Synchronicity

di Lady Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il fragile rumore di un cuore che si spezza. ***
Capitolo 2: *** Un compleanno umido di ricordi. ***
Capitolo 3: *** L'inizio del viaggio. ***
Capitolo 4: *** Kaito, dalle terre dell'Est. ***
Capitolo 5: *** L'inganno che si cela dietro un sorriso. ***
Capitolo 6: *** Lacrime inascoltate. ***
Capitolo 7: *** L'eco di un sorriso perduto. ***
Capitolo 8: *** L'austero consigliere. ***
Capitolo 9: *** Non c'è posto per la pietà. ***
Capitolo 10: *** Alain, il garzone dai capelli corvini. ***
Capitolo 11: *** Nessuno sfugge al serpente. ***
Capitolo 12: *** Un miracolo gelido come ghiaccio. ***
Capitolo 13: *** Un passato celato dietro il profilo di una cicatrice. ***
Capitolo 14: *** Non la lascerò morire. ***
Capitolo 15: *** Lamelya ***
Capitolo 16: *** Ci sono sofferenze ben peggiori della morte. ***
Capitolo 17: *** Il canto del fuoco ***
Capitolo 18: *** Un bacio elevatosi a sfidare il mondo. ***
Capitolo 19: *** La sacerdotessa. ***
Capitolo 20: *** L'ombra è egemone regina del mondo. ***
Capitolo 21: *** Kasay, il devastatore. ***
Capitolo 22: *** Fratello mio. ***
Capitolo 23: *** Il profumo di una nuova vita ***



Capitolo 1
*** Il fragile rumore di un cuore che si spezza. ***


“Il mondo è un posto così crudele.” pensò la donna crollando malamente in ginocchio quando una fitta di dolore le trafisse il cuore lasciandola boccheggiante nella fredda grotta dimenticata. I suoi lunghi capelli blu scivolarono avanti sulle esili spalle disegnando a terra una serie di lucidi spirali color mare; lacrime dense scivolarono incontrollabilmente giù sulle sue guance d'alabastro. “Il mondo è così crudele.” si ripeté ancora stringendo tanto forte il delicato scettro di ossidiana turchese; la sfera alla sua sommità pulsò di vita propria diffondendo sul suo viso un'intricata ragnatela di sfumature gelide come il tocco dell'inverno.

Il sacro, dominante silenzio era soltanto interrotto dal perpetuo sgocciolare dell'acqua contro alla roccia. La sacerdotessa chiuse gli occhi cercando di captare il benché minimo rumore; mai prima di allora aveva così tanto desiderato sentire lo struggente canto della vestale diffondersi nelle ariose volte sottostanti.
Tutto ciò che le rispose fu una terribile, luttuosa quiete.
Il lezzo viscido del sangue la raggiunse qualche istante più tardi chiudendole la gola. Con uno sforzo considerevole, la donna si alzò in piedi puntellandosi sullo scettro che sempre l'accompagnava come un silenzioso compagno.
La sacerdotessa asciugò con gesti contenuti le lacrime che continuavano a inumidirle le guance; i suoi piedi, fasciati da un paio di sottili sandali turchesi, sfiorarono appena il duro terreno.
“Non c'è posto per la pietà in una terra corrotta dalla violenza.”
La donna alzò con lentezza esasperante lo scettro d'ossidiana sopra al capo ondeggiandolo lentamente a destra e sinistra; disegni impalpabili come le dita del vento presero forma nella collosa penombra che si ammucchiava negli angoli della grotta. Una lenta nenia, satura di un dolore infinito e vecchio come il mondo, riempì il silenzio diffondendosi in eco profonde verso il cuore stesso della terra.
“L'ombra è l'egemone regina che domina sul mondo.” pensò lasciando che una sola, densa lacrima tornasse a morderle la pelle mentre, nella profondità della terra, un ringhio bestiale faceva tremare la terra.
 
Il pianto dei bambini riscosse la donna dal suo sonno leggero, con uno sbadiglio insonnolito si alzò facendo pressione sulle ginocchia. La gonna frusciò contro alle gambe magre quando la ragazza salì le scale di legno per arrivare al piano superiore, dove i suoi figli riposavano di pomeriggio. Il sole aveva piacevolmente riscaldato la piccola stanza quadrata, spoglia pressoché di ogni mobilio; sfortunatamente la loro famiglia non era poi così ricca da potersi permettere molte decorazioni. La donna si scostò i capelli arruffati dal viso prima di dirigersi a passo veloce verso la finestra appena socchiusa. Quando il chiavistello scattò, uno sbuffo di vento agitò le delicate tendine che lei stessa aveva cucito tempo addietro con l'aiuto della sua vecchia madre. Il pianto bisognoso dei bambini divenne quasi assordante per le orecchie sensibili della giovane appena destatasi; lei però, non sembrò quasi farci caso. Si sedette con leggerezza accarezzando con dita affusolate le testoline dei due gemelli.
-La mamma è qui.- sussurrò chinandosi in avanti per scoccare un umido bacio sulla fronte di entrambi i piccoli. I capelli scivolarono sulle spalle esili della ragazza andando a creare attorno ai due piccoli una profumata cortina dorata.
Le loro manine si chiusero immediatamente attorno alle folte, lisce ciocche della loro mamma.
I residui delle lacrime imperlavano ancora le sottili, chiare ciglia dei due infanti; una risata argentina risuonò sulle labbra della bambina quando, abbandonando la presa sulle crine, queste ondeggiarono di fronte ai suoi limpidi occhi blu.
-Hai una voce stupenda, mia piccola Rin.- sussurrò la donna raccogliendo tra le braccia la figlia; lei esplorò con dolcezza il viso della mamma analizzando con attenzione il delicato profilo del naso.
L'altro bambino, rimasto da solo in mezzo alle coperte tiepide, cominciò a piagnucolare sommessamente per richiamare l'attenzione della donna. Lei, subito intenerita, prese il piccolo tra le braccia baciando ancora ed ancora il regalo più grande che la vita le aveva fatto.
-Vostro padre sarebbe orgoglioso di vedervi crescere.- disse d'un tratto, colta da un'improvvisa, lacerante fitta di malinconia.
-Len, Rin, vi manca papà?- chiese ancora cercando di trattenere le lacrime che, involontariamente, le inumidivano gli occhi ogni qualvolta pensava al suo defunto marito. Gli occhi tristi della giovane si sollevarono ed incontrarono le due catenelle in ferro battuto che il suo compagno aveva forgiato per l'avvento della nascita dei bambini.
Allungando una mano, raccolse nel palmo quelle delicate opere d'arte baciandole con trasporto quasi come se nel farlo, potesse sentire la presenza dello sposo in esse.
-Queste sono di vostro padre. Le ha forgiate con la magia; con queste riuscirete sempre a sentire l'uno i sentimenti dell'altra. Così, anche se vi separerete, sarete collegati da questo piccolo oggetto.- la ragazza fece ondeggiare davanti agli occhi bramosi dei due bambini le delicati chiavi musicali.
Con particolare attenzione cinse il collo dei suoi figlioletti con il pendente per poi osservarli, commossa.
Improvvisamente, nel silenzio ovattato della piccola casa, un febbrile bussare la distolse bruscamente dal suo lieve compianto. Confusa, la donna depositò i due bambini nelle coperte chiudendosi alle spalle la porta della camera.
I tonfi alla porta si fecero ancora più intensi, nervosi; qualche imprecazione trattenuta tra i denti rimbalzò contro al legno sottile del battente.
-Sto arrivando!- gemette la giovane sollevando l'orlo della gonna per non inciampare nella rapida discesa. La ragazza, solitamente accorta, si dimenticò di domandare chi desiderasse avere accesso alla sua umile dimora.
Due energumeni vestiti in armatura la spinsero da parte non appena lei spalancò la porta con un cordiale sorriso di benvenuto.
-Che cosa succede?- chiese allarmata mentre i due soldati si guardavano attorno impettiti e rigidi nelle loro vesti di ferro.
L'elsa delle spade che portavano alla cintola scintillarono minacciosamente sotto alla carezza innocua del sole pomeridiano. La giovane madre deglutì a vuoto cercando di carpire la benché minima informazione dagli spigolosi visi dei due uomini che avevano fatto irruzione in casa sua.
Solo dopo qualche minuto di silenzio uno dei due le si rivolse con tono decisamente scortese.
-Sei Haruka, vero?- domandò il soldato squadrandola da capo a piedi con sufficienza. Haruka inghiottì il risentimento annuendo sommessamente; affondò le dita nelle pieghe morbide della gonna cercando di nascondere il tremore sempre più intenso delle sue mani.
-Hai due figli, vero?- domandò il soldato con voce cavernosa, dura come la roccia.
-Sì.- Haruka rispose orgogliosamente senza ben comprendere dove quel discorso li avrebbe portati; il suo Len era ancora un infante, di che utilità sarebbe stato all'esercito?
-Maschio e femmina?-
-Sì; due gemelli.- confermò la donna se possibile ancor più spaventata e confusa. Che cosa poteva interessare a quei soldati dei suoi figli? Che cosa volevano da loro? Un orrendo presentimento le diffuse sulla lingua un acre sapore di fiele.
Il soldato fissò con gelidi occhi grigi la bellissima donna facendo un paio di cadenzati passi avanti, la sua armatura tintinnò accompagnando ogni suo più piccolo movimento.
-Dacci tua figlia.-
Le labbra di Haruka si asciugarono di colpo mentre il suo stomaco si rivoltava; dovette appoggiarsi al muro per non crollare in ginocchio. -Che cosa volete da mia figlia?-
-Non sono affari che ti riguardano, popolana.- ribatté con acredine il secondo soldato muovendo un minaccioso passo avanti; una delle sue mani guantate di ferro le artigliarono il polso.
-Non fare la difficile, donna.- la sua voce raschiante era ridotta a poco più di un sibilo ferale.
-Non costringermi a..- le sue parole vennero però interrotte dal pianto incessante di Rin che, tediata dalla mancanza della mamma, tornò a reclamare la sua presenza.
Un ghigno terribile arricciò le labbra sottili del soldato; questi lasciò andare la donna voltandole con sufficienza le spalle.
-No..- sussurrò lei prima di proiettarsi in avanti per bloccare l'accesso alle scale come meglio poteva; spalancò le braccia digrignando con decisione i denti.
-Lasciate in pace i miei figli! Non hanno fatto niente di male!- gridò con tutto il fiato che aveva in gola sfidando le autorità militari. Il più crudele dei due, quello che prima l'aveva così malamente afferrata per il polso, salì uno degli scalini facendo gemere sotto il suo peso il vecchio legno roso dalle tarme. Prima ancora che la donna potesse rendersi conto del pericolo, l'uomo la colpì con uno schiaffo la guancia. Con un grido di dolore misto a sconcertata sorpresa, Haruka si accasciò sugli scalini. Il sapore del sangue le invase la bocca ma malgrado ciò, si rimise in piedi cercando di non inciampare nell'ingombrante gonna sgualcita; i capelli scarmigliati le ricaddero sugli occhi azzurri.
-Uscite da casa mia!-
-Non sai con chi stai parlando..- grugnì l'uomo divorando i gradini che li dividevano. Le mani dell'energumeno si chiusero attorno ai polsi della ragazza trascinandola a forza giù verso il pianerottolo dove il collega attendeva immobile come una statua di marmo. Il soldato la scaraventò contro al compagno che immediatamente chiuse le esili braccia di Haruka in una morsa più resistente del ferro.
-Lasciate stare mia figlia!- gridò dimenandosi come una leonessa nelle braccia del soldato; alle sue spalle l'uomo non sembrò accusare minimamente la fatica di trattenerla. Haruka cercò di colpire il soldato che la tratteneva spezzandosi le unghie delle mani ed ammaccandosi le ossa contro all'armatura d'acciaio.
Il pianto di Rin era come un lacerante richiamo d'aiuto che, mano a mano, si amplificava nel piccolo ambiente rischiarato dal sole.
-RIN!- urlò Haruka quando vide la sua bambina dondolare tra le braccia estranee del soldato.
-Era così difficile?- chiese lui guardando con sprezzo le lacrime della donna incidere le guance rosse dallo sforzo.
-Vi prego.. vi prego, non portatemela via..- un singhiozzo ruppe il suo respiro.
-Che cosa ho fatto per meritarmi questo?- gridò tanto forte da far tremare i vetri delle finestra.
Non potevano portarle via sua figlia, la sua sola ragione di vita.
Il soldato, probabilmente a disagio, strinse più forte la bambina allontanandosi dall'intollerabile sofferenza della madre; Rin pianse ancora ed ancora ma Haruka non poté fare niente per impedire che la portassero via.
Solo quando il collega si era ormai allontanato, il silenzioso soldato lasciò andare Harula.
La donna cadde in ginocchio stringendosi al seno le mani ormai coperte di sangue raggrumato, non aveva mai sentito una sofferenza tanto forte straziarle il cuore. La giovane singhiozzò senza ritegno premendo la fronte contro alle assi di legno tanto forte da lacerare la pelle; il soldato non disse niente, osservando il cuore della povera donna frantumarsi come un misero bricco di vetro soffiato.
Ben presto, il pianto del gemello si unì a quello della madre in una malinconica melodia al sapore di lacrime.
Haruka si voltò verso il soldato colpendo a pugni chiusi la placca frontale della sua armatura.
-Perché? Perché?!-
Il soldato fece un passo indietro scostandosi dalla furia della donna; lei cercò di raggiungerlo ma era troppo debole per sperare di contrastarlo. Così, accorgendosene, cadde nuovamente in ginocchio in preda ad un altro violento attacco di pianto. Il soldato chinò rispettosamente la testa di fronte allo strazio della donna, avviandosi verso la porta ancora spalancata. Una piccola folla di curiosi aveva iniziato ad affacciarsi per verificare cosa stesse accadendo; nello stesso istante in cui videro il soldato emergere dalla casa, la gente si dissipò.
Il condottiero appoggiò una mano allo stipite della porta trattenendosi per un istante.
-Il mondo è un posto crudele. Non sempre ci è concesso conoscere la risposta alle nostre domande.. Dimenticati di tua figlia, fa finta che non sia mai esistita e ricostruisci il tuo cuore distrutto, donna. Questo è il mio solo consiglio.- il soldato sospirò quasi come se quella situazione lo mettesse a disagio.
-Addio.- disse prima di sparire in strada lasciandosi alle spalle solo i frammenti carbonizzati di una innocente felicità.

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Capitolo 2
*** Un compleanno umido di ricordi. ***


Passarono stagioni, le foglie si tinsero di rosso cadendo al suolo; lì dove in primavera i fiori sbocciarono in tante, piccole macchie di colore.

Il sedicesimo compleanno di Len venne salutato dal tiepido bacio del sole estivo. I raggi chiari penetrarono tra le trame della tenda colpendo gli occhi chiusi del ragazzo; Len si mosse appena nel letto stiracchiandosi pigramente tra le lenzuola sfatte.

-Buon compleanno, mio tesoro.- disse l'allegra voce di Haruka, che approfittando del risveglio del figlio, era entrata nella stanza a passo leggero. La donna cinse con forza il collo del figlio stringendolo contro il proprio petto; Len respirò a fondo il familiare aroma di pane fresco che sempre la accompagnava. -Grazie, mamma.- rispose ricambiando con affetto l'abbraccio di lei che, con un sorriso pieno di commozione, prese il viso del ragazzo tra le mani delicate.

I suoi occhi azzurri si velarono di lacrime mentre un fiero sorriso le si schiudeva sulle sue labbra rosee.

-Non mi sembra possibile che il tempo sia passato così in fretta..- sussurrò tra sé sfiorando con le dita le guance calde del figlio che, ancora assonnato, si godette in silenzio le carezze della madre.

-Mi sembra passato solo un giorno dall'ultima volta che ho avuto il piacere di stringerti tra le braccia.- disse ancora premendo la fronte contro quella di Len che, curioso, aspettò che Haruka terminasse quella sottospecie di monologo.

-Sto proprio invecchiando.- sospirò appoggiando le mani sui fianchi avvolti dal solito grembiule sporco di farina e morbido impasto. Len sbadigliò portandosi una mano di fronte alla bocca prima di alzarsi dal giaciglio, ormai troppo piccolo per il corpo di un adolescente.

Haruka arricciò le labbra verso l'alto quando notò che ormai suo figlio l'aveva sorpassata in altezza, la testa bionda del ragazzo superava la sua di almeno quattro o cinque centimetri.

L'odore della colazione sgusciò nella stanza risvegliando lo stomaco assopito di Len, il quale con un sorriso ampio ed affamato, prese per mano sua madre conducendola rapidamente giù per le scale.

-Che cos'hai preparato di buono questa mattina?- chiese il ragazzo attraversando a grandi falcate il minuscolo salotto, adornato solo dalla vecchia, polverosa poltrona che sua madre le aveva regalato.

-Prova ad indovinare.- cinguettò la donna raccogliendo i capelli corti in una coda alta; quando le dita della donna incontrarono il desolante vuoto lasciato dalle lunghe ciocche dorate, una fitta di asfissiante nostalgia le chiuse lo stomaco.

-Mamma? Tutto bene?- chiese Len voltandosi preoccupato quando non vide la madre raggiungerlo in cucina, dove tante squisite leccornie erano in attesa d'essere assaggiate. Haruka sfoggiò il suo miglior sorriso di repertorio eliminando tutti i cupi pensieri che in un batter d'occhio le avevano affollato la mente. La giovane donna assestò una pacca affettuosa contro la schiena del figlio.

-Che cosa ci fai ancora lì in piedi? Serviti, altrimenti si fredda.- esclamò prima di voltarsi verso il focolare, lì dove una vecchia teiera ormai annerita da anni di costante utilizzo, cominciò sommessamente a fischiare. L'odore del tè alle rose riempì la stanza, mescolandosi a quello zuccherato dei dolcetti appena abbrustoliti.

Haruka posizionò di fronte al viso di Len una tazza colma di liquido rosato, così notando che ancora non aveva toccato cibo.

-Tesoro? C'è qualcosa che non va?- chiese lei preoccupata prima di chinarsi in avanti ed intrecciare le sue dita a quelle forti di lui.

-No, niente di particolare. Ti ho visto turbata, stai bene?- chiese lui ricambiando con intensità la stretta.

-Certo che sto bene!- ribatté lei assestando sul naso del giovane un piccolo buffetto affettuoso.

La donna appoggiò le labbra contro la sua tazza bevendo un breve sorso della bevanda contenutavi; poi, ricordandosi improvvisamente di qualcosa, si alzò dalla sedia trotterellando fuori dalla stanza.

Len allungò il collo per cercare di capire che cosa stesse facendo la madre, ma prima ancora che potesse aprir bocca per chiamarla, Haruka tornò reggendo in mano un piccolo pacchetto. Una ruvida carta color sabbia avvolgeva gli angoli del regalo, un filo di lana rossa ne chiudeva i lembi.

-Questo è per te, aprilo.- disse la giovane donna sorridendo, qualche sottile ruga intaccò la perfezione della pelle.
Len si pulì le dita appiccicose di marmellata sulla tovaglia, Haruka gli rivolse un'occhiata colma di disappunto, ma il ragazzo non vi badò troppo. Il fiocco si sciolse rivelando una lucida scatoletta di legno decorato; dentro giaceva, coperto da un panno, un delicato ciondolo a forma di chiave musicale. Len sollevò il cordino di cuoio che reggeva l'oggetto facendolo oscillare di fronte alle iridi.

-Era di tuo padre. Lo ha forgiato per te e..- la voce di Haruka si affievolì per poi spegnersi.

-E' veramente bellissimo.- disse il ragazzo analizzando la deliziosa foggia del ferro; dopo qualche attimo, lo ripose nella scatoletta.

-Non lo metti?- Haruka sgranò gli occhi stupita dal gesto del figlio.

Len divorò voracemente un dolcetto al miele per poi cancellare le tracce di sostanza che gli erano rimaste attaccate ai polpastrelli.

-Devo aiutare Rei ed Ayato con il mercato. Non vorrei che si sporcasse o che qualche gesto sconsiderato me lo strappasse via dal collo.- rispose il ragazzo con la bocca piena; una serie di briciole umidicce piovvero sul tavolo ed Haruka, sospirando, le spazzò via con un pezzo di stoffa.

-Ma come, ti vogliono far lavorare anche oggi?-

-Oggi è giorno di scambio, ricordi? Purtroppo sono richiesti tutti i membri, senza eccezioni.- Len si alzò lentamente da tavola scostando la sedia con le gambe; con rapidi gesti raccolse i capelli arruffati in una pratica coda di cavallo.

-Per altro, sono anche in ritardo.- sbuffò controllando la tunica che, ormai rimasta piccola, era tesa sul petto e sulla curva delle braccia. Haruka si alzò accarezzando tristemente il bordo del suo tè ormai freddo; non poteva negare d'essere un po' delusa dall'impegno del figlio.

Sembravano passati anni dall'ultima volta in cui avevano speso più di qualche ora a parlare e cucinare insieme; come le mancavano quei momenti..

-Mamma, tonerò prima di quanto tu creda. Ayato mi ha concesso di staccare un paio di ore prima.- si rallegrò il ragazzo prendendo le mani della donna tra le proprie per poi baciarle con trasporto e dolcezza. Haruka sorrise intenerita dalla premura del suo piccolo sole; Len pensava sempre al suo benessere, non importava quanto duro fosse il lavoro da sopportare o la stanchezza che poi si accumulava sulle sue spalle.

-Grazie per tutto quello che fai per me, Len.-

-Questo e altro per te, mamma.- rispose lui prima di scoccarle un bacio su una guancia e fiondarsi di sopra per prepararsi all'ennesima giornata lavorativa.

Il sole splendeva come una palla infuocata sulla periferica città di Yué; Len respirò a fondo l'aria appiccicosa chiedendosi con raccapriccio quale temperatura avrebbero raggiunto le lastricate viuzze del centro. Un manipolo di monelli vestiti di stracci sfrecciò di fronte al ragazzo in un coro di risate gioiose; uno spelacchiato gatto nero, nel vederli, rizzò il pelo prima di sparire nel cono d'ombra creato dagli edifici.

-Quelle pesti sono sempre più rumorose.- si lamentò l'anziana signora che abitava di fronte a loro; il fazzoletto che le copriva la testa ondeggiò seguendo i suoi movimenti lenti e fiacchi.

Len le sorrise prima di tornare sui suoi passi, diretto verso il cuore del paesino.

Man mano che il ragazzo si approssimava alla piazza principale, il baccano prodotto dalle voci dei mercanti si fece progressivamente più intenso.

Len credette quasi di riuscire ad individuare, tra i differenti toni vocali, quello profondo e caldo del suo affascinante dirigente.

Il piazzale in cui aveva avuto luogo lo scambio non era poi così grande, considerando la mole di persone che ogni domenica doveva ospitare.

Molte delle bancarelle presenti erano pressate le une sulle altre in un intricato ammasso di stoffe, vivande e gioielli preziosi. Le persone, dal canto loro, non facilitavano la già scomoda situazione.

Tutti cercavano l'offerta perfetta che gli avrebbe permesso di fare un buon affare a poco prezzo; sfortunatamente, ciò comportava un viavai caotico di uomini, donne e ragazzi che spingevano e spintonavano per cercare d'accaparrarsi un benché minimo spazio di fronte alla bancarella.

I mercanti, di fronte a quel mare di mani, visi e desideri, dovevano far del loro meglio per assecondare i clienti, tener conto dei pagamenti e soprattutto, far attenzione che qualcosa non svanisse magicamente dal piano dei loro banchi.

-Sei arrivato finalmente! Ayato ti stava aspettando.- disse una voce gentile alle sue spalle; Len si voltò con un sorriso stampato sul viso.

-Buongiorno anche a te, Rei.- rispose cercando di ignorare al meglio il tono meticoloso della ragazzina.

-Ayato è molto esigente, ricordatene la prossima volta.-.

Rei girò i tacchi e si allontanò ondeggiando i fianchi, i dischetti di rame che decoravano la sua gonna tintinnarono allegramente in risposta all'atmosfera generale.

Len sospirò grattandosi infastidito il capo; per quanto potesse essere autoritaria, la sorella di Ayato era tre o quattro anni più piccola del giovane; ma ciò non le impediva di trattarlo come uno straccio ogni volta che si incontravano. La bancarella di Ayato, a differenza di molte di quelle presenti, era una delle più rinomate e frequentate della città; le giovani donne adoravano le vesti di velluto e i gioielli che l'uomo proponeva ed allo stesso modo gli uomini trovavano sempre qualcosa di particolare con cui ornare le proprie vesti o il proprio capo.

Ayato era un vero e proprio genio quando si trattava di intrattenere i clienti e sottrarre loro qualche moneta di rame in più.

-Buongiorno mia cara signora, come sta? Guardi cosa ci è arrivato ieri.. senta che velluto.. è morbido come la pelle di un neonato.- la voce melodiosa dell'uomo lo raggiunse mentre Len entrava dal retro.

La donna osservò rapita i colori accesi della gonna che Ayato le stava porgendo.

-Sensi all'erta, ho notato movimenti sospetti.- gli sussurrò prima di tornare a volgere la sua attenzione verso la cliente. Len sospirò ancora cancellando dalla fronte una stilla di sudore.

Sarebbe stata una giornata decisamente molto lunga.

 

Haruka camminò lentamente nella stanza vuota, i suoi occhi non la smettevano di ritornare sulla scatoletta chiusa appoggiata sul tavolo. Quando la donna si accorse di star camminando in cerchio come una specie di animale in gabbia, si lasciò cadere su una delle sedie che circondavano il piano legnoso. L'oggetto chiuso nello scrigno sembrava chiamarla con voce suadente; poche ore prima, quando aveva visto il metallo scintillare sotto al tocco del sole, il cuore le era sobbalzato nel petto.

Quello stesso ciondolo ora cingeva il collo della sua Rin.

Haruka si sollevò di scatto rovesciando la sedia, le sue dita combatterono febbrili contro al gancetto che chiudeva la scatola di legno. Quando, dopo molti tentativi fallimentari, riuscì finalmente a spalancare il coperchio, il metallo brillò davanti ai suoi occhi.

-Rin, dove sei?- ansimò indossando il cordino di cuoio. Haruka chiuse gli occhi, inglobando tra le mani la chiave musicale; respirò a fondo ripetendo a bassa voce le parole che suo marito le aveva sussurrato nel mostrarle i due ciondoli identici.

Haruka ricercò in modo ingenuo i sentimenti della figlia nel proprio cuore senza però ricevere la benché minima risposta; l'oggetto rimase insensibilmente freddo contro il suo seno.

-Rin, tesoro mio, riesci a sentirmi?- mormorò nel silenzio mentre lo stesso, impetuoso dolore che aveva provato sedici anni fa, tornava a torturarla.

La mal rimarginata cicatrice della perdita ritornò copiosamente a sanguinare, lasciando senza fiato la giovane madre.

-Non ti rivedrò più, vero? Ti ho persa per sempre..- disse ancora stringendo tanto forte la chiave musicale da sentire il metallo inciderle la morbida carne del palmo della mano.

-Mi manchi così tanto..- singhiozzò quando le prime, silenziose lacrime rotolarono sulle pallide guance di Haruka. Il sorriso della sua adorata bambina baluginò sfocato nelle trame dei suoi ricordi; le guance con le fossette sembravano scolorite, esattamente come i folti capelli dorati sulla sua testolina.

-Avete intenzione di privarmi anche dei miei ricordi?!- gridò stridula alzando il viso verso il soffitto, rivolta alle nuvole invisibili che sicuramente galleggiavano nel cielo.

-Non vi permetterò di portarmi via anche quelli!!- strillò ancora sforzando tanto la gola da sentirla andare in fiamme; non sapeva bene contro chi stesse urlando, ma non le interessava.

Tutto quello che desiderava era sciogliersi in quel dolore insopportabile, svanire per sempre nel vento.

-Madre?! Che succede?- la voce allarmata di Len la raggiunse troppo tardi assieme al frettoloso rumore dei passi in avvicinamento. Per la prima volta in sedici anni, Haruka non fece assolutamente niente per nascondere l'evidente ferita che le sfregiava l'animo. Quando Len si affacciò alla stanza della cucina, sua madre lo accolse con un triste sorriso bagnato di lacrime.

-Siediti, Len. Dobbiamo parlare.-

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Capitolo 3
*** L'inizio del viaggio. ***


 

 

La chiave musicale scintillò al centro del piccolo tavolo della cucina. Il metallo curvilineo sembrava chiamare con voce seducente il ragazzo, seduto a qualche centimetro di distanza. Haruka fissava in silenzio il motivo della tovaglia bucata da quella che pareva un'eternità; i capelli corti della donna coprivano parzialmente il suo viso arrossato e gonfio dal pianto.

Len si alzò di scatto, quasi rovesciando la sedia sulla quale era seduto. Sua madre, in compenso, non mosse un muscolo, limitandosi a tirar su con in naso.

-Io...- la voce di Len si affievolì tanto da svanire nell'eco stessa del suo respiro affannato; il cuore gli martellava così forte in petto da coprire pressoché ogni rumore.

-Ho una sorella..E' sconvolgente! Ma perché non me l'hai detto prima? Sedici anni passati nella convinzione d'essere figlio unico!-. Un fiotto di rabbia accese le iridi del ragazzo che, nell'irruenza, afferrò con poca delicatezza la spalla di Haruka; lei si alzò di scatto colpendolo al petto per allontanarlo da sé. Gli occhi azzurri della giovane madre si erano tramutati in un abissale oceano di sofferenza, una lacrima solitaria le baciò il viso ma lei non vi badò.

-Perché!? Credi forse che come madre possa rievocare un evento tanto terribile con facilità?- la voce solitamente pacata di Haruka si alzò di due ottave quando nel suo petto l'ira si destò travolgente come il soffio di un uragano.

Len abbassò il capo premendosi i palmi delle mani sugli occhi; arretrò finché la sedia non lo fece inciampare. -Una sorella.. e dimmi, come si chiama?-

-Rin.- rispose la donna asciugandosi con un lembo della camicetta il piccolo rivolo umido che ancora esitava sulla curva dolce della mascella. La chiave musicale ammiccò quando il sole ne accarezzò i delicati intarsi; il giovane la fissò, indeciso sul da farsi. Da una parte il suo cuore bramava di scoprire quale strana magia si celasse dietro quel piccolo ciondolo; dall'altra, la paura gli teneva incatenati i polsi.

Dietro quel pezzo di metallo, a detta di sua madre, si nascondevano i sentimenti della misteriosa sorella gemella che mai aveva conosciuto; se avesse semplicemente ignorato la faccenda, probabilmente sarebbe stato tutto più semplice. La sua normale vita d'adolescente sarebbe tornata intatta come lo era stata fino a quello sfiancante pomeriggio di lavoro.

-Indosserò il ciondolo.- disse d'un tratto allungando le mani verso il cordino di cuoio.

Per quanto azzardata potesse sembrare quella decisione, Len sapeva che dopo una rivelazione del genere, i pezzi della sua quotidianità non sarebbero più tornati alla loro forma originale. Essere consapevole del fatto che sua sorella era lì fuori, chissà dove, l'avrebbe torturato per tutta la vita. Le iridi di Haruka ebbero un guizzo quando il cordino scivolò attorno al collo del ragazzo, il pendente picchiettò un paio di volte contro al suo sterno prima di arrestarsi. La donna fece un tremolante passo avanti.

-Allora? Senti niente?- chiese con voce grondante di aspettativa.

Len corrugò le sopracciglia turbato.

-Io non sent..-. Il suo petto venne scosso da uno spasmo, la sua gola si chiuse mentre i contorni della stanza si sfocavano. Il canto bellissimo di una giovane donna si diffuse malinconico nelle sue orecchie; i suoi occhi si spalancarono in una grotta dalle rocce frastagliate.

Len non conosceva quel luogo, ma il bagliore bluastro che pulsava su quei bordi taglienti lo spaventava; l'aria fredda gli morse le carni facendolo rabbrividire. Improvvisamente, il canto divenne più intenso, dolce come la carezza di una madre sul viso; una ragazza dai corti capelli dorati comparve al centro della grotta.

C'era qualcosa di triste nella posizione delle sue spalle, avvolte in un sottile vestito candido come la prima neve invernale. La giovane chinò il capo osservando il ciondolo che le pendeva sul petto, qualche attimo dopo le dita affusolate lo raccolsero con infinita delicatezza.

Era la copia gemella della chiave musicale che pendeva dal collo di Len.

Un rumore stridente invase la caverna sopprimendo il gentile canto della ragazza che, voltandosi di scatto, sorrise tristemente drappeggiandosi il velo bianco sulle spalle nude.

La sua voce si alzò mentre i suoi piedi intessevano sulle dure rocce la più determinata ed aggraziata delle danze.

Len boccheggiò in cerca d'aria, i suoi occhi spalancati misero nuovamente a fuoco la familiare stanza della cucina in cui aveva passato tanti bei momenti. Haruka era chinata su di lui, il suo viso aveva perso ogni singola traccia di colore; lo scosse per una spalla chiamandolo ossessivamente. Il ragazzo si mosse indebolito prima di premere una mano contro alle tempie pulsanti, il sorriso sconsolato della fanciulla trapassò in un bruciante lampo la sua mente.

-Len, tesoro?-

Il ragazzo alzò il viso verso la madre che, in ginocchio, gli prese delicatamente il viso tra le mani, quasi avesse paura di fargli male.

-Che cosa c'è?-

-Perché stai piangendo?- chiese lei cancellando con il pollice una stilla che si era silenziosamente depositata sul suo zigomo.

Len si toccò il viso trovandolo inspiegabilmente umido di lacrime che non si ricordava d'aver versato. Haruka stava singhiozzando; negli occhi del figlio riuscì a miracolosamente a vedere il sorriso luminoso della sua bambina.

-Hai visto tua sorella? Hai visto Rin? Ti prego, rispondimi.- bisbigliò la donna premendo la fronte contro quella del figlio ancora disorientato dalle frammentate visioni.

-Sì l'ho vista.- riuscì ad articolare dopo qualche minuto di silenzio; quella ragazza non poteva che essere la sua gemella, nessuno sarebbe potuto assomigliargli più di lei.

Un fiotto di rabbia bruciante gli incise il cuore mentre la tristezza che aveva sentito vibrare nella voce della fanciulla si riversava sulle sue spalle, pesante come l'intero universo.

Era così strano star male per un sorriso che mai si è veramente conosciuto.

-Mamma; mia sorella.. era triste, afflitta per una ragione che non arrivo a comprendere.- mormorò il ragazzo alzandosi lentamente per aiutare anche la donna a risollevarsi dalla accucciata posizione in cui si era gettata per soccorrerlo. Le labbra della donna tremarono, ma prima che lei potesse aggiungere una sola parola, Len le afferrò le mani stringendole tanto forte da farle male.

-Andrò a riprenderla, madre.-

Haruka sgranò gli occhi, affondando brutalmente le unghie nelle dita forti di lui.

-Stai scherzando, vero?-

-Perché dovrei scherzare? E' mia sorella! Voglio conoscerla; desidero che questa angoscia nei tuoi occhi scompaia, mamma.- disse lei accarezzandole con delicatezza una guancia; la donna digrignò i denti allontanandosi di scatto da lui. Il terrore affondò le unghie nel suo petto strappandole il cuore in tanti brandelli minuscoli; l'idea di lasciar andar via anche suo figlio era semplicemente inconcepibile.

-No, Len. Ci deve essere un altro modo, non sai neanche dove lei si trovi! Come pensi di trovarla?- pigolò la donna cercando di trattenere la speranza che già serpeggiava nel suo petto spezzato.

Il ragazzo abbassò lo sguardo sul ciondolo che dondolava appena contro al suo sterno fasciato dalla camicia impregnata di sudore.

-La troverò con questo. Questo ciondolo mi indicherà la strada.-

-Non puoi farlo, Len.-

-Invece lo farò, mamma. Seguirò l'eco della sua voce e la riporterò a casa.- mormorò il giovane chiudendo gli occhi; Rin volteggiò su sé stessa facendo frusciare il suo lungo vestito bianco rubando dal petto del fratello tanti piccoli frammenti d'anima.

-Mi abbandonerai anche tu?- chiese con fievole voce la donna abbracciando di slancio il ragazzo che, stupito, ricambiò con affetto infinito la stretta tremula della donna.

-Tornerò. Questa è una promessa.- mormorò lui baciando la sua guancia.

 

Il giorno successivo Len partì con il favore dell'alba; le strade erano insolitamente silenziose per la popolosa cittadina di Yué. Le sfumature calde del sole disegnavano sulle scanalature delle pietre tanti magnifici e delicati giochi di luce. Haruka, in lacrime, rimase sulla porta ad osservare suo figlio allontanarsi progressivamente lungo i tortuosi vicoli lastricati. La donna premette il fazzoletto contro alle labbra soffocando un singhiozzo mentre le lacrime incidevano ancora le sue guance pallide.

-Len, ricorda la tua promessa. Torna.. e porta con te tua sorella. Ti prego.- sussurrò rivolgendo in una preghiera gli occhi verso il cielo.
Len non impiegò molto per uscire dalle mura scarsamente protette della cittadina; le guardie che teoricamente avrebbero dovuto presidiare l'ingresso e l'uscita dei cittadini, stavano tranquillamente dormendo appoggiate al muro di cinta.

Le celate degli elmi erano abbassate a schermare i fastidiosi raggi solari.

Len storse infastidito la bocca senza però far troppo rumore; per quanto quei soldati fossero degli incapaci, non sarebbe stato facile spiegar loro il perché di quella sua improvvisa voglia di esplorare il mondo. La strada serpeggiava su per la collina per poi insinuarsi sotto ad una cappa frondosa di alberi altissimi; quando Len finalmente si ritrovò al riparo dell'ombra confortante rilasciò il fiato che aveva fino a quel momento aveva trattenuto. Si voltò verso la confortante città che fino a quel momento gli aveva permesso di vivere nella pace più totale; un flusso di indecisione gli impastò la bocca quando i suoi occhi si soffermarono sul tetto color melograno in cui Haruka sicuramente stava piangendo.

-Addio, mamma.- bisbigliò nel vento prima di voltare le spalle alla muraglia.

Len camminò a lungo seguendo la serpeggiante linea del percorso, le sue iridi azzurre erano puntate di fronte a lui, verso quell'obbiettivo dal magico sorriso che gli aveva crepato il cuore.

Tutto ciò che aveva era quel freddo ciondolo che rimbalzava in modo incoraggiante contro al suo sterno, ricordandogli che quella figura che stava inseguendo esisteva davvero, nascosta chissà dove in quel grande mondo che mai aveva pensato di esplorare.

Len camminò per giorni e giorni senza mai fermarsi; i suoi stivali si ricoprirono di graffi, i suoi vestiti si riempirono di polvere e sporco ma malgrado ciò il ragazzo continuò imperterrito, ignorando la stanchezza, trascurando persino il dolore infernale che gli stava dilaniando i piedi. Quando il tramonto del quinto giorno lambì le sommità degli alberi colorandone le foglie, Len giunse finalmente in vista della capitale. Il ciondolo l'aveva per giorni spinto a seguire quella via ed adesso lo sentiva bruciare contro alla canottiera che gli fasciava il busto.

La città si distendeva in un immensa accozzaglia di case, edifici amministrativi su una morbida collina coperta di fertile vegetazione. Le mura che contornavano il borgo si stendevano a perdita d'occhio sia a Est che a Ovest inglobando al loro interno i vari quartieri, dal più basso e malfamato sino ad arrivare all'aureo castello che torreggiava nella sua splendida incoronazione di intarsi d'oro.

Il ciondolo pulsò ancora portando alle orecchie di Len l'eco di una lontana risata.

-Ti troverò. A qualsiasi costo.- ringhiò con determinazione prima di addentrarsi allo scoperto, verso quella fitta trama di inganni e tranelli che vibravano invisibili negli scuri viottoli. 

 La chiave musicale scintillò al centro del piccolo tavolo della cucina. Il metallo curvilineo sembrava chiamare con voce seducente il ragazzo, seduto a qualche centimetro di distanza. Haruka fissava in silenzio il motivo della tovaglia bucata da quella che pareva un'eternità; i capelli corti della donna coprivano parzialmente il suo viso arrossato e gonfio dal pianto.

L'inizio del viaggio ~ Chapter III 


La chiave musicale scintillò al centro del piccolo tavolo della cucina. Il metallo curvilineo sembrava chiamare con voce seducente il ragazzo, seduto a qualche centimetro di distanza. Haruka fissava in silenzio il motivo della tovaglia bucata da quella che pareva un'eternità; i capelli corti della donna coprivano parzialmente il suo viso arrossato e gonfio dal pianto.

Len si alzò di scatto, quasi rovesciando la sedia sulla quale era seduto. Sua madre, in compenso, non mosse un muscolo, limitandosi a tirar su con in naso.

-Io...- la voce di Len si affievolì tanto da svanire nell'eco stessa del suo respiro affannato; il cuore gli martellava così forte in petto da coprire pressoché ogni rumore.

-Ho una sorella..E' sconvolgente! Ma perché non me l'hai detto prima? Sedici anni passati nella convinzione d'essere figlio unico!-. Un fiotto di rabbia accese le iridi del ragazzo che, nell'irruenza, afferrò con poca delicatezza la spalla di Haruka; lei si alzò di scatto colpendolo al petto per allontanarlo da sé. Gli occhi azzurri della giovane madre si erano tramutati in un abissale oceano di sofferenza, una lacrima solitaria le baciò il viso ma lei non vi badò.

-Perché!? Credi forse che come madre possa rievocare un evento tanto terribile con facilità?- la voce solitamente pacata di Haruka si alzò di due ottave quando nel suo petto l'ira si destò travolgente come il soffio di un uragano.

Len abbassò il capo premendosi i palmi delle mani sugli occhi; arretrò finché la sedia non lo fece inciampare. -Una sorella.. e dimmi, come si chiama?-

-Rin.- rispose la donna asciugandosi con un lembo della camicetta il piccolo rivolo umido che ancora esitava sulla curva dolce della mascella. La chiave musicale ammiccò quando il sole ne accarezzò i delicati intarsi; il giovane la fissò, indeciso sul da farsi. Da una parte il suo cuore bramava di scoprire quale strana magia si celasse dietro quel piccolo ciondolo; dall'altra, la paura gli teneva incatenati i polsi.

Dietro quel pezzo di metallo, a detta di sua madre, si nascondevano i sentimenti della misteriosa sorella gemella che mai aveva conosciuto; se avesse semplicemente ignorato la faccenda, probabilmente sarebbe stato tutto più semplice. La sua normale vita d'adolescente sarebbe tornata intatta come lo era stata fino a quello sfiancante pomeriggio di lavoro.

-Indosserò il ciondolo.- disse d'un tratto allungando le mani verso il cordino di cuoio.

Per quanto azzardata potesse sembrare quella decisione, Len sapeva che dopo una rivelazione del genere, i pezzi della sua quotidianità non sarebbero più tornati alla loro forma originale. Essere consapevole del fatto che sua sorella era lì fuori, chissà dove, l'avrebbe torturato per tutta la vita. Le iridi di Haruka ebbero un guizzo quando il cordino scivolò attorno al collo del ragazzo, il pendente picchiettò un paio di volte contro al suo sterno prima di arrestarsi. La donna fece un tremolante passo avanti.

-Allora? Senti niente?- chiese con voce grondante di aspettativa.

Len corrugò le sopracciglia turbato.

-Io non sent..-. Il suo petto venne scosso da uno spasmo, la sua gola si chiuse mentre i contorni della stanza si sfocavano. Il canto bellissimo di una giovane donna si diffuse malinconico nelle sue orecchie; i suoi occhi si spalancarono in una grotta dalle rocce frastagliate.

Len non conosceva quel luogo, ma il bagliore bluastro che pulsava su quei bordi taglienti lo spaventava; l'aria fredda gli morse le carni facendolo rabbrividire. Improvvisamente, il canto divenne più intenso, dolce come la carezza di una madre sul viso; una ragazza dai corti capelli dorati comparve al centro della grotta.

C'era qualcosa di triste nella posizione delle sue spalle, avvolte in un sottile vestito candido come la prima neve invernale. La giovane chinò il capo osservando il ciondolo che le pendeva sul petto, qualche attimo dopo le dita affusolate lo raccolsero con infinita delicatezza.

Era la copia gemella della chiave musicale che pendeva dal collo di Len.

Un rumore stridente invase la caverna sopprimendo il gentile canto della ragazza che, voltandosi di scatto, sorrise tristemente drappeggiandosi il velo bianco sulle spalle nude.

La sua voce si alzò mentre i suoi piedi intessevano sulle dure rocce la più determinata ed aggraziata delle danze.

Len boccheggiò in cerca d'aria, i suoi occhi spalancati misero nuovamente a fuoco la familiare stanza della cucina in cui aveva passato tanti bei momenti. Haruka era chinata su di lui, il suo viso aveva perso ogni singola traccia di colore; lo scosse per una spalla chiamandolo ossessivamente. Il ragazzo si mosse indebolito prima di premere una mano contro alle tempie pulsanti, il sorriso sconsolato della fanciulla trapassò in un bruciante lampo la sua mente.

-Len, tesoro?-

Il ragazzo alzò il viso verso la madre che, in ginocchio, gli prese delicatamente il viso tra le mani, quasi avesse paura di fargli male.

-Che cosa c'è?-

-Perché stai piangendo?- chiese lei cancellando con il pollice una stilla che si era silenziosamente depositata sul suo zigomo.

Len si toccò il viso trovandolo inspiegabilmente umido di lacrime che non si ricordava d'aver versato. Haruka stava singhiozzando; negli occhi del figlio riuscì a miracolosamente a vedere il sorriso luminoso della sua bambina.

-Hai visto tua sorella? Hai visto Rin? Ti prego, rispondimi.- bisbigliò la donna premendo la fronte contro quella del figlio ancora disorientato dalle frammentate visioni.

-Sì l'ho vista.- riuscì ad articolare dopo qualche minuto di silenzio; quella ragazza non poteva che essere la sua gemella, nessuno sarebbe potuto assomigliargli più di lei.

Un fiotto di rabbia bruciante gli incise il cuore mentre la tristezza che aveva sentito vibrare nella voce della fanciulla si riversava sulle sue spalle, pesante come l'intero universo.

Era così strano star male per un sorriso che mai si è veramente conosciuto.

-Mamma; mia sorella.. era triste, afflitta per una ragione che non arrivo a comprendere.- mormorò il ragazzo alzandosi lentamente per aiutare anche la donna a risollevarsi dalla accucciata posizione in cui si era gettata per soccorrerlo. Le labbra della donna tremarono, ma prima che lei potesse aggiungere una sola parola, Len le afferrò le mani stringendole tanto forte da farle male.

-Andrò a riprenderla, madre.-

Haruka sgranò gli occhi, affondando brutalmente le unghie nelle dita forti di lui.

-Stai scherzando, vero?-

-Perché dovrei scherzare? E' mia sorella! Voglio conoscerla; desidero che questa angoscia nei tuoi occhi scompaia, mamma.- disse lei accarezzandole con delicatezza una guancia; la donna digrignò i denti allontanandosi di scatto da lui. Il terrore affondò le unghie nel suo petto strappandole il cuore in tanti brandelli minuscoli; l'idea di lasciar andar via anche suo figlio era semplicemente inconcepibile.

-No, Len. Ci deve essere un altro modo, non sai neanche dove lei si trovi! Come pensi di trovarla?- pigolò la donna cercando di trattenere la speranza che già serpeggiava nel suo petto spezzato.

Il ragazzo abbassò lo sguardo sul ciondolo che dondolava appena contro al suo sterno fasciato dalla camicia impregnata di sudore.

-La troverò con questo. Questo ciondolo mi indicherà la strada.-

-Non puoi farlo, Len.-

-Invece lo farò, mamma. Seguirò l'eco della sua voce e la riporterò a casa.- mormorò il giovane chiudendo gli occhi; Rin volteggiò su sé stessa facendo frusciare il suo lungo vestito bianco rubando dal petto del fratello tanti piccoli frammenti d'anima.

-Mi abbandonerai anche tu?- chiese con fievole voce la donna abbracciando di slancio il ragazzo che, stupito, ricambiò con affetto infinito la stretta tremula della donna.

-Tornerò. Questa è una promessa.- mormorò lui baciando la sua guancia.


Il giorno successivo Len partì con il favore dell'alba; le strade erano insolitamente silenziose per la popolosa cittadina di Yué. Le sfumature calde del sole disegnavano sulle scanalature delle pietre tanti magnifici e delicati giochi di luce. Haruka, in lacrime, rimase sulla porta ad osservare suo figlio allontanarsi progressivamente lungo i tortuosi vicoli lastricati. La donna premette il fazzoletto contro alle labbra soffocando un singhiozzo mentre le lacrime incidevano ancora le sue guance pallide.

-Len, ricorda la tua promessa. Torna.. e porta con te tua sorella. Ti prego.- sussurrò rivolgendo in una preghiera gli occhi verso il cielo.
Len non impiegò molto per uscire dalle mura scarsamente protette della cittadina; le guardie che teoricamente avrebbero dovuto presidiare l'ingresso e l'uscita dei cittadini, stavano tranquillamente dormendo appoggiate al muro di cinta.

Le celate degli elmi erano abbassate a schermare i fastidiosi raggi solari.

Len storse infastidito la bocca senza però far troppo rumore; per quanto quei soldati fossero degli incapaci, non sarebbe stato facile spiegar loro il perché di quella sua improvvisa voglia di esplorare il mondo. La strada serpeggiava su per la collina per poi insinuarsi sotto ad una cappa frondosa di alberi altissimi; quando Len finalmente si ritrovò al riparo dell'ombra confortante rilasciò il fiato che aveva fino a quel momento aveva trattenuto. Si voltò verso la confortante città che fino a quel momento gli aveva permesso di vivere nella pace più totale; un flusso di indecisione gli impastò la bocca quando i suoi occhi si soffermarono sul tetto color melograno in cui Haruka sicuramente stava piangendo.

-Addio, mamma.- bisbigliò nel vento prima di voltare le spalle alla muraglia.

Len camminò a lungo seguendo la serpeggiante linea del percorso, le sue iridi azzurre erano puntate di fronte a lui, verso quell'obbiettivo dal magico sorriso che gli aveva crepato il cuore.

Tutto ciò che aveva era quel freddo ciondolo che rimbalzava in modo incoraggiante contro al suo sterno, ricordandogli che quella figura che stava inseguendo esisteva davvero, nascosta chissà dove in quel grande mondo che mai aveva pensato di esplorare.

Len camminò per giorni e giorni senza mai fermarsi; i suoi stivali si ricoprirono di graffi, i suoi vestiti si riempirono di polvere e sporco ma malgrado ciò il ragazzo continuò imperterrito, ignorando la stanchezza, trascurando persino il dolore infernale che gli stava dilaniando i piedi. Quando il tramonto del quinto giorno lambì le sommità degli alberi colorandone le foglie, Len giunse finalmente in vista della capitale. Il ciondolo l'aveva per giorni spinto a seguire quella via ed adesso lo sentiva bruciare contro alla canottiera che gli fasciava il busto.

La città si distendeva in un immensa accozzaglia di case, edifici amministrativi su una morbida collina coperta di fertile vegetazione. Le mura che contornavano il borgo si stendevano a perdita d'occhio sia a Est che a Ovest inglobando al loro interno i vari quartieri, dal più basso e malfamato sino ad arrivare all'aureo castello che torreggiava nella sua splendida incoronazione di intarsi d'oro.

Il ciondolo pulsò ancora portando alle orecchie di Len l'eco di una lontana risata.

 

-Ti troverò. A qualsiasi costo.- ringhiò con determinazione prima di addentrarsi allo scoperto, verso quella fitta trama di inganni e tranelli che vibravano invisibili negli scuri viottoli. 

 

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Capitolo 4
*** Kaito, dalle terre dell'Est. ***


Kaito, delle terre dell'Est. ~ Chapter IV

 

Entrare in città non fu poi così difficile come Len si era immaginato.

Mano a mano che il ragazzo si avvicinava, le mura granitiche diventavano sempre più grandi. Allo stesso tempo, cresceva esponenzialmente la massa di gente che attendeva di poter accedere alla Capitale.

Il ragazzo frugò tra i visi lì raggruppati alla ricerca di qualche occasione per insidiarsi clandestinamente in uno di quei convogli di grassi mercanti di stoffe.

Len scrutò a lungo la folla perdendo, ogni minuto che passava, un briciolo di speranza in più; tutti i commercianti avevano almeno due paia di valide braccia che sollevavano e spostavano merce al minimo ordine del loro padrone. Alla fine però, con suo enorme sollievo, notò al margine della strada un vecchio schiavo dall'aria lacera che stava cercando di sollevare un pesantissimo sacco di patate; i suoi padroni erano poco più avanti pronti a mostrare la necessaria documentazione alle annoiate guardie in cotta di maglia. Len nascose con attenzione l'elsa della vecchia spada che sua madre gli aveva affidato prima di partire; un tempo quella stessa lama era stata brandita da suo padre.

-Serve una mano?- chiese con gentilezza appoggiando una mano sulla spalla livida del vecchio che, alzando gli occhi cisposi, lo squadrò da capo a piedi con furbizia.

-Perché no...Prendi questo.- disse battendo il palmo della mano contro al sacco di tuberi che aspettava alla sua destra; Len fece pressione sulle ginocchia sentendo i muscoli delle braccia tendersi allo spasimo. Il vecchio schiavo trotterellò avanti, beandosi di quel minuscolo lampo di libertà; nella sua mano sinistra ondeggiava un sacchetto pieno di erbe aromatiche, a considerare dalla fievole scia che questo lasciava al suo passaggio. Una volta superato il grande arco di confine, Len appoggiò di peso il sacco a terra cancellandosi una goccia di sudore con il dorso della mano.

-Grazie per l'aiuto, buon uomo.- disse il ragazzo prendendo dalla tasca posteriore dei pantaloni da viaggio una consunta moneta di rame. Lo schiavo gliela strappò letteralmente dalle mani osservando con occhio bramoso la piccola monetina prima morderla per saggiarne la qualità.

-E' un piacere fare affari con giovani così volenterosi.- lo salutò esibendosi in un sorrido viscido come il dorso di un serpente.

Len non aveva mai incontrato tanta gente pressata insieme, né aveva mai visto tante strade serpeggiare ed intrecciarsi tra le case. Rumori, odori, visi e movimenti si scagliarono contro ai sensi del giovane lasciandolo per un attimo stordito ed attonito contro ad un muro coperto di muschio verdastro. Camminando su per la strada che conduceva al ricco quartiere del mercato, il ragazzo si ritrovò a schivare monelli coperti di fango, donne che fumavano foglie di nicotina nere mettendo in mostra sorrisi famelici e carretti dalle ruote storte. I suoi piedi finirono in una pozza maleodorante di acqua stagnante quando un uomo irsuto come un orso lo colpì per passare, ondeggiando la sua prominente pancia coperta di pustole dal colorito preoccupante.

Len strinse l'elsa della spada sotto alla cappa scura che gli avvolgeva le spalle; il nervosismo lo stava divorando ma, con un paio di profondi respiri, si impose la calma.

Le guardie della città marciavano regolarmente in nutriti gruppetti per quelle strade malfamate; le loro mani fasciate da guanti bianchi erano appoggiate sulle impugnature delle fruste o delle lame di acciaio.
Il cambio di quartiere fu più lento del previsto; malgrado stesse continuando a salire da almeno un quarto d'ora, le case erano ancora ammassi maldisposti di assi di legno.

Una donna gli passò accanto trascinandosi alle spalle un paio di ragazzini tanto magri da sembrare piccoli scheletri camminanti; Len inorridì premendosi una mano sulla bocca.

Gli occhi del ragazzo si rivolsero verso al torreggiante palazzo che dominava sui due quartieri sottostanti; l'oro delle decorazioni sfavillò come se tra i mattoni vi fossero incastonati frammenti di stelle.

Come poteva una parte della città essere così povera da non permettere ai suoi cittadini di nutrirsi adeguatamente quando il palazzo reale era ricoperto da vere e proprie schegge di ricchezza?

Il ciondolo prese a fiammeggiare contro al suo stomaco costringendolo ad abbassare lo sguardo; di fronte a lui a pochi metri di distanza, stavano camminando tre militari affiancati.

Le loro armature tintinnavano ad ogni loro passo assieme ai finimenti delle lunghe spade da combattimento che portavano al fianco; sul petto, inciso in sfumature ametista e argento, spiccava in tutta la sua gloria lo stemma della Casata regnante.

Una vertigine gli chiuse lo stomaco mentre, schegge del passato tornavano a tormentare la sua mente con singolare intensità. Il ragazzo barcollò all'indietro sbattendo bruscamente contro al muro; gemendo scivolò verso il basso per poi prendersi il viso tra le mani tramanti.

Il passato fluì di fronte ai suoi occhi dilatati conducendolo indietro, verso un momento della sua vita che mai si sarebbe potuto ricordare. Un soldato prelevò da un piccolo lettino sfatto una bambina in lacrime; sul suo petto Len riuscì chiaramente a distinguere il medesimo blasone che ornava le armature di quei soldati: un serpente dalle scaglie rosa che si avvolgeva protettivo attorno ad un aureo scettro d'ossidiana.

Quegli uomini ed il potere che rappresentavano avevano portato via sua sorella; erano stati loro a ridurre in cenere la vita di sua madre. Il ragazzo strinse con tanta forza il pugno che le unghie incisero la carne facendo sbocciare stille di sangue.

Per quanto gli risultasse inconcepibile, al centro di quel misterioso rapimento doveva necessariamente esserci la Casa Reale.

Un conato di vomito rivoltò lo stomaco del ragazzo quando la visione si dissipò, lasciandolo tremante in quell'angolo che puzzava di urina. I soldati risero dandosi il gomito quando videro in che condizione pietosa versava; Len si asciugò le labbra con il dorso della mano fulminando alle spalle i tre militari.

Silenzioso come mai era stato nel corso della sua breve esistenza, il ragazzo prese a pedinarli mantenendosi cautamente a debita distanza.

Ogni qual volta i tre si fermavano per farsi una risata o apprezzare con un fischio gli scollati abiti di una donna, Len si acquattava nell'ombra in attesa che quegli sciocchi riprendessero la loro marcia.
Il giovane sapeva benissimo che per scoprire qualcosa di significativo riguardo sua sorella avrebbe dovuto avventurarsi tra le mura vigilate del palazzo reale.
Non aveva un piano, ma seguire i soldati gli avrebbe permesso di raggiungere più velocemente il quartiere dei ricchi mercanti.

I militari, dopo neanche dieci minuti di cammino, lo condussero dritto dritto verso la piazza principale della Capitale, proprio come lui aveva sperato. Len era così assorbito dal pedinamento che neanche si accorse del rapido cambiamento delle strutture che lo circondavano; i colori del quartiere borghese erano decisamente più vivaci ed esplodevano in un tripudio di sfumature sui muri eleganti delle dimore dei più ricchi. La fragranza del pane fresco e dei fiori appena raccolti si sostituì all'orrido lezzo del cibo marcio e dell'urina di gatto; le voci arrochite dal fumo si tramutarono nell'allegra cacofonia dei mercanti e degli strilloni che sventolavano le pagine del giornale appena stampato.

Len perse di vista i tre uomini ed in quel momento la piazza centrale lo divorò, lasciandolo sconvolto a vagare in un mare di donne dell'alta-medio borghesia vestite di satin, galanti gentiluomini dalla barba curata e mercanti dalla prominente pancia flaccida. Il ragazzo si guardò intorno febbrilmente senza però trovare traccia dei tre che fino a quel momento aveva seguito.

Len imprecò a mezza voce passandosi una mano nei capelli folti prima di soffermarsi ad osservare con più attenzione l'imponenza della struttura a cielo aperto in cui era finalmente giunto.

A pochi metri di distanza da lui, al centro del piazzale lastricato di delicate mattonelle di mosaico, svettava la statua di un drago dalle fauci spalancate.

Il granito nero di cui era composta sfavillava ogni qual volta un raggio di sole si posava sulle scaglie splendidamente definite della bestia.

Il giovane si mosse a disagio quando gli occhi vuoti della statua sembrarono appuntarsi sulla sua pelle.

L'artista che aveva catturato nella pietra quell'imperiosa posizione di battaglia doveva essere stato pagato fior di quattrini dallo stato commissionante; la creatura era accucciata su un globo straziato dai suo lunghi artigli, il collo forte si sollevava verso l'alto per lanciare contro il cielo un ruggito di sfida.

Le ali fibrose, spalancate sulla schiena coperta di spine ricurve, proiettavano sulla piazza una lunga e minacciosa ombra dai bordi frastagliati. I bambini correvano in tutta tranquillità sotto a quell'oscura penombra eppure il ragazzo non vi si avvicinò, sentendo lo stomaco contrarsi per il nervosismo.

Len si girò di scatto per distogliere l'attenzione dal luttuoso riverbero, ma nel farlo andò sbadatamente a sbattere contro il petto di un uomo che tranquillamente passeggiava assieme alla sua lady.

Il gentiluomo lo fissò con palese disgusto mentre con il piatto della mano puliva il prezioso tessuto del doppiopetto.

-Credo che tu debba prestare più attenzione a dove metti i piedi, popolano.- insinuò storcendo le labbra arroganti mentre la donna al suo fianco ridacchiava, portandosi il ricamato ventaglio davanti alle labbra.

Len strinse tanto i denti che lo smalto scricchiolò minacciosamente; fece un mezzo passo avanti deciso a rispondergli per le rime, ma una mano si chiuse inflessibile attorno alla sua spalla tirandolo in disparte.

-Sono davvero mortificato. Il mio amico non avrebbe dovuto tediare voi nobili signori. È un tale sbadato.- commentò una voce sorridente alle sue spalle mentre il lord si aggiustava la giacca soddisfatto, allontanandosi a testa alta con quell'oca della moglie.

Quando furono abbastanza lontani da non essere a portata d'orecchio, l'uomo abbandonò la presa.

-Nessuno ti ha insegnato che non bisogna contraddire questi signorotti con la puzza sotto il naso, ragazzo?-.

Len si allontanò ringhiando come un animale braccato mentre l'individuo sollevò le mani in segno di resa silenziosa.

-Non avere paura, non sono qui per farti del male.- sorrise amabilmente quasi come se quel semplice gesto avesse potuto calmare i nervi tesi del giovane dai capelli dorati.

Lo sconosciuto era più alto di Len di almeno sei o sette centimetri, il viso era misteriosamente coperto per metà da una maschera bianca, intarsiata qui e là di sfumature d'oro.

Il corpo slanciato dell'uomo era avvolto da un fitto intreccio di morbidi drappeggi color oceano e cielo; al suo collo pendeva un importante, singolare collana fatta di rame smaltato.

Per quanto i suoi viaggi fossero stati ristretti e brevi, Len avrebbe riconosciuto quello stemma ovunque.

-Sei un mago?- chiese stupito sgranando gli occhi mentre tra le dita dell'uomo serpeggiava una piccola scia di faville.

-Sono stupito di vedere che qualcuno non ci etichetta solo come semplici girovaghi di strada.- disse l'uomo prima di esibirsi in un reverente inchino degno di un re. Len distolse lo sguardo a disagio, grattandosi distrattamente la nuca in ricerca delle parole necessarie che l'avrebbero tolto da quell'impiccio imbarazzante.

-Piantala, ci stanno guardando tutti.- borbottò alla fine colpendo appena alla spalla l'individuo ancora prostrato; il Mago si sollevò scostandosi con un gesto della mano i capelli dall'unico occhio scoperto.

-Bene, mio giovane amico, non conosco ancora il tuo nome.-

-Vale lo stesso per me.- ribatté il ragazzo mantenendosi sulla difensiva mentre lo sconosciuto ridacchiava facendo così tintinnare il pendente che gli ondeggiava al collo.

-Sei scaltro, ragazzo.- commentò ancora il mago prima di afferrare il polso di Len per trascinarlo via, lontano dalla statua e da tutta quelle orecchie in attesa di ricevere un gustoso pettegolezzo da spolpare.

-Ma si può sapere che cosa vuoi da me?- chiesi d'un tratto il giovane sottraendosi alla presa ferrea del Mago che, arrestò bruscamente la sua fuga per voltarsi di nuovo verso Len.

-Semplice: voglio aiutarti.-

-Che cosa?!- un tripudio di emozioni confuse si mescolarono tutte assieme nel petto del ragazzo.

Quello stregone credeva davvero che lui si sarebbe fidato? Era forse pazzo?

-Ho visto come guardavi quelle guardie.. Forse potrei aiutarti a portare a compimento il tuo piano suicida.- sussurrò l'uomo scoprendo i denti; Len arretrò di un altro passo spostando le dita sull'elsa della spada che, sapientemente, aveva tenuto nascosta sino a quel momento sotto al drappo del suo mantello bordato di pelliccia.

-Vuoi davvero fare una cosa così sciocca?- chiese il mago rivolgendo un'occhiata annoiata e delusa alle dita contratte sul fianco, lì dove la fedele impugnatura pazientava.

Len rimase senza fiato ma malgrado ciò non arretrò, digrignando i denti.

-Non mi fido di te.-

-Non so dirti se la tua scelta sia giusta o sbagliata; ma ascoltami prima di mettere mano all'acciaio, ragazzo. Se desideri uccidermi sarò costretto a prendere provvedimenti poco piacevoli, sia per me che per te.- la sua voce si abbassò, caricandosi di una minaccia gelida come il ferro.

Len deglutì a vuoto ma abbandonò l'idea di fronteggiare in uno scontro aperto quel mago interamente vestito di seta blu.

-Così va meglio.- approvò lui battendo allegramente le mani prima di afferrare il lembo del cappuccio che fino a quell'istante gli aveva fasciato la testa. I capelli blu scivolarono arruffati sulle sue orecchie, lunghi pressoché fino alle spalle.

Successivamente, l'uomo si tolse di dosso anche la maschera che copriva metà del suo viso, rivelando così un elegante tatuaggio che si contornava la parte esterna dell'occhio sinistro.

-Io sono Kaito, Stregone nato nelle lontane terre dell'Est dove l'antico respiro della magia ancora scorre nel sangue delle genti.-

Il mago gli tese una mano con un sorriso bendisposto, all'apparenza del tutto innocente.

-E' un piacere conoscerti, ragazzo.-

Len prese un bel respiro ed afferrò le dita dell'altro con fare grintoso. Non sapeva cosa quel tale avesse da digli; ma se davvero poteva aiutarlo nel suo intento, non si sarebbe mai tirato indietro dall'accettare un suo servizio, qualunque fosse stato il costo da pagare.

La vita è fatta di rischi.” .

-Mi chiamo Len e sono alla ricerca di mia sorella.-

Il Mago sorrise ed il ragazzo si augurò silenziosamente di non aver appena commesso il più grande errore della sua vita.

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Capitolo 5
*** L'inganno che si cela dietro un sorriso. ***


L'inganno che si cela dietro un sorriso ~ Chapter V

 

-Fammi capire bene.- la voce del mago si affievolì, coperta dalle riecheggianti risate delle persone che sedevano nell'osteria in cui si erano rifugiati per parlare in pace. Kaito teneva le mani chiuse attorno ad un boccale colmo di densa birra ambrata; la schiuma era ormai colata lungo tutto il bicchiere, disegnandovi scie umide ed appiccicose. Len si era accontentato di un semplice idromele, molto meno alcolico e pesante rispetto alla bevanda artigianale che aveva scelto l'uomo.

-Hanno rapito tua sorella quando era una bambina e tu hai scoperto della sua esistenza solo da qualche giorno.- Le dita del mago disegnavano tanti piccoli cerchi sul piano del tavolo, macchiato da anni ed anni di passaggi di bicchieri e boccali umidi.

Il giovane sbuffò infastidito quel costante movimento, immergendo il proprio sguardo nelle sfumature ocra della sua bevanda.
-Sì.- bisbigliò il ragazzo sentendo la presa della fretta e dell'ansia stringergli le viscere.
-Non sei proprio l'emblema del fratello modello, scusa se te lo dico.-.

L'uomo scoppfragorosamente a ridere quando lo sguardo furibondo del suo interlocutore gli si appuntò addosso.

-Sto scherzando, non prendertela.- si discolpò Kaito prendendo un lungo e rumoroso sorso di birra.

Len corrugò le sopracciglia, preoccupato.

Analizzando il rossore diffuso sulle gote dell'uomo, il ragazzo era sempre più convinto del fatto che il suo compagno fosse ormai ubriaco e, di conseguenza, di scarsa utilità.
-Ascoltami bene, scherza un'altra volta su questa storia e giuro che ti farò pentire d'essere nato.- ringhiò sbattendo un pugno contro al tavolo; l'idromele fuoriuscì, tracciando il vetro di piccole lacrime ambrate. Un uomo ubriaco passò dietro alla sua sedia inciampando maldestramente nella gamba della sedia. Len traballò reggendo con una mano lo schienale mentre, in un grosso fracasso di sedie e tavoli rovesciati, l'uomo si accasciava a terra accompagnato dal coro di roche risate.

-Ma dove diamine mi hai portato?- abbaiò il ragazzo massaggiandosi con delicatezza la fronte pulsante. -Calma, ragazzo. Non risolveremo niente sbraitando come vecchiette. Rilassati.- disse Kaito appoggiandogli una mano sulla spalla con fare conciliante.

Len la colpi con decisione incrociando le braccia sul petto come se, improvvisamente, fosse tornato bambino.
-Facciamo il punto della situazione. Tua sorella è stata rapita e tu credi che la famiglia reale sia in qualche modo invischiata in questa brutta faccenda.- Kaito si accarezzò il mento allentando il drappo che gli avvolgeva le spalle ed il collo. Gli occhi azzurri del mago si erano congelati in un'espressione tanto seria da sbalordire lo sfiduciato ragazzo.
-Ti rendi conto da solo di quanto queste accuse siano infondate vero?- riprese imperterrito senza fare troppo caso allo stupore del suo interlocutore.

-Perché la corona dovrebbe interessarsi ad una..- il mago esitò sulla parola quasi avesse paura di pronunciarla.

Len sbuffò, facendo un gesto innervosito con la mano per svincolare l'uomo dal suo impaccio.

-popolana? Perlopiù infante? Len, mi dispiace dirtelo, ma credo che il tuo ciondolo ti abbia ingannato.- disse indicando con il pollice il cordino di cuoio che gravava sul suo collo, incidendogli la pelle.
-Impossibile.- rispose d'un fiato.
-Devi considerare questa possibilità, amico. Se entri nel palazzo reale senza essere invitato, rischi la decapitazione. Ne sei consapevole, vero?-

Le sue mani si erano arrestate; la birra sembrava non destare più il suo interesse. Len prese un bel respiro ravviandosi i capelli sudati all'indietro, i suoi occhi azzurri bruciavano di determinazione.
-La mia vita non ha più molta importanza ora che so che lei è da qualche parte, qui fuori.- un nodo alla gola rischiò di soffocarlo; si schiarì la voce alla ricerca del controllo necessario per continuare la frase. -Lei è sempre stata sola. Non ha mai conosciuto l'amore di nostra madre, né ha mai sentito la carezza della sua mano sulla guancia. La sua infanzia è stata distrutta ancor prima che cominciasse..-.

Kaito ascoltava in silenzio mentre il giovane si accendeva di rabbia, tristezza e volontà di salvare un sorriso che aveva visto solo in una labile visione.

Il mago non poté che provare rispetto per la strabiliante forza d'animo di quel ragazzo.

-Non credi sia giusto provare? A costo di rischiare la vita, io la riporterò indietro.. L'ho promesso.- bisbigliò piano, tanto che la sua ultima frase si perse nell'eco del tintinnio dei boccali e delle chiacchiere sconce che saturavano l'ambiente. Kaito finì d'un sorso la sua bibita ambrata per poi sbattere il fondo del bicchiere contro al tavolo.
-Mettiamola così, se io ti aiutassi ad entrare nel castello...-
-Ti darò qualsiasi cosa.- disse Len afferrandogli il polso, la speranza pulsava nel suo cuore con la stessa forza di un tamburo.
-Devo insegnarti tutto, ragazzo? Le parole vanno utilizzato con molta attenzione. Possono legarci, tagliarci e, a volte, persino distruggerci.- lo rimproverò schiudendo le dita forti del ragazzo, di modo che lui potesse muoversi di nuovo in totale libertà.
Len corrugò le sopracciglia senza appieno comprendere le parole enigmatiche del mago.
-Stavo dicendo: se ti aiutassi ad entrare a palazzo e a cercare informazioni su tua sorella, mi porterai con te?-
-Che intendi dire?-
-Voglio visitare il mondo, studiare l'alchimia che i vostri stregoni creano artificialmente qui nelle terre dell'Ovest. Ho sentito dire da uno dei miei maestri che la cittadella di Yué è fornita di una delle scuole più rinomate in tutto il mondo conosciuto!!-
Len si mordicchiò le labbra pensierosamente cercando di valutare bene le parole dello sconosciuto.

Il mago appoggiò il mento contro al palmo della mano arricciando le labbra in un espressione di pura e totale innocenza, la catena del suo ordine catturò una scintilla di luce che rimbalzò contro al vetro trasparente del bicchiere. Len era più o meno convinto del fatto che quell'uomo non potesse davvero desiderare così poco per un servizio pericoloso come quello che gli stava chiedendo.

Se fosse stato tutto un inganno? Se Kaito fosse stato in qualche modo legato con le guardie del castello? Lui non conosceva quel misterioso mago dal sorriso pericoloso, non sapeva cosa si celava nei suoi pensieri..
-Se pensi che ci sia un tranello, ti stai sbagliando. In alcuni casi la conoscenza è più importante di qualsiasi somma di denaro.- Kaito sollevò lo sguardo ed il ragazzo frugò tra quelle sfumature color oceano alla ricerca della benché minima traccia di bugia. Ovviamente però non trovò nulla di significativo, le iridi di quell'uomo erano accese solo dalla bruciante fiamma della curiosità.
-Okay. Cosa vuoi di preciso?-
-Un alloggio sicuro, cibo per il tempo che trascorrerò a Yué.- affermò l'uomo allungando le dita verso Len; il prezioso anello di acquamarina che brillava sul suo indice non sembrava attendere altro che suggellare quel patto.
-D'accordo, accetto.- disse d'un fiato stringendo la sua mano.

Un rapido lampo di luce azzurra baluginò tra le dita di Kaito, serpeggiando poi su quelle di Len. Il ragazzo tirò bruscamente indietro la mano, ma il serpente di luce non vi badò arrotolandosi attorno al polso del ragazzo. Un'impalpabile traccia incise il dorso delle sue dita, disegnandovi una complessa ragnatela di ghirigori rotondeggianti.

-Che cosa mi hai fatto?- chiese Len mentre, alzando la mano, la rimirava scioccato di fronte agli occhi.
-Un piccolo promemoria del nostro patto. Andrà via quando avrò ricevuto ciò che voglio. Se ciò non avverrà, rimarrai segnato ed io potrò trovarti in ogni singolo momento.-
-Sei più scaltro di una volpe, mago. Ma non c'era bisogno di questo guinzaglio, io mantengo le mie promesse.- Len alzò il mento con fierezza nascondendo quell'inquietante memorandum sotto al lungo guanto da viaggio. Kaito lasciò un paio di monete sul tavolo prima di fare un cenno d'intesa all'oste e uscire tanto discretamente come erano prima entrati, qualcuno li seguì brevemente con lo sguardo prima di tornare ad affogare i propri pensieri nelle bevande alcoliche a poco prezzo.

Quando i due uscirono, la luce del primo pomeriggio li abbagliò costringendoli a ripararsi gli occhi; Len corrugò le sopracciglia osservando la sfera bollente sospesa nel cielo. Un altro giorno stava volgendo al termine e le sue ricerche erano ancora sterili ed infruttuose; la frustrazione gli morse la pelle ma cercò di mantenere il proprio autocontrollo.

Accelerare le cose sarebbe stata una sciocchezza, era assolutamente necessario pianificare tutto nei minimi dettagli prima di agire.

Non poteva rischiare di mandare in malora tutto lo sforzo che sino a quel momento aveva fatto, né tanto meno si poteva permettere di bruciare un'occasione d'oro come quella che quell'individuo gli stava offrendo.

-Spiegami cosa devo fare.- disse il ragazzo mentre il mago lo conduceva lungo un ripido viottolo contornato dalle rovine annerite di quelle che un tempo erano state case popolari.

-Intanto avviamoci verso il castello. Il resto verrà da sé, mio caro garzone.- esclamò l'uomo ridacchiando sommessamente prima di sollevare l'orlo morbido della sua lunga veste per superare una pozza di fango.

-Non dirmi che..- Len inorridì quando sentì il compagno ghignare ironicamente.

-Hai capito benissimo, mio piccolo servo.-

-Non crederai davvero che io mi metta al tuo servizio!-

Kaito alzò le sopracciglia appoggiando le mani contro ai fianchi fasciati da un'esile cintura di cuoio intrecciato.

-Presumo sia così, mi dispiace deluderti.-

Len stava per replicare furiosamente ma il mago sgranò gli occhi lanciandosi verso di lui; la sua mano si chiuse attorno al suo polso strattonandolo in basso mentre un lungo stiletto appariva nella mano destra dell'uomo. Len rotolò a terra sbattendo dolorosamente le ginocchia contro al pavimento lastricato di pietre scivolose; veloce come il vento, tornò in piedi per aiutare il mago nel confronto.

Kaito socchiuse gli occhi mentre il bandito bestemmiava sputando un grumo di catarro contro al muro vicino.

-Bei riflessi.-

-Devo forse ringraziarti, buon uomo?- chiese di rimando flettendo appena le ginocchia per meglio stabilizzarsi in posizione d'attacco. L'energumeno scoprì i denti rivelando così una serie di monconi storti ed scuriti dal fumo e dalla continua assunzione di alcool a basso prezzo.

-Nessuno è mai sfuggito alla mia daga prima di te.- disse con macabra fierezza passando il piatto della lama contro alla lingua, coperta di una viscida patina verdastra.

-Potresti chiudere la bocca? Non è esattamente un bello spettacolo a cui assistere.-

Il bruto sputò ancora roteando a velocità fulminea la daga tra le dita esperte, solcate da cicatrici di vecchie punizioni e battaglie; l'anulare della mano sinistra non era che ridotto ad un moncone bitorzoluto.

-Ti consiglierei di toglierti dalla nostra strada. Sai, io ed il mio amico qui presente abbiamo una certa fretta.- disse ancora Kaito con ironica cordialità; il suo tono di voce era assolutamente privo di qualsiasi calura, le sue iridi erano gelide come le nevi perenni che incappucciavano la cima delle montagne.

-Datemi i vostri soldi e vi lascerò andare in pace.-

-Sei un pessimo bugiardo, te l'hanno mai detto?- chiese il mago in un sorriso mentre il vento mugghiava sopra di loro sollevando le vesti sporche e strappate del criminale.

Len mise mano all'elsa della spada ma Kaito lo bloccò con un gesto della mano.

-Lascia stare, ragazzo. Permettimi di dimostrarti che puoi fidarti di me e della mia magia.- L'uomo spalancò le braccia di scatto, i suoi vestiti presero ad ondeggiare assieme al ruggito crescente del vento.

Una pulsante luce azzurrognola avvolse la sua pelle.

-Ti sei messo contro l'uomo sbagliato, verme che non sei altro.- sibilò Kaito roteando lo stiletto tra le dita; Len guardò con reverenziale timore ed ammirazione la potenza strabiliante del suo nuovo compagno d'avventura.

Il vento turbinò ai suoi piedi prendendo la forma di una grossa, ringhiante pantera; la pelliccia d'aria ondeggiava mormorando luttuose parole incomprensibili.

L'energumeno, che prima si era dimostrato così spavaldo e sicuro di sé, arretrò di un passo spalancando terrorizzato la bocca guastata; il rozzo pugnale con cui aveva cercato di tagliare la gola di Len cadde a terra tintinnando sommessamente.

-Ma chi diavolo sei?- chiese arretrando ancora quando la bestia conquistò terreno, spostandosi in avanti senza neanche toccare il terreno.

Kaito sorrise.

Len non si sarebbe mai dimenticato la brutale ferocia che adornò il viso dell'uomo; in quel brevissimo istante, comprese quante cose si potessero celare dietro l'innocente curva di un paio di labbra.

La pantera avanzò ancora mettendo ben in mostra i lunghi canini ricurvi, apparentemente innocui perché fatti d'aria, ma in realtà affilati come la più letale delle armi.

L'uomo non ebbe neanche il tempo di urlare o chiedere pietà, l'animale balzò avanti ad una velocità inconcepibile; Kaito restò a guardare apatico la sua creatura che dilaniava senza clemenza le carni dell'energumeno, Len invece, dovette dare le spalle a quel macabro spettacolo.
Eppure, malgrado non avesse il diretto contatto visivo su ciò che stava accadendo, i rumori erano sufficienti per dipingere tutto in maniera più che realistica nella sua mente.

Vide sangue, carne lacerata e la vita che sempre più velocemente gocciolava via dagli occhi del tale, lasciandolo vuoto come un guscio di noce.

Quando fu tutto finito ed il lezzo del sangue fu tanto intenso da rivoltargli lo stomaco, Kaito appoggiò una mano sulla schiena del ragazzo, spingendolo a camminare per allontanarsi da lì.

Il suo viso era disteso, imperturbabile come l'acqua di un lago; sembrava quasi che quell'omicidio non l'avesse minimamente scosso.

-Ti senti bene?- chiese dopo qualche minuto di silenzio fermandosi al centro della ricca piazza dei mercanti; il piacevole rumore della vita riportò nel cuore del giovane un po' di conforto.

-Non proprio.- ammise premendo una mano sul suo povero, provato stomaco.

-Sono cose a cui prima o poi ci si abitua.-

Len si prese la testa tra le mani mordendosi le labbra. Sin da quando aveva messo il primo piede fuori dalla soglia materna, aveva saputo che quella sarebbe stata un'avventura violenta e pericolosa che inevitabilmente, l'avrebbe portato ad assistere a questi spettacoli.

Ciononostante, sentire il soffio mortifero della morte sulla pelle, non aveva fatto altro che incrementare la montagna di dubbi e paure che gravava sulla sua schiena.

-Lo stai facendo per tua sorella.- disse il mago appoggiandogli fraternamente una mano sulla spalla.

Len avrebbe voluto colpirlo, strillargli contro e piangere fino a che la paura non fosse scivolata via assieme alle lacrime.

Eppure, non fece niente di tutto questo; si limitò ad annuire erigendo attorno al proprio cuore una barriera di impenetrabili rocce.

-Sì, lo sto facendo per Rin.- ripeté ad alta voce infondendo in quelle parole la sicurezza che, disperatamente, sperava di trovare nel suo cuore.

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Capitolo 6
*** Lacrime inascoltate. ***


 

Lacrime inascoltate ~ Chapter VI

-Tutto quello che devi fare adesso è seguirmi. Non parlare, non rispondere se ti viene posta una domanda. Ma soprattutto, non allontanarti da me per nessuna ragione in questo universo.- disse Kaito a bassa voce mentre i due uomini si avvicinavano progressivamente ai grandi ed aurei cancelli. Quattro guardie montavano silenziosamente la guardia, due per ogni lato mentre un altro paio di colleghi sistemavano i noiosissimi documenti di entrata ed uscita degli inservienti lavoranti al castello.
-Non una parola, non una mossa azzardata. Stiamo entrando nella bocca del leone, ricordalo.- sussurrò febbrile a bassa voce prima di sistemarsi uno dei tanti drappi della veste attorno al collo. L’espressione seria che sino a quel momento aveva corrugato le sue sopracciglia svanì con la stessa rapidità con cui era giunta.
Un sorriso allegro e spensierato si dipinse sulle labbra del mago che nascose dietro ad una maschera di acciaio le tante emozioni che gli screziavano il cuore.
Len respirò cercando di incamerare al meglio l’ansia dilaniante che gli serrava la gola; più si avvicinavano ai cancelli più il suo cuore sembrava battere intensamente. Il rumore del sangue che rombava nelle sue orecchie aveva reso il mondo esterno una macchia confusa ed indistinta; non aveva mai provato un’emozione tanto forte in vita sua.
Un solo sbaglio e sarebbero morti. Entrambi.
I due erano pressoché giunti sotto alla cancellata quando i soldati si accorsero della loro presenza, abbandonando le chiacchiere con cui stavano allietando il loro noioso compito di sorveglianza.

Le picche scivolarono verso l'alto incrociandosi minacciosamente a bloccare il passaggio dei due uomini; Len sentì il cuore balzargli in petto ma esattamente come gli aveva comandato il compagno, non osò muoversi.

La sua spada cantava minacce, allacciata al suo fianco sotto alla cappa bordata di pelliccia. Kaito alzò le mani in segna di resa, esattamente come aveva fatto la prima volta che loro due si erano incontrati; il suo sorriso si addolcì ancora di più sfumandosi di una reverente viscidità.

-Chi siete? A questo luogo è solo possibile accedere sotto specifico invito della Regina.- disse il più anziano dei soldati; un uomo dalla folta barba nera, screziata qui e là da qualche filo bianco. Rughe profonde incisero la sua fronte quando le sopracciglia cespugliose si aggrottarono sospettose.

Kaito, in tutta risposta, frugò nelle ampie maniche della sua veste tirandone fuori, dopo un attimo, una lettera quadrata.

-Questo è l'invito della regina.- affermò consegnando l'oggetto nelle mani del soldato che, evidentemente stupito, osservò il sigillo di ceralacca che fermava i bordi di carta.

Il soldato lo ruppe senza farsi troppi scrupoli leggendo velocemente le poche righe che contrassegnavano il morbido foglio; Len riuscì a vedere le curve sinuose l'inchiostro in controluce.

-Potete passare.- disse l'uomo restituendo l'invito al proprietario prima di far cenno ad uno dei soldati nella casupola; in un complicato rumori di cardini ed ordini fruscianti, i battenti di legno si aprirono lentamente, cigolando sinistramente.

-All'interno vi attenderà un attendente; seguitelo e vi condurrà dalla regina. Buona permanenza.- salutò cordialmente il soldato facendo loro uno sbrigativo cenno con la testa fasciata dalla celata.

Kaito chinò a sua volta il capo prima di farsi avanti in silenzio attraverso la piccola fenditura. Len lo seguì cercando di sciogliere l'ansia che gli irrigidiva i movimenti; riusciva quasi a sentire l'insidia lambirgli la pelle e come se non bastasse, il ciondolo aveva preso a pulsare in modo atrocemente doloroso contro al suo stomaco. Len lo chiuse di scatto tra le dita ustionandosi la pelle; chiuse per un secondo le palpebre nella speranza di scorgere qualcosa di significativo nel passato ma, tutto quello che sfavillò nel buio fu l'inquietante serpente arrotolato attorno allo scettro d'ossidiana.

Quando aprì di nuovo gli occhi si ritrovò di fronte ad un giovane ed affascinante maggiordomo interamente vestito di nero.

-Se volete seguirmi.- disse con reverenziale cortesia portandosi una mano al cuore; i suoi occhi, scuri come la notte più profonda, si cucirono addosso ai due ospiti.

Len non aveva mai visto tanto lusso tutto insieme; i corridoi per cui passarono erano ingombri di qualsiasi tipologia di ricchezza potesse esistere al mondo.

Il pavimento di marmo lucido era adorno di un elegante tappeto rosso, le pareti erano addobbate con arazzi rappresentanti le azioni mitologiche degli eroi della nazione.

Orchi, giganti, cavalieri e draghi dalle fauci grondanti di fuoco sembravano quasi voler uscire dalle tele, sapientemente intessute dai più abili artigiani.

Vasi provenienti da ogni angolo del mondo abbellivano con le loro decorazioni d'oro e d'argento gli angoli di ogni singolo passaggio.

Len non aveva mai visto niente di più bello.

Dopo dieci minuti di silenziosa marcia, i due arrivarono finalmente in prossimità della grande sala del ricevimento reale; anche questa era sorvegliata da due soldati vestiti in cotta di maglia.

-Questi uomini sono qui sotto preciso ordine della regina.- annunciò il maggiordomo facendo cenno ai due armigeri di spalancare l'uscio; i due ubbidirono senza esitazione afferrando le grandi maniglie di ottone che pendevano dalla bocca di due serpenti dalle iridi verdi.

Len rabbrividì ancora tenendosi vicino al mago, immobile come una statua di cera.

Il grande salone che si spalancò di fronte a loro era tanto grande da poter ospitare almeno trecento persone; alte colonne corinzie si sollevavano verso il soffitto per sostenere elegantemente il soffitto.

In fondo alla stanza, su un piccolo palchetto di marmo rialzato, campeggiava in tutto il suo splendore il trono della Regina.

La donna non era però seduta sullo scranno come i due si immaginavano ma era in piedi di fronte ad un altro uomo dai lunghi capelli viola.

-Cosa ti fa credere che un ulteriore aumento delle tasse non farà insorgere il popolo, mia regina? Hai visto in che condizioni versa il quartiere malfamato..- ringhiò l'uomo stringendo il pugno tanto forte da far sbiancare le nocche. La regina sbuffò alzando indifferente le spalle; i bellissimi e lucenti capelli rosa scendevano lisci fino ai fianchi magri.

-Abbiamo un esercito, mio caro consigliere. A cosa credi che serva?- rise lei scostandosi da davanti al viso una ciocca, scivolata fuori dal cappello nero che le adornava il capo; l'uomo inorridì facendo un passo indietro come se lei l'avesse appena colpito con uno schiaffo in pieno viso.

-Sei pazza.-

La regina corrugò le sopracciglia facendo un intimidatorio passo avanti; la gonna nera dagli ampi spacchi laterali frusciò sulla sua pelle lattea.

-Devo forse ricordati che sei di fronte alla tua sovrana, Gakupo?- ringhiò afferrando con un letale gesto della mano il mento spigoloso di quest'ultimo. L'uomo digrignò i denti colpendo con un violento schiaffo le delicate dita della donna che, coprendosi la mano con un'espressione allibita sul viso, chiamò a gran voce le sue guardie.

-Guardie! Sbattete nelle segrete questo cane !-

Gakupo si girò di scatto per fronteggiare la potenza degli armigeri ma ovviamente, poté fare ben poco per fermarli; le loro mani fasciate di ferro affondarono nelle sue spalle schiacciandolo vergognosamente a terra, ai piedi della regina.

Lei sorrise crudelmente calpestando il viso del consigliere con l'alto stivale, il tacco danneggiò la pelle sopra l'occhio dell'individuo facendo sgorgare un rigagnolo di sangue.

-Implora pietà ed io non chiederò la tua testa. Hai tempo fino a domani per strisciare a chiedermi umilmente perdono.- sibilò velenosamente prima che i due soldati sollevassero di peso il prigioniero e lo trascinassero via.

Solo in quel momento, la sovrana si accorse della sgradevole presenza di due ulteriori ospiti; i suoi grandi occhi grigi fulminarono sul posto il malcapitato maggiordomo, che, inaspettatamente si era ritrovato di fronte ad una scena così compromettente.

-Perché sono circondata da incompetenti?!- tuonò furiosa mentre il giovane crollava in ginocchio terrorizzato; il suo viso si era trasformato in una maschera cerea di terrore allo stato puro.

-Mia regina io.. io non..-

La donna lo guardò con la furia negli occhi prima di congedarlo con uno svogliato gesto della mano; il servitore si alzò tremante esibendosi in un inchino pietoso prima di precipitarsi in maniera assolutamente poco professionale verso i battenti aperti. La regina tornò dunque a rivolgersi ai suoi ospiti, sorridendo dolcemente come se niente fosse davvero accaduto; il viso della donna si accese di una luce insidiosa, bellissima, proprio come le scaglie di un serpente.

-A che cosa devo la vostra piacevole visita, miei piccoli infiltrati?- chiese con voce soave incrociando poi le braccia contro al petto, avvolto da un bustino aderente. Kaito scoppiò a ridere appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo al suo fianco che, in tutta risposta, gli rivolse un'occhiata attonita.

-Non credevo che ci avresti scoperti così velocemente. I tuoi servi sono perfettamente cascati nella mia trappola.- ghignò il mago tirando fuori dall'interno della manica la lettera fasulla che incredibilmente prese fuoco, disintegrandosi tra le sue mani.

La regina scoprì i denti in un'espressione feroce, crudele come il veleno dell'animale che rappresentava il suo corrotto blasone.

-Ho sempre affermato che quegli sciocchi avrebbero fatto più bella figura appesi ad una forca che non a difendere le mie proprietà.- rise tenendo ben d'occhio i movimenti dei due antagonisti in piedi di fronte a lei; Len scostò di scatto la cappa color notte sguainando la lama che un tempo aveva regalato valore e coraggio a suo padre.

-Non ci posso credere! Hanno davvero lasciato che una spada entrasse incustodita al fianco di un marmocchio come te?- sbottò infastidita mentre la sua voce progressivamente cresceva d'intensità, rimbombando sulle pareti della grande sala di ricevimento.

-Luka Megurine, sovrana delle terre dell'Ovest, io ti condanno in nome del popolo dell'Est per aver condotto questo popolo sull'orlo della rovina.- le parole dell'uomo si sovrapposero all'eco di quelle di lei, terribili ed imperiose come quelle di un re. Kaito si tolse di di dosso la veste che gli avvolgeva il fisico lasciandosela cadere alle spalle; sotto, l'uomo indossava abiti molto più comodi e pratici.

Una camicia bianca gli avvolgeva il petto assieme ad un pezzo di cuoio lavorato sul quale era inciso a fuoco lo stemma del suo ordine.

La maschera che gli nascondeva il viso cadde a terra tintinnando appena; Kaito si scostò i capelli dall'occhio sinistro rivelando così l'intricato tatuaggio che si arricciava sulla sua pelle a partire dalla palpebra per arrivare a lambire il mento.

Luka sgranò gli occhi ma non arretrò di un solo passo, sollevando invece l'angolo della bocca gentile.

-Guarda guarda chi abbiamo qui, niente meno che il figlio del Sultano dell'Est. Non pensavo che sareste arrivati così presto, maghi dei miei stivali. Stavo giusto iniziando a divertirmi.-

Kaito sorrise a sua volta senza però celare la determinazione che sempre aveva fatto da sottofondo ai suoi discorsi; le sue iridi color mare iniziarono a palpitare mentre l'incantesimo prendeva forma tra le sue dita, schioccando ostilmente.

-Pensate davvero di poter vincere? Vi ricordo che questo è il mio regno.- dichiarò trionfante mentre i suoi occhi frugavano alle spalle del mago all'evidente ricerca dell'aiuto che sperava di lì a poco di ricevere.

Per quanto potesse essere sicura di sé, la sovrana era del tutto indifesa senza il suo esercito.

-Se stai aspettando le tue guardie temo che dovrai velocemente trovare un altro piano per salvare la pelle.- affermò aprendo le braccia per richiamare la sua magia; la pantera d'aria che già prima aveva evocato, prese velocemente forma ai suoi piedi. Proprio mentre il suo ringhio rimbalzava contro al soffitto, il sibilo sottile di una lama che tagliava il silenzio attirò l'attenzione di Len. Prima ancora che il suo cervello potesse realizzare ciò che stava accadendo, i riflessi lo spinsero a buttarsi all'indietro lontano dalla sovrana. Il ragazzo rotolò dolorosamente contro al marmo mentre un pugnale si piantava nel terreno accanto ai piedi della regina, che giubilante scoppiò in una profonda risata di gola.

-Non attendevo quella branca di inutili uomini. Era lei che stavo aspettando.- disse allungando una mano in direzione del soldato che era silenziosamente comparso nella sala.

-Vi presento Meiko, comandante delle mie truppe.- disse mentre la donna chiamata in causa afferrava l'elsa intagliata della spada facendola roteare due o tre volte. Il silenzio venne rotto dal fischio acuto dell'acciaio che fendeva l'aria mescolandosi a quello del manto della pantera che schioccava.
Kaito imprecò in una lingua a Len sconosciuta mentre la sua belva faceva un paio di passi avanti senza neanche toccare terra. Len digrignò i denti alzando di scatto la spada, terrorizzato dal nuovo nemico. Il comandante delle truppe offensive era vestita di ferro e, malgrado il ragazzo fosse piuttosto convinto del fatto che la sua forza avrebbe sovrastato quella della guerriera, c'era qualcosa di spaventoso in lei.
-Sappiate, miei cari che se sono sul trono e tutto merito suo. Non c'è spadaccino più temibile e letale di lei.- sibilò appoggiando una mano contro alla spalla della donna, proprio lì dove lo spallaccio intarsiato di sfumature rosse le proteggeva la spalla. La placca pettorale riportava un complicato disegno che agli occhi di Len non sembrava poi così estraneo; con il suo lavoro di mercante aveva praticamente visto tutti gli ordini scorrergli di fronte.
-Tu.. vieni dal Sud?- chiese con circospezione tenendo ben alta la spada davanti al corpo. Kaito lo squadrò con un'occhiataccia mentre la sua pantera spalancava le fauci in modo minaccioso.

Erano due contro due, le loro forze più o meno si equiparano.
-Ti sembra il momento adatto per fare amicizia?- chiese con ansia ed amarezza prima di emettere un lungo fischio. La bestia parti all'assalto mente la donna gridava impaurita; Meiko roteò su se stessa cercando di arrestare l'assalto della belva magica.

L'acciaio cozzò contro la magia senza però scalfirla, la donna si ritrovò a combattere con un fantasma. Malgrado ciò, schivò ed evitò ogni singolo attacco della pantera, permettendo alla sovrana d'allontanarsi quel tanto che bastava per uscire dalla portata fatale degli artigli. Len corse in avanti gridando il proprio furore ma ovviamente prima che potesse raggiungere Luka, Il comandante delle sue guardie si mise di mezzo intercettando il suo primo fendente. Il giovane iniziò a danzare con quella donna, fendente dopo fendente, le loro lame si incrociarono producendo stridii insopportabili. Il sudore colò sulla sua fronte incollandogli i capelli biondi alla fronte; Meiko, invece, continuava a muoversi con agghiacciante fluidità ed energia. Len caricò il colpo e le due lame si incrociarono con intensità tale che le braccia del ragazzo tremarono, minacciando di abbandonarlo.

Lui disimpegnò la spada facendo un paio di passi indietro, concedendosi un ansimante minuti di pausa. Sputò a terra asciugando il sudore che ruscellava sul suo viso.

Kaito era magicamente sparito assieme alla sua belva.

Che l'avesse abbandonato?

Len non si concesse neanche un istante per pensare ad un eventualità del genere.
-Per rispondere alla tua domanda, ragazzo, vengo dal sud.- disse a bassa voce la donna con voce distante e fredda come il ghiaccio.
-Il disegno sul tuo petto.- spiegò lui in tutta risposta, indicando il suo petto con un cenno del mento; lei abbassò appena lo sguardo per ammirare l'intreccio di linee cremisi che richiamava astrattamente il sole ed il suo risveglio con l'orizzonte.
-Mi sorprendi. Perché sei qui, ragazzo?-
-Non fare domande, Meiko. Uccidilo!- strillò la sovrana cercando di porre fine a quello scambio di battute.
-Mia sorella è stata rapita tanti anni fa; questo blasone nasconde il segreto che me l'ha portata via.-
Meiko si girò verso la sua regina senza però abbandonare la posizione d'attacco; la presa sulla sua spada era troppo solida per sperare che quelle parole avessero sortito un qualsiasi tipo d'effetto.
Il ciondolo bruciò la sua pelle mentre il tempo bruscamente tornava indietro ad un passato non troppo lontano, gocciolante di sangue e lacrime inascoltate.
Il ruggito crudele di una bestia primordiale rimbombò contro alle sue tempie facendogli tremare il cuore; vide il cadavere di una ragazza giacere a terra in una pozza di sangue.

Un nome baluginò nella sua mente, affiorando spontaneamente alle labbra del ragazzo. -Denise..-
Gli occhi di Meiko si accesero di dolore, le sue mani tremarono appena facendo tintinnare i finimenti della spada.
-Come conosci quel nome..?-
-Lei è morta.- sussurrò abbassando di colpo la voce mentre l'odore del sangue si faceva insopportabile. Meiko gridò lanciandosi avanti in un attacco di forza devastante; la spada di Len volò in aria mentre il ragazzo crollava a terra ansante.

-Non osare..- ringhiò lei digrignando tanto forte i denti che questi scricchiolarono.
-Sai che è la verità..perché lei..- la voce di Len si asciugò per il dolore.
-Perché lei è scomparsa nelle stesse circostanze e lo stesso giorno di mia sorella.- 

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Capitolo 7
*** L'eco di un sorriso perduto. ***


L'eco di un sorriso perduto ~ Chapter VII

 

-Denise scomparve in circostanze misteriose una calda giornata di metà Maggio. -

Il ciondolo pulsava come se le fiamme dell'inferno avessero appena ingurgitato il metallo nero.

Il passato fluiva liquido di fronte agli occhi di Len; emozioni variopinte come l'arcobaleno screziavano il suo cuore provato dalla paura.

Meiko strinse più forte la spada, tanto che la punta acuminata intaccò la pelle del collo del ragazzo.

Un rigagnolo di sangue sporcò il colletto della camicia del ragazzo attraversando sinuoso la pelle.

Gli occhi castani della guerriera si erano trasformati in un cuore pulsante di fiamme dai riflessi arancioni; l'ira si mescolava contraddittoriamente con una tristezza tanto radicata da frantumarle il cuore. Denise era sicuramente stata una persona importantissima nella vita della combattente, minacciosa nella sua armatura d'acciaio.

-Come posso crederti, ragazzo? Non capisco come sia possibile che tu la conosca..-

-Perché dovrei mentirti?- ribadì lui deglutendo a vuoto nella speranza di ridurre il dolore rovente che gli feriva la gola.

La regina sbraitò muovendo di scatto la mano verso l'esterno, i suoi capelli rosa ricaddero scompigliati sulle sue spalle quando il cappello le scivolò via dal capo.

-Ubbidisci alla tua regina se non vuoi che ti faccia decapitare per altro tradimento!- il suo tono salì di due ottave; i suoi occhi brillarono, accesi da un cieco furore.

Meiko alzò appena lo sguardo dalla sua preda, la punta della spada cozzò contro al mento del giovane alzandolo appena.

-Convincimi che stai dicendo la verità o ti taglio la gola.- la sua voce si ridusse ad un sibilo mentre il filo della lama minacciava di porre fine all'avventura ed a tutti gli sforzi che Len aveva compiuto per arrivare sin lì.

Il ciondolo pulsò di nuovo e le visioni tornarono a riempire la sua mente.

Senza ben sapere cosa stesse facendo, allungò di scatto una mano per bloccare il polso libero della donna. Prima che lei potesse anche solo realizzare cosa stesse succedendo, Len premette la sua mano contro al ciondolo rovente.

La combattente sibilò per il dolore strattonando indietro il braccio, ma subito si bloccò quando il passato l'intrappolò nella sua rete.

I due vennero catapultati in un lontano passato; verso un'epoca in cui il suono delle risate rischiarava ancora le tristi giornate di solitudine.

Len fluttuò impalpabile nel cielo terso di quella mattina di metà Maggio, sotto di lui, una giovane ragazzina sedeva a gambe incrociate in un piccolo prato coperto di spinosi cespugli di rose.

Il ragazzo non tardò ad identificare nei tratti acerbi la determinata guerriera che così facilmente l'aveva sconfitto in battaglia.

Un uccellino cominciò a saltellare da una zampa all'altra di fronte a Meiko che scoppiò a ridere, deliziata da quell'adorabile spettacolo.

La fanciulla canticchiò sottovoce una soave canzoncina che sua madre le aveva imparato quando era solo una bambina; i suoi occhi color cioccolata si addolcirono quando il canto dell'uccellino si mescolò al suo in una melodia se possibile ancor più delicata.

-Non ci posso credere.. sei ancora qui?- chiese una voce alle sue spalle cogliendola di sorpresa, la ragazza si girò di scatto interrompendo il suo canto; quel suo brusco gesto spaventò l'uccellino che si dileguò in un veloce frullo d'ali. Meiko si alzò per poi subito balzare al collo della migliore amica che, di rimando, la strinse facendole fare un mezzo giro in aria.

Lei rise allegramente quando i capelli di Denise scivolarono sulla sua fronte facendole il solletico.

-Ti stavo aspettando, perché ci hai messo tanto?- chiese la prima delle due, esibendosi in un piccolo ma adorabile broncio da bambina.

-Stavo preparando una piccola cosa che sono sicura ti piacerà.- disse lei in tutta risposta districandosi dolcemente dalla presa dell'amica; Denise frugò nelle tasche dell'ampia gonna con voluta lentezza.

Meiko, trepidante, si mordicchiò le labbra per poi torturare impazientemente le unghie curate delle mani.

-Dai, non farmi aspettare così tanto.- gemette aggrappandosi al braccio libero dell'amica, osservando bramante il piccolo oggetto ancora nascosto dalla stoffa cucita.

Denisse ne tirò fuori un ciondolo di legno chiaro a forma di pettirosso, le forme dell'animaletto erano così ben definite che le sue ali sembravano pronte per spalancarsi e spiccare il volo.

Ogni singola piuma sembrava splendere sotto al tocco del sole e per un attimo persino gli occhi bruni sembrarono muoversi.

-E' bellissimo! Come hai fatto?-

-L'ho intagliato da un pezzo di legna che era rimasto nelle stalle. Ti piace?- chiese lei con un sorriso mentre sollevava il cordino per avvolgerlo attorno al collo di Meiko, che subito chinò il capo per accogliere solennemente quel piccolo dono.

-Se mi piace? Lo adoro! Denise sei fantastica!-

-Ne ho fatto uno anche per me, molto simile al tuo.- disse la ragazza sedendosi elegantemente a terra prima di mostrarle il pendente a forma di usignolo che accuratamente aveva nascosto sotto al corsetto dell'abito.

-Siamo sorelle, ora.- sussurrò Meiko avvicinando l'oggetto di legno a quello della compagna, di modo che i becchi dei due piccoli volati si toccassero; Denise ricambiò quel gesto di amicizia con un amabile scompigliata di capelli.

-Lo siamo sempre state.- ridacchiò scostandosi dalla fronte una ribelle ciocca di capelli rosa.

Le due fanciulle cominciarono a chiacchierare del più e del meno, scambiandosi in sussurri colpevoli i succosi pettegolezzi di corte che spesso le servette si divertivano a divulgare. Non c'era pietra nel palazzo reale che non avesse udito almeno una volta il bisbiglio conciato di una riservatezza.

-Sai cos'ho sentito recentemente??- sussurrò Meiko appoggiando uno dei palmi sporchi d'erba attorno alle labbra, quasi a sottolineare l'assoluto riserbo che l'amica avrebbe dovuto rispettare.

Denise si sporse in avanti tendendo le orecchie, curiosa come non mai di udire qualche altra scottante notizia sulle le scappatelle amorose dei tanti principi e principesse che vivevano sotto il dorato tetto del castello.

Prima che Meiko potesse però parlare, un metallico rumore di passi ruppe la quiete carica di aspettative che si era generata tra loro; Denise alzò lo sguardo, impallidendo.

Due armigeri dall'aria minacciosa erano appena comparsi da dietro il cespuglio fiorito che divideva quella piccola oasi dal chiostro pietroso del palazzo.

Un uomo vecchio e rugoso faticosamente li accompagnava, tra le mani scheletriche reggeva una pergamena finemente arrotolata su sé stessa, i sigillo di ceralacca era ancora incollato ai bordi della pregiata carta da lettera.

-Meiko?- chiamò imperiosamente l'anziano consigliere appuntando gli occhi lattiginosi sul viso cereo della fanciulla.

-Cosa comandi, mio signore?- chiese con voce tremula prima di alzarsi ed esibirsi in un educato, riverente inchino. Le gonne produssero un quieto rumore quando la ragazza le lasciò andare per fronteggiare il vegliardo mentore della regina reggente.

-Seguimi.-

-Se posso domandare, dove mi condurrete, mio signore?- chiese lei con ossequioso garbo chinando appena il capo nella speranza che il gelo insito nelle maniere dell'anziano si sciogliesse appena. Inaspettatamente, furono i due armigeri a rispondere alla sua cortese richiesta. Questi si fecero minacciosamente avanti, le mani poste sulle spade appese alla cintola.

Meiko impallidì ancora di più compiendo un veloce passo indietro; Denise, nel vedere l'amica in difficoltà, le si parò di fronte sporgendo un braccio per proteggerla.

-Levati dai piedi, ragazzina.- tuonò il vecchio mentre i due armigeri si rivolgevano una reciproca occhiata divertita. Denise ghignò insolentemente prima di colpire con tanta rapidità che il primo soldato neanche la vide arrivare.

Con un gesto del polso, la ragazza infilò due dita negli occhi scoperti del primo uomo che, con un grido di dolore, crollò sulla schiena reggendosi il viso tra le mani. L'altro imprecò a mezza voce lanciando un'occhiata al compagno mentre la ragazzina sgusciava sotto alla presa metallica delle sue braccia. Denise colpì impietosamente il setto nasale del militare che si ruppe con un schiocco secco.

Il mentore cominciò a strepitare mentre i due, umiliati, sfoderavano le lame per punire quell'insolente ragazzina dai capelli rosa.

Denise si tirò su la gonna ingombrante, mettendosi poi in posizione difensiva.

Meiko, alle sue spalle, la fissava con bocca ed occhi sgranati; mai aveva visto la sua amica combattere con così tanta ferocia. Sapeva ormai da tempo della sua predisposizione al combattimento ma non credeva che gli allenamenti segreti l'avessero trasformata in una piccola ma letale macchina da scontro

-Basta così.-

-Regina..- sussurrò l'anziano consigliere prima di genuflettersi e chinare rispettosamente la testa calva; i due armigeri, allo stesso modo, si portarono un pugno sul cuore. Una bellissima donna dai lunghi capelli rosa fece il suo trionfale ingresso nel giardino, accompagnata da una schiera di umili ancelle.

Al fianco della regina, una bambina di dodici anni fissava i presenti con alterigia e superiorità, già pienamente conscia del suo status sociale.

-Che cosa sta succedendo?- chiese in un sibilo mentre l'anziano strisciava come un verme ai piedi della sovrana, baciandole la punta delle scarpe di camoscio.

-Mia onorevole regina, la ragazza sta opponendo resistenza alle tue direttive.- sussurrò premendo la fronte contro alla pavimentazione mentre le gelide iridi della donna lo squadravano con palese disgusto.

-Harumi, fatti avanti.- ordinò la donna facendo un rapido cenno con la mano per attirare l'attenzione di una delle tante ancelle che tenevano sollevate le variopinte gonne del suo vestito.

Una donna magra, dall'aspetto gentile si fece avanti strusciando i piedi intimorita da quell'improvviso, freddo richiamo.

Quando Meiko vide la donna, la sua bocca si asciugò per la paura e lo sconcerto.

-Madre?-

Nell'udire la voce familiare della figlia, la serva si girò di scatto portandosi una mano di fronte alla bocca; i suoi occhi nocciola tremarono quando la voce della signora la raggiunse alle spalle.

-Quella è tua figlia, non è vero?-

-Sì, mia lady.-

-Ancelle, andatevene. Harumi tu rimani.- ordinò fermandola prima che anche questa potesse congedarsi assieme alle altre donne.

-Cosa posso fare per soddisfare i suoi desideri, mia lady?- chiese deglutendo a vuoto per scacciare l'ansia che le soffocava il cuore.

-Tua figlia ha appena disubbidito ai miei comandi.-

-Se ti ha recato offesa, le chiedo servilmente perdono, mia signora. Mi addosserò ogni possibile punizione che tu vorrai infliggerle.- sussurrò con forza la madre, sollevando il collo per fronteggiare la pacata ira della dama dai capelli rosa.

-Sei coraggiosa. Ma non è una punizione che desidero da lei.-

-Che cosa possiamo offrirti, mia regina?- domandò confusa la servetta mentre uno degli armigeri, quello a cui Denise aveva spaccato il naso, le scivolava alle spalle. Con un gesto violento, intrappolò Harumi nella presa ferrea delle sue braccia.

L'ancella gridò spaventata mentre il corsetto del suo semplice vestito di stoffa si strappava appena in prossimità delle spalle.

Meiko osservò disgustata l'uomo strappare una larga striscia del vestito che fasciava il corpo della donna; la nuda pelle del suo ventre venne accarezzata dal sole mentre lacrime di indignazione ricoprivano le sue palpebre chiare. I capelli, prima raccolti in una pratica crocchia, erano scivolati sulle spalle esili, rendendo il suo capo un ammasso confuso di crine color cioccolata.

-Meiko, vuoi davvero che tua madre faccia questa fine?-

-Lasciala stare!- gridò scioccata appoggiando una mano sulle spalle rigide di Denise che, furibonda, si stava a stento trattenendo dal saltare al collo della regina.

La principessa ridacchiava al fianco della madre, reggendo tra le piccole mani la stoffa preziosa del suo abito; Meiko le rivolse uno sguardo disperato mentre la serva imprigionata continuava a piagnucolare per l'offesa appena ricevuta.

-La tua risposta?-

-Meiko, non darle retta!- gridò sua madre mentre le prime lacrime baciavano un viso pallidissimo, scavato da una stanchezza di cui la fanciulla non si era mai veramente accorta. La regina si accostò alla sua cameriera, le sorrise e poi, senza preavviso, la colpì alla guancia con uno schiaffo tanto forte da spaccarle il labbro.

-Resta in silenzio, schiava.- cinguettò in aggiunta la ragazzina prima di pestarle un piede con uno dei piccoli tacchetti che già iniziava ad indossare.

-Smettetela!- gridò furiosa Denise facendosi aggressivamente avanti, pronta a fronteggiare l'altro soldato che, sin dall'arrivo della regina, aveva tenuto sott'occhio la piccola belva dai capelli rosa.

-Chi sei tu per impormi di smettere, popolana? Un mio solo ordine potrebbe rispedirti nelle fogne dal quale miracolosamente ti ho raccolto.- ringhiò la regina afferrando tra le dita il mento della sua inserviente che distolse lo sguardo, probabilmente per non stuzzicare ulteriormente l'instabile umore della dama.

-Verrò io al posto di Meiko.- disse di scatto la giovane appoggiandosi una mano sul petto; i suoi occhi brillarono di una tanto ingenua determinazione che la piccola principessa rimase colpita dal suo spirito di sacrificio.

-Madre, lascia che questa ragazza prenda il posto dell'altra fanciulla.- disse innocentemente prima di sorridere con tanta fredda crudeltà che Meiko sentì il cuore sprofondare nel fondo della cassa toracica.

-Sia come vuole mia figlia.- acconsentì la donna accarezzando le trecce che componevano la complessa chioma della bambina.

Il soldato dal naso spezzato lasciò brutalmente andare Harumi che cadde carponi contro al ruvido pavimento di pietre. L'armigero più vicino afferrò Denise per un braccio strattonandola con tanta veemenza che per poco la giovane non incespicò in avanti.

-Denise!- urlò Meiko tra le lacrime cercando di afferrare l'orlo del suo vestito per trattenerla.

Un orribile presentimento le avvelenò la bocca mentre la sua migliore amica si voltava per rivolgerle quello che sarebbe stato il suo ultimo sorriso.

-Ti voglio bene, Meiko.- mimò con le labbra che le due guardie la sollevassero di peso per portarla lontano, lì dove la voce della fanciulla non avrebbe più potuto raggiungerla.

Meiko rovinò in ginocchio mentre un pianto disperato le scavava le guance, frantumando tutto ciò che restava del suo cuore generoso.

-Oggi quella ragazza ha offerto la sua vita in cambio della tua.- disse la principessa che avvicinatasi a lei, si chinò in ginocchio, di modo che i loro occhi raggiungessero la medesima altezza.

-Eppure, non ti sarà permesso ricordare nulla di tutto questo.. Un peccato, non è vero?- chiese con un sorrisetto perfido mentre un paio di braccia le afferravano la vita per tirarla malamente in piedi.

Una donna dai lunghi capelli viola venne brutalmente spinta al suo cospetto; i suoi occhi indaco erano saturi di una sconforto tanto profondo che il cuore di Meiko si frantumò in pezzi ancora più piccoli.

-Mi dispiace, piccola. Sappi solo che lo sto facendo contro la mia volontà.- disse la stregona raccogliendole il viso tra le morbide mani pallide. Meiko sgranò gli occhi quando sentì i tentacoli della magia arrampicarsi e serpeggiare nella mente alla affamata ricerca di ricordi compromettenti.

La fanciulla percepì con orrore crescente il progressivo vuoto che andava a crearsi nel suo cervello, lì dove un tempo c'erano stati i bellissimi momenti che aveva passato con Denise.

Cercò di combattere, scuotendo selvaggiamente il capo per scacciare la ladra che la stava privando dei ricordi più piacevoli della sua intera vita.

-Lasciami stare! Smettila, smettila, smettila!- strillò mentre le lacrime scivolavano incontrollabili sui suoi zigomi, bagnando così anche i polpastrelli della stregona che, con un gemito, chiuse gli occhi.

-Ti prego.. lascia che Denise rimanga nei miei ricordi.-.

La preghiera singhiozzante della fanciulla venne però miseramente ignorata ed il cielo, quel giorno, fu unico testimone dell'efferata crudeltà che distrusse il cuore di una ragazza di appena quindici anni.

Quando la visione si interruppe, i due vennero bruscamente catapultati indietro nella grande ed ariosa stanza di ricevimento. Il canto cinguettante degli uccellini si affievolì gradualmente, sostituito dallo strillare rauco della Regina che ancora cercava di farsi ascoltare dalla sua servitrice.

Len ansimò pesantemente cercando con tutte le sue forze di non dare di stomaco, il sudore tracciò tutto il profilo del suo viso arrestandosi però sulla curva decisa della mascella.

-Ora mi credi?- mormorò flebilmente mentre la guerriera fissava come in trance la spada che ancora raschiava la pelle del suo avversario.

Meiko abbassò lentamente la lama squadrando distrattamente i riflessi che la luce produceva a contatto con il metallo lucido.

-Mi dispiace per Denise..- sussurrò Len ricordando con sin troppa chiarezza il lezzo del sangue che quasi l'aveva soffocato nel momento in cui la visione l'aveva intrappolato nelle sue trame.

Meiko non sembrò udirlo; le sue iridi lucide erano ancora avvolte nella dolorosa rete del passato, lì dove i frammenti del suo cuore erano stati dimenticati per troppo tempo.
Il ragazzo quasi riuscì a scorgere in quello specchio castano l'ultimo, triste sorriso della fanciulla prima che fosse portata via dagli armigeri.

-Denise..- una sola parola sgusciò fuori dalle labbra socchiuse della donna che, toccandosi il viso, lo trovò sporco delle stesse lacrime che aveva versato all'età di quindici anni.

La visione aveva riaperto una cicatrice che non era mai veramente guarita, ed adesso la verità sgorgava come sangue sulla pelle della guerriera.

Meiko vacillò quando si accorse di quanto la sua vita, fino a quel momento, fosse interamente stata basata su una studiata e crudele bugia.

Non aveva fatto altro che eseguire come un cagnolino ubbidiente tutti gli ordini che la sovrana le aveva affidato.

Involontariamente, Meiko si era trasformata in uno di quei nerboruti armigeri che avevano trascinato via Denise, privandola del suo futuro.

Senza rendersene conto, la ragazza si era trasformata nello stesso mostro che aveva distrutto la sua infanzia.

La guerriera si voltò verso la regina, stringendo tanto violentemente la lama nella mano che il ferro del guanto le graffiò la pelle sottostante; il suo viso si tramutò in una maschera di odio e furore.

-Tu.. tu hai ordinato che Denise venisse portata via! Sei stata tu!- tuonò mentre Luka, incrociando le braccia contro al petto morbido ghignava infastidita da quel repentino cambiamento di situazione.

-Piccola, ingenua guerriera. La tua voce era così soave che saresti stata una perfetta vestale. Peccato però che quella presuntuosa bestiolina avesse deciso di mettersi in mezzo.- la sovrana sbuffò alzando teatralmente gli occhi al cielo, mentre le sue dita intessevano nell'aria una serie di confusi ghirigori.

-La tua voce avrebbe placato il drago per moltissimo tempo. Un vero peccato che Denise sia scesa al tuo posto. Anche se, devo ammettere, che ha superato le mie aspettative di resistenza.- affermò grattandosi pensierosa il mento, mentre le iridi di Meiko si incupivano tanto da dare l'idea che fossero appena diventate nere.

-Come osi parlare di lei così?!- gridò furibonda prima di scattare in avanti a velocità impressionante; la fedele spada sibilò, desiderosa di sangue.

Sfortunatamente però, il colpo della donna non andò a buon fine.

Dal nulla, un'ombra si materializzò davanti alla regina intercettando con precisione chirurgica il fendente dell'esperta guerriera; una nuvola di scintille schioccò mentre Meiko roteava indietro per allontanarsi dalla nuova antagonista.

-Ce ne hai messo di tempo per arrivare, Ruko.- commentò acida la sovrana scostandosi dal collo i capelli scompigliati; la figura si alzò lentamente puntellandosi sull'asta della sua falce.

Un striscia di pelle blu si arrotolava attorno al manico dell'arma, abbinata con l'arruffata ciocca di capelli che screziava la sua frangia castano scuro.

Una benda di cuoio nero le copriva interamente un occhio, rendendo il suo pericoloso sorriso ancor più affilato.

-Mi dispiace, mia lady.- disse trascinando la lama d'acciaio sul terreno, producendo così uno stridulo rumore. Meiko digrignò i denti per poi sputare con disprezzo ai piedi della sua sovrana ed alla cagna che ancora osava proteggere quel serpente.

-Tu hai portato via la mia migliore amica.-

-Ci sono necessità che vanno ben oltre il singolo desiderio e amore di una donna.- sibilò Luka mentre Ruko fletteva le ginocchia, collocandosi in una posizione difensiva.

-Cosa vuoi dire?-

-Ma soprattutto, cosa diamine è una vestale?- chiese Len affiancandosi alla sua nuova alleata; la guerriera lo squadrò dall'alto in basso, ma il ragazzo non scorse alcuna traccia di acredine nelle sue iridi tristi.

-Ah, ci sei ancora, ragazzino? Pensavo te la fossi fatta addosso!- esclamò con spregio Luka, esibendosi in un sorriso tanto duro che, per un istante, Len rivide nei suoi tratti la bambina che aveva condannato a morte una sua simile senza battere ciglio.

-Rispondi e basta.-

-Non osare parlare così alla tua sovrana, sgorbio.- soffiò Ruko proiettandosi avanti tanto celermente che né Meiko né il ragazzo ebbero modo di proteggersi dal colpo.

La donna venne colpita al ginocchio con la base metallica dell'asta e mentre si accasciava con un mezzo grido, Ruko la colpì allo sterno con un calcio. La guerriera rovinò sulla schiena perdendo la spada di mano e prima ancora che Len potesse prepararsi, Ruko gli fu addosso.

In un guizzo la lama superò la debole guardia del ragazzo scivolando sotto al collo, lì dove la giugulare pulsava impazzita.
Len sarebbe probabilmente morto se qualcosa non avesse fermato l'implacabile lama della combattente.

Ruko venne violentemente scagliata all'indietro mentre il canto del vento si diffondeva nella sala assieme allo sbattere furioso delle persiane divelte.

Luka gridò spaventata mentre la sua guerriera rotolava indietro per proteggerla dalla nuova minaccia.

-Vi sono mancato, ragazzi?- chiese nel vento una bassa voce spavalda; dal fondo della sala, Kaito si materializzò sul vuoto trono della donna, accompagnato da due sue fedeli belve d'aria.

-Tu..- ringhiò la donna mentre Ruko digrignava i denti, stringendo più forte l'arma.

Kaito si esibì in un adorabile sorriso accarezzando le impalpabili orecchie delle sue creature magiche.

-Non sembri molto contenta di rivedermi.-

-Diciamo che preferirei vederti incatenato in una delle più profonde ed infime segrete di questo palazzo.- commentò di rimando la donna, appoggiandosi a Ruko per sollevarsi in piedi.

-Sono dispiaciuto, mia lady. Ma non potrò darti questa soddisfazione. Né ora, né mai.-

Kaito si alzò fluidamente dando un colpetto d'intesa alle fiere che, ringhiando, si fecero avanti in minacciosi passi silenziosi.

-Ed ora mia cara regina, se ciò ti compiace, togliamo il disturbo.- disse prostrandosi in un ampolloso inchino allo speziato sapore di derisione.

-Che cosa intendi..- iniziò Luka prima che un'esplosione lacerasse assordante il silenzio.
Len si tappò le orecchie cercando di attutire quell'insopportabile frastuono; il vento prese nuovamente a fischiare e le grida delle due donne si persero nei mulinelli di magia.

Kaito appoggiò una mano sulla spalla di Len, per poi tirarselo vicino; l'uomo cancellò con un dito le lacrime che imperlavano i suoi occhi, tracciando qualche semplice ghirigoro sulle sue tempie.

In un batter d'occhio, l'assordante stridio svanì lasciando agonizzanti solo le due antagoniste e la povera Meiko che, inginocchiata, premeva dolorosamente la fronte contro alla dura pietra del pavimento.

-Dobbiamo andarcene immediatamente.- affermò concitamene il mago, artigliandogli il braccio per sottolineare la sua crescente tensione; il ragazzo indicò con un cenno del mento la combattente prostrata.

-Dobbiamo portarla con noi..-

-Non possiamo, se ci tradisse..-

-Non lo farà. Kaito se questa donna rimane qui... morirà.- insistette Len mentre lo stregone frugava nei suoi occhi alla ricerca di un'instabile sicurezza che lo stesso giovane non aveva.

-Se dovesse succedere qualcosa..-

-Me ne prenderò piena responsabilità.- disse fiducioso appoggiando una mano sulla spalla dell'uomo che, chinandosi in ginocchio ripeté velocemente il medesimo incantesimo.

Meiko sbatté un paio di volte le palpebre prima di rivolgere un'occhiata indecisa ai due uomini, poi cancellò con rabbia le lacrime di dolore che avevano appena inumidito i suoi zigomi.

-Cosa volete da me? Perché mi avete liberata?-

-Vieni con noi. Devi aiutarci a fermare questa follia.- affermò Len porgendole una mano, il suo sorriso brillò stanco sulle labbra spaccate dalla battaglia.

-Perché dovrei fidarmi di voi?-

-Preferisci morire, donna? Prendi una decisione veloce, non abbiamo tempo da perdere.- commentò acido Kaito mentre i turbini della magia divoravano i rumori circostanti, schiacciando al suolo la sovrana ed la sua fedele serva.

-Vendicheremo Denise.- mormorò il giovane con dolcezza e costernazione, sperando così di convincere la valorosa guerriera.

Lei abbassò gli occhi cercando di nascondere al meglio le lacrime che erano tornate a patinarle le iridi.

-Ti aiuterò, ragazzo.-

Meiko intrecciò le dita a quelle ruvide di Len, tirandosi in piedi.

I due si guardarono negli occhi mentre un silenzioso patto di fedeltà e reciproco aiuto incatenava insieme i loro cuori feriti.

Per un istante, i due condivisero il medesimo, straziante dolore della mancanza.

-Vendicheremo Denise.- ribadì la ragazza quando il sorriso della sua migliore amica sfavillò lontano come una stella, lì dove non avrebbe più potuto raggiungerlo.

 

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Capitolo 8
*** L'austero consigliere. ***


L'austero consigliere. ~ Chapter VIII


I due uomini e la loro nuova compagna di viaggio uscirono dalla porta di servizio posta in fondo alla stanza, esattamente dietro all'altro scranno del trono rovesciato. Kaito colpì con un poderoso calcio frontale il legno dell'uscio, spaccandola come se fosse stata fatta di burro.

-Questi sono i piccoli vantaggi d'essere un mago.- cinguettò prima di sgusciare circospetto al suo interno, verso l'ombra piacevole del corridoio utilizzato dalla servitù.

Kaito srotolò velocemente una ingiallita pergamena dalla tasca posteriore dei pantaloni; le sue dita esplorarono fameliche l'intricato disegno che riproduceva il sistema di corridoi che serpeggiavano nel ventre del castello.

-Da questa parte.- disse alzando di scatto la testa per indicare un'oscura direzione, persa chissà dove nell'ombra. Meiko corrugò dubbiosa le sopracciglia mentre raccoglieva la piccola pietra luminescente che l'uomo le stava ruvidamente porgendo.

-Dove stiamo andando?- chiese quando il mago dai capelli blu cominciò a seguire, rasente al muro, l'umido corridoio danneggiato dai licheni.

-Lo vedrai tra poco, dolcezza. Abbi pazienza.- rispose seccamente mentre, sollevando la mano, proiettava lontano la strana, lattiginosa luce prodotta da quella sottospecie di rozzo quarzo.

-Non ho mai visto una pietra del genere.- commentò disinteressatamente Len accarezzando i bordi frastagliati dell'oggetto luminoso.

-Possibile che non riusciate a restare in silenzio per un secondo?!- sbottò a mezza voce il mago colpendo impietosamente il ragazzo al braccio con un pugno.

Quando il compagno si zittì, Kaito tornò a guardare avanti premendo le mani contro al muro scabro, nella speranza di percepire attraverso le sue rocce anche il più flebile dei rumori. Il silenzio calò sui tre fuggiaschi pesante come un incudine di ferro; l'uomo aggrottò preoccupato le sopracciglia sottili, ricontrollando per scrupolo la cartina che aveva trafugato dagli archivi privati del castello.

Che si fosse sbagliato?

Kaito tastò con le mani la parete buia coperta di muschio, insinuò le dita in ogni intercapedine del muro, riempendosi le unghie di ragnatele e polvere nera.

Finalmente però, dopo parecchi tentativi falliti, i polpastrelli dell'uomo fecero pressione sul gusto mattone; questo scivolò all'indietro facendo scattare il meccanismo nascosto che accuratamente era stato celato.

Kaito fece un balzo indietro sorridendo trionfante mentre questi grattavano gli uni sugli altri in un fastidioso suono stridulo. Nel giro di quattro o cinque secondi, lì dove prima non c'era stata che un'impenetrabile barriera di roccia, ora si spalancava un angusto passaggio dall'aria malsana. Len si premette una mano sul naso quando l'odore insopportabile della muffa e dell'aria stantia lo raggiunse, facendogli lacrimare gli occhi. Meiko spalancò incredula le iridi color cioccolata, in due strascicati passi si accostò al passaggio con dubbiosa curiosità mentre il mago premeva soddisfatto le mani sui fianchi stretti.

-Saliamo.-

-Tu sei impazzito! Hai visto che diamine di passaggio è?- berciò Len osservando con disgusto crescente i grossi ragni che ondeggiavano nel vuoto, sorretti dagli invisibili fili di seta delle loro ragnatele.

Kaito storse il naso avvolgendosi la sciarpa attorno al collo ed al naso con cura per attenuare l'odore acre.

-Non abbiamo molta scelta.- disse infine appoggiando solidale una mano sulla spalla di Len, di modo che il ragazzo lo seguisse. Meiko tossicchiò sommessamente coprendosi il naso con il braccio prima di sfoderare la lunga spada da combattimento che aveva recuperato prima di andar via.

-Vado avanti io.-

-Zuccherino, non mi fido ancora di te. Evita di sprecare il fiato, non ti lascerò alzare un solo dito in questo mio piano di fuga.- ringhiò Kaito portandosi vicino alla ragazza che, mordendosi le labbra costernata, rinfoderò la sua compagna di acciaio.

Lo stregone le voltò le spalle incamminandosi con circospetta attenzione su per i vecchi, lisci gradini coperti di umidità.

-Forse non sarei dovuta venire con voi..-

-Non far troppo caso alle sue maniere. È un tipo.. particolare, decisamente privo di tatto.- disse Len di rimando, cercando di rattoppare il danno causato dalle rudi maniere dell'uomo dell'Est.

-Andiamo.- esortò prima di lanciarsi di corsa su per gli scalini, deciso a raggiungere e rimproverare il suo compagno d'avventura, prima che i suoi metodi potessero rovinare il fragile rapporto che aveva intessuto con Meiko.

-Non dovresti trattarla così male.- sussurrò Len accodandosi al mago; la luce frammentata del quarzo che teneva in mano riusciva a stento ad illuminare il bordo smussato dei gradini.

Kaito si fermò di colpo nel bel mezzo della ripida salita ed il ragazzo, mezzo accecato, gli finì addosso.

-Ma che..?- esclamò a mezza voce prima che il mago si girasse e lo sbattesse contro al muro con tanta veemenza che il fiato gli sfuggì dai polmoni.

-Ascoltami bene, Len.- sibilò l'uomo schiacciandolo contro alla parete con il proprio corpo, impedendogli di conseguenza di muovere anche il più minuscolo dei suoi muscoli.

-Non possiamo fidarci di quella donna. Non sono i buoni propositi o sentimenti a sopravvivere in un mondo come questo, ricordalo bene.- i suoi agitati occhi azzurri vennero attraversati da una serie di piccole onde spumose che sciabordarono contro alla pupilla color onice.

Quando Kaito lo lasciò andare, Len dovette aggrapparsi rantolante al suo braccio, accarezzandosi dolorante il punto in cui le dita ferree dello stregone avevano impietosamente aumentato la stretta.

-Perdonami, sono stato un po' troppo irruento.- ammise aiutandolo a rialzarsi mentre Meiko li raggiungeva, affacciandosi preoccupata dalla tromba delle scale.

-Tutto bene?- chiese in allerta mentre la mano guantata di ferro scivolava più vicino all'elsa. Kaito si esibì in una veloce scrollata di spalle prima di intimare ai suoi due colleghi di mantenere il più pacato silenzio; la superficie si stava avvicinando e nessuno di loro poteva sapere cosa si stesse nascondendo fuori da quel passaggio segreto.

La scala terminò prima ancora che il piccolo gruppo potesse realmente avvedersene, i primi raggi di luce naturale filtrarono da sotto alla porta di legno robusto che ostruiva il passaggio verso la libertà. I rumori del castello erano finalmente tornati ad animare il silenzio ed in quel momento una sguaiata risata proruppe dalla bocca di un uomo, scatenando una serie di imprecazioni adirate.

-Ho vinto io anche questa volta!- la voce sgradevole dell'uomo si mescolò al tintinnante rumore delle monete che venivano trascinate sul piano piatto di un tavolino.

-Secondo me stai barando!.- tuonò uno degli altri partecipanti sbattendo rabbiosamente il pugno contro la superficie legnosa, scatenando così l'immediata reazione di tutti gli altri perdenti.

-Siete solo invidiosi della mia grande capacità di giocare a carte! State lontani dai miei soldi, avvoltoi che non siete altro!- gridò mentre una moltitudine sconnessa di suoni si amalgamavano caoticamente insieme. Kaito ridacchiò lanciando un'occhiata d'intesa ai due compagni in attesa di ordini alle sue spalle.

Fortunatamente li trovò già pronti ad affrontare l'imminente battaglia.

Con un velocissimo gesto della mano l'uomo estrasse il pugnale dal fodero, pronunciando allo stesso tempo una breve formula magica.

Il vento fischiò, bramoso di lanciarsi nello scontro; come un piccolo serpente dalle scaglie trasparenti, si arricciò attorno alle falangi affusolate del suo padrone.

-Andiamo, ragazzi.- sorrise prima di schioccare la lingua in un tacito ordine che il piccolo mulinello di vento comprese all'istante.

La magia colpì con forza inaudita il robusto legno della porta, distruggendola in un velocissimo battito di ciglia.

Una pioggia di schegge acuminate si riversò nella stanza, colpendo i tre soldati che animatamente stavano litigando nell'asfittica stanza.

Inappagabili furono le espressioni sconcertate sui loro visi grassocci quando i tre si materializzarono con un grido di battaglia dall'ingresso segreto, ormai da tempo dimenticato dietro uno sfilacciato arazzo dai colori spenti. I soldati crollarono a terra alla ricerca delle loro spade mentre il vento inchiodava i loro piedi al terreno; Meiko incrociò la spada con l'unica guardia che era stata abbastanza svelta da recuperare l'arma attaccata allo schienale della sgangherata sedia su cui sedeva. Il cozzare del metallo contro metallo saturò l'aria, facendo da sfondo alla macabra danza dei due condottieri.

Eppure, di fronte alla bravura spaventosa della donna, la guardia non poté che miseramente soccombere.

Con una serie di rapide stoccate, la guerriera riuscì a penetrare la debole ed insicura difesa dell'uomo, calando così un fendente sulla carne cedevole del polso.

Il sangue subito zampillò dalla profonda ferita imbrattando le dita e la maglia di ferro del nemico, il quale si ritirò gridando come un ossesso.

La punta dei suo gladio toccò tintinnando il terreno quando le dita, ormai inerti, lasciarono la presa sull'elsa scivolosa.

Meiko si fece impietosamente avanti sollevando la lama per porre fine agli strepiti assordanti del malcapitato.

-No, aspetta!- gridò disperatamente Len nell'accorgersi delle sue intenzioni; sporse di scatto la mano in avanti, forse nella vana speranza di bloccare l'offensiva della ragazza.

In un orrido, vomitevole rumore di carne lacerata, la guardia si accasciò a terra sputando un denso grumo di sangue. La vita che illuminava gli slavati occhi dell'armato si spense, come se improvvisamente la sua stanca anima avesse deciso di spegnere la luce e coricarsi.

Il viscido odore ferroso si fece subito tanto intenso che lo stomaco di Len si capovolse; incespicando nei piedi dei due prigionieri, il giovane premette la fronte contro al muro della stanza, rigettando vergognosamente di fronte agli occhi dei suoi due compagni.

Una mano gli accarezzò con delicatezza la schiena mentre le sue viscere tornavano a tranquillizzarsi, lasciandogli sulla lingua un acido sapore di bile.

-Mi dispiace, ragazzo.- sussurrò la voce femminile di Meiko che l'aiutò a reggersi in piedi.

Len scosse la testa, cancellando dal viso la patina di sudore freddo che gli si era incollata alle guance.

-Non mi abituerò mai all'odore del sangue.-

-Questo può solo essere un bene, Len.- disse Kaito raccogliendo dai due soldati svenuti un nutrito mazzo di chiavi arrugginite. Il ragazzo abbassò gli occhi arrossendo appena; la forza del mago e della guerriera fortemente strideva con la sua fragilità.

Avrebbe così tanto desiderato poter possedere la loro determinazione incrollabile.

Kaito dovette indovinare i suoi pensieri poiché, con un sorriso triste, appoggiò una mano tra i suoi capelli scompigliati ed indomabili.

-Non disprezzare queste sensazioni, amico mio. Sono loro a renderci umani.- Kaito fece una pausa mentre il suo sguardo scivolava in basso, verso il proprio cuore che palpitava regolarmente, persino dopo aver assistito una scena tanto cruenta.

-Senza di essi non saremmo che macchine assassine.- aggiunse in un soffio prima di girargli le spalle ondeggiando le chiavi avanti ed indietro.

Un rumore frusciante attirò l'attenzione dei tre compagni; un attimo dopo, una voce rimbombò nel silenzio delle segrete.

-Chi va là??-
Len si fece avanti per seguire il mago, già inoltratosi nelle ombre collose del corridoio adiacente; il freddo gelido della stanza intaccò la sua pelle scoperta, facendolo rabbrividire. Una serie di asfittiche celle vuote si alternavano nel muro gocciolante di umidità, mozziconi di lampade giacevano anneriti ed abbandonati negli anelli di metallo incastonati tra i mattoni.

-E voi chi siete?- domandò la medesima voce mentre un corpo slanciato ed asciutto faceva la sua silenziosa comparsa dietro alle sbarre della prigione più grande. Sul fondo della sala, assieme ad pagliericcio confusamente gettato nell'angolo, una vecchia libreria ospitava qualche libro roso dalle tarme e dagli insetti.

Gli occhi color ametista dell'uomo si adagiarono sui tre compagni studiandone con attenzione i tratti, le larghe maniche del suo vestito viola e bianco frusciarono quando le dita affusolate si chiusero attorno alle sbarre arrugginite della cella.

-Voi siete gli uomini che sono entrati nella stanza durante il mio colloquio con la regina.-

-Bingo, amico. Siamo venuti qui per liberarti.- disse Kaito con un sorriso, sollevando il mazzo che aveva rubato alla guardia svenuta.

L'uomo dai lunghi capelli viola corrugò le sopracciglia, stupito da quell'inatteso aiuto.

-Perché dovreste farlo?-

-Voi uomini dell'Ovest fate davvero troppe domande.- sbuffò infastidito lo stregone infilando nella toppa della cella una delle tante chiavi che confusamente pendevano dall'anello d'acciaio.

Dopo un paio di tentativi sferraglianti, il sistema di chiusura scattò, lasciando libero lo sfortunato consigliere.

-Queste porte avrebbero bisogno di una buona oleata.- commentò Kaito gettando disinteressatamente il mazzo a terra; un topolino squittì terrorizzato quando il rumore intenso del metallo saturò il silenzio tombale delle segrete.

-Non avete ancora risposto alla mia domanda.- sibilò l'uomo tenendosi a debita distanza dai tre compari, fermi di fronte all'arco che conduceva nella stanza da dove erano entrati.

Len analizzò con attenzione i tratti adulti dell'uomo che stava loro di fronte, c'era qualcosa di insolitamente familiare in quegli occhi così intensi, custodi di segreti impronunciabili.

I lunghi capelli viola erano stati raccolti in un'alta coda di cavallo, fermata da un paio di bacchette d'argento.

-Tu...- sussurrò il giovane socchiudendo appena gli occhi nella speranza di mettere a fuoco quella sensazione che serpeggiava sfuggente nei suoi pensieri.

In un lampo, il viso triste della donna che aveva rubato i ricordi di Meiko balenò di fronte ai suoi occhi, ordinando i suoi caotici pensieri.

-Tua madre era al servizio della regina, non è vero?- affermò, cercando conferma delle sue intuizioni nelle iridi indaco dell'uomo che, stupito, inarcò le sopracciglia.

-Come fai a saperlo, ragazzo?-

-Tua madre rubò i miei ricordi quando ero solo una ragazzina.- realizzò Meiko squadrando con amarezza i tratti virili e forti del consigliere.

-Non so di cosa tu stia parlando, guerriera.-

-Scusatemi tanto, amici miei. Non vorrei mettere pressione alla vostra adorabile conversazione ma credo che dovrete continuarla fuori di qui.- esclamò spazientito Kaito intrappolando tra le dita il polso di Len che annuì dirigendosi per primo verso la porta.

-Credete davvero che io vi seguirò?-

-Resta qui e muori, se preferisci. Credevo che volessi fermare quella pazza dai capelli rosa che osa farsi chiamare “regina”.- sbottò esasperato lo stregone voltandosi per fronteggiare l'austero mentore.

-In nome della pace che unisce le terre dell'Est e delle terre dell'Ovest. Io, Kaito, principe del sole nascente, ti chiedo di unirti alla guerra contro il veleno che sta lentamente consumando l'anima di questi fiorenti territori.-

La voce dell'uomo si alzò, tonante contro alle pareti spesse delle segrete.

Il consigliere osservò con attenzione lo stregone, mentre si scostava dal viso la cortina di capelli blu che copriva il suo regale tatuaggio.

-In nome della lealtà che hai giurato alla tua nazione, aiutaci a fermare questa follia.-

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Capitolo 9
*** Non c'è posto per la pietà. ***


Non c'è posto per la pietà ~ Chapter IX 

-Qualcosa deve essere andato storto nell'organizzazione geniale del mio piano di fuga.- sibilò Kaito arretrando con lentezza mentre le sue dita si serravano attorno alla fondina di cuoio allacciata alla sua coscia.

-Non ti facevo così perspicace.- borbottò di rimando Len, mentre l'acciaio strideva nel fodero in un acuto coro di determinazione e subdola paura. Il giovane premette la schiena contro le spalle del mago e della guerriera dei capelli castani; il sudore gocciolò sulle sue tempie imbrattandogli i capelli già mostruosamente sporchi.

Sei armati vestiti di maglia di ferro e pettorine di cuoio scesero di corsa le ripide scalinate che conducevano alle segrete, costringendo i quattro compagni ad arretrare.

-Non fare lo spiritoso, amico. Combatti piuttosto.- grugnì il mago colpendo il primo soldato che aveva osato troppo avvicinarsi.

Il tafferuglio fu più violento di quanto Len si sarebbe potuto immaginare; i sei armati sfondarono in un istante la loro gracile difesa sparpagliandoli nella stanza.

Il fracasso delle lame che scivolavano le une sulle altre divenne ben presto assordante nel pesante silenzio della stanza; la puzza del sudore si mescolò a quello della frustrazione e dell'ansia in un composto acido ed insopportabile.

Un vecchio veterano di guerra incrociò la sua pesante lama a due mani con il giovane dai capelli dorati; i due si squadrarono per un lunghissimo istante, prima di scagliarsi l'uno contro l'altro in un conciato grido di reciproco odio.

Len ed il soldato iniziarono a danzare; il trapestio febbrile dei loro passi presto si fuse a quello letale dei metalli che cozzavano alla famelica ricerca di sangue.

Il dissonante canto della morte si sollevò nella stanza, incollandosi alle pareti delle celle, testimoni di scempi ben peggiori.

Il veterano approfittò subdolamente dell'inesperienza del ragazzo, forando con qualche rapida stoccata la sua fragile difesa.

Len arretrò cercando di difendersi al meglio con le poche basi di scherma che nel corso della sua adolescenza si era divertito ad imparare da autodidatta.

Come poteva davvero sperare di vincere contro un soldato avventuratosi sui veri, desolati campi di battaglia!?

La frustrazione e la rabbia era tale che il ragazzo non si accorse d'essere stato spinto in un angolo coperto da tante ragnatele traslucide.

Len sgranò gli occhi terrorizzato quando il ruvido muro escoriò la pelle nuda delle sue spalle.

Era in trappola; non poteva davvero credere d'essersi fatto ingannare così facilmente.

-Mer..- imprecò a mezza voce cercando accanitamente di far arretrare almeno un po' il furbo armato dalla lunga barba brizzolata.

-LEN!- gridò Kaito indietreggiando per schivare un rapido colpo del suo avversario.

-Sei morto, ragazzino.- tuonò l'armigero in un crudele sorriso sollevando la pesante spada a due mani.

Il tempo sembrò improvvisamente fermarsi.
Len vide alle spalle dell'uomo lo scarlatto colore del sangue imbrattare gli abiti del mago dell'Est; vide il viso arrossato di Meiko e l'espressione concentrata dell'austero consigliere che appena avevano liberato.

Il lezzo dolciastro della morte aveva ormai soppiantato quello della muffa, trasformando quella stanza di controllo in una sorta di piccola, macabra cripta.

Qualcosa nel profondo dell'animo del giovane si frantumò, lasciando nel suo cuore una indelebile, profonda cicatrice.

Non può esserci speranza per un mondo così crudele.” pensò mentre una patina gelata ricopriva i suoi sentimenti, cristallizzando la sua paura, l'orrore ed il disgusto.

E' inutile avere pietà. Il sangue permea ogni singolo granello di questa terra; ciascun sottile filo d'erba.”.

La spada sembrò alzarsi da sola, i muscoli si flessero, tendendosi nervosamente sotto alla sua pallida pelle.

Le stelle, la luna, questo infinito cielo brucia dei sanguigni riflessi di un dolore che mai avrà fine.” pensò tra lacrime segrete mentre la punta della sua spada cozzava contro al rivestimento di cuoio che avvolgeva il petto del soldato.

L'acciaio si fece facilmente strada nella carne morbida del petto; l'uomo, osservò con incredulo terrore la firma scarlatta della morte allargarsi sulla sua tunica color sabbia.

-Tu..-. L'ultimo respiro dell'uomo gli accarezzò il viso, dolciastro ed amaro al tempo stesso.

-Va all'inferno.- sibilò il giovane ritirando di scatto la lama, una miriade di stille viscide piombarono ai suoi piedi.

Il vecchio soldato crollò esanime a terra in un soffice tonfo.

La battaglia era finita.

La morte aveva ormai reclamato i vinti, lasciando i vincitori sporchi e stanchi ad osservare il loro desolato premio. L'austero consigliere si volse in direzione di Len corrugando appena le sopracciglia violette; i suoi occhi si accesero di una dolorosa consapevolezza.

-Un altro ragazzo è stato costretto a crescere troppo in fretta.- mormorò a fior di labbra quando notò nelle sue iridi azzurre il peculiare gelo di chi ha scoperto la crudeltà insita dietro al sorriso del mondo.

-Andiamocene prima che possa arrivare qualcun altro.- sussurrò Kaito volgendo debolmente le spalle alle scale vuote.

-Consigliere, potresti forse indicarci una strada più veloce per raggiungere in segreto l'esterno del palazzo?- chiese raccogliendo dalla tasca posteriore dei jeans l'acciuffata mappa che li aveva condotti sin lì.

-Non chiamarmi più “consigliere”, mago. Il mio nome è Gakupo.- ribatté stizzito l'uomo dai capelli viola prima di chinare il capo per ben ragionare su un eventuale passaggio secondario.

-Andrebbe bene qualsiasi cosa, è sufficiente che non sia la grande porta aurea d'ingresso.- commentò lo stregone studiando velocemente la carta per cavarne qualche utile informazione.

Con il favore del buio però, nessuno si accorse della silenziosa figura che era rimasta sino a quel momento acquattata nell'ombra profonda della tromba delle scale.

Questa si avvicinò con studiata lentezza alle spalle del principe, stringendo tra le mani scivolose di sudore l'impugnatura del suo rozzo pugnale.

Sarebbe bastato un solo secondo in più e quella lama avrebbe tranciato la vita dell'uomo chino sulla cartina sgualcita; fu Meiko ad accorgersi dello scintillio sinistro dell'acciaio nell'ombra.

-NO!- gridò lanciandosi in avanti per bloccare l'avanzata nemica; il piccolo, esile armigero si scagliò fuori dall'ombra gridando come un ossesso. Kaito spalancò gli occhi ma prima ancora che potesse alzare un braccio per difendersi, la guerriera dai capelli castani si mise di mezzo.

La lama del pugnale le incise la spalla priva di protezione, affondando in profondità nella carne cedevole.

-Lurido verme, Hai appena cercato d'attaccare alle spalle un uomo incosciente. Ora la pagherai.- minacciò la donna colpendolo allo sterno con un calcio; il rumore delle ossa che si frantumavano riecheggiò nella stanza.

Il sangue colò lungo tutto l'avambraccio della guerriera, arricciandosi attorno alle falangi coperte di calli; il codardo rantolò cercando di trascinarsi lontano dalla furia omicida della donna.

-Quelli come te non avrebbero neanche il diritto di portare un'armatura.- sputò lei.

Quelle furono le ultime, definitive parole che segnarono l'epitaffio di quel vile armigero.

Meiko afferrò la lama arrugginita del pugnale sfilandoselo dalla carne; con disgusto gettò lontano l'oggetto facendolo tintinnare.

-Dannato bastardo.- ringhiò appoggiando la schiena al muro nella speranza di placare l'inferno che le avvogeva la spalla.

Kaito era rimasto immobile, paralizzato dalla consapevolezza che la donna di cui più non si fidava, gli aveva appena salvato la vita.

-Io..-

-Non dire niente, mago. Portaci fuori di qui.- ringhiò lei serrando tanto forte gli occhi che piccole rughe si arrampicarono su per il viso pallido e sudato. Kaito mi morse a sangue le labbra per poi tornare a rivolgere uno sguardo supplicante nei confronti del consigliere che ora, oppresso anch'egli dalla scomoda situazione, arrotolò nervosamente una ciocca attorno alle dita affusolate.

-Ci sarebbe un passaggio.. Le fogne..- esclamò alla fine rivolgendo un'occhiata trionfante all'uomo dai capelli blu che, di rimando, storse nauseato il naso.

-Non c'è altro modo?-

-No.- commentò Gakupo accostandosi alla guerriera ferita; strappò con i denti una larga striscia del tessuto della ricamata manica del suo vestito viola per poi stringerla attorno alla ferita sanguinolenta.

-Cerca di non muovere troppo quell'arto, questo dovrebbe fermare per un po' l'emorragia. Rimani al centro del gruppo, non potrai fare granché con una spalla ridotta a quel modo.- disse severamente mentre la donna annuiva con lenta frustrazione; sapeva benissimo che la ferita era profonda e pericolosa ma malgrado ciò, la sola idea d'essere di peso opprimeva il suo animo impetuoso.

Gakupo si avviò con circospezione nella stanza scavalcando con rispetto i corpi svenuti dei militari; uno di loro si era messo sommessamente a russare e dalla sua bocca socchiusa colava un po' di bavetta.

Gakupo aprì la strada ed i tre compagni si affidarono ciecamente alla sua conoscenza dei passaggi segreti meglio occultati; lo stregone dell'Est chiudeva la fila tenendosi ben a distanza dalla ragazza che l'aveva salvato, forse per vergogna o semplicemente a causa del divorante senso di colpa che gli rodeva le viscere.

-Siamo arrivati.- disse l'uomo tastando velocemente il muro alla ricerca di uno specifico meccanismo segreto; dopo neanche un paio di secondi il congegno scattò lasciando che l'ennesimo passaggio umido e puzzolente si spalancasse di fronte a loro.

-Questo palazzo è dannatamente complesso.-

-Presta rispetto per gli onorevoli architetti che hanno saputo costruire una tanto geniale opera architettonica.- lo rimproverò acidamente Gakupo prima di avviarsi sui gradini viscidi di muschio con la pietra runica ben alta sopra la testa per indicare la strada ai suoi inesperti compagni.

-Devo stargli antipatico, non fa che rispondermi sgarbatamente.- commentò sovrappensiero il mago mentre scendevano; Len trattenne a stento una risata rischiando di scivolare su uno degli smussati bordi di pietra.

L'odore disgustoso delle fogne non tardò a raggiungerli, serpeggiando su per la tromba delle scale. I quattro rimasero per un attimo paralizzati ai loro posti, le narici in fiamme e gli occhi pungenti di lacrime.

-Dobbiamo davvero scendere lì sotto?- chiese Len premendosi l'avambraccio contro al naso nella vana speranza di attenuare quel terribile fetore.

Gakupo, quasi a rispondergli, tornò a discendere le scale premendosi il bordo del mantello contro al viso cereo.

Il rumore sciabordante dell'acqua torbida delle cloaca annunciò la fine della sinuosa serie di gradini; prima ancora che potessero psicologicamente prepararsi ad arrancare nell'acqua sporca, i loro piedi affondarono per venti buoni centimetri nel canale di scolo.

-E' ripugnante...- imprecò Kaito sollevando di scatto la sciarpa prima che i suoi lembi potessero intingersi nel liquido melmoso. Len cercò con tutto sé stesso di non pensare a cosa si stesse aggirando sotto il pelo della superficie, avanzando attentamente sul fondo tra i miasmi sgradevoli.

-Avanzate ancora.- ordinò Gakupo controllando con una rapida occhiata che tutti i compagni fossero presenti all'appello. Il gruppo avanzò con lentezza nella medesima direzione delo scorrere del canale per quella che sembrò loro una vera e propria eternità; ma alla fine, l'apertura che confluiva all'esterno apparve loro come una sorta di arrugginito miraggio.

Sfortunatamente però, il varco verso la loro libertà era bloccato da una serie di grosse sbarre di metallo conficcate in profondità nella roccia.

-Perfetto.. e adesso?- chiese Len appoggiando i palmi delle mani contro ai fianchi per osservare la breve discesa terrosa che conduceva al fossato sottostante.

-Scansatevi. Mi sono stufato di questa puzza orrenda.- ringhiò Kaito congiungendo le mani in un secco movimento dei polsi; la sua lingua articolò un paio di parole in una sibilante lingua sconosciuta. Il vento cominciò a fischiare innalzando nel canale turbini di stille color melma; i capelli di Kaito si sollevarono, rivelando il tatuaggio che decorava la sua pelle d'alabastro.

La magia sfrecciò avanti avvolgendosi attorno alle sbarre come tanti piccoli tentacoli evanescenti; il mago distese le dita delle mani di modo che l'incantesimo si allargasse ancora di più poi, di scatto, chiuse il pugno.

Il vento sibilò accartocciando tra le sue spire le barre di ferro, il sudore gocciolò lungo il mento dell'uomo mentre lo sforzo prosciugava le sue energie.

Kaito aprì nuovamente le dita, la sua magia rispose stridendo mentre il vento apriva un contorto varco tra le sbarre ossidate.

Quando finalmente il sortilegio si dissipò, Kaito ondeggiò stremato rischiando di scivolare nelle acque della cloaca; Len l'afferrò prima che potesse definitivamente cadere, portandosi una delle sue braccia dietro al collo.

-Ehi! Tutto bene?!-

-Sì, usciamo di qui.- sussurrò lui con il fiato grosso appoggiandosi di peso al giovane amico; le sue ginocchia tremavano come se fossero fatte d'argilla e scendere la china fu un vero dramma. Quando però, coperti di fango arrivarono ai suoi piedi, le condizioni di Kaito erano se peggiorate; il suo viso era una maschera cerea coperta di un velo di appiccicoso sudore freddo.

-Principe.. sicuro di star bene?-

-Mi sento..- la sua voce solitamente così spavalda si spense di colpo, lasciandolo esanime nelle braccia di Len. Il ragazzo barcollò indietro sbilanciato dall'improvviso mancamento dell'uomo; cercò di riprendersi al meglio ma alla fine cadde a terra con Kaito steso sul petto.

-E' svenuto..La magia deve aver prosciugato le sue energie.- Gakupo si chinò in ginocchio passando una mano sulla sua fronte madida di sudore.

-Come facciamo ad andarcene?- domandò Meiko in un gemito reggendosi la spalla zuppa di sangue; il consigliere si guardò desolatamente intorno sollevando di peso il corpo del mago.

-Dobbiamo allontanarci subito.-

-A piedi? Ci avvisteranno in meno che non si dica.-

Un rumore di passi pesanti sul terreno interruppe l'avvilimento dei presenti, diffondendo nel loro cuore la fiammella leggera di una nuova speranza.

-Scusate, voi chi siete? Ma..quello è sangue?- domandò con titubanza la giovane voce di un garzone dai capelli neri; il suoi due ronzini grigi stavano trasportando su un carretto coperto una catasta di legna da ardere. Len lo squadrò con attenzione sorridendogli con delicatezza nella speranza di non spaventarlo, alzò le mani avvicinandosi di un paio di passi.

-Siamo delle sentinelle di sua Maestà Luka.. siamo appena tornati da un lungo viaggio di ricognizione nelle terre vicine..-

-Capisco..- il garzone sorrise smontando da cavallo per avvicinarsi al suo collega, l'innocenza dell'adolescenza ancora decorava il suo viso coperto di piccole bolle.

-Len, che vuoi fare?- chiese in un sussurro impaurito Meiko mentre il giovane si accostava ancora di più allo sconosciuto dagli intrecciati capelli corvini.

-Come posso aiutarvi, miei valorosi amici?- chiese porgendo con premura la sua sacca gonfia d'acqua al ragazzo più grande; lui l'accettò senza battere ciglio percependo contro le dita la piacevole frescura del liquido.

-Sei davvero un bravo bambino.- disse appoggiando una mano contro alla sua spalla, poi senza dargli tempo di replicare, lo colpì al collo con un rapido gesto del polso. Il ragazzino spalancò le iridi crollando a terra privo di sensi; Len lo afferrò prima che potesse toccare terra, depositandolo con attenzione all'ombra del grande palazzo.

-Perché l'hai fatto? Avresti potuto spezzargli il collo!-

-Ora abbiamo due ronzini. Uscire sarà molto più veloce.. Non rendere le cose più difficili di quello che sono, Meiko.- commentò bruscamente afferrando le redini dei due animali tranquilli; le loro criniere ondeggiarono sotto alla leggera brezza spirante da Nord.

Meiko sospirò osservando con desolante tristezza il garzone svenuto.

-Montiamo in sella ed andiamocene da questo posto maledetto.- ringhiò voltando di scatto le spalle al senso di colpa.

Sfortunatamente, la compassione era un lusso che in quel momento nessuno di loro poteva permettersi. 

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Capitolo 10
*** Alain, il garzone dai capelli corvini. ***


Alain, il garzone dai capelli corvini. 

 

Possedere i due ronzini non fu che una magra consolazione per i quattro fuggitivi, sprovvisti di un piano di fuga per allontanarsi dal palazzo senza dover tornare a combattere.

Le condizioni di Meiko sembrano peggiorare di minuto in minuto, Kaito era svenuto e Len non sarebbe di certo riuscito a misurarsi con dei soldati freschi.

Il consigliere si scostò dal viso i capelli sudati, valutando velocemente la situazione; il suo sguardo volò oltre il limite segnato dagli aurei cancelli della proprietà di sua Maestà.

-Se avessimo il potere del mago potremmo spezzare le inferriate..- commentò in un sospiro ansioso per poi grattarsi il mento perfettamente rasato.

Meiko gemette premendosi una mano contro alla spalla; i suoi occhi erano colmi di lucide lacrime che chiaramente stava cercando di non versare.

-Non potreste corrompere una guardia?-

-La notizia di quello che abbiamo fatto non tarderà a propagarsi.. Se non è già successo.- constatò cupamente il consigliere guardandosi alle spalle, lì dove le sbarre di ferro contorto riportavano il segno evidente del loro passaggio.

Len chiuse gli occhi per poi appoggiare il capo contro il collo tiepido del cavallo, il suo cervello si stava freneticamente arrovellando alla ricerca di un piano che gli avrebbe permesso di sfuggire alle grinfie del serpente rosa.

Poteva davvero tutto finire in quella futile maniera dopo tutti i loro sforzi?

Si rifiutava categoricamente di crederlo.

-Sfonderemo l'ingresso. La magia di Kaito dovrebbe ancora essere..-

-E' un piano suicida, lo sai benissimo. Anche ammettendo che la sua magia sia in funzione, cosa di cui fortemente dubito, non tutte le guardie sono state intrappolate nella sua rete.-

Len si morsicò con tanta forza le labbra che il sangue gli raschiò disgustosamente la lingua. Le sue mani istintivamente si serravano attorno alle briglie di cuoio.

-Non esiste nessun passaggio segreto che possa in qualche modo salvarci? Pensaci! Sei il consigliere reale, dovresti conoscere ogni angolo di questo dannato palazzo!- insistette il giovane con un erroneo, fastidioso tono di voce che subito stuzzicò i nervi tesi del suo interlocutore.

L'uomo, in tutta risposta, lo fulminò con un'occhiata tanto gelida che Len ammutolì.

-Presta rispetto, moccioso. E ragiona prima di dar fiato alla bocca. Pensi che se ci fosse stata la più piccola possibilità di fuga, non ve l'avrei già proposta?- sputò con rabbia afferrando il giovane insolente per un polso.

-Hai ragione.. scusami, non volevo.-

-Non importa, pensiamo piuttosto ad uno stratagemma.- grugnì, accarezzando nervosamente la criniera intrecciata del cavallo.

L'animale, totalmente indifferente alla loro angoscia, ruminava l'erbetta che cresceva rigogliosamente.

Improvvisamente, in quel muro di silenzio fatto di piani inconsistenti ed idee spezzettate, una lamentosa voce giovanile interruppe il filo dei confusi pensieri dei fuggitivi.

-Non è stato poi molto carino colpirmi così all'improvviso, signore.-

Len impallidì di colpo quando, voltandosi, vide il garzone dai capelli corvini accarezzarsi con una smorfia dolorante il collo bluastro.

I suoi grandi occhi si erano trasformati in schegge di arenaria, tutta la gentilezza che prima aveva dimostrato era evaporata come neve al sole.

Len deglutì a vuoto nella speranza di placare il senso di colpa risvegliatosi assieme a fanciullo dai capelli scuri

-Questo è compito tuo, non voglio averci niente a che fare.- commentò il consigliere incrociando le braccia sul petto ampio mentre il compagno gli indirizzava uno sguardo scocciato.

-Sei davvero gentile.- sputò acidamente facendosi avanti per placare la giustificata rabbia dell'inserviente che nel frattempo si era avvicinato.

-Mi hai fatto male, sai?- sibilò il ragazzo scostandosi dal collo i capelli attorcigliati per mostrargli cosa aveva fatto.

-Mi dispiace tanto..- sussurrò mortificato.

Len abbassò il capo frugando nell'erba alla ricerca di una qualsivoglia, stupida bugia che avrebbe potuto giustificare la sua azione.

Ovviamente però, non ne trovò alcuna.

-Perché mi hai colpito?-

Len incrociò gli occhi chiari del ragazzino e tutto quello che poté fare fu dirgli la verità.

-Stiamo scappando. Ci servivano i tuoi cavalli.-

Il garzone corrugò ancora di più gli occhi, stringendo tanto forte i pugni che le sue nocche sbiancarono; Gakupo borbottò qualche parola incomprensibile, probabilmente riguardante la sciocchezza che Len aveva appena compiuto.

-Ascoltami, ragazzino..-

-Smettila di apostrofarmi in quel modo, straniero. Mi chiamo Alain.-

Len espirò a fondo cercando di trovare le parole giuste per affrontarlo ma, non essendo mai stato bravo con i bambini, si ritrovò ad annaspare impotente in un mare di parole inadeguate.

-Non sai proprio farci con le parole, lasciatelo dire.-

-Senti, non so cosa fare per potermi far perdonare ma...-

Alain fece un altro passo avanti sorridendo con tanta affilata furbizia che le parole del giovane miseramente avvizzirono sulla lingua, lasciandolo in attesa di ciò che il ragazzino aveva chiaramente intenzione di digli.

-Io avrei un'idea.- dichiarò ponendosi le mani sui fianchi prima di alzare il mento con alterigia e squadrare da capo a piedi il suo interlocutore; Gakupo soffocò a stento una risata mentre Len si grattava esasperato la nuca.

-Siete fuggitivi, giusto? Bene, allora portatemi via da qui.- disse d'un fiato mentre i suoi occhi brillavano di tanto profonda speranza che il giovane uomo ne rimase commosso.

In quelle iridi metalliche si nascondevano ben più profonde ferite di cui mai avrebbe conosciuto l'origine.

Gakupo decise finalmente di intervenire; facendosi avanti con il suo passo cadenzato si inginocchiò per far si che le sue iridi violette incontrassero quelle del bambino.

Alain arricciò le labbra in un broncio, convinto che quel rigido consigliere avrebbe tentato di dissuaderlo dal suo intento; le manine coperte di terre si serrarono attorno al braccio della sua veste di seta.

-Non dirmi che sarà pericoloso! Io non voglio restare qui.. Io vi servo! So come farvi fuggire da qui!-

Gakupo corrugò appena le sopracciglia coprendo la piccola mano con le proprie dita affusolate. Un fiotto di amara tristezza gli graffiò le pareti del cuore quando in quel visino contratto rivide la propria traumatica infanzia, le lacrime dolorose di una perdita che mai sarebbe stato pronto ad affrontare.

-D'accordo. Mostraci la via, Alain.-

-Dici davvero?!- dissero in coro il ragazzino e Len, appuntando gli occhi sull'uomo che ancora inginocchiato intrecciò le proprie dita a quelle del garzone dai capelli scuri.

-Indubbiamente. Ora portaci via.- disse conducendolo verso i due ronzini che pazientemente attendevano ruminando l'erba. Meiko rivolse un'occhiata indecifrabile in direzione di Gakupo mentre questi aiutava a far salire il ragazzino sulla groppa del destriero color terra.

Len aiutò delicatamente la guerriera a montare mentre Gakupo già indirizzava il muso dell'animale.

-Seguitemi.- ordinò dando speroni al destriero che, sbuffando per il peso, partì al galoppo lungo il muro esterno del palazzo.

Len, cingendo la sua compagna con le braccia, afferrò le redini per poi affondare i talloni nei fianchi della bestia.

La loro breve cavalcata terminò quando gli zoccoli dei cavalli raggiunsero il limite più estremo dei cancelli reali. Len sgranò gli occhi nello scorgere in lontananza la silhouette di una piccola costruzione fatta di travi di legno e fieno; questa era stata costruita in prossimità delle alte inferriate, quasi per sfuggire dall'ombra prodotta dall'imponente mole del castello.

Al fianco della bottega, una serie di ciocchi di legno grezzo erano confusamente accatastati, probabilmente in attesa d'essere spezzati e condotti all'interno del castello.

-Quella cosa sarebbe?-

-E' l'officina dove la legna viene trattata e spezzettata.. Sai, sua maestà ed i suoi servi non hanno mai avuto intenzione di spaccarsi le unghie con la dura corteccia di faggio.- disse con amarezza il bambino prima di smontare e far cenno ai suoi nuovi compagni di viaggio di imitarlo.

-Da qui in poi i cavalli non ci serviranno più.-

-Come faremo a passare, Alain? La bottega si appoggia sulle inferriate..-

Il ragazzino si esibì in un sorriso tutto storto che fece ben comprendere a Gakupo di che pasta era fatto quell'esserino dai capelli neri.

Len circondò la vita di Meiko con un braccio mentre il consigliere si caricava in spalla l'esanime corpo del mago dell'Est; Alain squadrò la compagnia con un pizzico di preoccupazione prima di avanzare velocemente verso la porta socchiusa della casupola.

-Spero non sia una trappola..- mormorò la guerriera.

Quando i quattro compagni varcarono la soglia, l'odore della segatura e della legna stuzzicò i loro nasi rischiando di farli starnutire. L'interno della casupola era molto più equipaggiata di quanto avessero potuto constatare da una rapida occhiata all'esterno poco curato.

Sulla sinistra un piccolo camino sporco di chiazze unte di cibo era stato sapientemente incassato in un angolo per non privare l'ambiente di troppo spazio.

Dal lato opposto un cigolante letto a castello era stato alla meno peggio appoggiato alla parete, le lenzuola penzolavano silenziosamente dal materasso superiore.

Sul letto più basso, un grasso uomo di mezz'età stava tranquillamente sonnecchiando con un bicchiere vuoto di vino a penzolargli tra le dita.

Un rivolo di bavetta stava disgustosamente lungo il suo doppio mento mentre il riporto di finti capelli scendeva a scoprire il capo glabro del falegname.

Alain storse stomacato la bocca prima di porsi l'indice di fronte alle labbra sottili; in punta di piedi cominciò a raccattare le poche cose disperse per la stanza che gli sarebbero servite per viaggiare.

Facendo poi molta attenzione, il giovane sfilò dalla cintura dell'ubriacone il mazzo di chiavi tintinnanti.

Con un sorriso trionfante il ragazzino si accostò a loro stringendo tra le mani lo stelo dei piccoli oggetti di rame.

-Cosa ci fai adesso?- chiese il consigliere in un sussurro appena percettibile, controllando che il carpentiere fosse ancora avvolto nella rete dei suoi ineffabili sogni.

-Quando dorme, nemmeno il suono di un cannone è in grado di svegliarlo.. però facciamo comunque piano.- li rassicurò il ragazzino facendo loro cenno di seguirli verso il fondo della casetta, lì dove una massiccia porta di legno di quercia era sprangata da una trave di ferro arrugginito.

Alain scostò i tanti attrezzi che disseminavano il sudicio pavimento della catapecchia per poi sollevare con maggior delicatezza possibile la sbarra che bloccava l'uscio.

I cardini mal oleati produssero un lunghissimo, orrendo cigolio nel momento in cui il ferro iniziò a scivolare verso il basso; il sangue di Len si trasformò in tanti cubetti scarlatti quando Alain rivolse un'occhiata circospetta alle proprie spalle.

-Fa presto.- lo esortò serrando nervosamente le dita attorno al fianco di Meiko che, sobbalzando appena, appoggiò la testa contro alla spalla sana in un gemito appena percettibile.

-Per favore, Alain.-

Il ragazzino cominciò velocemente ad armeggiare con il folto mazzo di chiavi alla frettolosa ricerca di quella che avrebbe potuto aprire la strana serratura.

Quando finalmente trovò quella adeguata, il portone si spalancò pesantemente verso l'interno, quasi mosso da una forza invisibile.

Alain sorrise esultante, mostrando con un rapido gesto della mano il piccolo cancello che si apriva nel fitto alternarsi dell'inferriata.

Gakupo sgranò gli occhi quando il ragazzino dai capelli corvini si mise a lavorare di fronte alla toppa del cancello.

Nel corso dei suoi tanti anni passati a palazzo mai aveva sentito parlare di quel varco segreto.

-Come mai tu ed il falegname disponete di questo passaggio secondario? La regina ne è a conoscenza?-

-Dovrebbe.. non sono io ad occuparmi di queste cose. Sono solo un garzone, il mio compito è quello di trasportare la legna dentro e tornare qui. Niente di più.- disse alzando indifferentemente le spalle prima di imprecare a denti stretti per la frustrazione.

Mano a mano che i secondi scivolavano tra le loro mani impotenti, il pericolo di poter essere trovati ed arrestati cresceva esponenzialmente.

-Ci siamo!- ringhiò colpendo con una spallata la barriera di metallo.

Questa si spalancò con inaspettata facilità ed Alain perse l'equilibrio incespicando goffamente in avanti. Il consigliere cercò di agguantarlo per il colletto della maglietta, ma fu troppo lento.

Rotolando contro al terreno duro appena fuori dall'inferriata, il ragazzino scoppiò a ridere massaggiandosi con una smorfia la piccola escoriazione che si era appena procurato sulla guancia.

Len ammirò con incredibile felicità il passaggio di fronte ai suoi occhi, bello come un'oasi nel mezzo di un deserto. I

l rumore metallico della coppa che rotolava a terra destò i tre giovani dall'estatico momento di contemplazione spingendoli ad affrettarsi lungo le strade sature di gente.

I ricchi abitanti del quartiere borghese della capitale non fecero minimamente caso al loro veloce passaggio; eventualmente si soffermarono sul viso slavato del mago dell'Est che ancora penzolava inerte dalle spalle del mentore.

-Disgustoso.- commentò un'anziana signora scuotendo il capo contornato da una nuvola di acconciati capelli bianchi come la neve.

-Se solo sapesse..- sussurrò Meiko in un rantolo strozzato premendo la mano contro alla spalla ferita.

Len aveva avuto la brillante idea di circondare le spalle della ragazza con la propria cappa per nascondere gli identificativi disegni sulla sua armatura.

-Continua a camminare, non guardarle in viso.- disse sorreggendola dolcemente per la vita mentre la donna si calcava sui capelli castani il cappuccio del mantello.

Quando finalmente i loro piedi toccarono le mattonelle divelte del quartiere malfamato, una nuvola di cattive notizie li avvolse come un soffocante veleno.

-Ho sentito dire che il castello è stato attaccato!-

-Sì, ho sentito anche io questa notizia.. Certo che quei guerrieri hanno avuto un bel coraggio! Sfidare il serpente rosa non è da tutti.- commentò un uomo nerboruto facendo ondeggiare nel boccale la birra che era rimasta sul fondo del bicchiere. La comare si tolse la sporcizia da sotto alle unghie alzando gli occhi al cielo.

-Ma che coraggio e coraggio.. I suoi soldati adesso rivolteranno il nostro quartiere per trovarli! Non ci hai pensato, zuccone?- berciò colpendo con un sonoro colpo al capo l'adulto, che con un risolino, fece quasi cadere il boccale.

-Questa non è sicuramente una notizia positiva.-

-Siamo in trappola.- sussurrò Gakupo facendo cenno ai suoi compagni di ritirarsi in un vicolo buio che si insinuava proprio tra due tozzi palazzi dal lato opposto della strada.

Alain alzò il viso verso gli adulti tirando la larga, sudicia manica dell'abito dell'uomo dai capelli viola.

-Possiamo uscire dalle porte principali.-

-Ragazzo, non essere sciocco. Le porte..-

-Sono scarsamente controllate in momenti come questo.- concluse con un cipiglio offeso il bambino mentre scuotendo la testa con aria di superiorità squadrava con disinteressato interesse il passaggio di un gatto spelacchiato.

-Credete forse che non ci siano state delle insurrezioni popolari nel corso del tempo? Solo nell'ultimo mese, dimostrazioni pacifiche si sono trasformate in vere e proprie guerriglie.- Alain si strinse nelle spalle allo spaventoso ricordo dell'odore soffocante della polvere da sparo, mescolata a quello del fumo denso degli incendi.

-Il palazzo non dispone poi di tanti soldati e quindi, per compensare, devono ridurre la guardia alle porte.-

il sorriso del ragazzino si fece impertinente, appuntito come la punta di una lancia. Gakupo inarcò attonito le sopracciglia di fronte alla sua scaltrezza ma ovviamente non disse niente, limitandosi stoicamente ad annuire.

-Sei sicuro di quello che dici, Alain? Se decidiamo di fidarci delle tue supposizioni, avrai sulle spalle la responsabilità di ben cinque vite..- le parole del mentore si fecero dure come l'acciaio mentre il bambino gonfiava orgogliosamente il petto.

-Sono sicuro. Potete fidarvi di me.-

Gakupo sibilò tra i denti appoggiando poi una mano tra i capelli del ragazzino; le sue dita si soffermarono tra i riccioli intrecciati.

Non avrebbero mai avuto speranza in uno scontro frontale, le loro possibilità di salvarsi sarebbero state pari a quelle di un neonato posto di fronte alla bocca famelica di un leone.

Per quanto l'idea lo inquietasse, non restava loro che fidarsi di quel garzone.

-Facciamolo. Partiremo questa notte.- 

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Capitolo 11
*** Nessuno sfugge al serpente. ***


Nessuno sfugge al serpente. ~ Chapter XI

 

La notte calò lentamente sulla grande Capitale del serpente; il sole si nascose insonnolito dietro alle dolci colline che caratterizzavano il fruttifero paesaggio.

Le tenebre reclamarono i propri possedimenti divorando in un solo boccone il vasto agglomerato di case dipinte e catapecchie fatiscenti. Un claudicante lampionaio cieco da un occhio iniziò ad accendere i pochi e tozzi lampioni che costellavano qui e là la via.
Mano a mano che la notte progrediva, tingendo il cielo delle sue eleganti tinte scure, le bettole iniziarono ad animarsi in una tintinnante allegria fatta di birra e risate sguaiate.
Individui di tutte le età si rintanarono in quei buchi maleodoranti, boccali gocciolanti di birra iniziarono a viaggiare di tavolo in tavolo mentre labbra bramose trangugiavano il liquido nella speranza di cancellare con l'ebrezza la traccia delle loro disgrazie.
L'ultimo gradino della disperazione umana sprofondava nel residuo ambrato di alcool scadente.
Un uomo dalla barba incolta uscì dalla porta di uno dei tanti cadenti locali stringendo nella mano il polso di una giovane ragazza in lacrime; lei gridò graffiando a sangue la pelle coriacea dell'individuo, che quasi non sembrò far caso a lei.
Solamente grazie all'intervento di un corpulento oste la cameriera riuscì a fuggire per tornare nell'abbraccio pericoloso di quelle mura gonfie di umidità.
In quel degradato sfondo di gente ubriaca e sorrisi languidi, cinque figure sfilarono silenziosamente per le strade più strette ed isolate, tenendosi ben lontani dalla luce fioca dei lampioni.
Len rabbrividì segretamente quando un gatto spelacchiato e magro quanto la fame passò loro di fronte soffiando minacciosamente; Alain lo scacciò, battendo un piede per terra prima di tornare a scodinzolare dietro l'autoritaria figura del mentore.
Kaito era finalmente rinvenuto e, malgrado non avesse recuperato del tutto le forze sottrattigli dalla magia, si era imposto cocciutamente di camminare sulle proprie gambe fino all'entrata della città.
Meiko non aveva detto una sola parola per tutto il corso di quelle ansiose ore di stasi; le avevano cambiato la bendatura per cercare di darle anche il benché minimo sollievo, ma i loro tentativi erano stati vani.
Il sudore freddo ricopriva il viso cinereo, i suoi passi erano sempre più insicuri, tanto che Len dovette accompagnarla per evitare che cadesse.
C'era qualcosa che non andava in quella ferita.
-Ci siamo quasi.- la voce di Gakupo li raggiunse leggera come un alito di vento, mettendo in allerta tutti i presenti. Un gufo solitario solcò il cielo battendo le grandi ali argentee, il
suo richiamo gutturale si disperse nella notte come un oscuro presagio.
Len chiuse gli occhi pregando silenziosamente che il loro piano suicida funzionasse.
Altrimenti, al sorgere del sole, i loro visi sarebbero stati appesi come un macabri decori sulle picche situate tra i merli della reggia.
-Siete pronti?-
Alain deglutì a vuoto nella speranza di cacciare l'ansia che gli accartocciava le viscere; Len sfilò dal fodero la lama, tenendola ben nascosta sotto alla cappa del mantello.
-Ragazzo, te la senti ? Il tuo compito è rischioso.. se dovessero solamente fiutare la puzza di intrigo..-
-Posso farcela.- bisbigliò lui guardando coraggiosamente dritto di fronte a sé.
Il garzone si scostò dalla fronte gli appiccicaticci capelli scuri, aggiustandosi poi la tunica logora che gli fasciava il petto. Gakupo gli appoggiò una mano contro alla sua spalla prima di sfilare dalla cintura il pugnale sottile; la lama catturò una scintilla di luce, proiettandola sul muro scrostato del vicolo in cui si erano rintanati.
Alain si fece avanti con passo cadenzato e zoppicante, il suo corpicino scivolò inosservato fuori dall'ombra come quello di un gatto randagio in cerca di cibo. La sua magrezza ed un po' di cenere sulle guance avevano contribuito a renderlo un vero e piccolo mendicante dall'aria cenciosa.
Il coprifuoco non era ancora passato e, fortunatamente, le pesanti porte della città erano spalancate verso l'esterno. Per quanto risultasse strano, le sentinelle non sembravano aver ricevuto alcun ordine riguardante la chiusura anticipata degli ingressi alla città.
Evidentemente il serpente rosa era convinto di riuscire a catturarli prima dello scoccare del fatidico orario.
Non aveva di certo messo in conto che uno dei suoi scaltri, anonimi inservienti avrebbe potuto aiutare nella fuga coloro che avevano così profondamente ferito il suo orgoglio principesco.
-Scusate, onorabili signori..- cominciò con voce flebile non appena la sua presenza divenne percepibile persino agli assonnati soldati che montavano la guardia in attesa di poter finalmente serrare i portoni.
-Ehi, guarda..- disse il più vecchio e corpulento dei due, dando il gomito al proprio compagno.
Questi indirizzò uno sguardo divertito al bambino straccione che si stava avvicinando con una ciotola in mano. Alain cercò di non darsela a gambe, imbrigliando i suoi tremanti sentimenti.
Sapeva di potercela fare, il consigliere aveva risposto in lui la sua fiducia.
Tutto dipendeva da lui, ora.
-Signori.. abbiate pietà..-
-Vattene, ragazzino.- gridò il primo dei due spuntando a terra, a pochi passi dai piedini del piccolo. Alain trattenne a stento una risposta pungente, atteggiando le labbra in un broncio che avrebbe commosso persino la più fredda delle rocce.
-Ho fame..-
-Questo dovrebbe essere un problema nostro?! Cercati un lavoro e smettila di infastidire gente per bene come noi.- disse il soldato magro facendosi avanti con un sorriso crudele a dipingergli le labbra.
Alain alzò il capo controllando a che distanza lo sciocco armigero si fosse fermato e poi, gettando via la maschera che fino a quel momento gli aveva addolcito i tratti, ghignò con la stessa ferocia di un furetto.
-Mi dispiace deludervi!- sibilò prima di scagliare avanti il braccio e rovesciare in faccia al soldato il contenuto era rimasto ben celato sul fondo della scodella.
Polvere, terra e sassolini gli piombarono in faccia accecandolo.
L'adulto si coprì gli occhi imprecando oscenamente mentre l'altro suo compagno rideva come un idiota, facendo muovere la flaccida pancia contenuta a stento dalla pettorina di cuoio.
Nessuno dei due sembrava aver udito lo stridente rumore delle forbici delle Parche.
Len e Gakupo sgusciarono fuori dalle ombre veloci come il pensiero; con un sibilo di determinazione piombarono addosso ai due ignari armigeri.
Il consigliere conficcò la lama nella carotide dell'uomo con un solo movimento del polso. Questi spalancò gli occhi crollando a pancia in giù, le labbra socchiuse in un richiamo che nessuno avrebbe udito.
Len superò di corsa il corpo morente del primo soldato, caricando gelidamente il colpo che avrebbe posto fine alla vita del secondo.
L'uomo non poté che contemplare impotente il filo della lama sollevarsi verso l'alto e poi affondare con facilità nella sua flaccida carne.
Le mani grassocce si chiusero tremanti attorno alla spada, mentre il giovane spingeva ancora più a fondo l'acciaio.
Un conato di vomito ribaltò lo stomaco del povero Len quando scorse negli occhi morenti del suo avversario il filo del destino spezzarsi in uno schiocco sommesso.
L'uomo crollò in ginocchio e spirò guardando negli occhi la personificazione del crudele dio della morte che l'aveva privato dei suoi ultimi anni.
Alain era rimasto immobile, la ciotola penzolante in una mano; il suo visino di bambino era terribilmente sbiancato ma a giudicare dalla sua espressione, mai avrebbe lasciato trapelare un solo briciolo di debolezza.
-Andiamocene.- sussurrò cupamente Gakupo, trascinando nell'ombra il corpo esanime del soldato. Il garzone si affrettò a coprire con qualche manciata di terra scura le pozze di sangue che si erano formate di fronte al portone d'ingresso.
Len ritirò la lama pulendola contro alla divisa dell'uomo che aveva dovuto sacrificare.
Un indicibile gelo gli morse le carni, ogni suo sentimento scivolò via come se fosse stato olio.
-Ottimo lavoro.- concordò il consigliere facendosi cautamente avanti per controllare se qualche altra guardia si fosse nascosta dietro al portone con lo scoppio del tafferuglio.
Alain cominciò a saltellare sul posto ondeggiando a destra e sinistra le braccia magre per catturare l'attenzione dei due compagni che erano rimasti nascosti.
Non avevano molto tempo per allontanarsi e, considerando le pessime condizioni in cui vessava la guerriera dai capelli castani, la loro fuga sarebbe stata un vero e proprio martirio.
Non appena i cinque vennero inghiottiti dalle spalancate fauci della notte, i loro sensi vennero brutalmente annullati. Gakupo ed Alain arrancarono alla ricerca del miglior sentiero percorribile, cercando nei diamanti grezzi che rifulgevano in cielo la giusta direzione da seguire.
Len, dal canto suo, teneva d'occhio i due debilitati compagni; Kaito era pallido, i capelli blu erano un vero e proprio disastro ed era chiaro che faticava a seguire il passo febbrile del consigliere e del ragazzino. Meiko era persino ridotta peggio; il suo viso si era ormai trasformato in una tavola di gesso, brividi febbricitanti le accapponavano la pelle ogni qual volta un refolo di vento li colpiva.
La donna improvvisamente inciampò finendo bocconi nell'erba secca, la sua spalla tornò macabramente a sanguinare emettendo un sottile filo di sostanza giallastra.
Len imprecò a denti stretti, rivolgendo un'occhiata terrorizzata al consigliere; questi si inginocchiò morsicandosi le labbra con tanta forza che la pelle rischiò di lacerarsi.
-Si è infettata..-
-Che cosa significa?-
Lo sguardo di Gakupo si fece cupo come le ombre che avvolgevano il paesaggio.
-Se non intervengo alla svelta... morirà.-
Kaito trattenne impercettibilmente il fiato scrutando a sopracciglia corrugate il sudore che imperlava il viso dolce della guerriera.
-Ci sarà pur un modo per salvarla..- mormorò quasi tra sé senza osare rivolgere il benché minimo sguardo in direzione degli altri presenti.
Il senso di colpa aveva avvelenato ogni sua singola parola.
-C'è, mago.. Ma non riuscirò ad intervenire in tempo se rimaniamo qui.- disse aiutando il giovane Len a sganciare i gambali ed i pesanti bracciali dell'armatura della donna.
-Non.. pettorale..lasciatelo..- ansimò la donna coprendosi in un debole abbraccio il busto, lì dove la bellissima corazza ammiccava sotto alla mite carezza degli astri.
-Fate come dice.- replicò sbrigativamente Gakupo prima di aiutare la donna a salire sulle spalle di Len che, consegnando la propria arma al mago, tentò di non pensare alla fatica che già gli fiaccava le gambe.
Fortunatamente, la loro marcia si velocizzò permettendogli di raggiungere nel giro di una scarsa mezz'ora il folto bosco che contornava la capitale.
Quando finalmente raggiunsero l'intricato e spinoso sottobosco, i loro nervi iniziarono a sciogliersi lentamente, diffondendo sulle loro carni tutta lo sfinimento di quelle intense ore di adrenalina.
Alain tenendo rasente al terreno la pietra runica che gli aveva dato lo stregone stava attentamente scrutando il terreno alla ricerca di un sentiero più agevole che potesse permettere ai quattro adulti di procedere più facilmente.
Meiko cercava di non piagnucolare più di tanto ma la ferita sembrava non darle pace; il viso di Kaito si incupiva ad ogni suo rantolo mentre il consigliere si mordeva impotente le labbra cercando di accelerare il passo senza però sfiancare il giovane dai capelli biondi.
Marciarono per tutta la notte attraverso quella selva, procedettero per lo più a tentoni tra i fitti rami degli alberi nella speranza di allontanasi il più possibile da quel luogo maledetto.
Alla fine però, dopo ore di interminabile terrore e fatica, l'alba li sorprese con il suo caldo sorriso dipingendo tutt'attorno una serie di delicate sfumature color pastello.
Gakupo asciugò una stilla di sudore dalla fronte per poi darsi una rapida occhiata attorno, alla ricerca di un nascondiglio in cui rifugiarsi.
-Alain vedi niente?-
Il ragazzino si mordicchiò le labbra accarezzando con le mani i tanti tronchi coperti di resina.
Lasciò che il suo sguardo scorresse sul variegato paesaggio che lo circondava ma, a dispetto delle speranze del consigliere, lui scosse desolato la testa scura.
-Non conosco la zona, e così ad una prima occhiata non noto niente di significativo.-
-Dannazione..- bisbigliò Kaito colpendo con un pugno l'albero a cui si era appoggiato per riposare i muscoli sfibrati.
Il ragazzino abbassò la testa tirando pesantemente su con il naso, come se quel suo fallimento avesse in qualche modo frantumato il suo orgoglioso cuoricino.
-Alain, non prendertela con te stesso. Non è colpa tua.- sussurrò l'uomo dai capelli viola prima di premere dolcemente una mano sulla sommità del suo capo scompigliato.
Kaito imprecò nuovamente tra i denti prima di chinare un ginocchio a terra e spalancare le braccia; il vento cominciò a fischiare mentre i suoi capelli ondeggiavano, mossi dall'anelito della magia.
-Non giocare con il fuoco, mago! Se usi troppa magia prima di..- lo rimproverò il consigliere facendo un veloce passo avanti per bloccare l'audace compagno.
-Questo incantesimo è molto semplice, non metterà a rischio la mia incolumità. Quindi presta silenzio ed osserva.- ansimò prima di chiudere a bozzolo le mani.
Le sue dita si mossero appena, quasi come se stesse modellando un fragile pezzetto d'argilla.
Nel momento in cui le sue mani si schiusero, un uccellino dalle evanescenti fattezze batté le ali, cinguettando una incomprensibile melodia fatta di sbuffi.
Kaito annuì prima di muovere le labbra e slanciare le braccia verso l'alto; la creatura magica prese il volo, sfrecciando veloce nelle invisibili correnti che muovevano le nuvole.
-Se siamo fortunati, in due minuti avremo un nascondiglio in cui riposarci.-
-Come fai a sapere che il responso sarà corretto?- chiese Gakupo rivolgendo un'occhiata scettica al mago accucciato per terra.
L'uomo sorrise appena, scoprendo in un ghigno impertinente i denti perfetti.
-Perché i suoi occhi sono i miei occhi.- mormorò rivolgendo il proprio sguardo in direzione del consigliere.
Le sue iridi, prima blu come il profondo ventre del mare, si erano trasformati in due cristallini pezzi di ghiaccio. Gakupo inarcò impressionato le sopracciglia quando scorse, riflesso in quelle pozze ghiacciate, lo scorrere veloce delle punte frondose degli alberi.
Sembrava quasi che il mago stesse cavalcando i venti con le proprie ali, sorvolando la fitta foresta.
Kaito tossicchiò, prima di premere una mano sulla fronte e gemere debolmente.
-Che succede??- Len appoggiò una mano sulla spalla del suo nuovo amico, preoccupato dal pallore che nuovamente gli aveva catturato le guance.
Kaito appoggiò le proprie dita contro quelle del compagno per rassicurarlo.
-Signori e signore, preparatevi a fare una bellissima, ristorante dormita.-
In quel momento, quasi a rispondere a quella spavalda affermazione, il sacrale silenzio della foresta venne lacerato dal cupo richiamo dei corni di guerra.
Len sentì il terrore scivolargli sulla schiena in tanti cubetti ghiacciati.
Il serpente li aveva trovati.
 

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Capitolo 12
*** Un miracolo gelido come ghiaccio. ***


Un miracolo gelido come ghiaccio. ~ Chapter XII

 

-Dove diamine è questo nascondiglio, mago? Sicuro che tu non abbia visto male?- ansimò concitatamente Gakupo sollevando appena l'orlo sporco della sua vesta da consigliere.

Len rantolava alle loro spalle, reggendo con fatica il corpo febbricitante della guerriera; Alain era di fronte a loro con la pietra runica ben chiusa nella tasca della tunica.

-La mia magia non sbaglia.- ribatté stizzito mentre i suoi piedi si muovevano sempre più fiaccamente lungo il percorso di sassi ed infide radici sporgenti.

-Lo spero.-

Improvvisamente, proprio mentre quelle parole scivolavano fuori dalle labbra protese del consigliere, il suono scrosciante dell'acqua riempì l'aria assieme al frizzante odore di terra bagnata. Len socchiuse gli occhi quando un ventaglio di particelle liquide gli sferzò il viso accaldato dalla corsa.

I suoi occhi si dilatarono, stregati dallo spettacolo manifestatosi magicamente di fronte a loro.

Una bellissima cascata scrosciava su un muro di rocce verdastre di muschio, i riflessi cristallini dell'acqua erano intensificati dalla carezza del sole nascente.

Un ampio laghetto contornava il tutto, lambendo in piccole onde l'accozzaglia di rocce smussate.

Per quanto il paesaggio fosse ameno, la radura di bassa vegetazione e cespugli frondosi non sembrava celare nessun potenziale nascondiglio per quattro persone adulte.

-Mago!- tuonò il consigliere afferrandolo per il bavero della sudicia camicia; l'uomo lo allontanò prima ancora che le parole potessero schiaffeggiarlo.

-Silenzio, consigliere.- ringhiò digrignando i denti.

In passi lenti si accostò al lago, seguendo il filo evanescente dei ricordi lasciati dal suo piccolo amico d'aria.

Il mago scandagliò velocemente la zona senza però trovare quel che la sua magia gli aveva indicato; che si fosse davvero sbagliato?

I suoi incantesimi non aveva mai fallito e non voleva credere che in un momento tanto delicato la sua sapiente abilità l'avesse abbandonato.

Improvvisamente, un lampo di comprensione gli attraversò le tempie, facendo così sgorgare sulle sue labbra un trionfate sorriso.

-Venite qui, veloci.- ordinò ai suoi compagni prima di inginocchiarsi e toccare con le dita la superficie dell'acqua.

-Che diamine stai facendo?-

-Presta rispetto, uomo malfidato. Adesso vi porterò nel nostro nascondiglio.-

Il consigliere spostò il suo sguardo sulla distesa d'acqua gelida corrugando confuso le sopracciglia sottili.

-Non dirmi che..-

-Esatto, mio caro amico.- sibilò il mago prima di alzarsi facendo cenno a Len d'avvicinarsi.

Il ragazzo biondo fece come gli veniva ordinato, incapace ormai anche solo di articolare un pensiero coerente.

La stanchezza aveva ridotto le sue ossa in polvere, la sua pelle in una distesa dolorosa di ecchimosi e lacerazioni.

Il mago prese Meiko tra le braccia prima di deporla con attenzione sul terreno soffice presso la riva; le dita affusolate circondarono il suo viso in una carezza simile a quella di un amante.

Kaito chiuse gli occhi abbassando appena il capo, piccole rughe si arrampicarono sulla liscia pelle della sua fronte mentre una pulsante luce blu sfavillava tra i suoi polpastrelli.

Il consigliere trattenne il fiato quando una bolla d'aria scivolò a ricoprire l'epidermide della guerriera ferita.

-Ecco fatto. Così non dovremmo avere problemi nel trasportarla.- ansimò, asciugandosi con il dorso della mano un paio di fastidiose gocce di sudore. Alain si avvicinò curiosamente, le sue piccole dita cozzarono contro alla liquida superficie magica senza però riuscire a trapassarla.

-Sai nuotare?- chiese bruciapelo il mago, cercando gli occhi del curioso garzone.

Il bambino si irrigidì, continuando però a giocherellare indifferentemente con la scorza che baciava il viso di Meiko.

-Ce..certo!-

Kaito afferrò per un braccio il ragazzino voltandolo in sua direzione senza troppa gentilezza. Gli occhi chiari del bimbo si dilatarono per il timore quando il mago afferrò con la mano libera le sue guance.

Il consigliere fece un passo avanti, ringhiando come un padre protettivo.

Un paio di ruvide parole schioccarono sulla lingua protesa dello stregone; la magia rispose al suo misterioso richiamo, arricciandosi attorno alle sue dita serrate. Un'altra bolla d'aria inglobò dunque anche il visino di Alain che si ritrasse di scatto, toccando incredulo il piccolo palloncino che gli galleggiava attorno al capo.

-Ora possiamo andare.-

-Sei davvero una delle persone più strane che io abbia mai conosciuto.- borbottò il consigliere prima di sfilarsi dalla testa l'ingombrante veste talare. Len osservò stupito la tunica che sotto costituiva l'ennesima parte del ricco abbigliamento da mentore.

-Non guardarmi così. So benissimo che è ridicolo portare addosso tutti questi abiti.- commentò lui in uno sbuffo prima di sistemarsi l'indumento attorno alla vita.

Kaito si sistemò la sciarpa attorno alle spalle prima di immergersi con veloce sicurezza nello specchio limpido; le sue labbra furono scosse da un tremito.

Una breve risata eruppe dal suo petto, stemperando la vibrante tensione che gravava su di loro.

-E' gelida.-

-Zitto ed immergerti. Puzzi da fare schifo.- Scherzò Len prima di aiutare l'uomo a calare lentamente la guerriera nell'acqua. Kaito storse le labbra quando avvertì il peso dell'armatura gravargli addosso; ma oltre a quella piccola smorfia, non osò proferir parola.

Alain, Len e Gakupo si immersero subito dopo, cercando di non pensare all'abbraccio ghiacciato che mordeva la loro carne.

Le labbra del ragazzino si tinsero subito di una preoccupante sfumatura bluastra mentre Meiko gemeva, tremando per il violento sbalzo termico.

-Seguitemi.- sussurrò il mago prima di prendere un intenso respiro e sprofondare come un piccolo sasso blu verso il ventre del lago.

Alain strinse spasmodicamente la mano di Len prima di rincorrere nelle profondità oscure il compagno dai capelli color zaffiro.

Il giovane prese un bel respiro prima di farsi coraggio ed abbandonare la superficie.

Il buio lo inghiottì non appena il suo corpo scivolò verso il basso, lì dove i pesci sciamavano spaventati dalla presenza umana.

Per un attimo, Len credette seriamente di morire.

I suoi sensi vennero ferocemente annullati da quella prigione di acqua ghiacciata; le tenebre erano tutto quello che riusciva a percepire, il freddo stava lentamente creando una patina ghiacciata sulla sua pelle nuda.

Il fiato sfuggì dai suoi polmoni, materializzandosi in tante piccole bollicine sopra il suo capo; con due rapidi colpi di gamba cercò di tornare in superficie per riprendere fiato. Prima che potesse però allontanarsi troppo dal fondale melmoso, una mano artigliò il suo polso strattonandolo nuovamente verso il basso.

Len si dibatté terrorizzato; i polmoni gli dolevano per la mancanza d'aria, tutto il suo corpo fremeva per tornare verso la sicurezza dell'ossigeno.

Un altro violento strattone lo trascinò in fondo ed in quel momento, un paio di preoccupate e severe iridi violette si ancorarono al suo viso.

Solo in quel momento i muscoli del giovane sembrarono calmarsi.

Gakupo lo trascinò attraverso il breve tragitto che divideva il nascondiglio dal centro del lago. Len emerse in un concitato coro di colpi di tosse, brividi incontrollabili e palpitazioni accelerate; i suoi occhi dolenti si fissarono sul viso preoccupato dell'uomo che ancora lo sorreggeva.

Il luogo segreto che la magia di Kaito aveva miracolosamente trovato, era una larga piattaforma di pietra incassata nella parete esterna del lago.

Il mago, Alain e Meiko erano già al sicuro su di essa, tremanti nelle loro vesti fradicie ma finalmente al riparo.

-Tutto bene?-

-Sì, più o meno.- tossicchiò Len aggrappandosi alla struttura di pietra con entrambe le mani prima di tirarsi su con titanica fatica.

-Muovi i muscoli il più possibile. Devi riattivare la circolazione; sei stato troppo tempo in acqua.- sussurrò Kaito scrollando il capo fradicio per poi togliersi i vestiti di dosso e strizzarli nel lago. Len cercò di dar retta al consiglio del suo compagno, malgrado sentisse il dolore colpire con tanti spilli gelidi le sue fibre muscolari.

-Ho bisogno del vostro aiuto. Ora.- disse severamente il consigliere, cogliendo l'attenzione di tutti i presenti.

Meiko piangeva silenziosamente, chiusa nella sua prigione di strazio; tante piccole lacrime di sangue scendevano ad imbrattare il tessuto lacero e nero della sua casacca.

-Devo operare.-

-Qui?-

-Volete che muoia?- abbaiò frustrato prima di slacciare dalla cintola un'anonima sacca di pelle che sino a quel momento era rimasta nascosta sotto ai drappeggi della tunica talare.

Con un rapido movimento delle mani raccolse i capelli fradici tra gli spilli d'argento, per poi adagiare la sacca al suo fianco.

-Aiutatemi a slacciare la placca pettorale.- ordinò ancora bloccando all'altezza delle spalle le maniche della sua veste. Len sollevò con più delicatezza possibile il busto della donna mentre Kaito armeggiava con la fibbia.

Dopo qualche imprecazione, finalmente l'oggetto abbandonò il petto della donna.

Gakupo prese in prestito la lama del giovane dai capelli biondi, tagliando il tessuto sporco attorno alla spalla ferita.

Quando l'uomo scostò il lembo zuppo di sangue raggrumato, una smorfia di angoscia gli distorse le labbra.

-Il pugnale di quel pezzente era arrugginito.- sputò prima di controllare a che profondità fosse arrivata l'infezione.

Filamenti di denso materiale purulento scivolavano lungo la pelle lattea della donna, mescolati al liquido scarlatto.

-Alain, non guardare.- ordinò Len nell'accorgersi che il bambino si stava progressivamente avvicinando ai tre adulti concentrati.

-Non mi fanno impressione le ferite.- dichiarò piccato, appoggiando le manine contro ai fianchi.

Kaito sollevò il capo di scatto e con una sola, fulminante occhiata lo mise a tacere.

-Hai tutto l'occorrente qui?-

-Non ho le mie erbe..-

-Ti prego, non dirmi che non possiamo salvarla..- la voce del mago si incrinò sotto il peso lacerante del senso di colpa; le sue iridi ghiacciate si trasformarono in un vero e proprio turbine di emozioni contrastanti.

-Non posso garantirti che riuscirò a aiutarla, ma tenterò il possibile.- sussurrò prima di fare cenno ai due uomini di bloccarle le braccia per evitare che si muovesse durante l'operazione.

Il processo di purificazione della ferita fu lento e doloroso; Meiko gridò straziata ogni qual volta gli oggetti incidevano la pelle, eliminando parti putrescenti della ferita slabbrata.

Gakupo operava sapientemente i punti giusti, impedendo l'eccessiva fuoriuscita di sangue. Osservando quei lenti movimenti, Len comprese quanta conoscenza, abilità medica e passione si celasse dietro al viso austero dell'uomo.

Il mentore adagiò a terra i suoi strumenti incrostati di sangue, poi estrasse dal fondo della sacchetta una polverina verdognola.

-Avevi detto di non aver portato le tue erbe.-

-Questa è solo una formula cicatrizzante. Aiuterà la ferita a rimarginarsi più velocemente per impedire l'ingresso di altri agenti esterni.- la sua voce, solitamente così salda e sicura, venne scossa da un paio di stanchi sussulti.

Anche la pietra che componeva la pelle del consigliere si stava sgretolando sotto al peso della stanchezza.

-Non posso fare altro per lei.-

-Sì, invece. Domani andrò a cercare le erbe che ti servono.- disse d'un fiato Kaito prima di abbassare lo sguardo ed accarezzare con una mano la guancia pallida della donna.

-Lei mi ha salvato la vita. Ora tocca a me ricambiare il favore.-

Gakupo lo osservò in silenzio prima di togliersi anche la tunica fradicia. Qualche goccia d'acqua scivolò a lambire i pettorali dell'uomo che, rabbrividendo, si sedette a gambe incrociate sul terreno.

-Dobbiamo far si che i nostri vestiti si asciughino.-

-Accendere un fuoco qui sarebbe un suicidio.-

-La mia era una semplice affermazione. Come avrai perspicacemente notato, manca la materia prima per accenderlo, genio.- commentò acido l'uomo dai capelli viola prima di starnutire sommessamente.

-Qualcuno qui si è preso il raffreddore.- cantilenò lo stregone dondolandosi avanti ed indietro come un bambino. Len si svestì a sua volta, malgrado la sola idea di rimanere a petto nudo in quel buco umido lo agghiacciasse.

Kaito si sfregò le mani contro le spalle nella speranza di riscaldare almeno un po' la pelle intirizzita dal freddo.

-La via più semplice per riscaldarci..-

-Non osare neanche nominare quelle parole, consigliere. Altrimenti giuro che darò di stomaco.- borbottò rivolgendogli un'occhiata disgustata.

L'altro alzò istantaneamente gli occhi al cielo, stufo di sentir le risposte acide del fastidioso compagno dell'Est.

-Sono semplici tecniche di sopravvivenza.-

-Preferisco morire assiderato piuttosto che..-

Len si alzò in piedi di scatto, bloccando così l'ennesima, velenosa frecciatina del mago.

-Ragazzi, mi fareste la cortesia di smetterla? Siamo in una situazione difficile e comportarci da poppanti non ci aiuterà.- il giovane prese un bel respiro chinandosi in ginocchio di fronte allo stregone, che capricciosamente, voltò il capo dall'altra parte.

-Kaito, per favore.-

-Se credi che un paio di occhioni chiari possano muovermi dalle mie convinzioni, ti sbagli di grosso.- dichiarò schifato prima di abbracciarsi le ginocchia e sottolineare così il suo ostinato rifiuto.

Len si massaggiò le tempie, sinceramente esasperato da quel comportamento infantile; alla fine però decise di lasciar perdere, andandosi a sedere al fianco dell'altro uomo.

Alain li raggiunse di corsa accucciandosi tra loro come un piccolo pulcino tremante; Gakupo gli arruffò i capelli bagnati mentre respirava sulle mani chiuse.

-Lei si prenderà un raffreddore così.- constatò innocentemente Alain prima di tirare rumorosamente su con il naso. Len arrossì appena senza rispondere, il consigliere si schiarì la voce, ignorando la constatazione del ragazzino.

-Meiko ha problemi più gravi di un raffreddore da affrontare, piccolo.-

Il bambino si chinò in avanti, analizzando da vicino il volto coperto di sudore freddo.
Un'angoscia profonda congestionò il suo visino.

-Sopravviverà?-

Il silenzio piombò sui tre uomini pesante come un macigno.

Nessuno osò rispondere.

In quel momento, Meiko stava giocando una partita difficile con la morte ed i risultati sicuramente non vertevano a suo favore.

Alla fine, la voce di Gakupo risuonò cupa nel piccolo antro umido.

-Non lo so piccolo. Non lo so.-

 

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Capitolo 13
*** Un passato celato dietro il profilo di una cicatrice. ***


Il passato celato dietro il profilo di una cicatrice. ~ Chapter XIII

Gakupo si addormentò non appena la sua pelle si riscaldò un poco; allo stesso modo, il piccolo Alain cominciò a russare sommessamente dopo neanche mezz'ora, accoccolato sulle gambe del consigliere come un gattino.

Kaito era rimasto cocciutamente in silenzio, chiuso nel proprio inferno di bollente senso di colpa.

I suoi occhi sembravano essersi cementificati sul viso della guerriera, i pensieri sfrecciavano come ombre nelle sue pupille spente.

-Len, dimmi una cosa..- la voce dell'uomo rimbalzò contro le pareti rocciose della piccola grotta, tanto roca da spaventare il sonnolento ragazzo biondo.

-Sopravviverà?-

Il ragazzo abbassò desolatamente lo sguardo, osservando con preoccupazione il colorito malato dell'infezione propagarsi sulla pelle tesa.

-Non sono in grado di fare una previsione, Kaito. Non sono un medico e sinceramente..- cominciò a dire prima che il mago alzasse di scatto il suo sguardo dilaniato.

-Dammi una cifra a cui aggrapparmi, te ne prego.- la sua voce tremolò come una fiammella esposta ad un ruggente vento invernale.

Len rimase per un attimo nel più totale silenzio, stupito dalla fragilità presente nella voce dell'uomo che gli sedeva di fronte.

Aveva sempre creduto che il mago fosse stato forgiato nella pietra al momento della sua nascita ma, in quel momento, il ragazzo comprese che nei momenti più difficili, anche le rocce più dure si spezzano.

-Credo che abbia non molte possibilità di salvarsi, Kaito. Oserei dire un venticinque percento, considerando l'umidità e la mancanza delle erbe giuste per trattare l'infezione.- un nodo di angoscia gli impedì di terminare chiaramente la frase; non voleva che Meiko morisse, non dopo tutto quello che avevano passato per uscire da quelle dannate mura.

Il mago abbassò nuovamente il capo, premendo la fronte fradicia contro le braccia conserte. I suoi capelli si ricoprirono di delicate perline d'acqua che, ondeggiando appena, caddero sulla robusta punta dei suoi stivali.

Sembrava che tutto il suo corpo stesse piangendo.

-Non posso davvero credere che la prima persona che abbia mai tentato di proteggermi stia morendo di fronte ai miei occhi..- sussurrò a fior di labbra, lasciando che le parole rivelassero un dolore ormai vecchio di anni.

Len riuscì a scorgere con spaventosa chiarezza la ferita aperta che fino a quel momento era rimasta gelosamente nascosta nell'anima dell'uomo.

-Nessuno aveva mai fatto tanto per me. Ora, perché proprio lei? Perché non posso far niente se non osservarla impotente mentre scivola verso la morte ?- sibilò amaramente l'uomo, affondando le unghie nella pelle morbida dei palmi delle mani.

Len rimase immobile, quasi trattenendo il fiato per paura di disturbare ed interrompere lo sfogo emotivo del proprio compagno di viaggio.

Kaito ridacchiò dolorosamente, stringendo di riflesso le gambe contro il petto, come se volesse proteggersi da qualcosa che gli stava incidendo la pelle.

-Sai, nel corso della mia vita non ho mai trovato nessuno che abbia dimostrato un briciolo di interesse nei miei confronti.- il passato sfavillò sulle rocciose pareti della caverna, trascinando i due ragazzi indietro nel tempo, lì dove risiedeva il sorriso triste di un bambino dimenticato.

-Sono l'ultimogenito della numerosissima famiglia di mio padre. Per colpa di questa mia sfortunata condizione sono sempre stato l'ultima ruota del carro, il ragazzino indesiderato, l'eco lontana di una voce sconosciuta.-

I bellissimi occhi color zaffiro si persero nelle trame spinose della sua infanzia, spesa in sola compagnia della sua ombra.

-Non ho mai avuto un amico. Nessuno trovava particolarmente interessante rivolgermi la parola, a partire dai miei onorevoli fratelli sino ad arrivare al più basso degli stallieri.-

Len non faticò minimamente nell'immaginare il ragazzino triste e solitario che Kaito era stato; gli sembrò quasi di scorgerlo, seduto in disparte in uno dei tanti angoli del lussuoso palazzo del Sultano.

-Mia madre morì nel darmi alla luce; così, anche il suo affettuoso amore mi venne ingiustamente negato. Mio padre non sapeva neanche che una delle sue tante concubine gli avrebbe dato, nel giro di qualche mese, un altro discendente.- la voce dell'uomo si fece affilata come il filo di un pugnale, le sue iridi si screziarono di ripugnanza.

Len venne inghiottito dalle spire del passato mentre le parole di Kaito continuavano a dipingere a chiare, vivide tinte le esperienze di un bambino costretto a crescere troppo in fretta.

-Un giorno, per cercare di farmi notare da mio padre, andai a caccia. Volevo catturare uno dei rari conigli dal pelo d'avorio che si aggiravano per le foreste del nostro reame. La leggenda narrava che la loro peluria fosse più morbida di qualsiasi altra pelliccia al mondo; non c'era regalo più adatto per un sultano..-.

Il piccolo Kaito si inoltrò a passi felpati nella foresta, l'arco pronto nelle mani callose. Un sorriso impaziente gli solcava le labbra mentre i suoi occhi percorrevano con avida precisione ogni singolo centimetro del fitto sottobosco. Se solo fosse riuscito a catturare quel coniglio, suo padre finalmente l'avrebbe ricompensato con uno dei ruvidi sorrisi che aveva avuto il piacere di ammirare solo da lontano.

Quella volta, il suo regale orgoglio sarebbe solo stato rivolto al più piccolo e valoroso dei suoi figli.

Kaito pregustava già sulla lingua il sapore della vittoria; non vedeva l'ora di sentire le dita forti del padre carezzargli il capo.

Improvvisamente, un lampo di pelo bianco entrò nella sua visuale facendolo sobbalzare; un paio di orecchie si mossero dietro un frondoso cespuglio costellato da tante, rotonde bacche color tramonto.

Kaito scattò in avanti, sollevando senza esitazione la potente arma che aveva segretamente trafugato dall'armeria reale. I suoi muscoli si tesero, la metallica punta della freccia catturò una stilla di luce, riflettendola in un letale sfavillio. Sfortunatamente però, il desiderio frenetico di catturare quella bestiola cancellò del tutto la cautela che fino a quel momento il bambino aveva scrupolosamente mantenuto.

Il piccolo sapeva quanto la foresta potesse essere infida e crudele con coloro che non prestavano la necessaria attenzione ai suoi innumerevoli tranelli.

Kaito cominciò a correre in direzione dell'animale, senza accorgersi dal rapido cambiamento della consistenza del terreno che, passo per passo, si faceva sempre più molle e bagnato.

Quando finalmente le orecchie dell'animale arrivarono a sicura portata di tiro, i piedi del ragazzino scivolarono infaustamente lungo il crinale fangoso di un fiume.

Kaito piombò nell'acqua gelida senza che potesse realmente rendersi conto di ciò che era appena accaduto; una fitta di dolore incandescente gli esplose in testa quando i polmoni respirarono un fiotto di liquido. Le correnti cominciarono violentemente a sospingerlo a destra e sinistra come un bambolotto disarticolato; tutto il suo corpo urtò più e più volte contro il fondo melmoso, prima che il bambino riuscisse disperatamente a riemergere.

Le sue unghie si aggrapparono ad una scivolosa roccia coperta di muschio mentre, cercando di trattenere i singhiozzi, lui cominciò a gridare.

-Vi prego, aiutatemi!- strillò con tutto il fiato che aveva in gola, stringendo tanto forte il masso da sentire i palmi delle mani tagliarsi.

-Kaito, sei tu?- una voce incredula ma deliziosamente familiare raggiunse le orecchie del ragazzino.

Sulla sponda del fiume, interamente vestito con la ricca tenuta da caccia, c'era suo fratello Hisayuki il quartogenito della famiglia.

-Fratello, ti prego, aiutami!- implorò il bambino cercando però di non mostrare le proprie lacrime come ben si confaceva ad un principe del suo rango.

Hisayuki rimase immobile per un paio di lunghi secondi prima di scoppiare crudelmente a ridere, sollevando uno dei perfetti sopraccigli. L'intarsiata balestra che reggeva al fianco scintillò, quasi come se anch'essa si stesse prendendo gioco della sofferenza del bambino.

-Perché dovrei, moccioso? Rischiare la mia vita per salvare la tua? Non se ne parla neanche.- i suoi occhi verdi si socchiusero, bramosi di potere e autorità.

-Nessuno si accorgerà della tua scomparsa a palazzo. Poi, per quanto tu possa essere insignificante, sei un concorrente in meno al trono di nostro padre. Riposa in pace, fratello.- ringhiò prima di caricarsi la balestra in spalla ed andarsene, richiamato dalle preoccupate voci della sua scorta.

Il cuore del ragazzino si frantumò in pezzi tanto piccoli che neanche il più dolce degli amori avrebbe mai potuto ripararlo.

Rimase immobile, ancorato a quella roccia come una piccola cozza; le sue dita si erano tanto irrigidite che quando finalmente un cacciatore accorse per aiutarlo, faticò ad allontanarlo dallo scoglio.

Kaito aveva ormai perso sensibilità in tutte le parti del suo gracile corpicino, le labbra viola gli facevano tanto male che neanche le lacrime sarebbero servite a lavare via il dolore.

Il cacciatore lo ricondusse tra le sicure mura del palazzo, al cospetto dell'indaffarato sultano.

-Mio onorevole signore, ho trovato suo figlio nel fiume, il piccolo ha rischiato d'affogare.- l'uomo dalla folta barba scura si inginocchiò di fronte al trono cosparso di ricchi cuscini di seta e cachemire.

Il sultano si voltò appena sulla sua seduta d'oro, facendo frusciare i bellissimi abiti di satin colorato.

-Sparisci dalla mia vista, cacciatore. Non vedi che sono impegnato?.-

-Ma, signore..-

-Sentinelle, portatelo fuori e ricompensatelo per il nobile gesto appena compiuto.- ordinò il sovrano, soffermandosi acidamente sulla parola “nobile” come se quella definizione lo infastidisse.

Le guardie subito intervennero, allontanando il signore a suon di spintoni e imprecazioni sputate tra i denti; gli occhi slavati del gentile cacciatore incontrarono quelli spenti del bambino in una muta richiesta di scuse.

Il popolano troppo tardi aveva compreso che quel suo benevolo gesto non avrebbe reso il ragazzino felice come immaginava; senza volerlo, l'aveva appena ricondotto tra le sbarre dorate della sua enorme prigione.

-Figlio, dove sei stato?- chiese con burbera voce l'anziano dai capelli di neve.

-A caccia, padre.- sussurrò Kaito cercando di non dar a vedere quanto dannatamente fosse spaventato da quegli impassibili occhi turchesi.

-Chi ti ha dato il diritto di uscire?-

-Nessuno padre. Volevo farti una sorpresa portandoti..-

-Non mi interessa quali sono le tue ragioni. Mi hai deluso, ragazzo.- le dita grassocce del sultano si mossero, richiamando la febbrile attenzione del piccolo, in piedi di fronte all'immenso scranno d'oro.

-Togliti la maglietta.-

-Perché, mio onorevole padre?- chiese timidamente Kaito, cercando di farsi il più piccolo possibile di fronte a quel muro di severità. Le guardie rimasero in silenzio mentre il sultano si alzava, scendendo con passo pesante i quattro scalini che lo dividevano dal frutto del suo seme.

-Ubbidisci.- ringhiò prima di allungare il braccio verso uno dei suoi fedeli armigeri in un muto, ma chiaro ordine. Una frusta di nero cuoio intrecciato scivolò tra le dita del monarca davanti lo sguardo allucinato del ragazzino che, inciampando nei suoi stessi piedi, finì a terra.

-Ti prego, padre. Non lo farò più, lo prometto sulla mia stessa vita!-

-Sentinelle, toglietegli la maglietta.-

Mani crudeli si aggrapparono alle gracili spalle del ragazzino strappando il tessuto fradicio dell'indumento.

Kaito cominciò a dimenarsi come un cerbiatto catturata dal una tagliola; il terrore soffocò ogni pensiero razionale, trasformando il suo sangue in schegge ghiacciate.

Il soldato lo bloccò contro una delle tante colonne che sorreggevano le ampie volute della sala del trono; gli affreschi mozzafiato che arricchivano la nuda pietra scrutarono impotenti le lacrime del bambino cadere in una scia umida tra i suoi piedi.

-Padre..- implorò per l'ultima volta mentre il freddo granito aderiva alla surriscaldata pelle del suo petto. L'uomo lo colpì impietosamente con il tacco dello stivale di camoscio, lasciando impressa sulla pelle del fondo schiena un'impronta pulsante.

-Se oserai dire una sola parola in più, giuro che ti farò rimpiangere questo tuo sconsiderato uso delle corde vocali.- tuonò il sultano prima di far schioccare a terra la pericolosa estremità della frusta.

Kaito si morse la lingua e serrò gli occhi, aspettando che il tormento cominciasse.

Fu persino peggiore di quanto si fosse immaginato.

Il dolore lo avvolse come un bacio di fuoco; la sua pelle urlò, lacerandosi ogni qual volta il cuoio colpì la sua schiena.

Il sangue sgorgò dalle slabbrate ferite lasciate dalla furia dell'uomo che osava definirsi suo padre.

Kaito gridò tanto forte che qualche soldato abbassò gli occhi, sconfitto dall'orrore della scena.

Dopo qualche minuto di fustigazione, il sultano abbandonò il ragazzino, stufo delle sue urla ossessive; con un disinteressato gesto della mano, lanciò a terra la frusta macchiata di rosso.

Il bambino crollò in ginocchio credendo sinceramente di morire; il dolore della carne straziata si andava sommando a quello di un'anima tradita, ormai dimentica di tutte quelle ingenue speranze a cui si era per anni aggrappata.

Kaito terminò bruscamente la propria narrazione, tornando alla fredda atmosfera presente; i suoi occhi si erano involontariamente ricoperti di un velo di lacrime.

-Ora capisci, Len? Questo è l'unico amore che io abbia davvero conosciuto nella mia vita. Un affetto doloroso, che ha lasciato sulla mia pelle la traccia dei suoi baci.- sussurrò voltando le spalle all'amico per poi sollevare la maglietta che ancora umida gli avvolgeva il petto. Un pallida ragnatela di cicatrici si rincorrevano tra le sue scapole, scivolando lungo tutto il sinuoso profilo della sua spina dorsale. Len premette una mano contro le labbra, cercando di sopprimere il moto d'orrore che era risalito a graffiargli la gola.

Come poteva un padre aver ridotto in quello stato uno dei suoi figli?

-Ora, ragazzo, conosci ogni singola sfumatura del mio essere. Non so perché ti abbia fatto dono di questo mio crudele passato ma..-

Len sorrise, sollevandosi piano per non destare i due compagni che ancora dormivano beatamente; il piccolo Alain si mosse nel sonno, abbracciando con tenera dolcezza la vita del consigliere.

-Invece lo so.-

Kaito sollevò incuriosito un sopracciglio, voltandosi a guardare in viso il suo giovane collega.

-Sentiamo, quali sarebbero queste ragioni?-

-Semplice, tu ti fidi di me.-

Il mago soffocò a stento una forte risata quando quelle ingenue parole riempirono l'aria.

-Da quanto queste cicatrici furono impresse sulla mia schiena, non ho più saputo che cosa significasse “fidarsi”, Len. Come puoi credere che qualche giorno e peripezia passata con te possa avermi fatto cambiare idea?-

La voce suadente dell'uomo risuonò più dura di quanto Len avesse immaginato, ma ovviamente non si lasciò intimorire dall'acidità insita nelle sue parole.

-Siamo amici, Kaito. Che tu lo voglia o meno.- il sorriso del ragazzo biondo si allargò quando gli occhi azzurri dello stregone rotearono esasperati verso il cielo.

-L'amicizia è una delle medicine più potenti che esistano, non c'è ferita del cuore o dell'anima che possa resisterle. Ti prometto che riuscirò a trasformare quel tuo ghigno arrogante in un sorriso riconoscente.-

La mano callosa del ragazzo si tese nello spazio che li divideva.

-Questa è una sfida.-

Kaito arricciò le labbra verso l'alto, afferrando con decisione le dita fredde di quel cocciuto ragazzino.

-Per quanto mi dia fastidio ammetterlo, spero sinceramente che tu vinca, Len.-

 

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Capitolo 14
*** Non la lascerò morire. ***


Non la lascerò morire. ~ Chapter XIV

Non c'è fine alla disperazione, come non c'è fine al dolore che il cuore di un uomo può provare.

Rin si sollevò dal gelido giaciglio in cui sino a quel momento aveva riposato; le ossa le facevano così male che avrebbe voluto piangere.

Con un sospiro a stento trattenuto si massaggiò la gola gonfia e dolorante, segno che gli effetti collaterali della sua preghiera non erano ancora svaniti.

Il buio stava lentamente gocciolando sulle pareti della grotta come se improvvisamente si fosse trasformato in un'entità liquida.

La notte stava avanzando, lasciandosi alle spalle le grida disperate di un sole morente.

Rin osservò atterrita le ombre moltiplicarsi negli angoli come tanti piccoli microbi. Nessuno davvero sapeva quale cupo terrore si celasse dietro le luminose stelle della notte; nessuno, fatta eccezione per lei, aveva scoperto quale fosse la vera faccia un mostro.

Cercando di non produrre il benché minimo rumore, la giovane vestale si alzò dal pagliericcio nella speranza di porre fine al dolore che le inchiodava gli arti.

Senza prestare attenzione al freddo gelido del pavimento pietroso, volteggiò sotto la piccola fenditura che si spalancava nel soffitto della grotta.

Il fazzoletto di cielo nero era cosparso di minuscoli frammenti brillanti, tutto era immobile come se l'universo fosse stato immerso in un vasetto di ambra.

Quella finestra sul mondo era la sola cosa che Rin, in quei lunghissimi anni di solitudine, aveva avuto la possibilità di ammirare.

Era stata l'unica, luminosa speranza che forse, un giorno, sarebbe riuscita ad evadere da quel luogo di strazio e paura.

Il ciondolo a forma di chiave musicale che le pendeva sul seno cominciò a palpitare, diffondendo nella sua mente tante immagini evanescenti.

Rin si aggrappò a quel filo di ragnatela, sfiorando con lo sguardo i tratti del giovane ragazzo che da qualche settimana aveva cominciato a popolare le sue vuote giornate.

Malgrado non sapesse con certezza chi fosse, la fanciulla non riusciva a non rispecchiarsi in quei tratti spaventosamente somiglianti.

Un sorriso le scolpì le labbra mentre con le mani raccoglieva quel tiepido oggetto di metallo; per quanto la cosa potesse essere assurda, amava credere che quel bel guerriero fosse suo fratello.

In quel momento, uno stridulo raschiare di artigli colse la sua attenzione, distruggendo brutalmente l'entusiasmo che le aveva invaso il cuore.

La giovane si girò di scatto, impreparata al furioso ruggito che straziò l'aria ; il ciondolo sfuggì dalle sue mani mentre con un gemito si copriva le orecchie.

Una segreta lacrima le solcò la guancia.

L'incubo, anche quel giorno, stava per avere inizio.

 

-Len! Che ti prende?! Amico, mi senti?- un paio di fresche mani si chiusero attorno al viso del giovane, destandolo bruscamente dal suo sogno.

Il ragazzo balzò a sedere guardandosi attorno convulsamente; i suoi occhi scivolarono sul terreno nudo alla disperata ricerca di quella figura che gli era appena apparsa così vividamente in sogno. Il ciondolo bruciava contro il suo torace, mangiucchiando dolorosamente la pelle appena sotto lo sterno.

-Dov'è? Dov'è mia sorella?- le dita del ragazzino affondarono nella pelle morbida delle spalle del compagno, strattonandolo in basso verso il suo viso congestionato.

Kaito sbatté un paio di volte le palpebre gonfie, afferrando con più delicatezza possibile il polsi dell'amico.

-Qui non c'è tua sorella.-

-Rin.. Dove sei?- quelle lamentose parole sfuggirono dalle sue labbra assieme a due lunghe, infantili lacrime di debolezza. Quell'illusione così vivida, probabilmente derivata dall'azione del magico ciondolo, aveva inciso nel suo cuore l'ennesima, sanguinolenta cicatrice.

Kaito si sedette sui talloni, chinando il capo per rispettare silenziosamente il dolore dell'amico. In un'altra occasione si sarebbe bonariamente preso gioco di quelle lacrime, ma in quel momento, ben conosceva quale sofferenza stesse stritolando l'animo del collega.

-La salveremo.- sussurrò prima di appoggiargli una mano tra i capelli e sorridere, dolcemente come da anni non era più riuscito a fare.

Len cancellò con il palmo della mano le perle salate che gli graffiavano le guance, la vergogna colorò di un acceso tocco porpora il suo viso.

-Sono davvero patetico.-

-Non lo sei. Le lacrime non sono segno di debolezza.- Kaito si passò una mano sul viso quasi a ricordare le innumerevoli volte che aveva pianto in silenzio di fronte ai suoi fratelli più grandi.

-Sai, nel mio paese natio si dice che quelle stille umide abbiano un incredibile potere curativo. Ogni qual volta si versano delle lacrime, l'anima è finalmente in grado di respirare.- Kaito si lasciò cadere a terra, i polpacci doloranti per la scomoda posizione in cui era stato sino a quel momento.

I riflessi azzurri dell'acqua scintillavano come lampi sulle pareti, donando così all'atmosfera un qualcosa di squisitamente magico.

Il silenzio calò tra i due giovani uomini che, chiusi ognuno nei suoi pensieri, fermarono lo sguardo su quell'ipnotica danza.

D'improvviso, uno sbadiglio decisamente poco signorile interruppe il minuto di riflessione stabilitosi tra i due compagni di viaggio; Kaito arricciò le labbra in una smorfia maligna.

-Ben svegliata, principessa.- tubò il mago rivolgendo un'occhiata al consigliere.

I capelli viola si erano sciolti, ricadendo in tante ciocche arruffate sulle spalle e sulla schiena nuda.

-Per un secondo ho sinceramente pensato che la tua brutta faccia derivasse da un piatto particolarmente pesante mangiato prima di andare a dormire.- commentò l'uomo raccogliendo sbrigativamente le crine in una storta coda di cavallo.

Kaito colse al volo la frecciatina, plasmandola con fulminea velocità per rivolgerla contro lo stesso consigliere.

-Doveva essere una pietanza alquanto prelibata se hai avuto il piacere di sognare me.-insinuò indicando con la mano aperta la propria silhouette.

Len non poté fare a meno di sorridere quando Gakupo roteò gli occhi verso l'alto, spostando, nel frattempo, il piccolo Alain dal proprio grembo.

L'uomo tastò velocemente la propria ricca veste per controllare se fosse asciutta, poi la depositò con cura sulle gambe di Meiko, immobile nel suo sonno malato.

Gakupo armeggiò con le rozze bende che aveva precedentemente applicato, sciogliendo con abili dita i vari nodi che le bloccavano.

Quando queste scivolarono via dalla ferita, il pus gocciolò a terra lasciando dietro di sé una giallastra scia puzzolente.

Il viso di Kaito perse istantaneamente la sua simpatica ironia, le occhiaie che gli incidevano il viso sembrarono farsi più marcate mentre le spalle si incurvavano sotto il peso della consapevolezza.

-Dimmi quale erba è necessaria per salvarla.-

Gli occhi del mentore si abbassarono, analizzando con inutile lentezza le lacerate labbra della ferita.

-Se invece ti dicessi che ormai non c'è più niente da fare?- la voce dell'uomo si fece fredda come la pietra, dimentica di ogni sentimento che strettamente non fosse ricollegato al suo professionale ruolo di guaritore.

-Non lo accetterei, consigliere.-

-Morirà, Kaito.-

Il mago serrò di scatto la mascella facendo cozzare i denti; le sue mani si chiusero a pugno mentre in un ringhio si scagliava avanti con irruenza.

Kaito colpì il medico al petto, atterrando sul suo torace di peso; le dita si chiusero attorno alle sue spalle, tanto forte da lasciare su di esse i segni delle unghie.

-Tu menti!-

-Non ti sto ingannando. Per salvarla servirebbe un miracolo.-

Kaito sembrò fulmineamente recuperare la calma perduta; con lentezza si sollevò dal corpo dell'amico porgendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi dal freddo pavimento.

-Sei fortunato allora. Nel mio paese venivo chiamato “Sir miracolo”. Ora dimmi di cosa hai bisogno.- l'urgenza nella sua voce dovette distruggere anche l'ultimo briciolo dell'infinita pazienza del consigliere che, sospirando, aprì piano i suoi occhi ametista.

-Ho sentito parlare di un'erba in grado di guarire qualsiasi tipologia di infezione. Ma, come la leggenda narra, questa fu creata in un'immemore epoca dalle fate della foresta ed ancora sotto la loro severa protezione.-

-Ho già avuto a che fare con quelle adorabili creature alate. Come si chiama questo medicamento?- chiese il mago, raccogliendo da terra la calda sciarpa che sempre portava avvolta attorno al collo.

-Lamelya.-

Kaito recuperò poi le altre poche cose che non erano andate perdute nella corsa, allacciandosi in cintura le armi che l'accompagnavano.

-Sarò di ritorno prima del tramonto.- promise d'un fiato prima di avvicinarsi al bordo della piattaforma di pietra, lì dove l'acqua sciabordava quietamente. Il suo viso pallido e stanco si riflesse sull'increspata superficie, rimandando un paio di iridi cariche di una determinazione bruciante.

Mai prima di allora si era sentito tanto pronto a sacrificare il suo proprio essere per salvare qualcuno.

Un secondo prima che i suoi piedi potessero però cozzare contro l'acqua, la mano di Len si strinse attorno al suo polso, trattenendolo.

-Kaito, hai mai davvero trattato con delle fate?-

-Sì, ragazzo. Ho parlato con le adorabili creaturine del mare. Ricordami che devo presentarti Jasmine. L'ultima volta sono rimasto nel suo bosco per quasi due ore, avvolto da pasticcini alle erbe e tè alla vaniglia.- l'ironia nel tono di Kaito si fece pungente, mentre i suoi pugni tornavano fastidiosamente a serrarsi.

-Come immaginavo. Tu non conosci le fate della foresta, mago.-

-Ci sono moltissime leggende su queste creature; molte delle quali sono solo stupide favolette finalizzate a spaventare i poppanti come te.- sputò il giovane uomo dai capelli blu, colpendo al petto il compagno. Len incespicò all'indietro senza però mollare la presa sul suo braccio; non poteva assolutamente permettere che Kaito lasciasse il loro nascondiglio senza sapere a cosa stava andando incontro.

-Ascoltami, stupido! Io ho visto agire una fata della foresta. Sono esseri senza alcuna pietà, belle come una rosa selvatica ma pericolose come le spine che ne contornano lo stelo.- gridò furibondo quando si accorse della cocciuta insistenza dell'uomo di fronte a lui.

I ricordi di sette anni fa tornarono spaventosamente a sciamare nei suoi pensieri, lasciandosi alle spalle l'amaro sapore del terrore.

Len era un ragazzino di appena nove inverni quando, camminando di ritorno dalla casa di un suo amico, vide per la prima volta una bellissima fata della foresta.

L'alata creatura comparve ancheggiando in un grande orto delimitato da staccionate di legno di quercia.

Il proprietario era un caro amico di sua nonna, un contadino robusto dalla pelle cotta dal sole; i chiarissimi capelli avvolgevano il piccolo cranio in una sorta di aureola.

L'uomo era in piedi al centro del campo zeppo di fiorenti verdure, molte delle quali erano peraltro fuori stagione.

La bellissima fanciulla vestita di foglie di cedro afferrò tra le dita affusolate il mento spigoloso con sensuale dolcezza. I fluenti capelli smeraldo scendevano in gonfi boccoli lungo le curve prosperose del corpo abbronzato.

Eppure, nulla era più bello delle ali che si spalancavano alla sua schiena, brillanti come se fossero state decorate da veri e propri frammenti di stella; a differenza degli arti dei volatili, quelle ali erano fatte di tante piccole foglie, unite tra loro da piccoli tralci spinosi.

-Ti ricordi del nostro patto, vero tesoro?- chiese la fanciulla accostandosi al corpo del contadino finché il suo seno non aderì con il petto scoperto dell'altro.

Le labbra di fragola cercarono quelle dell'uomo ma prima che potessero sfiorarlo, lui fece un rapido passo indietro scuotendo veementemente il capo.

-Non sei soddisfatto del mio lavoro, piccolo? Possono dartene di più se vuoi. Guarda.- disse la fata in un broncio prima di strisciare la punta dei suoi piedi nudi sulla terra, diffondendo tra le zolle la sua potentissima magia.

In un battito di ciglia, una montagna di piante di ogni genere riempirono il fertile terreno, diffondendo nell'aria il delizioso profumo dei fiori appena sbocciati.

Melanzane, pomodori, zucchine germogliarono dal nulla, avvolgendo in un abbraccio le due silenziose creature al centro del campo coltivato.

-Così va bene? Sei soddisfatto?- la fata allacciò le braccia attorno al collo dell'uomo, premendo le sue dolci labbra su quelle di lui. Il contadino li lasciò andare alla voluttuosa presa della fata; eppure, dopo quale secondo di bruciante passione, sembrò magicamente riprendersi dallo zuccherato veleno.

-Non posso.. Io non posso tradire mia moglie.- balbettò, lasciando che qualche lacrima colpevole sfuggisse al suo virile controllo. L'umore della donna cambiò istantaneamente; il sensuale sorriso che incorniciava le sue labbra si trasformò in una smorfia alterata da una rabbia tanto profonda che lo stesso ragazzino sentì il cuore trasformarsi in pietra.

-Come sarebbe a dire? Il patto con le fate non si può spezzare. Volevi che tuo figlio sopravvivesse alla carestia?- la sua voce si fece sottile e crudele come il sibilare di un serpente. La bellissima donna si trasformò velocemente in un essere orripilante, fatto di fango ed artigli lunghi come quelli di un leone; il suo viso era ridotto ad una distorta maschera di scaglie e denti di squalo.

-Tutto quello che devi fare è concedermi un briciolo del tuo amore, uomo. Niente di più.-

-Mi.. mi dispiace.. riprenditi tutto questo..io non..-

La fata ruggì, afferrando per il collo colui che aveva per ben due volte osato negare la legittimità del patto che li univa.

Gli occhi della creatura si trasformarono in nere voragini promettenti la più dolorosa delle morti; il contadino cercò d'urlare ma la mano di lei scattò in avanti, serrando brutalmente le sue labbra contratte.

-Piccolo sciocco. Credi davvero che mi interessino i tuoi ottusi sentimenti per la tua compagna? Io pretendo il mio pagamento e dato che tu sei così restio a darmelo, ti punirò come solo le fate della foresta sanno fare.-

La creatura baciò l'uomo, bloccandogli le spalle di modo che non potesse muoversi mentre la sua energia vitale gocciolava in tante stille dorate dalle sue labbra lungo il profilo del mento, viticci spinosi si avvolsero attorno ai polpacci del contadino, inchiodandolo alla terra grumosa.

Le ali della creatura si sollevarono ad avvolgere in un mortifero abbraccio le loro figure allacciate; un brevissimo lampo di luce baluginò nell'aria, illuminando le nuvole dei magici riflessi dell'arcobaleno.

Quando Len tornò ad aprire gli occhi, la fata era svanita nel nulla assieme al rozzo contadino dai capelli chiari. In ricordo di quello che era successo, sul terreno cosparso di piante avvizzite giacevano le ossa annerite del contadino.

-Le fate della foresta sono lussuriose. Amano il piacere e la linfa che scorre dentro di te; se non fai attenzione ti divoreranno.-

-Preferisco morire tentando che osservare quella donna scivolare tra le mani della morte senza che io possa far niente!- gridò tanto forte da svegliare il piccolo garzone disteso a qualche metro di distanza.

-Lo so, Kaito. È per questo che verrò con te. Insieme potremmo guardarci le spalle a vicenda.- disse d'un fiato il giovane ragazzo biondo, seppellendo nella sua anima i ricordi del mostruoso essere che aveva ucciso il suo simpatico vicino.

Il mago annuì gravemente senza notare quale bestiale paura aleggiasse nelle iridi azzurre del suo compagno di viaggio.

Quella che stavano per intraprendere era un'esperienza da cui solo pochi fortunati avevano fatto ritorno.

-Ti ringrazio per la solidarietà.-

-Ringraziami quando ritorneremo qui sani e salvi.- borbottò Len, fasciando la sua schiena con la lama del defunto padre. Quando l'acqua si chiuse sopra le loro teste, il giovane rivolse silenziosamente un pensiero alla sorella, quasi come se lei fosse una dea.

Rin, proteggici..” 

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Capitolo 15
*** Lamelya ***


Lamelya ~ Chapter XV

I piedi dei due ragazzi scivolarono silenziosamente sull'erba alta del bosco, i loro vestiti fradici gocciolavano sul terreno cosparso di sassi e radici sporgenti. Len scrutò con ansia ogni singolo centimetro del paesaggio, il silenzio era tanto denso da riuscire a sentire il frenetico palpitare del suo cuore nelle orecchie.

L'idea che quell'orribile creatura potesse piombargli di fronte l'atterriva. Le sue mani sfiorarono quasi inconsciamente il fodero della spada che pendeva alle sue spalle; eppure neanche quel freddo involucro riuscì a rassicurarlo.

Purtroppo sapeva benissimo che dell'acciaio non avrebbe mai potuto scalfire la pelle lignea delle fate della foresta.

Nessuna delle loro armi sarebbe servita a nulla contro quelle fameliche creature, neanche la potente magia dello stregone dell'Est.

-Senti una cosa, Len.- cominciò in un sussurro il giovane uomo, sfiorando con le dita la corteccia ruvida e resinosa di una quercia alla quale si erano affiancati.

-Tu hai idea di come trovare questa pianta?-

Il ragazzo biondo si bloccò di colpo, spalancando la bocca in una smorfia attonita.

-Non voglio crederci. Sei uscito fuori dalla grotta come un pazzo senza sapere come trovare quella dannata pianta?- Len quasi gridò nel dar voce a quell'affermazione che mano mano prendeva sempre più consapevolmente forma nei suoi pensieri. Kaito alzò le mani per difendersi da quell'attacco verbale, mentre sorridendo in segno di scuse, si grattava a disagio la nuca.

-Sai che sono parecchio impulsivo quando qualcosa mi coinvolge emotivamente.-

-Non è una scusa plausibile! Ti saresti fatto ammazzare tranquillamente se io..-

Kaito gli afferrò velocemente il polso, sollevando verso i loro visi la mano marcata dal patto.

Il guanto copriva le spire blu ma Len sentì chiaramente la carne pulsare, come se il serpente che l'aveva imprigionato si fosse risvegliato.

-Finché non avrò realizzato ogni mio desiderio, sta pur certo che non morirò. Questa è una garanzia di queste mie parole.- un sorriso spavaldo gli illuminò le iridi assieme ad una forte pennellata di speranza. Il ragazzo sospirò passandosi le mani nei capelli intrecciati, l'acqua rimasta sulle ciocche scivolò lungo le falangi.

-Che cosa mi tocca sentire.-

-Allora? Idee?- chiese Kaito, appoggiando la sua schiena all'albero. Quel fatidico giorno, Len non aveva visto l'intero processo di evocazione ed il suo cervello si rifiutava categoricamente di partorire un piano che lo riavvicinasse a quel mostro con le ali.

Lo stregone si guardò lentamente attorno, sollevando poi il viso per osservare anche le cupole frondose che impedivano ai raggi solari di farsi largo nel sottobosco.

-Io so come attirare la loro attenzione.- ghignò appoggiando le mani sui fianchi stretti.

-Fai una delle tue solite idiozie e giuro sul mio stesso nome che ti do in pasto alle fate.- ringhiò Len, serrando di scatto i denti per la tensione. Il silenzio li avvolse come un sudario, colpendo le loro orecchie con la forza di una martellata; i due uomini riuscivano a sentire le pulsazioni dei loro cuori rincorrersi frenetici assieme all'adrenalina.

Le foglie ondeggiarono stridendo l'una contro l'altra in canto che nulla aveva di rassicurante;i suoi muscoli vibravano come se fiutassero il vicino pericolo.

Ci siamo..” pensò istantaneamente il ragazzo biondo. La mano sinistra si chiuse attorno al ciondolo di metallo in una silenziosa richiesta d'aiuto; tutto il suo essere lo stava implorando di scappare ma ovviamente rimase immobile.

Improvvisamente anche le foglie smisero di frusciare, il canto degli uccellini si fece intenso come lo squillare di regali trombe annuncianti l'arrivo del sovrano.

Kaito fece un lentissimo passo indietro per accostarsi all'amico; un brivido gli accapponò la pelle assieme ad uno spaventato sorrisetto.

-Non credo ai miei occhi.-

Di fronte a loro, nel bel mezzo dell'abbraccio degli alberi, una bellissima donna sorrideva dietro la lignea silhouette di una quercia. Le dita affusolate ne accarezzavano la corteccia mentre i lisci capelli color ambra accarezzavano le esili spalle.

Il suo vestito di fiori e foglie avvolgeva per intero l'atletico corpo, lasciando però scoperto un fazzoletto di pelle all'altezza dell'ombelico.

-Benvenuti nella foresta, umani.- sussurrò ridente prima di abbandonare il suo nascondiglio, appoggiando una mano sul fianco perfetto. Len non aveva mai visto una donna di pari bellezza, la sua rete incantata si allacciò attorno al suo cuore, lusingandolo con il piacevole odore dei fiori.

-Che potenza..- sibilò Kaito stringendo tanto forte i pugni da sentire le unghie incidere i palmi delle mani. Nel corso dei suoi lunghissimi viaggi per il mondo aveva visto e sperimentato sulla propria pelle una vasta serie di magie, ma nessuna poteva essere paragonata all'intensità dell'incantesimo che quella creatura gli stava rovesciando addosso.

-Percepisco un delizioso profumo di magia. Perché siete qui, miei piccoli amici?- trillò la giovane, piroettando su se stessa. I lembi del suo vestito ondeggiarono, rivelando le gambe snelle ed i piedi affondati nella terra da cui ella stessa era stata generata.

-Stiamo cercando un'erba medicamentosa particolare, bellissima creatura. Il suo nome è Lamelya.-

disse Kaito con ossequiosa gentilezza, esibendosi persino in un breve inchino.

La donna ridacchiò lietamente, forse lusingata dal comportamento galante del mago.

-Mi stai dunque chiedendo di consegnarti le sue foglie miracolose?- chiese lei in un bisbiglio carico di promesse pericolose quanto il più potente dei veleni. Kaito rimase per un attimo in silenzio, vagliando con attenzione puntigliosa le parole da utilizzare; per quanto desiderasse quella dannata pianta, non poteva assolutamente commettere alcun passo falso.

Non si era mai sentito tanto terrorizzato in vita sua e la cosa lo elettrizzava in maniera peculiare.

-Il tuo amichetto si è mangiato la lingua?- la donna indicò con un elegante cenno del mento il ragazzo, congelato al suo fianco con una mano convulsamente serrata sull'elsa della spada.

-E' solo abbagliato dalla tua incommensurabile bellezza.- rispose lo stregone, colpendo con un pugno nascosto la schiena del suo accompagnatore; Len sobbalzò sul posto, respirando un paio di volte per calmare i nervi tesi sottopelle.

-Lascia che ci pensi io, so come far sciogliere un uomo..-

-Mia adorabile fata, dove possiamo trovare la magica pianta?- insistette con un sorriso il giovane mago, cercando di imbrigliare l'impazienza che scalpitava nel suo cuore.

La creatura magica alzò gli occhi al cielo prima di catapultarsi a velocità spaventosa verso i due uomini.

Le dita affusolate della fata catturarono quello dello stregone, mentre i suoi occhi gialli bruciavano sul suo viso stupito.

-Te la fornirò proprio adesso, bel cavaliere. Però, sai.. noi fate pretendiamo un piccolo pegno per il nostro sforzo.- le sue ali si spalancarono verso l'esterno, disperdendo nell'aria il profumo speziato del mughetto e delle primule. Kaito rimase totalmente immobile, il sorriso non abbandonò mai le sue labbra piene, né tanto meno la sua spavalda sicurezza sembrò venir meno.

-Non vedo cosa io possa offrirti.-

-Non disperare, umano. Qualcosa troveremo.- la fanciulla raccolse la mano di Kaito prima di appoggiarla sulla propria guancia con un felino sorriso; il nasino a punta della ragazza sfiorò con lentezza la pelle morbida del palmo.

-Ho sempre avuto un debole per gli stregoni, avete un che di interessante.-

Le iridi dorate della donna poi si appuntarono sul viso cereo di Len, che ancora non aveva trovato il coraggio di socchiudere le labbra; ogni movimento di quella creatura strappava dal suo inconscio brandelli di spaventosi ricordi.

-Anche tu profumi di magia, ragazzo. Sei così carino.- filamenti vegetali si allacciarono alla pelle di Len simili a tanti tentacoli verde smeraldo, fiori piccoli come biglie di vetro sbocciarono andando ad accarezzare la sua pelle tesa.

-Vi darò le nostre amate foglie di Lamelya. In cambio però voglio che entrambi mi diate qualcosa di particolarmente prezioso per voi.-

I denti bianchissimi della donna brillarono come perle dietro le carnose labbra color ciliegia, la lingua passò sensualmente ad accarezzarle.

-Non sono minimamente interessata ai vostri flaccidi corpi mortali. Preferisco di gran lunga le piccole chicche che nascondete gelosamente, qui.- tubò premendo senza preavviso un'unghia contro la tempia di Kaito che, colto alla sprovvista, sobbalzò appena.

-Regalatemi uno dei vostri ricordi, umani.-

-Cosa te ne farai?- chiese lui perplesso.

La fata si staccò dai due, volteggiando indietro come se fosse una principessa vestita di seta; le sue ali si spalancarono verso l'esterno, disegnando nell'aria immobile una fragrante danza di petali e foglie secche.

-Noi non ricordiamo. La nostra mente è vuota, incapace di trattenere i momenti che costellano la nostra eternità. Belli o brutti che siano, tutti gli avvenimenti scivolano via assieme al sorgere del nuovo giorno.- i delicati tratti femminei si contrassero in una smorfia molto più umana di quanto Len avrebbe mai potuto immaginare.

-Non potete immaginare quale vuoto ci riempa il cuore. E' come rinascere ogni giorno, senza nessuno a popolare i tuoi pensieri.-

Le iridi gialle tornarono a rivolgersi verso i due uomini immobili; Len sentì un fiotto di tristezza solcargli il cuore ma, malgrado ciò, non si lasciò abbindolare.

Ben conosceva il viso demoniaco nascosto sotto quegli adorabili occhioni da cerbiatto; sperava solamente che Kaito stesse facendo gli stessi ragionamenti.

-Non c'è davvero altro che tu desideri?-

-Mi prenderò solo uno dei vostri ricordi.- sorrise la fata, scostandosi dal collo i morbidi capelli ambra; le foglie più basse degli alberi sembravano quasi tendersi verso di lei, come richiamati da una calamita invisibile.

-Len, ti va bene?- chiese Kaito in un sussurro senza perdere di vista la leggiadra creatura alata.

-Non penso ci sia altra scelta.. ma giuro che se osa..-

La donna sembrò accigliarsi nell'udire la voce ansiosa del ragazzo; appoggiò una mano sul fianco facendo qualche rapido passo avanti.

-Le fate mantengono sempre la propria parola, umano. In confronto a voi, teniamo al nostro onore.- sibilò lei prima di tornare a materializzarsi di fronte a loro, accompagnata dal canto delle foglie secche che grattavano il terreno.

-Vogliamo procedere?-

Kaito alzò velocemente le mani, accarezzando con le ruvide dita la guancia dell'astuta creatura.

-Prima desidero che tu ponga ai miei piedi l'erba, così che io sia sicuro del fatto che non mi tradirai.-

La fata alzò infastidita gli occhi verso il cielo, scacciando con un piccolo gesto le dita dell'uomo; senza dire niente, fece un passo indietro per mettere sufficienza distanza tra loro e permettere così al suo incantesimo d'operare.

-Terra, mia dolce genitrice, ascolta la preghiera di tua figlia. Fiori sbocciate, diffondendo nell'aria il profumo aromatico di una nuova vita.- le sue parole scivolarono come acqua nell'aria, permeando il suolo.

La fata si chinò in ginocchio, raccogliendo tra le mani una manciata di grumoso terriccio per poi sfiorarne la superficie con le labbra.

-Nasci.- sussurrò sorridendo con la stessa dolcezza che una madre avrebbe rivolto al proprio infante. Una tenera piantina color oro si sollevò da quella piccola, scura montagna allungando le proprie foglie verso l'esterno come se si stesse stiracchiando. La corolla del fiore era insignificante al centro di quelle succose foglie a forma di stella; eppure, i petali avevano un colore tanto bello da togliere il fiato.

-Trattatela con cura. Le foglie vanno applicate sulla ferita, mentre i petali devono essere ingurgitati dalla persona di modo che il bruciore svanisca.-

La ragazza adagiò la pianta tra le braccia del mago che, con estrema cautela, la cullò quasi fosse una bambina.

Senza neanche bisogno che Kaito la esortasse a procedere, la fata lasciò scivolare le mani sul viso dell'uomo, chiudendo estaticamente gli occhi. Le dita affusolate si intrecciarono ai suoi capelli color mare; i polpastrelli, scintillanti di concentrata magia, si appoggiarsi alle tempie della sua vittima.

Kaito serrò di scatto la mascella quando la mente della fata scivolò nella sua, alla lenta ricerca di un succoso e felice ricordo in cui affondare i denti.

Gocce di sudore freddo scesero ad accarezzare la schiena surriscaldata dello stregone, i suoi occhi si serrarono convulsamente nella speranza di trattenere il disgusto che minuto per minuto gli stava sbocciando nel cuore. La fata mugolò di piacere nel momento in cui trovò finalmente il ricordo che tanto faticosamente aveva ricercato; la donna vi affondò voracemente i denti, strappandolo di netto dalla memoria dell'uomo. Il dolore si irradiò dal cervello di Kaito attraversando in un fulmineo, bruciante lampo ogni sua singola sinapsi nervosa.

-Fatto. Davvero delizioso.- sussurrò la ragazza allontanandosi dallo stregone che crollò in ginocchio con un gemito incastonato tra le labbra; le foglie di Lamelya oscillarono a destra e sinistra sotto lo sguardo spaventato del compagno.

-Non fare quella faccia, sarò delicata. Te lo prometto.- sussurrò la donna, appoggiando la fronte pallida contro quella sudaticcia del ragazzo. La coscienza incantata penetrò nella sua memoria con particolare attenzione, quasi come se avesse davvero paura di fargli male.

Fu la cosa più strana e spaventosa che il giovane avesse mai sperimentato; era come sentire delle impalpabili dita sfogliare mano mano tutti i pannelli in cui erano custoditi i suoi momenti speciali.

Assieme allo sguardo assetato della maga, ripercorse tutti gli anni della sua breve vita assaporando sulla pelle sensazioni ormai da tanto tempo dimenticate.

Nostalgia, allegria, tristezza, dolcezza si combinarono insieme mentre sprazzi di sorrisi, abbracci e marachelle sfrecciavano nel suo animo, veloci come la luce.

-Eccoci, finalmente.- sussurrò la creatura, afferrando tra le mani un piccolo quadretto dai bordi scintillanti.

Len non impiegò troppo tempo per riconoscere uno dei ricordi a cui più dolcemente era legato; era il suo settimo compleanno, Haruka aveva preparato un buonissimo dolce fatto di mele e sbuffi zuccherati di uovo. L'odore di festa permeava ogni angolo della casa, caldamente addobbata per celebrare l'ennesimo inverno di suo figlio.

Eppure, la sorpresa più bella non era stata il dolce né le tante leccornie sapientemente preparate; ma la presenza eccezionale di sua nonna, venuta da lontano appositamente per vederlo.

Era stata forse la giornata più bella della sua vita: ricca di risate, alimenti prelibati e carezze ruvide tra i capelli; Len aveva vissuto quelle ore con gioia tale da pensare che niente avrebbe mai potuto strappargli via il sorriso di sua nonna.

-Prenderò questo.- sussurrò la fata, affondando le sue sporche unghie nella scintillante cornice; il ragazzo cercò di opporsi strenuamente a quell'atto di violenza ma, ovviamente, non riuscì a muovere un solo muscolo.

Era incatenato nella magica rete di quell'avida creatura.

Due sole, silenziose lacrime scivolarono a segnargli il viso nel momento in cui il buio divorò quella perla che così gelosamente aveva custodito per anni ed anni.

-Non piangere, tesoro. Difenderò questa tua memoria come se fosse mia.- disse in un sussurro la donna, raccogliendo tra le labbra le sottili scie salate.

Detto ciò, si allontanò dai due, passandosi le mani nei capelli perfettamente in ordine.

-Andate pure, uomini. E' stato un piacere fare affari con voi.- trillò, muovendo sinuosamente le dita macchiate di polvere magica; scuri viticci si allacciarono attorno alle loro spalle, sollevandoli senza alcuna fatica da terra, quasi come se fossero bamboline disarticolate.

I due si incamminarono quasi automaticamente verso il lago da cui erano giunti; la piantina di Lamelya scuoteva le proprie foglie ad ogni cadenzato passo del mago, come se volesse ricordar loro quale terribile prezzo avevano dovuto versare.

-Salveremo Meiko..- disse in un sibilo dolorante lo stregone, cancellando con la stoffa della tunica una sferica stilla di tristezza. Il giovane ragazzo dai capelli biondi si voltò verso di lui, cercando di non soccombere al mal di testa feroce che l'aveva assalito nel momento in cui la magia si era portata via il suo prezioso ricordo.

-Sì, la salveremo..- rispose abbassando il capo verso le punte sporche dei suoi stivali.

Non avrebbe mai pensato che la perdita di un ricordo avrebbe potuto causargli tanto dolore; sentiva chiaramente che un pezzetto del puzzle che componeva la sua anima era assente, ma più cercava di focalizzarsi sulla sua forma, più questo veniva risucchiato dalla nebbia.

Non si era mai sentito tanto vuoto in vita sua.

I due uomini rimasero in silenzio per tutta la durata del tragitto e anche una volta arrivati nel nascondiglio, non degnarono Alain e Gakupo di una sola parola.

Len si rannicchiò in un angolo mentre lo stregone spiegava brevemente come il medicamento andasse applicato sulla ferita; il mentore cercò di comprendere cosa fosse successo, ma tutto quello che ricevette fu una schiva, sofferente risposta.

Così, rispettando il dolore dei due giovani compagni, Gakupo lasciò che fosse il silenzio a parlare, diffondendo sulle pareti della grotta l'eco di lacrime nascoste.

I giorni passarono, la ferita di Meiko miracolosamente guarì ridonandole la scattante forza perduta.

Per quanto fosse felice, il ragazzo non poté impedire all'amarezza di avvelenare egoisticamente il suo sorriso.

In fondo, per quanto la sua speranza fosse forte, sapeva benissimo che la cicatrice della perdita l'avrebbe segnato per sempre.

-So a cosa stai pensando.- disse d'un tratto il mago, accostandoglisi. Len arrossì per la vergogna ma l'uomo gli scompigliò dolcemente i capelli.

-Sai che ti dico? Prendiamo questo dolore come spunto per creare nuove memorie ancora più belle.-

Il suo sorriso scintillò nella penombra della grotta, Len si aggrappò a quella luce cercando di far propria la speranza dell'amico.
Sforzandosi di sorridere, prese un bel respiro.

-Sì. Creeremo ricordi ancora più belli.- 

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Capitolo 16
*** Ci sono sofferenze ben peggiori della morte. ***


Ci sono sofferenze ben peggiori della morte ~ Chapter XVI 
 

Il viaggio dei cinque compagni riprese il giorno successivo con il favore del sole; era una mattina tersa, carica di quella speranza necessaria a rinvigorire gli stanchi animi dei viaggiatori. Len, per quanto cercasse di non pensare alla fata della foresta, sentiva costantemente il tocco freddo della sua fronte contro la propria, come se lei non l'avesse mai davvero abbandonato.

Kaito, malgrado sentisse la mancanza del ricordo perduto, era maggiormente preoccupato per la silenziosa guerriera che camminava in disparte.

Meiko era stranamente nervosa; il lento procedere del gruppetto non venne mai animato dalle sue chiacchiere come tutti si aspettavano.

Al contrario, la donna continuava a frugare con lo sguardo in ogni singola ombra, sobbalzando ad ogni minimo rumore.

-Di cos'hai paura?-

La mano pallida si poggiò subito sull'elsa del pugnale mentre, in un sibilo, la donna si voltava in direzione del mago, accostatosi a lei con apprensione.

-Mi hai spaventata.- sussurrò ricomponendosi velocemente, forse imbarazzata da quella sua spropositata reazione. Con un gesto secco delle dita tirò un paio di ciocche umide dietro le orecchie, di modo che non le ostacolassero la visuale.

-Cosa c'è che non va?- chiese ancora Kaito, non curandosi troppo della sua schiva risposta.

Meiko abbassò gli occhi, scavalcando con un salto una nodosa radice fuoriuscita dal terreno per avvilupparsi attorno ad una grossa roccia grigiastra.

-Luka non è il tipo di donna che dimentica così facilmente gli affronti subiti. Non possiamo abbassare la guardia un solo secondo. Anche se non li vediamo, loro sono qui e presto ci troveranno..-

Le sue iridi tornarono in avanscoperta, ricercando in ogni ombra lo sfavillio delle armi celate nei foderi.

-Se arriveranno, noi saremo pronti ad accoglierli come si deve.- ringhiò il giovane mago, arricciando le labbra in un'espressione di pura ferocia.

-Poi, se proprio continui a tremare di paura, pensa che ci sarò io a coprirti le spalle. Neanche la punta della freccia più veloce potrà sfiorarti.- ridacchiò strizzandole confidenzialmente l'occhio.

Da quando Meiko si era ristabilita, lo stregone era finalmente tornato l'allegro piantagrane di sempre. Le sue chiacchiere non avevano smesso un solo minuto di allietare il pesante e stanco silenzio che gravava sulle spalle dei viaggiatori.

-Come, scusa? Io protetta da te?- la guerriera si sciolse appena alla battuta, colpendogli il braccio con una gomitata scherzosa.

-Probabilmente sarò io a dover proteggere il tuo regale didietro, principino.-

-Che donna impertinente!- Kaito scoppiò a ridere, alzando gli occhi al cielo in una smorfia fintamente scocciata; nel farlo però, non prestò abbastanza attenzione al dissestato terreno sul quale procedeva. Non appena il suo stivale si appoggiò ad un sasso ricoperto di viscido muschio, la suola scivolò indietro sbilanciando il giovane stregone.
L'uomo imprecò tra i denti mulinando confusamente le braccia nella vana speranza di salvarsi dalla figuraccia che l'attendeva. Inconsciamente si aggrappò al polso della compagna che gli camminava al fianco, trascinando così anche lei in quell'esilarante caduta. Le foglie si dispero in un ondeggiante ventaglio attorno alle due figure.

-Dannata goffaggine..- borbottò tra i denti prima di aprire gli occhi e rimanere senza fiato. Meiko era distesa sopra il suo petto; i capelli arruffati erano ricaduti attorno al suo viso, andando a sfiorare appena le guance dell'uomo. La distanza che li separava era tanto sottile da poter essere annullata con un impercettibile movimento del capo.

-Mi.. mi dispiace..- sussurrò lui a fior di labbra quando la donna trattenne il fiato, rendendosi conto di quanto fossero effettivamente vicini.

Il tempo parve congelarsi mentre i loro respiri si fondevano insieme, rincorrendosi in un frenetico gioco d'emozioni disordinate.

-Se avete smesso di filtrare come due colombe, potremmo anche riprendere il viaggio.- bofonchiò il rigido mentore prendendo per mano il garzone dai capelli indomabili.

Alain aveva difatti già allungato lo sguardo per cercare di scorgere cosa stesse accadendo con un sorrisetto malizioso ad arricciargli le labbra.

Kaito avvampò, lanciando in direzione dell'uomo un'occhiata al cianuro; Meiko nel frattempo si rialzò frettolosamente per togliersi dall'impaccio.

Con un paio di colpi mirati si spazzolò di dosso il terriccio, per poi tendere la mano impolverata al compagno.

-Vieni, principe. Ti do una mano ad alzarti.- disse in un caldo sorriso senza prestare troppa attenzione al rossore diffuso che imbrattava le guance pallide dell'uomo.

Kaito non parlò con la guerriera per tutto il resto del cammino; troppo imbarazzato anche solo per sollevare lo sguardo in sua direzione.

Meiko non poté fare a meno di accorgersene, ma decise di lasciarlo stare tranquillo per un po'. Avendo sempre avuto a che fare con i soldati della scorta di Luka, ormai conosceva sin troppo accuratamente le infantili reazioni maschili nel momento in cui il loro prezioso onore veniva scalfito.

Mentre la giovane donna pensava ad un efficiente modo per risollevare l'animo del collega, camminando al fianco di Gakupo ed Alain, lo stregone continuava a torturarsi con pedanti domande retoriche.

-In tutta la mia vita non ho mai fatto una figura così meschina! Come si fa a cadere così sgraziatamente di fronte gli occhi di una donna?!- bofonchiò colpendo con una gomitata il giovane al suo fianco per esortarlo a rispondere. Len fece per aprir bocca ma subito Kaito lo interruppe, lanciandosi in un altro vertiginoso, delirante discorso.

Il compagno smise dunque di ascoltare le farneticanti parole del mago per focalizzarsi sul ciondolo che pulsava sul suo petto, all'altezza del plesso solare.

Rapide scariche d'energia si rincorrevano sulla sua pelle tesa, ricordandogli costantemente che sua sorella era con lui in quel mare di paura crescente.

Ogni volta che le suole dei suoi stivali calpestavano il fogliame in macerazione, il ciondolo sembrava farsi leggermente più caldo come se desiderasse avvertire il ragazzo che il suo cammino era quasi giunto a termine.

Passo per passo, il triste cuore della gemella si stava facendo sempre più vicino; tanto che Len nei suoi ultimi sogni aveva spesso fantasticato di abbracciarla.

Il sole aveva ormai oltrepassato la linea bollente del mezzogiorno quando i cinque viaggiatori decisero di fermarsi per far riposare un po' i piedi stanchi.

-Credo che i miei piedi prenderanno fuoco da un momento all'altro!- gemette il piccolo garzone togliendosi di scatto i logori stivali di pelle nera. I piedini sporchi di polvere ondeggiarono all'aria mentre una risata sollevata baciava le sue labbra secche.

Gakupo sorrise teneramente, passandogli la borraccia d'acqua dalla quale aveva appena bevuto. Il mago abbandonò il capo contro il tronco di un albero, massaggiandosi con un lento gemito lo stomaco vuoto.

-Ho voglia di una bistecca.-

-Non guardarmi con quella faccia..- commentò scherzosamente Len, facendo per allontanarsi quasi per paura di venir azzannato dal compagno di viaggio.

Lo stregone raccolse al volo la provocazione, mettendosi felinamente a quattro zampe;

con un'espressione degna di un vero cannibale, si leccò le labbra.

-Dovresti essere appetitoso!-

-Voglio giocare anche io! Anche io!- strillò il ragazzino dai capelli neri, alzandosi di scatto su una nodosa radice.

-Spiegatemi le regole del gioc...- le sue parole infantili si interruppero bruscamente; sostituite da un lento, incredulo gemito di dolore.

Gakupo, Len, Kaito e Meiko si cristallizzarono ai loro posti mentre quattro paia di occhi si appuntavano sul pallido viso del bambino.

-Che cos...- quelle sottili parole vennero soffocate da un fiotto di sangue.

Orridi petali scarlatti sbocciarono sulle labbra socchiuse, donando loro una tinta mortifera. La vita scivolò sul suo mento in sottili nastri scarlatti per poi gettarsi nel vuoto, lì dove le piccole mani stavano tastando titubanti l'asta lignea che spuntava dal suo cuore.

La punta della freccia scintillò sotto il tocco lontano del sole, mettendo così in risalto i rigagnoli viscosi che intaccavano la perfezione letale del metallo.

Il capo di Alain ruotò rigidamente in direzione del mentore, congelato al suo posto.

-Mi.. dispiace..- sussurrò il bambino muovendo appena le labbra.

Una sola lacrima gli solcò la guancia, carica di tutte le irrealizzate promesse future. Gakupo riuscì distintamente a vedere l'anima del ragazzino spegnersi in quelle iridi così piene di vita che più di una volta lo avevano fatto sorridere.

Il visino perse definitivamente ogni colore; l'ultimo sospiro sfuggì dalle sue labbra, lontano verso l'irraggiungibile terra degli spiriti.

I piedini nudi persero la presa sulla nodosa pianta.

-NO!-

Gakupo afferrò al volo il corpo esanime prima che potesse colpire terra.

In un gemito misto ad un ringhio furibondo, il consigliere si accartocciò sul ragazzino premendo forte la fronte contro i suoi capelli aggrovigliati.

Successe tutto nel giro di un battito di ciglia.

Il canto dell'acciaio si sommò all'ululare stridente della magia, incastonata tra le fauci di due possenti lupi dal pelo trasparente. Meiko digrignò i denti quando, nel sottobosco, i passi pesanti di una dozzina di soldati rivelarono finalmente la loro presenza.

-Ci hanno trovati.-

Fu il caos.

Len vide baluginare di fronte agli occhi ben dodici spade lunghe, rivestite degli araldici colori della corte di Luka; espressioni determinate si alternarono caoticamente nell'erboso spazio ristretto. Un'ulteriore crepa sanguinolenta si spalancò nel suo giovane animo, distruggendo quel briciolo di controllo che sempre aveva trattenuto la sua spada.

L'immagine della freccia conficcata nel petto di Alain gli tolse il respiro, diffondendo sulle sue labbra l'acre sapore della bile.
Len si spogliò delle catene dell'etica, abbandonando tutti gli insegnamenti su cui sua madre aveva insistito.

Il dolore, lo stupore e la rabbia trasformarono i quattro compagni di viaggio in gelide macchine assassine.

Quando il primo soldato gli fu addosso, Len scartò di lato sollevando la spada per intercettare la mazza ferrata che aveva tentato di sfondargli il capo.

Le loro armi danzarono in una mortale danza di scintille e lampi di luce accecante; l'uomo era lento e goffo nei movimenti per colpa della sua tozza statura. Senza lasciarsi sfuggire l'occasione, Len scartò di lato incidendo il suo avambraccio con la spada prima di colpire lateralmente con il piede il ginocchio del soldato.

Questo, in un macabro scricchiolio, si spezzò verso l'interno. In un grido di dolore, l'uomo imprecò contro la vigliaccheria del ragazzo reggendosi l'articolazione lussata.

Un suo compagno tentò di salvarlo, ma prima che potesse anche solo pensare di raggiungere le spalle del condottiero biondo, uno dei lupi di Kaito gli saltò alla gola dilaniando carne e tendini.

Len guardò dall'alto in basso l'uomo ferito, i suoi occhi si tramutarono in due limpide lastre di ghiaccio.

-Schifoso bastardo! Non hai neanche il coraggio di affrontarmi a viso aperto!-

-Io sarei il codardo? E cosa mi dici di te, vile verme? Avete appena ucciso un ragazzino.-

Il soldato sputò sugli stivali del giovane, mostrando i denti marci in un sogghigno mefistofelico.

-Quel ragazzino aveva tradito la regina, si meritava la pena capitale.-

Il cuore di Len si fermò, divorato dalle bollenti fiamme dell'inferno. La lama si sollevò lentamente verso l'alto, la sua mano destra era chiusa spasmodicamente attorno all'elsa di cuoio. Tutto attorno a lui scomparve; il clangore delle armi riempiva stridente l'aria mentre il sibilare magico dei lupi sbranava i gemiti dei feriti.

-Quest'oggi, io sarò colui che ti giudicherà.- Len fece un lento passo avanti mentre le sue dita si chiudeva a pugno tra i capelli ispidi del soldato che, osservandolo sentì un brivido di terrore percorrergli la spina dorsale.

In quel momento, avvolto da un chiaro alone di luce solare, il giovane ragazzo assunse le fattezze di una divinità irata scesa in terra per condannare i malvagi.

-La tua regina morirà, ma tu l'anticiperai nella tomba.- tuonò reclinando indietro il capo del soldato. L'acciaio di Len si nutrì avidamente della linfa di quell'uomo; le scanalature dell'arma si riempirono di rigagnoli densi come melassa.

-Attento, Len!- gridò Meiko voltandosi di scatto verso di lui mentre la sua nemesi le piombava ai piedi, aperto dal pube al mento.

Prima ancora che la sua mente potesse metabolizzare l'avvertimento, il corpo del ragazzo reagì con prontezza strabiliante.

Len rotolò tra i piedi del vari soldati un secondo prima che un dardo potesse colpirlo proprio in mezzo agli occhi. Il suo sguardo subito si lanciò a frugare i cespugli e i rami degli alberi alla ricerca del dannato arciere o balestriere che aveva ucciso il piccolo Alain. Sfortunatamente però, in quel caos di armigeri e lame cozzanti, Len non passò di certo inosservato. Nel giro di qualche breve secondo, un pesante armato di mezz'età gli piombò addosso con la forza di un uragano, gettandolo a terra.

Il giovane sputò un fiotto di saliva, senza fiato mentre un'altra freccia gli sibilava spaventosamente vicino al viso.

-Il bambino si è fatto male.- tubò il vecchio veterano atteggiando le labbra in una ridicola espressione contornata da ispida barba incolta.

Una mano si strinse in una pericolosa carezza attorno alla giugulare del tipo mentre la lama di un intarsiato pugnale si faceva strada nella cotta di maglia e nello spesso strato di cuoio che ricopriva il petto irsuto.

-I tuoi generali non ti hanno mai insegnato che, in guerra, non c'è spazio per scherzare, idiota?- sibilò al suo orecchio il mago dai capelli blu. L'uomo collassò a terra in un gorgoglio funereo mentre Len, ringraziando l'amico con un cenno del capo, si sollevava dolorante per tornare all'attacco.

Gakupo si sbarazzò dell'ennesimo soldato, colpendolo con tanta violenza da sentire le sue ossa scricchiolare sotto il ferro della sua lama sottile.

Il mentore combatteva senza emettere alcuno strepito; si limitava ad affondare, schivare ed affondare di nuovo, falciando senza pietà chiunque si frapponesse tra lui e l'uomo che aveva intenzione di fare a pezzi.

Fortunatamente il balestriere non aveva compreso d'essere stato scoperto, cosa che permise all'uomo dai capelli viola d'avvicinarsi tanto da poter sentire il respiro nemico spostare le fronde dietro le quali si era celato. Gakupo detestava l'idea di dover nuovamente uccidere qualcuno ma, per quella volta, avrebbe fatto un'eccezione.

Le sue mani frugarono nell'ampia manica dell'abito talare, chiudendosi attorno alla cerbottana che sempre portava con sé. La pesantezza dell'oggetto riportò alla sua mente frammenti di ricordi colmi di un rimorso che mai l'aveva abbandonato.

Non rammentava più di preciso quanti rivali politici aveva ucciso con il potentissimo veleno che ricopriva la punta del dardo in attesa nella canna d'argento.

Si portò l'oggetto alle labbra preparandosi a colpire il vigliacco assassino di Alain.

-Muori.- sibilò chinando appena le ginocchia per fissare meglio l'equilibrio e non mancare il bersaglio. In quel momento però un ramoscello si ruppe sotto la suola del suo stivale producendo un suono tanto forte da assomigliare al rombo di un fulmine. Gakupo imprecò a denti stretti quando vide le iridi della sua preda scattare stupiti in sua direzione; il dardo prese il volo nel medesimo istante in cui l'uomo si gettò nel vuoto per evitare l'attacco.

La punta della freccia sfiorò appena la pelle della guancia dell'assassino, disegnandovi una lunga striscia color fuoco.

Questi si coprì con un ghigno il graffio, sputando ai piedi del mentore silenzioso.

-Mi hanno molto parlato di te, consigliere. E' un onore potermi confrontare con un così poco fedele cane della regina.- ridacchiò l'uomo gettando disinteressatamente a terra la balestra ormai scarica.

-Devo deluderti, nessuno mi ha mai parlato di te.- rispose gelidamente Gakupo osservando con attenzione peculiare il roseo graffio che incideva la gota del sicario.

-Sono solo un novizio, anche se credo che questo colpo mi porterà in alto. Le vostre teste saranno la garanzia che mi permetterà di ascendere alle più alte cariche statali.- declamò appoggiando, con un sorrisetto arrogante e pieno di sé, le dita sull'elsa del pugnale di scorta infilato in cintola.

-Lo credi davvero?- Gakupo si tolse dalle spalle il lungo abito da consigliere osservandone distaccatamente gli intensi e preziosi colori.

-Bene, ecco la tua promozione.- disse poi lanciando addosso all'uomo la sua tunica. Questi la osservò cadere a terra, i suoi sensi si erano improvvisamente ridestati di fronte a quello strano comportamento.

-Questo che cosa significa?- ringhiò colpendo una delle ampie maniche della tunica.

-Non avevi detto di desiderare un'ascensione sociale? Bene, ce l'hai di fronte. Indossala.- Gakupo fece un cenno con la testa in direzione del balestriere, ancora profondamente confuso da quelle sue parole così enigmatiche.

-Perché?-

-Mi dispiacerebbe ucciderti senza neanche averti dato la possibilità di sentire sulle labbra il sapore della tua brama.- disse il consigliere in un amabile sorriso, inclinando appena la testa di lato. I suoi capelli frusciarono sulle spalle, disegnando nell'aria immobile tanti morbidi nastri violetti.

-Stai iniziando a stufarmi, vecchio.- tuonò il sicario avanzando di un passo.. o perlomeno tentò di farlo. I suoi piedi non risposero al suo comando, proiettando il suo corpo sul terreno fangoso, ricoperto di foglie in macerazione.

-Stavi dicendo, amico?- sussurrò gelidamente il mentore colpendolo tanto forte al costato da rivoltarlo sulla schiena. La pelle del nemico si era trasformata in un mare lattiginoso di sudore freddo e tremiti incontrollabili, le iridi terrorizzate scattavano a destra e sinistra alla vana ricerca di un aiuto.

-Come ci si sente ad essere prigionieri del proprio corpo, ragazzo?- chiese il consigliere chinandosi in ginocchio per osservare più da vicino i contratti lineamenti dell'altro.

-Che fine ha fatto la tua brutta lingua biforcuta?- la mano affusolata di Gakupo si chiuse tanto veementemente attorno alle guance del sicario da incidere la sua pelle con le unghie.

Un gemito inarticolato si sollevò dalla gola otturata dell'avversario, facendo così tremare appena le labbra gonfie e bluastre.

-Scusami, ma non capisco la lingua dei cadaveri.- sussurrò ruotando nella mano il pugnale che prima aveva riposto. La lama brillò sotto la luce distante del sole, le urla dei soldati in sottofondo si stavano facendo sempre più flebili, come il cozzare stridente delle armi.

-Tu, vile di un cane, hai ucciso un innocente bambino di neanche quattordici anni.. Ma perché lo sto ripetendo? Tu sapevi benissimo quello che stavi facendo e, malgrado ciò, niente ha potuto fermare la tua balestra.- la voce di Gakupo tremò appena, rivelando finalmente la rabbia ferale che la devastava.

Il mentore appoggiò il coltello sulla gola dell'uomo, premendo quel tanto che bastava per fargli provare dolore.

-Sai, il veleno che ti è appena entrato in circolo è abbastanza lento da permettere al contaminato di agonizzare una buona mezz'ora prima di morire.-

Il coltello percorse tutto il profilo del suo collo, scivolando sulla curva della mascella bloccata sino ad arrivare all'attaccatura del lobo sinistro.

-In questo breve lasso di tempo ti dimostrerò che, a volte, ci sono alcune sofferenze ben peggiori della morte.-

Il sorriso di Gakupo si trasformò nel ghigno di un uomo assetato di sanguigna vendetta; le iridi violette brillarono, rivelando sotto la fredda maschera che indossava il viso di vero un mostro.

-Ringrazia la tua regina mentre lentamente ti faccio a pezzi. Sai, mi ha personalmente insegnato queste particolari tecniche di tortura.- sussurrò affondando impietosamente il coltello nella carne morbida dell'orecchio. Un gemito straziante rimbombò inascoltato nel fitto amalgamo di alberi; l'odore del sangue si fece asfissiante.

Brividi di bestiale piacere si rincorsero sulla schiena del mentore.

-Saranno gli occhi del bambino che hai ucciso ad accompagnarti nella tua lenta discesa verso la morte.- ringhiò il consigliere, costringendo l'uomo ad indirizzare lo sguardo verso il corpicino esanime del garzone.

Le sue iridi vitree erano spalancate, puntate sul viso del sicario in un impietoso giudizio che l'avrebbe trascinato all'inferno.

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Capitolo 17
*** Il canto del fuoco ***


Il canto del fuoco ~ Chapter XVII

Seppellirono il piccolo Alain in una radura inondata perennemente dal tocco delicato del sole; una miriade di boccioli color crema ondeggiavano le loro corolle al vento, quasi a salutare con rispetto il lutto del gruppo.

-Addio, Alain. Il tuo sorriso rimarrà inciso nei nostri ricordi per la sua spensieratezza. Riposa in pace, compagno.- sussurrò Gakupo inginocchiandosi al fianco dell'involucro di terra smossa per poi accarezzarla in un ultimo saluto al gusto di lacrime nascoste.

-Malgrado la sua giovane età, il ragazzo ha saputo dimostrare un portentoso valore. Senza di lui saremmo probabilmente morti in questo momento. Onore a te, Alain.- mormorò lo stregone, portandosi un pugno al cuore. Meiko affondò in silenzio la punta della sua spada nella terra ai piedi della tomba, glorificando così la memoria del ragazzino che per così poco aveva marciato con loro.

Len toccò con istintiva titubanza il ciondolo ben nascosto sotto la tunica; le sue pulsazioni si diffusero con ritmo cadenzato e leggero sui suoi polpastrelli.

Per quanto cercasse di convincersi del fatto che il bambino non era morto per colpa sua, il rimorso continuava a masticare implacabile la sua carne.

In fin dei conti era stato proprio Len a trascinare i compagni in quella spirale di assurda vendetta e violenza; aveva stravolto senza alcun diritto le vite di Gakupo, Meiko e Kaito.

Alain era morto a causa della sua folle decisione d'aggiungersi alla loro combriccola di anarchici.

Un sospiro vibrò sulle sue labbra dolorosamente tirate.

Nel piccolo paese in cui Len era cresciuto, la più alta forma di onorificenza funebre era il canto. Leggende antiche come il respiro del mondo, dicevano che la musica avrebbe allietato il duro passaggio dello spirito nel regno dei morti.

L'ultima volta che il ragazzo aveva cantato era stato al funerale di sua nonna; giorno che sarebbe sempre rimasto impresso a lettere di fuoco nella sua mente.

Da quel momento straziante, le sue corde vocali sembravano essersi pietrificate.

La voce del giovane vibrò timidamente sull'umida superficie della lingua, plasmandosi in parole struggenti ed al tempo stesso, dolci come miele.

I suoi compagni di viaggio si voltarono stupiti quando la melodia incise il silenzio, attirando l'attenzione di tutti gli abitanti nella foresta. Gli uccellini sembrarono cristallizzarsi, le piante si immobilizzarono ed ogni minimo respiro cessò di disturbare la quiete.

Il canto del ragazzo interruppe il flusso del tempo, imprigionando in una bolla l'ambiente circostante.

Tutti erano in ascolto; la Natura stessa chinò il capo per commemorare quel così intimo e commovente dolore. Le labbra di Len si seccarono ma il ragazzo non smise mai di cantare, lasciando che il suo cuore rinascesse in quelle vibranti note sgorganti dalla sua gola.

-Questo non è un addio, mio caro amico.- cantò abbassando progressivamente la voce; un commosso sorriso arricciò gli angoli delle sue labbra decretando così la fine dell'ode funebre.

-E' soltanto un arrivederci.-

Il cammino dei quattro riprese tristemente qualche minuto più tardi nel totale silenzio. Ognuno era chiuso nei propri ermetici pensieri, dimentico di qualsiasi cosa che non fosse il proprio essere.

Il vento continuava a sussurrare tra le fronte degli alberi in una poesia di dolce conforto; Gakupo sollevò il capo verso le foglie che danzavano nel cielo, intrecciandosi in una serie di vitali mulinelli.

Allora non ci hai abbandonato, piccolo.” pensò commosso il mentore, allungando una mano verso il vuoto, quasi immaginandosi di accarezzare con le dita quei riccioli ribelli.

 

Quando il sole cominciò lentamente a discendere sulla foresta, tingendo le foglie di una bellissima sfumatura arancione, i ragazzi decisero di fermarsi per riposare e mettere qualcosa sotto i denti. Len sbadigliò tanto pesantemente che una lacrimuccia si agglomerò ai lati dei suoi occhi. Sembravano passati secoli dall'ultima volta che aveva avuto il piacere di dormire su un morbido materasso; la sua schiena si era tramutata in un campo minato di contratture ed infimi dolori.

-Sapete, ragazzi..- disse sovrappensiero il mago dai capelli cobalto incrociando le dita dietro al capo; il suo corpo si tese sul manto erboso della radura, agile e elastico come quello di un gatto.

-A volte credo che quest'avventura si sia trasformata in qualcosa di più.-

-Che intendi dire?-

Kaito si massaggiò distrattamente la nuca mantenendo ostinatamente lo sguardo fisso sulle nuvole che scivolavano nel cielo sempre più scuro. Len curiosò con particolare attenzione nelle iridi del collega, alla ricerca di quelle misteriose risposte che lui probabilmente leggeva in quei movimenti fiacchi.

-Inizialmente ho intrapreso questo viaggio per semplice tornaconto ed interesse personale, se così la vogliamo mettere. Trovare un altro pazzo suicida che desiderava insinuarsi nel covo della Vipera Reale mi era davvero sembrato un colpo di fortuna..- la sua voce si spense, nascondendosi vergognosamente tra le piaghe spesse dell'imbarazzo.

Il giovane rimase in silenzio; conscio del fatto che, come il mago, anche lui era stato colto dagli stessi utilitaristici pensieri.

-Adesso ho avuto però modo di ricredermi..- Il mago si coprì gli occhi con un mezzo sorriso divertito ad arricciargli le labbra secche per la marcia forzata e la mancanza d'acqua.

-Per la prima volta nella mia vita ho avuto modo di affezionarmi a qualcuno; ho avuto la possibilità di combattere al loro fianco e di fidarmi.-. L'uomo rimase dunque in silenzio, forse a corto di parole o semplicemente desideroso che qualcuno lo liberasse da quel fardello imarazzante.

-Ti vogliamo bene anche noi, Kaito. Se è questo che stavi cercando di dirci.- ridacchiò Len colpendolo con la punta dello stivale, di modo che questi tornasse a scoprirsi gli occhi.

Meiko smise per un secondo di dedicarsi al piccolo fuoco da campo, rivolgendo un'occhiata intenerita al compagno ancora steso sulla schiena.

-Dato che siamo in vena di confidenze, vi devo confessare che la prima volta che tu e Len vi siete presentati nella sala del trono, ho pensato che fosse tutto uno scherzo.- la voce della donna assunse una sfumatura ironica mentre le sue mani tornavano a sistemare con millimetrica precisione le fronde e le foglie secche che avevano velocemente trovato nei pressi della radura.

-Pensai che voi due foste la coppia anarchica peggio assortita del reame. Come poteva Luka essere minacciata da un ragazzino a malapena in grado di reggere una spada in mano ed un buffone dai capelli blu? Mi sembrava davvero impossibile.-

-Un buffone dai capelli blu?- gemette Kaito rivoltandosi sulla schiena per squadrare la compagna che, suo malgrado, non la smetteva di sorridere divertita dalla piega che la conversazione aveva inaspettatamente preso.

-Eravamo nemici, come pretendevi che ti chiamassi?- disse lei facendogli la linguaccia.

-Buffone dai capelli blu..- Kaito sembrava sinceramente sconsolato da quell'indelicata affermazione, quasi come se ciò avesse appena turbato il suo intimo orgoglio virile.

Len cercò al meglio di soffocare un'ilare risata, focalizzando lo sguardo sul silenzioso mentore che controllava le rimanenti scorte nelle bisacce pericolosamente sgonfie.

-Tu, Gakupo, cosa hai pensato quando ci hai incontrato per la prima volta?-

Gli occhi violetti dell'uomo si sollevarono lenti, forse infastiditi da quella domanda così superficiale.

-Concordo con il 'buffone dai capelli blu'..- commentò sollevando un angolo della bocca severa prima di ritornare al proprio lavoro. Kaito distese un braccio a terra, sollevando appena l'unghia del suo indice destro per raccogliere sul polpastrello un refolo di magia; il sibilo del vento si disperse nell'aria troppo velocemente affinché il mentore potesse sfuggire allo scherzetto infantile dell'altro.

I capelli dell'uomo vennero tutti proiettati sul suo viso concentrato, mentre la borsa spiccava magicamente il volo nell'aria, lontano dalla sua portata.

-A volte mi sorprendo della mia capacità divinatoria. Non so cosa mi abbia permesso di comprendere la precisa età della tua mente infantile.- commentò acidamente guardando la sacca di iuta che disegnava ghirigori di fronte al naso dritto del mentore.

-Ragazzi, mi dispiace..-

Le risatine irriverenti del mago, mescolate ai borbottii scocciati del mentore e alla conciliante voce della guerriera si interruppero di improvviso quando il sussurro di Len rimbombò tra le sue labbra appena socchiuse.

-Mi dispiace d'avervi trascinato in questa follia. Se non fosse stato per me, probabilmente tutti voi ora sareste in un luogo caldo, con un tetto a ripararvi il capo ed un pasto caldo di fronte al viso.- Le dita callose del giovane si chiusero di riflesso attorno al ciondolo di metallo che ora pendeva inerte dal suo collo reclinato colpevolmente in avanti. Inconsapevole d'aver compiuto lo stesso gesto al funerale di Alain, ricercò nel tiepido oggetto quel coraggio sufficiente per terminare il discorso.

-La mia ricerca vi ha egoisticamente coinvolto nella caccia della donna serpente. Se solo..- il convinto timbro vocale si spense miseramente, oppresso dall'ammasso di parole accalcatesi sulla sua lingua. Non sapeva bene da dove cominciare, tutto nella sua testa sembrava ora un amalgamo di concetti ed emozioni assolutamente privi di senso logico.

-Tutto quello che posso fare è ringraziarvi, anche se credo che queste mie mere parole saranno di poco conforto alle ferite che vi solcano la pelle..-

Kaito dondolò avanti ed indietro per alzarsi, un sorriso birichino gli arricciò le labbra nel momento in cui saltò addosso al giovane compagno.

I due rotolarono in un intreccio di gambe e braccia sull'erba morbida, sotto lo sguardo perplesso e rallegrato degli altri due accompagnatori.

Len sputacchiò qualche filo color smeraldo; tirando fuori la lingua, disgustato dal sapore di terra che gli permeò le papille gustative.

-Ma che ti prende?!-

-Non dire mai più un'idiozia tanto grande, Len.- gli occhi cobalto dell'uomo brillarono, rispecchiando l'eco di un'anima che per troppo tempo era rimasta sorda al richiamo della fiducia.

-Il mago, per quanto mi duole ammetterlo, ha ragione.- commentò Gakupo terminando la sua attività di controllo; con un gesto deciso tirò le stringhe ruvide ai lati del sacchetto chiudendone l'estremità floscia.

-Siamo tutti coinvolti, ormai. Ma non è colpa tua, ragazzo; non fare quella smorfia affranta.- cercò di consolarlo il mentore, accostandosi al crepitare invitante del fuoco a cui la donna aveva dato vita in un cerchio di ruvide pietre grige.

La fiamma guizzò su un ramoscello secco, divorando brutalmente la corteccia coperta di muschio e le piccole foglie che vi stavano crescendo.

-Tutto lo schifo che nascondeva sarebbe venuto fuori, in un modo o nell'altro.- sputò Meiko, reclinando le gambe sotto il corpo scattante.

-C'è qualcosa di grosso che bolle in pentola ed io desidero ardentemente conoscere di quale deliziosa pietanza si tratti.- confermò Gakupo, colpendo con un legnetto il corpo centrale in cui la fiamma danzava nelle sue eleganti spire.

Il vestito evanescente dell'elemento strusciò sul terreno ruvido per poi sollevarsi in uno sbuffo di stoffa dai caleidoscopici colori.

-Allora, miei cari compagni,- Len si sollevò in piedi, scoprendo i denti in un sorriso carico di una grinta che non credeva più di possedere.

-Distruggiamo questa dannata pazzia, qualsiasi cosa essa rappresenti.- decretò sporgendo in avanti un pugno che subito venne affiancato da quello degli altri suoi compagni di viaggio. Il giovane osservò con soddisfazione ed un pizzico di divertimento quei visi che così casualmente si erano uniti alla sua avventura.

Ora erano una squadra, un gruppo di condottieri mal assortiti, ma desiderosi di sgominare le crudeltà di una regnante che nel suo armadio nascondeva sin troppi scheletri senza testa.

La fiducia tornò a ruggire nel petto del ragazzo, iniettandogli un fiotto di adrenalina nel cuore.

Ti prego Rin, resisti ancora un po'.”

 

Furono giorni di marcia forzata, determinati a raggiungere il misterioso luogo indicato dalle pulsazioni del ciondolo sul petto del giovane. I piedi avvolti dagli stivali di pelle erano ormai diventati un tutt'uno con il territorio sconnesso, in un ventaglio di bolle acquose e lacerazioni.

Il cibo finì dopo il secondo giorno di cammino, costringendoli così a procacciarsi un po' di selvaggina nei momenti in cui la volubile ruota della fortuna soffiava in loro direzione. Lo stesso discorso purtroppo coinvolse anche le risorse di acqua potabile, cosa decisamente più problematica.

La foresta spesso sembrava asciutta, dimentica di qualsiasi ruscello in cui riempire le borracce flosce. Marciarono per un giorno intero senza poter idratare le loro labbra stanche e spaccate dalla calura che martellava i loro capi. Il bosco andava sempre più perpetuamente diradandosi, lasciando spazio ad un accidentato territorio fatto di pietre scabrose.

Il paesaggio cambiò radicalmente, tramutandosi in un alternarsi ruvido di colline sempre più ripide e terrose. Nessun essere vivente sembrava aver osato mettere piede in quel luogo dimenticato dalla fiorente nascita di vegetazione.

Mano a mano che si inoltravano in quella valle di colline e massi spezzati, i ragazzi si convincevano del fatto che mai avrebbero trovato un villaggio in cui fermarsi per riposare e fare un minimo di rifornimento.

Tre giorni dopo aver abbandonato la macchia boscosa, i viaggiatori si ritrovarono di fronte ad un vero e proprio miracolo. Dall'alto di una collina, scuri tetti di ardesia spuntarono come piccoli funghi nella brulla distesa di erba e di terriccio; al centro del villaggio c'era una sorta di piccolo lago, creato da uno stanco affluente proveniente da una delle tante montagne sullo sfondo.

I quattro esplosero in un grido di giubilo, desiderosi di riposare in un letto coperto da soffici lenzuola profumate di lavanda e di affondare i denti in qualcosa di caldo e saporito.

Sfortunatamente però, questi loro sogni vennero brutalmente distrutti dal martello della verità, il quale cozzò contro i loro sorrisi nello stesso momento in cui le suole delle scarpe sfiorarono l'ingresso del villaggio. La puzza di cenere fu la prima cosa che il vento portò sui visi speranzosi dei forestieri, già pronti ad estrarre dalla cintola le sacche d'acqua vuote. Mano a meno che si avvicinavano, i quattro si accorsero che il biancore delle pareti era imbrattato da oblunghe dita di nero carbone.

I cespugli che costellavano il basso profilo delle mura si erano trasformati in tanti scheletri dimentichi di quella vita che li aveva animati.

C'era puzza di morte in quel luogo.

Un gemito corse alle labbra di Meiko quando vide, appesi davanti alla porta di ingresso, ricordi di quelli che un tempo erano stati uomini.

Corvi dalle lucide piume nere si erano appollaiati sulle spalle scarnificate dei poveri condannati; i loro becchi colpivano ad intermittenza ciò che era rimasto sulle ossa sbiancate. Nugoli di grosse mosche gialle danzavano attorno ai visi bluastri delle carcasse, adagiandosi con le zampette sporche sulla loro pelle grigia.

Kaito divenne pallido come un lenzuolo mentre Gakupo, correva a coprirsi la bocca per sopprimere un conato di vomito. Gocce di sudore freddo si srotolarono sulle schiene inarcate, appesantite dal dolore che permeava ogni singolo centimetro cubo d'aria.

-Chi può essere stato?- domandò la guerriera arretrando, toccata da tanta barbara crudeltà. Len la sostenne, appoggiando le mani sulle spalle tremanti.

-Io lo so..- Il giovane indicò con un cenno del mento una delle pareti che formavano il muro di cinta del villaggio devastato. Qualcuno si era macabramente divertito a disegnare con cenere e carbone un serpente dalle fauci pericolosamente spalancate su un futuro che mai avrebbe visto la luce dell'alba novella.

-Non ci posso credere..- singhiozzò la guerriera crollando in ginocchio, il peso dell'armatura le divorò il cuore. Kaito si accucciò al suo fianco, carezzandole con premura le spalle. Le sue sopracciglia corrugate silenziosamente comunicavano una rabbia tanto intensa da superare persino il limite espressivo delle parole.

Improvvisamente, un gruppetto di persone armate di arrugginiti forconi, uscì dalla carcassa di uno spazioso edificio, facendosi lentamente avanti verso la porta in cui i ragazzi erano in angosciosa attesa.

-Chi siete?- chiese un signore anziano digrignando i denti come un cane affetto da rabbia; una goccia schiumosa di saliva gocciolò sul suo mento, segnato da un'orrenda ustione.

-Non siamo nemici..- Gakupo alzò i palmi delle mani facendo così un passo avanti per porsi di fronte agli amici, ancora chiusi nel loro mondo di tristezza e disgusto.

Il vecchio sputò a terra nello stesso istante in cui un bambino gridò stridulo, stringendo tra le braccia la sorellina più piccola, dolcemente addormentata.

-Non farli avvicinare! Non farli avvicinare per nessuna ragione al mondo!-

Il suo visino era coperto di cenere grigia, le guance presentavano invece due nastri rosei nel punto in cui la disperazione aveva frantumato la sua felicità.

La ragazzina che stringeva tra le braccia era pallidissima, parte del viso era letteralmente stato mangiato dalle fiamme ed ora la pelle cadeva molle attorno all'orecchio, come se si stesse liquefacendo.

Gakupo, mosso da un impeto di altruismo, fece un ulteriore passo avanti nella speranza di far ragionare quelle persone spaventate.

-Io posso aiutarvi. Permettetemi di curare le vostre ferite.. io..-

Il forcone si piantò precisamente di fronte ai suoi piedi, minaccioso nel suo abbraccio di scura ruggine.

-Andatevene!- tuonò di nuovo l'anziano, sventolando in aria le mani ossute.

Gakupo arretrò senza mai distogliere lo sguardo dalla pelle malamente bruciata della bimba che, senza accurati interventi, sarebbe morta.

-Vi prego.. quella bambina..-

-Togli i tuoi occhi impuri da mia sorella, mostro!- gridò di rimando il giovanissimo, stringendosi al petto la creatura ferita.

La mano di Len si chiuse attorno al braccio del mentore in un perentorio ordine silenzioso.

-Non possiamo fare niente per loro. Andiamocene.-

Gakupo inghiottì difficilmente il nodo di rabbia, angoscia e tristezza che lo soffocava per poi voltare le spalle al villaggio ed agli sfortunati sopravvissuti.

Per la prima volta nel corso della sua vita, il medico abbandonò consapevolmente degli uomini nelle scheletriche braccia della morte.

Il volto sfigurato della ragazzina lo perseguitò come un'evanescente fantasma anche quando le mura del villaggio vennero inghiottite dall'oblio. 

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Capitolo 18
*** Un bacio elevatosi a sfidare il mondo. ***


Un bacio elevatosi a sfidare il mondo. 

Il terreno si modificò ancora, proiettandosi verso l'alto in minacciose composizioni rocciose. Len reclinò timorosamente il capo, ammirando con stupore il candido biancore della neve che ne incappucciava le cime. Il freddo si era fatto pungente; il vento, ad ogni sua raffica, sembrava voler strappare via a morsi la pelle dei viaggiatori.

Len si strinse nelle spalle, sfregando energicamente le dita intirizzite contro la pelle, coperta di un sottile strato di neve.

-Non puoi riscaldare un po' l'ambiente, stregone? Se non sbaglio il vento è la tua specialità.- il mentore starnutì, avvolgendosi più strettamente nella veste talare che, bellissima nelle sue rifiniture violette, non doveva trattenere particolarmente bene il calore corporeo.

-Fa poco lo spiritoso, consigliere.- grugnì Kaito premendo le dita bluastre tra le braccia ed i fianchi, di modo che potessero ripararsi per un po' dalle mugghianti folate gelate.

-Troviamo un luogo in cui riposare.- suggerì Meiko sollevando con una smorfia il viso arrossato. Gli occhi castani perlustrarono con crescente preoccupazione il cumulo di nubi nere, agglomeratesi attorno alle cime rocciose in una sorta d'oscuro presagio.

I quattro viaggiatori trovarono ricovero in una grotta incavata nel fianco di uno dei tanti massicci pietrosi; le pareti, a giudicare dall'irregolarità della roccia, erano state corrose dagli agenti atmosferici nel corso dei secoli.

Len lasciò cadere a terra il proprio sacco da viaggio, accompagnandolo con una smorfia dolorante e contrariata. Il pavimento granitico non avrebbe di certo offerto alcuna tipologia di ristoro ai corpi sfiniti dei condottieri, stretti nelle giacche bucate per sopravvivere a quel repentino calo di temperatura.

Fortunatamente, grazie alle miracolose capacità di sopravvivenza della condottiera, i quattro riuscirono a riscaldarsi di fronte ad un timido fuocherello; nel frattempo, fuori dal loro rifugio, scoppiò una delle tempeste più violente che Len avesse mai visto.

Il vento ululava con rabbia, desideroso di spezzare quelle immobili montagne che sfidavano il suo immenso potere. La pioggia cominciò a frustare i crinali scoscesi ed il paesaggio brullo, infradiciando qualsiasi creatura avesse avuto l'insana idea di avventurarsi in cerca di cibo. Spruzzi di acqua gelata arrivarono a lambire persino il bordo più esterno della nicchia in cui si erano nascosti, costringendo i viaggiatori a schiacciarsi nello spazio ristretto per non bagnarsi.

Il fuoco, situato a ridosso del rifugio per permettere la fuoriuscita velenosa del fumo, spesso venne colpito dalla sua liquida nemesi, generando sbuffi di fumo acre.

Fortunatamente però, la fiammella resistette diffondendo nell'ambiente il suo tepore provvidenziale.

-Le provviste sono pressoché terminate.- decretò gravemente Gakupo, spezzando tra le mani un tozzo di pane nero, ormai duro come la stessa roccia su cui sedevano.

-Questo basterà al massimo fino a domani, poi dovremmo tornare a cercare qualcosa nei dintorni.-

I denti di Len si chiusero avidamente attorno a quella pietra scura fatta di farina di farro; il suo stomaco brontolò con la stessa veemenza di un terremoto, richiedendo in modo feroce una più sostanziosa razione.

-La situazione si complica.- borbottò Kaito scalfendo con l'unghia la dura scorza del pane che, ovviamente, non destava il suo appetito. I ragazzi parlarono a lungo nella speranza di nascondere l'ansia crescente sotto lo strato di chiacchiere; eppure, questo efficace tentativo, venne sradicato dalla tensione. L'incertezza del futuro si materializzò nelle spoglie di un evanescente fantasma i cui sibili trasformarono spesso le parole in cupi silenzi.

L'eco dei loro pensieri rimbombò nel rifugio, accompagnata dallo scrosciare sempre più violento della pioggia sul crinale roccioso della montagna.

-Faccio io il primo turno di guardia.- comunicò Kaito quando i tentacoli color catrame della notte si insinuarono nell'intercapedine, salutando i quattro stanchi viaggiatori.

-Ti faccio compagnia.- si offrì Meiko strofinando le mani vicino al fuoco per scacciare i brividi che le accapponavano la pelle scoperta delle braccia.

-Siete sicuri?- sbadigliò Len, felice all'idea di poter dormire qualche ora.

-Meiko, dormi. Basto io per il primo turno.- si oppose Kaito, passando una mano nei capelli fastidiosamente umidi; le ciocche ricadevano arruffate e ribelli sul viso tatuato.

-Permettimi di dissentire,- La voce pacata di Gakupo si impose sulle parole dell'altro uomo, sgominando la sua resistenza.

-Sei stanco esattamente quanto noi; la presenza di un'altra persona scongiurerà la possibilità che ti addormenti.- decretò la voce della ragione, trattenendo a stento un lungo sbadiglio.

Il mago si voltò di colpo in direzione del mentore, corrugando irato le sopracciglia.

-Vorresti forse dire che non sono in grado di montare bene la guardia?!-

-Ci risiamo.- borbottò Len accucciandosi su un fianco prima di avvolgere i capelli nel cappuccio bordato di pelliccia; il ciondolo pulsò ritmicamente contro il suo cuore, sincronizzandosi con esso nel giro di un battito di ciglia. Su quella melodica armonia, il ragazzo scivolò in un sonno tanto profondo da allontanare persino le evanescenti orme dei suoi sogni. Imitandolo, Gakupo appoggiò la schiena contro il fondo della grotta per poi avvolgersi nella veste talare in uno sbuffo infastidito.

-Si è addormentato anche lui.- constatò la guerriera in un sorriso, drappeggiando con materna attenzione la giacca di Len sulle spalle.

-Ora puoi andare tranquillamente a dormire anche tu, senza che quel rompiscatole dica qualcosa in contrario.- commentò Kaito concentrandosi sull'ondeggiare ipnotico della fiammella che lottava coraggiosamente contro i gelidi refoli di vento.

-Se questo è un modo carino per sbarazzarti di me, sappi che hai appena fallito.- ridacchiò Meiko sedendosi a qualche passo di distanza dal mago, lì dove l'alone tiepido del fuoco arrivava a carezzarle le guance.

-Non stavo dicendo questo..- sussurrò lo stregone lasciando perdere lo scambio di battute con cui la giovane donna aveva tentato di sollevargli il morale. Le iridi accese dell'uomo si erano trasformate in due macchie indistinte, proiettate angosciosamente verso quello che era il loro incerto futuro.

-Sei ancora in tempo per andartene, Kaito.-

Il mago trattenne a stento un furibondo scoppio di risa; il sapore del fiele si diffuse sulle sue labbra mentre con una smorfia si voltava per guardare il viso della compagna.

-Per quanto possiate considerarmi un essere senza spina dorsale, non abbandonerò proprio adesso.- l'amara pennellata di rancore sollevatasi nelle parole dell'uomo scivolò via, veloce come la morbida spuma marina. Il silenzio crollò sulle loro parole in una tempesta di massi pesanti; solo lo scoppiettare del fuoco osava ancora imporsi sulla palpabile tensione che vibrava tra i due.

-Quel ragazzino mi sta a cuore; ormai è troppo tardi per abbandonarlo nelle fauci di quel dannato serpente rosa.- ringhiò affondando le unghie nelle ginocchia fasciate daillogori pantaloni.

-Cosa ti angoscia?-

-La possibilità di non riuscire a sfiorare la meta quando siamo così vicini da poterne avvertire l'odore.- rivelò l'uomo coprendosi il viso con i palmi delle mani. La donna rimase colpita nel riconoscere nel cuore angosciato dello stregone, la voce del medesimo fantasma che l'aveva perseguitata negli ultimi giorni. Spogliandosi del suo orgoglio di guerriera, la ragazza scivolò al suo fianco per appoggiargli una mano sulla spalla in una consolante carezza.

-Ho paura anche io, Kaito. Tutti siamo terrorizzati dall'idea di non riuscire ad arrivare sino in fondo.- la voce della donna si fece più sottile, tremante come quella di una bambina che si ritrova improvvisamente a combattere da sola un muro d'oscurità.

Le iridi color cioccolata si intrecciarono a quelli abbattute dello stregone; qualcosa, nel profondo della sua anima, brillò di un'ingenua speranza.

-Non sei più solo. Ricordalo.- sorrise, ritirando poi lentamente la mano.

Le dita del mago si sollevarono inconsciamente per intercettare quelle della compagna, mosse dalla forza incontrollabile di quei sentimenti che troppo a lungo erano rimasti nascosti sotto la coltre dell'indifferenza.

-Che..che cosa.?- Meiko balbettò confusa, imbarazzata quell'improvviso contatto instauratosi tra i due. La sicurezza marmorea dello stregone vacillò pericolosamente quando il viso della giovane donna si sollevò in una caotica mescolanza di domande a cui neanche Kaito sapeva bene dare risposta. Le sue dita tremarono, indecise se lasciar andare repentinamente la presa per aggiustare il guaio in cui si era appena cacciato.

Eppure, quel breve momento di indecisione non contribuì a schiudere la sua presa. Difatti, l'uomo sapeva benissimo che se l'avesse lasciata andare, avrebbe abbandonato per sempre l'unico vero sogno che ancora gli permetteva di credere nell'avvento di un futuro migliore.

-Permettimi di rimanere al tuo fianco, Meiko.- la voce dell'uomo si trasformò in un sussurro emozionato, privo di qualsiasi scaltra viziosità.

-Lascia che ti dimostri che non sono un buffone dai capelli blu.. Donami la possibilità di renderti felice.-

Le labbra di Kaito sfiorarono in un timido bacio la mano callosa della donna che era riuscita a stregargli il cuore.

Meiko trattenne il bruscamente fiato, distogliendo lo sguardo dal volto serio e concentrato del giovane uomo inginocchiato di fronte a lei. Il suo cuore palpitava tanto velocemente nella cassa toracica da lasciarla senza fiato; qualcosa nel profondo del suo animo si agitò commosso, vinto da quell'emozione che mai avrebbe pensato di poter provare nella sua vita.

-Kaito.. io..-

Il fiore della speranza perse istantaneamente tutti i suoi rigogliosi petali, ondeggiando in una triste danza verso il fondo della sua anima.

-Non dire niente; ti prego.. aspetta solo un attimo.- la voce di Kaito si incrinò appena sotto il peso devastante del dubbio. Un sorrise triste arricciò verso l'alto le sue labbra, distruggendo amaramente tutte quelle aspettative in cui aveva disperatamente creduto.

-So cosa stai per dire, ma ti prego di non farlo. Ho capito.. perdonami per..-

-Cosa pensi di aver compreso? Sciocco che non sei altro..- il timbro vocale della donna salì di due ottave; perlacee lacrime si agglomerarono emozionate ai lati dei suoi grandi occhi castani.

-Sai, non ho mai conosciuto niente che somigliasse vagamente a quello che gli chiamiamo 'affetto'.- I ricordi della guerriera affiorarono come boe nella memoria, diffondendo sulla sua lingua l'amaro sapore del fiele. Gli sguardi terrorizzati di uomini senza spina dorsale si alternarono in un acre balletto a quelli schifati dei più orgogliosi che, difficilmente, avevano digerito l'idea d'essere comandati da una donna.

-Nel corso della mia carriera militare ho sempre, solo avuto a che fare con un plotone di soldati insensibili che, tramite le loro occhiate, evidenziavano solo il lato bestiale che la spada mi conferiva. Per anni, questi comportamenti mi hanno portato a credere d'essere un freddo congegno, costruito per devastare.-

Meiko fissò il proprio evanescente ricordo piroettare in un turbine di sangue ed acciaio, implacabile come il più violento degli assassini.

-Il mio cuore non era progettato per amare.. o almeno così credevo prima che tu entrassi nella mia vita.- una sola lacrima rigò il suo zigomo mentre il più bello dei sorrisi si schiudeva sulle labbra rosee.

-Con la tua solarità, le tue battute ed i tuoi indomabili capelli blu hai risvegliato quello che era un cuore pietrificato, ormai convinto di non possedere più la dolce facoltà d'amare.-

Lo stregone dilatò gli occhi, il suo cuore sembrò esplodere di felicità quando le mani si chiusero dolcemente attorno al viso della donna.

Le loro fronti si toccarono, i loro sguardi si allacciarono in un rincorrersi frenetico di respiri spezzati e battiti di cuore.

-Ti amo, Meiko.-

-Anche io, buffone dai capelli blu.- sussurrò la donna in un sorrisetto al sapore di miele, prima di intrecciare le mani alla folta chioma azzurra del mago.

La distanza che ancora divideva i visi dei due ragazzi si azzerò in un bacio timido, titubante ma delicato come la carezza della lattea luce della luna. Meiko si avvicinò all'uomo, cingendogli il collo con le braccia mentre lui ricercava i fianchi di lei per stringerla più vicino.

Le loro mani si cercarono affannosamente, esplorando con cautela il viso del partner in una danza sempre più impaziente.

Il loro bacio esplose nella notte, sfidando il ruggente grido della pioggia.

Il tiepido sentimento, sbocciato dal canto di due cuori sincronizzati, si elevò a minacciare il futuro e le sue incerte pianificazioni.

-Ho aspettato questo momento per tutta la vita.- mormorò la donna premendo ancora ed ancora le labbra su quelle del compagno. Kaito ridacchiò silenziosamente, tirandola a sé in un abbraccio che valeva ben più di mille parole.

-Grazie di esistere, Meiko.- sussurrò a fior di labbra, premendo la fronte contro i capelli scompigliati della donna che, senza saperlo, l'aveva salvato dalla disperazione.

La notte fu sola e silente custode degli emozionati sussurri dei due viaggiatori che, aggrappandosi l'uno all'altro, sfuggirono alle infide grinfie del terrore.

Il giorno successivo, la pioggia aveva smesso di cadere, lasciando che la palla infuocata del sole splendesse cocente sulle teste dei viandanti.

Nel bel mezzo della marcia, Kaito lanciò un segreto sguardo in direzione della ragazza che camminava al suo fianco, apparentemente indifferente alla sua presenza.

Con un mezzo sorriso, le dita affusolate ricercarono quelle della guerriera che, stupita, la si girò di scatto solo per arricciare le labbra in un sorriso contento.

Le loro mani si intrecciarono nella silenziosa e rispettiva promessa di non arrendersi mai.

-Qui c'è puzza di zucchero...- commentò il mentore, ghignando spudoratamente.

Nel passare al fianco di Kaito, gli assestò una fraterna pacca di congratulazioni sulla spalla.

Il sangue affluì istantaneamente alle guance del mago mentre una serie di ingiurie borbottate e sconnesse si perdevano sulla scia dei passi del consigliere.

 

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Capitolo 19
*** La sacerdotessa. ***


La sacerdotessa ~ Chapter XIX 
 

Il paesaggio si modificò ancora di fronte agli occhi gonfi dei viaggiatori sfiniti; le montagne sembravano non terminare mai, sollevandosi dal terreno in imbiancati picchi coperti di neve. Il ciondolo continuava ad indirizzarli con sicurezza attraverso il labirintici percorsi di roccia malgrado gli animi dei ragazzi stessero pericolosamente vacillando sotto la violenza delle intemperie e del freddo mordente.

Un giorno mentre la loro marcia si trascinava avanti, il ciondolo smise improvvisamente di pulsare, trasformandosi in un vero e proprio bozzolo di calore. Len gemette chinandosi istantaneamente in avanti per non ustionarsi, osservando spaventato il filo di fumo sollevarsi in spire impalpabili verso il cielo.

-Che cosa succede?- sussurrò Gakupo affiancandosi al compagno per appoggiargli una mano sulla spalla e controllare il suo stato di salute; il medico era terrorizzato all'idea che qualcuno potesse ammalarsi.

-A quanto pare...siamo arrivati.- la voce del giovane si strozzò in un mezzo rantolo sorridente.

Quattro paia di sguardi si appuntarono sull'enorme massiccio roccioso di fronte a loro; a differenza delle altre, questo era molto più imponente ed aveva la punta spezzata; cumuli ammassati di neve sporca ne puntellavano il crinale.

Un'immensa bocca dentata si spalancava nel fianco della montagna, sprofondando giù verso il suo ventre profondo; le aspre pietre che che ne componevano i contorni pendevano nel vuoto in derisorie ghigliottine color onice.

-E' terrificante.- constatò Meiko, reclinando il capo verso le nuvole per osservare nel complesso l'altezza del titano sassoso.

-Siamo di fronte alla porta dell'inferno.-

Gakupo strinse attorno al corpo la tunica talare dai freddi colori violetti; un lento anelito spirava dal portale, scostando dal viso dei viaggiatori i capelli sporchi ed intrecciati.

-Ora è tempo di giocarci il tutto e per tutto.-

Len fece un lento passo avanti, strusciando la suola delle scarpe contro il granuloso terreno di montagna. Il giovane inspirò una boccata d'ossigeno, sperando che il coraggio si manifestasse nel suo animo. La mano callosa si chiuse attorno all'elsa del suo acciaio, gravoso sulle spalle incurvate dalla fatica; il ciondolo continuava a bruciare, percependo la vicinanza strabiliante di Rin.

-Andiamo a distruggere questa pazzia.- ringhiò, scoprendo i denti in un'espressione rabbiosa.

Non appena i quattro entrarono nella sacra bocca della montagna, il buio sembrò fagocitarli come una famelica bestia. Len deglutì a vuoto nella speranza di allentare la pressione che avvertiva gravare sullo stomaco; l'aria era talmente immobile e silenziosa che le orecchie del ragazzo cominciarono fastidiosamente a ronzare, quasi per contrastare quel muro di quiete.

Improvvisamente, lampade dalle guizzanti fiamme blu si accesero lungo tutto il profilo del muro; uno spaventoso alone cobalto illuminò il percorso, giù verso la gola della montagna.

Un brivido di reverenziale timore si arrampicò sulla schiena di ciascun presente.

-Qualcuno sembra volerci dare il benvenuto.- commentò Kaito, flettendo nervosamente le ginocchia, pronto e scattante come le sue pantere d'aria.

-Magari, in attesa del nostro arrivo, la creatura ha preparato anche tè e pasticcini alla crema.-

Gakupo, alle spalle del principe, provò l'insano desiderio di assestare una pedata nel fondo schiena del compagno.

-Non puoi davvero far a meno di scherzare su ogni singola cosa che ti capita sott'occhio, vero?-

-Mai sentito parlare di metodi finalizzati ad alleggerire la tensione, consigliere?- ribatté acidamente Kaito, fulminando il compagno con un'occhiataccia.

-Se solo avessi modi più intelligenti di..-

-Ragazzi, smettetela. Ora.- ordinò Len lapidariamente, voltandosi di scatto verso i tre membri della compagnia. L'autorevolezza vibrante nelle sue parole ammutolì i due uomini che, per la prima volta nel corso del viaggio, smisero istantaneamente di comportarsi da poppanti.

Len sospirò, sorridendo con una stanchezza tale da credere che la sua pelle si sarebbe lacerata per lo sforzo titanico. Gli angoli delle sue labbra cominciarono a dolere, quasi come se avessero tristemente dimenticato la deliziosa arte del sorridere.

-Non ho alcuna intenzione di costringervi a seguirmi. Sapete bene quanto me che quest'operazione sarà probabilmente suicida.-

La spada del giovane cozzò a terra, stridendo sgradevolmente contro la roccia.

-Forse, domani, non rivedremo la luce dell'alba.- La sua voce si spense di fronte a quella devastante consapevolezza. Kaito si fece avanti, abbandonando così il fianco di Meiko; i suoi occhi color acquamarina scintillavano di rabbia.

-Ascoltami bene,- sibilò afferrando nel pugno la giacca logora dell'amico per trascinarlo tanto vicino al suo viso che il fiato pesante ne accarezzò i capelli, scompigliandoli.

-Se credi davvero che io abbia fatto tutta questa strada solo per vedermi scaricare sul più bello, ti sbagli di grosso.- un ghigno spavaldo arricciò le labbra di Kaito, rendendo il suo viso allegro una maschera di cinismo e fermezza.

-Io sono un principe. Cosa credi racconterà la storia se abbandono un agnellino biondo nelle fauci del lupo?- ridacchiò colpendo con la fronte il capo soffice del giovane. Len, stupito, non captò inizialmente l'ironica e bonaria presa in giro del mago.

-Siamo una squadra, ricordi?- domandò Meiko accostandosi al ragazzo per cingergli le spalle con un braccio, fasciato dall'intreccio di cinghie scure che reggevano il pettorale istoriato, unico ricordo della sua gloriosa armatura.

Len sorrise, appoggiando istintivamente la fronte contro la spalla della guerriera; per un attimo si liberò di quella finta maschera che aveva per così tanto tempo indossato, lasciando che le preoccupazioni sgorgassero sul suo viso.

Si era comportato da uomo per un numero imprecisato di giorni e settimane; aveva sopportato ferite, angoscia ed un destino dai duri denti di ghiaccio. Per quel breve attimo, fatto di silenzio e ansiosi battiti di cuore, Len lasciò che quel travestimento si sgretolasse.

Len tornò ad essere un sedicenne spaventato con in mano una spada troppo pesante per le sue braccia.

-Ehm, quella è la mia donna.- scherzò Kaito colpendolo al braccio mentre Gakupo ridacchiava sotto i baffi per l'espressione scioccata di Meiko.

-La tua.. cosa?- pigolò la guerriera mulinando le braccia in aria per colpirlo.

-Aspetta, tu prima mi hai chiamato.. agnellino?!- tuonò Len afferrando la giacca del mago mentre un ventaglio di pugni giocosi piombavano sulla sua spalla in un coro di risate trattenute. Quel piccolo bozzolo d'allegria venne però brutalmente fagocitato dal silenzio, quasi per rammentare ai viaggiatori che in quel luogo infernale, un sentimento tanto positivo non era ammesso.

-Andiamo?- domandò Len scoccando un'occhiata complice ai componenti del gruppo che, unanimemente acconsentirono. I quattro scivolarono lungo la gola facendo ben attenzione a ciascun più piccolo rumore che esplodeva tra gli spunzoni di roccia. Le ombre sibilavano come viscidi serpenti di catrame, ridendo disumanamente ogni qualvolta uno dei viaggiatori sobbalzava. I fuochi fatui continuarono ad accompagnarli lungo tutto il cammino, incendiando la strada di innaturali bagliori. L'umidità impregnava le pareti, agglomerandosi in freddissime goccioline sulle stalattiti che sporadicamente i quattro vedevano decorare il soffitto.

-Smetteremo mai di scendere?- chiese in soffio Gakupo, guardandosi nervosamente attorno quasi per paura di veder comparire alle proprie spalle un demone dai lunghi, appiccicosi denti color catrame. Le tenebre avvolgevano i viaggiatori in un abbraccio vizioso, simile a quello di un amante indesiderato.

-Siamo superstiziosi?- tubò Kaito, lanciando un'occhiata alla donna che camminava di fronte a lui, quasi per verificare la sua presenza.

-Silenzio.- sussurrò Len alzando una mano sopra la propria spalla per catturare nel palmo i bisbigli degli amici. Il cunicolo terminava bruscamente in un portale finemente istoriato, costruito dalle squisite mani di un architetto senza nome. Un paio di nere colonne intagliate nella parete sorreggevano un pesante architrave inciso da rune incomprensibili, vecchie come lo stesso respiro dell'universo. Alla base dei due pilastri, una coppia di draghi dalle fauci spalancate minacciavano tutti coloro che osavano avvicinarsi a quel sacro, misterioso luogo. I loro occhi, fossilizzati nel tempo, erano stati sostituiti da rubini grandi come perle dai riflessi scarlatti. Len represse a stento un brivido di paura nell'osservare quelle code uncinate, le corna irte sopra agli occhi malefici delle due creature che sembravano davvero sul punto di balzare avanti e divorarli.

-Devo dire che il buon gusto non manca al nostro malvagio nemico.- commentò il mago, analizzando con occhio critico il granito nero di cui erano composti i bestioni.

I quattro si avvicinarono con molta cautela al limitare della porta, schiacciando le schiene contro lo stipite roccioso; il sudore scivolò lungo i visi angosciati in un concitato inseguirsi di coagulati sbuffi, evanescenti e leggeri come fantasmi.

entriamo” mimò Len con le labbra in direzione dei compagni appostati dall'altro lato del grande portale. Kaito digrignò i denti, impugnando con più decisione i corti pugnali che sempre teneva legati alla cintura.

Veloci e coordinati come assassini, i quattro si aprirono a ventaglio nel grande spiazzo illuminato, brandendo con tremante determinazione le proprie armi.

-Ma dove siamo finiti?- sibilò Gakupo guardandosi attentamente attorno, colpito dalla differenza abissale presente tra il minuscolo cunicolo in cui erano stati costretti ad avanzare e la sala che ora li accoglieva. Le altissime, lisce pareti si sollevavano a sorreggere una bellissima cupola istoriata da decorazioni rocciose. Queste, a giudicare dalle fini incisioni, raccontavano l'avventura misteriosa di un gruppo di cavalieri vestiti delle loro scintillanti armature. Le armi degli uomini erano valorosamente puntate contro il collo squamoso di un possente dragone dalle fauci spalancate; i suoi occhi brillavano di furia devastatrice.

Gakupo impallidì quando si accorse che quel bassorilievo non era stato cesellato per celebrare la vittoria dei nobiluomini quando per valorizzare la devastante potenza del drago, i cui artigli erano brutalmente affondati nelle armature di metallo.

-Finalmente siete arrivati. Vi stavo aspettando, miei piccoli ospiti indesiderati.- trillò una delicata voce femminile dal lato opposto della sala. I fuochi fatui che prodigiosamente volteggiavano in aria, sembrarono d'improvviso incrementare la propria luce, folgorando gli occhi disabituati dei compagni.

In piedi su un'elegante piattaforma di granito scuro, la donna dai lunghi capelli azzurri sorrise brandendo il proprio scettro d'ossidiana turchese. Il viso dai tratti bellissimi e delicati era parzialmente coperto da una maschera bianca, celante il colore dei suoi occhi.

-Tu chi sei?- gridò Len, digrignando i denti di fronte all'espressione derisoria della fanciulla che, trascinandosi alle spalle la lunga gonna ricamata, fece tintinnare gli anelli dello scettro.

-Non credi che sia io a dovervelo chiedere, ragazzo?- un sorriso velenoso arricciò le sue labbra carnose.

-Sai benissimo perché sono qui.- ringhiò il giovane fendendo minacciosamente l'aria con la propria lama. La rabbia si infrangeva in cavalloni bollenti sulle pareti del suo cuore, bruciando qualsiasi briciola di buonsenso rimastogli.

-Dov'è mia sorella?!- sbraitò seguendo il palpitare infuriato del ciondolo, sospeso sul suo petto. Kaito afferrò di scatto la spalla del compagno prima che questi potesse lanciarsi al folle assalto della sacerdotessa. Con reverenziale timore affondò le unghie nel braccio incandescente del ragazzo, sperando che quel piccolo contatto potesse aiutarlo a rinsavire.

-Len, usa la testa. Non è proprio il caso di farsi persuadere dall'irragionevolezza, adesso.- lo rimproverò scoccando un'occhiata alla donna che, ridacchiando, analizzava il gruppetto dall'alto della sua piattaforma. Per quanto potesse sembrare gracile ed indifesa, il mago riusciva a percepire chiaramente l'eco della sua potenza diffondersi in ciascun granello di polvere presente in quella stanza. Lei era una Dea che operava a suo agio nel suo universo; loro invece non erano altro che mere mosche intrappolate tra i filamenti perlacei della sua ragnatela.

-Guarda guarda che bel gruppetto di emarginati.- rise la donna, indicando con un cenno della mano il mago dagli scuri capelli blu.

L'uomo si inchinò brevemente, mettendo chiaramente in mostra il suo tatuaggio turchese, pulsante di viva magia.

-Mi presento, velenosa fanciulla. Sono Kaito, principe delle terre dell'Est, inviato qui per fermare questa tua follia.- un feroce sorriso di convenienza comparve sulle labbra dello stregone orientale.

-Voi due lì dietro; avete dei visi stranamente familiari..- sussurrò la donna scendendo di un passo gli eleganti scalini che la dividevano dal terreno della grotta.

Gakupo e Meiko si irrigidirono di colpo, non appena la donna sbatté in un moto d'esultanza la base del suo scettro contro la liscia superficie nera.

-Ma certo! Tu, donna, sei la mancata vestale.- affermò puntando il dito guantato in direzione della guerriera che, immobile, stringeva sempre più forte l'elsa della sua spada da guerra.

-Non dimenticherò mai il visino spaventato di Denise! Non faceva altro che chiamare il tuo nome, cara Meiko. Davvero patetico.- sibilò la donna scuotendo il capo quasi per scacciare i fastidiosi pensieri che ronzavano nelle sue orecchie.

-MALEDETTA!- gridò la donna, brandendo di scatto l'arma in un lacerante stridio di metallo. Kaito si voltò di scatto, afferrando appena in tempo la vita della compagna.

-Meiko, fermati, dannazione! Ti sta solo provocando!- Kaito afferrò tra le mani il viso congestionato della partner, disperdendo nella caverna un'urgente preoccupazione.

Gakupo strinse tanto forte i denti da sentirli macabramente scricchiolare; sapeva benissimo quali vocaboli avrebbe utilizzato la sacerdotessa per ferirlo e niente avrebbe mai potuto prepararlo.

-Gakupo, il figlio bastardo del re.- le parole lacerarono il silenzio come frecce dalla punta infetta, colpendo il consigliere dritto al cuore.

-Tua madre, una donna così forte ed indipendente, non avrebbe mai desiderato un figlio. Figuriamoci se derivato da un rapporto tanto disgustoso. Ma, malgrado tutto, nascesti solo per ordine della regina.-

Gakupo sbiancò, stringendo tanto forte la lama celata tre le dita da sentire il metallo penetrare nella pelle e lacerarne appena la superficie.

-Figlio del capriccio di una regnante e di una madre che non lo amò mai.-

L'autocontrollo del mentore finì in mille pezzi.

-Silenzio!!- tuonò con voce roca, dilatando tanto gli occhi da assomigliare ad una belva assetata di sangue.

La sacerdotessa rise ancora, portandosi vanitosamente la mano libera di fronte alle labbra; i suoi capelli frusciarono quando, volteggiando, la donna toccò con lo scettro la parete alle sue spalle. Un lampo di luce esplose nella sala, annientando persino il bagliore dei fuochi fatui; Len gemette frustrato, coprendosi istintivamente gli occhi.

-Solo gli uomini più forti sanno accettare stoicamente le più dure delle verità.- cominciò la donna quando il fulgore si ridusse, permettendo finalmente ai compagni di riacquistare la vista. Alle spalle della donna si era magicamente spalancata una porta dai contorni sbozzati; pietre azzurre come lacrime congelate costellavano irregolarmente il nudo corridoio.

-La verità che si cela dietro questo portale è troppo dolorosa per dei poppanti come voi.-

-Lascia andare mia sorella, strega!- Len osservò il cunicolo perdersi nelle pieghe scure dell'ombra; da qualche parte lì dentro, Rin lo stava aspettando.

-Tua sorella fa parte della realtà segreta che io qui custodisco in vece di Sacerdotessa. Lei, il suo destino, la sua voce e la sua anima mi appartengono.- sussurrò alzando il mento in un cenno di sfida; il braccio sinistro si sollevò in aria, in un muto richiamo.

L'odore del pericolo si fece asfissiante.

-Ti sbagli. Rin non ti appartiene!-

-Dimostramelo, allora.- abbaiò la donna spalancando le dita verso l'esterno. Il terreno si contrasse in uno spasmo; l'aria cominciò a fremere, percorsa da centinaia e centinaia di particelle elettrice.

-Ci siamo.- bisbigliò Kaito flettendo le ginocchia; velocemente le pantere d'aria zufolarono al suo fianco in latrati confortanti.

Il fondo della caverna cominciò a sgretolarsi, braccia scheletriche si sollevarono dalle aperture, contorcendosi rigidamente tra le rocce frantumate. Il silenzio venne infranto dalle inumane strida delle creature che, cercando d'emergere dal suolo, grattavano freneticamente le unghie sulla roccia, alla ricerca di un appiglio.

-Benvenuti all'inferno, miei cari.- dichiarò amabilmente la sibilla nel momento in cui la prima creatura si alzò in piedi, mostrando le sue orride fattezze disarticolate.

Il volto privo d'espressione ruotò meccanicamente in direzione dei viaggiatori; i quattro, inorriditi, fecero un passo indietro.

Un paio di orbite vuote, simili a slabbrate ferite, si appuntarono sui presenti; Len non aveva mai visto un colore tanto profondo come quello che denotava le cavità oculari.

Quel nero aveva il sapore della disperazione, della corruzione e della più definitiva delle morti.

La creatura fiutò la loro paura ed affamata, spalancò le fauci dentate in quello che avrebbe dovuto essere un sorriso. Gocce di saliva scure colarono lungo il mento a punta, disperdendosi a terra in tante lacrime avvelenate.

-Giochiamo, vi va?- la sacerdotessa scostò i capelli dal proprio collo; nello stesso istante, il suo esercito di morti viventi spalancò le fauci in un satanico grido d'assalto. 

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Capitolo 20
*** L'ombra è egemone regina del mondo. ***


L'ombra è egemone regina del mondo ~ Chapter XX 

Il grido ferale delle creature generate dalla sacerdotessa scaraventò i cuori dei quattro viaggiatori in un baratro di terrore senza fine, persino più buio della notte. Len arretrò involontariamente di qualche passo, chiudendosi i timpani con le mani nella vana speranza di attutire quello stridente requiem di morte. Meiko digrignò i denti, appoggiando una mano contro la schiena del giovane compagno; i suoi occhi castani erano accesi da una furia crepitante.

-Siamo qui per vincere, Len. Ricordalo.-

-Sì, vinceremo.- rispose il ragazzo, riassestando la presa sulla scivolosa elsa della spada. Non poteva farsi prendere dal terrore; non adesso che era così vicino al raggiungimento della sua meta. Rin era lì, da qualche parte oltre lo scuro varco apertosi nel muro alle spalle della sacerdotessa.

Il ciondolo pulsò contro il suo petto, confermando così quella sua silenziosa convinzione.

-Siete ancora in tempo per fuggire!- tubò la donna dai lunghi capelli blu, compiendo un'aggraziata piroetta su se stessa. Le creature si dimenarono, mostrando ai nemici le loro fauci gocciolanti di saliva velenosa; invisibili catene ne trattenevano gli arti, desiderosi di bagnarsi del loro sangue. Kaito si chinò in ginocchio, accarezzando con un sorriso le orecchie dei suoi fedeli lupi magici. Il muso effimero di una delle creature si sollevò a leccare il mento dell'uomo in un'affettuosa, ineffabile carezza mentre l'altra avvolgeva la coda attorno al collo dell'uomo con fare protettivo.

-Sai, mia dolce fanciulla, a volte accade che i topi imbroglino il più scaltro dei gatti di corte..-

Il sorriso di Miku brillò con la stessa pericolosa intensità di un pugnale in un mare d'ombra.

-Forse hai ragione, ma non credo che questo brillante caso di astuzia possa essere ricollegato a voi, mi dispiace deluderti.- sussurrò la sibilla, arricciando attorno alle dita le morbide ciocche color mare. Gakupo analizzò con peculiare attenzione i tratti e la stessa figura di quella donna, domandandosi come fosse possibile che in una figura tanto minuta potesse concentrarsi una così feroce crudeltà.

-Vogliamo cominciare?-

I lupi raschiarono con le unghie il terreno roccioso, riducendo i sassi più grandi in cumuli di polvere. Len roteò la spada nelle proprie mani, flettendo minacciosamente le ginocchia per prepararsi alla battaglia.

-Giochiamo!- gridò Miku sollevando di scatto il proprio scettro d'ossidiana. Le creature infernali ruggirono possentemente, proiettandosi avanti come un sol corpo dinoccolato.

-Ragazzi, se non dovessimo farcela, è stato un vero piacere combattere con voi.- iniziò Gakupo stringendo convulsamente la lama corta nella mano; l'ingombrante abito talare era scomparsa per lasciare spazio alla corta tunica da combattimento.

-Sta zitto, uccello del malaugurio. Noi vinceremo.- tuonò Kaito aprendo di scatto le braccia per scatenare la furia devastatrice della sua magia. I lupi straziarono il silenzio con il loro grido bellico, rinvigorendo l'animo diffidente del condottiero biondo.

Len alzò la spada sopra la testa, unendosi a quell'urlo ferale.

-Avanti ragazzi!-

L'impatto fu terribile; i quattro combattenti sciamarono tra le file nemiche tenendosi ben vicini gli uni agli altri per coprirsi rispettivamente le spalle. Il metallo iniziò a danzare e sibilare nell'aria, infrangendo le corazze ossute dei mostri che attanagliavano i ragazzi nella loro disorganizzata offensiva. Len scartò di lato, evitando per un pelo gli artigli di uno dei mostri; il puzzo della sua pelle imputridita lo raggiunse alla gola, rivoltandogli lo stomaco.

Il ragazzo ruotò su se stesso, e sfruttando lo sbilanciamento laterale, caricò il colpo.

-Muori!- sbraitò, lacerando il busto flaccido della creatura dal pube sino alla clavicola destra. Sangue scuro come catrame zampillò con poca convinzione fuori dalla ferita, creando ai piedi del mostro una pozza all'odore di zolfo. I lupi di Kaito sibilavano tra le file nemiche, vestiti dei loro bellissimi mantelli di pelliccia azzurrina, impalpabile come la spuma delle onde marine. Le fauci dentate si chiudevano senza interruzione attorno alle caviglie dei nemici, strappando ossa, brandelli di carne flaccida e tendini. Eppure, malgrado il loro aiuto, gli esseri sembravano moltiplicarsi esponenzialmente, accalcandosi gli uni sugli altri per raggiungere i quattro combattenti. Kaito colpì con un poderoso calcio al petto una delle bestie, avvertendo sotto la suola dello stivale il piacevole scricchiolare delle ossa; i suoi pugnali gemelli si conficcarono con felina velocità nelle gole di altri due rivali, appostatesi alle sue spalle. Non si era mai sentito tanto eccitato in vita sua; l'adrenalina bruciava come ferro fuso nelle sue vene, alimentando la potenza della sua magia. Il mago non poté fare a meno di ammirare la sua compagna, bellissima quanto letale nella sua armatura dipinta di rosso; i capelli di Meiko ondeggiavano ogni qual volta la donna roteava, colpiva o scartava, fracassando ossa e vite.

La spada fischiava nell'aria, fluida e devastante come il guizzo di un cobra.

L'attenzione della donna era solo focalizzata su ciò che la circondava; una luce fredda ed implacabile cristallizzava quelle affascinanti iridi in cui lui aveva visto rispecchiato il proprio amore. Gakupo, lottava con efferata velocità al fianco del ragazzo biondo, la sua lama corta assomigliava ad un'affilata estensione del suo braccio. Sull'elsa, inciso in rilievo, il motto della reale casa del Serpente premeva fastidiosamente contro il palmo della sua mano.

Il sangue vi scivolò sopra, riempendone gli spazi vuoti quasi per decretare la definitiva rottura di un fedele rapporto durato per anni.

-Sangue per suggellare, sangue per distruggere.- sussurrò il mentore nell'osservare i rigagnoli densi con piacevole soddisfazione. Miku corrugò le sopracciglia, evidentemente infastidita dalla difficoltà con cui il suo esercito si faceva largo tra i veloci e letali combattenti; il suo scettro picchiò per terra, diffondendo nell'aria un'onda sottile, risonante.

I mostri drizzarono immediatamente le teste, latrando penosamente come cani bastonati.

Len tranciò il braccio dell'avversario che aveva di fronte, scoprendo i denti in un'esaltata espressione di potenza.

Sfortunatamente però, il suo sorriso si frantumò in tante schegge disgustate.

La creatura mosse il moncone con meccanica rigidità, spargendo il suo sangue ovunque nel giro di due metri; in un coro di scricchiolii e di carne strappata l'arto si ricompose sotto gli sconvolti occhi del giovane. Un ghigno malefico si dipinse sul viso inespressivo della creatura quando questa fiutò la puzza salata della paura.

Prima che Len potesse riprendersi dallo shock, gli artigli del mostro gli raggiunsero il collo, incidendo la carne con profondo squarci sanguinolenti.

Le dita ossute serrarono la carotide in una promessa di morte; il giovane cercò di dibattersi, boccheggiando alla disperata ricerca di aria. Il mostro alzò il braccio con crudele lentezza, sollevando il nemico con innaturale facilità; la spada cadde a terra tintinnando, gli stivali grattarono sul terreno alla frenetica ricerca di un appiglio.

-Dannato..- sibilò il ragazzo cercando di colpirlo al ventre con un calcio. Le sue forze scivolavano come liquide lungo gli arti, gocciolando ai suoi piedi assieme alle scaglie del suo flebile respiro.

Prima che il buio dell'incoscienza potesse però annebbiare definitivamente la vista del ragazzo, il lupo magico di Kaito investì la creatura, sbalzandola lontana da lui.

Len crollò in ginocchio massaggiando la gola ferita, il sangue ruscellò tra le sue dita inzuppando il guanto stracciato. L'animale incantato rizzò il pelo, e chinandosi sulle zampe anteriori, scoprì le zanne in un ringhio gutturale; le sue iridi cristalline scattarono a destra e sinistra, alla frenetica ricerca di un modo per proteggere il ragazzo.

Tossendo per scacciare il dolore alla carotide, il combattente recuperò la spada flettendo le ginocchia, nuovamente pronto alla battaglia. Con disattenzione ma sincera riconoscenza, le dita del giovane accarezzarono il pelo chiaro dell'incantesimo, ringraziandolo con qualche bassa parola.

-Len! Tutto okay? Fammi vedere quegli squarci...- ordinò apprensivamente il consigliere accostandosi al ragazzo, incurante del pericolo che sciamava attorno a loro in un ventaglio di unghie. Len afferrò di scatto la tunica del mentore, strattonandolo con veemenza verso di sé; le fauci di una creatura schioccarono nell'aria, chiudendosi ad un soffio dalla nuca violetta dell'uomo. La spada del condottiero biondo fracassò il sottile strato osseo della cervice, sparpagliando sul terreno frammenti grumosi di quello che probabilmente era stato il suo encefalo. Gakupo si appoggiò alle spalle dell'amico, conscio d'aver sfiorato la morte con la punta delle dita.

-Attento, consigliere. Penseremo a curare le nostre ferite una volta usciti da quest'inferno.- il sorriso feroce del giovane si sovrappose al dolore asfissiante che incendiava la pelle lacerata.

-Così non andremo da nessuna parte. Len, tu devi raggiungere la sacerdotessa e farla finita. Altrimenti di questo passo, finiremo per venire massacrati.- decretò l'uomo dai capelli viola allontanando con un calcio laterale un mostro privo di un piede. Meiko e Kaito erano riusciti a riavvicinarsi ai compagni, coperti di polvere e grumi di sangue scuro.

-Come?-

-Ti apriremo un varco noi.- propose la donna, cancellando con il dorso della mano una lunga, fastidiosa goccia di sudore scesa a rigarle la guancia. Nel farlo, una stilla di sangue si mescolò ad essa, donando sfumature inquietanti al suo viso, acceso dalla furia della battaglia.

Malgrado la stanchezza che le si leggeva in viso, Meiko assomigliava ad un'antica, affascinante divinità bellica.

-Amico, siamo nelle tue mani.- concordò il mago, colpendolo con un piccolo pugno alla spalla. I due lupi ritornarono al fianco del loro padrone, muovendo minacciosamente le candide code.

-Forza!- gridarono all'unisono i tre combattenti, disponendosi a piramide di fronte al ragazzo biondo; le bestie magiche partirono nuovamente all'assalto, aprendo la strada agli sfiniti guerrieri. Miku, dall'alto del suo piedistallo, osservò con cinico divertimento gli sforzi dei suoi nemici protrarsi invano di fronte alla resistenza delle sue marionette. Se solo avesse desiderato, avrebbe potuto spazzare via quei moscerini con un semplice movimento delle dita; eppure, la vestale rimase immobile, beandosi dell'odore struggente della speranza.

Ben presto, il lezzo della disperazione avrebbe rimpiazzato quella piacevole essenza.

In quel mondo non c'era spazio per la gentilezza, la felicità o qualsiasi altra tipologia di sentimento positivo; tutto era impregnato del gusto salmastro delle lacrime.

Mentre contemplava con totale indifferenza il massacro protrarsi ai piedi del suo piedistallo, le passate grida delle vestali rimbombarono nella sua testa, raschiandole le tempie.

Tutte le ragazze che erano state trascinate in quel freddissimo, ombroso luogo al cospetto della sacerdotessa avevano implorato pietà fino alle lacrime. Il cuore di Miku si era frantumato in pezzetti sempre più piccoli nell'osservare, con il passare degli anni, quei delicati visi strinati di sofferenza e paura.

Quante volte, nel corso della sua cristallizzata, eterna vita di sibilla aveva sussurrato alle loro orecchie bugie viscide come miele nella speranza che un giorno la catena di quel crudele destino potesse finalmente spezzarsi. Sfortunatamente, fino a quel momento, i dadi del gioco avevano frantumato qualsiasi forma di speranza o luce che si fosse parata loro di fronte.

Nulla cambierà. Il futuro è scritto nel firmamento.” pensò la donna, lasciando scivolare il proprio sguardo sui delicati anelli d'ossidiana che denotavano l'asta del suo scettro.

-Vai, Len!-

La voce dell'uomo dagli eccentrici capelli blu esplose nell'aria con lo stesso fragore di un tuono. Miku abbassò di scatto lo sguardo in un turbinio di morbide crine color mare.

Con velocità felina, lo scettro d'ossidiana roteò in aria cozzando contro la spada tesa del ragazzo che, inaspettatamente, era riuscito a sfondare la difesa del suo esercito. La sacerdotessa ringhiò nel percepire un diffuso dolore ai polsi per l'intensità dell'offensiva nemica; l'ossidiana e l'acciaio cantarono, stridendo l'uno contro l'altro in uno pugno di scintille.

-Ti ho raggiunta.- sorrise il condottiero, scoprendo i denti.

-Non credere di potermi sconfiggere, scarafaggio.- rispose immediatamente la sacerdotessa, roteando su se stessa per disimpegnare la propria arma.

La parte inferiore del bastone lo colpì allo stomaco, togliendogli bruscamente il fiato.

-Stronza.- sputò lui, roteando lentamente attorno alla donna per recuperare respiro.

Nuvolette di condensa si sollevavano ad intermittenza dalle sue labbra socchiuse; i muscoli palpitavano freneticamente sotto la pelle madida di sudore, appesantendo il corpo sfinito del giovane. Persino la spada, sapientemente forgiata nel metallo più leggero, sembrava pesare tonnellate tra le sue mani; gli stivali raschiarono impacciati il liscio pavimento della passerella. Una frizzante fragranza di acqua e lavanda gli raggiunse le narici nel momento in cui la donna cominciò a ruotare assieme a lui, disegnando ipnotiche figure astratte.

-Sei a pezzi, pulcino.-

-Ti ridurrò a brandelli comunque.-

-Senti, senti..- Miku rise, inclinando la testa di lato in un'innocente espressione di stupore infantile.

-Balla con me allora; e nel frattempo, guarda i tuoi amici morire.- sibilò, sbattendo la base del suo scettro a terra in un silenzioso, spaventoso ordine.

I mostri ruggirono, avventandosi come un sol corpo sui tre combattenti che sempre più faticosamente contrastavano l'attacco nemico; inevitabilmente però, combattendo spalla a spalla, i guerrieri dovettero arretrare.

Malgrado la bravura delle loro spade, denti ed artigli cominciarono a penetrare la loro barriera difesa, lacerando le tenute e le pelli sotto di esse.

-Allontanati da me, mostro schifoso.- latrò Gakupo staccando con un netto colpo di lama il ginocchio dell'essere di fronte a lui; in quello stesso istante però un'altra bestia piombò alle sue spalle aggrappandosi alla sua tunica con unghie affilate come rasoi. Il consigliere tentò di scrollarselo di dosso, colpendo a calci la mano della creatura appena abbattuta, che lo inchiodava al terreno. Sibilando di piacere, l'essere conficcò i denti nella sua spalla, tanto in profondità da raggiungere la clavicola; il sangue zampillò imbrattando di macchie viscose la sua faccia deforme.

-Gakupo!- gridò Meiko girandosi di scatto quando il gemito disperato dell'uomo raggiunse il suo udito.

-MEIKO!-

Un paio di mani le urtarono violentemente le spalle, scaraventandola a terra.

Ci fu un solo, terrorizzato grido prima che la confusa cacofonia di guerra venisse soppiantata dall'orrendo suono della carne che si lacerava in tanti piccoli pezzi.

La guerriera si toccò le labbra tremanti; schizzi di sangue caldo rigarono le sue guance, miste a incredule lacrime di sofferenza. Lo stregone era di fronte a lei, le braccia ancora aperte verso l'esterno nel chiaro intento di proteggerla; una mano artigliata si era fatta impietosamente strada nel suo petto, maciullando ossa e tendini con agghiacciante semplicità.

Il lezzo della morte raggiunse la donna, stringendole la gola.

Kaito le sorrise amabilmente, protendendo la mano in direzione del suo mento; le dita tremanti erano coperte di sostanza scarlatta.

I suoi occhi azzurri abbracciarono per l'ultima volta i morbidi tratti del viso della guerriera.

-Mi dispiace così tanto, Me...- la sua voce si spense, dimentica di quel nome che sulla sua lingua assumeva una sfumatura tanto dolce. Il viso dell'uomo si tramutò in una maschera di cera, mentre il sangue ruscellava lungo il suo mento.

Meiko, sconvolta, osservò la vita estinguersi in quegli occhi vitali che l'avevano fatta innamorare.

La creatura ritrasse ghignando la sua mano assassina, liberando il corpo dell'uomo che, ormai privo di equilibrio, scivolò direttamente tra le braccia protese della donna.

La guerriera accarezzò con timida indecisione gli intrecciati capelli del mago, percorrendo con dita tremanti quel viso che non avrebbe mai avuto il piacere di esplorare.

Il suo cuore si sbriciolò senza far rumore.

-Kaito, chiamami ancora per nome..- sussurrò al suo orecchio abbracciando le spalle inerti dell'uomo. Meiko baciò la sua fronte, avvertendo sulla lingua il sapore liquido della sofferenza.

-Aspettami, tesoro mio..- bisbigliò dopo un momento di silenzio, senza mai sollevare lo sguardo in direzione dell'orda di creature affamate che, passo per passo, si stringeva attorno a lei in una tenaglia letale. Quando la prima mano artigliata si chiuse attorno alla sua spalla, la guerriera non oppose alcuna resistenza lasciando che un sospiro abbandonasse le sue labbra.

In quel singolo, ultimo anelito, sembrò concentrarsi tutta la sofferenza di un mondo fatto di violenza, sogni infranti e speranze sbriciolate.

Miku chinò appena il capo per onorare la valorosa morte dei suoi nemici mentre la voce di Len rimbombava angosciata nelle sue orecchie.

L'ombra è l'egemone regina che domina il mondo, nulla potrà mai cambiare questa verità.”

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Capitolo 21
*** Kasay, il devastatore. ***


Kasay, il devastatore. ~ Chapter XXI

-No, no, no!- la voce spezzata di Len si alternò e sovrappose con il cozzare furioso della sua lama; lo scettro d'ossidiana incassò prontamente ogni singolo colpo, disperdendo nell'aria nugoli di scintille rosse ed arancioni. La sacerdotessa scoprì i denti bianchissimi in una smorfia a metà tra la crudele consapevolezza della sua vittoria ed il dolore provocato dall'offensiva sempre più violenta del rivale. Inaspettatamente, a causa di quella sciocca distrazione, la lama scivolò sul bordo dello scettro tagliandole appena una falange. Con uno scatto secco, la donna si allontanò dallo scontro, fissando stupita le perle scarlatte agglomerarsi a mezzaluna sotto l'unghia.

-Piccolo microbo, come hai osato..?- un brontolio cavernoso rimbombò nella gola di lei.

Il giovane condottiero non riuscì neanche a percepire lo spostamento della donna, semplicemente se la ritrovò addosso in un disordinato alone di crine color ghiaccio. Lo scettro si abbatté con la violenza di una martellata contro il suo stomaco, privandolo bruscamente del fiato. Un fiotto di saliva sfuggì dalle sue labbra, spalancate in un rantolo doloroso.

-Non avresti dovuto ferirmi, moccioso.- Miku afferrò le guance del ragazzo con la mano insanguinata, tracciandogli così una singola striscia sulla gota.

-E' un vero peccato dover rovinare un visino così adorabile.- sussurrò subito dopo, accostandosi a Len con malcelata malizia. Le labbra della sibilla sfiorarono in un velocissimo bacio quelle del giovane. Il sapore del sale e della paura si mescolarono sulla lingua della donna. Il giovane, ancora debilitato da quell'azione inaspettata e dalla mancanza di fiato, barcollò appena alla ricerca della spada che gli era sfuggita di mano.

La sacerdotessa colse al volo la debolezza del suo nemico, procedendo spietatamente nella sua offensiva.

In un atto di totale slealtà, roteò su sé stessa per colpire nuovamente il ragazzo alla schiena. L'ossidiana cozzò contro le ossa vertebrali in un suono macabro ed orribile.

Len sgranò gli occhi. Il dolore fu fulminante; si diramò come un'onda a partire dalla base della colonna sino a investire il cervello. La vista del ragazzo si offuscò per un attimo, catapultandolo in un mondo fatto di ombre sfuggenti, terrificanti quanto lo stesso ghigno della morte.

La donna piombò addosso al giovane con la stessa agilità felina di una pantera, inchiodandolo a terra. Le dita fasciate di nero si chiusero attorno alla mascella del giovane, voltandola a forza in direzione dell'esercito di scheletri.

Le labbra soffici sfiorarono il suo orecchio in un ordine al cianuro.

-Guarda, ragazzino. Ammira la fine dei tuoi miseri amici.-

Le iridi appannate del condottiero si focalizzarono sul macabro spettacolo; sassi taglienti come pugnali riempirono il suo stomaco, la sua bocca si riempì di un eccesso di bile.

Non sarebbe dovuta andare così..” pensò disperatamente mentre lo strazio si diffondeva attraverso ogni sua singola sinapsi nervosa. Grandi, perlacee lacrime si agglomerarono ai lati dei suoi occhi nel momento in cui i visi dei suoi compagni ritornarono sorridenti a sfiorargli la mente.

Non è giusto.. Dopo tutta la strada che abbiamo fatto, il destino non poteva riservarci sorte migliore di questa?”

In quel momento, sullo sfondo dei gemiti agonizzanti del consigliere, Len tornò ad essere il semplice, ingenuo ragazzo di sedici anni che aveva follemente deciso di imbarcarsi in quell'impresa. Kaito, Meiko e Gakupo l'avevano seguito solo per finire divorati dalle fauci di quella creatura che ancora osava definirsi umana.

Non è giusto.. io volevo solo salvare Rin.” la mente del ragazzo si aggrappò angosciosamente al sorriso triste di quella fanciulla così simile a lui che solo aveva avuto il piacere di incontrare nei suoi sogni.

Sono così stanco, Rin. Come posso salvarti?”
Le mani del condottiero scivolarono lungo quel sottile filo di ragnatela, dissipando nelle pieghe dei suoi pensieri quel tenero viso che sembrava portare sulle spalle la sofferenza del mondo intero.

-Morirai, esattamente come loro.- la voce della sacerdotessa si fece largo nei suoi pensieri, crudele e sibilante come quella di un rettile.

Len non l'ascoltò; la morte in quel momento sembrava l'unica liberazione dalle ustioni che il fallimento gli avevano inciso sulla pelle. Il ciondolo cominciò a palpitare contro il suo sterno, sepolto tra le pieghe della maglietta zuppa di sangue e sudore; il suo tepore raggiunse direttamente il cuore di Len.

D'improvviso, le orecchie del giovane si riempirono di una melodia struggente, dolce e malinconica come il cadenzato infrangersi delle onde marine sulla battigia.

 

«Io prego per proteggere il mondo luminoso; un pianeta in cui tutti possano sorridere. La mia è una canzone di speranza per il domani. Donando la mia vita ad esso, canto con forza. Lasciate che la mia voce fluttui fino al giorno della mia morte.»

 

La sottile voce della sorella si affiancò all'immagine avvizzita di una ragazza sola, cresciuta nelle ombre come il più raro e bello dei fiori selvatici.

Senza comprendere se stesse sognando o se fosse già morto, Len osservò la fanciulla intrecciare le pallide dita sul petto in preghiera mentre la sua canzone continuava ad incidere il silenzio tombale. C'era qualcosa di sbagliato in quelle tenebre, un qualcosa di ferale e pericoloso che cosparse la pelle del ragazzo di tanti diamanti ghiacciati.

Mia cara sorellina, io non ho fatto altro che combattere quel mondo che tu strenuamente stai proteggendo. Ho varcato leghe e leghe solo per trovarti e portarti in salvo, implorando il cielo e le sue sfere per far si che la tua voce tornasse al caldo focolare domestico.” un sospiro si levò dall'anima stanca del giovane mentre tutti quei pensieri affollavano la sua testa con la stessa irruenza di un fiume in piena.

Che crudele scherzo aveva giocato loro il destino.

Affondando le sue avide dita nelle speranze dei viaggiatori, aveva direzionato i loro gesti di modo che tutto finisse nel sangue. Miku, nel cogliere la totale immobilità del corpo sul quale era accucciata, si sollevò con lentezza per recuperare il suo scettro.

Il lezzo del sangue si era fatto insopportabile. Non c'erano altro che viscide chiazze rosse attorno a lei. Impalpabili nuvolette di condensa si sollevarono dalle sue labbra, disegnando al loro interno fugaci sprazzi di ricordi soffici come neve, ma dolorosi come lividi.

-Il destino si ripete.- sussurrò, appoggiandosi stremata al suo fedele, muto compagno. Gli anelli tintinnarono appena, rimbombando nella sala quasi a volerla consolare.

 

Len guardò l'immagine impalpabile della sorella sorridergli dolcemente. Il riflessi del sole sembravano danzare tra i suoi soffici, corti capelli biondi mentre la bellezza del cielo estivo si rispecchiava in quelle iridi che mai avevano avuto il piacere di ammirarlo. Lei distese una mano in sua direzione, mimando con le labbra il suo nome.

Len comprese che mai si sarebbe potuto arrendere.

 

Non lascerò che finisca così..Combatterò, fino all'ultimo dei miei respiri.”

 

Gli occhi azzurri di Len si spalancarono nuovamente sullo scempio che i non-morti avevano impietosamente compiuto. Ogni forza aveva rifuggito i suoi muscoli ma, malgrado ciò, le braccia coperte di tagli si puntellarono nella cocciuta volontà di sollevarsi. Il sangue gocciolò lungo la sua tempia, imbrattando le ciglia chiare di tante minuscole perle.

-Credi davvero che sia tutto finito?- il suo timbro vocale si venò di un implicito sorriso di scherno. Miku si voltò di scatto, brandendo di fronte a sé l'arma affusolata ed ancora miracolosamente integra dopo tutti gli attacchi.

-Devo ammettere che la cocciutaggine di certo non ti manca.-

-Non posso morire qui.-

-Spiacente di doverti deludere.- la mano della donna venne avvolta da una pulsante luce color zaffiro mentre filamenti ineffabili correvano a penetrare il suolo per risvegliare i morti.

Il ciondolo ustionò il suo petto; d'improvviso, Len si rese conto che solo una cosa avrebbe potuto sconfiggere la crudeltà di quelle creature.

Non una lama, non qualsiasi tipologia di violenza.

Il canto si levò sicuro dalle sue labbra, soave come quello di un usignolo ma deciso come una lastra d'acciaio temperato.

-Io prego per proteggere il mondo luminoso ..-

Miku spalancò gli occhi, attonita nell'udire quelle parole spaventosamente familiari.

-E tu come conosci quella canzone?!- tuonò facendo un passo avanti. Le creature appena nate sibilarono, coprendosi il capo con le mani ossute.

Len non si fece minimamente influenzare dalla rabbia della sibilla e, in risposta, chiuse gli occhi per abbandonarsi al canto che nasceva nel suo petto. Per un momento, il giovane desiderò credere che sua sorella lo stesse conducendo verso la vittoria, alla volta del nascondiglio umido in cui per anni era stata confinata.

-SMETTILA!- sbraitò la sacerdotessa fissando con orrore il bagliore magico rifuggire le sue dita guantate. I non-morti zufolarono, scuotendo le teste ossessivamente; i loro corpi iniziarono a disintegrarsi, creando mucchietti di polvere nera sul terreno.

Miku impugnò con più forza lo scettro, decisa a colpire il condottiero per porre fine a quella soporifera nenia. Eppure, quando cercò di fare il primo passo avanti, le gambe non si mossero di un solo centimetro.

Era come se tutto il suo corpo si fosse tramutato in un blocco di pietra.

-Dannato..-

Len cominciò a correre sollevando la spada; l'ultima frase esplose tra le sue labbra bordate di grumi di sangue scuro.

-Lasciate che la mia voce fluttui fino al giorno della mia morte.-

Miku gridò, cercando di sfuggire.

In un guizzo fulmineo, l'acciaio del giovane raggiunse la sguarnita guardia della sibilla. Invece che affondare l'arma nella molle carne tra i seni della donna, Len puntò alla maschera che ricopriva i suoi occhi. Non appena il metallo entrò in contatto con quel materiale così simile al marmo, una crepa divise a metà il candido oggetto.

-E' finita.- sussurrò nell'osservare la donna crollare in ginocchio con il viso affondato tra i palmi tremanti delle mani.

-Che cosa hai fatto...?-

-Ho semplicemente posto fine a questa follia. Voglio mia sorella indietro, a costo di far crollare questo dannatissimo mondo sulla tua testa.- Len colpì una scheggia bianca caduta dalla maschera, spingendola lontano con repulsione.

-Stupido ragazzino, hai compromesso tutto.. Adesso,- Miku trattenne a stento un singhiozzo terrorizzato.

-Adesso nessuno potrà più contenere la bestia.-

-Quale bestia?-

Miku si accartocciò su sé stessa, lasciando che i capelli le scivolassero attorno in un soffice tappeto profumato di lavanda e sudore. Le sue spalle tremavano come quelle di una bambina posta per la prima volta di fronte ad un androne buio.

-Siete solo degli sciocchi! Il mio potere, combinato con quello di tua sorella, era l'unica catena che potesse trattenere Kasay.. il pianeta è ora destinato al fuoco della dannazione.-

Len digrignò i denti, stufo di quelle farneticanti parole.

-Spiegati meglio!-

-In un tempo antico come il mondo, questa terra era governata da un'orrenda bestia di nome Kasay. Le sue fiamme bruciarono alla radice villaggi, castelli, interi imperi dalle potenti milizie. Nulla poté mai arrestare il suo desiderio di sangue, se non la voce di innocenti fanciulle che, pregando ed intonando canzoni in suo onore, riuscirono a placare la sua collera.-

la voce della sacerdotessa si venò di innominata sofferenza. Il rumore ticchettante dei frammenti marmorei che colpivano terra riempì le orecchie del giovane.

-Nacque così l'ordine delle sacerdotesse, formato da donne addestrate sin da bambine per padroneggiare la magia e proteggere, una volta raggiunta l'età adulta, questo luogo di disperazione e solitudine.-

Len cercò di scacciare quel nuovo, sconosciuto terrore, deglutendo a vuoto.

-Sfortunatamente il processo logora ed erode sia il potere delle sacerdotesse che delle vestali. Una volta stufatosi, Kasay torna a reclamare i suoi sacrifici uccidendo la fanciulla e la sibilla che sorveglia l'ingresso alla sua tana.-

Le parole di Miku vennero d'improvviso divorate da un gutturale, agghiacciante ruggito.

Le pareti della grotta cominciarono a tremare; i candelotti di ghiaccio appesi al ruvido soffitto caddero a terra, frantumandosi in migliaia di irregolari pezzetti trasparenti. Len cadde su un ginocchio nel vano tentativo di reggersi in piedi; Miku si coprì la testa con le mani mentre poche, concitate parole rompevano la barriera delle sue labbra.

-Che cosa diamine..?- sussurrò Len guardandosi freneticamente attorno alla ricerca della fonte di quello spaventoso frastuono.

-E' cominciata.- la sacerdotessa bisbigliò, abbracciandosi le spalle con fare impotente.

-Che cosa? Parla!- tuonò il giovane fendendo l'aria con la propria spada.

La sacerdotessa alzò appena la testa, dandogli le spalle.

-La fine del mondo. Kasay si è risvegliato e ora nulla potrà mai sopire la sua furia,- una pausa interruppe le tremolanti parole della donna, ora fragile come un pezzo di creta.

-Neanche il canto di tua sorella.-

-Questo è tutto da vedere. Sarò io a fermare quella bestia!-

Len si girò di scatto, e senza più degnare Miku di uno sguardo, raggiunse correndo l'apertura che precedentemente la sibilla aveva aperto nel muro della grotta.

L'ombra lo inghiottì all'istante, sfumando i suoi contorni malconci.

Miku rimase sola nell'antro, il cuore pulsava con infausta violenza tra le sue costole, quasi volesse fuggire dal funesto disegno che il destino stava tracciando di fronte ai loro passi.

-Corri ragazzo. Corri come se avessi l'intero inferno alle spalle.-

La donna si sollevò con lentezza, sciogliendo i codini impolverati e coperti di granelli di terriccio. I capelli scivolarono sulle sue spalle simili ad una morbida cascata, avvolgendole i fianchi stretti. Con un gesto delle dita, la giovane si scoprì gli occhi.

-Corri e tenta l'impossibile, Len. Tu e tua sorella siete la nostra ultima ed unica speranza..- bisbigliò, sfiorando con il suo sguardo dorato l'ormai inutile scettro d'ossidiana.

 

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Capitolo 22
*** Fratello mio. ***


Fratello mio ~ Chapter XXII

Cosa diamine sta succedendo?”

Il pensiero della ragazza rimbombò inascoltato tra le alte pareti di pietra tagliente; tentacoli di appiccicosa disperazione guizzarono in direzione del suo cuore, accarezzandone i contorni. La gola gonfia pulsava, riversandole sulla lingua l'acre e ferroso sapore del sangue.

Il rumore cadenzato dei suoi passi si sommò al rantolo affaticato che le spezzava il fiato, intessendo nel silenzio l'autentica, pressante melodia della paura.

Rin rabbrividì segretamente nel rievocare il ruggito di puro furore che aveva sentito qualche minuto fa, mentre riposava sul suo umido pagliericcio. La ragazza correva a perdifiato nel ventre della montagna, cercando di non badare alle rocce che le tagliuzzavano le piante dei piedi nudi. I suoi occhi si sollevarono verso il soffitto uniforme, alla ricerca del luccichio lontano delle stelle.

La notte però era una distesa color catrame, affamata di sogni e speranze.

Rin sentì il disperato bisogno di piangere, ma ricacciando indietro le lacrime, s'impose di correre ancora più velocemente. La gonna le frustava le gambe magre, lo scialle sdrucito ondeggiava alle sue spalle come la pallida scia di una stella cometa.

I pensieri della fanciulla si materializzarono al suo fianco, galoppando negli stretti vicoli rocciosi con smorfie di scherno.

Persino gli astri mi hanno abbandonato. Sono completamente sola.”

Proprio in quel momento, la giovane raggiunse il cuore della montagna. Gli occhi azzurri scivolarono sulle imponenti colonne che sorreggevano la cupola d'ardesia, istoriata di rune scritte in una lingua dimenticata. In fondo alla sala ovale, accucciata contro il duro pavimento di pietra, un'immensa creatura dalle scaglie nere come la pece osservava con rabbia la vestale. Un paio d'iridi d'ambra liquida scintillarono nella penombra, diffondendovi piccole scintille. Nuvolette di zolfo si sollevavano dalle narici spalancate del dragone, saturando l'aria della puzza orrenda della carne bruciata.

Lunghi artigli bordati di muschio raschiarono i ciottoli in un coro di stridii insopportabili; Rin si coprì d'istinto le orecchie mentre l'essere si sollevava sulle zampe schiudendo le fauci.

Rivoli di saliva gocciolarono a terra, corrodendo con la propria acidità, strati e strati di macigni. Le corna ritorte raschiarono la parete mentre la lunga corda artigliata colpiva il terreno con innervosite sferzate.

Rin fece involontariamente un passo indietro, tastandosi la gola con dita tremanti; l'eco della precedente canzone ancora riecheggiava tra le sue labbra in un conseguirsi di note struggenti e ritmi sofferenti. Il drago spalancò le fauci, mostrandole il pulsare del fuoco che infiammava il suo cuore.

-Kasay.-

Il dragone spalancò le ali membranose con regale lentezza nel ristretto spazio della grotta; una folata di vento investì la giovane vestale, scagliandola contro la pietra ruvida alle sue spalle. L'impatto fu terribile, il fiato rifuggì le sue labbra mentre il piccolo corpo crollava a terra in un mucchietto di disarticolati sbuffi di seta lacerata.

-Perché sei così arrabbiato, signore della distruzione?- la voce della ragazza si diffuse nell'immenso locale che per secoli aveva assorbito la sofferenza di centinaia ragazze innocenti. Le braccia escoriate si puntellarono a terra nella speranza e nel desiderio di sollevare quel corpo che sembrava non appartenerle più.

-Devo.. devo fermarlo.- sussurrò, appoggiandosi contro la nera parete per sorreggersi.

Prima ancora che la ragazza potesse raggiungere le decorate colonne che sorreggevano il soffitto, la sua struggente canzone esplose nel silenzio.

Il drago emise un sommesso ruggito, scuotendo la possente testa squamosa nel momento in cui il familiare ritmo della preghiera sfiorò dolcemente il suo udito.

Rin afferrò tra le dita lo scialle che danzava alle sue spalle, disegnando sopra il capo un candido arco di tessuto.

-Io canto per un mondo in cui non esistano lacrime. Io prego per un pianeta che possa scintillare armoniosamente nel tiepido abbraccio del sole e nella stretta della lattea luna.-
Rin cercò di non piangere nel momento in cui la gola si gonfiò sotto l'effetto collaterale della preghiera; il sapore ferroso del sangue le rivoltò lo stomaco distruggendo le stanche corde vocali. La vestale volteggiò elegantemente di fronte al muso chinato del dragone, sfiorandone le scaglie con i bordi della gonna leggera. Una pulsante, tenera luce azzurrina si propagò attorno al suo corpo. Ovunque i suoi piedi di adagiassero, piccole gemme di luce si arricciavano attorno alle sue caviglie, simili ad ineffabili liane.

-Kasay, dominatore del mondo, placa la tua ira e dormi. Riposa e lascia che il mondo respiri un altro giorno.-

Un velo di lacrime trasformò le iridi della vestale in lucide stelle.

Il drago sbatté la coda, vomitando a terra un'ammorbante nube color cenere.

Malgrado quell'esplicita minaccia, la ragazza non interruppe il proprio canto, aggrappandosi all'ultimo filo d'energia che le fluiva nelle vene.

-Dormi, signore del dolore e lascia che…-

Una folata di vento colpì di nuovo la vestale, gettandole in viso i luminosi capelli corti.

Lo scialle si avvolse attorno al suo capo simile ad un morbido, velenoso serpente; Rin socchiuse nuovamente le labbra per continuare a cantare ma qualcosa, nel profondo del suo cuore, si frantumò.

La sua bellissima voce si incrinò, soffocata da uno sfogo di sangue.

Liquidi petali scarlatti si schiusero sulle labbra della fanciulla, mentre perle salate rotolavano lungo la curva suo mento.

-Lascia che il mio canto raggiunga...-

La preghiera avvizzì come un misero fiore stretto nella ghiacciata presa della stagione invernale. Pezzetti di cenere e di carbone ardente colpirono il suo viso emaciato, tranciando le sottili ma fiduciose speranze che la fanciulla aveva per anni accumulato nel suo animo.

Che fine ingiusta.”

Crollò in ginocchio come un sacchetto vuoto; il tiepido ciondolo pigiò contro la carne del suo petto, palpitando cocciutamente quasi a volerla tenere in vita. Le palpebre gonfie si chiusero con prepotenza, malgrado Rin stesse cercando disperatamente di impedire al sonno di portarla nell'onirico mondo da cui, quella volta, non sarebbe più tornata. Le tenebre le azzannarono il cuore, strappandone slabbrati brandelli; il sangue le bagnò ancora le labbra, schizzando il pavimento di rosso.

Sto morendo?”

Il drago abbassò il capo finché il suo fiato rovente non circondò la fanciulla in un bozzolo fumante di vapore e fumo.

L'immagine del ragazzo biondo che per settimane aveva popolato i suoi pensieri tornò ad accarezzarle l'anima, facendola sobbalzare. Il suo fiducioso, spavaldo sorriso le regalò ancora una volta quella piacevole sensazione d'affetto che solo una famiglia è in grado di regalarti.

Rin non aveva mai conosciuto cosa significasse essere amati.

Non avrò modo di conoscerti.. Mi dispiace così tanto.. Len.”

Le ali membranose si richiusero sulla schiena del dragone che, ringhiando affamato, abbandonò la sala, lasciandosi alle spalle un'insopportabile puzza di zolfo.

 

Il condottiero continuò a correre, malgrado sentisse ogni singolo muscolo pulsare di infernale dolore. Il sudore ruscellò lungo il suo collo, appiccicando i capelli sporchi contro la nuca.

Un miscuglio di oscurità, stanchezza e preoccupazione aveva annullato l'acutezza dei suoi sensi, tramutandolo in una sorta di cieco topolino.

Len cercò di intensificare la sua corsa, sbattendo violentemente la spalla contro una roccia sporgente. Il tessuto della giacca si lacerò assieme alla pelle ed il gorgogliare bollente del sangue affiorò sulla carnagione pallida come la luna.

-Dannazione! Rin, dove sei?- ansimò premendo una mano contro l'arto dolorante.

Proprio in quel momento, la voce della sorella aleggiò impalpabile tra le intercapedini delle rocce montagnose, conficcandogli nel petto un paletto d'ansia e sollievo. Un solo pensiero palpitò nell'anticamera del suo cervello, spingendo i piedi sfiniti a muoversi ancora, uno dopo l'altro in un rincorrersi goffo di ansanti speranze.

Len sorrise trionfante, guardandosi convulsamente attorno per cercare di comprendere quale fosse la strada giusta da seguire in quel dedalo di infidi corridoi.

Il canto di sua sorella era troppo debole per indirizzarlo con sicurezza; ma il ciondolo continuò fiduciosamente ad indirizzare il condottiero.

Ogni qual volta la distanza con il gemello metallico si riduceva, il suo palpitare si intensificava.

Ogni battito sembrava sussurrare il nome di Rin.

D'improvviso, la terra sussultò sotto i piedi del ragazzo, scaraventandolo a terra tra mucchi di ardesia tagliente.

Il latrato della bestia che precedentemente l'aveva spaventato, tornò a scuotere la sacrale quiete della grotta, inglobando la debole voce femminile.

Un secchio d'angoscia liquida colò lungo la spina dorsale del condottiero, tranciando miseramente il suo ansante respiro.

Una lama di sofferenza penetrò nel suo sterno, aprendogli il cuore come se fosse stato burro. Lacrime inesplicabili velarono i suoi occhi azzurri mentre le sue mani precipitosamente correvano a coprire la chiave musicale.

Il calore che soli pochi istanti prima aveva animato l'oggetto, ora era scomparso.

Il metallo era freddo come ghiaccio.

Len si sentì morire.

Il suo corpo si mosse da solo; senza badare alla spada, persa chissà dove nelle tenebre, il ragazzo cominciò a correre a rotta di collo verso il bagliore bluastro che pulsava in lontananza.

Il sorriso triste della sorella baluginò nell'oscurità, accompagnato dalla brillante scia di una lacrima e dalla stridula risata della sacerdotessa.

Mi spiace, fratellino”

Len fece irruzione nell'enorme stanza ovale, sorpassando quasi senza accorgersene le imponenti colonne che ne delimitavano l'ingresso.

-RIN!!- gridò con tutta la voce che aveva in corpo, scorgendo il piccolo corpicino ripiegato a terra in una pozza di sangue e seta.

Il ragazzo non avrebbe mai creduto possibile che un cuore umano potesse davvero far rumore nello spezzarsi; eppure, in quel momento, udì distintamente il fragile stridio di qualcosa che, come vetro, si incrina e poi precipita nel vuoto in un pacato ticchettare.

-Ti avevo detto che la vostra storia non avrebbe avuto un lieto fine, Len.- la voce della sacerdotessa lo raggiunse alla destra, facendolo bruscamente sobbalzare.

La donna era in piedi a qualche metro di distanza, i lunghissimi capelli blu erano sciolti sulle spalle magre, disegnando piccoli ghirigori color oceano sulla pelle.

La maschera d'avorio che prima le copriva il viso era scomparsa, rivelando un paio di grandi ed inquietanti iridi ambrate.

-Affidiamo alle stelle i nostri desideri, nella speranza che queste possano trasformarsi in realtà. Ma,- il tono di voce della sacerdotessa si abbassò di colpo.

-Le stelle sono lontane. Ci sbeffeggiano, distribuiscono false aspettative solo per annientarci con più facilità, quando i loro capricci entrano in conflitto con la nostra.-

Len non riusciva a distogliere lo sguardo dal corpo della sorella, immobile in un bozzolo di luce smorta, malata. I corti capelli biondi erano dispersi attorno al capo, reclinato contro una spalla, in una sorta di aureola.

Le palpebre, chiuse sulle iridi azzurre, erano cerchiate da pesanti aloni nerastri; le labbra esangui erano solo decorate da una crosta di sangue ancora fresco.

-Rin, alzati..- il nome rimbombò implorante sulla lingua del giovane, dispiegando nel silenzio un'incredula supplica.

-Le sue orecchie sono sorde, ragazzo.-

-STA' ZITTA!- sbraitò di rimando, voltandosi di scatto in direzione della donna.

-Rin era la voce prescelta. Colei che per anni ha trasformato il dolore del mondo in felicità, le sue lacrime in sorrisi gioiosi.-

La sacerdotessa puntò un dito contro il petto del giovane con fare accusatorio.

-Tua sorella ha pregato perché il mondo potesse conoscere la speranza.-

Len le voltò di colpo le spalle, correndo in direzione della vestale accasciata a terra.

Le lacrime gli imbrattarono il volto, mentre le sue mani sollevavano l'esanime corpo.

La pelle della ragazza era fredda come neve, pallida come una lastra d'uniforme alabastro.

Eppure, Len la trovò bellissima.

-Rin. Piccola Rin.. non sono arrivato in tempo per salvarti..-

Una lacrima cadde sulla guancia di lei; tracciandole un'umida scia sulla gota.

Sembrava che la fanciulla stesse piangendo.

-Hai cantato per regalare fiducia ad un mondo ignaro ed irriconoscente. Hai pregato per far sì che noi vivessimo nella nostra bolla di tiepida felicità.-

Len accarezzò con dita tremanti quei tratti stranamente familiari.

Arricciò tra il pollice e l'indice una ciocca di capelli, screziata di delicate sfumature color miele.

-Sono così simili ai miei.- sussurrò tra sé e sé, ispirando il profumo di fiore che le crine sprigionavano, malgrado fossero intrecciate e raggrumate di polvere.

Len non avrebbe mai pensato di poter provare un tale, profondo affetto nei confronti di qualcuno che non aveva mai conosciuto; né tanto meno, avrebbe potuto immaginare di sentirsi così male di fronte a quell'immobile corpicino.

La sua anima sanguinava, dilaniata da una ferita che non sarebbe mai più guarita.

-Ti hanno rubato tutto. Ti sei sempre fatta carico della sofferenza del mondo in un eterno requiem che brillava nel futuro.-

Len afferrò il ciondolo che pendeva gelido sullo sterno della ragazza, baciandone delicatamente le esili forme metalliche.

Un singhiozzo gli sfondò la cassa toracica mentre, disperatamente, premeva la sua fronte contro quella della sorella.

-Lascia che il tuo canto risuoni ancora per me, sorellina.-

Miku si avvicinò lentamente ai due gemelli, osservando con distaccata tristezza il lutto del condottiero.

-La vita è ingiusta, ragazzo. Il mondo ruota sull'equa armonia insita tra dolore e felicità. Eppure, questa volta, voglio credere che la speranza possa prevalere sulla sua oscura sorella.-

il tono di voce della sacerdotessa di fece più basso, grave come il recitare di una difficile preghiera.

Un nucleo d'energia si arricciò attorno alle dita serrate di Miku, diffondendo nella sala il frizzante odore dell'acqua di sorgente.

-Fate buon uso di questo mio regalo, ragazzi.-

L'immagine della sacerdotessa sbiadì, simile ad una macchia di umidità.

I suoi occhi ambrati si allacciarono alla figura china del condottiero che, senza accorgersene, era stato pervaso da uno scintillante bagliore color cobalto.

-Per quanto questo mondo egoista non meriti di esistere, vi prego di salvarlo.-

Una lacrima solcò la sua guancia, mescolandosi quietamente al pianto singhiozzante del ragazzo.

-E' proprio nei momenti di maggior difficoltà che sbocciano i fiori più belli. Lasciate che l'alba del nuovo giorno possa accarezzarne i petali.-

Con quelle ultime parole, la vita della sacerdotessa si spense senza far rumore, come una piccola candela che troppo a lungo aveva rischiarato la notte.

-Ciò che hai desiderato era un mondo che non finisse..-

Len adagiò il corpo della ragazza a terra, scostandole i capelli dalla fronte con singolare dolcezza.

-La tua bellissima voce non è che un sospiro nei miei ricordi.. Ho fatto così tanta strada solo per te, Rin.-

Il pendaglio cozzò contro il suo petto, pesante come un macigno.

-Solo grazie a te, ho riscoperto quale gioia mi regalasse cantare..-

Le mani del ragazzo si chiusero attorno alla delicata chiave di basso, stringendola convulsamente tra le dita, tanto da sentire il metallo incidergli la carne.

Stille umide si rincorsero lungo la liscia superficie dei due ciondoli, inumidendoli con quell'inesprimibile sofferenza.

-Solo per te, sorellina. Solo per te..-

Un sospiro ruppe il silenzio tombale, cogliendo di sorpresa il ragazzo che lasciò cadere i ciondoli a terra per la sorpresa. Una mano accarezzò dolcemente la sua guancia, diffondendo sulla sua pelle fredda un piacevole, dolce tepore.

-Sei proprio tu.. il ragazzo dei miei sogni.-

Len trattenne il fiato, e lasciando che le lacrime gli rigassero il volto, allacciò il proprio sguardo a quello commosso della ragazza distesa a terra.

-Non avrei mai creduto di poterti toccare per davvero..- bisbigliò lei, sorridendo con intima, sincera dolcezza. Un paio di iridi azzurre, chiare come il cielo d'agosto, si specchiarono in quelle incredule del ragazzo che, sino a quel momento, aveva sconsolatamente pianto la sua morte.

-Rin..-

-Len, fratello mio..-

Il condottiero abbracciò di slancio la figura emaciata della ragazza, affondando il viso nei suoi capelli quasi per paura che potesse svanirgli tra le braccia.

Rin intrecciò le proprie dita a quelle del ragazzo, appoggiando delicatamente una guancia contro i suoi capelli arruffati. Non sapeva esattamente cosa fosse successo, né quale strano potere l'avesse strappata alle scheletriche braccia della morte.

Tutto quello che le interessava in quel momento, era avere quell'estraneo, ma familiare giovane al proprio fianco.

-Len..-

-Dimmi, Rin.-

-Grazie.- bisbigliò la giovane, premendo le sue labbra contro l'orecchio insanguinato del fratello. Qualche secondo dopo, un ruggito sconquassò l'incredulo silenzio che era calato tra i due gemelli.

Len si voltò di scatto, stringendo più forte il corpo della vestale tra le braccia. Avrebbe di certo combattuto contro qualsiasi nemico per proteggerla; ma nulla fu in grado di prepararlo alla vista dell'immenso dragone color pece.

Kasay fece il suo trionfale, agghiacciante ingresso nella sala ovale sbattendo furiosamente la coda uncinata. Le sue fauci grondavano di sangue fresco, derivante dal pasto appena consumato; i suoi occhi color resina brillavano di spietati, freddi riflessi.

Len avvertì il sudore gelarsi sulla sua schiena.

-Ci siamo.- Rin strinse più forte le mani del ragazzo nella vana speranza di fargli coraggio.

-Questa sarà la nostra ultima battaglia, fratello mio.-

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Capitolo 23
*** Il profumo di una nuova vita ***


Il profumo di una nuova vita ~ The end. 


-Rin..- la bocca del ragazzo divenne secca come il deserto, dandogli l'impressione d'aver appena masticato un pugno di sabbia dorata. La sorella rispose a quel terrorizzato richiamo stringendo con forza le sue dita, scosse da qualche brivido.

-Quella bestia.. è la personificazione vivente del male, il distruttore del mondo, Kasay.-

Nell'udire pronunciare il proprio nome, il dragone sollevò la testa verso l'alto spalancando le fauci in un basso, minaccioso ringhio al puzzo di zolfo.

Un bozzolo di lava bollente pulsò nella gola del mostro, soffiando sul viso dei due gemelli una bollente, dolorosa carezza.

-LEN!- gridò la ragazzina, sbiancando.

Il condottiero si mosse ancor prima che la voce di lei potesse raggiungergli le orecchie.

Sollevando di peso la sorella, rotolò lontano dal drago evitando per un pelo il rigurgito fumante.

Grumi di cenere nera e catrame scivolarono viscidamente a terra, mentre la lava si disperdeva come una macchia malata sul pavimento di roccia.

-Ci distruggerà se non facciamo qualcosa.- mormorò lei, affondando le unghie nella sua casacca stracciata.

Len strinse al petto la gemella quasi senza avvertire il peso del suo corpicino.

I capelli biondi solleticarono la pelle escoriata, diffondendogli nel cuore un inarrestabile coraggio.

-Saremo noi a vincere, sorellina.- sussurrò al suo orecchio, inginocchiandosi per deporla cautamente a terra. La fanciulla, bianca come un lenzuolo, osservò il guerriero risollevarsi con una dura luce nelle iridi azzurre.

-Che hai intenzione di fare?-

-Lascia fare a me, Rin.-

-Non ti permetterò di compire un'idiozia adesso che finalmente, dopo anni, ti ho conosciuto!- ringhiò lei, aggrappandosi cocciutamente al polpaccio del ragazzo per impedirgli di fare un solo passo verso il mostro che, immobile, osservava i movimenti dei due moscerini biondi.

-Sorellina..- Len abbassò una mano per districare la debole presa della ragazza, accarezzandole nel frattempo una guancia.

-Tu mi hai protetto per tantissimi anni, Rin. Ora lascia che sia io a proteggerti.- detto ciò, il condottiero corse avanti, seguito dall'angosciato richiamo della ragazza.

Senza più badare al dolore, Len afferrò al volo un'appuntita pietra dai levigati e taglienti contorni.

Il dragone, comprendendo le intenzioni del giovane, si preparò a ricevere quella patetica offensiva.

Prima ancora che i piedi del giovane potessero avvicinarsi alle zampe artigliate, la coda del mostro frustò la lingua di terreno di fronte ai suoi stivali.

Il guerriero scartò di lato, sfruttando la forza dello sbilanciamento per accerchiare quell'affusolato fascio di squame e spunzoni d'avorio.

Len caricò il colpo sopra la testa e evitando per un pelo un'altra veloce frustata, affondò con rabbia la punta della pietra nella zampa più vicina dell'essere.

Il sangue zampillò tra le sue dita, vischioso come il catrame e al tempo stesso, bollente come il respiro di un vulcano. Un gemito di dolore si levò stupito dalle labbra del ragazzo mentre il drago, non tanto per dolore quanto per rabbia, straziò il silenzio con il suo latrato.

La zampa lesionata colpì il condottiero allo sterno, proiettandolo in aria con la stessa facilità di una bambolina di pezza. Il ragazzo rotolò contro il pavimento roccioso per svariati metri; il fiato troncato gli schiacciò i polmoni mentre l'acre sapore del sangue tornava a bagnargli la lingua.

-LEN!- la voce terrorizzata della gemella lo raggiunse un momento prima che gli artigli della seconda zampa potessero sfondargli la spina dorsale.

La fanciulla ammirò con impotenza l'ardita danza che il fratello aveva intrapreso con il dragone. Le sue labbra si socchiusero autonomamente, ricercando nel petto quella familiare canzone che per anni l'aveva accompagnata come una spina infilzata nella carne. Le prime note rimbombarono nella sua gola, fredde e prive di quella squisita magia che originariamente le avevano permeate. Rin abbassò lo sguardo, osservando scioccata il petto sollevarsi ed abbassarsi secondo il ritmo cadenzato del suo respiro.

Con terrore crescente la ragazza sollevò una mano per toccarsi lo sterno, alla ricerca del battito cardiaco che tante notti aveva scandito l'interminabile susseguirsi delle ore.

In quel piccolo gesto, la ragazza cercò un conforto senza nome, distante e perso chissà dove nelle pieghe del futuro.

Tutto quello che i suoi polpastrelli incontrarono, fu un muro di desolante silenzio.

La consapevolezza arrivò veloce come una frustata alla schiena.

Lei era morta.

Non era altro che un guscio vuoto, una piccola bambola a cui era stato concesso un solo anelito di vita per portare a termine un compito imperfetto.

Una lacrima le solcò lo zigomo senza far rumore, colpendo poco più in basso la pelle della mano stretta a pugno. Il suo fragile castello di vetro si ruppe, riversandole addosso una pioggia di frammenti taglienti; le speranze nutrite si tramutarono in lunghi spilli dalle capocchie a forma di teschio.

Aveva davvero creduto possibile che la sua vita potesse continuare fuori da quel luogo di disperazione?

Ormai era parte integrante della grotta e del profumo salato delle lacrime; il suo destino non era uscire per ricominciare a vivere, ma porre definitivamente la parola 'fine' a quel turbine di caos e follia.

Rin non si era mai sentita tanto triste in vita sua.

Malgrado la ferita che le straziava l'anima pulsasse, le forze sembrarono rianimare i suoi arti insensibili, permettendole di sollevarsi in piedi con lenta sicurezza. Il vestito, troppo largo per la sua minuta figura, le frusciò addosso in una sorta di carezza consolatrice.

La canzone esplose nell'aria, l'ondata di magia sprigionata dalle sue parole fece traballare i candelotti di ghiaccio appesi alle scabrose pareti dei corridoi.

Gli occhi di Rin si tramutarono in due pozze cobalto, le iridi si fecero tanto piccole da far credere che fossero state inghiottite da quell'oceano.

Il drago si voltò di scatto in direzione della vestale, chinando la testa in un lamentoso latrato. Le sue corna ondeggiarono come gli spessi tronchi di querce secolari mentre, arretrando, le punte delle ali colpirono la parete alle sue spalle.

Len si girò in direzione della sorella che, cantando con sempre maggiore vigore, intrecciava nell'aria evanescenti disegni con le dita.

-Rin?-

-Non c'è un lieto fine per noi due, Len. Mi dispiace davvero tanto averti fatto credere in una tale bugia.- sussurrò lei, avvicinandosi lentamente, strusciando la punta dei piedi contro la roccia. Il gemello afferrò la ragazza per le spalle, scuotendola con forza, quasi volesse farla rinsavire da quello strano stato di trance in cui sembrava essere piombata.

-Rin, ma che dici? Perché..? io non capisco.-

-Senti, fratellino.- disse lei, afferrando le ruvide dita del ragazzo per poi appoggiarle con delicatezza contro quello che una volta era stato il suo cuore.

Len non impiegò molto per rendersi conto dell'assenza del battito cardiaco.

Pallido come uno straccio, il condottiero arretrò come se fosse stato appena colpito da uno schiaffo.

-Non.. non capisco.. Che cosa significa?- la mano del ragazzo scivolò sul proprio sterno.

-Io non appartengo più a questo mondo, fratellino. Non sono altro che uno strumento per imbrigliare la follia di Kasay e bloccare per sempre la spirale di dolore che soffoca il mondo.- un sorriso triste sollevò gli angoli delle piccole labbra, ancora incrostate di sangue raffermo.

-Stai mentendo!-

-Tu devi vivere, Len. Devi assaporare appieno quella vita che mi è stata negata.- le mani della ragazza accarezzarono il viso teso del gemello, tracciando con studiata lentezza quegli zigomi che inconsapevolmente aveva amato per tutta la sua vita.

-Non me andrò senza di te!-

Rin ignorò le proteste del ragazzo, lasciando finalmente che le lacrime sgorgassero dai suoi occhi.

-Ti voglio bene, fratellino. Grazie.-

Il drago ruggì nuovamente nel momento in cui la preghiera si sovrappose ad esso in uno scontro di note vibranti e ritmi stridenti.

Rin danzò sola nella stanza ovale, intrappolando tra le dita le falde della candida gonna.

-Canto per distruggere il male; il profumo delle mie lacrime fermerà la spirale di sofferenza per secoli ha intrappolato il mondo.-

Len premette le mani contro le orecchie. Mentre osservava i movimenti eleganti della sorella, sentì il suo cuore sbriciolarsi in frammenti sempre più piccoli.

-Ti prego, Rin.. basta così..-

La sua richiesta non raggiunse però le orecchie della ragazza, il cui unico scopo nella vita era stato quello di salvare un mondo dalla sua fine.

Il giovane allungò una mano nel vuoto, avanzando lentamente di un paio di passi.

-L'egoismo non è mai stato parte della tua vita. Non hai mai pensato a te stessa, ne al dolore che ti straziava il cuore.- la voce di Len si perse nell'eco sicuro della preghiera che, sempre più in alto, volteggiava verso il soffitto.

Il ragazzo ammirò la sorella con un triste sorriso a dipingergli il viso.

-A quanto pare i nostri desideri hanno sempre seguito percorsi diversi.. ma ora, desidero che, almeno per l'ultima volta, i nostri cuori possano cantare insieme.-

Il giovane condottiero raggiunse la vestale che ora innalzava il suo canto di fronte al muso scaglioso della creatura.

La sua mano si intrecciò a quella della sorella.
Lei lo guardò, sgranando quegli occhi innaturalmente azzurri.

-Sei sicuro di quello che stai facendo, Len? Potresti vivere felicemente..-

-Desidero solo che il nostro requiem possa brillare nel futuro, per sempre.- sussurrò appoggiando la fronte contro quella di lei.

Improvvisamente, la sua voce virile si sommò a quella più delicata della sorella, tingendo l'aria di una melodia soave, deliziosa come l'arcobaleno dopo la tempesta.

Rin abbracciò di slancio il gemello, affondando il viso nel suo petto.

Kasay spalancò le fauci, raccogliendo tra le sue zanne tutte le sue spaventose energie magiche. La lava iniziò a pulsare tra i denti d'avorio, spandendo nella sala il lezzo della morte.

 

-Il nostro fato è giunto ad un fine. Cantando per illuminare futuro, incidiamo questo requiem nel cielo. Luce e destino, oscurità e dolore. Noi libereremo tutto questo, donando all'universo una luce in cui risplendere.-


le voci dei due gemelli si fusero insieme in una sola, delicata preghiera.

Il fumo grigiastro fuoriuscito dalla bocca del mostro si scontrò con il sempre più intenso bagliore blu emanato dai loro corpi, generando una intensa e pulsante luce dai riflessi candidi come la prima neve.

 

-E nel fondo di questa nuova luce, noi dormiremo per l'eternità mentre il mondo sboccerà di nuovo.-

 

Il bagliore avvolse come un bozzolo i due gemelli, stretti l'uno all'altra in un abbraccio che né il tempo, né alcun nemico avrebbe più potuto sciogliere. Rin respirò il profumo della pelle di suo fratello mentre il condottiero la stringeva affondando il viso nei capelli biondi.

-Ti voglio bene, sorellina.- sussurrò prima che il mondo attorno a loro perdesse i suoi definiti contorni, proiettandoli in un limbo di dolce incoscienza.

-Anche io, Len. Te ne vorrò per sempre.- sussurrò una voce nella sua mente prima che tutto cessasse di esistere, divorato dalla più bella delle quieti.

La preghiera pervase tutta la montagna come una scossa elettrica, penetrando tra le sue rocce dure come granito. La magia corse nel ventre della montagna, portando con sé il rigoglioso profumo della nuova vita.

Fu proprio in quel momento che accadde il miracolo.

Probabilmente grazie all'affetto insito nelle parole del condottiero, l'incantesimo sgusciò con rapida sicurezza in direzione dei corpi dimenticati nella sala in cui la sacerdotessa era stata sconfitta.

Accarezzando le pelli fredde, cristallizzate nell'abbraccio della morte, il sortilegio soffiò nel cuore dei valorosi combattenti un nuovo anelito di vita.

In quel momento, mentre l'ultima eco del canto si disperdeva nel silenzio, tre vite sbocciarono prodigiosamente dalle fredde ceneri sparse dalla più definitiva delle fini.

Il mago dagli eccentrici capelli blu fu il primo a muoversi, puntellandosi su un gomito per riprendere convulsamente fiato. Scrollandosi di dosso ciottoli di pietra e polvere sottile, l'uomo si inginocchiò fissando con stupore il proprio colpo.

-Che cosa..?-

In quell'istante, la magia spirò nei polmoni della condottiera al suo fianco, depositando nelle iridi spalancate ed immobili la gemma di una nuova vita.

Tossendo, la ragazza si strinse le braccia contro il petto quasi a volersi difendere da quei nemici che erano ormai stati fagocitati dalle spire del tempo.

I due si guardarono per un lunghissimo attimo, immobilizzati nel silenzio.

Le loro mani si ricercarono frettolosamente e si toccarono per spezzare la spaventosa possibilità che fosse tutto un sogno.

Kaito disegnò con lentezza la curva del mento della compagna; mentre lei si aggrappava alle spalle del mago, affondandovi le unghie corte.

-Sei qui.-

-Siamo vivi..-

Gakupo gemette, premendosi una mano contro la fronte strinata di sangue raffermo. Le sue vesti erano stracciate, eppure le ferite riportate durante il combattimento erano misteriosamente guarite.

Il consigliere guardò attonito le proprie mani per poi sollevare lo sguardo in direzione della cupola istoriata, forse nel desiderio di scorgervi una possibile risposta a quel miracolo.

-Che cosa è successo?-

-Non lo so.. noi eravamo..- le parole di Meiko si interruppero bruscamente di fronte allo spaventoso muro della verità. Il mago le circondò titubante le spalle, chiudendo ed aprendo involontariamente il pugno; gli sembrava tutto così assurdo..

-Dov'è Len?-

Fu il silenzio a rispondere. Una quiete strana, a suo modo triste.

Inconsciamente, i ragazzi si resero conto di conoscere la risposta.

-Len..- la voce del mago si spezzò come un fragile ramoscello autunnale.

-Qualcosa mi dice che la fonte di questo prodigio sono lui e sua sorella.- mormorò il consigliere, chinando rispettosamente la testa in memoria del sorriso spavaldo di quel ragazzino che aveva stregato i loro cuori.

-C'è un delizioso profumo di fiori..- constatò Meiko, reclinando indietro il viso bagnato di lacrime. I due uomini la imitarono, avvertendo il delicato aroma delle margherite aleggiare tra le alti pareti della grotta.

-Non è profumo di fiori..- ribatté Gakupo, asciugando riservatamente una lacrima di commozione rannicchiatasi al lato del suo occhio.

Kaito annuì silenziosamente, rivolgendo un pensiero di gratitudine al ragazzo dai disordinati capelli biondi, coraggioso come il più grande degli eroi.

-Questo è il profumo di una nuova vita.-

 

Non troppo lontano, il vento accarezzò le cime di una foresta di querce centenarie diffondendo nell'aria un piacevole, frondoso canto naturale.

Un buon ascoltatore, prestando la necessaria attenzione, avrebbe potuto udire nel sibilare del vento il rincorrersi melodico di due voci che, per sempre, avrebbero protetto il mondo in un requiem al salato profumo delle lacrime, ma luminoso come la più calda giornata estiva. 

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