietro il mobile, solo una grande vetrata separava la stanza dalla cavità sotterranea del Geo Front.
– E adesso, Gendo, – mormorò la ragazza sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. – Vediamo dove hai nascosto il tuo tesoro.
***
Shinji cercò un nascondiglio subito dopo essere uscito dal tunnel della rotaia elettromagnetica. La città era quasi completamente buia, immersa nella notte ormai fonda. Attese che l’Angelo gli comparisse davanti, ma non successe nulla per diversi secondi.
– Ehi, Stupi-Shinji, che stai facendo?
Il ragazzo sollevò lo sguardo verso lo schermo dell’Entry Plug. Asuka lo stava guardando tramite il comunicatore a video. – Ecco… non volevo rischiare e mi sono nascosto dietro uno degli edifici corazzati.
– Ma sei scemo? Misato aveva detto di armarci, non di… ah, lascia perdere. Tu vedi di recuperare un pallet gun da qualche parte, io ti raggiungo.
***
La comunicazione si chiuse, e Asuka sbuffò spazientita. “È proprio uno stupido,” pensò.
– Ehi, cocca del comandante!
Ayanami non rispose. Asuka guardò distrattamente verso lo zero zero, emerso a poche centinaia di metri dalla sua posizione, e vide che la macchina non si era ancora mossa. – Oh, insomma! – esclamò la Second, il volto rosso di irritazione. – Ma è possibile che debba fare tutto da sola? Muoviti, e cerca un’arma!
Lo zero zero rimase immobile per qualche momento, per poi avviarsi in direzione dell’edificio tattico più vicino. Spinse verso il basso una grande leva dal manico giallo e nero con un movimento rigido, e la parete laterale della costruzione sprofondo nel terreno rivelando un gigantesco fucile. La macchina umanoide afferrò l’oggetto, imbracciandolo e addossandosi all’edificio per ottenere copertura.
– Finalmente ti sei decisa, – commentò Asuka. Sollevò il gatling che aveva estratto poco prima dall’edificio tattico a cui ora si appoggiava, uscendo allo scoperto e preparandosi al fuoco. Dell’Angelo, però, non c’era traccia.
– Misato, mi serve la posizione del bersaglio.
– Asuka… – rispose Misato deglutendo pesantemente. – Veramente è davanti a te.
La ragazza sentì il suo cuore accelerare per un attimo, ma strinse la presa sulla machine gun e non si mosse. Lentamente, il battito del suo cuore tornò normale. – Non c’è nessuno, davanti a me, – disse socchiudendo gli occhi. – Sicura che i dati siano corretti?
– In effetti… Hyuga mi aveva parlato di una lieve azione di jamming nella bassa atmosfera. Potrebbe aver reso le rilevazioni meno precise.
– Vado a cercare Shinji. Tu non darmi informazioni errate, la prossima volta.
La ragazza spense tutti i comunicatori. Non le andava di parlare con quegli incompetenti in un momento come quello.
“Okay, bastardo, vuoi giocare a nascondino?” pensò Asuka digrignando i denti. “Sto venendo a prenderti.”
***
Gendo era ancora seduto alla sua scrivania, sulla cima ponte di comando del quartier generale. Teneva le mani intrecciate davanti al volto, fissando pensosamente gli operatori intenti nell’analisi dei dati provenienti dalla superficie. Tutti sembravano incapaci di comprendere quanto stava accadendo.
– Dottoressa Akagi! – esclamò l’operatore Makoto Hyuga. – Il maggiore Katsuragi ha segnalato un errore nelle rilevazioni della posizione dell’Angelo.
– Ha specificato l’entità dell’errore?
– No, ma la posizione indicata dal Magi System non corrisponde al punto di contatto.
Ritsuko si lanciò sul terminale, digitando freneticamente sulla tastiera. Dopo tutto quel tempo passato insieme, Gendo era ancora sorpreso dalla sua rapidità. La cosa che lo colpiva di più, in quei momenti, era l’espressione che si dipingeva sul volto della donna. Sembrava una pittrice intenta nel creare il suo ultimo capolavoro, una musicista erta sul palcoscenico a suonare il suo pezzo più difficile.
– Non è possibile!
Quell’urlo richiamò l’attenzione di Gendo, facendolo quasi sobbalzare. Maya Ibuki accorse dalla senpai, chinandosi al suo fianco e controllando insieme a lei i dati comparsi sul monitor. – Senpai… – mormorò la ragazza con voce incerta. Sullo schermo del computer, la mappa di Neo-Tokyo 3 era disseminata di puntini rossi. – Cosa vogliono dire, questi dati?
Ritsuko deglutì, mentre un rivolo di sudore freddo le scendeva lungo la schiena. – Sono le attuali posizioni dell’Angelo.
Gli operatori fissarono la donna con aria interrogativa. – Le posizioni?
– Esatto, – annuì Ritsuko. – L’Angelo è presente in tutti questi punti contemporaneamente.
– Azionate le telecamere di sorveglianza.
L’ordine di Gendo fece trasalire tutto il personale. Shigeru Aoba digitò qualcosa sul proprio terminale, e il grande schermo frontale del ponte di comando si accese all’istante.
Un silenzio colmo di sorpresa avvolse la stanza. Gendo inspirò profondamente, preparandosi a quella lunga notte.
***
L’angolo dell’autore:
Salve, internauti, e bentornati sulle pagine della mia fanfiction.
Comunicazione di servizio: purtroppo, a causa di impegni vari ed eventuali, sarò costretto a ridurre la cadenza dei capitoli. Probabilmente ne pubblicherò uno al mese, ma spero di riuscire a fare qualcosa di più. Scusatemi, ma ho l’università da mandare avanti e altri progetti in cantiere. Spero comunque che continuiate a seguirmi, perché le sorprese sono appena cominciate.
Dopo essersi preparati ad affrontare un nemico inesistente, ecco che i Children e le Puellae Magi si trovano a dover combattere una reale minaccia. Nel frattempo, Mari si aggira per la Nerv in cerca di qualcosa, e Gendo dimostra di sapere più di quanto non lasci far credere. Dopo la proposta di Kyuubey, inoltre, Shinji non è mai ritornato sull’argomento, nemmeno con i propri pensieri.
Ma chi è, il nuovo Angelo? Cosa sta facendo Mari nel quartier generale della Nerv? E di cosa avranno parlato, Gendo e gli uomini della Seele? Ma soprattutto, qual è stata la decisione di Shinji?
Tutto questo e molto altro nei prossimi, avvincenti capitoli di Disruption of Evangelion: Timeless sorcery. Come sempre, vi saluto con affetto e vi invito a lasciare una recensione, anche piccola. La vostra opinione è importante, e ogni suggerimento sarà ben accetto!
A presto.

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Capitolo 10
*** X – Improvviso #1: New lethal disease ***


X
Improvviso #1: New lethal disease
 
– Sayaka?
La voce di Madoka prese Sayaka alla sprovvista, facendola sobbalzare. La ragazza si voltò, continuando a tenersi alla ringhiera del balcone dell’appartamento di Misato. – Cosa c’è, Madoka? Qualche problema?
La ragazza con i capelli rosa fissò con preoccupazione la buia notte priva di stelle che si estendeva dietro l’amica, senza muoversi dalla piccola stanza antistante al balcone. – Rientra, ti prego! Potrebbe essere pericoloso!
Sayaka tornò a guardare verso il cielo notturno, cercando di distinguere qualcosa. Le luci dei grattacieli erano a malapena sufficienti per farle discernere i contorni dei palazzi più lontani, ma si udivano degli strani rumori meccanici provenienti da qualche chilometro di distanza.
– Non preoccuparti, Madoka, – disse, sporgendosi un po’ per provare a vedere meglio. – Non hanno ritirato gli edifici e non hanno nemmeno proclamato lo stato di allerta. Misato ci ha detto che erano questi i segnali di attacco imminente, no?
– Sayaka ha ragione, – intervenne Kyuubey. L’alieno era rimasto in disparte fino a quel momento, accoccolato in un angolo vicino al frigorifero con la coda a fargli da cuscino, e solo ora si era alzato sulle quattro zampe per raggiungere Madoka. – Non credo che ci siano pericoli immediati.
Madoka si portò una mano al volto, stringendo con l’altra l’orlo della corta gonna bianca. Sembrava molto preoccupata. – Lo so… ma ho una brutta sensazione. Non so spiegarvelo, so solo che non sono per niente tranquilla. Per favore, Sayaka, torna dentro.
– Okay, okay, – la rassicurò l’altra ritraendosi e facendo qualche passo all’indietro. – Dammi solo qualche altro minuto. Vorrei vedere gli Evangelion in azione, almeno una volta.
Una pioggia fitta e finissima cominciò a cadere sulla città di Neo-Tokyo 3, portando Sayaka ad alzare lo sguardo verso il cielo. La sensazione della pioggia sul suo volto era molto piacevole, specialmente per via del forte caldo che attanagliava la città nonostante l’ora tarda.
Un fulmine illuminò intensamente il cielo sopra l’edificio, mostrando uno spesso strato di nuvole nere. – Ma guarda… – mormorò Sayaka scostandosi un ciuffo di capelli dal volto, mentre un potente tuono faceva seguito al fulmine. – Si è rannuvolato tutto!
– Sayaka, rientra! – ripeté Madoka. La tensione nella sua voce era palpabile.
– Oh, Madoka, sei sempre la solita fifona! – esclamò la ragazza con una risata. Dopodiché la pioggia cessò, e lei sollevò entrambe le braccia per assicurarsi che nessuna goccia stesse più cadendo. – Ecco, lo vedi? Ha anche smesso di piovere.
Un nuovo fulmine rischiarò la notte, seguito da un tuono di poco più forte del precedente. Nel breve istante di luce, Sayaka riuscì a intravedere la grande sagoma di un Evangelion rosso muoversi lentamente fra i palazzi corazzati in lontananza. – È lo zero-due! – esclamò con un lieve salto. – Quella è Asuka! Oh, che rabbia, vorrei tanto essere lì e…
– Sayaka!
Madoka uscì di corsa dalla stanza, afferrando Sayaka per un braccio e tirandola dentro a forza. La ragazza inciampò e cadde supina sul pavimento, mancando di poco la coda di Kyuubey, e Madoka ne approfittò per chiudere la porta alle sue spalle.
– Madoka, ma che ti salta in testa? – protestò la ragazza dai capelli azzurri massaggiandosi la testa nel punto in cui aveva sbattuto. – Mi hai fatto male!
Madoka non rispose, e si accasciò in ginocchio respirando affannosamente. Sayaka si spaventò, e corse da lei per sorreggerla. – Madoka! Che ti prende!
– Lì fuori… – mormorò la ragazza, pallidissima. – È lì fuori.
Sayaka la fissò per qualche momento, senza capire cosa volesse dire. Un terzo lampo esplose a vari chilometri da lì, e poi un altro. Il terzo, però, ebbe qualcosa di strano.
Cadde in maniera bizzarra, proiettando un cono d’ombra sul condominio della signorina Misato ma illuminando la città entro un ampio raggio, e in quel momento Sayaka capì. Guardò fuori dalla finestra, aspettando il fulmine successivo con un nodo alla gola. Madoka l’aveva tirata dentro dopo che il secondo fulmine aveva illuminato la città. Sayaka aveva visto gli Evangelion in quel momento, mentre Madoka…
Una scarica di elettricità precipitò sul parafulmini di un alto edificio poco lontano, illuminando distintamente l’enorme massa sferica che levitava sul palazzo della signorina Misato.
***
– Obiettivo localizzato, – mormorò Asuka con un sorriso soddisfatto. – Stupi-Shinji, dove sei?
– Dietro di te.
Asuka si voltò, riuscendo a distinguere la sagoma dell’Evangelion zero-uno. L’enorme macchina era a qualche centinaio di metri da lei, e stringeva fra le mani quello che sembrava un fucile d’assalto. – Ho trovato un pallet gun.
– Lo vedo, – sorrise Asuka. Sollevò un braccio, subito imitata dallo zero-due, e l’enorme machine gun si sollevò di qualche decina di metri recidendo tralicci e cavi telefonici. – Io invece ho trovato questa.
Shinji rimase in silenzio, e la Second si dilettò a immaginare la sua faccia stupita. – La cocca del comandante è lì, – disse alla fine indicando con un cenno del capo l’edificio dietro al quale si era riparato lo zero-zero. – Tu vai dall’altro lato, mi farete da copertura mentre ingaggio il bersaglio.
– Che?
Asuka sbuffò, esasperata. – Io faccio fuori il bastardo, voi impedite al bastardo di far fuori me. Ora è più chiaro?
Shinji accennò con la testa, portandosi poi verso l’edificio tattico indicato da Asuka. La Second si riportò in posizione, controllando che Ayanami fosse ancora al suo posto. – Cocca del comandante, sei pronta?
– Sì.
– Loquace come al solito… – commentò Asuka. Lei stessa, però, si accorse che la voce di Ayanami aveva qualcosa di strano. Era monocorde come al solito, ma non era quella di una bambola meccanica: era una persona pensierosa e triste, la proprietaria di quella voce.
Asuka scosse la testa, scacciando via quei pensieri inutili. Ora doveva concentrarsi sullo scontro imminente.
Controllò nuovamente i dati del modulo di scansione terrestre, assicurandosi che l’obiettivo fosse davanti a lei. Stando a quanto aveva detto Misato, erano state apportate delle correzioni. Un fulmine illuminò le strade, facendo alzare lo sguardo ad Asuka. Il cielo era diventato plumbeo, e aveva anche preso a piovere. Per di più, l’oscurità notturna aveva ridotto la visibilità praticamente a zero. Perfino le luci degli Evangelion non riuscivano a rischiarare l’ambiente.
“Condizioni pessime. Meglio così,” pensò Asuka con un sorriso beffardo. “Sarà più divertente del previsto.”
– Voi due, pronti al mio segnale!
– Sì!
– Roger.
Asuka prese un profondo respiro, gustandosi la meravigliosa tensione che permeava l’aria. Quel momento di inquietudine che precedeva la battaglia l’aveva sempre inebriata, sin da quando era un pilota di caccia dell’aviazione tedesca. Era fantastico sentire il suo cuore accelerare, i muscoli intorpidirsi, il respiro farsi più profondo. La faceva sentire invincibile.
– Ora!
L’Evangelion zero-due scattò agilmente alla destra dell’edificio corazzato, e Asuka avviò la rotazione delle canne del gatling preparandosi a fare fuoco. Nuovamente, però, non vide nulla.
“Non mi puoi sfuggire di nuovo.”
– Io mi muovo, – disse. – Seguitemi restando al riparo.
Asuka avanzò lentamente lungo la strada buia. In sottofondo si udiva solo il monotono ronzio della mitragliatrice. “Possibile che tutte le luci siano saltate?” pensò. Il suo sguardo continuava a spostarsi nervosamente da un punto all’altro, senza riuscire a distinguere nulla. Il modulo di scansione indicava che l’Angelo era lì, ma se la creatura poteva interferire con le apparecchiature elettroniche quei dati forse erano sbagliati.
Un’idea balenò nella mente di Asuka. “Interferisce con ciò che è elettrico…”
– Cocca del comandante! – esclamò. – Spara in cielo, davanti a me!
Una raffica di proiettili volò rapidamente verso il cielo nero, ma non lo raggiunse. Quasi tutti i colpi si infissero in un oggetto sospeso a un centinaio di metri da terra, perfettamente mimetizzato con il manto nuvoloso che sovrastava la città.
– Ti ho beccato!
La machine gun ruggì in maniera assordante. Decine di bossoli grandi come automobili saltarono via dal tamburo dell’arma, e un’esplosione di liquido rosso imbrattò le strade e i palazzi di Neo-Tokyo 3. Asuka smise di sparare immediatamente, arretrando e osservando il movimento della strana sfera sanguinante.
– Asuka! – esclamò Shinji con aria trionfante. – L’hai preso!
– Stai indietro! – urlò la ragazza. – Non è ancora finita!
La massa nera descrisse una strana forma chiusa, disegnando due grandi cerchi e demolendo interi palazzi al suo passaggio. Dopodiché, si contrasse violentemente e scomparve nel nulla. – Misato, l’hai visto?
– Più o meno, – rispose il maggiore. Sembrava tremendamente preoccupata. – Non mi piace.
– Dove sei?
– Sono tornata al ponte di comando. Qui c’è un bel casino, lo sai?
– La dottoressa Akagi è lì con te?
La voce di Ritsuko rispose al posto di Misato. – Eccomi, Asuka.
– Che cos’è successo?
– Non lo sappiamo con certezza. Il contatto con l’Angelo si è interrotto, ma solo nel punto in cui l’hai abbattuto.
– Insomma, era solo un’esca?
– Temo che sia più complesso di così. Stai attenta.
– Ricevuto.
Asuka chiuse la comunicazione con uno schiocco stizzito della lingua. Sperava di ricevere qualche informazione utile, ma a quanto pareva la stessa Nerv brancolava nel buio. Sarebbe toccato a lei risolvere la situazione, come sempre.
– Avanziamo, – disse rivolgendosi agli altri piloti. – Il prossimo contatto è indicato a seicento metri da qui.
– Asuka! – urlò Shinji. – C’è qualcosa, sopra di te!
La Second sentì il suo sangue congelarsi nei suoi polsi. Alzò rapidamente la testa, scorgendo un secondo oggetto identico al primo, esattamente nel punto in cui l’Angelo era stato distrutto.
– Merda!
Asuka sollevò la mitragliatrice più che poté, crivellando il corpo dell’essere con un tempesta di proiettili, e nuovi schizzi rossi si sparsero al suolo. Un fiotto di liquido si riversò sulla testa dello zero-due, e Asuka si allontanò in fretta mentre l’Angelo replicava la stessa danza di prima.
– Che diavolo sta succedendo? – esclamò Asuka. – Shinji, Rei, arretrate!
– Asuka!
La voce di Shinji costrinse la ragazza a voltarsi in direzione dello zero-uno, e subito il suo cuore accelerò. Un terzo Angelo era comparso davanti all’Evangelion di Shinji, e un quarto fronteggiava Ayanami. Lo zero-zero reagì prontamente alla minaccia, trafiggendo l’Angelo con la baionetta a lama vibratile innestata sul pallet gun, mentre lo zero-uno rimase immobile, preda del panico del suo pilota.
– Idiota, levati di lì!
Shinji sollevò impacciatamente il pallet gun, sparando qualche colpo e colpendo di striscio la grande sfera nera. In quel momento, tuttavia, l’Angelo schizzò via davanti a lui. Fino a quel momento le sfere erano sempre state immobili, ma ora la creatura colpita da Shinji si stava muovendo a grande velocità, puntando contro quella appena attaccata da Rei.
La First estrasse la baionetta dal corpo dell’Angelo, indietreggiando ma continuando a tenerlo sotto tiro.
– Ayanami! – esclamò Shinji, terrorizzato. – Scappa!
Il resto avvenne molto rapidamente. I due corpi dell’Angelo si scontrarono con uno schiocco assordante, assumendo uno strano disegno a strie bianche e irregolari. Un attimo dopo, un’enorme esplosione spazzò via gli edifici nel raggio di almeno cento metri, scavando una profonda voragine nel terreno. Rei e lo zero-zero si trovavano proprio nell’epicentro della deflagrazione, nel punto in cui adesso si ergeva un’alta croce di luce violacea.
– Ayanami!
Shinji si lanciò nel punto della detonazione, trovando lo zero-zero riverso al suolo. Non sembravano esserci danni gravi, ma la macchina non si muoveva più. – Tutto bene?
– Stupido! – gridò Asuka. – È pericoloso!
Rei rispose con voce stentata, mentre lo zero-zero si rialzava lentamente. – Sì… posso ancora… combattere.
– Allontanati, Shinji!
– Asuka, Rei è ferita! – protestò Shinji aiutando lo zero-zero a rimanere in piedi. – Non possiamo lasciarla qui!
Ci fu un lieve ronzio. Tre sfere ricomparvero laddove i corpi degli Angeli si trovavano prima, seguite da altre sei a diverse altezze e a distanza irregolare. Asuka riprese a sparare, riuscendo a colpirne solo due. Le altre cominciarono a vibrare, facendo tremare l’aria intorno a loro come un immenso diapason.
– Sei proprio uno stupido!
La Second gettò via il gatling, lanciandosi sullo zero-uno e strattonandolo via. La mitragliatrice descrisse una parabola distorta, demolendo un palazzo e facendolo crollare al suolo con un boato. L’Evangelion zero-uno teneva ancora lo zero-zero per un braccio, e Asuka dovette fare un enorme sforzo per trainarli entrambi lontano dal cratere. – Almeno muoviti per conto tuo!
Shinji fece appena in tempo ad accorgersi del movimento dell’Angelo. Sollevò lo zero-zero, aiutato da Asuka, ed entrambi corsero via sorreggendo Ayanami.
Pochi istanti dopo, i sette Angeli rimasti si abbassarono tutti alla stessa altezza, poco al di sopra del manto stradale disastrato. L’asfalto sotto di loro sembrò in procinto di fondere, e gli oggetti si mossero all’unisono nel punto in cui fino a poco prima si trovava lo zero-uno. Gli Evangelion stavano ancora correndo, quando i corpi dell’Angelo impattarono l’uno contro l’altro.
***
Il soffitto della cella fu attraversato da un tremito, e i led produssero un debole sfarfallio. Homura si ridestò dal sonno nervoso in cui si era lasciata scivolare, spostando lentamente lo sguardo sulla porta ancora chiusa. – Dottoressa Akagi?
Non ci fu alcuna risposta. La ragazza si rigirò nel letto, guardandosi intorno con occhi colmi di ansia. Possibile che fosse già il momento?
Si alzò dal letto, dirigendosi verso la parete sgombra dal mobilio e tastandola con delicatezza. Picchiettò su di essa con un dito, appoggiandovi l’orecchio e ascoltando attentamente il suono prodotto. Non sembrava esserci nessuna cavità nascosta, ma…
– Tup.
La differenza del suono fu quasi impercettibile, ma Homura la sentì. Si spostò di qualche centimetro e batté sul muro, quindi tornò sullo stesso punto più volte verificando che lì la parete sembrava essere più densa. Si mosse lungo tutto il muro, ripetendo l’operazione e scoprendo altri punti di maggiore densità. Pensò al fatto che l’intera stanza era ammobiliata e illuminata a giorno, ma che non c’erano telecamere, luci o mobili su quell’intera parete, e ad un tratto capì ogni cosa.
– È sempre una cella, dopotutto, – mormorò, materializzando i suoi abiti da maga e il piccolo scudo tondo fissato al braccio. – Nessuno dovrebbe uscirne vivo.
Homura ribaltò il letto di lato, per poi spostare anche il piccolo comodino, il tavolo e le due sedie della cella in modo da formare una barricata, dopodiché estrasse dallo scudo una piccola boccetta di liquido. Al suo interno c’erano due fluidi distinti, separati da una sottile membrana di vetro. Il liquido in basso, semplice acqua, presentava un piccolo sedimento salino depositato sul fondo della provetta.
– Speriamo che funzioni, – disse Homura, per poi lanciare con un ampio movimento del gomito il contenitore e accovacciarsi dietro il riparo appena ammassato.
Non appena la boccetta colpì la parete, la membrana di vetro si ruppe. La miscela di trementina e nitrobenzolo si mescolò con l’acqua, raggiungendo il deposito di clorato e permanganato potassico. Una fiammata investì la parete, surriscaldando l’esplosivo nascosto nel cemento. Homura si sentì fischiare le orecchie, e chiuse gli occhi pregando che il soffitto non le crollasse in testa.
***
– Danni rilevati alle strutture esterne! Il Geo Front è esposto!
L’annuncio di Shigeru Aoba gettò nel panico il personale del ponte di comando. Di tutti gli operatori, solo lui, Maya Ibuki e Makoto Hyuga erano ancora al loro posto ai terminali di controllo.
– Quali sono le condizioni degli Eva? – esclamò Misato, le braccia conserte per mascherare l’agitazione.
Maya sollevò lo sguardo dal suo monitor. – Lo zero-zero ha subito danni ingenti, ma le connessioni neurali rispondono ancora. Lo zero-uno e lo zero-due hanno riportato solo danni superficiali.
– Meno male. Contatti con i piloti?
– Negativo, maggiore, – rispose Makoto scuotendo la testa. – La connessione con i sistemi di comunicazione sembra esserci ancora, ma nessuno di loro li ha azionati.
Misato fece schioccare la lingua contro il palato, serrando la presa sui suoi gomiti. – Ritsuko, che cos’è successo?
La dottoressa Akagi stava osservando i rapporti scorrere sul suo computer portatile. Nei suoi occhi c’era un misto di stupore e paura, come se il suo essere scienziata si sentisse attratto dal terrificante spettacolo svoltosi in superficie. – Non lo so, ­– mormorò la donna. – Per ora i dati sono insufficienti per un’analisi dettagliata. Tuttavia, c’è stato un rilascio massivo di onde elettromagnetiche ad alta frequenza.
– Ma io cosa dovrei dire ai piloti? – protestò Misato, rivolgendo all’amica uno sguardo torvo. – Come possono vincere, se non conoscono nemmeno il loro avversario?
– Ehilà, Misato…
Il comunicatore collegato con il Geo Front risuonò della voce di Kyoko. – Credo che questo sia il momento in cui tu ci dici “andate e fate il culo a quell’affare”.
Misato fissò le immagini trasmesse dalle telecamere del Geo Front. Un’enorme voragine si era aperta nella volta della cavità sotterranea, e la strana ombra che si estendeva al di sotto delle fondamenta degli edifici aveva preso a riversarsi sul bosco poco lontano dal lago.
– Kyoko, Mami, – esclamò Misato. – Non fate sciocchezze! Non abbiamo informazioni sufficienti!
– I Soggetti Devianti possono combattere.
Misato si voltò, incredula. Il comandante Ikari era ancora immobile, le mani intrecciate davanti al volto, ma le parole che aveva appena udito erano certamente le sue. – Ma, signore…
– Gli Evangelion devono rimanere in superficie, – replicò Ikari, lapidario. – E l’Angelo sta penetrando nel Geo Front. Dobbiamo schierare sul campo tutte le nostre forze, se vogliamo impedirgli di arrivare al Terminal Dogma.
Il maggiore Katsuragi si morse le labbra. Voleva protestare, dire al comandante che mandare Shinji, Asuka e le altre contro un nemico di cui si sapeva così poco sarebbe stato un azzardo. Ma non lo fece, e deglutì dolorosamente girandosi nuovamente verso i monitor.
– Ascolta, Kyoko, – mormorò. – Il comandante ha acconsentito al vostro intervento…
– Grande!
– … ma fate attenzione. Questo Angelo… è forte. Molto forte, e non sappiamo niente di lui.
– Stia tranquilla, signorina Misato, – la rassicurò Mami con la sua dolce voce di sempre. – Kyoko, Shinji, Rei e Asuka sono miei kouhai. Li proteggerò io.
Misato si lasciò sfuggire un sorriso. – Grazie, Mami, – disse, la mano stretta sul suo pendente. – Conto su di te.
***
Asuka riaprì gli occhi, scoprendo che l’Evangelion zero-due era stato quasi del tutto sommerso dai detriti di un palazzo franato a causa dell’esplosione. Si guardò intorno, ma non riuscì a vedere nulla: c’era solo un’enorme mole di macerie, e i pochi spiragli lasciavano passare solo la tenue luce della luna.
“Maledizione…”
I muscoli delle sue braccia si erano intorpiditi a causa dell’immobilità prolungata. Si sforzò di sollevare le macerie, ma il rumore di un crollo sopra di lei le suggerì che forse non era un’idea tanto buona.
– Okay, ora basta! – esclamò. Chiuse gli occhi, concentrandosi sul movimento dell’LCL intorno a lei. Le onde generate dal liquido entrarono in risonanza con il suo pensiero, e la pressione sul suo corpo sembrò ridursi. Dopo pochi secondi, i suoi occhi si spalancarono quasi in automatico. – A.T. Field, estensione!
***
L’ammasso di macerie fu scosso da un tremito. L’Evangelion zero-uno si voltò di scatto, temendo che l’Angelo stesse attaccando nuovamente. Sotto gli occhi sconvolti di Shinji, i palazzi crollati addosso ad Asuka si frantumarono sgretolandosi al suolo. Lo zero-due emerse dal mucchio, scaraventando in aria gli edifici senza nemmeno toccarli.
Il Third Child rimase senza parole. Sapeva dell’A.T. Field, il campo di forza che gli Angeli e gli Evangelion potevano generare intorno a sé, ma non aveva idea che una persona fosse capace di produrne uno così potente.
– Ehi, voi due! – urlò Asuka. La sua voce era evidentemente provata dalla fatica, ma conservava il suo tono combattivo. – Non è che verreste a darmi una mano?
Shinji corse in aiuto della ragazza, seguito a ruota da Rei. La First sembrava essersi ripresa, e anche l’Evangelion zero-zero aveva cominciato a muoversi meglio.
– Resisti, Asuka, – esclamò Shinji sorreggendo quello che doveva essere stato un enorme edificio corazzato. – Cerco di aprirti un varco!
Ayanami allungò una mano al di sotto dei detriti, e Asuka la afferrò saldamente. Ci fu una serie di crolli, alle sue spalle, e un palazzo franò rovinosamente sulle spalle dello zero-uno.
Shinji mantenne la presa per miracolo. – Sbrigati, Asuka!
L’Evangelion zero-due schizzò fuori dalle macerie, travolgendo nel suo balzo lo zero-zero e lo zero-uno e facendoli rovinare entrambi al suolo. Pochi istanti dopo, le macerie dell’area urbana si schiantarono al suolo con un boato assordante.
– Agh… – ansimò Asuka districandosi dagli arti degli altri Evangelion. – Per un pelo.
Nuove masse sferiche erano comparse intorno al punto dell’esplosione. Asuka riuscì a contarne una ventina, ma forse ce n’erano altre nascoste dietro ai palazzi più grandi. La ragazza strinse i denti. – Non possiamo continuare così, – mormorò. – Misato, dimmi qualcosa di utile!
***
Mari stava rovistando in un cassetto, quando sentì l’esplosione. Smise istantaneamente di cercare, guardando con curiosità all’esterno della grande vetrata dietro la scrivania, e sgranò gli occhi nel vedere l’enorme voragine apertasi nella volta del Geo Front.
– Ma che diavolo è? – esclamò, osservando la nera cascata di liquido viscoso colare giù e imbrattare le cime degli alberi. – Non l’ho mai visto in questa maniera…
La ragazza rivolse lo sguardo verso il lungo tratto di strada sterrata diretto verso la piramide del quartier generale. Due ragazze, una vestita di rosso, l’altra d’oro, stavano correndo verso il punto in cui il fluido cadeva nel Geo Front. I loro abiti erano molto simili a quelli di Homura Akemi. Dovevano essere delle maghe.
– E quindi, – ridacchiò sistemandosi gli occhiali sul volto con espressione compiaciuta, – il caro Gendo sta ricorrendo a tutte le sue carte.
Grandi pezzi di muro, travi e tralicci dell’alta tensione precipitarono attraverso il baratro, schiantandosi al suolo e sollevando grandi nuvole di polvere. Le due ragazze non si fermarono.
– Sembrano intenzionate a fare del loro meglio… – commentò Mari. – Spero solo che sappiano cosa rischiano.
Si voltò nuovamente, tornando alla scrivania e richiudendo bruscamente il cassetto. Aveva visto dappertutto, eppure non era riuscita a trovare ciò che stava cercando.
– Clac.
Nel richiudersi, il cassetto produsse uno strano rumore. Sembrava che qualcosa avesse colpito una superficie di metallo… ma quello era legno, senza dubbio.
Mari riaprì lentamente il cassetto, estraendolo solo di pochi centimetri e dando un’occhiata attraverso la stretta fessura così ottenuta. “Bingo.”
***
L’angolo dell’autore:
Buongiorno a tutti! Scusatemi per la lunga assenza, ma questo dicembre è stato parecchio impegnativo. In compenso, ho cercato di rimediare con un capitolo ricco di azione, ma soprattutto con una vecchia conoscenza riveduta e corretta. Come infatti alcuni di voi avranno capito, il misterioso Angelo che ha attaccato Neo-Tokyo 3 altri non è se non una versione potenziata e incattivita del buon vecchio Leliel. So che siete affezionati al Top Angeru e alla sua natura di strizzacervelli sovradimensionale, ma non temete: in futuro, le sue vere “doti” verranno alla luce.
Homura torna in azione, liberandosi col botto (letteralmente) dalla cella della Nerv, mentre Mari sembra aver trovato quello che cercava. Chissà cosa sarà…
A parte questo, colgo l’occasione per augurare a tutti voi un buon Natale, e per farvi i miei migliori auguri per un sereno anno nuovo. Fate grandi progetti, e realizzateli!
A presto, come sempre.
 
Bookmaker

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Capitolo 11
*** XI – Improvviso #2: The Undead ***


XI
Improvviso #2: The Undead
 
Mentre un allarme ad alta frequenza risuonava nell’aria, Homura si liberò dai calcinacci piovuti dal muro a seguito della detonazione. Per fortuna il soffitto della cella aveva retto all’esplosione, ma la ragazza non si aspettava una potenza d’impatto così elevata. L’esplosivo al plastico nascosto nell’incavo della parete doveva essere più abbondante di quanto avesse preventivato: doveva ringraziare lo spesso materasso del letto per aver attutito onda di compressione dell’aria, impedendole così di essere scaraventata contro la parete.
La porta blindata era ancora intatta, a parte qualche bruciatura superficiale e poche ammaccature. “Non pensavo che fossero così decisi a tenermi sotto controllo…” commentò fra sé la ragazza, facendosi largo fra le macerie della parete distrutta. Dall’ampia cavità sprizzavano piccole piogge di scintille, a causa dei pochi cavi elettrici recisi dall’esplosione, ma Homura le ignorò e scavalcò con disinvoltura i miseri resti del muro.
La stanza attigua comunicava direttamente con il corridoio. C’era solo una piccola porta, ma non era chiusa a chiave, e anzi sembrava essere stata aggiunta solo in un secondo momento. Doveva trattarsi di una specie di ripostiglio, anzi, probabilmente faceva parte della stessa stanza che ospitava la cella di Homura. La parete-trappola, in quel caso, sarebbe stata integrata nella pianta originaria come misura di sicurezza atta al contenimento degli “ospiti” più problematici.
La ragazza aprì cautamente la porta, sbirciando nel corridoio e assicurandosi che nessuno fosse nei paraggi. In effetti, nonostante l’assordante suono dell’allarme, non sembrava esserci il minimo movimento. Che quel fremito che aveva avvertito nelle pareti fosse in qualche modo collegato alla desolazione di quella prigione?
Senza perdersi in questi dubbi, Homura entrò nel corridoio a passo spedito, i tacchi che risuonavano sul pavimento metallico. Svoltò un paio di volte, cercando di ricordare quale fosse stato il suo percorso per arrivare alla cella, e si ritrovò infine davanti alla porta di un ascensore.
“Pare che non possa utilizzarlo…”
Homura si morse nervosamente le labbra. La fessura per i tesserini identificativi non lasciava adito a dubbi: per quanto ci avesse provato, Homura non sarebbe mai entrata nell’ascensore.
Non con le buone maniere, quanto meno.
***
– Ascoltami bene, Asuka. I dati che abbiamo raccolto non sono molti, ma credo di avere una teoria valida.
Il gracchiare del comunicatore era una sensazione stranamente piacevole, in quel momento di tensione estrema. Intorno all’Evangelion zero-due si affollavano adesso le sagome più o meno lontane di circa trenta Angeli, tutti perfettamente uguali tra loro. Erano immobili, come in attesa di qualcosa.
– Spero che sia qualcosa di utile, Ritsuko.
– Credo proprio di sì. Stando a quanto abbiamo potuto osservare, i corpi dell’Angelo si moltiplicano in modo esponenziale secondo una funzione in base tre.
– Ossia, il loro numero triplica ogni volta… – mormorò Asuka. Questo voleva dire che in quel momento ben ventisette Angeli stavano sorvolando il suolo crivellato di Neo-Tokyo 3.
– Esattamente. Inoltre, pare che queste entità non siano realmente vulnerabili. Attaccare le sfere fluttuanti che vedi intorno a te, insomma, non solo non danneggia l’Angelo, ma non influisce nemmeno sulla loro capacità di rigenerarsi e di aumentare di numero. Tuttavia, al tempo stesso, il fatto che queste specie di simulacri non rappresentino il reale corpo dell’Angelo induce a pensare che non siano nemmeno capaci di avere delle percezioni.
Asuka rifletté per qualche secondo sul significato di quelle parole. Poco distante da lei, Shinji stava sostenendo lo zero-zero di Ayanami per rimetterlo in una posizione salda sul terreno. I movimenti impacciati dello zero-uno stavano strappando tralicci e cavi dell’alta tensione, distruggendo finestre e danneggiando gravemente gli edifici circostanti, il tutto in un frastuono insopportabile. Nonostante ciò, gli Angeli erano ancora immobili.
– Dunque, – mormorò la ragazza, parlando più a se stessa che alla dottoressa Akagi, – finora hanno solo risposto ai nostri attacchi.
– È quello che riteniamo più probabile, – confermò Ritsuko. – Io e i Magi, intendo. Ci deve essere un meccanismo di rilevamento basato sui danni prodotti sui corpi, che li induce a convergere verso il punto da cui proviene l’offensiva.
– Ma come hanno fatto a produrre tutto questo? – esclamò Asuka impaziente. Intorno a lei, un intero isolato era stato spazzato via e ridotto ad una voragine desolata.
– Su questo posso fornirti dei dati quasi certi. Ritengo che l’interno di ciascun simulacro contenga una quantità di antimateria pari a quella della materia del guscio esterno. Ciò che mantiene stabile ciascun corpo è una sottile barriera interposta fra i due strati, forse di natura elettromagnetica o gravitazionale. In seguito all’impatto tra due corpi identici, la separazione tra materia e antimateria viene meno, producendo un fenomeno di annichilazione su ampia scala. È una fortuna che la materia di cui sono costituiti questi corpi sia scarsamente densa, o a quest’ora l’intera città sarebbe stata ridotta ad un cratere.
– Ma se andiamo avanti così, – concluse Asuka, – succederà per forza.
– Già. Tuttavia… – mormorò Ritsuko. Per la prima volta da quando Asuka la conosceva, la sua voce tradiva un velo di ansia. – Anche l’inattività rappresenta un pericolo. In questo momento, le telecamere di sorveglianza del Geo Front stanno filmando una massa fluida che sta colando al di sotto della città. Raggiungerà la superficie della cavità sotterranea entro due minuti.
Asuka sbuffò impazientemente. Le dava fastidio, quella sensazione di essere inutile. – E come la fermiamo?
– Kyoko e Mami la stanno attaccando in questo momento, ma non so a quanto potrà servire. Dovrete contribuire anche voi.
– Perciò, mi stai dicendo che devo scendere con l’Evangelion nel Geo Front.
– Essenzialmente, sì.
– E una volta che sarò lì, cosa diavolo dovrei fare?
Quella risposta, così secca e rabbiosa, fece tentennare Ritsuko.
– Mi sono stancata, – esclamò Asuka, – delle vostre valutazioni! Dite sempre un sacco di cose, ma non ritenete mai che io sia capace di fare qualcosa da sola! Stavolta, ci penserò io a sistemare la faccenda, anche senza il vostro stramaledetto aiuto!
La Second Child chiuse la comunicazione con un brusco movimento della mano. Subito arrivò un nuovo avviso di chiamata dal Central Dogma, ma la ragazza lo rifiutò. – Interrompere tutti i segnali in entrata, – ringhiò. – È ora che tutti vedano cosa posso fare.
L’Evangelion si mosse con un rombo. A poca distanza, lo zero-uno e lo zero-zero si mossero per raggiungerla.
– Che intenzioni avete, voi due?
– Ti seguiamo, Shikinami, – rispose Rei. Asuka sollevò un sopracciglio, sospesa fra l’incredulità e il divertimento.
– Sei sicura, cocca del comandante? – domandò. – Non stiamo seguendo nessun ordine, lo sai.
Ayanami non rispose. Lo zero-zero si lanciò di corsa fra i corpi fluttuanti dell’Angelo, scavalcando con un salto un cumulo di macerie e tuffandosi nell’enorme voragine che dava sul Geo Front. Il mare di liquido nero e denso tremò leggermente, tutt’intorno all’apertura, per poi tornare a riversarsi nella cavità sotterranea.
– Ehi! – urlò Asuka. Quasi seguendo il suo grido, lo zero-due si gettò a capofitto fra i palazzi distrutti. ­– Dove credi di andare?
Anche lo zero-due sparì alla vista di Shinji, che rimase impietrito. Intorno a lui, le sfere nere si stavano muovendo lentamente, dando la macabra impressione di animali a caccia di prede. Su alcune di esse, le strie bianche si agitavano formando strani disegni. Nella mente del ragazzo si fece largo l’idea che restare da solo non fosse la cosa migliore.
– A… aspettami, Asuka!
La sagoma dello zero-uno sparì dalla notte senza luce di Neo-Tokyo 3, e solo il ronzio monotono dell’ottavo Angelo rimase a interrompere il silenzio.
***
– Nyah… nyah nyah…
Mari continuava a canticchiare, nonostante i tremori che la scuotevano. Anzi, forse il canto le serviva proprio per allontanare la paura. Nel mezzo del Geo Front, l’Evangelion zero-due era appena atterrato e si stava guardando intorno. Lo zero-zero aveva già scoperchiato uno dei compartimenti nascosti della cavità, estraendone un pallet gun e prendendo la mira sul fluido nero.
– Dannazione, Principessa…– mormorò Mari mordendosi un labbro. – Ti sei andata a cacciare in un bel guaio, questa volta.
L’Eva zero-uno raggiunse le altre unità dopo pochi secondi, muovendosi più goffamente che mai e alzando la testa verso la voragine. Lo spiazzamento del suo pilota era fin troppo evidente.
– Speriamo che il Cagnolino sia all’altezza.
La ragazza rivolse un ultimo sguardo alla scrivania di Gendo Ikari, dietro di lei, e un nuovo brivido le corse lungo la schiena. Il cassetto ora chiuso sembrava dardeggiarle uno sguardo malvagio, quasi si trattasse di un mostro.
Mai come in quel momento Mari Illustrious Makinami si pentiva della propria curiosità.
***
– Ma che schifo è?
– Ce lo stavamo chiedendo anche noi.
Asuka guardò ai piedi dell’Evangelion. Mami e Kyoko avevano alzato un braccio per segnalare la loro presenza. – Lo stiamo colpendo da un bel po’, ormai, – disse Mami, comunicando istantaneamente il proprio pensiero ai Children. – Ma non dà segni di reazione.
– Ehi, Asuka! – esclamò Kyoko. La Second Child si stupì alquanto, nel sentire come i pensieri potessero avere delle inflessioni così evidenti. – Quello sarebbe un Angelo?
– Così sembra, – sbuffò Asuka. – Ad ogni modo, fatevi da parte.
Senza nemmeno guardare per terra, lo zero-due colpì con violenza il terreno con un pestone. Una grande lastra metallica si sollevò di scatto, e l’Evangelion afferrò con decisione il pallet gun conservato nella struttura. – Ora ci pensano i professionisti.
Asuka puntò il fucile, subito imitata da Rei. Shinji le raggiunse dopo qualche secondo, a sua volta munito di pallet gun. – Ce ne hai messo, di tempo, – lo rimproverò Asuka. – Puntate dritti contro la parte ancora adesa al terreno. Non risparmiate le munizioni. Pronti?
– Sì!
– Sì.
– Fuoco di saturazione sul maledetto stronzo!
Una serie di esplosioni fecero fischiare le orecchie a Mami e Kyoko, mentre i bossoli delle munizioni dei tre fucili automatici cadevano a terra schiacciando gli alberi del Geo Front. Tre raffiche convergenti di proiettili tempestarono la pozza nera ammassata sul foro della volta illuminata artificialmente.
Tuttavia, non successe nulla.
I Children continuarono a sparare finché le munizioni non furono esaurite, ma quando ciò avvenne l’Angelo era ancora lì. Il lento moto di caduta del liquido, anzi, sembrava aver subito un’accelerazione.
– Perché non funziona?
– Era quello che cercavo di dirti, – intervenne Mami. Asuka la colpì con un’occhiataccia, ma la maga continuò con uno sguardo serissimo dipinto sul volto. – Lo sto colpendo a distanza già da prima, ma non reagisce. Solo, sembra diventare più veloce.
La Second sollevò lo sguardo verso l’Angelo. Con quell’andamento, in un paio di minuti sarebbe arrivato al suolo. – E allora, che facciamo?
Kyoko roteò la lancia, colpendo il suolo con il pomolo d’ottone e puntando la lama contro l’Angelo. – Magari un attacco diretto funzionerebbe.
– Già… – mormorò Rei. Lo zero-zero gettò via il pallet gun, e dalla sua schiena si protese un compartimento a scatto. La macchina ne estrasse un enorme coltello tattico, sguainandolo e portandoselo lungo il fianco destro. – Vado io.
– Rei, no!
Nonostante l’urlo di Mami, l’Evangelion zero-zero spiccò un salto verso la cascata di fluido nero. La lama del Prog Knife stretto nel suo pugno cominciò a emettere una pioggia di scintille, mentre i motori interni alla sua struttura producevano vibrazioni ad altissima frequenza, e Rei puntò l’arma in alto a sinistra. Con un gesto deciso in diagonale, come per tagliare un telo, l’Eva zero-zero squarciò la massa nera passandovi attraverso senza sforzo. L’atterraggio produsse un rumore tremendo, e distrusse gran parte della piccola area boschiva a ridosso del lago artificiale.
– Bersaglio colpito, – sussurrò Rei, rialzandosi e scuotendo il coltello tattico davanti a sé. Nei suoi occhi riflessi dal vetro della cabina, invisibili a tutti meno che a lei, c’era solo una cieca determinazione.
– Cocca del comandante, spostati!
– Ayanami!
Rei si voltò rapidamente, senza riuscire a capire il motivo di quei richiami, e i suoi occhi si spalancarono in un’espressione terrorizzata.
L’enorme velo nero era rimasto separato in due, ma subito dopo l’attacco dell’Evangelion le sue parti avevano cominciato a dividersi ulteriormente. Ora, davanti ad Ayanami si estendeva un’immensa Idra liquefatta, le teste sostituite da sottili diramazioni tentacolari.
Lo zero-zero reagì rapidamente, arretrando con un salto e sollevando il Prog Knife per proteggersi da ciò che Rei sapeva sarebbe successo di lì a pochi istanti.
Le teste si schiantarono al suolo, sollevando un’imponente onda d’urto che scosse l’intero Geo Front. Il terreno, tuttavia, non fu danneggiato quasi per niente. Quando le appendici si ritirarono, però, al loro posto rimasero delle profonde cavità. Sembrava che gli alberi, la terra, il cemento e l’acciaio fossero stati strappati via per sparire nel corpo tentacolare dell’Angelo.
Rei si rialzò, sollevandosi dal lago artificiale in cui era atterrata e studiando i movimenti caotici della massa nera. Asuka e Shinji avevano ripreso a sparare, ma i loro tentativi di distrarre l’Angelo sembravano non sortire alcun effetto.
Improvvisamente, un gigantesco cannone da contraerea si materializzò a breve distanza dagli Evangelion. Era poco più basso degli umanoidi, ma forse più grande, ed era costituito da materiali riflettenti e gialli, tra cui sembravano esserci ottone e ambra. Rei rimase stupefatta da quella visione, chiedendosi come fosse possibile.
La grande torretta si mosse minacciosamente, puntando contro l’Angelo, e contemporaneamente una piccola figura ammantata di rosso spiccò un salto per raggiungere la sommità del cannone.
– Mami, spara! – urlò Kyoko, scagliando la lancia contro la massa fluida. In quel momento, la maga bionda abbassò un braccio in direzione dell’Angelo, e dalle sue labbra scaturì un esclamazione potente, forse amplificata dalla sua stessa magia.
– Tiro Finale!
L’immensa macchina da guerra produsse un boato assordante, e un proiettile di energia luminosa colpì la lancia di Kyoko ancora in volo. Istantaneamente, l’arma assunse dimensioni incredibili, diventando grande almeno il doppio degli Evangelion, e il suo moto accelerò in maniera impressionante.
Il bang sonico spazzò l’aria, e la lancia di Kyoko esplose a contatto con l’Angelo facendolo deflagrare in una pioggia di coriandoli nerastri, che presero a cadere nella cavità del Geo Front. L’intera massa ricadde al suolo come una macchia d’olio sul mare.
– Non sei così forte adesso, eh?
Il ruggito di Asuka fu seguito dal rumore di un grilletto enorme, e il lanciarazzi impugnato dallo zero-due durante l’attacco delle maghe vomitò un missile ad alto potenziale direttamente contro l’Angelo. La carica esplosiva fu innescata dall’urto contro qualcosa, poco prima di toccare la superficie nera, ed esplose in volo devastando ogni cosa intorno al punto dell’impatto. Gli Evangelion non sentirono quasi nulla dell’onda d’urto conseguente, ma Mami e Kyoko dovettero farsi scudo del gigantesco apparato materializzato dalla maga bionda.
– Un A.T. Field! – esclamò Shinji, stupito dalla violenza dell’impatto. Poco al di sopra della superficie nera e densa era apparso un sistema ottagonale concentrico, che splendeva di una strana luce arancione. – È ancora vivo!
– Non per molto! – ruggì Asuka. Sollevò di nuovo il lanciarazzi, sparando un secondo colpo alla volta dell’Angelo, quindi scagliò l’intera arma contro l’essere ed estrasse a sua volta il Prog Knife installato nella schiena dello zero-due. – Stupi-Shinji, sei pronto?
– Sì! – esclamò in risposta Shinji, imitando la ragazza.
– A.T. Field… – mormorò Asuka. – Massima estensione. Concentrare tutta l’energia sul Progressive Knife.
Con un rombo di tuono, un campo di energia del tutto analogo a quello sviluppato dall’Angelo si estese intorno all’Evangelion zero-due, per poi contrarsi violentemente e circondare completamente il coltello. Asuka si mise in posizione raccolta, pronta a sferrare il suo attacco, e vide che Shinji aveva fatto lo stesso. Anche il suo Prog Knife era avvolto in quella stessa aura luminosa.
– Vediamo come te la cavi questa volta!
Shinji e Asuka lanciarono i pugnali quasi all’unisono. Tra le lame si sviluppò una strana risonanza di onde luminose, che produsse uno splendore dorato straordinariamente intenso. L’Angelo estese ancora una volta la sua barriera, ma stavolta le armi si infissero nel mezzo degli ottagoni dell’A.T. Field continuando a muoversi lentamente, affondando nello scudo di energia centimetro dopo centimetro.
– Mami! Kyoko! – urlò Asuka guardando verso le maghe. – Potete rifare quella cosa di prima?
Kyoko sogghignò con aria superiore. – Per chi ci hai preso? – ridacchiò, materializzando una nuova lancia e saltando ancora una volta sulla colossale torretta. – Cose del genere sono ordinaria amministrazione!
Mami non sorrise, troppo concentrata sulla situazione, e si limitò a sollevare nuovamente il braccio. – Kyoko, aspetto il tuo segnale!
– Okay…
La maga rossa prese un profondo respiro. Arcuò la schiena, portando la mano destra in basso e mantenendo alta la punta della lancia. Dopodiché descrisse un ampio arco con la mano, le spalle, i fianchi, contando accuratamente i propri passi, e scaraventò la lancia contro il lago nero davanti a lei. – Ora!
– Tiro Finale!
Di nuovo, la detonazione avvolse la lancia in un alone dorato. Il bolide colpì il punto in cui i Prog Knives erano rimasti infissi, e l’A.T. Field dell’Angelo sembrò collassare su se stesso.
Un’enorme esplosione scoperchiò il Geo Front, mentre una croce di luce si innalzava dalla cavità devastata rischiarando la notte senza stelle di Neo-Tokyo 3. Mami e Kyoko furono spazzate via, e fecero un volo di diversi metri. Tuttavia il volo fu interrotto ben presto dall’urto contro una superficie coriacea, ma morbida. Entrambe alzarono la testa, scoprendo di essere state afferrate dall’enorme mano dell’Evangelion zero-due.
– Non male, principianti, – esclamò Asuka dalla cabina di pilotaggio. – Non male.
– Certo che potevi anche avvisare! – protestò Kyoko passandosi una mano fra i capelli nel vano tentativo di scrollarsi un po’ di polvere di dosso. Il sorriso sul suo volto, però, esprimeva qualcosa di diverso. – L’abbiamo fatto fuori?
Asuka rivolse lo sguardo all’enorme croce erta nel mezzo del Geo Front ormai distrutto. Non era come quella lasciata dagli altri Angeli: era un monumento nero, apparentemente intriso dello stesso liquido che costituiva l’ottavo Angelo, e le sue estremità parevano sul punto di cedere sotto il loro peso. La cosa non le piaceva per niente.
– Temo di no, – ringhiò la Second. – Tenetevi.
– Ehi aspetta, cosa credi di…
Prima che Kyoko potesse obiettare, la mano dell’Evangelion si strinse su lei e Mami, afferrandole delicatamente e chiudendosi a pugno. Asuka si alzò, ignorando le proteste provenienti dalle maghe e facendo un cenno a Shinji e Rei. – Andiamo in superficie, – ordinò. – È ora di chiudere questa storia. Ah, e un’altra cosa.
L’indice della mano libera dello zero-due si protese verso lo zero-zero. – Non so da dove ti sia venuta l’uscita di prima, cocca del comandante. La prossima volta, però, vedi di non fare cazzate.
Ci fu un lungo istante di silenzio, ma alla fine Ayanami rispose, mentre lo zero-zero chinava la testa. – Sì. Chiedo scusa.
Asuka ritrasse la mano, sempre più sorpresa dal comportamento altalenante della First. – Va bene, – si limitò a rispondere. – Muoviamoci, adesso.
***
Sul ponte di comando del Central Dogma regnava il silenzio. Quasi tutti gli operatori erano intenti a monitorare le scansioni provenienti dai sistemi di rilevazione terrestre impiantati nel Geo Front, mentre la dottoressa Akagi fissava con aria pensierosa i numerosi avvisi di allarme visualizzati sugli schermi olografici intorno a lei.
– Dottoressa Akagi! – esclamò Maya. La tensione nella sua voce era palpabile. – Gli Evangelion e i Soggetti Devianti sono usciti dal Geo Front! Si avvicinano alla zona di emissione!
Ritsuko aggrottò le sopracciglia, senza distogliere lo sguardo dai monitor. – Non possiamo fare niente, – disse alla fine. – Asuka mi ha escluso dai sistemi di comunicazione, e anche Rei ha fatto lo stesso.
– Ma c’è sempre Shinji! – protestò Maya. – Parlando con lui…
– Non otterremmo niente. Shinji Ikari ha la personalità di un gregario, non di un leader. Non riuscirebbe a farsi seguire nemmeno da Rei, figuriamoci da Asuka.
– Ma dobbiamo avvertirli! I picchi di emissione indicano uno spazio sovradimensionale localizzato, una singolarità fisica!
– Il Mare di Dirac è un concetto affascinante, non trovi?
La domanda di Ritsuko mise l’operatrice in difficoltà. Non pensava che quello fosse il momento opportuno per discutere di matematica.
– Uno spazio a numeri immaginari, – continuò Ritsuko, – esteso in una quantità di dimensioni per noi incomprensibile. In questo caso, fra quelle dimensioni era compreso il numero.
Maya non comprese. Poi, però, ripensò agli eventi di quelle ultime ore. – Si riferisce alle sfere?
– Precisamente. L’Angelo controllava tutti quei corpi per il semplice motivo che erano tutti suoi. Il suo essere non è esteso solo in altezza, lunghezza e spessore, ma anche in altre dimensioni, come il numero, per l’appunto. Noi non lo concepiamo come un unico essere perché per noi l’essere presuppone l’unità. Forse ci sono altre dimensioni dell’Angelo che noi non possiamo neanche immaginare, in quanto esulano dalla nostra percezione.
La dottoressa Akagi fece un passo in direzione della sua scrivania, afferrò un piccolo accendino a forma di gatto e si accese una sigaretta. Sapeva che non avrebbe dovuto fumare, nel Central Dogma, ma in quella situazione non gliene importava gran che. – Asuka ha ragione, – ammise con uno sbuffo di fumo. – Per quante informazioni possiamo ottenere, non saremo mai in grado di fornirgliene abbastanza. Forse, in questo caso, l’unica cosa da fare è affidarsi all’istinto.
– Dottoressa Akagi!
L’urlo di Shigeru Aoba richiamò l’attenzione di Ritsuko, che serrò i denti sulla sigaretta in attesa di pessime notizie. – Cos’è successo?
– Homura! – esclamò l’uomo, la fronte imperlata di sudore. – È evasa! L’ascensore del settore detentivo è stato distrutto, due porte forzate! Si sta dirigendo verso l’esterno!
– Non è possibile… – sussurrò Ritsuko. – Perché l’allarme non è scattato?
– L’allarme è scattato, – intervenne Makoto Hyuga. – Tuttavia, un’interruzione nei circuiti non l’ha fatto arrivare fino a noi.
– Un’interruzione… – mormorò la donna. I suoi occhi si sgranarono. – Qualcuno è penetrato nel Central Dogma!
– Che cosa?
– Il diagramma d’onda blu di prima non era che una copertura, – disse Ritsuko stringendo i pugni. – Lo hanno utilizzato per infiltrarsi nei livelli più profondi. Riuscite a localizzare Homura?
– Negativo, – rispose Shigeru, gli occhi intenti a scorrere le immagini delle telecamere di sorveglianza. – Sembra essere scomparsa.
– Ad ogni modo, non può uscire dal Dogma senza passare di qui. Prima o poi si farà vedere, e allora…
– E allora cosa?
Subito dopo che quella voce gelida ebbe scandito quelle poche sillabe, una sensazione fredda comparve sulla nuca di Ritsuko Akagi. La donna sentì distintamente il rumore del proprio cuore che si fermava, per poi ripartire come una mitragliatrice, e la sigaretta le cadde dalla bocca spegnendosi al suolo con uno sprizzo di scintille.
Girò leggermente la testa, ma la pressione sulla nuca la paralizzò. – Non si muova.
– Homura! – esclamò Maya, terrorizzata. – Che cosa vuoi fare?
– Stai zitta.
– Homura, metti giù l’arma, – esitò la dottoressa Akagi. – Se mi uccidi, non potrai fare un passo fuori da questa stanza.
– Se la uccido, – disse la maga, lapidaria, – prenderò il suo tesserino identificativo, raggiungerò l’ascensore di uscita e arriverò in superficie. Ho studiato una pianta della struttura, non mi serviranno più di dieci minuti.
Ritsuko deglutì a fatica. – Cosa vuoi, Homura?
– Tomoe, Sakura e i Children stanno correndo un grave rischio. Devo raggiungerli.
– L’Angelo è un mistero perfino per noi. Cosa ti fa credere di poterlo affrontare?
– L’ho già fatto.
Un’espressione carica di stupore si delineò sul volto tesissimo della dottoressa Akagi, e anche gli operatori si scambiarono uno sguardo attonito. – E adesso, mi dia il suo tesserino.
La donna fece scivolare una mano fino alla tasca destra del suo camice, quindi ne estrasse un piccolo tesserino plastificato con la sua foto e la sua firma, oltre a svariate scritte e dati. Homura lo afferrò con calma, studiandolo per qualche istante. – Cosa sono, tutti questi numeri?
– Parametri biometrici, – mormorò Ritsuko. – Per funzionare, il tesserino richiede che le caratteristiche memorizzate nel codice a barre siano le stesse dell’ospite. Se le apparecchiature rilevano anomalie al momento dell’inserimento…
– Non funzionano, – la anticipò Homura. – Non stupirei se ci fosse anche un sistema di neutralizzazione ad innesco automatico.
La dottoressa non rispose, ma il suo silenzio valse come un’ammissione. – In questo caso, – sussurrò Homura allontanando l’arma ma tenendola ancora puntata, – lei verrà con me.
– Dottoressa Akagi!
– Senpai!
– No, Maya, – la fermò Ritsuko con un cenno della mano. – Andrà tutto bene.
Quelle parole non le erano mai suonate meno convincenti.
***
L'angolo dell'autore:
Salve a tutti! Finalmente sono tornato con un nuovo capitolo, e ho il piacere di annunciarvi che i lettori stanno aumentando a vista d'occhio. Vista la maggiore risonanza, dunque, tenterò di rendere la mia storia quanto più possibile appassionante, in modo da non deludere i nuovi lettori.
I Children e le maghe si ritrovano
finalmente ad affrontare Leliel a viso aperto, in uno scontro che tuttavia vede l'Angelo quasi del tutto invulnerabile all'offensiva dei nostri protagonisti. Frattanto, Homura si è liberata dalla sua cella, e Mari sembra aver trovato ciò che stava cercando...
Come andrà a finire lo scontro con l'ottavo Angelo? E cosa farà Homura, ora che è evasa dal settore detentivo? Lo scoprirete nelle prossime puntate!
Per concludere ringrazio tutti i miei lettori, specie i miei illustri recensori Darik e Ayako Yume, e vi invito come sempre a lasciare il vostro parere. Ogni consiglio sarà gradito!

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Capitolo 12
*** XII – Improvviso #3: The black knot ***


XII
Improvviso #3: The black knot
 
Le pareti del settore di transito scorrevano rapidamente intorno a Homura, mentre il nastro trasportatore conduceva lei e Ritsuko Akagi fino all’ascensore principale del Dogma. Da lì, sarebbero bastati pochi minuti per raggiungere la superficie di Neo-Tokyo 3.
– Può anche parlare, dottoressa Akagi, – disse la maga, rivolgendosi alla donna immobile davanti a lei. – Immagino che voglia chiedermi qualcosa.
– Prima hai detto di aver già combattuto contro l’Angelo, – mormorò Ritsuko. Nonostante il suo solito tono pacato, era evidente che desiderasse fare quella domanda già da parecchio tempo. – Cosa intendevi?
– Esattamente quello che ho detto, – ribatté Homura. – Tuttavia, adesso non posso dirle altro.
– E quando potrai farlo?
– Lo capirà a tempo debito.
L’ultima frase spinse Ritsuko a voltarsi verso Homura schioccando la lingua. L’espressione fredda della maga in nero era indecifrabile, mista di tristezza e determinazione, e la irritò tremendamente.
– Credi che si tratti di un gioco? – esclamò. – Ci sono milioni di vite in gioco!
– In realtà, – sospirò Homura guardando verso l’altissimo soffitto, – di vite in gioco ce n’è solo una.
***
– Muoviti, Madoka!
– Sayaka, ti prego, torniamo indietro! È troppo pericoloso!
Sayaka si fermò nel mezzo della sua corsa, girandosi di scatto per rivolgere a Madoka uno sguardo severo. – Ma cosa stai dicendo? Mami e Kyoko sono in pericolo, e lo sono anche Shinji e le altre! Dobbiamo andare lì e aiutarli.
– Ma come? – esclamò esasperata Madoka, fermandosi a sua volta per riprendere fiato. – Noi non siamo né maghe, né piloti di Evangelion!
– Sulla prima, fate sempre in tempo a ripensarci.
Kyubey comparve all’improvviso dalla cima di uno dei pochi pali della luce ancora accesi. Nel mezzo della strada quasi completamente buia, i suoi occhi rossi brillavano debolmente grazie al riflesso della luce del lampione. – A me bastano pochi secondi, per trasformarvi in maghe. Ditemi il vostro desiderio, e io penserò al resto.
– Però… – mormorò Madoka distogliendo lo sguardo. – Io non ho ancora deciso…
Lo sguardo di Sayaka si soffermò sull’espressione sofferente dell’amica. Il dubbio che la attanagliava era chiaramente visibile nei suoi occhi. – Per il momento non pensiamoci, – disse alla fine, richiamando l’attenzione di Madoka. – Faremo il tifo per loro, tutto qui. E poi, nel quartier generale della Nerv saremo di certo più al sicuro che a casa della signorina Misato.
Madoka rimase in silenzio per qualche secondo, per poi sorridere e correre verso di lei con la sua andatura un po’ impacciata. – Hai proprio ragione, Sayaka!
– Come sempre, no? – esclamò Sayaka, sollevando un pollice con espressione vittoriosa. – Coraggio, andiamo. Se non ricordo male, non dovremmo essere lontane…
– Tlack… tlack… tlack…
Un sottile ticchettio, simile a quello di una macchina da scrivere, mise in allarme entrambe le ragazze. Proveniva da un vicolo poco distante, e si avvicinava rapidamente.
– Che cos’è?
– Sarà… una macchina…
Il rumore si avvicinò ancora, facendosi più forte e frequente. L’eco lontana di un’esplosione strappò un urlo di paura a Madoka, e la stessa Sayaka arretrò rabbrividendo.
– Sayaka… torniamo a casa…
– Io…
Uno strano suono ovattato risuonò in lontananza, seguito da un lungo fischio irregolare, e il ticchettio divenne un susseguirsi di tonfi sordi. – Hai ragione, Madoka, – esclamò infine Sayaka. – Corriamo via, prima che…
Un enorme pilone nero comparve da una stradina laterale, conficcandosi con uno schianto nella strada a pochi metri dalle ragazze. Madoka si gettò su Sayaka, coprendola con le braccia e riparandosi con lei a ridosso di una macchina, e insieme a lei rimase immobile, cercando di controllare il battito del suo cuore.
– Che cosa sta succedendo? – gridò Sayaka, mentre nell’aria continuavano a echeggiare boati simili a quello prodotto dall’oggetto appena caduto sull’asfalto. – Cos’era quell’affare?
Il suono fischiante udito pochi istanti prima si fece d’un tratto più forte. Le ragazze sollevarono timidamente lo sguardo, riuscendo così a vedere numerosi pali identici al primo. Sembravano sbucati dal nulla, conficcandosi nel marciapiede opposto, nella strada e nei palazzi vicini. Poi, una potente esplosione risuonò sopra le loro teste, e calcinacci e vetri rotti crollarono sul marciapiede costringendole ad abbassare nuovamente il capo.
Ci fu un lampo di luce, seguito da uno strano verso simile al grido di dolore di un animale ferito. Lentamente, i pali neri si piegarono sulla strada ondeggiando con andamento ritmico.
Madoka afferrò il braccio di Sayaka, un’espressione sconvolta dipinta sul volto, quindi strattonò l’amica spingendola ad alzarsi nuovamente in piedi. – Corri! – urlò. La sua voce era a malapena udibile, sopra tutto quel frastuono, ma Sayaka non fece fatica a capire cosa le stesse dicendo.
Corsero a perdifiato, ripercorrendo la strada fatta per arrivare fino a lì. – Kyubey! – esclamò Madoka, cercando al contempo di pensare forte quelle parole. – Dove sei?
– Non preoccupatevi per me, ma per voi! – le rispose Kyubey. – Quello che avete appena visto è un Angelo, e sembra molto potente.
– Ma allora dove sono, gli Evangelion?
Quasi in risposta all’urlo di Sayaka, una seconda esplosione rischiarò la notte. L’Angelo si contorse dolorosamente sui suoi steli, e un’enorme massa nera si schiantò al suolo sbarrando la strada alle ragazze. Madoka sbarrò gli occhi, smettendo di correre e cominciando a tremare sulle gambe.
– No…
L’Angelo non era altro che quello: un ammasso deforme di quella strana sostanza nera, da cui si protendevano decine di viticci del diametro di un palo della luce, ma fin troppo piccoli in confronto alla stazza esagerata del corpo centrale.
– Quello… – balbettò Sayaka. – Quello sarebbe un Angelo?
Un movimento confuso rianimò le appendici della creatura, che le piantò nuovamente al terreno e le utilizzò come sostegno per sollevarsi sui palazzi semidistrutti. Il corpo centrale si riarrangiò in una forma sferica, scattando in direzione delle ragazze e sorvolandole a gran velocità. Le “zampe”, se così si potevano definire, si mossero in ritardo, alzandosi in aria e muovendosi disordinatamente intorno alla sfera nera.
E allora accadde.
Una figura umanoide, ma alta più della maggior parte dei palazzi circostanti, si lanciò sull’Angelo. Lo attaccò con una specie di coltello a serramanico, amputando alcuni di quegli enormi tentacoli e allontanandosi subito dopo con uno scatto all’indietro. Le estremità tagliate si liquefecero ricongiungendosi quasi subito con la massa centrale, dopodiché alcune appendici si lanciarono sull’aggressore ferendolo di striscio.
– Ayanami!
Un urlo richiamò l’attenzione delle ragazze, mentre un nuovo gigante attaccava l’Angelo. La creatura smise di badare all’avversario precedente, che replicò il fendente col coltello provocandole un nuovo urlo di dolore. La sfera nera fu scossa da un tremito, e si udì ancora una volta il rumore ovattato di poco prima. Questa volta, Madoka e Sayaka ebbero modo di vedere chiaramente il missile che si schiantava contro il corpo dell’Angelo con un impressionante boato.
Il mostro reagì in maniera diversa, rispetto a prima: si accasciò al suolo lentamente, perdendo progressivamente la sua forma. In pochi istanti, l’Angelo scomparve del tutto, come se fosse sprofondato nell’asfalto sottostante.
– Ehi, voi! Cosa diavolo state facendo!?
Madoka e Sayaka si sentirono afferrare per il collo delle uniformi. Si girarono all’unisono, nell’udire la familiare voce di Kyoko pronunciare quel rimprovero, e si ritrovarono davanti all’espressione furiosa della maga in rosso. Non stava mangiando, eccezionalmente, e questo non era affatto un buon segno.
– Noi… – balbettò Sayaka, gli occhi intenti a ispezionare la strada nel terrore di rivedere apparire il mostro. – Noi volevamo venire a darvi una mano…
– Ma cosa vi è saltato in testa?! – urlò Kyoko. I muscoli del suo volto erano tesi allo spasimo, rivoli di sudore scorrevano sulla sua fronte e le sue guance. ­– Volevate farvi ammazzare?
– Cosa succede, Kyoko?
Mami sembrò letteralmente essere piovuta dal cielo: discese leggiadramente dall’alto usando uno dei suoi lacci magici, atterrando in punta di piedi sull’asfalto. Quando i suoi occhi incontrarono quelli di Madoka, tuttavia, la sua espressione perse ogni compostezza. – Ma cosa…
– Stavano cercando di raggiungerci alla Nerv, – spiegò Kyoko, la voce ancora venata di rabbia e agitazione. – Che stupide…
– Noi volevamo solo aiutarvi! – cercò di discolparsi Madoka, ma Mami intervenne a sua volta.
– Siete state avventate. Potevate rimanere uccise, lo sapete questo?
– Ma noi…
– Ehi, voi due! Che state combinando?
La sagoma dell’Evangelion zero-due comparve fra i palazzi a poche decine di metri da Madoka e Sayaka, un gigantesco lanciamissili issato sulle spalle. Mami agitò una mano per richiamare la sua attenzione, ma la Second Child notò direttamente le due ragazze ancora in uniforme scolastica. – E loro cosa ci fanno, qui?
– Noi…
– Non c’è tempo per le scuse, – esclamò Mami. – Asuka, dobbiamo portare Madoka e Sayaka al sicuro. Finché restano qui saranno un intralcio per la battaglia.
– Aah… – sbuffò Asuka. – Dannazione. Va bene, portatele via, ma muovetevi. Ho un pessimo presentimento.
Mami fece un cenno del capo, per poi materializzare due nastri dorati davanti a sé. – Afferrateli, presto. Dobbiamo muoverci, altrimenti…
– Asuka!
Le urla di Shinji fecero rabbrividire Madoka. Un lungo viticcio si era sollevato dal suolo, conficcandosi nell’addome dell’Evangelion zero-uno e passandolo da parte a parte, per poi ritrarsi e scomparire. Attraverso gli altoparlanti si udivano distintamente i gemiti di dolore del ragazzo, misti al cigolio del metallo squarciato.
– Cocca del comandante! – urlò Asuka voltandosi di scatto e ricaricando alla svelta il lanciamissili. – Prendi lo stupido e allontanati da lì!
Rei scattò verso lo zero-uno e lo trascinò via, mentre nuovi tentacoli si ergevano dalla strada. – L’Umbilical Cable è stato reciso, – disse la ragazza sorreggendo a fatica lo zero-uno danneggiato.
– Allora la faremo finita in meno di cinque minuti!
 Il terzo missile partì lasciandosi dietro una scia biancastra e assordando Madoka e Sayaka. Tuttavia, non ci fu nessuna esplosione.
L’Angelo eresse decine di sottili spuntoni, afferrando il missile con alcuni di essi e stritolandolo in aria senza però causarne la detonazione. Dopodiché, i filamenti si estesero in un attimo verso l’alto, piombando su Asuka e le puellae magi.
L’Evangelion zero-due fu abbastanza rapido da schivare il colpo, ma Mami, Kyoko, Sayaka e Madoka si ritrovarono di fronte ad un’altissima foresta di steli neri. A differenza di quelli di prima, questi erano così sottili da essere a mala pena visibili.
– Kyoko, portale via!
Mami si lanciò alla testa del gruppo. Cinque fucili comparvero intorno a lei, sparando in sincrono contro l’Angelo, ma la raffica non sortì alcun effetto. – Mi avete sentito? – urlò la maga, preparando una nuova batteria di moschetti. – Scappate!
I filamenti cominciarono ad aggrovigliarsi l’uno sull’altro. Una immensa rete tridimensionale delimitata da minuscole maglie si dipanò davanti a Mami, ignorando completamente i suoi proiettili. Alcune appendici emersero dal reticolo, gettandosi contro la ragazza e serrandosi intorno ai suoi polsi e alle sue caviglie.
– Kyoko! – esclamò disperatamente Mami, voltandosi un’ultima volta verso la maga dai capelli rossi. I lacci dell’Angelo risalirono lenti lungo i suoi arti, avvolgendoli completamente in un sottilissimo involucro. In qualche secondo, tutto il tronco della ragazza fu nascosto da quel bozzolo nero. – Ti prego, salvali! Salvali tutti!
Uno stretto cappio si strinse intorno al collo di Mami, forzandola a guardare verso il groviglio nero. Improvvisamente, una bandeggiatura bianca e irregolare comparve sulla superficie della struttura, cominciando a vorticare disordinatamente. Nel centro di quello strano disegno rimase una zona nera, completamente vuota.
Gli occhi di Mami Tomoe rimasero spalancati, fissi su quella voragine spalancata davanti a lei. I viticci dell’Angelo stretti sul suo corpo la strattonarono istantaneamente in quell’ammasso informe, e la ragazza sparì, lasciando solo una perturbazione superficiale sul corpo dell’essere. Kyoko fece un passo verso la creatura, gli occhi sbarrati. Sayaka e Madoka si erano ammutolite, crollando in lacrime sulle ginocchia.
– Mami…
La trama bianca scomparve nelle profondità dell’intrico, lasciandosi dietro un fremito appena percepibile. Il reticolo si disgregò rapidamente, sollevandosi dal suolo e ritraendosi verso il punto in cui lo zero-uno era stato trafitto pochi secondi prima. Il silenzio tornò a regnare sulla notte di Neo-Tokyo 3, squarciato solo dall’urlo disperato di Kyoko.
***
– Mami!
Un grido lontano fece rabbrividire Ritsuko. Era arrivato all’improvviso, colmo di dolore e di paura, e aveva catturato in una morsa gelida il respiro della donna. – Questa…
– È la voce di Sakura, – disse Homura. Sul suo volto impassibile era comparsa una smorfia dolorosa; i denti serrati, i pugni chiusi, lo sguardo intento a scrutare le strade deserte, mostravano chiaramente l’inquietudine che si era impadronita di lei. – Maledizione… Sono arrivata troppo tardi.
***
L’angolo dell’autore:
Eccomi tornato! So che è passato più di un mese, so che sono in ritardo, ma credetemi quando vi dico che è stato un mese impegnativo. Ad ogni modo, io sono qui, Disruption continua, ed è questo l’importante.
La battaglia con l’Angelo va avanti, ma le cose stanno prendendo a dir poco una brutta piega. Sayaka e Madoka si sono ritrovate invischiate in una situazione di elevatissimo rischio, e sono ancora in pericolo. Per di più, l’Angelo ha preso Mami (lo so, sono cattivo), e Homura sta finalmente per intervenire. Cosa accadrà, a questo punto? Per Mami è la fine, o può ancora essere salvata? La risposta nel prossimo capitolo!
A presto, dal sempre, magnificamente vostro,
 
Bookmaker

P.S.: Un ringraziamento speciale ai miei recensori d’eccezione, Ayako Yume, Darik e GEBER EL, nonché a tutti i lettori che abbiano deciso di investire il loro tempo nella lettura di questo delirio su ruote!
 
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Capitolo 13
*** XIII – Within the mirror's cracks ***


Nota dell’autore. ATTENZIONE: è importante.
Il seguente capitolo contiene descrizioni di scene molto forti e crude, che potrebbero essere di impatto eccessivo per lettori facilmente impressionabili o con particolari background familiari. Se pensate che tali sequenze possano turbarvi, saltate il capitolo. In caso contrario, benvenuti (o bentornati, a seconda dei casi).
E adesso, Leliel.
 
XIII
_______:||
Within the mirror’s cracks
 
|
Scena prima
 
Domenica mattina.
Primavera.
Una strada montana.
Macchine di famiglie in vacanza viaggiano tranquillamente lungo il bordo di una collinetta scoscesa, inondata di sole e fiori di ciliegio.
Io… io la ricordo, questa scena…
|
Interno di una macchina.
C’è una ragazzina di quindici o sedici anni, seduta al posto di dietro.
Ha i capelli biondi avvolti in due grandi riccioli, un cappello di paglia a falde larghe in testa.
Indossa un semplice abito verde acqua e una camicetta.
Sembra assorta: forse sta guardando il panorama, o forse sta pensando che il ragazzo nella macchina a fianco è molto carino.
I suoi genitori parlano dell’albergo verso cui sono diretti, del lago, delle previsioni ottime per il fine settimana.
Tutto perfetto.
No.
Ti prego, no.
|
Non abbiamo ancora finito.
 
La bambina distoglie per un momento lo sguardo dal finestrino, e guarda verso i posti davanti.
– Mamma, tra quanto arriveremo?
La madre si volta con un sorriso amorevole.
– Presto, tesoro. Ormai, dovrebbe mancare solo mezz’ora, no?
Il marito annuisce, senza distogliere lo sguardo dalla strada. Ci sono molte macchine, davanti e dietro di lui, e lui è un guidatore molto prudente. Si sistema gli occhiali sul naso, cercando di decifrare le intenzioni della monovolume che lo precede.
– All’incirca, sì. Anche se, con questo traffico…
La bambina sorride.
– Non fa niente. Il panorama è così bello!
L’uomo volta per un attimo la testa, rivolgendola all’imponente sagoma del monte Fuji che si staglia alla sua destra.
– Già, Mami. Hai proprio ragione.
UN CLACSON.
Lo schianto è sufficiente per uccidere sul colpo la madre. La macchina si ribalta lateralmente, e gli occhiali del padre volano in un angolo dell’abitacolo. L’uomo non fa nemmeno in tempo a gridare, perché l’air bag lo colpisce con forza sul volto e lo tramortisce. Un’emorragia lo ucciderà a breve.
No…
|
Scena seconda.
Stesso momento, stesso luogo.
Inquadratura frontale della macchina mentre si schianta.
 
“Crash”
 
Smettila…
|
Scena terza.
Stesso momento, stesso luogo.
Inquadratura posteriore della macchina mentre si schianta.
 
“Crash”
 
Fallo smettere, ti prego!
|
Scena quarta.
Stesso momento, stesso luogo.
Inquadratura laterale destra della macchina mentre si schianta.
 
“Crash”
 
Fallo smettere! Perché mi stai facendo questo?
|
Scena quinta.
Stesso momento, stesso luogo.
Inquadratura laterale sinistra della macchina mentre si schianta.
 
“Crash”
 
HO DETTO SMETTILA!
|
Non è necessario irritarsi.
 
Scena sesta.
Lo schianto è avvenuto. Sirene in lontananza. Fumo. Puzza di qualcosa che brucia.
Nella macchina ormai rovesciata, la ragazzina è ancora agganciata alla cintura di sicurezza.
Un pezzo del telaio le ha perforato la schiena. Il tamponamento cardiaco la sta facendo morire.
È ancora cosciente, anche se fatica a respirare.
– Aiutatemi…
Una piccola sagoma compare sopra di lei, oltre il finestrino in frantumi.
– Saresti disposta a diventare una maga, per salvare la tua vita?
La ragazzina fissa quella sagoma. Non c’è segno di sorpresa, nei suoi occhi: sta per morire, e ha sentito dire che prima della morte si vedono le cose più strane.
– Potrei farlo, lo sai? Potrei salvarti in questo stesso istante, se tu decidessi di voler diventare una maga.
È veramente tutto un sogno?
Sì, che domande. Non è possibile che una cosa del genere accada per davvero. In ogni caso, forse è meglio provare. Nel peggiore dei casi, non accadrà nulla, e lei morirà.
La ragazzina annuisce debolmente, e protende una mano verso quella minuta silhouette dagli occhi rubino. Non riesce a parlare, ma spera che quel gesto possa bastare per salvarla, o quanto meno per farla arrivare in paradiso.
– Molto bene, allora.
Il respiro riprende, profondo e affannoso. La pressione proveniente da dietro scompare all’istante, e anche la sensazione della camicetta sporca di sangue dietro la schiena svanisce nel nulla, come se non ci fosse mai stata.
– Molte grazie, Mami Tomoe. Ora sei ufficialmente una ragazza magica.
***
Mami riapre gli occhi. Intorno a lei c’è uno spazio vuoto, completamente nero. Cerca di voltare lo sguardo, ma non riesce a capire se ci sta effettivamente riuscendo: non c’è alcun punto di riferimento. Per una qualche ragione, inoltre, non riesce a muovere le braccia, le gambe, né altre parti del corpo.
– Io… – mormora. – Sono morta?
All’unisono con le sue parole, una lunga linea bianca orizzontale compare nel suo campo visivo, tagliandolo a metà con decorso irregolare. Mami si aspetta di sentire qualcosa da un momento all’altro, ma non succede niente.
– C’è… c’è qualcuno?
Di nuovo, la linea attraversa lo spazio davanti a lei. In quel momento, Mami si rende conto che quella linea è lei.
***
Ritsuko incespicò lentamente lungo le scale sotterranee che conducevano all’ascensore del Geo Front. Homura si era lanciata rapidamente in direzione delle urla che avevano udito poco prima, e ora il capo scienziato del progetto E era rimasta sola, con un tacco rotto e neanche una sigaretta per alleviare la tensione.
– Senpai Akagi! Senpai! Va tutto bene? La prego, senpai, risponda!
Ritsuko sobbalzò per lo stupore, nell’udire il suono gracchiante di una ricetrasmittente. Frugò in una delle tasche del camice, scoprendo con sorpresa di averne tenuta una con sé, e rispose in fretta al richiamo ansioso di Maya.
– Eccomi, Maya. Non mi è successo niente, sto rientrando nel Geo Front.
– Senpai! – esplose la ragazza, quasi in lacrime per la felicità. – Per fortuna sta bene!
– Homura non voleva farmi nulla, – la tranquillizzò Ritsuko. – Voleva aiutare le altre a combattere l’Angelo, credo.
– A proposito di ciò, senpai… La prego, faccia in fretta. C’è qualcosa che deve vedere.
***
– No! Lasciami andare!
Asuka ignorò quelle parole, e continuò a correre. Dietro di lei, la notte si era ridotta ad un dipinto scuro, una macchia densa priva di colore. Gli ultimi palazzi ancora in piedi producevano una debole luce, appena sufficiente a mostrare il tenue velo di nubi che avvolgeva la luna. Poco distante, la spianata della città fortificata di Neo-Tokyo 3 era finalmente in vista.
“Grazie al cielo hanno fatto rientrare gli edifici tattici,” pensò Asuka, rivolgendo uno sguardo di sfuggita alle sue spalle. In lontananza, l’Angelo non era altro che un’immensa silhouette nera, stagliata contro il cielo notturno.
– Lasciami!
Le grida di Kyoko fecero rabbrividire Asuka. Le terminazioni sensoriali dell’Evangelion le comunicavano fin troppo chiaramente il dimenarsi della maga in rosso, intrappolata contro la propria volontà fra le enormi mani della macchina umanoide.
– Ho detto lasciami!
– Sta zitta! – urlò Asuka, scuotendo leggermente il polso in modo da scoraggiare Kyoko. – L’hai visto, no? Non c’è più niente che possiamo fare!
Kyoko riprese a gridare. – Ma non possiamo abbandonarla!
La Second Child chiuse gli occhi, mordendosi le labbra fino a sentire dolore. – Non abbiamo altra scelta.
– È terribile… Tutto questo… Tutto questo è terribile…
Era stato Shinji a farsi carico di Madoka, che si era raggomitolata sin da subito sui palmi dello zero-uno e aveva cominciato a piangere disperatamente. – Mami…
L’unica che non parlava era Sayaka. Rei l’aveva afferrata poco dopo le altre due, e da quel momento era rimasta in silenzio. Kyuubey, invece, non si vedeva da nessuna parte.
Giunti al centro della zona fortificata, gli Evangelion si inginocchiarono quasi all’unisono, permettendo così ai Soggetti Devianti di scendere dalle loro mani. Kyoko saltò giù per prima, voltandosi subito contro il volto dello zero-due.
– Perché l’hai fatto? – urlò. I suoi occhi erano pieni di lacrime, il suo viso contratto in una smorfia stillante dolore. – Io dovevo rimanere con lei! Io dovevo combattere!
Asuka non rispose. L’LCL intorno ai suoi occhi si mischiò a qualche lacrima, e il silenzio della cabina di pilotaggio si serrò intorno a lei come una prigione, opprimendole il cuore e impedendole di respirare. – Lei ha detto, – mormorò, la voce esitante per il pianto. – Lei ha detto che dovevi salvarci.
Kyoko strinse i pugni, mentre due rivoli salmastri le rigavano le guance.
– Se non vi avessimo portate via, ora non potresti più adempiere al tuo incarico.
La maga in rosso digrignò i denti in un’espressione feroce. Si lanciò contro la mano poggiata al suolo dell’Evangelion, e cominciò a prenderla disperatamente a pugni, quasi soffocando fra i singhiozzi. – Non dovevi! Non dovevi, dannazione, non dovevi!
Lontano, uno stridio sordo echeggiò nella città deserta. L’Angelo si era ricomposto, e ora svettava pencolante sui palazzi semidistrutti, simile ad un’altissima, grottesca torre di ossa. Numerosi prolungamenti collegavano lo stelo nero al suolo, rendendolo somigliante ad un albero con enormi radici aeree. Era uno spettacolo assurdo, più che minaccioso. Sembrava uscito da un incubo.
Asuka si costrinse a smettere di pensare al pianto di Kyoko. Lo escluse dai suoi pensieri, e spense il sistema di altoparlanti esterni in modo da non essere udita. – Ehi, Stupi-Shinji.
Shinji si voltò di scatto, distogliendo finalmente lo sguardo da Madoka. La ragazza, davanti allo zero-uno immobile, continuava a singhiozzare accovacciata a terra, le ginocchia strette al petto.
– Che cosa facciamo, adesso?
Il ragazzo fissò Asuka per un lungo istante. Nei suoi occhi non c’era nulla, se non uno sguardo atterrito e impotente. – Credo che sia meglio chiamare il quartier generale, – disse. La sua voce era più dimessa del solito. – Qui ormai non possiamo più fare niente.
– In realtà, qualcosa da fare ci sarebbe.
Kyuubey sembrò comparire dal nulla. Doveva averli seguiti saltando tra i tetti dei palazzi, ma cionondimeno la sua voce fece trasalire tutti i presenti.
– Cosa diavolo stai dicendo? – esclamò Asuka voltandosi verso di lui. – Lo abbiamo colpito con tutto ciò che abbiamo, ma quell’affare sta ancora in piedi! E poi, senza Mami, cosa possiamo fare?
– Parti da un’idea sbagliata, – ribatté Kyuubey. I suoi occhi si illuminarono brevemente, o almeno, così parve ad Asuka. – Vedi, Asuka, non so dirvi come sconfiggere l’Angelo. Tuttavia, posso dirvi con certezza che Mami Tomoe è ancora viva.
***
C’è qualcuno?
|
Mami Tomoe.

Sì… è il mio nome.
|
Io sono Mami Tomoe.

No… ti sbagli. Sono io.
|
Io sono la Mami Tomoe che esiste dentro Mami Tomoe.
Un ente vivente esiste sempre in due forme:
soggetto osservante
e oggetto osservato.
Io sono il soggetto Mami Tomoe che osserva l’oggetto Mami Tomoe.

Ma allora chi sono, io?
|
Tu sei l’oggetto Mami Tomoe, osservato dal soggetto Mami Tomoe.

Non capisco.
|
Esistono infinite Mami Tomoe.
Il soggetto Mami Tomoe è unico,
ma l’oggetto Mami Tomoe è infinitamente replicabile.

Io… io credo di comprendere.
Parli della me stessa vista da fuori di me, giusto?
|
Precisamente.
Di solito si rifugge dalle immagini prodotte dalle menti degli altri soggetti osservanti.
Tu, però, Mami Tomoe, in quelle immagini ti rifugi.
Con il tuo comportarti da leader.
Con il tuo cercare compagni.
Con il tuo mostrarti perfetta.
Con il tuo inseguire il conforto.
Con il tuo proteggere gli altri.
Perché?

Perché non voglio essere sola.
|
Perché?

Perché essere sola non mi piace.
|
Perché?

Perché da soli ci si fa soltanto del male.
|
Perché?

Perché io odio me stessa.
|
Perché?

Perché non sono ciò che vorrei essere.
|
Perché?

Perché sono un mostro.
|
Perché?


***
– Mami… – mormorò Kyoko. – Mami è ancora viva?
– In un certo senso, sì, – rispose Kyuubey. La sua coda bianchissima ondeggiava morbidamente nell’aria, disegnando ampie volute. – Tuttavia, non può essere raggiunta da nessuno. Non la si potrebbe liberare neanche con la magia.
– In tal caso dovremmo ritirarci, – disse Ayanami. Asuka reagì con un’occhiata truce.
– Non dire idiozie! – urlò. – Non si abbandonano i compagni sul campo di battaglia!
– Se non c’è niente che possiamo fare, – replicò Rei, – non ha senso rischiare le nostre vite.
– Neanche con la magia, eh?
Sayaka sollevò il capo, richiamando l’attenzione di tutti i presenti. Anche lei aveva pianto, ma ora nei suoi occhi c’era solo una fredda determinazione. – E se provassimo con un miracolo?
Il movimento della coda di Kyuubey si fermò di scatto. – Stai dicendo che hai fatto la tua scelta… Sayaka Miki?
– Sì, – annuì la ragazza. – Il mio desiderio…
***
Mami continua a guardare fissamente lo spazio nero che si estende davanti a lei. Ogni volta che l’altra voce parla, una linea verticale spacca in due il suo campo visivo. E all’improvviso, Mami si accorge di non riuscire neanche a muovere la testa in orizzontale.
| Ti farò comprendere.
Lo spazio nero scompare. Improvvisamente, Mami è a bordo di una macchina. Si guarda intorno. È una bella giornata di sole, e c’è rumore di motori a scoppio e ruote sull’asfalto.
Davanti a lei, ai posti anteriori, i suoi genitori.
Non parlano, non si muovono, fissano senza scopo la strada di fronte alla macchina.
– Mamma… – mormora Mami. – Papà…
Mami protende una mano verso le due figure, ma all’improvviso il suo braccio torna ad aderire al suo fianco. I suoi genitori non si sono accorti di nulla.
Mami riprova ad allungare la mano, ma di nuovo torna nella posizione iniziale. Guarda fuori dal finestrino. Il panorama scorre per qualche secondo, per poi resettarsi e ripresentarsi ai suoi occhi sempre uguale. Si spinge con lo sguardo oltre il parabrezza. Una macchina, pochi metri più avanti, perde progressivamente il controllo. La vettura si avvicina alla macchina della famiglia Tomoe, ma proprio prima dell’impatto, tutto ricomincia da capo.
– Cosa succede?
Stavolta non compare nulla. La sua voce risuona nell’abitacolo silenzioso come un’eco lontana.
| Questo è il luogo in cui la tua mente si è persa. Il soggetto Mami Tomoe esiste solo qui.
Le immagini continuano a ripetersi, senza un vero significato. Ogni volta che il panorama scorre davanti agli occhi di Mami, qualcosa le trapassa il cuore come uno stiletto d’acciaio.
– Non mi piace, questo posto.
| È il solo luogo che possa condividere con te.
Poco più avanti, la macchina che ha ucciso i genitori di Mami perde nuovamente il controllo, per ritornare subito aderente alla strada.
– Possiamo tornare allo spazio di prima?
Prima che la risposta possa arrivare, la luce scompare, e Mami si ritrova di nuovo nel luogo nero e vuoto in cui si è risvegliata.
| Se così desideri.
– Questo spazio nero… che posto è?
| Questo è l’oggetto Mami Tomoe. Un luogo privo di determinanti, in quanto determinato da chi lo osserva.
– Io lo osservo?
| No. Tu, qui, non esisti nemmeno.
In quel momento, per la prima volta, Mami si accorge di non riuscire a percepire se stessa.
– …
– Sono morta?
| Affatto. Se il soggetto Mami Tomoe fosse morto, io non potrei parlare con te. In questo momento, tuttavia, l’oggetto Mami Tomoe si trova sotto osservazione del soggetto Mami Tomoe, e questo è l’unico spazio che possa accogliere il nostro dialogo.
– La mia mente?
| Il suo simulacro.
– Non capisco.
| Non c’è una mente, in questo luogo, perché questo luogo è la tua mente. Qui Mami Tomoe ha vincolato se stessa, e la sua esistenza come soggetto è pertanto limitata a questo luogo.
– Perché mi stai parlando? Perché adesso?
| Te l’ho detto. Escludendo la tua esistenza, sacrificando la tua vita al prossimo, ti sei preclusa ogni possibilità di dialogo con il soggetto Mami Tomoe. In questo momento, tuttavia, il contatto fra la Mami Tomoe osservata e la Mami Tomoe osservante è possibile per la prima volta da quando hai chiuso la tua mente.
La scena cambia di nuovo. Mami è di nuovo in una macchina, ma c’è qualcuno, alla sua sinistra. È una ragazzina di qualche anno più piccola di lei, con un cappello a falde larghe che le copre buona parte del volto e un morbido abitino lungo. Guarda dritto davanti a sé, senza distogliere lo sguardo da un punto indefinito del sedile del passeggero.
Mami rivolge lo sguardo all’esterno. È il tramonto. Il panorama scorre monotono, ma non ci sono più scatti né ripetizioni. La strada è deserta.
| Questo è l’ultimo momento dell’esistenza del soggetto Mami Tomoe come tale.
Mami si volta. La ragazzina continua a guardare il sedile, ma è stata certamente lei a parlare.
| L’ultimo momento in cui l’oggetto Mami Tomoe è stato giudicato dal soggetto Mami Tomoe.
– Ma perché non avrei dovuto giudicarmi? – chiede Mami. È smarrita. Non riesce a capire cosa le stia succedendo.
| Questa è una domanda di cui solo tu possiedi la risposta.
– Ma io non la conosco!
| L’hai solo dimenticata, sigillata in questo luogo. Hai fatto sì che il soggetto Mami Tomoe non potesse più ferirti, perché sapevi di essere colpevole di qualcosa.
– Colpevole…
Mami guarda davanti a sé. Due figure sono sedute ai posti del guidatore e del passeggero, ma sono in controsole, e Mami non le riconosce.
| Non cercare con gli occhi. Questo luogo è un artefatto, un prodotto della tua mente. Cercando con gli occhi della mente non troverai nulla, se è la tua stessa mente a nascondertelo.
Mami annuisce. – Credo di aver capito.
Chiude gli occhi, tirando un profondo sospiro. Quando li riapre, le cose sono ancora le stesse. Tuttavia, le figure ai posti davanti sono più definite.
– Loro… sono mamma e papà, vero?
| Sì.
Ancora una volta, Mami guarda la ragazzina al suo fianco. Lunghe ciocche di capelli biondi ricadono sulle sue spalle. – E tu sei… me. La me stessa che osserva me stessa.
| Sì. Io sono il soggetto Mami Tomoe.
– E la mia colpa…
La gola di Mami si secca all’improvviso. Le parole che ha sempre pensato, ma a cui si è sempre rifiutata di credere, emergono brutali come spari di fucile. – È quella di non averli salvati.
Un’esplosione risuona in lontananza. Il tramonto si squarcia, producendo un’onda d’urto che fa vibrare l’aria intorno alla macchina. All’interno dell’abitacolo, tuttavia, è tutto fermo.
– Se io lo avessi desiderato… – mormora Mami, mentre le lacrime scendono copiose dai suoi occhi. – Se io lo avessi desiderato, mamma e papà sarebbero ancora vivi.
Immensi pezzi di cielo precipitano al suolo, sollevando colonne di fuoco e polvere. – Io… io non sono una paladina. Sono solo… sono solo…
Le due sagome nere si voltano e fissano Mami, due grandi voragini di luce al posto degli occhi.
– Un’egoista!
***
Homura balzò su una grande piattaforma ottagonale alta una decina di metri, per poi saltare rapidamente su un’altra struttura poco più alta. Poco lontano, a forse cento o duecento metri, le figure degli Evangelion erano inginocchiate in uno spiazzo privo di rilievi. Homura non riusciva a vederle, ma era sicura che Kyoko, Sayaka e Madoka fossero lì.
“Ti prego, Sayaka,” pensò. “Non fare niente di stupido.”
***
– Senpai!
Ritsuko entrò nel Central Dogma di corsa, le decolleté rosse in mano. Si arrampicò con insospettabile agilità fino alla piattaforma del ponte di comando, e subito Maya si precipitò ad abbracciarla, gettandolesi al collo con entusiasmo.
– Senpai! Ero così in pensiero!
– Va tutto bene, – sussurrò la donna passandole una mano tra i capelli, senza riuscire a trattenere una leggera risata. – Scusa se ti ho fatto preoccupare.
Poco distanti, Shigeru e Makoto erano immersi nell’analisi di una fitta rete di grafici, distribuita su svariati computer affiancati. Ritsuko li fissò per qualche istante, quindi allontanò da sé Maya e si avvicinò agli schermi. – Che diavolo è successo?
– È quello che stavamo cercando di capire, – rispose prontamente Shigeru, voltandosi con uno scatto verso il suo superiore. – Da quando se n’è andata lei, abbiamo registrato diversi gigabyte di dati indecifrabili.
– Fatemi dare un’occhiata.
Maya annuì fulminea, portando alla sua senpai una sedia e accostandola al piano che ospitava il terminale centrale della formazione. Ritsuko si sedette, inforcando gli occhiali e afferrando una sigaretta dal pacchetto poggiato accanto al computer. La accese con un accendino a forma di gatto, gettando poi l’oggetto in un angolo della scrivania, e tirò una lunga boccata.
– Allora… – disse con aria assorta, mentre uno sbuffo di fumo grigio si spandeva dalle sue labbra. Le sue dita cominciarono a battere a velocità impressionante sulla tastiera del terminale, scorrendo al contempo le informazioni e richiamando nuove finestre sullo schermo già intasato. – Qui c’è il tracciato di attività rilevato all’interno del Geo Front, e fin qui so già tutto. I dati successivi, tuttavia… – mormorò, avvicinandosi allo schermo e strizzando gli occhi, quasi per studiare i numeri uno per uno. – Sembrano… no, sono completamente diversi. C’è stata una riduzione progressiva dell’emissione di energia da parte dell’Angelo.
– Gli Evangelion lo hanno danneggiato gravemente a più riprese, – intervenne Makoto. – Può dipendere da quello.
– Inoltre, bisogna tenere conto del danno magico inflitto da Mami e Kyoko, – aggiunse Maya. – Gli Angeli sono resistenti a tutto, ma forse la magia è qualcosa a cui nemmeno loro sono preparati.
Ritsuko scosse la testa, senza distogliere lo sguardo dal monitor. – Non è questo. Sì, i danni subiti possono aver contribuito a ridurre l’energia residua dell’Angelo, ma secondo questi grafici, – disse, indicando un punto dello schermo con l’indice destro, – c’è stato un vero e proprio crollo nell’emissione energetica. Sembra quasi che sia stato l’Angelo a decidere di emetterne di meno. Inoltre, come potete vedere dalla mappa, la superficie di emissione si è ridotta a meno dell’un percento dell’area iniziale.
Ritsuko si allontanò dal monitor, appoggiando la schiena alla sedia e prendendo la sigaretta fra le dita. – È come se avesse voluto aumentare la densità dell’energia… E poi c’è questo.
La donna appoggiò delicatamente la punta dell’indice della mano libera sullo schermo. – Qui la quantità di dati rilasciata è mostruosa, e si sviluppa in meno di dieci secondi. I diagrammi d’onda, inoltre, sono stranamente convoluti. Uno dei due diagrammi d’onda bianchi sembra sparire per qualche secondo, mentre quello blu raggiunge un picco. Poi, quello blu rientra nei valori precedenti e riduce l’emissione di dati, mentre quello bianco ricompare, ma con valori molto più bassi… Come se si fosse allontanato.
Tutti tacquero, compresa la stessa Ritsuko, che consumò il mozzicone rimasto e lo spense nel posacenere strapieno. Poi, una nuova serie di dati richiamò l’attenzione della donna.
– Aspettate… Sta succedendo qualcosa.
Maya si lanciò sulla propria postazione, analizzando attentamente i grafici che si stavano delineando sul monitor. – Il diagramma d’onda bianco sta cambiando! Sta diventando…
– Nero.
***
L’angolo dell’autore:
Salve a tutti, e bentornati su Disruption! So di non essermi fatto sentire per un po’, ma questo capitolo mi ha impegnato non poco.
Finalmente, Leliel ci porta nel lato oscuro, e replica su Mami il trattamento che nella serie era destinato a Shinji. Being Meguca is suffering, e l’Angelo ce lo ricorda fin troppo bene.
Kyuubey, nel frattempo, orchestra tutto da dietro le quinte, e si prepara a stipulare il suo contratto con Sayaka, mentre Ritsuko ci dà poche, ma preziose informazioni su quanto sta accadendo alla maga dai capelli dorati.
Alla prossima, dunque, e grazie del tempo che mi avete dedicato!
Con affetto,
 
Bookmaker
 
P.S.: Come sempre, ormai, ringrazio Darik, Ayako Yume e GEBER EL per il supporto, la costanza e la simpatia che mi dimostrano. Date un’occhiata ai loro profili: ne vale veramente la pena.
 
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Capitolo 14
*** XIV – Sinfonia #1: The Knight ***


XIV
Sinfonia #1: The Knight
 
– Il mio desiderio… è di poter salvare Mami Tomoe dall’Angelo!
Non appena Sayaka ebbe pronunciato quelle parole, una fioca luminescenza vermiglia avvolse il corpo di Kyuubey, rendendo evanescenti i lineamenti dell’alieno e facendo risaltare solo i suoi inespressivi occhi di rubino.
– Molto bene, Sayaka Miki, – commentò soddisfatto l’essere, avvicinandosi alla ragazza mentre la sua coda ondeggiava con un movimento ritmico. – Il contratto è siglato.
Le appendici che fuoriuscivano dalle orecchie di Kyuubey si sollevarono lentamente, facendo tintinnare i grandi anelli d’oro che le circondavano, e al tempo stesso l’aura che ammantava l’alieno si fece più densa e luminosa. Madoka e Kyoko si voltarono di scatto, e persino Asuka, Rei e Shinji, dall’interno delle cabine di pilotaggio degli Evangelion, furono costretti a coprirsi gli occhi per evitare di rimanere abbagliati da quello strano fenomeno.
– Ma che stanno facendo? – esclamò Asuka alla volta di Kyoko. Nella sua voce c’era una nota di apprensione, o forse una strana paura per quel misterioso rituale.
– Kyuubey sta realizzando il desiderio di Sayaka, – mormorò la maga in rosso. – La sta trasformando in una maga.
Sayaka era immobile, stordita dalla luce che la circondava e dal flebile tintinnio degli anelli di Kyuubey. Mentre tutti i presenti tacevano, e l’Angelo si contorceva in lontananza proteso verso il cielo, le appendici dell’alieno si allungarono verso il petto della ragazza e lo attraversarono con un movimento lento. Una smorfia sofferente comparve sul volto di Sayaka, ma un attimo dopo era tutto finito. La ragazza guardò con perplessità gli occhi inespressivi di Kyuubey, per poi cadere a terra stremata.
– Sayaka! – esclamò Madoka, correndo incontro all’amica e cercando impacciatamente di sorreggerla. – Sayaka! Va tutto bene?
– S… sì… – ansimò Sayaka, sforzandosi di mettersi seduta. Non si sentiva stanca, ma una strana sensazione di estraneità si era impadronita del suo corpo. – Non riesco a muovermi bene.
– È normale, – intervenne Kyoko, avvicinandosi a sua volta alla ragazza. – Il corpo delle maghe è diverso da quello dei normali esseri umani. Devi solo farci l’abitudine.
– Io non ho… io non ho tempo.
Con uno sforzo tremendo, Sayaka Miki si rimise in piedi davanti agli occhi sconcertati di Kyoko. – Io non ho tempo per farci l’abitudine!
– Non è possibile… – mormorò Kyoko, al che Shinji chinò la testa dell’Evangelion per farsi più vicino.
– Che intendi dire? – chiese, e Kyoko gli rispose senza distogliere lo sguardo da Sayaka.
– Non avrebbe dovuto essere in grado di muoversi! – esclamò. – Non è possibile che sia già in grado di manovrare un corpo da maga!
– Ne parli come se fosse un Evangelion, – sbuffò Asuka. – A me non sembra tanto diversa da…
Prima che Asuka potesse finire la frase, il corpo di Sayaka cominciò ad emanare un intenso bagliore azzurro. Una sottile trama di filamenti bianchi e neri si avviluppò sulla ragazza, vorticando freneticamente intorno a lei. Pizzi di luce e scintille si sollevarono dal terreno, costituendo una specie di gazebo e andando poi a stringere Sayaka come un enorme abito.
Ci fu un’ultima esplosione di luce, forme e colori, che inghiottì il buio della notte spandendo nell’aria un delizioso suono cristallino. Anche dall’interno degli Entry Plug, Shinji e Asuka sentirono il loro cuore rallentare per un attimo, dopo tutta la paura e l’agitazione di quelle ultime ore. Perfino Rei, ancora in disparte nonostante tutto, sollevò le sopracciglia in un’espressione colma di stupore.
Quando tutta la luce sparì, Sayaka sembrava un’altra persona.
L’uniforme da liceale era sparita, lasciando il posto ad un corpetto azzurro coperto in basso da un candido corsetto orlato di pizzo e a un paio di guanti di seta bianca con maniche blu lunghe fino al gomito. Una corta gonna in tinta col corpetto ondeggiava leggiadramente, sorretta da un cinturone con la fibbia d’oro, e lunghe calze da duellante coprivano le gambe sin sopra il ginocchio, a loro volta celate da spessi e bassi stivaloni acquamarina. A completare quel bizzarro abbigliamento, un lungo mantello bianco ricadeva dalle spalle della ragazza, avvolgendola quasi completamente, e una lunga spada dalla lama ricurva pendeva al suo fianco.
– Voi aspettatemi qui, – disse Sayaka, voltandosi appena e stringendo con forza l’impugnatura della spada nella mano destra. – Io vado a prendere Mami.
***
Ah… ah… ah…
Che meraviglia…
C’è così tanto spazio, qui…
Ci si potrebbe fare una tavola immensa! Con tanti invitati!
Prenderemmo il tè! Tutti insieme, sì, con la torta fatta da me!
E parleremmo tutto il giorno, oh, se parleremmo!
Parleremmo di tante cose, di tante, tante cose!

Però…
Però non c’è nessuno.
Non c’è nessuno, qui.
Ci sono solo io.
E io non voglio stare da sola.
***
Asuka non ebbe nemmeno il tempo di fare domande. Non appena ebbe pronunciato quelle parole, Sayaka assunse una posizione raccolta, da velocista, quindi si proiettò in direzione dell’Angelo. Fu uno scatto incredibilmente rapido e potente, tanto da scuotere l’aria circostante con un’onda d’urto che fece tremare Madoka.
Sayaka schizzò verso l’enorme silhouette dell’Angelo con la velocità di un proiettile. Intorno a lei si svilupparono curiosi anelli neri, che andarono a costituire un grande pentagramma solcato da note musicali. Una doppia lettera f si materializzò a breve distanza dalla ragazza, roteando insieme agli anelli secondo una traiettoria eccentrica e irregolare, e in quel momento la velocità di Sayaka aumentò in maniera spaventosa.
– Cosa succede? – esclamò Kyoko, quasi senza fiato.
– Mi pare abbastanza ovvio, – disse Kyuubey, contemplando la scena con aria soddisfatta. – Sayaka ha desiderato di poter salvare Mami. Per farlo, ovviamente, le serviva un potere tale da distruggere l’Angelo.
– Che cosa? – urlò Asuka. – Mi vuoi dire che…
– Esattamente, – la anticipò Kyuubey. – Sayaka Miki è diventata un essere di potere paragonabile a quello di un Angelo.
***
Per quanto possa essere scontato, Sayaka non si era mai sentita così in vita sua. Mentre il panorama di Neo Tokyo-3 scorreva sotto di lei, la ragazza cominciò a soffermarsi sulle proprie percezioni.
Il mondo le sembrava… rallentato. Le cose si muovevano più lentamente di quanto lei non le percepisse, e come risultato ogni particolare della città intorno a lei saltava con chiarezza ai suoi occhi.
La sagoma dell’Angelo era sempre più vicina, una sbilenca torre nera piena di paura e morte. Sayaka, però, non ne era affatto spaventata.
“Resisti, Mami. Arriva il Cavaliere!”
***
– No!
L’urlo di Homura risuonò inascoltato fra gli edifici deserti, mentre la figura di Sayaka Miki schizzava via a velocità impressionante. La maga serrò i pugni fino a che le sue nocche non impallidirono, imprecando contro se stessa per non essere arrivata in tempo.
– Ehi, tu!
Una gigantesca mano calò su Homura nel tentativo di ghermirla, e solo per un istante la ragazza riuscì a evitarla.
Dall’Evangelion zero-due, la voce di Asuka investì Homura perentoria. – Non dovresti essere in una cella?
– Aspetta, – esclamò la maga. – Devo dirvi qualcosa di molto importante!
– TU!
La lancia di Kyoko scattò fulminea contro Homura, costringendola ad arretrare con un salto per evitare il colpo.
– Cosa diavolo vuoi, ancora? – urlò la maga rossa, riportando la lancia in posizione e preparando un nuovo affondo. – Non ti è bastato il casino che hai fatto?
– Ti prego, lasciami spiegare! – ribatté Homura. – Sayaka è in grave pericolo!
– Ma chi vuoi che ti creda? – rise Asuka causticamente. L’Evangelion si sollevò in piedi, muovendo un lento e minaccioso passo verso la maga. – Scommetto che sei appena evasa, dico bene? In tal caso, è nostro dovere riportarti alla Nerv. E credimi, sarai fortunata ad arrivarci senza ossa rotte.
– Aspetta, Asuka!
La Second Child si fermò, rivolgendo uno sguardo meravigliato alla proprietaria della flebile voce che si era levata dai piedi dell’Evangelion.
Madoka si era avvicinata, giungendo a pochi metri dalla macchina umanoide, e ora fissava la cabina di pilotaggio con aria timorosa. – Io… io credo che Homura voglia aiutarci.
– Senza offesa, Madoka, – si oppose Asuka, – ma hai la capacità di giudizio di una bambina delle elementari. Chiunque capirebbe che questa qui ha solo interesse per se stessa!
– Non è vero! – ribatté la ragazza dai capelli rosa, facendo un piccolo passo verso Asuka con una certa determinazione impressa negli occhi. – So bene di essere ingenua. Però… – aggiunse, rivolgendo uno sguardo alla maga in nero, – io sento che possiamo fidarci di Homura.
– Madoka… – mormorò Homura, rivolgendosi per un attimo verso la ragazza, ma non aggiunse altro.
Ci fu qualche istante di silenzio. Kyoko mantenne la lancia sollevata, distogliendo però lo sguardo da Homura e fissando Madoka con aria interrogativa, mentre Asuka si chinò su di lei piegando le ginocchia dell’Evangelion. – E va bene, – sbuffò alla fine. – Le darò ascolto, per questa volta.
La Second si girò, sollevando la mano destra dello zero-due verso Homura e sollevando solo il dito indice. – Una possibilità, miss Mistero. Dopodiché, ti spedisco al Central Dogma a calci.
Homura annuì, rivolgendosi poi verso Kyoko. – E tu? Ti fidi di me?
Kyoko abbassò la lancia, sostenendo lo sguardo della maga in nero con aria di sfida. – Devo ancora decidere.
– Per ora mi basta, – sospirò Homura. – Dobbiamo fare in fretta.
– È inutile che ti scaldi, – sbuffò Asuka, sollevandosi in piedi e indicando l’Angelo con un gesto del capo. – Sayaka sta già salvando Mami.
– Temo che non sarà così.
Kyoko sollevò un sopracciglio, squadrando con sospetto la maga dai capelli corvini. – Ma che stai dicendo? Sayaka ha espresso un desiderio…
– E il desiderio si realizzerà, – la interruppe Homura, girandosi verso la scia luminosa lasciata da Sayaka. – Mami Tomoe sarà salvata dall’Angelo. Tuttavia…
La maga tornò a fissare Kyoko, uno sguardo affranto inciso negli occhi. – Neanche un miracolo potrà salvarla da se stessa.
***
– Ah… dannazione. Questa non ci voleva.
Erano ormai diversi minuti che Mari continuava a gattonare lentamente a ridosso del muro, la mimetica ottica nuovamente adagiata sulla schiena. Quello che le stava davanti era il terzo ascensore che incontrava a non essere funzionante. A quanto pareva, dopo il suo scherzetto di prima e l’evasione della maga in nero, tutti gli ascensori che portassero al livello del Central Dogma erano stati bloccati. – Certo che quell’Homura non scherza… – commentò fra sé e sé, un ghigno divertito stampato sul volto. – È una vera Fiamma, non c’è che dire.
Un rumore lontano la mise in guardia, inducendola ad appiattirsi ulteriormente contro la parete e a sperare che la lieve distorsione ottica della mimetica non la tradisse. Non successe nulla, tuttavia, e Mari riprese a muoversi cautamente per cercare un nuovo ascensore, o quantomeno un modo per venir fuori da quel labirinto di corridoi sotterranei.
– Allora, allora, allora… – mormorò pensosa, guardandosi intorno come in cerca della soluzione. – Come me ne cavo fuori?
Un soffio d’aria la investì all’improvviso, rischiando di sollevare la sua mimetica e di lasciarla così alla mercé delle telecamere. La ragazza si voltò rapidamente, cercando la fonte di quel getto, e ciò che vide le fece spalancare gli occhi per la cupidigia.
Una griglia metallica, larga forse mezzo metro e alta meno di trenta centimetri, separava il corridoio dall’impianto di aerazione. Era tenuta in posizione da due viti e da una cerniera laterale in acciaio, ed era proprio a livello del pavimento. Mari non avrebbe nemmeno dovuto alzarsi, per smantellarla, e la mimetica ottica sarebbe bastata a coprirla mentre svitava i fermi e sgattaiolava dentro. Certo, la grata sarebbe scomparsa per un po’, ma se non era ancora suonato un allarme voleva dire che nessuno se n’era accorto. Era un peccato non avere un cacciavite, ma in fin dei conti non avrebbe fatto alcuna differenza.
– Mi rovinerò le unghie… – borbottò la ragazza. Poi, tuttavia, il sorriso si fece nuovamente strada sul suo volto.
Aveva una via di fuga.
***
L’impatto con l’Angelo fu devastante. L’immensa struttura nera fu scossa sin dalle fondamenta, spandendo nell’aria un boato assordante misto ad un grottesco lamento di dolore, e si piegò pericolosamente verso il suolo.
Sayaka si tenne aggrappata alla superficie scabra dell’Angelo, sorpresa dalla propria forza: nel punto in cui aveva colpito l’essere era comparso un cratere emisferico profondo almeno dieci metri, dal cui fondo stillava un fluido rossastro simile a sangue, ma più denso e dall’odore più pungente.
– Ha funzionato… – mormorò incredula, un sorriso estatico stampato sul suo volto.
Quasi in risposta alle sue parole, l’Angelo strillò orrendamente. Si ripiegò su se stesso cercando di raddrizzarsi, e al contempo il fondo della voragine scavata da Sayaka cominciò a brulicare di migliaia di minuscoli filamenti.
La ragazza saltò via con tutta la sua forza, subito prima che le sottili appendici dell’Angelo si protendessero in una cuspide nel tentativo di ghermirla. – Non ti è bastato? – gridò, quindi afferrò la spada e si preparò ad affondarla contro l’avversario.
In quel momento, però, un nuovo urlo ferì le orecchie della maga, facendole digrignare i denti in una smorfia e impedendole di portare l’attacco.
Il corpo del mostro cominciò a tremare vigorosamente. Lunghe crepe scalfirono la sua superficie, espandendosi intorno ad una spaccatura verticale più grande, e la sommità della torre si abbassò verso Sayaka emettendo un gemito sofferente.
Con una serie di spasmi e convulsioni, l’Angelo spaccò in due il suo corpo, e davanti a Sayaka comparve una gigantesca bocca verticale. Sul fondo della cavità, milioni di aghi anneriti si affollavano come una folla di piccoli denti filiformi, e un singolo punto bianco fissava la maga come un occhio senza pupilla, emettendo una tenue luminescenza bianca e contraendosi spasmodicamente.
– Ma cosa…
La creatura emise un grido lacerante, per poi schiantarsi al suolo con tutta la sua mole. Le sue colossali fauci inghiottirono grossi pezzi di edifici e decine di metri di strada, lasciando al loro posto una spaventosa voragine e sollevando nubi di polvere grigia. Dai fianchi di quel corpo mostruoso si ersero grandi steli ritorti, che si annodarono in tre paia di zampe simili a quelle di un ragno e si infissero nel suolo distruggendo l’asfalto sotto il proprio peso.
L’Angelo si sollevò da terra, la bocca percorsa da un fremito di bramosia: nella foresta di denti che la riempivano non vi era alcuna traccia di Sayaka.
– Mi stavi forse cercando?
Una fitta rete di spirali bianche comparve sulla schiena dell’Angelo, agitandosi in un disegno irregolare e astratto, e infine un occhio identico a quello di prima si fissò sulla figura di Sayaka, leggiadramente sospesa qualche decina di metri sopra di lui e circondata da un tenue alone luminoso.
– Ora tocca a me.
Sayaka agitò la spada davanti a sé, e la luce intorno a lei svanì all’istante. Prima che l’Angelo potesse reagire, la maga impugnò la spada con entrambe le mani. Si lanciò verso una delle zampe del mostro, disegnando un ampio arco con la lama argentea dell’arma, e atterrò sul selciato con un movimento aggraziato. Pochi istanti dopo, un massiccio fiotto rosso imbrattò i palazzi intorno a lei, e l’Angelo cadde al suolo insieme al suo arto reciso.
La ragazza scattò verso quella che sembrava essere la testa della creatura, riuscendo a intravedere la massa bianca e luminescente che costituiva il suo occhio all’interno della bocca mezza sollevata. L’Angelo urlò ancora e si sollevò sulle zampe residue, ma Sayaka non lo sentì. Si tuffò direttamente fra le sue fauci, facendosi strada con un poderoso affondo fra i filari di denti.
– Sparisci!
Davanti agli occhi di Sayaka, il bianco dell’occhio dell’Angelo sparì. Rimase solo un’enorme massa nera, indefinitamente estesa sopra e sotto di lei, completamente silenziosa. – Ho… ho vinto?
Il corpo dell’Angelo prese a ribollire, coprendosi di pustole gonfie e tumide. Il suo colorito cambiò, diventando rossastro, e in pochi istanti cominciò a grondare lo stesso liquido denso e viscoso che Sayaka aveva visto poco prima. Prima che la maga dai capelli azzurri potesse chiedersi qualcosa, l’intero corpo dell’Angelo esplose in una pioggia rossa, e Sayaka si ritrovò a precipitare verso il suolo senza alcun sostegno.
Si guardò intorno, cercando di capire dove si trovasse, e scoprì di essere a diverse decine di metri da terra. I residui dell’Angelo continuavano a liquefarsi, ad eccezione di un piccolo frammento a forma di fuso. Sayaka concentrò la sua attenzione su quell’oggetto, riuscendo infine a distinguere il profilo di un paio di gambe umane, di un corpo da ragazza e di una chioma di capelli biondi.
– Mami!
Con uno sforzo tremendo, Sayaka deviò dalla propria traiettoria. Si lanciò verso Mami, sfruttando quello stesso potere che le aveva permesso di sconfiggere da sola l’ottavo Angelo, e la afferrò tra le braccia poco prima dell’impatto col suolo.
Ruzzolò a terra, stupendosi nel non sentire quasi nessun dolore e cercando di stringere Mami con tutta la forza di cui disponeva. Quando alla fine si fermò, il respiro corto e affannoso per via della paura e dello sforzo, il suo sguardo si posò sul volto di Mami. Dormiva tranquilla, gli occhi morbidamente chiusi come se stesse sognando qualcosa di piacevole, e le sue braccia erano completamente abbandonate lungo i fianchi.
– Mami… – mormorò Sayaka accostando il volto a quello dell’amica, mentre una lacrima di commozione scendeva dalla sua guancia. – Ce l’abbiamo fatta! Mi senti?
Mami non si mosse. Sayaka non ci fece caso, pensando che fosse svenuta… tuttavia, dopo pochi istanti, il suo cuore ebbe un sussulto.
Mami non respirava. Il suo alito non arrivava sulle guance di Sayaka, il suo torace era immobile, il suo cuore non batteva. Sayaka la depose rapidamente al suolo, cercando di riscuoterla prendendola per le spalle. – Mami! Mami, rispondi!
Mentre la pioggia di materia rossastra imbrattava il suo mantello candido, Sayaka iniziò a insufflare aria nella bocca di Mami, imitando goffamente le manovre di emergenza viste a scuola. Tentò di praticare un massaggio cardiaco, ma senza alcun risultato, e allora ricominciò da capo. Lunghi rivoli di lacrime presero a scorrere lungo le sue guance, e alcune gocce caddero sul volto di Mami mischiandosi alla polvere e al sangue dell’Angelo.
– Ti prego!
Il grido straziante di Sayaka squarciò il silenzio della città, ormai alle soglie dell’alba. In lontananza, i pesanti passi degli Evangelion annunciavano l’arrivo dei suoi compagni.
– Io… io avrei dovuto salvarti… – pianse la ragazza, un sussurro appena udibile. – Era il mio desiderio…
– E infatti il tuo desiderio si è realizzato.
Sayaka aprì gli occhi bagnati di lacrime, e subito li spalancò per la meraviglia: Mami aveva aperto gli occhi, e le rivolgeva uno sguardo dolce e stanco. – Mi hai salvata, Sayaka.
– Mami!
Sayaka abbracciò Mami con forza, stringendola vigorosamente e scoppiando in un fiume di singhiozzi. – Ho avuto tanta paura! – esclamò. – Temevo che fossi morta!
– È tutto finito, ora, – la rassicurò la maga dai capelli dorati, ricambiando l’abbraccio e poggiandole una mano sulla guancia accarezzandola delicatamente. – Non devi più preoccuparti di nulla.
Forse fu solo un’impressione di Sayaka, ma il rumore dei passi degli Evangelion si era attutito. Inoltre, la pioggia rossa e densa aveva smesso di cadere, e l’odore acre che permeava l’aria fino a poco prima si era dissipato. – Dobbiamo andare, – mormorò Sayaka, asciugandosi con un guanto le lacrime colate sulle sue guance. – Gli altri saranno in pensiero.
– Aspetta.
Improvvisamente, la stretta di Mami si fece più forte. Sayaka fece per distaccarsi da lei, ma le braccia della maga si serrarono intorno ai suoi fianchi impedendole di muoversi.
– Mami… Cosa fai?
– Sono rimasta sola per tanto, tanto tempo… – sussurrò Mami in tono mellifluo, accostando le labbra all’orecchio di Sayaka. – Ora voglio stare con qualcuno… per sempre.
– Mami! – protestò Sayaka, cercando inutilmente di divincolarsi da quella stretta. – Mi stai facendo paura!
Le mani di Mami si insinuarono nel corpetto di Sayaka, percorrendo lascivamente la sua schiena. – Lasciati andare, Sayaka. Staremo insieme per sempre.
– Lasciami!
Una spada dalla lama ricurva comparve dal nulla fra le mani di Sayaka, e la ragazza la brandì contro Mami ferendola al volto. La maga bionda si distaccò da lei, e Sayaka ne approfittò per allontanarsi con uno scatto. – Cosa sei? – urlò. – Tu non puoi essere Mami!
Mami fece una faccia stupita. Si portò una mano al volto, sfiorando la ferita sanguinante. – Ma cosa dici, Sayaka? Certo che sono io.
– Mami non farebbe mai una cosa del genere! Te lo ripeto ancora una volta: cosa sei?
Mami chiuse gli occhi, senza allontanare la mano dal viso. – Te l’ho detto.
Quando gli occhi di Mami si riaprirono, fulminarono Sayaka con uno sguardo colmo di bramosia. Il taglio sulla sua guancia si dissolse, evaporando in un filo di fumo nero simile a cenere, e gli angoli della sua bocca si incurvarono in un ghigno diabolico. – Io sono Mami Tomoe.
La terra tremò, e solo allora Sayaka si accorse che lo spazio intorno a lei era cambiato. Il cielo era scomparso, sostituito da un’enorme volta formata da grandi specchi prismatici. In ogni direzione la maga si voltasse, non c’era altro che un mondo astratto, decorato da mobili e oggetti dalle forme vezzose. Tutti i colori sembravano essere stati alterati, e ogni cosa era tinta da macchie di colore scuro e stese con andamento irregolare, come in un’aberrazione della realtà concepita da una mente insana e disperata.
E in quel momento, Sayaka comprese.
– Tu… – mormorò, incredula e rabbiosa. – Sei una Strega!
– Ah, ah, ah…
Mami allargò le braccia con aria teatrale, esasperando il suo macabro sorriso. Una serie di flash colpì gli occhi di Sayaka, imprimendo nella sua mente una successione di rune prive di significato e scandendo un bizzarro conto alla rovescia. Quando tutto ebbe termine, il corpo di Mami esplose in un tripudio di nastri dorati, che risalirono verso la volta avvolgendosi l’uno sull’altro e componendo una gigantesca figura umana.
Davanti agli occhi esterrefatti di Sayaka, la Strega di Mami Tomoe si stagliò contro il panorama della propria Barriera.
***
– Sayaka!
Gli Evangelion erano ormai a poco più di cento metri da Sayaka, quando lei svanì nel nulla insieme al corpo di Mami. I piloti li fermarono bruscamente davanti all’enorme croce luminosa generata dalla morte dell’Angelo, e Kyoko balzò giù dalle spalle dello zero-due atterrando a poche decine di metri dal punto in cui fino a poco prima si trovava la maga dai capelli azzurri. – Ma cosa…
La ragazza si voltò all’improvviso per rivolgersi a Homura, ferma sulla spalla destra dello zero-uno. – Cos’è successo? – urlò, la voce tremante di rabbia e smarrimento. – Dove sono sparite?
Homura distolse lo sguardo, forse per celare la tristezza nei suoi occhi. – Speravo che questa volta non sarebbe successo, ma… Mami Tomoe ha ceduto alla disperazione.
– Homura… – mormorò Shinji, volgendo gli occhi verso la maga in nero. – Cosa significa?
La ragazza rimase in silenzio per qualche istante, per poi alzare lo sguardo con aria assorta. – C’è una cosa, – mormorò Homura, – che Kyuubey non vi ha mai detto, a proposito delle maghe. Se la disperazione le consuma, o se esauriscono il loro potere magico, esse generano una maledizione. Tutto il bene che hanno portato, tutta la gioia che hanno donato al prossimo, si trasformano in dolore, rabbia e miseria. E in questo modo… le maghe diventano Streghe.
Un silenzio tombale scese sul gruppo. Madoka, rannicchiata carponi fra le mani dello zero-zero, rimase a fissare Homura ad occhi sgranati, incapace di credere alle sue parole.
– Aspetta un momento, – esclamò Kyoko rompendo la quiete. – E il desiderio?
Homura storse gli angoli della bocca in una smorfia di disprezzo, indicando il suolo ai piedi dell’Evangelion. – Questo devi chiederlo a lui.
Kyuubey era lì, immobile. Seduto sulle quattro zampe, fissava Kyoko con i suoi occhi scintillanti, dondolando oziosamente la coda nivea. – Ve l’ho detto, – disse l’alieno. – Il desiderio di Sayaka Miki è stato pienamente soddisfatto. Lei voleva salvare Mami, e l’ha fatto: ha estratto il suo corpo dall’Angelo, esattamente come era prima. Tuttavia… quando lei ha espresso il desiderio, di Mami Tomoe era rimasta solo un guscio vuoto.
Kyoko fece un passo verso di lui, le mani serrate sulla lancia. – Mi stai dicendo che l’hai presa in giro?
– Voi umani… – sospirò Kyuubey. – Proprio non riesco a comprendervi. Chiedete un miracolo che va contro il realizzabile, e poi vi stupite delle sue conseguenze. Se Mami Tomoe fosse rimasta all’interno dell’Angelo, la sua Strega sarebbe stata soffocata dall’A.T. Field, e non sarebbe successo nulla. Sayaka però ha chiesto un potere che a nessun umano dovrebbe essere accessibile, e questo è il risultato. Oltretutto, immagino che il contatto con l’Angelo abbia alterato la natura della Strega… e tutto questo per colpa di Sayaka.
Un tremendo frastuono meccanico mise in allarme Kyoko; tuttavia, prima che la maga potesse fare qualcosa, il piede dell’Evangelion zero-due si abbatté al suolo, schiacciando il corpicino di Kyuubey sul selciato con uno schianto assordante.
– Chiamiamo la dottoressa Akagi, – mormorò Asuka con voce spenta, ritraendo l’arto e lasciando sulla strada solo una piccola macchia bianca e sanguinolenta. – Il bastardo non è utile.
***
L’angolo dell’autore:
Eccomi di nuovo! Scusate per il forte ritardo con cui pubblico questo capitolo, ma spero che la lettura sia valsa l’attesa! Come sempre, vi invito a lasciare un commento, anche piccolo, soprattutto se avete trovato qualcosa che non vi aggrada. Ogni suggerimento sarà ben accetto, per cui non siate timidi.
Ringrazio ancora una volta i miei recensori abituali Darik e Ayako Yume per il feedback costante che mi lasciano, nonché i nuovi recensori King Kurama e Metabarone.
Un saluto a tutti e al prossimo episodio, dal sempre, magnificamente vostro
 
Bookmaker

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Capitolo 15
*** XV – Seconda interferenza: A way to end the fear ***


XV
Seconda interferenza: A way to end the fear
 
– Ciao, Asuka, – mormorò la dottoressa Akagi, aspirando una profonda boccata di fumo e soffiandola via in una tenue nuvola grigia. – Vedo che l’Angelo è stato distrutto.
– Sì, ma ora abbiamo un altro problema, – disse Asuka all’altro capo del ricevitore, una nota di nervosismo a incrinare la sua voce. – Mami è stata catturata dall’Angelo.
Ritsuko allentò per un attimo la stretta sulla sigaretta, rischiando di farsela cadere dalla bocca. Ora capiva il significato dell’improvvisa sparizione di quel diagramma d’onda bianco, pochi minuti prima. Tuttavia, c’era ancora qualcosa che non le tornava.
– E non è tutto, – proseguì Asuka, come per rispondere a quella domanda non espressa. – Pare che l’Angelo l’abbia trasformata in Strega. Non ho capito esattamente cosa sia successo, provi a chiederlo alla donna del mistero.
La dottoressa Akagi sollevò un sopracciglio, lievemente sorpresa. – Ti riferisci a Homura?
– E a chi, sennò? – sbuffò Asuka. – Credo che sappia molto più di quanto voglia darci a intendere.
– Già… – sussurrò Ritsuko, ripensando alle parole rivoltegli dalla ragazza in nero quella sera stessa. – Tuttavia, – aggiunse, – abbiamo rilevato un nuovo diagramma d’onda bianco, durante le fasi finali dello scontro. Si spostava a grandissima velocità, quindi l’abbiamo perso.
– Ecco, – disse Asuka. Stavolta, la tensione nella sua voce era palpabile. – Questo è l’altro problema di cui volevo parlarle. Sayaka… è diventata una maga. È stata lei a distruggere l’Angelo, ma facendolo ha liberato la Strega di Mami. Ora è imprigionata nella sua barriera, e non sappiamo come tirarla fuori.
Ritsuko prese una lunghissima boccata di fumo dalla sigaretta. In pochi istanti fra le sue dita rimase solo un mozzicone incenerito, e la donna lo gettò nervosamente nel posacenere strapieno. Le sue dita si tuffarono nella tasca del camice, afferrando il pacchetto mezzo vuoto ed estraendone una nuova sigaretta con una destrezza dettata dall’abitudine.
– Maya, – esclamò d’un tratto, facendo sobbalzare l’assistente. – Trova la barriera. Ci serve una zona ad emissione anomala, anche di pochissimo, quindi usa i sensori elettromagnetici. Se al suo interno lo spazio è distorto, è possibile che ci siano interferenze nelle immagini registrate dalle telecamere interne posizionate nelle aree di sovrapposizione dimensionale. Ci basta un dettaglio.
La ragazza fissò la sua senpai con un’espressione a metà tra lo smarrimento e la venerazione, quindi annuì con piglio deciso e cominciò ad armeggiare con la tastiera del proprio terminale.
– C’è un’anomalia, in effetti, – mormorò Maya dopo qualche secondo. – A un chilometro dagli Eva, vicino alla stazione. C’è una telecamera che dà immagini disturbate.
– Ascolta, Asuka, – riprese Ritsuko. – Esiste ancora una possibilità di salvare Mami, secondo me, ma sarà molto difficile. Dovrete eseguire i miei ordini, tutti e senza discussione. Ci siamo intesi?
– Sì, – disse Asuka dopo un breve silenzio. – Ho capito.
– Avete ancora un pallet gun?
– Shinji sta andando a prenderlo da un palazzo tattico qui vicino. In realtà, non so a cosa potrà servirci.
– Sarà un’esca, – disse Ritsuko, prendendo la sigaretta fra le labbra e pescando dalla scrivania ormai caotica un accendino. – Un’esca per la Strega.
***
La grata cigolò, smuovendosi di qualche millimetro. Era quasi fatta.
Mari si distese per qualche attimo sui gomiti, riprendendo fiato e sistemandosi gli occhiali sul volto sudato. Quella del condotto era stata una pessima idea, dopotutto: quel cunicolo era dannatamente caldo, e lo spazio al suo interno bastava a mala pena per respirare. Per quasi quindici minuti, Mari si era dovuta trascinare in quello spazio angusto strisciando sul ventre, graffiandosi le braccia e le gambe contro le irregolarità delle pareti, e adesso la grata d’uscita non voleva saperne di aprirsi.
– Andiamo… – ansimò la ragazza, gli occhi risplendenti di un verde intenso. – Ancora una volta!
Mari si rannicchiò su se stessa, cercando di schiacciare la schiena al tetto del condotto. Dopodiché, si scagliò contro la grata sferrandole una possente spallata.
Le viti cedettero all’unisono, e la ragazza capitombolò da un muretto non troppo alto. Atterrò di faccia, dritta su una zolla erbosa, e quando si sollevò carponi scoprì di non riuscire a vedere niente. – Ahia… gli occhiali…
Le sue dita si mossero freneticamente sul terreno, fino a tastare il contorno metallico dei suoi occhiali. La ragazza li inforcò, scoprendo con disappunto che la lente sinistra si era scalfita.
Si guardò intorno. Era nel Geo Front, nel mezzo di un campo di cocomeri che conosceva già. Lo zaino era caduto insieme a lei, e il suo contenuto si era riversato per terra. Il mantello mimetico era pieno di tagli, e le fibre ottiche che lo componevano erano ben visibili. L’unica fortuna era che il dispositivo cilindrico appeso al suo fianco era ancora al suo posto, e la sua spia era ancora accesa sul verde.
Mari si accovacciò, prendendo a raccogliere la sua roba e ricacciandola a forza nello zaino, e quando ebbe finito si gettò la mimetica addosso a mo’ di soprabito. La attivò, e una livrea irregolare si disegnò sulla sua superficie. Di certo non avrebbe ingannato nessuno, in un luogo ben illuminato, ma in quella notte senza stelle forse avrebbe funzionato.
– Torniamocene a casa, – sospirò, issandosi lo zaino in spalla e dando un’ultima occhiata al campo di cocomeri intorno a lei. – Il Draghetto sarà in pensiero.
***
Andava tutto benissimo.
La festa si stava dimostrando un successo, e l’atmosfera era deliziosa. Certo, molti degli invitati dovevano ancora arrivare, ma di sicuro non avrebbero tardato ancora a lungo.
Lungo il tavolo agghindato per l’occasione, tutti parevano divertirsi. Decine di ballerine danzavano gioiosamente, piroettando intorno a enormi sedie decorate di rose, e i candelabri proiettavano una squisita luce color miele dondolando oziosamente sotto l’altissimo soffitto. Innumerevoli nastri dorati si proiettavano in ampie volute, e la tavola imbandita era affollata da fantasmagoriche leccornie. Davvero, non si poteva desiderare di meglio.
Mami sporse la testa di lato per aggirare l’enorme teiera poggiata davanti a lei. In fondo al tavolo, Sayaka era un amore. Le ballerine accanto a lei la stavano lusingando con le loro moine, in modo da invitarla a restare. La ragazza, tuttavia, sembrava volersene andare.
Per fortuna i legacci erano resistenti.
Mami riempì di tè la sua tazza, aggiunse un cucchiaino di zucchero e girò delicatamente l’infuso.
Era tutto perfetto.
All’improvviso, però, un forte rumore proveniente dall’alto richiamò l’attenzione di Mami, spingendola a sollevare lo sguardo. I candelabri ondeggiavano in maniera leggermente bizzarra, ma a parte ciò non sembrava esserci nulla di strano.
Un secondo boato risuonò al di là del soffitto, facendo tremare la volta affrescata in bianco e oro. Sembrava che qualcosa stesse colpendo l’esterno della stanza, forse per entrare.
“E se volessero unirsi alla festa?” pensò Mami. Poi, un’illuminazione la colse: potevano essere gli altri ospiti! Ma certo, di sicuro avevano trovato il portone chiuso, e ora cercavano di farsi sentire.
Mami arrossì: che sciocca, era stata! Avrebbe dovuto aspettarli fuori. Si alzò dalla sedia, dirigendosi alla grande porta della stanza.
Era il momento di ricevere i suoi ospiti.
***
– Eccola!
L’urlo di Homura colse Asuka alla sprovvista. Poi, nel giro di pochi secondi, lo spazio davanti a lei cambiò: le strade, gli edifici, il cielo plumbeo, tutto sembrò essere risucchiato da un pozzo infinitamente profondo. Dal fondo del pozzo emerse un reticolo di linee disordinate, che andò espandendosi in un tripudio di spirali e volteggi, e da quel groviglio incomprensibile prese lentamente forma un volto.
La Strega di Mami Tomoe gettò un braccio all’esterno della barriera. In realtà, più che di un braccio si trattava di un enorme agglomerato di linee nere. Sembrava uno schizzo disegnato con un pennello rotto, pieno di sbavature e imprecisioni, e solo per un caso somigliante ad un arto umano.
Enormi e sottilissimi artigli d’inchiostro si infissero al suolo, senza nemmeno scalfire gli edifici e l’asfalto sottostanti, e l’arto si contrasse spasmodicamente nel tentativo di issare il corpo della Strega al di là della fenditura dimensionale.
– Dottoressa Akagi! – esclamò Shinji, serrando la presa sul pallet gun. – La Strega sta uscendo! Ora che facciamo?
– Aspettate che sia interamente fuori, – rispose Ritsuko. – Quando la attaccherete, probabilmente cercherà di fuggire. Non deve riuscire a rientrare nella barriera.
– Sì, ma poi? – insistette il ragazzo. Le sue mani tremavano sui comandi dell’Evangelion. – Se la colpissimo, potremmo fare del male a Mami!
– Infatti non dovrete colpirla, – spiegò la donna. – Tu, Asuka e Rei concentrerete gli A.T. Field degli Evangelion su di lei, in modo da contenerla. Le Streghe assorbono onde elettromagnetiche, quindi lei tenterà di prosciugare gli A.T. Field, ma se li espanderete in maniera sincronizzata non sarà capace di sostenerli. Se tutto andrà bene, Mami rimarrà indenne.
– E Sayaka? – intervenne Kyoko. – Lei è ancora nella barriera!
– Questa è la parte difficile. Mentre gli Evangelion terranno ferma la Strega, tu e Homura dovrete entrare nella barriera per prelevare Sayaka.
Kyoko rivolse uno sguardo a Homura. Nei suoi occhi c’era un’ombra strana. – Mi aiuterai?
La maga in nero guardò a sua volta verso Madoka. Era rimasta indietro, al riparo di un camion parcheggiato, ma continuava a sporgersi per guardare verso di loro. – Va bene, – disse alla fine. – Entreremo nella barriera insieme.
– Dovrete fare in fretta, – aggiunse Ritsuko. – Quando la Strega sarà neutralizzata, la barriera probabilmente collasserà in maniera diversa dal solito: la frontiera dimensionale potrebbe rimanere integra, e questo renderebbe impossibile entrare o uscire dallo spazio chiuso.
In lontananza, il corpo della Strega continuava a emergere dalla barriera in una pioggia di nastri dorati, agitandosi smanioso nel cielo notturno. L’appendice nera continuava a pulsare, simile a un gigantesco cuore sull’orlo del collasso.
La testa della creatura si protese fuori dal viluppo della barriera, affacciandosi sul mondo e fissando gli Evangelion con aria curiosa. Il suo volto sembrava una grande maschera d’oro, con occhi e bocca sostituiti da linee nerastre, ed era percorsa da incisioni intente a inseguirsi in capricciosi ghirigori. Pareva che il disegno stesso della maschera mutasse di istante in istante. Dietro alla maschera, invece, appena visibili nel marasma di frattali che circondavano la Strega, spuntavano due boccoli dorati, unico resto di ciò che era stata Mami Tomoe.
Kyoko materializzò una lancia davanti a sé, facendola roteare con rabbia e mettendosi in posizione accanto a Homura, pronta a scattare. – Non appena esce, – pensò, in modo da farsi sentire dai piloti, – noi ci tuffiamo dentro. Voi distraetela.
Il torso della Strega, dalle evidenti parvenze femminili, fuoriuscì dalla barriera. All’altezza della spalla sinistra si vedeva con precisione il punto in cui il suo corpo finiva, sostituito dai viticci neri che si intrecciavano nel braccio.
– Graaahh…
Con un gracchiare sordo, la Strega strisciò fuori dal suo nascondiglio. Un lungo abito, simile a una coperta rattoppata, coprì gli edifici senza schiacciarli, come se il corpo del mostro fosse privo di peso, e un secondo braccio si protese verso l’esterno. Sembrava il braccio di un manichino, avvolto in una sproporzionata manica a sbuffo decorata con indecifrabili caratteri runici.
– Ci siamo quasi, – urlò Asuka. – Shinji, il pallet gun!
– Sì!
Lo zero-uno incespicò, travolto dalla tensione del suo pilota, e lasciò cadere l’enorme fucile nel mezzo della strada. L’arma atterrò con un boato, recidendo cavi dell’alta tensione e abbattendo pali telefonici.
– Possibile che debba essere sempre così imbranato? – sospirò il pilota dello zero-due scuotendo la testa. – Cocca del comandante, tu sei pronta?
Rei attese qualche secondo, prima di rispondere. Il silenzio della notte era lacerato dalle grida della Strega.
– Shikinami… – mormorò alla fine. – Tu hai paura?
– Cosa?
Le braccia della Strega mulinarono in aria, e l’esile collo della creatura si contorse fin quasi a spezzarsi. Quando il suo sguardo si fissò su Homura e Kyoko, la maschera parve deformarsi in un ghigno atroce.
Un grido più forte degli altri fece tremare la terra. Un turbine di nastri dorati circondò la Strega, avvolgendosi intorno al suo corpo e tirandola a forza verso l’esterno della barriera. Uno dei lacci era serrato attorno al collo della creatura, sembrava strangolarla.
– Tu hai paura, Shikinami? – ripeté Rei. – Hai paura di morire? Hai paura di rimanere sola?
Una gigantesca sfera di metallo arrugginito, piena di fori e crepe, emerse dalla barriera e cadde al suolo. Al suo centro era infisso un lungo palo, che penetrava nell’abito della Strega come a costituirne l’unico supporto. Quando la sfera toccò la strada, scavò su di essa un gigantesco cratere. Subito la Strega si raddrizzò, come se quell’oggetto costituisse il suo centro di gravità, e contrasse spasticamente il braccio destro. Ora quella mano rinsecchita aderiva quasi al petto della creatura e stringeva una manciata di nastri, flosci e patetici come fiori appassiti.
– Ma cosa diavolo stai blaterando? – urlò Asuka. – Ti pare il momento di pensare a idiozie simili?
La Strega avanzò, erta sulla sfera perforata. Tutto ciò che entrava in contatto con la superficie arrugginita dell’oggetto sembrava corrodersi, per poi ridursi in frantumi. Il suo sguardo era ancora diretto verso le maghe, e il suo spettrale arto sinistro si agitava nel tentativo inutile di ghermire l’aria intorno a lei.
– Preparatevi! – esclamò Asuka. – Avremo solo un tentativo, dobbiamo agire insieme!
– Sì!
Nuovamente, Rei tardò a rispondere. Stavolta, però, la sua risposta si limitò a un semplice sì.
– Bene, allora, – disse Asuka. – Andiamo.
***
Homura respirò profondamente. Doveva agire in fretta, non c’era spazio per gli errori.
Guardò accanto a sé. Kyoko la stava ignorando, interamente concentrata sulla Strega di Mami Tomoe. I suoi occhi erano ridotti a fessure, pieni di rabbia e paura, ma erano ancora arrossati e gonfi di pianto. Mami doveva valere molto, per lei, o forse si trattava di Sayaka.
Madoka era ancora dietro di loro. Homura avrebbe preferito evitare di rivolgerle ancora lo sguardo, ma non riusciva a farne a meno: il suo volto la confortava, la faceva sentire bene.
– Eccola, – esclamò Kyoko, richiamando la sua attenzione. – Viene verso di noi.
Lo stridio della sfera della Strega era sempre più forte e vicino. La creatura torreggiava tra i palazzi di Neo-Tokyo 3 ancora in piedi, fissando le maghe con il suo diabolico sorriso.
Homura cercò gli Evangelion con lo sguardo. Lo zero-uno era alla loro destra, lo zero-due e lo zero-zero erano alla loro sinistra. Com’era possibile che la Strega non li vedesse, nel mezzo della spianata?
– Lei ha interesse solo per noi… – mormorò. – Non vuole gli Evangelion!
Kyoko si girò verso di lei, ma prima che potesse parlare fu interrotta da un latrato della Strega.
L’arto sinistro della creatura scomparve nella sua spalla, per poi proiettarsi verso le maghe con la velocità di un fulmine.
– Attenta!
Homura si gettò su Kyoko, e insieme caddero al suolo. Un attimo dopo, gli artigli d’inchiostro della Strega ghermirono l’asfalto nel punto in cui si trovava la maga rossa, per poi ritrarsi con uno scatto.
– Shikinami! – gridò Homura. – Adesso!
– Non darmi ordini, miss mistero!
Asuka si lanciò sulla Strega, seguita da Shinji e Rei. Gli Evangelion si disposero intorno alla creatura, ma questa non sembrò prestar loro attenzione. – Rei, Shinji!
All’urlo di Asuka, una gabbia di luce circondò la Strega. – Seguite i valori del mio A.T. Field sugli schermi! – ordinò la ragazza. – Dobbiamo alzare l’emissione insieme, avete capito?
Quando i confini degli A.T. Field si incontrarono, intorno alla creatura si formò una prigione apparentemente solida, dalla forma mutevole e instabile. – Kyoko!
Le maghe si rialzarono all’istante, scattando verso il reticolo nero che segnava l’ingresso della barriera. La Strega protese nuovamente l’appendice nera, ma gli A.T. Field la fermarono. La creatura parve perplessa, e cominciò a colpire ancora e ancora lo scudo di luce, senza però riuscire a scalfirlo.
Ormai la barriera era vicina. Un ultimo pensiero raggiunse Kyoko prima che il mondo scomparisse, un pensiero di Asuka.
– E vedi di non farti uccidere.
***
Com’era bello, quel posto. C’era così tanta luce, e colori così gradevoli!
Mami si guardò intorno. Non riconosceva ciò che vedeva, era come guardare il mondo in un sogno. Forse era per questo, che aveva perso Kyoko e Akemi.
Tornò a cercarle, ma non riuscì a vederle. Ad un tratto, però, sentì una voce attraversarle la mente. Non comprese le sue parole, ma riconobbe la sua proprietaria: era Asuka.
Oh, che bello! Non aveva pianificato che i Children venissero a trovarla, ma il tè e le cibarie bastavano per tutti, e c’era così tanto spazio che non sarebbe stato difficile trovare un posto per altre tre persone.
Si guardò intorno, cercando di capire da dove venisse quella voce, e quando finalmente riconobbe lo zero-due, il suo sorriso divenne radioso.
***
L’interno della barriera era un mondo frenetico e confuso. Un caotico affastellarsi di chincaglierie e vettovaglie occupava quello che avrebbe dovuto essere il pavimento, mentre sulle pareti si muovevano ombre geometriche simili a mandala giganti. Creature umanoidi, vestite con abiti troppo grandi per la loro taglia minuta, si muovevano apparentemente senza direzione. Il loro incedere pencolante faceva pensare che le loro ossa fossero rotte e deformi, e il loro volto consisteva in un velo di bende colorate decorato con ritagli di giornale a forma di fiore.
– Non sembrano aggressivi, – disse Kyoko. Homura non commentò, limitandosi ad estrarre una grande pistola automatica da dietro lo scudo.
– Preferisco essere prudente, – rispose, togliendo la sicura e tirando indietro il carrello dell’arma. – Muoviamoci. Non abbiamo tempo da perdere.
Corsero entrambe fra le montagne di dessert e nastri dorati che affollavano la barriera, cercando di non farsi distrarre dalle risate dei familiari della Strega. In effetti, quegli esseri non parevano affatto badare alle maghe; era perfino difficile definire se avessero coscienza di se stessi.
– Senza la Strega devono essere confusi, – esclamò Kyoko. La lancia al suo fianco tintinnava al ritmo dei suoi passi. – Non si sono nemmeno accorti che siamo qui.
– O forse è quello che vogliono farci credere.
– Sei sempre così solare?
– Sono solo realista, – asserì Homura alla fine. Poi indicò con un cenno del capo un punto poco lontano. – Eccola.
Kyoko seguì il suo sguardo, vedendo un lunghissimo tavolo. Le cibarie ammucchiate su di esso erano collassate ovunque, rovesciandosi sul pavimento in una melma nerastra, e i corpi di decine di familiari erano sparpagliati in giro come burattini con i fili tagliati. E in fondo alla tavolata, avvinta da decine di nastri, c’era Sayaka.
– Sayaka! – urlò Kyoko, lanciandosi verso di lei. Homura tentò di fermarla, ma inutilmente. La maga rossa raggiunse Sayaka, lacerando con la lancia i legacci che la tenevano ferma.
– Stai bene? – le chiese, sorreggendola per evitare che cadesse. La ragazza dai capelli azzurri scosse la testa, ma non per rispondere alla domanda. Sembrava che stesse cercando di risvegliarsi da un incubo, senza però riuscirci.
Kyoko si voltò verso la compagna. – È svenuta! Mi aiuti?
Homura si guardò intorno, passandosi una mano fra i capelli. – Non credo che sarà così semplice.
– Cosa vuoi…
Prima che Kyoko finisse di parlare, un pianto simile a quello di una bambina, ma distorto e amplificato, cominciò a risuonare nella barriera. Era un suono angosciante, tanto sgradevole da dare la nausea, e risuonava in ogni punto producendo una lugubre eco. I familiari abbandonati ai lati del tavolo si sollevarono sulle gambe sbilenche, e si diressero verso le ragazze gracchiando sordamente.
– Era una trappola, – sibilò Homura volgendo le spalle a Kyoko. – Noi abbiamo usato un’esca per far uscire la Strega dalla barriera, e lei ne ha usata una per farci entrare.
– Combattiamo, allora! – esclamò Kyoko, avvicinandosi alla maga in nero con Sayaka in braccio. – Se le sconfiggiamo, potremo uscire senza problemi!
– Non c’è tempo, – ribadì Homura senza voltarsi.
– E allora che dovremmo fare? – abbaiò Kyoko, furiosa. – Abbandonarla?
– Non ho detto questo.
Homura lasciò cadere la pistola. Avvicinò la mano allo scudo, girando leggermente la testa in modo da rivolgere alla compagna uno sguardo in tralice. – Io spianerò la strada. Tu stammi dietro.
***
La Strega stava superando l’A.T. Field.
Contro ciò che aveva previsto la dottoressa Akagi, l’intensità dell’emissione elettromagnetica degli Eva non sembrava avere alcun effetto sulla creatura, che anzi aveva cominciato a dimenarsi vigorosamente per sottrarsi alla trappola. Shinji e Rei avevano seguito Asuka quasi alla perfezione, ma ciononostante la barriera di luce cominciava ad essere solcata da grandi scalfitture.
– Perché non funziona?!
Asuka serrò la presa sui comandi, spingendo le cloche in avanti e sforzandosi di mantenere la concentrazione. Se non fosse riuscita a stabilizzare il proprio A.T. Field, gli sforzi di Rei e Shinji sarebbero stati del tutto inutili.
– Dottoressa Akagi! – esclamò la ragazza, sperando che la donna la sentisse al di sopra delle grida della Strega. – Non riusciamo a fermarla!
– Continuate a provare, – disse Ritsuko. La sua voce tradiva una nota di ansia. – Deve avere per forza un limite di assorbimento.
Rei parlò di nuovo, senza preavviso. – Hai paura, Shikinami?
“Eccola di nuovo”, pensò Asuka. “Perché quella stupida non sta zitta?”
– Se potessi farlo finire, – mormorò la First. – Se potessi evitare il dolore, la morte, la sofferenza… lo faresti?
“Certo che lo farei! Stiamo combattendo da ore, e continuiamo a brancolare nel buio. E poi, questa non è nemmeno più una battaglia.”
La Strega sollevò la mano destra. I nastri che stringeva si contorsero, trasformandosi in una specie di tazza sbeccata, che riversò il suo contenuto sul volto della creatura. La maschera cominciò a corrodersi, come se vi si fosse riversato dell’acido, e rivelò uno strato composto interamente da una ragnatela di sfregi e verderame. I versi della Strega si fecero strani, simili a un pianto soffocato, e l’appendice nera agganciata alla spalla sinistra si infisse nell’A.T. Field come un artiglio.
– E se ti costasse qualcosa, – riprese Rei. – Qualcosa che tu reputi infinitamente prezioso. Qualcosa di irrecuperabile. Lo faresti lo stesso?
Asuka rivolse allo zero-zero uno sguardo pieno di ira, stanchezza, paura, e mille altre cose mischiate insieme. – Sì, lo farei! Contenta, adesso?
La Strega gracchiò fra i singhiozzi, recidendo lentamente il sottile strato di luce che la separava dallo zero-due. Rei annuì, e i suoi occhi stanchi si chiusero. – Ho capito, Shikinami. Grazie.
***
La mitragliatrice Thompson ruggì sputando proiettili, mentre Kyoko e Sayaka varcavano il confine della barriera. Homura continuò a sparare fino a quando il caricatore a tamburo non si fu svuotato, quindi si voltò verso di loro. Non c’era più nessuno, alle sue spalle.
– Finalmente.
La ragazza gettò via l’arma, lanciandosi a sua volta oltre la barriera e raggiungendo nuovamente Neo-Tokyo 3. Kyoko aveva già adagiato Sayaka al suolo, e stava cercando di svegliarla. In lontananza, Madoka era uscita dal suo nascondiglio.
– Madoka, stai indietro!
La ragazza non la sentì, e continuò a correre verso di loro per raggiungere l’amica svenuta. La Strega, nel frattempo, continuava a gridare, l’artiglio nero infisso nella barriera.
Lo zero-due incespicò, cercando di contrastare la forza del mostro, e il suo piede si mosse verso Madoka minacciando di schiacciarla. Homura non pensò nemmeno. Fece scattare lo scudo, correndo all’impazzata verso di lei, e le si gettò addosso per allontanarla dall’enorme arto della macchina. Quando il tempo ripartì, il tallone dell’Evangelion si abbatté a pochi metri dalle ragazze, e Madoka fissò la maga in nero con gli occhi sgranati. Stava carponi su di lei, gli occhi pieni di lacrime. Tremava come una foglia.
– Homura…
La maga la prese per le spalle e le diede una scrollata. – Ora stai ferma, mi hai capito?!
Madoka annuì piano, senza riuscire a risponderle; Homura si sollevò inciampando e guardò la scena davanti a lei. La Strega era quasi libera.
– Abbiamo fallito, – mormorò. – Mi dispiace, Mami Tomoe.
Un improvviso lampo di luce richiamò la sua attenzione. Proveniva da un punto indistinto della gabbia elettromagnetica che avvolgeva la creatura, e pian piano si espanse fino a travolgere gli Evangelion.
Homura fu accecata, e quando riaprì gli occhi, la Strega era sparita. Asuka lanciò un urlo di vittoria, e lo zero-uno si chinò nel punto in cui fino a pochi istanti prima si trovava la creatura. La macchina raccolse un corpo femminile, e la voce di Shinji rassicurò tutti che Mami era ancora viva.
– Ha… ha funzionato? – mormorò Homura, accasciandosi sulle ginocchia senza più forze.
Lontana, oltre i palazzi, si intravedeva già la luce dell’alba.
***
– E dunque, la ragazza ha scelto.
Il comandante Ikari annuì al monolite che gli stava di fronte. Non c’era nessun altro, in quella stanza buia. – Non mi aspettavo che fosse lei stessa, a prendere questa decisione.
– Non ha importanza, – replicò l’interlocutore senza volto. – Ai fini del nostro progetto, la modalità con cui è stata raggiunta questa situazione è indifferente. Tutto ciò che importa è l’esito.
– Già, – mormorò Gendo. – Ancora una volta, i piani della Seele sono perfettamente al sicuro.
Davanti a lui, sulla piccola scrivania, un gioiello senza colore pareva brillare di luce propria.
***
L’angolo dell’autore:
Dopo un’assenza di mesi che non esiterei a definire criminale, eccomi tornato con un nuovo capitolo! Mi scuso per il ritardo mostruoso, ma questa parte è stata quanto mai difficile da buttare giù.
Candeloro, la Strega vestita, è finalmente arrivata a seminare il terrore. Come per Leliel, anche in questo caso ho reinventato il design della creatura, cercando di renderlo più inquietante di quello originale. D’altronde, lo stesso Kyuubey aveva messo in guardia i nostri protagonisti sulle possibili mutazioni a cui la Strega poteva essere andata incontro durante la sua permanenza nel mare di Dirac.
E a proposito di Kyuubey… dov’è andato? E cos’erano tutte quelle storie di Rei sulla paura e il dolore? Appuntamento alle prossime puntate, che saranno… boh.
Ringrazio tutti i miei lettori, fedeli e occasionali, e vi invito come sempre a lasciare una recensione con i vostri consigli e le vostre critiche. Alla prossima!
 
Bookmaker

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Capitolo 16
*** XVI – Ripresa: Silence and Words ***


XVI
Ripresa: Silence and Words
 
– È permesso?
Non era la prima volta che Sayaka visitava un ospedale. Certo, il policlinico di Neo-Tokyo 3 era molto più grande di quello di Mitakihara, ma l’odore di disinfettante, il candore delle pareti e la fredda luce bianca che illuminava ogni ambiente replicavano perfettamente quelli della piccola struttura a cui la ragazza era abituata. Eppure, nonostante la sensazione di familiarità per quel luogo, Sayaka non riusciva a scacciare un profondo e inespugnabile senso di disagio.
Bussò ancora una volta sulla porta davanti a sé. L’infermiera che l’aveva accolta nel reparto di terapia intensiva le aveva detto che sarebbe stato inutile, ma in fondo provare non sarebbe costato nulla, no? – Sono Sayaka. Posso entrare?
Nessuna risposta. La mano tremante ferma sulla maniglia, Sayaka aprì lentamente la porta contrassegnata da un cartellino con il nome di Mami Tomoe.
– Ciao, Mami. Come stai?
La stanza in cui era stata ricoverata Mami era molto spaziosa. Grandi lampade scialitiche sporgevano dal soffitto e dalle pareti, pronte all’occorrenza in caso di emergenze improvvise, e non c’erano finestre. Un imponente apparato di ventilazione posizionato alle spalle del lettino che ospitava la ragazza aspirava l’aria mediante un’ampia cappa rettangolare, incastrata tra un elettrocardiografo a colonna e vari armadietti contenenti forniture sanitarie di ogni genere. La luce che pioveva dai led agganciati al soffitto sembrava ricoprire ogni cosa di una patina evanescente.
Mami era seduta sul letto, immobile. La sua schiena era appoggiata a un cuscino disposto per il lungo, le sue mani erano intrecciate sul suo grembo coperto dalle lenzuola candide. Quando Sayaka entrò, il suo sguardo si spostò lievemente, e un sorriso comparve sul suo volto. Tuttavia, non ci furono altre reazioni.
Sayaka inspirò profondamente. Si fece forza, entrò nella camera e avvicinò al letto una sedia pieghevole appoggiata alla parete. – Ti hanno pettinata proprio bene, eh? – disse, abbozzando una risata e sedendosi. – Anche se fa un certo effetto, vederti con i capelli sciolti. Non che ti stiano male, ma…
Mami chinò la testa di lato, chiudendo gli occhi in un’espressione di infantile contentezza. Solo allora Sayaka notò la piccola bambola che la ragazza teneva stretta fra le mani. Con un brivido, il suo sguardo percorse le lunghe maniche del pupazzo e la sua gonna a toppe colorate.
– Can… de…
L’improvviso balbettio di Mami colse Sayaka alla sprovvista, facendola quasi sobbalzare. La maga bionda sollevò leggermente la bambola, avvicinandola a Sayaka come per invitarla a guardarla con attenzione. – … lo… ro. Cande… loro…
– Sì, Mami, – mormorò Sayaka distogliendo lo sguardo. – È molto carina. L’hai fatta con la magia?
Mami non parve capire quel commento: si riportò la bambola al petto e la abbracciò morbidamente, come una bambina intenta a coccolare il proprio giocattolo preferito. Sayaka tornò a osservarla per qualche momento, e nella sua mente risuonarono le parole dell’anziano uomo in camice che aveva incontrato poco prima. – Il primario del reparto ha detto che le tue condizioni sono buone, – disse, pronunciando quelle parole in maniera quasi automatica. – Tuttavia, tu sembri… scomparsa. Pensano che sia stato il trauma, ma non riescono a venire a capo della situazione. Potrebbe perfino risolversi da sola, ma loro non riescono a…
Sayaka si interruppe all’improvviso. Mami aveva allungato una mano verso di lei, fermandosi a pochi centimetri dal suo volto. Oltre le sue dita tese, due grandi occhi dorati brillavano di una gioia vuota e insignificante.
– Mami…
Con un improvviso accesso di pianto, Sayaka afferrò la mano di Mami e appoggiò il capo sul petto della ragazza. – Mi dispiace! – esclamò, scossa dai singulti. – Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace! Io volevo salvarti, non ridurti così!
Mami sembrò piuttosto sorpresa da quello scoppio di tristezza, e rimase in attenta osservazione per alcuni istanti. Nella stanza vuota, il pianto dirotto di Sayaka risuonava come un tetro lamento. – Ti prego, – singhiozzò. – Ti prego, perdonami.
Un contatto improvviso fece sobbalzare Sayaka. Mami le aveva appoggiato una mano sulla testa, prendendo ad accarezzarle i capelli con fare materno. Dalle sue labbra appena dischiuse proveniva una litania appena percepibile, simile a una ninna nanna. Sayaka sentì una fitta al cuore, che la forzò a distaccarsi dall’amica e ad alzarsi di scatto. Mami rimase perplessa da quella reazione, ma non ci fece troppo caso e tornò a giocare con la bambola raffigurante la propria Strega.
Era troppo. Sayaka corse alla porta, raggiungendo il corridoio antistante con gli occhi colmi di lacrime. Collassò sull’uscio, abbracciandosi le ginocchia con le braccia mentre le pareti sembravano contorcersi su di lei per ghermirla. – Ti prego… – sussurrò, il volto nascosto fra le gambe tremanti. – Ti prego, Mami, torna da noi.
– Sayaka…
La ragazza alzò gli occhi ancora lucidi. Un ragazzo poco più piccolo di lei la fissava, in piedi di fronte alla porta della stanza di Mami. – Tutto bene?
Sayaka si asciugò le lacrime con la manica dell’uniforme. Solo allora riconobbe il volto di Shinji, contratto in una smorfia di angoscia e preoccupazione. – Ciao, Shinji. Sei qui per Mami?
Il ragazzo annuì. – Volevo vedere come stava, ma mi hanno detto che parlare con lei è inutile. Stavo pensando di portarle dei fiori… sai, per rallegrare la stanza. Non credo però che me li lascerebbero introdurre in terapia intensiva. Tu come stai?
– Io… io sto… – esitò Sayaka. Poi, con un sospiro, disse: – Mi sono solo agitata.
Shinji arrossì, tendendole timidamente una mano. – Ti… ti serve aiuto per rialzarti?
La ragazza fu alquanto sorpresa da quel gesto di cavalleria. Poi, però, accettò la mano di Shinji e la usò per issarsi in piedi. – Grazie, – sorrise. Davanti a quell’espressione accorata e gentile, il ragazzo diventò ancora più rosso, ritraendo la mano con un movimento maldestro.
– F-figurati.
Rimasero in silenzio per svariati secondi. Alla fine, Sayaka riprese la parola: – Vuoi… vuoi entrare?
Lo sguardo di Shinji cadde sul pavimento di marmo bianco. Le braccia distese lungo i fianchi, il ragazzo cominciò a contorcere insensibilmente le dita. – Non ce la faccio, – mormorò. – Ho paura di ciò che troverò.
– Ti capisco, – rispose Sayaka, spostando a sua volta gli occhi sul disegno irregolare delle lastre del pavimento. Dopo qualche attimo di silenzio, la ragazza aggiunse: – Vuoi… ti va di venire con me? Pensavo di passare a prendere Madoka dal nostro alloggio e portarla a fare una passeggiata. Sarebbe un pretesto per farla uscire di casa, e magari potremmo distrarci un po’ anche noi. Che ne pensi?
Shinji esplose in un’espressione colma di imbarazzo, terrore e chissà cos’altro. Il suo volto si fece rossissimo, e i suoi occhi presero a schizzare all’impazzata da un punto all’altro del pavimento. – Ecco… io… in realtà pensavo di rimanere a casa ad aspettare Asuka.
– Ma lei non torna prima dell’ora di cena, no? – incalzò Sayaka. La ragazza fece un passo verso di lui, e nel campo visivo di Shinji comparvero le sue scarpe da ginnastica bianche. – Andiamo, ti prometto che sarai a casa di Misato prima delle sette!
Il ragazzo fece per obiettare, ma prima che potesse dire qualcosa Sayaka afferrò la sua mano e lo trascinò con sé. Preso alla sprovvista, Shinji si lasciò trasportare dallo slancio incredibilmente energico della maga dai capelli azzurri. – Sayaka! A-aspetta!
– Coraggio, Shinji! – esclamò la ragazza, voltandogli le spalle e continuando a camminare con passo svelto e deciso. – Per oggi ci penso io, a te!
Shinji continuò a protestare debolmente, ma Sayaka lo ignorò, troppo intenta a celargli i rivoli di lacrime che le bagnavano le guance.
***
– Prova… prova… Sta registrando?
– Sì, senpai Akagi. Può procedere.
Ritsuko si allontanò dall’apparato di registrazione digitale situato a un capo del lungo tavolo della sala audiovisivi del Geo Front. Raggiunse l’estremità opposta del mobile, prese una piccola poltrona girevole e vi si sedette stando attenta a non spiegazzare il proprio camice. Di fronte a lei era seduta una ragazza in uniforme scolastica, con lunghi capelli corvini che ricadevano morbidamente sullo schienale di una poltrona identica a quella della dottoressa.
– Grazie, Maya. Bene, Homura, ora veniamo a noi. Come puoi vedere, questo non è un interrogatorio. La tua condotta dell’altro giorno ci ha convinto della tua affidabilità, quindi ho ritenuto che non fosse più necessario ricorrere a misure restrittive.
– La ringrazio.
– Prego. Tuttavia, penso che sia giusto informarti che il nostro colloquio sta venendo registrato. In questo modo, sarà più facile fare il punto della situazione. Hai qualcosa in contrario?
– … Chi ascolterà la registrazione?
– Beh, ovviamente io. Poi il nastro sarà analizzato da Melchior, Balthasar e Caspar, le unità operative del Magi System. Una volta che avrò un loro riscontro, penso che mi consulterò anche con Aoba, Hyuga e Maya, i tre operatori che hai visto nel Central Dogma. Infine, le registrazioni rimarranno a disposizione del comandante Ikari e del colonnello Katsuragi.
Homura esitò per qualche istante. Dopodiché tirò un sospiro. – Va bene. A patto che gli altri Soggetti Devianti e i Children non abbiano accesso ai nastri.
Ritsuko annuì. – Naturalmente. Possiamo cominciare, dunque?
 – Certo. Cosa desidera sapere?
– In primo luogo, – cominciò la donna, estraendo un taccuino da una tasca del camice e accavallando le gambe in modo da poterlo poggiare su un ginocchio, – tu sembri conoscere molte più cose sulle maghe, rispetto agli altri Soggetti Devianti. Vorrei che mi ragguagliassi su quanto non so.
– L’avete visto, no? – sbuffò Homura, impassibile. – Le maghe diventano tali stringendo un contratto con un Incubator, una creatura aliena che dispone di una tecnologia per noi incomprensibile. Il contratto prevede la realizzazione di un desiderio, conseguentemente alla quale la ragazza che ha stipulato l’accordo acquisisce poteri magici.
La dottoressa Akagi la interruppe con un gesto della mano, smettendo per un attimo di scrivere sul quadernetto. – Aspetta, Homura, aspetta. Dunque, Kyubey sarebbe un alieno?
– Vedendo una tecnologia più avanzata l’uomo primitivo la considera una magia, no? – disse Homura. – In confronto agli Incubator, noi esseri umani siamo estremamente arretrati. Kyubey afferma perfino di essere responsabile del superamento dell’età della pietra e di ogni progresso tecnologico dalla comparsa dell’uomo in poi.
– Mmh… – annuì Ritsuko scribacchiando qualcosa. – Capisco. Continua.
– Come le stavo dicendo, le ragazze sono trasformate in maghe. Tale trasformazione, tuttavia, richiede il trasferimento della loro anima in un supporto distaccato dal loro corpo, una Soul Gem. In questo modo le maghe possono subire danni fisici considerevoli senza morire, sottoporre il proprio corpo a sforzi impossibili per un essere umano e incrementare la loro capacità di sopportazione del dolore.
Ritsuko si portò la penna alle labbra, mordicchiandone il cappuccio di plastica già usurato da settimane di insonnia e nervosismo. – Cosa accade ai vostri corpi, dopo la trasformazione?
– Continuano a crescere, se è questo che vuole sapere. Tuttavia, diventano immuni alle malattie e all’invecchiamento.
Maya, seduta accanto al registratore e con indosso un grande paio di cuffie collegate all’apparecchio, intervenne alzando una mano. – Questo spiegherebbe i quadri di mitosi che abbiamo osservato nelle ultime settimane, giusto senpai?
La donna annuì. – Sì, ciò che dice Homura è coerente con i dati di laboratorio che abbiamo raccolto. Devi sapere, Homura, – aggiunse poi rivolgendosi alla maga, – che abbiamo sottoposto le tue compagne ad alcuni test, tra cui esami citologici e istologici. Tra i Soggetti Devianti, Mami e Kyoko presentavano anomalie della replicazione cellulare che simulavano un quadro di cellule staminali perenni. Abbiamo effettuato gli stessi esami sui campioni di cute che abbiamo prelevato da te e da Sayaka dopo la sua trasformazione, e abbiamo ottenuto risultati identici. Ovviamente non sarebbe eticamente accettabile effettuare biopsie di organi interni o tessuto nervoso solo a fini di studio, ma in base alle nostre osservazioni possiamo assumere con una certa sicurezza che vi troveremmo una situazione analoga.
Homura non sembrò colpita da quell’osservazione. – Non ci ho mai pensato in questi termini, – disse. – D’altronde, non sono un medico.
– È naturale, – sorrise Ritsuko girando pagina. – Ora, passiamo a un’altra domanda. Cosa determina la trasformazione delle maghe in Streghe?
– Non ne sono sicura, – rispose la ragazza. – Kyubey afferma che la disperazione o l’eccessivo consumo di potere magico determinano la corruzione dell’anima della maga, e conseguentemente la conversione della Soul Gem in un Grief Seed. Tuttavia, non vi so spiegare i meccanismi alla base di questo processo.
– Disperazione… – mormorò Ritsuko, riflettendo su quelle parole con aria assorta. – Perché gli Incubator non intervengono per salvare le maghe?
Homura scoccò a Ritsuko uno sguardo denso di sottintesi. – Perché non sono interessati a farlo. Gli Incubator considerano gli esseri umani come semplici strumenti nelle loro mani, e sfruttano i Grief Seed come fonti energetiche. Le Streghe sono necessarie al loro sistema energetico, e le maghe servono quindi sia per ridurle a Grief Seed, sia per produrne di nuove.
– Dunque, – la interruppe la scienziata, – la Strega generata presso il liceo dei Children era una maga?
– Marybella, – commentò Homura, generando nella donna un certo stupore. – La Strega arrugginita. L’ho osservata, ma non sono mai riuscita a capire da dove venisse. Comunque sì, deve necessariamente trattarsi di una maga che ha ceduto alla disperazione.
– Questo vuol dire che Kyubey ha eluso la nostra sorveglianza… – rimuginò Ritsuko. – Chissà quanti contratti avrà stipulato, in queste settimane. Tu sai come fermarlo?
– Gli Incubator non hanno limiti energetici, – disse Homura scuotendo la testa. – E uccidere Kyubey è impossibile, in quanto il suo corpo è solo una marionetta infinitamente replicabile. Io cerco di fermarlo da molto tempo, ormai, ma lui sembra immune a tutto.
– Allora cosa dovremmo fare, secondo te? – chiese Ritsuko. La sua voce era estremamente calma, nonostante le informazioni appena apprese, come se tutto ciò che stava avvenendo facesse parte di uno studio scientifico. – Mettere la popolazione in allerta?
– Sarebbe inutile, – ribatté la ragazza. – So per esperienza che nessuno rinuncerebbe a un miracolo. Rivelando al mondo l’esistenza di Kyubey, questi troverebbe nuove maghe con facilità anche maggiore.
– Temo che tu abbia ragione. Questo comunque non è il momento di pensare a tali faccende. Appena se ne presenterà l’occasione parlerò con il comandante Ikari e cercheremo una soluzione a questo problema. Adesso, piuttosto, vorrei porti un’altra domanda.
La stanza cadde nel silenzio. Maya fissava la senpai con aria tesissima, aspettando di sentire una domanda che probabilmente già conosceva. Homura stessa chinò lo sguardo sulle proprie ginocchia, prevedendo ciò che la dottoressa Akagi le avrebbe chiesto.
– L’altro giorno, – cominciò la donna, la voce appesantita da una certa dose di esitazione, – recandoti a combattere l’ottavo Angelo, hai affermato di averlo già affrontato. Potresti spiegare il significato delle tue parole?
Nella mente di Homura si scatenò un improvviso trambusto, e la ragazza maledisse la propria imprudenza. Avrebbe dovuto misurare meglio le proprie parole, piuttosto che rivelare un dettaglio così cruciale. Ora, ogni possibilità di mantenere una copertura era sfumata.
– Cerca di capire, Homura, – intervenne Ritsuko, forse cogliendo la tensione nello sguardo della ragazza. – Voglio aiutarvi, ma per farlo ho bisogno di ogni informazione che possa essermi utile. Ovviamente non posso costringerti a rivelare nulla contro la tua volontà, quindi se non vorrai condividere questo tuo… segreto con noi, io non insisterò oltre.
Il silenzio tornò a gravare su quella piccola e scura camera di registrazione. Homura teneva gli occhi distanti dalla dottoressa Akagi, cercando in ogni modo di sfuggire allo sguardo della donna. – Bene, – sospirò Ritsuko alla fine. – In questo caso, penso che possiamo…
– Se le dico ciò che desidera sapere, – la fermò Homura ad un tratto, – lei mi aiuterà a realizzare il mio progetto?
Ritsuko alzò un sopracciglio. – Che tipo di progetto?
La maga si alzò in piedi, appoggiò le mani al tavolo e si sporse verso la donna rivolgendole uno sguardo colmo di gelida determinazione. – Salvare Madoka Kaname.
***
– Che c’è? Già stanca?
– Pwah… Senti chi parla! È facile criticare, se puoi usare la magia!
Kyoko scaricò un poderoso montante contro il sacco da boxe di fronte a lei. L’attrezzo fu scaraventato all’indietro con tanta forza che la catena con cui era appeso al soffitto sembrò sul punto di cedere e spezzarsi. Quando tornò indietro, la maga dai capelli rossi lo afferrò al volo trattenendolo senza sforzo, e si passò una mano sul volto in modo da ripulirsi almeno un po’ dal sudore che le bagnava la pelle. – La magia è solo un mezzo, – esclamò la ragazza esibendo un ghigno soddisfatto. – Ho conosciuto maghe incapaci perfino di sollevare una busta della spesa! Quello che vedi è unicamente merito mio.
– Bah!
Asuka rispose solo con uno sbuffo d’irritazione, troppo presa dalla sua apparentemente interminabile corsa sul tapis roulant. Intorno a loro, la palestra privata per il personale Nerv era vuota e silenziosa, fatta eccezione per il leggero rumore dell’impianto di aerazione.
Era stata Misato a proporre alle ragazze di usare la palestra del Geo Front: entrambe avevano bisogno di sfogarsi, in fondo, ma diversamente da Shinji con loro sarebbe stato inutile tergiversare. Pertanto, il colonnello Katsuragi aveva pensato che farle stancare con l’esercizio sarebbe stato il modo migliore per alleviare la tensione accumulata in quegli ultimi giorni.
– Uff, – sbuffò la maga dopo aver sferrato un’ulteriore serie di colpi al sacco. – Mi è venuta una sete tremenda. Vado a prendere qualcosa da bere, tu vieni?
Asuka premette un paio di tasti sul quadro di comando del tapis roulant, che decelerò lentamente fino a fermarsi. – Sì, – rispose, scendendo dalla macchina con un balzo. – Una pausa ci vuole, qui sotto fa un caldo tremendo.
– Eh, eh… – sogghignò Kyoko, avvicinandosi a lei e puntando i pugni sui fianchi con supponenza. – Non è che sei stanca per davvero?
Asuka ricambiò il gesto, assumendo un’espressione stizzita e accostando il volto a quello della maga. – Corsa fino alla macchinetta?
– Ci sto.
– Bene…
Con un gesto improvviso, Asuka fece schioccare un dito contro la fronte di Kyoko. Colta di sorpresa, la maga rossa non riuscì a reagire prima che la Second si fosse allontanata di qualche metro. – Chi arriva ultima paga!
– Ehi!
Kyoko rincorse Asuka per tutto il piano. Dopo un po’ divenne evidente che nessuna delle due ricordava con precisione dove si trovassero i distributori automatici, e quella gara si trasformò in un semplice pretesto per rilanciare la competizione avviata in palestra. Ogni tanto incrociavano una guardia di sicurezza, un operatore del Central Dogma o un inserviente intento nelle pulizie che rivolgevano loro uno sguardo più o meno severo, ma nonostante tutto continuavano a correre attraverso i lunghi corridoi del Geo Front, con Asuka saldamente in testa.
Dopo quasi cinque minuti di quella corsa insensata, le due scorsero un distributore automatico a circa venti metri da loro. Asuka accelerò quanto più possibile, ignorando il senso di bruciore che le attanagliava le gambe e sfoggiando un sorriso pieno di bramosia. La vittoria era sua.
O quasi.
A pochi metri dal traguardo, Kyoko spiccò un salto impressionante e piroettò al di sopra di Asuka, atterrando proprio tra la ragazza e la macchinetta più vicina. – Yes! Ho vin-
Colta alla sprovvista, Asuka non riuscì a fermarsi e travolse la maga prima che quest’ultima potesse terminare la propria frase. Entrambe capitombolarono sul pavimento con un mezzo grido, ritrovandosi l’una sopra l’altra in una posa scomposta. – Ahio…
Asuka fu la prima a riaprire gli occhi dopo il doloroso impatto. Era caduta proprio su Kyoko, e la sensazione delle curve della maga attraverso la tuta da ginnastica che indossavano entrambe mise la Second piuttosto a disagio. – Scusami! – esclamò, tentando di rialzarsi. – Io non…
Kyoko afferrò Asuka all’improvviso, strattonandola e facendola scivolare nuovamente a terra in modo da starle sopra. I suoi occhi rossi e brillanti si infissero in quelli azzurri della Second, che rimase paralizzata da una sensazione indecifrabile, e quando la maga avvicinò il volto madido di sudore a quello della sua rivale il suo fiato produsse sul collo di Asuka un lieve soffio caldo. – Ho vinto.
– Che?
Prima che Asuka realizzasse qualcosa, Kyoko scattò in piedi e digitò un numero sul tastierino del distributore automatico. Una voce registrata la pregò di inserire cento yen nell’apposita fessura, e la maga allungò la mano verso Asuka per aiutarla a rialzarsi. – Mi devi una bibita, ricordi?
Asuka fece tanto d’occhi. Dopo un attimo, però, il suo volto arrossì tremendamente. ­– Ma che ti salta in testa? – esclamò, scacciando seccamente la mano tesa di Kyoko e rialzandosi con impeto. – Volevi ammazzarmi?
– Oh, andiamo, ho fatto solo un saltino…
– “Un saltino”? Quella era roba magica, altro che!
– Beh, non hai mai detto che usare la magia non fosse valido.
– Nngh…
Nonostante la rabbia, Asuka dovette ammettere la sconfitta. Si cacciò una mano in tasca, estrasse un piccolo portamonete rosso e gettò a Kyoko due monete da cento yen. – Vedi di prenderne una anche per me, almeno.
La maga afferrò il denaro al volo, facendosi tintinnare le monete in mano e inserendole una dopo l’altra nel distributore. Nel cassetto della macchina caddero due lattine, e Kyoko ne passò una ad Asuka. – Alla mia, allora! – esclamò con un sorriso a trentadue denti.
– Alla tua… – bofonchiò Asuka in risposta, per poi restare alquanto perplessa nel ritrovarsi fra le mani una lattina di bibita al melone. – Ma come fai a bere questa roba?
­– Ehi, mi hai detto tu di prenderne un’altra lattina.
Asuka sembrava sul punto di perdere seriamente le staffe, ma in qualche modo si trattenne. – Aaah… lasciamo stare. Ho sbagliato io a credere che i tuoi gusti fossero normali.
Kyoko sogghignò e prese un sorso della propria bibita. Era zuppa di sudore, e i lunghi capelli rossi si erano ormai districati dalla spilla che li legava di solito per ricaderle disordinatamente sulla schiena. Per un attimo, un pensiero superficiale attraversò la mente di Asuka prendendola di sorpresa: la maga rossa era davvero molto bella.
– È successo qualcosa? – chiese Kyoko all’improvviso. – Hai un’aria assorta.
La Second distolse lo sguardo con indifferenza. Fare un complimento a Kyoko avrebbe significato alimentare ulteriormente la sua spacconeria, e Asuka non aveva intenzione di sentirsi prendere in giro per il resto della propria vita. – Ti si sono slegati i capelli, – sbuffò. – Se non li sistemi, rischi di perdere quella spilla.
– Oh… – fece Kyoko con aria attonita. Si portò una mano alla nuca, facendola scorrere fra i propri capelli fino a trovare il piccolo monile dorato. Lo sfilò via con delicatezza, quindi lo strinse nella propria mano con un gesto che non mancò di incuriosire Asuka. – Grazie. Non me n’ero accorta.
La Second annuì, prendendo a sua volta un goccio dalla propria lattina solo per pentirsene un attimo dopo. Era veramente imbevibile, quella roba.
– Senti… – disse Kyoko, prendendola alla sprovvista. – Questa cosa della palestra, la gara, e tutto quanto… lo stai facendo per me?
Asuka fece una faccia indescrivibile, un misto di sorpresa, imbarazzo e fastidio che diceva molto più di quanto la ragazza non avrebbe voluto dare a intendere. – M-ma si può sapere di che parli? È stata Misato a insistere perché venissimo qui, io non…
– Sì, sì, – la interruppe Kyoko. Non c’erano arroganza né sarcasmo, nella sua voce, che anzi appariva stranamente gentile. – Scusami, ho detto una sciocchezza.
– Tsk… – fece Asuka con uno schiocco della lingua. – Voi giapponesi vi scusate davvero troppo spesso, lo sai?
– E voi tedeschi siete davvero troppo poco onesti con voi stessi, lo sai? – ribatté Kyoko con un mezzo sorriso. Asuka sembrò contrariata da quell’affermazione, ma non rispose e si limitò a incrociare le braccia. – Sai… – proseguì la maga dopo qualche istante di silenzio, accovacciandosi accanto al distributore automatico. – Mami è stata la mia prima, vera amica. La incontrai poco dopo essere diventata una maga, quando avevo ancora una famiglia, e lei mi aiutò a padroneggiare il mio potere. Mi insegnò tutto ciò che aveva imparato combattendo le Streghe, in modo che un giorno potessi prendere il suo posto e proteggere Mitakihara.
Asuka si avvicinò a Kyoko e le si sedette accanto, cercando di indagare il velo di tristezza che aveva ammantato gli occhi di rubino della maga. – La tua famiglia… – chiese. – Cosa le è successo?
Kyoko sospirò profondamente. – Sono morti, – disse alla fine. – Tutti quanti. Dopo aver scoperto che ero diventata una maga e che il successo della sua fede dipendeva dal mio desiderio, mio padre impazzì e si suicidò portando tutti con sé. Non ricordo con precisione cosa successe quel giorno, ma una cosa me la ricordo: il rumore delle corde che oscillavano appese alle travi del soffitto.
– Da quel giorno, decisi che avrei combattuto da sola. Andai via da Mitakihara, dicendomi che tanto non ci avrei lasciato nulla di importante. Mami fu l’unica a cercare di fermarmi, mi chiese di venire a vivere con lei nel suo appartamento, ma io rifiutai. Sai, – aggiunse la maga con un mormorio, – ripensandoci adesso… credo che avessi paura. Avevo paura di perdere di nuovo qualcosa che mi era caro. Nel tempo in cui sono rimasta da sola mi sono esercitata a distaccarmi da tutti, perché pensavo che in questo modo sarei stata invincibile. Quando ho conosciuto le altre e con loro ho ritrovato Mami, però… ho sentito qualcosa cambiare. Mi sono resa conto di avere bisogno di loro, di tenere a loro in un modo che io stessa non riuscivo a comprendere.
Kyoko si portò le ginocchia al petto, stringendole a sé e affondandovi il mento con aria sommessa. – Spero che Mami torni in sé.
Il silenzio tornò a stagnare nel corridoio deserto. Kyoko sorseggiò gli ultimi rimasugli dalla sua lattina, per poi gettarla con precisione nel contenitore della raccolta differenziata appoggiato alla parete di fronte. – Ad ogni modo, non è niente di che, – sospirò la maga con leggerezza. – Passerà, come tutto quanto.
– Quando ero piccola…
La voce di Asuka lasciò Kyoko stupita: il suo tono era incredibilmente diverso rispetto al solito. Sembrava che la ragazza fosse sparita, e che il suo posto accanto alla maga rossa fosse stato occupato da una bambina.
– Quando ero piccola, – ripeté, – mia madre cominciò a comportarsi in modo strano. Divenne incapace di riconoscermi, e al mio posto adottò una bambola di pezza. Io e mio padre andavamo in ospedale ogni giorno, e mentre mio padre discuteva coi medici io la guardavo attraverso la parete di vetro. Accarezzava continuamente la sua bambola, le spazzolava i capelli, la vestiva. Quando spostava lo sguardo su di me io provavo a salutarla, ma lei non sembrava nemmeno accorgersi della mia presenza. Un giorno, papà mi disse di aspettarlo nella sala d’attesa. Io lo ignorai e andai dalla mamma, ma la parete era stata bloccata da una saracinesca. Non c’era nessuno intorno, e quando entrai nella stanza… vidi quello che vedesti tu, immagino. Mia madre era morta, e si era portata dietro la sua bambola. Se ci fossi stata io, al posto di quel giocattolo, avrei fatto la stessa fine. Da allora, so che posso fare affidamento solo su me stessa.
Asuka aveva parlato senza mai rivolgere lo sguardo verso Kyoko. Quando terminò la sua storia, la maga rimase in attesa di una qualche conclusione, ma la ragazza non aggiunse nulla. – Perché mi hai raccontato questa storia? – chiese Kyoko.
La Second si alzò in piedi, sempre rivolgendole le spalle. – Potrei farti la stessa domanda, e la risposta sarebbe la stessa per entrambe.
– Eh… – ridacchiò Kyoko. – Ci somigliamo davvero così tanto, noi due?
– Ovviamente no, – ribatté Asuka, voltandosi verso di lei e porgendole una mano. – Io sono molto più in gamba.
Kyoko afferrò la mano dell’amica, approfittando del suo aiuto per sollevarsi in piedi. – Okay, – esclamò, improvvisamente più energica. – Penso che possa bastare con le smancerie. Corsa fino alla palestra?
– Non chiedo di meglio.
***
– Come ti senti, Rei?
La voce del comandante Ikari risuonava lontana, molto più in là di quanto la percezione di Rei si spingesse. La ragazza aprì gli occhi, e la sagoma dell’uomo apparve indistintamente al di là della coltre di LCL che la circondava. Teneva una mano nella tasca della giacca, e fissava Rei con uno sguardo indecifrabile.
La ragazza rispose alla domanda con un lieve cenno della testa.
– Per oggi rimarrai ancora qui, va bene? – disse Gendo. – La dottoressa Akagi ritiene che sia più prudente tenerti sotto osservazione.
Il comandante rimase in attesa di una risposta. La sua voce era paterna, morbida e calda come al solito, o forse anche un po’ di più. Tuttavia, Rei non riusciva a percepirla vicina a sé. Era così che ci si sentiva, a non essere più la dimora della propria anima?
Rei annuì ancora una volta. Il comandante ebbe un attimo di esitazione, ma alla fine si girò e percorse il lungo corridoio della sezione sotterranea del Geo Front, diretto all’ascensore che lo avrebbe portato al proprio ufficio.
L’enorme serbatoio di LCL sprofondò nuovamente nel silenzio, e Rei chiuse gli occhi mentre il liquido circostante accarezzava il suo volto. In quel desolato silenzio, il pensiero di Rei prese forma lentamente, in maniera quasi indipendente dalla volontà della ragazza. “Le cose che io possiedo… Sono una vita, uno spirito, la cosa che racchiude lo spirito.”
Immerso nell’LCL, un piccolo gioiello di vetro sfiorò il fianco di Rei trasmettendole un tiepido senso di benessere. Ogni cosa era immersa nel buio.
***
L’angolo dell’autore:
 
Buongiornissimo, internauti! Lo so, lo so, è passato tantissimo tempo da quando ci siamo visti l’ultima volta, ma concedetemi una piccola attenuante: dopo il combattimento contro Leliel, non erano solo i personaggi di Disruption a essere stanchi!
È un momento di assestamento: sono successe tante cose, e sia i Children, sia i Soggetti Devianti si trovano davanti a una situazione nuova, in cui dovranno stabilire nuovi equilibri. Sayaka si confronta con la propria scelta, Homura comincia finalmente a scoprire le proprie carte, Kyoko e Asuka affrontano sentimenti e vissuti che avevano accantonato e Rei… beh, Rei ha tante cose a cui pensare.
Naturalmente manca ancora qualcuno all’appello… ma colmeremo questi piccoli vuoti nelle prossime puntate.
Come sempre vi saluto, vi ringrazio per aver dedicato del tempo alla mia storia e vi invito a lasciare una piccola recensione se avete consigli, lamentele o anche solo curiosità.
A presto (si spera)!
 
Bookmaker

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Capitolo 17
*** XVII – Ripresa, secondo momento: All I could say ***


XVII
Ripresa, secondo momento: All I could say
 
– Buongiorno, Madoka.
La sottile voce di Kyubey fece sobbalzare Madoka. La ragazza, ancora sepolta sotto le lenzuola nonostante fossero già passate le nove, emerse dal suo riparo con un’espressione atterrita impressa sul volto.
– Cosa… cosa vuoi? – mormorò, guardandosi intorno per cercare la sagoma bianca dell’alieno. – Non voglio parlare con te!
 – Proprio non vi capisco, – ribatté Kyubey senza mostrarsi. La sua voce sembrava provenire da un punto imprecisato, come se tutta la stanza risuonasse delle sue parole. – Questa tua reazione è completamente fuori luogo. È per ciò che è successo a Mami? O per quello che avete scoperto sulle Streghe? Ogni volta che voi umani scoprite questo dettaglio perdete ogni cenno di razionalità.
Gli occhi di Madoka si bagnarono di lacrime, ma la ragazza si sforzò di non piangere. Non voleva che Kyubey la vedesse mentre piangeva. – Un dettaglio? Ti sembra un dettaglio? Mami… Mami era diventata una Strega! E adesso anche Sayaka…
Madoka si fermò all’improvviso. Quel pensiero era arrivato alla sua coscienza senza preavviso, ma l’aveva terrorizzata: ora anche Sayaka era una maga, e questo voleva dire che prima o poi anche lei si sarebbe trasformata in una Strega. Era un’idea orribile, anche solo da immaginare.
– Voi esseri umani siete proprio di vedute ristrette, – sospirò l’alieno. – Siete convinti di poter soddisfare i vostri desideri, per quanto assurdi e contrari alle leggi fondamentali dell’universo, senza che ci sia alcuna conseguenza. Io non sono una divinità, non posso distorcere l’universo come se nulla fosse.
La presenza di Kyubey sembrò ingigantirsi, come se l’aria nella stanza fosse diventata improvvisamente pesante. – Quindi, – scandì la voce della creatura, – per ogni desiderio realizzato, qualcosa dev’essere sacrificato.
Madoka rimase immobile, paralizzata da un sentimento simile alla paura. – Cosa… cosa sei, tu?
Gli occhi di Kyubey comparvero come due diamanti rossi, splendendo in trasparenza da dietro la tenda della camera. – Dimmi, Madoka Kaname, – chiese l’alieno dopo un lungo silenzio. – Sai cos’è l’entropia?
***
– Basta… basta così. Maya, ferma la registrazione.
Maya annuì in silenzio, affrettandosi a premere il tasto di stop sulla console del registratore. Una volta che la macchina si fu fermata, la dottoressa Akagi prese ad armeggiare nervosamente con il contenuto delle proprie tasche, lottando con se stessa per non estrarre una sigaretta e fumarla lì per lì.
– Questo è tutto ciò che potevo dirle, – mormorò Homura, abbassando lo sguardo sul tavolo metallico della sala audiovisivi. – Ed è più di quanto abbia mai detto a chiunque altro.
Ritsuko non riuscì a trattenere un brivido, ed ebbe bisogno di alzarsi e camminare per calmarsi. Homura le aveva raccontato ogni cosa: il suo primo incontro con Madoka Kaname, il suo contratto con Kyubey, le oltre cento volte che il tempo si era riavvolto intorno a lei. Facendo un rapido conto, Homura aveva rivissuto le sei settimane trascorse con Madoka per un tempo equivalente a oltre dieci anni.
E per oltre dieci anni, la maga dai capelli corvini era rimasta da sola.
– Però c’è una cosa che non capisco, – intervenne Maya, sollevando timidamente una mano per richiamare l’attenzione su di sé. – Perché non l’hai detto a Madoka e alle altre?
– Ci ho provato, – rispose Homura, la voce piena di frustrazione. – Ci ho provato molte volte. Tuttavia, come può immaginare, non mi hanno creduto. E d’altra parte, perché dovrebbero? Ogni volta che il ciclo ricomincia io, per loro, torno ad essere solo un’estranea. Solo Madoka crede alle mie parole, ma lei… lei è un caso a parte.
C’era stato un attimo di esitazione, nella voce di Homura, e sia Ritsuko sia Maya se n’erano accorte. Nessuna delle due, però, fece domande a riguardo.
– Penso che nessuno crederebbe a una storia così convoluta, se non la stesse vivendo, – rifletté Ritsuko, cercando di apparire più distaccata possibile. – Piuttosto, c’è un’altra domanda che vorrei farti: a quanto ho capito, il tuo potere ti permette di spostarti nel tempo mantenendoti nel tuo piano temporale nativo. Come sei arrivata nel nostro piano? E come hanno fatto le altre a seguirti?
Homura distolse lo sguardo, stringendo le palpebre come se questo la potesse aiutare a raccogliere le idee. – Non lo so. Dopo l’ennesimo fallimento, io… io ho desiderato con tutta me stessa raggiungere un nuovo mondo, un mondo in cui potessi finalmente salvare Madoka. Quando sono arrivata qui ho pensato che tutto sarebbe andato bene, ma mi sbagliavo.
Ritsuko esitò, pensando per un attimo che ogni ulteriore domanda avrebbe solo ferito la ragazza che aveva di fronte. Poi, però, la dottoressa Akagi prese il sopravvento. – Vuoi dire che Madoka continua a morire?
– Sì, – mormorò Homura. Il suo volto si contrasse in una smorfia colma di dolore. Evidentemente, esistevano orrori contro cui l’abitudine non poteva nulla. – Ogni volta. E anche le altre, ovviamente. Speravo che in questo ciclo Mami Tomoe si salvasse, ma a quanto ho visto di lei è rimasto solo un guscio vuoto. Ho cercato di spararle, quando l’ho incontrata insieme alle altre, anche per evitare che commettesse imprudenze. Se il proiettile le avesse trapassato il cranio senza distruggere la Soul Gem, sarebbe bastata la magia di Kyubey per farla guarire, e nel frattempo io avrei potuto occuparmi dell’Angelo. Lei e le altre avrebbero anche potuto comprendere la vera natura del loro contratto con Kyubey senza che fossi io a rivelargliela.
– È per questo che hai affermato di aver già combattuto contro l’Angelo?
– Sì. Il tempo in cui mi reinserisco si ripete in maniera ciclica. Tuttavia, – aggiunse la ragazza in tono serissimo, – c’è una cosa che mi preoccupa.
Ritsuko sollevò un sopracciglio. – Cioè?
– Nel mondo da cui provengo, – spiegò Homura, – la linea temporale è sempre la stessa. Gli eventi si ripetono sempre uguali a loro stessi, e solo il mio intervento può modificarli. Il vostro universo, invece… non so come dire. È instabile.
Stavolta, anche Maya si irrigidì. – Dottoressa Akagi, – chiese, – devo far ripartire la registrazione?
– Credo che sarebbe inutile, a questo punto, – disse la donna. Sul suo volto era comparsa un’espressione indecifrabile, colma di tensione. – E non credo che si tratti di un’informazione di cui il comandante debba entrare a conoscenza. Per favore, Homura, continua.
La ragazza annuì. – Ogni volta che resetto la linea temporale, osservo dei dettagli che cambiano. Il cognome di Shikinami, il pilota dell’unità Evangelion 03, la presenza di Ryoji Kaji in Giappone…
– Tu conosci Ryo… Kaji? – esclamò Ritsuko, incredula. Nel farlo, tuttavia, non poté trattenere una nota d’imbarazzo.
– Più o meno, – rispose la maga, apparentemente senza dar peso alla cosa. – Ad ogni modo, tutte queste cose mostrano una tendenza al cambiamento che nel mio mondo non ho mai osservato. Non sono sicura del significato di questo fenomeno, ma non mi rende tranquilla.
Nemmeno Ritsuko era tranquilla, e la forzata astinenza dal fumo non aiutava. – E gli Angeli? – chiese. – Di loro che mi sai dire?
– Sono sempre uguali, se è questo che intende. Tuttavia, questa volta è cambiato qualcosa: quando ho parlato con lei, io ero convinta di trovarmi a combattere contro un Angelo che avevo già affrontato. Invece, questo Angelo non era quello che ho incontrato in tutte le altre linee temporali. Era del tutto diverso dagli altri.
Ritsuko sentì un brivido risalire lungo la propria schiena. – Quanti Angeli hai combattuto? – chiese dopo un lungo silenzio. – Fino a che punto sei arrivata, in questa linea temporale?
Homura chiuse gli occhi, riflettendo per un momento. – Sono arrivata fino al momento dell’arrivo del decimo Angelo, – disse alla fine. – Tuttavia, non ho mai assistito alla sua sconfitta.
La dottoressa Akagi deglutì a fatica. Il decimo Angelo sarebbe stato davvero così forte?
– Vorrei poterle fornire altri dati, – riprese la ragazza. – Tuttavia, visto che le mie informazioni potrebbero non corrispondere alla verità, penso che sia meglio non complicare la situazione con un carico così gravoso.
La donna annuì sovrappensiero, in maniera quasi automatica. – Già. Ora come ora, l’unica cosa che possiamo fare è aspettare. Grazie mille per il tuo tempo, Homura. Maya, ti dispiace accompagnarla al suo alloggio? Io rimarrò qui a sistemare le registrazioni e a mettere tutto in ordine.
La giovane ufficiale si alzò prontamente in piedi, quasi scattando sull’attenti. – Sì, senpai.
Homura si alzò, sistemandosi l’uniforme scolastica del liceo di Mitakihara addosso. Si stava già dirigendo verso la porta insieme a Maya quando la dottoressa Akagi la fermò.
– Quante volte? – domandò la donna, formulando la peggiore domanda a cui Homura Akemi potesse rispondere. – Quante volte hai ripetuto questo ciclo?
La maga rimase immobile sulla soglia della stanza. Il suo sguardo gelido fu attraversato dalla traccia di un sentimento troppo terribile per essere confessato, troppo evidente per richiedere alcuna spiegazione. – Questa è la ventisettesima volta, – mormorò, la voce ridotta a un esile filo teso nel silenzio della sala audiovisivi. Per un momento, nessuno disse nulla. La dottoressa Akagi sembrò sul punto di intervenire, ma Homura uscì rapidamente dalla stanza prima che la donna potesse parlare. Maya scoccò alla senpai una rapida occhiata, per poi seguire la ragazza nel corridoio deserto. I loro passi risuonarono per un tempo che a Ritsuko parve lunghissimo, fino a diventare solo un’eco lontana.
La donna si sedette. Lo sguardo che Maya le aveva rivolto pochi momenti prima era indescrivibile, pieno di disapprovazione, e Ritsuko sapeva di averlo meritato. Quella domanda era stata del tutto fine a se stessa, mossa solo da un’insana curiosità. Avrebbe dovuto andare da Homura, scusarsi con lei per aver rivangato quei pensieri così dolorosi, ma in quel momento c’erano compiti più urgenti a cui doveva assolvere.
Ritsuko estrasse un cellulare dalla tasca del camice, un vecchio modello a conchiglia con un portachiavi a forma di gatto. Lo aprì, vi digitò un numero e rimase in attesa, e dopo qualche secondo le rispose un uomo.
– Pronto.
– Comandante Ikari, sono io.
– Buongiorno, dottoressa Akagi. Le serve qualcosa?
– Ho bisogno di parlarle. Il mio colloquio con Homura ha fatto emergere delle informazioni di grande importanza.
– Venga nel mio ufficio. Parleremo lì.
– Sì… sissignore.
La comunicazione si chiuse, e Ritsuko si lasciò scivolare ancora più a fondo sulla sedia. – Mi dispiace, Homura, – mormorò fra sé. – Temo di non poter tenere fede alla mia promessa.
***
– Madoka? Ci sei?
Sayaka bussò ancora una volta alla porta dell’appartamento occupato dall’amica, dando un’occhiata al proprio cellulare per controllare l’ora. Erano da poco passate le undici, e benché fosse un giorno festivo era piuttosto strano per Madoka svegliarsi così tardi.
– Forse è meglio lasciarla riposare, – disse Shinji, guardandosi attorno con circospezione. – Deve essere molto stanca, no?
Il ragazzo si era mostrato nervoso sin da quando erano entrati nel palazzo che ospitava il personale della Nerv, ma Sayaka non riusciva a spiegarsene il motivo. Forse aveva paura di incontrare Kyoko?
Per il momento, la maga decise di ignorarlo. Estrasse dalla tracolla un mazzo di chiavi ornato da un piccolo pendente azzurro a forma di nota musicale, ci armeggiò per qualche momento e alla fine trovò quello che stava cercando. Prima che Shinji potesse protestare ulteriormente Sayaka inserì una chiave nella serratura e la aprì con fare deciso.
– Madoka mi ha dato una copia delle chiavi, – sorrise la ragazza. – Abitiamo l’una accanto all’altra, dopotutto.
Shinji non rispose, ancora troppo impegnato a nascondere il proprio evidente disagio. Seguì con una certa esitazione Sayaka attraverso l’uscio ora spalancato, per poi chiuderlo con cautela in modo da non fare più rumore del necessario.
– Madoka? Ci sei?
Mentre Sayaka chiamava l’amica, Shinji osservò intimorito l’appartamento. Era identico a quello di Ayanami, che il ragazzo aveva visitato pochi mesi prima, ma al tempo stesso sembrava completamente diverso. Madoka aveva attaccato post-it con frasi d’incoraggiamento e promemoria sul frigo e su quasi tutti i mobili dell’angolo cucina, tutto era lucido e pulito, molte pareti erano ornate da piccoli e aggraziati disegni. Uno dei fogli, però, era stato strappato.
Shinji non ci fece caso, ma poi calpestò un pezzo di carta appallottolato e gettato per terra, l’unica nota stonata in quella casa così piena di allegria. Quando lo raccolse e vide il soggetto, il ragazzo sentì una fitta al cuore. Una piccola caricatura di Madoka lo salutava dolcemente, tutta agghindata in un fumettoso vestito da maga tutto pizzi e balze.
Solo allora si accorse del rumore proveniente dal bagno.
– Credo che si stia facendo la doccia, – bisbigliò Shinji alla volta di Sayaka. Quella circostanza gli ricordava la sua esperienza a casa di Ayanami, e non aveva alcuna voglia di fare il bis. – Forse è meglio se aspetto fuori…
– Ma no, che dici? – lo fermò Sayaka, placcandolo mentre cercava di uscire. – Vado a chiamarla, tu aspetta in… mmh…
La ragazza si guardò intorno. Era un monolocale, dopotutto. – Okay, in effetti è meglio se aspetti fuori.
***
– Ma salve, Fiammella.
Homura fu abbastanza sorpresa nell’udire la voce di Mari, soprattutto considerando che l’entrata del personale del Geo Front era appena dietro l’angolo. La ragazza era seduta a gambe incrociate su una panchina del parco pubblico situato a due isolati dalla stazione centrale di Neo-Tokyo 3, le braccia appese allo schienale con indifferenza. Se non fosse stato per l’uniforme scolastica palesemente fuori luogo, la si sarebbe potuta scambiare per una studentessa intenta a marinare la scuola.
Homura si passò una mano tra i capelli con malcelato fastidio.
– Devi proprio chiamarmi così?
– Perché no? – ribatté Mari con un sorriso sottile, quasi da gatto. – Ti si addice. O forse preferisci Fiamma? Fiammetta? Fermami quando ne trovi uno che ti piace, ne ho altri.
– Preferirei essere chiamata con il mio nome.
Il sorriso di Mari si capovolse in un broncio esagerato ed infantile. – Uffa… speravo che almeno con te ci si potesse divertire un po’.
– Che vuoi, Makinami?
Mari sospirò platealmente, alzando lo sguardo al cielo come se quella conversazione la riguardasse solo alla lontana. – Informazioni, Fiammella cara. Informazioni che solo tu puoi darmi.
Homura si guardò intorno con circospezione. Non c’era nessun altro oltre loro due, cosa abbastanza strana per un parco a quell’ora della mattina. Con ogni probabilità, la ragazza aveva organizzato quell’incontro in maniera più accurata di quanto non sembrasse. – Che genere di informazione?
Una scintilla brillò negli occhi di Mari. Il sorriso tornò sul suo volto, stavolta molto meno rassicurante. Si alzò dalla panchina, si sistemò gli occhiali sul naso ed estrasse un cellulare dalla tasca della camicetta. Lo passò ad Homura, che lo afferrò al volo e lo studiò per qualche momento. Era un vecchio modello di plastica nera, con una grossa antenna esterna di plastica. La maga ricordò di aver già visto telefoni come quello fra le mani di alcuni membri della yakuza, molto tempo prima; apparecchi non rintracciabili, roba che si vedeva solo nei film di spionaggio, in mano a criminali e agenti segreti. L’unica differenza, in questo caso, era la piccola fotocamera sul retro del dispositivo.
– Guarda tra le foto, – ridacchiò Mari. – Penso che ci troverai qualcosa di molto interessante.
Homura armeggiò con l’apparecchio per qualche momento, cercando il modo per aprire la galleria immagini di quel pezzo d’antiquariato. Quando finalmente trovò la foto che Mari voleva farle vedere, la sua schiena fu percorsa da un brivido.
– Vedo che quell’affare preoccupa anche te, – disse Mari.
– Dove l’hai trovato? – chiese Homura.
Mari fece spallucce. – In giro.
In un momento, Homura afferrò la ragazza per il colletto dell’uniforme, spingendola contro la panchina alle sue spalle e avvicinando il proprio volto al suo. – Makinami, questo non è un gioco. Dimmi dove hai trovato quell’oggetto.
L’espressione sorniona di Mari scomparve, cedendo alla soggezione per quel volto pieno di rabbia. Aveva già avuto la sensazione che Homura Akemi non fosse una persona con cui scherzare, ma in quel momento la sua voce lapidaria le fece venire un brivido.
– Okay, okay, – disse, deponendo l’umorismo e facendosi più seria. – È nel Geo-Front. Nell’ufficio del comandante Ikari.
– Come hai fatto a…
– Ah, puoi fare molte cose con un emettitore di onde elettromagnetiche miniaturizzato, una mimetica ottica e una mappa dell’impianto di areazione.
Homura la lasciò andare, e Mari ne approfittò per sistemarsi il colletto e il cravattino dell’uniforme. La maga la studiò per qualche momento, cercando di leggere qualcosa nei suoi movimenti. – Si può sapere chi diavolo sei?
Mari ammiccò, tornando al suo solito atteggiamento distaccato. – Una persona difficile da ricordare.
***
Sono tornato.
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