giorni d'inferno - Forgive me for not telling you of hell

di Lady_Whytwornian
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** la prova ***
Capitolo 3: *** l'imboscata ***
Capitolo 4: *** elbereth ***
Capitolo 5: *** prigioniero ***
Capitolo 6: *** lealtà ***
Capitolo 7: *** i dragoni ***
Capitolo 8: *** il piano di battaglia ***
Capitolo 9: *** lo scontro con i ribelli ***
Capitolo 10: *** la verità ***
Capitolo 11: *** duello nel club ***
Capitolo 12: *** le colonie americane ***
Capitolo 13: *** il South Caroline ***
Capitolo 14: *** il ballo ***
Capitolo 15: *** i vampiri ***
Capitolo 16: *** doveri di famiglia ***
Capitolo 17: *** Tavington e Martin ***
Capitolo 18: *** una pista ***
Capitolo 19: *** lo spettro ***
Capitolo 20: *** l'accampamento dei vampiri ***
Capitolo 21: *** il macellaio ***
Capitolo 22: *** cambio di guardia ***
Capitolo 23: *** la tregua ***
Capitolo 24: *** l'accampamento dei continentali ***
Capitolo 25: *** vecchie conoscenze ***
Capitolo 26: *** insegnamenti paterni ***
Capitolo 27: *** a caccia ***
Capitolo 28: *** una pausa di gioia ***
Capitolo 29: *** la morte di Anna ***
Capitolo 30: *** Confessioni ***
Capitolo 31: *** scontro alla missione ***
Capitolo 32: *** ritorno alla normalità ***
Capitolo 33: *** la fine della tregua ***
Capitolo 34: *** scambio prigionieri ***
Capitolo 35: *** metodi disonorevoli ***
Capitolo 36: *** la battaglia decisiva ***
Capitolo 37: *** visioni diplomatiche ***
Capitolo 38: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 39: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ohio, primavera 1786.
Un uomo è in piedi sulla veranda della sua abitazione e osserva il sole che sta tramontando.
Quella sera un senso di pace che non provava da molto tempo avvolgeva la sua anima. Certo, non aveva dimenticato. Non poteva. Ma almeno aveva cercato di accettare il passato. A volte ci riusciva. Altre volte no, e allora passava l’intera notte seduto fuori a fissare il cielo.
Guardò i due bambini che giocavano in cortile. Loro invece rappresentavano il suo futuro.
La sua attenzione fu attratta da delle figure stagliate nel cielo rosso che avanzavano verso di lui.
- Bambini. Andate in casa a giocare.
Scese i tre gradini che separavano il terrazzo dal giardino e rimase ad aspettare. Un vecchio senso di inquietudine gli afferrò lo stomaco. Gli antichi fantasmi stavano riprendendo vita.
Erano militari quelli che si avvicinavano. Cosa potevano volere?
L’ufficiale in comando alzò la mano per fermare la colonna. Poi spronò il suo cavallo e gli arrivò davanti.
Si fissarono a lungo, in silenzio.
- Voi!... – disse l’ufficiale a cavallo.
Entrambi con la mente andarono indietro a più di dieci anni prima…
 

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Capitolo 2
*** la prova ***


Londra marzo 1775. Una splendida giornata primaverile con l’aria frizzante che contraddistingue la stagione. L’inverno era ormai alle porte. Un senso di serenità era diffuso nell’aria circostante il palazzo dall’austero aspetto militare che si trovava nel centro. Ovunque, tranne che nelle sue stanze. In particolare in una.
Il sole penetrava attraverso le pesanti tende di velluto, ma non riusciva a riscaldare l’atmosfera gelida; l’aria entrava dalle finestre aperte, ma non riusciva a dissolvere la pesante cappa che si era creata all’interno dell’ufficio.
Lord Cornwallis guardava in silenzio le altre due persone presenti nel suo studio. - Nessun’altro doveva essere informato di tale infamia – pensava.
Il generale O’Hara camminava avanti e indietro scuotendo la testa. Non approvava la decisione che era stata presa, non approvava il metodo che sarebbe stato applicato, non approvava nemmeno che fosse usato uno dei suoi ufficiali per raggiungere lo scopo prefissato. Certo, il colonnello Tavington non era tra i suoi preferiti, ma la sua lealtà era fuori di ogni discussione.
- Ed è proprio per questo che è stato scelto – gli aveva detto un paio di giorni prima il generale Lord Cornwallis.
Volse poi lo sguardo verso l’altra persona presente che invece stava tranquillamente seduta a guardarli come se stessero discutendo del bel tempo che caratterizzava la giornata.
Gli faceva paura. Gli aveva sempre fatto paura. La sua freddezza era disumana. A volte dubitava persino che appartenesse al genere umano.
- Questi nomi appartengono a traditori certi. A loro carico ci sono anche prove certe – iniziò il Cornwell – Non ne sono entusiasta, ma credo che si possa procedere. Generale O’Hara?
- My Lord, sapete come la penso. Ma effettivamente la questione è troppo grave. Mio malgrado devo accettare.
Lord Cornwallis guardò entrambi poi prese la penna e firmò l’ordine.
- Bene, generale O’Hara. Questo è l’ordine firmato per inviare una truppa formata dai soldati in elenco e al comando del colonnello Tavington.
E gli consegnò il foglio sigillato. Poi si rivolse verso la persona comodamente seduta nella poltrona: - A voi invece non devo dire nulla. Sapete cosa fare.
Questa si guardò le mani, indugiò un attimo a giocare con l’anello che portava nell’indice e poi alzò gli occhi verso i due militari. Fece solo un cenno di assenso con la testa, quindi si alzò in piedi ed uscì.
- Non mi piace. Non mi piace per niente My Lord. Quella … quella…persona… è l’incarnazione del demonio. Gli uomini sotto il suo comando sono spietati assassini.
- Non piace nemmeno a me, generale O’Hara, ma sono gli unici di cui ci possiamo fidare per un lavoro del genere e la loro lealtà alla corona è assoluta. Tenete presente che sono anche gli unici a cui affidare un simile compito.
Tavington ricevette l’ordine di partire il giorno stesso. Ufficialmente doveva recarsi a nord per sedare una ribellione al confine con la Scozia. Nulla di più adatto al suo umore: aveva proprio voglia di tornare a combattere. Era stanco della vita di caserma, delle riunioni inutili, delle feste dei nobili cui era invitato e alle quali avrebbe fatto volentieri a meno di partecipare. Tutta quella falsità lo disgustava.
L’unica cosa che gli era parsa strana era il fatto che non sarebbe andato con il suo solito battaglione, ma con un preciso elenco di uomini. Ma non fece domande.
Il giorno dopo partì con gli uomini che gli erano stati affidati. Quello che non sapeva era che a breve distanza un altro gruppo di soldati li stava seguendo con tutt’altro scopo.
Più di una volta mentre cavalcavano verso il campo dei ribelli si era fermato guardandosi attorno. Il suo sesto senso lo metteva in guardia. Si sentiva osservato. Sentiva che attorno c’era qualcuno.
Il sole era alto e faceva piuttosto caldo per essere marzo. Di nuovo Tavington si fermò e si alzò sulla sella. Non si sentiva tranquillo: ne era certo. Non erano soli. Ma chi avrebbe dovuto seguirli?
Per un attimo fissò il folto bosco che aveva sulla sua destra. Senza saperlo i suoi freddi occhi color ghiaccio incrociarono uno sguardo altrettanto freddo, incrociarono gli occhi di chi avrebbe potuto decidere del suo destino.
- Cosa c’è signore? – chiese uno degli ufficiali al seguito.
- Non lo so. C’è…qualcosa, ma non so cosa. E’ una sensazione che ho da quando siamo partiti ed è diventata molto più forte da quando stiamo seguendo questo sentiero E non mi piace.
Fece cenno di proseguire, ma non riusciva a distogliere lo sguardo da quell’intricata selva di piante e rami. Al suo interno due persone si scambiarono un’occhiata di intesa e mantenendo il più totale silenzio anche loro ripresero il cammino.





 

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Capitolo 3
*** l'imboscata ***


Erano passati quasi dieci giorni da quando avevano lasciato Londra e l’indomani sarebbero arrivati in vista del villaggio nei pressi di Castleton, dove secondo le spie della corona si rifugiavano i capi dei ribelli.
Era passata da poco l’alba. William si era svegliato stranamente di buon umore. Aveva bevuto il caffè che era stato preparato da uno dei suoi uomini. Non era la sua bevanda preferita, ma andava bene anche quello: era caldo e teneva svegli.
Pure un’altra persona che stava osservando la scena da dentro il bosco era di buon’umore.
- Richard. Siamo in meno, ma comunque agiamo avvantaggiati. Loro sono abituati a combattere secondo le tecniche di guerra imparate in accademia, noi invece abbiamo tutt’altro addestramento. Useremo le balestre. Sono silenziose ed efficaci. Cerchiamo anche di essere rapidi. Voglio chiudere oggi questa faccenda.
Il comandante Kronholm fece un cenno di assenso con la testa e poi si diresse verso gli altri uomini in modo da disporli per l’attacco.
L’altro cavaliere invece rimase ancora per un po’ a guardare quegli uomini che si muovevano ancora lentamente nell’erba ancora bagnata dalla rugiada mattutina - E che presto lo sarebbe stata anche del loro sangue – si disse infine. Poi si unì ai suoi uomini.
William si passò il dorso della mano sulle guance: - Devo radermi – pensò. Prese il rasoio e lo specchio che aveva nella sua borsa e si diresse in riva al fiume che scorreva vicino a dove si erano accampati per la notte.
L’acqua era gelata. – Poco male – e iniziò a tagliarsi la barba.
Di nuovo quella sensazione orribile che lo accompagnava da giorni. Un brivido lungo la schiena senza apparente motivo.
Improvvisamente un grido dalla sentinella: - All’armi!
Poi alcuni colpi di arma da fuoco.
Si alzò di scatto e vide che i suoi uomini si erano disposti in cerchio. Si guardavano attorno, ma non c’era nessuno. Eppure a terra giacevano alcuni dei soldati morti trafitti da frecce, uccisi senza vedere da dove partivano i colpi. Un altro sibilo e un altro colpo a segno. Gli uomini di Tavington scaricarono nuovamente i loro fucili nella direzione da cui era arrivata la freccia, ma nulla, nessun rumore, nessun grido. Cercarono di ricaricare il più velocemente possibile, ma questa volta non venne lasciato loro il tempo di farlo. Caddero tutti quasi contemporaneamente in silenzio come le foglie d’autunno.
Il colonnello guardò attonito la scena: - Ma chi diavolo è? Cosa sta succedendo? – si chiese.
Aveva paura? Sì. Si rese conto di averne. Era rimasto da solo contro un numero ignoto di nemici che avevano ucciso tutti i suoi uomini in pochi minuti senza mai farsi vedere.
Poi un movimento vicino al fiume. Sguainò la spada e gli corse dietro. Adesso era l’adrenalina a guidare le sue azioni.
Non si sarebbe arreso tanto facilmente e nemmeno sarebbe morto senza combattere.
Arrivò in un punto in cui il fiume formava un’ansa e l’acqua era tranquilla. Lì si riuniva con un altro torrente formando una piccola cascata.
Si trovò immerso fino alla vita nell’acqua. Si girava attorno. Nessuno. Eppure era certo di quello che aveva visto.
- Vigliacchi! Mostratevi e combattete lealmente!
Poi un bruciore fortissimo alla schiena. Era come se qualcosa avesse preso fuoco. Un dardo gli aveva trapassato la spalla da parte e parte. Si voltò di scatto. Non fece tempo a vedere in faccia il suo aggressore che era nuovamente sparito.
Gli cedettero le gambe e cadde in ginocchio nell’acqua. Ansimava cercando di restare vigile malgrado il dolore. Una macchia si sangue si allargava nell’acqua.
Si sentì prendere per i capelli e una voce quasi dal nulla che gli parlava in un orecchio: - SSSHHHHH! Colonnello. Altrimenti vi taglio la gola. Non sareste il primo. E nemmeno l’ultimo.


 

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Capitolo 4
*** elbereth ***


Era una voce di donna quella che gli aveva sussurrato parole tanto dure.
Una voce grave e fredda come ne aveva sentite poche. Una voce determinata e, si capiva, abituata a dare ordini ed ad essere obbedita senza alcuna replica.
Tavington voleva vederla in faccia, ma la lama che aveva puntata alla gola non gli permetteva di muoversi.
Uscirono dal bosco un paio di uomini. Elbereth si rivolse ad uno di essi: - Richard! Gli altri inglesi?
- Morti. Tutti.
- Bene.
William cercò di liberarsi da quella presa ma aveva sempre meno forza.
– Colonnello. Ascoltatemi. Non fate sciocchezze. Credetemi. E’ troppo alto il prezzo che andreste a pagare. Gettate la vostra spada. E’ meglio.
Elbereth si allontanò da Tavington ed uscì dall’acqua. William si rimise a fatica in piedi e si guardò attorno.
Una decina di uomini armati erano appostati su entrambe le rive.
Guardò la donna che era in mezzo a loro: non assomigliava certo a quelle che frequentava a Londra. Era vestita con una divisa militare. Indossava un completo da cavaliere: portava una giacca nera sotto la quale spiccava il colletto bianco della camicia e i pantaloni bianchi attillati infilati negli stivali neri.
Ed era armata.
- Colonnello. Vi prego. Non avete alcuna possibilità.
Rimase a fissare per un attimo la sua sciabola.
Dall’altro braccio scendeva un rivolo di sangue che si mescolava all’acqua del torrente. Fece per dire qualcosa, ma si limitò a un lungo respiro. Si rese conto di non avere altra scelta. Buttò nell’acqua la spada e lasciò cadere le braccia lungo il corpo in segno di resa.
- Comandante – disse poi – Toglietegli la freccia e fasciate la ferita. Poi legatelo. Questo viene con noi.
Due uomini lo presero e dopo aver estratto la freccia dalla spalla, gli legarono le mani dietro la schiena. Lo avevano medicato alla svelta. Non erano state recise vene per cui avevano solo tamponato con delle garze.
Elbereth salì sul suo cavallo e ordinò agli altri di muoversi. Era soddisfatta della rapidità dell’azione. Nessuna perdita tra i suoi; i traditori uccisi e il colonnello Tavington…
Lo guardò un attimo mentre veniva fasciato e poi legato. Di nuovo i loro sguardi si incrociarono, questa volta entrambi consci del fatto. Furioso quello di lui, divertito invece quello di lei.
Pensò – … il colonnello Tavington per il momento invece è vivo…
- MyLady. Non abbiamo un cavallo per lui. Vediamo di recuperarne uno dei suoi?
- E chi ha mai parlato di cavallo? Ci segue a piedi.
Il comandante scosse la testa. A volte non riusciva a capire da dove venisse quella freddezza che la contraddistingueva. Non riusciva a capire perché trattasse le persone come se fossero solo degli oggetti.
Elbereth aveva intuito nello sguardo di Kronholm cosa gli stesse passando per la testa: - Richard, nel nostro mestiere non c’è posto per nulla. Nessuno dei nostri nemici esiterebbe un attimo, quindi si deve essere sempre un passo avanti e per farlo non devi pensare.
- Lui non…
- Lui? – scosse le spalle - Lui ha bisogno di un corso di umiltà!
Gli misero una corda al collo che fu fissata al cavallo di Elbereth.
- Andiamo. Voglio arrivare ai piedi della montagna entro sera.
Si misero in marcia.
 

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Capitolo 5
*** prigioniero ***


Il colonnello Tavington cercava di riuscire a mantenere il passo per evitare di venire trascinato. Le ferite stavano ancora sanguinando e il dolore era diventato quasi insopportabile. Sentiva la gola bruciare e il nodo del cappio stringersi sempre di più. Trascinava i piedi sul terreno accidentato ripetendosi che non doveva cadere. Non ce la faceva più.
Il comandante Kronholm accelerò il passo e si affiancò al cavallo di Elbereth: - MyLady. Dovremmo fermarci.
Poi volgendo lo sguardo indietro: - Non credo possa andare avanti ancora a lungo.
Elbereth fermò il cavallo e William cadde a terra privo di forze.
- Non riesco più a respirare – disse con una voce strozzata. Il fiato gli si era fatto corto e affannoso.
- Va bene. Ci accamperemo vicino a quelle rocce. Tiratelo su e allentate il cappio.
In due presero il colonnello Tavington per le braccia e lo trascinarono da parte.
Elbereth vide che la giacca era intrisa di sangue.
- Slegatelo e toglietegli la camicia. E’ meglio ricucire quelle ferite.
Gli tagliarono la corda che aveva ai polsi e prima che potesse dire qualcosa lo sbatterono contro la parete di roccia: - Fa solo un passo falso e sei morto – gli disse una voce nell’orecchio.
William urlò per il dolore: - Non mi nuovo! Non mi muovo!
Lo misero a sedere su un masso. Elbereth scese da cavallo e prese un rotolo da una delle bisacce che aveva attaccate alla sella.
- Qui ci penso io. Voi aiutate gli altri. Colonnello, spero che i miei uomini siano stati convincenti, nel dubbio ve lo ripeto: rimanete fermo. Vi farei sparare senza pensarci due volte.
Annuì: - Sì. Siete stata chiara.
Gli versò dell’alcool sulla spalla e poi iniziò a cucire i due profondi tagli.
William fece una smorfia.
- Stringete i denti. Ho quasi finito. A giudicare dalle cicatrici che vedo sul vostro corpo non è comunque una novità.
- Chi siete?
- Dimenticavo: oltre a fermo dovete stare anche zitto.
Finì la medicazione e lo legò nuovamente lasciandolo in un angolo.
Gli uomini di Elbereth avevano intanto iniziato ad allestire il campo per la notte: chi sistemava i cavalli, chi accendeva il fuoco. Il tutto effettuato con una straordinaria efficienza e velocità.
Due soldati tornarono con un paio di lepri e preparano la cena.
Stavano mangiando tranquillamente raccontandosi delle imprese passate, quando Elbereth alzò li occhi verso Tavington e vide che li stava guardando. Mise nel piatto dell’altra carne e prese la sua borraccia. Quindi si alzò e andò verso di lui.
Era sdraiato a terra su un fianco. Cercò di alzare la testa. Aveva la bocca completamente riarsa.
- Per favore… Dell’acqua
Gli occhi glaciali di Lady Whytwornian lo guardarono per alcuni secondi come se fosse qualcosa di mai visto, quasi con curiosità.
Fece un paio di passi spostandosi verso le sue spalle. William girò la testa e in questo modo espose interamente la gola. Elbereth gli mise il piede sopra e iniziò a premere. Tavington rimase fermo e chiuse gli occhi. Poi cercando di deglutire: - Ho sete. Vi prego…
Elbereth fece un sorriso maligno e alzò il piede allentando la pressione. Poi con grande sorpresa di William gli si inginocchiò vicino e lo aiutò a mettersi seduto e gli diede da bere:- Immagino abbiate anche fame. Tenete – disse allungando un boccone – mangiate. Domani sarà una giornata lunga anche per voi.
E divise la sua cena con William.
- Perché non mi avete ucciso? Cosa ne volete fare di me?
- Dipende solo da voi.
Si alzò e tornò a sedersi vicino al fuoco accanto al comandante Kronholm.
La mattina si svegliarono di buon’ora. Prepararono il caffè. Anche William era sveglio. Non era riuscito a dormire molto in quelle condizioni.
Elbereth gli si avvicinò: - Bene. Vedo che siete sveglio anche voi.
Tavington cercò di mettersi seduto: - Sentite, io dovrei…
Lei alzò le sopracciglia e chiamò un soldato: - Per cortesia slegalo e accompagnalo in fondo alla grotta. Se fa qualcosa, qualsiasi cosa che non deve, uccidilo.
Dopo alcuni minuti tornarono al fuoco. Il soldato stava per prendere una corda per legargli nuovamente le mani quando Elbereth gli fece cenno di aspettare.
- Tavington, volete del caffè? Avanti. Sedetevi qui. – gli fece cenno con la mano di accomodarsi - Non vi uccido. Non per il momento almeno.
Gli diede una tazza di caffè e un pezzo di pane.
- Voi sapete il mio nome e a quanto pare anche altre cose su di me. Io non so nemmeno chi siate e come vi chiamate.
- Al momento non vi deve interessare. – chiuse la conversazione Elbereth senza ammettere repliche
Dopo aver mangiato ripartirono. Lo legarono e gli rimisero il cappio al collo. – E’ proprio necessario? – chiese Tavington.
Nessuna risposta.
Elbereth era decisa di arrivare a destinazione entro sera. Era già in ritardo di un giorno e non voleva accumularne altro.





 

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Capitolo 6
*** lealtà ***


A metà mattina un violento temporale si abbatté sull’intera zona. Erano tutti fradici. I cavalli andavano lentamente. William non riusciva più a muovere un passo. Le ferite bruciavano, i piedi erano pesanti per il fango. Era caduto più volte ed era completamente sfinito.
Elbereth guardò i suoi uomini e poi si guardò attorno.
- Per oggi ci fermiamo! C’è una grotta là in fondo. Ripariamoci e aspettiamo che smetta.
Legarono i cavalli all’ingresso. Elbereth ordinò a due dei suoi di verificare che la grotta non fosse abitata. Poi si rifugiarono al suo interno.
Di nuovo William si trovò legato mani e piedi in un angolo della grotta. Aveva gli abiti fradici e tremava dal freddo.
Elbereth fece cenno al soldato che era di guardia di slegare Tavington e di portarlo vicino al fuoco.
- Vi consiglio di spogliarvi e di mettere gli abiti ad asciugare. Se vi ammalate vi abbandono legato ad un albero qui nel bosco.
William la guardò perplesso: - Spogliarmi?
Lo sguardo di Elbereth fu sufficientemente eloquente. – Sì. Va bene.
Si tolse tutti gli abiti, gli diedero una coperta e lo legarono nuovamente.
- Dove volete che vada senza vestiti addosso? – chiese, anche se ormai sapeva benissimo che non avrebbe ottenuto alcuna risposta.
Rimase seduto in silenzio ad osservare il fuoco e a pensare. Guardava i suoi carcerieri e si chiedeva chi mai potessero essere e agli ordini di chi. Erano sicuramente appartenenti ad un corpo militare, non erano mercenari e nemmeno di qualche gruppo di ribelli. Si capiva da come erano organizzati, da come si comportavano. C’era una precisa gerarchia a cui rispondevano senza discutere.
Il ruolo del comandate Kronholm gli era chiaro. Non riusciva invece ad inquadrare la donna: era sicuramente il loro capo. Ma credeva fosse di più. Si rivolgevano a lei con grande riverenza.
Ma da dove venivano? Non aveva mai sentito di una donna al comando di soldati.
Una donna…Se non avesse visto con i suoi occhi non ci avrebbe mai creduto. E sapeva combattere, usare la spada con perizia, lottare con una forza inaspettata.
Una donna…Erano certamente inglesi, parlavano senza particolari accenti stranieri e in maniera forbita. Non erano quindi neanche rozzi contadini.
Una donna…di una crudeltà e freddezza che non avrebbe mai immaginato e che per un attimo paragonò a se stesso.
Le voci dei soldati erano di sottofondo e si mescolavano a tutti questi suoi pensieri. Poi tornò di colpo alla realtà:
- La mia lealtà – disse uno dei soldati – è riposta nel mio fucile, nella mia pistola e nella mia spada. Non mi hanno mai tradito.
Un altro, che invece aveva voglia di scherzare gli rispose: - la mia invece è riposta nel mio… eheheheh. Le signore pare che apprezzino questo tipo di lealtà!
Si misero tutti a ridere: - Certo! Fin tanto che ognuna ignora l’esistenza delle altre!
Elbereth scosse la testa e sorrise.
Poi guardò il colonnello Tavington: - E voi invece? La vostra lealtà in cosa è riposta?
Guardò Elbereth con grande sorpresa. Non si aspettava di venire coinvolto in una discussione.
- Ebbene?
- Sono un ufficiale al servizio di Sua Maestà Re Giorgio. La mia lealtà è nella corona.
Lady Whytwornian alzò uno sopracciglio: - Che nobili parole! Però da quanto so non è una vostra prerogativa obbedire agli ordini. Anzi…
- In guerra non si può pensare di essere…onesti. Qualsiasi metodo è valido per raggiungere lo scopo voluto. Non c’è tempo per le discussioni. I politici passano ore a dire cosa si dovrebbe fare, cosa non si dovrebbe fare, cosa sarebbe meglio. Poi sul campo di battaglia ci sono i soldati. Le mie scelte sono state fatte sempre e solo per ottenere il risultato richiesto, il risultato che mi hanno chiesto gli stessi politici che poi biasimano i miei metodi. E’ vero. Non sempre le mie azioni sono state apprezzate ma alla fine sono i successi ottenuti che contano e che in guerra fanno la differenza.
Elbereth si alzò, sguainò la spada e gliela puntò alla gola:- Allora Colonnello. Ditemi. Fino a che punto arriva la vostra lealtà per la corona? Sareste disposto a morire?
William fece un lungo respiro. Poi cercando di restare il più calmo possibile con voce ferma disse:
- Sono il colonnello William Tavington e sono un ufficiale dei dragoni verdi al servizio di Sua Maestà Re Giorgio.
Se è questo che volete, allora sia. Io sono legato e disarmato. Almeno datemi la possibilità di difendermi.
William rimase immobile a fissare negli occhi Elbereth che sorrise e rinfoderò la sciabola. – Lo vedremo.
E si rimise seduta.
- Slegatelo e dategli qualcosa da mangiare.
Finirono poi tutti in silenzio la cena.

 

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Capitolo 7
*** i dragoni ***


Passarono alcune ore. Il fuoco era diventato ormai solo un mucchio di brace e uno dei soldati di guardia lo stava ravvivando. La pioggia non accennava a diminuire e tanto meno a smettere.
Elbereth e il comandante Kronholm uscirono a parlare fuori dalla grotta.
Il rumore dell’acqua copriva le loro voci, ma non abbastanza. Tavington era sveglio e riusciva a sentire quello che si stavano dicendo. Cercò di mettersi in modo da riuscire anche a vederli. Poi si mise ad ascoltare. Rallentò persino il respiro per essere sicuro di non perdersi neanche una parola.
- MyLady. Il resto dei dragoni è arrivato. O per lo meno quello che ne è rimasto. Il generale O’Hara dovrebbe essere con loro.
- Sì Richard. Ho visto il segnale.
- Dovremmo raggiungere il campo dei ribelli scozzesi tra un paio di giorni. Sempre che questa maledetta acqua ci dia una tregua.
William non riusciva a credere a quello che stava sentendo: il corpo dei dragoni li stava seguendo. Il generale O’Hara? Cosa mai volevano dire? Ma che stava succedendo?
- Credo che invece questo tempo ci sarà di aiuto. Non ci semplificherà le cose, certo, ma potrebbe darci dei vantaggi.
- E di lui? Che ne facciamo? Lo lasciamo qui?
- No. Sarebbe morto in poco tempo. C’è pieno di lupi da queste parti. Senza contare i ribelli. Ha detto di essere fedele alla corona. Bene, gli daremo il modo di dimostrarlo.
- Non sarebbe meglio allora dirgli la verità?
- Preferisco di no. Potrebbero esserci ancora delle spie infiltrate negli ufficiali e non voglio correre alcun rischio. La sua fedeltà è certa, vero, ma la decisione iniziale è stata di non divulgare alcuna informazione al di fuori del Servizio. Tavington ne verrà messo a parte nel momento opportuno: questi sono gli ordini di Lord Cornwallis.
Di nuovo William non credeva a quello che stava sentendo: dei traditori nel suo battaglione? Dei traditori nel corpo ufficiali? Gli ordini di Lord Cornwallis?
Vide Elbereth e Richard passargli vicino. Voleva fermarli. Voleva chiedere spiegazioni. Stava per parlare quando sentì il comandante delle guardie chiedere: - E se Tavington invece diventasse un problema?
- Allora eliminerete il problema – rispose Elbereth senza alcuna esitazione.
A queste parole preferì rimanere in silenzio a riflettere su quanto aveva sentito.
- Andiamo Richard. E’ ora di incontrare il comandante dei dragoni e di pianificare l’attacco. Non possiamo permetterci di fare errori. Voglio chiudere il prima possibile e con il minor numero di perdite.
Chiamò un soldato: - Lega Tavington ad un albero. Bendagli occhi e fa in modo anche che stia zitto. Al momento non deve darci pensieri. Non lo voglio come zavorra in questo momento e non posso nemmeno permettermi di affidarlo ad una guardia.
Quando William vide arrivare un paio di soldati verso di lui con in mano una benda e una corda pensò che alla fine lo avessero ritenuto “un problema” e deciso di impiccarlo. Chiuse un attimo gli occhi. Non avrebbe voluto morire in questo modo.
Gli bendarono gli occhi e lo portarono verso il bosco dove lo legarono e lo imbavagliarono.
Sentì le voci di Richard ed Elbereth che gli passavano accanto e che si inoltravano nel bosco.
Rimase ad aspettare. Sentiva il cuore che gli pulsava nel petto fino a fargli male.
Le ore parevano interminabili. Non sentiva più alcun rumore se non i versi degli uccelli notturni che popolavano il bosco. Ogni tanto un ramo spezzato gli faceva trattenere il respiro: cercava di capire cosa stesse succedendo attorno a lui. Ma nulla.
 

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Capitolo 8
*** il piano di battaglia ***


Intanto Lady Whytwornian e il comandante Kronholm avevano raggiunto l’accampamento britannico.
- Il generale O’Hara vi sta aspettando – disse uno dei soldati – Vi faccio strada.
Arrivarono davanti ad una tenda e fece loro cenno di entrare.
- Buonasera generale – disse Elbereth
- MyLady – rispose questi – Immagino che abbiate portato a termine la prima parte del vostro compito in modo esauriente.
- Ovviamente – rispose lei.
- Già, ovviamente. E… - aveva quasi paura a fare questa domanda – e il colonnello Tavington è…
- No. E’ ancora tra noi. Un po’ malconcio, ma è ancora vivo.
Ad Elbereth parve che il generale avesse tratto un sospiro di sollievo.
- Ci tenete a lui?
Il generale la guardò: sapeva benissimo che dalla sua risposta poteva dipendere la vita del colonnello.
- E’ un buon soldato. Forse non il migliore degli ufficiali: è troppo arrogante, ma resta comunque un buon soldato.
Elbereth abbassò un attimo lo sguardo, poi alzò gli occhi: - va bene – si limitò a dire.
Un breve silenzio cadde nella tenda. Poi il generale O’Hara prese la mappa della zona.
- L’accampamento dei ribelli si trova in questa zona. Sono appena rientrati i miei uomini che hanno fatto una perlustrazione. Ci sono guardie tutto intorno. In tutto saranno un ventina. E il nostro informatore ci ha anche detto che stanno aspettando rinforzi. Invece pare non ci sia traccia dei loro capi. Non sappiamo dove si trovino.
Elbereth guardò a lungo la carta: solo venti soldati. Troppo pochi. – Cosa c’è qui? – chiese indicando un punto della mappa in cui pareva ci fosse un’altura.
- Mi hanno riferito che è una zona fittamente boscosa di mezza collina.
Elbereth guardò Richard che fece un cenno di assenso con la testa.
- Generale, domani all’alba solo una piccola parte dei suoi soldati andrà all’attacco del campo. Il grosso della guarnigione sarà schierato qui verso sud. Io e i miei invece aggireremo la collina stanotte e avanzeremo fin dove possibile. Li prenderemo tra due fuochi.
- Credete che siano nascosti nel bosco? Perché? Non abbiamo trovato tracce…
-Perché è quello che farei io.
Tornarono dopo alcune ore. William sentì lo scalpitio dei cavalli che si avvicinava. Sentì che si erano fermati e che qualcuno era sceso da cavallo e i suoi passi venivano verso di lui.
Aveva percepito chiaro il rumore del coltello che viene estratto dal fodero. Il suo respiro divenne affannoso. Era giunta dunque la sua ora?
Delle mani gli tolsero la benda sugli occhi. Dovette abituare gli occhi alla penombra che regnava. Vide davanti a lui Elbereth che lentamente veniva raggiunta da molti soldati a cavallo.
Riconobbe le uniformi dei suoi dragoni verdi.
Gli tolse anche il bavaglio:
- Bene colonnello. Avete detto che la vostra lealtà è nella corona. E’ arrivato il momento di dimostrarlo.
Slegò Tavington e gli diede una spada e un paio di pistole.
- Fatevi onore.
Elbereth risalì a cavallo, mentre un soldato ne diede uno a William.
Raggiunsero gli altri uomini che stavano aspettando ai piedi della collina.
- Tavington! Sia chiaro. Qui comando io e voi farete solo e soltanto quello che vi dirò. Spero di non doverlo mai più ripetere.
Poi si rivolse al comandante dei dragoni: - Portate i vostri uomini al limitare del bosco e rimanete ad aspettare. Non intervenite per nessuna ragione al mondo. Gli uomini che attaccheranno il campo hanno degli ordini ben precisi.
Richard. Noi invece andremo da quella parte. Sulla mappa c’è segnato un sentiero. Lo seguiremo per un po’, poi cercheremo un passaggio tra gli alberi. Avranno sicuramente delle sentinelle. Dovremo essere veloci e silenziosi.
Poi guardò William - Voi, colonnello seguirete gli altri dragoni.

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Capitolo 9
*** lo scontro con i ribelli ***


Elbereth e i suoi uomini si diressero sulla sommità della collina. Era quasi l’alba quando lasciarono i cavalli e proseguirono a piedi all’interno del bosco.
Avanzarono lentamente fino ad arrivare ad una radura. Elbereth fece cenno di fermarsi.
- Richard. Eccoli là. Saranno un centinaio. Quando si muoveranno, noi lo faremo con loro. Adesso aspettiamo.
Il sole era sorto da poco. L’umidità della notte stava svanendo con i primi raggi e la condensa aveva formato un sottile strato di nebbia. Il bosco si stava risvegliando e con esso anche i soldati dell’accampamento.
Elbereth e i suoi uomini invece erano svegli da molto e ben vigili e poco interessati alla natura che li circondava.
Videro arrivare un soldato di corsa. Si mise a parlare concitatamente con quello che pareva il comandante del campo e poco dopo venne dato l’ordine di muoversi.
- Bene – disse Lady Whytwornian – sono iniziate le danze. Andiamo a recuperare i cavalli. Fra poco farà molto caldo.
Lasciò un paio di uomini a sorvegliare il campo, mentre andò con gli altri a prendere i cavalli.
Silenziosamente come erano partiti, silenziosamente tornarono. I soldati del campo erano pronti ad intervenire come il loro comandante aveva pianificato in appoggio a quelli rimasti nell’accampamento principale.
- Sarà una sorpresa per gli inglesi – disse – non si aspettano certo un’imboscata. Il generale O’Hara è troppo prevedibile.
La sua voce era arrivata agli uomini appostati nel bosco: - Bene, bene – disse Elbereth – sarà una sorpresa ancora più grande per te...
Aspettarono che i soldati partissero e lentamente li seguirono. Sarebbero arrivati in perfetto coordinamento con le truppe degli inglesi che erano schierate a valle.
I soldati ribelli si trovarono presi tra due fuochi: gli inglesi che li avevano aspettati al limitare del bosco e gli uomini di Elbereth che erano arrivati alle loro spalle.
Ora il campo di battaglia era unico, ma la superiorità degli inglesi era schiacciante.
William riconobbe il tenente Campbell, uno dei suoi ufficiali, che stava combattendo con uno degli uomini di Elbereth. Erano entrambi a terra.
- No! – urlò Tavington – quello è mio! Lasciatelo a me!
William scese quasi al volo dal cavallo: - Come avete potuto? Siete un traditore!
- Come ho potuto? Voi, colonnello, invece dovreste riflettere su quello che avete fatto! La vostra lealtà alla corona è costruita sui cadaveri. Le vostre mani grondano sangue innocente! Io combatto per un ideale di libertà. Voi siete solo un assassino prezzolato. Placate la vostra sete di potere con il sangue di quelli che uccidete senza pietà. Vi detestano anche i “vostri” uomini. Non vi siete mai chiesto nulla?
William divenne furibondo: - Voi … non… sapete… assolutamente nulla di me!
Attorno a loro infuriava la battaglia, ma si erano completamente estraniati. Per il colonnello Tavington era diventato un fatto personale.
- Mi hanno fatto passare dei giorni infernali. Legato, trascinato nel fango, umiliato. Tutto perché ci sono persone come voi!
- Persone come me saranno ricordate per aver combattuto per la libertà. Persone come voi invece saranno ricordate solo per la loro crudeltà.
William schivò un affondo di Campbell e lo colpì al viso con l’elsa della sua sciabola - Mossa troppo azzardata, capitano.
Campbell arretrò e cadde a terra.
Tavington stava per finirlo – Voi sarete tra quelli che si ricorderanno della mia crudeltà!
Alzò la spada per colpirlo, ma il suo braccio non riuscì a portare il fendente a segno: si era bloccato di colpo. Elbereth lo aveva fermato – No. Ci serve vivo. Ha molte cose da dirci.
- Comandante Kronholm. Legatelo e mettetelo su un cavallo. Andremo direttamente al forte che si trova fuori la città di Carlisle. E’ a un giorno di cavallo da qui.
Guardò in silenzio Tavington ed annuì con la testa. Poi diede uno strattone alle redini e fece voltare il cavallo.
William rimase a guardarla mentre si allontanava. Si asciugò il sudore dalla fronte con la manica della giacca insanguinata. Rinfoderò la sciabola e recuperò il suo cavallo. Raggiunse gli altri dragoni. Avrebbe voluto parlare con il generale O’Hara, avrebbe voluto capire. Spronò il cavallo cercando di raggiungere la testa della colonna e affiancare così il generale. Al diavolo il protocollo, al diavolo la gerarchia e le sue regole e procedure.
- MyLord! Vorrei parlarvi. Esigo dei chiarimenti.
Il generale si voltò: - Non adesso Tavington. Quando saremo al forte avremo tutto il tempo per chiare ogni cosa.

 

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Capitolo 10
*** la verità ***


Elbereth scese da cavallo: - Kronholm. Tavington. Venite con me. Voi portate i cavalli nelle stalle.
Entrarono negli uffici del forte.
- Rimanete qui. Quando sarà il vostro turno vi farò chiamare.
Richard si sedette tranquillamente sulla panca che era fuori dall’ufficio, mentre William camminava nervosamente su e giù dal corridoio.
Il rumore dei suoi passi tradiva la sua impazienza. Non che fosse un uomo dotato di pazienza, certo, ma aveva subìto anche troppo.
Tutto quello in cui credeva aveva vacillato e una donna, quella donna, lo aveva ferito profondamente nel suo onore e questo lo rendeva ancora più furibondo. Lo aveva messo a confronto con quanto aveva sempre negato agli altri e soprattutto a se stesso. Per un attimo lo aveva fatto sentire umano. Gli aveva fatto provare la paura, la disperazione. Lo aveva fatto vivere in un incubo per poi farlo tornare alla realtà come se niente fosse.
Si girò di scatto verso il comandante Kronholm e gli chiese: - Chi è quella donna? Chi è quella strega?
Il comandante Kronholm guardò divertito il viso diventato quasi paonazzo del colonnello.
- Perché non lo chiedete a lei? Io sono solo un suo sottoposto e la mia fedeltà nei suoi confronti è tale che mi impedisce di darvi questa risposta.
Stava per ribattere, ma la porta dell’ufficio si aprì e venne fatto segno loro di entrare.
Il colonnello Tavington rimase fermo sulla porta per un momento alla vista del generale O’Hara e di Lord Cornwallis. Strinse i denti. Si avvicinarono al tavolo e chinarono entrambi il capo in segno di saluto. Poi rimasero in silenzio con le mani dietro la schiena.
Prese la parola Elbereth: -  Comandante Kronholm. Voi e i vostri uomini avete fatto un bel lavoro. Prendetevi tutto il giorno. Ad un paio di miglia c’è la città di Carlisle. Andate a divertirvi. Ma non fatevi coinvolgere in risse o non rispondete a provocazioni. Dovesse succedere qualcosa ne risponderete direttamente a me.
Il comandante si mise sull’attenti: - Sì. MyLady!
- Potete andare.
Poi parlò Lord Cornwallis: - Tavington, quanto a voi…
Non fece tempo a finire il discorso. William non ne poteva più. Non riusciva più a trattenere quanto aveva accumulato in quei giorni.
- Mi avete usato. Mi avete fatto umiliare. Sapevate che ero fedele, eppure…
Lord Cornwallis alzò una mano e con lo sguardo gli fece capire che aveva superato il limite e che adesso doveva tacere.
- Proprio per questo colonnello. Dovevo essere certo almeno di chi comandava quegli uomini.
- Potevate almeno avvertirmi di quello che stava succedendo, dei traditori nel corpo dei Dragoni.
- Mi dispiace, ma doveva essere tutto credibile.
- Vi…dispiace…? - Non riusciva a credere a quelle parole.
Lord Cornwallis continuò: - prendetevi anche voi la serata libera. Domani interrogheremo il prigioniero. E poi dovremo rientrare a Londra. Il viaggio è piuttosto lungo e faticoso.
E con un gesto congedò William.
Era infuriato. Salutò i militari ed uscì dalla stanza.
Per la prima volta sentì i suoi occhi riempirsi di lacrime. Erano lacrime di sdegno.
Si rimise i guanti cercando di mascherare la rabbia che stava montando in lui. Prese il cavallo e si diresse verso la città.
Pensava di sfogarsi con qualche prostituta o, in mancanza di altro, probabilmente si sarebbe ubriacato. Non lo aveva mai fatto. Non aveva mai perso il controllo dei suoi nervi in quel modo. Si stava forse rammollendo? No – si disse - Ne era certo. Avrebbe ripreso il suo posto a capo dei Dragoni e avrebbe finalmente mostrato a tutti il suo valore. Avrebbe finalmente fatto capire a Lord Cornwallis di chi doveva fidarsi.
Era appena arrivato che vide Elbereth entrare nell’albergo della città. Quella donna…La seguì e la vide prendere una camera e poi salire le scale. Aspettò una decina di minuti e poi le andò dietro. Si fermò davanti alla sua porta a guardare nel vuoto. Una voce dalla stanza lo riportò alla realtà: - Entrate William. So benissimo che siete lì. Vi ho visto ancora quando sono arrivata.
- Demonio – pensò - e aprì la porta.
Rimase fermo sulla soglia della camera senza parole: Elbereth era immersa in una tinozza piena di acqua fumante.
- E’ meglio che vada via. Non voglio disturbarvi. E poi non dicono che sia…sconveniente…? - aggiunse con aria divertita.
Non aveva infatti nessuna voglia di andarsene. La scena che aveva davanti lo intrigava parecchio.
- Non preoccupatevi. Ho finito. – Si alzò ed uscì dalla vasca senza battere ciglio.
William guardò con molto piacere quel corpo statuario che usciva dall’acqua.
- Siete nuda…
- Perché? Voi il bagno lo fate vestito? – e girò il capo verso Tavington guardandolo dal basso verso l’alto con la sua solita aria di superiorità.
Prese un asciugamano e se lo passò sul viso, poi si mise una vestaglia da camera: - Volete qualcosa da bere?
- Sì. E’ meglio. - E che sia forte – pensò.
Elbereth si diresse verso il mobile bar della stanza da dove prese una bottiglia di cristallo piena di un liquido ambrato. Versò due bicchieri e ne porse uno a William.
- Perché? Perché mi avete usato? Voi, il generale, tutti! E se non mi fossi arreso? Se avessi provato a scappare? Mi avreste ucciso.
Elbereth andò verso la finestra sospirando: - Il mio lavoro non consiste solo nel trovare i traditori della corona, ma devo anche guardare nell’animo degli uomini che le sono fedeli. Uomini come voi. Sicuramente è la vostra smisurata ambizione che vi spinge, ma siete comunque leale.
- E ditemi, che cosa avete visto nel mio animo?
- Un uomo solo. E che non ha il coraggio di ammetterlo.
Il colonnello bevve tutto in un fiato il suo brandy e guardò il bicchiere vuoto per un momento. Gli tremavano le mani. Lo mise giù: - E’ stato un errore entrare. Addio MyLady.
Uscì senza voltarsi.
Elbereth finì con calma il suo bicchiere: - Arrivederci William. Alla prossima.
 

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Capitolo 11
*** duello nel club ***


Erano trascorsi ormai sei mesi dagli eventi in Scozia. L’autunno era alle porte e Londra si stava colorando dei toni tipici del giallo, dell’oro e del marrone.
- MyLord… Mi avete fatto chiamare?
- Colonnello Tavington – iniziò Lord Cornwallis – Sua Maestà mi ha chiesto di recarmi nelle colonie oltreoceano, nella Carolina del Sud. Ecco, la situazione è delicata e non è escluso che degeneri. Noi dovremo essere pronti a qualsiasi evento. Ho chiesto che il corpo dei dragoni affianchi le nostre truppe. Potremmo avere bisogno dei loro servigi.
- Capisco.
Chinò la testa in segno di rispetto ed uscì dall’ufficio.
Il pomeriggio seguente si diresse verso il club ufficiali. Era soddisfatto di come si erano messe le cose per lui. Questo incarico gli avrebbe sicuramente portato le gratificazioni che a lungo stava inseguendo. Magari avrebbe anche avuto l’opportunità di ricominciare nelle colonie una nuova vita, dato ormai non aveva più niente che lo trattenesse in Inghilterra.
Immerso in questi pensieri entrò nell’edificio e lentamente si tolse i guanti mentre saliva l’ampia scalinata.
La sua attenzione venne attirata dal tipico rumore delle lame che si incrociano. Qualcuno si stava allenando o meglio, sfidando. Era sempre interessante assistere a questi scontri e a volte anche divertente. Si diresse con passo deciso verso la sala dove si tenevano di solito gli incontri e si mise ad osservare i due duellanti.
Uno era piuttosto grosso e ben piazzato; si muoveva goffamente e senza efficacia. In uno scontro reale non sarebbe durato cinque minuti. Il secondo invece aveva un fisico minuto ma molto tonico. Era molto agile e veloce. I suoi gesti erano studiati e mirati per essere tutti ugualmente letali. Si tratteneva nelle conclusioni, era chiaro, ma ognuno dei colpi sarebbe andato a segno con una precisione chirurgica. La sua mente andò a qualche tempo prima. Nei suoi movimenti c’era qualcosa di familiare.
- Chi è il ragazzino?
- La migliore spada del Regno Unito – gli rispose uno dei soci.
Sbuffò.
- E’ da vedere. Voi! Vi battereste con un vero ufficiale invece che con delle femminucce dell’accademia?
I due duellanti a quelle parole. si fermarono. L’uomo più robusto si tolse la maschera e guardò con aria interrogativa il colonnello Tavington.
- Perché no? – disse il secondo spadaccino senza togliersi la maschera di protezione dal viso – sarà un onore incrociare la mia lama con la vostra.
- Bene – disse Tavington togliendosi la giacca dell’uniforme e impugnando la sua sciabola di ordinanza.
- Interrompere così un regolare allenamento. Non vi smentite. La vostra arroganza vi precede, colonnello – disse lo spadaccino con un ghigno malvagio.
- Ci conosciamo?
- Ho sentito parlare di voi – rispose vagamente l’altro.
- Vi toglierò quel sorrisetto dal viso senza che neanche ve ne accorgiate.
Lord Cornwallis che era presente con il generale O’Hara si voltò e gli disse: - Questa non me la perdo per nulla al mondo!
- Lo rendiamo più interessante? Potremmo scommettere; che dite? Cosa proponete? – chiese lo spadaccino in pedana.
Tavington ci pensò un attimo e poi:
- Se vinco io mi servirete per un giorno intero.
- Uhm. Mi sta bene. E se vinco io …mi servirete per una notte intera.
William lo guardò con enorme stupore: - siete pure…Bene. Non avrò pietà per voi.
- Non vi mettete la maschera?
- No. – rispose sprezzante William – non ne avrò bisogno.
- Bene. Il bersaglio utile è il tronco. Al primo sangue. En garde! Mon Colonel.
Si portò con un gesto elegante la sciabola davanti al viso e si mise in guardia.
Tavington iniziò subito ad attaccare, mentre l’altro contendente si limitava a parare i colpi.
- Siete troppo rigido, colonnello. La spada è come una rondine: se la stringete troppo soffoca, se la stringete poco..vola via. E voi la state uccidendo.
William aveva la camicia completamente intrisa di sudore.
- Voi parlate troppo ed agite troppo poco! Avanti!
Fece uno scatto in avanti. Si trovarono faccia a faccia con le spade incrociate davanti ai volti.
Quegli occhi. No. Non era possibile.
Si allontanarono l’uno dall’altro spingendosi con forza.
- Si combatte con la testa. Non con il cuore. La vostra ira, la vostra rabbia, saranno anche la vostra rovina.
E portò a segno l’ultimo affondo.
Tavington si trovò a terra con un lungo taglio sull’addome.
Il suo avversario si tolse la maschera. William rimase senza parole: - Voi?
- A quanto pare non vi è servita a nulla la lezione in Scozia. Avrei potuto usare una mano più pesante, ma poi avreste ritardato la vostra partenza per le colonie. E questo sarebbe stato contro gli interessi della corona.
Non meravigliatevi colonnello – continuò Elbereth vedendo l’espressione di sorpresa che si era dipinta sul suo volto – so molte cose. Vi resterà comunque la cicatrice a ricordo di questa giornata e ad ulteriore insegnamento. Anche se, come credo sia, non avrà molto effetto su di voi.
- Bene colonnello – proseguì - vi aspetto stasera in camera mia per onorare la scommessa. Alloggio in questo club, per cui non vi sarà difficile trovarmi.
E con la stessa eleganza con cui aveva iniziato salutò il colonnello e lasciò la pedana.
Fece in cenno ad uno dei camerieri del club che le si avvicinò: - MyLady, il vostro asciugamano e un bicchiere di acqua fresca.
- Grazie. Ecco, prendete la sciabola e riponetela al suo posto.
E uscì senza guardare William.
Tavington si fermò per un attimo davanti alla porta della stanza che gli avevano indicato come quella di Lady Whytwornian.
Bussò con decisione.
- Avanti. – Disse una voce all’interno – Accomodatevi Colonnello. Vi stavo aspettando.
Elbereth era in piedi vicino alla finestra con un bicchiere di vino in mano.
Non si era nemmeno voltata, ma era rimasta alla finestra a guardare il Tamigi che scorreva lentamente nella sera.
La mente di Tavington tornò indietro alla primavera passata e a quella sera a Carlisle. La scena si stava ripetendo.
William si rendeva conto che si stava confrontando con qualcuno che non solo gli poteva tenere testa, ma che probabilmente poteva essere anche più freddo e calcolatore di quanto lo fosse lui. E malvagio.
Si avvicinò al mobile bar. Aveva bisogno di qualcosa di molto forte. Si versò un whisky e lo scolò in un sorso; si avvicinò ad Elbereth, le prese il bicchiere di mano e la spinse verso il muro.
- Mi avete umiliato come nessuna donna ha mai osato fare – posò su di lei uno sguardo pieno d’ira - ho posseduto molte donne per il mio solo piacere. Voi invece siete diversa. E per questo sarà ancora un piacere più grande.
Elbereth lo fece cadere a terra e gli salì sopra. Gli si avvicinò così tanto da sfiorargli le labbra con le sue: - Vi sbagliate, William – disse con un tono di voce basso e quasi sussurrato -  Il piacere sarà mio!

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Capitolo 12
*** le colonie americane ***


L’indomani il colonnello Tavington si imbarcò al seguito delle truppe di Lord Cornwallis dirette a Charles Town.
Ci volle tutto il giorno per terminare  le operazioni di carico. Era giunto il tramonto e finalmente levarono l’ancora.
William salì in coperta e si volse a guardare la sua Londra avvolta dalla nebbia che si allontanava nel tramonto. Poteva vedere le deboli luci della città che tremavano nell’aria della sera che diventavano sempre più piccole fino a sparire.
Poi si girò verso il mare aperto. Le prime stelle erano comparse nel cielo.
Nel silenzio della notte i vascelli solcavano quelle acque scure verso un mondo a lui sconosciuto. Un nuovo futuro lo attendeva e, si disse, era certamente un futuro glorioso.
Cosa le aveva detto Lady Whytwornian?
- Vi do un consiglio, colonnello: il prezzo di un'ambizione troppo grande è la propria rovina. Potete sostituire tutte le cose che avete perso, ma non sarà mai la stessa cosa.
Ma chi si credeva di essere? Che ne poteva sapere?
Si voltò nuovamente verso est per cercare con gli occhi gli ultimi riflessi nel cielo delle luci londinesi e per cercare di convincersi che non c’era nulla che lo potesse trattenere in Inghilterra.
Tornò di sotto e si mise a dormire un sonno tormentato dai ricordi ancora vivi della notte passata. Erano rimasti impressi, come marchiati a fuoco, nella sua mente e la bruciatura non sarebbe guarita in fretta. Come le sue ultime parole: - Per uccidere bisogna essere vivi.
Elbereth venne chiamata urgentemente dal Segretario di Stato per le colonie, Lord Thomas Thynne.
- MyLord…
- Lady Whytwornian. Voi sapete che la situazione nelle colonie americane sta diventando complicata. La Corona non vorrebbe che diventasse insostenibile. Immagino che capiate benissimo le preoccupazioni di Sua Maestà…
- MyLord, le preoccupazioni di Sua Maestà sono anche le mie. Lo sapete…
Lord Thynne fece un gesto con la mano come a fermare le ulteriori e non necessarie spiegazioni.
- MyLady. Vi devo chiedere di raggiungere Lord Cornwallis nel South Caroline con i vostri uomini.
Le allungò un fascicolo piuttosto voluminoso contenente documenti, mappe e altre carte.
- Qui troverete tutte le informazioni di cui avrete bisogno.
Vi presenterete con questa lettera a Lord Cornwallis. Affiancherete i Dragoni del colonnello Tavington.
- Tavington. Bene. Ci rivediamo quindi – disse con un sorriso. – Ho avuto modo di conoscerlo in Scozia e – aggiunse cogliendo lo sguardo interrogativo del suo interlocutore – di approfondire qui a Londra.
- Ed è stato piacevole?
- Istruttivo soprattutto. La sua lealtà per la corona è fuori da ogni discussione. La sua capacità di obbedire, beh… questo è un altro argomento. Pare che preferisca i suoi, di ordini…
Lord Thynne alzò le spalle: - Questo è un problema di Lord Cornwallis. Se non fosse più in grado di gestire il colonnello, allora diventerà un problema vostro. Partirete domani stesso.
E si immerse nella lettura di altri documenti che aveva sulla scrivania. Era un modo per farle capire che la discussione era conclusa.
Elbereth uscì con passo deciso dall’ufficio del Segretario e si diresse al suo Quartier Generale per dare la comunicazione ai suoi uomini dell’imminente viaggio e del nuovo compito da svolgere. - I dettagli durante la traversata. – si limitò ad aggiungere – Pronti a partire all’alba.
 

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Capitolo 13
*** il South Caroline ***


Finalmente il porto di Charles Towne era all’orizzonte. Il comandante Krohnolm raggiunse Elbereth in coperta: - MyLady. Credo che la situazione sia più complessa questa volta. Da quanto ho letto nella documentazione che mi avete dato, più volte i coloniali hanno perorato presso Sua Maestà la loro causa di autogoverno. Sono gli stessi che hanno combattuto al nostro fianco contro i Francesi. Ed ora dovremo combattere contro di loro. Probabilmente ci troveremo ad affrontare soldati con cui abbiamo condiviso in passato il pane.
Elbereth guardò con sorpresa Richard. – Ripensamenti?
- No MyLady. Vi servirò con la solita lealtà, ma… se mi permettete, non credo che sia tutto. Ci sono dei riferimenti a dei fatti poco chiari.
- Richard: sarà come sempre. Facciamo il nostro lavoro e torniamo a casa.
- Ho un brutto presentimento, MyLady. Troveremo solo distruzione e morte.
Elbereth distolse lo sguardo dall’orizzonte e lo spostò sul suo fedele comandante. Il suo tono si abbassò e divenne quasi un sussurro, come se stesse parlando più a se stessa che con Richard e distogliendo impercettibilmente lo sguardo disse:
- La morte non è qualcosa che si pianifica.
Ad attenderli erano state inviate delle carrozze che avrebbero portato gli uomini all’albergo dove sarebbero stati alloggiati. Invece ad attendere Elbereth e il comandante Kronholm due cavalli sellati e un terzo cavaliere che li avrebbe scortati al palazzo del governatore.
- I vostri bagagli vi attenderanno in albergo, nelle vostre stanze. – disse uno dei fattorini.
Elbereth fece un gesto di ringraziamento con la mano poi spronò il cavallo.
Arrivarono di fronte ad un edificio con un colonnato che dava sull’enorme patio. Un servitore venne loro incontro; aspettò fino a quando non smontarono tutti e tre e quindi prese i cavalli e li condusse verso le scuderie.
Attraversarono velocemente il giardino e salirono per la scalinata di marmo che portava ai piani superiori.
Vennero accompagnati e fatti accomodare in un bellissimo studio con splendidi arazzi. Scene di caccia erano rappresentate nei vari dipinti che ornavano le pareti. Soprammobili di squisita fattura erano su mobili di altrettanto pregio.
Poco dopo furono raggiunti dal sostituto procuratore William Bull II, Lord Cornwallis e il generale O’Hara.
- MyLady. E’ un piacere rivedervi. E’ andato bene il viaggio?
- Tranquillo. Grazie. Questa è la lettera di Lord Thynne – disse Elbereth porgendo una busta sigillata a Lord Cornwallis.
- E di preciso, sir, cosa vi aspettate da me e dai miei uomini? Che tipo di servigi sono stati richiesti?
- Voi, MyLady, e naturalmente i vostri uomini – disse rivolgendo gli occhi verso il comandante Kronholm – siete esperti nel gestire, come dire, le situazioni al limite. La divisa che indossate vi consente di operare al di fuori delle gerarchie.
Un lampo d’ira attraversò gli occhi di Elbereth. Si guardò le mani e giocò con l’anello che portava. Un gesto che faceva spesso quando doveva riflettere prima di rispondere.
- State insinuando che io e i miei uomini siamo solo degli assassini al di sopra della legge, o peggio, fuorilegge?
- No MyLady, no di certo
- Ascoltatemi. Sapete benissimo quanto me che alla fine di questo ormai inevitabile conflitto, dopo la conta dei morti si ripartirà con la conta dei vivi. Nuovi trattati commerciali verranno stipulati e stringeremo la mano alla stessa persona a cui abbiamo sparato il giorno prima. Da che mondo è mondo si fanno le guerre per assicurarsi la pace. Non è patetico?
- Siete una donna molto intelligente, MyLady. E’ per questo che abbiamo bisogno dei vostri servizi. La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai militari. Servono i gentiluomini, e le gentildonne – aggiunse con un tono di scusa – affinché non diventi…troppo ostile.
Elbereth alzò un sopracciglio e si spinse avanti con il busto.
- E, MyLord, voi…sapreste indicarmi…qual è il livello di ostilità permesso in guerra?
Il comandante Kronholm non poté fare a meno di sorridere, mentre gli altri tre ufficiali si guardarono con un senso di profondo disagio.
Lady Whytwornian si alzò in piedi e si diresse verso l’enorme vetrata che dava sulla via principale.
Un silenzio generale era sceso nella stanza. Si sentivano chiaramente le voci della strada, il rumore degli zoccoli dei cavalli, le ruote dei carri che trasportavano merci, i bambini che giocavano.
- MyLady – intervenne il governatore - le leggi tacciono in tempo di guerra. Dobbiamo evitare che questo accada. Da entrambe le parti.
- Quindi, devo presumere che stia già succedendo… Si voltò - Sono molte le strade che ci portano al nostro destino, ma nessuna strada è diretta come la guerra.
Poi aggiunse: - Signori…
Si alzarono in piedi e la guardarono uscire dalla stanza seguita dal comandante Kronholm

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Capitolo 14
*** il ballo ***


Elbereth entrò nella sua stanza. Aveva bisogno di rilassarsi e di pensare a quanto le era stato detto.
Chiamò una cameriera: - Dell’acqua calda per il bagno. Grazie.
Silenziosamente come era entrata altrettanto silenziosamente uscì per poi bussare nuovamente alla porta.
- La vostra acqua per il bagno, MyLady.
Si immerse nella vasca fumante e chiuse gli occhi.
Quando si rivestì, gettò uno sguardo allo scrittoio e vide una busta. La prese e la girò un paio di volte nelle mani. Era di una carta finissima e pregiata. La grafia con cui era stato scritto il suo nome era molto elegante. L’aprì.
La S.V è inviata
nella residenza di Lord Cornwallis
il giorno 23 novembre
Era l’invito per il ballo nella residenza di Lord Cornwallis che si sarebbe tenuto la settimana successiva.
Buttò la lettera sul letto. Ci mancavano gli impegni con la vita di società.
I giorni successivi passarono senza particolari avvenimenti. Lei e il comandante Kronholm li avevano dedicati soprattutto a raccogliere informazioni su certe voci che giravano tra i soldati e la popolazione locale. Parlavano di demoni, spettri e vampiri.
- Bene Richard, sappiamo che c’è qualcuno che si sta dando molto da fare per seminare panico e terrore e che sfrutta leggende e ignoranza per alimentarle.
Kronholm la vide fermarsi davanti ad un negozio di abiti e la guardò con aria interrogativa.
- Lord Cornwallis mi ha invitato al ballo che si terrà questa sera. Non ho avuto tempo in questi giorni di pensare al guardaroba e nel mio bagaglio non ho certo messo un abito per queste occasioni… Non sto saltando di gioia, ma credo sia meglio che partecipi. Magari tra i pettegolezzi e le bugie c’è anche qualche mezza verità. Tornate pure in albergo. Io rientrerò più tardi.
Entrò e poco dopo uscì con un pacco sotto le braccia.
Si preparò con una certa svogliatezza. Non amava le feste mondane. Ne aveva abbastanza di quelle a Corte di cui non poteva declinare l’invito.
- MyLady – disse la cameriera – il vostro abito è pronto.
L’aiutarono a chiudere le stringhe sulla schiena. La scomodità di quei busti era insopportabile.
La pettinarono e le acconciarono i capelli come era la moda.
- Non indosserò mai questa stupida parrucca! - disse lanciandola fuori dalla finestra.
Alla fine si rivolse alla sua cameriera: - Come sto?
- Siete bellissima, MyLady.
La serata era iniziata in sordina. Al suo arrivo era stata accolta con molto calore da Lord Cornwallis e coinvolta suo malgrado in vuote discussioni di convenienza.
Cercò di spostare la conversazione e rivolgendosi al generale O’Hara chiese: - Generale, cosa mi potete dire dei recenti brutali eventi? Non abbiamo avuto modo di approfondire. Ho saputo che una pattuglia inglese è stata…massacrata non è ancora la parola adatta… Stessa sorte per un gruppo di volontari e mi hanno riferito che anche alcune famiglie di coloni hanno ricevuto lo stesso trattamento.
Il generale O’Hara sospirò. – Non sappiamo chi sia. Pensavamo ad un gruppo di continentali. Poi quando abbiamo ricevuto notizia che non facevano distinzioni, abbiamo rivolto la nostra attenzione ai nativi. Mi rincresce ammetterlo ma in realtà non abbiamo piste da seguire, e il colonnello Tavington - aggiunse con un certo disprezzo - …segue le sue.
- Ma non discutiamo di queste crudeltà. Siamo ad una festa – intervenne Lord Cornwallis.
Elbereth sorrise come a scusarsi.
Non sapeva come riuscire ad allontanarsi senza sembrare troppo scortese. Appena si presentò l’occasione, fece un cenno di saluto dietro le spalle del governatore, come se avesse riconosciuto una persona: - Perdonatemi, signori. Ho appena intravisto una vecchia conoscenza.
- MyLady…
Finalmente lontana dal chiacchiericcio si rifugiò in disparte sotto il porticato dell’ingresso ad osservare le nobildonne che si intrattenevano con i gentiluomini presenti.
- Patetico. Non trovate? – all’improvviso una voce alle sue spalle che senza alcun dubbio riconobbe.
- Colonnello! – disse senza voltarsi – anche voi qui allo zoo a divertirvi a vedere gli animali in gabbia.
Si girò e gli porse la mano.
William batté i tacchi in segno di saluto e rispetto e si chinò a baciarle la mano.
- MyLady. E’ un onore e un piacere per me rivedervi.
- Ve lo concedo, Tavington, questa volta il piacere è interamente vostro.
William sbuffò e piegò la bocca da un lato con un sorriso: - Non vi smentite, MyLady. La vostra freddezza potrebbe congelare l’intera Carolina.
- E' meglio essere odiati per ciò che siamo, che essere amati per la maschera che portiamo. E credo che in questo voi siate un maestro.
Tavington abbassò gli occhi alzando le sopracciglia. No. Non portava alcuna maschera e non era certo amato. Lui sarebbe stato sempre e comunque se stesso.
Poi spostò lo sguardo verso l’orizzonte che si stava tingendo di rosso. Ormai era il tramonto e presto e si vedeva la luna che stava sorgendo nel cielo stellato.
Uno strano silenzio scese tra i due.
William le porse il braccio: - vogliamo fare due passi? Così vediamo meglio lo zoo.
Sorrise, forse il suo primo vero sorriso sincero.
Elbereth accettò di buon grado l’invito e si diressero verso la parte di giardino che dava sul molo dove all’ancora c’erano i due vascelli appena arrivati con le armi e le provviste.
- Ci attendono giorni difficili.
- Potete anche prevedere il futuro? – chiese William con tono scherzoso
- No – sorrise - Vedo soltanto il presente mentre diventa passato. Però non ci si può nascondere dal pericolo, la morte fluttua nell'aria, striscia attraverso le finestre. E se cessiamo di vivere per paura della morte, allora siamo già morti. Ora, se volete scusarmi, ne ho a sufficienza.
William la guardò allontanarsi senza dire nulla.
- E’ solo una donna. Nulla di più – disse rivolto a un inesistente interlocutore.
Ma nemmeno lui riusciva a credere alle sue stesse parole.

 

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Capitolo 15
*** i vampiri ***


Il giorno dopo Elbereth chiamò a rapporto il comandante Kronholm.
- Richard, ieri, tra tutte le cose inutili e noiose che ho sentito, mi è anche arrivata una notizia preoccupante.
Radunate i vostri uomini. Andremo sui luoghi degli agguati e cercheremo di capire cosa è successo e se ci sono ancora tracce da seguire.
- Sì MyLady!
Tavington era in perlustrazione con venti di dragoni quando arrivò nei pressi di un boschetto vicino ad una palude.
Alzò una mano per fermare l'avanzata. Sentì lo scalpitio dei cavalli che venivano arrestati alle sue spalle. Un odore malefico era arrivato alle sue narici. Nel silenzio di morte che regnava attorno, il rumore del ronzio delle mosche era quasi insopportabile. Spronò il suo cavallo per oltrepassare degli arbusti e lo spettacolo che si presentò ai suoi occhi lo lasciò interdetto: c’erano i resti di una decina di uomini. Da quanto rimaneva delle loro divise riconobbe che appartenevano alle truppe inglesi. Erano stati torturati e orribilmente uccisi.
Lo raggiunsero anche gli altri. Alcuni distolsero lo sguardo, altri non resistettero e vomitarono.
Strinse i denti dalla rabbia.
Poi completamente accecato dall’ira fece ripartire la colonna al galoppo. Sapeva che vicino c’era un villaggio. Dovevano sapere qualcosa. Dovevano parlare.
Fece radunare gli abitanti nella piazza davanti la chiesa.
Rimase in sella a guardare con quei suoi occhi di ghiaccio quelle persone terrorizzate. - Stupidi bifolchi – pensò. Poi a voce alta: - Veniamo adesso dalla palude che si trova alle porte di questo villaggio. Sapete cosa abbiamo trovato? – poi con tutto il disprezzo di cui era capace - No?
- No signore. Non sappiamo nulla – disse il pastore del villaggio – siamo gente pacifica. Viviamo del lavoro della terra.
Il colonnello Tavington si tolse il berretto e sempre restando in sella al suo cavallo  – Bene. A quanto pare vi serve un incoraggiamento. Voi tre – disse indicando a caso delle persone che erano a fianco del reverendo - Venite avanti!
Timorosamente queste fecero un passo avanti.
Poi si voltò verso l’ufficiale che era al suo fianco e con lo stesso tono con cui avrebbe ordinato una tazza di te disse – Impiccateli!
Il maggiore Bordon lo guardò ammutolito, incapace di credere a quanto gli era stato ordinato di fare.
- Vi prego, colonnello – continuò il pastore – Non sappiamo nulla. Sono degli innocenti. Non potete…
- Maggiore! Ve lo devo ripetere? – disse ignorando il pastore.
- No signore – disse con un filo di voce.
- Ma vi credo, reverendo. E’ per essere certo che non commettiate l’errore di dare aiuto ai nemici della corona.
E girò il cavallo senza aggiungere altro.
Era quasi sera quando Elbereth arrivò con i suoi uomini in quello stesso villaggio. Rallentò il passo dei cavalli e non poté fare a meno di guardare i cadaveri penzolanti mentre passava davanti all’enorme pianta che si trovava all’inizio del viale.
- Questa non è opera di quelli che stiamo cercando – disse il comandante Kronholm
- No – rispose Elbereth – questa è la firma di un uomo che poteva scegliere tra il disonore e la guerra. Ha scelto il disonore e avrà la guerra.
Si fermò e scese da cavallo andando verso le persone sedute sui gradini di quella che doveva essere stata la chiesa.
- Voi chi siete? – chiese un uomo che teneva una Bibbia in mano.
- Noi serviamo la Corona – rispose Elbereth. Poi aggiunse vedendo lo sguardo delle persone rivolto ai corpi che pendevano dall’albero – No. Non in quel modo.
- Chi è stato? – chiese il comandante Kronholm
- Un animale di nome Tavington – rispose il pastore
- Cosa voleva? – chiese Elbereth
- Ha detto che nella palude qui vicina ci sono i resti di soldati inglesi orribilmente mutilati. Pensava che noi avessimo qualcosa a che fare con quel massacro o che comunque sapessimo chi fossero i responsabili.
- E voi?
- Sono un uomo di chiesa, MyLady, non credo a certe storie.
- Lasciate che sia io a giudicare a quali storie credere o meno.
Abbassò gli occhi. Poi si voltò verso le persone sedute accanto che fecero un cenno di assenso con il capo. Quindi si alzò in piedi e andò verso il cavallo di Elbereth. Lo accarezzò.
- E’ una bestia meravigliosa – poi continuò - Si racconta di esseri che uccidono senza pietà e che bevono il sangue delle loro vittime. Vampiri… Sono stati uccisi non solo inglesi, ma anche coloni americani, civili, donne e bambini. Non abbiamo nulla a che fare con questi…Non potremmo mai dare asilo a simili belve. Ma al colonnello Tavington non è bastato.
E guardò con gli occhi lucidi verso l’albero spoglio dove al posto delle foglie c’erano appese delle persone.
- Avete ragione. Non sono storie a cui credere.
- Voi sapete chi è il colpevole?
- Non ancora. Ma li troveremo. Posso al momento solo dirvi di seppellire i morti con dignità.
Girò il cavallo per recarsi verso la palude.
- Richard, non solo dobbiamo trovare il colpevole della strage alla palude, ma dobbiamo anche fermare la mannaia che ha in mano Tavington.
Il comandante Kronholm fermò il cavallo e si voltò verso il villaggio alle loro spalle.
- Finirà questo orrore? Quando?
Elbereth scosse la testa.
- Solo i morti hanno visto la fine della guerra.
William aveva bevuto. Molto. Quello che aveva visto in quella palude era ancora impresso nella sua mente. Sentiva ancora il puzzo dei cadaveri.
Stava versandosi l’ennesimo bicchiere di whisky quando una mano gli fermò la bottiglia: - Avete bevuto abbastanza per oggi.
Alzò gli occhi e tra i fumi dell’alcool gli parve di riconoscere la persona che aveva davanti.
- Chi siete per dirmi quando smettere di bere? Qui non potete darmi ordini.
- Ho visto cosa è successo alla palude.
- Bene. Allora siete già informata dei fatti.
- Ho visto anche cosa avete fatto in quel villaggio…Perché?
Il colonnello Tavington chiuse per un attimo gli occhi, poi: - Lo scopo della guerra non è morire per il proprio paese bensì fare in modo che l'altro muoia per il suo. E noi, MyLady, se l’avete scordato, siamo in guerra. Quindi quando è finito, è difficile ricordare come fu quando si sono uccisi degli uomini o si è dato l'ordine di ucciderli. Egli altri che non c'erano vi dicono com'è andata e voi vagamente rispondete: già, dev'essere proprio stato così. Ora, se avete finito, vorrei che mi lasciaste solo!
E buttò giù in un solo sorso il contenuto del suo bicchiere.
 

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Capitolo 16
*** doveri di famiglia ***


Gabriel aveva ottenuto la licenza che tanto sperava. Avrebbe consegnato l’ultimo dispaccio e poi sarebbe finalmente andato da Anna.
Il tragitto che doveva percorrere attraversava una boscaglia per poi tagliare lungo il Santee fino alla guarnigione dei soldati continentali. Sapeva che sarebbe passato vicino a casa, quindi aveva deciso che l’avrebbe raggiunta entro sera, anche a costo di cavalcare senza mai fermarsi in modo poi di arrivare a casa magari in tempo per la cena. Aveva molte cose da raccontare a suo padre.
Quando arrivò si trovò nel mezzo di una battaglia. Quello che vide gli fece gelare il sangue. Le truppe dei regolari non riuscivano a contrastare gli inglesi che non concedevano alcuna tregua; i volontari avevano rotto le fila e si davano alla fuga inseguiti dalla cavalleria. Nessuna pietà per i feriti e per chi si arrendeva. Gabriel si trovò coinvolto in una delle cariche: riuscì a sparare ad uno dei cavalieri, ma mentre ricaricava venne raggiunto da uno dei dragoni che lo colpì. Cadde a terra sanguinante: aveva una profonda ferita che gli attraversava il fianco sinistro. Rimase immobile, sperando di venire ignorato. Poi si rialzò e cercò riparo tra le piante del boschetto.
Benjamin sentì alcuni spari provenire dal boschetto al limitare della piantagione. Sospirò: purtroppo quanto aveva detto al congresso si era avverato. La guerra non si sarebbe combattuta al fronte, ma attorno alle case dei civili e non avrebbe coinvolto solo militari, ma anche donne, bambini e vecchi.
Mandò i bambini a letto, mentre lui rimase alla finestra ad assistere a quel massacro.
Vide le truppe dei continentali ritirarsi e fuggire in maniera disordinata inseguiti dalle giubbe rosse che invece mantenevano i ranghi serrati e una linea di fuoco continua.
Martin scosse la testa: non avevano alcuna possibilità contro le truppe inglesi. La sua attenzione venne attirata da una figura che si stava avvicinando alla casa in maniera furtiva. Rientrò e prese una pistola, poi uscì sul retro e fece il giro per arrivargli alle spalle.
- Alza le mani – gli disse caricando la pistola – e girati molto lentamente.
L’uomo si girò per poi cadere a terra.
- Padre… Aiutatemi…
Benjamin riconobbe suo figlio Gabriel.
- Maria! Presto! Portatemi acqua e bende pulite. E dell’alcool!
La domestica arrivò di corsa seguita da Thomas.
Aiutarono Benjamin a fare stendere Gabriel e poi cercarono di medicarli le ferite.
- Cosa è successo? – chiese Thomas.
- Maria. Porta i bambini a letto! – disse Benjamin prima che Gabriel potesse rispondere.
- Dovevo consegnare dei dispacci. Mi sono trovato nel mezzo della battaglia... E’ stato orribile…Gli inglesi continuavano ad avanzare senza trovare alcuna resistenza mentre i continentali si ritiravano. Non riuscivano nemmeno a ricaricare: non veniva lasciato loro il tempo di farlo.
Si sentivano ancora degli spari provenire dall’esterno e qualche colpo di cannone ma erano sempre più radi. La battaglia era ormai alla fine.
Gabriel voltò la testa e vide la sua borsa: - I dispacci! Li devo consegnare!
Cercò di alzarsi. Benjamin lo fermò: - Guarda fuori! Guarda! – gli disse spostando le tende - Non c’è più nessuno cui consegnarli! Nessuno!
Gabriel si risedette sul letto prendendosi la testa tra le mani.
- Ascolta figliolo. Sei ferito e questa notte non c’è più altro da fare. Cerca di dormire. Ne riparleremo domani mattina.
- No. Dobbiamo parlare adesso.
Benjamin sospirò: - Va bene. Ti ascolto.
Si sedette anche lui sul letto: - Cosa vuoi dirmi?
- Padre io ho un dovere da compiere. E non sto parlando solo di consegnare dei dispacci, ma della nostra causa, della causa americana.
- Gabriel, adesso il tuo dovere è qui a casa.
- Vi pensavo un uomo di principi
- Quando avrai una famiglia tua allora capirai
- Anche di questo volevo parlarvi
Benjamin questa volta lo guardò con molta sorpresa: - Cosa vuoi dirmi?
- Voglio parlarvi proprio di una famiglia mia.
La sorpresa di Benjamin aumentò ancora.
- Sto cercando di dirvi che mi sposerò. Con Anna. Avrei voluto dirvelo con maggior anticipo, ma…
- No…capisco. Sono molto felice per te. Ho sempre pensato che Anna sarebbe stata la moglie perfetta per te. E adesso cosa vuoi fare?
- Cosa intendete?
- Con tutto…
- Mi volete chiedere se rinuncerò all’uniforme e all’esercito?
- Anche…
Gabriel si alzò in piedi con una smorfia di dolore, la ferita gli sanguinava ancora.
- No padre. Io continuerò a combattere. E lo farò proprio per la mia famiglia. Non mi nasconderò dietro di essa. Non la userò come scusa. Non me ne starò qui a guardare come state facendo voi.!
Benjamin si alzò stringendo i pugni.
- Un giorno capirai…
E uscì dalla stanza.
 

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Capitolo 17
*** Tavington e Martin ***


L’indomani Benjamin uscì con i suoi due figli maggiori Gabriel e Thomas per perlustrare intorno la casa.
Trovarono decine di corpi di soldati uccisi: inglesi e americani. Tutti morti. Non c’era distinzione di uniforme: il sangue degli uni era mescolato a quello degli altri.
Sentirono un gemito e si diressero verso il punto da cui pareva provenire. Un soldato dell’esercito continentale era ferito gravemente sotto il suo cavallo, ma era vivo.
Ben presto ne trovarono altri. Chiamarono i badanti della casa e si fecero aiutare a recuperare i feriti.
Nel giardino davanti alla sua casa si ritrovarono i soldati di entrambi gli opposti schieramenti che condividevano le stesse pene, le stesse ferite e che venivano curati nello stesso modo.
Benjamin stava aiutando a medicare uno dei feriti quando vide arrivare alcune decine di soldati in giubba rossa.
Si alzò in piedi e andò incontro all’ufficiale che comandava la pattuglia inglese.
Questi si guardò attorno e poi gli disse: - Vi ringrazio di prendervi cura dei soldati di Sua Maestà.
Benjamin stava per rispondere quando la sua attenzione venne attirata dal rumore degli zoccoli di cavalli al galoppo. Alzò lo sguardo preoccupato.
- Chi sono? – gli chiese uno degli uomini di colore che gli era accanto.
- Problemi, James…un mucchio di problemi.
Il tenente McKenzie si voltò e corse incontro ai cavalieri.
- Chi comanda? – tuonò una voce fredda.
- Tenente McKenzie, signore – e fece un breve inchino.
- Bene Tenente- disse Tavington - Mi dite cosa sta succedendo qui? – Aveva ancora mal di testa per quanto aveva bevuto la sera prima e questo lo rendeva ancora più impaziente.
- Siamo appena arrivati. Questi civili hanno prestato i primi soccorsi ai nostri soldati. Stiamo pattugliando la zona per…
Non gli fece finire la frase: - A quanto vedo, questi civili hanno assistito ANCHE i nostri soldati. Non è la stessa cosa. Fate portare i nostri feriti dai chirurghi a Winnsboro.
- Signore- rispose e si affrettò a dare gli ordini agli altri militari affinché procedessero a sistemare sui carri i feriti che non potevano camminare o cavalcare.
Poi Tavington si rivolse agli altri soldati che attendevano ordini con una certa apprensione. Temevano cosa avrebbe potuto dire.
- Incendiate la casa e le stalle. Che si sappia: chiunque dia asilo e soccorso ai nemici perderà ogni cosa. Prendete i cavalli.
Stava per andarsene quando un soldato uscì dalla casa di Benjamin con una borsa di cuoio in mano: - Signore! Abbiamo trovato questi dispacci dei ribelli.
Con un gesto di stizza Tavington allungò la mano e li sfogliò.
- Chi li ha portati? – chiese mentre li leggeva.
Nessuno rispose. Alzò gli occhi – chi…li…ha…portati?
- scandì ad alta voce – guardando i volti atterriti dei presenti.
Benjamin cercava di pensare rapidamente per evitare il peggio, ma una voce dalla veranda fu per lui come un pugno nello stomaco: - Io, signore. Li ho portati io.
Guardò quel giovane ragazzo che si abbottonava la giacca di un uniforme blu e che scendeva dalle scale della veranda. Non gli sfuggì nemmeno la reazione di Benjamin.
- Ero ferito – disse Gabriel - e queste persone mi hanno curato. Non sanno assolutamente niente dei dispacci- continuò cercando di mascherare il terrore che si era impadronito di lui.
Tavington sospirò: - Portatelo a Camden. E’ una spia e verrà trattata come tale.
Due soldati lo presero e lo legarono.
Martin si avvicinò a Tavington: - Colonnello. E' una staffetta e la borsa è d'ordinanza. Non potete trattenerlo come spia. E’ un regolare dell’esercito continentale. Dovete considerarlo un prigioniero di guerra.
- Non ho mai detto che lo tratteremo. Lo impiccheremo.
- Colonnello...
Non fece tempo a finire la frase che Gabriel intervenne
- Padre..
- Ahh, ecco. E' vostro figlio. Pensavo che un uomo con un passato come il vostro gli avesse insegnato un minimo di fedeltà. Vi ho riconosciuto. Cosa credete? – aggiunse in risposta all’aria sorpresa di Martin.
- Colonnello, vi imploro di voler riflettere – continuò Benjamin - Secondo il codice di guerra...
- Il codice di guerra?- disse a denti stretti – voi…mi parlate di codice di guerra? Come a Fort Wilderness?
Prese la sua pistola e la caricò. La puntò verso Martin: - Volete una lezione sul codice di guerra? Poi sempre guardando Benjamin la girò verso i bambini - O devo essere io a darla ai vostri figli? Benjamin corse a mettersi davanti a loro a braccia aperte.
- No signore, non è necessaria.
- Signore - lo chiamò il tenente - Cosa ne facciamo degli altri feriti?
- Uccideteli- ordinò Tavington freddamente.
Il Tenente McKenzie chiuse gli occhi e poi fece eseguire l’ordine ai suoi soldati mentre Tavington rimase a guardare in sella al suo cavallo.
Mentre gli sguardi di tutti erano verso i militari, uno dei figli di Martin saltò giù dalla veranda e colpì le guardie che colte alla sprovvista non riuscirono a reagire: - Scappa Gabriel! Corri!
- NO! Thomas! Fermati!. Urlò il padre lanciandosi per cercare di coprirlo. Ma non arrivò in tempo.
William sollevò nuovamente la pistola, lentamente. Lentamente prese la mira e premette il grilletto.
Il ragazzino cadde a terra colpito alla schiena. Benjamin fece tempo solo a raggiungerlo per vederlo spirare tra le sue braccia. Alzò gli occhi verso Tavington. Il colonnello ricambiò lo sguardo e disse con disprezzo: - Patetico.
Ripose la pistola. – Capitano… muoviamoci. Incitò il cavallo e così fecero anche gli altri Dragoni e si diressero verso l’accampamento vicino al Santee lasciando alle loro spalle la casa e le stalle che bruciavano.
 

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Capitolo 18
*** una pista ***


Elbereth aveva preferito lasciare il colonnello Tavington nella taverna a smaltire la sbornia ed era tornata in albergo. - Certo che vi lascio solo William. Attento. Lo siete. Non approvava i soldati che si ubriacavano dopo un’azione militare e tanto meno gli ufficiali. Buttò sul letto la pistola e la sciabola e si versò un bicchiere di vino. Stava per spogliarsi quando vide un biglietto che veniva infilato sotto la porta. Si avvicinò per raccoglierlo. Aprì la porta per vedere di riconoscere chi lo avesse consegnato. Nessuno. Lo lesse. Si rimise la giacca, prese le armi e scese in strada. Vide un uomo che le fece cenno di seguirlo. Gli andò dietro in un vicolo. Si fermò. Non riusciva più a vederlo. - Ma dove si è cacciato? - MyLady. So cosa state cercando – all’improvviso una voce alle sue spalle. - Continuate… - disse senza voltarsi. - Ci sono uomini che vendono questi. Mise una mano in tasca e tirò fuori degli oggetti chiaramente appartenuti a soldati e ufficiali inglesi come pure a quelli continentali. Elbereth si girò e lo guardò. - Dove? - In quella locanda… - Bene. Entrò e si guardò attorno. Vide quattro uomini che stavano giocando a dadi. - Buonasera signori – disse Elbereth – a cosa si gioca? Diede un’occhiata sul tavolo e vide che venivano messi in palio orologi e altri oggetti che riconobbe senza alcun dubbio. - Posso giocare anch’io? Quegli uomini si guardarono perplessi. - Allora? Posso? Rimasero ancora in silenzio. L’uomo che aveva di fronte prese la pistola da sotto il tavolo e la caricò. - Prenderò il vostro silenzio come un sì. Che cosa ci giochiamo? – disse passando con lo sguardo su ognuno di loro - che so… la vita? La vostra per esempio? Puntò la pistola in faccia all’uomo davanti a lei: - No, no, no…State buono. Ho poca pazienza, è molto tardi e ho sonno. Quindi adesso facciamo che voi parlate e io ascolto. Poi rivolgendosi agli altri tre senza mai distogliere gli occhi da quelli dell’uomo cui si era rivolta – Voialtri invece sparite prima che mi vengano altre idee. - Torniamo a noi. Dicevamo? - Cosa volete sapere? - disse mettendo la pistola sul tavolo. - Raccontatemi di come, diciamo casualmente, siete venuto in possesso di questi oggetti – disse spostandoli uno alla volta con la bocca della pistola - …Un consiglio: cercate di essere convincente. - Io cosa ci guadagno? - Non vi uccido – disse spalancando le braccia - … Lo ritenete un guadagno equo? - Bah. Che mi uccidiate voi o quelli. Poco cambia. Morto lo sono comunque. - Io però non vi ho detto in che modo…Ho molta fantasia, sapete? Rimase in silenzio a pensare. - C’è un accampamento a sud seguendo il Santee. In un cimitero abbandonato nella palude. In tutto almeno cinquanta tra bianchi e indiani. - Va bene. Andrò a verificare. Voi sparite dalla città e fate in modo che non vi incroci mai più sulla mia strada. L’uomo si alzò e fece per andarsene. Elbereth lo prese per un braccio. – Un altro e ultimo consiglio: se li avvertite e lo vengo a sapere, sparatevi un colpo in testa da solo. E’ sempre meglio di quello che vi farei io; l’alternativa non vi piacerebbe. L’indomani Elbereth prese con sé due uomini e si diresse lungo il Santee verso sud. Prima di intraprendere qualsiasi azione voleva rendersi conto con che cosa avrebbe dovuto confrontarsi. Arrivò verso sera nei pressi di una piantagione. La sua attenzione fu attirata dal fumo nero che saliva all’orizzonte. Spronò il suo cavallo e arrivò per vedere le ceneri di quanto restava di una casa e dei suoi annessi. Si guardò attorno e vide decine di cadaveri di soldati; la maggior parte aveva la divisa dei continentali e c’era anche qualche giubba rossa. Scese da cavallo e osservò i corpi più da vicino. I militari americani avevano chiare ferite di arma da fuoco sparate a bruciapelo, mentre gli inglesi riportavano ferite tipiche da scontri in battaglia. Richard richiamò la sua attenzione: - MyLady! Venite a vedere qui. Le indicò una zona in cui la terra era ancora smossa e fresca. Era stata di recente scavata una fossa e sulla croce era stato messo un soldatino di piombo e inciso il nome: “Thomas”. - Tavington. Attento che hai raggiunto il limite.

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Capitolo 19
*** lo spettro ***


Tavington era tornato nell’accampamento. Era stanco e la testa aveva ripreso a dolergli. Le tempie gli pulsavano e gli pareva che gli stessero scoppiando. - Maledizione. Si sdraiò sulla branda. - Voglio che mi lasciate solo! – quelle parole li riecheggiavano ancora nella mente. I fatti dei giorni precedenti si stavano accavallando e sogno e realtà andavano confondendosi. Nel silenzio della sera che avanzava William stava cercando di riordinare le idee. - Colonnello… scusate. Posso entrare? William alzò lo sguardo e fissò il maggiore Bordon. - Ebbene? Cosa volete? Il mal di testa gli stava passando e tutto sommato era piuttosto soddisfatto di come erano andate le cose a quella fattoria. Malgrado questo aveva trovato estremamente seccante quell’intrusione e la sua espressione diede forma ai suoi pensieri. Bordon sospirò: - Signore, la guarnigione al comando del tenente McKenzie è caduta in un’imboscata. - E… - incitò Tavington. - Sono stati uccisi. Quasi tutti - Quasi? – stava per scoppiare. Perché doveva continuamente imboccare le persone perché parlassero? - Li hanno trovati i Cherokee. Si è salvato solo un soldato e lo hanno portato qui. Tavington si alzò spazientito mal celando anche una certa preoccupazione. - Voglio parlargli. Il maggiore Bordon lo accompagnò nella tenda dove il medico stava finendo di medicare il soldato ferito. - Può parlare? - Chiese al medico. Il dottore annuì. - Soldato? Soldato! Questi girò lentamente la testa. – Sono il colonnello William Tavington dei Dragoni Verdi. Potete dirmi cosa è successo? - Siamo stati attaccati…un’imboscata. – Faceva fatica a parlare. E’ stato terribile. Erano dovunque…Erano…Erano… - Calma. Calma soldato. Vi ascolto. Questi cercò di alzarsi, ma le ferite erano piuttosto gravi. Una smorfia di dolore si dipinse sul suo volto. Si sdraiò e fece per riprendere a parlare che intervenne il maggiore Bordon - Non si sa bene quanti fossero… - Eravate forse presente? Non ricordavo che aveste il dono dell’ubiquità - il tono di William era piuttosto seccato per quell’intromissione – O forse mi sbaglio? - No signore – disse il maggiore chinando la testa. - Dunque lasciate che sia lui a parlare- continuò stizzito. – Avanti soldato – continuò cercando di addolcire il tono della voce - con calma raccontatemi. In quanti erano? Volontari? Continentali? - Non lo so signore. E’ tutto confuso. Io…io… C’era sangue dappertutto. Noi ricaricavamo, ma era…era più veloce… - Era? – chiese Tavington – come ERA? Volete dirmi che si è trattato di un uomo solo? - Io… credo di sì… Sì, era un uomo soltanto. Tavington fece un sorriso quasi di compatimento: - un uomo solo? E, ditemi, come è riuscito un uomo da solo ad avere la meglio su venti soldati di Sua Maestà? - Era dovunque. Davanti a noi, dietro, ai nostri fianchi. Tutt’intorno… Prima c’era e poi… Noi… Io… Ecco… Era come se fosse un fantasma. Sì, un fantasma. Proprio come quelli di cui si racconta…con un tomahawk … - Un fantasma – gli stava tornando il mal di testa – E sia. Un fantasma – sospirò - Va bene, soldato. Allora vedremo di fermare questo fantasma prima che se ne aggiungano altri. - Maggiore Bordon! Organizzate una pattuglia - ordinò voltandosi - vediamo di mettere fine alle imprese di questo “fantasma” prima che diventi troppo famoso! Tornò nella sua tenda. Adesso voleva stare in pace da solo. Il maggiore Bordon lo raggiunse nuovamente: - Colonnello… Tavington sbuffò ormai al limite della pazienza. Cosa voleva ancora? - Avanti, maggiore. Che altro c’è ancora? Bordon entrò accompagnato da un altro uomo. Non lo aveva mai visto eppure indossava una divisa da Dragone. Una nuova recluta? - Lui chi è? - Capitano Wilkins signore – disse il nuovo arrivato. - Non l’ho chiesto a voi… - Detestava chi parlava non interrogato. Il capitano fece un passo indietro borbottando qualche parola di scuse. Il maggiore riprese: - Era con la milizia coloniale lealista. Ha combattuto sotto la corona nella guerra con i francesi. Potrebbe esserci utile – spiegò – conosce molto bene le zone delle paludi. Tavington lo guardò appena. Non apprezzava i traditori, da qualunque parte fossero. Potevano sempre cambiare idea. - Un coloniale...- commentò deliberatamente a voce alta senza nascondere il suo disprezzo – e ditemi, capitano – aggiunse con uno sguardo divertito - adesso a chi state concedendo la vostra lealtà? - Alla corona, signore - rispose Wilkins prontamente. La mente di William andò a molto tempo prima quando un’altra persona gli fece la stessa domanda alla quale lui rispose allo stesso modo ma con un tono completamente diverso. - Dovrei quindi fidarmi di un uomo che tradisce i suoi vicini? Il Capitano Wilkins cercò di ricomporsi e riprese: - Se i miei vicini sono traditori dell’Inghilterra allora come tali meritano di morire. - Staremo a vedere… Wilkins e Bordon uscirono dalla tenda di William che si mise a riflettere su quanto gli aveva detto quel soldato. Un uomo con un tomahawk... Gli tornarono in mente i fatti di Fort Wilderness. - Benjamin Martin… Dovevo dartela quella lezione sul codice di guerra…

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Capitolo 20
*** l'accampamento dei vampiri ***


Elbereth fece cenno ai suoi due uomini di proseguire.
Richard le si affiancò.
- MyLady, noi ci confrontiamo con i nostri pari, non con civili innocenti. In questo – e indicò con la testa quanto stavano lasciando alle loro spalle - non c’è onore.
- Non c’è onore nella morte. Chi è morto ha smesso di soffrire. Chi soffre è chi resta. E’ un supplizio quando diventa non una semplice privazione del diritto di vivere, ma occasione di calcolate sofferenze. Tavington sta combattendo una sua guerra in cui trae piacere nell’infliggere ad altrui le sofferenze che ha dentro di sé. Richard, adesso dobbiamo concentrarci per fermare questo branco di assassini. Poi penseremo al colonnello.
Nel tardo pomeriggio arrivarono alle paludi che si estendevano a sud del Santee. Una nebbia avvolgeva l’intera zona. L’odore delle acque putride rendeva l’aria malsana.
Videro le prime lapidi emergere parzialmente dagli acquitrini che ricoprivano quella che una volta era una missione.
- Mette i brividi questo posto. Pare dimenticato da Dio – esclamò Richard.
- Se fossi un “vampiro” cercherei proprio un posto dimenticato da Nostro Signore. No? – rispose Elbereth.
- E’ meglio se da qui proseguiamo a piedi – aggiunse Lady Whytwornian.
Legarono i cavalli e si avviarono verso il centro della palude. Finalmente videro stagliarsi tra la nebbia l’ombra della vecchia missione. Si nascosero dietro una delle enormi lapidi che circondavano il fatiscente edificio e si misero ad osservare le persone che erano accampate all’interno della chiesa.
- Ho contato più di cinquanta persone – disse Richard – di cui almeno venti indiani. Sono in tanti. E hanno anche dei prigionieri. Sono due soldati inglesi e un continentale.
Chiuse gli occhi: - Mi dispiace per loro…
Cercarono di ignorare le urla che provenivano dall’edificio e si concentrarono invece sulla valutazione della zona per individuare quali erano i punti da coprire e quali gli eventuali punti deboli.
- Domani faremo il punto della situazione con tutti gli altri. Segneremo sulla mappa ogni cosa, ogni dettaglio, anche il più piccolo particolare. Tutto è importante. Non possiamo permetterci nessun errore.
- MyLady, agiremo da soli? Coinvolgiamo anche i Dragoni? C’è anche una terza alternativa…
Elbereth rimase a fissare il vuoto dietro le spalle del comandante Kronholm.
- Dovremo valutare la situazione, Richard. Credo che potremmo anche prendere in considerazione una tregua con gli americani. Loro sono coinvolti tanto quanto noi in questi massacri gratuiti. Hai ragione a considerare anche una terza possibilità.
- Lord Cornwallis?
- Sono certa che capirà…
- E… Tavington?
- Quello invece lo convinciamo.
Lentamente e in silenzio come erano arrivati così se ne andarono. Gli ultimi lamenti dei prigionieri andavano smorzandosi nella nebbia e venivano pian piano sostituiti dal gracchiare dei corvi che abitavano la palude.
 

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Capitolo 21
*** il macellaio ***


L’indomani, il generale Gates fece schierare i regolari e i volontari contro le truppe di Cornwallis nella piana di Camden.
Non resistettero neppure al primo assalto.
I dragoni irruppero contro gli schieramenti dei continentali che abbandonarono le posizioni e si diedero alla fuga.
Il generale Gates ora era in fuga con tutto lo stato maggiore abbandonando quegli uomini al loro destino.
Fu una carneficina. I dragoni non si fermarono davanti a niente e nessuno. Il colonnello Tavington aveva dato l’ordine ai suoi uomini di uccidere senza concedere quartiere a chi si arrendeva.
Quando fece ritorno all'accampamento sul Santee era di ottimo umore. Riteneva che il suo intervento fosse stato, come sempre, risolutivo e determinante per la vittoria.
Arrivò che il sole stava tramontando tingendo il cielo e le nuvole di rosso. Un rosso sangue.
Ad accompagnarlo il Maggiore Bordon. Era stato organizzato un banchetto per tutti gli ufficiali per festeggiare la vittoria.
Scese da cavallo e si avvicinò alla tenda dove tutto lo Stato Maggiore stava allegramente conversando.
- Una grande vittoria, MyLord…
- Congratulazioni MyLord. Scelte strategiche perfette. Da manuale…
William sentiva tutti questi commenti e non poté fare a meno di pensare a quanto era facile parlare quando si aveva osservato la battaglia da mezzo miglio di distanza al sicuro su una collina.
Prese fiato ed entrò cercando di sfoderare il migliore dei suoi falsi sorrisi. Nessuno si voltò al suo ingresso.
Con voce ferma, per attirare l’attenzione iniziò: - MyLord, Generale, signori... Un glorioso giorno per Sua Maestà. E per l'Inghilterra.
- Ah. Siete arrivato colonnello Tavington - disse Lord Cornwallis.
Poi senza cercare minimamente di nascondere la sua totale disapprovazione per il comportamento in battaglia tenuto da William: - Come sempre avete ignorato i miei ordini. Come sempre in cerca di gloria…
- MyLord- cercando cautamente le parole adatte – Io combatto per la vittoria, per l’Inghilterra.
Cornwallis alzò uno sguardo pieno di disappunto verso William. Tavington cercava di ignorare quelle parole di biasimo, anche se ora il sorriso si stava spegnendo.
- Non tollererò mai più la vostra bramosia di fama. La prossima volta aspetterete il mio comando- disse in tono fermo.
Il generale O’Hara rincarò la dose: - A quanto pare il colonnello Tavington preferisce obbedire ai propri di comandi…
- Colonnello – riprese Lord Cornwallis sospirando - il generale O'Hara mi ha informato che vi siete guadagnato il soprannome di “Macellaio", tra i soldati e la gente.
Il sorriso di circostanza che William aveva fino a quel momento cercato di mantenere venne sostituito da una smorfia di disgusto. Avrebbe voluto replicare, ma non gli fu dato il tempo: - Ne parleremo domani, colonnello. Poi girandosi verso gli altri ufficiali alzò il calice che aveva in mano: - Signori. Complimenti. Alla vittoria.
- Alla vittoria! - Fece eco il generale O'Hara.
Nessuno si curò di Tavington. Tutti gli voltavano deliberatamente le spalle. Alzò le sopracciglia e con noncuranza dando nessuna importanza alla sua esclusione dai festeggiamenti, uscì dalla tenda e risalì a cavallo.
Sapeva però che non sarebbe finita lì. – Ne parliamo il giorno dopo – Le parole di Lord Cornawallis gli continuavano a girare nella testa mentre rientrava all’accampamento.
Arrivò a Fort Caroline nella prima mattinata con altri tre dragoni. Li lasciò nel cortile e si diresse verso l’ufficio di Lord Cornwallis. Anche se cercava di mantenere il suo solito passo svelto e deciso, non era entusiasta di questo incontro. Il tono con cui Cornwallis si era rivolto a lui il giorno prima non lasciava certo dubbi sul taglio che avrebbe preso la discussione.
Lo fecero entrare nella sala dove Lord Cornwallis stava mostrando al generale O’Hara un mappa in cui erano indicate le concessioni che avrebbe ricevuto a conflitto terminato.
- MyLord…Generale…
Cercava di ostentare una certa sicurezza.
Alzarono appena gli occhi dalle carte. Il generale O’Hara fece un cenno a Cornwallis ed uscì.
- Sua Maestà è molto generoso con MyLord. Naturalmente – continuò sperando di spostare il discorso su altre faccende – i Vostri sforzi in questa guerra per l’Inghilterra meritano tali doni… Sforzi che spero non dimentichiate sono continuamente supportati dal mio…modesto contributo.
Lord Cornwallis si spostò dal tavolo al centro della sala dove erano poste le mappe e si diresse verso la sua scrivania parlando a William mentre gli voltava le spalle.
- Sì. Sua Maestà è generoso con chi lo serve lealmente e – si girò per guardarlo in modo da sottolineare con più enfasi quanto stava dicendo – con chi si comporta con onore sui campi di battaglia.
Tavington alzò le sopracciglia e continuò ignorando la provocazione ricevuta: - sforzi che oso presumere vostra signoria non dimenticherà…
- Presumente troppo, colonnello! – lo interruppe Lord Cornwallis - Sua Maestà, come la storia, ci giudica non solo per l'esito della guerra, ma anche per il modo in cui è stata combattuta .
- MyLord?
- Siamo ufficiali della Corona. Sua Maestà pretende che ci comportiamo da gentiluomini. Nella vita come in battaglia.
Alle truppe che si arrendono si concede quartiere. E così ai feriti. Inoltre, la popolazione resta esclusa dalle ostilità. I vostri metodi brutali devono cessare. Immediatamente!
Tavington si avvicinò al tavolo di Lord Cornwallis.
- Non è sufficiente che io non abbia mai perso una battaglia? E’ anche grazie ai miei sforzi che Voi… - si fermò rendendosi conto che quanto stava per aggiungere sarebbe stato oltremodo offensivo e non era il caso di rendere la discussione più animosa e ostile di quanto non lo fosse già.
Lord Cornwallis ignorò la conclusione cui il colonnello sarebbe giunto: - Voi servite me e il modo in cui lo fate si riflette su di me!
- MyLord – intervenne Tavington – a mia difesa vorrei…
- Oh avanti! State zitto! Evitate di peggiorare la situazione. La vostra reputazione, e quindi la mia, è già abbastanza compromessa! Pensavo che un gentiluomo di una famiglia stimata come la vostra potesse comprenderlo.
- Il mio defunto padre ha dissipato tutta la stima di cui godevamo insieme con la mia eredità.
Poi aggiunse come a giustificare le sue azioni: - Io posso progredire solo con la vittoria.
- Vi sbagliate di grosso colonnello. Voi potete progredire solo attraverso le mie buone grazie.
Tavington strinse i denti e assentì. Chiuse gli occhi per un momento e fece un profondo respiro. Non era ancora finita.
Lord Cornwallis continuò con la sua predica:
- Questi coloniali sono nostri fratelli, e quando questo conflitto finirà noi dovremo ristabilire il commercio con loro. Riuscite a comprendere almeno questo, colonnello?
- Perfettamente, MyLord.
Gli fece un cenno con il capo e lasciò la stanza. Finalmente era finita.
 

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Capitolo 22
*** cambio di guardia ***


William si svegliò presto e guardò la donna che era nel suo letto.
Si passò le mani sul viso e sospirò profondamente.
Si alzò e si infilò i pantaloni e andò alla finestra della sua stanza a Fort Caroline.
Era da poco passata l’alba e la vita al forte stava riprendendo con la sua quotidiana frenesia.
- Vestiti e vattene! – disse alla prostituta che si era portato in camera la sera prima.
- Va bene, colonnello – disse con un risolino.
Vide far aprire i cancelli del forte ed entrare un gruppo di cavalieri. Era Lady Whytwornian con i suoi uomini.
Si mise a confrontare i gesti della donna che si stava rivestendo, quel suo tono volgare di esprimersi e quel suo modo di muoversi con quelli della donna che stava scendendo da cavallo. Erano composti, pieni di classe e, malgrado l’uniforme, erano femminili e aggraziati.
Sentì Elbereth dire con il suo solito tono risoluto di attendere gli ordini e di dare da bere ai cavalli.
Quella donna. Diede un pugno al muro mentre la guardava attraversare il cortile.
- Cercami ancora William! – disse la donna mentre si avvicinava alla porta.
- Sì, sì. Certo… come no. Adesso va via!
E uscì dalla stanza del colonnello Tavington ridendo.
Lui si vestì e scese in tempo per incrociare Elbereth che stava per entrare nell’ufficio dei Lord Cornwallis.
Elbereth aveva visto la donna sghignazzante uscire dall’edificio.
- Colonnello, vedo che vi siete divertito stanotte. Spero che abbia avuto un effetto positivo sul vostro umore. L’ultima volta che vi ho visto eravate in compagnia di una bottiglia. Tutto sommato siete migliorato.
Ed entrò.
Si tolse i guanti con aria stanca e dopo un lungo respiro guardando fisso Lord Cornwallis disse: - Tenete al guinzaglio la vostra bestia, MyLord, altrimenti ci dovrò pensare io!
- MyLady…
- In Scozia l’ho risparmiato. Non era tra gli uomini da uccidere. E non ha imparato la lezione. Ma qui sarà diverso. La sua condotta sta minando seriamente il mio lavoro. Glielo ripeto MyLord lo fermi, adesso, o lo dovrò fermare io e allora sarà per sempre. La sua condotta è disonorevole.
- MyLady. Ascoltatemi. Ho già parlato con il colonnello Tavington. Gli ho fatto capire, almeno spero, che la brutalità con cui conduce i suoi uomini deve cessare. Ma, vi ricordo anche che dobbiamo confrontarci con degli… animali… che massacrano i nostri soldati in maniera… beh  sapete anche voi… - E fece un cenno di disappunto con il braccio.
- Non sono le truppe dell’esercito continentale, MyLord. Tavington se la prende con i civili dei villaggi, uccidendo donne e bambini. Ma chi sta uccidendo i nostri soldati sono solo dei volgari ladri e assassini che si nascondono dietro storie di fantasmi locali. In questi giorni, mentre il colonnello dava sfogo alla sua ehm…brutalità…siamo riusciti a dare un volto a quegli … animali, mi pare li abbiate appena definiti… e abbiamo trovato la loro tana.
Ho bisogno di uomini che sappiano combattere in maniera non “convenzionale”. Quelli sono in tanti. Attaccano in branchi isolati, è vero, ma noi dovremmo andare a casa loro. E lì sono forti. Vi devo chiedere ufficialmente di assegnare Tavington e i Dragoni sotto il mio comando. Per lo meno fino a quando chiuderemo la faccenda con questi “vampiri” come amano farsi definire.
Lord Cornwallis sospirò.
- Non è finita – continuò Elbereth
- Immaginavo… – commentò Cornwallis.
– Voglio proporre una tregua agli americani. Ho bisogno anche del loro supporto. Questa non è guerra…
- Una tregua? Non ne abbiamo il potere, MyLady…
- Lasciate fare a me. So chi cercare…
Lord Cornwallis si alzò dalla sedia e andò alla finestra.
Rimase a fissare la collina che si stagliava all’orizzonte per alcuni minuti.
Poi si voltò: - Vi concedo il colonnello Tavington e venti dragoni. Vi concedo di trattare una tregua. Ma vi posso concedere solo due settimane. Non di più.
- Vi ringrazio, MyLord.
- Ora dovremo informare Tavington. – disse Cornwallis - Non gli piacerà.
- Nessuno ha detto che gli deve piacere… - commentò Elbereth.
Lord Cornwallis fece chiamare Tavington e gli ordinò di raggiungerlo nel suo ufficio.
William sbuffò seccato. Mentre si recava da Lord Cornwallis pensò che avrebbe dovuto subire un altro discorso su l’onore, il comportamento dei gentiluomini in guerra, la politica, i trattati commerciali. – Ah – disse tra sé – dimenticavo. C’è anche la Lady di ghiaccio…Lady Whytwornian. Doppia predica quindi… E sollevò lo sguardo al cielo.
- MyLord. Mi avete fatto chiamare?
- Sì colonnello. Mentre voi eravate fuori a cercare gli spettri…
- Cominciamo… – pensò William
- …Lady Whytwornian e i suoi uomini hanno trovato i responsabili dei crudeli attacchi di cui siamo stati vittime. Gli stessi che hanno riservato lo stesso trattamento anche alle truppe dei ribelli americani.
- Mi complimento con MyLady - disse con un certo tono di sarcasmo.
- Sì, sì, colonnello – facendo cenno con le mani di non interrompere - è stata fatta anche una serie di precise richieste per poterli fermare definitivamente. Una di queste riguarda voi.
William credette di aver capito dove sarebbe finito il discorso.
- MyLord…non penso che sia…
- Nessuno ha chiesto il vostro parere. E’ già deciso.
Tavington abbassò lo sguardo cercando di nascondere il suo disappunto: - Ho capito.
Ad Elbereth non era certo sfuggita l’espressione di William: -Colonnello Tavington, - disse mantenendo la solita calma glaciale - potete scegliere di obbedire ai miei ordini senza discutere, oppure potete essere anticipatamente persuaso di scegliere di obbedire. Sicuramente non vi piacerà nessuna delle due opzioni. Ritengo comunque che siate in grado di discernere quello che riteniate sia meglio per la vostra persona e per la vostra incolumità.
William annuì e si mise sull’attenti: - I miei ordini, MyLady?
 

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Capitolo 23
*** la tregua ***


Elbereth stava mostrando agli ufficiali in comando la mappa dove era segnata la posizione della vecchia missione.
- Le paludi qui attorno e qui sono molto profonde. Dovremo aggirare questa zona. Noi siamo in venti e i Dragoni che Lord Cornwallis mi ha concesso sono altri venti. Quaranta uomini in tutto. Dobbiamo rintracciare un uomo con cui ho combattuto anni fa, il vostro “spettro”, credo colonnello, e per fare questo dobbiamo trovare il modo di trattare una tregua con i coloni.
- Veramente pensavo…- iniziò Tavington.
Elbereth lo gelò con lo sguardo:
- Non avete ancora capito che dovete stare al vostro posto?
Tavington non riusciva ad accettare quanto le aveva appena detto Lady Whytwornian. Una tregua. E per di più un’alleanza con lo stesso uomo che stava disperatamente cercando di fermare da mesi.
- Quanti uomini avete ucciso, MyLady, solo perché vi era stato ordinato di farlo? E ora volete venire a parlarmi di sacrificio? Onore? Valore? Risparmiatemi le noiose teorie accademiche! Questa non è altro che una guerra! Non c'è nulla di diverso dal solito, e in guerra vince chi rimane in piedi per ultimo! Non abbiamo bisogno di stringere alleanze con i ribelli americani. Andiamo alla vecchia missione con un’armata. Li uccideremo tutti in poco tempo.
- Va bene. – Elbereth ignorò di proposito le parole di William - Potete andare. Voi no! Colonnello Tavington. Con voi non ho ancora finito.
Tavington alzò le sopracciglia con stupore.
- Non vi ho dato il permesso di mettervi a riposo.
Non permettetevi mai più di contraddire i miei ordini davanti agli altri ufficiali. Se avete qualcosa da dire lo potete fare in separata sede e vi ascolterò con pazienza. Questa è l’ultima volta che sopporto la vostra arroganza.
- MyLady. Io…
- Non ho capito, Colonnello…
William deglutì prima di rispondere. Era un boccone amaro quello che doveva digerire.
- Si MyLady.
Elbereth con i suoi ufficiali e con Tavington e parte dei dragoni stava tornando a Fort Caroline quando trovarono due carri con i corpi di alcuni civili e alcuni ribelli.
- Erano donne, alcuni bambini…La mano è sempre quella. Truppe regolari inglesi non avrebbero mai fatto questo scempio, e il colonnello Tavington…è con noi…- disse con un certo sarcasmo voltandosi verso i Dragoni che li seguivano.
Qualche miglio più a nord un simile spettacolo attendeva Benjamin e un gruppo di esploratori.
Un cavallo andò loro incontro: era completamente coperto di sangue e i finimenti erano quelli dei dragoni inglesi.
Si diressero verso il punto da cui era sbucato e la scena che si presentò ai loro occhi fu raccapricciante.
Gabriel guardò suo padre: - Quale mostro può fare questo?
- Ringrazia il cielo che riusciamo ancora a provare pietà e orrore per la morte di un nemico. Il giorno in cui non ci importerà più niente dei nostri nemici sarà il giorno in cui perderemo questa battaglia.
Sentirono un gemito.
- Aiutatemi…vi prego…
Si avvicinarono ad un albero. L’uomo che vi era appeso per i piedi era ancora vivo.
- Gabriel, dammi una mano.
Lo tirarono giù. Era un giovane di neanche vent’anni.
- Aiutatemi…
- E’ una giubba rossa – disse uno degli uomini di Martin – lasciamolo qui e andiamo via.
- Passami la borraccia di acqua, avanti!
- Coraggio soldato. Bevi… - poi rivolgendosi agli altri – aiutatemi. Non possiamo lasciarlo qui. Lo portiamo all’accampamento.
- E’ un inglese…
- E’ un uomo ferito e che è stato torturato! Lo portiamo all’accampamento e lo facciamo curare. E’ chiaro?
Elbereth e i dragoni arrivarono nella radura poche ore dopo.
- Animali…
Richard scese da cavallo e andò dove c’erano i resti straziati dei militari.
- Questa corda è stata tagliata. C’era qualcuno appeso, credo. Ma non tra questi. Qualcuno lo ha portato via.
- Ci sono tracce da seguire? – chiese Elbereth.
Richard fece un cenno all’indiano Cherokee che era con loro. Questi scese da cavallo e si mise ad osservare il terreno per alcuni minuti. Poi alzò lo sguardo e annuì.
- Andiamo allora – disse Elbereth
Tavington si avvicinò ad Elbereth: - MyLady – uccidono soldati inglesi, ribelli americani, indiani, coloni. A che scopo?
- Per divertimento. Non c’è nulla di soprannaturale, nessun demone degli inferi. Solo gli uomini possono divertirsi tanto a uccidersi. Solo gli esseri umani… e i mostri. E in questo caso coincidono… E voi, colonnello, dovreste capirli meglio di me…
William arricciò le labbra con disgusto per quell’ultimo gratuito commento.
Seguirono le tracce fino ad arrivare su una collina dalla quale si poteva vedere un accampamento.
Elbereth alzò la mano per fare fermare gli altri cavalieri. Richard le se avvicinò affiancato anche da William. – MyLady cosa facciamo? E’ un accampamento di ribelli.
Elbereth annuì. Era quello che stava cercando. E secondo le sue informazioni avrebbe trovato anche la persona con cui voleva parlare.
- Voi aspettate qui. Colonnello Tavington, voi invece verrete con me.
Scese da cavallo e aprì una delle bisacce tirando fuori un pezzo di stoffa bianco. Poi con un’accetta andò verso uno degli alberi vicini e ne tagliò un ramo abbastanza lungo da farne un’asta portabandiera cui legò la stoffa e poi rimontò in sella.
- Lasceremo qui le nostre armi – disse consegnando la sua sciabola e la sua pistola ad uno dei suoi uomini – conservatele bene. Le riprenderemo al nostro ritorno.
William le si avvicinò – Andiamo disarmati?
Elbereth guardando le tende dell’accampamento degli americani disse: - A guardarle così sembra che dentro ognuna di quelle piccole luci dimorino i loro piccoli sogni e i loro ideali. Uno per uno sono arrivati qui portando le loro piccole fiammelle. Poi, per non lasciar spegnere quei piccoli fuochi ne accendono uno più grande…- poi spostando lo sguardo su William - Sì colonnello Tavington. Andiamo disarmati.
Lentamente scesero dalla collina mandando i cavalli al trotto.
- Si avvicinano due cavalieri! – urlò una delle sentinelle dell’accampamento.
Benjamin uscì dalla sua tenda accompagnato da Gabriel e dal colonnello Harry Burwell. Prese il cannocchiale e lo puntò nella direzione della collina.
- Chi sono, padre? – chiese Gabriel con una certa apprensione.
- Un uomo e…una donna… Hanno bandiera bianca e… - rimase ammutolito.
- Che c’è padre? Cosa vedete?
Benjamin abbassò il cannocchiale – L’uomo è…un dragone inglese. E’…Tavington.
 

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Capitolo 24
*** l'accampamento dei continentali ***


Quando furono a poche centinaia di metri dall’accampamento mandarono i cavalli al passo. Poi si fermarono in attesa di ricevere il permesso di avanzare.
Davanti a loro si presentarono il colonnello Burwell, Benjamin e Gabriel con altri quattro soldati.
- Siamo disarmati e portiamo bandiera bianca – esordì Elbereth.
- Scendete da cavallo e avvicinatevi. Lentamente. – disse il colonnello Harry Burwell.
Quando furono vicini Martin guardò la donna con molta sorpresa:- Lady Whytwornian – disse Benjamin – non sapevo che la corona vi avesse rimandato nelle colonie…
- Capitano Martin… o almeno, questo era il vostro grado quando servivate l’Inghilterra. Adesso?
- Colonnello…
- Bene. Le mie congratulazioni per la vostra promozione.
- Lui non è il benvenuto. Con o senza bandiera bianca – disse Gabriel indicando con un cenno della testa Tavington. Estrasse la sua pistola e gliela puntò contro.
- No Gabriel. Non è onorevole. Sono venuti con una bandiera bianca. No. Abbassa la pistola.
- Non è onorevole? NON E’ ONOREVOLE? Avete dimenticato cosa ha fatto a Thomas? Quello era onorevole?
- Allora era vostra la proprietà distrutta sul Santee, e Thomas era uno dei vostri figli…- disse Elbereth.
Benjamin fece un cenno di assenso spostando lo sguardo altrove.
- Capisco…Immagino vogliate soddisfazione…
William la guardò stupito.
- Sì.
- Noi siamo venuti senz’armi. Lo scopo è di trattare una tregua per affrontare un nostro nemico comune, e sapete benissimo di cosa sto parlando. Mi sono stati garantiti alcuni soldati oltre ai miei uomini e in questo momento non mi posso permettere di perderne nemmeno uno. Avrete tempo e modo di confrontarvi ancora.
- Perché aspettare? – disse arrogantemente il colonnello Tavington – Avanti chiudiamola qua.
- Colonnello. Credevo di essere stata chiara. Ora servite me e dovete eseguire i miei di ordini – poi rivolgendosi a Benjamin - Colonnello Martin. Siamo venuti a parlamentare. Acconsentite?
- Sia.
Li fece accomodare in una delle tende.
Gabriel non riusciva a staccare gli occhi pieni di odio da Tavington che da parte sua lo guardava sorridendo.
- Colonnello Martin, signori. Chi stiamo cercando è completamente privo di scrupoli. Approfitta dello stato di guerra per arricchirsi. Deruba civili, uccide inglesi, americani. Non fa distinzioni di sorta. Abbiamo trovato a qualche miglio da qui un carro con un paio di donne dei bambini e alcuni uomini brutalmente assassinati.
A quelle parole Gabriel ebbe un sussulto: - A qualche miglio da qui? Donne? Bambini?
Elbereth alzò gli occhi e guardò prima Benjamin e poi Gabriel. Abbassò lo sguardo e si limitò ad annuire con la testa.
- Avete una mappa?
Il colonnello Burwell ne aprì una sul tavolo.
- Ho perlustrato la zona vicino ad una vecchia missione nelle paludi a sud. Hanno approntato il loro accampamento là. Sono almeno in cinquanta. Io posso mettere a disposizione i miei uomini, in tutto una ventina e mi è stato assegnato anche un battaglione di venti dragoni al comando del colonnello Tavington.
Gabriel sbottò nuovamente: - Per quale motivo dovremmo combattere insieme?
- Non preoccupatevi – intervenne William – il sentimento è reciproco…
- Silenzio! – disse Martin – cosa volete proporci?
- Come dicevo, una tregua. Mi hanno concesso due settimane. Quegli assassini non stanno combattendo una guerra lealmente e con onore, non hanno nessun ideale, giusto o sbagliato che sia. Cosa mi rispondete?
Benjamin rimase in silenzio. Guerra e ideali: quanto stridevano quelle due parole messe insieme. L’odio umano non ha bisogno di questo: si raffina continuamente da solo, si autoalimenta e si esalta fino a raggiungere vette insuperabili, diventa assoluto.
Fece un salto nel passato: avrebbe dovuto affrontare degli individui i cui metodi gli ricordavano quelli dei soldati uccisi a Fort Wilderness.
- Capitano Martin, no, scusatemi…Colonnello… Dunque?
La voce di Lady Whytwornian lo fece tornare alla realtà.
- Vedete, i fatti di Fort Wilderness sono lontani nel tempo, ma sempre presenti nella mia mente. E tutto questo me li ha riportati in vita.
- Sì Benjamin. Ma la rovina non sta nell'errore che si commette, ma nella scusa con cui si cerca di nasconderlo. Quello che si trova dipende da ciò che si cerca. Quello che si perde dipende da ciò che si trascura. Vorrei che non commettessimo errori e che non trascurassimo nulla.
- Colonnello Martin – continuò Elbereth – domani mattina farò ritorno a Fort Caroline per discutere con Lord Cornwallis i dettagli. Ho chiesto di avere del tempo per fermarli e, come vi ho detto, mi sono state concesse due settimane. Voi potete fare altrettanto?
Benjamin guardò Harry che annuì.
- Due settimane.
 

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Capitolo 25
*** vecchie conoscenze ***


La mattina dopo Lady Whytwornian era di nuovo a Fort Caroline con Tavington e Kronholm. Il resto dei dragoni e gli altri uomini di Elbereth erano rimasti nell’accampamento inglese vicino al Santee.
Chiese che fossero ricevuti da Lord Cornwallis.
Vennero fatti accomodare nell’ufficio del generale. – Il Lord generale sarà da voi al più presto – gli disse un servitore.
Pochi minuti dopo Lord Cornwallis e il generale O’Hara entrarono nell’ufficio: - MyLady. Signori. Cosa avete scoperto?
- MyLord, generale – disse Tavington di riflesso.
Il generale O’Hara lo guardò non senza un certo disprezzo. Era un buon ufficiale, leale alla Corona, ma non aveva mai pensato che potesse accedere a livelli maggiori e il suo incarico a fianco di Lady Whytwornian lo disturbava parecchio. Poteva dargli quella visibilità a cui il colonnello Tavington tanto ambiva.
Elbereth distese la mappa sul tavolo in cui era segnata la missione abbandonata nelle paludi e il cimitero che sorgeva attorno ad essa.
- Ho incontrato i soldati dell’esercito continentale americano e hanno acconsentito a concedere una tregua di due settimane, per lo meno qui nella Carolina del Sud e forse ci affiancheranno per combattere quelli che hanno voluto definirsi, in maniera pittoresca, vampiri.
- Hanno posto condizioni? – chiese Lord Cornwallis
- Più che altro non andava loro a genio che ci fosse il colonnello Tavington. Non posso biasimarli – rispose Elbereth guardando William.
- In ogni caso andremo avanti come già deciso – continuò.
- Cosa suggerite di fare? – chiese il generale O’Hara.
- Io schiererò i miei uomini in quattro file lungo questo crinale. Saranno anche coperti dalle lapidi piuttosto grandi che ancora fuoriescono dalla palude. Faranno in modo di mantenere una linea di fuoco continua. Spero che saranno supportati dai soldati continentali che eventualmente si posizioneranno a nord. I dragoni interverranno quando li costringeremo ad uscire allo scoperto.
Lord Cornwallis guardò Elbereth: - MyLady, chi vi dice che il colonnello Tavington questa volta rispetterà gli ordini?
- Se non lo farà, mi vedrò costretta a farlo fucilare.
Guardò il colonnello Tavington che si limitò ad abbassare la testa.
- MyLord – riprese Elbereth – dovrei chiedervi un altro favore.
- Ditemi… - sospirò Lord Cornwallis sperando che fosse l’ultimo.
- Vorrei che un’altra persona mi affiancasse. Ho lavorato con lui tempo fa.
- Il suo nome?
- Il colonnello Lucas Hutchinson. Se non erro adesso serve il procuratore.
- Domani ci sarà un ballo nella residenza di Sir William. Vedrò di farvi avere un invito.
- Vi ringrazio. Se possibile vorrei che venisse anche Tavington.
- Vedrò di accontentarvi. Nient’altro?
- No MyLord. Vi ringrazio per la vostra comprensione. Sarà sicuramente ricordata.
- MyLady – disse con un cenno della testa a conclusione della discussione.
Elbereth, William e Richard uscirono dall’ufficio di Lord Cornwallis.
- MyLady – chiese Tavington con un tono che la sorprese molto – chi è il colonnello Hutchinson?
Elbereth respirò profondamente valutando se era il caso o meno di rispondere questa domanda e in che modo.
- Anche lui, come me e il colonnello Kronholm, serve la Corona. Abbiamo collaborato in alcuni affari…delicati…
- Immagino – poi cambiando argomento e con una malcelata apprensione - Ma mi fareste davvero fucilare?
- Devo anche rispondervi?
- Ah, capisco… Un’altra domanda, se mi è permesso. Non ho potuto fare a meno di notare che il generale Cornwallis vi ha come fatto un cenno di apprezzamento alle vostre parole.
- Dite?
E in questo modo Elbereth gli fece capire che l’argomento era chiuso.
 

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Capitolo 26
*** insegnamenti paterni ***


La carrozza che era andata a prendere Elbereth arrivò quasi contemporaneamente al colonnello Tavington. Lui si avvicinò e le aprì la porta. Le porse la mano: - Permettete?
Non poté fare a meno di pensare quanto fosse bella.
- Bella e letale – disse tra sé – Lo farò fucilare – L’avrebbe fatto davvero? Sì. Ne era sicuro.
- Grazie, colonnello.
Entrarono insieme e la cosa non venne ignorata da Lord Cornwallis e il generale O’Hara che assistevano da lontano alla scena: - Sbaglio o vedo una luce diversa negli occhi del colonnello Tavington? – chiese Cornwallis
- A quanto pare, MyLord.
- Lady Whytwornian è una donna molto bella…
- E anche molto ricca e potente – aggiunse il generale O’Hara – senza aggiungere che…
- Non credo che il colonnello questo lo sappia.
Elbereth si mise a parlare con i vari invitati e in particolare discusse a lungo con il sostituto procuratore. Aveva assolutamente bisogno della sua autorizzazione per ottenere che il colonnello Hutchinson le venisse affiancato.
I suoi movimenti erano seguiti con molto interesse da William. – E’ una donna, maledizione, come tante altre. Solamente una maledetta donna – Ma in realtà quello che sentiva che era diverso.
Tavington vide che ora era il generale O’Hara ad intrattenersi amichevolmente con Lady Whytwornian
- E’ troppo – pensò quasi automaticamente e contemporaneamente meravigliandosi della sua reazione – quel viscido verme schifoso…
Finì in un solo sorso il bicchiere che aveva in mano, si sistemò la giacca e andò verso di loro.
Facendo il miglior inchino di cui era capace. – MyLady. E poi a denti stretti: - Generale.
Poi riprese – MyLady, vorreste concedermi l’onore di questo ballo?
Elbereth lo guardò quasi divertita: - Colonnello. Mi sorprendete! Sapete anche ballare?
- Il mio …nobile padre…riteneva che fosse una delle cose che un vero gentiluomo dovesse saper fare.
- E cos’altro vi ha insegnato il vostro nobile padre?
William la strinse a sé più del consentito e guardandola con aria di sfida: - Qual è il posto delle donne. E, se necessario, come fare a ricordarglielo.
- Ah – sorrise Elbereth – sì vedo - aggiunse guardando in basso – molto…nobile…decisamente…
La situazione e la piega che aveva preso la conversazione aveva eccitato molto William ed Elbereth se n’era accorta.
- Sono un uomo, MyLady – Poi continuò: - E il vostro, MyLady? Cosa vi ha insegnato?
- Tra le altre cose intendente dire?
William fece un cenno di assenso: - Sì certo, escludendo tagliare la gola, uccidere, minacciare, legare le persone, trascinarle nel fango…ho forse scordato qualcosa?
Elbereth gli lanciò un’occhiata divertita: - Beh, mi ha insegnato a dividere le persone in due categorie…
- Illuminatemi MyLady!
- Quelle che potrebbero aiutarti ad occultare un cadavere, e quelle…che potrebbero essere il cadavere.
- Ah… molto…pratico…
- Trovate, Colonnello?
William alzò le sopracciglia.
- E ditemi, Tavington, Voi avete già deciso a quale gruppo volete appartenere?
- MyLady…adesso mi offendete…
- Bene, perché presto ce ne saranno tanti…
Elbereth notò una persona tra i presenti che le fece un breve cenno.
- Vogliamo andare a sederci, colonnello? – disse Elbereth.
Prese posto vicino all’uomo che aveva visto ignorando volutamente William che si sedette una fila davanti a loro.
Gli orchestrali intanto avevano iniziato un pezzo nuovo.
- Lucas, vedo che alla fine Lord Cornwallis vi ha fatto recapitare il mio messaggio.
- MyLady…è un onore per me tornare a servirvi. Di cosa si tratta?
- Cinquanta uomini. Forse di più. In una vecchia missione nelle paludi a sud.
- Dobbiamo lasciare un messaggio come a Fort Wilderness?
- No. Non è necessario. Questa volta voglio un lavoro pulito. Il capo lo voglio vivo: quello merita un altro trattamento. Uccidete gli altri e fate sparire i corpi.
Elbereth si alzò e uscì fuori seguita da William.
- Mi stavo annoiando profondamente – addusse a scusa. Poi cercando di iniziare una conversazione - MyLady, cosa pensate di questi “vampiri”? Per quale ragione dovrebbero…
- Odio. Odio puro: astratto, disincantato, disinteressato; quello che muove l'universo, e che sopravvive a tutto. Colonnello Tavington, si tratta banalmente di odio…e di denaro...
- L'odio è un tonico, fa vivere, ispira vendetta; invece la pietà uccide, indebolisce ancora di più la nostra debolezza.
- Via colonnello Tavington. Tutta questa musica avrebbe dovuto addolcirvi l’animo…
- MyLady. Da che pulpito…! Vi ho sentita poc’anzi distribuire vita e morte con la stessa naturalezza con cui adesso sorseggiate il vostro champagne…
- Colonnello…sempre così puntuale…sempre così volgare…
Una voce a distanza.
- Lady Whytwornian! Quale onore incontrarvi qui!
- Baronessa….. Che combinazione…- disse senza entusiasmo - anche voi qui nella Carolina del sud.
- Mio marito ed io siamo arrivati ieri. Sua Maestà, vostro cugino – disse sottolineando con piacere il fatto di conoscere il legame di parentela – è stato molto generoso con la nostra famiglia per i servigi resi e siamo venuti a visitare le nuove proprietà.
A William cadde il bicchiere di mano: quella frase fu per lui come uno schiaffo in pieno viso.
Elbereth sospirò – Sì. Sua Maestà è molto generoso con chi lo serve…fedelmente – aggiunse guardando di sottecchi il colonnello Tavington che era rimasto senza parole.
- Oh, scusatemi MyLady. Mio marito mi sta chiamando.
Elbereth sorrise per cortesia.
- MyLady – disse Tavington mettendosi sull’attenti e chinando il capo – perdonate il mio comportamento di questa sera. Non immaginavo…
- E sarebbe stato meglio se aveste continuato a farlo…
Il generale O’Hara guardò Lord Cornwallis: - Adesso Tavington lo sa…
 

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Capitolo 27
*** a caccia ***


Elbereth il giorno dopo volle incontrare William e Richard per presentare loro ufficialmente Lucas.
- Signori, questo è il colonnello Lucas Hutchinson. Ho lavorato ancora con lui e ci sarà di grande aiuto. Colonnello… - e fece un passo indietro.
Lucas prese parola: - MyLady. Signori. Ci dovremo scontrare, con disertori, assassini, banditi che non combattono come truppe regolari ma seguendo l’istinto della caccia, come un branco di lupi. Ci dovremo adeguare anche noi e usare le stesse tattiche. Alcuni di noi sono pratici di questi metodi, mentre voi, colonnello Tavington? Immagino che la vostra preparazione sia accademica. Posso definirla con questo termine?
William rimase in silenzio.
- Bene – proseguì Lucas – per cominciare, dalle informazioni ricevute, si tratta di circa cinquanta uomini. Noi possiamo contare su venti dragoni e venti militari inglesi. Non sappiamo ancora se e quanti uomini delle truppe coloniali ci verranno affiancate: al momento di certo c’è solo una tregua di due settimane. In passato ho stretto delle alleanze con alcune tribù di nativi per certi…lavori… Se siete d’accordo vorrei rinverdire certi contatti.
I presenti annuirono tutti.
- Colonnello Tavington, avete anche degli abiti civili con voi? Perdonate, ma lo vostra uniforme va un tantino nell’occhio specie dove dobbiamo andare noi…
Si recarono in un villaggio a nord lungo il Santee abitato da indiani e da alcuni coloni che commerciavano con loro.
Si fermarono per la notte e il giorno dopo rientrarono a Fort Caroline: avevano raggiunto lo scopo prefissato e una decina tra uomini e indiani si sarebbero uniti a loro.
Elbereth e Tavington tornarono all’accampamento dei soldati continentali. Andarono loro soli. Nuovamente si avvicinarono disarmati e con la bandiera bianca. Certo, la tregua era stata sancita, ma Elbereth preferiva essere sicura che non ci fossero dei fraintendimenti.
Arrivarono in vista delle tende nel tardo pomeriggio e lentamente scesero la collina.
- Due cavalieri! – gridò la sentinella.
Benjamin uscì dalla sua tenda: li aspettava.
Elbereth e William scesero da cavallo e fecero l’ultimo centinaio di metri a piedi.
- Buonasera – disse Martin
- Buonasera – rispose Elbereth con un lieve cenno della testa.
Poi Benjamin guardò Tavington: - Lo ripeto. Voi non sarete mai il benvenuto qui.
- Non è mai stata mia intenzione esserlo – commentò il colonnello – credetemi, potessi, ne farei volentieri a meno.
Elbereth lo guardò non nascondendo la sua disapprovazione per questi suoi commenti: - Attento Tavington – si disse – non puoi sempre tirare la corda in questo modo. Prima o poi si romperà e allora pagherai cara la tua boria.
Gabriel alla vista di William e soprattutto dopo il suo commento sbottò e questa volta non resse: la sua alterigia aveva superato ogni sua sopportazione. La causa era importante, ma questo esulava dalla volontà di indipendenza dall’Inghilterra.
- Tutto sommato – pensò – i cosiddetti “vampiri” fin’ora hanno attaccato molto più spesso le giubbe rosse…
Gli andò incontro con il pugnale in mano.
Tavington non si fece certo prendere alla sprovvista, riuscì a scansarsi per assestargli poi un pugno al centro della schiena che fece barcollare Gabriel fino a cadere a terra.
William lo incitò: - Avanti! In piedi! Da quanto tempo aspettavi quest’occasione eh? Bene adesso ce l’hai! Non sprecarla. Potrebbe non ricapitare più…
Benjamin fece per intervenire, ma Elbereth lo prese per un braccio: - Forse questa volta è meglio che li lasciamo fare. – poi continuò: - Colonnello Martin se sarà necessario io fermerò la mano di Tavington. Voi sarete in grado di fare altrettanto con vostro figlio?
- Ci proverò – disse con poca convinzione - Non vi garantisco di riuscirci. Per quanto riguarda il colonnello, vi do la mia pistola. E’ già carica…
La prese e mentre guardava William e Gabriel commentò l’offerta - Non lo trovate poco equo? O sapete già come andrà a finire?
Martin si limitò spostare lo sguardo sui due che si stavano affrontando: - Sanno benissimo cosa stanno facendo…
Un gruppo di soldati si mise in cerchio attorno ai due incitando Gabriel ad uccidere Tavington. Il ragazzo aveva ancora il coltello in mano, ma questo non preoccupava minimamente William.
- Avanti bamboccio… fammi vedere di cosa sei capace. Sei meglio di tuo fratello?
Gabriel si infuriò alla provocazione e nuovamente si lanciò contro il colonnello che questa volta gli bloccò il braccio e glielo girò dietro la schiena. Prese il coltello: - E adesso che dovrei fare? Tagliarti la gola? Tu che faresti?
Gabriel era a terra. Il dolore era troppo forte per dire qualsiasi cosa. Gli sembrava che gli stessero staccando il braccio dal resto del corpo.
- Basta così colonnello! – disse Elbereth puntando la pistola contro William.
- Avanti! Premete il grilletto e facciamola finita – gli disse lui tenendo sempre il coltello puntato alla gola di Gabriel.
- Vi prego, William. Non costringetemi…
Tavington lasciò la presa. Poi si diresse verso Benjamin ed Elbereth e consegnò il coltello a Martin: - Non gli avete insegnato abbastanza bene come si usa…
Rimasero per un momento a fissarsi.
- Non è finita qui – disse Benjamin
- No. Non è finita.
- Avanti! Invece lo spettacolo è finito! Tornate alle vostre occupazioni! – disse poi Benjamin a voce alta.
- Lady Whytwornian… torniamo anche noi alle nostre occupazioni.
- La vostra pistola. Spero di non averne più bisogno. Colonnello Tavington. Se volete seguirci…
William si girò verso Gabriel che contraccambiò con uno sguardo pieno di odio e rancore.
- Alla prossima…colonnello…
 

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Capitolo 28
*** una pausa di gioia ***


Il colonnello Burwell aveva concesso le due settimane di tregua: non ci sarebbero stati atti di ostilità direttamente rivolti agli inglesi che avrebbero fatto parte del gruppo.
- Non vi posso assicurare però che altre truppe di regolari o della milizia si comportino nello stesso modo, come, onestamente, voi non mi potete giurare che tutti gli inglesi non porteranno avanti attacchi contro i soldati coloniali.
- No. Non posso…Questo però non ci deve impedire di fermare quanto sta succedendo ai nostri militari e, ricordo, purtroppo anche a volte ai civili.
- Vogliamo fare il punto della situazione? – chiese Benjamin
- Da parte dell’Inghilterra – iniziò Elbereth – saranno messi a disposizione 20 uomini sotto il mio comando e 20 dragoni al comando del colonnello Tavington. A questi si aggiungeranno altri 10 uomini che invece risponderanno al colonnello Hutchinson. Le colonie?
Benjamin guardò Burwell: - Ci sarò io con i miei. In tutto una trentina.
William che era rimasto in disparte prese parola: -Nessuno dell’esercito continentale? Noi ci esponiamo anche con 20 cavalieri.
Burwell scosse la testa: - No. Questo non ho potuto concedervelo.
William guardò Elbereth: - Va bene così, colonnello Tavington. E’ anche più di quanto sperassi…
Il colonnello Burwell salutò i presenti: - se volete scusarmi…vorrei ritirarmi. MyLady. Signori – ed uscì dalla tenda.
In quel momento entrò Gabriel. Pensava che suo padre fosse rimasto solo: - Padre, vi vorrei parlare di Anna. Domani mattina ci raggiungerà qui all’accampamento. Noi ci vogliamo… - si fermò quando si accorse della presenza di Elbereth e William.
Elbereth lo guardò e sorridendo gli disse: - Mi congratulo con voi.
Vide William uscire di fretta senza dire nulla.
- Scusatemi. Credo anche che vogliate parlare da soli. Permesso.
Fuori in fondo all’accampamento il colonnello Tavington stava osservano il cielo stellato.
- Colonnello. Tutto bene?
William si voltò verso Elbereth: - Sì. Sì MyLady. Perdonatemi, ma domani dovremo perlustrare le zone vicino alla palude. Raggiungerò il resto dei dragoni per l’alba. E’ meglio se vado a riposare anch’io.
Andò nella tenda che gli era stata assegnata con la consapevolezza di provare, forse per la prima volta nella vita, una grande invidia.
Il giorno dopo si alzò ancora prima che il sole sorgesse e tornò all’accampamento sul Santee. Avrebbe riunito gli uomini che gli erano stati assegnati e poi si sarebbero recati verso le paludi vicino ad un villaggio.
Verso mezzogiorno arrivò Anna con i suoi genitori.
Gabriel le andò incontro sorridendo e le porse un mazzo di fiori che aveva appena raccolto nei prati attorno all’accampamento: - per te – le disse – non ho avuto modo di andare a prendere le rose. Sai…sono stato un po’ occupato ultimamente… - sorrise cercando di nascondere le sue preoccupazioni per il futuro.
- E’ come se lo fossero - rispose lei – sono bellissimi…
Era stata allestita una tenda nel’accampamento per celebrare la cerimonia. Era stato tutto molto semplice: - Avrei voluto darti molto di più di questo…ma… - disse abbassando gli occhi.
- No Gabriel – disse Anna prendendogli il viso tra le mani - è stato tutto perfetto. La cosa importante è che tu sia qui con me.
I festeggiamenti andarono avanti fino a notte inoltrata e per alcune ore tutto l’orrore della guerra era rimasto fuori.
Il giorno dopo Anna lasciò l’accampamento per ritornare al villaggio: - Ci vedremo presto Gabriel.
- Non sarà mai troppo presto – rispose lui.
Non sapeva che sarebbe stato il suo ultimo saluto.
 

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Capitolo 29
*** la morte di Anna ***


Elbereth aveva lasciato l’accampamento dei continentali con il colonnello Hutchinson e si era riunita a Richard e ai suoi uomini.
Arrivò in tarda mattinata al villaggio che si trovava a poche miglia dalle paludi. E vide con molta sorpresa che anche il colonnello Tavington e i dragoni al suo comando si trovavano sul posto.
- William cosa vi porta qui?
- Stiamo inseguendo un paio di uomini e ci siamo ritrovati in questo villaggio. Siamo appena arrivati.
Arrivarono anche alcuni continentali guidati da Gabriel, che vedendo le case che stavano bruciando era sceso da cavallo chiamando disperatamente Anna.
Elbereth lo guardò e capì subito dove si trovava: era il villaggio di Anna e dei suoi genitori. Volse lo sguardo attorno e si rese conto di cosa fosse successo. Si avvicinò alla riva del laghetto che si trovava dietro le case: - Non può più rispondervi…
La raggiunse e rimase attonito a guardare i corpi ammassati. Riconobbe il vestito che Anna portava quando l’aveva salutato per ritornare a casa.
- Mi dispiace…
Elbereth si girò verso gli altri uomini che erano arrivati. Scosse la testa: - possiamo solo dare una degna sepoltura a quel che rimane.
Stavano preparandosi a seppellire i resti delle persone quando videro delle ombre muoversi all’interno di una delle ultima case al limitare della boscaglia
Elbereth fece cenno di ignorare e continuare a scavare le fosse. Poi indicò ai due indiani che erano con lei di seguirla. Videro uscire dal retro due uomini: probabilmente erano gli stessi inseguiti da Tavington e i Dragoni.
Si avvicinarono alla casa cercando di essere il più silenziosi possibile. Mentre lady Whytwornian e i due indiani si preparavano a prenderli di sorpresa, William e Gabriel erano saliti a cavallo pronti all’inseguimento nel caso fosse stato necessario.
All’ultimo i due uomini si voltarono aprendo il fuoco e uccidendo uno dei due indiani. Poi saltarono sui loro cavalli e si lanciarono al galoppo verso le paludi.
William spronò il suo cavallo inseguito anche da Gabriel.
Elbereth urlò: - Li voglio vivi! Devono poter parlare!
Tavington raggiunse velocemente uno dei due uomini, prese la mira e sparò colpendolo alla schiena.
Lo aveva ferito: non lo aveva ucciso ma non poteva più scappare; arrivarono gli altri dragoni e William ordinò loro di legarlo e di riportarlo al villaggio.
Gabriel invece raggiunse l’altro poco distante e riuscì a fermarlo. Quando gli vide in mano la collana che apparteneva ad Anna non riuscì più a controllare la collera.
Si avvicinò e prese il coltello e sfogò su di lui tutta la sua rabbia.
Poco dopo venne raggiunto da William che si limitò ad osservare la scena quasi divertito e con freddo cinismo gli disse:
- Direi che può bastare…- poi sorridendo continuò - Credo sia abbastanza morto…Non trovate?
Gabriel si alzò coperto di sangue.
- Voi non potete capire. E quando questa tregua sarà finita, vi riserverò lo stesso trattamento.
- Vedremo…
Gabriel risalì a cavallo e lo spronò al galoppo. William invece mandò il suo al passo, senza particolare fretta.
Rientrarono entrambi all’accampamento dei continentali e ad attenderli c’erano Elbereth, Martin e il colonnello Burwell.
- Ditemi Colonnello. Quale parte del mio discorso non vi era chiara quando vi ho detto che volevo che mi venissero portati vivi?
- MyLady, ho fatto tutto il possibile per rispettare i vostri ordini. Dopotutto uno, almeno per il momento, è ancora in grado di parlare…
- Il vostro senso dell’umorismo è fuori luogo. Vi dovrei fare frustare. Magari riesco a farvi entrare le mie parole se non nella testa, almeno nella carne… Va bene. Vediamo cosa riusciamo a farci dire dall’altro prima che raggiunga il suo compare.
Due soldati della milizia continentale scortarono il prigioniero nella tenda per essere interrogato.
- Mettetelo a sedere qui – disse indicando una sedia.
- Come vi chiamate? – chiese Benjamin.
- Non vedo come possa interessarvi…
- Il vostro amico è stato ucciso e il vostro collo è già infilato in un cappio, sempre che ci arriviate a domani – disse con aria minacciosa William
Elbereth fece un sorriso: -via, via signori, un po’ di educazione. Ascoltami bene. Ho fatto molta strada per colpa vostra e dei vostri amici. Adesso sarei nel mio castello a gustarmi un buon pasto, un bicchiere di vino o magari sarei a teatro. Invece mi sono dovuta fare più di 3500 miglia per venire a cercarvi. La mia pazienza è stata messa a dura prova. Non peggiorate ulteriormente la situazione
Il prigioniero si mise a ridere: - Pensate forse di farmi paura?
- Vedete – rispose allora Elbereth - Io servo la corona come il colonnello Tavington, e quindi abbiamo un certo codice da rispettare, ma il mio amico qui…– disse indicando l’indiano - beh, sapete, avete ucciso suo fratello e, ecco, l’ha presa piuttosto male, e lui non risponde a nessuno…
L’indiano non disse nulla, ma si avvicinò all’uomo lentamente.
La sera stessa ritornano a Fort Caroline con le informazioni ottenute e pianificarono definitivamente come si sarebbero mossi l’indomani.
- Signori – concluse Elbereth – sono già passati otto giorni. Non ne abbiamo ancora molti a disposizione. Da domani inizia la caccia
 

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Capitolo 30
*** Confessioni ***


William non riusciva a dormire. Si infilò solamente i pantaloni e andò verso la porta della camera di Elbereth.
- Ma cosa diavolo sto facendo? – si disse tra sé.
Ma come se stesse obbedendo ad un ordine superiore, meccanicamente mise la mano sulla maniglia e la girò.
Entrò nella stanza e rimase fermo al centro della stanza appena rischiarata dalla debole luce del fuoco acceso nel camino. Guardò il letto e vide che era vuoto.
Sentì il rumore del cane di una pistola che viene caricato.
- Cosa volete? – chiese una voce alle sue spalle.
Elbereth si trovava in piedi dietro la porta. Con un braccio la richiuse sempre tenendo sotto tiro il colonnello Tavington.
- Perché siete venuto in camera mia?
William scosse la testa: - Non lo so.
Era effettivamente la verità. Anche lui si stava facendo la stessa domanda.
- Perché mi umiliate continuamente?
- Devo sapere di chi mi posso fidare, colonnello! Quando do un ordine devo essere sicura che venga eseguito esattamente come l’ho richiesto. Non voglio interpretazioni personali. Non mi interessa sapere che Lord Cornwallis è stato chiaro e vi ha spiegato il vostro compito. Quello lo so già. Mi interessa invece che voi abbiate capito.
William sospirò. Cosa poteva farci lui se il figlio di Benjamin Martin aveva deciso di massacrare quell’uomo. Ma Elbereth non aveva voluto sentire ragioni: lui aveva ricevuto un ordine preciso e lui non lo aveva rispettato. Questo era stato il suo ultimo commento prima di congedarlo: - vi dovrei fare frustare. Forse in questo modo riuscirei a fare penetrare anche le parole…
- Vi do la mia parola di gentiluomo…
- La vostra cosa? – rise – No, non me ne faccio niente. Mi serve molto di più.
Gli si avvicinò lentamente prendendo il pugnale che aveva sul tavolo e lo passò lungo la schiena di William.
- Lo sapete che se entrasse a questa altezza voi non morireste, ma restereste immobilizzato per sempre?
Un tremito scosse il corpo di Tavington: stava sudando freddo.
- Non ho nient’altro.
- Ne siete sicuro?
William girò lentamente la testa.
- Mi resta solo la mia vita. E’ quella che volete?
- A voi la decisione.
Elbereth andò verso il camino e si mise a fissare il fuoco.
William le si avvicinò e le prese le spalle con le mani.
- E’ vostra. E’ sempre stata vostra. Dalla prima volta che vi ho vista.
La baciò sul collo.
- Qual è la pena per un ufficiale che bacia un suo superiore?
- La corte marziale per insubordinazione. E dato che siamo in guerra, il plotone di esecuzione.
- Per voi sono disposto ad affrontare tutti i plotoni di questo mondo. Tutto quello che cerco è un vostro sorriso. Solamente questo.
La baciò nuovamente.
- Vi desidero Elbereth, come mai nessuna. Vi prego. Non fermatemi.
- E’ pericoloso William.
- Cosa temete? Di essere capace di essere anche una donna?
Elbereth appoggiò la testa indietro sulla spalla di William e chiuse gli occhi. Poi scosse la testa e rispose:
- No. No William – sorrise, ma era un sorriso dal sapore amaro - Di non essere più capace di mandarvi a morire.
William la girò verso di sé:
- Noi faremo sempre e comunque il nostro dovere. E se domani dovrò morire, voglio che il mio ultimo ricordo sia il vostro.
 

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Capitolo 31
*** scontro alla missione ***


Elbereth fece schierare i suoi uomini in quattro file.
-Richard dovrete coordinare gli ordini di fuoco con i dragoni e gli americani.
- Si MyLady
- Tavington, voi avete il comando dei dragoni. Dovrete aspettare che quegli uomini escano allo scoperto, e questo sarà il vostro di compito, colonnello Martin.
Mi aspetto che ognuno faccia il suo dovere. Io invece sarò con il colonnello Hutchinson: aggireremo le mura e ci occuperemo del loro capo. Richard… signori…
William ordinò la carica. I dragoni irruppero contro le linee nemiche che non riuscirono a contrastarli.
Ora il combattimento si stava svolgendo interamente a terra.
William non aveva tempo di ricaricare la pistola quindi la usava per colpire insieme alla sciabola.
Anche Benjamin si stava confrontando in un corpo a corpo
Erano entrambi stati feriti, ma continuavano a combattere senza fermarsi.
Poi ad un tratto tutto sembrò tacere: Tavington alzò un attimo gli occhi per guardarsi attorno e rendersi conto che la palude era diventato un campo di sterminio. Riprese fiato. Pareva che fosse finita.
Si girò nuovamente e si trovò faccia a faccia con Martin a pochi metri di distanza.
Vide Benjamin ricaricare il fucile e puntarglielo contro. Rimase a guardarlo abbassando la sciabola, fermo, ad attendere il colpo. Non tentò nemmeno di caricare la sua pistola.
Martin prese rapidamente la mira e sparò, ma il proiettile passò solamente accanto a William e andò ad uccidere un uomo alle sue spalle.
William si voltò di scatto per vedere quello che cadeva a terra colpito a morte. Poi guardò Benjamin incapace di dire qualsiasi cosa: le parole gli si smorzarono in bocca.
- Io… Voi…
Martin si limitò ad annuire con la testa. Si guardò prima il braccio sanguinante e poi il taglio che si vedeva sulla schiena di William: - Abbiamo entrambi bisogno del dottore…
Rientrarono all’accampamento dei continentali. Il colonnello Kronholm aveva dato ordine che sia le truppe americane che i dragoni inglesi se ne andassero dal luogo della battaglia portando via i rispettivi morti e feriti; era compito di altri ripulire il terreno dal resto.
Prima di salire a cavallo William chiese notizie di Elbereth: non riusciva a vederla.
- MyLady vi saluta – fu l’unica risposta che ricevette.
William e Martin si ritrovarono nella tenda del medico: la situazione era imbarazzante; si guardavano mentre venivano entrambi medicati incapaci di dire qualsiasi cosa. William ruppe il silenzio:
- Perché mi avete salvato la vita? Perché non mi avete ucciso? - chiese Tavington a Benjamin – Io l’avrei fatto…
Benjamin guardò l’inglese: - Io non sono come voi – si rimise la giacca e uscì dalla tenda. Incrociò suo figlio che aveva sentito ogni parola: lo guardò e poi abbassando gli occhi: - Per un momento ho dimenticato di volerlo uccidere… e questo non me lo perdonerò mai…
- Padre, la risposta sta in quello che avete detto prima al colonnello Tavington: voi non siete come lui.
Il mattino dopo i dragoni si prepararono per lasciare l’accampamento dei soldati americani e rientrare a Fort Caroline.
Tavington stava per montare in sella quando vide Benjamin. Si voltò verso di lui:- Sapete, avevo ragione io. Vi serviva una lezione sul codice di guerra.
- Presto… - si limitò a rispondere Martin.
 

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Capitolo 32
*** ritorno alla normalità ***


Quando William rientrò a Fort Caroline pensava che avrebbe ritrovato Elbereth. Nessuno era stato in grado di dirgli dov’era andata. Non si avevano notizie nemmeno del colonnello Hutchinson.
- Il colonnello Tavington desidera vedervi MyLord.
- Fatelo accomodare
- Lord generale. Alla palude abbiamo chiuso definitivamente il capitolo dei vampiri. Per ordine di Lady Whytwornian sono stati bruciati tutti i corpi dei banditi, mentre abbiamo portato via quelli dei nostri uomini.
Lord Cornwallis si limitò ad annuire. Pareva che sapesse già tutto.
- MyLord, non abbiamo più notizie di Lady Whytwornian e del colonnello Hutchinson…io…mi chiedevo se vostra signoria fosse meglio informata…
Cornwallis fu colpito dal cambio di tono del colonnello Tavington.
- MyLady sta bene, se è questo quello che volete sapere.
- Bene – disse cercando di nascondere il sollievo – sarebbe stata una terribile perdita…per Sua Maestà, intendo dire…
- Sì. Sicuramente – commentò Lord Cornwallis senza alzare la testa da quello che stava leggendo.
William chinò la testa - se è tutto, MyLord… - voleva uscire da quella stanza il prima possibile. Il clima era diventato imbarazzante.
- Sì. Potete andare.
Stava per uscire che Lord Cornwallis lo fermò: - Colonnello…
William rimase con la mano bloccata sulla maniglia – Colonnello, non è una debolezza avere dei sentimenti. Senza contare che Lady Whytwornian… beh, per un uomo ambizioso come voi, una possibile unione con un parente della famiglia reale…
- E’ stato solo un sogno – si limitò a commentare sottovoce, poi con un tono più alto – La tregua è finita e domani la guerra riprenderà per tutti noi. Io sono pronto a servirvi, come prima, MyLord. Salutò ed uscì.
Il giorno prima Lady Whytwornian era entrata nello studio di Lord Cornwallis: - MyLord. Il mio lavoro è finito. Ufficialmente vi rimetto il comando dei dragoni che mi avete affidato e del colonnello Tavington.
Questa guerra non è più affar mio, quindi domani ordinerò ai miei uomini di prepararsi per rientrare in Inghilterra.
Lord Cornwallis rimase per un momento in silenzio ad osservare Elbereth.
- Questo, devo ammetterlo, mi dispiace molto. Sentiremo tutti la vostra mancanza e credo, se mi permettete, in particolare il colonnello Tavington. Glielo avete già detto che partite?
- No. Non lo sa ancora. Credo che non gli dirò niente.
- Come desiderate…Non spetta certo a me dirvi cosa fare.
- MyLord... Ed uscì dalla stanza.
Elbereth e Richard erano al porto a guardare la nave che li avrebbe riportati a casa. C’era un via vai di marinai e facchini che imbarcavano merci, bestiame e bagagli. Tutti si muovevano freneticamente per terminare al più presto di caricare la nave. Poi sarebbero saliti i passeggeri.
- MyLady, lasciamo qui molto più di alcuni dei nostri compagni. Qui restano dubbi, sogni, rimpianti…
Elbereth guardava silenziosa il sole all’orizzonte che si tuffava in un mare tinto di rosso.
Sospirò: - Quando un pensiero ti domina lo senti dappertutto, persino nel vento, e il vento ci accompagnerà per tutto il tempo.
Poi guardò il colonnello Kronholm: - Torniamo a casa Richard. Abbiamo fatto il nostro dovere. Noi faremo sempre e comunque il nostro dovere.
Il colonnello Kronholm la guardò: - MyLady…?
- Non sono parole mie, Richard, ma è la verità.
 

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Capitolo 33
*** la fine della tregua ***


Gli attacchi ai convogli inglesi erano ripresi con maggiore intensità.
Benjamin aveva deciso che con i volontari non si sarebbe più aggregato ai regolari, ma il suo quartier generale sarebbe stato la vecchia missione di Black Swamp.
Era tardo pomeriggio e con i suoi uomini si era appostato lungo una strada che attraversava il bosco e che portava a Fort Caroline.
Avevano individuato due carri scortati da una pattuglia di circa venti uomini.
Gabriel si voltò verso il padre:
- Cosa mai trasporteranno che richieda così tanti soldati di scorta?
- Beh…non lo so – gli rispose – possiamo sempre andare a chiederglielo, no?
Si appostarono dopo una curva che usciva dal boschetto che circondava la zona. La strada poi proseguiva in mezzo alle piantagioni di cotone che ormai era alto e quindi avrebbe fornito loro un perfetto nascondiglio.
Benjamin rimase sulla strada a bloccare il passo.
Quando l’ufficiale che guidava la colonna arrivò davanti a Benjamin gli intimò di lasciarli passare: - State bloccando il passaggio. Vi chiedo di spostarvi.
- Ehm…no. – rispose Martin appoggiandosi mollemente al fucile – ecco, vedete, voglio quello che avete nei carri. Lasciate tutto qui. Poi potrete andare.
Il tenente ordinò ai soldati inglesi di schierarsi per prepararsi all’ingaggio. Benjamin scosse la testa: - L’avrete voluto voi.
Chiamò i suoi uomini che prontamente li circondarono.
- Arrendetevi. Non avete scampo. Noi siamo in sovrannumero.
L’ufficiale inglese ignorò completamente quanto Martin gli stava dicendo: avrebbe affrontato i ribelli indipendentemente dal loro numero.
Gli inglesi non ebbero scampo.
I volontari, al termine del breve scontro, frugarono nei carri e trovarono soprattutto oggetti personali come mobilia, abiti, corrispondenza.
- Tutto questo appartiene a Lord Cornwallis – gli disse Gabriel - Fanno parte dei suoi effetti personali: ci sono anche lettere, diari…
- Fammi vedere un po’. Questi sono i resoconti di tutte le battaglie di Lord Cornwallis; come e dove dispiegare i soldati, quando attaccare…Qui c’è tutta la sua strategia…
William aveva ricevuto l’invito per un altro ballo a Middleton Place.
Di nuovo in quel posto che tanto detestava e che ora gli ricordava anche che Elbereth era tornata in Inghilterra. Guardandosi attorno gli tornavano in mente i momenti con lei e questo gli faceva ancora più male.
Aveva ricevuto il rapporto dell’ennesimo attacco da parte dello “spettro”.
- Benjamin Martin hai avuto la tua occasione per uccidermi e l’hai mancata. Io non farò altrettanto.
Anche Lord Cornwallis stava pensando agli attacchi che continuavano ad affliggere le truppe inglesi con ingenti perdite sia in termini di uomini che di masserizie. Senza contare che questa volta era stato coinvolto in prima persona.
- La tregua è finita – disse al generalo O’Hara mentre si stava vestendo per raggiungere gli altri ospiti – e dobbiamo mettere fine a questi continui assalti.
Poi si rivolse a uno dei servitori presenti: - Chiamatemi quell’incapace di Tavington. Sentiamo cosa ha da dirci in proposito!
William venne raggiunto mentre stava giocando con il bicchiere di vino che teneva tra le mani. Non lo aveva nemmeno assaggiato.
- Signore – disse rivolgendosi con un inchino al colonnello - Lord Cornwallis vuole vedervi. Se mi volete seguire…
Tavington annuì: - Sì. Vengo – disse abbandonando il bicchiere su una balaustra.
Lo disse senza un grande entusiasmo, immaginava già cosa gli sarebbe aspettato.
Gli aprì la porta dell’appartamento di Lord Cornwallis e lo fece accomodare. Tutti i presenti lo ignorarono, mentre Cornwallis lo degnò solo di un breve sguardo. Era impegnato nella scelta della giacca da indossare.
Gliene portarono una nuova che era appena stata modificata seguendo le sue indicazioni: - Finito, MyLord. L'ho ristretta un po' sul dietro, ho aggiunto spalline più larghe e delle cordelline dorate.
- E' una coperta da cavallo – commentò guardandola con disgusto.
- Ah, non direi, MyLord. In realtà è…molto elegante - disse Tavington cercando in questo modo di essere preso finalmente in considerazione.
- Va bene: allora è un'elegante coperta da cavallo – poi proseguì rivolgendosi a William - Colonnello Tavington… perché dopo sei settimane sono ancora qui!...ad assistere a un ballo nella Carolina del Sud mentre dovrei assistere a dei balli nella Carolina del Nord? Prima il furto del mio bagaglio, incluse le mie memorie sulle quali avevo speso infinite ore…
William sospirò cercando di nascondere i suoi pensieri: queste erano le priorità del Lord Generale…i suoi bagagli…
- Poi l'incendio di metà dei ponti tra qui e Charles Town… Se non riuscite a proteggere i nostri rifornimenti contro i volontari…- si fermò per un momento in modo da dare maggiore enfasi a quello che seguiva e poi cambiando tono - Come ci riuscirete contro i regolari coloniali o i francesi?
- MyLord, non si battono come regolari, non riusciamo a trovarli…
Cornwallis era ormai esasperato da tutte le scuse che il colonnello Tavington gli aveva portato.
- Colonnello! Colonnello! Sono dei volontari! Sono dei…bifolchi…armati di forcone! E poi durante il periodo di tregua che era stato concesso, non avete avuto modo di incontrarli? Di capirli? Pensavate che avessi acconsentito solamente per fermare quegli assassini? Vi devo insegnare come…ah! Lasciamo perdere – disse facendo un brusco cenno di disprezzo con la mano.
Tavington sospirò: - MyLord, quello che ho appreso durante questo periodo è che sono qualcosa di più. Migliorati dal loro comandante, quello… "spettro"…quel Benjamin Martin…
- Benjamin Martin avete detto? - Cornwallis si voltò di scatto dirigendosi verso di lui con aria infuriata.
- Perché non sono stato informato prima della sua identità, colonnello? – chiese Cornwallis furibondo.
- MyLord…
- L’eroe di Fort Wilderness…Ebbene: sapete il suo nome, conoscete il suo volto, allora spiegatemi! Come è possibile che non riusciate a trovarlo?
- A mia difesa, MyLord…
Cornwallis aprì le braccia: - Oh, basta! Fatela finita! E’ così che pensate di servirmi?
Poi rivolgendosi al suo servitore: - Datemi quella coperta da cavallo!
Uscì dalla stanza accompagnato dal generale O’Hara senza neppure degnare di uno sguardo il colonnello Tavington.
- O'Hara, a quanto pare la nave con i nostri rifornimenti è arrivata…
- Ehm, sì, My Lord, è arrivata poco prima del tramonto
- E allora perché io indosso ancora questo straccio?
- My Lord, il vostro guardaroba di ricambio è a bordo, ma… il Colonnello Tavington ha preferito assicurarsi prima armi e munizioni. Come potete vedere stanno finendo di scaricare adesso – disse il generale O’Hara indicando una barca che stava avvicinandosi ai due vascelli ormeggiati al porto.
William li seguiva tenendosi a debita distanza, sperando in questo modo di evitare ulteriori commenti sullo spettro e sulla sua incapacità.
Scese le scale dietro di loro. Non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo quando sentì l’ennesimo apprezzamento negativo del generale O’Hara su di lui a proposito dell’ordine che aveva dato sulle priorità di scarico delle merci.
- Al diavolo Cornwallis e il suo guardaroba – pensò William – al diavolo tutto.
Avrebbe voluto ubriacarsi, ma non lì. Però poteva intanto iniziare… Si era appena riempito il bicchiere che una violenta esplosione squarciò il cielo notturno: le due navi ormeggiate stavano andando a fuoco.
- Benjamin Martin – si disse Tavington. Vuotò il bicchiere e poi lo lasciò cadere a terra e se ne andò dalla festa.
 

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Capitolo 34
*** scambio prigionieri ***


Il giorno dopo Lord Cornwallis e il generale O’Hara chiamarono Tavington a rapporto. La distruzione delle navi con i rifornimenti rappresentava un affronto troppo grande: avevano colpito davanti ai loro occhi, senza che nessuno si accorgesse di nulla.
- Questo è troppo! Avevamo stipulato una tregua, ma adesso siamo tornati in guerra. Dobbiamo fermare questi attacchi. Domani invieremo un carro pieno di soldati lungo la strada che collega Fort Caroline con Charles Town. Ci apposteremo in attesa. Si faranno sicuramente vedere. O almeno questo è quello che speriamo. Voi, Colonnello, seguirete il convoglio a distanza con i vostri uomini e interverrete al momento opportuno.
- Bene MyLord. E come mi devo…
- Sì. Ho capito cosa state per dire. Chi si arrenderà verrà portato qui a Fort Caroline, vivo…
- Ho capito. Signori… - ed uscì dallo studio.
Come previsto Benjamin e i suoi uomini attaccarono.
La scena si ripeté uguale a tante altre: Benjamin si parò davanti ai soldati che stavano scortando il carro: - Questa strada è chiusa. Lasciate qui le armi e i bagagli e andatevene. Non è il caso che moriate tutti.
L’ufficiale in comando non batté ciglio: - Voi non avete alcun diritto ad ostacolare il nostro passaggio.
Ordinò ai militari inglesi di disporsi in posizione di attacco.
Gli altri uomini di Martin uscirono allo scoperto.
Dall’alto della collina il colonnello Tavington stava osservando la scena. Riconobbe Benjamin Martin.
- Bene. Ci incontriamo nuovamente…Spero che sia per l’ultima volta…
Il resto dei dragoni lo raggiunse un minuto dopo: - Carica! – ordinò e lanciò il suo cavallo lungo il crinale che portava al luogo dell’attacco.
Quando Benjamin vide i cavalieri che stavano arrivando si rese conto di essere caduto in una trappola: - E’ un’imboscata! Fuoco! – disse sparando a sua volta e poi: - Ritiriamoci! Presto!
I suoi uomini risalirono a cavallo e cercarono di allontanarsi, ma la loro fuga venne subito interrotta dal resto delle truppe che si erano nascoste nei campi più a sud lungo la strada. Alcuni invece riuscirono a nascondersi in un anfratto poco distante interamente coperto dalla vegetazione e rimasero lì fino a notte inoltrata.
Benjamin si guardava attorno: doveva decidere velocemente. Non aveva scampo davanti a lui le giubbe rosse, dietro i dragoni a cavallo. Vide che gli uomini che erano andati avanti si erano arresi quando si accorsero di essere circondati.
- Presto! Nel torrente!
Così lui, Gabriel e altri due uomini decisero di passare per il torrente. Forse sarebbero riusciti ad andarsene indisturbati.
William raggiunse i suoi uomini e troppo tardi si accorse dei quattro cavalieri che si erano dati alla fuga lungo il torrente.
Si guardò attorno e con grande disappunto vide che Benjamin non era tra quelli catturati.
- Maledizione! Maledizione! Benjamin Martin, non potrà andarti sempre così bene. La tua buona sorte sta comunque girando.
Ordinò che i prigionieri venissero portati a Fort Caroline.
– Fate in modo che si sappia che saranno giudicati come criminali e non come prigionieri di guerra!
Benjamin tornò a Black Swamp: la vecchia missione era nuovamente abbandonata. Erano rimasti solo loro quattro.
A sera avevano finito di raccogliere le informazioni sui loro uomini: - Ho la conta, padre: 18 prigionieri, 22 morti e 20 dispersi. Siamo rimasti solo noi quattro. Non credo che gli altri torneranno…
Benjamin si appoggiò al muro e sospirando scosse la testa: - Lo so…non lo credo nemmeno io… Ho sbagliato tutto. Ho messo in pericolo le loro vite e quelle delle loro famiglie. Non dovevo…
Non aveva ancora finito la frase che sentì dei rumori tra la nebbia che ricopriva le acque della palude e vide apparire prima delle figure evanescenti e poi lentamente forme e volti.
Ma prima di tutto sentì una voce chiara:
- Li impiccheranno! Li impiccheranno tutti.
- Cosa? – chiese Benjamin rivolgendosi nella direzione da cui erano giunte le parole.
- Tavington ha fatto portare i nostri a Fort Caroline e ha ottenuto che siano giudicati come criminali. Verranno impiccati uno alla volta, fino a quando qualcuno non dirà dove siamo o fino a che non saranno morti tutti…
- No. Li salveremo. Voi dovete fare esattamente quanto vi dico, al resto penso io.
Il giorno dopo Benjamin si recò a Fort Caroline.
- MyLord – disse il generale O’Hara – c’è un civile ai cancelli e porta bandiera bianca. Chiede di vedervi.
Lord Cornwallis non alzò nemmeno lo sguardo dal libro che stava leggendo: - Sono occupato…
- Ha detto di avere informazioni circa il vostro bagaglio rubato…
A queste parole il generale Cornwallis ebbe un sussulto: - Fatelo entrare!
Fecero accomodare Benjamin in uno studio arredato in stile militare con mappe del Nuovo Mondo distese sui tavoli e le pareti completamente coperte da scaffali riempiti di libri.
Dopo pochi minuti Cornwallis entrò nello studio seguito dal generale O’Hara: - Signore – disse Lord Cornwallis – credo di non conoscere il vostro nome…e mi è stato detto che non lo avete voluto dire. Vi crea dei problemi?
- Sono un colonnello dell’esercito continentale. Al momento il mio grado vi deve bastare.
Cornwallis alzò le sopracciglia: - Capisco. Allora come desiderate… Prego, accomodatevi.
- Grazie.
- Volete iniziare a voi come ufficiale a rapporto? – chiese Cornwallis.
- Volentieri, a meno che voi non vi dichiariate parte offesa. – rispose Benjamin seguendo le regole della diplomazia militare.
- Sì mi dichiaro parte offesa.
- Bene, allora procedete. Vi ascolto.
- Voi avete dichiarato di essere a conoscenza di informazioni riguardanti il mio bagaglio personale che mi è stato rubato qualche giorno fa. Assumo che sia in vostro possesso. Si tratta di abiti, corrispondenza e altri oggetti di mia proprietà e di natura non militare. Vorrei che mi venissero restituiti.
- Certamente. Vedrò cosa posso fare e cercherò di ottenere che vi vengano restituiti al più presto
- Vi ringrazio. Adesso voglio discutere dell’increscioso comportamento da parte di alcune milizie negli ingaggi. Gli ufficiali sono considerati il bersaglio preferenziale. In una guerra civilizzata non è né pensabile né accettabile una simile condotta da parte degli eserciti. Il compito principale degli ufficiali è di gestire gli uomini sotto il loro comando e di impedire che questi si lascino trasportare da..da…dalla barbarie. Non possono e non devono essere oggetto di impropri livelli di ostilità…
- Perdonatemi, ma credo di non aver ben compreso il senso del vostro discorso: da quando una guerra è “civilizzata”? Vi riferite forse al fatto che i civili sono i bersagli preferiti dai vostri ufficiali?
- Questo è un altro discorso
- No, no. Sono collegati. Fino a quando i vostri uomini continueranno a dedicare “particolari” attenzioni ai civili io continuerò ad ordinare ai miei di sparare per prima sugli ufficiali in comando. E sono tutti degli ottimi tiratori…
Lord Cornwallis sospirò: - Ho discusso ampiamente con il Colonnello Tavington riguardo a questo. Credo che sia stato chiarito... Adesso passiamo a…
- Scambio di prigionieri.
- Prego? – Il generale Cornwallis era completamente sorpreso da quella richiesta.
- Scambio prigionieri – ripeté Martin con più forza - Voi avete 18 dei miei uomini qui al Forte e io li rivoglio.
Lord Cornwallis guardò interrogativamente il generale O’Hara che prontamente gli spiegò ogni cosa.
Quindi Cornwallis ribattè: - Sì. Mi hanno riferito che abbiamo effettivamente dei prigionieri in custodia, ma sono 18 criminali in attesa di giudizio. Non abbiamo alcun prigioniero di guerra.
- Beh. Se la volete mettere così, allora. Prego, se volete…
Prese il cannocchiale che era sul tavolo di Lord Cornwallis e glielo porse: - Ecco. Ad ovest, appena sotto la linea degli alberi…
Lord Cornwallis vide degli uomini legati e tenuti sotto tiro. Riconobbe le uniformi rosse: quelli erano suoi ufficiali.
Abbassò il cannocchiale.
- I loro nomi e grado?
- Si sono rifiutati di dirmi i nomi, ma posso dirvi che sono 20 vostri ufficiali.
- Questo non è un comportamento da gentiluomo! – gli disse stizzito.
- Fin’ora il comportamento dei vostri ufficiali è stata la vostra misura per definire un gentiluomo…
Lord Cornwallis guardò Benjamin: - Sta bene. – Rimase a pensare per alcuni secondi poi continuò: - Generale O’Hara! Organizzate lo scambio.
- Vi ringrazio – disse Martin – e uscì dalla stanza.
Tavington rientrò al Forte in tempo per assistere al rilascio degli uomini che aveva catturato nell’azione il giorno prima.
Scese furibondo da cavallo: - Ma che razza di pazzia è questa? Cosa significa?
Il generale O’Hara lo guardò e gli disse: - Scambio prigionieri. Hanno venti dei nostri ufficiali.
- Cosa? Cosa?! Venti dei…Adesso vedremo!
Sguainò la sciabola e si diresse quasi di corsa verso Benjamin.
- Via quella spada, colonnello, o condannerete i nostri uomini. E’ venuto con bandiera bianca e non si è mostrato ostile.
William rimase interdetto: - Signore. Con il dovuto rispetto. Abbiamo pianificato questa operazione per raggiungere questo risultato e adesso vanifichiamo tutto? Hanno ucciso ben più di venti ufficiali  nei mesi passati…
- Questi sono gli ordini colonnello. Mettete via la spada.
Si voltò verso Benjamin: - Adesso siamo pari. Avevate avuto l’occasione di uccidermi e non l’avete colta. Io devo lasciarvi andare oggi con i vostri uomini. La prossima volta non ci sarà nessuno a fermarmi.
Rimasero a fissarsi a lungo. Poi Benjamin gli disse: - Non preoccupatevi. La prossima volta sarà anche l’ultima – Salì a cavallo senza voltarsi, uscendo dal forte con al seguito i suoi uomini.
Contemporaneamente se ne andarono anche quelli che tenevano sotto mira gli ostaggi inglesi.
Dopo un’ora il generale O’Hara tornò al forte con in braccio un manichino impagliato: - Uno dei nostri ufficiali prigionieri, MyLord…
 

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Capitolo 35
*** metodi disonorevoli ***


- Quell’uomo mi ha insultato! Colonnello Tavington! E’ stata la vostra incompetenza ha portare a questo!
- MyLord – William era quasi divertito – oserei dire impressionante per dei “bifolchi con i forconi”…
Lord Cornwallis guardò William con aria furibonda.
- Voglio che mi troviate quell’uomo! Voglio che me lo portiate! A qualunque costo!
- MyLord? A qualunque costo?
Lord Cornwallis diede un rapido sguardo al servitore che aveva alle spalle che si inchinò ed uscì.
- A qualunque costo.
- Quell’uomo è protetto dai coloni; i suoi uomini, le famiglie dei suoi uomini sono protette. So come fare per trovarlo, ma, per fare questo dovrò usare metodi…quali sono state le parole di vostra signoria…ah sì…brutali, credo…
- Andate avanti…
William voleva gustarsi ogni parola, ogni momento.
- Ecco, MyLord. Io posso trovare quell’uomo. Sono pronto a fare quanto necessario. Da solo mi assumerò la piena responsabilità delle mie azioni al di fuori della via gerarchica. In questo modo voi sarete assolto da ogni biasimo. Comunque – si fermò un momento per dare maggiore enfasi a quanto stava per precisare – entrambi sappiamo che così facendo io non potrò tornare in Inghilterra con onore. Quindi, MyLord, mi chiedo…cosa ne sarà di me… - e abbassò lo sguardo.
Lord Cornwallis sospirò. Era stato molto chiaro ed era anche chiaro dove il colonnello voleva arrivare.
- Colonnello Tavington – disse alzandosi dal tavolo dove stava cenando e andando verso le mappe che aveva distese – quando questo conflitto sarà finito, qui nelle colonie la nuova aristocrazia saranno i proprietari terrieri – e distese la mappa.
William sorrise, si avvicinò a Cornwallis e disse: - Parlatemi dell’Ohio…
La sera stessa William e il maggiore Bordon raggiunsero l’accampamento dei dragoni.
- Capitano Wilkins!
Era tardi, ma non aveva tempo da perdere
- Comodi! – disse agli altri ufficiali che si erano prontamente alzati in piedi - Capitano Wilkins!
Si svegliò di soprassalto. Era sorpreso di vedere il colonnello nella tenda a quell’ora.
- Cosa sapete di Benjamin Martin e della sua famiglia? Dove può nascondere i suoi figli?
Wilkins lo guardò titubante – I suoi figli?
Il colonnello Tavington lo guardò in modo molto eloquente. Ebbe un attimo di esitazione, ormai sapeva di cosa era capace quell’uomo.
- Allora capitano? Ho fretta…
- La sorella di sua moglie ha una piantagione non molto lontano da qui…
Era notte fonda quando il colonnello Tavington raggiunse la casa di Charlotte.
Entrò nell’ampio atrio. Nessuno, non un rumore. Salì al piano superiore nelle camere. I letti erano intatti. Tornò di sotto.
- Non c’è nessuno signore – gli disse uno dei suoi uomini – abbiamo guardato in ogni stanza e nelle cantine. La casa è abbandonata.
Gli occhi di Tavington furono attraversati da un lampo di ira.
- Portate qui gli uomini della servitù. Vediamo cosa hanno da dire…
Vennero radunati in fila davanti alle scale che portavano nella veranda.
- Allora: dove sono andati tutti?
- Non lo so signore. Lo giuro – disse con voce supplicante uno degli uomini.
- Lo ripeto: dove…sono…andati?
Tutti scossero la testa abbassando gli occhi.
- E’ così dunque? – prese la pistola e sparò a sangue freddo su uno di loro uccidendolo all’istante.
- Allora? Vi si è sciolta la lingua? No?
Scese da cavallo e sguainò la sciabola.
- Vi passerò a fil di spada uno alla volta. Ebbene?
- Non sappiamo niente. Vi preghiamo. Non sappiamo niente…
- Va bene. L’avete voluto!
Era da tempo che non si sentiva cosi. Brandire la spada senza essere legato a nulla... senza preoccuparsi di niente e nessuno... e liberando... tutta la sua crudeltà!
Risalì a cavallo e rimase a guardare la casa che bruciava e i corpi degli uomini che aveva ucciso e fatto uccidere. Nella sua mente gli risuonarono le parole di una frase che gli aveva detto Elbereth una volta: “Essere maschio è una questione di nascita, essere uomo è una questione di età, ma essere gentiluomo è una questione di scelta.”
Gentiluomo. Già… aveva dimenticato completamente il senso di quella parola. Ma lei era andata. Partita L’aveva persa per sempre.
- È solo dopo aver perso tutto che siamo liberi di fare qualsiasi cosa – si disse. Poi si rivolse ai suoi uomini: - Perlustrate il bosco. Dobbiamo trovarli!
Gabriel con una decina di uomini arrivò alla casa di sua zia in tempo per vederla crollare. A terra i corpi senza vita degli uomini che lavoravano nella piantagione.
Si mise a gridare: - zia Charlotte! Samuel! Susan! Rispondetemi!
Scese da cavallo e si mise a girare attorno alla casa senza sapere cosa stava facendo: - zia Charlotte! Sono io! Sono Gabriel – disse con la voce rotta dal pianto.
Non rispondeva nessuno. Uno schianto lo fece voltare di colpo: il tetto della casa era crollato completamente bruciato. Le fiamme salivano al cielo insieme ad una colonna di fumo nero. Nella sua mente vedeva la zia Charlotte, i suoi fratelli, le sue sorelle, la piccola Susan stesi sul pavimento esanimi.
I suoi occhi si riempirono di lacrime: - Non ero qui! Non ero qui a proteggervi. E’ colpa mia!
Accecato dall’ira risalì a cavallo all’inseguimento dei dragoni.
- Colonnello: dovesse essere questa l’ultima cosa che farò. Vi ucciderò! Vi ucciderò lentamente!
Era l’alba quando Charlotte e i bambini arrivarono a sulla spiaggia dell’isola degli schiavi.
Benjamin era già lì ad attenderli. Corse loro incontro: - Ho temuto per la vostra vita. Non ero sicuro che il messaggio vi sarebbe arrivato in tempo per andarvene prima dell’arrivo di Tavington.
Si abbracciarono felici, poi Martin si guardò intorno: Gabriel? Dov’è Gabriel? Non era con voi?
- No rispose Charlotte – noi non l’abbiamo visto. Pensavo fosse già qui…
Il terrore si impadronì della sua mente: aveva capito quali erano le intenzioni del figlio.
- Presto! A cavallo!
Era l’alba anche quando Gabriel e i suoi raggiunsero Tavington e i dragoni. Si appostarono dietro alcune rocce ad osservare. Si erano accampati la notte precedente e si stavano risvegliando.
Gli occhi di Gabriel non erano interessati a cosa stavano facendo o dicendo: cercavano un solo uomo.
- Tavington è mio! – disse agli altri – Avanti! Andiamo!
Uno dei dragoni alzò lo sguardo: - All’armi! All’armi!
Gli inglesi corsero ad armarsi; erano completamente impreparati ad un simile attacco ed era totalmente inaspettato.
Tavington scaricò la sua pistola contro uno degli assalitori, poi prese la spada per affrontare gli altri.
Gabriel veniva avanti noncurante di quanto gli stava accadendo attorno. Aveva lo sguardo fisso su William. Uno dei dragoni lo assalì, ma si limitò a tramortirlo con il calcio del fucile.
Aveva un pensiero fisso: vedeva zia Charlotte, Samuel,…, e le fiamme della casa, li vedeva morire soffocati.
Prese la mira.
William lo vide e ricaricò velocemente la sua pistola: ora erano uno di fronte all’altro, ma Gabriel fu più veloce di lui a sparare.
Tavington si accasciò ferito a terra.
Lentamente Gabriel si avvicinò al corpo di quell’uomo che tanto odiava. Sperava che fosse ancora vivo. Voleva ucciderlo guardandolo negli occhi, mostrandogli tutto il suo disprezzo. Voleva farlo soffrire come lui lo aveva fatto soffrire: prima Thomas, poi zia Charlotte, e Samuel, e Susan…
Poteva vedere i loro volti, uno ad uno gli passavano davanti agli occhi e più si avvicinava a William più in lui cresceva la voglia di affondare il coltello che aveva in mano.
Rimase a guardarlo per un momento. Gli pareva che stesse respirando ancora: - Meglio così – si disse – mi pregherai di farla finita.
Si avvicinò ancora di più e fece per voltarlo. Uno sparo e Gabriel rimase come sospeso nel vuoto.
Tavington lo aveva sentito arrivare e aveva tenuto la pistola pronta a sparare appena sarebbe stato a tiro. Lo aveva aspettato immobile cercando di riuscire a capire dove si trovava dal rumore dei passi. Erano rimasti solo loro due e attorno regnava il silenzio.
Gli occhi di Gabriel incrociarono quelli di William. Non doveva finire così. Non era questo quello che voleva. Avrebbe dovuto morire il colonnello, non lui. Perché questo freddo? Perché tutto sta diventando buio? Perché lui invece viveva ancora?
Cadde vicino a Tavington che si scostò appena.
- Se devi uccidere qualcuno lo devi fare e basta, sciocco ragazzo. Non ci si ferma a pensare.
Si alzò con uno spasmo di dolore. Lo aveva comunque colpito: - Maledizione…
Si guardò attorno; parevano morti tutti. Andò verso i cavalli e salì in groppa al suo. Stringendo i denti si diresse verso l’accampamento di Campden.
Martin arrivò poco dopo. Vide i corpi degli uomini stesi a terra. Cercava di convincersi che Gabriel gli sarebbe apparso davanti sorridente mentre i suoi occhi cercavano freneticamente tra i cadaveri.
- No. No… - si inginocchiò vicino a suo figlio.
- Mi dispiace padre… – disse con un filo di voce – non sono riuscito ad ucciderlo…
Benjamin rimase abbracciato al figlio: - Lo farò io per te. Te lo prometto…
 

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Capitolo 36
*** la battaglia decisiva ***


Lord Cronwallis aveva appena finito di illustrare ai suoi ufficiali la strategia che avrebbe seguito.
- Signori. Domani verranno decise le sorti della guerra. Una nostra vittoria qui al sud ci permetterebbe di spostarci a nord in supporto alle nostre truppe che stanno combattendo contro il generale Washington. Quindi ritengo superfluo sottolineare quanto sia importante per l’impero. Esigo che ognuno domani faccia il proprio dovere.
Tutti i presenti annuirono.
- Bene signori. E’ tutto.
Poi si rivolse al generale O’Hara: - Il colonnello Tavington?
- Sì MyLord. E’ nella tenda del medico.
- Bene. Voglio parlargli subito – ed uscì.
- Colonnello. Mi dispiace che domani non potrà essere con noi…
William si voltò di scatto alzandosi in piedi: - MyLord? Come non sarò con voi?
- Beh. Siete stato ferito…Non credo che possiate cavalcare…
William allontanò il medico con un gesto di rabbia: - Non è niente. Sono pronto a servirvi. Come sempre MyLord…
Cornwallis lo guardò di traverso: - E’ proprio questo che mi preoccupa…Colonnello. Vi avverto! La battaglia di domani è determinante. Non voglio subire una sconfitta per i vostri sogni di gloria o peggio, di vendetta. Non sono disposto ad accettare ancora una vostra disobbedienza. Aspetterete i miei ordini. Sono stato chiaro?
E se ne andò senza lasciare il tempo a William di rispondere.
Il giorno dopo gli inglesi schierarono le truppe come stabilito. Tavington e i dragoni si erano appostati a lato del campo di battaglia. Il nervosismo che regnava tra loro era palpabile: dovevano restare fermi e aspettare. Il loro respiro era affannoso e i cuori battevano all’impazzata. Anche i cavalli percepivano la tensione dei loro cavalieri.
La battaglia era iniziata. Tavington scrutava con il cannocchiale ogni centimetro del terreno. Cercava una sola persona: la sua Nemesi.
Si bloccò di colpo: - Eccoti. Sguainò la sciabola.
Il capitano Wilkins lo guardò sorpreso: - Signore. Dobbiamo aspettare…gli ordini di Lord Conwallis…
- Al diavolo! Al diavolo Cornwallis e i suoi ordini! – poi incitando il suo cavallo: - Carica!
Lord Cornwallis e il generale O’Hara rimasero attoniti alla vista di quanto stava succedendo: - Maledetto! Maledetto! Che tu sia dannato all’inferno Tavington!
William puntò senza curarsi di nessun’altro direttamente Benjamin: - Questa volta la faremo finita. Per sempre…
Un colpo di cannone sfiorò Tavington e l’esplosione che ne seguì tramortì il suo cavallo. William si ritrovò a terra stordito. Anche Benjamin cadde colpito dai frammenti del proiettile.
Entrambi si rialzarono sanguinanti ma pronti a combattere.
Si ritrovarono faccia a faccia: - Finalmente. Adesso nessuno potrà fermarmi – gli disse William.
- Vi ho detto…che vi avrei ucciso prima della fine di questa guerra – gli rispose Benjamin – soprattutto l’ho giurato a mio figlio. E oggi manterrò tutte le mie promesse.
- Allora, cosa stiamo aspettando?
William aveva raccolto la sua sciabola e impugnava con la sinistra un coltello. Martin aveva invece il fucile e il suo tomahawk. Iniziarono a battersi corpo a corpo mentre attorno a loro la battaglia infuriava.
Soldati di ogni schieramento cadevano a terra feriti o colpiti mortalmente, ma nulla distraeva i due uomini che si stavano affrontando decisi a porre a termine in un modo o nell’altro la loro rivalità che andava ben oltre le questioni della guerra ed ora era un fatto personale.
- Vi darò quella lezione sul codice di guerra che vi ho promesso tempo fa. Avanti!
- Attento colonnello…voi combattete per la vostra gloria, per la vostra sete di rivalsa. Io combatto per i miei figli. Non c’è forza maggiore di questa.
Si affrontarono crudelmente, senza risparmiarsi. Un colpo andato perfettamente a segno da parte di William fece cadere Benjamin a terra.
- Pensavo che sarebbe stato più difficile uccidervi…
Stava per finire Martin che questi si girò e gli piantò nell’inguine la baionetta.
- Credo, colonnello, che sarete voi ad avere una lezione sul codice di guerra; l’ultima…
Si avvicinò, gli mise un piede sul petto e gli posò la baionetta sulla gola, quando si fermò improvvisamente. Benjamin rimase come incredulo, stupito di quanto stava accadendo. Poi tornò alla realtà: per un momento non sentì più il braccio poi un dolore improvviso e vide il sangue ricoprigli la camicia e colare giù dalla mano. Fece cadere il fucile e si accasciò a terra.
Tutto si annebbiò. Prima di perdere conoscenza riuscì solo a cogliere alcune parole: - Aiutatemi a portarlo via. Sta perdendo molto sangue.
William si riprese per un momento e alzò un attimo lo sguardo e potè solo vedere il braccio di Martin che ora stava sanguinando copiosamente. Vide anche qualcuno con una divisa dei continentali legargli un laccio per cercare di fermare l’emorragia e poi portarlo via.
Rimase immobile, cercando di ignorare il dolore straziante che sentiva ad ogni minimo respiro. Pareva che nessuno si fosse accorto che era ancora vivo.
Le voci che parlavano, i rumori della battaglia si alternavano nella mente di William a momenti di nulla. Poi ancora il buio.
Riprese conoscenza nuovamente. Era solo. Si trascinò lontano e cadde nel fiume. Si abbandonò alla corrente. Passò un tempo che gli parve infinito quando si ritrovò sulla riva. Alzò lo sguardo e gli parve di vedere dei soldati a cavallo.
- Aiutatemi! – disse con tutto il fiato che gli era rimasto – Aiutatemi! …
Di nuovo la mente gli si offuscò. Iniziava a disperare: la voce non sarebbe mai riuscita a superare il rumore degli zoccoli e dei carri.
Ma forse lo avevano visto: gli parve che la colonna si fosse fermata e che un cavaliere venisse verso di lui. Non poteva essere lei. Eppure…Con un filo di voce: - Elbereth…
- William! Dottore! Presto!
Gli sollevò la testa: - Tieni duro. Adesso ci pensiamo noi.
Elbereth si guardò le mani: si erano ricoperte interamente di sangue. Aprì la giacca dell’uniforme e vide un profondo e lungo taglio. Sospirò.
- Resta qui – disse William stingendole la mano – non lasciarmi morire da solo.
- Sono qui William. Sono qui. Non ti lascio.
- Dottore?
- Il taglio è molto profondo e ha perso molto sangue. La vena è recisa: devo cauterizzarla prima di muoverlo ancora.
Poi rivolgendosi a Tavington - Colonnello. Ora sentirà veramente male. Dovete tenetelo fermo.
- Avrei saputo amarti sai…
- Si, lo so William. E avrai modo di dimostrarmelo. Adesso stringi le mie mani.
Tavington sentiva mani rapide ed esperte che gli stavano togliendo gli abiti, ma non era più in grado di reagire o di dire qualsiasi cosa.
L’unica cosa che percepiva era il calore che gli stava uscendo dal corpo. Aveva sempre più freddo. Gli pareva che la vita gli stesse lentamente scivolando via.
William guardò con terrore il ferro rosso rovente che si avvicinava a lui.
Il medico mise con decisione il ferro sulla ferita e questa si cauterizzò all’istante. Il corpo di Tavington si incurvò verso l’alto dal dolore e un grido quasi disumano sconvolse i presenti.
- Adesso vi devo ricucire.
Ci volle più di un’ora per chiudere la ferita e William era rimasto cosciente per tutto il tempo.
- Abbiamo finito. Ora lo dobbiamo mettere sul carro.
Un dolore lancinante scosse tutto il corpo di Tavington quando lo sollevarono di peso e lo portarono fino alla strada dove si erano fermati gli altri soldati.
Lo misero sul carro. Si abbandonò ad un sospiro e perse i sensi. Finalmente era finita.
 

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Capitolo 37
*** visioni diplomatiche ***


- E’ sveglio, MyLady – disse il medico uscendo – è molto debole, ma credo che ce la farà.
- Grazie dottore.
- Dovere…
Entrò nella stanza.
Willliam si era appena risvegliato. La vista era ancora tutta annebbiata e non riusciva ancora a mettere completamente a fuoco le immagini.
Respirava ancora a fatica. La febbre era scesa solo da pochi giorni e il completo digiuno cui era stato costretto lo aveva molto indebolito.
- Dove sono?
- Nella residenza del sostituto procuratore – rispose Elbereth guardando il parco da una delle enormi finestre della camera.
- Elbereth. Eravate voi allora sulla riva del fiume…Cos’è successo?
- Lord Cornwallis è stato sconfitto anche a Castle Town. Stiamo trattando la resa con il generale Washington.
- Sconfitto? …Anche? Quando?
- La settimana scorsa…
- La settimana… Da quanto tempo sono qui?
Lei si voltò rimanendo appoggiata al davanzale: - Tra un delirio e l’altro?…quindici giorni…
Cercò di tirarsi su sui gomiti, ma una fitta tremenda lo costrinse a stendersi nuovamente.
- Ricordo il campo di battaglia. Ho visto Benjamin Martin che incitava i volontari e ho ordinato la carica. Poi credo di essere caduto da cavallo o forse l’hanno abbattuto. Non lo so. Mi sono rialzato e ho ripreso la spada e credo una baionetta che era a terra. Ricordo anche che mi sono battuto con lui. Mi stava per finire…Poi qualcuno lo ha ferito gravemente… un colpo di fucile o di cannone, non so…- disse guardando Lady Whytwornian. Poi continuò: - Il resto è tutto offuscato; sono solo vaghe immagini. Credo di essere finito nel fiume che scorreva lì vicino. Mi sono ritrovato a riva e ho visto una colonna di soldati o almeno così mi pare.
Elbereth si avvicinò al letto e si sedette vicino a William. Sentiva di essere stato lavato e sbarbato.
- Vi siete occupata voi di me in tutto questo tempo?
- Sì…
- Dovrei provare un certo imbarazzo, ma invece…
- Lasciate stare, adesso…
Bussarono alla porta - Avanti – disse Elbereth.
Il volto un po’ titubante di un servitore apparve sull’uscio: - MyLady, mi avevate detto di avvertirvi quando Lord Cornwallis sarebbe arrivato…
- Sì grazie. Arrivo – poi dando un bacio in fronte a William – adesso cercate di riposare.
William le prese la mano: - Quello che vi ho detto al fiume…ero sincero.
- Lo so.
Uscì lasciando la porta leggermente aperta in modo che le loro voci potessero essere sentite anche nella camera di Tavington.
- MyLady
- Lord Cornwallis…Ho saputo che domani rientrate in Inghilterra.
- Sì MyLady. E purtroppo sconfitto…
- MyLord, è certo più difficile perdere una guerra che vincerla. A vincere una guerra sono tutti buoni, non tutti sono capaci di perderla.
- MyLady, vi prego, risparmiatemi la filosofia.
- Avete combattuto mostrando lealtà alla Corona. Non vi siete mai tirato indietro. E’ questo ciò che conta. Poi che la guerra sia stata vinta o persa, poco importa, sapete? Domani saranno stilati nuovi trattati commerciali. E’ il denaro che muove il mondo. Null’altro.
- Il colonnello Tavington? – chiese indicando con lo sguardo la porta della camera.
- E’ vivo…Ma non credo che potrà rientrare in Inghilterra. Non con onore…E’ corretto?
- Ha palesemente e volutamente ignorato i miei ordini. La sua voglia di rivalsa potrebbe essere additata come uno dei motivi della mia sconfitta. In Inghilterra lo attende di certo il patibolo.
- MyLord, so che avete autorizzato voi Tavington a certi comportamenti poco onorevoli negli ultimi tempi. No… non chiedetemi come faccio a saperlo. E’ il mio lavoro recuperare le informazioni, l’avete dimenticato? Ora voi potreste omettere i dettagli dell’attacco dei dragoni nel vostro rapporto e io potrei omettere certi altri dettagli nel mio. Credo che in caso contrario il patibolo potrebbe averne due di cappi…
Lord Cornwallis le scoccò un’occhiata furibonda e si voltò di scatto dandole le spalle. Rimase a riflettere per alcuni secondi poi girando appena la testa: - Avete vinto voi…
- Bene. Sapevo che avremmo trovato un accordo.
- MyLady…questa conversazione non è mai avvenuta.
- Quale conversazione? Buona giornata Lord Cornwallis.
Elbereth rientrò nella stanza.
- Avete lasciato la porta aperta apposta immagino, affinché sentissi le vostre parole. Avrebbe accusato me della sua sconfitta…
- Così pare…
- Bastardo. Dopo tutto quello che ho fatto per lui…
- Colonnello, suvvia, quello che avete fatto lo avete fatto anche per voi… L’Ohio… non vi è sembrato di essere un pochino pretenzioso?
- … non potete capire… - disse abbandonandosi sul cuscino.
- Provate a spiegarmelo allora…
- Non servirebbe.
- Vi consiglio di provarci. Sono la vostra unica speranza. Devo capire per quale motivo un ufficiale di Sua Maestà si sia macchiato di tanta infamia.
William rimase in silenzio con lo sguardo nel vuoto. Poi si voltò verso Elbereth: - MyLady. Voi avete un titolo, possedimenti, godete di una grande stima. Tutte cose che io ho perso, molto tempo fa.
- Vi ricordate cosa mi avete risposto quella sera in quella grotta quando vi chiesi dove era posta la vostra lealtà? Cosa vi è successo?
- Io…ero un uomo diverso allora…
Sospirò. I tempi in Inghilterra gli sembravano così lontani, addirittura si chiedeva se invece i ricordi che aveva non fossero altro che sogni.
- Non eravate tornata in Inghilterra con i vostri uomini?
- Dovevo. All’ultimo il sostituto procuratore mi ha fermato. Avrei dovuto prendere il comando delle sue guardie del corpo. Doveva trattare la pace con i coloni e non tutti approvavano questa decisione. La sua vita era in pericolo.
William rimase senza parole:- Trattare la pace? I tempi non mi tornano. Non eravamo ancora stati sconfitti. Anzi la situazione era favorevole…
- Vero. Ma, adesso posso anche dirvelo, stavamo già discutendo sulla possibilità di chiudere le ostilità da qualche tempo. Continuare questa guerra non avrebbe giovato né all’impero né alle colonie.
William scosse la testa incredulo e si voltò dall’altra parte.
- Assurdo…
- Voi siete solo un soldato, colonnello. Io sono anche un diplomatico e abbiamo visioni molto diverse dei conflitti.
 

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Capitolo 38
*** Ritorno a casa ***


William ed Elbereth erano in sella sui loro cavalli fermi sul molo a guardare le navi inglesi che prendevano il largo per tornare a casa.
Erano passati ormai due mesi da quella conversazione nella casa del sostituto procuratore.
- Avremo la pace adesso?
Elbereth sorrise:- Il tempo di pace è solamente un periodo di tregua tra una guerra e l’altra. Altri conflitti sono nell’ombra. Il seme della violenza germoglia ovunque: non necessita di acqua, terra, cure. Anzi, più è trascurato e più cresce rigoglioso.
William si voltò verso di lei con una smorfia di dolore. La ferita non era ancora perfettamente guarita, ma aveva deciso di venire lo stesso.
- Oscuri presagi?
- No. Semplicemente una cruda valutazione della realtà…La guerra è la lezione di storia che l’umanità non ha mai imparato.
- Non parti con loro?
- Ho voluto prendermi una pausa di riflessione. E poi alla Corona serve un contatto diplomatico qui nelle colonie…
Aveva ricevuto una lettera da parte di re Giorgio che le chiedeva di restare, almeno per il momento, per gestire la diplomazia e ristabilire i contatti con i politici del congresso.
Le avevano assicurato che in sua assenza le sue proprietà in Inghilterra sarebbero state curate personalmente da chi si occupava di quelle della corona, in modo che non andassero in rovina.
In accordo con i nuovi politici delle colonie le era stata assegnata una residenza con dei possedimenti. All’inizio non ne era entusiasta, poi aveva accettato. Era stato uno “scambio” ragionevole…
- Non dovrà mai venire a saperlo – aveva detto all’inviato della corona prima di congedarsi.
- William, tu invece potresti rientrare in patria. Hai mantenuto il tuo grado e il tuo ruolo all’interno dei dragoni. Anche se tuo padre ha dissipato quasi interamente i possedimenti della tua famiglia, ti sono rimaste alcune proprietà.
William sospirò e si limitò ad osservare l’orizzonte e il sole che stava sorgendo.
- Puoi scegliere William
Sorrise…
- L’ultima volta potevo scegliere tra obbedire ed essere persuaso ad obbedire…
- Questa volta sei libero: puoi restare o partire.
- Non ho più nulla che mi aspetta in Inghilterra. Tutto ciò che voglio adesso è qui. Ti posso dare il mio cuore, la mia anima, la mia mente, il mio corpo. E’ tutto ciò che adesso possiedo.
- Può bastare, William. Può bastare…
- Credi che venga data ad ognuno la possibilità di ricominciare? O almeno di riprovarci?
Elbereth sorrise: - Ci sono cose che non possono assolutamente tornare. Ma che al tempo stesso, pur non potendo tornare, restano eternamente presenti. Tutto quello che è stato fatto fa parte della vita: è scritto nel nostro libro, il libro che ognuno di noi porta con sé fino alla fine. La cosa importante è sapere girare pagina e ricominciare. Ricominciare il viaggio tracciando nuovi cammini e ritrovare quello che si è lasciato indietro, quello che si è perduto e quello che si è trascurato. A volte è più difficile dimenticare che ricominciare…ci sono cose che,  pur non potendo tornare, restano eternamente presenti…
 

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Capitolo 39
*** Epilogo ***


- Voi!... disse l’ufficiale a cavallo.
Il silenzio che era calato tra i due venne interrotto dal rumore degli zoccoli di un cavallo e dalle voci dei bambini che uscirono di corsa da casa.
- Mamma! Mamma!
Elbereth scese da cavallo, raccolse le redini e si avvicinò ai due uomini tenendo per mano i due figli.
- Vi avevo detto di restare in casa! – disse William.
Elbereth guardò l’ufficiale a cavallo.
- Colonnello. Anzi. No, Generale Martin. Congratulazioni. Cosa vi porta da queste parti?
- Stiamo seguendo le tracce di alcuni disertori e abbiamo notato la vostra casa. Ci chiedevamo…
Elbereth alzò un sopracciglio, poi giocherellò con il suo anello, non aveva mai perso quest’abitudine.
- Questa non è più la nostra guerra. L’abbiamo già combattuta. Anni fa…
I bambini andarono verso il padre, curiosi di vedere chi fosse quell’uomo arrivato.
Benjamin scese da cavallo e si tolse il cappello. Si avvicinò a William e guardò i bambini.
Si inginocchiò e chiese alla bambina che era abbracciata alla gamba del padre: - Che bella bimba che sei. Come ti chiami?
- Si chiama Anna. – rispose Tavington.
- Anna. Che bel nome.
- Grazie, signore. – rispose una voce angelica.
- E tu giovanotto?
William chiuse un attimo gli occhi, poi con un filo di voce disse: - Thomas – deglutì - …L’ho …voluto chiamare Thomas.
Martin si alzò in piedi e fissò il suo vecchio nemico.
- Thomas…- Annuì.
- Papà! Cosa sta succedendo? – chiese con voce tremante la piccola Anna.
- Niente tesoro. Niente.
- Ma allora perché piangi?
William chiuse gli occhi poi disse – Thomas, prendi tua sorella e va da tua madre.
- No papà. No! – urlò Anna stringendosi ancora di più alla gamba del padre – Io non ti lascio.
- Ti prego tesoro mio. Fa come dice papà. Io devo… . Poi si rivolse a Benjamin: - Una cosa sola – continuò William – non davanti ai miei figli. Non vi chiedo altro.
Benjamin si rimise il cappello e prima di rimontare in sella, si girò: - Colonnello Tavington. Ve l’ho già detto una volta e adesso ve lo ripeto: io non sono come voi.
Tornò verso i cavalieri che erano rimasti poco più indietro. – Colonna! Avanti!
E come erano arrivati così se ne andarono via. E con loro, i suoi giorni d’inferno.
 

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