Cosa c'è dietro l'infinito?

di Lost on Mars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Pergamene bruciacchiate. ***
Capitolo 3: *** Notti insonni. ***
Capitolo 4: *** Il nemico del mio nemico è mio amico. ***
Capitolo 5: *** Di sogni e racconti. ***
Capitolo 6: *** Guerra e pace (interiori) ***
Capitolo 7: *** Prati verdi e margherite. ***
Capitolo 8: *** Rabbia e pettegolezzi. ***
Capitolo 9: *** Piovono polpette. ***
Capitolo 10: *** Capolinea. ***
Capitolo 11: *** Fumo. ***
Capitolo 12: *** Halloween. ***
Capitolo 13: *** La resa dei conti. ***
Capitolo 14: *** Infiltrati. ***
Capitolo 15: *** La fine del mondo. ***
Capitolo 16: *** Neve. ***
Capitolo 17: *** Voto infrangibile sotto il vischio. ***
Capitolo 18: *** Anno nuovo, vita nuova? ***
Capitolo 19: *** Amara verità. ***
Capitolo 20: *** Rosso e oro. ***
Capitolo 21: *** In discesa. ***
Capitolo 22: *** Eccezioni ***
Capitolo 23: *** Panico a San Valentino. ***
Capitolo 24: *** Acciaio. ***
Capitolo 25: *** Rimanere ***
Capitolo 26: *** Scoperte ***
Capitolo 27: *** Famiglia ***
Capitolo 28: *** Distruzione ***
Capitolo 29: *** Non crollare ***
Capitolo 30: *** Sbagliato ***
Capitolo 31: *** Ultima occasione ***
Capitolo 32: *** Buio ***
Capitolo 33: *** Decisioni e bugie ***
Capitolo 34: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Cosa c'è dietro l'infinito?



PROLOGO

 

Lily Evans, capelli rossi e senso dell’umorismo pari a quello di un folletto, sosteneva che la sua vita sarebbe stata perfetta omettendo quattro semplici cose: James Potter, l’avversione che sua sorella aveva contro di lei, il fatto che Severus l’avesse chiamata “Schifosa Mezzosangue” nemmeno sei mesi prima, e ancora James Potter.
Sì, perché non si è mai troppo sicuri quando si parla di James Potter.
Per il resto, Lily Evans aveva ricevuto il titolo di Caposcuola poco prima che iniziasse la scuola. Quel primo Settembre del 1977, Lily era salita sul treno con la consapevolezza che quello sarebbe stato il suo ultimo anno.
Da una parte, era perfino contenta che dopo quei nove mesi non sarebbe più stata costretta a togliere punti alla sua stessa casa per colpa di quell’imbecille patentato di Potter e dei suoi amici altrettanto imbecilli.
Perché se c’era qualcosa che Lily Evans odiava più delle sue lentiggini, quelli erano i Malandrini.
Ogni giorno ne combinavano una nuova, e Lily aveva provato di tutto (e sì, per di tutto s’intende di tutto: non per niente una volta, durante il suo quinto anno, in cui sia lei che Severus erano diventati Prefetti, aveva persino accettato di salire su una scopa).
Il giorno in cui Lily aveva ricevuto la sua lettera, al compimento dei suoi undici anni, si era sentita la persona più felice del mondo, come se avesse potuto spostare una montagna con un solo dito.
A sei anni e otto mesi da quel giorno, Lily Evans era arrivata alla conclusione che se avesse mai avuto nuovamente quell’adrenalina a scorrerle nelle vene, la montagna l’avrebbe spostata, magari per farla cadere addosso a James Potter.
E come si diceva tra i babbani? Se la montagna di muove e tu non sei Maometto…
A guardarla da fuori, però, non sembrava affatto che la tenera Lily Evans, con la faccia d’angelo, potesse pensare queste cose, ma si sa: l’apparenza inganna.
Il treno era in viaggio da ben quarantacinque minuti, e Lily si era sorpresa del fatto che fino a quel momento tutto fosse stato così magicamente tranquillo. Come se tutto quello fosse solamente un sogno.
E dobbiamo ammettere che la povera Lily non aveva tutti i torti.
«Lily, svegliati!»
Una voce piuttosto squillante – troppo squillante, forse – destò Lily dal bel sogno che stava facendo, anche se non era nulla di che: era un viaggio in tranquillità verso Hogwarts. E Lily sapeva che Marlene non l’avrebbe mai svegliata da un raro sonnellino come quello se non per qualcosa di importante.
Guardò l’amica alla sua sinistra con l’occhio destro ancora chiuso. Marlene McKinnon era una ragazza piuttosto vivace, con lunghi e disordinati capelli biondi e un gran voglia di vivere.
Era una delle migliori – se non le uniche – amiche di Lily, insieme a Mary McDonald.
Quest’ultima era seduta davanti a Lily e osservava Marlene severamente, mentre addentava uno zuccotto di zucca e si sistemava una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio.
«Che c’è?» Chiese Lily una volta constatato di riuscire a tenere aperti entrambi gli occhi.
«Non dirglielo Marlene! Stava dormendo così tranquillamente…» Mary s’intromise sbattendo violentemente una mano sul sedile.
«Dirmi cosa?»
Di certo, le parole della giovane Grifondoro avevano ottenuto esattamente l’effetto indesiderato, tant’è che Lily stava pregando la povera Marlene di dirle tutto.
E, in effetti, ci sarebbero state un sacco di cose che Marlene doveva dirle: come il fatto che Sirius Black e James Potter avevano quasi buttato due Serpeverde giù dal treno – e che uno di questi era, inspiegabilmente, Severus Piton; oppure che Lily aveva dormito per cinque ore filate e che era giunto il momento di mettersi le divise; o ancora, sempre parlando di quei quattro perdigiorno, che alcuni ragazzini che dovevano frequentare il primo anno erano rimasti terrorizzati dalle assurde storie che venivano raccontate loro, però si limitò a dire una sola parola: «Potter.»
Allora Lily spalancò gli occhi verdi, lanciò una sottospecie di insulto chiaramente riferito a James Potter e poi sparì dallo scompartimento che condivideva con le amiche, dirigendosi a passo di gigante verso il solito scompartimento in fondo al treno, solitamente occupato dal suo nemico del cuore e gli altri suoi amici.
Alcuni del secondo anno la guardarono impauriti, appiattendosi contro le pareti del vagone come se dovessero venir fucilati da un momento all’altro, mentre Lily, cardigan beige e bacchetta alla mano, era finalmente arrivata davanti la porta dello scompartimento. L’aprì senza pensarci troppo e allora successero un sacco di cose contemporaneamente: prima di tutto le arrivò un paio di jeans neri in faccia, alcune ragazzine dietro di lei sospirarono e diventarono rosse come due peperoni, poi qualcuno – Remus forse – gridò qualcosa come: «Chiudete quella dannata porta!», e solo allora Lily si tolse con parecchio disgusto i jeans dal viso.
Stava per dirne quattro ad ognuno di loro, quando si rese conto che James Potter era in mutande.
Sì, in mutande e nient’altro, eccetto i calzini neri che gli arrivavano a metà polpaccio.
«Potter! Cosa diavolo ci fai in mutande sul treno?» Chiese Lily, più che chiederlo lo gridò, attirando così non poche attenzioni.
«Ciao anche a te, Evans. Ti vedo bene!» Esclamò lui con tutta la nonchalance esistente al mondo, come se non sapesse di star indossando solamente un paio di boxer davanti alla ragazza che cercava di conquistare da… un anno, forse? E per fortuna che aveva messo quelli neri.
«Vuoi rispondermi o aspettiamo che si faccia notte?» Chiese Lily, ancor più esasperata – e scazzata – di quanto non lo fosse già.
«Per quanto l’idea di aspettare la notte con te – in boxer, per di più –  mi attragga, Evans, stavo semplicemente indossando la divisa, dato che tra meno di venti minuti arriveremo alla stazione di Hogsmeade.» Rispose James con quella sua solita faccia da schiaffi.
Ah, già. La divisa.
 «E tu, di grazia, cosa ci fai nel nostro scompartimento?» Aggiunse poi il ragazzo sorridendo innocentemente. Allora Lily si ricordò della marcia furiosa verso l’ultimo vagone del treno, i bambini spaventati e quell’unica parola detta da Marlene, piena di preoccupazione.
«Mi è giunta voce che tu e questi altri tre scapestrati abbiate fatto casino durante il viaggio, come tutti gli altri anni.» Disse Lily incrociando le braccia al petto, James intanto aveva avuto la decenza di indossare un paio di pantaloni ma, ovviamente, si era dimenticato della camicia abbandonata sul sedile, tanto per far bella mostra dei suoi addominali scolpiti.
Non che la cosa scalfisse Lily, comunque.
«Sì, può darsi. Ma sei in ritardo di ben tre ore, Evans, mi aspettavo più efficienza dal nuovo Caposcuola. Dopotutto, non mi va di lavorare con un’incompetente quest’anno.» Replicò James alzando gli occhi al cielo. Allora Lily diventò rossa in viso per la rabbia – sì, forse più rossa dei suoi capelli – e Remus tirò via il piccolo Peter dall’entrata dello scompartimento, anche perché non voleva che qualche innocente ci rimettesse un braccio. Dopodiché sospirò, e con lei lo fece anche Sirius che intanto si era nascosto dietro a James.
Ma evidentemente Sirius Black non conosceva bene la rossa, perché tutti sapevano – e sottolineo tutti – che prima di una delle epiche sfuriate di Lily Evans, quest’ultima sospirava facendo intendere che il peggio è passato.
«Stammi a sentire, Potter dei miei stivali. Dì tutto quello che vuoi su di me, ma non osare dirmi che non so svolgere i miei compiti di Caposcuola, perché penso che tutti dentro questa stanza sappiamo che io sarò sicuramente migliore di te in questo incarico!» Esclamò puntando l’indice contro James. Se fosse stata in uno di quei cartoni animati giapponesi molto probabilmente avrebbe avuto gli occhi rossi, e dietro di lei si sarebbe alzata una specie di nube viola che non lasciava presagire nulla di buono.
«Vuoi scommettere, Evans?» Chiese James assottigliando gli occhi.
«Ramoso… io non mi spingerei tanto avanti.» A parlare era stato Sirius, i cui capelli neri  avevano appena fatto capolino da dietro la spalla di James.
«Sai una cosa, Potter? Black ha stranamente ragione: questa scommessa è troppo perfino per uno come te. E adesso scusami, ma vado a mettere la mia divisa.» Disse Lily, sorrise strafottente e se ne andò, sbattendo la porta dello scompartimento così violentemente che le due ragazzine, che erano rimaste ad osservare tutta la scena dallo stretto corridoio del treno, sobbalzarono.
«E voi che ci fate ancora qui? A cambiarvi!» Gridò Lily contro di loro, e quelle due non se lo fecero ripetere un’altra volta.
Tornò nel suo scompartimento – se possibile – ancor più arrabbiata di prima. Marlene e Mary già indossavano già le proprie divise e guardavano Lily come se fosse capace di sbranare anche loro, a quel punto temé che tutte le parole rovesciate contro Potter si fossero sentite fino a quel punto del treno.
Se non altro, Lily Evans non aveva avuto modo di iniziare diversamente nemmeno il suo settimo anno: ancora una volta, si era infuriata con James Potter ancor prima di mettere piede ad Hogwarts.

 


NdA: Devo essere fuori di testa a pubblicare una nuova storia il quattro gennaio, qualcosa come tre giorni prima che rinizi la scuola. E i compiti in classe. E le interrogazioni. E le crisi di nervi. Ma non posso farci nulla ç_ç
È la volta di una Jily (definizione tecnica e puramente indicativa, infatti, nel corso dell storia si svilupperanno altre coppie che, argh, mi faranno perdere i capelli dalla disperazione. Le trovate comunque tutte elencate nell'introduzione). La mia prima Jily, ci tengo a precisare. Non ho mai scritto sulla vecchia generazione, ma dato che praticamente amo OGNI generazione mi sono detta che dovevo scrivere qualcosa su di loro.
In conclusione, avete un'autrice scema che vuole solo complicarsi la vita, ma... who cares? Non fate caso al titolo sclerato, mi piaceva la frase e credo che ci stia a pennello, per tutto ciò che ho in mente *risata malefica*
Voglio ringraziare Eveline (Aqua_ su EFP) per aver betato il prologo e il primo capitolo (sì, è già scritto ma devo studiare e fare tutti i compiti che non ho fatto dal ventidue Dicembre ad oggi, perciò non so quando avrò il tempo di farne un html quantomeno decente). Non la ringrazierò mai abbastanza.♥
Poi, voglio ringraziare Beatrice per aver sopportato i miei scleri su questa storia, e per averla letta durante la ricreazione, le ore di buco e tutti quei momenti liberi a scuola. Perché è l'unica che non mi prende per scema e che appoggia tutto quello che faccio, gnau.♥
Ultimissima cosa, poi vi lascio al bellissimo spazio per la recensione sotto (sono abbastanza patetica, lo so), spero di non rendere i personaggi troppo OOC, perché io odio i personaggi OOC.
Volevo fare un banner ma se l'avessi fatto avrei usato prestavolto troppo usati (aka Karen Gillan per Lily e Aaron Johnson per James), e poi non sono capace, quindi niente.
Adesso, mi sto dilungando troppo. A presto!
Marianne


 

 

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Capitolo 2
*** Pergamene bruciacchiate. ***





CAPITOLO 1 – PERGAMENE BRUCIACCHIATE.
 

Generalmente, le persone come Lily Evans riuscivano a capire tutto. Riuscivano a comprendere le motivazioni che c’erano dietro le determinate azioni di qualcuno e a rispettare le opinioni degli altri.
Ma con James Potter, proprio non ci riusciva.
Ci aveva provato, ovviamente, ma non era mai arrivata ad una conclusione logica. Allora si era rifugiata nell’unica possibilità che avesse un senso: James Potter era stupido. E di conseguenza, le sue azioni non avevano motivazioni. Ecco perché Lily non riusciva a capirle.
Certo, se poi si implica il fatto che lei Potter proprio non riusciva a vederlo – così come la sua combriccola –, tutto ha più senso.
La cena si era svolta in fretta, tra il solito discorso del preside e l’ottimo banchetto. Lily sedeva, come suo solito, accanto a Mary e di fronte a Marlene ed Alice.
«Alice, hai davvero divorato due porzioni di pollo in tre minuti?» Chiese Mary ad un tratto: sembrava scioccata mentre la mora, seduta di fronte a lei, si puliva la bocca con il fazzoletto.
«Il viaggio mi ha messo fame.» Si giustificò Alice, alzò gli occhi al cielo e poi si girò verso sinistra ad osservare qualcosa – o qualcuno, avrebbe detto Lily – ma nessuna delle tre ragazze disse nulla.
Anche perché Alice sembrava essersi incantata.
«Comunque,» Disse Marlene per poi fingere un colpo di tosse «dicci come fai, perché mangi a più non posso e poi non ingrassi nemmeno di un grammo.»
«Semplice: Alice fa tanto sport.» Disse Lily posando le posate sul tavolo.
A quel punto, tre paia di occhi la guardarono confusi, anche perché, effettivamente, nessuna delle tre sapeva da dove Lily avesse tirato fuori quella conclusione assurda e azzardata. Ma come abbiamo detto prima, Lily capiva facilmente le cose.
E Lily seppe d’averci visto giusto quando vide Alice abbassare lo sguardo sul proprio piatto.
«Possibile che non ci arriviate? Le persone fanno sport per distrarsi… e Alice deve distrarsi, capite?» Chiese Lily ovvia.
«Lils, perdonaci, ma non siamo intelligenti come te.» Disse Mary per poi scoppiare in una risata che contagiò tutte le altre.
«Illuminaci.» Disse Marlene.
Lily sbuffò, Alice non proferì parola e Mary e Marlene osservavano la rossa ancor più curiose.
«Okay. Ad Alice piace qualcuno, ma non ce lo dirà… almeno per il momento. Per distrarsi da lui fa sport, quindi brucia le calorie che immagazzina, ergo, non ingrassa.» In seguito, Lily poggiò un braccio sul tavolo e la mano sotto il mento, per poi passare in rassegna la Sala Grande, il tutto mentre Marlene e Mary interrogavano la povera Alice sul nome del fortunato.
Ma Lily sapeva già anche quello, quindi era inutile indagare ulteriormente.
Per prima cosa, i suoi occhi verdi si posarono sul tavolo del Serpeverde, successivamente su Severus, che mangiava in silenzio.
Perdere il suo migliore amico in quel modo, l’anno prima, l’aveva a dir poco distrutta.
Durante l’estate, che Lily aveva passato con la sua famiglia, era rimasta chiusa in camera quasi tutti i giorni. Mangiava pochissimo, e mentre sua sorella usciva con il suo nuovo ragazzo, Vernon, Lily rimaneva nella sua stanza a guardare il soffitto per ore ed ore…
Le uniche volte in cui era uscita di casa la gente non faceva che fissarla, ancora non capiva se per le borse sotto gli occhi o i capelli non curati.
Ma si era ripromessa che, con l’inizio del nuovo anno scolastico, sarebbe nata la nuova Lily. Ovvero, quella che non si sarebbe più affezionata a nessuno, perché l’esperienza le aveva ormai insegnato che tutto finisce; che le delusioni ci sono sempre.
E mentre guardava Severus, quello che l’aveva sempre ascoltata, confortata e rassicurata, si fece prendere da un improvviso moto di tristezza e nostalgia, perché sapeva che quei momenti non sarebbero capitati mai più.
Perché quello che era stato Sev, adesso era solo Piton.
Successivamente, il suo sguardo andò a posarsi su quello che, fino a pochi minuti prima, era l’oggetto dei desideri di Alice: Frank Paciock.
In realtà, Frank non era un ragazzo particolare, anzi: era alto, con un corporatura parecchio esile ma asciutta; capelli biondo cenere e occhi marroni, che però erano sempre pieni di luce. Ti facevano venir voglia di vivere.
E conoscendo Alice, Lily sorrise, perché la sua amica era la classica romantica: quella che sogna il principe azzurro e che spera di sposare la sua anima gemella.
Lily non conosceva Frank Paciock, ma sperava dal profondo del cuore che anche lui osservasse Alice di soppiatto, perché non ce l’avrebbe fatta a vederla col cuore spezzato. Alice, così innocente, così serena, era una delle persone più buone del mondo e, di certo, non meritava nulla di male.
Poi, si soffermò a guardare i quattro perdigiorno della scuola, le persone che Lily non sopportava più di chiunque altro al mondo: i Malandrini.
E c’era una ragione ben precisa per ognuno di loro, sicuramente, non perché Lily odiava James Potter sin dal primissimo giorno di scuola.
Magari all’inizio, ma col passare degli anni anche gli altri tre le avevano dato dei motivi per farsi odiare.
In primis, in cima alla lista, c’era il sopracitato James Potter: tutto fumo e niente arrosto, come diceva Lily.
James Potter era, se vogliamo dare delle indicazioni generali, il ragazzo più popolare di tutta Hogwarts. Le ragazze facevano la fila per lui, ma giustamente James le illudeva tutte, dalla prima all’ultima.
Perché? Perché ovviamente quella che interessava a lui era l’unica che non lo considerava affatto, almeno in quel senso. Perché in altre circostanze, quella ragazza lo considerava eccome, e il più delle volte era per tirargli qualche libro in testa, se non oggetti – o incantesimi –  molto più pericolosi (James ricordava ancora quando Lily, in preda ad un crisi isterica legata a vari motivi che lui non era nemmeno riuscito a spiegarsi, gli aveva lanciato contro cinque Schiantesimi uno dopo l’altro, ed era un miracolo se era riuscito a schivarli tutti).
Quindi, per farla breve, James Potter era il solito pallone gonfiato che si credeva il migliore in ogni circostanza: esattamente il tipo di persona a cui Lily, se non fosse stata una ragazza fine ed educata, avrebbe sputato in faccia.
Subito dopo di lui c’era Sirius Black, il migliore amico di James, forse il più matto tra i quattro: ribelle e anticonformista. Si vociferavano strane cose sul suo conto, come il fatto che fosse pazzo per essere scappato di casa, in quanto la famiglia Black era una delle famiglie più importanti e rispettate  del Mondo Magico. Anche lui aveva metà Hogwarts ai suoi piedi (sì, anche i ragazzi, se ve lo state chiedendo), ma nessuno lo aveva mai visto mettere in piedi una relazione seria.
Comunque, Lily pensava che se mai le parole “Sirius Black” e “serio” fossero state nella stessa frase, sarebbe state separate da “non è”, perché Sirius Black e la serietà erano due cose completamente diverse. Quasi opposte.
Poi, c’era Remus Lupin. Lily avrebbe potuto andare davvero d’accordo con lui, perché entrambi aveva gli stessi interessi, lo stesso carattere un po’ permaloso e amavano la scuola. Ma Remus preferiva i suoi amici storici: infatti, non erano poche le occasioni in cui li aveva difesi e coperti.
Sembrava che ci fosse qualcosa di più dell’amicizia a legare Remus a tutti gli altri, qualcosa di astratto, forse, che Lily non riusciva davvero a spiegarsi. E questa cosa la irritava, parecchio; non era mai riuscita a capire cosa rendeva i Malandrini così… speciali.
E a volte, anche se non l’aveva mai ammesso, Lily invidiava la loro amicizia, perché era una di quelle eterne, che sembrava come quella che c’era stata tra lei e Severus, ma quest’ultima era finita sei mesi prima, e Lily ancora ci stava male.
Dulcis in fundo, c’era Peter Minus,  che vedeva nei suoi tre amici tre punti di riferimento; tre ancore alle quali aggrapparsi quando tutto andava storto; tre fratelli, che l’avrebbero appoggiato sempre e comunque.
Peter era un ragazzo piccolino, non molto alto, con dei capelli chiari color topo, gli occhi azzurri e un sorriso dolce, da bambino, sempre impresso sul volto.
A volte, osservandoli bene, sembrava che James, Sirius e Remus fossero dei papà che devono prendersi cura di un bambino, Peter. E questa cosa faceva sorridere dolcemente Lily.
Improvvisamente, Lily tornò alla realtà, perché Mary le aveva appena dato una gomitata e Marlene l’aveva chiamata a gran voce ben due volte.
«Lily! Ti sei imbambolata su Potter da più di cinque minuti.» Le disse Mary sottovoce. Lily avvampò e distolse immediatamente lo sguardo da James Potter, che intanto la osservava sorridendole.
Patetico.
«Non stavo guardando Potter.» Disse di rimando la rossa, si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro e sospirò sonoramente, facendo aggrottare le sopracciglia di Mary, che continuava a guardarla perplessa.
«Sarà…» Buttò lì la ragazza.
«Riflettevo, okay?» Disse ancora Lily per scacciare ogni dubbio dalla mente dell’amica. Insomma, nessuno in quella scuola poteva insinuare che Lily Evans fosse anche minimamente interessata a James Potter e poi uscirne vivo, specialmente le sue migliori amiche.
«Tu pensi sempre, Lily. A cosa lavorava il tuo cervello, stavolta?» Chiese Marlene.
«A come uccidere James?» Azzardò Alice provocando una risata generale.
Lily non rispose mai a quella domanda, perché poi fu annunciato di dover andare nei dormitori, e tutti cominciarono ad alzarsi, creando una confusione micidiale.
E Lily non seppe mai che, da dove era seduto James, si vedeva come la luce ricadeva sul suo viso in modo perfetto, accentuandone la forma ovale e facendo notare il rossore sulle guance che aveva sempre quando rideva divertita, o di gioia.
Da dove era seduto James, era possibile perdersi nei suoi occhi verdi; e che il suo sorriso avrebbe potuto illuminare tutta la Sala Grande.
E quando si alzò, allontanandosi da Mary, Marlene ed Alice, James realizzò che per la prima volta in vita sua era rimasto ad osservare una ragazza, e a perdersi in tutti quei piccoli particolari che rendevano le persone uniche.
Lily, in qualità di Caposcuola doveva andare da tutti quelli da primo anno e mostrargli come arrivare alla Sala Comune, poi spiegare loro dove erano i dormitori, e assicurarsi che, almeno per quella prima sera, arrivassero tutti sani e salvi alla torre.
Dovere che, purtroppo – o forse no? – , spettava anche a James Potter.
 

***

 
«QUELLI DEL PRIMO ANNO DA QUESTA PARTE!» Lily era sicura che il giorno dopo non avrebbe avuto più voce. Era la quarta volta che urlava, e la quarta volta che qualcuno rimaneva indietro, che si perdeva per le scale, o che prendeva il corridoio sbagliato.
E la cosa bella era che stava facendo tutto da sola!
Infatti, James Potter era, come si può benissimo immaginare, fermo in cima alla scale, mentre guardava divertito tutta la scena.
«Potresti anche aiutarmi. Lo sai, Potter?» Esclamò la rossa mentre cercava di tenere a bada qualche ragazzino. «Hey tu, con le treccine bionde, non da quella parte!»
L’undicenne in questione si voltò e guardò Lily molto rammaricata, dopodiché si unì ai suoi nuovi compagni e cercò di rimanere in mezzo alla fila.
Una volta appurato che gli studenti c’erano tutti, e che nessuno di loro era svenuto dopo aver visto qualche fantasma, Lily, davanti a loro, cominciò a salire le scale, fino a raggiungere James.
«Questa me la paghi, Potter.» Sibilò quando furono vicini abbastanza.
«Andiamo, Evans, si sa che tu, essendo donna, hai più istinto materno, io molto probabilmente traumatizzerei questi poveri bambini.» Si giustificò James mettendo le braccia dietro la testa. Poi cominciò a camminare al fianco di Lily con il solito passo oscillante e fastidiosamente lento.
«Stai per caso insinuando che le donne debbano fare le casalinghe?» Si alterò la ragazza, e forse lo disse un po’ troppo ad alta voce, perché qualche primino dietro di lei l’aveva guardata curioso, qualche altro impaurito.
«Tu ingigantisci sempre tutto, come fai?» Chiese James calmo.
«Sono solo molto deduttiva, e non provare a dirmi che non ho ragione!» Disse Lily.
«Su cosa? Che tu sia  molto deduttiva o sul fatto che le donne debbano fare le casalinghe? Perché in questo caso, Evans, hai fatto centro due volte.» Disse James.
Erano ormai arrivati davanti il ritratto della Signora Grassa, e se Lily non avesse dovuto spiegare a tutti come entrare e uscire dalla Sala Comune, dato che James sembrava non fare niente, avrebbe sicuramente cominciato ad inveire contro il povero ragazzo, rivolgendogli i peggiori insulti.
Fu per questo che si limitò a mormorare un «Sei un idiota», sfortunatamente anche la Signora Grassa la sentì, e le conseguenze furono a dir poco disastrose.
«Come osi insultare una signora in questo modo?!» Strillò dall’interno del quadro, strillò così forte che alcuni dovettero mettersi le mani sopra le orecchie.
«Non era riferito a lei…» Cominciò Lily in preda al panico: non le era mai capitato di offendere un quadro, e quindi non aveva idea di come mettere a posto le cose. «… era per lui!»
Ma la Signora Grassa pretendeva delle scuse ufficiali,  scritte su pergamena, con tanto di firma del preside, Albus Silente.
«Leo flatus.» Disse Lily ignorando le pretese della Signora Grassa che aveva incrociato le braccia al petto e rivolto la testa all’insù, indignata.
«Andiamo! Leo flatus, è la parola d’ordine.» Si lamentò. Successivamente le chiese per favore, fino ad implorarla. E stiamo parlando di un quadro!
«Potter! Fai qualcosa, è colpa tua se…» Iniziò Lily, ma il ragazzo l’aveva già scansata, mettendosi davanti al quadro della Signora Grassa.
«Togliti, Evans. È chiaro che non sai affatto come ci si comporta con una signora di classe.» Disse James, e poi le fece l’occhiolino, cosa che la mandò su tutte le furie, chiaramente, ma riuscì a controllarsi.
Detto ciò, James si chiarì la voce: «La prego di perdonarla, signora. In effetti, l’insulto era riferito a me, anche se non ho capito per cosa, dato che non mi sembra d’aver fatto nulla di male. Ma è tardi, e questi ragazzi sono solo al primo anno, sarebbe scortese da parte sua accoglierli così, ci lasci passare.»
«E va bene, va bene… passate.» E così il ritratto si aprì, lasciando intravedere il passaggio che portava alla Sala Comune.
Lily era a bocca aperta: non solo perché James Potter era riuscito a tenere in piedi un discorso in cui – più o meno – non si esaltavano le sue grandi capacità come Cercatore, alunno, o quel che fosse, ma anche perché era riuscito a scampare una nottata in corridoio, mettendosi a trattare con un quadro permaloso.
Allora tutti entrarono, ritrovandosi in Sala Comune, dove c’erano già gli studenti degli altri anni. Lily non sapeva come fossero riusciti ad arrivare senza la parola d’ordine, ma in verità era merito di James: aveva detto la parole d’ordine ai suoi amici, che in seguito l’avevano detta a tutti gli altri Grifondoro.
«Bene, ragazzi. I dormitori sono di sopra. Una volta salite le scale, proseguite a destra per quelli maschili e a sinistra per quelli femminili. Buonanotte!» Disse Lily, e per la prima volta, in quella lunghissima giornata, ebbe un momento per respirare.
«Lils!» Gridò una voce dall’altra parte della stanza. Come non detto.
La voce in questione apparteneva a Marlene, che aveva raccolto i capelli biondi in una coda disordinata, e adesso le faceva cenni con le braccia per farsi notare, nono stanza fossero a meno di dieci metri di distanza.
«Eccomi.» Biascicò Lily, forse più rivolta a se stessa che alla sua amica.
«Stiamo salendo, vieni? » Chiese Marlene, Lily non capiva da dove fosse spuntata fuori, ma Marlene aveva la capacità di apparire in ogni circostanza, anche quando la si aveva lasciata dall’altra parte del castello.
«Sì, devo solo sistemare alcune carte da dare alla McGranitt domani.» Rispose Lily rivolgendo un sorriso amichevole alle due.
Mary e Marlene si guardarono e poi rapirono la povera Alice, prendendola sotto braccio. Lily soffocò in una risatina mentre le tre salivano le scale. Erano impossibili, ma era anche per questo che voleva bene a tutte loro: perché erano inimitabili.
Sospirò e prese la famosa pergamena dove la professoressa le aveva chiesto di annotare alcune cose, in quanto Caposcuola, poi tirò fuori la piuma e l’inchiostro per scrivere.
La Sala Comune si stava svuotando sempre di più, e ben presto Lily poté notare che era rimasta solamente lei insieme ai quattro Malandrini, più qualche studente del quinto o sesto anno.
Cercò di ignorare quella spiacevole sensazione, continuando a scrivere, ma poco dopo si maledì per averla fatta passare di mente, perché James Potter – e chi altri poteva essere? – si era seduto accanto a lei, facendole quasi rovesciare la boccetta d’inchiostro per lo spavento.
«Potter.» Sibilò minacciosa.
«Dovresti ringraziarmi, sai?» Disse lui osservando quello che Lily stava scrivendo in bella grafia.
«Dovrei ringraziarti? E per cosa, di grazia?»
«Senza di me adesso staresti pregando la Signora Grassa, oppure staresti cercando un sacco a pelo per il castello, dato che avresti dormito in corridoio. Magari a quest’ora Gazza ti avrebbe già beccata, e tu avresti già detto addio al tuo ruolo di Caposcuola. Quindi sì, dovresti proprio ringraziarmi.»
Lily sbuffò, continuando invece a scrivere. «Sei sempre così egocentrico, pensi che il mondo intero giri attorno a te.»
«In realtà gira attorno al Sole, ma sto solo chiedendo dei ringraziamenti da parte tua, mica la luna che, tra parentesi, è quella che gira intorno a noi… e quindi anche intorno a me.»
A quel punto, Lily emise un grugnito di protesta: di ringraziare Potter nemmeno se ne parlava, ma allo stesso tempo voleva toglierselo di mezzo, anche perché era abbastanza stanca e doveva finire quella cosa per la McGranitt.
«Allora?» Chiese James.
«Allora, lasciami in pace, Potter.» Rispose brusca Lily, la stava deconcentrando, e non andava affatto bene. Possibile che uno non potesse nemmeno passare la serata in pace?
«Dai, è solo un misero “grazie”. Che ti costa?»
«Non vedo come potrebbe cambiare la tua giornata.»
«Oh, la cambierebbe eccome. Tu non immagini nemmeno, Evans.»
E in quel momento James si alzò, producendo una catena di conseguenze che non avrebbero giovato a nessuno dei presenti.
Alzandosi aveva spostato l’aria, che aveva fatto volare la pergamena dritta dentro al camino, dove c’era il fuoco accesso.
Lily osservò la scena come fosse al rallentatore, e quando vide gli angoli della pergamena iniziare a bruciare cercò in tutti i modi di recuperarla, poi sospirò.
E se ricordate bene, prima di ogni sfuriata, veniva sempre un sospiro.
«POTTER!»
Allora James si girò, e gli bastò vedere che Lily, impulsiva com’era, aveva già l’intenzione di mettere le mani dentro al fuoco per riprendersi la pergamena.
«Lily, ferma!  Ti brucerai!» Esclamò in preda al terrore.
Lily si sentì afferrare per le spalle, e non oppose nemmeno resistenza, perché c’era un particolare che non le era sfuggito affatto.
James l’aveva chiamata Lily. Non Evans, Lily.
E lei era ancora in un tale stato di shock che non si accorse nemmeno che James stava cercando di recuperare la pergamena con le pinze da camino.
Non si accorse nemmeno che quella era stata messa sul tavolino, accanto a lei che era a terra, e che era un po’ bruciata, ma comunque leggibile.
«Stai bene?» Le chiese alla fine James, e allora Lily sbatté le palpebre e tornò alla realtà.
«Sto benissimo Potter,» Disse alzandosi da terra, si pulì la divisa e prese la pergamena «grazie mille, anche per… prima.»
E così dicendo sparì per le scale, raggiungendo il suo dormitorio in fretta e furia.
 

***

 
Il sole era appena sorto, e tutto il castello era ancora in un sonno profondo. Be’, quasi tutto il castello.
C’era, infatti, nel dormitorio femminile del settimo anno, una ragazza dai capelli rossi, che cercava disperatamente di stare calma. Il che è tutto dire, perché con un orario del genere, Lily rischiava di diventare esattamente l’antitesi della calma: o meglio, una vera e propria calamità naturale.
Quel giorno, ad esempio, aveva Erbologia; a seguire c’erano due ore consecutive di Pozioni, indovinate con quale altra casa? Esatto, i Serpeverde. Nonostante le lezioni di Pozioni affascinassero molto Lily, l’idea di passare due ore nella stessa stanza con Severus senza rivolgergli la parola non le andava esattamente a genio.
Dopo pranzo aveva Trasfigurazione, Divinazione e infine Difesa contro le Arti Oscure. Un orario da suicidio, in pratica.
E aveva paura di vedere l’orario degli altri giorni della settimana.
Stessa cosa non si poteva dire di James che, nel dormitorio maschile del settimo anno, si era appena svegliato, e di certo non per sua volontà.
Remus era fissato con la puntualità, e da ben sei anni era lui a svegliare tutti la mattina, tutte le mattine alla stessa ora.
«Cinque minuti…» Brontolò Sirius coprendosi la testa col cuscino.
«Che palle, Felpato. Alzati e non rompere.» Disse James poggiando i piedi a terra.
«Siamo nervosetti, oggi?» Chiese Sirius ancora col cuscino in faccia.
«Non mi va di fare due ore di Pozioni con i Serpeverde.» Rispose James.
«Forse dovresti dire che non ti va di fare due ore di Pozioni con Mocciosus nella tua stessa stanza.» Lo corresse Peter cercando una camicia pulita nel baule. Nel fare ciò stava buttando – cioè, lanciando – tutto fuori dal baule, facendo volare i vestiti per la stanza.
Inutile dire che ben presto un paio di mutande atterrarono sulla faccia di qualcuno. Il qualcuno in questione era Remus, che doveva solo allacciarsi la cravatta.
«Peter, che schifo!» Esclamò il ragazzo togliendosi le mutande dal viso, e detto ciò, le tirò al legittimo proprietario.
«Erano pulite.» Borbottò Peter.
«Erano?» Chiese Sirius che intanto era riuscito ad alzarsi dal letto.
«Forse voleva dire “Sono state pulite”.» Disse James.
«Oppure “Quando le ho comprate erano pulite”.» Continuò Sirius.
Dopo circa un quarto d’ora, i quattro non erano ancora riusciti a scendere in Sala Comune, o per un motivo, o per un altro.
Ad esempio, James non trovava i suoi calzini fortunati, quelli che metteva tutti i due di Settembre da sei anni a quella parte («Eppure sono sicurissimo di averli messi prima di partire!»); Remus stava ancora discutendo con Peter sulla dubbia pulizia delle mutande di quest’ultimo, e Sirius aveva provato a fare un nodo decente alla cravatta almeno una ventina di volte, fallendo miseramente in tutti e venti i tentativi.
Poi, nel giro di soli due minuti, Remus John Lupin pensò seriamente di tentare il suicidio, buttandosi dalla finestra del loro dormitorio. Perché? Semplice:
«Remus, non ho fatto nulla quest’estate per Trasfigurazione, puoi passarmi i compiti?» Diceva Peter, si era attaccato al suo braccio destro e lo guardava con la “faccia da cucciolo”, ergo, occhi ancor più grandi del solito ed espressione triste.
Poi si aggiungeva James con: «Lunastorta, secondo te essere Caposcuola comprometterà la mia carriera da Cercatore? No, perché è proprio grazie a quello se tutte le ragazze mi amano.» Per poi continuare a parlare da solo sulla sua sconfinata bellezza.
E infine, come ciliegina sulla torta, arrivava la voce di Sirius che diceva: «Rem, mi aiuti ad allacciare la cravatta?»
Il tutto, mentre una voce si sovrapponeva all’altra, creando così un’atmosfera di puro caos. Allora Remus si mise le mani tra i capelli, sospirò, e solo dopo aver gettato un’ultima occhiata disperata ai suoi amici mormorò: «Merlino, aiutami tu.»


 


NdA: Salve a tutti! Ecco qui il primo vero capitolo, spero vi sia piaciuto. Siamo ancora nella fase "introduttva" della storia, ma vi prometto che più andremo avanti più le cose si intrecceranno e si complicheranno (dopotutto, "angst" non è mica messo a caso). 
Prima di passare oltre, vorrei fare una piccola precisazione che mi sono scordata di fare l'altra volta: Severus litiga con Lily alla fine del quinto anno, e non alla fine del sesto, ma mi serviva che fosse così u_u HEY, storia mia, regole mie. LOL *viene presa a pesciate (?) in faccia*
Vorrei ringraziare chi ha recensito il prologo: Lily Kenobi, lenemckinnon e Delilah che è tenera e che aspettava questa storia da mesi. Mi sento in colpa per averla pubblicata così tardi. Love u. ♥
Inoltre, grazie a LMCriss, Marty Evans e a Raphus Cucullatus per averla inserita nelle seguite e a lost in fangirling (ciao, omonima ♥) per averla messa nelle preferite.
Ora, credo che la mia parte preferita sia l'ultima. Rem è un cucciolo e penso che a fine storia mi ucciderà per motivi a voi ancora oscuri.
Detto ciò, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione (insomma, anche se vi fa schifo, ditemelo e cercherò di migliorare) e augaretemi buona fortuna per l'interrogazione di greco di domani, che mi mancano ancora tre capitoli e io sto qui a pubblicare (Y) *me stupida*
Alla prossima. ^_^
Marianne

 

 

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Capitolo 3
*** Notti insonni. ***



 

CAPITOLO 2 – NOTTI INSONNI.


Quel sabato pomeriggio, mentre Lily Evans e James Potter si stavano uccidendo amorevolmente a suon di insulti, un ragazzo del quarto anno era entrato in Sala Comune per dire loro che erano stati convocati nell’ufficio della professoressa McGranitt per una comunicazione importante.
Il tutto, più o meno, si era svolto mentre la folla che si era creata intorno a loro due protestava per la delusione quando i due erano stati costretti a smettere, ovvero quando avevano ricevuto il messaggio.
Tutti speravano in una rissa, da almeno sei anni.
«Egocentrico.»
«Permalosa.»
«Sbruffone.»
«Perfettina.»
«Idiota.»
«Pel di carota.»
«Da quando avere i capelli rossi è una cosa negativa?»
«Scusa, Evans, non trovo aggettivi negativi per te… se sai cosa intendo.»
«Potter!»
«Scusatemi!» Il ragazzo del quarto anno si era fatto avanti, con tutto il coraggio di cui disponeva, e aveva interrotto quel litigio, che ormai si era trasformato in un pietoso tentativo di abbordaggio. «La McGranitt vuole vedervi, nel suo ufficio.»
I due ragazzi avevano avuto due reazione completamente diverse; inutile dire che Lily aveva cominciato a farsi prendere dal panico, e a rispondere male a chiunque le avesse rivolto la parola. James, invece, aveva fatto spallucce e si era stretto la cravatta prima di entrare nell’ufficio della vicepreside.
Fatto sta che, una volta entrati, Lily si era leggermente calmata e James… be’, James non aveva cambiato minimamente espressione.
«Evans, Potter, sedetevi pure.» Disse loro la professoressa. Lily e James obbedirono e la guardarono curiosi.
«Come ben saprete, i Caposcuola sono anche i responsabili delle ronde notturne,» Iniziò la McGranitt, e i due annuirono. «questa notte farete la vostra prima ronda, insieme. Col tempo potrete decidere se alternarvi o meno, ma all’inizio è preferibile così.»
«Mi scusi, perché dobbiamo fare entrambi la ronda?» Chiese Lily. A lei non andava per niente di fare la ronda con James Potter.
Primo, perché lui non avrebbe fatto niente, anzi, avrebbe contribuito a creare confusione; secondo, dato che James l’avrebbe solo irritata, e quindi distratta dai suoi doveri, tanto valeva fare tutto da sola e in silenzio.
Ma soprattutto, in pace.
«Sono le regole della scuola, signorina Evans. È una tradizione.» Rispose con calma la McGranitt.
Allora Lily fece un cenno col capo e non aggiunse nient’altro. La cosa non le andava a genio, certo, ma era anche vero che non poteva fare tutto da sola, lasciando James indietro, anche perché il suo abnorme ego poi ne avrebbe risentito, e Lily davvero non ce l’avrebbe fatta ad ascoltare i monologhi di James su quanto la sua esistenza fosse di vitale importanza per l’universo.
«Inizierete appena scatterà il coprifuoco, ovvero alle dieci, e finirete non oltre l’una. Chiaro?» Disse solenne la professoressa.
«Limpido, professoressa.» Disse James con un sorriso a trentadue denti.
«Potter, vorrei ricordarti che, a differenza della signorina Evans, ti è stato dato il titolo di Caposcuola perché tu possa mettere la testa a posto e diventare una persona un po’ più matura, quindi niente bravate.» Disse severamente, stavolta, la McGranitt, poi li congedò.
Una volta fuori, in corridoio, Lily non aspettò un minuto e cominciò a stabilire le condizioni per, a detta sua, una pacifica e sana collaborazione.
«Bene, Potter, stanotte non voglio finire con la testa in un gabinetto o con un braccio sulle scale e l’altro da qualche parte nascosta del castello, quindi, perché questo non accada, ti prego di seguire quello che faccio io.» Cominciò la rossa.
«Perché dovete tutti darmi ordini in questa scuola? Io sono uno spirito libero!» Esclamò il ragazzo.
«Senti, non voglio litigare, ti prego solamente di fare la persona matura, per una volta. L’ha detto anche la McGranitt: a me hanno dato il titolo perché lo meritavo, a te lo hanno dato perché sperano che tu cresca.» Disse Lily esasperata, e forse fu proprio questa frase a far scattare la bomba, perché James rimase letteralmente a bocca aperta, incapace di dire nulla.
Solo dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio, lui disse qualcosa, qualcosa di serio, qualche che fece capire a Lily che, malgrado tutto, anche James Potter provava dei sentimenti.
«Va bene, me ne starò buono e seguirò le tue indicazioni. A stasera in Sala Comune, Evans
«Ma, James…»
 

***

 
Erano le dieci meno cinque, e Lily era seduta su una poltrona della Sala Comune da circa venti minuti.
Era uno di quei momenti in cui avrebbe solamente voluto sfogarsi con Severus, mentre lui l’abbracciava e le diceva che tutto sarebbe andato bene. Voleva il suo migliore amico a cui confidare i propri segreti, voleva essere rassicurata da qualcuno che le voleva bene.
Con Mary e Marlene non era la stessa cosa, anche perché Severus per Lily era sempre stato come un fratello. Una luce nell’oscurità. Un’ancora di salvezza.
Loro due erano le sue migliore amiche, è vero, ma Lily si sentiva meglio con Severus che con loro. Davanti a James, davanti ai Malandrini e alle sua amiche, Lily si era sempre mostrata forte e indistruttibile. Era sempre stata quella ad avere l’ultima parola, quella a far finta che le cose non la scalfissero per niente.
Col tempo non aveva più avuto bisogno di fingere, perché ci aveva fatto l’abitudine, ma soprattutto durante i primi anni, quando lei e Sev erano a dir poco inseparabili, era lui che confortava quando lei si sfogava perché James Potter la prendeva in giro.
Col tempo, Lily aveva capito anche che quando un ragazzo ti tira le treccine, la cosa potrebbe essere interpretata in due modi: se il ragazzo in questione ha undici anni, lo fa solo ed unicamente per darti fastidio. Se, invece, ha più di quattordici anni, lo fa perché vuole attirare la tua attenzione, e quindi perché gli interessi.
Ma il problema era che a Lily, James Potter non interessava per niente.
Quante volte aveva alzato gli occhi al cielo dopo che lui le chiedeva di uscire in modi più che squallidi? Perché non si era mai sentita in colpa dopo un rifiuto, mentre adesso ci stava malissimo?
La risposta Lily la sapeva, ma aveva paura ad ammettere di aver sbagliato. Perché tra di loro, quello a sbagliare era James Potter, non lei.
Ma adesso lei lo aveva ferito, e lo aveva notato. Lo sguardo deluso di James, la freddezza con cui l’aveva trattata dopo… erano i segni per dimostrare che Lily, forse, aveva veramente esagerato con le parole.
Perché dopo i soliti rifiuti, James aveva sempre continuato a sorridere, aveva sempre promesso che la volta prossima sarebbe stata quella buona, ma stavolta James non aveva sorriso.
Quei cinque minuti passarono troppo velocemente, secondo Lily, infatti ritornò alla realtà quando sentì dei rumori provenire dalle scale. Si voltò e vide James, e notò anche che quella era la prima volta in sette anni in cui era arrivato puntuale.
«Sono in ritardo?» Chiese James raggiante. Sembrava che il diverbio di poche ore prima non fosse accaduto affatto. Lily in un primo momento sembrò confusa, dopodiché si disse che avrebbe dovuto approfittare della situazione e comportarsi esattamente come James: come se non fosse successo nulla di grave.
«No. Sei in perfetto orario.» Rispose Lily, allora uscirono dalla Sala Comune per cominciare la ronda.
«Da dove iniziamo?» Chiese Lily.
«Dal piano terra?»
«Ci sto.»
E così i due iniziarono la fantomatica ronda. Bacchette alla mano, parecchi quadri si lamentarono quando passarono per i corridoi con la luce accesa, ma loro li ignorarono.
Ben presto, il ricordo del litigio di quel pomeriggio svanì dalla mente di Lily, ed evidentemente anche da quella di James, perché entrambi stettero più volte sul punto di cominciare a tirare la corda con battutine sarcastiche ed altro.
Erano arrivati ad ispezionare il terzo piano, quando si accese l’ennesima miccia.
«Evans, vieni con me a Hogsmeade sabato prossimo?» Le chiese James.
«Per la novantaseiesima volta – se ve lo state chiedendo, sì, Lily le aveva contate tutte – no, Potter.» Rispose Lily sospirando, in seguito alzò gli occhi al cielo e poi guardò James di sfuggita. Notò un sorrisetto sul suo volto.
«E perché?» Le chiese ancora.
E qui Lily rimase spiazzata: James non le aveva mai fatto quella domanda. Il più delle volte la cosa si limitava all’invito, poi c’era il “no” secco di Lily e basta. Tutto finiva lì.
«Perché no.» Disse Lily a bassa voce. Tantissime persone le avevano sempre ripetuto che quella non era una risposta, perché diceva tutto e niente.
«E dai, se mi hai detto di no ci sarà un motivo, giusto? Che ne so, forse è perché non ti piaccio, in questo caso ti consiglierei un pepsicologo.» Ribatté James. Si era detto che solo in quelle rare occasioni avrebbe avuto l’opportunità di passare tre ore da solo con la Evans, e non vedeva il motivo di sprecarle.
«Psicologo, Potter. Si dice psicologo.» Lo corresse Lily, e poi si rese conto che non aveva il coraggio di dirgli che non gli piaceva; anche perché, oggettivamente parlando, James Potter era un bellissimo ragazzo. Il problema era che a Lily non piaceva il suo modo di fare, il suo carattere. «E comunque, Potter, il problema è che non sei il mio tipo.»
«E chi è il tuo tipo? Mocciosus?»
«Preferirei non parlare di Severus.»
«Ora, non per vantarmi, ma credo di essere nettamente superiore a Mocc- Piton.»
Lily rise. «Egocentrico.»
«Permalosa.»
«Dobbiamo per caso ricominciare?»
«Direi di no, anche perché sembra che abbiamo del lavoro da svolgere.»
E allora Lily fece per voltarsi verso di lui e guardarlo confusa, ma non fece in tempo a fare nulla che James aveva già pronunciato l’incantesimo: «Hominum Revelio
A quel punto si sentì un fruscio, e qualcosa cadde a terra, probabilmente un indumento. Allora Lily si avvicinò fino a scorgere una figura esile dai lunghi e ricci capelli castani. La ragazza teneva in mano una specie di cesto che, a giudicare dall’odore, conteneva del cibo.
«Mary?»
«Lils!»
«Che ci fai qui?» Le chiese Lily tenendo alta la bacchetta.
«Io... noi... Lily, non dirlo alla McGranitt!» Squittì Mary.
«E perchè hai il mio Mantello?» Esclamò James. Schizzò letteralmente in aria per poi cadere a terra e raccogliere il mantello.
«Noi, Mary?» Chiese ancora Lily.
«Il mio bambino!» Urlò James, lo rigirò tra le mani assicurandosi che non ci fossero buchi o cose del genere. Le conosceva, le donne, sempre a tirare fili perché sono antiestetici.
«Oh, Potter, fai silenzio!» Lo zittì Lily continuando a guardare Mary.
«Lily...» Iniziò Mary.
«McDonald, sei fuori dopo il coprifuoco. Dovremo dirlo alla McGranitt.» Disse James tornando improvvisamente serio, stringeva il mantello tra le braccia «Inoltre, questo si chiama furto.»
«Non te l’ho rubato, Potter. Me l’hanno prestato.» Ribatté Mary incrociando le braccia al petto.
«Chi potrebbe averti dato il mio mantello?» Chiese James.
«Gli ho promesso di non dire niente.» Continuò Mary ancor più risoluta di prima. Lily intanto guardava i due.
«Potter, finiamo la ronda, poi decidiamo cosa fare, va bene? Mary, tu torna in dormitorio.» Si intromise la rossa, aveva sempre amato calmare le acque, anche se non c’era mai nessuno che le calmasse quando lei e Potter iniziavano a discutere. Forse perché nessuno sarebbe stato talmente abile.
«Ma Lily… non posso tornare in dormitorio!» Protestò Mary.
«Sì che puoi, anzi, vedi di rimanere sveglia che ho un paio di domande da farti.» Le disse Lily, poi fece l’occhiolino e cominciò ad avviarsi verso le scale. Mary doveva vedersi con qualcuno, un ragazzo, e Lily moriva dalla voglia di sapere chi.
«E già che ci sei, lasciaci i dolcetti, ho un po’ di fame.» Disse James, Mary per tutta risposta strinse il cestino tra le braccia e se lo portò via.
«Ci restano tre piani da controllare, muoviamoci.» Disse Lily trascinandosi James dietro.
Per un po’ continuarono a camminare in silenzio, senza accennare a Mary o al Mantello, o al misterioso ragazzo con cui Mary avrebbe dovuto vedersi.
Una volta arrivati al settimo e ultimo piano, James cominciò a lamentarsi. In effetti, era stato troppo bello passare ben due piani senza piagnistei o lamentele, quasi una concessione divina.
«Volevo i dolcetti,» Iniziò in tono lugubre. «sto morendo di fame.»
«Potevi prendere qualcosa dalle cucine quando ci siamo passati.» Lo accusò Lily camminando spedita.
«Cosa ho appena sentito? Lily Evans che dice di poter rubare cibo dalle cucine?» Disse James incredulo. Lily arrossì violentemente, e non si girò nemmeno per guardarlo in faccia. «E poi, prima non avevo fame. Adesso è mezzanotte passata!»
«Nessuno è mai morto perché non ha fatto lo spuntino di mezzanotte, Potter, resisti fino a domani mattina.» Disse Lily.
«Ma…»
«Niente ma, hai detto di voler fare l’Auror, no? Se un domani, in una missione, dovessi trovarti senza cibo che faresti? Verresti a lamentarti con me?» Chiese Lily.
«Se tu fossi in missione con me non mi lamenterei affatto, Evans.» Rispose James.
«Risparmia le avances per le ochette che vengono alle partite solo per vederti acchiappare il Boccino.» Disse Lily storcendo il naso: quelle erano il genere di ragazza che, se Lily fosse stata un maschio, probabilmente avrebbe ripudiato a vita.
Io non ci vado proprio, alle partite. – Pensò poi Lily.
«Ma di loro non me ne importa niente, Evans.» Disse James, e a quel punto nella testa di Lily si accese un campanello d’allarme.
«E perché io dovrei interessarti?» Chiese dopo un lungo silenzio la rossa, aveva pensato bene di fare quella domanda proprio per metterlo in difficoltà, come aveva fatto lui nemmeno due ore prima, chiedendole perché aveva sempre rifiutato i suoi inviti.
«Perché sei complicata, dannatamente orgogliosa e mi odi. Sei una sfida.» Rispose James. Al contrario di come Lily si aspettava la risposta era arrivata subito, e James sembrava non averci nemmeno pensato.
Forse se le studiava di notte…
«Rimandiamo allora, perché sembra che abbiamo del lavoro da fare.» Disse Lily. E James non capì. Si guardò attorno: erano davanti l’arazzo di Barnaba il Babbeo bastonato dai Troll, James conosceva bene quella parte del castello, era lì che si trovava la Stanza delle Necessità. «Vieni fuori, Black!»
«Come diavolo hai fatto, Evans?» Chiese la voce di Sirius da dietro una delle colonne.
«Intuito femminile…» Rispose Lily guardandosi le mani.
«È la reincarnazione della Cooman, altro che intuito femminile.» Mormorò James alle sue spalle. Lo schiaffo dietro la testa non tardò ad arrivare.
«Ti ho sentito, Potter.» Lo rimbeccò Lily.
In realtà, Lily aveva fatto semplicemente due più due: Mary che aveva il Mantello dell’Invisibilità di James, e che sosteneva di non averlo rubato, ma di averlo ricevuto in prestito. Chi altri avrebbe potuto dare il mantello a Mary se non uno dei Malandrini?
Aveva escluso Peter Minus a prescindere, perché sapeva che non avrebbe osato prendere qualcosa dal baule di James senza chiederglielo; aveva escluso Remus perché trovava difficile immaginarlo mentre faceva una cosa del genere, quindi era rimasto solamente Sirius.
L’unico che, tra parentesi, era così scaltro e stupido allo stesso tempo da dare il mantello a Mary e di aspettarla di fronte alla Stanza delle Necessità.
«Penso proprio che dovremo dirlo alla McGranitt…» Disse Lily con nonchalance, mentre Sirius sbiancava e James sembrava essere colpito da un Pietrificus.
«Evans…» Iniziò James.
«È fuori dopo il coprifuoco, no? E poi, anche lui è accusato di furto.» Continuò Lily.
«Hey, sono fuori in piena notte, è vero, ma non ho rubato niente.» Si intromise Sirius avvicinandosi ai due. Guardò James implorante, insomma, era il suo migliore amico, non l’avrebbe tradito, no?
«È… Sirius! Chissà quante volte siamo usciti dopo il coprifuoco e nessuno ci ha mai scoperti, lascia passare questa volta.» Esclamò James.
«Solo se tu lasci stare Mary.» Disse Lily.
«Che c’entra Mary?» Chiese Sirius aggrottando le sopracciglia.
«Oh, non lo so. L’abbiamo beccata al quarto piano con il mantello di James e un cesto di dolcetti. Ne sai qualcosa?» Gli chiese Lily con un sorrisetto beffardo stampato in faccia.
«Che vuoi che ne sappia, io?» Disse Sirius per tutta risposta. Certo che Lily doveva proprio ammetterlo: Sirius Black era un bugiardo professionista, sembrava quasi convincente.
«Bene, Evans, siamo pari adesso: io non dico niente sulla McDonald e tu non dici niente su Sirius.» Disse James infine.
«Perfetto.» Concluse Lily «E adesso, Black, faresti bene a tornare in Sala Comune.»
«Sissignora!» Esclamò Sirius imitando il saluto da soldato. Lily si lasciò scappare una risata e lo guardò ammonitrice.
Due minuti dopo, Sirius Black era sparito dalla circolazione, nemmeno avesse avuto un’Acromantula lì ad inseguirlo.
Lily sospirò, dicendosi che, tutto sommato, quella prima ronda notturna con James Potter non era poi andata così tanto male. Era stato sfiancante, certo, trovare Mary e Sirius in giro per il castello che stavano ovviamente per incontrarsi era stato come uno shock per Lily: non se l’aspettava proprio.
Insomma, Sirius non era il tipo di Mary, e Mary non era il tipo di Sirius, quindi… perché mai incontrarsi? Di notte, per di più.
Alla fine, quando lei e James tornarono in assoluto silenzio davanti al ritratto della Signora Grassa, Lily si arrese, e smise di cercare una soluzione.
Quella era una domanda impossibile, un mistero. Un po’ come le solite domande metafisiche “Perché esistiamo?” e “Da dove veniamo?”. Sapeva solo che aveva davvero sonno, ma non vedeva l’ora di interrogare Mary a dovere.
 

***

 
Sirius cercò di rientrare in dormitorio senza far rumore, perché sia Remus che Peter stavano dormendo. Purtroppo, vuoi il buio, vuoi la rabbia per l’appuntamento con Mary saltato in aria, Sirius inciampò nel proprio baule e cadde in avanti, atterrando fortunatamente sul letto.
Il tutto, però, producendo un chiasso colossale.
Ma se Peter non si svegliava nemmeno con un colpo di cannone, Remus aveva il sonno fin troppo leggero; aggiungiamoci, poi, che in realtà Remus non stava dormendo, e il gioco è fatto.
«Dove sei stato?» Gli chiese Remus all’improvviso, tant’è che Sirius quasi si spaventò. Decise di dirgli la verità. Dopotutto, non avrebbe avuto alcun motivo per mentire ad uno dei suoi migliori amici.
«Sarei dovuto andare ad un appuntamento con Mary, ma James e la Evans mi hanno rimandato qui.» Rispose Sirius, intanto si era tolto i vestiti per mettersi il pigiama, che sicuramente non avrebbe mai trovato al buio.
Remus, poi, non aveva replicato, ma si era girato dall’altra parte, raggomitolandosi su se stesso.
«Ti spiace se accendo la luce per un momento?» Chiese Sirius.
«Come vuoi. Tanto non riesco a dormire.»
La stanza allora s’illuminò, e Remus chiuse involontariamente gli occhi, perché  si era abituato al buio della notte e la luce glieli bruciava.
Si girò di nuovo, per poi vedere Sirius, che, infilati i pantaloni azzurrini, era chino sul baule a cercare la maglietta.
Per un momento, si pentì perfino di avergli parlato. Forse, si disse, sarebbe stato meglio far finta di dormire, far finta di ignorarlo.
Sospirò. Remus ci aveva provato in tutti modi ad ignorare Sirius, ma era il suo migliore amico, e la cosa risultava davvero impossibile. Non sapeva come ci fosse finito in quella strana situazione, ma nel profondo del cuore era combattuto: una parte di lui voleva che Sirius diventasse serio per almeno qualche minuto al giorno, e capisse che c’era qualcosa di strano nel modo in cui Remus gli parlava; l’altra parte di sé, voleva che tutto rimanesse esattamente com’era.
E se Remus Lupin, prima d’ora, era convinto di essere stato geloso almeno una volta in vita sua, si sbagliava di grosso.
Perché la gelosia non è quella cosa che ti da fastidio e ti fa storcere il naso in segno di protesta, no.
La gelosia, scoprì Remus, è quella sensazione all’altezza dello stomaco che ti fa passare l’appetito. È la paura di perdere ciò che si ha per mano d’altri; è il cuore che batte troppo forte quando quello che vuoi può averlo anche qualcun’altro. È quella cosa che, di notte, non ti fa dormire; è quella sensazione di impotenza, che ti tiene legato, impedendoti di poter cambiare le carte in tavola a tuo vantaggio, magari. È quella cosa che ti fa venir voglia di piangere, ma non di tristezza, di rabbia.
Ecco cosa sentì Remus quella notte.
James non era ancora tornato, quindi non era ancora l’una. Sirius aveva lo sguardo fisso sulla finestra, e ogni tanto osservava il rettangolo di luce sul pavimento.
Era una sua impressione, oppure c’era qualcosa di diverso nella voce di Remus quella notte? Come qualcosa di triste e malinconico? Si disse che forse era tutta colpa della stanchezza e della frustrazione.
Remus non era mai triste. Era ottimista e affrontava tutto col sorriso. Remus non poteva essere triste.
Per un attimo pensò che fosse deluso perché non gli aveva detto dell’appuntamento con Mary, ma non l’aveva detto nemmeno a James e a Peter, e questo li metteva tutti sullo stesso piano. E poi, James non si era arrabbiato, o forse non c’era arrivato affatto.
Si sa, James non era particolarmente deduttivo.
Eppure, Sirius si sentiva in colpa. Forse avrebbe dovuto inventarsi una bugia, ma un conto era mentire a Lily Evans, un altro era mentire al proprio migliore amico.
E poi, non avrebbe saputo come non farsi tremare la voce: non aveva mai detto una bugia a Remus. Mai.
«Lunastorta…»
«Mh?»
«C’è qualcosa che non va?»
«Non riesco a dormire.»
«E perché?»
«Non lo so, sarà che la luna piena è vicina…»
Ma c’è appena stata la luna piena, Rem. – Avrebbe voluto dire Sirius.
«Sei per caso arrabbiato con me?»
«Perché dovrei?»
«Forse avrei dovuto dirti dell’appuntamento con Mary.»
«Forse. Buonanotte, Felpato.»
Sì, era ufficiale: Remus Lupin era davvero geloso.
 

***

 
Se c’era qualcosa che Lily amava delle domeniche pomeriggio, era stare seduta sull’erba, con la schiena appoggiata ad un albero, mentre leggeva un buon libro. In genere, ogni domenica lei e Severus si sedevano all’ombra della querce più grande di tutto il cortile, ma quella domenica Lily era sola, e aveva con sé una copia de “Il ritratto di Dorian Gray”.
La quercia era abbastanza lontana dal punto di ritrovo di tutti gli studenti, quindi Lily poteva leggere in santa pace. Le piaceva la domenica, soprattutto perché la passava con Severus. Ma adesso Sev aveva deciso di insultarla e trattarla come una nata babbana qualunque, e su questo nessuno poteva fare niente.
La notte prima, a fare la ronda con James, si era dimenticata di tutti i problemi che aveva in testa: i M.A.G.O., la paura di non essere all’altezza del compito da Caposcuola – ma per quello le bastava vedere James Potter per tirarsi su –, Severus…
E come si dice? Parli del diavolo e spuntano le corna…
«Lils…» Sev era in piedi di fronte a Lily, anche lui aveva un libro in mano, ma Lily non riusciva a capire che libro fosse e, in tutta onestà, non le importava affatto.
«Piton.» Replicò lei con freddezza, aprì il libro che teneva in mano ad una pagina a caso e cominciò a concentrarsi sulle parole.
«Dai, Lily. Per tutta l’estate non ho fatto che mandarti lettere chiedendoti scusa.» Disse Severus sedendosi accanto a lei. Lily si allontanò istintivamente, leggendo per la terza volta la stessa frase.
«E io, dopo aver aperto la prima, le ho buttate via tutte.» Disse Lily deglutendo a fatica.
«Da quando siamo a scuola non faccio che cercare di parlarti per chiederti di tornare come prima… ti ricordi, Lils? La domenica ci mettevano sempre qui sotto a leggere.» Le disse ancora, ma Lily non batte ciglio.
Severus sospirò, cercando le parole giuste da dire. «Mi manchi, va bene? Mi manchi e mi dispiace tantissimo per quello che è successo l’anno scorso, mi conosci Lils! Lo sai che non avrei mai detto delle cose del genere in condizioni normali.» Esclamò Severus appoggiando il libro a terra, fissava Lily, che a sua volta teneva gli occhi sulla pagina del libro, senza leggere veramente.
«Ma le hai dette.» Ribadì la rossa.
«Ero appeso ad un albero con Potter che minacciava di tirarmi giù le mutande!» Si giustificò al ragazzo.
«Nel caso non te ne fossi accorto, stavo cercando di aiutarti.»
«Perdonami, Lils.»
«Non chiamarmi Lils.» E quella fu l’ultima cosa che Lily disse, perché poi chiuse violentemente il libro e si alzò di scatto, dirigendosi a grandi passi verso il castello.

 
 

 

 

 


NdA: Ciao gente! *3* Sono tornata, dopo dodici imperdonabili giorni di silenzio, con il secondo capitolo! La scuola mi ha praticamente distrutta D:
Ma l'importante è che abbia trovato il tempo di scrivere questo capitolo. Dunque, qui comincia a delinearsi un po' la storia e le varie coppie presenti. Che ne pensate di Mary e Sirius? Se non shippassi Wolfstar (e se la Wolfstar non fosse tra le coppie, nell'introduzione) sarebbero carini, forse, però mi sto zitta. Non voglio spoilerarvi nulla. u___u 
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, mi sto davvero impegnando tantissimo per questa storia :3
È un commento un po' striminzito, oggi, perché ho pochissimo tempo e un mucchio di cose da fare. Ringrazio chi ha messo la storia tre le seguite e le preferite, Lily Kenobi che ha recensito lo scorso capitolo e Aven90 che ha recensito il prologo :)
Spero in vostro commento, fatemi sapere cosa ne pensate. (Ribadisco, le critiche sono ben accette:  servono per migliorare, e dato che a questa storia ci tengo vorrei dare davvero il massimo ;__;)
 A presto!
Marianne


Ps: Nuovo banner! Dopo anni sono riuscita a far uscire fuori qualcosa di decente ^^"  

 

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Capitolo 4
*** Il nemico del mio nemico è mio amico. ***



 

 

 

CAPITOLO 3 – IL NEMICO DEL MIO NEMICO È MIO AMICO.
 

 

Alice Prewett era una ragazza apparentemente normale: aveva i capelli marroni, gli occhi azzurri e le lentiggini sul viso. O meglio, Alice Prewett aveva i capelli marroni, gli occhi azzurri, le lentiggini sul viso e una cotta colossale per Frank Paciok.
Non sapeva con esattezza quando e come era iniziato il tutto, forse alla fine del sesto anno, quando Frank l’aveva salutata con un bacio sulla guancia alla stazione; oppure quando, verso la metà di Luglio, le era arrivata una lettera da parte del ragazzo, che le chiedeva come stava passando le vacanze.
Insomma, c’erano così tanti fattori che avrebbero potuto essere considerati il motivo della cotta di Alice, ma più passavano i giorni, più la ragazza si rendeva conto che Frank le piaceva soprattutto perché lui era semplicemente Frank.
Non era un ragazzo popolare a scuola, giocava come riserva nella squadra, quindi non appariva nemmeno poi così tanto, durante le partite. Era solare e ottimista, con un gran sorriso sempre stampato in faccia.
Ogni volta che Alice ci parlava sembrava metterla a suo agio, e la rendeva allegra.
Come si dice? Il ragazzo perfetto deve saper farti ridere.
E, in effetti, Alice avrebbe riso ancor di più se fosse venuta a sapere una cosa in particolare su Frank, perché il tutto era talmente buffo da sembrare quasi inverosimile.
La verità, era, infatti, che Frank Paciok non aveva occhi che per Alice dal suo terzo anno, ovvero da quando lei lo aveva aiutato con un compito di Trasfigurazione che, a detta sua, a quell’epoca, era supermegaextradifficile.
In quel momento, e nei tre anni a seguire, era stato troppo timido per fare alcunché. Si era detto che non era nessuno di speciale, che forse Alice l’aveva aiutato solo perché lei era una persona incredibilmente buona e gentile, sempre disponibile per aiutare chi era in difficoltà. Perché era una persona fantastica.
Ma dall’ultimo giorno di scuola dell’anno prima, aveva deciso di darsi una mossa, perché poi ci sarebbero state le vacanze, e dopo ancora l’ultimo anno ad Hogwarts. E dopo chissà se l’avrebbe rivista ancora.
Ecco perché quel lunedì pomeriggio, proprio dopo la lezione di Storia della Magia, un Frank Paciok abbastanza assonnato chiese ad Alice di accompagnarlo a prendere delle cose ad Hogsmeade il sabato seguente. Ed ecco perché un’Alice Prewett  molto elettrizzata aveva accettato con fin troppo entusiasmo, forse, abbracciandolo forte, e stringendolo a sé come se il mondo dovesse finire da un momento all’altro.
Dopo quello, però, si era allontanata velocemente, e poiché era diventata tutta rossa in viso balbettò delle veloci scuse per poi dirigersi di corsa verso la Sala Comune.
«Frank ti ha chiesto di uscire?» Marlene era fin troppo su di giri, quella sera. Lei, Mary, Lily ed Alice erano sedute a gambe incrociate sul letto di quest’ultima, più o meno da quando Alice era entrata in dormitorio rivolgendo a tutte un sorriso a trentadue denti. E le tre, giustamente, avevano chiesto ad Alice il motivo della sua felicità. Anzi, sarebbe meglio dire che l’avevano quasi incatenata al proprio letto al costo di dire loro tutto.
«Sì, insomma… credo di sì.» Mormorò Alice. Non riusciva nemmeno a parlare normalmente tanto era emozionata.
«Che vuol dire “credo di sì”?» Chiese Mary all’improvviso.
«Vuol dire che mi ha solo chiesto di accompagnarlo a comprare delle cose, non di uscire.» Rispose Alice abbassando lo sguardo. Non ci capiva niente nemmeno lei, questo era poco ma sicuro. Ci fu un momento di preoccupante silenzio, durante il quale tutto fu un continuo guardarsi negli occhi senza una risposta precisa.
Anche perché, nessuna di loro conosceva effettivamente Frank. Non avrebbero potuto immaginare cosa gli passasse per testa.
«Alice, i ragazzi sono fatti così! Iniziano con una banale scusa ma poi, tra una cosa e l’altra, finiscono per portarti a letto. » Bofonchiò Marlene alzandosi di scatto dal letto. E fu piuttosto strano, perché Marlene aveva cambiato umore da un minuto all’altro, e non era mai successo prima d’allora.
«Marly…?» Chiese Lily , che fino a quel momento non aveva aperto bocca.
Adesso tutte fissavano la bionda che aveva raggiunto il suo letto e ci si era buttata sopra a pancia in su. Le tre si fissarono, Alice scosse il capo in direzione di Marlene, come per dire che di lei e Frank se ne sarebbe potuto parlare in un secondo momento.
«Tutto bene?» Le chiese Alice sedendosi accanto a lei. Marlene scosse la testa e sospirò tristemente, coprendosi il volto con le mani.
«Avete presente Gary, il mio vicino di casa babbano?» Chiese Marlene. Si alzò a sedere sul letto e  si portò le ginocchia al petto, e vi posò sopra la testa. Le tre annuirono. «Ecco, quando sono tornata a casa noi… ci siamo messi insieme.»
«TU TI SEI MESSA CON QUEL FIGO PAZZESCO E NON CI HAI MAI DETTO NIENTE?!» Mary era fuori di sé. Insomma, quello non era di certo il momento più adatto per cominciare a dare di matto in quel modo, anche perché Marlene era parsa parecchio triste – e soprattutto, era incazzata, avrebbe aggiunto Lily –, ma si sapeva com’era fatta Mary: diceva sempre quello che pensava, senza mettere freni alla lingua.
«Ve lo avrei detto se lui non si fosse comportato da perfetto stronzo!» Ribatté Marlene, forse urlando meno di Mary, ma comunque alzando la voce.
«Marly, calmati e spiegaci tutto dall’inizio, va bene? Magari possiamo aiutarti.» Intervenne Lily.
«Okay. Capitemi, sto cercando di rimuovere la sua faccia dalla mia testa.» Rispose Marlene, poi prese un gran bel respiro «è successo circa una settimana dopo il mio ritorno a casa: i miei non c’erano, e lui è venuto a casa mia per restituire un non-so-cosa a mio padre.
E allora io gli ho detto che poteva darlo a me – qualunque cosa fosse – e lui l’ha fatto. È uscito fuori che era un qualcosa da usare in giardino, figuriamoci, io non so maneggiare nemmeno delle forbici da cucina… Quindi, da brava idiota quale sono, quando l’ho preso mi ci sono tagliata e Gary ha cominciato a farsi prendere dal panico perché c’era sangue ovunque.»
«Non potevi usare un incantesimo?» Chiese Mary perplessa. Marlene era intelligente, certo, ma lei l’aveva sempre detto che mancava  sempre senso pratico.
«Gary è babbano.» Fece notare Lily.
«Oh, giusto. Continua, Marlene.» Disse Mary mordendosi il labbro inferiore.
«Be’, dopo siamo entrati in casa e mi ha fasciato la ferita – nel mio bagno, precisiamo, che è più piccolo dello sgabuzzino delle scope di Gazza –, e poi mi ha baciata.» Concluse Marlene.
Lily, Alice e Mary erano a bocca aperta, anche se sapevano che il peggio doveva ancora arrivare, tuttavia, Mary non riuscì a trattenersi: «OH MERLINO!» E per tutta risposta ottenne uno scappellotto da parte di Lily. Ultimamente le piaceva zittire al gente in quel modo, vedasi l’altra notte con James.
«E poi, sapete come funziona, un bacio tira l’altro e…»
«Marlene, sei andata a letto con Gary?» Chiese Alice chiaro e tondo, tant’è che le altre si stupirono quando la sentirono fare quella domanda. Alice non era così schietta, di solito. Era lei quella riservata e tremendamente timida, di solito.
«Ragazze, non ho idea di come sia successo! I miei non c’erano, lui era così bello e… faceva così caldo, il mio cervello non ragionava.» Rispose Marlene per giustificarsi, parlava di fretta, mangiandosi le parole e gesticolando. «Lo so che mi sono comportata come una... sì, insomma, avete capito, ma non doveva finire così. Lui mi piaceva da tre estati e io piacevo a lui...»
«E poi? Hai detto che ha fatto lo stronzo.» Disse Lily.
«Sì, ma molto poi. Mi spiego: per due mesi è stato carinissimo. Uscivamo, andavamo al cinema e mi portava a cena fuori, io credevo di essermi innamorata di lui.» Sospirò Marlene, fece una pausa nella quale non fu altro che silenzio, e poi ricominciò: «poi gli ho detto che come tutti gli anni sarei dovuta partire per andare a scuola, e a quel punto mi ha confessato che quella volta era stato tutto un errore, che non avrebbe dovuto baciarmi e… tutto il resto.»
«Marly…» Iniziò Mary «Mi dispiace tanto.» E allora l’abbracciò, poi si unirono anche Lily e Alice.
«Non so, credo di avere una specie di maledizione: tutti i ragazzi che mi piacciono si allontanano da me.» Mormorò la bionda.
«Troverai anche tu la persona giusta, Marly, tutti la troveremo, prima o poi.» Disse infine Lily.
Le altre annuirono, e Marlene si accoccolò sulla spalla della rossa sorridendo amaramente. Infine, decisero di prepararsi per andare a cena dato che Lily stava letteralmente morendo di fame.
Non aveva avuto ancora l’occasione di chiedere a Mary della famosa scappatella notturna per incontrare Sirius Black, ma si ripromise che la mattina dopo avrebbe cominciato a farle così tante di quelle domande che alla fine avrebbe ceduto sicuramente.
 

 

***

 

 
«Mocciosus.» James aveva scelto davvero un ottimo posto per aspettare Severus Piton: la biblioteca. Non che James frequentasse molto quel posto, ma se voleva essere sicuro di trovarlo, avrebbe dovuto fare un piccolo sacrificio.
«Lasciami stare, Potter.» Borbottò Severus cercando di ignorarlo. Lo superò, e James non lo trattenne in alcun modo, semplicemente, si limitò a tirare fuori il suo punto debole. Forse quello di entrambi.
«Voglio parlarti di Lily.» Disse James, e solamente il nome di lei spinse Severus a non continuare a camminare verso i Sotterranei. Era Lily che lo teneva ancorato lì, sotto gli occhi di James Potter.
Allora di voltò lentamente incitandolo a parlare.
«È triste.»
«E tu che ne sai? Non mi pare che tu sia il suo confidente numero uno.» Sputò Severus guardando male James.
«Non lo sei nemmeno tu, se è per questo.» Disse James, sospirò, cercando le parole da dire, ma queste si dissolvevano sempre, e prendevano la forma del viso di Lily. «Sembra che stia bene, ma in realtà è molto infelice.»
«Mi hai già portato via Lily, adesso sei qui in qualità di mia coscienza per farmelo pesare o cosa?» Disse brusco Severus, aveva il libro di Pozioni sottobraccio e i capelli in disordine. Parecchio in disordine. «Immagino che tu sia soddisfatto ora, Potter.»
«Chiariamo subito una cosa: io non ti ho portato via nessuno. Sei tu che hai incasinato tutto, come ti sei permesso di dirle una cosa del genere? Tu meglio di tutti avresti dovuto sapere quanto è fragile Lily, ma giustamente te ne sei fregato!» James alzò la voce e di conseguenza uscì velocemente dalla biblioteca per evitare che gli arrivasse un libro in testa. Severus lo seguì, perché ormai ci era dentro fino al collo, e l’ultima cosa che voleva era tirarsi indietro.
«Se l’ho fatto è stato esclusivamente per colpa tua. Perché tu ti stavi prendendo gioco di me, perché tu avevi deciso di farmi sembrare un idiota agli occhi di Lily, perché tu… sei un… colossale stronzo, Potter.» Gli gridò contro Piton. Non era preoccupato di attirare l’attenzione, era ora di cena, per questo non c’erano molte persone in giro per i corridoi.
«Non sono io ad aver chiamato la mia migliore amica “Sporca Mezzosangue”. Oh, aspetta, Lily non è più la tua migliore amica, sbaglio? Lei non è più niente per te, adesso. E tu non sei più niente per lei. Accettalo.» Disse ancora James. Le mani in tasca e lo stomaco che brontolava ferocemente. Ma lui l’aveva vista Lily, l’altra notte, quando lo aveva nominato.
Aveva visto la sua espressione triste e aveva ascoltato la sua supplica, che gli chiedeva di non parlare di Severus, che gli chiedeva di non ricordarglielo, che voleva solamente dimenticare quello che era successo.
Perché James non aveva mai perso un amico così caro, e per quanto potesse odiare Piton, doveva ammettere che era stato – e che forse era tuttora – una persona importante per Lily.
E malgrado lei avesse dei risentimenti nei confronti di lui, allo stesso tempo gli voleva ancora bene, perché era stato un compagno di vita, un fratello, un amico fidato, e a dirgli addio per sempre, proprio non ci riusciva.
Non ci sarebbe mai riuscita.
«Senti, picchiami e falla finita. Devo posare i libri e andare a cena, non ho voglia di perdere tempo con te.» Lo provocò Severus.
«No, oggi sono particolarmente magnanimo e non propenso alla violenza.» Rispose James strafottente, era incredibile di come riuscisse a trovare una frase – più o meno – ironica per ogni situazione. Erano quelli i momenti in cui James Potter si compiaceva e stupiva di se stesso.
«Oh, giusto. Non ci sono i tuoi amichetti nascosti da qualche parte e pronti ad aiutarti. Da solo sei un codardo, non è vero, Potter?» Continuò Severus alzando la voce. Per tutta risposta James gli si avvicinò pericolosamente e lo prese per il colletto della camicia.
«Ascoltami, Piton, se c’è un codardo tra noi due, quello sei tu. Sono stato chiaro? Sei una serpe viscida, e come tale ti limiti a strisciare lontano dai guai, te la svigni sempre, fallo anche adesso, te ne do la possibilità.» Gli disse lentamente, i due si guardarono negli occhi, come se volessero sfidarsi, e Severus aveva già portato la mano alla tasca dove teneva la bacchetta, quando James finì la frase: «Uno come te non la merita.»
«Perché, uno come te sì? Uno come te meriterebbe Lily?» Chiese il Serpeverde spavaldo. «Sei solo un pallone gonfiato che pensa di poter fare tutto, ma lei ti odia. A lei non piacciono questi tipi persone, non le piacciono gli sbruffoni come te.»
«Toglitela dalla testa, perché Lily sta male per colpa tua, e tornerà a sorridere solo ed unicamente grazie a me.»
«Vuoi un premio, adesso? Siamo vicini alla Sala dei Trofei, Potter, se vuoi te lo vado a prendere.»
«No,» Rispose James soffocando una risata. «mi basta vedere la consapevolezza di aver perso Lily per sempre sulla tua faccia da schiaffi, Mocciosus.»
 

 

***

 

 
Quel martedì mattina, dopo la lezione di Incantesimi con i Corvonero, Remus Lupin era dell’ idea che l’intera storia dell’umanità – e la sua vita in quel preciso istante – avrebbe potuto essere riassunta in una semplice frase  di sole otto parole, ovvero: il nemico del mio nemico è mio amico.
Era arrivato tardi a lezione, quella mattina, cosa che già di per sé era abbastanza strana, perché Remus non arrivava mai in ritardo, soprattutto se si trattava di lezioni.
Magari gli capitava di tardare a cena, o pranzo, oppure a qualche appuntamento con amici e non – anche se per colpa di un certo Black quest’ultimo punto era trascurato parecchio – ma mai, mai arrivava tardi alle lezioni.
Era incredibilmente preciso, e anche abbastanza pignolo. Non si sapeva spiegare come mai si era svegliato tardi, sapeva solo che il dormitorio era vuoto quando si era alzato dal letto, e per trovare il suo dormitorio vuoto doveva essere veramente tardi.
Non aveva fatto nemmeno colazione, e la fame si fece sentire non appena varcò la soglia dell’aula di Incantesimi, provocandogli un fastidioso formicolio all’altezza dello stomaco.
Sicuro sia solo fame, Remus?
Ah, già. Come se non bastasse, dalla sera prima aveva quella fastidiosa vocina a ronzargli nella testa, come… una sorta di coscienza, ecco. E talvolta Remus le rispondeva pure, magari quando nessuno l’ascoltava, perché non voleva sembrare uno scemo.
Si scusò velocemente con il professor Vitious e prese posto vicino ad un Corvonero, perché tutti gli altri erano già occupati.
Che razza di amici.
James infatti era seduto vicino a Sirius – il quale minacciava di addormentarsi sul banco da un momento all’altro –, erano all’ultimo banco della fila centrale, vicino a quello dove era seduto Peter, vicino a Marlene; quattro banchi più avanti c’erano Lily e Mary, e accanto a loro l’unico posto vuoto.
Il suddetto posto era vicino – come detto prima – ad un Corvonero: ricci capelli neri e occhi azzurri, fissava Remus da quando era entrato. Fissava pericolosamente Remus da quando era entrato.
E Remus non avrebbe potuto fare altrimenti, quindi sospirò e si trascinò al primo banco. Proprio quello davanti alla cattedra, logico.
La lezione si era svolta in silenzio, il Corvonero non aveva aperto bocca e aveva seguito – e riportato minuziosamente su una pergamena – la lezione del professor Vitious, non si era lasciato scappare una parola o un esempio, e già questo lo rendeva strano.
Poi, quando mancarono ormai solo cinque minuti, il ragazzo in questione parlò, e Remus sobbalzò sulla propria sedia per lo spavento. Si rese conto di non aver mai sentito la voce del ragazzo, che era stranamente fine e soffice.
«Piacere, Austin. Krueger. Tu sei?» Gli chiese allora.
«R-emus. Remus Lupin.» Si accorse di avere la voce roca, e se la schiarì con un colpo di tosse. Scosse la testa e tornò a concentrarsi sul libro.
«È strano che non ci siamo mai visti prima, vero?» Chiese Austin riponendo le pergamene dentro a cartella.
«Stranissimo.» Si limitò a dire Remus. Quella situazione non gli piaceva affatto, aveva un terribile presentimento e una paura matta di verificare se fosse vero o meno.
La lezione giunse al termine, tutti si alzarono e alcuni uscirono a mo’ di fulmine dall’aula. Remus si accorse di essere ancora seduto quando Lily e Mary gli passarono davanti, e lui riuscì a sentire una domanda della rossa.
«Mary, non hai mai parlato con Black prima d’ora, perché avevi un appuntamento con lui l’altra notte?» Aveva detto Lily, e Remus si era lasciato prendere un’altra volta dalla gelosia.
Dannazione.
«Che lezione hai adesso?» La voce di Austin lo riportò alla realtà, facendogli dimenticare Mary e Sirius per un momento.
«Divinazione.» Rispose Remus alzandosi.
«Oh, io ho un’ora libera, se ti va ti accompagno fino alla Torre dei Corvonero, tanto devi passarci comunque per andare a Divinazione.» Disse raggiante Austin.
Sì, Remus aveva decisamente un brutto presentimento, e ogni minuto che passava l’idea che aveva in testa sembrava prendere sempre più forma. Ma, dopotutto, sarebbe stato scortese rifiutare, magari Remus si era fatto solo mille seghe mentali, magari quell’Austin era solamente un ragazzo che cercava di fare amicizia, magari era del tutto innocuo.
E quando mai Remus Lupin aveva ragione su qualcosa?
«Allora, amico, qual è il tuo problema?» Chiese Austin mentre uscivano dalla classe.
«Io non ho nessun problema.» Borbottò Remus, sperò di arrivare davanti la Sala Comune del Corvonero in fretta, perché si stava già pentendo di aver accettato lo strano invito di quel tipo.
«Tutti abbiamo dei problemi, e nel tuo caso ce lo hai scritto in faccia.» Disse di rimando il ragazzo moro.
«E va bene…» Sbuffò Remus «c’è una persona che… mi piace, ma sta uscendo con un’altra persona.» Disse Remus, come ci era arrivato così in basso? A farsi dare pareri da uno conosciuto da pochissimo tempo? Bah.
«Ti capisco, sono nella tua stessa situazione.» Disse Austin. «Lei è carina?»
Remus deglutì, istintivamente avrebbe risposto con “Sì, Sirius è bellissimo”, ma non si fidava ancora abbastanza di Austin da rivelargli il fatto che gli piacessero i ragazzi, e poi, quel tipo sembrava etero al cento percento.
Anzi, al centodue percento, tanto per essere sicuri.
«Abbastanza.» Rispose infine Remus.
«Guarda, io non so come ci si comporti con le ragazze, ma credo che questo ragionamento valga per tutti gli esseri umani.» Disse Austin. Remus si bloccò: aveva capito male, oppure quell’Austin Krueger gli aveva appena fatto capire di essere gay? Insomma, in genere Remus non sbagliava mai, ma quella volta l’idea non l’aveva neppure sfiorato. Nemmeno un po’.
E, cosa più importante, i suoi terribili presentimenti erano veri.
«Immagino di sì.»
«Chi è?»
Merda.
«Ehm… Mary McDonald.» Remus disse il primo nome che gli venne in mente, anche perché dire che Mary c’entrasse qualcosa in tutto quel casino non era comunque una bugia, era una mezza verità, ecco.
Con la differenza che era Mary quella da eliminare, non Sirius.
«Remus, sei a cavallo.» Gli disse Austin, aveva stampato in faccia un sorriso a trentadue denti.
«E perché?» Gli chiese Remus, adesso era parecchio confuso, invece. «Non  capisco cosa tu abbia in mente.»
«Ascolta e impara, Remus Lupin.» Iniziò Austin, si schiarì la voce e continuò: «A te piace Mary, che sta uscendo con il tuo migliore amico, quindi, per farla ingelosire devi uscire con la sua migliore amica.»
Primo, come faceva Austin a sapere che Sirius era il suo migliore amico? E, secondo, avrebbe davvero dovuto far finta di uscire con una delle migliori amiche di Mary, con una ragazza?!
«Lily?» Chiese Remus, Austin svoltò a sinistra.
«Oh, no! La Evans è troppo presa da Potter per accettare di uscire con te.» Rispose Austin. «Marlene McKinnon.»
«Ma…»
«Ascolta, abbiamo un obiettivo comune, noi: allontanare Sirius Black e Mary McDonald, ci sei?» Chiese Austin bloccandosi a metà delle scale, guardò Remus.
«No, non ci sono.» Disse sinceramente Remus, erano quasi arrivati alla Sala Comune Corvonero, c’erano mezza rampa di scale e qualche corridoio a separarli. Si maledì per non aver camminato più velocemente.
«Se si mollano, tu avrai Mary e io Sirius, non è così difficile da capire.» Ecco, più semplice di così Austin non avrebbe potuto farla. E a Remus venne voglia di spaccargli la faccia. E diventò più geloso di quanto non lo fosse quella mattina, perché adesso erano in due a fare la gara per Sirius.
E allora, dopo aver scaricato con non molta grazia Austin davanti la sua Sala Comune, Remus si allontanò velocemente, anzi iniziò proprio a correre verso la Torre Nord, augurandosi di non avere allucinazioni che gli avrebbero fatto vedere il volto di Austin Krueger ovunque perché avrebbe preso tutti a pugni, e davvero non ci teneva a mandare mezza Hogwarts in  Infermeria.
Sarà anche vero che il nemico del mio nemico è mio amico, ma quando il nemico del mio nemico è a sua volta un mio nemico, a questo punto che succede?
 

 

 
 

 

 

 

NdA: Saaaalve a tutti! Il tempo che ci metto ad aggiornare si accorcia, l'altra volta erano dodici giorni oggi sono undici *le tirano pomodori in testa* *ci fa il sugo* *le viene fame*
Okay, lasciate perdere. Ecco qui il terzo capitolo! Personalmente, è uno dei miei preferiti fino a questo momento, c'è l'apparizione di Austin Krueger, primo dei pochissimi OC che ci saranno in questa storia che avranno un ruolo abbastanza fondamentale (insomma, uno dei pochi OC che arriverà fino alla fine della storia, o forse no... muahahaha). Proprio su Austin voglio conoscere i vostri pareri, cosa ne pensate? ^^
E, invece, parlando del capitolo, quali sono state le vostre impressioni? Mh, so che qui di Jily ce n'è veramente poco, ma ho deciso di dare spazio agli altri personaggi e alle altre coppie visto che non sono pochi, mi incasinerò di brutto, me lo sento. xD Per farmi perdonare vi assicuro che il prossimo capitolo sarà quasi interamente dedicato a James e Lily :3 Ringrazio tutti quelli che recensiscono e seguono/preferiscono/ricordano la storia ♥
Ora sparisco, vi auguro biona giornata e.. recensite!
Marianne

 

 

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Capitolo 5
*** Di sogni e racconti. ***



 

 

CAPITOLO 4 – DI SOGNI E RACCONTI.
 

Avete presente quando, dopo un’estenuante giornata scolastica, piena di compiti e quant’altro, dovreste sentirvi così stanchi da non riuscire nemmeno a raggiungere il letto per dormire ma, al contrario, vi sentite stranamente pieni di energia?
Bene, era proprio così ce si sentiva James Potter quel venerdì sera, mentre aspettava Lily per andare a fare la solita ronda settimanale.
Sarebbe stata la terza volta, quella sera, e le due ronde precedenti non erano andate affatto male; certo, se si escludevano, forse, l’appuntamento segreto di Mary e Sirius, risalente a due settimane prima, e la volta in cui James aveva accidentalmente spento il suo Lumos per un attimo, facendo sì che Lily andasse a sbattere contro un’armatura.
Ma eccetto questi piccoli ed insignificanti particolari – come li definiva James – era andato tutto alla perfezione, e se non fosse stato per la Evans, James si sarebbe addirittura annoiato a girovagare per il castello di notte.
Si voltò verso le scale e vide un turbine di capelli rossi scendere velocemente, rischiando persino di inciampare nei suoi stessi piedi.
«Eccomi!» esclamò Lily togliendosi i capelli dal viso. «Scusa il ritardo.»
James le sorrise, senza dire nulla, soffermandosi ad osservare le sue guance arrossate per la fretta e gli occhi verdi, pieni di quella strana luce che gli piaceva tanto.
Poi, il ragazzo si avviò verso il buco del ritratto e Lily lo seguì a ruota, portando istintivamente la mano sinistra alla tasca dei jeans, dove teneva la bacchetta, giusto per controllare che ci fosse ancora.
Una volta che furono fuori in corridoio, James si schiarì la voce, attirando l’attenzione di Lily e le chiese: «Evans, ti va di fare qualcosa contro le regole?»
«Solo per questa domanda potrei piantarti qui e continuare la ronda da sola» rispose Lily scherzando «Dipende: quanto contro le regole?»
«Nemmeno poi così tanto.» disse James sorridendo.
Lily sospirò. «Allora ci sto. Stupiscimi, Potter.»
E se James Potter annuì tranquillamente, quello che stava accadendo nella sua testa era tutt’altro che tranquillo: i suoi neuroni aveva cominciato a ballare la conga e un’esaltata vocina gridava di gioia e di stupore, dicendo cose del tipo “Wow, la Evans ha deciso di infrangere il regolamento insieme a me. La Evans!”
«Potter, va tutto bene?» chiese Lily destando James dai suoi pensieri tutt’altro che normali.
«Sì, meravigliosamente.» esclamò il ragazzo. Svoltò poi a destra, e quando si rese conto di essere davanti l’arazzo di Barnaba il Babbeo si arrestò.
«Eccoci arrivati, Evans.» disse indicando la parete apparentemente vuota di fronte a loro.
«Una parete vuota. Potter, sul serio?» chiese Lily scettica.
«La tua ignoranza mi sorprende, Evans. Questa non è una semplice parete, è la parete! E adesso silenzio, che devo concentrarmi.» spiegò James facendo un passo avanti. Lily inarcò le sopracciglia per la sorpresa e incrociò le braccia al petto, visibilmente confusa.
Dopo qualche secondo di sentirono dei rumori strani provenire dalla parete e Lily alzo la bacchetta per farsi luce, e vide una grande porta comparire proprio nel bel mazzo del muro.
«Potter…» sibilò Lily stupita.
«Cosa pensi che stesse facendo Sirius l’altra notte? Non appena Mary fosse arrivata, sarebbero entrati qui.» disse James indicando la porta.
«Cos’è qui, esattamente?» chiese Lily ancora confusa.
«La Stanza delle Necessità, Evans.» rispose James. «appare solo quando hai bisogno di qualcosa in particolare.»
«E tu di cosa hai bisogno?»
«Di un posto dove mancare ai miei doveri di Caposcuola con te.» disse James.
«Ma Potter, non possiamo…» cercò di ribattere Lily.
«Oh, andiamo! Lascia cadere la tua maschera per un po’, Evans, sei perfettamente consapevole che non succederà niente di grave in nostra assenza.» la incitò James, e poi, quasi senza pensarci, la prese per mano e se la trascinò dietro fino alla porta, l’apri e i due entrarono.
Appena la porta si richiuse alle loro spalle, Lily sentì la leggera brezza autunnale solleticarle il viso, e dovette tirare giù le maniche maglioncino per il freddo.
Abbassò lo sguardo sui suoi piedi, e capì di camminare su un pavimento d’erba appena tagliata, tant’è che riusciva persino a sentirne il profumo; poi l’alzo e vide un cielo stellato, e non poté che meravigliarsi della magnificenza di Hogwarts, e di come nei sei anni precedenti non aveva mai scoperto cose come quelle.
«Siamo ancora…?» cominciò Lily.
«Sì,» rispose James senza ascoltare la domanda della ragazza. «siamo ancora ad Hogwarts, al settimo piano, nella Stanza delle Necessità.» disse James dolcemente.
«È… wow.»
«Sì, lo so. Lascio sempre tutti a bocca aperta.»
«Idiota.»
«Guarda.» James indicò a Lily un punto al centro della “stanza” e in quell’esatto momento alcune scintille parvero nascere dalla terra, solo in seguito Lily scorse un mucchietto di legna. Le scintille si moltiplicarono fino a creare un vero e proprio falò.
«Però… che originalità, Potter, sono sorpresa» disse Lily con una punta di ironia. «E adesso cosa dovremmo fare?»
«Io ho escogitato tutto fino a questo punto, adesso tocca a te, Evans.» ribatté James alzando gli occhi al cielo.
«Per cominciare, allora, direi di sederci.» disse Lily, lasciò andare la mano di James – e si sorprese del fatto che la stesse ancora stringendo; di come le loro mani combaciassero perfettamente l’una con l’altra. Si avvicinò al fuoco e vi si sedette vicino.
Guardò James per invitarlo a fare lo stesso, e lui non se lo fece ripetere una seconda volta.
Quando furono l’uno davanti all’altra, separati solamente dal fuoco che continuava a scoppiettare, James scoprì di non avere la più pallida idea di cosa dire o fare; di sentirsi in imbarazzo con una ragazza, e non sapeva nemmeno come comportarti, perché non gli era mai capitato prima.
«Sai, prima che io e Severus litigassimo, ogni domenica leggevamo insieme un libro. Li avevamo programmati per tutte le domeniche di quest’anno: dopodomani sarebbe toccato a “The Canterbury Tales” » disse Lily per rompere il silenzio.
«Che cos’è?» chiese James.
«Un classico della letteratura babbana, non penso che tu te ne intenda» rispose Lily. «Parla di un gruppo di persone che, nella strada verso Canterbury e ritorno, si raccontano delle storie.»
«E perché mai dovrebbero?» chiese James interrompendo la ragazza.
«È un libro, James,» rispose Lily. «e comunque, era una sfida: a chi avrebbe raccontato la storia più bella, l’oste avrebbe regalato un pasto.»
«Ah be’, quando c’è del cibo gratis in palio…» scherzò James.
«Comunque, non penso ti interessi molto.» disse Lily guardando a terra.
«Oh no! Invece mi interessa, come gli è venuta l’idea, a questo tipo?» chiese James mettendosi la mano sotto al mento. Lily sorrise.
«Be’, ha preso l’idea da un’opera italiana, sai? Il Decameron, anche questo è una raccolta di storie.» disse ancora la rossa.
«Ma non sarebbe plagio, o qualcosa del genere?»
«James! Era il quattordicesimo secolo, non esisteva il copyright.» esclamò Lily.
«Giusto… di che parla quest’altro libro?» chiese James. Lily in realtà l’aveva capito che a Potter del Decameron non gliene fregava nulla, ma il modo in cui fingeva di interessarsi alla cultura babbana la faceva sorridere dolcemente.
«Dei ragazzi che, per sfuggire alla peste, si rifugiano in una villa di campagna fuori Firenze, e per passare il tempo raccontano delle storie.» disse Lily.
«Facciamolo anche noi.» propose James spalancando gli occhi-
«Scrivere un libro?»
«No, Evans, raccontiamoci delle storie.»
«Wow… inizia tu, Potter, hai tanta di quella fantasia.»
«Va bene,» iniziò James, si schiarì la voce e stette un momento in silenzio a raccogliere le idee. «allora, vediamo un po’… C’era una volta, in un antico… college scozzese, un bellissimo ragazzo di nome Pames Jotter.»
«Pames Jotter? Sul serio?» lo interruppe Lily in preda alle risate.
«Non interrompermi, Evans, impedisci al mio estro di uscire fuori dal guscio.» disse James con aria solenne, per quanto sembrasse di fare il serio, proprio non ci riusciva, perché un sorriso, alla fine, scappava anche a lui.
«Allora continua, maestro.»
«Costui, anche se era bellissimo, era un povero sfigato e aveva solamente tre amici: Birius Slack, Lemus Rupin e Meter Pinus…» continuò James.
«PINUS!» squittì Lily, ormai sdraiata a terra per le troppe risate. «Scusa, vai pure avanti.»
«Questi quattro ragazzi, di cui Pames era il più bello, però, un giorno andarono tutti insieme da una ragazza, che si chiamava Eily Levans.» Lily a questo punto inarcò le sopracciglia e storse un po’ il naso. «Questa ragazza dai capelli rosso fuoco – si diceva infatti che chi li toccasse si bruciasse – aveva sempre detestato il povero Pames, perché non voleva ammettere che in realtà lo amava, così quel giorno, quando lui le chiese di uscire, lei lo picchiò.»
«Hey! Io non picchio le persone.»
«Ma infatti qui stiamo parlando di Eily, non di te, Evans.» specificò James, e Lily alzò gli occhi al cielo. «Comunque, dopo averlo picchiato Eily si sentì in colpa, e accettò l’invito di Pames. All’appuntamento si baciarono e vissero per sempre felici e contenti. Fine.»
«Questa storia faceva pena, Potter.» disse Lily alla fine.
«Ma come? Ci ho messo tanto di quell’impegno…» protestò James. «Sarebbe comunque più bella della tua.»
«Scommettiamo?» chiese Lily assottigliando gli occhi, alla fine si era rimessa seduta a gambe incrociate sull’erba e aveva guardato James dritto negli occhi, se non ci fosse stato il fuoco a separarli probabilmente li avrebbero separati solo pochi centimetri.
«Avanti, ci sto! Chi vince decide il premio.» rispose James esaltato. Già pregustava il suo, anche se sapeva di essere in netto svantaggio, poiché avevano scommesso dopo che James aveva raccontato la sua storia, ma la Evans sapeva di essersi scavata la fossa sola…
«C’è un solo un insignificante problema.» … ed ecco come cercava di rimediare.
«Ovvero?» chiese James.
«Non ci sono giudici esterni, tipo l’oste Henry in “The Canterbury Tales”.» rispose Lily.
«Saremo i giudici di noi stessi, allora.» continuò James. Era convito di poter vincere, voleva vincere, a tutti i costi. Non sapeva ancora cosa chiedere come premio, ma una cosa era certa: prevedeva Hogsmeade e la Evans allo stesso tempo.
«Non avrebbe senso, Potter.» disse Lily piano, buttando fuori l’aria che si era sorpresa a trattenere.
«Sto ancora aspettando la tua storia.» la incalzò James guardandola.
«Ti odio anche per questo, sappilo.» sibilò minacciosa la ragazza, ma, dopotutto, con un tono divertito e bonario.
Si raddrizzò e deglutì, rimanendo in silenzio per un po’. Pensava a come creare una storia migliore di quella di Potter, anche se, alla fine, non è che ci volesse poi molto. Ma fare una cosa elaborata non aveva senso, non avrebbe avuto alcun senso.
«C’era una volta un ragazzo dai capelli rossi, non aveva un nome particolare. Era triste e depresso, ma tremendamente intelligente, di recente aveva fatto molti casini, perdendo così la sua migliore amica.» disse Lily, poi si morse il labbro: stava praticamente descrivendo la sua vita.
«Questo ragazzo veniva continuamente assillato da una ragazza dai capelli neri parecchio prepotente e tenace, lei aveva un nome molto comune, ma tutte le sue amiche la chiamavano con un soprannome che il ragazzo dai capelli rossi non si era mai riuscito a spiegare.
Un giorno, questa ragazza andò da lui, e gli chiese di uscire. Lui alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e le disse di no. Così, presa dalla disperazione, la ragazza si strappò i capelli e si buttò nel Lago Nero. Fine.»
«Che tristezza, Evans. La mia è di gran lunga migliore.» disse James tirandosi su le maniche del maglione.
«Sapevo che te ne saresti uscito con una frase idiota come questa.» sbuffò Lily alzando gli occhi al cielo.
«Visto che mi conosci così bene, perché non esci con me, Evans?» chiese James con un sorrisetto malandrino sul volto.
«No.» rispose secca Lily, sbuffò di nuovo, e sentì un disperato bisogno di vedere che ore fossero. Le sembrava di stare lì dentro da ore.
E quasi immediatamente sì sentì il rintocco di alcune campane, Lily spalancò gli occhi, sorpresa, e contando capì che era solamente mezzanotte.
«E nel caso non lo avessi capito, Potter, la ragazza che si butta nel Lago Nero eri tu.» disse infine.
«Calcolando che le probabilità che io commetta un suicidio siano più basse dello zero virgola due percento, Evans, lo apprezzo comunque. Almeno ero “una bellissima ragazza”.»
«Era per dire, per descriverla almeno un po’, non intendevo dirlo davvero.» si giustificò la ragazza.
«Oh, forse no, però l’hai pensato.» disse James.
«Cosa?»
«In realtà non l’hai detto. Hai detto solo che la ragazza aveva i capelli neri, però non hai negato nulla quando ho tirato fuori questa bugia, quindi vuol dire che lo pensi.»
Lily arrossì violentemente. «Non lo penso, smettila di montarti.»
«Si chiama pepsicologia, Evans, e vale per tutti gli esseri umani, tu non sei da meno… a meno che tu non sia una specie di lucertola o non so cosa.»
«Psicologia, Potter, si dice psicologia.» lo corresse Lily sbuffando.
«Tralasciando tutto questo, dillo che ti piaccio Evans, saremmo più felici entrambi.»
«Non mi piaci, Potter.» e detto questo, si alzò da terra con uno scatto repentino, si voltò, dando le spalle a James e guardò il vuoto, cercando di identificare la porta: voleva solamente uscire.
«Smettila di mentire a te stessa.» disse ancora James.
«Non mi piaci, Potter, mettitelo in testa. Potrai essere bello come il sole, e così affascinante da fare cadere persino la McGranitt ai tuoi piedi, ma non mi piaci. Non mi piaci perché sei egocentrico, e troppo sarcastico, perché prendi le cose troppo alla leggera anche quando sono serie; perché mi fai sentire fuori posto; non mi piaci perché dovrei odiarti, e perché riesci a far crollare i miei muri. Non mi piaci, James, non voglio che tu mi piaccia. Non puoi piacermi.» e quasi le urlò quelle parole, tanto lì dentro nessuno poteva sentirli.
Le pizzicavano gli occhi, e quando provò più freddo del solito sulla guancia destra, capì che le era scesa una lacrima. Se l’asciugò velocemente e cominciò a camminare verso la porta, non sapeva dov’era, voleva solo trovarla e uscire di lì.
Allontanarsi da James.
Ma lui la raggiunse quasi subito, e le chiese di spiegargli tutto quello. Perché glielo aveva detto solo adesso? Perché si ostinava a non parlarne con nessuno e a tenersi tutto dentro?
Avrebbe anche voluto chiederle come una persona potesse convivere con tutti quei sentimenti – la perdita di un amico, la confusione, la tristezza, il fingersi forti quando si è deboli, la scuola, le preoccupazioni e la paura – e uscirne viva tutti i giorni.
Ma lei si limitò a divincolarsi facilmente quando James le mise le mani sulle spalle, correndo via verso la sala Comune.
 

***

 
La pelle di Sirius era calda, bollente. Sembrava però raffreddarsi ad ogni tocco di Remus. Non sapeva come ci erano finiti sul letto di Sirius, le tende scarlatte erano chiuse. Remus non sapeva nemmeno che ore fossero, o che giorno fosse. Remus non pensava, o meglio, non riusciva a pensare.
Non con le mani di Sirius sulla schiena, nei capelli, sul petto e sulle spalle. Non con la bocca di Sirius sulla sua. Chiuse gli occhi, percependo l’ universo spostarsi.
Sirius lo baciava sulla bocca, e poi sul mento, e ancora nell’incavo del collo, sulla spalla. Remus spalancò gli occhi, forse perché aveva sentito la pelle tendersi sotto i denti di Sirius.
«S-Sir…»
«Shh. Non parlare.» e così dicendo Sirius si staccò da Remus solo per un momento, un momento gli parve infinito, perché Remus voleva continuare a baciarlo, voleva solo quello.
E senza nemmeno rendersene conto, Remus si ritrovò con la schiena schiacciata contro il materasso, Sirius seduto sopra si lui, che lo guardava dall’altro, con gli occhi più neri del solito.
Si sentì sollevare, e fu un quel momento che si rese conto di aver addosso ancora la cravatta. Solo la cravatta, in effetti, la camicia era sparita da un po’.
Incrociò le braccia dietro al collo di Sirius e lo baciò ancora, e ancora, e ancora, finché la vista non gli si appannò, finché tutto non divenne nero, e finché Remus non aprì gli occhi.
Si alzò a sedere di scatto sul letto, fradicio di sudore. Si girò alla sua destra e vide il letto di James vuoto,  e ancora vide Peter dormire tranquillamente.
Si voltò verso sinistra e vide Sirius, che dormiva in una delle sue solite posizioni strane. Si rese conto di star respirando a fatica. Si prese la testa fra le mani e poi passò le dita tra i capelli sudati.
Si alzò in piedi a controllare il calendario, eppure alla luna piena mancavano ancora due settimane, cosa gli stava succedendo?
Cominciò a fare su e giù per la stanza, senza curarsi della confusione che faceva, dei fogli che cadevano a terra, dai passi pesanti e furiosi sulla moquette.
«Remus?» chiese Peter assonnato, aprendo appena gli occhi.
«Torna a dormire, Peter.» disse bruco Remus, si avvicinò al proprio comodino e afferrò un libro a caso, poi, ancora in pigiama, scese di corsa le scale per mettersi seduto su una poltrona accanto al camino. Iniziò a leggere per distrarsi dallo shock – e dall’amaro in bocca – che il sogno gli aveva lasciato.
Non aveva idea di come erano cominciati quei sogni, ma di sicuro quella non era la prima volta: era successo anche martedì notte, dopo aver parlato con quel maledetto Austin Krueger.
Che Merlino lo fulminasse! Avrebbe dovuto saperlo che era solo colpa sua.
Colpa di quel… Krueger. Che poi, che razza di cognome era Krueger, e che razza di nome era Austin? Perché era arrivato tardi ad Incantesimi?
Gli aveva messo in testa tutte quelle idee strane… amici, intrecci, mettersi con Marlene.
Forse l’ultimo punto avrebbe dovuto considerarlo per davvero, si disse Remus; magari sul fatto che esistesse un metodo di conquista universale Austin aveva ragione; forse mettendosi con Marlene, Remus avrebbe fatto ingelosire Sirius comunque.
Una cosa era cera: essere un diciassettenne, lupo mannaro, gay e per giunta innamorato del proprio migliore amico non era quel che si definisce una passeggiata. Anzi, era un vero e proprio incubo.
Remus scoprì che leggere non serviva a granché, perché veniva distratto dal fuoco nel camino,  e il più delle volte si trovava a guardare le fiamme e a pensare a quell’idiota patentato del suo migliore amico… e ai suoi capelli, e ai suoi occhi. Oh, e non dimentichiamoci il suo sorriso.
Oh, al diavolo!
Ma il tomo di Storia della Magia, il calore e il continuo ritmo regolare dello scoppiettare del fuoco gli appesantivano gli occhi, aggiungiamoci, poi, che era notte fonda e il gioco è fatto.
James e Lily rientrarono una mezz’ora dopo in Sala Comune. Lily non era riuscita a ricordarsi la parola d’ordine quant’era sconvolta, e aveva dovuto aspettare James. Erano imbronciati, senza parlarsi e senza guardarsi. Lily poteva credere di essere stata così stupida: fidarsi di James… chissà cosa le passava per la testa.
Lui però su una cosa aveva ragione: quando le aveva detto di calare la maschera per un po’, Lily non aveva replicato, perché era vero che teneva una maschera sul viso, ed era rimasta particolarmente sorpresa dal fatto che James, proprio James Potter, fosse andato oltre le apparenza e se ne fosse accorto.
Tuttavia, aveva fatto un grande sbaglio ad aprirsi con Potter in quel modo. Anche se era iniziato tutto raccontandosi storielle senza alcun senso che alla fine volevano andare a parare solo su loro se stessi.
Che stupida, che stupida, che stupida!
«Che ci fa qui Remus?» chiese James a bassa voce osservando l’amico dormire con il libro di Storie della Magia sulle gambe.
«È amico tuo, Potter.» nofonchiò Lily dirigendosi verso le scale, esitò un momento e poi «’Notte.»
E così dicendo Lily sparì per le scale, sbattendo addosso a Sirius, che invece le stava scendendo.
«Black, cosa diavolo ci fai in piedi?» chiese confusa.
«Non ho sonno e non sono dell’umore, levati dalle palle, Evans.» rispose Sirius molto bruscamente.
Ma che avevano tutti quella notte?
«Forse dovrei svegliarlo…» borbottò James tra sé e sé.
«Faccio io, è che… ho fatto un po’ di casino prima e deve essersi svegliato.» disse Sirius inventandosi la prima bugia che gli venne in mente.
«Oh, va bene. Sto morendo di sonno, buonanotte.» disse James, sbadigliò e si avviò verso i dormitori maschili. Sirius, una volta rimasto da solo, sospirò.
Non sapeva cosa fare. Remus si era svegliato nel pieno della notte, in preda al panico. Aveva visto e sentito tutto, anche lui era sveglio. Ma aveva fatto finta di dormire, perché non avrebbe saputo cosa dire, come rassicurare il suo migliore amico.
E a questo punto gli sorse una domanda spontanea, anzi, due: cosa stava accadendo a Remus? E che razza di amico era, Sirius, se non riusciva nemmeno a capire che nel suo migliore amico c’era qualcosa che non andava, che lo turbava?
Si avvicinò a Remus, che dormiva con la testa piegata sulla spalle e il libro ancora aperto in grembo. Glielo tolse e lo posò sul divano, poi prese una coperta e gliela mise sopra.
Gli faceva uno strano effetto vederlo così: lo rendeva debole e indifeso, mentre Sirius meglio di tutti sapeva che Remus era una persona forte, forse la persone più forte che avesse mai conosciuto. La migliore.
Ed era successo qualcosa di recente, o almeno Sirius se ne era accorto solo ultimamente, perché era dalla notte dell’appuntamento con Mary che lo vedeva strano. Si era distaccato un poco, ma così poco da risultare quasi impercettibile.
Quel poco avanzava ogni giorno, e dopo circa due settimane Sirius aveva colto certi particolari: che Remus a lezione non si metteva vicino a lui; che la mattina diceva di essere troppo impegnato a ripassare per passargli il tè; che la sera andava a dormire presto; che passava del tempo con un Corvonero del settimo anno anziché con lui e che gli aveva mentito diverse volte, anche sulle cose più stupide.
Eppure, a guardarlo dormire così, non riusciva proprio ad immaginare Remus che non gli voleva bene. Non lo svegliò, perché dopo averlo sentito alzarsi di soprassalto e buttare a terra tutto quello che gli capitava sotto mano non gli sembrava giusto. Sirius lo lasciò dormire in pace, e poi se ne tornò di sopra, a cercare di dormire a sua volta.
 



NdA:
Okay, avete tutto il diritto di insultarmi, picchiarmi, lanciami pomodori e quanto altro vi viene in mente. Sono consapevole del fatto che il capitolo faccia altamente schifo, davvero, ma almeno c'è la Jily, no? *la trucidano* *resuscita* Dunque, sto in un periodo della mia vita in cui TUTTO è Decameron. TUTTO. (È che a Marzo abbiamo il compito e la mia copia è ancora avvolta nel celofan). Non mi va di leggerlo, capite? çç Sono immersa nel Marchio di Atena in questo momento AHAHAHA.
Dunque, ecco perché il capitolo è talmente ridicolo e banale. Tuttavia, il fatto d'aver avuto un briciolo d'ispiazione lo devo tutto alla mia compagna di banco, con cui divorzio (?) almeno dieci volte al giorno (ciao, Terry ♥). Bene, sparisco, prima che cominciate seriamente a spararmi. Dunque, dato che sono convinta e consapevole dell'orrendevolezza del capitolo, sono pronta per le bandierine rosse e bianche: non vi temo! (Seriamente, non esistate a dirmi se fa schifo o meno.) Di solito non sono una che si demoralizza e dice di far schifo solo per pare pietà alla gente, ma questa volta fa davvero schifo, magari non tutto ma una buona parte sì. 
La parte più carina invece è la seconda, (speravate che fosse una VERA scena Wolfstar, ehh? >_> E invece no! Questi due ne passeranno ancora delle belle, MUAHAHAHA).
Adesso vado veramente, ho un tema d'inglese che mi aspetta. Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione :33
Marianne

 
 

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Capitolo 6
*** Guerra e pace (interiori) ***



 

 

   

CAPITOLO 5 – GUERRA E PACE (INTERIORI).
 

 

Il problema principale della squadra di Quidditch del Grifondoro era principalmente l’instabilità emotiva del proprio capitano, James Potter.
Era finalmente iniziata la stagione del Quidditch, c’erano state le sezioni, e il primo allenamento si era svolto in allegria e tranquillità. Cosa più unica che rara.
Adesso, invece, secondo sabato d’Ottobre, l’aria nello spogliatoio era a dir poco irrespirabile – non solo per la puzza di calzini sporchi – infatti, James Potter stava camminando a grandi passi avanti e indietro per la stanza. Gli altri membri della squadra erano seduti sulle panche, appiattiti contro le pareti, troppo spaventati per dire o fare qualsiasi cosa.
Dopo alcuni minuti l’unico che si azzardò a farlo ragionare, o almeno a cercare di parlargli, fu Sirius. E la situazione era così critica, che gli altri gli fecero le condoglianze, anche perché nemmeno Sirius era del tutto convinto che sarebbe mai uscito vivo  da quello spogliatoio, indipendentemente dal fatto che James fosse il suo migliore amico.
«James, non vinceremo mai se siamo così nervosi!» esclamò Sirius alzandosi di scatto dalla panca, James lo fulminò con lo sguardo, e Sirius si rimise seduto. «Cioè, tu non riuscirai a prendere il Boccino se sei così nervoso.»
«Felpato, abbiamo una formazione perfetta, una strategia impeccabile. Non possiamo perdere, è scientificamente impossibile.» ribatté James, si arrestò e piantò i piedi per terra, e alcuni tirarono persino un sospiro di sollievo.
«Ma, James! La predisposizione emotiva è essenziale.» esclamò Sirius.
«Sciocchezze, i migliori giocatori sono sempre stressati, eppure danno il meglio di sé. Possiamo farlo anche noi. Rispose James.
A quel punto, si fece coraggio uno dei Cacciatori, Will Morrison: «Potter, i Serpeverde hanno due nuovi Battitori grandi quanto due armadi, se siamo distratti da qualcosa o…» fu quindi interrotto dal portiere, Logan Baston.
«… o da qualcuno. Come un certo essere umano di sesso femminile comunemente chiamato Lily Evans.» disse il ragazzo in questione, alzando gli occhi al cielo.
«Io non sono distratto da niente, tantomeno dalla Evans» fece James risoluto. «Noi vinceremo questa partita, chiaro? Prenderò il Boccino così velocemente che Madama Bumb non farà nemmeno in tempo a dire “Quidditch”. »
E James Potter non avrebbe potuto sbagliarsi di più.
In effetti, la partita era stata un fiasco totale soprattutto per quattro motivi principali: Lily Evans seduta tra le prime file, i due Battitori Serpeverde, il vento che rendeva impossibile volare decentemente, e ancora Lily Evans seduta nelle prime file.
«’Fanculo.» aveva bofonchiato James una volta entrato in campo.
La partita era iniziata, Sirius era quasi caduto dalla scopa e Baston era svenuto dopo non essere riuscito a schivare il quarto bolide che uno dei due armadi gli aveva tirato, colpendolo in testa, e James aveva perso di vista il boccino per ben due volte. La terza volta gli era stato soffiato da sotto il naso  dal Cacciatore Serpeverde.
Fanculo, decisamente. Ma andiamo con ordine.
Le due squadre si erano alzate in volo, e uno dei due armadi sopracitati aveva già preso a spallate mezza squadra in rosso-oro, tra cui Sirius che nemmeno due minuti dopo l’inizio della partita aveva cominciato a precipitare con tutta la scopa al seguito.
Fortunatamente, a circa tre metri da terra riuscì a raddrizzarsi e a recuperare campo, si ritrovò la Pluffa tra le braccia e cercò di volare contro il forte vento. L’aria fredda gli faceva lacrimare gli occhi, ma ormai era sempre più vicino agli anelli.
All’improvviso, un Cercatore nemico gli bloccò la strada e lo marcò, fu raggiunto da altri due Serpeverde, impennò verso il basso, ma quelli lo seguivano; allora, per non rimetterci la pelle – va bene il coraggio da Grifondoro e tutto quello che volete, ma se mai avesse dovuto morire avrebbe preferito farlo in circostanze diverse da una partita di Quidditch – fu costretto ad abbandonare la Pluffa, lasciandola cadere nel vuoto.
Successivamente, la Pluffa in questione fu presa da una Cacciatrice bionda in divisa verde-argento che in meno di venti secondi era già dall’altra parte del campo e aveva segnato i primi dieci punti della partita.
«Sirius!» gridò James passandogli accanto. «Vola in alto!»
«Ma lo schema…»
«Chi se ne frega dello schema! Non funziona, cerchiamo un altro sistema di gioco!» e allora James volò via, alla ricerca del Boccino. Schivò uno dei Battitori Serpeverde che aveva tutta l’intenzione di andargli addosso, poi vide il Boccino, che volava velocissimo nonostante il vento.
Si tuffò verso il basso per cercare di raggiungerlo, ma non era il solo averlo notato, in più il vento lo spingeva in alto, verso gli spalti. Proprio verso Lily.
Oh, dannazione! Non poteva pensare alla Evans in quel momento critico, in cui stava lottando contro la forza della natura per acchiappare quel maledetto Boccino.
Ma proprio mentre stava per afferrarlo un bolide gli volò accanto alla testa, facendolo barcollare e perdere la concentrazione. Dopo essersi ristabilito sulla sua scopa, James perquisì il campo con lo sguardo e vide un luccichio dorato qualche metro sotto di sé.
Non ci pensò su e si tuffò in picchiata, vide il Cercatore Serpeverde fare lo stesso, dato che molto probabilmente l’aveva visto anche lui. James sfrecciava velocissimo, così come il Boccino; più scendeva e più accelerava, tant’è che qualcuno dagli spalti – vedasi: Remus Lupin – temé seriamente che il ragazzo si schiantasse al suolo, rimettendoci l’osso del collo. D’altra parte, Sirius era troppo in alto perché Remus riuscisse a vederlo, e Peter era impegnato in un coretto insieme ad altri Grifondoro del quinto anno.
Ah, piccolo Peter…
Lily non capiva cosa stesse succedendo, effettivamente, ma dalle espressioni di Marlene e Mary non si trattava di nulla di buono.
«LOGAN BASTON HA APPENA PRESO UN BOLIDE IN TESTA. CADE DALLA SCOPA… OH MERLINO! FATE QUALCOSA: STA PRECIPITANDO.» la voce squillante di Gabriel Butler, Tassorosso del quarto anno, risuonò per tutto lo stadio. Si levarono parecchie grida d’orrore e paura, ma la caduta del portiere fu attutita dalla professoressa McGranitt grazie ad un incantesimo. Baston fu portato nel castello ed entrò in campo Frank Paciock.
«Ma… è Frank!» squittì Alice attaccandosi al braccio di Mary.
Marlene, invece, che con la finezza generalmente ci faceva a botte, aveva già messo le mani accanto alla bocca, e stava prendendo fiato, per poi urlare: «Potter! Sbrigati ad acchiappare quel Boccino del cazzo, oppure ti giuro che ti darò così tanti calci tu-sai-dove che non riuscirai a salire su quella scopa per i prossimi vent’anni!»
«MARLENE!» la riprese Lily.
«Che c’è? Mi sto congelando con questo vento.»
Tornando a James, non appena Logan aveva ricevuto il Bolide in testa, si era girato verso di lui, e aveva perso tre importantissimi secondi, per colpa dei quali, nemmeno tre minuti dopo si ritrovava a rincorrere il Cercatore Serpeverde e il Boccino.
L’aveva quasi affiancato, quando quest’ultimo gli diede una spinta, che però non lo fece demordere. Allungò la mano, cerco di stendere le dita quanto più poteva, ma il Boccino era già nelle mani dell’altro ragazzo che, esultante, aveva cominciato a gridare e a costeggiare gli spalti.
«WILSON PRENDE IL BOCCINO. SERPEVERDE VINCE LA PRIMA PARTITA DI CAMPIONATO!»
E in quel momento, a quell’affermazione, successero tante cose insieme: ad esempio, tutti i Serpeverde meno uno (il ragazzo in questione stava cercando di sgattaiolare silenziosamente verso l’uscita, per aspettare una certa ragazza dai capelli rossi) si alzarono in piedi urlando, sventolando sciarpe e chi più ne ha più ne metta. L’altra metà degli spettatori, perlopiù composta da Grifondoro – ma erano presenti anche alcuni Corvonero, come Austin Krueger, che era venuto a vedere la partita per ben altri motivi – cacciò un verso di delusione e tristezza.
Marlene, invece, era arrabbiata. «Io lo strozzo!» esclamò la ragazza alzandosi indignata.
«Potter?» chiese Mary.
«No. Remus, mi ha chiesto di venire a vedere la partita, mi ha fatto stare qui a gelare per vedere i Grifondoro perdere! E in più si è andato a sedere a chilometri da me insieme e Minus.» rispose la ragazza, aveva cominciato a camminare a passo spedito verso l’uscita del campo, e Mary, Lily ed Alice la stavano già seguendo.
«Come mai Remus ti ha chiesto di venire alla partita? Sbaglio o non vi siete mai parlati prima?» chiese Lily.
«Infatti! Eccetto qualche compito di Trasfigurazione da fare in coppia, non avevamo mai parlato seriamente prima d’ora.» rispose ancora Marlene.
«Bah, i ragazzi, valli a capire.» borbottò Lily.
«Poi dicono che noi donne siamo complicate.» concluse Mary, ottenendo un annuire generale da parte delle altre.
«Ragazze, avete visto Frank? Non aveva mai giocato prima d’ora!» Alice s’intromise, introducendo un argomento di cui non avevano ancora parlato.
«Parleremo di te e di Frank in dormitorio stasera, ti va? Dopotutto, non ci hai ancora raccontato cosa è successo sabato.» disse Marlene.
«Lily…?» Una voce esterna si aggiunse a quella delle quattro ragazze, ma Lily la riconobbe subito – come avrebbe potuto non farlo? Come avrebbe potuto dimenticare la voce che la tirava sempre su di morale, che la rassicurava e che la faceva sentire bene? –, infatti voltandosi vide esattamente quel che si aspettava: Severus. «… potrei parlarti?»
«Noi saliamo in Sala Comune, ti aspettiamo lì, Lily.» disse velocemente Mary, e così dicendo trascinò Alice e Marlene nel castello.
Lily portò la mano destra a stringere il braccio sinistro, e guardò l’erba sotto i suoi piedi. Era incredibilmente imbarazzata. In quel posto, alla fine, non è che ci passasse poi così tanta gente. Erano in completa solitudine.
«Dimmi, pure, ti ascolto.» disse lei continuando a fissare il terreno.
Severus sospirò e deglutì. «Okay… non ti chiederò scusa, perché l’ho fatto già un trilione di volte, e se avessi voluto perdonarmi l’avresti fatto prima.» iniziò il ragazzo. Lily si lasciò sfuggire un sorriso amaro.
«Ma la verità è che non ho mai pensato quello che ho detto. Nessuna di quelle parole mi appartiene, Lily, te lo giuro.» disse Severus. Lily alzò lo sguardo e incontrò i suoi occhi scuri, neri come la pece. Rimase in silenzio, per incitarlo a continuare.
«E… ti assicuro che non me ne frega niente cosa tu sia: Purosangue, Mezzosangue e quelle cazzate lì. Tu sei Lily. La mia Lily, e ti ho sempre voluto bene per come sei, perché sei un’amica fantastica, non per il tuo stato di sangue.» continuò Severus, e la guardò negli occhi mentre lo diceva. Fissava con insistenza gli occhi verdi di Lily, gli occhi che amava in segreto. Gli occhi che, molto probabilmente, non l’avrebbero mai guardato come lui desiderava, ma per il momento, desiderava solo che quegli occhi tornassero a vederlo come Sev, il suo migliore amico.
Lily sorrise, e fece per parlare ma fu interrotta da qualcuno che stava passando di lì. «Hey Evans! Hai visto James?» Era Peter Minus che correva goffamente verso il castello.
«Probabilmente sarà sotto le docce ad affogarsi per aver perso…» rispose Lily senza nemmeno pensarci su. «Non che la cosa mi dispiaccia, comunque.»
E qui Severus sorrise, non seppe nemmeno lui perché. «Scusa…» riprese Lily. «Severus, io so che tu non pensavi seriamente quelle cose, col tempo ci sono arrivata, ma mi hanno ferito comunque.»
«Lo so, Lily, e mi dispiace da morire, ma…»
«Severus, non so se sono stata più male per quelle cose che per i mesi passati senza di te, ma non so nemmeno io cosa sento. Non so nemmeno chi sono, so solo chi fingo di essere: una ragazza forte ma alla quale, in realtà, manca un punto di riferimento, che la tenga legata all’universo. Quindi, ti prego di capire, non so cosa fare.»
Severus stava per rispondere, ma ancora una volta, la loro conversazione venne interrotta, stavolta da Remus Lupin.
«Lily! Hai visto Sirius?» le chiese trafelato.
«Non saprei, forse è Infermeria… Baston ha preso una bella botta.» disse Lily aggrottando le sopracciglia.
«Grazie!» E, detto ciò, anche Remus sparì. Bene, a quel punto non avrebbero più dovuto avere interruzioni, a meno che qualcuno non avesse fatto di Lily la nuova impiegata del punto informazioni di Hogwarts.
«Posso?»  chiese Severus.
«Vai, non so cos’abbiano oggi.»
«… il fatto è che mi manchi, va bene? Non ci parliamo da sette mesi, tu mi eviti e fai anche bene. Ma mi manchi da morire. Eri la mia migliore amica, sei la mia migliore amica» disse il ragazzo. «E sai come faccio a saperlo?» chiese infine.
Lily lo guardò e scosse la testa, poi si ritrovò la mano in quella di Severus e successivamente sopra al suo cuore. «Perché ogni giorno tu sei qui, e batti insieme a lui. Ogni giorno mi manchi, e non sopporterei un’esistenza senza di te.»
E a quel punto, Lily, che tratteneva il respiro e un sorriso dolce, che teneva tutto dentro, che nascondeva tutto, non seppe se mettersi a piangere o cos’altro. Perché lei rivoleva Severus indietro più di ogni altra cosa al mondo, ma se lui l’avesse ferita ancora, molto probabilmente non l’avrebbe sopportato.
«Anche tu mi manchi.» mormorò Lily con gli occhi velati di lacrime.
«Perché piangi, Lils?» le chiese Severus dolcemente.
«Tecnicamente, non sto ancora piangendo.» lo corresse lei.
«Ma l’hai detto tu stessa: fingi di essere forte.»
«Mi puoi abbracciare, Sev?»
E Severus non se lo fece ripetere due volte. Avvolse Lily con le sua braccia e tuffò il viso nei suoi capelli rossi, profumavano ancora dello stesso profumo che lui ricordava; Lily aveva la testa poggiata sulla spalla di Severus e lo strinse forte: le era mancato, eccome, se le era mancato.
Si chiese come diavolo avesse fatto a vivere tutti quei mesi senza parlargli, senza guardarlo negli occhi o senza abbracciarlo, ma era felice che avessero risolto tutto.
Perché Lils non esisteva senza Sev, e Sev non esisteva senza Lils.
E Lily, ancora sulle punte, ancora stretta a Severus, chiuse gli occhi, e sentì per la prima volta in quei lunghissimi mesi una sorta di pace interiore. La sensazione si star bene con se stessa, la sensazione che il quel momento niente e nessuno avrebbe potuto metterla di malumore, nemmeno Potter.
«Sev, sai che giorno è domani?» gli chiese Lily sottovoce, sicura che l’avrebbe sentita.
«Sì, e so anche a quale libro tocca questa settimana.» le rispose lui. Lily sorrise, e allora tornò a poggiare completamente i piedi a terra, sciogliendo l’abbraccio.
«Sono così… contento che noi…» iniziò Severus gesticolando nervosamente, ma Lily lo interruppe subito.
«Non è mai successo niente, okay? Siamo i soliti Sev e Lils, che passano le domeniche insieme, che a Pozioni si mettono seduti vicini, e che saranno migliori amici per sempre, stavolta» disse lei sorridendo. Severus annuì. «Adesso vado, se Marlene non mi vede in Sala Comune penso che mi ucciderà.»
«A domani, Lils.» le disse Severus e Lily ricambiò con un cenno della mano, per poi sparire nell’entrata del castello.
Lei non lo vide. Lily non lo seppe mai, ma ad osservare il tutto c’era stato James Potter, appoggiato alla porta degli spogliatoi, con i capelli umidi e una sacca in spalla. Quando Lily se ne andò rivolse a Severus uno sguardo di puro odio, che il ragazzo non ebbe paura a ricambiare.
Poi, James si avviò a grandi passi nel castello, percorrendo i corridoi a grandi falcate. Superando Lily ed ignorandola.
 

 

***

 

 
James entrò in Sala Comune come un tornado, spintonando studenti e salendo le scale il più velocemente possibile. In dormitorio vi trovò solamente Remus, intendo a leggere un libro.
«Oh, ciao Ramoso…» lo salutò il ragazzo, nemmeno troppo felicemente, perché mentre si dirigeva in Infermeria, aveva visto di sfuggita Austin Krueger nel corridoio del quinto piano, che stava flirtando schifosamente nientemeno che con Sirius. La cosa che lo rallegrava, era che Sirius sembrava piuttosto in imbarazzo e impaziente.
 Forse, si era detto Remus, non vedeva l’ora di levarsi Krueger dalle palle.
«Ciao.» disse freddamente James, mentre scaricava con la grazia pari a quella di un ippopotamo la sacca sul letto.
«È successo qualcosa?» chiese amichevolmente Remus appoggiando il libro sul letto. «Oltre ad aver perso, intendo.»
«Oh no! Assolutamente nulla. Ho solo visto la Evans parlare con Mocciosus, abbracciare Mocciosus, sorridere a Mocciosus. Quei due hanno fatto pace, e io non ho più alcuna chance.» sbottò James.
Remus lo guardò con gli occhi spalancati, non era da James parlare in quel modo. Soprattutto, non era da James autocommiserarsi e parlare di sé come se fosse una sottospecie di nullità.
«Cosa cazzo ho detto?» disse poi, incredulo delle sue stesse parole.
«Deve essere lo shock, James… va tutto bene.» lo rassicurò Remus.
«No, Lunastorta! Non va tutto bene. La Evans – una ragazza, per Circe! – mi sta facendo perdere la testa, non sono più lo stesso a causa sua!» disse James in preda al panico, si mise le mani tra i capelli e incrociò le gambe. «James Potter non è James Potter se non crede in se stesso, sto mettendo in dubbio le mie capacità… per la Evans!»
«Calmati, James, è del tutto normale… forse ne sei innamorato» provò Remus. Oh, dove accidenti era Sirius quando serviva? Lui sì che riusciva a far ragionare James. Certo, magari gli urlava contro gli insulti peggiori del mondo, ma almeno James capiva, e tornava ad essere quello di sempre.
Remus non era capace. «Anche io metto in dubbio le mie capacità… in queste situazioni. Credo sia normale.»
«Credi? Cosa vorrebbe dire che “credi che sia normale”? E poi, di grazia, ti piace qualcuna e non ce lo hai detto?» esclamò James mischiando le carte in tavola. Come diavolo ci erano arrivati a parlare della situazione sentimentale di Remus se erano partiti dalla Evans che aveva fatto pace con Severus Piton?
«Sto parlando del passato. Non mi piace nessuno, adesso…» rispose velocemente Remus. «E comunque, ammettilo che sei innamorato di Lily.»
«Innamorato è una parola grossa… della Evans, per di più. Mi piace, okay, è carina e tutto il resto. Ma soprattutto è una complicata, è una sfida, e James Potter non si tira indietro quando si parla di sfide.» disse James.
«Fammi capire, tu stai andando dietro a Lily Evans, stai scatenando un putiferio per questo, solo perché vuoi dimostrare a te stesso che sei invincibile?» chiese Remus scioccato.
«Ne va del mio orgoglio personale…»
«James, lasciatelo dire da uno dei tuoi migliori amici: sei un vero coglione.»
«Chi è un coglione?» chiese Sirius entrando nella stanza.
«Io.» disse James con afflitta.
«Oh be’, non è di certo una novità» disse ancora il ragazzo buttandosi sul proprio letto «Mi sono perso qualcosa?»
«Lily ha fatto pace con Piton.» disse Remus riprendendo in mano il suo libro. C’erano dei giorni in cui Sirius gli stava enormemente sulle palle – non in senso letterale, purtroppo –, non sapeva spiegarsi nemmeno lui perché, anche perché quando cominci a non sopportare la persona che ti piace, o hai qualche problema al cervello, o hai qualche problema al cervello.
Quel sabato d’Ottobre, era un di quei giorni. E, va bene la luna piena imminente, va bene l’adolescenza e gli ormoni sballati, ma a volte, a Remus di essere un pesce fuor d’acqua.
«La Evans ha fatto pace con Mocciosus?» chiese Sirius sconcertato.
«A quanto pare…» rispose Remus. «Abbiamo anche un testimone oculare.»
E a quel punto, James alzò la mano colpevole, come se dovesse andare al patibolo da un momento all’altro. «Ramoso, come ti senti?» chiese Sirius.
James rimase in silenzio, osservandosi i piedi, e Remus sbuffò. «Ha detto che lo sta mandando il tilt, e che non crede più in quello che fa, gli ho detto che se ne è innamorato ma lui si ostina a dire che è solo una scommessa fatta con se stesso.» Disse Remus passivamente, senza lasciarsi sfuggire alcuna emozione.
«No, James, adesso io e te facciamo un bel discorso e tu ritorni ad essere quello di prima, chiaro?» disse Sirius alzandosi in piedi.
«Bene, io devo cercare Marlene.» Annunciò Remus posando il libro sul comodino, tanto, non avrebbe mai riavuto un momento libero per leggerlo.
«Marlene McKinnon…? Sei sicuro di averci mai parlato in vita tua?» chiese Sirius confuso.
«Tu e James non siete gli unici con una vita sentimentale, qui dentro.» disse Remus, e così dicendo uscì dal dormitorio, sperando di trovare veramente Marlene in Sala Comune, perché anche se era iniziato tutto come una scusa per allontanarsi, aveva intenzione di seguire i consigli di quel pazzoide di Austin Krueger. Li aveva valutati, e con sommo rancore aveva dovuto ammettere che erano maledettamente geniali.
Sfortunatamente, di Marlene non ce n’era traccia, e dopo venti minuti passati seduto su una poltrona, ad interrogarsi su cosa avrebbe potuto essere stato in qualcuna delle sue vite passate – un criminale, un assassino? – per meritarsi tutto quello, Remus ebbe quasi l’impulso di mandare una ragazza a chiamarla nel dormitorio femminile, quando il magnifico quartetto scese rumorosamente le scale.
«Alice ma… è fantastico!» esclamò Mary abbracciando l’amica.
«Sì, ma non è nulla di che, insomma… mi ha chiesto solo di rivederci.» disse Alice arrossendo.
«Oh Merlino! Io già vi immagino, sarete una di quelle coppie che si conoscono a scuola, e che passeranno l’intera vita insieme.» continuò Mary.
«Sì, e magari sforneranno una cucciolata.» disse Marlene incrociando le braccia al petto.
«Magari la cucciolata omettiamola…» disse Alice sospirando. E poi scoppiarono tutte a ridere, specialmente Lily, che non poteva sentirti più euforica.
«Scusate ragazze, potrei rubarvi Marlene per un momento?» chiese Remus sorprendendosi della frase tremendamente alla Sirius Black e il tono con cui l’aveva detta.
«Sicuramente.» rispose la diretta interessata, guardò le sue amiche e si allontanò con Remus in un angolo della Sala Comune.
«Mi dispiace per non averti parlato oggi alla partita, ma Peter…» iniziò Remus cominciando a tirare fuori una scusa qualsiasi.
«Tutto a posto, d’altronde anche io ero con Lily e le altre. Ti va se domani studiamo assieme?» gli chiese Marlene sorridendo.
«Certo! Insomma, sì…» esclamò Remus. Come ci si comportava quando una ragazza ti chiedeva una cosa del genere? Si doveva essere felici, entusiasti, sorpresi o cos’altro? Remus non ne aveva la più pallida idea, e non perché Marlene non gli piacesse veramente, ma perché non sapeva cosa fare e basta.
Se al posto di quel turbine dai capelli biondi ci fosse stato Sirius, Remus non avrebbe saputo come comportarsi ugualmente. Solo che in quel caso avrebbe avuto una ragione più che valida.
E se fuori Remus Lupin sorrideva e sembrava apparentemente calmo, dentro di sé c’era una guerra in corso, con tanto di bombe ed esplosioni. La guerra tra la sua parte razionale, quella che pensava, che si interrogava sul da farsi, e quella irrazionale, quella che era istintiva, che agiva di getto, quella che si innamorava.
Decisamente, Remus John Lupin era sempre più convinto che nella sua vita passata avesse fatto qualcosa di orribile: come uccidere la Regina d’Inghilterra, o qualcosa del genere.

 
 

 

 



NdA:
Spero che un giorno Tolstoj mi perdonerà per avergli rubato il titolo da dare al capitolo, ma non c'era cosa che ci stesse meglio, intanto... *si mette in ginocchio sui ceci e chiede perdono*
Duuunque, dopo la mia uscita stupida del giorno, passiamo ai discorso leggermente più seri (ciò non vuol dire che siano seri per davvero, però..): siamo al capitolo cinque, incentrato quasi totalmente sulla partita e  zaaan, per una volta non ci sono i supermegaextra invincibili Grifondoro. (Sarà che sono una piccola Serpe, quindi rimango fedele alla mia casa♥). Severus e Lily fanno pace (sì, mi odio già da sola), so che questa è -tecnicamente- una Jily, ma la storia è ancora lunga. Prevedo più di trenta capitoli e mi stupisco di me stessa perché io odio le cose lunghe.
Sì, sono piuttosto strana.
Dunque, vi anticipo già che il prossimo capitolo sarà di passaggio, conterrà fluff a palate, quindi munitevi di acido (?) così non rischiate di farvi venire il diabete. E, soprattutto, scrivetelo sul calendario perché di me che scrivo fluff non si è mai visto. (Ed è per questo che ieri ho postato una wolfstar che è l'angst dell'angst. Cioè, anche l'angst credo si metterebbe a piangere. Io scrivevo e piangevo quindi vedete un po' voi xD Se siete curiosi ve la linko, così mi autospammo un po' che non fa mai male: Don't forget)
Come al solito, tiratemi pomodori e altri ortaggi se non vi è piaciuto, ma fatemelo sapere con una recensione. Ci tengo tantissimo :3 
Colgo l'occasione per ringraziare PervincaGranger7 che ha recensito ogni capitolo: io non lce l'avrei mai fatta, seriamente ahahaha. E ovviamente, ringrazio anche tutti voi che recensite, seguite, preferite, ricordate e leggete in silenzio. Vi ringrazio per le 350 visualizzazioni al Prologo, raggiunte l'altro giorno, e che adesso sono 360e qualcosa, non me lo ricordo e non mi va di aprire un'altra pagina internet *pigrizia mode: on*
Ora sparisco, spero vi sia piaciuto. Buon fine settimana!
Marianne

Ps: As usal, se volete qualcuno coon cui sclerare/sfogarvi/tirare pomodori e zucchine (o magari chiedere normali chiarimenti e informazioni sulla storia, lol) io sono sempre su Facebook.

 

 
 

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Capitolo 7
*** Prati verdi e margherite. ***



 

 

CAPITOLO 6 – PRATI VERDI E MARGHERITE.

 

A Hogwarts c’erano quelle domeniche mattina in cui tutto andava – più o meno – nel verso giusto; in cui tutto era perfettamente calmo e tranquillo; in cui Minerva McGranitt poteva prendere il proprio tè mattutino in santa pace, senza sentire gli strilli di Lily Evans riecheggiare nella Sala Grande.
Quella domenica mattina era, inspiegabilmente, una di quelle: la Sala Comune era semi-vuota, per essere le nove di mattina, e la McGranitt aveva già bevuto metà del suo tè senza alzare lo sguardo verso gli studenti.
Dopotutto, se James Potter si trovava ad una dovuta distanza da Lily Evans le cose sarebbero andate bene. Se poi Lily Evans era seduta al tavolo dei Serpeverde e James Potter era ancora a poltrire nel suo dormitorio, le cose non sarebbero potute andare meglio.
Tant’è che il tè era quasi finito, e nessuno si era ancora rotto l’osso del collo.
«Vuoi del succo di zucca, Lils?» Severus teneva ancora sospesa per aria la brocca, dopo essersi versato la bibita nella tazza.
«No, grazie.» rispose Lily sorridendo gentilmente al suo migliore amico.
«Hai mangiato pochissimo, sicura di star bene?» le chiese ancora aggrottando le sopracciglia.
«Mai stata meglio, vado a prendere il libro in dormitorio. Mi aspetti sotto la quercia?» disse Lily alzandosi in piedi. Severus annuì confuso, e senza capirci molto vide Lily sparire velocemente dalla Sala Grande, e poi sorrise. Lily era così, lo era sempre stata e lui andava pazzo per la sua continua fretta, per i suoi sorrisi a trentadue denti quando si dimenticava le cose – importanti o meno che fossero –, e per gli occhi luminosi che aveva quando era felice.
Oh, se andava pazzo per quegl’occhi.
Scosse la testa, perché molto probabilmente era rimasto a fissare il vuoto con un’espressione idiota sulla faccia, quindi prese il libro che aveva avuto la premura di portare con sé a colazione e si avviò anche lui verso l’uscita della Sala Grande, ignorando però le scale e dirigendosi verso il grande portone d’ingresso.
Sette piani più sopra, Lily era appena arrivata in Sala Comune col fiato corto, ma con una gran voglia di ritornare giù, all’ombra della loro quercia preferita il prima possibile.
Merlino, quanto le era mancato Severus. Quanto era stata al buio, senza accendere la luce? Quanto tempo era passato dall’ultima volta che si era sentita così piena di gioia, e di felicità? Decisamente troppo, ma l’importante era che adesso aveva acceso la luce, e che i momenti al buio erano finalmente finiti: lei e Severus erano di nuovo le metà perfette di un qualcosa di indefinito, e Lily non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Sali di corsa le scale verso i dormitori, e, una volta nel suo, cercò di non fare rumore per non svegliare Mary, che era l’unica a dormire ancora: Marlene ed Alice non c’erano. La prima, Lily non aveva la più pallida idea di dove fosse; aveva sentito qualcosa sul proposito di studiare con Remus Lupin, ma erano solo le nove del mattino.
Alice molto probabilmente era con Frank, anche se Lily non sapeva dove, né a fare cosa, e sinceramente, pensava che Alice glielo avrebbe detto comunque, prima o poi, semplicemente perché era tipico di Alice raccontare tutto alle proprie amiche.
Lily afferrò il libro dal comodino e uscì immediatamente, andando a sbattere contro un James Potter visibilmente assonnato, ancora in pigiama, con gli occhiali storti e i capelli che erano un disastro.
E James, che quella mattina non aveva ancora prodotto alcun pensiero di nessun tipo, spalancò gli occhi come investito da un’illuminazione di qualche genere, e pensò.
Cazzo, sono in condizioni orribili davanti alla Evans. Cazzo.
Be’, stiamo pur sempre parlando di James Potter, pensare qualsiasi cosa, alle nove del mattino di domenica, era un’impresa ardua per lui.
«Scusa, Potter.» borbottò Lily, continuò a scendere la scale di corsa e dopo nemmeno trenta secondi era già fuori dalla Sala Comune.
Femmine.
James si stropicciò gli occhi, ancora troppo assonnato per rendersi conto di cosa fosse successo veramente: insomma, la Evans gli aveva chiesto scusa. La Evans.
Quella era decisamente una strana domenica mattina, ma James non vi diede nemmeno troppo peso. Si stiracchiò, sbadigliò e cercò di trascinarsi giù per le scale senza cadere rovinosamente a terra come un pesce lesso, cosa che risultava abbastanza difficile dato che si era appena svegliato, e nemmeno per sua volontà.
Infatti, quei gran deficienti dei suoi compagni di dormitorio avevano ben pensato di fare chiasso, alle nove del mattino. Tutto era iniziato perché Peter doveva andare in bagno, e perché, ancora con gli occhi chiusi, era andato a sbattere contro Remus che, perdendo l’equilibrio era andato a finire sopra il letto di Sirius, effettivamente proprio addosso a Sirius che aveva cominciato a lamentarsi come una femminuccia, e in tutto quel casino James si era svegliato.
Smadonnante e con la luna storta, ma si era svegliato.
E adesso, aveva ben pensato di uscire da quel covo di pazzi per andare a riprendere il suo bel sonno in Sala Comune, ma la Evans gli era andata addosso – e gli aveva chiesto scusa, per Merlino! – e James aveva perso la voglia di dormire.
Così, fissò per cinque minuti buoni le scale e la porta del dormitorio, e alla fine optò  proprio per il dormitorio, perché di dormire, quella mattina, proprio non se ne parlava. Soprattutto se Remus e Sirius continuavano a discutere su cavolate e come il fatto che Remus dovesse andare a studiare con Marlene.
«Vuoi spiegarmi? Oggi tu dovevi studiare con me.» disse Sirius mettendosi la sua felpa preferita, quella rossa col cappuccio.
«E invece studio con Marlene, c’è qualche problema?» ribatté Remus raccogliendo libri e appunti per la stanza. Evitava di guardare Sirius negli occhi, o in qualsiasi altra parte del corpo in generale. Diciamo che evitava Sirius e basta, almeno dalla sera prima.
«Sì!» esclamò ancora Sirius incrociando le braccia al petto, mise su anche il broncio, ma Remus non lo stava guardando. E, difatti, fece spallucce e lo ignorò. «Cazzo, smettila di trattarmi come fossi un Tassorosso del primo anno!» sbottò Sirius, anzi, lo urlò e basta. Facendo voltare tutti e tre i presenti, Remus compreso.
Quest’ultimo adesso lo guardava, con un’espressione tra la colpevolezza e la tristezza, con la bocca leggermente aperta e il respiro mozzato.
«Felpato, non puoi studiare con Peter?» gli chiese piano Remus.
«No.» rispose Sirius abbassando lo sguardo.
«E perché?» Chiese ancora Remus, desolato, e con un tono di voce così basso che era appena udibile.
Sirius si guardava ancora i piedi, sulla moquette rossa, e James giurò di averlo visto arrossire, cosa alquanto strana perché, di solito, era Sirius Black quello che faceva arrossire le persone. «Perché… be’… perché quando me le spieghi tu le cose le capisco meglio.» disse a voce bassa.
Avete presente quando vi prendereste a calci perché avete detto qualcosa di maledettamente sbagliato, oppure perché non avete idea di come replicare, o ancora perché vi sembra alquanto strano che il vostro cuore batta così forte per una stupidissima frase del vostro migliore amico? Ecco come si sentiva Remus Lupin in quel momento, ecco perché avrebbe decisamente desiderato di prendersi a calci.
«Però io l’avevo promesso a Marlene…» mormorò Remus. Merlino, quanto poteva essere stupido? Che qualcuno gli tappasse quella bocca, in quel momento!
«Va bene.» tagliò corto Sirius.
«Ma se vuoi studio con te oggi pomeriggio.»
«Sul serio, va bene così. Studierò con Peter.»
E così dicendo Sirius diede a Remus il libro di Trasfigurazione, che era l’unico che il ragazzo aveva lasciato sul comodino.
Si guardarono, non dissero nulla, ma Sirius capì comunque.
«Non avevi detto a Marlene di studiare Trasfigurazione? Perché hai preso tutti quei libri inutili anziché questo?»
«Sì» disse Remus cercando di mantenere un certo contegno. «Grazie.»
Allora Remus sparì dal dormitorio senza aggiungere altro, e Sirius si sentì… strano. E confuso. Insomma, perché si era arrabbiato così tanto? Remus era il suo migliore amico, okay; avrebbero dovuto studiare insieme, ma lui aveva preferito farlo con una ragazza, okay. Cosa c’era di strano? Forse il fatto che gli amici venivano prima delle ragazze, e a Remus di questo non era importato granché.
«Non pensi d’aver esagerato?» chiese James.
«No.» rispose secco Sirius.
«Sai come si chiama questa?» iniziò James, alludendo alla sfuriata di pochi minuti prima. «Tensione sessuale. Sul serio, amico, dovresti passare più tempo con Mary, non so se mi spiego.»
«Peter, prendi i libri e andiamo a studiare.»
 

***

 
Il Lago Nero era un posto parecchio solitario, nessuno ci andava mai e Frank non riusciva a capire perché. Era un posto meraviglioso, il Lago Nero: il posto perfetto per pensare, per studiare, e, quella domenica, era il posto perfetto per stare con Alice.
Cavolo, se gli piaceva Alice, era da un sacco di tempo, ormai, solo che non aveva ancora trovato il coraggio di dichiararsi. Ogni giorno si ripeteva le stesse cose, che doveva darsi una mossa, uscire a passo deciso dal dormitorio, raggiungere e Alice ovunque essa fosse e poi dirle che gli piaceva – era pur sempre un Grifondoro, per Morgana!
Il problema era che Frank non faceva mai niente di tutto questo, anzi, a malapena riusciva ad alzarsi dal letto, e a chiedersi se avrebbe visto Alice quel giorno.
E poi cercava di fare stare a posto quei capelli indomabili che si ritrovava, tutto il contrario dei capelli neri di Alice: lisci, sempre in perfetto ordine.
Com’era possibile che ogni volta finisse sempre per pensare ad Alice? Frak non lo sapeva, ma lei aleggiava in ogni cosa. Nell’aria, nei libri di Pozioni, durante i compiti in classe, persino quando finiva in punizione dalla McGranitt; lei era sempre lì a bussare su una delle pareti della testa di Frank, e anche se nessuno le dava il permesso, Alice entrava e non ne usciva più.
Non ne usciva nemmeno la sera, quando Frank spegneva la luce e si metteva sotto le coperte.
Nemmeno nei sogni.
Nemmeno mai.
«Frank, ci sei?» la voce di Alice, accanto a lui, lo riportò bruscamente alla realtà, facendolo però atterrare dolcemente, come se sotto di lui vi fosse stato un materasso ad attutire il colpo.
«Sì, ero un po’ sovrappensiero.» Si giustificò il ragazzo passandosi nervoso una mano tra i capelli.
«Ultimamente hai sempre la testa tra le nuvole» scherzò Alice «Sicuro che vada tutto bene?»
«Sicurissimo, è solo che mi dispiace per la partita. Nel mio primo esordio abbiamo perso…» disse Frank. Se era arrivato a parlare di Quidditch con una ragazza la cosa era veramente grave. Era nervoso.
«Sei stato bravissimo, secondo me.» Alice gli sorrise. Ed era uno di quei sorrisi luminosi, veri, uno di quei sorrisi che arrivano dritti al cuore, dopo esserne partiti.
Frank era sicuro di essere arrossito. Oppure di aver buttato fuori tutta l’aria che aveva in corpo, non ne aveva idea. Sapeva solo che avrebbe dovuto rispondere ad Alice, che doveva risponderle. Anche con qualcosa di stupido.
«Oh… non ho fatto nulla di che.» Frank deglutì.
Adesso o mai più.
«Non ho nemmeno parato una Pluffa…» continuò il ragazzo guardando a terra. C’erano delle margherite sul prato, bianche e bellissime, nonostante fosse Ottobre. Alice gli si era avvicinata ancora di più, e adesso le loro braccia si toccavano.
«Perché nessuno l’ha tirata, scommetto che non ne avresti fatta passare nemmeno una.» disse Alice, adesso lei era arrossita e guardava verso il lago, in cerca di un appiglio, di un qualcosa che non le facesse tremare le gambe in quel modo.
Adesso o mai più.
Frank prese la mano di Alice e la fece voltare in modo da guardarla negli occhi. «Alice, devo dirti una cosa.»
La ragazza dapprima rimase sorpresa, poi si sciolse in un sorriso e «Dimmi.» gli disse. Gli occhi chiari le brillavano, e Frank si sentì come se il mondo attorno a lui fosse congelato.
Come se esistessero solo gli occhi azzurri di Alice, e tutte le piccole sfumature argentate che avevano alla luce del sole. Come se non vi fosse cosa più bella al mondo del sorriso di Alice.
Come se Alice stessa fosse il suo mondo.
«Ecco, vedi, tu… io non…cavolo!» sbuffò Frank. Non ci riusciva, quelle parole non volevano uscire. Eppure, dire “mi piaci” non era una cosa poi così complicata, ma in quel momento Frank avrebbe trovato più facile buttarsi nel Lago e affrontare la Piovra Gigante.
Anzi, magari non affrontarla affatto e farsi mangiare.
«Va tutto bene, Frank?» chiese Alice perplessa. Era terrorizzata: e se Frank le avesse detto qualcosa di brutto? Come il fatto che non gli piacesse passare del tempo con lei?
«Sì, cioè no. Hai presente quando vuoi dire una cosa ma non ci riesci?»
Alice annuì.
«Bene, come faccio?»
«Non esistono solo le parole,» iniziò Alice, «ci sono tanti modi per comunic­—» Ma Alice non finì mai quella frase, e Frank non scoprì mai quali altri metodi di comunicazione esistessero al mondo, però ne conosceva uno per far capire ad Alice che gli piaceva, e gli bastò.
Gli bastò perché adesso stava baciando la ragazza dei suoi sogni; gli bastò perché lei non l’aveva ancora respinto ammollandogli uno schiaffo in faccia.
E non capiva più niente, nemmeno Alice ci capiva qualcosa in quel momento. Le sembrava di non essere in sé, le sembrava che fosse qualcun altro a incrociare le braccia dietro il collo di Frank, qualcun altro ad alzarsi sulle punte dei piedi al posto suo.
E al contrario di come Alice si aspettava, le labbra di Frank erano gentili, delicate, insicure, un po’ come le sue. Ma poi Frank si fece coraggio – non gliel’avevano detto al loro primo anno che i Grifondoro sono coraggiosi? – e strinse ancor di più Alice che sorrise nel bacio.
E con gli occhi ancora chiusi e il cuore scalpitante, i due si allontanarono un po’, Alice tornò a poggiare i talloni sul prato ma Frank non la lasciò andare.
«Ho reso quello che volevo dire?» chiese poi il ragazzo guardandola negli occhi. E adesso, non c’era traccia di insicurezza, o paura, o qualsiasi fosse la cosa che sentiva prima di baciare Alice.
«Alla perfezione.»
«Alice?» domandò esitante Frank, dopo un attimo di preoccupante silenzio. Non sapeva cosa dovesse accadere con precisione dopo un bacio, ma tanto valeva andare fino in fondo.
«Sì?»
«Ti va di essere la mia ragazza?» le chiese all’improvviso. E questa volta non esitò, non ebbe paura a chiederglielo. A pronunciare quelle parole. Perché aveva la conferma che Alice ricambiava i suoi sentimenti-
«Che?» chiese incredula Alice. La ragazza non riusciva quasi a crederci. Frank, lo stesso Frank per cui aveva una cotta, lo stesso Frank che credeva di amare, o almeno, così avrebbe definito i suoi sentimenti per lui, le stava chiedendo di mettersi insieme a lui. Doveva essere decisamente un sogno.
«Scusa, ho accelerato troppo i tempi, io…» nalbettò il ragazzo facendosi prendere dal panico.
«Oh, Frank! Certo che voglio essere la tua ragazza!» esclamò Alice felice. Tant’è che gli getto le braccia al collo. E poi baciò di nuovo.
E ancora, e ancora, finché non caddero sul prato e scoppiarono a ridere; finché le margherite non si intrecciarono nei capelli di Alice e l’erba si appiccicò alla camicia di Frank.
 

***

 
«Piove!» Lily scattò in piedi non appena una goccia d’acqua le bagnò la guancia, e un’altra ancora il naso.
«Metti i libri nella mia borsa.» le disse Severus porgendole quest’ultima. Lily fece come le era stato detto e poi, senza nemmeno pensarsi, prese Severus per mano, e insieme si misero a correre verso il castello.
«Proprio oggi doveva piovere? Non poteva essere domani?» si lamentò Lily una volta giunti sotto il porticato, e quindi al riparo dalla pioggia.
«Hey, io domani ho Erbologia, non ci tengo ad inzupparmi.» protestò Severus sorridendo.
«Allora dovrebbe piovere dopodomani.» disse Lily.
«Trovo che dopodomani sia perfetto.»
Lily rise e si appoggiò al muro, nonostante l’improvvisa pioggia, quella giornata era stata magnifica. Anche se stava morendo di fame perché aveva saltato il pranzo per rimanere a leggere con Severus, non se ne pentiva affatto.
«Possiamo comunque leggere dentro.» propose Lily fissando un punto davanti a sé. Severus si voltò a guardarla, Lily non aveva mai proposto una cosa del genere, e lui non riusciva nemmeno ad immaginarsela.
Leggevano all’ombra della quercia praticamente da sempre.
«Continuiamo domenica prossima, okay?» disse Severus, le si avvicinò e anche lui si appoggiò al muro, alla destra di Lily.
«Sai, mi era mancato tutto questo.» disse Lily, se doveva dire qualcosa, quello era il momento giusto per farlo. Lontani da orecchi indiscreti e vicini, attaccati ad un muro, ad osservare la pioggia, o ad aspettare semplicemente il sole.
«Anche a me, Lils, non sai quanto.» E Severus non aveva mai detto parole più vere di quelle. Lily non sapeva.
C’erano molte cose che Lily non sapeva, il che era quasi un paradosso, perché Lily era la sua migliore amica, e da un lato non aveva senso tenerle nascoste tutte quelle cose.
Come il fatto che era pazzo di lei. Di ogni cosa che fosse lei.
Dei suoi capelli, dei suoi modi a volte gentili a volte un po’ rudi, dei suoi sorrisi al mattino e del suo viso stanco dopo una giornata piena di lezioni.
E poi, i suoi occhi. Quelli erano magnifici sempre, in ogni momento, in ogni istante. Verdi come il prato bagnato dalla pioggia, come quello a pochi metri da loro.
E Severus amava gli occhi di Lily quando brillavano, quando piangevano, quando sorridevano e quando erano stanchi; quando erano la cosa più vera del mondo e quando cercavano di mentire, ma non ci riuscivano; quando erano preoccupati e quando erano arrabbiati.
«Hai degli occhi meravigliosi, te l’ho mai detto?» E le parole gli uscirono di bocca come se fossero la cosa più semplice dell’intero universo. La più naturale. Era una cosa che gli era nata nel cuore, a cui niente poteva mettere freno.
Forse fu solo una sua impressione, ma Severus vide Lily arrossire un po’ e sorridere timidamente. «No, questa è la prima volta.» rispose Lily.
«Be’, adesso lo sai.»
«Grazie, Sev.»
«Potter te lo ha mai detto?» le chiese poi Severus. E avrebbe voluto picchiarsi per quella domanda, ma anche quella era nata spontanea, da sentimenti non tanto nobili come la gelosia, è vero, ma non era riuscito a fermarla.
«Non credo ma… perché, cosa c’entra adesso?» chiese a sua volta Lily, confusa, Era stata una così bella giornata che parlare di Potter avrebbe dovuto essere l’ultimo dei suoi pensieri.
«Niente, assolutamente niente. Lascia stare.» disse Severus, non aveva alcune intenzione di portare Potter nei loro discorsi, adesso che Lily era con lui e non pensava ad altro, non doveva creare ulteriori disastri.
«Comincia a far freddo, vero?»  disse Lily strofinandosi una mano contro il braccio.
«Già, forse faremmo meglio a rientrare.»
E così fecero, si avviarono verso l’entrata, e poi si separarono per andare nelle rispettive Sale Comuni, con la promessa di rivedersi a cena. Per le scale, Lily incontrò Austin Krueger che sembrava avere una grandissima fretta.
«Evans, hai visto Rita Skeeter?» le chiese con fiato corto.
«Hai provato nella Sala Comune Corvonero?»
«No, in effetti no. Sei un genio, Evans, ti adoro.» E le stampò un bacio sulla guancia.
E così il ragazzo aveva ricominciato a correre sotto gli occhi una Lily perplessa quanto sconcertata. Insomma, con Krueger ci frequentava Incantesimi, e basta. Non ricordava di avergli mai parlato ma… oh, i Corvonero erano così strani!
Anche Austin a volte pensava che i suoi compagni di casa fossero un po’ strambi, tipo Rita Skeeter, sempre in giro a ficcare il naso ovunque. Se solo non avesse fatto un accordo con lei Austin non le avrebbe mai parlato, nemmeno per sbaglio.
Nemmeno per chiederle i compiti.
Ma qualche tempo prima era successo un gran casino con Rita Skeeter, e Austin aveva dovuto adattarsi.
«Rita!» Austin la vide uscire dalla Sala Comune e chiamò a gran voce dal corridoio.
«Krueger, giusto te cercavo» gli disse lei avvicinandosi. «Seguimi, dobbiamo parlare.» E così lo afferrò per una manica, Austin dopo un po’ si liberò della presa di Rita e continuò a camminare da solo, seguendola.
«Perché mi stai trascinando nello sgabuzzino delle scope di Gazza?» chiese Austin aggrottando le sopracciglia.
Rita non rispose, bensì si chiuse la porta alle spalle e si mise seduta su una vecchia sedia piuttosto malconcia.
«Se non sbaglio abbiamo un patto» iniziò la ragazza. «Dimmi tutto quello che sai sulla combriccola di Potter.»
«Ultimamente mi sono concentrato su Remus Lupin. A quanto pare a lui piace Mary McDonanld, la ragazza di Sirius.» disse Austin.
«Adoro questi pettegolezzi.» disse Rita ascoltando con attenzione.
«Quindi io gli ho consigliato di mettersi con Marlene McKinnon, la migliore amica di Mary, per farla ingelosire.»
«Bravo Krueger, sei il mio informatore preferito.»
«Skeeter, ricordati il patto: io ti passo informazioni e tu non dici a nessuno che mi piace Sirius, sono stato chiaro?» chiese Austin serio, trafiggendo la ragazza con lo sguardo.
Il fatto che Rita lo sapesse era stato tutto uno sbaglio, una parola di troppo, uno sguardo di troppo. E così avevano fatto quella specie di accordo: lui le avrebbe detto tutto quello che sapeva sulle persone più conosciute della scuola, e lei avrebbe mantenuto il segreto.
«Non dirò niente, Krueger. Posso solo dirti di prepararti a consolare Black… sta per scoprire che la sua ragazza e il suo migliore amico lo tradiscono.» disse Rita Skeeter con un sorrisetto divertito sul volto.
Nei giorni seguenti a Hogwarts se ne sarebbero viste delle belle.


 

 

 

   

 

NdA: Uhm, che dire? Salveeeee! Mi scuso per il capitolo di passaggio in cui non succede niente, eccetto la manifestazione della stronzaggine della Skeeter. Preciso che non ho idea di quanti anni abbia Rita Skeeter, probabilmente è più grande di James, Lily ecc. però pazienza xD mi serviva e l'ho inserita u.u Detto questo, sì, è un capitolo molto a buffo, ma era necessario per quello che ho in mente, quindi non odiatemi ♥ c'è tanto fluff, almeno. Tanto Fralice (che io personalmente adoro anche se sono assolutamente l'antitesi del romanticismo e delle carinerie, però Frank e Alice hanno un modo tutto loro di fare gli smielosi e quindi li adoro **), lo so che piace anche a voi u.u
Perdonatemi anche il titolo orrido, ma il mio cervello non è riuscito a produrre nient'altro  ^_^ Non credo d'avere altro da dire sul capitolo se non il fatto che se volete prendermi a padellate per le palate di Snily che ci ho messo (e questo è niente.. D:), risparmiate la vostra padella, ci ho già pensato da sola... dovete capirmi: non sono io, la colpa è tutta loro, escono dallo schermo e mi comandano a bachetta °__°
Bien, passiamo ai ringraziamenti u.u ringrazio chi ha messo la storia nelle seguite, nelle ricordate e nelle preferite, e chi, ovviamente, ha recensito lo scorso capitolo, Lily Kenobi e PervincaGranger7. E infine Serenity Lily Gaunt che ha recensito i primi tre capitoli questa mattina, in seguito ai miei scleri su facebook xD
La finisco qui, se volete aggiungermi e chiedermi qualcosa sulla storia (o prenderemi a pesci in faccia come sarebbe comprensibile), mi trovate qui --> Marianne Efp

 
 

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Capitolo 8
*** Rabbia e pettegolezzi. ***



 

 

CAPITOLO 7 – RABBIA E PETTEGOLEZZI

 

Quel martedì mattina, ad Hogwarts, tirava un’aria decisamente strana: la prima cosa che lo lasciava intendere era un James Potter imbronciato, arrabbiato, e soprattutto scazzato con tutto il mondo. Tutti pensavano che fosse per la partita, che la sconfitta gli bruciasse ancora, e tanto, ma erano solo tre le persone in tutto il castello a sapere perché James era così di malumore.
Be’, Lily Evans e Severus Piton avevano fatto pace, e ciò bastava.
La seconda cosa, era che ovunque Sirius Black andasse, tutti cominciavano a guardarlo e a sussurrare cose sottovoce. Insomma, non che normalmente non fosse oggetto di attenzioni da parte di quasi tutti gli studenti, ma quel vociare gli dava fastidio, perché, evidentemente, doveva trattarsi di qualcosa che lui non sapeva, e che teoricamente non avrebbe dovuto sapere.
Praticamente, avrebbe corrotto qualche ragazzino del quarto anno per farsi dire tutto.
Ancora, Remus Lupin pareva molto agitato quel giorno, perché Austin Krueger si era messo di nuovo vicino a lui ad Incantesimi, e Remus si era detto che con quel tipo non voleva averci più nulla a che fare. Ma Austin sembrava non averlo capito, e gli stava appiccicato come una cozza.
In fondo, si era detto Remus, meglio che stesse appiccicato a lui che a Sirius.
Dulcis in fundo, Rita Skeeter, quella mattina, era di buon umore. Fin troppo di buon umore. E tutti in quella scuola, sia morti che vivi, sapevano che quando Rita Skeeter era di buon umore, entro la fine della giornata qualcuno avrebbe voluto spaccarle la faccia, o spaccare tutte le facce in generale.
Oh già, perché se Rita Skeeter era di buon umore era solo perché aveva sentito qualche storia interessante, e perché, ovviamente, aveva già provveduto a diffonderla tra gli studenti di Hogwarts.
Ecco perché, alle undici del mattino, mentre Sirius e James si recavano a Pozioni, chiedendosi dove fossero finiti Peter e Remus, Sirius non avrebbe mai immaginato che quella giornata sarebbe andata a finire male.
James si era allontanato accelerando il passo, perché sosteneva di dover migliorare i propri rapporti con la Evans, ora che lei aveva fatto pace con Mocciosus. Così Sirius, con un libro quasi nuovo e una mano in tasca, camminava lentamente per i corridoi, perché non aveva alcuna voglia di fare Pozioni, quel giorno.
«Non ci credo! Chi te l’ha detto?» Una Serpeverde del sesto attirò la sua attenzione. Si voltò e vide che la ragazza in questione stava parlando con una sua amica, anch’essa con la cravatta verde-argento.
«Rita Skeeter in persona, se te lo dice lei puoi fidarti e…oh, guarda.» rispose l’altra, poi notò Sirius e lo indicò con un gesto impercettibile della mano, ma il ragazzo lo notò comunque e si fermò davanti a loro con un’espressione molto seria.
«Cavolo…» sibilò la prima ragazza. Si appiattì contro il muro mentre Sirius si avvicinava e il suo braccio era accanto alla testa della ragazza, appoggiato al muro.
«Cosa avrebbe detto la Skeeter su di me?» chiese gentilmente.
«N-Nulla, Black, cosa dovrebbe dire?» cercò di difendersi la ragazza.
«Sono serio. E non mi importa se siete ragazze.»
«Non ci credo che non te l’ha ancora detto nessuno» intervenne la seconda ragazza. «Lo sa tutta la scuola.»
«Io non lo so. Quindi, potreste farmi il piacere di dirmelo voi?» chiese ancora Sirius, stavolta imponendoglielo.
«E va bene, Black, ma sappi che noi non c’entriamo nulla.» disse ancora la ragazza che aveva parlato per ultima, poi guardò la sua amica che, tremante come una foglia, annuì e si schiarì la voce.
«Il tuo migliore amico, Remus Lupin, sta cercando di farsi la tua ragazza, proprio sotto al tuo naso. Fossi in te, Black, mi darei una mossa a…»
«Remus?» chiese scioccato Sirius, sbatté un paio di volte le palpebre, ma gli sembrava così surreale. Insomma, Remus era il suo migliore amico, non avrebbe mai fatto una cosa del genere. E soprattutto, se a Remus piaceva Mary, be’, era strano che non gliel’avesse detto.
«Cazzate.» sputò il ragazzo allontanandosi dal muro.
«Se non credi a noi, chiedilo alla Skeeter.»
E così dicendo le due ragazze se ne andarono, lasciando Sirius da solo, in mezzo al corridoio, con una paura tremenda nel petto.
Non voleva crederci. Non poteva crederci. Remus era il suo migliore amico, avevano sempre condiviso tutto, tra loro non c’erano mai stati segreti. Tutte le paure, tutte le sue insicurezze, Sirius gliele raccontava sempre, e adesso Remus lo stava… tradendo.
Sì, forse quella era la parola giusta. Remus lo aveva tradito.
E Sirius non sapeva che fare. Non sapeva come comportarsi, cosa dirgli, cosa dire a Mary, cosa dire a se stesso. Perché, in quel momento, gli sarebbe tornata utile quella vocina dentro la sua testa, ce gli diceva cosa fosse giusto e cosa sbagliato.
Ma lui l’aveva cacciata via, e lei non era più ritornata.
Sta di fatto che, quel giorno, Sirius Black saltò l’ora di Pozioni, e a pranzo non si presentò in Sala Grande. E saltò anche le lezioni del pomeriggio, perché non aveva voglia di vedere nessuno.
Né James, né Mary… né Remus. Specialmente Remus.
Insomma, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontarlo, che magari avrebbe anche dovuto picchiarlo, ma per il momento non ce la faceva a guardare il suo migliore amico negli occhi e pensare a quello che gli era stato detto quella mattina.
Perché gli occhi di Remus non mentivano mai, e lui non ce la faceva a vedere in faccia la verità in quel modo.
Avrebbe finito col chiedergli scusa per qualcosa che non aveva nemmeno commesso. E no, non poteva permetterlo.
Perché, per una volta, doveva essere Sirius Black a decidere se perdonare o meno.
 

***

 
Remus Lupin stava avendo una brutta giornata. Una bruttissima giornata.
Anzi, una pessima giornata.
Tutto era iniziato per colpa di Austin Krueger, come accadeva per tutte le sue sventure da circa una settimana a quella parte, d’altronde. A Incantesimi Austin si era seduto vicino a lui, sorridendo raggiante.
«Remus, amico mio! Non sei felice?» gli chiese Krueger mettendo il libro di Incantesimi sul banco.
«Dovrei esserlo?» rispose atono Remus guardandolo male. In effetti, non è che Remus Lupin avesse poi così tanti motivi per essere felice: la luna piena era maledettamente vicina – mancavano due giorni – e Sirius non gli rivolgeva la parola da quella stessa mattinata, e non era nemmeno venuto ad Incantesimi.
«Sì! Insomma, c’è il sole, per oggi non c’erano molti compiti e stamattina mi sono svegliato pieno di energie, tu no?» Certo che quel tipo per essere un Corvonero era veramente strano.
Beato te!, avrebbe voluto rispondergli Remus.
«No.»
«Suvvia, fai un bel sorriso!»
«Krueger, levati dalle palle.» Per chi conoscesse Remus, l’uso di quel linguaggio da parte sua avrebbe destato parecchia sorpresa, ma Remus voleva solamente liberarsi da quel tipo il più presto possibile.
«Non ci sono altri posti, spiacente.» disse Austin sorridendo.
Quel sorrisetto idiota gli dava sui nervi. Gliel’avrebbe tolto dalla faccia. Forse l’avrebbe preso a pugni.
«Sai che ti dico, Remus? Dovresti essere felicissimo: il nostro piano per separare Mary e Sirius sta andando alla grande.» disse Austin facendogli l’occhiolino, e Remus sbiancò.
«Abbassa la voce, razza di idiota!» iniziò quest’ultimo. L’ultima cosa che voleva era che si venisse a sapere tutto quel casino. «E, tra parentesi, è il tuo piano.» precisò Remus.
«Non mi pare che ti facesse schifo quando te l’ho proposto, quindi, dato che l’hai approvato, sei mio socio a tutti gli effetti.» disse il moro.
«Ma perché Vitious non arriva?» Remus si mise le mani nei capelli, e si voltò verso la porta guardandola disperatamente.
«Forza, Rem, un ultimo sforzo.» gli disse Austin continuando a sorridere in un modo parecchio inquietante.
Ma Remus si bloccò e spalancò gli occhi, a metà tra lo scioccato e il sorpreso, e forse anche un po’ ferito, fissava il vuoto davanti a sé ed era pallido come una fantasma.
Rem.
Solo Sirius lo chiamava così. Solo lui poteva: nemmeno James e Peter lo facevano.
Solo Sirius.
«Potter, vuoi metterti seduto decentemente?» La voce del professore fece voltare tutti i presenti, che intanto avevano cominciato a chiacchierare con i propri compagni di banco, Remus compreso.
Cadde il silenzio, e gli unici suoi che si sentirono furono la sedia di James Potter che si spostava rumorosamente e la voce di Lily Evans che diceva: «Peggio delle scimmie.», seguirono alcuni risolini sommessi e il professor Vitious iniziò ufficialmente la lezione.
La tortura di Remus era momentaneamente finita, perché Austin aveva cominciato a seguire la lezione e a prendere appunti, e Remus lo vedeva scrivere velocemente, allora cominciò a stare attento e provò a riportare sulla pergamena qualcosa, ma, alla fine dell’ora, l’unica cosa scritta era “Sirius”.
Tant’è che dovette nasconderla prima che Austin la vedesse e cominciasse a fargli domande piuttosto inopportune. Fortunatamente, quel giorno scampò al suo nuovo compagno di banco ed evitò di trascinarselo fino alla Sala Comune dei Corvonero a mo’ di cagnolino.
Ma quel momentaneamente non è stato scelto a caso: infatti la lezione seguente era Divinazione, e sorbirsi tutte le cavolate della Cooman non era la sua più grande aspettativa. Ma, almeno, si disse Remus, non avrebbe avuto Austin ad importunarlo.
Già, perché a condividere quell’odioso tavolinetto rotondo pieno di merletti con lui, ci sarebbe stata Marlene, che non era ancora venuta a conoscenza della voce messa in giro da Rita Skeeter, ma era una ragazza, e l’avrebbe saputo presto.
«Remus, sembri agitato.» gli disse mentre la Cooman parlava.
«Sto benissimo, sul serio.» Rispose lui tenendo lo sguardo fisso nella sua tazza di tè. Era dal quarto anno che leggevano i fondi delle tazze, e alla fine nemmeno la Cooman sapeva cosa fargli fare precisamente.
«Sai, da quando ti conosco mi sento una persona migliore» mormorò Marlene. «Insomma, prima mi comportavo un po’ come un maschiaccio, adesso non so…»
Remus sorrise tristemente, gli dispiaceva da morire sentirle dire quelle cose e poi pensare al suo obiettivo, perché sapeva che la stava solamente usando, e se avesse potuto avrebbe fermato tutto quello, solo che non ci riusciva, ormai era tutto più forte di lui.
«Per me, tu non ti sei mai comportata come un maschiaccio.» rispose Remus, adesso aveva trovato la forza di alzare la testa e guardare Marlene negli occhi.
Merlino, non poteva credere di starsi comportando in quel modo. Non era da lui, non si riconosceva nemmeno più.
E quando Marlene lo abbracciò, facendo quasi cadere la propria tazza sul pavimento, se possibile, si sentì anche peggio.
 

***

 
«Hey, Evans, posso parlarti un momento?» La voce di James, quel pomeriggio, in Sala Grande, era spaventosamente seria. Doveva essere successo qualcosa di grave, o, nel migliore dei casi, qualche che aveva a che fare con i compiti da Caposcuola.
«Certo, Potter.» rispose Lily assumendo uno sguardo preoccupato. «È successo qualcosa di grave?»
James non rispose, e le lanciò un’occhiata come a dire “non qui”, allora uscirono dalla Sala Comune, che a quell’ora del pomeriggio, proprio prima di cena, era gremita di persone.
Una volta in corridoio, Lily si accorse di avere tra le braccia il libro di Pozioni che le aveva prestato Severus, ma se lo tenne stretto: non voleva sembrare di inventare scuse pur di non parlare con James Potter, sarebbe stato un comportamento immaturo ed infantile.
«Allora?» chiese, vedendo che James non si decideva a parlare.
«Ascolta, ricordi il giro di pattuglia che abbiamo fatto due settimane fa?» le chiese James guardandole negli occhi verdi. Quel verde speranza, che riusciva a farti sempre credere in quello che stavi facendo. Gli occhi di Lily erano una specie di toccasana.
Lily annuì.
«Bene, quello che hai detto nella Stanza delle Necessità… insomma, lo pensavi veramente?» chiese ancora James.
«Riguardo a cosa?» disse Lily per tutta risposta. «È che ultimamente sono successe così tante cose che non ricordo nemmeno cosa ho mangiato ieri a cena…»
E a questo punto, James si morse un labbro, indeciso sul da farsi: ricordarle quello che gli aveva detto oppure lasciar passare tutto in secondo piano, approfittando della situazione?
Dopo alcuni secondi, James si disse che gliel’avrebbe detto, perché lui, dopotutto, era una persona onesta, e giocava sempre a carte scoperte. Non era mica come Severus Piton.
«Hai detto che non ti piaccio, perché sono egocentrico, non prendo mai le cose sul serio e perché ti faccio sentire… non mi ricordo l’aggettivo che hai usato. E perché dovresti odiarmi ma non ci riesci. E che non posso piacerti.» E lo disse guardandola, vedendo il ricordo espandersi nei suoi occhi, che si allargarono e poi la sentì chiaramente sospirare, in cerca dalle parole da dire.
«James, se ti ho ferito… mi dispiace.» mormorò Lily con un filo di voce. Non si rese nemmeno conto di indietreggiare finché non andò a sbattere contro il muro di pietra, abbassò lo sguardo. «L’ho detto in momento di…» ma le parole le mancavano, perché non era nessun momento in particolare, era solo un altro dei tanti momenti in cui James le aveva fatto perdere le staffe… un po’ più del solito.
«Di cosa, Lily?» E James non era arrabbiato, assolutamente, voleva avere le idee chiare. Voleva avere la certezza di aver ancora qualche opportunità con Lily oppure no. Dopo la partita, dopo quello che aveva detto Remus, aveva pensato.
Si era chiesto: “Perché la Evans mi piace così tanto?”, ma una risposta vera e propria non l’aveva trovata. Insomma, aveva sempre pensato che Lily Evans fosse una sfida, una sfida che lui avrebbe vinto, ma la realtà era che sotto c’era qualcosa di molto più grande.
E in quel momento, James capì che Lily Evans gli piaceva non perché gli serviva un passatempo, non perché si annoiava, non perché voleva mettersi alla prova e dimostrare ancora una volta al mondo e a se stesso quanto valeva, no.
Lily Evans gli piaceva semplicemente perché era Lily Evans. Perché Lily Evans era la ragazza che era bella anche dopo sette piani saliti di corsa, sotto la pioggia, con i capelli arruffati, con il volto il fiamme; che ti faceva nascere un sorriso anche quando ti urlava contro, quando minacciava di tirarti il libro di Storia della Magia in testa – e stiamo parlando di millequattrocentotrenta pagine di troll, giganti, rivolte e guerre sanguinolente –, quando ti guardava con quegli occhi verdi capaci di far invidia ai fondali marini più belli.
«Ero semplicemente nervosa, e arrabbiata con te» cercò di giustificarsi Lily. «Ero solo nervosa, scusa James, non era un bellissimo periodo per me. Non avevo ancora chiarito con Severus e…»
«Oh, giusto. Lui deve sempre c’entrare qualcosa.» commentò James senza nemmeno pensarci su.
«È il mio migliore amico.» disse Lily.
«Lo so.»
«E allora dovresti accettarlo. Ascolta, io non so perché tu e i tuoi amici ce l’abbiate con Severus, ma sono sicura che non avete un motivo valido. Non come ce l’avevo io, almeno.» ribatté Lily, strinse il libro al petto, quella cosa si stava mettendo male. Erano quasi riusciti a fare una conversazione civile.
«Forse prima, ma negli ultimi mesi gli avrei spaccato la faccia solo per quello che ti aveva fatto.» dontinuò James.
«E allora, James, non credi che dovresti perdonarlo? L’ho fatto io, che ero la diretta interessata; dovresti riuscirci anche tu, dato che in questa storia non c’entri niente.» E fu questa, forse, la scintilla che fece scoppiare tutto, nel cuore di James, con un eco sordo.
Dato che in questa storia non c’entri niente.
«Vuoi dire che devo smetterla di intromettermi nella tua vita?» chiese James, appoggiò un braccio al muro, incastrando Lily.
«Non ingigantire il tutto, come fai sempre, James.» si limitò a dire Lily, provando a sorridere. A quel punto, James tolse il braccio, e capì che Lily non lo voleva fuori dalla sua vita, nonostante tutto.
«Ho notato una cosa.» iniziò James prima che Lily rientrasse in Sala Comune.
«Cosa?»
«Non mi hai chiamato per cognome nemmeno una volta.»
Lily alzò lo sguardo al cielo. «Per qualche volta possiamo anche lasciarci andare, Potter.»
E allora Lily sparì nel buco del ritratto, ritrovandosi in una Sala Comune molto più caotica di quella che aveva lasciato pochi minuti prima, subito dopo di lei entrò James che aveva già puntato gli occhi sul centro dell’attenzione di tutti i presenti: Remus e Marlene.
E James dovette ammettere che, se fossero stati entrambi maschi, se le sarebbero date di santa ragione.
«Non posso credere che tu mi abbia mentito in questo modo!» strillò Marlene, rossa in volto, sembrava di stare sul punto di piangere, o per rabbia o per delusione.
«Posso spiegarti, Marlene.» cercò di dire Remus. Parecchie ragazze erano dietro Marlene e fissavano Remus piene di disgusto. Qualcuna ogni tanto le si avvicinava e tentava di consolarla, senza grandi risultati.
«Hey, che succede qui?» chiese Lily ad Alice.
«Sembra che Remus abbia usato Marly per arrivare a Mary.» le rispose la mora preoccupata per le sue amiche.
«CHE COSA? Io lo uccido!» schizzò Lily, posò il libro che teneva ancora in mano su un tavolino e si tirò su le maniche del maglione, pronta a gettarsi nel mezzo del cerchio, ma Alice la trattenne.
«Ferma! Ci sta già pensando Marlene, e poi Mary non vuole che succedano altre cose, pensa che sia tutta colpa sua.» disse.
«Ma…» E Lily non poté obiettare nulla, perché Marlene ricominciò ad inveire contro Remus.
«Potevi dirlo fin da subito che ti piaceva la mia migliore amica! Potevi evitare di illudermi. Tu, razza di inutile pezzo di merda. Sei uno stronzo!» E così dicendo si avvicinò a lui e gli mollò uno schiaffo, colpendolo pure abbastanza forte.
Okay, Remus era dell’idea di meritarselo quello schiaffo, ma per quanto ancora sarebbe durato tutto quello? Non contando il fatto che, prima o poi, avrebbe anche dovuto vedersela con Sirius, perché se non stava assistendo a quello spettacolino, probabilmente lo era già venuto a sapere.
«Ti odio!» E così dicendo – o meglio, gridando – Marlene corse via per le scale, verso i dormitori femminili.
Successivamente Remus ricevette quattro o cinque spallate da alcune ragazze che seguirono l’esempio di Marlene e se ne andarono in dormitorio.
Lily ed Alice corsero su, dovevano parlare con Marlene, anche se lei avrebbe cominciato ad insultarle o tirargli tutte le cose che le sarebbero capitate sotto mano. Era già stata ferita e illusa una volta da un ragazzo, e quella proprio non ci voleva.
Mary era in un angolo della stanza, e non aveva voglia di parlare con nessuno. Non credeva che avrebbe avuto problemi con Sirius, ma non voleva stare al fianco di qualcuno sentendosi la causa della sua infelicità. Perché Sirius avrebbe litigato con Remus, e non sarebbe stato di buon umore, per niente.
E Mary pensava che fosse tutta colpa sua. E in quei momenti di puro caos, prese una decisione: avrebbe lasciato Sirius prima che lo facesse lui.
Aveva comunque una dignità da mantenere. E poi, si era detta, Sirius non era l’amore della sua vita, aveva diciassette anni, e con il tempo sarebbe arrivato prima o poi, rompere con lui era solo la cosa migliore da fare per semplificare un po’ la vita di tutti.
Guardò Remus, ancora in piedi davanti al camino, dove Marlene l’aveva lasciato. All’improvviso sembrò ritornare alla realtà, sospirò e uscì di corsa dalla Sala Comune.
Oh, aveva fatto un casino. Sapeva che prima o poi sarebbe venuto tutto a galla, ma non si aspettava che sarebbe stato così… “prima”. Entrò nel primo bagno che trovò e raggiunse i lavandini.
Si tolse il maglione buttandolo per terra, sul pavimento bagnato, e si tirò su le maniche della camicia bianca. Si guardò allo specchio e non si riconosceva: dov’era finito il Remus Lupin che considerava l’amicizia un tesoro, che non sapeva che fine avrebbe fatto senza i suoi migliori amici?
E ora sentiva che stava per perderne uno, magari non per sempre, ma avrebbe fatto male, soprattutto se il migliore amico in questione è la persona di cui si è innamorati.
Si sciacquò il viso, forse per cercare di togliersi quella maschera che non gli apparteneva dalla faccia, ma niente. Stavano succedendo troppe cose contemporaneamente, troppe volte il tutto era rimasto sull’orlo di un burrone, e quella era una quelle volte.
Remus Lupin aveva diciassette anni, era uno dei ragazzi più maturi della sua età, era cresciuto in fretta e aveva imparato ad affrontare tutto con un sorriso, anche se “tutto” in genere faceva schifo. Ma quella sera, Remus Lupin si permise di piangere, perché non c’era niente a spingerlo avanti. Non c’era niente che gli prometteva di uscire da quella galleria buia, niente che gli permetteva di raggiungere quello spiraglio di luce.
Perché quella volta, dello spiraglio di luce, di quella speranza che c’era sempre stata, non ce n’era nemmeno l’ombra.
 

 
 
 
 


NdA: Here I am! Dopo ben nove giorni di silenzio mi faccio risentire. Chiedo perdono, ma mi sono un po' demoralizzata: la scuola, il raffreddore (?) e tutto il resto mi tengono impegnatissima e non ho quasi mai tempo per scrivere, quindi scusatemi ancora. Okay, ammetto anche che l'aver ricevuto una sola recensione allo scorso capitolo mi ha un pochino buttata giù. Insomma, so di non essere all'altezza di quelle storie che ricevono una ventina di recensioni a capitolo e che probabilmente rimarrò nel mio piccolo anonimato per sempre, ma mi farebbe piacere ricevere diversi pareri e non solo quello di PervincaGranger7 che, come al solito, ringrazio moltissimo :3 Bene, dopo aver fatto la parte della vittima (non voglio far pena, chiariamoci e.e) passiamo al capitolo: duuuuunque, ehehe, che ve ne pare? Alla fine, tutti i piani di Remus e Austin sono usciti allo scoperto, ma chi ne ha risentito? Il nostro povero Moony (scusa, Rem, io ti adoro lo sai ♥). Ma quanto è tenero James? *^* vi giuro, lo amo da morire. Mi dispiace per tutte le Snily shipper ma James è molto più asdfghjklj. Okay, ho espresso il mio parere, non voglio scatenare una shipwar u.u so solo che potrei arrivare a shippare Snily solamente per avere James tutto per me AHAHAHAHA :')
Smetto di parlare a vanvera e spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto e, vi preeeego *occhi dolci* fatemi sapere cosa ne pensate. Non abbiate paura a lasciare il vostro parere, positivo o negativo che sia, mica vi mangio u.u *fa partire l'episodio di Hannibal* EHM, dicevamo?
Ya, grazie ancora a tutti voi che seguite/preferite/ricordate a chi recensisce e a chi ha voglia di farlo, e anche chi legge in silenzio (tirate fuori la voce! u.u La mia maestra di canto lo dice sempre). Alla prossima, belli! ♥ (o belle? comincio a pensare che siamo solo femmine su questo sito...)
Marianne



 

 
 

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Capitolo 9
*** Piovono polpette. ***



 

 

CAPITOLO 8 – PIOVONO POLPETTE

 

Quando Alice e Lily erano entrate nel dormitorio, avevano trovato Marlene seduta sul letto, col cuscino tra le braccia, a singhiozzare silenziosamente.
Lily si fermò sulla porta, in uno stato di… non lo sapeva nemmeno lei. Sapeva che le dispiaceva talmente tanto per quello che era successo a Marlene che sentì una stretta al cuore vedendola in quello stato; Alice si era fiondata ad abbracciarla.
«Marly, non piangere…» provò a dire Alice, ma non ottenne nulla, dopotutto, era come chiedere la luna. Lily era ancora ferma sotto lo stipite, sembrò tornare alla realtà, e si avvicinò al letto di Marlene all’improvviso.
«E invece piangi, Marly, ti farà bene.» disse Lily, e la povera Marlene non se lo fece ripetere due volte, passarono dieci minuti in quel modo, abbracciate, e Marlene credette di piangere tutte le sue lacrime, perché ad un certo punto queste smisero di uscire.
«E adesso sfogati.» continuò Lily, insomma, aveva l’impressione che Remus si fosse preso già abbastanza insulti, ma se faceva sentire meglio Marlene…
Quest’ultima scosse la testa, asciugandosi il viso con la manica del maglione, «Dov’è Mary?» chiese quindi la bionda cercando di non far tremare la propria voce.
«Forse è ancora di sotto, vado a chiamarla.» disse Lily, e così uscì in tutta fretta dal dormitorio, scese le scale e, una volta in Sala Comune, perquisì la stanza con lo sguardo.
Poi la vide: era seduta su una poltrona, in un angolo lontano da tutti, con lo sguardo rivolto a terra. Lily le si avvicinò e «Hey.» provò a dire piano.
«Hey.» disse  l’altra ragazza per tutta risposta.
«Marlene ha chiesto di te. Dovreste parlare.» disse Lily sedendosi sul bracciolo della poltrona rossa. Mary sospirò.
«E perché dovrebbe? Ho rovinato tutto.» disse la mora.
«No! No, non sei stata tu, Mary» iniziò Lily, prima continuare si morse il labbro. «Non potevi saperlo.»
«Ma ero io il problema, stasera lascerò Sirius, al momento ho bisogno di stare sola.» disse Mary, si alzò dalla poltrona.
«Intendi…» iniziò Lily.
«Intendo che non voglio un ragazzo, per ora devo stare con voi, devo divertirmi, è il momento migliore della mia vita e voglio passarlo con le persone a cui tengo di più.» Mary sorrise, e Lily capì che era perfettamente convinta delle sue parole, fece per dire qualcosa, ma Mary la bloccò di nuovo.
«I ragazzi vanno e vengono, voi resterete per sempre.» E così dicendo, Mary si avviò saltellando verso le scale, dove incontrarono Sirius che scendeva: dalla sua espressione accigliata si poteva capire che non era molto contento, o particolarmente propenso ad una conversazione, ma Mary glielo avrebbe detto comunque, in quel preciso istante.
«Sirius,» disse lei catturando la sua attenzione. «devo parlarti.»
«Ora?» Chiese Sirius.
«Sarò più veloce della luce.» promise Mary.
«Dimmi, allora.»
«È finita, tra noi intendo. Nulla di personale, ho bisogno di stare sola.»
«Oh, okay.» disse lui aggrottando le sopracciglia.
«Niente risentimenti?» chiese Mary.
«Niente risentimenti.» affermò Sirius, pareva parecchio confuso al momento, come quando, dopo aver corso ti senti solamente stanco, ma sai che il giorno dopo i muscoli cominceranno a far male.
«Stammi bene.»
«Anche tu.» Mary e Lily finirono di salire la scale e Sirius si diresse in Sala Comune, punto verso il buco del ritratto, nemmeno due minuti dopo si ritrovò in corridoio, a respirare dell’aria relativamente fresca e pulita.
I corridoi erano ancora deserti, il pienone per dirigersi a cena ci sarebbe stato almeno entro un quarto d’ora, doveva parlare con Remus. Doveva chiarire con lui prima della luna piena. Perché poi sapeva che non avrebbe avuto il tempo. O il coraggio.
Insomma, non si era nemmeno accorto che Mary lo aveva scaricato. Era perfettamente normale, certo, chi non l’avrebbe fatto?
Ma la cosa che sorprendeva Sirius era che non gli importava nulla. Non aveva sentito nulla.
Il problema era che non aveva idea di dove andarlo a cercare, non sapeva da dove partire, e, sinceramente, una parte di lui avrebbe voluto rimanere volentieri in quel corridoio per il resto dell’eternità.
Alla fine, optò per il bagno, un po’ perché in quel momento gli serviva il gabinetto, un po’ perché gli sembrava l’unico posto plausibile.
Insomma, dove sarebbe andato, al posto suo, se fosse stato schiaffeggiato dalla sua (ormai ex) ragazza davanti a tutti  i Grifondoro? Di sicuro non in Sala Grande ad abbuffarsi.
E così, camminò finché non arrivò davanti al bagno maschile del settimo piano. Quello che vide, quasi non gli fece mancare il respiro. E non si sentì più il cuore nel petto, fu come se gliel’avessero strappato, aprendogli una voragine infinita.
Remus era appoggiato ad uno dei lavandini, le maniche della camicia, anche se arano arrotolate fino ai gomiti, erano bagnate; la cravatta era allentata e il maglione gettato a terra con noncuranza.
Sirius vedeva i muscoli tesi delle braccia di Remus, la smorfia sul suo viso, che Sirius vedeva solo attraverso lo specchio.
Remus piangeva. Era la prima volta che lo vedeva piangere. Non era mai successo prima, e si conoscevano ormai da sette anni.
Forse avrebbe dovuto andarsene, e non parlargli. Avrebbe dovuto correre via, come un cane con la coda tra le zampe – e Sirius non avrebbe saputo trovare definizione più esatta – e lasciare Remus da solo, in quel bagno.
Forse sì, avrebbe dovuto fare tutto quello, ma non lo fece.
«Avresti potuto dirmelo.» mormorò Sirius, poi si morse il labbro, rendendosi conto di aver detto una grandissima e colossale cazzata.
Remus si voltò di scatto, e fissò Sirius con gli occhi spalancati, e con le lacrime ancora sul viso, cercò di asciugarsele il più velocemente possibile, ma ormai il danno era fatto: Sirius  l‘aveva visto.
«D-di cosa p-parli?» chiese balbettando. La voce gli tremava ancora a causa dei singhiozzi.
«Lo sai. Mary e tutto il resto.» rispose Sirius calmo. Non sapeva come comportarsi.
«Sirius, posso spiegarti tutto.» disse Remus, prese poi un grande respiro.
«Ti ascolto» disse Sirius appoggiandosi al muro. «E poi, forse, dovrò picchiarti.»
«Mi sembra giusto.» commentò Remus. Prese un altro respiro e tossì per scaldarsi la voce.
«Conosci Austin Krueger?» chiese Remus. Sirius annuì e aggiunse un «e chi non lo conosce?» sottovoce.
«Bene, due settimane fa ha cominciato a parlarmi. Quel giorno non stavo particolarmente bene. La notte non avevo dormito ed ero anche abbastanza nervoso per conto mio…»
Poi Remus venne bloccato ancora una volta. «Quella notte io mi ero visto con Mary. Stavi così per lei?» chiese Sirius impaziente.
«No… cioè, fammi continuare.» disse Remus.
«Okay.»
«Lui ha cominciato a farmi domande strane. Sul fatto che non avessi esattamente una bella cera. E mi chiesto chi mi piaceva.»
«Scusa se ti interrompo, Rem, ma sei un vero idiota ad averlo detto ad uno come Krueger.» osservò Sirius.
Lo so, avrebbe risposto Remus, sono davvero un idiota, Felpato. Per essermi fidato di lui e non di te. Per averti lasciato scappare. Per non averti detto subito la verità. Sono un vero idiota perché adesso eccoci qui, alla resa dei conti, a vedere cosa rimane di noi.
«Ed è uscito fuori il nome di Mary perché non potevo dirgli la verità» disse ancora Remus. «Sarò anche un idiota, ma non sono così cretino.»
Sirius sorrise divertito, e prima che potesse dire qualsiasi cosa Remus continuò.
«Ma Austin mi aveva promesso di mantenere il “segreto” perché anche lui me ne aveva confidato uno.»
«Ovvero?»
«È gay.»
«Tutta la scuola sa che Austin è gay!» esclamò Sirius. «Be’, tutti tranne te, a quanto pare. Resta comunque da scoprire perché gli hai detto una bugia.»
«Perché» iniziò Remus alzando la voce. «… ci piace la stessa persona.»
Silenzio.
Sirius aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì nessuno suono. Niente. Nada. Pas. Niet. E alla fine, l’unica cosa che riuscì a dire fu: «Quindi non ti piace Mary?» Che merlino lo fulminasse!
«No.» sibilò Remus.
«Ascolta, Rem, è una fase, ci sono passato anche io. È quel momento in cui ti senti attratto dai ragazzi, ma tra poco ricomincerai a riconsiderare le ragazze.» disse Sirius avvicinandosi al proprio migliore amico.
«Ma io…» tentò Remus, senza troppi risultati.
«E, ad essere sinceri, questa è la cosa più intelligente da fare: invece che tre miliardi e mezzo, potrai usufruire di ben sette miliardi di persone!»
«Felpato, io non ho mai considerato le ragazze.» ammise Remus, col volto in fiamme – un po’ perché aveva pianto, un po’ per l’imbarazzo – e lo sguardo rivolto a terra.
«Ah.»
Avete presente quando vorreste prendervi a bastonate, oppure gettarvi nel Lago Nero perché siete dei sentimentali e non volete che la Piovra Gigante muoia di fame, o ancora quando fare un bel volo dalla Torre d’Astronomia  non sembra improvvisamente una cattiva idea? Ecco come si sentiva Sirius.
Il suo migliore amico gli stava confidando il suo più grande segreto e lui rispondeva con un misero “Ah.”
«Insomma, quindi? Sei sempre Rem. Il mio Rem, giusto?» si affrettò a sistemare le cose, ma ottenne l’effetto quasi indesiderato. Remus chiuse gli occhi e inspirò, forse si era arrabbiato.
«Austin aveva in mente di separare te e Mary, così, secondo lui, io avrei avuto lei e lui avrebbe avuto…» disse il ragazzo cercando di guardare Sirius negli occhi scuri e profondi.
«…me?» chiese Sirius completando la frase. Remus annuì. «Be’, in ogni caso, non mi metterei con Krueger nemmeno da morto.»
«Questo mi rincuora.» mormorò Remus appoggiato ad uno dei lavandini.
Sirius sorrise. Poi aggrottò le sopracciglia e alzò lo sguardo verso il muro, e poi lo spostò su di Remus. Stava ricordando cosa gli aveva detto pochi minuti prima: “ci piace la stessa persona”. Avrebbe dovuto dire qualcosa o lasciare che Remus facesse tutto? Ma, neanche a farlo apposta, il destino fece di nuovo le sue veci.
«Sirius, credo che se non lo hai capito allora devi essere proprio stupido ma… in genere, io non mi innamoro delle persone stupide.» mormorò Remus guardando da tutt’altra parte.
Gliel’aveva detto… più o meno. Era andata. O forse no?
Sirius gli si avvicinò con una lentezza esasperante. Il suo cervello lavorava, ma non gli diceva con esattezza cosa fare.
«Se vuoi… che ne so, picchiarmi come avevi detto prima, fallo pure, io…» balbettò Remus.
«Oh, sta zitto, una volta tanto.» Borbottò Sirius spazientito. Afferrò Remus per il colletto della camicia e lo tirò a sé, e poi premette le sue labbra contro quelle di Remus, quasi fosse la cosa più giusta del mondo, quella più naturale. Perché così gli dettava il cuore.
Remus intanto aveva chiuso gli occhi, e pensava solo ad imprimere nella memoria quel momento. Le labbra di Sirius, il loro sapore,  il suo profumo.
Remus si sentì spingere verso il lavandino, ma con un mugolio di disapprovazione nel bacio, riuscì, in qualche modo, a finire addosso a Sirius che adesso era premuto contro la parete del bagno.
Nemmeno lui ci capiva più niente, sapeva solo che, solitamente, baciare il proprio migliore amico nel bagno del settimo piano non era esattamente quel che si definisce normale, ma, dopotutto, Sirius normale non ci era mai stato, perché esserlo anche in quel momento?
Perché rovinare le sensazioni che sentiva mentre Remus gli infilava una mano tra i capelli e gli appoggiava l’altra sul petto? Perché lasciare che le preoccupazioni si facessero largo nella sua testa mentre gli incrociava le braccia dietro al collo, e mentre sentiva i piccoli brividi di Remus non appena gli accarezzava i suoi capelli color miele?
Perché privarsi di quegli istanti di luce e felicità?
«Rem…» riuscì a dire Sirius dopo minuti – secondi, ore, secoli? Cos’erano stati, precisamente? – che parevano non finire mai.
«Stai zitto, una volta tanto.» rispose Remus usando le stesse parole usate da Sirius. Il moro si lasciò scappare una risata, e spinse Remus contro il muro.
«Rimarrei zitto quanto vuoi, però, adesso dobbiamo andare a cena.»
 

***

 
In Sala Grande, quel martedì sera, c’era parecchio casino: chi sogghignava, chi piangeva, chi cercava di sfuggire a domande piuttosto ambigue («Cosa diavolo avete tutti e due, stasera?» aveva chiesto spazientito James rivolto a Remus e Sirius), poi c’era chi osservava tutto in silenzio, accigliandosi.
Be’, nonostante questo, c’era parecchio chiasso. La gente ancora chiacchierava per la storia messa in giro da Rita Skeeter: alcuni erano felici di vedere che, almeno per una volta, quella strega bionda non avesse creato disastri di importanza nazionale.
Comunque sia, se il baccano che c’era in quel momento poteva risultare fastidioso, quello che sarebbe esploso di lì a pochi minuti avrebbe fatto inorridire persino un troll di montagna.
Tutto era iniziato perché, come al solito, se James Potter non dimostrava al mondo intero di essere maledettamente geloso non era contento. Marlene aveva dichiarato di non avere fame, e aveva allontanato da sé il proprio piatto di polpette. Accanto a lei c’erano Lily, Mary ed Alice, in assoluto silenzio.
Erano state avvertite: se solo avessero nominato Remus, o il fatto che sarebbe andato tutto bene, che non doveva pensarci, le avrebbe linciate. Ed era sempre meglio stare in guardia quando Marlene diceva quelle cose.
Allora, Lily si era alzata dal tavolo, perché a stare lì, in silenzio, a perquisire la Sala Grande con gli occhi proprio non le andava a genio; era andata al tavolo dei Serpeverde e si era seduta vicino a Severus, che le aveva sorriso.
E allora James Potter aveva cominciato a lamentarsi. Sempre più ad alta voce.
E Marlene, che era già di pessimo umore, non ci mise molto a spazientirsi.
«Potter, vedi di chiudere quella cazzo di bocca!» gli gridò, ma James la ignorò, e per tutta risposta Marlene prese una polpetta dal piatto davanti a lei e gliela lanciò.
E penso che possiate benissimo immaginare cosa succedeva quando una polpetta finiva in faccia a James Potter, imbrattandogli i capelli e la camicia di sugo.
O forse no?
Be’, in questo caso, vi basti sapere che James Potter scatenò il putiferio, nel vero senso della parola.
«McKinnon, hai firmato la tua condanna a morte!» strillò togliendosi la polpetta di dosso. Ne prese una e la lanciò in direzione di Marlene. Alcuni Tassorosso avevano notato cosa stava succedendo  stavano prendendo le parti di James o Marlene, alcuni non ci capivano nulla e lanciavano polpette senza alcun criterio.
Qualche Serpeverde si alzò e cominciò a lanciare polpette a James Potter, che era ormai braccato su tre fronti.
«Che succede?» chiese Lily a Severus.
«Non lo–» ma Severus non finì la frase perché gli arrivò una polpetta dritta in faccia, Lily strillò e si scattò in piedi. «POTTER!» gridò Severus. Anche lui si armò di polpette e le lanciò verso James Potter.
«Sev, fermo!» Lily cercò di fermarlo, ma ormai era entrato nella mischia, ed era imbrattato di sugo dalla testa ai piedi, proprio come la maggior parte degli studenti.
Lily entrò nel panico: come lo avrebbe sistemato tutto quel casino? Era una Caposcuola, e dato che l’altro aveva dato inizio a tutto quello… non le rimaneva che sistemare tutto con le proprie forze.
Accidenti a Potter!
Salì sul tavolo, e se ne pentì quasi subito, perché vedendola alcuni la imitarono e salirono sul tavolo della propria Casa per avere una visuale ed una mira migliore.
Oh, e accidenti a me!
Austin Krueger, intanto, era stato colpito da tre polpette una dopo l’altra, tutte lanciate dall’infallibile braccio destro di Sirius Black, e adesso strillava, disperandosi per i suoi poveri capelli sporchi di sugo.
«Okay, Lily, concentrati… troverai una soluzione.» si disse mettendosi seduta. Trovava strano il fatto che nessuna polpetta l’avesse colpita ancora, ma il problema fu risolto presto. Si sentì uno splash, e subito dopo metà della sua faccia e gran parte dei suoi capelli erano sporchi di carne e pomodoro.
Tutti sembrarono arrestarsi, perché qualcuno aveva colpito Lily Evans, e quel qualcuno avrebbe passato un brutto quarto d’ora. O una brutta esistenza in generale.
«CHI DIAVOLO È STATO?!» tuonò Lily. Era infuriata, incazzata, e aveva del pomodoro nei vestiti. Quel poveretto avrebbe fatto meglio darsele a gambe. Tutti si zittirono per un momento.
«Scusa Evans, non miravo a te.» Si giustificò James Potter. «Il mio obiettivo era Mocciosus, in realtà.»
E un altro splash, stavolta sulla divisa di Severus.
«FERMI! TUTTI QUANTI.» Stavolta la voce proveniva dal tavolo del professori, ed era quella del professor Silente. Neanche trenta secondi dopo, tutti erano seduti ai propri posti, imbrattati, sporchi e puzzolenti, ma erano a dir poco terrorizzati.
«Tornate tutti nei vostri dormitori.» Disse poi Silente, calmo. «Tranne voi quattro.» E così dicendo indicò Lily, James, Marlene e Severus.
Ai quattro sventurati fu ordinato di ripulire la Sala Grande da cima a fondo («Ma, professoressa! Finiremo a notte fonda.» si lamentò Lily prima che la McGranitt lasciasse la stanza: ma secchi, stracci e scopettoni erano lì, e avrebbero dovuto fare il tutto senza magia!), i piatti erano spariti e adesso rimanevano i quattro tavoli sporchi, e il pavimento altrettanto sporco.
«Che schifo.» Fu l’unico commento di Marlene.
«Taci, McKinnon, se tu non mi avessi tirato quella polpetta non sarebbe successo niente.» disse James gettando uno straccio in uno dei secchi pieni d’acqua.
«Finiscila, Potter, se tu non avessi un ego oltremodo enorme, e se ti stessi zitto qualche volta, McKinnon non ti avrebbe lanciato nulla.» disse Severus, non perché voleva prendere le parti di Marlene, ma perché  James Potter gli stava sulla palle. E quella definizione sarebbe stata anche poco.
«Basta adesso. Tutti e tre. Prima ci muoviamo prima finiamo, e, sinceramente, non ci tengo a passare tutta la notte qui dentro.» intervenne Lily.
E allora rimasero in silenzio. Quando ebbero finito di pulire tre tavoli, Lily si avvicinò a Marlene. «Hey, vai pure. Ci penso io qui… e a loro.»
«Sei sicura, Lils? Insomma, potresti non uscirne viva, e sai che non mi riferisco al fatto di inciampare sullo straccio.» rispose Marlene.
«Sicurissima, vai pure.»
«Grazie, e buonanotte.» Allora Marlene posò straccio e scopettone e si avviò verso l’uscita.
«McKinnon dove…» iniziò James ma Lily intervenne e lo fermò: «Gliel’ho detto io, Potter, continua a pulire e non rompere.»
Lily sbuffò, e si apprestò a pulire l’ultimo tavolo, quello dei Corvonero. Allora Severus l’affiancò e le prese lo straccio dalle mani.
«Sev, ma…» iniziò Lily.
«Faccio io.» si era limitato a dire Severus, cercava di non guardare Lily negli occhi, e non sapeva nemmeno lui perché.
«Ma toccava a me fare i tavoli…» protestò Lily.
«Vai pure a dormire. Non è colpa tua, tu hai solo cercato di fermarci.» disse Severus continuando a pulire. Poi sospirò e si voltò verso di lei. «Lils, tu sei fantastica, okay?»
E così dicendo le spostò una ciocca di capelli sporchi da davanti gli occhi e gliela mise dietro l’orecchio sinistro. «Sev…»
«Riposati, non dovresti essere qui a pulire.» continuò lui.
«E lasciare te e James da soli nella stessa stanza? Come minimo domattina il vostro sangue si confonderà con il sugo ancora a terra.» scherzò Lily, e Severus rise, facendosi rubare lo straccio dalla mani.
«Guarda che ero serio.»
«E lo sono anche io.»
«Forse ho capito cosa c’è che non va in me: ti lascio sempre vincere.» disse Severus. «E forse lo faccio perché…»
«Mocciosus! Qui ci sono persone che lavorano. Invece di importunare la Ev–  Lily, fai qualcosa di utile e produttivo.» esclamò James dall’altra parte della sala. Severus fece per replicare ma «Shh.» gli disse Lily sorridendo.
«Me lo dirai domani, okay?» disse Lily. Severus annuì, poco convinto, e ritornò al suo pezzo di pavimento.
Verso le due del mattino, la Sala Grande era più splendente di quanto non lo fosse mai stata, James aveva fatto la solita e prevedibile battuta dicendo: «Però, questo pavimento l’ho pulito così bene che il mio riflesso magnifico di vede anche qui.», e tutti erano tornati nelle rispettive Sale Comuni.
Una volta nella Sala Comune Grifondoro, tra James e Lily cadde un silenzio pericolosamente freddo, come se tutto quello che avevano costruito in quelle settimane si fosse disintegrato.
«Lily, mi dispiace tanto. Se non fosse stato per me non avresti dovuto pulire tutto quel casino con noi…»
«James, ho sonno, non ho la forza di discutere con te.» disse Lily.
«Lily, vieni con me?» chiese James.
«Dove?»
«Tu seguimi.»
E Lily non si seppe mai dire perché, ma quella notte, con gli occhi che minacciavano di chiudersi ogni minuto, prese la mano di James e lo seguì fino in bagno, dove lui, ciocca dopo ciocca, capello dopo capello, le tolse ogni traccia di cibo che trovava.
E Lily aveva fissato il curioso motivo delle mattonelle con le guance imporporate di rosso, perché un gesto del genere da James non se lo sarebbe mai aspettato.
E poi, cominciò a nutrire uno strano desiderio: cominciò a voler immergere le mani in quei capelli neri e indomabili, e togliere minuziosamente ogni traccia di pomodoro dalla testa di James, poi scosse la testa, e si rese conto di cosa stesse pensando.
Oh, non andava affatto bene.
«Adesso puzzi di meno.»
«Lo prenderò come un complimento, James.»
E dopo successe qualcosa che nessuno dei due si aspettava: Lily diede sempre la colpa al sonno, alla stanchezza e tutte le cose successe quel giorno che l’avevano sfinita sia fisicamente che mentalmente, ma prima che le loro vie si separassero, dopo aver salito le scale che portavano ai dormitori, Lily diede un bacio sulla guancia a James e gli augurò la buonanotte.

 
 
 
 


NdA: Hola chicas! *si esercita* tra sei giorni parto per Madrid e sto saltellando come un'ossessa per tutta la stanza! *^* Don't worry, nonostante i compiti in classe che mi aspettano da lunedì a mercoledì, sto cercando di buttare giù il nuovo capitolo e l'aggiornamento, con un po' di fortuna sarà in ritardo solo di qualche giorno :3 Bene, volevo mettere questo avviso alla fine ma una parola tira l'altra e quindi niente. Passiamo ora al capitolo, zan zan zan. Perdonatemi il titolo ALTAMENTE idiota. Io non l'ho nemmeno mai visto, Piovono Polpette, però non credo che ci sia titolo più adatto; mi sono sballicata a scrivere la seconda parte di questo capitolo, vi giuro, ridevo da sola e non so sa la cosa possa essere positiva o meno. Rimane il fatto che non vedevo l'ora di scrivere questo capitolo: I WOLFSTAR SI SONO BACIATI! LA MIA OTP HA RICEVUTO LA VITA *^* 
*si ricompone* scusate, è che quando si parla di quei due io svalvolo e do di matto. ewe Vi avverto che il prossimo capitolo (almeno, per quello che ho in mente) sarà molto ANGST, per quasi tutti tranne che per i wolfstar u.u li ho appena fatti iniziare, non posso smorzarli così presto.
Jily: E noi che siamo cacca di troll per caso? SILENZIO! *caccia via i Jily*
Sev: Ciò vuol dire che io avrò una possibilità con Lily? No, soffrirete tutti. muahahahaha
Sono una persona orribile e mentalmente disturbata, andiamo, quale persona sana di mente si mette a parlare *coff* litigare *coff* con i propri personaggi? Quale autrice che si possa definire tale lo fa? ç_ç Sono partita. La scuola mi sta distruggendo .AAAH.
Detto ciò, ci tengo a ringraziare le 31 persone che hanno messo la storia nelle seguite e le 14 che l'hanno invece inserita tra le preferite. E in modo particolare, un grazie va a Dark_S97, PervincaGranger7, mimmyna e lettorefp che hanno recensito lo scorso capitolo :3
Oh, e a tutti voi che vi nascondete dietro quello schermo, le recensioni sono sempre ben accette, sia critiche che positive, non mordo nessuno, né sono tantomeno una cannibale! ^_^
Love ya ♥
Marianne




 

 
 

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Capitolo 10
*** Capolinea. ***



 

 

CAPITOLO 9 – CAPOLINEA

 

La sera di Mercoledì dodici Ottobre, Lily Evans aveva visto parecchie cose strane dalla finestra del suo dormitorio: quattro strane figure si aggiravano per il Parco di Hogwarts. Talvolta una o due sparivano e riapparivano all’improvviso.
Ci avrebbe scommesso la mano destra (dopotutto, la sinistra le serviva per scrivere) che si trattava di Potter e i suoi amici, che stavano sgattaiolando dal castello di notte.
Di nuovo.
Era, infatti, successo parecchie volte negli anni precedenti, ma Lily era solamente un Prefetto, non poteva dirgli nulla. Ma adesso che era Caposcuola e poteva benissimo andare in giro per il castello ad ogni ora della notte gliel’avrebbe fatta pagare.
Eccome, se gliel’avrebbe fatta pagare.
Decise di andare a dormire in Sala Comune, così, se ci fossero stati rumori sospetti provenienti dal buco del ritratto – e se quei quattro erano sgattaiolati fuori, prima o poi avrebbero dovuto rientrare, quindi ci sarebbero stati –, Lily si sarebbe svegliata subito, li avrebbe colti nel sacco e a quel punto nemmeno svegliare la McGranitt e ritrovarsela davanti con i bigodini in testa l’avrebbe intimorita.
Intanto, James cercava di coprire se stesso e, per quanto possibile, gli altri con il Mantello dell’Invisibilità, ma funzionava a malapena quando erano tutti e quattro degli undicenni, figurarsi adesso che avevano diciassette anni ed erano alti il doppio.
Comunque, erano quasi arrivati davanti al Platano Picchiatore, una decina di passi dopo Peter li precedé – era il più piccolo e aveva meno possibilità di essere colpito da quei rami infernali –  e pigiò il nodo della radice, così l’albero si arrestò  e tutti poterono passare attraverso il passaggio segreto che portava ad Hogsmeade, precisamente alla Stamberga Strillante.
Avevano sempre faticato a passare per quel cunicolo stretto e maledettamente basso, ma col tempo ci avevano fatto l’abitudine. Almeno sottoterra, Remus non rischiava di trasformarsi da un momento all’altro. Dopo alcuni minuti giunsero nella vecchia casa abbandonata e apparentemente infestata.
James rideva sempre quando, durante le gite ad Hogsmeade, sentiva gli studenti parlare della Stamberga come fosse il luogo più infestato di tutta la Gran Bretagna, altro non era il posto in cui, durante ogni plenilunio, rimanevano con Remus durante la sua trasformazione.
Ogni volta che ci pensava gli veniva da ridere per quanto gli abitanti di Hogsmeade fossero creduloni, ma non appena ripensava al vero motivo un grande moto di tristezza si abbatteva su di lui.
Remus era una persona così buona, e non avrebbe mai meritato tutto quello. Eppure eccoli lì, per l’ennesima volta, a stare vicino al loro amico durante la parte peggiore di sé.
Quella in cui dimenticava chi fosse, chi fossero i suoi amici, le persone che gli volevano bene, le persone che amava…  ma nessuno poteva farci nulla. Era così ormai.
Quella notte non avevano parlato molto, quasi per niente, erano rimasti tutti in silenzio durante il tragitto, e una volta nella vecchia casa aspettarono.
Aspettarono che la luna raggiungesse il punto più alto nel cielo, che i raggi argentei entrassero nella finestra e che Remus cominciasse a cambiare forma.
E allora anche loro tre si trasformarono. James divenne un cervo, Sirius un cane e Peter un topo. L’inizio era la parte più dolorosa per tutti. Non solo per Remus, ma anche per loro che dovevano rimanere lì, a vedere il proprio migliore amico trasformarsi in una creatura che non riconoscevano, che non li riconosceva.
I graffi che si procuravano, a volte, cercando di fermare Remus non erano niente in confronto a quello. In confronto al vederlo mutare sotto la luna.
E quella notte non fu da meno: Remus si trasformò, e secondo dopo secondo si allontanava sempre di più dal Remus di sempre, fino a diventare un lupo mannaro. Fino a non riconoscere nemmeno se stesso.
Remus cominciò a diventare più alto, e poi s’incurvò. Gli spuntò la pelliccia e le mani si trasformarono in zampe con dei pericolosi artigli come dita. Spuntarono anche le zanne, dove sarebbero dovuti essere i denti, gli occhi divennero talmente scuri da sembrare quasi liquidi, e la testa cominciò a prendere sempre di più la forma di un muso.
Come ogni volta, graffiò le pareti della casa. Se le finestre non fossero già state rotte, probabilmente avrebbe mandato in frantumi anche quelle. Una parte di sé sapeva che tutti quei rumori, gli ululati e gli strani versi che facevano James e Sirius avrebbero spaventato a morte gli abitanti di Hogsmeade, ma vi erano ormai abituati, poiché erano convinti che quella casa fosse infestata.
In generale, Remus si sentiva molto più suo agio quando i suoi amici erano con lui, ovviamente in forma animale, sembrava calmarsi e non essere particolarmente violento. Quella notte non fu da meno, anche se gli sembrò di aver ferito qualcuno per sbaglio.
Remus, quando tornava in forma umana, ricordava poco e niente della notte trascorsa da Lupo Mannaro, anche perché si svegliava già da umano. James gli diceva sempre che, una volta tornato umano, sveniva e si risvegliava dopo poco meno di un’ora.
Era quasi l’alba quando tornarono al castello. Peter rischiava di addormentarsi perfino mentre camminava e James sentiva il bisogno di bere un caffè, nonostante fosse già abbastanza nervoso.
«Hey, scusa per il graffio sul braccio.» disse Remus guardando Sirius che, effettivamente, non pareva avere una bella cera.
«Tranquillo, passerà.» lo rassicurò Sirius mettendogli un braccio intorno alle spalle, e poi sbadigliò sonoramente. «Tutto quello che voglio adesso è dormire.»
«A chi lo dici.» commentò Peter.
Remus continuava a guardarlo e non sapeva bene cosa fosse successo, o cosa fosse cambiato, dalla sera prima.
Si erano baciati, ma non ne avevano più parlato. Che Sirius si fosse già pentito di quello che aveva fatto? Remus lo conosceva, e se non voleva più avere a che fare con qualcuno dopo essersi incasinato glielo diceva in faccia, chiaro e tondo.
Ma, dopotutto, si disse Remus, con lui era tutto diverso. Loro erano migliori amici, Sirius non poteva dirgli semplicemente di aver commesso un errore e di non pensarci più. Perché Sirius teneva a lui.
Perché Remus non era la solita ragazzina che gli mandava bigliettini volanti tra una lezione e l’altra.
«Ma ti fa male?» chiese Remus.
«Nemmeno troppo.»
«La smettete? Vi comportate come due quattordicenni alle prese con il loro non-primo bacio.» borbottò James. E se non fosse stato nervoso e incazzato con il mondo, la cosa sarebbe suonata come una specie di barzelletta, perché né James né Peter erano a conoscenza del bacio nel bagno.
Né sapevano che a Remus piaceva Sirius.
Ecco perché Sirius si lasciò scappare un sorriso, forse il primo sorriso imbarazzato che Remus gli aveva visto fare da quando l’aveva conosciuto a quella parte. E aveva anche visto chiaramente che aveva abbassato lo sguardo a terra.
E chissà, forse era anche arrossito.
«Chiudi il becco, Ramoso.» disse Sirius alla fine.
Salirono le scale in assoluto silenzio, senza essere disturbati nessuno. Insomma, Remus aveva il permesso per uscire fuori dal castello quelle notti, ma James, Sirius e Peter, in teoria, no.
In pratica, la McGranitt aveva già chiuso entrambi gli occhi un paio di volte, ma dubitavano che la terza sarebbe stata altrettanto benevola.
Quando entrarono in Sala Comune, però, si aspettavano di tutto tranne Lily Evans in pigiama con la bacchetta puntata contro di loro.
«Beccati!» esclamò la ragazza: aveva i capelli legati in una coda sfatta che originariamente era una coda di cavallo, una manica del pigiama verde tirata su e l’altra giù, e un’espressione da pazza sul volto. «Adesso andiamo a farci un viaggetto dalla McGranitt.»
James sospirò, e cercò di formulare una frase che non contenesse solo ed esclusivamente parolacce.
«Ragazzi, ci penso io.» disse poi, gli altri tre non se lo fecero ripetere due volte e salirono le scale di corsa.
«Potter, tu sei Caposcuola e… okay, avresti anche potuto essere fuori per una ronda – cosa alquanto improbabile – ma sono loro quelli colti in flagranti non puoi mandar­—» cominciò a dire Lily, come se non fosse stata svegliata alle cinque del mattino da una serie di rumori sospetti, ma James non le diede occasione di parlare. Era già abbastanza nervoso di suo, gli mancava solo la Evans.
«Taci.» disse semplicemente James chiudendo gli occhi. Non voleva urlare contro Lily. Voleva solo andare a dormire.
«Tu non mi zittisci, Potter, richiama i tuoi amici. Cosa diavolo avete fatto per tutta la notte, eh?»
«Evans, ti ho detto di tacere.»
«No! Rispondimi, piuttosto.»
«EVANS, TU NON SAI UN CAZZO DI ME, OKAY?!» gridò poi James. «Smettila di intrometterti in ogni dannatissima cosa che faccio, che ti riguardi oppure no, non è affar tuo. Semplicemente, smettila di ficcare il naso nella mia vita!»
E nemmeno un secondo dopo arrivò lo schiaffo. James guardava alla sua sinistra, la guancia destra gli bruciava. La toccò con la mano e sentì che gli faceva ancor più male, si voltò lentamente verso Lily e la guardò negli occhi.
In quegl’occhi verdi che stavano diventando grandi, e più acquosi del solito. Le labbra le tremavano e non aveva idea di cosa avrebbe fatto.
Poi, Lily si voltò e corse via, salendo le scale. Si ripeteva di non piangere, non finché James fosse stato abbastanza vicino da sentirla. Quando, però, varcò la porta del dormitorio di buttò sul letto e cominciò a singhiozzare silenziosamente.
Come si era permesso di parlarle così, quando era lui che si intrometteva nella vita di Lily? Quando era lui che la cercava in ogni occasione? Quando era lui che le diceva come avrebbe dovuto comportarsi in ogni singola situazione?
Maledetto James Potter.
Chi si credeva di essere per dirle di tacere e di non intromettersi nella sua vita?
Eppure, Lily si stava odiando per quel comportamento. Se James Potter, per lei, valeva meno di zero, perché le sarebbe dovuto importare quello che le diceva?
E la risposta era proprio lì, sotto il suo naso: il problema era che James Potter valeva qualcosa in più di zero. Valeva tanto, e Lily, orgogliosa com’era, non l’avrebbe mai ammesso. Ma non c’era altra spiegazione logica. Lily, secondo qualche strana legge fisica, teneva a James e cominciava a pensare che avrebbero finalmente potuto superare tutti i diverbi avuto fino a quel momento.
Magari, avrebbe anche potuto accettare uno dei suoi inviti ad uscire, un giorno.
Ma adesso non più. Non dopo quelle parole.
E Lily non aveva mai pianto così tanto per un ragazzo. Non aveva mai pianto così tanto per James Potter, e se possibile, si sarebbe presa a schiaffi per aver inzuppato il proprio cuscino con le lacrime.
Non voleva svegliare Marlene, Mary ed Alice, così cercò di dormire, così che al suo risveglio non si vedesse che avesse pianto. Inutile, ormai non riusciva più a chiudere occhio.
Almeno si calmò, e dopo alcuni minuti finì per fissare un punto vuoto di fronte a sé, con le guancie che pian piano di asciugavano e le palpebre che si facevano sempre più pesanti.
 

***

 
Lily stava camminando per i corridoi, le lezioni pomeridiane erano finite da un bel po’, e lei si ritrovava a vagare per il secondo piano con il dizionario di Rune Antiche tra le braccia.
Era indecisa se andare in Sala Comune o sistemarsi direttamente in Sala Grande, perché voleva stare da sola e, soprattutto, non voleva essere nella stessa stanza in cui si trovava James Potter.
Lui l’aveva ferita dicendole quelle cose, e non aveva cercato di aggiustare il tutto; se pensava che Lily avrebbe fatto il primo passo, si sbagliava di grosso.
Alla fine, optò per la Sala Grande che era semivuota. Si mise seduta al suo solito posto e appoggiò distrattamente il dizionario accanto a sé. Perquisì la stanza con lo sguardo: c’era un gruppetto di ragazze del quinto anno che ultimavano i loro compiti e qualche altro ragazzo che, come lei, era lì in completa solitudine.
Lily sospirò e si voltò appena in tempo verso la porta d’ingresso per vedere Severus entrare, cercò di sorridergli e gli fece cenno di sedersi accanto a lei. Il ragazzo salutò Lily con la mano e la raggiunse.
«Lils! Che ci fai qui tutta sola?» le chiese Severus.
«Non volevo andare in Sala Comune, a quest’ora ci sarà un chiasso abominevole.» rispose Lily scherzando. «E tu, perché sei qui?»
«Per il tuo stesso motivo.»
Lily abbassò lo sguardo: se solo Severus avesse saputo…
«Comunque,» riprese Severus «tra poco la bolgia si trasferirà qui, quindi tutta questa pace sparirà. PUF!»
A Lily scappò una risata. Severus era così: doveva aver capito che Lily non era molto di buon umore, e adesso era riuscito a farla ridere un po’. Si sentiva incredibilmente sollevato nel veder scomparire quel muso lungo dal suo bel viso.
«Stanno già arrivando.» Sbuffò Lily sporgendosi per osservare i quattro studenti appena entrati in Sala Grande. E quasi sbiancò quando vide i Malandrini avvicinarsi al tavolo dei Grifondoro, ma quelli non erano mai in orario, figurarsi in anticipo! «Non. È. Possibile.»
«Cosa?» chiese Severus aggrottando le sopracciglia nere.
E Lily si limitò ad indicare i quattro ragazzi. Severus si girò e sospirò. «Stanno sempre in mezzo…»
«Non li sopporto più.» bofonchiò la ragazza, il che, tradotto, voleva dire “Non sopporto più James Potter”.
«È successo qualcosa?» chiese Severus piano. «Oltre alla sola esistenza di Potter, intendo.»
Lily fece per parlare, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Era come se il corpo volesse reprimere i ricordi della notte precedente e non riuscisse a parlarne con nessuno, nemmeno con Severus. Ed era una sensazione talmente orribile che, forse, sarebbe riuscita a sfogarsi solo piangendo.
«Non so se mi va di parlarne…» Fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Severus sgranò gli occhi sorpreso, Lily non gli aveva mai dato una risposta del genere. «Nemmeno con me?»
«Sì, cioè… indubbiamente sarebbe molto più facile ma… non credo che reggerei.» mormorò la ragazza.
Intanto, la Sala Grande si era riempita, e ora quasi tutta la scuola era seduta al proprio posto, pronta per la cena. Severus si guardò attorno. «Usciamo, okay?»
Lily si ritrovò ad annuire mentre Severus la prendeva per mano, uscirono di corsa dalla Sala Grande, controcorrente rispetto a tutti gli altri. Lily sfiorò involontariamente la spalla di James con il gomito e il ragazzo si girò a vedere cosa l’avesse toccato. Quando vide una chioma dai capelli rossi correre via mano nella mano con Severus Piton, quasi fumò di rabbia, ma non disse niente, perché per la prima volta in tutta la sua vita, sapeva che quella situazione era solo ed unicamente colpa sua.
Una volta fuori, al riparo dal chiasso, Severus e Lily si ritrovarono nella Sala d’Ingresso, ancora illuminata.
E Lily, a faccia a faccia con Severus, con il suo migliore amico, sentì improvvisamente il cuore farsi più leggero, e pensò di potercela fare.
«Ieri notte ho beccato Potter e gli altri che rientravano in Sala Comune» iniziò la ragazza, Severus annuì. «E allora, ho detto che saremmo dovuti andare dalla McGranitt, eccetto per Potter perché lui è un Caposcuola, quindi… ma gli altri non erano comunque autorizzati a starsene fuori, no?»
«Giusto.»
«E ho litigato con Potter.» disse infine Lily. Era buffo: per lei era stata una cosa così tragica, ma forse perché James le aveva urlato contro, forse perché le aveva fatto capire che non la voleva tra le scatole, a differenza di come le aveva sempre fatto intendere.
«Ma… sei sempre allegra quando litighi con Potter, o almeno, mi racconti sempre di come lo metti in ridicolo.» intervenne Severus.
«Il punto è che…» iniziò Lily. «Mi ha detto che non so niente di lui. Di non intromettermi nella sua vita e di farmi gli affari miei. In poche parole mi ha detto che non gliene frega nulla di me, e io che pensavo che fosse… cresciuto. Pensavo davvero che avremmo potuto anche solo provare ad essere amici, anzi, semplici conoscenti che si salutano per educazione quando si vedono, ma evidentemente James non la pensa così.»
«Tieni a lui, non è vero?» chiese Severus, e subito dopo se ne pentì. Perché le faceva delle domande del genere, pur sapendo già la risposta. Risposta che feriva e che faceva male, perché sì, Lily teneva a James in un modo diverso da come teneva a lui, Severus se lo sentiva.
«Non esageriamo. Mi sono solo illusa di poterci andare d’accordo.» rispose Lily.
«Ma non sei mai stata così per Potter, stavolta è diverso.»
«Io… non lo so.» Lily si morse un labbro per non piangere. Strinse gli occhi e deglutì, ormai rossa in viso.
Severus la guardò carico di tristezza. Lily era la sua migliore amica da una vita, era la ragazza che amava e vederla così, in bilico tra le lacrime e l’orgoglio, gli faceva terribilmente male. Come un pugnale dritto al cuore che non riusciva ad ucciderlo, ma continuava a ferirlo, e ogni volta il colpo era sempre più forte. Fu, forse, quella spiacevole sensazione  che gli fece capire di darsi una mossa, che gli fece capire che quello, paradossalmente, era il momento giusto per dire a Lily tutta la verità.
Eppure, si sentiva ancora così insicuro. Sentiva ancora che era sbagliato provare tutto quello per Lily, perché la stava ingannando il qualche modo, e lei era sempre così sincera, così solare, così… pura, che le bugie non avrebbe dovuto sentirle nemmeno per sbaglio.
Severus sapeva di non essere particolarmente coraggioso: quando sua madre lo sgridava lui si tratteneva dal risponderle male, perché sapeva che avrebbe ottenuto solo un segno rosso sulla guancia; quando si ritrovava in mezzo ad una rissa cercava in tutti i modi di svignarsela per non tornare in dormitorio con un occhio nero; ma quando si trattava di Lily, Severus sentiva di essere il ragazzo più coraggioso del mondo. Ecco perché «Lily.» le disse attirando l’attenzione della ragazza.
«Sì?»
«Ascolta, so che non è il momento più adatto per dirtelo, magari avrei preferito un qualcosa di più… suggestivo, ma quello che devo dirti è davvero molto importante.» disse Severus guardandola negli occhi, e perdendocisi, come ogni volta.
«Dimmi.» Lei gli aveva sorriso, ma Severus sapeva che quello, anche se meraviglioso, era un sorriso finto. Quelli veri erano diecimila volte più belli.
«Non so con esattezza quale sarà la tua reazione, e un po’ ho paura, lo ammetto ma…Lils, tu sei meravigliosa, sul serio.» disse ancora il ragazzo, stava inciampando sulle proprie parole. Aveva atteso così tanto il momento per dirglielo, ed ora che era arrivato si sentiva così impreparato.
Eppure, non avrebbe dovuto essere così difficile, erano solo due misere parole, cinque semplicissime lettere ma, stranamente, sembravano pesare tonnellate.
«Io credo di essere innamorato di te» E poi chiuse gli occhi, sperando che, quando li avrebbe riaperti, avrebbe visto quelli di Lily guardarlo dolcemente. E ancora con gli occhi chiusi aggiunse: «Anzi, non lo credo. Io sono innamorato di te.»
Lily era rimasta dapprima sorpresa, e aveva spalancato gli occhi. Poi aveva provato  dire qualcosa, ma non le veniva in mente nulla. Insomma, il suo migliore amico le aveva detto che l’amava, come ci si comportava in quei casi? Si rispondeva “anche io”? No, perché Lily voleva un bene dell’anima a Severus, per lei era come un fratello ma… non l’amava.
Si morse l’interno della guancia per non pensare, perché Lily non voleva pensare a nessuna risposta. Niente che avrebbe ferito Severus. C’era qualche modo per dirgli che lei non ricambiava, ma che voleva comunque continuare ad essere la sua migliore amica? Sapeva che era un comportamento da egoista, ma Lily senza Severus non ci sapeva stare.
Perché Lils non esiste senza Sev, e Sev non esiste senza Lils.
«Sev…» iniziò Lily, cercava le parole più adatte, ma non le veniva in mente niente di niente. Buio totale.
Severus riaprì gli occhi, e sì, vide quelli verdi di Lily, ma lo guardavano stranamente, con una nota di malinconia che tingeva di blu quel verde speranza.
«Sono davvero molto… lusingata, sul serio.» Lily deglutì, aveva la gola secca. Non voleva ferire Severus.
«Ma…?» la incitò lui. Come aveva previsto, le cose non stavano andando secondo i suoi piani. E già sapeva che Lily, in un modo o nell’altro, gli avrebbe detto di non essere innamorata di lui. Cercava solo di prepararsi meglio all’impatto, così da prevedere tutto il dolore che ci sarebbe stato dopo.
«Ma per me sei stato e sei tuttora un fratello. Il mio migliore amico, io… non voglio perderti in questo modo.»
«Ma non mi perderai, anzi.. »
«All’inizio, magari, ma col tempo le cose cambieranno. E se… litigassimo, se ci lasciassimo? Non saremmo più gli stessi. Ti ho già perso una volta ed è stato orribile, non voglio che accada ancora.»
Severus sospirò. «Va bene, ho capito.»
«Dai, torniamo a cena.»
«Io non ho fame.»
E allora Severus si avviò verso i sotterranei, tra l’oscurità, lasciando Lily da sola davanti la porta massiccia della Sala Grande, con un buco nello stomaco e le lacrime agli occhi.
E per la seconda volta in meno di ventiquattro ore, Lily si ritrovò a piangere per un ragazzo: la prima volta perché era stata ferita, la seconda perché era stata lei a ferire.

 
 
 
 
 

 
 
 


NdA: Sono tornata! *festeggia* finalmente sono davanti al mio computer, quanto mi era mancato! *^* Un consiglio spassionato se volete andare in Spagna: parlate italiano e portatevi quanti più maglioni possibili ewe fa un freddo cane e li spagnoli capiscono lo stesso :') Detto questo, passiamo al capitolo. È qualcosa di angst molto angstoso (?), mi sto autoproclamando queen of angst (ma dove? al massimo sono la servetta della situazione ahahah). Non so come sia sopravvissuta dopo aver scritto una cosa del genere, non so dove sia la felicità in questo capitolo. Non c'è proprio la felicità, in questo capitolo. AAAAAAH ç_ç mi odio da sola, scusate. Spero di scrivere qualcosa di non così tragico nel prossimo, però capitemi, ormai i persinaggi non li controllo più hanno preso il sopravvento e femrarli è diventato quasi impossibile u.u
Sono di frettissima perché domani dovrei tornare a scuola, ma non mi va per niente (dopo cinque giorni a Madrid a scuola non voglio più tornarci), quindi sparisco a trovare un modo per farmi venire la febbre, anzi se voi ne avete, illuminatemi pure! hahaha (niente tabacco da masticare o saponette sotto le ascelle, lol u.u)
Ringrazio Dark_S97 e lettorefp per aver recensito lo scorso capitolo e soprattutto ringrazio tutti voi che leggete e che avete fatto arrivare il prologo a 716 visualizzazioni *^* ♥
Alla prossima! :3
Marianne




 

 
 

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Capitolo 11
*** Fumo. ***



 

 

 

CAPITOLO 10 – FUMO.
 

Quella sera nella Sala Comune Grifondoro aleggiavano parecchi stati d’animo diversi tra loro.
Lily, ad esempio, si stava deprimendo alla perfezione; Alice era al settimo cielo, così come Frank; Marlene era furiosa, James anche, e Sirius sembrava essere così impaziente che Remus, per un momento, pensò che gli avrebbe staccato il braccio da un momento all’altro. Ma finché Sirius voleva trascinarlo in dormitorio per “parlargli” a lui stava più che bene.
«Mi sta salendo il diabete.» commentò Marlene osservando Alice: era seduta sulle gambe di Frank, ridevano entrambi.
«Ma sono così carini!» esclamò Mary.
«Se fossi stata delusa da due ragazzi di seguito non saresti così entusiasta.» borbottò Marlene incrociando le braccia al petto.
«O se tu li avessi allontanati entrambi perché sei una perfetta idiota.» aggiunse Lily.
«Forza, ragazze, su con la vita!» disse Mary «Sabato prossimo è Halloween, pensiamo a cosa fare, piuttosto.»
«Probabilmente mi ingozzerò di caramelle fino a scoppiare, e poi comincerò a deprimermi piangendo contro il mio cuscino.» rispose Marlene appoggiando i piedi sul tavolino.
«E se lo passassimo con Alice e Frank? Magari ci saranno anche gli altri ragazzi.» propose Mary. In realtà, Mary non odiava i Malandrini, anzi, erano dei ragazzi simpatici. Forse a volte esageravano un po’, ma volevano solamente divertirsi.
«Preferirei morire piuttosto che passare Halloween con Potter e la sua banda.» disse Lily acida.
«Non farla così tragica, Lily.» la rimbeccò Mary.
«Secondo me non ha tutti i torti.» disse Marlene.
Mary sbuffò e si alzò in piedi spazientita. «Siete davvero impossibili. E deprimenti. Per Merlino, Nick-quasi-senza-testa- sarebbe più socievole di voi in questo momento.»
«Hey, Mary» iniziò Marlene ignorando completamente quello che aveva detto la mora «Tu che conosci Sirius, perché sta quasi staccando il braccio a quello stronzo di Lupin?»
La domanda fece voltare sia Lily sia Mary che poterono notare un Sirius Black che trascinava un Remus Lupin su per le scale che conducevano ai dormitori.
«Non che la cosa mi dispiaccia, comunque.» aggiunse poi Marlene.
«Non ne ho idea…» ammise Mary «Sarà una delle loro questioni.»
«Oppure staranno andando a decidere quale ragazzino corrompere con delle Cioccorane.» E Lily si rigirò a guardarli. Eppure, nello sguardo di Sirius Black c’era una luce strana, sembrava… arrabbiato, anche se, secondo Lily, non lo era affatto.
E poi erano le donne quelle complicate!
Ma la verità era ben altra: Sirius non era arrabbiato. Lui era semplicemente confuso. Era passata una settimana e non sapeva con esattezza cosa fossero lui e Remus.
Sempre se erano qualcosa…
Arrivati in dormitorio, Sirius chiuse la porta e lasciò il polso di Remus, e solo allora si rese conto di averlo stretto un po’ troppo forte.
«Devo parlarti.» disse guardandolo negli occhi.
«Okay.»
«Noi… insomma, dopo quella cosa…» iniziò gesticolando nervosamente. Remus quasi non riusciva a credere ai suoi occhi e alle sue orecchie: Sirius Black era impacciato e aveva il viso in fiamme.
«Vai al sodo.» gli suggerì Remus.
«Stiamo insieme o…?» chiese quindi Sirius andando dritto al punto.
Per un attimo, Remus rimase spiazzato. Aprì la bocca per parlare e rispondere “Certo che stiamo insieme, razza di idiota” ma si rese conto di essere a corto di parole.
Non gli veniva in mente nulla.
Vuoto totale.
«Cioè, se tu vuoi…»
«Sirius, ti rendi conto che aspettavo quel… quella cosa da circa un anno?» chiese Remus. Stranamente, parlare del bacio lo imbarazzava ancora.
«Oh.» disse Sirius per tutta risposta. «Allora le cose sono chiare, credo.»
«Sì, direi che siamo a posto.» rispose Remus guardando la moquette rossa. Aveva la sensazione che la sua faccia fosse dello colore del pavimento in quel preciso istante.
E allora Sirius gli si avvicinò e lo baciò, ma fu diverso da tutti gli altri baci: era dolce e delicato, come se avesse paura che Remus potesse sgretolarsi sotto il suo tocco da un momento all’altro.
Lo fece perché gli sembrava la cosa più giusta da fare, perché gliel’aveva dettato l’istinto; perché una volta, d’estate, lui e James avevano provato ad andare al cinema, in quel posto dove di babbani vedono i film, e i due protagonisti si erano baciati dopo essersi messi insieme.
E Remus ricambiò semplicemente perché ogni bacio gli sembrava un sogno, un dolce sogno destinato a finire bruscamente da un momento all’altro.
Remus aveva gli occhi chiusi e vedeva rosso: rosso come il sangue, come l’amore, la passione; rosso  come la moquette del dormitorio e come il suo viso; rosso come il fuoco e rosso come Sirius.
Perché se Sirius fosse stato un colore, sarebbe stato senz’ombra di dubbio il rosso.
«Forse non dovremmo dirlo a James e Peter, per il momento.» ansimò Sirius quando si staccarono. Rossi in viso e col fiato corto, colpevoli con uno sguardo furbo e un sorriso malandrino.
«Ci sarà tempo per informarli.» E allora Remus sorrise.
«Lunastorta, Felpato, siete lì dentro?» chiese la voce squillante di James.
«Eccoci!» rispose Sirius a gran voce come se non fosse accaduto nulla. Come se il suo cuore non stesse ancora battendo all’impazzata. Come se non avesse ormai superato il limite di velocità.
E allora scesero tutti e quattro in Sala Grande per la cena, ma nessuno seppe mai che due Grifondoro, proprio sotto il tavolo, lontano dagli sguardi di tutti, si stavano stringendo coraggiosamente la mano.
 

***

 
Severus Piton non era esattamente dell’umore migliore, quella sera. In realtà, non lo era da un po’ di giorni a quella parte, da quando aveva confessato a Lily i suoi sentimenti e da quando lei, impassibile, gli aveva fatto capire che non lo ricambiava. Che non lo avrebbe mai ricambiato. Ma la vita era fatta di alti e bassi, dopotutto, e allora perché a Severus sembrava solo di vivere i bassi della sua vita?
Perché, per una misera, inutile volta non poteva essere lui quello a cui le cose andavano a gonfie vele? Lui amava Lily più di ogni altra cosa al mondo, ed essere trattato in quel modo l’aveva ferito. Lei non voleva farlo, certo, ma non se la sentiva a guardarla negli occhi dopo quello che le aveva confessato.
Si vergognava.
Gli sembrava di essere uno sfigato, come gli diceva sempre Potter. Cominciava a dargli ragione, forse lo era davvero, forse Lily non sarebbe mai stata sua.
Quei giorni erano stati una vera e propria tortura per lui. Voleva parlarle, ma ogni volta rimaneva lì fermo, con i libri in mano e la gola secca; voleva guardarla negli occhi e chiederle di dimenticare tutto, di continuare ad essere la sua migliore amica, senza che ci fosse alcun imbarazzo.
Ma non ci riusciva.
Si era sentito così coraggioso, l’altra volta, a confessarle i suoi sentimenti. Anche se non aveva considerato le conseguenze, soprattutto per perché non aveva considerato le conseguenze.
Per la seconda volta si ritrovò a pensare che forse James Potter, per quanto potesse essere idiota, aveva sempre avuto ragione sul suo conto: non aveva fegato, strisciava via da ogni questione.
E adesso eccolo lì, in quella situazione impossibile: in un angolo buio della Sala Comune Serpeverde, a torturarsi con i suoi stessi pensieri, perché non aveva il coraggio di andare dalla ragazza che amava, di guardarla negli occhi verdi e di chiederle scusa.
Di chiederle scusa per essere innamorato di lei.
«Severus, hai gli appunti di Trasfigurazione?» Fece capolino la testa di Goyle, suo compagno di dormitorio.
«Sulla scrivania» sospirò lui tornando per un momento alla realtà. «Mi domando perché perdi tempo dietro lo studio.»
Severus era venuto a saperlo per sbaglio, forse, ma Goyle aveva uno strano marchio sul braccio sinistro. Era il Marchio Nero.
L’aveva notato all’inizio della scuola e pensava che il suo compagno di scuola si fosse unito alle schiere del Signore Oscuro durante l’estate, dopo aver compiuto diciassette anni. Successivamente Goyle gliel’aveva confessato, forse per attuare una specie di campagna propagandistica, e Severus non aveva risposto: si era limitato ad inarcare le sopracciglia.
Il fatto era che, seppur in minima parte, Severus conosceva i piani di Voldemort e diciamo che i Nati Babbani e i Mezzosangue non erano esattamente le sue persone preferite. Ecco perché Severus non poteva assolutamente seguire l’esempio di Goyle.
Lily, la sua Lily era in pericolo. O almeno, lo sarebbe stata una volta uscita da Hogwarts.
«Ci tengo comunque alla mia istruzione, Severus» rispose l’altro. «E credo che questo non sia il posto adatto per parlarne.»
Severus grugnì e si alzò di scatto, superò Goyle con una spallata ed uscì dalla stanza senza guardare in faccia nessuno, anima viva o morta che fosse.
Non aveva idea di cosa fare: né con Lily, né con la sua vita.
 

***

 
«Evans, cosa fai sabato prossimo?» James Potter pareva aver riacquistato tutta la sua energia e vitalità, quella domenica mattina. Era addirittura sorridente e di buonumore.
«Nulla che ti riguardi particolarmente.» sbuffò Lily, su versò del tè nella tazza e continuò a guardare James Potter.
«Non credo che tu sia veramente impegnata.» ribatté James afferrando un toast. Erano già passati quasi due mesi dall’inizio della scuola, ne rimanevano sette e lui non era ancora riuscito a conquistare Lily Evans
 «E tu che ne sai?» rispose brusca la ragazza. Soffiò sul suo tè.
«Infatti, ho tirato ad indovinare. Conoscendoti, finirai per deprimerti in dormitorio con le tue amiche, rimpinzandoti di caramelle… andiamo, è Halloween!» disse James tutto d’un fiato.
Lily rimase parecchio perplessa, sorseggiò il suo tè guardando James Potter di sottecchi, lo guardò proprio male, e poi sospirò Si disse che se fosse stata nei suoi panni – Merlino non lo volesse! – sarebbe già scappata a gambe levate.
«E quindi? Non credi che siamo un po’ troppo cresciuti per dolcetto o scherzetto?» chiese Lily.
«Per quello sì, forse, ma penso che tu non sia mai andata nella Stamberga Strillante la notte di Halloween.» disse James con un sorriso sghembo sul volto. Lily impallidì come un lenzuolo, e per un poco non sputò tutto il tè.
«L-la Stam… berga Strillante?» balbettò la ragazza, solo quel nome la faceva rabbrividire.
Dovete sapere, infatti, che Lily Evans era una persona altamente superstiziosa: non passava mai sotto una scala, se vedeva un gatto nero cambiava direzione, e cercava sempre di non arrabbiarsi troppo, così non avrebbe mandato in frantumi nessuno specchio – anche se James Potter, su quest’ultimo punto, la metteva in una non indifferente difficoltà.
Ecco perché aveva il terrore della Stamberga Strillante dalla sua prima gita ad Hogsmeade, al terzo anno. Non le avevano forse detto che era la casa più infesta della Gran Bretagna?
«Sì, Evans, la Stamberga Strillante. Noi ci andiamo sabato prossimo, vuoi venire?» chiese ancora James.
«Per noi intendi…?»
«Noi quattro: Io, Sirius, Remus e Peter.»
«Allora no.»
«E perché?»
«Siete tutti ragazzi!»
James sbuffò e provvide ad inventare la prima bugia che gli venne in mente: «Peter sta cercando di convincere anche Marlene, e Sirius si sta occupando di Mary, credo. Non sarai l’unica ragazza, e poi, di che ha paura?»
Lily alzò un sopracciglio, per nulla convinta. Insomma, era dell’idea che se Marlene e Mary avessero accettato la proposta – e  considerando il discorso con Mary la sera prima, sì, lei l’aveva sicuramente fatto – non ci avrebbero pensato due volte a trascinarcela: o con le buone, o con le cattive maniere.
«Potter, sai che è contro le regole?» chiese Lily. Cercava in ogni modo di cambiare discorso.
«E quindi? Io infrango le regole anche respirando!» Esclamò James. A Lily scappò un sorriso, si portò la tazza alle labbra e bevve un altro sorso di tè, ormai tiepido. «E poi, tu hai già infranto le regole con me, un volta. Te lo ricordi?»
Lily si morse un labbro. Eccome, se se lo ricordava.
«Stavamo facendo la ronda, ed eravamo entro i confini di Hogwarts!» Rispose Lily.
«O forse hai paura?» la provocò James, i suoi occhi si assottigliarono. Lei avvampò e nascose il viso nei capelli.
«Non essere ridicolo, Potter. Non ho paura.» sibilò minacciosa mentre cercava di far sbollire la vergogna.
«Hai paura di entrare nella Stamberga Strillante!»
«Taci!» lo rimproverò Lily. Si guardò attorno per vedere se qualcuno avesse sentito. Fortunatamente tutti sembravano o troppo assonnati o troppo affamati per badare al chiasso che faceva James Potter.
«Proprio come pensavo…» mormorò James con un sorrisetto compiaciuto sul volto.
Lily si sarebbe infuriata se solo avesse avuto la forza di farlo. Ma le vicende degli ultimi giorni l’avevano sfinita. E come se non bastasse tra poco sarebbe iniziato il periodo di verifiche a sorpresa e interrogazioni, e Lily si chiedeva se sarebbe mai uscita viva da tutto quello stress.
Probabilmente, gettarsi dalla Torre d’Astronomia le avrebbe fatto ottenere una morte più veloce e meno dolorosa di quella che l’aspettava.
«Non è vero.» si limitò a controbattere Lily.
«Ah, no? Dimostramelo.» la sfidò James.
«Verrò con voi. Verrò con voi dentro quella dannata casa infestata sabato prossimo, okay?» esclamò forse un po’ troppo ad alta voce, perché Rita Skeeter, dal tavolo dei Corvonero la guardò un po’ troppo a lungo e in modo decisamente preoccupante. «Contento ora?»
«Certo, Evans» rispose James. «Stasera ti farò sapere i dettagli.» le fece l’occhiolino e si alzò in piedi, meno di un minuto dopo era già fuori dalla Sala Grande. Bah, avrebbero dovuto dare un trofeo a chi fosse riuscito a capire James Potter.
Lo osservò allontanarsi e tornò a bere il suo tè come se nulla fosse. Ancora non riusciva a credere dell’enorme guaio in cui si era cacciata: aveva accettato a passare la notte di Halloween in una casa stregata, la casa più infestata di tutta la Gran Bretagna, per la precisione, con i Malandrini, senza assicurarsi che Mary e Marlene avessero effettivamente accettato.
Ma soprattutto, avrebbe passato un’intera notte fuori dai confini di Hogwarts con James Potter. Se si fosse venuto a sapere che i due Caposcuola trasgredivano le regole in quel modo cosa ne sarebbe stato della sua reputazione?
Sì, sua, perché non è che le importasse molto di quella di James Potter, alla fin fine.
«Finalmente Potter si è tolto di mezzo.» Lily avrebbe riconosciuto quella voce ovunque, e in qualsiasi situazione. Infatti non si voltò nemmeno verso il ragazzo moro alla sua destra che cominciò a parlare nervosa, lasciando perdere il tè e iniziando a gesticolare.
«Severus!» esclamò prima. «Io… ehm, siediti.»
«Davvero posso?» chiese lui.
«Certo che sì!» disse Lily, si scansò e fece posto a Severus.
Quest’ultimo la guardava confuso. Da una parte, la dormita durata quasi dieci ore di quella notte l’aveva aiutato parecchio a sistemare il casino che aveva in testa. E aveva deciso di aspettare Lily.
Sì, avrebbe continuato a ed essere quello che era sempre stato: solo quando lei avrebbe realizzato cosa provasse veramente, ci avrebbe riprovato. Solo quando Lily sarebbe stata pronta, e sapeva che prima o poi lo sarebbe stata.
Prima o poi avrebbe fatto una scelta, e solo stando accanto a lei nei bei momenti e in quelli brutti Severus avrebbe potuto influenzarla.
«Vorrei parlarti, a proposito dell’altr–» Ma Severus non finì quella frase, perché Lily aveva ricominciato a parlare.
«Ascolta, Sev. Mi dispiace da morire, io non volevo dirti quelle cose… è che era stata una giornata pesante, e la notte prima non avevo dormito quasi per niente per colpa di quell’imbecille di Potter e… scusa.» Lo disse così velocemente che si mangiò la metà delle parole.
«Ero venuto a dirti che non fa niente. Mi sono comportato da immaturo…»
«No, Sev. Sono stata io quella immatura, perdonami.»
«È tutto okay.» le sorrise e la carezzò la guancia. Lily arrossì.
«Grazie.» E così dicendo si slanciò ad abbracciarlo. Lo strinse forte e sentì il cuore più leggero. Odiava litigare con Severus, quando lui scompariva dalla sua vita tutto diventava più buio e più triste.
Rimasero così per alcuni minuti. Secondi per Severus, ore per Lily.

 
***

 
Austin Krueger era di pessimo umore, decisamente. Se possibile, gli sembrava di avere una nuvola temporalesca proprio sopra la testa, una perenne nuvolaccia nera con tanto di fulmini e saette. Infatti, secondo i suoi calcoli, Sirius Black sarebbe già dovuto uscire con lui un paio di volte, in modo che Austin potesse fare la propria – e infallibile, avrebbe aggiunto – mossa per conquistarlo.
E invece, Sirius non lo cagava di striscio.
Nemmeno un saluto.
Nemmeno niente.
E non era un caso che, quella domenica pomeriggio, avesse aspettato più di mezzora fuori la Sala Comune Corvonero.
«Rita, ferma dove sei.» Sibilò con un tono abbastanza minaccioso, tant’è che la bionda sobbalzò, e poi scrutò il ragazzo confusa.
«Cosa c’è, Krueger?» chiese già spazientita. Quel tipo non le era mai piaciuto, era stato utile e conveniente avere quella specie di patto con lui, ma adesso che non le serviva più, non sapeva come fare per togliersi Austin Krueger di mezzo, e qualcosa – come un’orribile sensazione nel petto – le diceva che non ci sarebbe riuscita tanto facilmente.
O peggio: non ci sarebbe riuscita affatto, e probabilmente se lo sarebbe trascinata anche nella tomba.
«Sai spiegarmi perché non sta succedendo niente di niente?» chiese il ragazzo.
«Cosa dovrebbe succede, scusa? Se fosse qualcosa degno di nota lo saprei già, quindi non importunarmi!» rispose brusca la ragazza.
«Sirius Black doveva già essere mio a quest’ora, perché non è successo niente?» chiese ancora.
«Senti, Krueger, il piano era tuo. Se non ha funzionato non è un mio problema. Io ho lanciato la bomba, la bomba è esplosa. Fine.» continuò Rita fulminandolo con lo sguardo. Si attorcigliò un boccolo biondo mentre osservava Austin con una finta espressione dispiaciuta.
«La bomba allora non è esplosa.» ribatté Krueger.
«Oh, è esplosa eccome. Avresti dovuto sentire Emmeline Vance: pare che Marlene McKinnon abbia fatto una scenata di gelosia a  Lupin, e che l’abbia mollato di fronte a tutti i Grifondoro.» spiegò la ragazza.
«Non me ne frega un accidente se la McKinnon ha lasciato Lupin!» esclamò Austin seccato. Poi si avvicinò a Rita e abbassò il tono di voce. «È di Sirius che m’importa.»
«So solo che lui e Mary si sono mollati in circostanze abbastanza pacifiche, non ho altre informazioni che possano interessarti.»
«Quindi è libero.» osservò Austin ad alta voce.
«Dovrebbe esserlo.»
«Dovrebbe, Skeeter? »
«Sì, Krueger. E se adesso non mi lasci in pace ti denuncio al preside per molestie sessuali.» Così dicendo Rita Skeeter si divincolò dalla presa di Austin e gli voltò le spalle, entrando nella Sala Comune. Austin non seguì lo stesso esempio.
Bensì andò a cercare Sirius Black, la cosa gli risultava abbastanza difficile dato che era domenica pomeriggio e che avrebbe potuto trovarsi praticamente ovunque. Inoltre, fuori era bel tempo, e se avesse dovuto esplorare anche tutto il Parco di Hogwarts non avrebbe avuto alcuna possibilità di trovarlo.
Ma Austin Krueger aveva deciso di darsi una mossa: perché lui era uno che non si lasciava scoraggiare da niente, che otteneva sempre quello che voleva, e che utilizzava tutti i mezzi a sua disposizione per farlo. A dire la verità, una volta raggiunto il suo obiettivo si curava poco delle conseguenze lasciate dietro sé, perché la soddisfazione era talmente grande da non farle pesare poi così tanto.
E quella volta non sarebbe stata da meno.
Era arrivato al secondo piano quando udì delle voci provenire dal bagno delle ragazze, e fin qui nulla di strano, se non fosse stato per il fatto che le voci appartenevano a dei ragazzi; e che una di quelle voci era inconfondibilmente quella di Sirius.
Poi ricordò: quello era il bagno di Mirtilla Malcontenta, quello che nessuno usava, quello che era, in poche parole, dominio di chi chiunque avesse in mente di fare qualcosa di nascosto.
Ebbene, Austin Krueger si appiattì contro il muro per sentire meglio.
«Lunastorta, è normale che faccia tutto questo fumo?» chiese James. Successivamente si sentì un colpo di tosse.
«In effetti no, cosa diavolo ci avete messo dentro?» Remus pareva agitato.
«Quello che ci hai detto tu: mosche Criospa, sanguisughe, lunaria…» rispose James, che fu interrotto poi dalla voce di Peter: «…che abbiamo raccolto l’ultima volta che c’è stata la luna piena, quindi è a posto.»
«Centinodia, formicaleoni e…oh, cazzo!» esclamò James.
«Che succede?» domandò Remus.
«SIRIUS SEI UN FOTTUTO IDIOTA!» urlò James in preda alla rabbia.
«Perché deve essere sempre colpa mia?» chiese Sirius piagnucolando. «James, se fossi in te non mi picchierei, lo sai che saprei vendicarmi in modi che tu nemmeno immagini.»
«State zitti!» tuonò Peter, e Austin quasi si sorprese, insieme agli altri tre ragazzi. «Chi ha scritto gli ingredienti su questo foglietto?»
«Io.» rispose Sirius.
«Felpato, ascolta: per quanto io ti voglia bene e tutto il resto» iniziò Remus. La cosa bella era che solo loro due sapevano di cosa stesse parlando Remus in realtà. «Solo tu potevi essere così scemo da scrivere “Polvere di corno di unicorno”.»
«Non era un unicorno, vero?»
«Direi proprio di no: era un bicorno.»
«Accidenti a te, Felpato. Era da un mese che preparavamo questa pozione, e adesso è tutto andato in fumo.» esclamò James.
«Letteralmente.» aggiunse Peter.
«Questa era bella, Coda..» disse Sirius, si sentì un rumore come una battuta di mani.
«Non cambiare discorso!» strillò ancora James. «È possibile che non ce ne siamo accorti prima?»
«Non chiedere a me.» si giustificò Sirius. «Quello bravo in Pozioni qui è Rem. Vero, Rem?»
«Non mettere in mezzo me, adesso.»
«Buttiamo questa schifezza, niente scherzo quest’anno.» borbottò James.
Allora Austin capì di doversi togliere di lì, perché i quattro ragazzi sarebbero usciti da un momento all’altro, e fece appena in tempo a nascondersi dietro una colonna che Remus Lupin mise piedi fuori dal bagno, assicurandosi che non ci fosse nessuno nel corridoio.
«Questa cosa puzza!» esclamò Sirius dal bagno.
«Tu hai mandato a monte tutto, tu pulisci, Felpato. Ci vediamo in Sala Comune.» disse James che, evidentemente, ce l’aveva ancora con l’amico.
Una decina di minuti dopo anche Sirius uscì dal bagno, ma stavolta Austin non se lo fece scappare, e lo prese per un braccio.
«Allora, vuoi dirmi perché tu e i tuoi amichetti stavate facendo la Pozione Polisucco?»
 

 

 
 
 
 
 

 
 
 


NdA: Here I am. Sono in un ritardo orribile, perdonatemi, ma la scuola mi risucchia viva e non ho il tempo nemmeno per recuperare le mie serie TV °-° Comunque sia, sono tornata con un capitono che non è né carne né pesce... e nemmeno verdura, se è per questo. È... grigio, boh. Lo odio ç_ç E mi odio per aver scritto una cagata simile, ma mi serve qualche capitolo di passaggio. Spero mi perdonerete, sì, perché il prossimo capitolo non è nientemeno che HALLOWEEN. Se ne vedranno delle belle, ve lo assicuro u_u
Intanto, ringrazio tutti voi che leggete, preferite, ricordate e seguite questa storia. GRAZIE GRAZIE GRAZIE. Inoltre, ringrazio le tre persone che hanno recensito lo scorso capitolo: Dark_S97, Bells1989 e Camille_99
Spero che vi sia piaciuto, nonostante tutto. Lasciate un commento per farmi sapere cosa ne pensate. E, as usal, se volete tirarmi pomodori, ortaggi di vario genere - anche i biscotti sono ben accetti, comunque - potete aggiungermi su Facebook
Alla prossima e grazie di tutto :3
Marianne ♥




 

 
 

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Capitolo 12
*** Halloween. ***



 

 

 

CAPITOLO 11 – HALLOWEEN.
 

Marlene McKinnon non era mai stata un’icona dell’eleganza e della femminilità, nonostante ciò, aveva sempre attirato l’attenzione dei ragazzi per la sua forte personalità, e il più delle volte non si era fatta problemi a dire loro se c’era qualcosa che non andava.
Che poi tutto finisse a causa di uno stupido litigio, quella è un’altra storia.
La cosa che, però, aveva lasciato a bocca aperta Lily e Mary era proprio una Marlene che, tre ore prima dell’inizio della “festa” – che Lily se lo sentiva, avrebbe portato guai su guai – era davanti all’armadio con le mani tra i capelli biondi, e non appena si era accorta della presenza delle sue amiche aveva teatralmente esclamato: «Non ho nulla da mettere!»
E Lily si era guardata le scarpe da ginnastica bianche e incrostate di fango – quindi non del tutto bianche, ma sorvoliamo –, e aveva pensato al fatto che non aveva assolutamente l’intenzione di cambiarla con, ad esempio, un tacco dodici nero, come il paio che Marlene teneva in mano, ancora disperata.
«Marly, non sarà nemmeno una vera e propria festa.» tentò Mary avvicinandosi a Marlene, le tolse le scarpe di mano e le ripose cautamente nell’armadio.
Prima di tutto, con quelle scarpe avrebbe fatto un chiasso assurdo per i corridoi, e le avrebbero scoperta ancor prima di arrivare davanti al portone d’ingresso; e poi, già si immaginava Marlene imprecare come non ci fosse un domani per la strada verso la Stamberga, perché con quelle scarpe era già impossibile camminare su una superficie piana, figurarsi sul terreno disseminato di buche e Merlino solo sapeva cos’altro.
«Ma come?» protestò la bionda puntando i piedi.
 «Andiamo, come pensi sia possibile organizzare una vera festa in quella catapecchia? È troppo perfino per i Malandrini.» disse Lily, e Marlene notò che per la prima volta non li aveva chiamati “Potter e la sua combriccola”.
Mary annuì convinta e Marlene si buttò sul letto, sospirò e sbuffò. «Be’, meglio così allora.» Disse infine rialzandosi a sedere.
«Senti, non è che stavi cercando di fare colpo su qualcuno?» chiese Mary sedendosi accanto alla sua amica; lo sguardo di Lily si accese e anche lei si avvicinò al letto di Marlene che, intanto, aveva abbassato lo sguardo.
«Escludendo Remus.» aggiunse Lily, tanto per evitare una sfuriata, o un crollo nervoso da parte di Marlene. O una qualsiasi altra cosa che si sarebbe sentita per tutto il castello.
«Voglio dire,» iniziò Mary riprendendo il discorso. «deve essere per forza uno dei ragazzi, perché stasera è con loro la… festa.»
«Sirius?» chiese Lily. Anche se la cosa le sembrava fin troppo strana. Sirius era l’ex di Mary, che lei aveva lasciato dopo tutto il casino con Remus, e, diciamocelo, essere Marlene McKinnon e farsi piacere Sirius Black in quel periodo non era esattamente una delle cose più vantaggiose da fare.
Difatti, Marlene scosse la testa.
«James non può essere perché Lily non ti perdonerebbe mai.» scherzò Mary, anche Marlene si sciolse in un sorriso divertito e guardò Lily.
«Che cosa vorresti insinuare, scusa?» chiese di rimando la rossa.
«Che sei palesemente cotta di James, Lily. E lui lo è di te.» rispose Mary tranquillamente, con tutta la nonchalance del mondo.
«Non mi piace James Potter.» ribatté secca.
«E io sono la McGranitt!» esclamò Marlene  guardandola con le sopracciglia inarcate.
«Andiamo, Lils! Tutto questo tira e molla tra di voi… lo sappiamo che non litigate per davvero. Dimmi, se non ti piace James  perché hai accettato il suo invito dato che sei terrorizzata dalla Stamberga Strillante?» Mary poggiò le mani sui fianchi e guardò Lily, in attesa di una risposta. Sapeva di aver toccato un tasto dolente e ne era felice, almeno la verità sarebbe saltata fuori: con loro Lily non aveva bisogno di mostrare tutto quell’orgoglio e tutta quella dignità.
«Ho accettato solo per dimostrargli che si sbaglia. Tutto qui» rispose prontamente Lily. «E adesso, Marlene, dicci perché sei così agitata per stasera. In sette anni che ti conosco non hai mai, mai, disperato di fronte ad un armadio.»
Marlene sospirò di nuovo.
«VolevoimpressionarePeter.» Lo disse così velocemente che sia Lily che Mary aggrottarono le sopracciglia, si guardarono confuse, e poi tornarono a guardare Marlene che, nel frattempo, aveva ben visto di spiaccicarsi un cuscino in faccia per la vergogna.
«Potresti scandire bene le parole?» chiese Mary.
«Non abbiamo capito un accidente.»
«Peter» disse piano Marlene. «Volevo impressionare Peter.»
«Peter Minus?» Chiese Mary sorpresa, spalancò la bocca e si guardò attorno come se non volesse crederci. «Cioè…»
«No, Peter Pan. Certo che è Peter Minus!» esclamò Lily facendo un piccolo saltello.
«Abbassa la voce o ti mutilo la lingua.» sibilò minacciosa la bionda.
Mary scoppiò a ridere. «Be’, almeno adesso è tornata in sé.» Poi, confusa, aggiunse: «Ma chi è Peter Pan?»
«Lascia stare, dobbiamo aiutare Marlene a prepararsi.» disse svelta Lily. Afferrò le mani della ragazza e la tirò su dal letto, trascinandola nuovamente davanti all’armadio. Mary sospirò e si unì alle due amiche.
«Mentre ci dice cosa è successo per avere questo repentino cambio di personalità.» disse la mora.
Marlene sbuffò e si tuffò nell’armadio. L’ultima cosa che voleva era di raccontare alle sue amiche cosa era successo. Che poi, non che ci fosse molto da dire. A volte credeva di vivere in un mondo tutto suo, forse tutti i suoi pensieri erano solo pensieri, alle persone lì fuori non importava niente.
«Non è successo niente di che, in realtà.» borbottò Marlene.
«Come no? Insomma, Peter deve pur aver fatto qualcosa che ti ha colpita.» disse Lily mentre tirava fuori due magliette e le osservava attentamente.
E la risposta era semplice: no. Peter non aveva fatto nulla. Non era cambiato, aveva continuato a comportarsi sempre come il solito Peter. A stare con i suoi amici. A scopiazzare i compiti di Trasfigurazione. Però, Marlene negli ultimi tempi aveva notato qualcosa di diverso in lui. Qualcosa che non aveva né James, né Sirius, né Remus. Qualcosa di unico, che rendeva Peter ciò che era, qualcosa che, alla fin fine, Marlene aveva sempre cercato, perché non era mai stata parte di lei.
La bontà.
Sì, Peter Minus era buono. Era una persona buona, e a Marlene piaceva. Non le importava cosa gli altri pensassero su di lui, a lei piaceva.
E quella sera voleva farsi notare. Voleva che anche Peter vedesse in lei qualcosa che non aveva mai avuto, qualcosa che cercava costantemente, senza aver mai pace.
Dopo un po’, avevano trovato l’abbinamento perfetto per quella serata: pantaloncini neri, calze rosse e una maglia del medesimo colore con degli anfibi di pelle.
«Marly, si può sapere in quale paradiso terrestre hai trovato questi vestiti?» Fu l’unico commento di Mary.
«Sono frutto di anni e anni di ricerche.» scherzò Marlene osservando i capi sul letto.
L’appuntamento era alle otto in Sala Comune, quando tutti sarebbero stati a cena, i sette ragazzi sarebbero sgattaiolati via dalla scuola. Lily aveva un brutto, anzi, orribile presentimento. Erano giorni che sentiva una morsa allo stomaco, come un cattivo presagio: sentiva che li avrebbero scoperti, che qualcosa sarebbe andato storto.
Eppure erano giorni che James le ripeteva che nessuno in tanti anni li aveva mai scoperti. Perché quella volta avrebbe dovuto andare diversamente?
Lily decise di non pensarci più, e in men che non si dica di fecero le otto. Troppo velocemente, per i suoi gusti; quando Mary glielo fece notare, finì di farsi la treccia laterale e scese in Sala Comune dove, ad aspettarle, c’erano tutti i Malandrini.
«Salve ragazze!» Esordì James esuberante, con un gran sorriso sul volto. Lily non rispose, si limitò ad addolcire lo sguardo: aveva accettato per non far vedere a Potter che, in realtà, la Stamberga Strillante la terrorizzava come pochi, ma si era anche prefissata di essere gentile con lui, quella sera, perché era stanca dei litigi e delle discussioni inutili. Voleva provare a trattarlo come un ragazzo normale. Come un normalissimo Grifondoro del settimo anno.
«Ciao, James. » disse Mary sorridendo. Poi lanciò un’occhiata a Lily che sbuffò.
«Ciao Pott­­— James.» disse piano la rossa, incrociò le braccia al petto, facendo tintinnare la collana di perline che indossava.
«Vedo che ci siamo tutti, bene. Adesso vi spiego come procederemo» iniziò lui. «Dato che siamo troppi per poter usare il Mantello, ci divideremo: prima andranno Remus e Sirius, poi Peter, Mary e Marlene, e poi io e te, Evans.»
«Perché devo stare con te? Non posso, che so, andare con Remus?» chiese Lily.
«Ascolta, le coppie sono fatte. Non si cambiano.» replicò James.
«Noi non siamo un coppia, cervellone. Siamo tre.» Marlene s’intromise col suo solito tono sarcastico. Lily sorrise compiaciuta e a Peter scappò una risata.
«Perché siamo dispari.» disse James ovvio.
«Ragazzi, noi andiamo!» Sirius vide bene di togliersi da quell’imminente litigio, prese Remus per mano e lo trascinò fuori dalla Sala Comune senza farsi fare troppi complimenti. Tutto quello che non voleva era assistere all’ennesimo litigio tra James e la Evans. Insomma, quei due potevano anche essere divertenti all’inizio, ma James non era mai stato bravo a nascondergli le cose, e non era mai stato bravo a nascondergli il fatto che fosse pazzo di quella testa dai capelli rossi, che a volte era più pericolosa di un tornado.
Uscirono dal castello senza rivolgersi la parola, e Sirius trovò strano quel gelido silenzio, come se Remus gli stesse nascondendo qualcosa. Qualcosa di importante.
Quando giunsero davanti al Platano Picchiatore, notarono che era fermo: Peter doveva averlo bloccato prima di salire in Sala Comune, così da non trasformarsi di fronte alle ragazze e da rendere più facile il passaggio di tutti. Avevano pensato di prendere il passaggio segreto delle Strega Orba al terzo piano, quello che conduceva a Mielandia, ma gli abitanti di Hogsmeade sarebbero stati in festa quella sera, e sette studenti di Hogwarts non avrebbero dovuto trovarsi per le strade del villaggio.
Una volta entrati nel cunicolo, Sirius si fermò di botto, lasciando andare avanti Remus per un paio di metri prima che questo si accorgesse dell’assenza di Sirius accanto a lui.
«Sirius?» domandò Remus spaesato. Si voltò e vide il volto di Sirius rabbuiato alla luce del suo Lumos. «Tutto bene?»
«Tu, piuttosto. Mi nascondi qualcosa.» rispose Sirius.
«N-non è vero. Non ti sto nascondendo niente.» balbettò Remus nervoso. In realtà, c’era una questione che si teneva dentro da un paio di giorni, ma non voleva parlarne con nessuno.
«Rem, a me puoi dirlo. Sono il tuo ragazzo, ne ho anche il diritto… credo.» disse Sirius aggrottando le sopracciglia alla fine. Non era del tutto sicuro di quello che stava dicendo, ma si fidava di Remus e credeva che anche Remus dovesse fidarsi di lui. Come funziona un rapporto, un rapporto di qualsiasi tipo, se non c’è la fiducia a fare da base e collante?
«Io… va tutto bene.» rispose Remus.
«Sicuro?»
Il ragazzo esitò. «No…» Sirius gli prese una mano, quella dove non teneva la bacchetta.
«Tu… vuoi dirlo a James e Peter?» chiese Remus a bassa voce, nonostante fossero soli nel cunicolo.
«Be’, magari non ora… non se tu non vuoi, ma sì. Sono i nostri migliori amici.»
«Io ho paura.» disse l’altro guardandosi i piedi, un po’ per non inciampare, un po’ per l’imbarazzo. «Ho paura del loro giudizio.»
«Rem, guardami» lo obbligò Sirius. «Non ti abbiamo giudicato quando abbiamo scoperto che sei un lupo mannaro, perché loro dovrebbero farlo ora?»
«È diverso!» esclamò Remus.
Sirius sospirò. «Hai ragione. È diverso: la licantropia è una malattia…» iniziò Sirius. Remus parve affranto nell’ascoltare quelle parole, non sapeva se era normale che il proprio ragazzo cominciasse a dire quelle cose, insomma, non era il massimo dell’incoraggiamento.
Poi Sirius si chinò e lo baciò. Fu un attimo, un semplice sfiorarsi di labbra. Il moro aprì gli occhi e guardò dritto in quelli di Remus. «… questo no.»
Remus rimase a fissarlo per una manciata di secondi. «Sirius?»
«Sì?» mormorò l’altro continuando a stringergli la mano. Non sapeva perché lo facesse, sapeva solo che era la cosa giusta da fare. Incastrare le proprie dita con quelle di Remus, e in quel momento, non poté far altro che notare che si incastravano alla perfezione. Come se fossero state fatte apposta.
«Posso dirti una cosa che non ho mai detto a nessuno?» chiese piano Remus. La voce gli tremava, forse perché era la prima volta che diceva una cosa del genere a qualcuno. Ma sentiva che Sirius era la persona giusta a cui dirlo.
«Certo. Sono qui per questo.»
«Ti amo.»
Sirius rimase a bocca aperta. E cercò di dire qualcosa. Qualsiasi cosa.
Ma le parole gli rimanevano bloccate in gola, perché nessuno gli aveva mai detto una cosa del genere. Tutte le altre ragazze cosa gli aveva detto? “Sei un bel ragazzo”, “mi piaci molto” ma nulla di più. Sirius, dopotutto, non era mai stato così importante per nessuno.
Le uniche persone che gli volevano veramente bene erano i suoi amici. L’unica persona che lo amava veramente era Remus.
«Rem, io…» tentò Sirius. Era emozionato, e lo era sul serio. Temeva che con quelle due parole Remus, testardo e paranoico com’era, avrebbe frainteso tutto, perciò, per non creare ulteriori casini e per non complicarsi la vita cercando la parole giusto lo baciò di nuovo.
Ma stavolta non fu nulla di delicato. Fu un bacio voluto da entrambi, rumoroso, disperato, bisognoso. Perché Sirius non era mai stato bravo con le parole, e l’unico modo per dirgli che lo amava anche lui alla fine era quello. Era mordergli il labbro e sentire le sue mani tra i capelli. Era stringerlo forte e sentirsi a casa. Sentirsi bene. Sentirsi suo.
E subito dopo aver interrotto il bacio, forse perché gli serviva aria, o forse perché non serviva più comunicare in quel modo, Sirius lo abbracciò affondando il viso nel suo collo, inspirando forte il suo profumo; così forte da farsi male alle narici, così forte che non se lo sarebbe dimenticato mai più.
«Ti amo anche io, Rem…»
 

***

 
«Potter, mi spieghi perché dobbiamo passare di qui?» Lily era irritata. Non solo erano usciti di nascosto dalla scuola, ma dovevano anche passare per una galleria buia e stretta; Lily si sentiva in pieno controllo di James, e la cosa non le piaceva affatto.
Come se non bastasse, poi, stavano sotto terra. Più precisamente sotto le radici di un albero.
«Perché è questo il passaggio segreto, Evans» rispose ovvio James. «Sono anni che lo uso e mi ha sempre portato alla Stamberga, quindi rilassati.»
«Rilassarmi? Rilassarmi, Potter! Sono qui, da sola, con te, in un cunicolo buio e dannatamente stretto» esclamò Lily, la sua voce echeggiò per tutto il tunnel. «Per quanto mi riguarda potresti cominciare ad importunarmi da un momento all’altro.»
«Non essere ridicola.» borbottò James, la superò e continuò a guidarla.
Lily sbuffò. «Quanto manca?» chiese.
«Non molto.» rispose James. Continuò a camminare. Era, ovviamente, felice che Lily avesse accettato, anche se si chiedeva ancora quale strano fenomeno astronomico avesse influito su di lei quando gli aveva detto di sì, ma non si faceva poi così tanti problemi. Insomma, la Evans era pur sempre la Evans, si capiva da sola.
Ma prima o poi i nodi sarebbero venuti al pettine, James lo sapeva.
«James?»
«Mh?»
«Cosa faremo per l’esattezza?» chiese Lily pensierosa. Aveva accettato così di getto, senza nemmeno pensarci, solo che non sapeva con precisione cosa avrebbero fatto, una volta arrivati lì.
«Oh, non saprei. Stiamo lì, ci raccontiamo qualche storia…» rispose James vago.
«Wow… emozionante!» commento Lily sarcastica.
«Credimi, sarà divertente.» l’assicurò James, tuttavia, Lily era particolarmente restia a crederci.
«Se lo dici tu…»
«Non ti fidi di me?» chiese James.
Lily non rispose, bensì superò James, dicendosi che, comunque, quel tunnel era a senso unico: avrebbe portato direttamente alla Stamberga Strillante, pertanto non aveva bisogno di James Potter a mostrarle la strada, anche perché perdersi sarebbe stato poco più che impossibile.
«Ahi!» esclamò la ragazza. Era appena andata a sbattere contro una dura parete rocciosa e le bruciava il palmo della mano destra. Nemmeno un secondo dopo si ritrovò illuminata dal Lumos di James.
«Così impari a litigare con me e a camminare al buio, per conto tuo.» la canzonò James.
«Siamo arrivati?» chiese Lily ignorando quello che aveva detto lui.
«Sì.» James aprì la botola sopra le loro teste e aiutò Lily a salire. Adesso erano ufficialmente nella Stamberga.
E Lily vide esattamente quello che non si aspettava di vedere, be’, eccetto i muri rovinati e le finestra rosse, quelli se li era immaginati proprio così.
Per il resto, la Stamberga Strillante era una perfetta casa abbandonata: polvere, tanta polvere, quadri storti e cornici rotte, e mobili che parevano aver visto tempi migliori; dalle finestre rotte si poteva vedere qualche ciuffo d’edera cresciuta sulle pareti esterne della casa, le imposte erano chiuse e arrugginite.
Non c’era traccia di fantasmi, mollicci o di poltergeist.
«Gli altri sono di sopra, andiamo.» disse James. Lily si lasciò prendere per mano, e trascinare su per le scale. Quella casa non era affatto infestata, e allora perché farlo credere? Perché terrorizzare le persone?
Quando salirono, Lily notò che il secondo piano era stato tirato molto a lucido, non seppe se per quell’occasione o meno.
«Finalmente!» esclamò Marlene non appena li vide entrare.
«Cominciavamo a pensare che James ti avesse fatto qualcosa, se capisci cosa intendo.» disse Sirius ammiccando. Provocò la risata generale di tutti, anche da parte di Lily.
«Allora gente!» iniziò Sirius attirando l’attenzione di tutti. Remus pensò che era una cosa che gli riusciva veramente bene. «Vedete questa bottiglia, dovrà essere finita, altrimenti non potremmo giocare.»
«A cosa?» chiese Mary.
«Al gioco della bottiglia!» rispose Sirius agitando la bottiglia di… birra?
«Al gioco di che cosa?» chiese confuso James. Si trattava sicuramente di un gioco babbano che nessuno gli aveva mai insegnato, a volte odiava essere così… così Purosangue.
«OH NO, SIRIUS BLACK NON OSARE NEMMENO…» iniziò Lily, quel gioco non le era mai piaciuto. Aveva cominciato ad odiarlo quando aveva dodici anni, e una volta, d’estate, sua sorella l’aveva costretta a baciare il loro gatto.
«È un gioco babbano che mi ha spiegato prima Marlene. Noi facciamo girare la bottiglia, e le due persone scelte devono baciarsi, semplice.» continuò Sirius ignorando completamente la quasi-minaccia che Lily stava per lanciargli.
«Definisci “baciarsi”.» disse Peter.
«Un bacio vero, Peter.» rispose Sirius.
«Anche tra due ragazzi o due ragazze?» chiese Mary, Sirius poteva leggere il panico nei suoi occhi.
«Be’… a scelta.» rispose Sirius, incrociò lo sguardo Remus e fece un largo sorriso. «Ma… non avete ancora sentito la parte divertente.»
«E sarebbe?» chiese Lily. Qualsiasi cosa avesse sentito, non si sarebbe più sorpresa.
«Mentre noi provvediamo a finire questa, giochiamo a “Obbligo o verità?”» esclamò Sirius. «Un altro gioco che mi ha spiegato Marlene.»
James era parecchio entusiasta, magari gli capitava di baciare la Evans e sarebbe stato un bacio vero. Lily, d’altro canto, non vedeva l’ora che tutto quello finisse. Marlene sembrava abbastanza tranquilla e Mary leggermente preoccupata. Peter era indifferente alla cosa e Remus era entusiasta all’idea di poter baciare Sirius senza sotterfugi.
«Iniziamo questa pagliacciata…» disse Lily sconfitta.
«Dato che ci tieni tanto, iniziamo da te, Evans.» disse Sirius scherzando. Aprì la bottiglia e versò il contenuto in uno dei sette bicchieri che prima Lily non aveva notato «Obbligo o verità?» Disse poi, porgendogli il bicchiere.
Lily bevve tutta la birra d’un sorso, chiuse gli occhi per un momento e poi: «Verità.»
«Baceresti James, se lui te lo chiedesse?»
«L’esperienza gli ha insegnato che no, se me lo chiedesse non lo bacerei.»
«Allora baceresti James e basta?»
«Una sola domanda a giro, scusa, Black.»
Sirius sospirò sconsolato, era il turno di Marlene, stavolta. Lei prese la bottiglia e si versò da bere da sola. «Obbligo.» disse poi coraggiosa.
«Chiedi scusa  a Rem per averlo schiaffeggiato davanti a tutti i Grifondoro.»
«Se l’è meritato!» protestò Marlene guardando in cagnesco Sirius Black.
«Hai detto obbligo.» precisò lui.
«Ma non toccava a me dare l’obbligo a Marlene?» si intromise Lily. Lei, almeno, conosceva la versione del gioco in cui l’ultima persona vittima dell’obbligo o della verità doveva fare la domanda o dare l’obbligo.
«Infatti…» disse Marlene.
«E va bene! Lily, confido in te.»
«Allora…» Iniziò Lily. In realtà, non aveva la più pallida idea di cosa far fare a Marlene. «Apri la finestra e urla: “Sono la più bella di tutte”.»
«Evans, che razza di obbligo è?» si lamentò Sirius. Marlene ringraziò Lily con lo sguardo, non avrebbe chiesto scusa a Remus nemmeno da morta.
«Non contestare, Black, e pensa che tra poco toccherà a te.» lo rimbeccò Lily. James osservava la scena divertito.
Il gioco andò avanti finché non finirono la bottiglia, che durò poco più di un giro. E poi ne aprirono un’altra, e poi un’altra ancora, giusto perché non c’è due senza tre, e dato che lasciarne lì una non sembrava una cosa carina, nel giro di un’ora tutte e quattro le bottiglie erano finite.
«Chi gira?» Chiese Sirius rosso in viso. Nessuno rispose. «Andiamo, non sarete mica tutti così fifoni?»
Ma il silenzio non accennava a rompersi, e tutti si guardavano nervosi. «Va bene, ho capito. Comincio io.»
Sirius fece girare la bottiglia. Ruotava velocemente, all’inizio, poi cominciò a rallentare sempre di più fino a fermarsi. Neanche a farlo apposta, il destino volle che puntasse proprio su Remus.
James scoppiò a ridere. «Su ragazzi, era a scelta, no?» Commentò con le lacrime agli occhi.
Remus non aveva ancora proferito parola. Aveva solo visto Sirius sorridere divertito e compiaciuto, come se avesse saputo che la bottiglia si sarebbe fermata su di lui. Da una parte, però, ne era contento: non voleva per nessuna ragione al mondo vedere il suo ragazzo baciare un’altra persona.
Allora gli si avvicinò gattonando e cercò di dimenticare la presenza di altre cinque persone nella stanza, tra cui i suoi migliori amici, la sua ex, e le migliori amiche della sua ex. Una cosa facile, insomma.
«Bacio, bacio, bacio!» gridavano intanto gli altri.
E allora Remus pensò che la mattina dopo sarebbero stati tutti troppo frastornati per ricordarsi qualcosa, così incrociò le braccia dietro al collo di Sirius e lo baciò. Lo baciò mentre sorrideva, mentre i rumori attorno a lui si facevano sempre più ovattati e lontani. Durò per un tempo indefinibile, quanto basto perché finisse con la schiena a terra e Sirius sopra di sé. Quanto bastò perché Sirius si staccasse un attimo da lui e lo guardò con gli occhi lucidi, soffiandogli sulle labbra qualche parola sconnessa.
Furono riportati alla realtà dalla voce di Lily che «Adesso tocca a me!» esclamò piena d’energia, anche se non aveva bevuto molto, non come James, almeno che però sembrava reggere l’alcool in maniera incredibile. Prese la bottiglia e la fece girare sul pavimento.
Si fermò su James.
E allora Lily sgranò gli occhi, realizzando quello che era appena successo. Avrebbe dovuto baciare James Potter. Un bacio vero. Sì, insomma, un bacio alla francese. A James Potter!
«Speravo che sarebbe finita così, Evans.» disse lui divertito, come se sapesse dove si sarebbe fermata la bottiglia. Per un attimo Lily pensò che fosse incantata, ma ricacciò via quel pensiero: James non avrebbe potuto fare qualcosa di così… così meschino. E poi, quando l’aveva girata Sirius avrebbe dovuto comunque fermarsi su James. Quindi tutto quello era solamente opera del destino che, evidentemente, ce l’aveva con Lily in quel periodo.
«Io no.» rispose lei. Non si curò nemmeno di velare i propri pensieri, se c’era una notte adatta per essere diretti era proprio quella.
«Ma adesso devi baciarmi.» mormorò James. Lily si guardò attorno. Remus e Sirius parevano troppo occupati a ridere, Marlene fissava Peter e Mary sbadigliava. Non vi avrebbe fatto caso nessuno, dopotutto, era solo un bacio. Forse James nemmeno l’avrebbe ricordato.
Lily si avvicinò a James, con le mani che gli tremavano e un groppo in gola. Lui già sentiva il sapore di quelle labbra rosse che aveva sognato per mesi. Sentiva già la morbidezza dei capelli di Lily e il suo cuore battere sotto il maglione color panna che indossava.
Erano vicinissimi ormai, naso contro naso, Lily aveva già chiuso gli occhi quando si sentì un rumore parecchio sinistro provenire dal piano di sotto. Allora aprì gli occhi di scatto e si allontanò da James. Anche lui aveva le orecchie tese e lo sguardo confuso. Un altro rumore.
«Cos’è stato?» chiese impaurita.
«Ragazzi, se è uno scherzo non è divertente.» disse James rivolto a tutti gli altri. Ma loro scossero la testa, con lo stesso terrore negli occhi. «Dobbiamo tornare ad Hogwarts.»
Marlene annuì, e si strinse al braccio di Peter. Era pallida, e Lily poté benissimo vedere che stava morendo di paura. Si sentì una voce, stavolta. Una voce roca, appartenente ad un uomo, e poi uno schianto.
«James…» mormorò Lily.
«Shh. Non è niente.» la rassicurò lui. Guardò Sirius che capì al volo. Il moro si alzò e aprì la finestra, l’avevano usata parecchie volte, quell’uscita, durante le lune piene. Fece cenno a Peter, Marlene e Mary che uscirono dalla finestra. Peter sapeva come tornare.
Poi Sirius e Remus entrarono in una specie di  porta che Lily non aveva notato prima. Un'altra seconda uscita. E allora capì cosa stava succedendo: si stavano dividendo, così da non attirare troppo l’attenzione di chiunque ci fosse nella casa.
James strinse la mano di Lily e la guardò negli occhi. In quegli occhi sempre spavaldi e coraggiosi, ma che adesso tentavano di contenere terrore e paura. «Andrà tutto bene, Lils
E Lily non poté nemmeno ribattere sul fatto che lui l’avesse chiamata Lils, perché in quel momento non le importava. Voleva solo uscire di lì sana e salva.
Si avviarono verso le scale, camminando piano e respirando senza far rumore. Sia Lily che James avevano tirato fuori le bacchette e le impugnavano saldamente, pronti a difendersi.
Scesero il primo gradino col cuore in gola, ma il primo piano era buio e non riuscivano a vedere nulla. Accendere un Lumos sarebbe stato come mandare un razzo di segnalazione con scritto “Hey, siamo qui. Uccideteci pure, se volete”. Perciò James continuò a scendere cauto, assottigliando gli occhi per riuscire a scorgere qualcosa, il tutto senza mai lasciare la mano di Lily.
Quando raggiunsero la base delle scale, James si voltò verso Lily e le sussurrò piano: «Non ti muovere, vado a controllare.» E Lily annuì in silenzio, troppo spaventata per dire qualcosa.
Erano passati alcuni minuti – almeno così le sembrava – da quando James era sparito dalla vista di Lily. Lei cominciò a preoccuparsi. Ad un certo punto sentì un rumore a pochi metri da lei, come un asse che scricchiolava. «J-James?» chiese con la voce tremolante e la bacchetta stretta in pugno.
Non ricevette nessuna risposta.
«P-Potter, non è… non è divertente. Ti prego.» Sentiva le lacrime agli occhi. Non aveva mai avuto più paura in vita sua, soprattutto dopo aver scoperto che la Stamberga non era veramente infestata. Era solamente una diceria. Ciò voleva dire che c’era qualcuno lì dentro, e non aveva assolutamente delle buone intenzioni.
Lily si fece coraggio. «Lumos.» sussurrò, e una flebile luce argentata prese vita dalla punta della sua bacchetta. Tutto quello che vide prima di mettersi a gridare fu una figura molto più alta di lei, o di James. Aveva il volto coperto da una maschera dorata e un cappuccio nero. Lily sapeva bene chi era: un Mangiamorte.
«JAMES!» gridò in preda al panico.
Ma l’uomo accanto a lei aveva alzato la bacchetta, e Lily lo sentì chiaramente pronunciare le prime lettere dell’Anatema che uccide. Fece per schiantarlo, o lanciargli qualsiasi altra fattura sufficiente a fermarlo per un po’ e scappare. Ma scoprì che non riusciva a parlare. Chiuse gli occhi e si preparò vuoto.
«STUPEFCIM!» Una luce rossa colpì il Mangiamorte sulla schiena, e quello cadde a terra svenuto. James raggiunse Lily e la guardò negli occhi.
«Lily! Stai bene. Santo cielo, quello era…» Ma James non continuò perché Lily cominciò a singhiozzare rumorosamente contro il suo petto. James l’abbracciò e lasciò che piangesse. «È tutto finito, Lily.»
 Solo dopo averla lasciata sfogare l’allontanò da se e la guardò di nuovo. Lily capì che lo Schiantesimo di James non sarebbe durato per sempre. Allora, dopo aver inghiottito il groppo che le si era fermato in gola «Ti prego, portami via da qui.» sussurrò a James stringendogli la mano.
E lui le passò un braccio attorno alle spalle e la aiutò ad uscire dalla Stamberga Strillante. Uscirono dalla porta principale. Sarebbero tornati ad Hogwarts a piedi, senza passaggi segreti. L’ultima cosa che serviva a Lily, in quel momento, era il buio.

 
 
 

NdA: Chiedo umilmente perdono per il ritardo, sono una persona orribile e lo so. Solo che, come credo si noti, questo capitolo è il più lungo che io abbia mai scritto finora e ci è voluto un po' più del previsto perché non potevo spezzarlo. Sarei stata troppo cattiva u-u Allora, sarò velocissima perché devo assolutamente studiare filosofia. Siamo finalmente giunti ad Halloween, e ne succedono davvero di tutti i colori. Poveri... un po' mi dispiace. A Marlene pice Peter (scusate, sono una fan della Peter/Marlene e nessuno si fila il nostro piccolo Peter che per ora non ha fatto ancora niente di male, quindi non odiamolo adesso ♥), i Wolfstar sono il diabete del diabete (ma rimedierò MUAHAHAHA), e i Jily... i Jily sono i Jily, non c'è niente da fare, sono cocciuti come due pietre. :')
Ringrazio Dark_S97 che ha recensito lo scorso capitolo e tutti quelli che hanno inserito la storia tra i preferiti/seguiti/ricordati. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Mi dispiace un po' del calo di commenti ç__ç ci tengo molto a questa storia e anche se sono un po' cattiva con i nostri personaggi e faccio dei ritardi mostruosi non voletemi male, quindi niente, le recensioni sono gratis, fatemi sapere cosa ne pensate :) Cercherò di essere più veloce con il prossimo capitolo, lo giuro u.u
Baci,
Marianne




 

 
 

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Capitolo 13
*** La resa dei conti. ***



 

 

 

CAPITOLO 12 – LA RESA DEI CONTI.
 

Quando Lily si svegliò, capì subito di non essere nel suo letto dalle lenzuola che profumavano di qualcosa di diverso dal solito e dal corpo sdraiato accanto al suo. Indossava ancora i jeans e il maglione della sera precedente, il mantello era appeso accanto ad uno specchio e le scarpe erano ai piedi del letto.
Si alzò a sedere e notò che le tende scarlatte del letto a baldacchino erano chiuse, forse per non fare entrare la luce. Si voltò a destra, facendo ondeggiare i capelli che le ricaddero davanti gli occhi, e vide James dormire tranquillamente. Anche lui indossava i vestiti della sera prima, e nella testa di Lily iniziarono a vorticare così tante domande che dovette rimettersi giù.
Il materasso rimbalzò e James emise qualche mugolio sconnesso. I ricordi della sera prima erano ancora troppo evidenti nella mente di Lily, così evidenti che appena chiudeva gli occhi riviveva tutto, per questo non aveva idea di come avesse fatto ad addormentarsi.
Girò le testa verso James e sorrise impercettibilmente, In condizioni normali, l’avrebbe svegliato urlando, e poi gli avrebbe dato una bella strigliata; adesso, invece, Lily sembrava non avere nemmeno le forze per arrabbiarsi con James perché lui l’aveva portata nel suo dormitorio, anzi, gli era grata. Dopotutto, le aveva salvato la vita.
«Hey.» La voce di James era bassa, roca, la classica voce che uno ha di prima mattina. Era ancora assonnato e si sentiva, Lily non aveva idea di che ore fossero quando erano rientrati nel castello, l’unica cosa che le importava era che fossero sani e salvi.
«Buongiorno.» Rispose lei dolcemente. Gli sorrise e James fece lo stesso. Era tutto così strano, qualche giorno prima, Lily non avrebbe mai giurato che fosse piacevole stare sdraiati accanto a James Potter, e adesso le sembrava una delle cose più belle del mondo. Vederlo così da vicino, cadere in quegli occhi marroni un po’ lucidi…
«È un sogno?» chiese lui piano, continuando a guardare Lily.
Lei si limitò a scuotere la testa. Era quello il problema: tutto era così maledettamente reale, e bello ed era stranamente confortevole stare lì, sotto una coperta di lana, a pochi centimetri di distanza l’un l’altra.
«No sai, è che ultimamente nei miei sogni mi sveglio accanto a te.» Mormorò James. E Lily, in quel preciso istante, seppe che non lo diceva per provocarla, non era una stupida mossa per farla cadere ai suoi piedi, era la pura verità. E arrossì al pensiero di James che la sognava.
«Cosa è successo ieri, dopo che… be’, lo sai.» Lily non aveva alcuna voglia di parlarne, ma aveva una vuoto di memoria davvero fastidioso, e sarebbe impazzita se non l’avesse colmato il più presto possibile.
James si alzò a sedere sul letto e la guardò a lungo, prima di sospirare e rispondere. «Siamo tornati al castello, ed eri così stanca che non ti reggevi in piedi.» disse James. Lily annuì, curiosa di capire come ci fosse finita nel dormitorio dei ragazzi. «Mary e Marlene dovevano già essere a letto, perciò, dato che non si può salire nel dormitorio femminile, ti ho portata qui.»
«Grazie, James. Grazie di tutto.» E allora Lily fece qualcosa che non si sarebbe mai immaginata: abbracciò James Potter con così tanta energia che lo ributtò sul materasso, e poi scoppiò a ridere, anche se in quella situazione c’era ben poco di divertente.
Uno o più Mangiamorte si trovavano nella Stamberga Strillante, ad Hogsmeade, pericolosamente vicini ad Hogwarts. Lily confidava nella protezione che dava la scuola, ma nutriva il sospetto che ben presto nemmeno quella sarebbe stata sufficiente.
E James si limitò a posarle le mani sulla schiena, felice di vederla sorridere. Dopo una cosa simile a quella della notte precedente, lui dubitava che sarebbe riuscito a farlo. Se si fosse trovato al posto di Lily, probabilmente sarebbe impazzito.
«Non mi devi ringraziare. Ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque.» le disse James piano. Forse i suoi compagni di dormitorio dormivano ancora, preferiva parlare a bassa voce. Già immaginava le battutine di Sirius sul fatto che Lily avesse dormito lì.
«No!» esclamò Lily. Ecco, può darsi che le battutine di Sirius non sarebbero rimaste solo nella testa di James. «Non capisci, James. Io non sono riuscita a difendermi, avevo… ero terrorizzata, paralizzata dalla paura.»
E James poté rivedere quel terrore negli occhi di Lily. Poté rivedere tutto quello che era successo in quegli specchi verdi, riflettevano ogni cosa, lasciavano passare ogni emozione. Non voleva vederla piangere di nuovo: sentirla singhiozzare gli aveva fatto male.
«Shh, Lily, adesso va tutto bene. È tutto passato.»
«BUONGIORNO MONDO!» Quella voce fece sussultare Lily, che si staccò immediatamente da James. Il ragazzo, d’altra parte, non ebbe nemmeno bisogno di scostare le tende per capire chi fosse l’idiota che aveva distrutto quel momento e il sonno di tutti gli altri.
Sapeva solo che in quel momento avrebbe voluto picchiare quel troglodita patentato del suo migliore amico. Inoltre, non era nemmeno del tutto sicuro che Sirius avesse dormito con addosso il pigiama, o con addosso qualsiasi altro pezzo di stoffa. E James non sapeva come funzionava il cervello delle ragazze, tantomeno il cervello di Lily, ma sapeva che, in quel momento, vedere Sirius come mamma l’aveva fatto non sarebbe stato di grande aiuto a Lily che, tra parentesi, era la ragazza che gli piaceva.
Quindi no, non poteva permettere che Lily vedesse Sirius nudo.
«Ehm, ti posso chiedere di rimanere qui, e di non scostare le tende per nessuna ragione al mondo?» chiese James provando a fare il sorriso più innocente del suo repertorio.
E quando mai James Potter e innocenza erano andati a braccetto?
Lily, però, annuì stranamente alla domanda di James, e quando lui si alzò dal letto ebbe solo il tempo di assottigliare gli occhi per la poca luce che era entrata. Si sentiva stanchissima, così stanca che si sarebbe persino rimessa a dormire, ma ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva quell’uomo con la maschera, e sentiva le parole l’avrebbero potuta uccidere.
Si disse che era meglio non pensarci, e si concentrò sulla voce di James.
«Sei pazzo ad urlare così?» esclamò James. Lily non poteva vederlo, ma era quasi del tutto certa che James stesse picchiando Sirius con la prima cosa che gli era capitata sotto mano. Sorrise.
«Scusa, Ramoso. Tu, piuttosto, perché hai dormito con le tende chiuse tutta la notte? E perché hai ancora i jeans di ieri sera?» gli chiese Sirius tranquillo. Nella sua voce c’era solo una punta di sonno, per il resto, sembrava quasi indifferente al fatto che James, molto probabilmente, stesse fumando di rabbia.
«Si da il caso che ieri sera ero troppo sconvolto per mettermi il pigiama, anche perché nemmeno due ore prima un Mangiamorte aveva cercato di fare fuori me e Lily!» rispose. Era alterato, Lily riusciva a sentirlo, e udire quelle parole da lui, faceva sembrare il tutto così tremendamente vero, che Lily dovette arrendersi di fronte alla realtà.
Non era stato un sogno, o uno scherzo di cattivo gusto: quella notte avrebbero potuto morire.
«James, stai scherzando?» A parlare era stato Peter, con la voce allarmata.
«No» replicò James bruscamente. «Quei rumori che abbiamo sentito… non erano furetti, o che so io.»
«Ma state bene? Lily dov’è adesso?» Era stata la volta di Remus, rimasto in silenzio fino a quel momento.
Ci fu un attimo di silenzio, James si voltò verso il proprio letto, e dato che nessuno accennava a dire nulla. Lily allora si fece coraggio, e si alzò anche lei dal letto. Gli occhi di tutti e quattro i ragazzi si posarono su di lei, le parve di sentire Remus emettere un sospiro di sollievo, non sapeva perché, e forse non avrebbe voluto saperlo.
«Ti avevo detto…» iniziò James.
«Lo so quello che mi hai detto.» lo interruppe Lily. Si sorprese del cambiamento repentino del suo comportamento verso James, qualche minuto prima era tutto un miscuglio di sorrisi e abbracci e adesso? Adesso era tornata alla freddezza di sempre. Da come James inarcò le sopracciglia, doveva essersene accorto anche lui. «Torno da Mary e Marlene prima che mi diano per dispersa, James mi ha portata qui perché… perché mi sono addormentata e i ragazzi non possono salire nel dormitorio femminile.»
Tutti la guardarono convinti e non dissero una parola, dopodiché Lily prese le scarpe, il mantello e se ne andò, lasciando James con l’amaro in bocca.
Insomma, lui le aveva salvato la vita, si era presa cura di lei e questo era il modo in cui lo ripagava, trattandolo così male? Eppure, James sentì che c’era qualcosa di strano, perché prima lo aveva ringraziato con le lacrime agli occhi e l’aveva stretto senza lasciargli più un filo d’aria nei polmoni. E adesso perché l’aveva trattato con così tanta freddezza?
Non ne aveva idea. Sapeva solo che si scrollò malamente la mano di Sirius dalla spalla e se ne ritornò a letto, affondando la testa nel cuscino.
 

***

 
Severus aveva visto Lily piangere tante volte.
L’aveva vista piangere quando aveva litigato con sua sorella, Petunia; quando, al secondo anno, aveva preso la sua prima ed ultima T; quando James Potter la prendeva in giro, e ancora, quando avevano litigato, quando lui era scoppiato e le aveva urlato tutte quelle cose non esattamente carine che non pensava affatto.
Ma vederla piangere di paura, a Severus fece male. Gli scavò una voragine nel cuore, ma si impose di essere forte, di non cedere, se lo impose per Lily. Per Lily che non la smetteva di singhiozzare; che aveva dovuto raccontargli la storia due volte, perché lui la capisse; che aveva dovuto fermarsi a metà la seconda volta, perché le lacrime avevano preso il sopravvento.
«Lils, non piangere. Ci sono io, adesso.» Le sussurrò dolcemente. La Sala Comune Serpeverde era vuota, eccetto loro due. Tutti gli altri erano a pranzo, ma Lily non aveva appetito. Stare lì, con Severus, col suo migliore amico, era nettamente diverso dallo stare con James.
Non sapeva dire quale fosse la differenza, ma Lily la sentiva.
«L-lo so che è tutto finito. Me lo dite t-tutti, ma io ho p-paura, Sev!» Balbettò Lily cercando di non piangere come una bambina. Aveva le guance e gli occhi rossi, tirò su col naso e si ritrovò a guardare Severus che le sorrideva dolcemente.
«Ti capisco, Lils, sarebbe inumano non averne, ma facendo così peggiori le cose, sei al sicuro qui, sei ad Hogwarts.» Le mise le mani sulle spalle e la guardò negli occhi, e ci si perse, come ogni volta. Si sentì come un marinaio senza la sua bussola, ma che sapeva di andare dalla parte giusta; si sentiva come qualcuno che aveva perso le speranze, ma che riusciva a vedere, in qualche modo, la sua salvezza. E la salvezza di Severus erano quegli occhi verdi, senza le lacrime a far da contorno, però.
«Sei al sicuro, sei qui con me.» aggiunse poi, sospirando.
Lui non aveva mai nascosto nulla a Lily. Mai. Eppure si sentiva così tremendamente in colpa in quel momento. Perché, maledizione, lui lo sapeva!
Qualche giorno prima, quel cretino di Goyle gli aveva proposto un’altra volta di entrare a far parte delle schiere del Signore Oscuro, e Severus, per l’ennesima volta, gli aveva detto che doveva pensarci. Fino a quel momento aveva funzionato alla perfezione: Severus non voleva accettare, ma se avesse rifiutato categoricamente quella proposta molto probabilmente i Mangiamorte gli avrebbe dato la caccia finché non l’avessero ucciso.
Ma Goyle non era stupido.
Gli aveva detto che avrebbe fatto meglio a muoversi, e di prendere una decisione al più presto. E gli aveva rivelato che stavano diventando più potenti, che ben presto avrebbero scatenato il terrore ad Hogsmeade, che erano già vicini alla Stamberga Strillante…
Scusa, Lily. Perdonami, se puoi.
Allora Severus sospirò, Lily gli sembrava così indifesa, in quel momento, con gli occhi gonfi mentre deglutiva per non piangere. Allora non ci pensò due volte e l’abbracciò, la strinse forte e sospirò forte, proprio contro i suoi capelli rossi.
«Scusa.»
«E di cosa, Sev?»
«Scusami e basta.»
E Lily non capì, ma ricambiò l’abbraccio e ci mise tutto l’affetto che aveva. E invece di scusarlo, lei lo ringraziò. Lo ringraziò per esserci sempre stato, per tornare sempre, anche quando tornare non era stata la cosa migliore da fare. Per non averla mai lasciata sola, o quasi…
«Non so come farei senza di te, Severus, davvero.» gli disse Lils ancora stretta a lui. E ogni parola sembrava come una pugnalata.
Come puoi ancora fidarti di me, Lily?
«Tu torni sempre, anche quando non… anche quando io sono tanto stupida da ferirti, e dirti cose orribili, tu…» Ma Lily non la finì mai, quella frase. Un po’ perché sentiva le lacrime presentarsi agli angoli degli occhi, un po’ perché Severus la stava guardando negli occhi. Anzi, la stava perforando.
 «Non dire nulla.» Mormorò Severus.
E poi lui chiuse gli occhi, e lo fece anche Lily. Perché le sembrò la cosa più sensata da fare, in quel momento.
Severus si avvicinò, e lo fece anche Lily. Perché si sentiva troppo confusa, e non sapeva bene cosa fare.
Severus poggiò le labbra su quelle di Lily, e Lily non si oppose. Perché voleva essere consolata, perché aveva bisogno che qualcuno le facesse dimenticare tutte quelle brutte cose.
E poi Lily approfondì il bacio, e Severus lo ricambiò. Perché lui amava veramente Lily, e anche se si sentiva uno schifo, in quel momento, lei gli stava facendo dimenticare tutto.
Forse era un sogno, o forse no, ma Severus sapeva che non avrebbe mai dimenticato la morbidezza delle labbra di Lily, non avrebbe mai dimenticato quel bacio salato, che sapeva di lacrime e paura. Non avrebbe mai dimenticato nulla di quegli istanti: non il profumo di Lily, non il suo cuore che batteva all’impazzata e assolutamente non avrebbe mai dimenticato le braccia di Lily attorno al suo collo e il viso della ragazza sotto le sue mani.
D’altra parte, anche Lily era certa che non l’avrebbe mai dimenticato.
Perché in quei momenti tutta la paura, tutta l’angoscia sparirono all’improvviso, riscoprì la sua mente completamente vuota e libera per alcuni secondi, i poi questa si riempì di emozioni strane. Non le importava di star baciando il suo migliore amico, che, forse, tutto quello avrebbe compromesso quello che c’era tra di loro, perché Lily non era sicura di quello che provava, non aveva la più pallida idea di cosa provasse per Severus, per James…
Lily non lo sapeva, ma si limitava a vivere l’attimo che non avrebbe mai dimenticato, e a dimenticare quegli avvenimenti che non l’avrebbero mai abbandonata.
 

***

 
«Remus, cazzo, hai visto il mio tema di Incantesimi?» Era lunedì mattina, Sirius e Remus erano in ritardo, e Sirius si stava a dir poco disperando perché non riusciva a trovare quel maledetto tema.
«Non lo so dove lo hai messo, il tuo tema!» sbottò Remus. Cercava di infilarsi il calzino destro in santa pace. Aveva fame. James e Peter erano già in Sala Grande ad abbuffarsi, e lui era ancora bloccato in dormitorio a causa dell’immensa coglionaggine  del suo ragazzo. Ma nonostante tutto, lo amava anche per quello.
«Però calmati.» gli disse Sirius guardandolo.
«Io sono calmo!» esclamò Remus con il calzino infilato a metà. Sarebbe stato un miracolo se fosse riuscito a metterselo, magari, se avesse messo anche le scarpe.
«Non mi sembra.» disse ancora Sirius, si mise seduto accanto a lui poggiandogli la mano sulla spalla. «Dopo più di sei anni ho imparato a capire quando mi dici una stronzata.»
Remus arrossì di colpo e si infilò – finalmente – il calzino. Poi lanciò uno sguardo alla scarpe e sospirò; si voltò verso Sirius e lo guardò negli occhi. «Sirius… non lo so che mi prende, okay?»
«No, non è okay per niente» ribatté Sirius. «Adesso tu resti qui, e mi dici che c’è che non va. A costo di saltare Incantesimi. Se è per quella cosa dell’altra volta… io aspetterò… io…»
«Non è per quello.» disse piano, sconsolato, guardando per terra. Non c’entrava nulla, quel discordo. Si erano già messi d’accordo: quando Remus sarebbe stato pronto l’avrebbero detto a James e a Peter, ma per il momento andava bene anche così.
Erano una coppia un po’ strana, loro due: si rubavano baci quando nessuno guardava e si strappavano una risata quando il mondo faceva da spettatore. Vivevano di attimi e si cibavano di sguardi.
«E per cosa?» Sirius era calmo. Sorrideva dolcemente, e cercava di non… cercava semplicemente di non far capire una cosa per un’altra. Lo conosceva bene, Remus, e sapeva di come il ragazzo fosse incline agli equivoci.
«È strano, sai?» disse Remus, poi scoppiò a ridere. E Sirius non seppe perché, ma quella scena gli fece bene al cuore. Lo vide gettare la testa all’indietro come un bambino piccolo, gli sembrò innocente, anzi, Remus era innocente. Era la persona più bella del mondo. La più buona. La migliore.
Per Merlino, se l’amava.
«E perché?» chiese Sirius divertito.
«Perché è successo così… velocemente. È bastato parlarti per… per…» E la mente di Remus viaggiò a qualche settimana prima, nel bagno del settimo piano, a quando lui e Sirius avevano parlato. A quando Sirius l’aveva baciato. Era stato quello l’inizio di tutto.
«Ti conosco da una vita, Rem, se mi sono innamorato di te è successo lentamente e me ne sono accorto all’improvviso. Non è strano, è semplice.» ribatté Sirius.
Okay, poteva sembrare strano. Sirius in sei anni non aveva mai pensato a Remus in quel modo, nonostante avesse avuto esperienze con dei ragazzi. Remus era sempre stato il suo migliore amico, e non aveva la più pallida idea del perché si era innamorato di lui.
Forse era vero quello che dicevano i babbani: l’amore è proprio cieco.
E per la prima volta, Sirius Black aveva tolto la parola a Remus Lupin, perché quest’ultimo non seppe come rispondere ulteriormente e si limitò a sorridere, e a darsi dello sciocco. Si era fatto così tanti problemi anche dopo aver raggiunto il suo obiettivo, continuava a farsi tanti problemi anche dopo che Sirius gli aveva detto di amarlo.
«Sono un idiota.» disse ridendo.
«Sì, a volte lo sei.» scherzò Sirius, e gli accarezzò i capelli. Erano rari momenti come quello, in cui potevano permettersi di fare gli idioti, ma continuare a guardarsi come due tredicenni alle prese con la loro prima cotta, continuare a guardarsi come ogni volta fosse sempre la prima.
E in meno di due secondi, Sirius si ritrovò sdraiato sul letto, con la bocca di Remus incollata alla sua, con un sorriso che sembrava non finire mai. Remus non pesava, sopra di lui, sembrava essere leggero quanto una piuma. E allora mandò al diavolo il tema di Incantesimi e il ritardo, il fatto che i loro amici si sarebbero insospettiti e tutto il resto. Gli sembrava di essere impotente, ogni cosa che faceva si annullava quando Remus lo guardava con i suoi occhi caldi, profondi, infiniti.
Sì sentì vulnerabile, ma al sicuro. «Sei d’accordo se saltiamo Incantesimi?» soffiò Remus sul suo viso, con un sorriso fin troppo furbo sul volto, un sorriso che non gli si addiceva.
«Mai stato più d’accordo.» rispose Sirius. E non diede al suo ragazzo nemmeno il tempo di replicare che lo aveva baciato di nuovo. Gli sembrava strano definire Remus il suo ragazzo. Strano ma bello, gli ricordava che gli apparteneva, magari per sempre.
Quel lunedì mattina, Sirius non seppe mai che il tema d’Incantesimi si trovava proprio sotto la suo letto, non seppe mai che gli era accidentalmente caduto la sera prima, ma che aveva troppo sonno per raccoglierlo. Non lo seppe perché rimase sdraiato sul letto di Remus, contro il suo petto, dandogli qualche bacio ogni tanto.
Eppure, nulla sembrava normale. Hogwarts conosceva Sirius Black come il ragazzo delle storie da una notte, ma a lui piacque stare tra le braccia di Remus a parlare, a sognare ad occhi aperti e dire cose senza alcun senso. Gli piacque perché aveva tutto, e non sentiva il bisogno di nulla.
Successe tutto in pochi minuti: Remus vide che erano quasi le dieci, e che la lezione di Incantesimi sarebbe finita a momenti. La porta del dormitorio di aprì, ma nessuno dei due se ne accorse, e proprio mentre Sirius afferrò Remus per un braccio per dargli un ultimo bacio a fior di labbra, Frank Paciock osservava il tutto con gli occhi sbarrati.
Insomma, se lo era immaginato, no?
Doveva esserselo immaginato.
E dire che aveva chiesto il permesso per uscire dalla classe perché non si sentiva bene, anche se non era vero, in realtà doveva solo tornare in dormitorio a prendere un piccolo regalo per Alice, dato che era un mese che stavano insieme, ma non si sarebbe mai immaginato di vedere i propri amici baciarsi. Quello proprio no.
«Io… Alice… r-regalo.» balbettò il ragazzo ancora sconvolto. Anche se, a dir la verità, era più confuso che altro. Forse soffriva di allucinazioni e non lo sapeva. Forse avrebbe fatto meglio ad andare in Infermeria.
«Frank, ti possiamo spiegare.» Aveva detto Sirius.
Quello era un problema: Remus, per il momento, non voleva dirlo nemmeno a James e a Peter, ora che si sarebbe inventato?
«È…è…» iniziò Remus cercando di trovare le parole adatte.
«Una scommessa!» esclamò Sirius. Due sguardi scettici si posarono su di lui. «Sì, insomma, giorni fa avevamo fatto una scommessa. Se Remus fosse riuscito a farmi andare alla lezione ad Incantesimi io… avrei dovuto ballare in Sala Grande.» Inventò al momento. In genere gli era facile inventare bugie seduta stante, ma in quel momento stava avendo qualche piccola difficoltà.
«E sai che Sirius è peggio di un pezzo di legno, quando si tratta di ballare…» aggiunse Remus con nonchalance.
«Solo che non c’è riuscito e… be’, l'altra parte della scommessa era quello che hai visto.» concluse Sirius.
«Okay, io devo prendere una cosa.» continuò Frank. Si era lasciato convincere perché al momento aveva davvero troppe cose per la testa. Aveva finto di essersi dimenticato il loro primo mesiversario, ed Alice non gli aveva rivolto la parola per tutta la mattinata, per questo era salito a prenderle il regalo. Non voleva certo litigare con lei per una sciocchezza come quella.
«E così, oggi è un mese?» disse Sirius avvicinandosi a Frank. Gli diede una pacca sulla spalla.
«Già.» rispose Frank con un sorriso sul volto.
«Tienitela stretta, amico, Alice è una ragazza fantastica» gli disse poi. «Per curiosità, cosa le hai fatto?»
«Oh, sabato siamo andati ad Hogsmeade e le ho comprato questo» Frank mostrò a Sirius un bracciale. Era semplice, nulla di particolarmente elaborato o costoso, ma a Frank ripetevano sempre che è il pensiero che conta. «Secondo te le piacerà?»
«Le piacerebbe anche se fosse fatto di tappi di Burrobirra, se sei tu a regalarglielo.»

 
 
 
 

 
 

NdA: Holaa! Non riesco a credere d'aver impiegato solo SEI giorni per aver scritto questo capitolo. AWWW *-* Okay, sarà che il ponte del 25 Aprile mi ha dato molto tempo, però non ero mai arrivata a questi ritmi *piange*
Okay, direi proprio che questa è una resa dei conti. E' la quiete dopo la tempesta e riusciamo a vedere cosa è rimasto e cosa si è rafforzato. Allora NON UCCIDETEMI PER GLI SNILY. Okay. Questa è una Jily e io shippo Jily più di quanto shippi i miei polmoni con l'ossigeno (e questo è indice della mia pazzia), ma se pensate che dopo Halloween sarebbe nato l'amore tra i Jily, la risposta è NO. Muahaha. James e Lily ora sono quello che è più vicino all'essere amici. Non si odiano, non continuano a prendersi a frecciatine, sono solo diventati due persone finalmente normali. E di qui allo stare insieme... ce n'è di strada da fare u-u Sappiate solo che sto facendo uno sforzo enorme perchè io gli Snily non li sopporto (sorry not sorry) e non chiedetemi perchè sto scrivendo di loro se non li sopporto: non lo so. Sono matta, questo sì. Credo l'abbiate capito. Dunque, dato che ci sarà un altro ponte dovrei riuscire ad aggiornare così velocemente anche la prossima volta, poi inizia Maggio e allora non ci garantirò molta puntualità, perché a scuola mi troverò nella mer- cacca fi sopra i capeli ç__ç
Anyway, ringrazio TheChief, PervincaGranger7 e Dark_S97, per aver recensito lo scorso capitolo e invito tutti voi lettori silenziosi (vi nascondete ma io vi vedo e.e) a lasciare un commentino per farmi sapere che ne pensate, se avete suggerimenti ecc. Spero vi sia piaciuto! Alla prossima :3
Marianne




 

 
 

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Capitolo 14
*** Infiltrati. ***



 

 

 

CAPITOLO 13 – INFILTRATI.

 
Il bagno di Mirtilla Malcontenta, al secondo piano, era temuto da quasi tutta Hogwarts, tranne che ovviamente dai Malandrini.
Quel martedì di Novembre era piuttosto uggioso, e non era certo la prima volta che i quattro amici si riunivano nel bagno maledetto per combinarne qualcuna delle loro. Quel martedì di Novembre, infatti, se qualcuno fosse entrato nel bagno di Mirtilla avrebbe sentito un odore non molto piacevole, non era un caso che in uno dei gabinetti stesse fermentando nientemeno che la Pozione Polisucco.
Sarebbe stata pronta quella sera stessa: Remus era riuscito a procurarsi i capelli di quattro Serpeverde tra il sesto e il settimo anno.
Sembrava filare tutto liscio, anche perché nessuno si azzardava ad andare in quel bagno, e nessuno sospettava assolutamente nulla.
Eccetto Austin Krueger.
Qualche settimana prima li aveva sentiti parlare ad alta voce degli ingredienti, e aveva subito capito che stavano parlando della Polisucco.
Aveva fermato Sirius Black, senza avere un briciolo di dignità, e gli aveva chiesto perché la stessero preparando. Sirius gli aveva risposto malamente, intimandogli di andarsene con una freddezza che Austin non gli aveva mai visto addosso: non capiva perché lo trattasse così.
Insomma, di solito non lo trattava e basta, non gli parlava e non lo degnava di uno sguardo, ma da quando si era lasciato con Mary MacDonald – cosa di cui Austin, oltre ad averla apprezzata, andava molto fiero perché, intendiamoci, era stato lui ad architettare il tutto – Sirius Black sembrava volerlo morto. E se gli sguardi avessero potuto uccidere…
Dopotutto, non poteva di certo biasimarlo: Austin aveva usato il suo migliore amico per fare sì che la sua ragazza lo lasciasse. Be’, non era quel che si dice una bella persona.
«E adesso lasciamola a riposare.» disse Remus allontanandosi dal calderone.
Gli altri tre lo imitarono e osservarono la poltiglia verdastra.
«Quel colore non preannuncia nulla di buono» osservò James. «Siamo sicuri d’averla fatta bene?»
«Sicurissimo.» rispose Remus con lo sguardo fisso sul calderone d’ottone.
«Bene, allora aspettiamo.» disse James. «Dovremmo fare dei turni per controllarla, non si sa mai.»
«Okay, allora adesso tu e Sirius rimanete qui, tra un paio d’ore io e Peter vi diamo il cambio.» disse Remus evitando di proposito lo sguardo di Sirius.
Da quando Frank, la settimana prima, li aveva trovati in circostanze piuttosto fraintendibili, Remus si sentiva in imbarazzo, fuori posto, sbagliato.
Si sentiva anche un idiota, a dirla tutta: Sirius gli aveva detto più volte che lo amava – lo amava, porco Merlino! – eppure, Remus non si sentiva per niente sicuro di se stesso.
Era complicato essere Remus John Lupin, più di quanto si potesse immaginare. In effetti, Remus, visto da fuori, sembrava avere una vita fantastica ed invidiabile.
Per tutti gli altri studenti, Remus Lupin era uno dei ragazzi più popolari della scuola; fino a un mese prima era fidanzato con Marlene, una delle ragazze più belle della torre Grifondoro; andava bene in tutte le materie e, oggettivamente parlando, era anche piuttosto carino.
Ma la realtà era ben altra, perché Remus Lupin, visto da dentro, visto da dove solo Sirius era saputo arrivare, non ce l’aveva per niente una vita fantastica, tantomeno invidiabile.
Non gli interessavano i finti sorrisi della gente e i loro finti favori, gli bastavano i suoi pochi, ma fidati amici; stava con Sirius, il suo migliore amico, un ragazzo; e per finire in bellezza, era un lupo mannaro, nonché un diciassettenne in cerca della propria identità, che non fosse quella di un reietto dell’intera società magica.
«Va bene.» Peter si alzò in piedi e fece per uscire dal bagno, Remus lo imitò e decise di andare in biblioteca, doveva pur tenere la mente impegnata in qualche modo.
James e Sirius rimasero in silenzio per alcuni minuti dopo che Peter e Remus se ne furono andati, ma James lo notò subito che c’era qualcosa che non andava. Lo notò dagli occhi grigi di Sirius, spenti come metallo freddo; dopotutto, lo conosceva da una vita, chi voleva prendere in giro?
«Sirius, a tutto bene?» gli chiese James mettendosi seduto per terra, a gambe incrociate.
«Non lo so, James. A volte mi sembra di sbagliare tutto, con la mia vita.»
«Ti va… uhm, di parlarne?» chiese ancora James. Sirius non si faceva vedere in faccia, e non era per niente un buon segno: solitamente, quando Sirius non voleva farsi guardare dritto negli occhi era perché sapeva che, se l’avesse fatto, poi non sarebbe riuscito a mentire.
«Non lo so.» rispose Sirius a bassa voce. Stava odiando Remus per averlo lasciato solo con James, quelle domande da ragazzina lo facevano irritare.
«Dai, Sir, sono il tuo migliore amico, ti conosco meglio di chiunque altro!» esclamò James. Il suo tono di voce era simile a quello di un bambino e a Sirius venne quasi da ridere.
«Ho litigato con Rem, credo.» sospirò Sirius. Insomma, non lo sapeva nemmeno lui cosa fosse successo precisamente, Remus aveva semplicemente cominciato ad ignorarlo, ad essere più freddo e visibilmente più nervoso.
«Cosa?» chiese James incredulo.
«Non mi parla più, o almeno non come sempre. Sembra… distaccato.» rispose Sirius abbassando lo sguardo, sembrava triste, parecchio.
«Hai provato a chiarirti con lui?»
«Ti ho appena detto che non mi parla!»
«Ma come non ti parla? Vi conoscete da sempre, sapete tutto l’uno dell’altro» disse James. «Sei il suo migliore amico, cioè, credo che tu sia… come dire? Speciale, capito?»
«In che senso?» chiese Sirius con un groppo in gola: era possibile che James avesse scoperto di loro?
«Nel senso che… penso che lui si fidi più di te, è una sensazione che ho da un paio di mesi, ormai.» rispose James. Poi sorrise, forse un po’ amaramente. Aveva sempre creduto che loro quattro fossero tutti uguali, da ogni punto di vista, che non ci sarebbe mai stato qualcuno di cui fidarsi di più, o qualcuno di cui fidarsi di meno.
«Ed è una brutta cosa?» chiese Sirius.
«No, non credo.»
E rimasero di nuovo in silenzio. Ma non era un silenzio imbarazzante, era uno dei loro soliti silenzi, un silenzio normale. Necessario, perché non c’era nulla da dire. Comunque, non durò a lungo, perché a James il silenzio non piaceva, un po’ come il bianco. Che cos’era il bianco? Era un colore, sì, ma un colore stupido, non aveva senso.
«Chi è il tuo Serpeverde?» chiese improvvisamente Sirius guardando James.
«Un certo Adam qualcosa, settimo anno.» rispose svogliatamente James.          
«Io non mi ricordo in chi mi trasformerò.» ammise Sirius.
«Pensa se ti trasformi in una ragazza» Scherzò James. «La cosa potrebbe avere dei risvolti positivi, non credi?» James adesso aveva il suo solito ghigno divertito e beffardo sul volto.
«Ma a te non piaceva la Evans?» chiese Sirius incrociando le braccia al petto e guardando James.
«A me piace la Evans.» James marcò la parola “piace”, e Sirius inarcò le sopracciglia: era la prima volta che lo vedeva così convinto in fatto di ragazze. Di solito, quando glielo chiedeva, James faceva il vago e rispondeva che, alla fin fine, quella bionda del quarto anno non gli interessava poi così tanto.
Ma adesso, James sottolineava il fatto che Lily Evans gli piacesse e Sirius non poté che sorridere al pensiero: James si era innamorato proprio come un ragazzino. Proprio come lui.
 

***

 
Peter, in Sala Comune, era dell’idea che preso sarebbe andato in bagno a vomitare il pranzo di Natale del 1957.  E non era ancora nato.
Motivo di tale nausea non erano altro che Frank ed Alice, e il fatto che lei agitasse il braccio con una frequenza di duecento volte le al minuto per far vedere anche ai quadri il bracciale che portava al polso.
Insomma, ormai lo sapevano anche i fantasmi – soprattutto i fantasmi – che quei due stavano insieme, e non c’era certo bisogno di fare così tanta pubblicità. E a Peter dava fastidio e basta tutto quell’esibizionismo, dopotutto, il fatto che lui non avesse una ragazza era una cosa totalmente ininfluente.
Non vedeva Marlene da nessuna parte, anzi, in realtà, non la vedeva dalla notte di Halloween, non ci aveva più parlato dopo.
Eppure, ricordava ancora ogni singolo particolare.
E nemmeno a farlo apposta, Marlene si buttò improvvisamente sul divano dove era seduto Peter con la sua solita grazia inesistente, fece sì che Peter distogliesse lo sguardo dai due fidanzatini più diabetici di tutta la Torre e che lo posasse su di lei.
«Hey Peter, dove sono gli altri Malandrini?» gli chiese. Era raro vedere Peter tutto solo in Sala Comune, in silenzio per di più. Di solito stava sempre con i suoi amici, rideva e scherzava, e a Marlene faceva uno strano effetto vederlo così taciturno.
«James e Sirius sono da qualche parte, Remus non lo so… forse è in biblioteca.» rispose Peter sforzandosi di essere gentile. Marlene gli piaceva, non sapeva ancora se in un quel senso o meno, ma era una bella persona a cui erano successe cose non molto carine, era una persona particolare e a lui piaceva passare del tempo con lei.
«E per questa sera, dopo cena, credi che saranno ancora dispersi per il castello?» Marlene sorrise dolcemente, accavallò le gambe e quella maledetta gonna scivolò un po’ troppo.
Non guardare, Peter, non guardare!
«Ehm, mi dispiace ma avevamo già in programma qualcosa» rispose Peter rosso in viso. «P-perché?»
«Oh, nulla. Volevo solo chiederti se potevi darmi una mano a Difesa.» rispose Marlene.
«Mi… mi dispiace.» balbettò Peter ingoiando il groppo che gli si era formato in gola.
«Ma non preoccuparti, se vuoi facciamo sabato, così di pomeriggio andiamo a Hogsmeade, che ne dici?» chiese Marlene.
«Perfetto! Ora scusa, devo proprio scappare.» esclamò Peter, ancora visibilmente imbarazzato.
Peter sperò che le due ore fossero già passate, e dopo essere uscito a mo’ di razzo dalla Sala Comune, si diresse immediatamente verso il secondo piano, più precisamente verso il bagno delle ragazze, quello di Mirtilla.
Quando entrò, James sonnecchiava appoggiato al muro e Sirius anche: quel due erano così prevedibili.
Peter si avvicinò ai suoi due amici e provo a scrollarli, ma niente. «Ramoso.» mormorò Peter prendendo James per le spalle. Il ragazzo aprì gli occhi di scatto e mugugnò qualcosa che Peter non riuscì a decifrare.
«James.» ripeté ancora, stavolta a voce più alta.
«Uh, sì… la pozione.» disse James assonnato.
«Il cambio, James, ti ricordi?» chiese Peter.
«Sì, sì, ora sveglio Sirius.» James si alzò e svegliò Sirius che aprì gli occhi quasi immediatamente.
«Andiamo a mangiare, Felpato?» chiese James. In quel momento Remus entrò in bagno, ben felice che vedere che Peter fosse già lì, comunque sia, aveva un’espressione abbastanza turbata sul volto.
«No,» Rispose secco Sirius. «non ho fame.» E così dicendo prese James per il braccio e lo trascinò fuori dal bagno, e così rimasero solamente Peter e Remus.
«Ma che ha?» chiese Peter curioso.
«Non chiedermelo.»
 

***

 
«James, dove sono i capelli?» Forse urlare una cosa del genere nel bel mezzo della Sala Comune, proprio prima di cena quando tutti si riunivano lì, non era stata esattamente un’idea brillante.
Infatti, si beccò parecchi sguardi confusi, tra cui quello perplesso e sospettoso di Lily Evans e quello omicida di James.
L’interpellato non rispose, bensì trascinò il povero Sirius su per le scale, fino al dormitorio.
«Sono al sicuro, nel mio comodino» Allora si decise a rispondere alla domanda, piuttosto scocciato. «Ma ti pare il modo di urlare in quel modo?»
«Non ci ho pensato. Sai com’è, sono troppo impegnato a non farmi odiare da Rem per il resto della mia vita!» rispose. Forse, sfogarsi con James gli aveva fatto fin troppo bene.
«Questa cosa deve finire. Domani ci parli a qualsiasi costo e vi chiarirete, è sempre stato così, no?»
«Sì, più o meno.»
James prese le fialette contenenti i capelli – Remus era stato abbastanza paranoico, come suo solito, e aveva messo i capelli in quattro fialette diverse, ognuna contrassegnata da un’etichetta sulla quale c’era scritto il nome di chi avrebbe dovuto prendere i capelli contenuti nella fialetta – e se le mise nella tasca della divisa.
Allora scesero nuovamente in Sala Comune, e James dovette ammettere che, in condizioni normali non gli sarebbe affatto dispiaciuto ritrovarsi Lily Evans in tutta la sua bassezza ad un palmo dal naso, ma stavolta la rossa aveva uno sguardo assassino, e la cosa non preannunciava davvero nulla di particolarmente positivo.
«Lily! Quale onore.» disse James facendo una sottospecie di inchino. Sirius ridacchiò e Lily continuò a fumare di rabbia.
«Risparmiati le carinerie Pott­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­— James» Lily si era ripromessa di non rivolgersi più a lui chiamandolo per cognome, doveva essergli grata in qualche modo. «Capelli? A cosa vi servono dei capelli?»
«A curare la calvizie?» ipotizzò James scrollando le spalle.
 Ipotizzò James scrollando le spalle.
«Idiota.» sospirò Lily.
«Noi avremmo fretta, Evans.» s’intromise Sirius, e Lily lo fulminò con lo sguardo.
«E a me non interessa, Black. Sai, se quei capelli non fossero stati poi così importanti, non l’avresti detto – o meglio, urlato – a tutti i Grifondoro, non credi?» rispose Lily a tono, incrociò le braccia al petto e sostenne lo sguardo gelido di Sirius, interrotto dal sospiro di James.
«Lily, abbiamo fame.» inventò James. Di solito non scappava da una situazione come quella, anzi, solo che aveva fretta, e non aveva né il tempo né la voglia di mettersi a bisticciare con Lily.
«Che vi costa dirmi la verità?» chiese lei. James la osservò confuso, con le sopracciglia aggrottate: a che razza di gioco stava giocando? Prima lo accusava malamente e poi passava ad attaccarlo sui sensi di colpa.
«Quello che facciamo non ti riguarda.» Sirius “salvò” di nuovo la situazione, solo che stavolta lo sguardo assassino glielo rifilò anche James.
«Mi riguarda quello che fa James.»
E a quel punto, James abbassò lo sguardo. Non voleva dirle che si sarebbero introdotti nella Sala Comune Serpeverde a creare un po’ di casino utilizzando la Pozione Polisucco. Perciò, James si limitò a superarla senza rivolgerle la parola, senza aggiungere nulla, uscì dalla Sala Comune in silenzio e Sirius lo seguì a ruota, così Lily rimase in piedi in mezzo alla stanza, sola e con l’amaro in bocca.
 

***

 
«Pozione?»
«Pronta.»
«Capelli?»
«Pronti.»
«Noi?»
«Prontissimi.»
Remus non era tanto sicuro sull’ultimo punto: lui non era per niente sicuro di quello che stavano per fare. Insomma, già preparare illegalmente quella pozione era stato pericoloso, figurarsi poi entrare di soppiatto nella Sala Comune Serpeverde.
Inoltre, come se tutta quella storia non gli avesse già messo abbastanza pressione, Remus in biblioteca aveva incontrato Austin Krueger, quel… –  e qui Remus gli avrebbe affibbiato un epiteto non molto carino. Eppure era sicuro di esserselo tolto dai piedi per sempre!
Era rimasto a leggere in pace per un po’, un’ora o poco più, poi qualcuno si era seduto al suo tavolo, proprio davanti a lui, ma Remus non sollevò gli occhi per vedere di fosse, non poteva dargli fastidio la sola presenza di uno studente. Poi quello cominciò a tamburellare le dita sul legno, e Remus inarcò un sopracciglio visibilmente irritato. Poi il tipo misterioso aveva aperto bocca, e a meno che non volesse morire di una morte lenta e dolorosa, aveva fatto una mossa davvero sbagliata.
Se poi il tuo nome è Austin Krueger sei morto a prescindere.
«Remus, amico mio!» Austin urlò, in poche parole, facendo voltare Madama Pince che lo fulminò con lo sguardo. Inoltre, ora tutta la biblioteca credeva che quei due – l’accoppiata più improbabile della Terra – fossero amici.
«Non sono tuo amico.» sibilò Remus tenendo gli occhi sul libro, ma senza leggere veramente.
«Be’, ti converrà esserlo» Austin aveva cambiato repentinamente tono di voce, ed era diventato minaccioso, quasi insolito. «So cosa state combinando.»
«Non so di cosa stai parlando.» ribatté Remus senza scomporsi, anche se per un momento aveva sentito il panico dilagare nella sua testa.
«Sì che lo sai. La Polisucco. So riconoscere una pozione quando ne elencano gli ingredienti, e quella che ho sentito mi pareva proprio la tua voce.» rispose Austin. Continuava a tamburellare le dita sul tavolo, e tutto ciò era davvero molto, molto irritante.
«Vai al sodo.» disse Remus.
«Voglio solo un piccolo aiuto.»
«Spiegati meglio.»
«Sirius.»
«Scordatelo.»
«Allora oggi potrei… accidentalmente fare un salto nell’ufficio della McGranitt.» disse Austin scrollando le spalle.
«Fai come ti pare, la risposta è no.» Remus sembrava più determinato che mai. E detto ciò, posò il libro sullo scaffale dove l’aveva preso e uscì a passo spedito dalla biblioteca.
E allora ritornò improvvisamente alla realtà,  nel bagno di Mirtilla. Adesso tutti e quattro avevano in mano un bicchiere pieno di pozione, un intruglio verde scuro che non sembrava essere molto invitante.
James mise i suoi capelli e la pozione assunse un colorito blu elettrico. Quella di Sirius divenne giallo acceso, quella di Remus nera come la pece e quella di Peter rimase più o meno come prima.
Presero la pozione tutti insieme, e Peter fece cadere a terra il proprio bicchiere dal sapore disgustoso. Dopo alcuni secondi James sollevò la testa e non riconobbe più i suoi amici, erano… dei Serpeverde. Per fortuna avevano indossato prima le divise, avrebbero avuto solo un ora per fare il tutto, così facendo avevano risparmiato del tempo.
«Appena torniamo qui, dobbiamo eliminare tutte le prove.» disse Remus con una voce che non gli apparteneva.
Sirius si limitò ad annuire con un’espressione ancora schifata sul volto.
«Ripassiamo il piano: Peter e Sirius, voi creerete confusione in Sala Comune mentre io e Remus andremo nei dormitori maschili.» disse James.
«Perfetto.» disse Peter.
Allora uscirono in fretta e furia dal bagno: sapevano che tutti erano a cena e che, quindi, nessuno sarebbe stato a gironzolare per i corridoi. Avevano scoperto la parola d’ordine dei Serpeverde giorni prima, corrompendo un ragazzino del primo anno che, evidentemente, non conosceva ancora i Malandrini.
Arrivati davanti alla porta di pietra, nei sotterranei, proprio mentre James stava per entrare, ma una voce piuttosto familiare li fece voltare tutti e quattro. «Adam! Si può sapere che ci fai qui?» James, cioè Adam, si girò e si ritrovò nientemeno davanti a Severus Piton.
«Ehm, io… non avevo fame e sono tornato qui.» inventò James.
«E voi tre?» Severus si rivolse agli altri tre Serpeverde, che erano rispettivamente Sirius, Remus e Peter.
«L’abbiamo incontrato per i corridoi.» rispose Sirius.
«Mh, Adam devo parlarti urgentemente.» iniziò Severus, poi pronunciò la parola d’ordine ed entrarono tutti insieme. Remus, Sirius e Peter rimasero in Sala Comune mentre Severus trascinava James in dormitorio, il ragazzo di voltò verso i suoi amici, rivolgendo loro un’ultima richiesta d’aiuto.
Nei minuti seguenti, James scoprì che quell’Adam non era altri che il compagno di stanza di Piton e si diede dell’idiota: doveva andare a scegliersi proprio quello?
«Dovevi dirmi qualcosa, Severus?» chiese James cercando di mantenere il tono di voce il più gentile possibile.
«Sì, una settimana fa ho parlato con Lily.» disse Severus sedendosi sul letto. James sentì un’ondata di gelosia crescergli nel petto, ma a quanto aveva capito quell’Adam doveva essere una sorta di amico per Severus, e, malgrado tutto, lui avrebbe dovuto comportarsi come tale.
«E hai... insomma ho saputo che ha avuto un incontro ravvicinato con un Mangiamorte.» buttò lì James.
«Hai saputo… ma fammi il piacere!» esclamò Severus alterandosi. «Pendi dalle labbra di Goyle e l’hai saputo ancor prima che lo dicessero a me.»
«Tu… lo sapevi?» chiese incredulo James.
«Sì, e vorrei che Goyle non me lo avesse mai detto. Sono mesi che rimando, ma non so quanto riuscirò ancora a reggere» rispose Severus, adesso era abbastanza afflitto. «E mi sento davvero uno schifo, soprattutto nei confronti di Lily.»
James in quel momento voleva solamente spaccargli il naso: non solo perché lo avrebbe fatto comunque, indipendentemente dalle circostanze, ma sapeva che dei Mangiamorte si sarebbero introdotti ad Hogsmeade e non lo aveva detto a Lily, non lo aveva detto a nessuno.
«Be’… in effetti.» commentò James, ricordandosi di doversi calare meglio nei panni di Adam. Davvero non capiva come facesse a stare così calmo. Forse era il fatto di non volere che qualcuno lo scoprisse, men che meno Severus Piton, forse era il fatto che ormai sentire quelle cose lo scalfiva e basta, senza ferirlo per davvero. Forse perché teneva troppo a Lily da mandare tutto a monte in quel modo, facendosi scoprire dal suo migliore amico. Si sarebbe messo in cattiva luce ai suoi occhi.
«Ma il problema è un altro.» continuò Severus.
«Cioè?»
«Una settimana fa, quando Lily è venuta a parlarmi, ecco… io non lo so come è successo. So solo che un minuto prima eravamo in Sala Comune, lei mi stava raccontando quello che era successo con i Mangiamorte – che poi, è tutta colpa di quel troglodita di Potter. Che bisogno c’era di trascinarla lì? – e un minuto dopo…» Severus stava parlando così velocemente che, per qualche strano scherzo del destino, James riuscì ad afferrare solo la parte in cui lo insultava. Strinse i pugni, in quel momento lui era Adam, non poteva permettersi di perdere le staffe.
«E un minuto dopo…?» incalzò James, era anche curioso di sapere cosa fosse successo a Lily, che era andata dritta nella tana del serpente.
«Ecco, io l’ho baciata e credo di aver fatto la cazza più grande della mia vita.» rispose Severus, poi sospirò contento di essersi tolto quel peso.
«TU COSA?» gridò James. Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma era sicuro di stare ancora sotto l’effetto della pozione, e di avere ancora le sembianze di Adam, perché Severus sussultò e lo guardò confuso.
«Adam, lo so che sono un idiota, ma non mi sembra che tu debba arrabbiarti così tanto…» disse.
«Sì, scusa, e dopo? Insomma, forse hai fatto davvero un cavolata, si vede lontano un miglio che le piace Potter…» disse James vago.
«Cazzate.»
«Prego?»
«Dicevo che non mi ha respinto, ci è stata. E non me lo ha mai detto esplicitamente, ma io lo so che non le piace Potter» iniziò Severus. «Voglio dire, lui l’ha fatta sempre soffrire, e quello che la consola sono sempre io! Lei… non è così forte come vuole far credere a lui e a tutti gli altri. Nessuno può immaginare… Lily è fragile, e delicata, come… come un fiore.»
James rimase in silenzio, ritrovandosi per la prima volta ad essere d’accordo con Severus Piton. Sorrise amaramente, dentro di sé, chi l’avrebbe mai detto che loro due pensassero le stesse cose su Lily?
«E James Potter l’ha strappata troppe volte.» 
 

 
 
 
 
 

 
 

NdA: Salve a tutti! Okay, oggi non sono poi così puntuale, ma spero mi perdonerete, questo mese avrò davvero troppi compiti e interrogazioni da affrontare. Sono nello sterco di mucca (?) fino al collo e ne uscirò solamene il 3 Giugno, aka il giorno dell'ultima interrogazione dell'anno. Mi voglio morta. x__x
Comunque, sarò breve perché domani, tanto per cambiare, ho l'interrogazione di inglese da Milton fino a Swift, ed è tipo un secolo e mezzo di letteratura e credo che morirò. Questo capitolo, sostanzialmente, non serve a niente (?) se non a far soffrire James, perchè lui non deve essere così perfetto e di conseguenza non deve far soffrire ME. Ti amo, Ramoso e tu lo sai bene ♥ No okay, seriamente, serve perché James qualche cosa la deve pur scoprire, altrimenti non si darà mai una mossa con Lily, almeno non seriamente, quindi... e poi c'è un po' di Jirius bromance perché sì.  I Wolfstar non si parlano e so che mi odiate per questo, e so anche che nel prossimo capitolo (che è già iniziato, attenzione, spero di postare presto la prossima volta) mi odietere ancora di più perché (SPOILER) il titolo del 14 sarà "La fine del mondo"
*si ripara dal lancio di ortaggi*
Ringrazio infinitamente le cinque persone che hanno recensito lo scorso capitolo: Dark_S97, TheChief, scemina, Katniss_01 e Bells1989 ♥
Spero che questo vi piaccia, fatemelo sapere con una recensione/commento/lancio di pomodori ecc. Alla prossima!
Love ya ♥
Marianne




 

 
 

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Capitolo 15
*** La fine del mondo. ***



 

 

 

CAPITOLO 14 – LA FINE DEL MONDO.

 
Quella mattina successero tante cose strane, nella torre Grifondoro.
Quasi tutti videro James Potter scendere in sala Comune ed evitare volutamente Lily Evans che era rimasta a fissarlo finché lui non aveva varcato il buco del ritratto insieme a Sirius, dopodiché, lei aveva preso per un braccio Mary e l’aveva trascinata su per le scale, il tutto con fare molto… incazzoso
Per la prima volta in sette anni di scuola, i Grifondoro videro i Malandrini separati, con Remus a ripassare qualche materia e Peter a parlare a bassa voce con Marlene.
Insomma, chi non era a conosceva della veridicità dei fatti avrebbe potuto pensare che la fine del mondo era vicina.
La verità, l’amara verità, era che James non aveva voglia di parlare con Lily, non dopo quello che era venuto a sapere la sera prima da Piton, insomma, pensava di essere almeno suo amico, pensava che lo avrebbe saputo da lei.
E sì, magari ci sarebbe rimasto di merda comunque, ma avrebbe fatto meno male. Perché Severus aveva messo cattiveria in quelle parole, mentre inveiva contro di lui, e sapeva che Lily gli avrebbe semplicemente detto di aver baciato Severus, magari omettendo i dettagli.
Pensava che ormai potesse fidarsi di lei, ma erano solamente tornati al punto di partenza, se non peggio.
Per quanto riguardava Remus e Sirius, be’, quei due ancora non si parlavano, e il motivo non lo sapevano nemmeno loro. Perché avevano fatto l’abitudine a non guardarsi, a non sorridersi, nemmeno a chiedersi i compiti, si erano abituati l’uno all’assenza dell’alto, e quel tacito accordo era come un pugnale che li trafiggeva ogni giorno.
Perché loro non lo vedevano, inizialmente non l’avevano sentito, ma tutto quello li stava distruggendo, gli stava lacerando il cuore e li faceva sanguinare dentro, solo che non se ne accorgevano.
E la cosa peggiore era che la medicina, tutto quello di cui avevano bisogno, era il passo più difficile da compiere, quello avrebbe fatto più male, ma che avrebbe limitato il dolore per sempre.
Ma siamo umani, se il dolore lo possiamo evitare, lo evitiamo.
Quella mattina, a colazione, nella Sala Grande, Lily era seduta al tavolo dei Serpeverde accanto a Severus, e sembrava che stesse passato la giornata peggiore della sua vita.
«Non mi hai ancora detto cosa c’è che non va.» le disse Severus passandole una tazza di tè che lei rifiutò gentilmente. Lily aveva lo sguardo spento e sembrava che anche i suoi capelli rossi avessero perso colore, vitalità.
«Sono triste, Sev.» rispose Lily con un filo di voce.
«E per cosa?»
«Non lo so.» Lily mentì. Lo sapeva bene perché si sentiva così… triste e delusa. Lo sapeva fin troppo bene e aveva avuto paura a rivelarlo persino a Mary, quando anche lei glielo aveva chiesto. Era triste perché James Potter la trattava con quell’aria da superiore, e non le rivolgeva nemmeno più la parola, perché in quei mesi si era abituata a tutte le sue attenzioni e adesso, non ricevere più nemmeno un saluto, nemmeno uno schifosissimo cenno del capo, le faceva male da morire. Così male, che le sembrava la fine del mondo.
«Se è per colpa mia… ti giuro che non sapevo nemmeno io cosa stessi facendo, perciò…» iniziò Severus gesticolando, lo faceva sempre quando era nervoso.
«No!» esclamò Lily voltandosi improvvisamente verso Severus, scuoteva il capo e sorrideva debolmente. «No, Sev. Tu non c’entri, non sono triste per te.»
«E allora per cosa? Potter?» azzardò Severus. Lily rimase in silenzio a guardare le frittelle sul suo piatto, con lo sguardo basso e gli occhi pieni di verità. Severus sospirò e posò la tazza di succo di zucca sul tavolo.
«Quante volte ti ho detto che non merita le tue lacrime?» le disse piano.
«Non sto piangendo per lui.» ribatté Lily aggrottando le sopracciglia.
«Ma lo hai fatto, te lo si legge in faccia.» le fece notare Severus, allora le mise una mano sotto il mento e la costrinse a guardarlo negli occhi, il suo sguardo incontrò quello di Lily e gli risultò quasi difficile sorriderle, perché negli occhi di Lily c’era così tanta tristezza che lo faceva sentire strano…
Però lo fece lo stesso, la guardò negli occhi e le sorrise, con un tacito ordine che impartiva di sorridere anche a lei, e Lily ci provò, ci provò davvero, perché il suo migliore amico voleva che lo facesse, e lei non se la sentiva di deluderlo, ma era piuttosto sicura che avesse ottenuto solamente una smorfia uscita male.
«Va meglio?» le chiese lui.
«Un po’, grazie.» E allora Lily accettò quella tazza di tè e ne bevve qualche sorso, il tutto mentre cercava di non guardare verso il tavolo dei Grifondoro, anche perché vi avrebbe visto solo della sprezzante e dolorosa indifferenza da parte di James, e non ci teneva a rovinarsi la giornata.
«Allora, andiamo o no a Pozioni?» chiese Severus, Lily posò la tazza e annuì. Lui si alzò e prese sia la sua che la borsa di Lily, lei gli disse di aspettarla ma lui aveva già cominciato a correre verso l’uscita della Sala Grande, allora Lily aveva sorriso – per davvero, stavolta – e gli era corsa dietro.
James Potter, seduto vicino a Sirius aveva osservato tutta la scena, poi aveva sbattuto la forchetta sul tavolo e il suo unico commento era stato: «Vaffanculo.»
«Andiamo, Ramoso, se la Evans sta con Mocciosus devi fartene una ragione, okay?» disse Sirius esasperato, erano due giorni che James si comportava così. Da quando aveva parlato con Severus con le sembianze di Adam era di umore nero e nessuno sembrava poterlo avvicinare.
«Una ragione, Sirius? Tu mi stai chiedendo di farmene una cazzo di ragione? Ma ti senti?» sbottò James, allontanò il piatto e incrociò le braccia al petto, setacciando la Sala Grande in cerca di qualcuno con cui sfogarsi. Non voleva litigare con Sirius, non ne avrebbe avuto motivo, dopotutto, lui cercava solo di aiutarlo nonostante stesse male. La faccenda con Remus ancora non l’aveva risolta, e James si sentiva un po’ in colpa, perché era talmente preso da Lily da non accorgersi se il suo migliore amico stesse male o meno.
«Scusa se cerco di aiutarti…» ribatté seccato Sirius.
«No, scusa tu… dovrei essere io ad aiutarti.» disse James.
«Tanto non potresti fare niente.»
«Potrei parlarci, capire cosa non va.»
«Ci ho già provato io…» disse Sirius sospirando.
«E non ti sei chiesto se non ti abbia risposto proprio perché sei tu a chiederglielo? Magari non vuole dirtelo, che ne so…» ipotizzò James.
«Provaci, se vuoi, ma non credo che risolverai qualcosa.» rispose Sirius.
«Bene, guarda e impara come James Potter risolverà magicamente la questione.» James sorrise con una strana luce negli occhi e si arrotolò le maniche del maglione, si alzò, raggiungendo Remus che si era appena seduto in disparte con il libro di Trasfigurazione in mano.
«Lunastorta, devo parlarti urgentemente.» dichiarò solette mettendosi seduto accanto a lui. Remus alzò lo sguardo verso James e morse il suo toast appena imburrato.
«Di cofa?» chiese con la bocca piena.
«Di Sirius…» sospirò James divenendo serio tutto d’un tratto, anche Remus smise di fare il buffone e ingoiò il pezzo di toast che aveva in bocca, guardando James con gli occhi più che sbarrati, insomma, Sirius era l’ultimo nome che voleva sentire!
«Allora stai sprecando il tuo tempo.» ribatté Remus sprofondando di nuovo nel libro di Trasfigurazione.
«No, adesso ascoltami, Rem.» disse James, e Remus sussultò.
Rem.
«Non chiamarmi così.» mormorò Remus pallido in volto, sembrava pietrificato.
«E perché mai, Rem?» continuò James, aveva l’intento di irritarlo, conosceva Remus: fallo innervosire e avrai tutte le risposte che desideri.
«Una persona con cui ho litigato mi chiamava sempre così…» rispose Remus. E si morse il labbro, allora l’aveva ammesso: lui e Sirius avevano litigato per davvero. Credeva si trattasse solo di negligenza, di mancanza di tempo, invece… «voglio dire, lei…»
«Ho capito tutto, Lunastorta!» esclamò James alzandosi in piedi, attirò l’attenzione di alcuni studenti e si rimise immediatamente al suo posto. Remus, ancora seduto stavolta era verde, e sembrava che dovesse vomitare da un momento all’altro.
«C-che?»
«Marlene! Lei ti ha lasciato – facendoti fare una colossale figura di merda, tra l’altro – ma tu, infondo, le vuoi ancora bene, ecco perché sei triste!» spiegò James sorridendo.
«James, tu…» provò Remus con scarsi risultati. Una parte di lui era felice, dopotutto, James non aveva scoperto un bel nulla, ma l’altra…
«Va tutto bene, non ti chiamerò più Rem, se ti far star male. Non lo considero comunque un motivo valido per non rivolgere più la parola a Sirius, non trovi?» chiese James.
«Infatti non è per questo che non gli parlo… sono cose complicate, James. Non le capisco nemmeno io.»
«Potresti provare a risolverle» disse James scrollando le spalle. «Sirius è parecchio giù di corda per questo.»
«Lo terrò a mente.» Remus allora si alzò e si allontanò, uscendo in definitiva dalla Sala Grande. Poi, ricordò James, alla prima ora avevano Pozioni, per cui Remus non aveva avuto alcun motivo per passare la colazione a ripassare Trasfigurazione.
C’era decisamente qualcosa di strano nell’aria, quella mattina.
 

***

 
«Dobbiamo parlare.» Così aveva esordito Sirius Black, prima di trascinare Remus in dormitorio e di chiudere la porta a chiave. Stavano saltando Incantesimi, e da una parte poteva anche sembrare una cosa positiva, perché con tutto quello che stava succedendo, Remus non aveva proprio voglia di vedere Austin Krueger, o anche solo di respirare la sua stessa aria. Comunque, restava il fatto che Sirius gli stesse facendo saltare una lezione, e questo non andava per niente bene.
«Ti ascolto.» grugnì Remus incrociando le braccia al petto, gli occhi grigi e freddi di Sirius erano sempre stati una specie di toccasana per lui, ma adesso gli sembravano freddi e taglienti, e grigi come la lama di una spada.
«Bene. Dimmi per quale cazzo di motivo fai finta che io non esista.» disse Sirius serio, quando imprecava nel bel mezzo della frase le cose potevano essere due: o era arrabbiato, o era serio, il più delle volte queste cose andavano in coppia.
«Non lo so!» esclamò Remus già stanco di quella situazione.
«Come sarebbe a dire che non lo sai? Non mi rivolgi la parola, ci sarà un motivo…» disse Sirius inarcando le sopracciglia. Odiava quando Remus gli rispondeva così. Non esistevano i “non lo so”. Se faceva qualcosa c’era un motivo, bello o brutto che fosse, mentirgli in quel modo non aveva senso, anzi, faceva aumentare ancor di più la sua paura e i suoi sospetti.
«Sirius, non lo so, davvero. Non riesco a spiegarmelo, ma sei distante, non ti riconosco più… la mia vita è un casino, non ci capisco nulla.» disse Remus di fretta, si mangiava le parole e guardava insistentemente la moquette rossa, tutto, pur di evitare gli occhi di Sirius.
«Ma sei tu ad esserti allontanato, Rem! Io cosa ti ho fatto?» domandò Sirius avvicinandosi.
«Non hai fatto nulla, è questo il punto.»
«Allora parlamene, se la tua vita è un casino, parlane con me, ti prego!» esclamò Sirius. «Sono anche il tuo migliore amico.»
«Ecco, non possiamo.» sospirò Remus.
«Non possiamo cosa, R-Rem?» Adesso la voce di Sirius tremava pericolosamente, il ragazzo chiuse gli occhi e deglutì. Aveva un orribile presentimento.
«Essere sia amici sia… fidanzati, è… non ci riesco.» disse Remus. Non sapeva nemmeno cosa stesse facendo, non gli sembrava nemmeno di essere in sé. Era proprio lui quello che stava dicendo quelle cose? Era proprio lui che stava per rinunciare ad una parte di Sirius?
«Io non ti voglio perdere, né come amico, né come fidanzato… Rem, io ti…» iniziò Sirius, ma dovetti mordersi il labbro perché gli veniva da piangere, e non poteva farlo, non lì, non davanti a Remus, non in quel momento.
«Lo so, anche io, ma credo che dovremmo prenderci una pausa, okay?» chiese Remus, si fece coraggio e lo guardò negli occhi: mossa sbagliata. Tremendamente sbagliata.
Sirius lo baciò, lo costrinse quasi a farlo, in un primo momento. Ma poi Remus si sciolse e si lasciò stringere dalle braccia di Sirius: gli sarebbe mancato da morire tutto quello, ma non poteva continuare così.
Non fu nulla di delicato, o dolce come succede a volte nei film; fu un qualcosa di disperato, perché Sirius ne aveva bisogno, perché non poteva vivere senza i baci di Remus, e aveva il terribile sospetto che  ne avrebbe fatto a meno per un bel po’. Quando si staccarono tornarono a guardarsi negli occhi, e Remus non resse quello sguardo triste per più di tre secondi, strinse la bacchetta e aprì la porta senza nemmeno pensarci.
Sirius rimase immobile, lasciandogli fare tutto. Aveva la bocca stretta, i pugni chiusi e gli occhi acquosi, ma non versò nemmeno una lacrima.
Non è okay per niente, Rem…
Sirius non era stupido, lo sapeva bene che le persone quando vogliono lasciare qualcuno in modo carino chiedono di prendersi una paura. Remus non voleva ferirlo, ma c’era riuscito comunque.
Remus lo amava, gliel’aveva detto, ma l’aveva lasciato andare.
Sirius sperava solo che “la pausa” non sarebbe stata una vera pausa, che si sarebbero comunque comportati come i migliori amici che erano sempre stati, anche se un minimo di distacco sarebbe stato inevitabile, questo lo sapeva.
Sperava solo che non sarebbero arrivati a livelli drastici, perché i vasi che si rompono sono facili da aggiustare, con un cuore è tutto più complicato.
Un cuore, una volta rotto, è quasi irreparabile, e solo la mano che l’ha frantumato può rimetterlo a posto, e generalmente, nemmeno quella riesce a farlo tornare come nuovo.
Remus gli aveva detto che la sua vita era un casino, e Sirius? La sua vita com’era? Lo sapeva, quello che gli altri pensavano di lui: “è un puttaniere, non combinerà mai nulla di buono in vita sua, sta sempre a fare casino per la scuola, sa solo giocare a Quidditch”, ma Sirius se ne fregava, solitamente, perché c’erano i suoi tre migliori amici che lo conoscevano bene, e che non lo avrebbero mai giudicato.
Poi si era innamorato di Remus, nemmeno lui sapeva come. A Sirius piacevano le ragazze, gli erano sempre piaciute le ragazze. Tranne quella volta, al sesto anno in cui aveva baciato un tizio, ma era ubriaco e ricordava poco e niente di quella sera. Ma alla fine era arrivato Remus, con il suo sorriso timido ed imbarazzato, e i suoi capelli sempre in perfetto ordine, e i suoi occhi caldi e profondi, e Sirius si era innamorato.
Non erano i ragazzi, loro non c’entravano nulla, era lui. Solo Remus, solamente Remus riusciva a farlo sentire così. Era sempre stato Remus.
E adesso cosa stava succedendo? Era immobile, in piedi nel bel mezzo del dormitorio, incapace di dire o fare nulla, perché Remus l’aveva appena lasciato.
La mano di Remus aveva lasciato la sua, e Sirius la sentiva, quella mancanza. Sentiva il calore sparire lentamente e la mano raffreddarsi, il cuore congelarsi e la testa farsi sempre più pesante. Chiuse gli occhi e si portò le mani al volto, sospirò e alzò la testa.
Basta, Sirius, vai lì fuori e sii normale. Comportati come sempre, come se non fosse successo niente. Non sarà mica così difficile, no?
E invece, lo fu eccome.
Scendere in Sala Comune, quella sera fu tremendamente difficile, non riusciva a sollevare i piedi per camminare, e ogni tanto gli girava la testa.
Cenare con tutti gli altri, se possibile, lo fu ancora di più. Perché Sirius sapeva dire le bugie, sapeva fingere sorrisi e sapeva tirar fuori ogni tipo di sguardo in ogni momento della giornata, ma con i suoi migliori amici non funzionava. James l’aveva capito che c’era qualcosa che non andava, qualcosa che stava facendo stare Sirius ancora peggio di quella stessa mattina. E Peter anche, lo aveva notato. Però non gli fecero alcuna domanda e lasciarono correre.
Dopotutto, James non era in vena di fare domande e di ricevere risposte tristi, lo era già di suo. Non ce l’aveva con Lily, non era colpa sua, cioè, tecnicamente sì, perché era stata lei a ricambiare il bacio di Piton, era lei la ragazza che gli piaceva, e sentirsi dire che aveva baciato un altro lo faceva stare indiscutibilmente male, ma dopo alcuni ragionamenti era arrivato al punto che non poteva incolparla per non averglielo detto.
Persino lui, se fosse stato in Lily, non si sarebbe considerato la prima a cui dirlo, ma nemmeno l’ultima. Anzi, fosse stato in lei, dirselo non gli sarebbe passato nemmeno per la testa. Magari non voleva farlo soffrire, ma lui lo era a venuto a sapere lo stesso, per giunta da Piton, la persona che odiava di più al mondo, ma in un certo senso se l’era anche andata a cercare. Anche se, ammettiamolo, come avrebbe potuto anche lontanamente immaginare che quell’Adam fosse il confidente di Severus Piton? Avrebbe potuto sentirlo chiunque, se solo si fossero scambiati le provette, anche per sbaglio.
Aveva intenzione di parlare con Lily a proposito del bacio, non poteva tenerselo dentro, avrebbe peggiorato le cose. Scrutò la Sala Grande in cerca di un’inconfondibile testa rossa e, purtroppo, la trovò di nuovo al tavolo dei Serpeverde, seduta sulle gambe di Piton a giocare con il cibo.
Provò un moto di rabbia, e sentì l’istinto di andare lì, portarsi via Lily e spaccare la faccia a Mocciosus, però rimase calmo e si limitò ad osservarla: era felice, gli occhi le brillavano e rideva, rideva come non aveva mai fatto.
Si disse che dopo cena le avrebbe parlato, assolutamente. Non si era mai fatto così tanti complessi per un ragazza sola.
 

***

«Lily, posso parlarti?» La rossa in questione si voltò verso James Potter, in piedi vicino alla poltrona rossa dove si era messa seduta a leggere. Era tardi e la Sala Comune ormai era semi-deserta, chiuse il libro e annuì, rispondendo così alla domanda di James. Si alzò fino a ritrovarsi faccia a faccia con lui, con troppa poca distanza dal suo viso. Finse un colpo di tosse e si allontanò di almeno un paio di centimetri.
Lui rimase in silenzio, perché proprio non ce la faceva a tirare fuori quell’argomento: sapeva che li avrebbe portati solo a litigare, ed era così tanto tempo che non litigavano che rovinare quel periodo di pace quasi irreale sembrava quasi un crimine.
Ma doveva. Doveva chiederle delle spiegazioni. Anche se lei non doveva per forza dargliele, dopotutto, chi era lui per avere il diritto di sapere certe cose? Non era il suo migliore amico, e non era di certo il suo ragazzo.
Soprattutto, non era il suo ragazzo.
«Be’, di cosa dovevi parlarmi?» incalzò Lily, cominciava a stufarsi a star lì ferma, senza far nulla, e oltre ad essere curiosa si stava chiedendo cosa ci fosse così importante da rendere James Potter così visibilmente nervoso. Insomma, James Potter non era quasi mai nervoso, anzi.
«Volevo solo chiederti se stavi bene» inventò James. Non poteva certo iniziare dicendole “Hey, per caso hai baciato Mocciosus? No, perché sono abbastanza geloso.”
«Certo che sto bene» rispose Lily aggrottando le sopracciglia. «Come mai tutto questo interessamento, James?»
Dio, quando adorava quando lo chiamava con il suo vero nome. Non Potter, né qualsiasi altro soprannome idiota. Solo James.
«Nulla, è che oggi a cena mi sei sembrata davvero felice.» disse James. E questo era vero. Non c’era nessuna bugia di mezzo, nessuna scusa. James si era reso conto che Lily quando rideva era meravigliosa, chissà, forse gli piaceva tanto anche per quello. Erano da quando aveva parlato con Piton che aveva una strana idea per la testa. E se ne fosse stato davvero innamorato? Forse tutta quella gelosia aveva fatto scattare la bomba, solo che la bomba ancora non aveva avuto modo di esplodere.
«Non posso essere felice?» chiese Lily. «Non capisco che c’è di strano.»
«No, cioè sì… è che non lo eri da tanto tempo. L’ho capito. Sarò anche un pallone gonfiato, come mi dici sempre tu, ma non sono insensibile. Sai, sotto questa corazza un cuore ce l’ho.» rispose James battendosi una mano sul petto. E di certo, non era nemmeno stupido. Credeva che non avesse visto che c’era qualcosa di tremendamente sbagliato in lei, quei primi giorni di scuola? Credeva che non avesse visto di come le sue occhiaie fossero sparite dopo che aveva fatto pace con Severus? Credeva che non avesse capito che, oramai, quello che le ci voleva per farla stare bene non era lui, ma proprio Severus Piton?
Ma James Potter non era nemmeno un rammollito. Oh, no. Lui avrebbe girato le carte in tavola, e avrebbe fatto in modo che fossero a suo favore, anziché a quello di Piton. Non poteva perdere quell’occasione, non poteva perdere Lily.
Lily, che era l’unica ragazza che non cedeva facilmente. Che era l’unica ad evitarlo. Che era l’unica in tutto. Che era l’unica e basta.
«In effetti… è successa una cosa che… ma non penso ti interessi.» mormorò Lily, arrossì e abbassò il capo, non le sembrava la cosa più giusta o intelligente da fare parlare a James di quello che era successo con Severus. Sentiva che la cosa non li avrebbe portati da nessuna parte, o al massimo, ad un altro litigio.
«Sì invece! Mi interessa.» insistette James prendendole la mano. E allora Lily lo guardò negli occhi e avrebbe voluto rimangiarsi tutto quello che aveva detto.
«Promettimi che non ti arrabbierai.» disse ancora Lily.
«Se ti rende felice perché dovrei arrabbiarmi?»
«Ho baciato Severus.»
Silenzio. Quello che Lily voleva evitare. Silenzio significava delusione, amarezza, anche rabbia, a volte. Silenzio era la lama tagliente dell’indifferenza, che trafiggeva e distruggeva lentamente, dall’interno. Silenzio era quello che James non voleva spezzare, perché sapeva quello che sarebbe successo dopo.
Eppure si sentiva così stupido! Lo sapeva che si erano baciati. Lo sapeva che chiedendoglielo lei non avrebbe risposto altrimenti, il fatto era che voleva sentirlo dire da lei. Dalle sue labbra dolci, con parole delicate e non dalla voce arrabbiata e frustrata di Piton.
Pensava che, se l’avesse sentito da lei, avrebbe fatto meno male, ma si sbagliava di grosso. Se possibile, sentire quelle parole dalla bocca di Lily lo fece stare ancor peggio.
«Intendi dire che… lui… insomma, è stato lui?» chiese James, dandosi di nuovo dell’idiota.
Lily scosse la testa. «No, James…»
«Bene. Sono felice per voi.» disse secco forzando un sorriso. Poi lasciò la mano di Lily e si allontanò da lei.
«Ma non stiamo insieme!» esclamò Lily per giustificarsi. «Cioè, io… volevo dire che…»
«Lily, non devi spiegarmi nulla. Davvero, sono felice per te.»
«È una bugia.»
James si fermò sul primo gradino delle scale, e la fissò per almeno due minuti. I due minuti più lunghi della vita di entrambi. Sospirò e «E cosa dovrei dire quando la ragazza che amo mi confessa di aver baciato un altro?» disse.
Lily rimase a bocca aperta, senza saper aggiungere altro. E James sparì per le scale, desiderando ardentemente di sprofondare nelle viscere della Terra. L’aveva ammesso, l’aveva detto, e a lei.
Le aveva detto di esserne innamorato, e ora sapeva che ne avrebbe pagato le conseguenze. Perché James avrebbe potuto far di tutto: cambiare atteggiamento, dirle ogni giorni che l’amava, regalarle tutti i fiori del mondo, ma nulla di tutto questo sarebbe bastato.
Lily avrebbe continuato ad essere felice grazie a Severus Piton, e lui non poteva fare niente per impedirlo. Quella gli sembrava davvero la fine del mondo.

 

 
 
 

 
 

NdA: L'HA DETTO. JAMES POTTER L'HA AMMESSO. AH AH, TI HO SMASCHERATO! HA DETTO CHE AMA  LILY (Lily e non me, ma non fa niente) *sclera* Buonsalve a tutti! In questo periodo soffro di un non so cosa, ma credo che centri i litri di caffé che bevo al giorno per studiare. Lunedì ho l'interrogazione di storia e stranamente riesco a scrivere più in questi giorni di totale stress che normalmente. L'ho sempre detto io che ho qualche problema...
Comunque, ecco di nuovo che il mio amore Angst torna a farsi una passeggiata da queste parti, ed ecco il lancio di pomodori. *si ripara* IO NON VOLEVO FAR LASCIARE I WOLFSTAR. LORO SI SONO LASCIATI DA SOLI. Seriously, sono diventata un burattino nelle loro mani, mi capite, vero? Spero vi sia piaciuto nonostante tutto, perdonatemi ancora. Nel prossimo ci sarà un po' più di fluff (?) per riparare a questo disastro, ve lo prometto. O almeno ci proverò.
Ringrazio infinitamente TheChief, scemina e Bells1989 (non so cosa sia successo con quel capitolo doppio, efp a volte impazzisce) che hanno recensito il capitolo 13, e vorrei ringraziare tutti voi che leggete silenziosamente perché siamo arrivati a 51 seguiti e 23 preferiti, wow *--* lasciate pure il vostro pensiero, non mordo :'D
Al prossimo che, perdonatemi ancora, non so quando sarà. Spero presto.
Love ya ♥
Marianne




 

 
 

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Capitolo 16
*** Neve. ***



 

 

 

CAPITOLO 15 – NEVE.

Verso Dicembre aveva cominciato a nevicare, e ben presto tutto era stato ricoperto da un soffice manto bianco. Un mese era passato in fretta, alla velocità della luce, ma le cose non sembravano andare affatto bene: Lily, ormai, passava più tempo con Severus che con i suoi altri amici; Remus e Sirius, dopo una settimana di silenzio avevano ripreso a comportarsi come una volta; James era sempre più esuberante, ma quand’era da solo calava tutte le maschere e lasciava che la realtà lo guardasse in faccia.
Gli unici per i quali le cose sembravano andare a gonfie vele erano Alice, Frank, Peter e Marlene. I primi due avevano finalmente deciso cosa fare una volta finita la scuola, e ovviamente l’avrebbero fatto insieme, come avevano deciso di fare ogni cosa da qualche settimana a quella parte. Avrebbero lavorato come Auror. Certo, il percorso sarebbe stato difficile, ma era una cosa che li affascinava. Era incredibile di quanto il rapporto tra Alice e Frank fosse mutato in pochi mesi: prima non sapevano nemmeno di piacersi a vicenda, e adesso sembravano maturati tutto insieme, pronti ad affrontare l’ignoto, mano nella mano. Marlene non aveva fatto alcun passo in avanti con Peter, perché aveva paura di ricevere altre delusioni, e anche se Peter le sembrava una persona per bene, una persone buona, che non l’avrebbe mai ferita, l’esperienza le aveva insegnato che non ci si può fidare mai abbastanza. D’altra parte, Peter, aspettava solo le vacanze le per poter mettere le idee al loro posto.
Era esattamente l’ultimo giorno di scuola, quando James rivolse la parola a Lily per la prima volta dopo la loro discussione. Quasi non ci credeva di averle detto di essere innamorato di lei: quando l’aveva raccontato a Sirius, quest’ultimo aveva pensato che il suo migliore amico fosse sotto l’effetto di qualche strana pozione, e dopo aver appurato che James non aveva bevuto alcun intruglio magico, aveva ammesso la verità.
James Potter era innamorato.
E chi l’avrebbe mai detto?
Stava aspettando Lily fuori dall’aula di Trasfigurazione, sapeva che la ragazza si tratteneva quasi ogni volta a discutere con la McGranitt, probabilmente dei M.A.G.O., e appena uscì James tossì e la richiamò: «Lily!»
La rossa si voltò e l’espressione sul suo volto era intraducibile. Da una parte, Lily era felice che James finalmente le parlasse, perché era stata un mese interno a rimuginare sulle sue parole, un mese intero a chiedersi se James l’amasse veramente o l’avesse detto solo per far scena; dall’altra, però, Lily avrebbe evitato quella conversazione per altri cento anni, perché non avrebbe saputo cosa dire. Per la prima volta, non avrebbe saputo cosa dire a James Potter, che ormai non era solo Potter, era anche James.
«Hey…» disse Lily con falso entusiasmo, provò ad abbozzare un sorriso, con scarsissimi risultati.
«Come va?» le chiese James appoggiandosi al muro. Lily strinse il libro di Trasfigurazione al petto.
«Tutto bene, grazie.» rispose Lily. Era imbarazzante, tremendamente imbarazzante. Cosa avrebbe dovuto fare? Chiedergli di confermare i suoi dubbi? Riprendere quel discorso che l’aveva lasciata a metà?
«Non parliamo molto, ultimamente.» osservò James riversando lo sguardo a terra. E mentre si chiedeva dove fosse andata a finire la sua solita faccia tosta, si concesse di guardare Lily, solo per un secondo, solo per un momento, e si pentì quasi subito di averlo fatto.
Lei aveva i capelli raccolti in una treccia fatta frettolosamente, il cravattino perfettamente allacciato, e le labbra rosse di morsi che, forse, si era fatta lei stessa.
«Mi dispiace, James, sul serio.» disse lei, gli si avvicinò con cautela, riponendo il libro nella borsa che teneva a tracolla.
«Per cosa?» James sorrise, un po’ amaramente, forse, e poi alzò di nuovo lo sguardo, sorpreso di ritrovarsela così vicina.
«Non so cosa si prova. Se si esclude la cotta stratosferica che avevo per Thomas Perks  al terzo anno, ovvio, ma…» iniziò Lily. Aveva evitato quelle parole, o almeno ci aveva provato, ma era giunto il momento di dirglielo. Lei non lo amava, non nello stesso modo.
Lily gli volva semplicemente bene, aveva imparato che prima di tutto James Potter era una persona, una persona che, malgrado dimostrasse quell’impenetrabilità, aveva bisogno di affetto e amore. Ma lei non poteva amarlo, lei era convinta di amare Severus. Non James.
«Non sto male per il tuo amore non corrisposto, non mi lascio abbattere da così poco» la bloccò fermamente James, sospirò e la guardò negli occhi verdi. «La vita va avanti.»
«Sì, era questo che volevo dirti… lì fuori ci sono milioni di ragazze migliori di me… tu meriti di più.» Disse Lily,cercava di confortarlo. Dopotutto, si sentiva leggermente in colpa.
«Delle altre non me ne frega niente, sinceramente» disse James. «Voglio dire, hai ragione: chissà quante altre ragazze ci sono migliori di te. Più alte, più bionde, con più tette, ma…» E Lily gli riservò un’occhiataccia divertita, come tempo prima.
«Ma?» lo incitò Lily.
«È te che voglio» rispose James, poi le si avvicinò, accostando la bocca al suo orecchio. «E farò di tutto per arrivare al mio obiettivo.»
Detto ciò, James si voltò e percorse il corridoio, lasciando Lily fuori dall’alula di Trasfigurazione, con un groppo in gola e lo stomaco chiuso, non sapeva se avrebbe mangiato qualcosa a pranzo, non sapeva nemmeno se seguire l’esempio di James e avviarsi verso la Sala Grande. Non sapeva nemmeno se parlarne con Severus o se nascondergli tutto.
Così, quando arrivò nella Sala d’Ingresso, prese le scale e corse a perdifiato verso la Torre Grifondoro, quello che non poteva sapere era che nemmeno James era andato a pranzo, quel giorno.
 

***

 
«Mary.» Marlene era appena entrata nel loro dormitorio per posare dei libri e aveva trovato Mary intenta a preparare il baule. Aveva quasi dimenticato che lei sarebbe tornata a casa, per le vacanze, e le aveva ricordato che il suo baule era ancora lì, vuoto, in attesa di essere preparato.
Mary si girò, con un paio di pantaloni in mano e le sorrise. «Dimmi.»
«Sono preoccupata per Lily.» disse Marlene sospirando. Mary aggrottò le sopracciglia e rispose i pantaloni nel baule, poi si voltò, appoggiandosi ad esso.
«Non capisco.»
«Ultimamente è strana. È sempre triste.» osservò Marlene. Lily non aveva parlato alle sue amiche del bacio con Severus, e non aveva ancora avuto l’occasione di dire loro quello che le aveva detto James, e, dopotutto, non era nemmeno troppo sicura di farlo. Forse, se non ne avesse parlato, sarebbe svanito tutto. Forse, sarebbe stato tutto un sogno. Ma James quelle cose le aveva dette per davvero, e non sarebbero mai svanite.
«Allora non sono l’unica ad averlo notato.»
Marlene scosse la testa e si appoggiò allo stipite della porta. «Cosa credi che dovremmo fare?»
«Se non ce ne ha parlato lei…»
«Ma dobbiamo capire cosa non va» esclamò Marlene. «Lei mi ha aiutata con la storia di Remus. Io glielo devo.»
Ci fu un momento di silenzio e poi Lily entrò in dormitorio, togliendo a Marlene e Mary la possibilità di continuare quel discorso. Sembrava radiosa, nonostante tutto quello che era successo quel giorno. Alla fine, aveva deciso di non dire a Severus di James. Sarebbe stato meglio per tutti.
«Partite?» chiese Lily rivolta alle sue compagne.
«Sì, io e Marly torniamo a casa per Natale.» rispose Mary per entrambe. Marlene annuiva sorridente.
«Io rimarrò qui» annunciò Lily buttandosi sul letto. Un sacco di persone sarebbero rimaste ad Hogwarts, quell’anno. Le voci sulla guerra si erano diffuse anche tra gli studenti, e tornare a casa non sembrava più così sicuro. Hogwarts era il posto migliore per non correre rischi, con la protezione di tutti gli insegnanti. «Anche Sev rimane.» aggiunse poi.
«Devi dirci qualcosa su Sev?» chiese Marlene mettendosi accanto a lei.
«No, perché?» disse Lily evitando lo sguardo di Marlene.
«Oh, non saprei… parli sempre così bene di lui, negli ultimi tempi.»
«È perché abbiamo fatto pace.»
Marlene la guardò per nulla convinta e tirò fuori il suo baule da sotto al letto, per cominciare a metterci qualcosa dentro, altrimenti l’indomani si sarebbe ritrovata a fare i bagagli all’ultimo secondo.
«Sarà…» buttò lì Mary. Se volevano sapere qualcosa, quello era il momento giusto per scoprirlo. O avrebbero dovuto aspettare la fine delle vacanze natalizie.
«E va bene.» Lily sbuffò. «Però dovete promettermi che resterà un segreto. Non so cosa succederà ora, con precisione, ma…»
«Ma…?» incalzò Marlene curiosa mentre cercava qualcosa sotto il letto.
«Io e Sev ci siamo baciati.» disse Lily con un filo di voce. Allora, successero tante cose insieme. Prima di tutto, Mary spalancò la bocca mentre cercava di mettere in croce tre parole da dire, Marlene sbatté la testa dalla sorpresa, mentre cercava di rialzarsi. Il tutto producendo una confusione degna di Marlene McKinnon.
Lily si voltò preoccupata verso la bionda mentre quella farfugliava: «Tutto bene?»
Mary sembrava ancora paralizzata, e solo dopo essersi messa di fronte a Lily, Marlene realizzò quello che la sua amica aveva appena detto.
«TU E SEV COSA?» urlò tastandosi la testa.
«Non mi pare il caso di urlare, Marlene» Mary le diede una gomitata. «Non è difficile da capire: lei e Severus si sono baciati.» Ripeté quindi.
Lily rimaneva in silenzio, maledicendosi per averglielo detto. Lo sapeva che sarebbe finita in quel modo, doveva aspettarselo.
Poi, all’improvviso, anche Mary sembrò metabolizzare la cosa. «È una specie di scherzo o cosa?»
«Non è uno scherzo.» disse calma Lily.
«Lily… non credi sia troppo affrettato?» chiese Mary.
Lily scosse la testa. «Perché dovrebbe? Conosco Severus da una vita.» rispose.
Allora Marlene, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, intervenne: «Sì, ma ti ricordo cosa è successo l’anno scorso.»
Lily si rabbuiò. «È acqua passata.»
«Certo, fino al prossimo Mangiamorte che incontra. Poi ti volterà di nuovo le spalle.» disse Marlene sprezzante.
«Lui non… non avrei dovuto dirvelo!» esclamò Lily alzandosi in piedi di scatto. Era rossa in volto, segno che era irritata e arrabbiata. Litigare con le sue amiche era l’ultima cosa che voleva, ma non poteva negare che fossero come tutti gli altri: giudicavano e basta, sputavano sentenze senza sapere.
«Sì che dovevi, Lily. Ti stiamo solo mettendo in guardia.» le disse Mary dolcemente, cercando di attutire i toni rudi di Marlene.
«In guardia da chi? Dal mio migliore amico? Lo conosco sicuramente meglio di voi.»
«Non lo mettiamo in dubbio» continuò Mary. «Ti stiamo solo dicendo che ci è caduto una volta, potrebbe succedere di nuovo.»
«Severus non mi tradirà per i Mangiamorte.»
«Fai come credi, Lils. Poi non venire a dirci che avevamo ragione.» Marlene si alzò dal letto e tornò al suo baule. Mary era ancora seduta e guardava Lily, in piedi davanti alla porta. Dopodiché nessuno disse più niente. Lily uscì dal dormitorio e scese le scale, fino a ritrovarsi in Sala Comune, uscì anche da lì, ritrovandosi in corridoio. E solo allora si rese conto di non avere una meta ben precisa, ma il suo cuore la guidava al posto della sua testa: i sotterranei.
I corridoi erano pieni di gente, quel pomeriggio, forse perché quel giorno non c’erano compiti da fare per il giorno seguente e quindi tutti potevano concedersi qualche ora di relax e divertimento. Lily scendeva di corsa le scale, attenta a quando cambiavano improvvisamente direzione, sbuffando più volte perché deviavano il suo percorso. Ringraziò il fatto di non aver incontrato nessuno con cui fermarsi a parlare, come James, o Remus, o Alice, o Emmeline – la ragazza che frequentava Antiche Rune con lei, cosa che né Mary né Marlene facevano – perché non era affatto dell’umore giusto.
Odiava quando giudicavano Severus per essersi lasciato trasportare da quei cattivi ragazzi, l’anno prima. Odiava quando parlavano a sproposito, senza sapere niente di niente. Se lei l’aveva perdonato, tutti erano pronti a dimenticare. Se lei adesso si fidava di lui, tutti avrebbero dovuto farlo, perché Lily conosceva Severus quasi quanto conosceva se stessa, ed era sicurissima di quello che pensava.
Una volta arrivata nell’angolo più buio del castello, raggiunse l’entrata della Sala Comune Serpeverde e aspettò lì Severus, conoscendolo, sarebbe passato di lì da un momento all’altro. Passarono due minuti ed ecco che Severus svoltò l’angolo, e Lily alzò lo sguardo, incrociando quello di lui.
«Lils!» disse lui. «Che ci fai qui?»
«Devo parlarti.» rispose Lily, sorrise, per non dare alla cosa un tono tragico. Non voleva gettarlo in inquietudine, non era una cosa brutta.
«Oh, certo. Vieni.» Severus la prese per mano e la fece entrare in Sala Comune, una volta entrati, una decina di studenti li guardarono circospetti. Severus non li degnò di uno sguardo e strinse ancor di più la mano di Lily. Lei sapeva che una Grifondoro in quel covo non era affatto vista di buon grado, ma seguì l’esempio di Severus e li ignorò, continuando a seguirlo verso i dormitori.
La stanza di Severus era vuota, i suoi compagni probabilmente erano in giro per il castello o in Sala Comune a bighellonare.
Lily si mise seduta sul letto e lo guardò negli occhi. «C’è qualcosa che non va?» le chiese poi Severus.
Lily sospirò. «L’anno scorso, quando tu… insomma, hai capito… erano Mangiamorte?»
«Chi?» chiese Severus abbassando la voce.
«Ci siamo allontanati perché hai cominciato a frequentare gente strana, erano Mangiamorte?» chiese lei ancora. «Non…importa adesso. È passato. Sono solo curiosa.»
«Mi dispiace.» disse Severus per tutta risposta. Stava a significare “Sì, erano Mangiamorte.” «Ma l’hai detto anche tu. È tutto passato.»
«Va tutto bene.» Lily si alzò e andò ad abbracciarlo, chiudendo gli occhi. Faceva freddo, ma le bastavano le braccia di Severus per sentirsi bene.  «Promettimi che non li seguirai di nuovo, però.» Aggiunse soffocando una risata.
E Severus non disse nulla, semplicemente si limitò a staccarsi un po’ da lei e a prenderle il viso tra le mani, e a sorriderle prima di baciarla.
E per la seconda volta, Lily non si oppose. Perché quello era il modo per capire che tutto andava bene, che tutto sarebbe andato bene. Era la medicina ad ogni suo dolore e la speranza nella felicità, un giorno. Che fosse stato dopo un giorno, un mese o un anno, prima o poi sarebbe arrivata. Le avrebbe invaso il cuore e l’avrebbe fatta vivere con un sorriso sulle labbra. Quando Lily riaprì gli occhi era confusa, ma si sentiva bene.
«Cosa siamo?» chiese lei.
«Tu cosa vuoi essere?»
«Non lo so.»
«Vuoi che ti suggerisca?»
Lily rise, la sapeva, lei, la risposta esatta, ma aveva paura di sbagliare. Di esporsi troppo.
«Non voglio rovinare la nostra amicizia.»
«Abbiamo tutte le vacanze per pensarci. Solo io e te.»
Lily non sapeva che ore fossero, ma decise di tornare nella sua Sala Comune, la discussione con Marlene e Mary l’aveva un po’ scossa, ma ora si sentiva benissimo.
«Devo andare.» sospirò lei. Lui non disse niente, e lasciò che Lily uscisse dalla stanza e sparisse dalla sua vista. Per la prima volta in vita sua, tutto sembrava andare nella direzione giusta, tutto sembrava perfetto. Come un fiocco di neve che danza nell’aria e si posa sui rami degli alberi.
 

***
 

Frank era nervoso. Ma era una cosa diversa dall’ansia e dal nervosismo che provava prima di una verifica, o di una consegna di un compito che non era riuscito a finire nemmeno rimanendo sveglio tutta la notte su libri e pergamene. Era una sensazione diversa, strana, orribile. Terribilmente preoccupante.
Sarebbe tornato dalle vacanze con Alice. Nel senso che sarebbe andato a casa sua. A passare il Natale con lei e la sua famiglia. Con lei e la sua famiglia. La sua famiglia.
Merlino, non aveva mai avuto più paura. Anche se, dopotutto, cos’erano una coppia di genitori in confronto all’ira della professoressa McGranitt o di fronte ad una T in Pozioni? Oggettivamente, non erano nulla, ma per Frank, erano la peggior cosa che potesse capitargli.
Insomma, non credeva di essere così importante per Alice; così importante che lei aveva insistito per fargli conoscere la sua famiglia. Stavano insieme da… quanto? Tre mesi? E non c’era stato verso di contraddire Alice. Frank aveva provato a rimandare la cosa, di anni, magari, ma non era riuscito ad ottenere nemmeno le vacanze estive, così si era deciso per quel Natale stesso. E lui non era minimamente pronto.
Però non aveva saputo resistere ad Alice. Ai suoi occhi grandi e alle lentiggini sul viso che si notavano ancor di più quando sorrideva.
E adesso, Frank si trovava a camminare su e giù per il dormitorio, vuoto, con il baule pronto, poggiato sul letto, e l’ansia che gli attanagliava lo stomaco. A pranzo non aveva mangiato ed Alice gli aveva rubato l’insalata. Cosa avrebbe fatto, il giorno dopo? Magari sarebbero arrivati in stazione sorridenti, mano nella mano, Frank avrebbe conosciuto i genitori di Alice, fatto amicizia con suo padre, poi si sarebbero smaterializzati a casa loro e avrebbero passato due settimane tra feste e risate.
Magari, appunto. Nemmeno nei suoi sogni si sarebbe immaginato una scena tanto perfetta. Sicuramente sarebbe successo qualcosa di drastico. Qualcuno sarebbe finito al reparto “Lesioni da incantesimo” del San Mungo, o, nel migliore dei casi, rispedito a casa a calci. Frank non sapeva se fosse meglio prenderle dal padre di Alice o ritrovarsi incosciente su un lettino dell’ospedale.
O ancora, molto probabilmente, se sua madre avesse saputo dove avrebbe passato veramente le vacanze, l’avrebbe chiuso in casa per sempre. Infatti, Frank non aveva pensato nemmeno per un minuto di dirle la verità: andare a passare il Natale a casa di una ragazza, della sua ragazza, di cui Augusta Paciock non conosceva ancora l’esistenza. Per questo era fermamente convinta che Frank sarebbe andato a casa di Logan Baston, nel lontano Galles.
«Frank?» Alice era appoggiata allo stipite della porta, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo dolce.
Frank si voltò e le sorrise nervosamente. «H-hey. Come va?» chiese fermandosi all’improvviso. «E… insomma, che ci fai qui? È il… il dormitorio maschile.»
«Frank,» iniziò Alice. «sei sicuro di star bene? Mi sembri… nervoso.»
«Io sarei nervoso? E perché dovrei esserlo?» chiese ancora Frank.
«Stai gesticolando, eviti di guardarmi negli occhi e il tuo comodino è in perfetto ordine» osservò Alice inarcando un sopracciglio. «Tu sei nervoso.»
«Sarò sincero: è per via dei tuoi genitori.» disse Frank.
«Dei miei genitori?» ripeté Alice incredula. E poi scoppiò a ridere divertita. Chissà cosa si era immaginata, e invece, era una cosa semplice come quella. «Davvero, Frank?»
«Che c’è da ridere?»
«C’è che… i miei genitori! Frank, sono le persone più comprensive del mondo. Sono felici che io abbia un ragazzo come te.» disse Alice, si avvicinò a Frank e gli diede un bacio delicato sulle labbra, poi gli mise una mano sul volto e lo guardò negli occhi.
Lui si rilassò un momento. «Be’, nessuno può essere peggio di mia madre.»
«Non le hai ancora detto nulla? Nemmeno con una lettera?»
«Questo genere di cose è meglio non dirgliele con una lettera. Credimi, sarà terrificante dirglielo dal vivo, ma con una lettera sarebbe peggio.»
«Okay. Ero venuta qui per chiederti se volevi andare a fare due passi. Non sta nevicando ora.» Disse Alice.
«Certo che mi va! Prendo il mantello.» esclamò Frank, si staccò il tempo necessario da Alice e poi la prese per mano. Entrambi cominciarono a correre per le scale, e poi fuori dalla Sala Comune. Alice non aveva mai corso per i corridoi di Hogwarts, almeno, non così velocemente. Ma con la mano di Frank che stringeva la sua, era tutta un’altra cosa. Le sembrava di volare, di non toccare terra. Ma, dopotutto, ogni istante che passava con Frank la faceva sentire così.
Erano arrivati al secondo piano, quando, tra l’insolito silenzio del castello sentirono due voci discutere. Frank aveva provato a dire ad Alice di non impicciarsi, ma poi lei lo aveva convinto dicendogli che una delle due voci sembrava appartenere a Sirius, e Frank l’aveva seguita.
Le voci provenivano da un’aula vuota. Frank ed Alice si sporsero un po’ per guardare e quello che vide gli sembrò un po’ insolito: c’era Sirius che parlava con… Austin Krueger.
«Che ci fa Sirius con… quello?» bisbigliò Alice.
«Non ne ho idea.» rispose Frank confuso.
Austin era seduto sulla cattedra, giocava annoiato con una piuma che, evidentemente, qualche professore aveva dimenticato lì. Sirius, invece, era appoggiato ad un banco, aveva le braccia conserte e fissava Austin con un’espressione accigliata, arrabbiata, a tratti poteva sembrare esasperata.
«Austin,» iniziò Sirius, e già il fatto che l’avesse chiamato per nome era strano. «puoi spiegarti meglio, per favore?»
«Vedi Sirius, la faccenda è semplice: io sono attratto da te e tu sei attratto da me, anche se non l’hai mai detto, ma è ovvio: la mia bellezza non può passare inosservata.» rispose Austin.
«Primo, io non sono attratto da te, Krueger, nonostante tu sia il secondo ragazzo più ambito di tutta Hogwarts» disse Sirius. «Secondo, le tue informazioni sulla mia vita mi inquietano. Parecchio.»
«Ma quella è tutta opera di Remus. Io l’ho aiutato con Mary e lui mi ha aiutato con te.» spiegò Austin.
«Prego?» adesso Sirius sembrava sconvolto. Frank giurò di non averlo mai visto spalancare gli occhi così tanto.
«A Remus piaceva Mary, così io gli ho dato delle dritte.»
«A Remus non piaceva Mary.»
«E tu come lo sai?»
«Forse perché sono il suo fottutissimo migliore amico e non un Corvonero incline allo stalking?» disse Sirius allontanandosi dal banco e avvicinando alla cattedra.
«E allora, perché mi avrebbe detto una bugia?» chiese Austin. Sirius lo prese per il cravattino e lo guardò negli occhi, con uno sguardo tagliente quanto la lama di un coltello.
«Perché sapeva di non potersi fidare di te.»
«Perché non vuoi stare con me?» Austin cambiò argomento.
Sirius mollò la presa sulla cravatta blu e bronzo e si allontanò velocemente da lui. C’erano tanti motivi, in primis perché lui non provava niente per Austin, ma c’era anche la faccenda di Remus, che non era ancora risolta.
«Perché sei arrogante, meschino, uno che per raggiungere i propri obiettivi non guarda in faccia nessuno. Così furbo e intelligente da far schifo, e poi, io… c’è un’altra persona che mi interessa, quindi spiacente, ma non sono libero.» rispose Sirius, fece per prendere la propria roba, poggiata su una sedia, ma quando rialzò lo sguardo, Austin era a pochi centimetri da lui.
«Io credevo che… l’aver litigato con… non capisco.» farfugliò Austin passandosi una mano tra i capelli neri.
Sirius allora capì. «Sei stato tu.»
«Cosa?»
«Tu hai fatto il lavaggio del cervello a Remus. Sei stato tu! È tutta colpa tua» gridò Sirius. E Austin si ritrovò spalmato sulla parete, accanto alla lavagna, terrorizzato. Poi Sirius abbassò la voce e aggiunse: «È tutta colpa tua se mi ha lasciato.»
«Ti ha cosa? Voi… non riesco a capire!»
Anche se il tono di voce di Austin e Sirius era basso, Alice e Frank l’avevano sentito comunque. Frank diciamo che lo sapeva, perché una volta li aveva visti abbracciati sul letto, ma non ci aveva creduto e, col tempo, se l’era anche dimenticato. Alice, invece, adesso fissava Frank per chiedergli delle spiegazioni, dato che nemmeno lei riusciva a capirci qualcosa.
«Ti faccio un breve riassunto, Krueger: io piacevo a Remus e lui ti ha detto una bugia, perché ora che sto parlando con te mi rendo conto di quanto tu sia ignobile; io e Remus stavamo insieme, ma lui ha cominciato a passare del tempo con te, ad essere sempre più strano, e l’ha fatta finita con me. Chissà cosa gli hai raccontato.» La voce di Sirius era lenta e calma, ma conteneva un odio che Frank faticava ad immaginare in Sirius, un ragazzo simpatico e sempre allegro.
«S-Sirius, ogni decisione che Remus ha preso, l’ha presa da solo. Te lo assicuro.» balbettò Austin appiattendosi ancora di più contro il muro.
«Non credo ad una parola di quello che dici. Adesso, esci di qui» continuò Sirius. «Sparisci dalla mia vita. E da quella di Remus.»
Sirius ritrasse la mano appoggiata al muro e chiuse gli occhi. Austin sgusciò via e Frank fece appena in tempo a trascinare Alice dietro una colonna per nascondersi, dato che Austin Krueger uscì dalla stanza alla velocità della luce.
Poi si sentì un forte rumore, per nulla rassicurante, ma Frank era quasi sicuro che fosse il pugno di Sirius abbattutosi sulla parete bianca.

 

 
 

 
 

NdA: Scusate il ritardo, chiedo umilmente perdono, ma tra storie, scuola e altre cose sono impegnatissima. Sarà un nda molto flash perché devo scappare a studiare. Questo capitolo è relativamente lungo e succedono e non succedono un sacco di cose. First, avremo Snily per un po', le vacante natalizie saranno Snily,  quindi non cruciatemi e sappiate che scrivere Snily mi fa soffrire, ragion per cui non vedo l'ora di andare avanti. E lo farei mooolto velocemente se avesse il tempo necessario, perché per queste storia ho molti progetti OuO. Frank e Alice sono dolciosi e io li amo. Sirius ha capito tutto e si potrebbe intravedere un piccolo bagliore di speranza. Per James continuo a ripetere che se Lily lo friendzona in questo modo può sempre scegliere me, ma niente. Scusate per il mio sclero, ma ho davvero mille cose che mi frullano nella testa, in questo periodo. Spero che dopo la fine della scuola possa ritornare a fare l'autrice seria e responsabile T^T
Ringrazio di cuore scemina, mimmyna e Bells1989 per aver recensito lo scorso capitolo, spero che questo vi sia piaciuto e vi ricordo che né io le l'editor per le recensioni mordiamo :3
Sayonara! ♥
Marianne


 

 
 

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Capitolo 17
*** Voto infrangibile sotto il vischio. ***



 

 

 

CAPITOLO 16 – VOTO INFRANGIBILE SOTTO IL VISCHIO.

Quella mattina, quando Lily si svegliò, in dormitorio c’erano solo lei ed Emmeline Vance: Mary, Marlene ed Alice forse erano già sul treno verso Londra. C’era un silenzio strano, quasi irreale, senza di loro, ma Lily avrebbe dovuto conviverci per le seguenti due settimane.
Chissà se anche James era tornato a casa, fu la prima cosa che Lily si chiese quella mattina. Non sapeva ancora se la cosa potesse sollevarla o meno: due settimane senza James Potter significavano due settimane di puro relax, ma una parte di lei si sentì in colpa solo per averlo pensato.
La Sala Comune era vuota e silenziosa. Lily non sapeva nemmeno che ore fossero, ma dovevano essere circa le undici e trenta, se non di più.
Riscoprì di non avere niente da fare, non aveva nemmeno fame e l’unica cosa che rimaneva erano i compiti, ma dopo aver studiato senza sosta per tre mesi, non voleva rovinarsi il primo giorno di vacanze.
Dall’altra parte del dormitorio, Peter si era appena infilato il maglione. Aveva deciso di non tornare a casa quell’anno, non ne avrebbe avuto alcun motivo. Gli altri gli avevano promesso che gli avrebbero scritto a Natale e a Capodanno, per fargli sapere quello che succedeva.
Tanto, si disse Peter, sarebbe stata sempre la solita storia: James e Sirius avrebbero passato le feste sommerse dai dolcetti di mamma Potter e Remus con la sua famiglia.
E lui, lui non sapeva che avrebbe fatto durante quelle vacanze, senza i suoi migliori amici e senza Marlene con cui passare il tempo. Sarebbe stato con Mortimer, il tipo con cui aveva fatto amicizia alla lezione di Erbologia con i Serpeverde dell’ultimo anno, qualche settimana prima. Dopotutto, nessuno gli proibiva di farsi altri amici al di fuori dei Malandrini, no?
Quando scese in Sala Comune, vi trovò solo Lily Evans immobile davanti al buco del ritratto. Peter non la vedeva in faccia, ma l’immaginava con lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi vacui.
Allora «Hey Evans, tutto bene?» le chiese piano, avvicinandosi.
Lily si voltò di scatto, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli rossi, e alla vista di Peter, dapprima inarcò le sopracciglia dalla sorpresa, poi le aggrottò e rispose: «Benissimo, Peter.» Poi sorrise e uscì dalla Sala Comune senza aggiungere nient’altro, lasciando Peter in uno stato di più completa confusione.
Peter scrollò le spalle e seguì l’esempio di Lily, che era già a correre per le scale. Arrivato davanti alla Sala Grande, incontrò Mortimer e decise di andare a fare colazione – o pranzare, dipende dai punti di vista – con lui che, inizialmente, nemmeno l’aveva salutato.
«Peter, voglio farti conoscere una persona.» E mentre lo stomaco di Peter brontolava furiosamente, Mortimer lo trascinava verso il campo da Quidditch, e l’ultima cosa che Peter vide prima di voltare l’angolo furono gli inconfondibili capelli di Lily, diretta nei Sotterranei.
 

***

Minerva McGranitt aveva visto tante cose strane in vita sua: James Potter che consegnava i compiti nel tempo prestabilito, Rita Skeeter che stava zitta per più di cinque minuti, ad esempio. Ma mai, mai, avrebbe immaginato Lily Evans e Severus Piton baciarsi in riva al Lago Nero.
Insomma, l’aveva sempre notato che i due erano legati da una grande amicizia, come aveva notato che recentemente avevano litigato, non pensava che si fossero riavvicinati così… tanto.
Ma cosa poteva capirne, lei, di quello che passava per la testa di due diciassettenni con gli ormoni sballati e l’animo malleabile?
Eppure, di quei due le importava parecchio, li considerava come fossero figlio suoi, perché li aveva visti crescere, imparare, amare, soffrire, maturare e diventare dei maghi degni di quel nome.
Aveva visto Lily Evans smettere di piangere agli scherzi di James Potter, crescere e capire come controbattere; l’aveva vista mentre veniva sommersa da un’onda troppo alta per lei e poi l’aveva vista riemergere con la forza di un uragano.
Aveva visto Severus Piton difendere le persone che gli stavano più a cuore col coraggio di un Grifondoro, aveva saputo dell’instabilità di sua madre, e provato pena per lui ogni estate; l’aveva visto mentre soffriva in silenzio, perché non c’era nessuno a cui dare la colpa se non se stesso, e infine l’aveva visto riprendere vita.
Nonostante tutto, si era affezionata a quei ragazzi così come a James, a Sirius, a Remus, Peter e tutti gli altri. Perché insegnare, aveva imparato Minerva nel corso degli anni, non consisteva solo nel sedersi dietro una cattedra e scrivere alla lavagna.
Insegnare era veder crescere ogni singolo studente, vederlo per la prima volta come un bambino impaurito e lasciarlo andare come un ragazzo consapevole del mondo, senza più paura dell’ignoto; era affezionarsi, farsi venire crisi di nervi, urlare, lodare i più meritevoli, aiutare e dare fiducia ai meno capaci, ma nonostante tutto, si metteva a dormire sempre col sorriso sulle labbra.
Ma tornando allo shock iniziale provocato dalla visione di due dei suoi studenti migliori, adesso Lily e Severus si erano alzati e passeggiavano al sole freddo di fine Dicembre.
«Lils?»
«Mh?»
«Sono felice.»
Lily sorrise, e strinse ancor di più la mano di Severus, saperlo rendeva felice anche lei. Non sapeva bene perché, ma supponeva che fosse per ciò che le persone chiamano “amore”.
Qui, però, vi era il più grande punto interrogativo, nella testa di Lily, il più difficile bivio: lei amava veramente Severus?
Amare era una cosa grossa, Lily l’aveva imparato con l’esperienza. Non era un gioco, o un passatempo. L’amore era una cosa seria, e Lily non lo sapeva se quello che c’era tra lei e Severus fosse serio o meno, e non voleva che nessuno dei due soffrisse.
«Anche io, Sev.» rispose Lily guardandolo negli occhi, in due pozze nere come la pace, che nascondevano un mondo a colori. Eppure, non si sentiva a suo agio, in quel momento. Era inquieta, perché sapeva di star nascondendo qualcosa a Severus, ma se gliel’avesse detto, poi, le cose sarebbero andate a rotoli. Ci sarebbe stato un nuovo terremoto, nuove fratture, le ossa spezzate un’altra volta.
E a Lily serviva stabilità.
Stabilità e tranquillità, due elementi fondamentali, in quel momento, che le dessero il tempo di risistemare la sua vita.
 

***

 
Peter non l’aveva ancora capito perché Edward – il vero nome di Mortimer, ma guai a chi lo chiamava in quel modo – l’avesse portato nel campo di Quidditch.
Era inutilizzato, durante le vacanze, ma non era comunque proibito usarlo. Peccato che Mortimer non l’avesse portato lì per giocare, ma per fargli conoscere chissà chi, un suo amico, forse.
«Allora, Mort, dov’è il tipo che devo conoscere?» chiese Peter guardandosi attorno.
«Dovrebbe essere qui a momenti.» rispose Mortimer fissando con insistenza l’entrata degli spogliatoi. Ad un certo punto, ne uscì un ragazzo molto simile a Mortimer, forse un po’ più altro e più temibile. Come Mortimer aveva gli occhi di ghiaccio, ma i capelli erano neri, più neri delle tenebre. Dimostrava più di diciassette anni, ma indossava la divisa con lo stemma dei Serpeverde, perciò doveva essere per forza uno studente.
«Peter, ti presento Evan Rosier.»
E Peter sbiancò. Si dicevano strane cose sul conto di Evan Rosier, cose da far accapponare la pelle. Peter, se solo avesse potuto, sarebbe scappato immediatamente.
«P-Peter Minus.» balbettò il ragazzo, tendendo la mano. Evan gliela strinse con vigore, mantenendo uno sguardo penetrante e deciso.
«Edward – e qui Mortimer non fece alcuna smorfia, forse per paura – mi ha parlato di te, Peter. L’anello debole del quartetto» disse Rosier. Peter assunse un’espressione corrucciata: non gli piaceva affatto quella definizione. «Quello che vuole emergere, ma è soffocato dai suoi stessi amici.»
E man mano che Evan parlava, Peter guardava in faccia la realtà. Chi era lui? Per cosa era ricordato? Era l’anello debole, il meno considerato, impedito dall’esuberanza di James, dal fascino di Sirius e dall’intelligenza di Remus. Abbassò il capo mentre Evan Rosier parlava, rendendosi conto che, sì, i Serpeverde erano arroganti, furbi e facevano di tutto per arrivare al loro obiettivo. Mentivano, ma erano capaci di sputare in faccia a qualcuno tutta la verità, nient’altro che la verità. E Peter non sapeva come, ma Rosier non stava mentendo.
«Non ho forse ragione, Peter?» chiese Evan incrociando le braccia. Aveva quel modo di fare e di parlare ammaliante, tipico dei Serpeverde, che lo metteva a suo agio ma che, allo stesso tempo, gli faceva accapponare la pelle. Peter non sapeva quale strana tecnica psicologica stesse usando Evan Rosier su di lui, sapeva però che stava funzionando.
«Sì, » mormorò Peter, abbassando il capo. «hai ragione.»
Evan Rosier sorrise di sottecchi, beffardo. Rivolse una rapida occhiata a Mortimer, ghiaccio nel ghiaccio, Peter indietreggiò, scrocchiandosi nervosamente le nocche delle mani.
«Non vorresti cambiare tutto questo?» chiese Rosier. «Non vorresti essere il migliore? Non vorresti che la gente ricordi te per primo, quando si parla dei Malandrini di Hogwarts?» Rosier fece un passo avanti, Peter cercò di non indietreggiare ulteriormente, ma di alzare la testa e gonfiare il petto. Evan era molto più alto di lui.
«Io… no lo so. Mi separerebbe da loro?» chiese Peter.
«No, ovvio che no. Dovrai solo tenere nascosta questa… conversazione, poi spiccherai tra di loro Sarai più potente, più importante, le gente noterà solo te.» disse Rosier, il suo tono di voce era basso, ipnotico. I capelli leggermente lunghi gli ricadevano sugli occhi azzurri, gelidi, e gli conferivano un’aura piuttosto misteriosa.
«Ti devo dei soldi?» chiese Peter ficcando le mani in tasca, si accertò che la sua bacchetta fosse lì, per qualsiasi evenienza, anche se aveva l’impressione che Mortimer si sarebbe schierato dalla parte di Rosier, in caso di uno scontro, perché guardandolo in faccia, era palese che ne fosse terrorizzato.
«No, solo la tua parola.»
«Non capisco.»
Evan si tolse il mantello e lo lanciò a Mortimer, sembrava non sentire il freddo. Si tirò su la manica del maglione grigio scuro, insieme a quella della camicia bianca e mostrò l’avambraccio sinistro a Peter: sulla pelle pallida di Rosier c’era impresso un marchio, un teschio dal quale sbucava fuori un serpente piuttosto minaccioso.
«Sai cos’è questo, Peter?» gli chiese poi, inarcando le sopracciglia nere.
«M-Mang-Mangiamorte.» balbettò Peter, con gli occhi spalancati, non sapeva se per paura o per sorpresa.
«Sì, è il Marchio Nero. Il simbolo dei Mangiamorte» disse Rosier. «Ti sto offrendo la possibilità di entrare a far parte dei nostri. Di metterti al servizio del Signore Oscuro. Diventerai un mago potente!» esclamò alla fine. «Non è un privilegio che viene concesso a tutti.»
«Cosa devo fare?» chiese Peter, pallido come un fantasma.
«Io non posso imprimerti il Marchio, può farlo solo il Signore Oscuro. Tu devi solo fare un Voto Infrangibile con me.» rispose Evan.
Peter indietreggiò. «Sei pazzo? Non farò un Voto Infrangibile.»
«Allora rinuncia ai tuoi sogni di gloria» esclamò Rosier, alterato. «E ricorda: se ne farai parola con qualcuno, ti troverò e ti ucciderò senza la benché minima pietà.» E a quel punto, il poco colore che Peter aveva ancora sulla guance svanì del tutto.
«E se io…» iniziò Peter, attirando l’attenzione di Rosier. «Se io decidessi di accettare, cosa dovrei prometterti?»
Rosier sorrise, ma stavolta, sul suo visto c’era solo malignità. «Che non ti ritirerai come un codardo al momento del rito, e che farai sempre tutto quello che il Signore Oscuro ti ordinerà.» rispose il Mangiamorte, e prima che Peter potesse fare ulteriori domande, aggiunse: «E in cambio ti garantisco tutto il potere e la notorietà di questo mondo.»
«Facciamolo.» sospirò Peter.
«Mortimer!» esclamò Rosier, il ragazzo gli ridiede il mantello, che fu buttato a erra con non curanza dallo stesso Evan. Mortimer tirò fuori la bacchetta e si avvicinò ai due ragazzi che si erano già stretti la mano. Gli occhi di Rosier tagliavano l’aria a fettine e Peter deglutì.
«Vuoi tu, Peter, compiere il rito del Marchio quando verrà il momento?» La voce di Rosier era ferma.
«Lo voglio.» rispose Peter un po’ titubante.
«E vuoi tu, portare a termine ogni ordine che il Signore Oscuro ti affiderà, in futuro?»
«Lo voglio.»
Allora, le loro mani furono avvolte da una sorta di filo incandescente e luminoso, che si dissolse dopo alcuni secondi, quando i due si lasciarono la mano.
Peter si rese conto di quello che era successo solo in seguito, quando era ormai rientrato nel castello già da un po’: aveva pronunciato un Voto Infrangibile con un Mangiamorte, accettando di diventare un Mangiamorte a sua volta. Aveva fatto un gran bel casino.

 
***

 
Il giorno di Natale, Lily scese in Sala Comune mentre era ancora stretta nella sua vestaglia verde mela. Non si aspettava molti regali, già trovarne più di uno sarebbe stato addirittura strano. In Sala Comune non c’erano molte persone, ma la confusione era presente.
«Lily, c’è qualcosa per te!» A parlare era stata una ragazzina dai capelli lisci e castani, con due occhioni blu come l’oceano. Era tenera e simpatica, Lily ci si era affezionata molto, l’anno prima, quando le aveva dato una mano con i compiti. «Ah, e buon Natale!»
«Buon Natale, Eveline. Come va Pozioni, quest’anno?» chiese Lily,
«È un po’dura, ma non me la cavo male.» rispose Eveline con un sorriso a trentadue senti. Lily si avvicinò all’albero allestito da alcuni Prefetti prima delle vacanze, vi si inginocchio davanti e si tuffò nella marea di pacchetti per vedere se c’era qualcosa di suo. Dopo alcuni minuti, riemerse con due regali – uno più grande e uno più piccolo – e una lettera.
Il primo pacco, il più grande, era da parte di Mary, Marlene ed Alice, e Lily vi trovò dentro una serie di pozioni per capelli; l’altro, il più piccolo, era dei suoi genitori , un libro di Jane Austen. Uno dei pochi che non aveva ancora letto. Allegato al libro vi era un biglietto con scritto che per spedirlo avevano dovuto chiedere aiuto ai McKinnon.
La lettera, infine, era da parte di James. Lily, dapprima, rimase sorpresa: James non era il tipo che mandava lettere, tuttavia, era molto curiosa e l’aprì con parecchia foga:
 
“Cara Lily,
Volevo solo augurarti buon Natale… sai, vorrei essere lì con te, perché, ad essere sinceri, non mi fido troppo di Mocciosus, dato che anche MacDonald e McKinnon sono partite. Comunque, lo sai quanto mia madre insista perché io e Sirius torniamo a casa ogni anno. In questo momento sono le tre del mattino, perché mi riduco a fare le cose sempre all’ultimo momento, spero che la lettera ti arrivi prima di mezzogiorno, se la stai leggendo a cena, be’, perdonami. Sirius mi ha appena tirato un cuscino in testa, ma si può essere più scemi? A proposito, ti saluta.
Non sono mai stato bravo a scrivere lettere, però ci tenevo a scriverla a te, perché non potevo non farti gli auguri, collega.
Volevo farti anche un regalo, ma ad Hogsmeade non ho trovato nulla che potesse piacerti, magari un giorno usciamo, così capisco cosa ti piace e so cosa regalarti, la prossima volta, che ne dici?
Ora ti saluto, ho sentito dei passi dietro la porta, se mia madre scopre che siamo svegli ci manda a spalare la neve sul vialetto per il resto delle vancanze. Passa una bella giornata.
Con affetto,
James
PS: L’ho scritta tutta da solo, questa lettera. Se te lo stai chiedendo…”
 
Lily non ritornò subito con i piedi per terra, almeno finché Eveline non le fece notare gentilmente di avere un sorrisetto ebete stampato sul volto.
Sbatté gli occhi un paio di volte prima di ripiegare la lettera e di prendere tra le braccia le cose che aveva ricevuto, rivolse un sorriso ad Eveline e salì le scale verso il proprio dormitorio.
Si sentiva… felice. Come quando era bambina, quando riceveva qualcosa che le piaceva da morire, qualcosa che desiderava tanto. E Lily non si riferiva alle pozioni o al libro. Scoprì che una parte di lei desiderava la lettera di James.
E anche se non fosse stata una lettera, sarebbe andata bene ugualmente: voleva che James si ricordasse di lei. Strinse la lettera al petto e poi la richiuse nel cassetto.
Improvvisamente, si ricordò di Severus, e del fatto che, più o meno, stavano insieme – anche se non se l’erano detto apertamente –, e che non avrebbe dovuto pensare a James in quel modo, se c’era già Severus.
Scosse la testa, non era a Natale che doveva farsi certi problemi.
Decise di indossare degli abiti caldi e comodi, prima di scendere in Sala Grande a fare colazione. Severus era già lì, seduto al suo solito posto, al solito tavolo, senza colori e stemmi. Nonostante la grande quantità di cibo sul tavolo, il piatto di fronte a lui era vuoto, così come il suo sguardo, rivolto verso un punto indefinito della stanza.
Quando Lily entrò, affiancandosi agli alberi, che adornavano la sala grande, verso sinistra, verso Severus, quest’ultimo alzò gli occhi, portò una mano alla tasca del mantello e rilassò il viso non appena si accertò che fosse tutto a posto.
«Buon Natale!» esclamò Lily, sedendosi accanto a lui.
«Anche a te, Lils.» E Severus le sfiorò le labbra in un bacio delicato e veloce. Lily sorrise e arrossì di colpo.
«Dormito bene?» chiese lui, imbarazzato, non aveva idea di cosa dire, il che era grave, perché Lily, prima di tutto, era la sua migliore amica.
«Senza Marlene che sbraita, benissimo.» scherzò Lily, all’improvviso, di fronte a lei, comparve un grande vassoio pieno di frittelle, non esitò a prenderne una e a cominciare a mangiare.
«Sembra che non mangi da giorni» osservò Severus ridendo. «Oppure sei nervosa per qualcosa, sbaglio?»
«Sbagli, sono calmissima.» mentì Lily, aveva la testa ancora persa tra le righe della lettera che James le aveva spedito. Severus non ne fu così convinto, ma lasciò correre. Gli bastava che Lily fosse felice, e che lo fosse accanto a lui.
«Lils.» iniziò Severus. Lei alzò lo sguardo dal piatto e dalla frittella tagliata in due metà, per poi rivolgerlo verso di lui.
«Dimmi.»
«Ti ho fatto un regalo, ma…»  continuò lui, indeciso. Il volto di Lily s’infiammò di curiosità.
«Non dovevi…» gli sussurrò piano.
«Ma non è niente di che.»
«Sev, non dire così. Sarà comunque la cosa più preziosa che avrò al mondo» disse sinceramente Lily, si portò una mano sul cuore. «Lo sarà, se sei tu a regalarmela. Può essere anche un calzino, credimi.»
Severus rise, forse perché era un po’ nervoso. «Ho paura che non ti piaccia.»
«Non dire cavolate.» Lily rise e gli tirò una gomitata. Rise ancora più forte, le guancie le diventarono rosse e si portò una mano davanti la bocca.
Allora, Severus tirò fuori dal mantello un sacchetto di cuoio che incuriosì Lily, facendola smettere di ridere, ma lasciandola con un sorriso sulle labbra.
Il sacchetto conteneva una catenina con un ciondolo che Lily non fece in tempo a vedere, perché Severus le disse di girarsi, e così fece.
Ruotò sulla panca e si tirò su i capelli rossi. Sentì il contatto freddo tra il metallo e la pelle, subito dopo le dita di Severus le sfiorarono – forse per sbaglio ­­­­­­­­­­­­­­­­– il collo. Teneva gli occhi chiusi mentre Severus le metteva la collana, e quando rilasciò cadere i capelli sulla schiena, abbassò lo sguardo sul ciondolo.
Si trattava di una pietra verde, che poteva girare incastrata in un anellino argentato.
«È…» iniziò, dando ancora le spalle a Severus, poi si voltò verso di lui, con la gola secca e il cervello vuoto.
«Verde,» completò lui, all’improvviso.
«Stavo per dire bellissimo.» disse Lily sorridendo.
«Come i tuoi occhi.» aggiunse ancora Severus, e allora Lily lo baciò, forse inconsapevole del vischio che era appena spuntato sul soffitto.

 
 

 
 

 
 

NdA: Io. Sono. Una. Bruttissima. Persona.
Lo so, lo so e vi chiedo scusa. Non aggiorno da più di una settimana e sono imperdonabile per questo ma, hey!, buone notizie: oggi ho finalmente avuto l'ultima interrogazione dell'anno, ergo, MARIANNE IS A FREE ELF! Bene, eccoci al capitolo sedici (mammamia, siamo già quaggiù? D:) Di nuovo Snily. Di nuovo troppo fluff. Di nuovo Snily. Mi domando ancora perché scriva questa roba... anywaaay, vi dico subitissimo che questo è l'unico capitolo che tratta delle vacanze natalizie - amen! - e nel prossimo torneranno tutti i nostri personaggi :)
Per quanto riguarda Peter, ecco la mia versione dei fatti. Harry è nato quando Lily e James avevano ventun anni, perciò dovevano essersi sposati da almeno un anno, i Malandirni finiscono scuola a diciotto anni (su per giù..) perciò Peter doveva essere Mangiamorte già da un po', a mio parere. Ed ecco qui che WikiPotter mi salva la vita dicendomi che Evan Rosier è dello stesso anno dei Malandirni & Co.! *balla la conga* (che poi, Evan me lo immagino come un figo OuO sarà il fascino dei Serpeverde...)
Allora, ringrazio di cuore le quattro persone che ahanno recensito lo scorso capitolo: stupidnephilim,  mimmyna, Bells1989 e GGiDDi.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e niente, ci si rivede tra una settimana esatta, lo giuro u.u (perché venerdì e sabato devo partecipare a una premiazione di un concorso quindi non sarò a casa, altrimenti aggiornerei  sabato o domenica u.u)

Au revoir ♥
Marianne


 

 
 

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Capitolo 18
*** Anno nuovo, vita nuova? ***



 

 

 

CAPITOLO 17 – ANNO NUOVO, VITA NUOVA?

 
Il ritorno a scuola, per James, fu un vero a proprio incubo. Il solo pensiero di dover passare dal giocare tutto il giorno a Quidditch con Sirius allo scaldare una sedia e un banco per sei lunghe ore, lo faceva rabbrividire. E se per James era stato un incubo, per Sirius era stato a dir poco traumatico.
Basti pensare che al giorno del rientro, le prime due ore erano di Trasfigurazione.
Lily quasi non sentì il peso, al contrario di tutti quelli che erano partiti, bensì, quello, le sembrò un normalissimo giorno di scuola.
La cosa veramente strana, però, fu che per quasi tutta la mattinata, James non le rivolse minimamente la parola. Non si sentiva delusa, e la cosa non l’aveva fatta rimanere male, ma era rimasta parecchio sorpresa, dopo quella lettera si aspettava un minimo di… considerazione. A pranzo di mise seduta al proprio tavolo, perché voleva parlare con le sue amiche, dato che non le vedeva da due settimane.
«Come avete passato le feste?» chiese Lily, giocando con le carote che aveva nel piatto.
«Gary ci ha riprovato con me,» rispose Marlene, facendo una faccia piuttosto disgustata. «che verme.»
Mary rise, scuotendo la testa. «Io a casa con tutti i miei parenti, una noia mortale.»
Poi, gli sguardi di tutte e tre le ragazze si posarono su Alice che, mangiando piano e in silenzio, non aveva proferito parola.
«Ali, ci sei? » chiese Lily. Alice alzò lo sguardo, spaesata.
«Frank ha passato il Natale a casa mia, con la mia famiglia.» disse impassibile, priva di ogni entusiasmo, cosa strana, perché Alice era sempre piena di gioia ed allegria.
«E..?» incalzò Marlene.
«È successo qualcosa?» chiese Mary.
«No, è solo che…» iniziò Alice. «… È strano. Non so bene come spiegarlo.»
Fu Lily a parlare, dopo. «Il problema è Frank?»
«No, anzi.»
«I tuoi genitori?»
«Nemmeno, lo adorano.»
«E allora?»
«Sua madre, ecco qual è il problema» mormorò Alice. «Lei non ce l’ha con me, ma con lui. Frank non gliel’ha detto, che avrebbe passato le feste a casa mia, perché sapeva che non gliel’avrebbe mai permesso, così si è inventato una bugia. Quando sua madre l’ha scoperto, è diventato furiosa, è venuta a casa nostra e ha portato via Frank, ma io come potevo sapere che mia zia conoscesse la madre di Frank? L’ha saputo da lei: quando mia zia è venuta al pranzo di Natale, ovviamente c’era anche Frank, e allora ha detto a sua madre che era felice per lui, ed è scoppiato il finimondo.»
Quando finì di parlare, alzò leggermente la voce, e tutte e tre continuavano a fissarla allibite, sorprese e soprattutto senza una parola nel cervello.
«Quando è successo?» chiese Mary.
«Il ventinove» rispose Alice. «Qualche giorno fa Frank mi ha mandato una lettera, in cui mi ha spiegato tutto quello che gli ha detto sua madre a casa, tipo che è troppo immaturo per avere una ragazza, e bla bla bla…»
«Non vi siete lasciati, vero?» cercò di accertarsi Marlene, preoccupata.
«No, assolutamente! Lui mi ha detto che non gliene importa niente, anche perché ad Hogwarts non c’è nessuno che ci controlla.» disse Alice.
«E dov’è il problema?» chiese Lily.
«Il fatto è che mi sento in colpa!» Silenzio. Fu tutto quello che calò sulle quattro ragazze e, un attimo dopo, su tutta la Sala Grande. Lily alzò lo sguardo e vide due uomini vestiti interamente di nero in piedi, vicino al tavolo dei professori. La McGranitt si alzò, insieme alla professoressa Sprite, al professor Vitious e a Lumacorno, tutti e quattro si diressero verso i tavoli delle rispettive case.
Lily vide la McGranitt che le si avvicinava velocemente, e quando capì che stava puntando proprio su di lei, ebbe paura per un momento. «Tu e Potter nel mio ufficio, svelti.» le disse quando le passò accanto.
Lily la guardò per un momento, aveva un’espressione tesa e preoccupata. Spostò lo sguardo su James, i loro occhi s’incontrarono per un momento, poi Lily si alzò e fece a James un cenno con la testa. Lui non esitò ad imitarla.
Quando furono fuori, in corridoio, James si affiancò a Lily. «Che succede?»
«Non lo so.» rispose Lily, aveva paura: chi erano quei due? Perché erano lì, ad Hogwarts? E perché la McGranitt era così preoccupata?
«Quelli erano Auror, Lily» disse James, continuando a camminare. «Che ci fanno qui?»
«Proteggono la scuola.» rispose istintivamente lei, tremando ad ogni passo.
«Hogwarts è il posto più sicuro del mondo, non ha bisogno di essere protetta!»
«Allora non lo so, James! Ce lo spiegheranno, almeno spero» sospirò Lily. «So solo che ho paura.»
Ed era vero. Gli Auror combattevano i maghi oscuri, e i maghi oscuri collaboravano con Lord Voldemort, che voleva purificare il Mondo Magico, lasciando in vita solo i Purosangue che si sarebbero piegati al suo volere.
E Lily non era né una Purosangue, né una che sarebbe sottostata al potere di Voldemort.
Eccome, se aveva paura.
James sperò che Lily non se ne accorgesse, perché anche lui cominciava a realizzare tutto, anche lui era terrorizzato al pensiero che dopo sei mesi, si sarebbe trovato faccia a faccia con il mondo e con una guerra, così, senza nemmeno pensarci su, le mise un braccio attorno alle spalle e l’attirò a sé, contro il suo petto.
E Lily si lasciò stringere, perché il muro a cui si aggrappava, il muro dietro al quale si nascondeva era appena crollato.
 
Nell’ufficio della McGranitt c’erano tutti e otto i Caposcuola e i quattro Capocasa. Lily si aspettava che ci fossero anche i due Auror, ma di quelli non c’era nemmeno l’ombra.
Tutti i ragazzi mormoravano confusi, impauriti. James e Lily se ne stavano zitti, a perquisire l’ufficio della vicepreside con gli occhi alla ricerca di qualche indizio.
Fu allora che la McGranitt mise tutti a tacere. «Siamo dentro una cosa seria, ragazzi. Voi siete di Caposcuola, è giusto avvertirvi.»
«Avvertirci di cosa?» chiese Penny, Caposcuola Tassorosso.
«Dobbiamo collaborare con il Ministero, contro di Lui. È potente, troppo. Sarà capace di attaccare la scuola da un momento all’altro, subito dopo aver preso il Ministero.» rispose la McGranitt a voce bassa, come se avesse paura che qualcuno potesse sentirla. Aveva un’aria preoccupata.
«Il Ministero non dovrebbe intromettersi negli affari di Hogwarts.» disse il Caposcuola Corvonero. Lily vide la Sprite e Lumacorno annuire, ma la McGranitt non ribadì nulla. L’aveva detto prima: dovevano collaborare.
«Il vostro compito è quello di rassicurare vostri compagni di Casa: dite loro che va tutto bene, soprattutto ai più giovani, e che gli Auror non interferiranno nelle attività scolastiche.» disse il professor Lumacorno mantenendo un tono di voce calmo.
E a quel punto, Lily, smise semplicemente di pensare e aprì bocca: «Rassicurare, professore? Rassicurare!» esclamò facendo un passo avanti. Tutti gli occhi si posarono su di lei. «Mi dispiace, ma io non credo di essere in grado di rassicurare nessuno quando metà dei miei compagni sono dei Mezzosangue, quando io stessa sono una Nata Babbana, e quando sono perfettamente consapevole del fatto che un mago oscuro voglia ucciderci tutti, dal primo all’ultimo. Nessuno escluso!» La sua voce era talmente alta che riecheggiò tra le pareti della stanza. Quando ebbe finito i due Serpeverde erano a bocca aperta e James le si era avvicinato per tirarla indietro.
«Lily…» mormorò James, sentirla parlare così gli aveva fatto uno strano effetto: Lily non si mostrava mai così apertamente, non cedeva mai. Lei era forte, ma era bastata una sola verità a buttarla giù.
«Lo sappiamo, Evans. È difficile, ma dobbiamo collaborare. È l’unico modo.» disse la McGranitt. C’era comprensione nel suo sguardo, e c’era affetto, come quello di una  madre per una figlia.
Lily incrociò le braccia al petto e non si disse più nulla, guardando minacciosa chiunque le capitasse sotto tiro. James provò a parlarle, ma non si rivelò affatto un buona idea, perché lei lo fulminò con in solo sguardo.
«Le ronde saranno svolte insieme agli Auror, e saranno intensificate.» disse Lumacorno. Tutti annuirono, qualcuno, come James, era esaltato: lavorare con degli Auror avrebbe potuto favorire la sua futura carriera e, nel migliore dei casi, assicurare un posto al Ministero.
«Adesso potete tornare a cena, ragazzi.» disse infine la Sprite, sorridendo amichevolmente. Lily però, non puntò verso la Sala Grande, bensì verso le scale. Non fu difficile per James immaginare la sua reale destinazione.
Non era giusto che Lily stesse così male, non era giusto che proprio Lily dovesse essere la vittima, non era giusto e basta. Era tutto sbagliato, il mondo girava all’incontrario e nessuno se ne accorgeva.
Si mise a correre per le scale, ad inseguire Lily che era partita a mo’ di razzo verso le Torre.
Si promise no che avrebbe mai permesso che crollasse così di nuovo, che se mai fosse successo ancora, lui sarebbe stato lì a raccogliere i pezzi e a rimetterla in piedi.
«Lily!» esclamò James col fiatone, davanti il ritratto della Signora Grassa, ma Lily non disse niente, se non la parola d’ordine.
«Lily, ti prego, dimmi qualcosa.» la supplicava James, mentre entrava in Sala Comune al suo seguito. Lei non si voltò e, rossa in viro e con gli occhi lucidi, fece per dirigersi verso le scale, ma James le afferrò un braccio e la costrinse a fermarsi, sperando che si sarebbe girata verso di lui.
Silenzio.
Doloroso silenzio.
«Evans, esci con me sabato prossimo?» chiese allora James, bruciando l’ultima carta che gli rimaneva.
Lei si girò con uno scatto repentino, gli occhi rossi che però non piangevano ancora. «Ti sei bevuto il cervello, James?» urlò arrabbiata.
James si morse il labbro inferiore e tentò un sorriso colpevole. «Be’, almeno hai detto qualcosa. Era quello il mio intento.» Disse poi per giustificarsi.
Lily sospirò e si divincolò dalla stretta di James, per poi riprendere la sua camminata verso il dormitorio.
«Ti prego, non chiuderti in te stessa. Voglio solo aiutarti.» esclamò James.
«Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno, tantomeno il tuo» rispose Lily. «Ho già chi… chi mi aiuta.»
«Non puoi appoggiarti solo a lui. Devo ricordarti cosa ti ha fatto? Ti servono dei veri amici su cui contare.»
«Lui è l’unico amico di cui ho bisogno» sibilò Lily. «Ed è anche il mio ragazzo!» Detto questo, sparì per le scale.
James rimase da solo, in piedi, nel bel mezzo della Sala Comune. Si appoggiò al muro con la schiena, ancora a corto di parola, senza alcun pensiero concreto nella testa.
Gliel’aveva detto.
Insomma, gliel’aveva detto per davvero: che Severus Piton era l’unica persona di cui aveva bisogno, che, sostanzialmente, James non contava nulla.
Tirò un pugno contro il muro e, una volta nel proprio dormitorio, si permise di sbattere la porta e si scaraventare per terra tutto quello che era sul suo letto, per poi buttarcisi sopra.
James era arrabbiato, e tanto. Dopo che lui cercava di essere gentile, mentre cercava di cambiare, di migliorare, di comportarsi come una persona matura e non come un ragazzino, lei lo trattava in quel modo? Tutto questo lo mandava semplicemente in bestia.
Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando i professori gli avevano parlato, ma quando sentì la porta spalancarsi era sicuro di due cose: di starsi per addormentare e che la cena fosse finita.
«Sembra che sia passato un uragano, qui dentro» esclamò Sirius. «Sei stato tu, James?»
Per tutta risposta, Sirius ricevette un cuscino in faccia. «Stavo cercando di dormire.» mugugnò il ragazzo a bassa voce.
«Ma se sono solo le nove!»
«La McGranitt mi ha detto di dirti che venerdì sera hai la ronda con la Evans e con uno dei due Auror.» intervenne Remus sorridendo.
Dall’inizio delle vacanze, Remus era sempre di buon umore. Non sapeva nemmeno perché, ma il fatto che Austin non gli parlasse più poteva essere un buon motivo; per i corridoi non lo salutava più e non rivolgeva la parola né a lui né a Sirius, e malgrado i due non fossero tornati insieme, si erano riavvicinati moltissimo.
«James, ti hanno per caso detto che ci fanno gli Auror a scuola?» chiese Sirius.
«Sono qui per proteggerla. Lui è troppo potente. Si pensa che, una volta preso il Ministero, non esiterà ad attaccare anche qui insieme ai suoi seguaci.» rispose James.
Peter trasalì, ma nessuno se ne accorse. Si tirò giù quanto più possibile la manica sinistra del maglione, rivivendo le immagini di qualche giorno prima, quando l’aveva incontrato, quando aveva visto Lord Voldemort.
Era stato solo per due minuti, il tempo di imprimere il marchio sulla sua pelle, con i più importanti Mangiamorte ad assistere, poi era scomparso nel nulla, e con lui gli altri Mangiamorte.
Con Peter erano rimasti solo Rosier e Mortimer, che l’avevano riportato ad Hogwarts.
«Parli di…» iniziò Sirius.
«Sì.»
E ci  fu silenzio.
Remus sospirò. «Be’, Hogwarts è il posto più sicuro per noi, giusto? »
«Giusto.»
Quella sera non la passarono a mangiare dolci e a scherzare come al solito, andarono a dormire presto, rimanendo a rigirarsi nel propri letti finché la stanchezza non ebbe la meglio.
 

***

 
«Rem?» Sirius sbucò fuori da un albero, spaventando a morte Remus che fece un passo indietro.
«H-hey.» balbettò Remus voltandosi verso di lui.
«Ti posso parlare?» chiese Sirius guardando a terra.
«Lo stai già facendo.» fece notare Remus, sorridendo timidamente. Sorrise anche Sirius, perché adorava vederlo sorridere in quel modo.
«Be’, ecco, ho scoperto tutto.» disse Sirius. Andò dritto al punto, senza troppi giri di parola, senza incasinare ulteriormente le cose.
«Tutto in che senso?» domando Remus, chiudendo la borsa dove teneva i libri.
«Tutto il casino con Austin. I malintesi, gli equivoci, il lavaggio del cervello che ti ha fatto. Capisco solo adesso perché mi hai lasciato, ad essere sincero.» rispose Sirius.
«Ah.»
«Ah?»
«Cioè, sì, insomma, pensavo che prima o poi sarebbe venuto tutto a galla.» disse Remus, era calmissimo. Ora non era più agitato quando parlava con Sirius, era perfettamente a suo agio, e la cosa era decisamente migliorata, così come il suo umore.
«E non hai niente da dire?»
«Cosa dovrei dire?»
«Non lo so…» rispose Sirius. «In effetti nulla.» E scoppiò a ridere da solo, Remus lo seguì a ruota. Mancava ad entrambi ridere in quel modo, con le guancie rosse, senza sapere se fosse per il freddo o per qualcos’altro.
«Non pensavo che le cose si sarebbero complicate a tal punto.» disse Remus.
«Non potevi saperlo» gli disse Sirius addolcendo il tono. «Non è colpa tua, Rem.»
«Allora, di chi è?»
«Torniamo insieme.» Sirius cambiò discorso bruscamente. Nella sua voce non c’era una domanda, una richiesta gentile. Remus vi sentì un ordine, un volere ben preciso. Sirius non gli stava chiedendo di rimettersi insieme a lui, lo stava affermando. Lo stava annunciando. E allora, Remus non sapeva se dare una risposta oppure no, dato che quella non era un domanda. Avrebbe dovuto confermare?
Restarono minuti – o forse ore – sotto l’albero innevato. Con le mani fredde, perché Remus aveva preso per sbaglio di guanti di Sirius e li aveva buttati alla rinfusa dentro la borsa dei libri. Remus fece un passo verso di lui, rimanendo in silenzio. Era totalmente a corto di parole, non sapeva cosa dire, tantomeno cosa fare. Non riusciva nemmeno a capire, quello che stava facendo. Le sue gambe si muovevano da sole e Sirius rimaneva lì, in attesa di una risposta, consapevole di aver consegnato il proprio mondo delle mani di una semplice affermazione.
Remus si fermò solo quando le punte delle sue scarpe nere toccarono quelle di Sirius, e quando la fronte di Sirius toccò la sua. Moriva dalla voglia di baciarlo, ma non lo fece. Si limitò a guardare i suoi occhi, perché non lo faceva da troppo tempo.
Remus sospirò, l’unico modo di rispondere a Sirius era imponendogli un’altra cosa: «Ci stiamo già, insieme.» Allora abbassò lo sguardo sui suoi piedi, ma erano attaccati a quelli di Sirius, così lo rialzò e rincontrò gli occhi grigi del ragazzo. Sirius sorrideva come non aveva mai fatto prima.
E allora Remus prese l’iniziativa e si lanciò su Sirius, cogliendolo di sorpresa. Lo stava baciando nel cortile di Hogwarts, chiunque sarebbe potuto passare e a Remus non sarebbe importato minimamente. Sirius lo abbracciò, stringendolo forte, mentre teneva gli occhi chiusi e si abbandonava a quel bacio che stava aspettando da troppo, troppo tempo. Remus fece scivolare una mano sul petto di Sirius, sopra il mantello, e l’altra dietro il suo collo, accarezzandogli piano i capelli con le dita.
«Mi sei mancato» disse Sirius, riuscendo ad ottenere qualche secondo d’aria. E poi si fiondò di nuovo sulle sua labbra, baciandolo con più foga. «Mi era mancato tutto questo.» continuò. Aprirono entrambi gli occhi e si guardarono dentro, si scavarono nel profondo, senza aver bisogno di fare o ricevere domande, perché tutte le risposte erano proprio lì, nei loro occhi.
«Anche a me, Sirius» Remus appoggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi. «Non sai quanto.»
Rimasero così per talmente tanto tempo, che dopo un po’, a Remus facevano male i talloni a forza di stare sulle punte e Sirius non si sentiva più le dita delle mani per quanto faceva freddo, ma non importava a nessuno dei due. Sarebbero potuti diventare dei ghiaccioli e a loro sarebbe stato bene, perché a pensarci bene, era stato stupido fare tutta quella confusione per un nonnulla, ed entrambi avevano imparato la lezione.
Non avrebbero mai più dovuto avere segreti tra di loro. Segreti di alcun tipo, sia per la più grande idiozia del mondo sia per una cosa seria.
«Entriamo?» chiese Remus. «Sto gelando.»
Sirius annuì e lo prese per mano. Era una sensazione nuova, strana… però era meravigliosamente bella e piacevole.
«Senti, so di averti messo pressione. Forse mi hai lasciato anche per questo.» disse Sirius mentre camminavano verso l’entrata principale.
«Pressione?»
«Sì, oltre al Austin che ti faceva il lavaggio del cervello, c’ero anche io che ti dicevo di dire a James e Peter che noi…» iniziò Sirius, poi si bloccò per un momento, non sapeva come continuare. «Insomma, io sarei impazzito, al posto tuo.»
Remus fece un largo sorriso. «Non mi mettevi affatto pressione, avevi ragione.» rispose stringendo ancor di più la presa sulla mano di Sirius.
«Quindi non sei arrabbiato con me?» chiese ancora Sirius affrettando il passo.
«No, perché dovrei?»
Sirius sorrise e un’assoluta tranquillità dilagò nel suo cuore, entrarono nel castello e si ritrovarono sommersi da una marea di studenti. Remus deglutì ma Sirius gli impedì di lasciargli la mano. «Non faranno caso a noi.» Gli sussurrò, Remus annuì.
Ma quando un Austin Krueger abbastanza incazzato gli venne addosso senza nemmeno volerlo, Remus si dimenticò di tutte le persone presenti nella stanza, e decise che quella era la volta buona in cui l’avrebbe mandato in Infermeria. E dire che Remus non era un tipo violento.
«Ma perché non vedi dove metti i piedi, Krueger?» gli urlò dietro, attirando non solo l’attenzione di Austin, ma anche quella di tre o quattro studenti.
«Ho da fare, a differenza tua, Lupin.» sibilò freddo quello, puntando gli occhi azzurri contro quelli di Remus.
«Sei arrivato a chiamarmi per cognome, adesso?» continuò Remus. Sirius fissava prima uno e poi l’altro, in silenzio, domandandosi cosa diavolo stesse succedendo, e non lo capì finché non vide una cosa nuova negli occhi di Remus: vendetta.
«Ho i miei buoni motivi.» rispose Austin sistemandosi nervoso il cravattino.
«Sono tutt’orecchi» disse Remus incrociando le braccia al petto. Intanto, attorno ai tre si era formato un modesto cerchio di persone. «O forse, è perché adesso non puoi più provarci col mio ragazzo?»
E allora un “Oh” generale si sollevò dalla folla, provocando decine di reazioni diverse, tra cui il rossore di Austin, lo sbalordimento di Sirius e la soddisfazione di Remus.
«Fottiti.» tagliò corto Austin, si voltò e continuò a camminare imperterrito.
«Con piacere!» esclamò Sirius, che fino a quel momento era rimasto ad osservare la scena in silenzio. Prese Remus per mano e ricominciò la sua camminata verso la Torre. Qualcuno rise, Remus avvampò e si annotò mentalmente di cruciare il suo ragazzo – era bello dirlo – una volta tornati in dormitorio.

 

 
 

 
 

NdA: Here I am! In perfetto orario, quindi amatemi uwu
No okay, sono finalmente libera da compiti in classe, interrogazioni, ansia e ho tutto il tempo del mondo per scrivere, cazzeggiare, vedere setie tv, anime e uscire a più non posso. Vi giuro, non ho mai amato l'estate come la sto amando ora :')
Dunque, eccoci al capitolo diciassette. La mia bambina cresce. Mi sembrava solo ieri quando ho pubblicato il primo capitolo (ma EFP mi dice che era il 4 Gennaio, quindi non proprio ieri OuO). Qui succedono un po' di cose: prima di tutto, James e Lily che sembrano essersi riavvicinati, ma AH! Credevate che l'avrei fatta così facile? Vi sbagliavata. Comunque, amanti della Jily, non temete che l'agonia Snily finirà presto! :3 E cosa più importante: HABEMUS WOLFSTAR. *-*
Ora, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: scemina, mimmyna, jale90 (com'è andato il tuo esame? :3) e xKikka (con la sua recensione a dir poco chilometrica quanto bella ♥)
Spero che anche questo vi sia piaciuto, non esistate a farmi sapere con una recensione! :3

Love ya,
Marianne


 

 
 

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Capitolo 19
*** Amara verità. ***



 

 

 

CAPITOLO 18 – AMARA VERITÀ.
 

 Lily ricordava che sua madre le diceva sempre che “era meglio un’amara verità che una dolce bugia”, Lily annuiva scocciata ogni volta e non dava poi così tanto peso a quella frase, però dovette ricredersi, quando, quel martedì pomeriggio, era sgattaiolata fuori dalla sua Sala Comune per andare in quella di Severus. Non avrebbe mai immaginato che il semplice desiderio di vedere il suo ragazzo potesse trasformarsi in qualcosa di così tragico.
Ma andiamo con ordine.
In primo luogo, la conversazione avuta con James, la sera prima, le riecheggiava ancora in testa, e voleva dimenticarsela una volta per tutte, perché litigare con James non le piaceva, non più. Se un tempo litigare con James Potter era una sfida a chi aveva l’ultima parola, adesso Lily si sentiva male, fisicamente e psicologicamente, a litigare con James Potter. Era come se ogni volta che ci discuteva, un qualcosa di affilato le facesse un piccolo taglietto. E taglietto dopo taglietto, Lily cominciava a sentire le ferite bruciare tutte insieme.
Inoltre, tutta la situazione con gli Auror e i Mangiamorte l’aveva spaventata a morte e l’unica persona con cui avrebbe potuto parlarne, con cui sarebbe potuta crollare un’altra volta, era Severus.
Così, Lily era entrata nella Sala Comune – dopo tanto tempo, aveva imparato a memoria la loro parola d’ordine – e aveva ignorato le solite occhiatacce, dirigendosi direttamente verso i dormitori maschili, dove era sicura di trovare Severus, perché aveva già provato in biblioteca, ma non c’era.
Quello di cui non era sicura era di trovarlo solo, ma non se ne preoccupò più di tanto. Una volta arrivata davanti alla sua porta, bussò e la voce di Severus la invitò ad entrare.
«Posso?»
Severus alzò gli occhi e un sorriso spontaneo nacque sul suo volto. «Certo!» la invitò, Lily entrò e si mise seduta accanto a lui, sul letto a baldacchino. La stanza, eccetto loro due, era vuota, gli altri tre letti, come quello di Severus erano perfettamente intatti.
Lily sfoderava un sorriso radioso, ma Severus notò lo stesso le piccole crepe della falsità.
«Va tutto bene?» le chiese, cingendole la spalle con un braccio. Si avvicinò al suo volto.
«Sì… volevo solo passare un po’ di tempo con te» rispose Lily annuendo debolmente. «Va tutto a meraviglia.»
«Sei sicura?» domandò ancora Severus, inarcando un sopracciglio, per nulla convinto.
Lily sospirò, e poi «No» disse, sconfitta. «Però non importa.»
Dopodiché, gli gettò le braccia al collo e lo baciò. Severus, all’inizio, rimase spiazzato, poi chiuse gli occhi e immerse le mani nei capelli di Lily, venendo sommerso a sua volta dal loro profumo dolce ed ipnotico. Si lasciò spingere sul letto, e continuava a baciare Lily mentre lei gli era sopra. Perse la capacità di pensare e cominciò ad esistere solo e soltanto Lily. Lei, dal canto suo, non riusciva nemmeno a capire la meta di quello che stava facendo: aveva l’impressione di essere un’osservatrice esterna, che guardava se stessa usare un’audacia che non sapeva di possedere. Si sentiva andare a fuoco.
Severus si sollevò e la strinse forte, mentre non smetteva di baciarla, si tolse il maglione e poi sciolse il cravattino, buttò entrambi da qualche parte alla sua sinistra.
Lily sentì freddo quando anche lei si levò il maglione nero, poi risentì di nuovo caldo; si staccò da Severus quel poco che bastava per riprendere fiato, lo guardò negli occhi. Lui provò a dire qualcosa, ma lei lo baciò di nuovo. Si ritrovò a sbottonare i primi bottoni della camicia di lui, con fare incerto, ma Severus le prese la mani e continuò al suo posto, fino a togliersela definitivamente e a lanciarla insieme agli altri vestiti.
Lily riaprì gli occhi e si fermò a respirare, poi fece l’errore di abbassare lo sguardo, proprio sulle braccia di Severus.
Aggrottò la fronte e si allontanò di scatto, stringendo tra le dita il maglione che si era tolta prima, il quale giaceva ancora dietro di lei, ai piedi del letto.
«Cos’è quello?» strillò, puntando l’indice contro Severus, o per meglio dire, contro il suo braccio sinistro. Sulla pelle di lui, spiccava il Marchio Nero. Era una domanda retorica, Lily sapeva benissimo cosa fosse quel simbolo e chi erano le persone che l'avevano marchiato sulla pelle. Mangiamorte. 
E Severus era uno di loro.
«Lily, ascolta.» tentò Severus alzandosi in piedi.
«No!» esclamò lei, furente. «Non ascolto proprio niente! Ti ho rivelato i miei segreti e le mie paure, ti ho detto che sono terrorizzata da quello che sta succedendo, che se solo ripenso a quella notte scoppio a piangere. Io mi sono fidata di te! E tu...»
«Posso spiegarti…»
«Tu mi hai rassicurata, mi hai detto che sarebbe andato tutto bene. Mi hai mentito schifosamente tutto il tempo.» disse ancora Lily, sentiva pizzicare gli occhi. «Sei uno di loro, gli passi informazioni da dentro la scuola, ecco come fanno a sapere tutto!»
«Lils…»
«Non osare!» gridò Lily. «Non osare chiamarmi così, non osare mai più a rivolgermi la parola!»
Lily si alzò in piedi ed uscì dalla stanza a passo spedito, si mise a correre, dopo essere uscita dalla Sala Comune Serpeverde. Corse a perdifiato per le scale, ignorando Pix. Al terzo piano cominciò a piangere, al sesto cominciò a sentire di non poter più correre. Arrivata di fronte al ritratto della Signora Grassa, senza più energie, si appoggiò al muro e sollevò lo sguardo.
Tra la vista annebbiata dalle lacrime scorse una figura maschile con i capelli neri e gli occhiali sul naso.
«Lily!» La voce di James era ovattata e sembrava un eco lontano.
Lily lo raggiunse e si aggrappò alle sue spalle, cominciò a piangere più forte. Sentiva un dolore lancinante all’altezza del petto, e non era da attribuirsi alla fatica o ai continui singhiozzi. Le faceva male lo stomaco e tutto quello che voleva fare era rinchiudersi in bagno e vomitare l’anima. Piangeva così forte che quasi non sentì le braccia di James che la stringevano. Appoggiò la testa sulla sua spalla e pianse ancora. «James…» mormorò tra i singhiozzi.
Pianse finché non esaurì sia le lacrime che le forze. Pianse abbracciata a James senza nemmeno chiedersi perché. Pianse quando un gruppetto di persone le passarono accanto osservandola. Pianse finché James non la guardò negli occhi e le disse: «Basta.»
Lily fece un ultimo, sordo singhiozzo e rimase a fissare gli occhi caldi di James per un’eternità, o forse per un solo minuto, poi non versò più una lacrima. Si lasciò prendere gentilmente per mano, e condurre fino alla Stanza delle Necessità. Si sentiva impotente e incapace di fare nulla se non camminare, anche se le facevano male le gambe. Rimase immobile e in silenzio mentre James rifletteva davanti alla parete di pietra, quando entrarono, la Stanza delle Necessità era un semplice salotto con un camino, tanti tappeti per terra. Un divano, biscotti al cioccolato serviti in un vassoio poggiato sopra un tavolino di vetro. Le pareti erano in legno e anche il pavimento, per quanto i tappeti di ogni colore lasciassero intravedere. Ma la cosa che colpì Lily, fu la gigantesca libreria a muro, alta fino al soffitto, addossata lungo una delle quattro mura. Doveva contenere almeno qualche centinaia di libri, se non di più.
«Sorprendente.» commentò Lily, aveva gli occhi rossi e gonfi, la voce ancora un po’ tremolante, nonostante tutto, non piangeva più, anzi, cercava di comportarsi come se non avesse mai pianto. E anche se sapeva che James l’aveva portata lì sia per farla calmare sia per farle spiegare quello che era successo, e sapeva che se glielo avesse detto, avrebbe ricominciato a piangere.
James non disse niente, sorrise invece, e si mise seduto per terra, davanti al fuoco, ignorando completamente il divano, che sembrava essere davvero comodo. Lily lo imitò e così, dopo essersi guardata attorno per qualche secondo, si accomodò per terra, sopra uno degli innumerevoli tappeti.
«È bello qui…» mormorò lei dopo qualche minuto di silenzio.
«L’ho scelto con cura» disse James «Sapevo che ti sarebbe piaciuto. O almeno lo speravo.»
«Mi piace.» disse Lily, provò ad accennare un sorriso, ma vi rinunciò quando si rese conto che ogni tentativo sarebbe risultato come una cosa abbastanza penosa.
«Mi hai fatto spaventare» sospirò James. Lily abbassò lo sguardo. «Dico sul serio, vederti in quello stato… cos’è successo?»
«Ho lasciato Severus.» disse Lily, calma. Non era di certo quello, che l’aveva fatta piangere. Aveva contribuito, ovviamente, ma il vero motivo era un altro: Severus era un Mangiamorte e, molto probabilmente, l’aveva solo presa in giro. I Mangiamorte erano la sua più grande paura, dopo l’attacco nella Stamberga, e lui glielo aveva tenuto nascosto. Lui si era unito a loro.
James aggrottò la fronte e fece per dire qualcosa. Bene, quello sì che era un problema: non si era mai ritrovato a consolare una ragazza perché questa aveva rotto con il suo fidanzato, soprattutto se era stata lei a lasciarlo e non il contrario, se poi aggiungiamo che la ragazza in questione era Lily Evans, James non aveva la minima idea di cosa fare. Rifletté a lungo, prima di risponderle, perché sapeva che una frase sbagliata avrebbe potuto scatenare una più completa catastrofe.
«C’è dell’altro» disse infine. «Lily Evans non piange così per una sciocchezza come i ragazzi.»
 Lily  sembrò fare una smorfia che assomigliava ad un sorriso, poi sospirò e guardò James. «Era anche il mio migliore amico.»
«Non te l’hanno mai detto, Lily? Non si può essere entrambi» le disse James, addolcendo il tono di voce. Lily lo guardò confusa. «Oppure, lui non era chi credevi che fosse, dico bene?»
Lei annuì. «Più o meno.» Ovviamente, non avrebbe mai detto a James la verità su Severus. Non credeva che l’avrebbe mai detta a nessuno. Un po’ perché era terrorizzata, e poi, nonostante gli avesse gridato contro, nonostante non riusciva a credere che proprio Severus le avesse mentito in quel modo, non voleva fargli alcun male.
«Sai che non ti chiederei mai i dettagli.»
«Sai che non te li direi mai, comunque.» disse Lily. E subito dopo scoppiò a ridere, seguita a ruota da James.
«Sì, hai ragione.» James cominciò a scrocchiarsi nervosamente le nocche delle mani e Lily volse lo sguardo verso la libreria, imbarazzata, non le era mai capitato di sentirsi così… bene, in compagnia di James. Non aveva mai creduto possibile che lui potesse trasmetterle tutta quell’allegria, perché si rese conto che si ricordava di Severus solo se era lei a volerlo pensare. E James le impediva di pensare e basta.
Lily si alzò e raggiunse il tavolo, aveva fame e quei biscotti erano davvero molto invitanti. James la osservò curioso, con un sorriso sulle labbra. Lei non si accorse di niente finché non notò lo sguardo di James, che pareva essersi incantato, allora addentò il biscotto e aggrottò la fronte, piegando la testa di lato. Si appoggiò con le schiena al divano, rimanendo seduta per terra, e continuò a fissare James. Quando lui alzò lo sguardo e lo puntò di nuovo su di lei, sentì le guance andare in fiamme, ma attribuì la colpa al fuoco acceso nel caminetto.
«Ho qualcosa in faccia?» mormorò lei. «Mi stai fissando.» James sorrise di nuovo.
«Sì… cioè, no, non hai niente in faccia» rispose James, incespicando nelle sue stesse parole. «Però, sì, ti sto guardando. Posso?»
«Mi metti in imbarazzo.» borbottò lei, infilandosi un altro biscotto in bocca. Poi distolse lo sguardo.
James si avvicinò al tavolino gattonando. «Perché dovresti? Sei bella.» si lasciò scappare, poi prese anche lui un biscotto.
«Non dire cavolate, ti prego.» ridacchiò Lily spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Non sono mai stato più serio in vita mia» disse James. «E tu sai che io non sono mai serio.»
Lily rise. «Grazie.»
«E di che? È la verità.»
«No, intendo grazie per avermi portata qui. Mi sono calmata.»
«Figurati.»
«James?» domandò lei, si alzò in piedi sfregandosi le mani per togliere le briciole. Lui alzò la testa e le rispose con lo sguardo. «Devo andare.»
«Venerdì abbiamo la ronda con gli Auror.» disse James prima che Lily si avvicinasse alla porta. Lei gli sorrise e annuì.
«Me lo ricorderò.»
 

***

 
 «Il Patronus assume una forma animale, è di colore argentato e si può evocare concentrando sia il corpo che la mente su un preciso ricordo. Questo ricordo deve essere felice abbastanza da evocare il Patronus. Il movimento da eseguire con la bacchetta è indicato di seguito.» recitò Marlene con il libro di Difesa contro le Arti Oscure poggiato sulle ginocchia. Peter era seduto davanti a lei e annuiva.
«Esatto. Adesso, però, lascia stare il disegno sul libro.» disse Peter. Marlene aggrottò la fronte e chiuse il libro, scrollando le spalle.
Erano in Sala Comune, vuota, dato l’orario. Infatti, era molto tardi, ma non era la prima volta che Marlene si ritrovava a studiare di sera, e a Peter non dispiaceva affatto, avessero dovuto essere le quattro del mattino, lui non si sarebbe fatto problemi ad aiutare Marlene.
Peter tirò fuori la bacchetta e l’agitò nell’aria con un movimento secco, Marlene osservò il tutto attentamente. «Fai come me.» disse Peter, ripeté il movimento.
Marlene prese la sua bacchetta e fece come aveva fatto Peter, agitandola decisa, forse un po’ troppo, dato che quasi lo colpì in faccia. Fortunatamente, lui la bloccò afferrandole il polso prima che potesse cavargli un occhio. «Hey, ferma» esclamò lui accennando una risata. «Non devi picchiare nessuno.»
Marlene fece un sorriso un po’ imbarazzato e si ricompose, sedendosi per bene sulla poltrona. Dopo essersi spostata una ciocca di capelli biondi sfuggita alla coda, riprese la bacchetta e, pur agitandola con la stessa fermezza, la mosse in maniera più delicata.
«Bravissima.» esclamò Peter.
«Non posso evocare un Patronus ora, vero?» chiese Marlene.
«Non riusciresti ad evocarne uno al primo colpo» rispose Peter. «E non qui, creeremmo una confusione assurda.»
«Grazie.» mormorò Marlene, abbassando lo sguardo, Peter vide arrossire Marlene per la prima volta e si sciolse in un sorriso.
Sapeva che Marlene gli piaceva, quello che non sapeva era quanto potesse piacergli veramente o perché. Rispondere alla prima domanda non si rivelò poi così difficile: Marlene gli piaceva tanto, anche se non eccessivamente. In una scala dalle Api Frizzole alla Burrobirra, Marlene gli piaceva come la pizza. Sì, perché la pizza era particolare, come Marlene. Ed ecco che Peter trovò, senza volerlo, la risposta al secondo quesito.
Marlene gli piaceva perché era particolare, perché spiccava tra tutte le altre ragazze: era un puntino bianco in mezzo a tanti, troppi puntini neri.
Marlene era una ragazza che o si faceva amare, o si faceva odiare. Non c’erano mezzi termini, con lei. Con lei non c’era un grigio, un c’era un forse e non c’era un carino.
C’erano il bello e il brutto, il sì e il no, il bianco e il nero. E Peter si rese conto di non poter indugiare ancora nella zona sospensione in cui si trovava. Non poteva permettersi di rimanere un odioso e insignificante puntino grigio. A metà strada tra il bene e il male, e il marchio impresso sulla sua pelle gli ricordava d’aver dato le spalle alla luce, al bianco, al bene.
E poteva, lui, più vicino al nero che al bianco, meritare un puntino candido come Marlene?
Forse avrebbe potuto provarci, forse avrebbe dovuto solo rinunciare, perché l’unico ad uscirne con il cuore a pezzi sarebbe stato lui, era sempre stato lui a rimetterci.
Sospirò e guardò Marlene, gli occhi color nocciola di lei erano ancora puntati su Peter, in sospeso, ansiosi di un qualcosa che lui non aveva ancora detto. Peter si era perso nei suoi pensieri e non ricordava nemmeno cosa gli avesse detto Marlene pochi secondi prima.
«Sai una cosa, Peter?» iniziò Marlene, alzandosi dalla poltrona dove era seduta, camminò per la stanza fino a raggiungere il davanzale. Alzò lo sguardo e lo puntò sulle stelle, che brillavano luminose. «A volte mi chiedo se sarò mai felice.»
«Che dici, Marlene?» Peter schizzò in piedi, la Marlene che conosceva, quella che gli piaceva, non avrebbe mai detto una cosa del genere. Eppure, in quel momento, gli venne in mente una frase che aveva sentito tempo prima: “Le persone più esuberanti sono le più tristi”. Ed era vero. Marlene ne era un esempio, mascherava la tristezza con l’allegria e tanto senso dell’umorismo, arrivando ad ingannare persino se stessa, ritrovandosi ad un punto di non ritorno, dove nemmeno lei capiva quale fosse la sua vera identità. Peter non se ne era mai accordo, prima d’allora.
«Dico che la vita sembra essersi messa contro di me. Ogni cosa che, solo per un attimo, mi fa stare bene, va rotoli.» disse ancora Marlene.
«Fammi un esempio.» disse Peter.
«Remus.» si limitò a dire Marlene.
Peter le si avvicinò con cautela, appoggiò i gomiti sul davanzale e si mise a guardare la stelle insieme a lei. Peter non aveva mai imparato a riconoscere le costellazioni, né sapeva i nomi delle stelle, così, quando Marlene prese ad indicargli la costellazione dell’Orsa maggiore, quella di Orione e tanti altri nomi che Peter non ricordava, lui si perse un po’ di più nei suoi occhi, che nei meandri del cielo notturno.
Ma poi, ritornarono a parlare del discorso della felicità e della vita.
«Tu… amavi davvero Remus?» chiede Peter titubante. Marlene sospirò.
«No. Non ero innamorata di lui, però mi piaceva. Mi ha chiesto di uscire e ho accettato. Mi è sembrato una persona buona e gentile» rispose Marlene. «Ma mi sbagliavo.»
«Non voleva farti soffrire» disse Peter. «Mary non gli interessava davvero.»
«Ma…» boccheggiò Marlene. «Allora perché mi avrebbe usata in quel modo?»
«Non lo so, ma ti assicuro che Remus non è questo tipo di persona» disse Peter. «E che prima o poi tutti troviamo la felicità.»
«Ma appena la vedo, lei scappa via da me» sospirò Marlene. Si bloccò per un momento, rimanendo a bocca aperta, in cerca delle parole giuste da dire. «E io non voglio che anche tu scappi via da me, Peter.»
Lui non distolse lo sguardo dalle stelle, perché aveva un po’ paura a guardare Marlene, in quel momento. Aveva immaginato spesso, quella situazione, ma non aveva mai saputo come andasse a finire. Solitamente, tutto si bloccava lì, dove Marlene gli confessava i suoi sentimenti e non in maniera così triste. E ora, non sapeva come rispondere.
«Io…» iniziò Peter.
«Non continuare, ti prego» mormorò Marlene con un filo di voce. «Ti sento già, mentre mi scivoli dalle dita.»
«… nemmeno io voglio che tu scappi via da me, Marlene.» continuò lui, ignorando le parole della ragazza. E poi si voltò, e la guardò negli occhi, senza provare più imbarazzo o vergogna, prendendo in mano la situazione come, ad esempio, avrebbero fatto Sirius e James. E negli occhi caldi di Marlene, Peter ci affogò e dimenticò che il proprio puntino si anneriva ogni giorno di più.
 

***

 
 Lily e James arrivarono davanti all’ufficio della McGranitt alle dieci e due minuti, uno degli Auror era già lì, appoggiato alla porta. I due ragazzi si scambiarono uno sguardo veloce.
«Siete in ritardo» mormorò l’uomo, con le braccia incrociate al petto.
«Di due minuti!» esclamò James.
«Sono Connor Harris» disse l’Auror, ignorando completamente quello che aveva detto James. Lily fece per dire qualcosa ma si fermò immediatamente, intimidita dal tono di voce brusco che l’uomo aveva usato. «E, signor Potter? Un minuto potrebbe salvarle la vita, due potrebbero ucciderla.»
A quel punto, cadde un religioso silenzio. James lo sfidò con lo sguardo e notò che l’Auror aveva una lunga e spaventosa cicatrice lungo il lato destro del viso.
«Bene. Signor Potter, proceda pure con l’ispezione dal quarto piano alla Torre d’Astronomia. Io e la signorina Evans ci occuperemo del terzo piano fino ai Sotterranei.» dichiarò Harris. «Ci vediamo a mezzanotte, chiaro?»
«Non lascerò Lily con lei, signore.» ribatté James risoluto.
«In caso di incontro ravvicinato con un Mangiamorte, Potter, la signorina Evans, per il suo stato di sangue, necessiterebbe di un’adeguata protezione.»
«Crede che non sia capace di difendersi? È la migliore della classe» disse James. «Oltre al sottoscritto, ovviamente.»
«James…» s’intromise Lily.
«No, non credo che la signorina Evans non sia in grado di difendersi, ma che lei e il suo egocentrismo le sarete solamente di danno.» rispose Harris.
«Mi scusi, Harris, ma…»
«Ha già parlato troppo, le consiglio di iniziare.»
James si zittì e strinse i pugni, prese la bacchetta dalla tasca interna del mantello e si avviò per le scale, così da iniziare la ronda. Prima di metter piede sul primo gradino si voltò un’ultima volta e vide Lily sparire dietro l’angolo, appena dietro l’Auror.
 
Lily credeva che Harris fosse stato ingiusto e scorbutico con James, non meritava di essere trattato con così tanta severità. Era pur vero che James non aveva ancora imparato a tenere a freno la lingua, avrebbe solo dovuto scusarsi per il ritardo e portare rispetto ad una persona più grande di lui, un Auror.
Quell’uomo aveva un qualcosa di inquietante, eppure, Lily aveva provato a non notare l’evidente cicatrice che gli deturpava il volto. Ebbe l’impulso di chiedergli come se la fosse procurata.
«Cosa vorrebbe fare dopo la scuola, signorina Evans?» le chiese improvvisamente Harris.
Lily alzò lo sguardo, colta di sorpresa. «Oh, ehm…» iniziò. «Voglio che nessuno debba più aver paura a causa del proprio stato di sangue.» rispose alla fine. Era la verità, comunque, non voleva ritrovarsi a vivere in un mondo in cui i propri figli o nipoti dovevano essere terrorizzati come lei, a patto che sarebbe vissuta abbastanza da averli, figli e nipoti.
«Quindi l’Auror?»
«Sì.» rispose Lily.
«E il suo amico Potter?»
«Lo stesso.»
Harris fece una specie di smorfia e continuò a camminare spedito.
«Avrà molta strada da fare, allora» disse Harris. «Solo i migliori diventano Auror.»
Lily non rispose, bensì guardò torva l’uomo, stringendo la bacchetta in pugno. Harris aveva criticato tanto James, dandogli dell’egocentrico, eppure, a Lily sembrò una sorta di ipocrita: lui, da quel punto di vista, era uno dei migliori, e di certo non il più umile. Almeno, questa era stata la sua impressione.
«Con quali requisiti si può diventare Auror?» Lily animò la conversazione, sviando il discorso, non voleva sentire altre parole cattive nei confronti di James.
«Prima di tutto, un Eccellente ai M.A.G.O. in quasi tutte le materie» rispose Harris. «Coraggio, sangue freddo, e autostima quanto basta.»
«Autostima?» chiese Lily scettica.
«Non si va da nessuna parte, se si passa il tempo ad autocommiserarsi.» disse Harris. Lily pensò a James, lui di autostima ne aveva anche troppa, lei invece…
«E poi, tanta onestà.» continuò Harris, allora a Lily si gelò il sangue nelle vene, divenne pallida e ringraziò che il corridoio non fosse ben illuminato.
«C-Cosa?» balbettò.
«Lei non immagina i litri di Veritaserum che il Ministero ha utilizzato su tutti i suoi dipendenti in questi anni, signorina Evans.» disse Harris.
Onestà.
Questa parola bruciava e faceva male come fosse una ferita recente, ancora aperta. Sentir parlare di onestà, in quel momento, non era esattamente un toccasana. Lily stava nascondendo a tutti – e cercava di nasconderlo anche a se stessa – che Severus era un Mangiamorte. Aveva provato a non pensarci, ma era impossibile: ogni volta che chiudeva gli occhi, vedeva il marchio sulla pelle di Severus come fosse infuocato.
Lily rallentò, e quando Harris vide che si era fermata e appoggiata ad un muro, si arrestò sul posto.
«Va tutto bene?» chiese l’Auror.
«Sì…» mormorò Lily, peccato che fosse pallida come Nick-quasi-senza-testa, cioè quasi trasparente, altrimenti avrebbe anche potuto essere persino credibile.
«Vuole andare in Infermeria?» continuò Harris, per nulla convinto della risposta che aveva ricevuto.
«No» rispose Lily, assumendo un tono di voce normale. «Sto benissimo.»
Lily si rimise in piedi e ricominciò a camminare spedita. Connor Harris fece una strana espressione e rimase colpito dal comportamento della ragazza. Harris non aveva figli, perciò non sapeva come comportarsi con i ragazzi di quell’età. Aveva un nipote, ma non aveva mai avuto un gran rapporto con lui. Per un motivo o per un altro, non gli rivolgeva spesso la parola.
Fatto sta, che non aveva mai visto qualcuno – né Auror né adolescenti – comportarsi come lei. Harris era abituato al buio, e con gli anni aveva imparato ad orientarsi anche con poca luce, a riconoscere ogni singolo dettaglio persino durante le notti senza luna. E il volto terrorizzato di Lily Evans, lui l’aveva visto bene.
Sembrava sconvolta e impaurita. Eppure, non credeva d’aver detto niente di strano, o che avesse potuto turbarla a tal punto. Lei gli aveva fatto una semplice domanda e lui le aveva solo risposto.
Con molti più pensieri nella testa e qualche metro più avanti, Lily si faceva strada alla luce del suo Lumos, ignorando le proteste dei vari dipinti. La ronda del terzo piano era quasi terminata. Lily riconobbe il corridoio che portava all’aula di Incantesimi, subito dopo c’erano le scale. Lily avrebbe voluto salire, invece che scendere,  andare da James, dimenticarsi di ogni problema. Però aspettò che Harris la raggiungesse per poi scendere al secondo piano.
Cercò di impegnare la mente con qualsiasi cosa: ripetendo la lezione di Storia della Magia; ricordando dove aveva messo il tema di Trasfigurazione; James; l’imminente partita di Quidditch che l’avrebbe reso intrattabile; il fatto che non aveva molto senso che Harris avesse spedito James a fare la ronda da solo.
Non fu molto efficace.  Ogni volta, la presenza di Harris le ricordava che avrebbe potuto vuotare il sacco in qualsiasi momento. Avrebbe potuto denunciare Severus all’autorità che stava cercando lui e gli altri Mangiamorte, eppure, non lo fece.
Rimase in silenzio. Sapeva che fare la ronda era abbastanza inutile e noioso: non succedeva mai niente.
Non che la cosa fosse un male, meglio girare a vuoto per il castello che imbattersi in un Mangiamorte.
Lily aveva ormai capito che Lord Voldemort puntava soprattutto sui ragazzi di Hogwarts: avere delle spie nella scuola l’avrebbe avvantaggiato notevolmente. Era per quello che gli Auror erano arrivati lì, qualche giorno prima, perché Silente doveva averlo già capito, che il pericolo non era fuori, ma dentro.
Allora, Lily si chiese se non avesse dovuto dirlo al preside. Poi si rese conto della sua idea alquanto sciocca: Silente era un grande mago, certo, un personaggio importante, ma non poteva andare contro le leggi solo perché lei teneva a Severus.
Sì, perché nonostante tutto, Lily era convinta che  una persona  non potesse cambiare a causa di un marchio: lei non conosceva le motivazioni di Severus, ma non era sicura di volerle sapere. Se avesse scoperto che Severus aveva agito di sua spontanea volontà perché condivideva le idee di Voldemort, le avrebbe fatto troppo male, perché significava che, oramai, non poteva fidarsi più di nessuno. Forse, nemmeno di se stessa.
Poco prima di scendere le scale verso i Sotterranei, Lily fece un grande respiro: sperava solo che avrebbero proceduto in fretta, senza soffermarsi troppo. Veloce e indolore.
Peccato che Harris non fosse della stessa idea, dal luccichio fosse che Lily scorse nel suo sguardo, capì che si erano appena introdotti in una sorta di “territorio nemico”.
Non fu difficile capire chi fossero i sospettati in cima alla lista di Harris.

 

 
 

 
 

NdA: Questo capitolo è stato un parto trigemellare, sono quasi 4500 parole e l'averlo scritto in soli cinque giorni mi sconvolge O.o
Ma tornando a noi, SALVE MONDO! Sta piovendo un sacco qui e io non aspettavo altro, personalmente, non dormire per il caldo mi aveva un po' scocciata uwu Questo capitolo io credo di amarlo per una sola ragione: gli Snily rompono, non dovrò più sopportarli! In più, James è un ragazzo d'oro e picchierei Lily solo perché non si sta accorgendo di niente, prenderei volentieri il suo posto..volevo invece sapere una cosa: cosa pensate di Peter e Marlene? È una ship uscita dal nulla? Ve lo concedo. Impossibili? Vi concedo pure questa. Però a me piacciono e non disperate, ho in mente anche già qualcun'altro per Mary, devo solo capire a che punto della storia inserirlo ;)
Ringrazio scemina, xKikka e jale90 che hanno recensito lo scorso capitolo! Inoltre ringrazio le 65 seguite e le 30 preferite! *-*
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e non siate timidi a lasciare una recensione: ogni cosa è ben accetta e io non mordo. E spero di scrivere il prossimo altrettanto velocemente xD, proverò ad aggiornare sabato perché domenica non ci sono. :3
Baci,
Marianne

 

 
 

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Capitolo 20
*** Rosso e oro. ***



 

 

 

CAPITOLO 19 – ROSSO E ORO.
 

 I sabati del Torneo di Quidditch erano sempre un tumulto generale: persone che correvano per i corridoi, squadre che si allenavano fino all’ultimo minuto, e poi c’era James Potter, che aveva deciso di dormire sugli spalti, ma Remus l’aveva convinto che si sarebbe ammalato e che il giorno dopo non avrebbe potuto giocare. Allora, James si era rinchiuso in Sala Comune e quel sabato mattina, almeno due ore prima della partita, camminava su e giù per la stanza nervoso, facendo innervosire anche tutti gli altri, in particolare Lily Evans.
«James, vuoi smetterla di muoverti? Mi stai facendo venire l’ansia. E io non ci vengo nemmeno, alle partite.» disse Lily, chiudendo di scatto il libro che stava cercando di leggere.
«Scusa, Lily, ma tu non hai la seconda patita più importante del campionato tra meno di due ore.» ribatté James. Chiunque avrebbe pensato che i due fossero ritornati ai vecchi tempi, ma c’era qualcosa che solo pochi Grifondoro avevano notato: si erano chiamati per nome in pubblico. E, soprattutto, non si erano lanciati insulti di ogni tipo, o peggio: fatture e maledizioni.
«E poi, tu ci vieni alla partita.» disse ancora James, si mise seduto accanto a lei, facendo sospirare almeno una decina di persone, aveva smesso di camminare.
«Scordatelo.» disse lei, ridendo. Aveva ormai rinunciato a leggere, se c’era una cosa che Lily aveva imparato nel corso degli anni, e soprattutto in quei pochi mesi, era che non si poteva leggere con James Potter seduto accanto. Se non altro, aveva smesso di girare in tondo per la stanza.
«E dai, Evans, ti divertirai.» continuò James. Lily scosse la testa.
«Sono irremovibile» ribatté lei. «Non capisco come ci si possa divertire a vedere quattordici tizi che cercano di disarcionarsi a vicenda.»
«Tecnicamente, io non cerco di disarcionare nessuno.» disse ancora James.
«Voli dietro al Boccino, il che, se possibile, è ancora più stupido.»
«Ho un’idea.» iniziò James appoggiando i gomiti sulle ginocchia, la mano destra a reggere il mento e il capo ruotato verso Lily.
«Illuminami.» sospirò Lily.
«Vieni alla partita. Se perdiamo, ammetterò che il Quidditch è stupido ed è solo una perdita di tempo, dato che sono al settimo anno e dovrei concentrarmi più sugli esami.» continuò James. Qualche testa si voltò verso di lui con gli occhi spalancati. La stessa Lily inarcò le sopracciglia dalla sorpresa.
«Non esagerare, James… non voglio che rinneghi una tua passione.» rispose Lily. «Facciamo che se perdete, non mi chiederai più di uscire.»
«Ma anche tu sei una mia passione, Lily» disse James, lei lo fulminò. «Va bene, ma a questo punto, se vinciamo, vieni con me alla prossima gita ad Hogsmeade.»
«Ci sto.»
«Sai per quale giorno è stata fissata, Lily?»
«Non me lo ricordo, ma non vedo cosa possa cambiare.» rispose Lily, si alzò dal divano e si diresse verso le scale. Aveva appena accettato di uscire con James Potter, se Grifondoro avesse vinto la partita.
«Quattordici Febbraio.» disse lui ad alta voce. Lily si pietrificò.
Si girò lentamente verso James Potter, ancora con il libro tra le mani e «CHE COSA?» urlò, letteralmente, tant’è che quasi tutti i ragazzi presenti in Sala Comune si voltarono a guardarla. Li ignorò: ci era abituata, ogni volta che lei e James cominciavano a litigare in Sala Comune, si erano sempre formati dei gruppetti intorno a loro.
Anche James notò che quasi tutti gli sguardi erano puntati su di loro, tuttavia, finse di non farci caso. «Quattordici Febbraio» ripeté. «San Valentino, cioccolatini, coppiette in giro per Hogsmeade, hai presente, Lily?»
«Facciamo un altro giorno.» disse lei risoluta.
«Perché? Non mi pare che tu abbia altri impegni.» E così dicendo, James Potter, già con la divisa da Cercatore, prese la propria scopa e uscì dalla Sala Comune.
Lily era ancora immobile ai piedi delle scale. Sbatté le palpebre un paio di volte e, lentamente realizzò quello che era successo: se i Grifondoro avessero vinto la partita – e aveva uno strano presentimento – lei avrebbe passato San Valentino con James Potter.
Quello sì che era un bel disastro.
Ma se Lily, da una parte, avrebbe preferito gettarsi dalla Torre d’Astronomia che uscire con James Potter il giorno di San Valentino, James era più che soddisfatto della riuscita della sua impresa.
Camminando, notò che i corridoi di Hogwarts erano stranamente vuoti. Pericolosamente vuoti.
Durante il tragitto dalla Torre al campo di Quidditch, James incontrò solamente due o tre gruppetti di studenti, tre dei quali erano Corvonero e lo guardarono abbastanza male. A volte, le partite contro Corvonero, erano perfino peggiori di quelle contro Serpeverde.
Stavolta, era una di quelle.
Quando James arrivò al campo, si diresse immediatamente verso lo spogliatoio: arrivata sempre prima degli altri, con un anticipo quasi esagerato. Stare da solo lì dentro, oppure fuori, seduto sull’erba, lo rilassava.
Aprì la porta e vide quello che un diciassettenne non vorrebbe mai vedere: il proprio migliore amico schiacciato contro la parete di una delle docce, con un espressione non esattamente normale sul volto, ma James non trovò termini adatti per definirla. Qualcuno era inginocchiato di fronte a lui, ma a causa del muro James ne vedeva solamente le gambe. Non fu quello a sorprendere James, conoscendo Sirius, era perfettamente possibile una cosa del genere, soprattutto prima di una partita. Quello che lasciò James leggermente interdetto, invece, fu che la persona misteriosa indossava i pantaloni, e fino a prova contraria, le divise femminili comprendevano una gonna, e di certo non scarpe da uomo.
Non sapeva se tornare indietro e avere incubi per il resto della sua vita, uscire senza far rumore oppure rimanere lì e far notare la propria presenza, ma prima che potesse prendere una decisione, Sirius si girò verso di lui.
«James?» esclamò Sirius. A Allungò le mani di fronte a sé, come per respingere qualcosa – e James davvero non ci teneva a sapere cosa o chi. «Che diavolo ci fai qui?»
«Che diavolo ci fai tu qui?» ribatté James, stringendo in pugno la scopa.
«Uhm…» iniziò Sirius, guardandosi un po’ attorno. «Una doccia, forse?»
James lo guardò con la sopracciglia inarcate, voleva davvero fregarlo in quel modo?
«Okay, senti…» riprese Sirius. «Ti posso, cioè, ti possiamo spiegare tutto.» disse Sirius.
A quel punto il ragazzo – perché James l’aveva ormai capito che non era una ragazza quello che… sì, insomma, avete capito – sì alzò in piedi, e accanto alla testa di Sirius comparve il Remus Lupin più sorridente che James avesse mai visto. Le conseguenze sarebbero state a dir poco catastrofiche se non avessero avuto una partita di una certa importanza da giocare.
«Ehilà, Ramoso.» lo salutò Remus.
«R-Remus?» balbettò James sconvolto.
«Sì, è quello il mio nome.»
James non aveva la più pallida idea di cosa dire, insomma, non capitava mica tutti i giorni scoprire che due dei tuoi migliori amici stavano insieme. E anche se non stavano insieme, James li aveva comunque visti in una posizione che lasciava davvero ben poco all’immaginazione.
«Quando avevate intenzione di dirmi che siete gay?» sbottò James, mettendosi seduto su una delle scomode panche di legno, sperando che Sirius avesse avuto la decenza di tirarsi su i pantaloni.
«Io non sono gay» precisò Sirius. «Solo solo estremamente intelligente e mi faccio piacere un po’ tutti. Perché accontentarsi solo di una metà della popolazione mondiale?»
Remus gli diede una gomitata e lo guardò piuttosto male.
«Ahi! Va bene, in realtà, Rem è l’eccezione che conferma la regola.» disse ancora Sirius toccandosi le costole.
«E soprattutto, quando avete intenzione di dirmi che state insieme?» chiese ancora James, lasciando perdere il gioco del a chi piace chi, anche perché non ci aveva mai capito un granché.
«Be’, ci stavamo lavorando…» disse Remus. «Questa tua intrusione non era prevista.»
«Ascolta James, fare coming out non è una passeggiata. Cioè sì, ma è come Pozioni: se sei portato non hai problemi, se non sei portato fai dei casini assurdi.» disse Sirius. «Preparare il discorso, fare la lista delle persone che non ti guarderanno più in faccia, quella delle persone che ci proveranno con te perché, ehi!, ora sei sul mercato…»
«È una cosa molto lunga…» continuò Remus.
«Rem…» lo ammonì Sirius rivolgendogli uno sguardo piuttosto fraintendibile.
«Ma non dovete mica scriverlo sul Profeta» disse James. «Dovevate dirlo solo a me e a Codaliscia, niente di più.»
«Dicci di te, secondo i nostri piani non saresti dovuto venire qui prima…» Remus controllò l’orologio. «prima di venti minuti.»
«Ragazzi, mi fate paura.» ammise James, facendo un passo indietro.
«Sul serio James, non scendi mai prima delle nove e mezza, perché sei qui così presto?» chiese Sirius. «Qualcosa con la Evans. Ti ha dato buca un’altra volta?»
«No.»
«Ti ha urlato contro?»
«Sirius.»
«Ti ha picchiato davanti a tutti con il libro di Storia della Magia?»
«Cosa? No!»
«E allora perché sei qui?»
«Se mi facessi parlare…»
Ma James non riuscì mai a finire quella frase, perché nello spogliatoio entrarono anche Frank, Logan Baston e il resto della squadra.
Bene, quello era decisamente strano, James era il primo a scendere e non veniva raggiunto da nessuno, nemmeno da Sirius, almeno finché non mancavano dieci minuti alla partita. Perché erano lì ancor prima delle nove e mezzo.
«Un Corvonero ti ha visto scendere, e allora abbiamo pensato di raggiungerti, James!» esclamò Frank in capo al gruppo. Negli ultimi tempi, Frank aveva fatto passi da gigante in tutti i ruoli, non solo in quello che gli spettava, cioè il Portiere. Si era detto che, essendo una riserva, se si fosse fatto male qualcun altro e non Logan, lui avrebbe comunque dovuto saper giocare.
«Meraviglioso.» disse James con finto entusiasmo.
Sirius aveva fatto bene a portare la sacca con la divisa da Quidditch con sé, prima che Remus lo raggiungesse e facessero quello che avevano fatto.
«Potremmo fare qualche giro di riscaldamento.» propose Sirius con un sorriso a trentadue denti.
«Perfetto!» esclamò Frank.
«Bene, andiamo!» disse Baston, sembrava più euforico del solito. «E, Lupin? Che ci fai qui?»
Remus spalancò gli occhi e diventò rosso nel giro di qualche secondo, Sirius trattenne le risate e James cercò immediatamente una frase con cui intervenire e trascinare Baston fuori di lì.
«Niente! Io…torno al castello. Buona fortuna!» disse, e poi corse via dagli spogliatoi più velocemente della luce.
«Mi vado a cambiare.» annunciò Sirius.
James annuì e seguì Frank in campo.
La partita iniziò mezzora dopo e finì nel giro di quindici minuti. Quella, infatti, fu probabilmente la partita più veloce che Hogwarts avesse visto negli ultimi dieci anni, e James Potter, quel giorno, era il capitano più deciso e motivato della storia.
Metà della squadra in blu doveva ancora alzarsi in volo che Will Morrison aveva già passato la Pluffa a Sirius, che volava veloce ed incontrastato verso i tre anelli nella metà di campo avversaria. I primi dieci punti furono segnati trenta secondi dopo il fischio d’inizio. Ogni volta che un Corvonero riusciva ad impadronirsi della Pluffa, Frank, che giocava come battitore dato che Celìne – alta almeno trenta centimetri in più di ogni ragazzo di Hogwarts – era a letto con la febbre, gli spediva contro un Bolide che puntualmente andava a segno.
I Corvonero fecero due sostituzioni nel giro di cinque minuti. Dopo dieci minuti dall’inizio, il punteggio era di cinquanta a dieci per i Grifondoro. Nonostante la breve durata dell’incontro, non mancarono i commenti di Gabriel Butler, Tassorosso del quarto anno.
«Clark prende la Pluffa, supera la formazione dei Grifondoro, scende in picchiata e risale alla velocità della luce. Che mossa, gente!» disse quello, urlando nel microfono. «Ma attenzione, Clark continua la sua corsa, da solo, avanti, raggiungetelo!»
Il Cacciatore Corvonero raggiunse presto i tre anelli controllati dal Portiere Logan Baston, ma prima che potesse tirare, un Bolide lo colpì in pieno, facendolo precipitare pericolosamente.
«MICIDIALE IL BOLIDE DI FRANK PACIOCK!» urlo Gabriel. «Più in basso, James Potter e Austin Krueger in una sfida all’ultimo sangue per il Boccino!»
Dagli spalti, Remus impallidì: non sapeva che Austin giocasse, non se lo sarebbe mai aspettato, di certo, non era il tipo che giocava a Quidditch. Ma quel ragazzo era strano, e su di lui Remus non aveva mai indovinato nulla.
«Rassegnati, Potter. Nessuno ha mai vinto una partita da quando sono diventato Cercatore.» gridò Austin affiancando James.
«Tu dici?» esclamò James di rimando. «Staremo a vedere.»
Più in là, Sirius non perdeva di vista Austin, si avvicinò a Frank e «Frank, dammi qua.» gli disse, alludendo alla mazza che Frank teneva in mano. Il ragazzo fece un’espressione confusa e poi gliela lanciò, avvistando un Bolide che veniva verso di loro.
Sirius prese la mazza al volo e colpì il Bolide con tutta la forza che aveva, spedendolo verso i due Cercatori.
«Sei pazzo?» gli gridò Frank osservando inorridito la scena.
«SIRIUS BLACK SCAGLIA UN BOLIDE CONTRO POTTER E KRUEGER. AMICO, CREDO CI SIA QUALCOSA SUL REGOLAMENTO A RIGUARDO.» disse Gabriel.
«Oh, e chi se ne frega!» ribatté Sirius.
Il Bolide fece esattamente quello che Sirius sperava facesse, colpì Austin e lo fece cadere a terra. James si distrasse per un attimo e perse di vista il Boccino. Era la sua occasione, maledizione!
Quando rialzò lo sguardo, il Boccino si trovava esattamente a tre o quattro metri sopra di lui. Si ricordò del patto fatto con Lily: dovevano vincere a qualsiasi costo. Allora, fece una cosa folle, in cui non era del tutto sicuro di riuscire. Si alzò bruscamente e volò in verticale finché le sue dita non si chiusero attorno alla pallina d’oro e Gabriel Butler esclamò: «JAMES POTTER PRNDE IL BOCCINO D’ORO! GRIFONDORO VINCE!»
Lily spalancò gli occhi, poi si alzò e cominciò ad applaudire insieme a tutti gli altri, ma l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che aveva perso la scommessa: tra meno di un mese sarebbe dovuta uscire con James Potter e passare tutto il giorno di San Valentino con lui.
Forse, avrebbe fatto meglio a gettarsi nel Lago Nero.
James, invece di scendere verso gli spogliatoi con il resto della squadra, ancora col Boccino in mano, si avvicinò agli spalti e poi a Lily. Si tenne in equilibrio sulla scopa e si ritrovò a guardarla negli occhi verdi, a meno di una spanna di distante dal suo naso. Le mise il Boccino davanti gli occhi e «Questo è per te» mormorò, in modo che solo lei potesse sentirlo, tra la confusione generale. «Te lo regalo.»
Lily afferrò il Boccino e lo strinse tra le dita, senza smettere di guardare James negli occhi. Ad un certo punto, il ragazzo si allontanò e lo sguardo di Lily rimase fisso nel vuoto. Il Boccino nella sua mano sembrava bruciare, ma, nonostante tutto, se lo infilò nella tasca del mantello e sperò che nessuno cominciasse a farle troppe domande, anche perché Mary e Marlene erano rimaste in dormitorio a studiare ed Alice…
«Lily! Hai visto Frank? E cosa ti ha detto James? Non è che devi raccontarmi qualcosa?» esclamò la ragazza, saltellando sul posto.
«Sì… ho visto» biascicò Lily, stordita dalla voce squillante di Alice e per quello che era successo nemmeno  un minuto prima. «James… niente, davvero. Una cosa da Caposcuola.»
Alice fece per controbattere, ma Lily si allontanò velocemente, seguendo gli studenti che stavano rientrando nel castello.
Alice, allora, per non rimanere lì da sola e immobile, fece lo stesso, sperando di poter indugiare davanti la porta dello spogliatoio e aspettare Frank.
Fu lui a raggiungerla sulle scale, proprio mentre stava scendendo, doveva essersi cambiato in fretta e furia, e il pensiero che l’avesse fatto solo per lei la fece arrossire.
«Hey, Ali!» esclamò lui per attirare l’attenzione della ragazza, non ce n’era bisogno: gli occhi di Alice erano puntati solo ed esclusivamente su di lui.
Alice gli corse incontro e si fiondò tra le sue braccia, che erano già aperte e pronte ad accoglierla, e a stringerla forte. E un attimo dopo c’era solo Frank che puzzava di sudore, ma alla fine, non è che le importasse così tanto.
Poi alzò la testa e lo baciò dolcemente sulla bocca, qualcuno dietro di lui fece una sorta di fischio, ma Frank sembrò non farci caso.
«Sei stato fantastico oggi.» sospirò lei contro le sue labbra.
«Tu lo sei sempre.» rispose lui, baciando sola ancora una volta. Lei sorrise e arrossì.
«Volevo dirti solo questo.» disse Alice.
«E io volevo dirti che ti amo.» disse Frank, guardandolo negli occhi azzurri. Alice divenne seria all’improvviso, le mani ancora sulla spalle di Frank e quelle di Frank ancora sui suoi fianchi. Lei non accennò a staccarsi e noi nemmeno. Era strano, sentirsi dire “ti amo”, era strano soprattutto se era Frank a farlo, e se lo diceva così… veramente.
«Dai, Frank, basta scherzare.» disse lei, sorridendo.
«Non sto scherzando» rispose Frank. «Sono serio. Ti amo, Alice.»
Alice non sapeva come rispondere, con “anche io”? O forse doveva solo baciarlo di nuovo? Nel dubbio, cominciò a prendere termpo. «Io… insomma, davvero, è una cosa … wow!» tentò.
Lui sorrise, prendendole la mano. «Vuoi che te lo dimostri?» La trascinò in mezzo al campo, nonostante non fosse rimasto quasi nessuno.
Tuttavia, «AMO ALICE PEWERETT!» gridò il ragazzo, riuscendo ad attirare solo l’attenzione di due ragazze. «Avete sentito, gente? Io amo Alice Pewerett!»
«Tu sei completamente pazzo!» esclamò lei, scoppiando a ridere. Il sole era stato coperto da una nuvola passeggera, e Frank vide meglio Alice, ora che la luce non lo colpiva più negli occhi. Guardarla era come guardare il cielo d’estate.
«Lo so!» esclamò Frank di rimando.
«Ed è proprio per questo che ti amo.» sussurrò Alice, abbassando la voce. Non per non farsi sentire, ma perché voleva farlo sapere solo a tutto il mondo, a tutto il suo mondo, a Frank.
 

***

 
 Sirius non credeva che avrebbe mai camminato così lentamente per sfuggire a James. Gli sembrava che i corridoi potessero muoversi e scaricarlo direttamente in Sala Comune. Per fortuna, Remus era con lui, e riusciva in qualche modo a sdrammatizzare il tutto, con battute che raramente che più o meno facevano ridere.
Appunto, più o meno.
«Si può sapere perché hai scagliato un Bolide contro Krueger?» chiese Remus, piegato in due dalle risate.
«Perché mi sta sul cazzo, semplice. E poi, James così è riuscito a prendere il Boccino.» rispose Sirius, mettendosi le mani in tasca.
«Forse dovremmo andare a vedere come sta.» buttò lì Remus.
«Perché?» gli chiese il modo, assumendo un’espressione perplessa.
«Credo si sia fatto piuttosto male.» rispose Remus.
Sirius sbuffò, a dirla tutta, non si sentiva in colpa, nemmeno un po’. Non gli dispiaceva affatto d’averlo mandato in Infermeria, se lo meritava, dopo tutto il casino che era riuscito a combinare.
«E poi, non ti vedo così entusiasta di parlare con Ramoso e Codaliscia.» aggiunse Remus.
«In effetti…» mormorò Sirius.
«Bene.» Remus lo prese per mano, scoprendola piacevolmente calda. a confronto con la sua, che era gelida.
Deviarono verso l’Infermeria, accelerando il passo. Prima o poi, avrebbero dovuto parlare con i loro amici, ma fintanto che potevano rimandare il momento…
Giunti di fronte l’Infermeria, Sirius aprì di poco la testa, osservando con attenzione la stanza: era vuota, due letti erano occupati. Forse Madama Chips era nel suo ufficio.
Un letto era occupato da Celìne, che aveva la febbre e che Frank aveva sostituito durante la partita, la ragazza dormiva profondamente; l’altro letto occupato si trovava più in là, quasi in fondo alla stanza, e sopra c’era sdraiato Austin, che aveva una fasciatura sul braccio e una in testa.
«Via libera.» sussurrò Sirius, entrò e venne seguito da Remus, che si richiuse la porta alle spalle, attento a non far rumore.
Si avvicinarono al letto di Austin in silenzio. Sirius si appoggiò al muro, vicino alla sedia dove si mise seduto Remus.
«Ehm…» iniziò Remus per poi tossire. «Krueger, ci sei?»
«Forse l’ho colpito un po’ troppo forte.» osservò Sirius, incrociando le braccia al petto.
«Black, forse sei un idiota» mugugnò Austin, aprendo lentamente gli occhi. «Non sei nemmeno un Battitore vero.»
«Vendetta personale, mi dispiace.» mormorò Sirius.
Remus guardò il suo ragazzo con gli occhi spalancati, poi gli sorrise. Sirius aveva detto veramente un “mi dispiace” più o meno comprensibile, non se l’era sognato!
«Scuse accettate» disse ancora Austin. «Anche a me dispiace.»
«Per…?» chiese Remus.
«Per aver combinato tutto quel casino. Io non sapevo che… insomma, è stato un insieme di equivoci che hanno portato al disastro.» rispose Austin con aria afflitta.
«Adesso siamo pari» disse Sirius. «Non sapevo che fossi nella squadra, Krueger.»
«Sono diventato Cercatore quest’anno.» disse Austin.
«Ecco perché…» disse Sirius ad alta voce. «Strano che non l’abbia tirato fuori per provarci con me.»
«Non avrebbe funzionato, non sono mica stupido.» ribatté Austin. «Anche tu giochi, non ti avrebbe sorpreso per niente.»
Remus scoppiò a ridere, strappando un sorriso anche a Sirius e Austin.
C’era uno strano silenzio in Infermeria, dopo una partita, solitamente, era sempre piena. Ma quella era stata talmente breve che nessuno aveva avuto il tempo di spiaccicarsi al suolo.
Tranne Austin.
Da una parte, a Remus faceva un po’ pena, nonostante gli avesse creato tanti di quei problemi.
«Quindi adesso, voi due…» iniziò Austin, rivolgendosi a Remus.
«Sì, stiamo insieme.» Sirius s’intromise prima che Remus potesse aprir bocca, poggiandogli una mano sulla spalla. Magari fosse stato così facile dirlo anche a James e Peter. Così velocemente, senza farsi troppi problemi. Forse avrebbero dovuto fare proprio in quel modo: diretto e senza intoppi.
«Uh, bene» disse Austin. «È giusto che sia così, alla fine.»
«Nessun rancore?» chiese Remus.
«Niente di niente.» rispose il Corvonero.
«Perfetto.»
«Stammi bene, Krueger, e scusa ancora per quel Bolide» Sirius si staccò dal muro. «Ah, e stracciate i Serpeverde, mi raccomando.»
«Sempre se riuscirò a muovermi, Black.»
Sirius sorrise e poi, insieme a Remus, si avviò verso le porte dell’Infermeria.
«Cel, abbiamo vinto!» esclamò alla fine, rivolto alla ragazza che, qualche letto più avanti, si era appena svegliata ed era anche piuttosto frastornata.
Remus e Sirius uscirono e Austin si ributtò sui cuscini, lasciandosi scappare un sospiro di sollievo. Era tutto finito.
Non era vero che non aveva più nessun rancore, a lui Sirius piaceva ancora, ma non poteva più farci niente, se non provare a dimenticarlo e convincersi che, ormai, quella era una partita irrecuperabile. «Puoi uscire di lì.» mormorò.
Dalla tenda bianca, uscì fuori Rita Skeeter, che era venuta a trovare Austin poco tempo prima che arrivassero i due ragazzi, allora era nascosta non appena aveva sentito dei passi fuori dalla porta. «Devo ancora capire perché ti sei nascosta.» brontolò il ragazzo.
«Quei due mi odiano...» rispose Rita, arricciandosi un boccolo biondo tra le dita.
Austin avrebbe voluto dire che, sotto sotto, sarebbe stato impossibile che non la odiassero, dopo tutto quello che aveva fatto. Poi si rese conto che era tutta colpa sua, perché aveva fatto diventare Rita un’inconsapevole complice del suo piano per conquistare Sirius, che era fallito miseramente.
«Vieni qui...» mormorò alla fine, e Rita abbracciò il suo amico senza fingere niente, senza complottare nulla. Era solo felice che qualcuno la vedesse com’era veramente.

 

 
 

 
 

NdA: Saaaaalve mondo! Come promesso, oggi è sabato ed ecco a voi il nuovo capitolo. È uscito totalmente diverso da come volevo io. Odio la parte dello spogliatoio ma non sono riuscita a cambiarla, avrei voluto usare altri termini e descrivere la cosa in modo diverso, ma quando sono andata lì per modificarla nel mio cervello volavano balle di fieno. Il finale doveva essere diverso, praticamente... lei doveva uscire dalla tenda con un sorriso che non prometteva nulla di buono, ma non avrei saputo cosa farle fare e ho deciso che, in fondo, anche Rita Skeeter ha dei sentimenti e che è ora di cominciare a mostrarli. Okay, comunque sia, questo capitolo non è uscito fuori come volevo e già dal titolo scontatissimo lo si può capire. L'unica parte che mi piace è la partita e Sirius che tira un bolide ad Austin, anche se Austin comincia a farmi pena e credo che prima o poi mi farò perdonare da lui çwç perdonatemi anche voi, spero di rifarmi con il prossimo, che ho già qualche bella idea in testa. Non dimentichiamoci che prima di San Valentino c'è qualche altro compleanno in vista ;)
Ora, passiamo alla parte più bella, ossia quella dei ringraziamenti: ringrazio tutti quelli che seguono/ricordano/preferiscono questa storia, chi legge in silenzio e chi ha recensito lo scorso capitolo: xKikka, jale90, AriPotterJackson01e adlimat
Spero che questo capitolo sia stato almeno decente e non così schifodo da far volare le bandierine bianche e rosse. Per il prossimo aggiornamento: se ci riesco aggiorno giovedì ma dato che sabato ho un concerto e devo andare fino a Milano, e per questa settimana sarò così esaltata da non riuscire neanche a dormire, non vi prometto niente. Se non ci riesco nemmeno venerdì, forse ci sentiamo domenica pomeriggio, sperando di non essere abbastanza distrutta.
In ogni caso, lo dirò su Facebook, quindi se volete aggiungetemi che non mordo xD
E non morde nemmeno l'editor per le recensioni, fatemi sapere cosa ne pensate! :3
Bacioni,
Marianne


 

 
 

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Capitolo 21
*** In discesa. ***



 

 

CAPITOLO 20 – IN DISCESA.
 

Lily, quella notte, non riuscì a dormire bene. Era passata una settimana dalla partita, e il Boccino regalatole da James era ancora dentro la tasca del mantello. Aveva paura di perderlo e sapeva che era al sicuro, lì dentro.
James non le aveva ricordato troppe volte il fatto di dover uscire insieme a San Valentino, almeno non quanto Lily aveva immaginato, e la cosa era abbastanza positiva.
Nonostante tutto, più passavano i giorni, più l’uscita con James sembrava paradossalmente allontanarsi, anziché avvicinarsi. Ma quella notte – o quella mattina, dipende dai punti di vista – Gennaio finiva ufficialmente. E così iniziava Febbraio, il mese del sole freddo e degli innamorati; il mese delle maschere e del divertimento. Da bambina, Lily adorava il carnevale: si travestiva sempre diversamente dalle altre ragazzine, con dei vestiti non comprati in qualche negozio ma che sua mamma cuciva appositamente per lei.
Aveva sempre  voluto partecipare al Carnevale. A quello di Venezia, magari, oppure a Rio de Janeiro, dove a Febbraio faceva caldo e sembrava di stare in vacanza.
Si chiese se, una volta finito quel mese, non avesse dovuto tirar giù la propria maschera ed essere finalmente se stessa.
La ragazza che aveva dimenticato Severus.
La ragazza che andava finalmente in discesa, che correva veloce come il vento, perdendosi qualche dettaglio nella corsa.
La ragazza che non era forte come voleva far credere e che accettava finalmente la mano di James per rialzarsi in piedi.
Guardò fuori dalla finestra, il cielo si era appena tinto di un blu chiaro, tempestato ancora di qualche stella.
Tutte le sue compagne di dormitorio riposavano tranquillamente. Si alzò e si mise seduta sul letto, poi gattonò fino al bordo, aprì il baule e tirò fuori il mantello. Mise una mano nella tasca e prese il Boccino che le aveva dato James. Era freddo al tatto, ma più lo stringeva, più diventava caldo, era una bella sensazione.
Si rimise sotto le coperte, con il Boccino stretto nella mano destra, poggiata sul petto, all’altezza del cuore. Si addormentò pochi minuti dopo, con un sorriso sulle labbra.
Così iniziava il Febbraio di Lily, con il viso di James Potter impresso nella mente.
 
Il mattino dopo, si svegliò perché Marlene le urlava nelle orecchie e Mary la scuoteva per le spalle.
«Finalmente!» esclamò Marlene. «Alice era già pronta a tirarti un secchio d’acqua gelata in testa.»
Lily si alzò a sedere sul letto, grattandosi la testa mentre cercava di mettere a fuoco i volti delle sue due amiche, il tutto mentre si scompigliava ancor di più i capelli.
«Uh, perché mi avete svegliata?» si ributtò sul letto e si coprì fin sopra la testa. «È domenica.»
«Sì, ma è quasi mezzogiorno.» disse Mary.
«Lils, perchè hai un Boccino tra le lenzuola?» domandò Marlene, afferrando il piccolo oggetto dorato e rigirandoselo tra le mani per osservarlo meglio.
Lily inizialmente, sembrò non capire, poi vide il luccichio del Boccino e «Dammelo!» esclamò strappandoglielo di mano.
«Non pensavo ti interessasi di Quidditch, adesso.» osservò Marlene.
«Infatti, non mi interessa il Quidditch.» ribatté Lily.
«Solo un malato come James Potter dormirebbe insieme ad un… oh» disse Marlene, poi si fermò e puntò il suo sguardo verso il vuoto, come avesse avuto una specie di illuminazione. «James Potter.» ripeté, cominciando ad annuire.
«Marly, mi fai paura.» ammise Mary, mettendosi seduta sul suo letto, già rifatto.
«Alice» disse Marlene ignorando quello che aveva detto Mary. «Cos’è successo alla partita?»
Alice si avvicinò saltellando al letto di Lily, la guardò ma non fu intimidita dallo sguardo furioso della rossa che sembrava dire: non azzardarti a dire una parola o ti polverizzo.
«Dopo aver preso il Boccino, Potter è volato vicino agli spalti, si è avvicinato a Lily e le ha detto qualcosa» disse Alice sorridente. «Ora, suppongo che le abbia dato quello.» aggiunse, indicando il Boccino che Lily teneva in mano. Lily arrossì come un peperone fin sopra le orecchie e si rimise le coperta in testa.
«Non gliel’ho mica chiesto io!» protestò, la sua voce, da sotto il piumone era ovattata e buffa, simile a quella di una bambina capricciosa. «Ha fatto tutto lui!»
«Ciò non toglie che tu abbia dormito con qualcosa che James Potter ti ha dato invece che buttarlo dalla finestra come ci si aspetterebbe da te.» s’intromise Mary.
«Ma io…»
«Quindi, è come se avessi dormito con James Potter.» concluse Marlene.
Lily le tirò il proprio cuscino in faccia, poi appoggiò il Boccino sul comodino, sperando di ritrovarcelo ancora, una volta giunta la sera. Forse avrebbe dovuto rimetterlo nel mantello…
«Marlene.» sibilò Lily, riservandole un’occhiata tagliente.
«Va bene, non mi permetterò mai più di dire queste eresie di fronte a te, che sei palesemente cotta di Potter e non vuoi ammetterlo.» continuò la bionda, alzando le mani, colpevole. Mary scoppiò a ridere e così Alice.
«Non siete divertenti, davvero.» continuò Lily, alzandosi finalmente dal letto.
«Tra poco noi scendiamo a pranzare, vieni con noi?» chiese Alice, cambiando argomento. Conosceva Lily: se si cominciava a scherzare troppo alla fine si arrabbiata, ed era meglio non vedere Lily Evans arrabbiata.
Non era decisamente una bella cosa.
 
 

***

 
James Potter non si era mai sentito così idiota in vita sua.
Non si era nemmeno accorto che due giorni prima era stato il compleanno di Lily, della sua Lily. Avrebbe voluto prendersi a calci in faccia da solo: era stato senza far nulla per una settimana e non aveva nemmeno pensato a cosa regalarle. Si sarebbe rifatto a San Valentino, dopotutto, avrebbe avuto ben due settimane per tirare fuori qualche idea. Gli era sembrato fin troppo strano che le sue amiche non fossero già andate a dire a mezza scuola della festa megagalattica che avrebbero organizzato per lei.
Le ultime parole famose…
Infatti, mentre stava tranquillamente camminando per i corridoi, verso la Sala Grande, fu afferrato per entrambe le braccia. Mary e Marlene avevano una presa d’acciaio e lo stavano trascinando verso il bagno delle ragazze, senza un apparente motivo.
James sentì di star per diventare una vittima sacrificale per qualche strano rito da donne.
«Lasciatemi immediatamente.» disse James, mentre vedeva la porta chiudersi.
«Altrimenti?» domandò Mary, che aveva i lunghi capelli neri raccolti in una coda alta.
«Non ti metterai mica a strillare come una ragazzina…» disse Marlene.
«Volete stuprarmi o cosa?» chiese James.
«Merlino, no! Non essere ridicolo.» esclamò Marlene, dandogli uno schiaffo sul braccio.
«Hey, qui c’è molta meno puzza» osservò James. «E avete gli specchi! Questa è discriminazione.»
Mary sbuffò. «Se voi ragazzi non pisciaste sul pavimento…»
«Comunque,» intervenne Marlene. «Stasera. Stanza delle Necessità. Festa di Lily.»
«È un invito?» chiese James.
«Sì, ma tu sei un invitato speciale. Ci servi per confermare le nostre teorie.» rispose Mary.
«Siete delle opportuniste.» sibilò James.
«Stai zitto, Potter» lo rimbeccò Marlene. «Interessa anche a te.»
«Prego?»
«Sei stato tu a dare il Boccino a Lily, la scorsa settimana, no?» chiese ancora Marlene, spingendolo contro il muro del bagno.
«Sì ma… voi come fate…?» chiese James confuso.
«Stasera devi arrivare tardi» disse Mary. «La festa inizia alle otto e mezza, subito dopo cena.»
«A che ora devo arrivare, di preciso?»
«Un’ora di ritardo basterà.»
James annuì, risistemandosi gli occhiali sul naso, poi Mary e Marlene uscirono dal bagno e lo lasciarono lì senza aggiungere altro. Avrebbe fatto meglio ad andarsene, prima che lo spedissero dalla McGranitt.
Quella era una delle tante cose che facevano sentire James stupido: essere invitato ad una festa e doversi presentare un’ora dopo, solo perché due ragazze macchinavano chissà cosa per provare chissà quali assurde teorie.
Era ancora piuttosto scosso per essere stato trascinato a forza nel bagno delle ragazze; si risistemò il cravattino e continuò la sua discesa verso la Sala Grande, anche perché cominciava ad avvertire un fastidioso brontolio provenire dal suo stomaco.
Una volta entrato, la trovò più gremita del solito. Alcune persone erano accalcate ai tavoli, altre si alzavano e viaggiavano da un tavolo all’altro, era il caos più totale. Se possibile, era anche peggio della battaglia di polpette che si era svolta lo scorso Ottobre. James aveva finito per pulire la Sala Grande – a mano! – insieme a Lily e Piton, anche se stata tutta colpa della McKinnon, che l’era svignata prima di tutti.
Prese posto al tavolo dei Grifondoro, accanto a Sirius, che era intento a strafogarsi con uno spiedino di carne.
«Hey, Felpato.» mormorò James.
«Hey, Ramoso.» rispose Sirius con la bocca piena.
«Dove hai lasciato Remus?» gli chiese James, vedendo cosa prendere da mangiare. Sirius, vicino a lui, tossì come si stesse per strozzare, divenne rosso in faccia e rischiò di sputare tutto quello che aveva in bocca nel proprio piatto.
«Biblioteca» rispose, quando assunse di nuovo un colorito normale. «Quel posto non fa per me.»
James rise divertito. «Sai, comincio a preoccuparmi per gli esami» confessò. «Insomma, sono i M.A.G.O., c’è da mettersi sotto.»
«Puoi cominciare a disperarti da domani, stasera c’è la festa della Evans.» disse Sirius.
«Sei stato invitato?» domandò James.
«Ero con Peter e Rem, poi è arrivata Marlene e l’ha detto a Peter. Ha guardato noi e credo che ci abbia invitati solo perché altrimenti sarebbe stata molto scortese.»
«Comunque,» iniziò James, cercando Lily con lo sguardo, la trovò seduta in fondo al tavolo, vicino ad Emmeline Vance. Compagnia strana per Lily, ma James pensò che le altre fossero troppo impegnate ad invitare tutti alla festa. «credo sia una festa a sorpresa.»
«Ma non mi dire!» esclamò Sirius.
«Mi hanno detto che devo arrivare un’ora dopo l’inizio.» disse James, prendendo uno spiedino dal vassoio.
«E perché?» domandò Sirius.
«Mary e Marlene. Valle a capire…» borbottò James.
«Ti lascio con la tua donzella» disse Sirius, indicando Lily che si stava dirigendo verso di loro. «A dopo.»
Sirius si alzò, lasciando il posto libero, che fu quindi occupato da Lily.
«Ciao, James.» esclamò lei radiosa. James sorrise, non l’aveva mai vista così bella, così solare, così… luminosa, ecco.
«Ciao a te, Lily.» rispose James educatamente. Se voleva conquistarla doveva darsi una mossa e cominciare ad essere più gentile e meno egocentrico, meno esuberante. Meno se stesso, ma per Lily, avrebbe fatto questo ed altro.
«Sono venuta a dirti che il quattordici devi essere puntuale: alle dieci in Sala Comune.» disse Lily.
«Sarò un orologio svizzero.»
«Meglio per te, odio chi arriva in ritardo.» sospirò la ragazza. James non ribatté e la guardò negli occhi per qualche secondo. Era uno di quegli sguardi in cui, prima o poi, l’altra persona si sarebbe ritrovata ad abbassare gli occhi. Lily, invece, sostenne lo sguardo e poi scoppiò a ridere, seguita a ruota da James.
Poi si alzò e uscì dalla Sala Grande. James rimase a fissarla finché non sparì dietro l’angolo.
Si sentiva contento: lei era venuta a parlargli di sua spontanea volontà dell’appuntamento, e gli era sembrata anche piuttosto entusiasta della cosa. Poi, gli venne in mente quello che gli aveva detto pochi minuti prima: “odio chi arriva in ritardo”
E lui, quella sera, sarebbe dovuto arrivare un’ora dopo l’orario prefissato.
Però, preferiva far arrabbiare Lily  – oltretutto, lei all’oscuro della festa, quindi teoricamente non avrebbe dovuto nemmeno arrabbiarsi – che essere linciato vivo da quelle due pazze: se erano state capaci di trascinarlo nel bagno delle ragazze, erano capaci di tutto.
 

***
 

Quando Mary si metteva di fronte ad un armadio, specialmente se non era il suo, nessuno poteva sfuggirle: Lily, quella sera, non fu da meno. Marlene la fece sedere sul letto e Mary svaligiò il suo armadio – letteralmente, tant’è che Lily se ne uscì con un «Se non mi rimetti tutto a posto giuro che ti crucio, Mary MacDonald.» – e dopo una lunghissima ricerca, riuscì a trovare un vestito più o meno decente. Be’, più meno che più, a dirla tutta.
«Questo è l’unico vestito che hai?» chiese Mary scioccata, mostrando il vestito verde, lungo fino a terra con delle maniche improponibili, avrebbero dovuto denunciare lo stilista solo per quelle.
Lily si strinse nelle spalle. «Non metto molti vestiti…» mormorò imbarazzata. «Mia madre dice che si intona con i miei occhi.»
«No, è diverso: questo è proprio uguale ai tuoi occhi.» intervenne Marlene.
«Dobbiamo intervenire.» annunciò Mary, riponendo il vestito nell’armadio. Marlene annuì. «Immediatamente.»
«Mary, uno dei tuoi vestiti che possa stare bene a Lily, presto» disse Marlene, alzandosi dal letto. «Io penserò ai capelli.» aggiunse con una pericolosa luce negli occhi.
Lily se lo sentiva, sarebbe rimasta calva.
«Ma… a voi non pensate?» chiese Lily. «Uffa, non sapevo niente di questa festa di Lumacorno!»
«Be’, ora lo sai e devi venire con noi. Sei la sua studente migliore, se non ti presenti ne rimarrà molto deluso.» esclamò Marlene. La fece sedere su una sedia e Lily chiuse gli occhi, sbuffando un’ultima volta.
Sarebbe stata una lunghissima serata.
 
Quarantacinque minuti e molto proteste dopo, Lily aveva dei boccoli rossi al posto dei suoi soliti capelli a forma di spaghetti informi, del rossetto sulle labbra – rossetto! – e due linee nere sulle palpebre che Marlene era riuscita a fare perfettamente uguali dopo mezza boccetta di detergente magico e innumerevoli imprecazioni, abbastanza da far impallidire la McGranitt.
Mary era seduta sul suo letto, indossava già il suo vestito: bianco con una cintura nera sotto il seno, scarpe nere e i capelli legati in una cipolla un po’ disordinata ma comunque elegante. Sulle ginocchia, teneva il vestito che avrebbe indossato Lily.
Mary ci aveva messo un po’ a sceglierlo, lei adorava i vestiti e ne aveva tantissimi, solo che doveva trovarne uno adatto a Lily, perché quella doveva essere una serata perfetta e come tale, Lily doveva essere altrettanto perfetta.
Quando Lily si vide finalmente allo specchio, con il vestito addosso e i capelli perfettamente curati, credette di essere posseduta da non sapeva quale creatura.
Non sembrava lei, anzi, forse Mary le aveva lanciato qualche strano incantesimo, oppure Marlene le aveva trasfigurato la faccia, non c’erano altre spiegazioni plausibili.
Indossava un vestito color rosa antico, a mezze maniche, che arrivava fino a metà coscia. Decorato con dei merletti sul corpetto, la gonna ricadeva a pieghe lisce a stile impero, subito sotto una cinta marrone non tropo spessa.
«Io non ci vado in giro vestita così.» affermò Lily mettendosi le mani suoi fianchi, Mary sbuffò e Marlene si passò una mano nei capelli.
«Sì che ci andrai.» ribatté la bionda. «Stai benissimo.»
«Stavo benissimo anche con i miei jeans.» borbottò Lily.
«Scordatelo. Anche Marlene si è messa una gonna.» disse Mary risoluta.
«Hey!»
«Quella non è una gonna, è un pezzo di stoffa. A Lumacorno verrà un infarto!» esclamò Lily.
«Senti, Lily, devi solo fidarti di noi, okay?» disse Marlene.
«Non è mai andata a finire bene quando mi sono fidata di voi» ribatté Lily. «Ti ricordi quella volta, al terzo anno, quando stavamo per essere sbranate da un Acromantula?»
«Quella è storia vecchia. Ora non abbiamo più tredici anni e una cotta per Thomas Parker.» rispose Marlene.
«Siamo pronte?» chiese Mary, intromettendosi tra le due. Marlene si sistemò il maglione rosso e allacciò gli anfibi. «Prontissime.»
«Scusa tanto, Lily.» mormorò allora Mary. Lily non capì, poi un fascio di luce rossa la colpì in pieno e lei perse i sensi.
Quando si svegliò era certa solo di una cosa: quello non era il party organizzato da Lumacorno. Era tutto buio e non riusciva a vedere ad un palmo dal naso. Era sdraiata su quello che sembrava un letto, solo dopo aver sbattuto il braccio contro una superficie morbida, capì di essere su un divano.
Si alzò a sedere e «Ragazze?» mormorò impaurita, chiedendosi che fine avessero fatto Mary e Marlene, poi ricordò: Mary l’aveva schiantata.
Allora, la stanza si illuminò: Lily assottigliò gli occhi per abituarsi alla luce e annotò qualche particolare, come cibo, bevande, uno striscione appeso alla parete, e alla fine, decine di ragazze spuntati fuori dal nulla che urlavano: «Sorpresa!»
Lily si portò una mano alla nuca, non sapeva cosa dire, era veramente sorpresa. «Ehm…» iniziò. «Wow!»
Ora sì che si sentiva stupida, quale razza di persona diceva “Ehm, wow!” dopo aver scoperto che le avevano organizzato una festa a sorpresa? – e l’avevano schiantata per portarcela.
«Che te ne pare, Lils?» le chiese Mary, spuntando dalla folla e mettendosi seduta accanto a lei.
«Fantastico.» esclamò in risposta. «Grazie, Mary!»
«Ti stai dimenticando di me.» si lamentò Marlene, sedendosi alla destra di Lily.
La rossa le abbracciò entrambe. «Siete le migliori amiche che si possa avere» disse, con le guance già rosse. «Avete invitato un sacco di gente!»
«Tutte le tue conoscenze.» concordò Marlene.
Lily perquisì la stanza con lo sguardo, intanto dalle pareti proveniva una canzone delle Sorelle Stravagarie, grazie a chissà quale incantesimo.
«Anche Thomas Parker!» squittì Lily. Marlene scoppiò a ridere.
«Già, in memoria dei vecchi tempi.»
«Dov’è James?» chiese Lily. «Lo avete invitato?»
Mary e Marlene si scambiarono uno sguardo complice, poi la mora disse: «Certo! Solo che non l’ho ancora visto da nessuna parte.»
«Perché ce lo chiedi?» le domandò Marlene curiosa.
«Curiosità.» mentì Lily. Successivamente, la rossa si alzò dal divano e si infilò nella mischia, per parlare con qualcuno.
«Marlene McKinnon, il nostro piano è ufficialmente iniziato.» sibilò Mary.
«Puoi dirlo forte, collega.» Le due ragazze si diedero il cinque e decisero di aspettare il tanto arrivo di James Potter.
 

***

 
«Rem, mi sto annoiando a morte.» si lamentò Sirius, appoggiato al muro, con un bicchiere di burrobirra in mano.
Remus era vicino a lui, con un piattino dove c’erano due zuccotti di zucca. «Personalmente, avrei trovato un modo migliore di impiegare il tempo.» disse Remus.
Sirius appoggiò la testa sulla sua spalla, nonostante Remus fosse poco più basso di lui. «Ne ho già in mente uno…»
Remus sorrise quando Sirius girò la testa e strofinò il naso contro l’incavo del suo collo, facendogli il solletico.
«Dai, non qui.» gli sussurrò Remus. Sirius si fermò all’istante, cercando di non rimanerci troppo male, ma conosceva Remus e i suoi piccoli problemi sulla sua identità, già nascondere di essere un lupo mannaro non era facile per lui, se si aggiungeva anche quello…
Eppure, Sirius lo sapeva che non era una cosa da nascondere, e sapeva anche che c’erano persone a cui avrebbe fatto meglio a tenerlo nascosto, quindi non disse niente. Semplicemente, si staccò da lui e tornò ad appoggiarsi con la schiena al muro.
«Scusa.» mormorò Remus.
«Va bene» disse Sirius. «Non ti preoccupare.»
«Davvero. Mi dispiace.» ribatté, e prima che potesse aggiungere altro, Sirius lo prese per mano e lo portò in un angolo della stanza, dove non c’era nessuno. Fosse stato per lui, avrebbe potuto farlo anche lì, in mezzo a tutti gli altri, ma non voleva mettere Remus a disagio. Gli prese il volto tra le mani e lo guardò negli occhi. Sospirò, prima di parlare.
«Rem, va tutto bene. Te lo assicuro, non hai niente di cui essere dispiaciuto» gli disse Sirius. «So che non sei pronto e rispetto la tua scelta. Okay?»
Remus rimase senza parole per qualche secondo e poi sorrise. Sirius rimase confuso per un momento, non l’aveva mai visto sorridere in quel modo così… genuino, così dolce. Come se stesse pensando ad un vecchio e felice ricordo.
«Vieni…» mormorò Remus, trascinò Sirius in mezzo a tutti gli invitati, nella pista di ballo dove stava ballando così tanta gente che, si disse Remus, nessuno avrebbe fatto caso a loro. E anche se ci avessero fatto caso, be’, a quel punto non importava molto.
«Non mi starai trascinando a ballare, vero? Remus, io…» iniziò Sirius.
«È proprio quello che sto facendo, quindi stai zitto.» rispose Remus, gli brillavano gli occhi. Era circondato da una marea di gente che non conosceva, che dopo Hogwarts, forse, non avrebbe rivisto mai più. James non c’era. Peter era sparito. Di Lily e le altre non gliene importava poi così tanto, quindi, mentre Sirius si guardava attorno con circospezione, quella frazione di secondo in cui guardò Remus invece che le persone attorno a loro, bastò per far sì che Remus si alzasse sulle punte quel che bastava per baciare Sirius.
E allora, tutto sembrò svanire. La musica, la gente, gli schiamazzi. Non cera più niente. C’era solo la sorpresa, e poi l’abbandono, la sensazione di non poggiare i piedi sul nulla, di trovarsi tra le stelle e di non respirare nemmeno. Perché non si lasciavano un filo d’aria da respirare, perché non era importante respirare, quando le loro labbra si incastravano perfettamente.
Sirius riaprì gli occhi solo dopo aver avvertito Remus allontanarsi, e lo vide con uno sguardo spaesato e le guance rosse, sorrise, ed ebbe la tentazione di baciarlo un’altra volta, però, si limitò a portarlo con sé nell’angolino di prima, e rimasero ad osservare la festa, che non era cambiata per niente. Nessuno aveva fatto caso a loro e tutti avevano continuato a comportarsi normalmente.
Stavolta, quando Sirius si appoggiò alla spalla di Remus, lui lo lasciò fare.
«Ora è tutto più divertente, non trovi?» mormorò Remus.
«Assolutamente sì.»
Rimasero così per qualche minuto, prima che la voce squillante di Lily Evans perforasse le loro orecchie, facendoli rizzare in piedi.
«Remus, Sirius, voi lo sapete sicuramente.» esclamò, avvicinandosi ai due ragazzi.
«Sapere cosa, Evans?» chiese Sirius, mettendosi le mani in tasca.
«Dov’è James?» chiese, rivolta ad entrambi.
«Non è qui?» Remus aggrottò le sopracciglia e si allontanò impercettibilmente da Sirius.
«No.» ribatté la rossa, sospirando sconsolata.
Uno strano luccichio attraversò gli occhi di Sirius che «Forse si è dimenticato, a volte fa così, James.» disse prontamente, ignorò la gomitata di Remus e rimase a fissare la Evans, in attesa che cominciasse a dare di matto.
Che James fosse cotto di lei, be’, quello lo sapeva. Era giunto il momento di verificare se anche Lily lo fosse di James.  Allora, lì ci sarebbe stato da divertirsi.
«Okay» sospirò la ragazza. «Grazie.»
«Figurati, Evans!» esclamò Sirius.
Lily accennò un sorriso e sparì, dirigendosi verso le sue amiche.
«Sirius, ho una domanda.» disse Remus, sospirando.
«Dimmi.» rispose Sirius. Remus gli si avvicinò di nuovo e gli mise un braccio attorno alle spalle.
«James è in dormitorio ad aspettare di poter arrivare in ritardo, però… dove si è andato a cacciare Peter?» chiese Remus, girandosi verso Sirius.
Sirius lo guardò, aggrottando le sopracciglia.
«Non ne ho idea.»
Peter, in realtà, si trovata esattamente dalla parte opposta della stanza. Non aveva ancora trovato la scusa perfetta per parlare con Marlene, dato che lei, ogni volta che lui si girava a guardarla, stava parlando con qualcun altro.
Non riusciva mai a trovare il momento giusto per avvicinarsi a lei, per un attimo avrebbe voluto essere James, oppure Sirius, che riuscivano a fare tutto quello che volevano con assoluta disinvoltura, senza farsi troppi problemi.
Si sistemò la camicia per la quarantesima volta, fece un grande respiro e poi, finalmente la vide da sola, al tavolo del buffet, intenta a scegliere cosa prendere da mangiare. Fu allora che smise di avere il controllo su di sé e che le sue gambe cominciarono a muoversi da sole. Quando la raggiunse, deglutì prima di parlare.
«Hey, Marlene!» le disse, Marlene si voltò e guardò Peter. Gli sorrise, lasciando perdere il piattino che aveva in mano.
«Peter, ti stavo cercando prima, sai?» esclamò Marlene, poi si fiondò ad abbracciarlo, e Peter arrossì fin sopra le orecchie.
Maledizione!
«Davvero?»
«Sì, però credo di aver inviato troppa gente a questa festa.» disse Marlene, sorridendo innocentemente.
«Secondo me vanno bene, insomma, sono amici di Lily, no?» disse Peter.
«Be’, non tutti» rispose Marlene roteando gli occhi. «Molti di loro sono amici miei.»
Peter pensò al ragazzo Corvonero del settimo anno, quello alto il doppio di lui, con gli occhi grigi e i capelli biondi. Con due spalle da far paura e sicuramente degli addominali perfetti sotto la camicia. Allora gli venne voglia di sotterrarsi, perché era ovvio che in confronto agli amici di Marlene, lui era il meno affascinante di tutti. «Ah.» si limitò a dire, senza entusiasmo.
«Però adesso non mi daranno fastidio, credo» aggiunse Marlene. «Ti stai divertendo?»
«Molto.» rispose Peter, annuendo energicamente.
«Non sei bravo a dire bugie, Peter! Avanti…» lo rimbeccò Marlene.
«Ora che sono con te, mi sto divertendo molto» disse Peter, guardandola negli occhi. Marlene sorrise a arrossì un poco. «Insomma, io…»
«Ti sta bene, questa camicia.» disse Marlene, spostandosi i capelli dietro l’orecchio.
«E a te sta bene questa gonna.» ribatté Peter.
Marlene rise. Stava per trascinarlo in pista quando Lily s’intromise tra i due.
«Scusatemi tanto, ragazzi, ma… Marly, ho bisogno di parlare con te.» disse Lily mettendo una mano sulla spalla dell’amica.
«Adesso?»
«Adesso.»
«Okay, dimmi.»
Lily non si curò minimamente del fatto che Peter fosse lì, poteva anche ascoltare, non avrebbe fatto alcuna differenza. Fece un bel sospiro, cercando di apparire calma, cosa che non era affatto. Perché tutti sapevano che quando Lily Evans sospirava, di lì a poco sarebbe scoppiato un putiferio.
E poi «VUOI SPIEGARMI PERCHE’ JAMES POTTER NON CI HA ANCORA DEGNATI DELLA SUA PRESENZA?» urlò, attirando l’attenzione di non poca gente. Mary si voltò preoccupata verso di lei, così come Sirius, Remus ed Alice, a cui scivolò il bicchiere di mano; Marlene rimase di sasso, cercando le parole giuste da dire.
Nel trambusto generale, nessuno si era accorto che la porta della Stanza delle Necessità si era aperta e poi richiusa con un cigolio, e che James Potter era appena entrato, ascoltando ogni singola parola.
«Sono proprio qui, Evans, mi cercavi?» domandò ad alta voce, con il suo solito tono che Lily odiava e amava allo stesso tempo. Le mani in tasca, la camicia nera fuori dai jeans e i primi due bottoni lasciai aperti. Lily si voltò verso di lui e avvampò: aveva appena fatto la figura della perfetta idiota.

 

 
 

 
 

NdA: Scusate il ritardo, Sono una brutta persona e ne sono perfettamente consapevole. Dovevo aggiornare ieri, ma in due giorno ho dormito sei ore in totale HAHAHA. In compenso il concerto è stato bellissimo e voglio ritornare lì a Milano perché mi mancano già çwç Anyway, ecco qui il capitolo 20 (OMG, SONO GIA' ARRIVATA FIN QUA?) che emozione! *w* Sapete, ho scritto il primo pezzo del capitolo e poi mi sono detta "Cazzo, ho saltato il compleanno di Lily", ma ecco l'idea banalissima e scontatissima della festa a sorpresa, ma Mary e Marlene sono furbe e le uniche persone con un po' di sale in zucca, che non hanno perso la testa per un ragazzo. Quindi, alla fine, le nostre protagoniste in questo capitolo sono loro ehehe. 
Scusate lo sclero, ma sono ancora gasatissima AHAHAH.
Che ne pensate? Lily ha dato di matto perché James non era alla festa ma, OPS, lui l'ha sentita. Sono un'autrice strana a cui piacciono le persone che origliano e i colpi di scena. Diciamo che questo è stato una sorta di capitolo di passaggio, e mi scuso ancora per il ritardo. Il prossimo arrverà presto, lo giuro! Tanto d'ora in poi sarò in casa a far niente uwu
Ringrazio di cuore  AriPotterJackson01 e Fallen_Angel98 che hanno recensito lo scorso capitolo, e   Bells1989,  londra22 e stupidnephilm che hanno recensito il capitolo 18! :)
Spero che questo vi sia piaciuto! ♥
Baci,
Marianne



 

 
 

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Capitolo 22
*** Eccezioni ***



 

 

CAPITOLO 21 – ECCEZIONI.
 

C’erano dei momenti in cui Lily Evans avrebbe preferito una morte lenta e dolorosa, oppure gettarsi nel Lago Nero d’inverno per poi annegare o morire per ipotermia, ammesso che non si fosse sfracellata sul ghiaccio, prima. Tutto, piuttosto che esistere e fare delle colossali figure di merda.
Quello, con tutti gli invitati a fissare prima lei e poi James Potter, che esibiva un sorrisetto tanto irritante quanto irresistibile, era esattamente uno di quei momenti.
“Sono proprio qui, Evans”. Lily l’aveva trovato a dir poco patetico, era una delle solite frasi alla Potter.
Tempo prima, James le aveva detto di calare la maschera. Ora, Lily non capiva chi, tra loro due, avrebbe dovuto mostrare la sua vera identità.
Ma la cosa peggiore era che Lily non aveva idea di come comportarsi: era felice che James fosse finalmente arrivato, ovviamente, ma non poteva di certo correre verso di lui e gettarsi nelle sue braccia – a parte il fatto che, se avesse corso con quei tacchi ai piedi, molto probabilmente si sarebbe spiaccicata sul pavimento prima di poter fare qualsiasi altra cosa. 
Merlino, no!
Lily non si mosse, bensì sbuffò e incrociò le braccia al petto. «Be’, era anche ora, Potter» disse, guardandolo negli occhi. «Non ti hanno mai detto che si arriva in orario a degli eventi?»
«Oh, sì! Ma vedi, Evans, io mi faccio desiderare.» ribatté James.
Bene, era solo la seconda frase che diceva e Lily si trovava già in difficoltà; e dire che discutere con James in pubblico era la sua specialità.
«Inoltre,» aggiunse James. «mi sembra proprio di aver raggiunto il mio obiettivo.»
«Stai interrompendo la mia festa, James» disse Lily, e James, solo da fatto che l’avesse chiamato per nome, capì che non era veramente arrabbiata con lui. «Smettila di fare il gradasso.»
Detto ciò, Lily si girò e la festa ricominciò come se nulla fosse. James era rimasto lì, in piedi. Dopo un po’, cominciò ad addentrarsi tra la folla: Remus e Sirius in un angolo a ridere come matti, con le guance rosse e gli occhi lucidi, James diede la colpa alla bottiglia di Idromele vuota, poggiata su una sorta di tavolino vicino a loro; Peter, il piccolo Peter, a chiacchierare con Marlene. Poi, il suo sguardo andò a posarsi su Lily, bellissima, quella sera – non che le altre sere non lo fosse, ovvio, solo che quella sera era diversa.
Le si avvicinò, mettendosi seduto accanto a lei. Lily si voltò a guardarlo, si sentiva meglio ora che c’era James: il nervosismo era sparito e si sentiva decisamente più serena. Buffo a dirsi, dato che era diventata nervosa proprio per colpa sua.
«È la tua festa. Perché sei qui tutta sola?» le chiese James.
«Non mio trovo molto a mio agio, alle feste» rispose Lily, abbassando lo sguardo. «Soprattutto a quelle così grandi… ma non voglio deludere Mary e Marlene, hanno fatto tanto per me.»
James rimase in silenzio, con i gomiti poggiati sulle ginocchia. «Però, » iniziò il ragazzo. «dovresti divertirti, ora hai diciotto anni!»
«Wow… ora ho diciotto anni.» ripeté Lily, con scarso entusiasmo.
«Hey, ora sei ufficialmente più grande di me» disse James. «Devo raggiungerti.»
Lily scoppiò a ridere. «Dai, il 27 Marzo avrai anche tu diciotto anni.» James alzò lo sguardo e guardò Lily negli occhi, sorpreso. «Che c’è? » chiese ancora Lily, dopo aver visto lo sguardo di James. Sembrava così… luminoso.
«Te lo sei ricordato.» mormorò lui.
«Cosa?»
«Il mio compleanno!»
«Ricordo i compleanni di tutti.» mormorò Lily, mentre le sue guance diventavano rosse.
«Ah sì, e quand’è il compleanno di Marlene?» chiese James, incrociando le braccia al petto.
«15 Luglio.» rispose prontamente Lily.
«Sirius?»
Lily esitò. «Non ricordo il compleanno dei tuoi amici, James.»
«Però ricordi il mio.»
Quella era una trappola coi fiocchi: James 1 – Lily 0
Lily si morse il labbro e abbassò lo sguardo, l’aveva colta di sorpresa e lei era rimasta senza parole.
Lily non aveva ancora detto niente. Aveva provato a dire qualcosa, ma dalla sua bocca non usciva nemmeno una parola. James sorrise di sottecchi, abbastanza soddisfatto.
«Forse…» tentò Lily. «Forse è perché voglio smettere di odiarti, James?»
«Non mi hai mai odiato» ribatté James. «Vero?»
«Fuochino.» mormorò Lily, accennando un piccolo sorriso.
James  si alzò in piedi e lei seguì i suoi movimenti con lo sguardo, lui le tese una mano e «Andiamo Evans, vieni a festeggiare i tuoi diciotto anni.»
Lily accettò la mano di James e si alzò in piedi, si lasciò trascinare in pista e per qualche strano motivo – Mary e la sua bacchetta fresca di incantesimo non c’entravano assolutamente nulla – partì una canzone che James non aveva mai sentito, una canzone che però Lily conosceva anche piuttosto bene.
«Beatles, Potter.» disse Lily. «Musica babbana.»
A quel punto, James l’attirò a sé e Lily si ritrovò costretta a portare le braccia attorno al collo di James, anche perché era l’unico posto dove metterle.
«Che stai facendo?» sussurrò lei, guardandosi attorno, molti studenti fecero come loro: Lily riconobbe Jason e Polly, i due fidanzati storici di Hogwarts, insieme dal terzo anno, e poi ancora Alice, che ballava con Frank.
«Sto ballando, Evans.» rispose James con assoluta nonchalance.
«Ma noi non siamo una coppietta, Potter.» ribatté Lily, mentre ondeggiava lentamente.
«Suvvia, resisti altri quattro minuti» sussurrò James. «Devi solo girare su te stessa.»
«Ti avverto, Potter, se non tieni le mani a posto te le taglio.»lo ammonì Lily.
«Sissignora!» rispose James, facendola ridere.
Rimasero in silenzio per un po’, finché Lily non riconobbe gli ultimi versi della canzone, e lei voleva approfittare di quell’ultimo minuto per parlare ancora un po’.
«Odio chi fa tardi.» mormorò, guardando James negli occhi.
«Lieto di essere la tua eccezione.» rispose lui.
«Non so se sei ancora la mia eccezione.» soffiò Lily, a pochi centimetri dalla sua bocca. La canzone finì e loro rimasero lì, l’uno abbracciato all’altra, mentre tutte le altre coppie si separavano e si allontanavano dal centro della stanza.
«Posso baciarti, Evans?» chiese James, non si rendeva conto nemmeno della metà delle cose che diceva.
«Provaci e ti taglio la lingua, Potter.» sussurrò Lily si rimando, sentiva gli sguardi di troppe persone su di sé, ciononostante non osò a staccarsi da James.
«Hai la mania di tagliare le parti del corpo altrui?» domandò James, alzò lo guardo vide che i suoi amici lo fissavano con un’espressione di più completa approvazione. Tolse le mani dai fianchi di Lily e la spinse indietro, verso il muro, uscendo dal campo visivo di parecchia gente.
«Solo le tue, James.» rispose Lily, quando la sua schiena sfiorò il muro freddo.
«Allora, lo vedi che sono la tua eccezione?» sibilò James. sorridendo, puntando gli occhi in quelli di Lily, artigliandola con lo sguardo, immaginandola mentre si perdeva nei suoi occhi marroni, appropriandosi del verde marino che lo faceva sempre uscir fuori di testa.
«Ti stai di nuovo montando.» gli fece notare Lily, sostenendo lo sguardo. Si sentiva infinitamente piccola, in quel momento. Appoggiata al muro, con James Potter di fronte a lei, costretta a stare con la testa alzata perché, anche se lei aveva  i tacchi, James era comunque più alto.
Voleva baciarla. Aspettava quel momento da troppo tempo. Strinse i pugni, cercando di controllarsi, ma poi cominciò ad avvicinarsi, ad abbassare un po’ il capo, poggiò delicatamente una mano sulla guancia di Lily.
Alla fine, la situazione venne salvata da Marlene, che «Lily! Vieni a spegnere le candeline?»
La rossa si ridestò e spalancò gli occhi, divincolandosi dalla trappola tra James e il muro.
«Eccomi!» esclamò, raggiungendo Marlene al centro della stanza, dove era stata porta un tavolo con sopra una torta gigantesca, o almeno, la torta più grande che Lily avesse mai visto in vita sua. La fissò per qualche secondo, poi si ritrovò Mary a sinistra e Marlene a destra, tute orgogliose e sorridenti. Sulla torta erano accese diciotto candelina magiche che pur bruciando non si consumavano
Tutti si riunirono intorno a lei, i quattro Malandrini le stavano di fronte, sorrise imbarazzata per tutta la durata della canzoncina d’auguri che le stavano cantando. Mary che cercava di essere intonata e Marlene che cantava come le riusciva meglio, Peter che cantava a squarciagola, così come Sirius; Remus cantava sottovoce e James era l’unico a cantare normalmente, fissando prima Lily e poi la torta.
Quando anche Sirius terminò la nota iper-prolungata del “te”, Lily soffiò sulle candeline, cercando di spegnerle tutte insieme. Non sapeva esattamente cosa desiderare, c’erano tante cose che Lily voleva, perciò si limitò a chiedere un anno sereno ad Hogwarts, prima di affrontare i problemi della vita vera.
Seguirono gli applausi e gli abbracci. Lily non credeva che avrebbe mai ricevuto una cosa del genere per i suoi diciotto anni: l’affetto di tutti i suoi amici. L’anno precedente, avevano festeggiato in dormitorio, solamente loro cinque, perché Lily aveva più volte detto che non voleva nulla di sfarzoso, per i suoi diciassette anni, nonostante fosse diventata maggiorenne e le continue suppliche di Marlene. Ora, Marlene aveva avuto la festa che tanto agognava e Lily aveva capito quanto tenesse veramente ad alcune persone, aveva diciotto anni e ancora non ci credeva. Alzò la testa, ancora con un sorriso stampato in faccia, però, guardandosi meglio intorno, notò che c’era qualcosa che mancava, qualcosa che sarebbe dovuto essere lì, accanto a lei.
Severus.
Lily si morse il labbro inferiore e si diede della stupida.
Ti devi dimenticare di lui, le disse una vocina dentro la sua testa. Non conta più niente per te.
Lily decise di darle ascolto e scosse la testa, la sua coscienza aveva ragione: Severus non contava più niente, era diventato un Mangiamorte e non gliel’aveva detto, ma soprattutto, si era unito a coloro che la volevano morta ed evidentemente condivideva la le loro stesse idee e i loro stessi valori, se si potevano definire tali. No, Lily non poteva perdonarlo, si era avvicinato troppo alla Magia Oscura, era come se l’avesse tradita nella fiducia, come se si fosse fatto beffe della sua insicurezza e delle sue paure più profonde, dopo che lei gliele aveva rivelate.
L’aveva già perdonato una volta, poi lui aveva commesso un altro errore, peggiore del precedente.
Non c’erano eccezioni per Severus, non più.
 

***

 
Quando tornarono in dormitorio, Lily era a dir poco distrutta: le facevano male i piedi e le gambe, le girava la testa per quel bicchiere di Whisky Incendiario che Sirius Black l’aveva praticamente costretta a bere («Andiamo, Evans, cos’è una festa senza alcool?»), per non parlare del fatto che James l’aveva fatta ballare finché le gambe non le erano diventate di gelatina. Insomma, avrebbe dormito volentieri anche sul pavimento, ma aveva un pigiama da mettere, del trucco da togliere e almeno un’altra mezz’ora da passare sveglia prima di crollare sul suo amato letto.
Per fortuna era sabato – ormai non più – e la mattina seguente avrebbe potuto dormire quanto voleva. Si guardò attorno: Mary e Marlene sembravano appena sveglie, Alice sbadigliava ogni tanto, Emmeline Vance non era ancora tornata, ma nessuna delle tre presenti sembrava essere messa male quanto Lily. Non credeva di essere un caso così disperato.
«Allora, Lils» iniziò Mary. «Ti sei divertita?»
«Da morire.» rispose la ragazza, cercando di apparire più entusiasta possibile, per quanto il sonnno e la stanchezza glielo permettessero.
«E, udite, udite, abbiamo finalmente provato la nostra teoria!» esclamò Marlene mentre rimetteva gli stivaletti nell’armadio.
«Sarebbe a dire?» chiese Lily, alzando un sopracciglio.
«Che sei stracotta di James Potter.» rispose Marlene.
Lily scoppiò in una fragorosa risata, cadendo all’indietro sul letto, prese il cuscino e se lo spiaccicò in faccia: evidentemente preferiva soffocare che sentire una parola di più su quella… su quella cosa. Lo sapeva che lo avrebbero notato, si era lasciata andare troppo con James quella sera: ci aveva ballato, erano stati così vicini che nulla era sfuggito agli occhi vigili di Mary e Marlene.
«Per piacere ragazze!» esclamò Lily. «Non ho mai sentito una cosa più stupida in vita mia.»
«Stupida?» domandò Marlene, afferrando il proprio cuscino. Cominciò a colpirla. «Dimmi tu se è stupido sbavare ogni volta che James Potter ti si avvicina.»
«Non sbavo ogni volta che mi si avvicina!» gridò Lily nel vano tentativo di difendersi dai colpi di Marlene. Mary scoppiò a ridere ed Alice decisa di cambiare argomento, perché poteva anche essere vero che Lily avesse una cotta stratosferica per James Potter, ma tutte lì dentro sapevano che non l’avrebbe mai ammesso.
«Ragazze» s’intromise la ragazza. Tutte e tre si voltarono verso di lei. «Li avete visti Remus e Sirius?»
Lily scosse la testa e Mary inclinò, come Marlene, la testa di lato, abbastanza confusa, e poi disse: «Avremmo dovuto?»
Alice spalancò la bocca. «Ma non vi siete accorte di niente?!» domandò sconcertata.
«No, Alice, illuminaci.» disse Lily.
«Lily era troppo presa da James per notarlo ma… nemmeno io credo di aver visto nulla.» disse Marlene.
«Perché tu eri troppo impegnata a ridere con Peter Minus!» esclamò Mary, dando qualche colpetto sulla spalla dell’amica. Marlene arrossì fino alla punta dei capelli e si nascose il volto tra le mani. Tutte risero, dimenticandosi quasi dell’argomento principale.
«Sono stati appiccicati tutta la sera.» continuò Alice, ravvivandosi i capelli castani all’indietro.
«Chi?» chiese Marlene.
«Sirius e Remus!»
«Be’, sono migliori amici…» buttò lì Mary.
«No, mi avete fraintesa…» disse Alice. «Intendo, sono stati appiccicati, non meno di quando lo fossimo io e Frank, o James e Lily. E vi assicuro, nessuna di voi avrebbe voluto vedere uno dei due letteralmente spalmato contro il muro mentre–»
«NON CI POSSO CREDERE!» urlò Marlene, si alzò in piedi sul letto e cominciò a fare le facce più strane.
«Credici, Marly…» sospirò Alice.
«STAVO CON UN RAGAZZO GAY? MA PERCHÉ TUTTE A ME?» continuò la ragazza, non accennando ad abbassare la voce. Lily la prese per la maglietta e la tirò giù sul letto, ammonendola con uno sguardo piuttosto severo.
«Sveglierai tutta la Torre se continui così, calmati.» tagliò corto Lily. Marlene sospirò.
«Guarda il lato positivo» iniziò Mary. «Almeno non ti ha mentito perché voleva me, ma perché voleva il mio ragazzo.»
Tutte e tre la guardarono scettiche. «Okay, non ha molto senso come discorso, però è la verità. Io mi sentirei meglio,  non so tu…»
«Credo che dovremmo tenercelo per noi.» intervenne Lily, pensierosa.
«Non capisco…» disse Marlene.
«Se Remus ha usato tutti quei sotterfugi per… be’, non credo che voglia che la cosa si sappia in giro, quindi faremmo meglio a starci zitte, non trovate?» rispose Lily.
Mary annuì e Marlene vide Alice fare lo stesso. Allora sospirò e annuì anche lei. «Manterremo il segreto, allora.»
 

***

 
Dopo aver spento le candeline, la festa era degenerata e le persone avevano cominciato a nuotare tra fiumi di Whisky Incendiario e Idromele. Inutile dire che Sirius si era tuffato senza nemmeno pensarci due volte, mentre Remus si era contenuto, limitandosi a pochi bicchieri. Era comunque un po’ brillo, certo, ma almeno riusciva ancora a capire dove stesse mettendo i piedi, al contrario di Sirius che continuava a sbandare per i corridoi, rischiando di far scoprire entrambi.
Quando finalmente entrarono in Sala Comune, Remus si lasciò scappare un sospiro di sollievo e si buttò sul divano, stanco morto, voleva solamente dormire. Non fece nemmeno in tempo a pensarlo che Sirius gli si buttò sopra.
«Sirius, porca troia!» imprecò Remus, sentendosi mandare l’aria per un paio di secondi. Cercò di sistemarsi in modo che Sirius non gli schiacciasse nessun organo vitale come i polmoni.
«Rem…» sussurrò Sirius con voce stridula, privo di ogni lucidità. Poi alzò la testa e cercò di baciarlo, anche se non riusciva nemmeno a tirarsi su.
Sirius sapeva di alcool e aveva il respiro bollente, le labbra incandescenti come se avesse la febbre. «Dammi un bacio, su.» continuò Sirius.
«Meglio se andiamo di sopra, eh?» disse Remus e sgusciò via, buttandosi per terra. Sirius ricadde sul divano e si fece praticamente trascinare, cercando di non creare troppa confusione.
Riuscirono a salire le scale e ad entrare in dormitorio senza cadere rovinosamente a terra. Chiusa la porta alle loro spalle, Remus accese la luce e trovò il dormitorio vuoto: tanto meglio. Si girò verso Sirius, che aveva lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi leggermente lucidi. Remus gli si avvicinò con cautela e poi gli catturò le labbra in un bacio, incastrando mani e braccia in modi che nemmeno credeva esistessero; i talloni alzati, il braccio dietro al collo di Sirius, Sirius che non capiva la metà delle cose che stava facendo, ma che rispondeva al bacio con altrettanta audacia, affondando i polpastrelli nella pelle della schiena di Remus.
Quest’ultimo aveva cominciato a slacciare la camicia nera di Sirius senza badare troppo ai bottoni, e ben presto Sirius cominciò a fare lo stesso, mentre non accennava a staccarsi dalle sue labbra, fece scorrere le sue mani sul petto di Remus, spingendolo leggermente all’indietro. «Sei bello, Rem…» soffiò sulle sue labbra, lo fece sorridere e Remus non si rese conto di esser caduto sul letto, con Sirius sopra di lui.
«E se entra James?» domandò Remus, fermandosi a respirare.
«Chi se ne frega.» rispose Sirius, sembrando lucido per un momento. Poi si fiondò di nuovo sulle labbra sua bocca, e poi sul mento, la mandibola, il collo. E Remus ansimava contro il suo orecchio, mordicchiandogli piano la pelle del collo. Remus alzò le braccia e le incrociò dietro al collo di Sirius, spalancò gli occhi per un attimo quando le mani di Sirius scesero sempre di più, fino a raggiungere il bottone del pantaloni.
«Fermati.» sospirò Remus, alzandosi a sedere.
«Che?» chiese Sirius confuso.
«Fermati, sei ubriaco» ripeté Remus, prendendogli il volto tra la mani: occhi lucidi, viso sorros, voce alterata… era decisamente ubriaco. «Domani non ti ricorderai niente.»
«Rem…» mugolò Sirius, avvicinandosi di nuovo a lui. Remus gli bloccò le braccia.
«No.»
«E dai, io ti amo.» disse Sirius, socchiudendo gli occhi.
«Voglio che te la ricordi, la prima volta che facciamo l’amore, idiota.» ribatté Remus.
«Amore…» borbottò Sirius prima di crollargli addosso, con gli occhi chiusi e il respiro pesante. Remus non riusciva a crederci: si era addormentato come un ragazzino, doveva essere distrutto.
Il ragazzo sorrise piano e si lasciò cadere sul cuscino con la testa di Sirius appoggiata sul petto.
Si sarebbe addormentato a breve se James non fosse entrato in dormitorio urlando come un pazzo.
«La mia strategia ha avuto inizio! La Evans sarà mia.» Il tutto mentre Peter lo accompagnava con applausi e urletti di vario genere.
«Ma che cazzo?» esclamò il ragazzo, stropicciandosi gli occhi.
«Oddio! Scusate, usciamo subito.» esclamò James, coprendo gli occhi a Peter.
«James,» lo richiamò Remus. «puoi entrare.»
Era giunto il momento della verità, anche perché non sapeva quanto James e Peter fossero coscienti, perciò c’era qualche piccola probabilità che la mattina seguente non si sarebbero ricordati nulla. James in parte lo sapeva, ma era a conoscenza solo della metà dei fatti. Remus credeva che James pensasse che la loro fosse solo una cotta, un moto improvviso e provvisorio, emerso dopo essere cresciuti insieme, dopo aver imparato a capirlo e a guardarsi negli occhi, dopo aver capito ogni cosa l’uno dell’altro, come le parole bisbigliate la mattina presto, il loro profumo preferito, le frasi dette, ma la verità era che James si sbagliava, se pensava queste cose.
Perché per Remus quella non era una cosa passeggera, era veramente innamorato di Sirius, il che richiedeva non poche energie, ma a lui andava bene così.
«Quello non è il mio letto, vero?» continuò James.
Peter si liberò della mani del suo amico a sbuffò sonoramente: perché dovevano sempre nascondergli tutto? «Volete spiegarmi?»
E allora «Sono gay e sto insieme a Sirius da…» iniziò Remus, alzò gli occhi al cielo, impegnato in un pensiero tutto suo. «Tre mesi e mezzo.»
E lo disse con una tale spensieratezza e tranquillità da stupire persino se stesso: non si riteneva capace di dire certe cose in modo così schietto e diretto, senza pensare alle conseguenze, ignorando la tempesta che si era scatenata nel suo stomaco – la sensazione di aver appena fatto una cazzata.
Si mordicchiò appena le labbra, mentre cercava di convincersi che Peter e James non l’avessero presa poi così male, ma il silenzio non era di certo una buona cosa.
«Tre mesi e mezzo?»
«Insieme?»
Remus annuì, lanciando una rapida occhiata a Sirius, che dormiva con un’espressione serena sul volto, forse l’avrebbe ammazzato per quello che aveva appena detto… ma no, lui per primo era propenso a dirlo ai loro amici.
«Per le mutande di Merlino, perché non ce lo avete detto prima?» esclamò Peter.
«Mi facevo dei complessi.» rispose Remus, si alzò lentamente dal letto – e no, non era quello di James – e si mise in piedi.
«Ah, Lunastorta, impari a memoria decine di date e fatti e poi non riesci a sciogliere nemmeno i nodi che hai in testa» disse James, mettendogli un braccio attorno alle spalle . «Le cose sui libri sono già pronte, ma la tua testa è tutta un’altra cosa. Lì deve tirartele fuori da solo le cose di cui hai bisogno.»
«Da quando fai pensieri così profondi, James?» Remus sorrise.
«Da quando ho ballato con Lily Evans senza essere picchiato.»
«Ragazzi» iniziò Peter. «Dato che siamo in ambito di confessioni, devo dirvi una cosa.»
Per una manciata di secondi, Peter pensò di poter tirare su la manica sinistra della camicia e mostrare il Marchio Nero ai suoi amici, rivelargli tutto, perché se fosse stato lui a dirglielo, forse l’avrebbero perdonato, ma alla fine. «Mi piace Marlene.» sospirò.
«E bravo Peter!» esclamò James. «Segui i miei consigli e cadrà ai tuoi piedi.»
«Senza offesa, James, ma Lily ancora non ha ceduto, se seguisse i tuoi consigli, nemmeno tra dieci anni Peter riuscirà a conquistare Marlene.» si intromise Remus.
«Ma Lily è un caso a parte, Marlene odia te, mica Peter.» ribatté James.
«Sto cercando di dormire, zitti!» La voce di Sirius si levò per un attimo, facendoli voltare tutti e tre, trattennero una risata e poi si infilarono tutti nei propri letti: era stata una giornata decisamente lunga.
 

***

 
Dopo due giorni, i postumi della festa non erano ancora scomparsi del tutto, una delle vittime era nientemeno che Lily Evans, la quale girava assonnata per i corridoi di Hogwarts con il dizionario Antiche Rune tra le braccia.
Aveva passato la domenica a dormire, per quanto le permettessero di fare i mal di testa, non aveva fatto i compiti di Pozioni e, come se non bastasse, sentiva i rumori amplificati talmente tanto che le scoppiava la testa. Non ricordava nemmeno quale materia avesse in quel momento, quanto si sentiva persa e travolta dall’orda di studenti che cambiavano aula, e non solo fisicamente. Si sentiva persa persino dentro la sua testa, dentro ai suoi sentimenti. Non sapeva cosa provava, le sembrava di non sentire niente. Si sentiva fredda, eppure viveva; si sentiva congelata, c’erano momenti in cui voleva dimenticare tutto e in cui puntualmente finiva per piangere.
L’aver ballato e parlato con James le aveva fatto non solo voltare pagina, ma iniziare un vero e proprio capitolo completamente nuovo. Le aveva sciolto un po’ di ghiaccio, ma lei sentiva ancora il peso di quell’iceberg nel cuore.
Prese l’orario dalla borsa e notò che aveva pozioni. Fantastico: non aveva nemmeno fatto la relazione che era assegnata. Sospirò, avrebbe potuto fingere un malore, oppure lasciare correre e sperare che Lumacorno non la chiamasse.
Entrata in classe si mise il più lontano possibile da Severus, pochi minuti dopo, la sedia accanto alla sua venne occupata. Alzò lo sguardo dalla pergamena dove stava iniziando a buttare giù la relazione, anche se sapeva che non l’avrebbe mai finita in tempo, poi se ci si metteva James Potter, poteva anche buttare via il proprio lavoro. Doveva ammettere che quel ragazzo aveva una strana abilità nel distrarre le persone.
«Salve, Evans.» la salutò raggiante, appoggiando la propria borsa a terra; si era ufficialmente appropriato di quel posto. Non che a Lily dispiacesse, comunque.
«James.» sospirò lei, scrisse ancora qualche parola e poi la sua mente fu totalmente invasa da James Potter, dalla sua voce, dai suoi occhi, dalla sua risata contagiosa… e addio relazione di Pozioni.
«Tutto bene?» chiese lui, cominciò a tiare fuori la piuma e le pergamene.
«Sì, grazie.» rispose Lily.
«Sicura?» chiese ancora James, stiracchiandosi sulla sedia, dato che il professore sembrava distratto in quel momento. Lily si morse il labbro e non rispose. Si chinò di nuovo a scrivere qualche parola sulla pergamena, senza molti risultati.
«In genere, chi tace acconsente, ma tu sei tutta strana» asserì James. «Perciò che hai, Lily?»
«Niente» mormorò la ragazza, con tono stanco ed esasperato. «Non ho niente, davvero.»
E James lo vide chiaramente, che c’era qualcosa. E gli dispiacque non essere ancora abbastanza per saperlo, di non essere ancora qualcuno di cui fidarsi, perché lui voleva davvero aiutarla, voleva togliere quel velo di tristezza, sempre accompagnato da una patina di lacrime. Voleva toglierle tutte le responsabilità, tutti i problemi dalle spalle e voleva farsi carico di una piccola parte.
«Seduti ragazzi!» esordì Lumacorno, picchiettando la mano sulla cattedra. Si alzò in piedi e cominciò a camminare per l’aula. «Spero che tutti voi abbiate fatto la relazione sul Veritaserum e il loro effetti, metteteli tutti sul banco.» Lily fu l’unica a nascondere la propria pergamena sotto al banco. Una ventina di compiti volarono sulla cattedra, tutti tranne il suo.
«Il suo, signorina Evans?» chiese il professore, avvicinandosi al banco suo di James. Lily abbassò lentamente lo sguardo.
«Non l’ho fatto.» mormorò. Sentiva tutti gli sguardi su di sé, sentì anche qualche sospiro di meraviglia, alzò un po’ gli occhi e incontrò lo sguardo apatico di Severus. «Non mi sento molto bene, scusi.»
Si alzò e uscì dalla classe senza guardare in faccia nessuno. Prima di chiudersi la porta alle spalle, sentì la voce di Lumacorno dire: «Signor Lupin, può accompagnare la signorina Evans in Infermeria?»
Quando Remus uscì dalla classe, Lily era seduta su una sorta di muretto di pietra, con le lacrime agli occhi e troppa dignità per piangerle. Il ragazzo di mise seduto accanto a lei, sapendo che non c’era affatto bisogno dell’infermeria. Non disse niente, Lily appoggiò semplicemente la testa sulla spalla di Remus.
«Lils, puoi piangere, lo sai?» sussurrò Remus.
«Ma è stupido» mormorò Lily. «Piangere è stupido.»
«Non è stupido, il motivo può esserlo, ma piangere in sé non lo è.»
«Allora è stupido il motivo.»
«Dimmi che non è per la relazione.»
«Severus, i Mangiamorte, mia sorella, la mia vita… È tutto sbagliato» rispose Lily, asciugandosi gli occhi leggermente lucidi. «Ho diciotto anni e non so cosa farò della mia vita.»
Remus non rispose e l’avvolse in un abbraccio, e Lily si sfogò, tra le braccia di Remus, si mostrò debole e indifesa. Permise alla maschera di cadere e fece uscire fuori la vera Lily, quella che aveva paura, quella che non trovava un posto vero e proprio nel mondo.
Pianse per quello, pianse per i suoi genitori in pericolo, pianse per sua sorella che l’aveva abbandonata, pianse per la paura di essere uccisa perché era sbagliata, perché era diversa anche in quel mondo che ormai considerava casa sua.
Si sentì male a piangere di fronte ad un suo amico, ma Remus le assomigliava, per certi versi. Era come lei, la capiva, a volte più di Mary e Marlene.
Passarono in corridoio tutta l’ora e verso la fine Lily cominciò a calmarsi e smise di piangere e basta, la porta dell’aula di spalancò e il primo ad uscire fu Severus che puntò gli occhi su Lily. Lei in castrò il suo sguardo e decise di affrontarlo in silenzio, mentre si credeva una folla attorno a lui.
«Wow, Lily, adesso te la fai anche con i lupi mannari.» disse sprezzante.
«Con chi passo il mio tempo non è più affar tuo, Severus.» ribatté Lily, si alzò e girò i tacchi. Tra la folla c’era anche James che non sapeva come Piton avesse fatto a scoprire di Remus, ma in quel momento fu afferrato da Lily, che l’aveva preso sottobraccio e si allontanò insieme a lei per il corridoio, sotto lo sguardo basito di una ventina di persone, tra cui quello di Severus Piton.
E la cosa gli andava più che bene.

 

 

 
 

 
 

NdA: Holaaa! Come va? Spero bene! Io sto passando la mia estate da perfetta fangirl sociopatica stando tutto il tempo sul letto a scrivere/leggere/guardare serie tv. Non è magnifico? *w*
Anyway, eccomi qui con il capitolo ventuno! Ecco la festa di Lily, ecco i Wolfstar, ecco Severus che subisce tutta la mia ira e che di conseguenze acquista una nota negativa (almeno ai miei occhi, cioè, io lo amo e lo odio allo stesso tempo, riuscite a comprendere il mio dolore?) Sto sfornando capitoli troppo velocemente e ho paura di finire questa storia, così come ho paura di svegliarmi e di ritrovarmi davanti a Word senza un'idea in testa, Speriamo che non succeda mai ahahahah. Non so cos'altro dire e per questo mi sento una brutta autrice antipatica, ma... le cose da dire la lascio a voi che siete davvero molto più bravi di me xD
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: AriPotterJackson01, lily_livia, la_fenice e TheChief, e Bells1989 che ha lasciato un commento breve! :3 E grazie anche a tutti voi che ricordate/seguite/ preferite e che leggete in silenzio... I'M WATHCING YOU OuO
La finisco di fare la demente e vado a vedere The Vampire Diaries.
Baci, ♥
Marianne



 

 
 

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Capitolo 23
*** Panico a San Valentino. ***



 

 

CAPITOLO 22 – PANICO A SAN VALENTINO
 


 
Il castello era buio e silenzioso, quella notte non c’erano ronde e i corridoi erano totalmente bui. Mary raggiunse i Sotterranei respirando così piano che non riusciva nemmeno a sentirsi, aveva camminato in punta dei piedi, lentamente, come solo chi ha tanta pazienza può fare. Non aveva paura di farsi scoprire perché sapeva che non sarebbe mai successo. Appoggiò la schiena alla parete di pietra, accanto all’ingresso della Sala Comune Serpeverde. Prese il ciondolo che portava legato al collo e mormorò una strana formula magica. La pietra azzurra si illuminò e divenne calda, poi si spense all’improvviso. Ebbe appena il tempo di rimettere la bacchetta nel mantello che qualcuno la raggiunse. La ragazza sobbalzò all’inizio, poi vide gli occhi del ragazzo brillare nell’oscurità e si rilassò, sciogliendosi in un sorriso.
«Sei venuta.» sussurrò il ragazzo, sfiorandole la guancia con il pollice, le loro fronti si toccarono appena, ma ciò bastò perché Mary sentisse come tante piccole scariche elettriche attraversarle il corpo. Era strano stare con lui. Era bello e pericoloso allo stesso tempo, ma lui la faceva sentire amata, lui le aveva dato tutto quando lei ne aveva avuto più bisogno. Era strano anche il modo in cui si erano parlati, perché si conoscevano ormai da sei anni, ma si erano sempre passati accanto senza mai vedersi veramente, senza mai cercarsi, senza mai avere il coraggio di fare quel primo passo.
Mary conosceva suo fratello, ma doveva ammettere che il detto babbano che le ripeteva sempre Lily era vero: non è bello quel che è bello, ma è bello quel che piace, perché lui era sempre vissuto nell’ombra, oscurato dalla luce di suo fratello, simile a quella di una stella. E lui chi era? Lui era un’ombra, un’ombra buona che aveva conquistato Mary nel più semplice dei modi.
«Sarebbe stato scortese non presentarsi il giorno di San Valentino.» sussurrò Mary sulle labbra di lui, scostandogli dalla fronte un ciuffo ribelle di capelli neri.
«Non è ancora San Valentino.» disse lui, accennando una risata divertita.
«Lo è da tredici minuti.» ribatté Mary divertita, sorrise prima di baciarlo dolcemente. Il ragazzo chiuse gli occhi e rispose al bacio. Si beò del profumo di Mary, immerse una mano nei suoi riccioli neri. Fu un bacio lento e silenzioso, nell’oscurità dei Sotterranei. Un bacio in cui Mary, dopo un po’, dimenticò per quanto tempo fossero rimasti così, attaccati a baciarsi lentamente e senza fare rumore.
«Non riesco a capire come abbia potuto lasciarti…» mormorò lui quando ritornarono a guardarsi negli occhi.
«Non importa, e poi sono stata io.» rispose Mary, affondò la testa nell’incavo del collo di lui, la sua mano andò a cercare il ciondolo uguale a quello che portava al collo, e sentì che, come il suo, era ancora caldo. Rimase così, lui l’avvolse in un abbraccio e avvicinò la bocca al suo orecchio.
«È meglio togliersi di qui, potrebbe passare qualcuno.»
Mary sciolse l’abbraccio e lo prese per mano. «Non possiamo andare nel mio dormitorio…»
«Non è lì che voglio portarti.» sussurrò Mary.
Allora lui non poté che stringere la mano di Mary e lasciarsi guidare, senza sapere dove stessero andando. Su per le scale, riconobbe l’ingresso. Mary, tuttavia, non optò per il portone principale: deviò per il corridoio che portava al campo di Quidditch. Quando uscirono l’aria fredda di Febbraio li fece rabbrividire, ma entrambi avevano il mantello con cui proteggersi dal gelo. Quella notte non c’erano stelle, nel cielo ‘era solo la luce opaca della luna, coperta da qualche nuvola sottile, da una nuvola di passaggio.
Girarono a destra, ritrovandosi a salire su per una collina che portava esattamente al cortile principale. Era stata ingegnosa, Mary, aveva preso la via più lunga, quella secondaria, così nessuno avrebbe potuto scoprirli.
Nessuno dei due disse niente, almeno finché non si ritrovarono sotto un salice, nei pressi del Lago Nero. Si misero seduti su una roccia liscia, nascosti dai rami dell’albero. E lì, lui scoppiò a ridere, baciandola ancora e ancora. «Mi dispiace non poter stare con te ad Hogsmeade, domani…. cioè, oggi.» le disse mentre erano sdraiati sull’erba.
«L’importante è che tu sia con me stanotte.» rispose Mary. Intrecciò le dita alle sue, e tutto divenne perfetto. Voleva congelare quel momento idilliaco e viverlo per il resto dei suoi giorni. Perché loro due, sdraiati sull’erba ai piedi del Lago Nero, con le mani intrecciate... Mary poté giurarlo, erano più luminosi di qualsiasi stella.
 

***

 
«Non ho niente da mettere!» annunciò Lily, in piedi di fronte all’armadio. Sabato 14 Febbraio era pericolosamente arrivato e l’uscita con James Potter era imminente: non poteva più sfuggire alla realtà. Quel giorno sarebbe andata con lui ad Hogsmeade e sarebbe andato tutto bene, ovvero, nessuno sarebbe andato dritto in infermeria.
«Dove devi andare?»  chiese Marlene, ancora in pigiama.
Ecco, c’era anche il problema “amiche”. Lily non l’aveva ancora detto a nessuno, né aveva intenzione di farlo, anche perché se tutto fosse andato bene, nessuno l’avrebbe mai saputo.
Però era già abbastanza nervosa per mettere in piedi una scusa, quindi «Devo uscire con James Potter» rispose, infilando la testa nell’armadio. «Nessuna battutina sessualmente esplicita, grazie.» si affrettò ad aggiungere.
«Ma per chi mi hai presa?» esclamò Marlene, incrociando le braccia al petto, poi sbuffò. «Uffa, oggi uscite tutte con qualcuno. Alice con Frank, tu con James, Emmeline con quel tipo di Corvonero. E Mary è su alla Voliera da questa mattina, io non vi capisco!»
«Hai provato a chiedere a Peter?» domandò Lily mentre esaminava attentamente una maglietta.
«Con quella sembri mia nonna» disse Marlene, togliendole l’indumento dalle mani. «E comunque, no.»
«Che aspetti?» esclamò Lily, cercando ancora nel baule.
 Marlene incrociò le braccia al petto. «Non lo so» sospirò, si alzò e si mise seduta per terra, accanto a Lily. «Questa può andare.» le disse ancora, tirando fuori una gonna nera, semplice e senza troppi fronzoli. Non avrebbe avuto bisogno di grandi vestiti per far colpo su James, Marlene lo sapeva, bastava che fosse semplicemente se stessa.
«Non sapevo di averla.» mormorò Lily.
«Pensavo che ti fossi trasformata in una persona alla moda.» scherzò Marlene.
Ci fu un momento di silenzio in cui Lily s’infilò le calze nere e la gonna, prendendo la camicetta già preparata sul letto. Erano rari i momenti in cui lei e Marlene rimanevano da sole, di solito con loro c’erano sempre Mary ed Alice, e in quel momento realizzò di non sapere cosa dire.
«Mary è davvero alla Voliera da questa mattina?» chiese Lily.
«Sì» rispose Marlene. «E non mi ha detto nulla.»
«Strano.» disse Lily.
«Molto. Ma adesso pensiamo a te e James, dove andrete?» schizzò Marlene, con un sorriso a trentadue senti.
«Non ne ho idea, spero solo di non schiantarlo.» sospirò Lily, cercando di ravvivarsi i capelli con le mani. Marlene scoppiò a ridere e le lanciò una spazzola, Lily l’afferrò al volo e filò in bagno a pettinarsi.
Quando uscì, il dormitorio era vuoto, Marlene non c’era più. Sospirò: erano le dieci, doveva scendere.
In Sala Comune, Lily vide Marlene appoggiata al muro, vestita con le prima cose che aveva trovato, ma comunque bella. Parlava con Peter e a Lily scappò un sorriso. Chissà se avrebbero mai trovato il coraggio di dirsi che si piacevano.
James lo trovò vicino al divano, indossava dei normali pantaloni e una camicia bianca, coperta da un maglione blu. Era il solito James.
Lui alzò lo sguardo e incontrò quello di Lily, le sorrise e si staccò dal muro.
Lily lo raggiunse saltellando come una bambina, e sorprendentemente lo abbracciò, alzandosi sulle punte: James era decisamente troppo alto.
«Salve, Lily.» esclamò lui una volta che Lily fu nuovamente con entrambi i talloni per terra.
«Ciao anche a te, James.» rispose lei sorridente.
«Pronta?»
«Sono nata pronta.»
«Questa è una frase da me.»
«In effetti, credo che cominci ad avere una cattiva influenza su di me.»
James rise e la prese sottobraccio, Lily fece finta di non accorgersene e non accennò a mollare la presa. Uscirono dalla Sala Comune e scesero le scale lentamente, parlando del più e del meno, ridendo ogni tanto. Quell’appuntamento non era nemmeno iniziato e a Lily già piaceva da morire.
Arrivarono ad Hogsmeade dopo circa mezz'ora di cammino, Lily non aveva idea di cosa avrebbero fatto, onestamente, ma decise di fidarsi di James che in materia doveva essere decisamente più ferrato di lei che, invece, era una vera e propria frana.
Si ritrovarono nel piazzale principale con idee completamente diverse, Lily si guardava intorno e James rifletteva: lui le ragazze le aveva sempre portate da Madama Piediburro, ma Lily non era una ragazza come le altre, Lily era particolare e se l’avesse portata da lì, lei lo avrebbe sicuramente preso a schiaffi, o peggio, l’avrebbe mollato davanti a tutti come un perfetto idiota.
«Dove andiamo?» chiese Lily.
Ecco, era arrivato il momento. «Io pensavo di fare una passeggiata e poi pranzare ai Tre Manici di Scopa» rispose James, infilando le mani in tasca. «Ma se non ti va possiamo sempre andare a Madam-»
«Va benissimo così, James.» lo interruppe Lily, sorridendo dolcemente. Lui allora annuì e incominciò ad incamminarsi per le vie di Hogsmeade, Lily al suo fianco. L’avventura era iniziata, e  nel migliore dei modi. Dopotutto, Lily gli aveva sorriso un paio di volte, senza lanciargli nessuna fattura in particolare.
Non era mai sentito così strano… non era nervoso e si rifiutava di accettare che fosse solo ansia. James Potter non andava nel pallone per uno stupidissimo appuntamento. Questo però non è un appuntamento normale, si ripeteva, questa è Lily Evans.
Camminavano senza una meta vera e propria, camminavano per parlare e basta, e gli argomenti erano i più disparati. Saltavano da una cosa all’altra senza una senso logico né un collegamento di alcun tipo. Lily vedeva qualcosa per strada e cominciava a parlare senza fermarsi, si mordeva la lingua, James rideva e lei gli si stringeva al braccio.
«Io e mia sorella una volta eravamo al lago con i nostri genitori, e mentre lei strepitava per farsi il bagno, io ho mangiato tutti i dolcetti.» Lily era all’ennesimo aneddoto sulla sua infanzia e sul mondo babbano, a James piaceva ascoltarla. «E alla fine, lei ha fatto il bagno e io no perché avevo mangiato troppo e ci avrei messo secoli a digerire.»
«Be’, mica volevi morire per…per… per cagastione, no?
«Congestione, Potter, si dice congestione.» lo prese in giro Lily.
«Mi metti in difficoltà con le parole babbane.» si giustificò James.
«Sì, ma cagastione non si può sentire!» esclamò Lily, rossa in volto. «Addirittura peggiore di pepsicologo.»
«Te lo ricordi ancora?» chiese James incredulo. Era una delle prime volte in avevano parlato civilmente, anche se la dinamica era stata quella di sempre.
«Ricordo tutto, James.» asserì Lily, fermandosi di colpo. James continuò per altri passi e poi si voltò a guardarla.
Solo allora la vide veramente, come non l’aveva mai vista prima. Era bela anche se avvolta dal mantello, le calze nere non del tutto coprenti, le scarpe che facevano rumore, i capelli lisci che ondeggiavano leggermente, mossi dal vento.
Le labbra pallide e le lentiggini sulla pelle altrettanto pallida. Gli zigomi arrotondati dal suo sorriso e quegli occhi verdi come smeraldi che sembravano pietre incastrati in una bellissima roccia. Lily era luminosa e bellissima, ma non appariva. Era una meraviglia nascosta, che si lasciava vedere solo da chi si impegnava veramente nel volerla scoprire fino in fondo.
«Te l’ho mai detto sei fantastica?» le parole uscirono di getto dalla bocca di James, che non ci pensò nemmeno sopra. Lo disse puntando gli occhi in quelli di lei.
Lily non riuscì a distogliere lo sguardo. Gli occhi di James erano una sorta di calamita, non la lasciavano andare, la tenevano stretta, e nei suoi occhi, James ci vide un sacco di cose: stupore, imbarazzo, un po’ di para, il solito velo di tristezza, bellezza. Lily era tutte queste cose.
Lily lo raggiunse senza dire niente. Tornarono nella via principale e «Ho fame.» disse lei, sembrava tornata normale. Sorrideva e non aveva più quell’aria fredda e distaccata.
«Allora entriamo.» James aprì la porta dei Tre Manici di Scopa ed entrò. Non sapeva se qualcuno se ne fosse accorto o meno, ma le sue dita erano intrecciate a quelle di Lily, ed era lei a tenere salda la presa.
 

***
 

Sembrava impossibile, ma Remus era davvero riuscito a dormire per undici ore di fila. Nessuno l’aveva svegliato né in piena notte né all’alba. Era sabato e il dormitorio era praticamente e completamente vuoto. Forse era per quello che era riuscito a dormire in pace, anche se faceva fatica a credere che James non avesse fatto casino mentre si preparava. Dopotutto, un appuntamento con Lily Evans era pur sempre un appuntamento con Lily Evans. Si alzò in a sedere sul letto e si stiracchiò, filando in bagno: aveva un colorito piuttosto giallastro, occhiaie profonde e si sentiva stanco anche se aveva dormito benissimo. La luna piena era vicina, anche quel mese.
Odiava quelle notti, ma più di tutto, odiava i giorni che le precedevano. Si sentiva davvero malissimo e, talvolta, aveva anche il permesso di saltare le lezioni.
Dopo essersi vestito un po’ come capitava, scese in Sala Comune e ci trovò solo quelli del secondo anno. In Sala Grande, invece, l’unico studente del settimo anno presente era Austin Krueger, e Remus, senza sapere nemmeno perché, si mise a sedere proprio vicino a lui.
Quando si dice scavarsi la fossa da soli…
Però Austin gli aveva chiesto scusa, anche se aveva combinato non pochi disastri, e ora Remus non aveva più motivi per avercela con lui.
«Hey, Krueger!» esclamò Remus, dandogli una pacca sulla spalla. Austin alzò la testa dal suo piatto di uova strapazzate, rivolse uno sguardo verso gli Auror di guardia alla porta e poi si girò verso Remus.
«Hey…» mormorò con scarso entusiasmo il ragazzo.
«Hai un’aria afflitta.» fece notare Remus, prendendo una tazza di succo di zucca.
«Mio zio è ad Hogwarts e sembra che stia controllando principalmente me.» sospirò Austin, spostando svogliatamente le uova da una parte all’altra del piatto.
«Tuo zio?» chiese Remus.
«È un Auror.» rispose Austin.
«Ho capito.»
«Non ho un bel rapporto con lui» disse ancora Austin. «Cioè, mio e padre e mio zio non hanno un bel rapporto, io ci ho provato, ma lui è scontroso e a tratti crudele.»
Remus annuiva svogliatamente.
«Ma perché ti sto raccontando tutte queste cose?» domandò Austin retorico, sbattendo la forchetta sul tavolo.
«Non ne ho idea, però se ti aiuta continua pure.» disse Remus gentilmente.
«Come mai sei qui e non ad Hogsmeade?»
«C’è una gita ad Hogsmeade, oggi?»
«Già…»
«Non lo sapevo.»
Austin rise divertito. «Il tuo ragazzo non ti ha invitato da nessuna parte?»
«Avrebbe dovuto?»
«È San Valentino.»
«San Valentino non ha senso.»
Austin lo guardò con le sopracciglia aggrottate per un momento, poi rilassò il viso e salì sul tavolo. «Aboliamo San Valentino!» urlò e attirò l’attenzione di tutti i presenti, i quali erano veramente pochi e quasi prevalentemente bambini del primo anno che, molto probabilmente non sapevano nemmeno cosa fosse San Valentino.
Remus lo osservò dal basso all’alto, con la fronte corrugata, poi sentì un rumore di scarpetta da donna, girò la testa e notò una chioma di capelli biondi venire verso di loro: occhiali sul naso, fascetta colorata tra i capelli, Rita Skeeter si avvicinava pericolosamente.
«Krueger, siediti composto, per Merlino!» esclamò la ragazza, mettendosi seduta accanto a loro.
«Cosa vuoi, Rita? Se non sei qui per unirti al club anti-San Valentino, togli il disturbo.» ribatté Austin.
«Vorrei, ma siete gli unici studenti con un po’ di barba sul mento in tutta la scuola, quindi mi aggrego» disse Rita, sospirando sconsolata. «E poi, non mi dispiacerebbe unirmi a questo club… sono l’unica a non avere un ragazzo.»
«Chissà perché…» buttò lì Remus, ironico.
Rita lo fulminò con lo sguardo solo perché tra di loro c’era Austin, che si era finalmente seduto, e non poteva dunque dargli una gomitata nelle costole come di deve.
«Presente.» mormorò Austin, alzando la mano.
«Suvvia Austin, troverai anche tu uno carino, almeno, lo troverai prima di me» disse Rita. «Oh, e se mai mi ruberai quello che mi piace, sei un uomo morto.»
Calò il silenzio.
Austin impallidì per poi assumere un colorito piuttosto verdognolo, Remus lo osservava e Rita guardava Remus, nessuno stava pensando la stessa cosa.
«Ops, non avrei dovuto dirlo.» mormorò Rita.
«No, io so tutto.» intervenne Remus, scrollando le spalle con sufficienza. Rita lo guardò confusa e poi sospirò, sbadigliò e si accasciò sul tavolo.
Austin, comunque, sembrava sudare freddo per un altro motivo: Rita e la sua maledetta lingua lunga! Suo zio era solamente a dieci metri di distanza e lei se ne usciva dicendo quelle cose pericolosa come mine vaganti, voleva semplicemente morire.
«Va tutto bene, Krueger?» chiese Rita.
Austin non disse niente, si limitò ad annuire e si alzò senza far rumore, poi se ne andò sotto gli occhi sbalorditi di Rita e Remus.
«Ah, l’ho sempre detto io che quel ragazzo è strano.» sospirò la ragazza, arricciandosi i capelli biondi attorno alle dita. Remus fissava il cibo sul tavolo sovrappensiero, senza riuscire a concentrarsi su un pensiero solo.
«Hai detto che siamo gli unici ad Hogwarts?» chiese Remus all’improvviso.
«Non l’ho mai detto.» rispose secca lei.
«Ma lo sai?» domandò ancora Remus.
«Sì, tranne quelli del primo e del secondo, una Tassorosso in Infermeria e Severus Piton di Serpeverde.» disse Rita, guardandosi le unghie. Come faceva ad essere sempre così informata su tutto e tutti?
«E Sirius è andato ad Hogsmeade?»
«Di certo nel castello non c’e… e poi, di grazia, è il tuo migliore amico, cosa ne dovrei sapere io?»
«Bene» disse Remus. «Buona giornata, Rita.»
 

 
***

James e Lily trovarono miracolosamente un angolo deserto di Hogsmeade. Quel giorno sembrava esserci il doppio dei ragazzi che c’erano normalmente durante le gite. Forse, il fatto che fosse San Valentino c’entrava qualcosa.
Lo spiazzo era ai margini del paese, vicino al bosco. Non c’era neve, non nevicava dalla fine di Gennaio e ormai si era sciolto tutto, faceva solamente tanto freddo, ma Lily non vi badava: guardare James negli occhi la mandava a fuoco. Non avrebbe mai creduto che un appuntamento con James Potter potesse essere così piacevole.
Ai Tre Manici di Scopa avevano pranzato e Lily aveva passato i trenta minuti più divertenti della sua vita, considerando le stupide battute di James. Tanto per fare un esempio, quando Madama Rosmerta era venuta a chiedere loro le ordinazioni, lui aveva risposto con «Una burrobirra al fico.»
«Ma di burrobirra ce n’è una sola, caro.» aveva replicato la donna, ridendo.
«No, no, non ha capito: qui il fico sono io.» E Lily era scoppiata a ridere così forte che tutti si erano girati a guardarla. Era pur vero che aveva passato più tempo a parlare e scherzare che a mangiare, e anche se adesso le brontolava lo stomaco, la sua mano sfiorava leggermente quella di James e la cosa non poteva che andarle bene. Non sentiva le solite farfalle che le facevano passare l’appetito, non sentiva niente, aspettava solo di essere riempita.
James, d’altra parte, non si sentiva completamente sicuro di sé, anzi, si sentiva nervoso, perché quella era l’occasione della sua vita, un appuntamento con Lily Evans. Aveva lottato anni per ottenerne uno, e adesso non se poteva farsi sfuggire di mano la situazione. Per di più, era San Valentino, e loro erano soli in qualche angolo di Hogsmeade che non era invaso da studenti, chissà per quale intercessione divina.
Lily si staccò un momento da James e si diresse velocemente verso l’unica panchina presente, si mise seduta e rivolse un sorriso radioso al ragazzo che la accelerò il passo per raggiungerla il più velocemente possibile. Quando le fu accanto, sospirò e decise di metterle il braccio intorno alle spalle, pensandoci meno di una volta. Agire d’istinto si rivelò la tattica fondamentale per non perdere la calma. Lily arrossì leggermente e si voltò a fissare James.
«Ti stai divertendo?» chiese James per avviare la conversazione.
«Molto, ti stai rivelando un perfetto gentiluomo.» scherzò lei.
«Visto, Lily? Sono pieno di sorprese.» disse lui, ridendo. La osservò e si perse un’ennesima volta nei suoi occhi luminosi e nel suo volto arrossato per il freddo.
«È bello stare con te.» mormorò Lily, abbassando lo sguardo e insieme la testa. James sorrise e le prese il mento tra le dita, costringendola a guardarlo negli occhi.
«Solo bello?» soffiò James in un sussurro.
«Meraviglioso.» si corresse allora Lily, con gli occhi socchiusi. Poi li chiuse definitivamente e cercò di ignorare il battito frenetico del suo cuore quando le labbra do James si appoggiarono delicatamente sulle sue. Erano sorprendentemente gentili e un po’ screpolate, Lily non credeva di star baciando sul serio James Potter, non riusciva a rendersi nemmeno conto che lui aveva appoggiato le mani sulle sue guance rosse e fredde e aveva approfondito il bacio, e soprattutto, Lily non riusciva a credere che tutto quello le stesse piacendo da morire, che tutto fosse svanito, che era come se si trovassero da tutt’altra parte, in un posto mistico e irreale dentro la sua testa.
E mentre James le catturava le labbra un’ennesima volta, lei si fece coraggio e allacciò le braccia dietro al collo di lui. Quasi automaticamente, James spostò le mani sulla sua schiena.
Era finalmente arrivato il momento che aspettava da tutta una vita: stava baciando Lily Evans, la ragazza di cui era innamorato da sempre senza essersene mai resto conto veramente; quella con cui aveva litigato dalla mattina alla sera per sette anni, sin da quando erano saliti sul treno per la prima volta; quella che James aveva scoperto e conosciuto, pezzo e dopo pezzo, e ne aveva trovato una persona fragile, che dava l’impressione di essere forte per non lasciarsi abbattere; quella per cui, James ne era certo, avrebbe lottato fino alla morte, ma non per averla, perché quel passo l’aveva compiuto già da tempo. Avrebbe lottato per lei, per non vederla più tremare e piangere di paura.
Credeva che tutto quello potesse essere amore, o forse no, sapeva però che sette anni, o cinque, o soltanto uno erano decisamente troppi per essere solo una cotta.
Quando tornarono a guardarsi negli occhi, entrambi avevano il respiro pesante e lo sguardo un po’ spaesato. Lily aveva i capelli scompigliati e un sorriso confuso sulle labbra rosse, scoppiò a ridere. Era una risata genuina, di gioia, causata non dal divertimento, sol o dalla spensieratezza di quel momento.
«Vorrei dirti che ti amo» iniziò James, superato ogni imbarazzo. «Però ho paura delle tue fatture.»
«Scemo.» scherzò Lily, tirandogli una sottospecie di pugno, ma James le bloccò il braccio e l’attirò a sé.
«Allora te lo posso dire?»
«Me lo devi dire.»
«Ti amo, Lils» disse James. «E ti amo da sempre, mi sembra di esser nato con questo pensiero inculcato nella testa, quando ti vedo mi annullo completamente e non so nemmeno come mi chiamo. Mi dispiace da morire di essermi comportato da stronzo in questi anni, ma solo adesso ho capito che non posso lasciarti andare. E, Merlino!, non riesco a credere di star dicendo tutte queste cose, non so nemmeno perché le sto dicendo, però che credo che ti possano far piacere, vedi, io…»
Lily si rialzò sulle punte lo baciò di nuovo: non aveva mai sentito James parlare a vanvera, ed era ancora peggio di quando parlava normalmente, allo stesso tempo, però, non poté nascondere quanto fosse stata felice di sentire quelle parole proprio da lui, dall’imperturbabile James Potter.
«Oh, bè… wow.» fu l’unica cosa che riuscì a dire lui dopo.
«Non ti sei mai dichiarato in vita tua, vero?»
«In effetti no, di solito sono le ragazze che. ..»
«Non cambierai mai.»
«È per questo che ti piaccio.»
«Non ho mai detto che mi piaci.»
«I tuoi baci dicono esattamente il contrario, Evans.»
Lily rise e si avvicinò a lui, che le passò un braccio attorno alle spalle e cominciarono a dirigersi verso le vie principali di Hogsmeade, ma più si avvicinavano, più quelle che sembravano grida si facevano più forti, più i loro sorrisi si spegnevano.
Era successo qualcosa mentre loro erano lì, ai margini del paese, lontani da tutto e da tutti.
«Che succede?» chiese Lily, senza aspettarsi una risposta vera e propria.
James assottigliò lo sguardo, avvicinandosi di qualche passo, erano vicino ai Tre Manici di Scopa e Madama Rosmerta era fuori dal locale con la bacchetta impugnata conto qualcosa che James non riusciva a vedere.
Poi tutto si fece freddo, la gioia e la felicità sembrarono sparire, faceva fatica respirare. Il tempo sembrò fermarsi e lui vide Lily spalancare occhi e bocca a rallentatore, poi si voltò ancora e riuscì a scorgere con cosa stesse combattendo la donna.
«Dissennatori» mormorò James, indietreggiando. Afferrò il polso di Lily e «Corri!»


 

NdA: Salve a tutti! Sarà un angolino molto veloce perché ho appena finito di leggere COHF (l'ultimo libro di shadowhunters) e sono molto distrutta. Sì, abbastanza. Non riesco a capacitarmi che sia finita ogni cosa D:
Comunque, era logico che io non potessi far vivere in pace questi due poveri cristi e dovessi ficcarci in mezzo i Dissennatori. Tipo a dire "vi siete baciati? Ora scontate la pena dell'universo"
Sto decisamente poco bene (di mente), oggi. Forse qualcuno lo sa perché tempo fa l'ho scritto su facebook, comunque, secondo voi chi è il misterioso ragazzo di Mary? È una coppia di cui mi sono follemente innamorata, e sopravvivo solo grazie a tumblr perché solo lì esiste chi li shippa ç__ç verrà svelato in seguito, ma voglio sapere se vi siete fatti un'idea. L'unica cosa che si sa è che è un Serpeverde.
Ora, so che tutti voi aspettavate il bacio Jily ed eccolo qui, ma non temete, per questi due è tutto appena cominciato :'D *risata malefica*

Ringrazio di cuore chi hia recensito lo scorso capitolo: AriPotterJackson01, TheChief, jale90, Bells1989 e Jade_Horan ♥
Ora torno a deprimermi per quel libro. Ave atque vale, sorelle T__T e alla prossima!
Baci,
Marianne

 

 
 

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Capitolo 24
*** Acciaio. ***



 

 

CAPITOLO 23 – ACCIAIO. 
 


 
Lily sentiva i polmoni scoppiare, le gambe fatte di gelatina e la girava la testa. Avevano corso talmente tanto e talmente velocemente che sentiva che sarebbe potuta morire da un momento all’altro.
James aveva buttato giù con una spallata la porta della Stamberga Strillante, che già cadeva a pezzi di suo. Poi si era lasciato cadere sui gradini polverosi e adesso, lui e Lily erano sulle scale che portavano al piano superiore.
Lily era sconvolta, non pensava che i Dissennatori potessero abbandonare Azkaban e avvicinarsi così tanto a Hogwarts. Era iniziata, si disse. Voldemort aveva dalla sua anche i Dissennatori, adesso, qualche mese e avrebbe avuto tutto se nessuno l’avesse fermato.
Ma chi era in grado di farlo? Chi avrebbe avuto così tanto coraggio?
Lily chiuse gli occhi e si lasciò stringere da James, voleva piangere, ma non lo fece. Poi, però, quando il buio le si presentò davanti agli occhi, mille immagini presero a vorticare nella sua testa. Appartenevano tutte e allo stesso giorno, alla stessa notte, alla stessa occasione: la notte di Halloween.
Erano passati quasi tre mesi, ma Lily la ricordava alla perfezione. Tutto era ancora troppo vivido.
Lily rivisse il rumore dei passi, la voce roca e minacciosa, i suoi amici che scappavano dalla finestra. E poi ancora, le scale scese in silenzio con James per raggiungere il passaggio segreto che li avrebbe riportati ad Hogwarts, James che era sparito per un attimo, il Mangiamorte, la paura che l’aveva paralizzata. Ricordò la sensazione che aveva provato quando aveva realizzato di non poter riuscire a fare niente, la voce del Mangiamorte che stava per pronunciare l’Anatema che Uccide, e poi lo Schiantesimo di James, James e le sue braccia, che c’erano anche in quel momento in cui Lily cercava di trattenere tutto dentro.
«Stai bene?» le domandò James, non appena notò che Lily stava tremando.
«No» rispose lei, aprì gli occhi e all’improvviso smise di tremare, si alzò in piedi e scese i pochi gradini che li separavano dal pavimento. «Però dobbiamo ritornare ad Hogwarts.»
«Lily, guardami.» James si alzò in piedi e la prese per le spalle, facendola voltare. Lily si accasciò tra le braccia di James come un corpo morto, con lo guardo basso e vitreo. Non voleva guardare niente e nessuno, tantomeno James, perché sapeva che non sarebbe riuscita a mentirgli.
«Lily.» riprese lui, con tono grave: la stava supplicando. Lei allora alzò immediatamente la testa. James non poteva immaginare lo sforzo che quel gesto, così insignificante all’apparenza, le stava richiedendo. Lily aveva gli occhi lucidi e bagnati, stava per piangere, se non l’aveva già fatto.
«Torniamo a casa, James.» mormorò piano. Se James non le fosse stato a pochi centimetri di distanza, non sarebbe riuscito a sentirla.
«Sì, torniamo a casa.» la rassicurò lui, le posò un bacio sulla fronte e le cinse la vita con un braccio. Sarebbero passati per il passaggio che portava al Platano Picchiatore, lì sarebbero stati entro i confini di Hogwarts, lì sarebbero stati al sicuro. Lily non si era ancora ripresa: si muoveva come se fosse un automa e aveva lo guardo perennemente persone nel vuoto. James cercò di ignorare quella sensazione che lo lacerava dentro, che lo colpiva ogni volta che si girava verso di Lily.
Raggiunsero la botola lentamente, inoltre, sottoterra Lily sembrava stranamente a suo agio. Chissà, forse pensava che lì non avrebbe corso alcun pericolo.
«Mi dispiace.» disse James mentre camminavano.
«E di cosa?» Lily si sorreggeva a lui, camminava lentamente e lì sotto, alla flebile luce del Lumos di James, sembrava ancor più pallida.
«Sono scappato, ti ho portata in quel posto e tu…» iniziò James.
«Mi hai portata con te.» ribatté Lily.
«Non avrei dovuto scappare. Dovevo affrontare i Dissennatori.» disse James.
«Non dire sciocchezze. Non sei invincibile» sussurrò Lily, fermandosi all’improvviso. «Non ci saresti mai riuscito e lo sai.»
James accennò un sorriso dolce, o almeno ci provò, poi riabbracciò Lily e i due ricominciarono a camminare costantemente.
Lily capì che James, in quel momento, era forte per entrambi e che non ce la faceva più a portare tutto quel peso da solo.
Doveva smetterla di fare la vittima, doveva smettere di farsi sopraffare da qualsiasi cosa che fosse più forte di lei senza nemmeno provare a combattere. Doveva buttare giù i fantasmi del passatoo uno dopo l’altro.
 

***

 
A Hogwarts c’era il panico più totale: persone che correvano per i corridoi, fantasmi, addirittura i quadri strillavano impauriti. I professori cercavano di ripristinare l’ordine, ma gli studenti erano troppo agitati e spaventati. E come dargli torto?
Non era stato tanto sapere che i Dissennatori avevano attaccato Hogsmeade, quanto capire che i Dissennatori erano a piede libero e che, di conseguenza, Voldemort aveva acquistato ancora più potere, facendosi pericolosamente più grande e temibile.
James e Lily, stravolti, passarono quasi inosservati mentre si dirigevano in Sala Grande mano nella mano. Di solo si accorse Mary quando si misero seduti, senza dire una parola, difatti, la ragazza aveva notato subito che i suoi erano piuttosto taciturni, e la cosa era strana per entrambi.
«Lils…» le disse mentre si avvicinava. Lily sollevò gli occhi stanchi e non rispose nemmeno, così da lasciare Mary a continuare a parlare. «Stai bene?»
«No. Non lo vedi?» intervenne James bruscamente, alzando lo sguardo verso Mary.
«James…» lo richiamò Lily. Lei gli mise una mano sul braccio e lui sembrò rilassarsi all’istante: l’espressione sul volto di addolcì e il rossore causato dalla rabbia e dall’agitazione svanì del tutto, costringendo James a riabbassare lo sguardo sul legno del tavolo. «Va tutto bene.»
«Mary, ti spiegherò tutto più tardi.» aggiunse Lily. La mora annuì e si allontanò dal tavolo, lasciando James e Lily da soli. Era palese che tra i due fosse successo qualcosa. Mary non poteva certo sapere cosa precisamente, ma era sicura che fosse stato qualcosa di più che un semplice gesto, era successo qualcosa di astratto, di grande e profondo, che li aveva legati più di quanto anni e anni di conoscenza avessero fatto fino a quel momento.
Il tempo, quella sera, sembrava passare in modo strano. Era già giunta l’ora di cena, il tavolo dei Grifondoro si era riempito e, nonostante il solito e ricco banchetto, nessuno prese una forchetta in mano, nemmeno Sirius, e la cosa era parecchio grave.
Lily osservava il proprio piatto ricolmo di cibo. Moriva di fame, eppure non riusciva a mangiare nulla. Cercò di concentrarsi sulla piacevole sensazione che le trasmetteva il braccio di James attorno alle sue spalle, ma nemmeno quello sembrava funzionare. Fu ridestata dalla voce del Preside, che placò il vociare di tutta la sala.
«Attenzione, per favore!» iniziò, tendendo le mani in avanti. «Come penso tutti sappiate, oggi Hogsmeade è stata attaccata da alcuni Dissennatori sfuggiti al controllo del Ministero.» la Sala si ammutolì del tutto, sui volti degli studenti non c’era un’espressione che fosse uguale ad un’altra. Chi era confuso, chi sconvolto, chi era sorpreso e chi aveva lo sguardo basso. Chi, come James e Lily, si stringevano la mano sotto il tavolo.
«Questo vuol dire solo che Lord Voldemort sta incrementando il suo potere. Pertanto, con gli Auror presenti qui a scuola, io e gli insegnanti abbiamo convenuto di organizzare un corso di Difesa contro le Arti Oscure avanzato per tutti gli studenti maggiorenni.» continuò Silente. Tutti lo osservavano, gli occhi di qualcuno si illuminarono di ambizione. I più piccoli cominciarono a protestare, Lily sent’ d’aver trovato il proprio posto, l’armatura d’acciaio con cui, da quel momento in poi, si sarebbe protetta e non avrebbe permetto a niente e a nessuno di scalfirla, nemmeno un po’.
Allentò la presa sulla mano di James. «Chiunque sia interessato può iscriversi da ora, scrivendo il proprio nome sul foglio appeso in bacheca, nella Sala d’Ingresso.»
Fu una sola persona ad alzarsi risoluta, non appena il banchetto riprese, solo un ragazzo sorrise. Lily uscì dalla Sala Grande velocemente sotto gli occhi sconcertati di quasi tutti gli studenti, mentre James sorrideva tra sé e sé.
 

***

«Questo non è un corso per perdigiorno, per cui se svenite davanti ad un molliccio, non sarete mai in grado di affrontare un Dissennatore, tantomeno un Mangiamorte. Oppure, Merlino non me ne voglia, Voldemort in persona. Chiunque si ritenga debole di cuore, facilmente impressionabile o senta semplicemente di non potercela fare, si tolga dai piedi.» la voce dell’Auror Harris era più dura che mai.
Gli altri due Auror alle sue spalle sembravano statue di gesso, non muovevano nemmeno il petto per respirare. James deglutì, rivolgendo uno sguardo di compassione a Austin Krueger che, due file dietro di lui, pareva un fantasma, sudava freddo e aveva le labbra serrata in una smorfia di puro terrore. Poverino.
Nonostante il tono intimidatorio di Harris, nessuno mosse un singolo muscolo e nessuno osò nemmeno sbattere le ciglia.
«Bene. Tu e tu!» esclamò Harris, indicando rispettivamente un ragazzo di Serpeverde e Mary. «Qui davanti, non voglio storie. E che sia ben chiaro: niente trattamenti speciale per le ragazze.»
Mary si avvicinò al centro della stanza con assoluta naturalezza, proprio come fece l’altro ragazzo chiamato da Harris. Si scambiarono un veloce sguardo d’intesa. Mary sorrise addirittura.
«Come vi chiamate?» chiese Harris, incrociando le braccia al petto.
«Regulus Black, signore!»
«Mary MacDonald.»
«Black, lancia un incantesimo offensivo alla signorina MacDonald.» decretò Harris. Fece un passo indietro, lasciando così campo libero ai due ragazzi. Mary cominciò a camminare in tondo, con gli occhi di Regulus puntati addosso. Lui fece l’errore di fermarsi per un secondo prima di lanciare uno Schiantesimo, così Mary poté facilmente prevedere i tempi della sua azione e riuscì ad annullare l’incantesimo con un «Protego!»
«Incantesimi non-verbali, MacDonald! In battaglia non ce l’hai, il tempo per parlare.» disse Harris. Lo sguardo di Mary s’indurì, lei si bloccò sul posto e, stavolta, con un solo pensiero e un semplice gesto della bacchetta, disarmò Regulus Black ancor prima che lui potesse lanciare l’incantesimo. Regulus rimase a fissare la propria bacchetta, a due metri da lui, con gli occhi spalancati. Poi sorrise beffardo e tornò a riprendersela, per poi rientrare nel gruppo dei ragazzi del suo anno.
«Questo era un esempio quasi decente di disarmo, molto bene. Adesso dividetevi in tre gruppi. Uno con me, gli altri con Colton e Martinez.» disse Harris, indicando prima l’uomo alla sua sinistra e poi quello alla sua destra.
James cercò la mano di Lily e quando la trovò la strinse forte. Lei si voltò con un’aria confusa e «Che c’è?» gli chiese.
«Secondo te chi è il meno spaventoso?»
«Martinez sembra avere un viso calmo.»
«Bene.» James la trascinò in fondo al gruppo che si stava formando davanti all’Auror.
«Inoltre» aggiunse Harris, guardando i due con la coda dell’occhio. «Chiunque sarà sorpreso a scambiarsi effusioni di qualsiasi tipo sarà cacciato seduta stante. Dovete imparare a combattere, per i sentimentalismi ci sarà tempo dopo, forse.. Mani in tasca, ragazzi.»
Lily gelò all’istante e lasciò la mano di James. Non voleva essere cacciata dall’unica possibilità che aveva di emergere, per quando potesse piacerle James, per quanto potesse essere convinta di amarlo, nonostante tutto. Lily era ambiziosa e dovette riconoscere a se stessa che sarebbe stata orribilmente capace di sacrificare tutto il necessario per il raggiungimento del suo obiettivo. Deglutì e si avvicinò in silenzio a Martinez.
Il resto della lezione lo passarono a provare l’incantesimo di disarmo fino alla nausea. In compenso, Lily aveva imparato a disarmare una persona in una frazione di secondo. Facevano paura, certo, ma quegli Auror insegnavano le cose in modo che rimanessero dentro, inculcate nella testa.
Martinez si era rivelato il più simpatico, il suo accento spagnolo faceva sorridere un po’ tutti. Non era duro come Harris e taciturno come Colton. Loro due sembravano macchine da guerra abbastanza pericolose. Martinez invece sembrava più umano. Lily si chiese come sarebbe diventata se fosse riuscita a far carriera come Auror: anche lei si sarebbe trasformata in un pericolo pubblico, un pezzo di ghiaccio? No. James l’avrebbe riscaldata a sufficienza e salvata da quel destino che si stava costruendo con le sue stesse mani.
 
Quando furono in corridoio, lontani dall’aria tesa di quel corso, non ci fu bisogno di parole per dirsi quanto il gesto di Lily avesse fatto male ad entrambi. Lily incontrò gli occhi di James, ma non vi era rabbia, nemmeno risentimento. Vi era solo un po’ di gioia tramutata in tristezza, perché oppressa da tutte quelle situazioni. Erano le sei del pomeriggio e il corridoio in cui si trovavano era quasi vuoto, eccetto per qualche studente che si apprestava a raggiungere la propria Sala Comune.
Lily si aggrappò al collo di James Come fosse la cosa più naturale del mondo; posare le sue labbra su quelle calde di lui fu ancora più naturale. Sentiva che quel gesto le apparteneva da sempre, pensava che le fosse sempre appartenuto, così come le era sempre appartenuto James. Non poteva esserci altra spiegazione plausibile.
Percepì i polpastrelli di James affondare nella pelle della sua schiena, si alzò sulle punte in modo da allungarsi verso l’alto e per scivolare ancora più vicina a James, lui la strinse ulteriormente.
Adesso erano così vicini che Lily riusciva a sentire il cuore di James battere contro il suo nonostante i quattro strati di vestiti che li separavano. Si sentiva piacevolmente schiacciata contro di lui. Le sue braccia, le sue labbra, il suo respiro… erano decisamente un bel posto dove stare. Era un momento che avrebbe voluto non finisse mai.
Purtroppo, furono costretti a lasciarsi andare quando il Barone Sanguinario gli sgusciò accanto, facendoli sobbalzare.
«Scusa per prima…» mormorò Lily.
«Shh» James l’abbracciò di nuovo e le baciò i capelli profumati appoggiando il mento sulla sua testa. «Andiamo in Sala Comune.»
Lily annuì e abbozzò un sorriso, o almeno ci provò. Raggiunsero la Sala Comune nel silenzio più assoluto, ma era un silenzio confortevole, un silenzio bello, un silenzio pieno di pensieri rumorosi. A Lily piaceva il silenzio con James.
Quando entrarono, si aspettavano di trovare la stanza relativamente tranquilla, con due posti liberi sul divano, accanto al fuoco, invece, tutto quello che vi trovarono fu essenzialmente un vero e proprio casino: la gente urlava, strepitava, si faceva prendere dal panico. Il giorno prima sembravano tutti così calmi, perché ora stava succedendo il finimondo?
«Che succede?» cercò di informarsi Lily. Una ragazzina scoppiò in lacrime non appena Lily le rivolse la parola.
«Genitori… i genitori di Aline.» balbettò tra i singhiozzi, rossa in viso.
«Chi è Aline?» domandò ancora Lily. La ragazzina – che doveva avere al massimo quattordici o quindici anni – indicò un punto all’interno del cerchio formatosi attorno ad una poltrona. Lily si fece spazio tra gli studenti, tutti si ritrassero per farle posto, si inginocchiò di fronte alla poltrona.
C’era una bambina dai capelli biondi e ricci, gli occhi verdi smeraldini. Lily si rivide in quella bimba, si rivide quando era ai suoi primi anni ad Hogwarts, si rivide mentre giocava con Severus e quando le sue più grandi preoccupazioni erano solo i brutti voti a scuola.
«Ciao.» mormorò Lily. La bambina le rivolse uno sguardo a metà tra il confuso e il triste.
Remus si avvicinò a Lily. «Abbiamo sentito alla radio i nomi dei suoi genitori, rientravano tra le vittime dei Mangiamorte» le sussurrò all’orecchio, Lily sgranò gli occhi e sbiancò. «Lei non ha ancora realizzato bene quello che è successo.»  Lily continuava ad annuire mentre cercava di riprendersi.
«Mi chiamo Lily, tu?» si rivolse di nuovo alla bambina.
«Aline.» rispose con un filo di voce.
«Quanti anni hai, Aline?»
«Ne ho compiuti dodici l’altro giorno.»
Al primo anno. Quella bambina era al primo anno e doveva già convivere con l’idea della guerra e della morte dei suoi cari. Prima o poi avrebbe scoperto la veridicità dei fatti, nessuno poteva tenerglielo nascosto. Sarebbe arrivato il giorno in cui le avrebbero detto che i suoi genitori erano stati assassinati e che non sarebbe più potuta tornare a casa d’estate.
«Dimmi un po’, dove vivi?» le chiese Lily con un sorriso dolce. «Io nel Cheshire, in piccolo paesino vicino ai boschi.»
«L-Londra.»
«Lo sai che sono la prima Nata Babbana del mio paese?»
«Davvero?»
«E tu?»
«Credo ci siano stati altri Nati Babbani prima di me, a Londra.» disse Aline con l’ombra di un sorrisetto imbarazzato. Lily sorrise tristemente. Come temeva, i suoi genitori erano babbani ed erano stati le ennesime vittime di Voldemort.
«Senti, ti va di andare di sopra? Qui fa troppo caldo.» Lily si alzò in piedi e la  prese per mano. Aline la seguì e insieme si diressero verso le scale.
Tutti guardarono quella scena confusi, ma commossi. Nessuno aveva mai visto Lily Evans comportarsi in quel modo, nemmeno James.
E lui dovette ammettere che amava scoprire nuovi pezzi di lei, giorno dopo giorno.
 

***

 
Frank era abbastanza inquieto, quella sera. Dopo tutto quello che era successo con i Dissennatori, il corso di Difesa speciale, si sentiva davvero distrutto. Alice gli aveva chiesto di vedersi e gli aveva dato appuntamento sulla Torre d’Astronomia. Sperava che si trattassi dei soliti attacchi d’ansia a cui era frequentemente soggetto. Magari lei voleva solo parlargli, oppure fargli una sorpresa, doveva decisamente smetterla di farsi così tante paranoie. Tuttavia, c’era qualcosa che lo obbligava a pensare che fosse davvero qualcosa di serio e spiacevole.
Si costringeva a pensare positivo, ma gli riveniva in mente il tono di Alice, serio e fermo, e poi ancora il suo sguardo glaciale e vuoto, ed ecco che veniva preso dal panico. Sentiva che, di lì a poco, avrebbe passato i quindici minuti peggiori della sua vita.
Ecco  che un fruscio di passi leggeri catturò la sua attenzione, Alice sbucò fuori dall’oscurità leggera come un fantasma.
«Hey, Ali…» la salutò Frank, staccandosi dalla ringhiera per raggiungere la ragazza.
«Frank.» disse lei con voce piatta.
«Tutto bene?»
«Sì… credo. Devo parlarti.»
Frank si rabbuiò e annuì. Lo sapeva lui che sarebbe finita male!
«Dimmi pure.» rispose Frank, cercando di essere il più rilassato possibile.
«Vedi…» iniziò Alice, si strofinò la mano destra sul braccio sinsitro. «Io ho dei dubbi, ho mille preoccupazioni e so perfettamente di farmi troppo castelli in aria, ma ho deciso di parlarne prima di tutto con te, perché… perché, be’, riguarda te, quindi…»
Frank la bloccò, mettendole le mani sulle spalle. «Alice, rallenta.» le disse. «Qual è il punto?»
«Il punto è che tu mi tradisci, Frak.» rispose Alice con assoluta calma.
«Che cosa?!» esclamò Frank, quasi saltò all’indietro per lo stupore, come avrebbe potuto fare una cosa del genere? Lui amava Alice, solo Alice. E l’amava più di qualsiasi altra cosa al mondo.
«Non negarlo. Ho avuto conferme da diverse persone.» disse Alice.
«Da chi?»
«Non ha importanza.»
«Sì che ne ha, Alice! È solo invidia, vogliono buttare giù le mura che abbiamo costruito con tanto amore. Vogliono dividerci perché sono gelosi di tutto quello che abbiamo. Perché noi abbiamo il mondo, Alice.» le disse Frank.
«Non può esserci nessun rapporto se io non ti basto più. Se non c’è fiducia…» tentò Alice, convinta delle sue supposizioni.
«Sei tu la prima che non ha fiducia in me!» gridò Frank. «Io ti sto dicendo la verità. Mi basi eccome Alice, mi basti per il resto della mia vita.»
«Guardami negli occhi e dimmi che non mi tradisci.» disse lei risoluta, decisa a non mollare. Voleva avere la soddisfazione di sentirlo dire dalla bocca di Frank, tutto quello che aveva sentito in bagno, tutto quello che le era stato confermato nemmeno un’ora dopo.
Frank sospirò e le si avvicinò lentamente. Era a un soffio dal suo visto quando la costrinse a guardarlo negli occhi e «Non ti tradisco con nessuna, Alice. Sei l’unica che voglio e che vorrò per tutta la mia esistenza.»
Lei boccheggiò, colpita da quelle parole, da quel tono serio e da quello sguardo perforante. Non sapeva più che fare. Non aveva mai visto Frank così determinato.
«Io…»
«Tu niente, Alice.» Frank si allontanò bruscamente. «A questo punto sono io che la faccio finita.»


 

NdA: HOLA people! Oggi mischio le lingue, non fateci caso u.u Questo capitolo tutto sommato mi soddisfa, ci sono i Jily, c'è Lily versione Mamma, i Fralice litigano. AAAH, non li sopportavo più, sorry not sorry. °w°
Qui sta praticamente per venire giù il diluvio e io ho appena riprogettato le pareti della mia stanza, sto aggiornando un po' tardino per i miei standart, ma fa niente. Sono sclerata oggi, non fateci caso. Se volete farci caso, la colpa è di Luke Hemmings che compie diciotto anni e di qualcuno che sta friggendo patatine fritte alle sei del pomeriggio e a me viene fame ç__ç Intanto, si continuano ad accettare scomesse per il ragazzo di Mary! :D
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, ovvero:
TheChief, Bells1989, lily_livia, AriPotterJackson01 e jale90
Intanto qui ha comincianto a piovere, non avrò mai l'estate. Come al solito, fatemi sapere cosa ne pensate! 
Un bacio,
Marianne


 

 
 

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Capitolo 25
*** Rimanere ***



 

 

CAPITOLO 24 – RIMANERE

 

Nessuno può immaginare o sapere con esattezza cosa ci sia dopo la morte, o come ci si senta quando si muore. Alcuni sostengono che esista un Aldilà, con tanto di Paradiso e Inferno, altri dicono che è solo buio. Alcuni maghi non sono pronti ad abbandonare la vita terrena e decidono di legarsi per sempre al mondo, diventando dei fantasmi.
L’unica persona, anche se non era propriamente una persona, a trovare Lily e a parlare con lei, quel giorno agli inizi di Marzo, fu Mirtilla Malcontenta.
Uscita da un gabinetto, aveva visto Lily rannicchiata a terra, con la schiena appoggiata al muro, le ginocchia tirate su al petto e la divisa completamente fradicia.
Aveva perso ogni cognizione del tempo. Non sapeva da quanto fosse lì dentro, forse giorni interi, forse solo poche ore, sapeva però che ci sarebbe rimasta volentieri a lungo, ancora.
Mirtilla le era fluttuata accanto, sedendosi sul lavandino vicino alla sua testa, e poi aveva cominciato ad osservarla. Lily non ci aveva fatto nemmeno caso, avrebbe pianto se avesse avuto ancora della lacrime da piangere, ma si sentiva prosciugata da ogni cosa.
«Tutto bene?» il fantasma aveva una voce acuta e a tratti sgradevole, ma era il primo suono che Lily sentiva da quando era lì dentro, oltre ai suoi singhiozzi. Scosse la testa per dirle di no Non andava bene per niente.
«Oh, capito. Problemi di cuore? Sai, quando sono morta…» iniziò Mirtilla.
«No» la interruppe Lily. «Non c’entrano niente i ragazzi.»
«Allora non so come aiutarti.»
«Cos’è successo quando sei morta? Voglio dire, cosa c’è dall’altra parte?» chiese Lily, riscoprì la propria voce. Ma era una voce strana, distrutta, una voce che quasi non le apparteneva.
«Uhm, c’era tanto buio» rispose Mirtilla. «Ed ero spaventata da morire. Non sapevo che fare. Ho pensato alla mia mamma e al mio papà, allora mi sono risvegliata, ma… puf! Non ero più nel mio corpo.»
«Quindi se non te ne vuoi andare o hai paura diventi un fantasma?» domandò Lily.
«Non lo so… non è tanto tempo che sono morta. Prova a chiedere a Nick» rispose Mirtilla. «Aspetta, non vuoi mica provare a diventare un fantasma?»
Lily ignorò la sua domanda. «Funziona anche per i babbani?»
Mirtilla la guardò e poi abbassò lo sguardo triste. Scese dal lavandino e si rifiondò nelle tubature. Lily sospirò, in un certo senso, aveva ottenuto la sua risposta. Si rialzò in piedi, il mantello bagnato l’appesantiva, così se lo tolse e sperò di riuscire a tornare in dormitorio senza essere vista da nessuno.
Non voleva che qualcuno la vedesse in quello stato, distrutta, con gli occhi rossi di pianto e i vestiti bagnati. Non voleva che le chiedessero il motivo di tutto quello, di essere scomparsa così all’improvviso. E lei non voleva rispondere, tantomeno ottenere la compassione di nessuno.
I corridoi erano vuoti, dopotutto era orario di lezioni, così si rilassò per qualche minuto, rallentando leggermente il passo. Le facevano male le gambe e stava morendo di sonno. E poi eccolo di nuovo, il tuffo al cuore, insieme a lui arrivò anche la sensazione di vuoto e buio, d’aver perso tutto, di essere completamente nulla. Respirava affannosamente, una mano sul cuore, crollò sul pavimento di pietra senza nemmeno rendersi conto che i sensi la stavano abbandonando.
Sirius Black non aveva particolarmente voglia di frequentare le lezioni, quel giovedì mattina. Aveva preferito dirigersi verso il Lago Nero e spillare una sigaretta Cynthia Young, che tutti i giovedì mattina era lì in riva al lago a regalare sigarette a chi le stava simpatico e a farle pagare sei falci a tutti gli altri.
Sirius era convinto di rientrare nelle sue grazie per qualche assurdo motivo, tuttavia, quando trovò Lily svenuta in mezzo al corridoio, vicino ai bagni del secondo piano, dimenticò Cynthia e le sue sigarette. Voleva chiamare James, ma gliel’avrebbe detto all’ora di pranzo, senza interrompere alcuna lezione. La prese in braccio – era spaventosamente leggera, Lily – e la portò in Infermeria. Non tornò in classe e non andò al Lago. Semplicemente, rimase a vagheggiare per i corridoi fino alla fine delle lezioni. Se Lily era crollata in quel modo, c’era davvero qualcosa di strano nell’aria.
 

***

 
«Dove sta adesso?» James si era alzato in pied e aveva urlato, attirando l’attenzione di molti studenti. Sirius lo zittì prontamente, guardandosi attorno preoccupato.
«È in Infermeria, Madama Chips mi ha cacciato subito, quindi non so dirti come sta, ma non credo sia grave…» disse il ragazzo, cercando di non esagerare niente, non mettere l’accento sul viso pallido, sul corpo scarno e il fatto che Lily avesse appena pianto. Non voleva allarmare James.
«Era da sola in mezzo al corridoio. Non ha mai saltato una lezione da quando la conosco» rifletté James ad alta voce. «Cosa le sarà mai successo?»
«Non lo so, Ramoso.» Sirius poteva omettere i particolari, ma non poteva nascondere il turbamento nella sua voce.
«Vado a vedere come sta.» disse James.
Nessuno osò fermarlo.
James non aveva toccato cibo, ma la fame svanì quasi subito. Fece tutti i piani di corsa, senza sentirsi stanco. Non riusciva a sentirla, la stanchezza, se Lily era stesa un lettino dell’Infermeria. Rallentò man mano che si avvicinava alla grande porta di legno massiccio, forse era dovuto al fatto che, stavolta, si trattava di Lily svenuta all’improvviso, non di un piccolo infortunio avvenuto in una partita di Quidditch.
Deglutì e aprì lentamente la porta. Inizialmente, vide la stanza interamente vuota. I letti erano tutti immacolati, tranne uno, sfatto e vuoto.
«Madama Chips?» tentò James, avanzando di qualche passo. La donna lo raggiunse subito.
«Potter! Che ci fai qui?» chiese con la fronte aggrottata.
«Cercavo una persona, ma qui non c’è nessuno.» mormorò James, abbassando lo sguardo.
«Se cerchi la signorina Evans, è stata trasferita.» disse Madama Chips.
«Trasferita? E dove?» chiese il ragazzo visibilmente allarmato.
«Non te lo posso dire, Potter. Questioni di privacy.»
«Sono il suo ragazzo» affermò risoluto, soffermandosi a pensare: “Stiamo davvero insieme, noi due?”. Avevano passato le due settimane seguenti a San Valentino sempre insieme, c’erano stati altri baci, altri abbracci, ma non si erano mai chiesti se stessero insieme o meno. «Ho il diritto di saperlo!»
«Rivolgiti alla professoressa McGranitt, Potter.»
E James non se lo fece ripetere due volte. Uscì di scatto dall’Infermeria e si lanciò in una folle corsa verso l’ufficio della professoressa: il pranzo doveva essere finito da un pezzo, ormai.
Infatti, la trovò seduta dietro la grande scrivania, forse intenta a correggere alcuni compiti di Trasfigurazione.
«Ehm… mi scusi, professoressa.» esordì James, bussando alla porta.
La McGranitt alzò lo sguardo e si sistemò gli occhiali sul naso. «Qual buon vento, Potter! Non credevo avresti masi messo piede qui dentro di tua spontanea volontà.»
«Posso chiederle una cosa? È importante.» James si avvicinò alla scrivania. senza accomodarsi sulla sedia.
«Certo.» rispose la professoressa.
«Dov’è Lily?» chiese il ragazzo. «Sono andato in Infermeria, ma…»
La McGranitt si tolse gli occhiali e li poggiò sul legno, sospirando. «È in un ospedale babbano, il professor Silente l’ha accompagnata personalmente poco fa.»
«E il San Mungo?»
«Temo che dovremmo lasciare la questione ai medici babbani, Potter. Si tratta anche di una fine questione di psicologia.»
«Pepsi- ehm, psicologia…» mormorò James, ricordandosi ancora di quando Lily l’aveva corretto e poi era scoppiata a ridere. «Grazie.»
James si voltò e uscì dall’ufficio, trascinando i piedi. Lily era in un ospedale, probabilmente nella Londra Babbana, l’avevano portata lì, forse perché si sarebbe trovata più a suo agio. Aveva esattamente due giorni per scoprire l’ospedale preciso. Infatti, non appena rientrò in Sala Comune: «Malandrini! Riunione d’emergenza.»
Tutti i presenti sbiancarono. Quando i Malandrini facevano una di quelle riunioni, stava per succedere qualcosa di veramente grosso.
Quando furono tutti riuniti nel loro dormitorio, Sirius chiese: «Allora, cos’è successo?»
«Dovete aiutarmi a scoprire una cosa» rispose James. «Lily è in un ospedale babbano, abbiamo oggi e domani per scoprire quale: sabato ci andremo!»
«Vuoi andare nel mondo babbano, sei impazzito?» schizzò Remus.
«No» James era calmo. «Abbiamo tutti e quattro una scopa, possiamo volare. Oppure possiamo andare al Ministero via camino, da lì usciamo e chiediamo a qualche passante l’indirizzo preciso.»
«Se ci scoprono rischiamo l’espulsione.» s’intromise Peter.
«Bene, io sono pronto a rischiarla, l’espulsione. Per Lily. Voi siete liberi di non seguirmi.» borbottò James, incrociando le braccia al petto.
«Idiota» sospirò Sirius. «È ovvio che verremo con te, giusto Rem?»
«G-giusto.»
James sorrise e scattò in piedi, era pronto ad iniziare le sue ricerche. e per cominciare decise di rivolgersi all’ultima persona con cui credeva avrebbe mai parlato: Rita Skeeter.
 

***

 
Lily si annoiava da morire. Era in quel letto da due giorni, si era alzata cinque volte in tutto e solo per andare in bagno. Il preside l’aveva accompagnata personalmente al St. Paul Hospital di Londra. Non aveva nemmeno i suoi libri con sé. La sua bacchetta ce l’aveva in custodia Silente e lei si annoiava. Non capiva nemmeno perché fosse lì e non al San Mungo. E soprattutto non credeva che qualcuno lì potesse aiutarla. Ricordava poco e niente degli attimi prima di perdere i sensi. Si era risvegliata in Infermeria, mentre Madama Chips spiegava alla McGranitt che, forse, le cause dello svenimento erano solo un po’ di stanchezza un calo di zuccheri.
E ora Lily ricordava cosa l’avesse portata a tutto quello: due notti prima era stata chiamata in tutta fretta nell’ufficio del preside e, con la vestaglia addosso, si era ritrovata a correre nei corridoi di Hogwarts. Ricordava la notizia tragica che le avevano dato con lo sguardo triste e dispiaciuto.
Lily li aveva visti per l’ultima volta il primo Settembre, alla stazione di King’s Cross. Li aveva lasciati con un “vi farò sapere se tornerò a Natale”, e poi gli aveva inviato una lettera dicendo che avrebbe passato le feste ad Hogwarts, ma che a Pasqua sarebbe tornata a casa. Ma non ci sarebbe stato alcun ritorno, ormai, non dopo quella notte.
Lily non l’aveva visto, non aveva fotografie dell’accaduto, ma immaginava il Marchio Nero brillare minaccioso sopra la sua anonima villetta nel Cheshire, la porta di casa spalancata, i mobili stravolti e rovinati, due corpi a terra, quelli dei suoi genitori. Immaginava la polizia brancolare nel buio e chiedersi come fosse stata possibile una cosa del genere.
Inizialmente, non aveva pianto. Non di fronte ai professori. Era solo rimasta con gli occhi spalancati e lo sguardo perso nel vuoto. Si era estraniata da tutti e poi si era alzata. Nella calma più totale era tornata in dormitorio e si era vestita, nonostante fossero le tre del mattino. Poi una lacrima silenziosa era scivolata sulla sua guancia, e lei aveva raggiunto il bagno di Mirtilla prima che la situazione degenerasse fino a diventare un pianto disperato e inarrestabile, con i singhiozzi che le scuotevano tutto il corpo e le urla trattenute nei polmoni.
Ora, il suo pensiero era solamente uno, la sua testa si interrogava sempre sullo stesso e identico punto, da due giorni, ormai: sua sorella stava bene?
All’apparenza poteva non sembrare, ma Lily voleva bene a Petunia. Lei, da parte sua, si era però sempre mantenuta distante da Lily, almeno da quando quest’ultima aveva scoperto di essere una strega e Petunia era rimasta a mani vuote. Da allora aveva cominciato a considerarla una strana, un mostro. Aveva smesso di volerle bene, secondo le impressioni di Lily.
Ma adesso che tutto era spezzato, Petunia era diventata l’unica famiglia che aveva, e ora più che mai voleva riallacciare i rapporti con lei, dovunque si trovasse. Non sapeva cosa fosse successo in quei mesi. Durante l‘estate Vernon era venuto due volte a casa loro, e Lily li aveva sentiti borbottare qualcosa riguardo al nuovo lavoro di Vernon e alla casa a Little Whinging, nel Surrey, che lui aveva ereditato da chissà quale parente.
Forse si trovava, lì, adesso. Forse a Natale avevano ufficializzato la cosa e lei non lo sapeva perché si trovava ad Hogwarts.
Sospirò e si buttò sul letto, entrò un’infermiera per controllare alcune cose, allora Lily. «Scusi» disse e poi tossì per schiarirci la voce. «Sarebbe possibile fare una telefonata?»
 
«Lily!»
La ragazza sobbalzò e alzò lo sguardo, Petunia aveva appena spalancato la porta della stanza, ricevendo un’occhiataccia da parte dell’infermiera in corridoio.
«Tunia! Sono contenta che tu sia venuta.» disse Lily.
«Vernon all’inizio non voleva nemmeno accompagnarmi a Londra, sono tre ore di viaggio da Little Whinging… che ci fai qui? È successo qualcosa di grave?» chiese la giovane donna, aveva un tono finto e irreale, come se non le importasse più di tanto.
«Sono svenuta a scuola.» rispose Lily.
«Ah. In quella scuola» commentò l’altra apatica. «E non potevano darti qualche intruglio lì?»
«In realtà, non so perché mi abbiano portata qui, ma già che ci siamo volevo vederti dopo quello che… dopo…» disse Lily, poi abbassò lo sguardo.
«Dopo mamma e papà?» chiese Petunia.
«S-sì.»
«È stata la tua gente. Lo so. Niente sangue, niente di niente. Sembra un infarto, hanno detto, perché non sanno spiegarsi la porta sfondata e i mobili distrutti» continuò Petunia, come se la cosa non la scalfisse per niente. «Se tu non fossi come sei non ci avrebbero mai preso di mira.»
«Non puoi saperlo e non ho scelto io di essere una strega.» ribatté Lily.
«Potevi rinunciare ad andarci e continuare a vivere come una persona normale.»
«Ci sarebbe stato un sovraccarico di magia, prima o poi sarebbe uscito tutto fuori.»
«Comunque,» iniziò Petunia. «Stai bene, no?»
«Non lo so.» mormorò Lily.
«Tieniti tutto. Io abito con Vernon adesso, ci sposeremo non appena avremo una situazione economica stabile.» disse Petunia.
«Mi stai parlando di eredità mentre sono in un letto d’ospedale?» chiese Lily scioccata.
«Altrimenti quando? Tu tornerai nel tuo mondo di maghi a breve.» rispose l’altra.
«Non voglio niente» disse secca Lily, alzandosi a sedere, con la schiena appoggiata alla testiera del letto. «Fai quello che ti pare.»
«Bene, quindi non ti dispiace se vendo tutto?»
«Ti ho detto che puoi fare quello che ti pare. E smettila di fare la dura, sai che non funziona con me, ti conosco da diciassette anni.»
«Che cosa intendi?»
«Fai finta che non te ne importi niente della morte di mamma e papà, ma in realtà ci stai male come ci sto male io. Saresti un mostro altrimenti.»
Petunia sospirò. «È l’unico modo che ho per difendermi, Lily. Se non ne trovi uno, rischi di impazzire.»
Detto questo, Petunia recuperò la borsetta dalla sedia e uscì imperterrita dalla stanza. Lily era rimasta a fissare la porta sbattere con forza. Dopo qualche secondo, capì di non avere più nemmeno Petunia, di non avere una famiglia.
Erano  bastate poche frasi per capirlo. Lei era fidanzata con Vernon, un ragazzo giovane con un lavoro stabile, una casa in una cittadina abbastanza tranquilla, avrebbe probabilmente venduto la casa e le azioni della loro inesistente famiglia, così lei e Vernon avrebbero avuto abbastanza soldi per sposarsi, mettere su una famiglia, per mantenere dei figli.
Un vita così anonima, ma così tranquilla, pensò Lily. Chissà se anche lei avrebbe mai avuto una casa, un marito e dei bambini…
Per certi versi, Petunia aveva ragione: se lei non fosse stata una strega, quanto di tutto quello sarebe successo? Niente. I suoi genitori non sarebbero stati uccisi dai Mangiamorte e lei avrebbe avuto una schifosissima vita piatta e normale.
Anche se non avrebbe mai conosciuto James, le sue migliori amiche e i Malandrini, ma a quel punto, quanto contavano loro rispetto ad una famiglia che non aveva più? Quanto contava James?
Fu distolta dai suoi pensieri quando sentì degli strani rumori provenire dal corridoio. Mandò al diavolo le raccomandazioni dell’infermiera sullo stare a letto a riposare e scostò le coperte, infilò le scarpe bianche e, nel suo meraviglioso pigiama, uscì fuori in corridoio. O meglio, rimase sotto lo stipite della porta senza sapere con esattezza cosa stesse succedendo. Si sporse con il busto e vide l’ultima cosa che ci si aspetterebbe di vedere in un ospedale babbano: James Potter che, come suo solito, faceva baccano.
«Ragazzi, l’ho trovata!» gridò il ragazzo con un sorriso a trentadue denti. Lily si guardò attorno, per fortuna non c’era nessuno a parte due o tre pazienti.
«James, perché urli?» bisbigliò Lily, prendendolo per il polso e trascinandolo nella stanza.
«Scusa.» disse lui, dopo un po’ entrarono anche gli altri te e Lily chiuse la porta. Non era del tutto sicura che potessero entrare così tante persone in una stanza, ma, onestamente, non le importava più di tanto. Si rimise seduta sul letto e osservò i quattro ragazzi uno per uno. E poi «Che ci fate qui?»
«Ti siamo venuti a trovare, che domande!» esclamò Remus.
«Sapete di trovarsi a chilometri e chilometri da Hogwarts?»
«Sì! » risposero in coro,
«E che se vi scoprono siete fritti?»
«Sì!»
«E sapete anche che siete degli idioti?»
«Sì… aspetta, cosa?»
«Siete assolutamente stupidi. Sto benissimo e a breve tornerò a scuola, non è niente di che. State rischiando l’espulsione, e quest’anno avete i M.A.G.O.!»
«Per te questo ed altro, Lils.» rispose James, gli altri rimasero in silenzio e Lily non poté evitare di arrossire leggermente.
«Ti racconto come siamo arrivati qui.» intervenne Sirius, attirando l’attenzione di tutti.
«Ci siamo alleati con Pix e abbiamo fatto succedere un casino vicino alla Sala Comune Corvonero.» iniziò il ragazzo.
«Fatti e riferimenti ad Austin Krueger puramente casuali…» borbottò Peter.
«Dicevo,» riprese Sirius. «abbiamo scatenato l’inferno, quasi tutti i professori sono accorsi, noi ci siamo intrufolati nell’ufficio di Lumacorno e, con la Polvere Volante che ci eravamo procurati clandestinamente da Cynthia Young – santa ragazza! – siamo andati a finire al Ministero. Ovviamente, prima ci eravamo cambiati e vestiti come giovani uomini d’affari. Ci abbiamo messo secoli per trovare l’uscita, in strada abbiamo preso un taxi pagato con le sterline che James conservava come un cimelio e siamo arrivati qui.»
«Impressionante» commentò Lily. «E sapete come tornare indietro?»
«Ehm…» disse Sirius.
«Questo è un problema.» Remus incrociò le braccia al petto.
«Qualcosa ci inventeremo.» esclamò James.
«Guarda se non ci tocca tornare a piedi…» sospirò Peter.
 
Venti minuti dopo, Remus aveva notato l’elettricità che aleggiava in quella stanza, sostenuta dagli sguardi di James e Lily, così aveva deciso di trascinare Sirius giù al piano terra, dicendogli del bar con tutte le prelibatezze babbane. Peter li aveva seguiti, e adesso, James si ritrovava a ringraziare mentalmente il buon senso di Remus per averlo lasciato da solo con Lily.
Sentiva il bisogno irrefrenabile di parlarle, di abbracciarla, di farle sapere che lui c’era e che ci sarebbe sempre stato, qualsiasi cosa fosse successa. Non voleva dirle che sapeva tutto, che la McGranitt l’aveva detto solo a lui, quello che era accaduto veramente. Non voleva dirglielo perché si sarebbe sentito un intruso nella sua privacy, dopotutto, voleva che fosse lei a renderlo partecipe del suo dolore. Ma sapeva anche che, se lei avesse finto di essere forte, lui l’avrebbe sostenuta lo stesso, perché la caduta sarebbe stata inevitabile.
«James…» iniziò lei, giocando nervosamente col lenzuolo bianco che la copriva fino alla vita. «Sono contenta che tu… che voi siate venuti fin qui solo per me, ma vi siete messi in guai grossi. Se non vi scoprono subito… prima o poi salterà a galla e…»
«Non m’importa.» disse James prontamente. Lily rimase a fissarlo stupita, con gli occhi spalancati e senza una parola da dire. «Non m’importa. Possono espellermi, possono bocciarmi, tu sei più importante della scuola.»
«Potrò essere importante per te, ma che bisogno c’era di far rischiare anche a Remus, Sirius e Peter?» chiese Lily.
«Io non ho costretto nessuno. Siamo amici e gli amici fanno questo. O vorresti dirmi che Mocciosus non l’avrebbe fatto per te?» disse James.
Lily rimase di nuovo in silenzio e chiuse gli occhi per trattenere le lacrime.
«Scusa…» mormorò di nuovo James.
«Non è niente. Sto benissimo.» si riprese immediatamente Lily. «Grazie per essere qui.»
«Nessuno dei due dovrebbe essere qui, e lo sai.» James si mise seduto sul letto, le accarezzò i capelli, la guancia. Il suo pollice si soffermò sulla mascella. Lily sospirò.
«Sì, lo so… ma tra poco uscirò e potrò tornare a scuola.» rispose la ragazza.
«Mi sono preoccupato da morire quando Sirius mi ha detto di averti trovata svenuta in mezzo al corridoio.» disse James a bassa voce.
«È stato lui a portarmi in Infermeria?»
«Sì.»
«Ringrazialo da parte mia.»
«Potrai farlo di persona, Lils.»
«Ma tu lo vedrai prima di me.»
«Ecco…» iniziò James. Mentre Remus usciva dalla stanza con Peter e Sirius al seguito aveva pensato ad una cosa. Una cosa folle, pazza, forse, ma era il primo pensiero che gli era uscito dal cuore e non dal cervello, e in quanto tale, James pensava che valesse la pena seguirlo. «Credo che rimarrò con te finché non ti dimettono. Parlerò con Silente e mi assumerò ogni responsabilità.»
«Tu sei completamente pazzo.» rise Lily, mettendosi le mani sulla pancia.
«Adesso faresti meglio a riposare, io sarò qui fuori.» disse James dolcemente, si abbassò e le lasciò un bacio all’angolo della bocca. Lily sorrise e poi annuì, buttandosi sul cuscino.
«James, prima che tu vada...» la voce di lei tremava quando James afferrò la maniglia dorata della porta. «Sei davvero importante per me.»
 

***

«Rem.»
«Mh?»
«Sono preoccupato.»
Remus appoggiò la tazza di cioccolata calda sul bancone, si voltò e guardò Sirius, intento a girare il cucchiaino nel cioccolato da almeno cinque minuti. «E per cosa?»
«Tu-Sai-Chi non si preoccupa di far fuori solo i babbani, Rem.» disse Sirius, ricambiò finalmente lo sguardo del suo ragazzo, ma quello che gli rivolse era carico di tristezza e agitazione. «Ce l’ha con tutti i mezzosangue e chiunque si allontani dall’ideale di Purosangue.»
Remus sospirò, posando il cucchiaino sul piattino bianco. Bevve un altro sorso e poi «A te che importa, comunque?» borbottò. Quel posto lo influenzava negativamente. Vedere tutte quelle persone malate, camminare per i corridoi senza poterlo fare da soli, i medici preoccupati... gli distruggeva il morale.
«Che?» domandò Sirius, aggrottando le sopracciglia.
«Tu sei un Purosangue, discendi dalla nobile casata dei Black, tua cugina è una Mangiamorte... non dovresti preoccuparti. Il minimo che può farti Tu-Sai-Chi è costringerti a stare dalla loro parte.» rispose Remus, con un tono di voce piuttosto brusco e freddo.
«Morirei piuttosto che essere un Mangiamorte.» disse Sirius. «Non sono mio fratello... »
«Ne sei davvero sicuro?» chiese Remus.
«Ma sentiti! Stai dubitando di me, ma tanto lo fanno tutti a scuola, perché non amalgamarsi alla massa?» esclamò Sirius.
«Sto solo dicendo che potrebbe finire così. Noi sconfitti e loro al potere.» disse Remus, mantenendo la calma. «Allora, saresti davvero pronto a farla finita? A voltare le spalle alla sua famiglia?»
«L’ho già fatto una volta, non sarà poi così difficile farlo di nuovo.» rispose Sirius, a quel punto smise di girare il cucchiaino e si decise a bare la cioccolata calda.
«Sono preoccupato anche per te, se proprio vuoi saperlo.» aggiunse alla fine.
«Per me?» chiese Remus stupito.
«Sei un lupo mannaro, e in questi casi o ti uccide o diventi uno di loro.» disse Sirius. Era entrato in quella fase in cui nessuna parola aveva più un peso specifico, potevano essere utilizzate tutte nella stessa maniera, anche se dall’altra parte potevano pesare più del previsto.
«Be’, faremo in modo che non mi trovi, allora, perché non ho alcuna intenzione di diventare uno di loro.»
«Questa situazione fa schifo.»
«Ma l’unione fa la forza, no?»
«Sì.» sorrise Sirius, fece scivolare la mano sotto al bancone e strinse quella di Remus. «Credo di sì.»


 

NdA: Lo so che son passati otto giorni dall'ultimo aggiornamento e che sono una persona alquanto orribile e che il capitolo è confuso e anch'esso orribile, ma ehm... avete mai sentito parlare del blocco dello scrittore? ^_^ sì, fisso la pagina word, scrivo e cancello, riscrivo e ricancello e dopo un'ora il massimo che riesco a tirare fuori sono duecento parole scarse. Ho provato ad inserire un po' di wolfstar, ma anche quello mi è uscito di merda ç_ç In conclusione, sono pronta a bandierine bianche e rosse e a tanti pomodori in faccia ç_ç
Boh, questa cosa è un ammasso di angst che fa acqua da tutte le parti. Spero di poter scrivere qualcosa di meglio per il prossimo. Spero di riuscire a postarlo senza un ritardo indecente. Ho una scaletta da seguire, ma non riesco a mettere in atto praticamente nulla, HELP! 
Passo a ringraziare voi che è decisamente meglio. Ringrazio Bells1989, Jade_Horan, Pixforever, AriPotterJackson01, niclue, Ele Brooks e Dreamer_imperfect per aver recensito lo scorso capitolo. Inoltre vi ringrazio per le 42 preferite e le 82 seguite, wow! Non mi merito tutte queste cose se scrivo capitoli così schifosi e.e
Okay, proverò a rifarmi col prossimo. Si spera.
Un bacione a tutti voi che leggete e sopportate una povera pazza come me ♥
Marianne


 

 
 

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Capitolo 26
*** Scoperte ***



 

 

CAPITOLO 25 – SCOPERTE

 

La notte era buia, senza nemmeno una stella. Il cielo era quasi completamente nero, striato da alcune nuvole grigiastre, leggermente più chiare. Peter respirava già l’aria umida portata da un temporale in arrivo. Non faceva freddo, in compenso. Era tornato con Sirius e Remus, dopo la visita in ospedale. Avevano riutilizzato i camini del Ministero. Loro però, non erano tornati in Sala Comune, né erano saliti in dormitorio. Così Peter si era ritrovato da solo, dato che non aveva visto nemmeno Marlene da nessuna parte. Da quando Lily era stata portata in un ospedale, l’intera Torre Grifondoro sembrava essersi spenta, stava morendo lentamente e nessuno se ne accorgeva. Aveva appena buttato il mantello sul letto quando un dolore acuto lo colpì al braccio sinistro. Fu costretto a togliersi il maglione e a tirarsi su la manica della camicia. Il Marchio Nero era più nero del solito. Sembrava tridimensionale, sembrava vivo e bruciava più che mai. Peter tornò a respirare normalmente e si rivestì. Aveva capito: era in corso una riunione, da qualche parte. Forse una riunione col Signore Oscuro in persona. Come avrebbe fatto a raggiungerla se non ci si poteva smaterializzare, dentro Hogwarts?
Mantenne la calma e si diresse verso il campo di Quidditch, lì avrebbe trovato Evan Rosier e Mortimer, l’avrebbero portato con loro.
«Minus, eccoti.» l’accolse la voce di Rosier quando giunse vicino agli spalti. Il ragazzo era coperto da un mantello nero e Peter non l’avrebbe nemmeno visto, se non avesse parlato.
«Dobbiamo andare da qualche parte?» chiese Peter, cercando di mascherare la sua paura.
«Tu no» rispose Rosier con un ghigno. «Io sì, però. Devi darmi alcune informazioni.»
«Del tipo?» chiese Peter, avvicinandosi al ragazzo.
«Tu lo sai che entro la fine dell’anno scolastico, il Signore Oscuro progetta di prendere Hogwarts?» iniziò Rosier. Peter non rispose, era una domanda retorica, era per fargli sapere quello che sarebbe successo di lì a pochi mesi. «Mi servono nomi, Minus. Tutti i Nati Babbani e i Mezzosague che conosci.»
Peter boccheggiò. Significava tradire ogni persona che lo conoscesse, che avesse parlato con lui anche per delle cose insignificanti. Significava diventare a tutti gli effetti un puntino nero. Significava tradire Lily, la ragazza del suo migliore amico, e significava tradire Marlene.
La ragazza che amava.
«Io... » iniziò Peter. Non era sicuro di quello che stava per fare. Gli sudavano le mani e aveva lo sguardo rivolto a terra.
«Avanti, sono solo un po’ di nomi.» lo incoraggiò Rosier.
«Sono persone che ammazzerete... » ribatté Peter senza nemmeno pensarci sopra.
«Sbagliato, Minus. Eseguiremo gli ordini che ci verranno dati, e che verranno dati anche a te. Ti conviene abituarti a vivere così... » rispose Evan.
Peter sospirò, non aveva molta scelta.
 

***

 
Erano passate due settimane da quando James e Lily erano tornati ad Hogwarts, la vita sembrava essere tornata quella di sempre, con i compiti da fare, le lezioni noiose e le notti passate a fare le ronde notturna insieme agli Auror. Tuttavia, era cambiato impercettibilmente qualcosa, qualcosa che nessuno notava, qualcosa che non era abbastanza grande perché le persone potessero accorgersene. Si poteva notare nei piccoli gesti di tutti i giorni. Nei pasti più silenziosi, nel fatto che tutti tenevano la bacchetta a portata di mano, delle mani intrecciate nel mezzo dei corridoi e nelle parole di conforto che i più grandi sussurravano ai più giovani; lo si notava negli sguardi carichi di preoccupazione, nei passi leggeri degli Auror appena fuori dalla Sala Grande e nell’indulgenza dei professori. Hogwarts era cambiata dentro, nel profondo, ma nessuno ci aveva fatto caso, perché era impegnato a cambiare insieme a lei, adattandosi, pensando che fosse tutto perfettamente normale.
«Sul serio, Lily, non voglio niente di particolare. Voglio solo stare con te. Spero che non ti abbiano convinta ad organizzare niente.» James era seduto su un muretto appena fuori dal cortile, Lily era al suo fianco e gli teneva la mano.
«Ma stiamo parlando del tuo compleanno che, per inciso, è oggi, quindi ora come ora non avrei molto tempo per organizzare qualcosa!» esclamò la ragazza di rimando.
«Esatto, e voglio passarlo con te e basta» disse ancora James, guardando Lily negli occhi. «Okay?»
Lily sbuffò e incrociò le braccia al petto.
«Okay.» rispose lei non molto convinta. Saltò giù dal muretto e tese le mani perché anche James la raggiungesse.
«Va tutto bene?» le chiese James.
«Sì.» Lily sorrise e prese James sottobraccio, standogli attaccata, dimenticando per un attimo tutte le preoccupazioni, perché lui era al suo fianco e non l’avrebbe mai lasciata andare. Lei stava bene, se c’era James. E forse, riusciva anche a capire perché James non volesse niente di particolare per il suo compleanno. In quell’ultimo periodo erano successe davvero troppe cose.
Avevano smesso di litigare, avevano iniziato più o meno da zero e avevano capito come comportarsi, erano usciti, si erano messi insieme. Era passato pochissimo tempo, ma avevano già condiviso l’uno il dolore dell’altra. In meno di un mese, James e Lily erano diventati forti insieme, più di quanto si potesse immaginare. Quando rientrarono nel castello, mano nella mano, Lily fu la prima a capire che qualcosa non era al suo posto.
I corridoi erano troppo silenziosi, anche Pix era troppo silenzioso. I fantasmi sembravano ancora più morti e tutti i quadri avevano perso colore. Lily sospirò, James le strinse la mano. Era così da quando erano tornati, ormai. Tutta Hogwarts sembrava essersi spenta all’improvviso, ed era una situazione tanto deprimente quanto preoccupante. Le ronde notturne si erano addirittura intensificate, e James aveva smesso di imprecare contro l’Auror Harris quando lo mandava ad ispezionare metà del castello da solo. Non aveva né la voglia né la forza di imporsi contro qualcuno che avrebbe sempre avuto autorità di lui.
«Ho un’idea» esordì Lily, mentre camminavano. Si trovavano davanti alle scale, alla loro destra c’era il corridoio che portava alla Sala Grande. «E se saltassimo la cena?»
«Questo è uno dei tanti motivi per cui ti amo, Evans.» James abbozzò un sorriso e si fece trascinare su per le scale. Corse per quattro piani di fila, poi Lily rallentò e lui colse l’occasione di riprendere fiato. Forse aveva capito dove voleva andare Lily, forse no. Sapeva solo che, quando arrivarono davanti al ritratto della Signora Grassa, Lily non si fermò e continuò spedita, svoltò un paio di volte a destra finché James non riconobbe il corridoio che conosceva davvero troppo bene. Quel corridoio che aveva una parete senza quadri né niente. Lily si fermò all’improvviso e chiuse gli occhi, concentrò la mente e il corpo su quell’unica richiesta e finalmente una grande porta comparve a ridosso della parete. Si voltò verso James ed entrò nella Stanza delle Necessità, facendogli cenno di seguirla. Quando entrarono, si ritrovarono in una sorta di immenso prato. Lily aveva pensato alla prima volta che James l’aveva portata lì dentro, all’inizio dell’anno scolastico. Aveva espresso il bisogno di ritornare a tanto tempo prima. Era lo stesso paesaggio che c’era quella volta: il prato, un fuoco accesso proprio di fronte a loro. Era rilassante e Lily era piaciuto da morire quando James ce l’aveva portata, anche se non l’aveva mai detto ad alta voce.
«Questo è...» iniziò James, alzando un dito verso il fuoco acceso.
«Sì.» rispose Lily. Gli strinse la mano e lo condusse accanto al fuoco, lì si mise seduta per terra e James si accomodò accanto a lei. Era una bella sensazione. Stare lì con Lily, lo scoppiettare del fuoco acceso, se chiudeva gli occhi riusciva ad immaginare il suono del vento e della fauna notturna. Istintivamente, si sdraiò sull’erba e scoprì che era asciutta, quasi secca.
Quando li riaprì, sopra di lui c’era un cielo puntellato di stelle, riusciva a respirare l’aria della notte e Lily si guardava attorno per capire da dove provenissero tutti quei suoni. Dopotutto, quella era la Stanza delle Necessità. E James in quel momento aveva bisogno di pace.
«È seriamente il miglior compleanno della mia vita.» disse James, incrociando le braccia dietro alla testa. Sentì Lily ridere divertita.
«Sul serio?» gli chiese lei, guardandolo negli occhi. James annuì. Lily si sdraiò al suo fianco, mettendosi le mani sulla pancia. Alzò lo sguardo e quando James le prese una mano, lo spostò immediatamente verso di lui, sorridendogli. Era bello, James. Era la cosa più bella che potesse avere in quel momento. Era semplicemente fantastico poter evadere per un po’ da quell’incubo che era diventata la sua vita, e poi, era il compleanno di James ed era giusto che lui lo passasse con serenità.
E la serenità dilagò anche in lei quando si ritrovò a sfiorare il naso di James, quel momento era semplicemente perfetto e bellissimo. Non l’avrebbe cambiato per niente al mondo.
«Lily?» domandò James all’improvviso.
«Che c’è?» rispose Lily, stringendogli ancora di più la mano.
«Secondo te cosa c’è dietro l’infinito?» chiese ancora il ragazzo, facendo un respiro profondo. Non ci aveva mai pensato, ma ora gli sembrava la cosa più importante del mondo.
«Non saprei» quando James faceva quelle domande metteva Lily in seria difficoltà. Era raro che se ne uscisse con qualcosa del genere, ecco perché lei non sapeva mai come rispondere. «Forse non c’è niente.»
«Impossibile.»
«E perché?»
«Chiudi gli occhi e ascolta» e Lily lo fece. Chiuse gli occhi e concentrò ogni singola parte di sé su quello che la circondava. «il vento, la notte, persino le stelle... tutto ha una sua musica, un suo ordine preciso. Va al di là del mondo che conosciamo, dietro l’infinito c’è un sacco di roba da scoprire. Io non riesco ad immaginarlo un posto senza tutto questo. Un posto dove non c’è nemmeno il silenzio.»
«A volte mi sorprendi, James» soffiò Lily, aprendo lentamente gli occhi per vedere il ragazzo disteso accanto a lei. «Sai una cosa? A me ne basta solo una di musica. Non mi interessano il vento, la notte o le stelle.»
«E quale sarebbe?» chiese James, guardando Lily negli occhi verdi e infiniti. Proprio come tutto quello che li aspettava.
«La tua fastidiosissima voce.» rispose lei.
James sorrise e la baciò subito dopo, sfiorando le sue labbra prima dolcemente e poi con sempre più veemenza. Lily si lasciò cullare dallo scoppiettio del fuoco e dalle braccia di James che la stringevano. Il resto fu solo risate e parole. Risero finché non ebbero più nulla per cui farlo e parlarono finché non ebbero più nulla da dire. Rimasero lontani dal mondo, in quel piccolo spazio di universo, finché non sentirono una sensazione strana, che li spinse ad uscire, altrimenti li avrebbero dati tutti per dispersi.
Allora abbandonarono un po’ a malincuore la Stanza della Necessità, che davvero troppe volte aveva dato loro quell’angolo di paradiso dove rifugiarsi. Non si può sfuggire alla realtà, non sempre almeno.
I corridoi di Hogwarts erano bui e silenziosi, come lo erano prima che saltassero la cena e si nascondessero dagli occhi di tutti, ma c’era qualcosa di diverso. Non sapevano quanto tempo fosse passato, sicuramente doveva essere scattato il coprifuoco, che adesso era stato anticipato alle nove.
Allora, James prese la mano di Lily, perché voleva farla sentire al sicuro, anche se sapeva benissimo che non ne aveva bisogno; tuttavia, Lily la strinse forte e cominciò ad incamminarsi per il corridoio. Non c’erano una candela accesa, si sentivano solo i loro passi. Era tutto fin troppo strano. Stavano andando verso la loro Sala Comune quando una luce accesa proveniente da una stanza catturò la loro attenzione. Si guardarono nell’oscurità e James vide Lily annuire convinta. Qualsiasi cosa fosse, era importante. Allora si attaccarono con le spalle al muro e scivolarono fino alla porta. Lily si sporse un po’, abbastanza da vedere i tre Auror parlare con Silente, la McGranitt, il professor Vitious, Lumacorno e la Sprite.
«Siamo troppo pochi rispetto all’esercito di Voldemort.» disse Silente. James al fianco di Lily trasalì leggermente.
«Non possiamo convincere le persone ad unirsi all’Ordine, Albus.» intervenne la professoressa McGranitt, la sua voce era visibilmente preoccupata.
«Lo so, lo so. Ma non avremo mai la possibilità di contrastarlo in questo modo.»
«Ma è anche vero che non possiamo compromettere l’incolumità degli studenti.»
Lily si ritirò subito indietro, limitandosi ad ascoltare le loro voci.
«James» bisbigliò. «Cos’è l’Ordine?»
James scosse la testa. «Non ne ho idea.»
Lily rimase ad ascoltare con lo sguardo perso nel vuoto. Quando non ci fu più niente da sentire, le uniche cose che aveva capito era che c’era quest’Ordine a cui aderivano diverse persone, e che erano troppo pochi per contrastare le forze di Voldemort, che lui aveva reclutato anche degli studenti – e qui Lily pensò amaramente a Severus – ma che anche per quelli dell’ultimo anno sarebbe stata una responsabilità troppo grande, e poi, fare parte di questa associazione era troppo pericoloso.
Ma se esisteva qualcosa per combattere Voldemort, colui che aveva distrutto la sua famiglia, che l’aveva distrutta dentro anche da lontano, lei ne avrebbe fatto parte ad ogni costo.
 
Tornati in Sala Comune, trovarono quasi tutti i loro amici svegli. E la cosa era sorprendente, perché non erano lì a far casino, ma avevano tutti degli strani musi lunghi in faccia, persino Marlene e Sirius, che di solito erano i più allegri.
«Pensavamo che la Piovra Gigante vi avesse uccisi.» commentò Frank non appena li vide entrare. Alice non era con loro. Nemmeno Mary era lì.
«Dove eravate finiti?»  chiese Marlene, alzandosi in piedi. «Eravamo tutti preoccupati. Hogwarts non è sicura, nemmeno con gli Auror, vi pare il modo di sparire?»
«Marlene noi...» iniziò Lily.
«Eravamo nella Stanza delle Necessità.» rispose James.
«Scusa» disse Marlene. «Non volevo, è solo che... eravamo tutti preoccupati.»
«Avete ragione.»
E poi ci fu silenzio. James cominciò a parlare di quello che avevano sentito prima di ritornare in Sala Comune, ovvero dell’Ordine. Tutti ascoltarono con attenzione, nonostante le poche informazioni disponibili. Lily osservò James parlare, perdendosi nel movimento delle sua labbra, dei suoi occhi scuri, profondi e seri, così come l’espressione sul suo viso. James sembrava cresciuto tutto insieme, e Lily si chiese se non fosse quella la sua vera natura. Si chiese se non fosse stato sempre così, se fare lo scemo con lei fosse solamente un effetto collaterale dei suoi sentimenti. James era un ragazzo maturo e Lily lo stava scoprendo solo adesso, dandosi della stupida per tutte le volte in cui aveva pensato il contrario. E si ritenne improvvisamente fortunata ad avere l’appoggio e il sostegno di una fantastica persona come lui.
Si sentì un rumore improvviso provenire dal buco del ritratto, tutti si voltarono verso l’entrata della Sala Comune. Nessuno riuscì a credere d’aver appena visto Mary entrare mano nella mano con un ragazzo dai capelli scuri, sulla divisa di lui spiccava lo stemma verde e argento dei Serpeverde.
Un Serpeverde nella Torre Grifondoro, impensabile. Marlene credeva che Mary fosse in dormitorio già da un pezzo, almeno così le aveva detto dopo cena, e non aveva voluto salire a svegliarla. In realtà la sua migliore amica le aveva mentito per stare con un ragazzo. Non poteva credere che non gliel’avesse detto. Mary strinse la mano del ragazzo e lui divenne improvvisamente pallido come un fantasma. Lei non credeva che a quell’ora ci fosse ancora qualcuno sveglio nella Torre. Tutti cominciarono a fissarli.
Sirius Black aggrottò le sopracciglia brune e si alzò in piedi fissando non Mary, ma il ragazzo che teneva stretta la sua mano. Non riusciva a credere che fosse veramente lì, nella stessa stanza dei suoi amici, che stesse con la sua ex. «Regulus.»
«Sirius.»
Mary fissava prima Sirius e poi Regulus come se avesse saputo che prima o poi sarebbe successo, che i due fratelli si sarebbero incontrati. Certo, quella era una situazione un po’ scomoda, perché oltre a Sirius c’erano tutti i gli altri, e Mary sapeva che avrebbe dovuto dare le dovute spiegazioni ad ognuno di loro, prima o poi.
«Che ci fai qui? Se non ricordo male il tuo posto è almeno nove piani più in basso.» disse Sirius.
Suo fratello non si scompose affatto, bensì strinse i pugni e inspirò profondamente. La battutine di Sirius non l’avevano mai scalfito così tanto, aveva imparato a non farci più caso.
«Sono con la mia ragazza.» rispose Regulus. Lily vide Mary mordersi il labbro e abbassare lo sguardo.
«Possiamo andare da qualche altra parte...» mormorò lei, con una voce sottilissima, quasi inudibile. A stento la sentì Regulus.
«No, Mary. Perché dovremmo andare da un’altra parte?»
«Perché noi non ti vogliamo qui, Regulus.» continuò Sirius.
«Non mi pare che i tuoi amici abbiano detto qualcosa a riguardo.»
Infatti, tutti erano muti e osservavano la scena come fosse un film, col fiato sospeso. Nessuno osava dire una parola perché nessuno voleva prendere le parti. Sirius non aveva di certo nessun diritto di non far stare Regulus con Mary, anche se odiava suo fratello e quella era la sua ex ragazza. Marlene allora, che non voleva stare in bilico si alzò e se ne andò, astenendosi completamente dalla questione. Anche quando gli occhi di Mary l’avevano cercata per chiederle aiuto, soprattutto in quel momento, Marlene si era riscoperta incapace di aiutare. Perché Mary le aveva mentito. Lily allora cercò di calmare le acque, dicendo «Sirius, se Mary vuole stare qui ha tutto il diritto di farlo.»
«Lei sì.» Sirius spostò poi lo sguardo su Regulus. Non ci volle niente a capire che il problema di fondo fosse lui.
«Dove sono io sta anche Regulus» iniziò Mary, facendosi spavalda e prendendo possesso della situazione. «Ce ne andiamo noi, non c’è alcun problema. Buonanotte, ragazzi.»
Mary prese Regulus per mano e lo trascinò fuori dalla Sala Comune, ove calò il silenzio più assoluto. Sirius fissava il buco del ritratto che si era ormai chiuso, James guardava Sirius, mentre cercava di farlo ragionare. Lily guardava James e Frank e Peter borbottavano tra di loro.
Lily si accostò a James e «Vado da Marlene.» Gli lasciò un bacio sulla guancia e scomparì verso le scale.
In dormitorio, trovò Marlene seduta a gambe incrociate sul letto, con il cuscino tra le braccia e lo sguardo perso nel vuoto.
«Hey, come va?»
«Ci conosciamo da quando abbiamo undici anni e mi ha mentito, come vuoi che vada, Lils?» rispose Marlene, imbronciata. Lily aveva sempre percepito che tra Marlene e Mary ci fosse qualcosa di più solido di una semplice amicizia. Sembrava quasi un legame fraterno, che andava oltre ogni cosa.
«L’ha fatto solo perché...» iniziò Lily, ma si riscoprì incapace di continuare. Non sapeva trovare una spiegazione alle azioni di Mary.
«Personalmente, contro Regulus Black non ho nulla. Anche se su di lui non si vociferano molte cose belle. Io non sono Sirius.» ribatté Marlene.
«Forse non voleva essere giudicata.» provò Lily.
«Perché? Ha paura che io possa giudicarla?»
E Lily rimase in silenzio, perché si rese conto che, quella volta, Mary non aveva alcuna scusante e che Marlene aveva ragione.
 

***

 
La mattina seguente, a colazione, erano tutti molto taciturni. Alice se ne stava ancora dalla parte opposta del tavolo rispetto a Frank che, intanto, cercava conforto nelle parole di James e Peter. Mary era seduta al tavolo dei Serpeverde insieme a Regulus, e nessuno dei due aveva un’espressione troppo felice, e Mary non parlava ancora con Marlene. Di Sirius e Remus non c’era traccia, quando Lily li vide fu solo in mezzo al corridoio per andare a Trasfigurazione. Tra la folla di persone, non riusciva a capire se si stessero tenendo per mano o no. Durante la lezione, Lily faticò a seguire la professoressa: aveva troppe cose per la testa, ed era certa che James, due banchi dietro di lei facesse fatica allo stesso modo. Aveva così tante domande e così poche risposte che sentiva la tesa scoppiare. Alzò gli occhi verso la lavagna e ricopiò passivamente le cose che vi erano scritte sopra, la voce della McGranitt sembrava diversa dal solito. Era più pacata, meno squillante, sembrava che non volesse esagerare. Non riprese nemmeno Frank mentre cercava di mandare un bigliettini ad Alice. Quando la campana suonò, Lily si girò immediatamente verso James, che annuì piano con la testa. Lui disse qualcosa a Sirius e Remus e anche loro annuirono. Ben presto l’aula si svuotò, e la professoressa rimasta riordinare le proprie scartoffie, senza alzare lo sguardo per vedere se in classe fosse rimasto ancora qualcuno. Di certo, fu molto sorpresa nel vedere che ben nove dei suoi studenti erano rimasti seduti ai propri banchi.
«Ragazzi, ci sono quelli del secondo anno adesso, fareste bene ad andare alla vostra prossima lezione.» disse la donna, ma nessuno si mosse.
«Professoressa, » esordì Lily. «volevo sapere, a nome di tutti noi, una cosa molto importante. Davvero, è importante.»
«Sentiamo, Evans.»
Lily fece un respiro profondo, e ricordò della conversazione origliata con James la sera prima, di come ne avevano parlato tutti insieme, sulla Torre. Ricordò quando, quella stessa mattina, Lily l’aveva spiegato anche a Mary ed Alice, di come loro tre fossero andate a chiedere ad ogni fantasma di Hogwarts cosa fosse quell’Ordine della Fenice e, una volta ottenute le informazioni necessarie, ne avevano parlato anche agli altri. Quella che Lily stava per fare, era una decisione presa tutti assieme.
«Vogliamo sapere se è possibile unirsi all’Ordine della Fenice.»
La McGranitt sgranò gli occhi e chiuse la porta con un incantesimo.
«Come ne siete a conoscenza?» chiese a bassa voce.
Tutti guardavano Lily, che era diventata la loro portavoce. «Lo sappiamo e basta. Ci siamo informati.»
«È una cosa molto pericolosa, Evans.»
«Ma siete a corto di membri, se serve per sconfiggere Colui che – James si interruppe un attimo –  se serve per sconfiggere Voldemort, vogliamo aiutare.»
«Non dovreste sapere tutte queste cose, Potter.» continuò la professoressa, con un tono di voce preoccupato.
«Abbiamo origliato. Io e James, la scorsa notte. Non l’abbiamo fatto apposta. Stavamo tornando alla Torre e abbiamo sentito.» sbottò Lily. A quel punto tanto valeva dire la verità. Non era una punizione che l’avrebbe arrestata o intimorita. Ma la punizione, o l’eventuale rimprovero, non arrivò mai. La professoressa si era limitata a sospirare.
«Non posso impedirvi di farlo, ragazzi. Qui siete tutti dei maghi maggiorenni, ormai. Vi metto in guardia, però: non è una barzelletta. Le persone in questo Ordine mettono in gioco la propria vita per salvaguardare il mondo Magico dalla minaccia di Voi-Sapete-Chi, se entrate non uscite più.» spiegò la donna, nessuno emise un fiato.
Il primo a spostarsi dal suo posto e ad avanzare fino alla cattedra fu Remus che guardò i suoi amici per un attimo, e poi «C’è qualcosa da firmare?»
Dopo di lui lo seguirono a ruota Sirius, Marlene, Lily, James, Mary, Frank, Alice e per ultimo Peter, erano tutti in fila davanti alla cattedra. La McGranitt si tolse gli occhiali e li appoggiò sulla cattedra. «Dopo le lezioni nell’ufficio del Preside.»


 

NdA: Ed eccomi qui! Stavolta sono stata un pochino più veloce perché il pezzo di Lily e James nella Stanza delle Necessità era per metà scritto, dato che è da lì che viene il titolo e da lì che sono partita a scrivere ouo
Voi non immaginate quanto mi senta una persona orribile, per far andare relativamente bene le cose tra i Jily sto facendo litigare mezzo mondo (Alice e Frank, Mary e Marlene), spero solo che il mio cervello malato si tenga alla larga dai Wolfstar perché a quel punto non so se mi suiciderò prima o io o mi ucciderete voi °^° E ta-daaaan, il misterioso ragazzo di Mary è Regulus. Ci avevate azzeccato tutti, complimenti, sono alquanto prevedibile (e ho scoperto che il popolo di Tumblr ha un nome per questa OTP: Marlus. Sono felice che non siano così sconosciuti e spero di convertire il mondo a Mary e Regulus). Quindi niente, passo ai ringraziamenti che ad ogni capitolo divento sempre più scema, qui in fondo.
Grazie di cuore a Bells1989,  lily_livia, AriPotterJackson01, niclue, TheChief e El_ly per aver recensito lo scorso capitolo e a Domenicoqwerty per aver recensito il primo e il settimo capitolo ♥
Volevo anche dirvi che sto facendo una scaletta, inserendo tutti i fatti che devono succedere nei diversi capitoli e nel prossimo dovrei già darvi il numero definitivo di capitoli che mancano prima della fine. Anche se deve ancoa succedere tutto, ma... ho tutto sotto controllo, credo. Anyway, grazie ancora a tutti voi che legge/seguite/preferite/ricordate questa storia, sono fiera di annunciarvi che il Prologo ha raggiunto la 2500 visualizzazioni *-*
Bacioni,
Marianne


 

 
 

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Capitolo 27
*** Famiglia ***



 

 

CAPITOLO 26 – FAMIGLIA.

 
Alice era seduta all’ombra di un salice in riva al Lago Nero, aveva il manuale di Incantesimi sulle ginocchia ma non riusciva a concentrare la propria attenzione sui paragrafi da studiare, perché i suoi pensieri si focalizzavano sempre su qualcos’altro.
Principalmente, si focalizzavano su Frank. Ripensava a come era successo tutto così in fretta, a come era andato diversamente da quello che aveva in testa. Lei non voleva lasciare Frank,  ma era così arrabbiata per tutto ciò che le era stato detto che, anche se aveva preferito parlarne con Frank, si rese conto di non avergli lasciato molte possibilità di spiegarsi.
Molto probabilmente, Frank aveva detto la verità, e lei non gli aveva creduto per rabbia.
Adesso se ne pentiva e Frank le mancava da morire, le mancava averlo al suo fianco e le mancavano tutte le cose che facevano insieme. Frank in quei mesi era stato un pezzo insostituibile di lei e continuava ad esserlo ogni giorno, e ogni giorno Alice sentiva quel vuoto che prima solo Frank riusciva a colmare. Di certo, non poteva andare a buttarsi tra le sue braccia e chiedergli scusa, anche perché se lui non avesse più voluto guardarla in faccia, lei non l’avrebbe biasimato.
Chiuse il libro e lo poggiò sul prato accanto a lei, studiare era inutile, completamente inutile senza Frank.
C’erano pur sempre le sue amiche, ma nessuna di loro sembrava particolarmente propensa ad ascoltare i suoi problemi: Lily si trovava nel bel mezzo di un brutto periodo, e se sembrava stare leggermente meglio era solo grazie a James; Mary e Marlene avevano litigato per via di Regulus e lamentarsi del fatto che le mancasse Frank e chiedere loro consigli a tal proposito non le sembrava la cosa più adatta da fare.
Sospirò e si alzò in piedi, con il libro stretto al petto, e si diresse verso il castello. La prima cosa che vide, alzando gli occhi, fu proprio Frank. Era seduto su una panca di pietra, con le gambe divaricate e i gomiti poggiati sulle ginocchia, avevo uno sguardo pensieroso. Alice deglutì: o adesso o mai più. Si avvicinò col cuore in gola e rimase in piedi, ad un passo da Frank, che non si era ancora accorto di lei.
«Frank... » sussurrò Alice, stringendo ancor di più il libro sé.
Il ragazzo alzò lo sguardo su Alice, non troppo sorpreso di vederla. Erano quasi tre settimane che non si parlavano e ora che proprio lei gli stesse parlando sembrava un po’ strano.
«Alice.» rispose lui apatico.
«Posso sedermi?» chiese lei.
Frank le fece posto sulla panca e lei gli si mise accanto, mentre cercava le parole giuste da dire. D’istinto si sarebbe scusata, ma adesso le sembravano una cosa così sciocca... Nonostante tutto, si disse che provare non costava nulla.
«Mi dispiace tanto, Frank» disse, tenendo lo sguardo rivolto a terra. «So che non mi perdonerai mai, ma sono davvero dispiaciuta per quello che ho fatto.»
«Io ti ho già perdonata, Alice. Il problema è un altro.» rispose Frank. Alice lo guardò sbigottita. Di certo non si aspettava una risposta del genere. Insomma, se l’aveva perdonata, cosa stavano aspettando a rimettersi insieme.
«E allora qual è il punto?» chiese Alice, guardando Frank negli occhi.
«Il punto è che tu non ti fidi abbastanza di me, Alice. Se fossi stato nel torto avrei riconosciuto i miei errori, ma nonostante ti abbia giurato di non aver fatto nulla, tu non hai voluto credermi.» Frank si passò una mano tra i capelli.
«Ma io ti ho già detto che mi dispiace.» continuò Alice.
«Non cambia nulla, Alice. Non servono le scuse se continui a non fidarti di me» disse Frank. «Sai cos’è successo qualche giorno dopo che... – e qui Frank si bloccò un momento, cercando di trovare il coraggio di finire la frase – dopo che ci siamo lasciati?»
Alice scosse la testa per negare, senza proferire parola.
«Emmeline Vance è venuta a consolarmi. Il fatto è che non credo di averci mai parlato molto, se non per i compiti» disse Frank. «Ti dice niente questo nome?»
«Emmeline...» mormorò Alice, sconvolta.
Emmeline Vance condivideva il dormitorio con lei e le altre da ormai sette anni. Era stata proprio lei a dirle d’aver visto Frank con una Corvonero, a consigliarle di non coglierlo con le mani nel sacco, a parlargli e costringerlo a fargli dire la verità.
«Sì, proprio lei.» disse ancora Frank.
«Non riesco a crederci...» mormorò Alice, portandosi una  mano davanti alla bocca. Oramai era palese che Emmeline avesse escogitato tutto per arrivare Frank. Era riuscita nell’impossibile, perché tre settimane prima nessuno aveva mai pensato che quei due si sarebbero lasciati.
«Già... impensabile, non trovi? Che le persone possano arrivare a tanto.»
«Posso avere un’altra possibilità?» chiese improvvisamente Alice, guardando Frank negli occhi, carica di determinazione. Era pronta a tutto, pur di riprovarci.
«Alice...»
«Non da subito» continuò la ragazza. «Possiamo cominciare parlandoci di nuovo, ad esempio. Voglio dimostrarti che mi fido di te, Frank. Di te e di nessun altro.»
«Stavo per dirti che non hai bisogno di una seconda possibilità.» disse Frank. Ed Alice rimase sospesa nel vuoto per un po’, almeno finché lui non la baciò, e allora capì che tutti si era risolto, o quasi.
 

***

 
«Tu non la fai la valigia, Lils?» James cercava di chiudere il proprio baule sedendosi sopra, Lily osservava la scena divertita, seduta sul letto di Sirius, con le cosce che poggiavano sulla mano. Fu colpa alla sprovvista da quella domanda perché non se l’aspettava affatto. D’altra parte, James si rese conto dell’enorme cavolata che aveva detto solo quando vide Lily rabbuiarsi.
«Dovrei, James?» chiese lei di rimando, con un’aria afflitta e pensierosa.
Il ragazzo sospirò. «Ovvio che sì, verrai a stare da me!»
Lily smise di dondolare le gambe e guardò James con le sopracciglia aggrottate e con un punto interrogativo disegnato sul volto.
«E quando l’avresti deciso?»
«Proprio ora, per rimediare alla spregevole mancanza di tatto tipica di un idiota come James Potter.» scherzò il ragazzo. Lily sorrise dolcemente e si alzò dal letto di Sirius, raggiungendo James che aveva una maglietta in mano, pronta per finire direttamente nel baule. Gli circondò le braccia con il collo e appoggiò la fronte alla sua.
«Non posso.» mormorò piano. James lasciò definitivamente perdere la maglietta dicendosi che avrebbe terminato dopo di fare il baule, in quel momento voleva solo le labbra di Lily sulle sue.
«E perché? Ti ho invitata io.» soffiò James cercando di annullare la distanza che li divideva, ma Lily si scansò con una risata.
«Perché mi sentirei in imbarazzo con i tuoi genitori, e poi non voglio fare la figura della povera ragazza a cui sono morti i genitori e rifiutata dalla sorella...» rispose Lily.
«Voglio solo presentare la mia fidanzata ai miei genitori. Niente situazioni imbarazzanti o tristi, solo una settimana felice a casa mia.» insistesse James.
«Non lo so, James...»
«Poi ti penserò per tutto il tempo, ogni minuto di ogni ora, di ogni giorno» disse piano James, scostando i capelli di Lily via da sopra i suoi occhi verdi. «Non dormirò perché ti saprò tutta sola con dei Mangiamorte dentro la scuola. Se vieni da me posso proteggerti.» Le mani di James scivolarono sui fianchi di Lily e lei trasalì per un momento, dandosi poi della stupida. Guardò James negli occhi e si lasciò cullare dalle sue braccia, cercando per un tempo che le sembrò infinito le parole da dire.
«Faresti davvero questo per me?» domandò lei a bassa voce.
«Oh, per te darei la vita, Lils.» soffiò James. Lily sentì il respiro di lui sulle labbra e lo catturò, sfiorando delicatamente la bocca di James. Il ragazzo non esitò a trasformare quel momento in un bacio e strinse Lily tra le sue braccia ancora di più, fino a sentirla dentro la pelle e dentro di ossa, fino a non sentirsi più James Potter, ma fuso insieme all’essenza di Lily. In quel momento, si sentì infinitamente e piacevolmente confuso, si sentì irripetibile e capì che Lily lo mandava fuori di testa anche con un semplice tocco, con un semplice sguardo e con un innocente sorriso.
Lily Evans era un toccasana che lo faceva bruciare e rinascere dalle sue stesse ceneri, proprio come una fenice. Gli toglieva il respiro, eppure lo faceva vivere; lo gelava con uno sguardo e lo scioglieva con una risata. Con Lily niente aveva un senso o una spiegazione logici, nemmeno lei, che invece un senso alle cose lo cercava in continuazione, e proprio nel non rendersi conto di essere così meravigliosamente senza spiegazioni c’era quello che faceva impazzire James.
Non c’era un motivo preciso se si era innamorato, erano tanti fattori ad influenzare il suo cuore, ed erano così diversi tra di loro, a volte così opposti, che raggrupparli sotto un unico senso comunque era impossibile. Per questo l’amore per Lily non aveva spiegazioni, esisteva e basta, ed era al di sopra di ogni cosa.
Ritornò alla realtà solo quando Lily gli morse divertita il labbro inferiore, allora James cominciò ad avanzare lentamente, come se esistesse per fare solo quello, costringendo Lily ad indietreggiare verso il letto. Lily piegò le ginocchia quando venne a contatto con il letto di James, ci si mise seduta mentre lui rimase in piedi e mentre la porta del dormitorio si aprì, rivelando Remus intento a leggere un libro.
Quando il ragazzo alzò la testa, Lily e James non si erano accorti di lui, allora tossì e «Scusate, non volevo disturbarvi.» disse a voce abbastanza alta, per farsi sentire dai due ragazzi. James si staccò all’istante da Lily, e lei si alzò in piedi con le guance in fiamme.
«Rem, noi...» iniziò James, visibilmente in imbarazzo.
«Vado a fare la valigia!» esclamò Lily. «Non voglio ritrovarmi ad aggiungere cose alla rinfusa all’ultimo momento, domani mattina.»
 
Il treno era ormai in viaggio da ormai due ore, e Lily ripensò all’ultima volta che aveva preso l’Espresso Hogwarts. Erano cambiate così tante cose da quel primo Settembre, la sua vita era stata totalmente stravolta, rivoltata come un calzino, e Lily faticava a crederci. Tutta quella situazione aveva dell’incredibile.
Solo otto mesi prima, Lily aveva inveito contro James sul treno, aveva passato il suo primo giorno di scuola con le sue amiche, le mancava il suo migliore amico, ma non riusciva ad odiarlo e, soprattutto, aveva una famiglia. Adesso, invece, non riusciva a pensare a Severus senza provare una sensazione di odio e terrore nello stomaco, le sue migliori amiche ancora non si parlavano tra di loro, ed era nello stesso scompartimento dei Malandrini con James accanto, non era prevista nessuna sfuriata biblica ed era in viaggio verso casa di James, dicendosi che, forse, una famiglia ad accoglierla l’avrebbe trovata lì.
Il braccio di James era avvolto attorno alle sue spalle e Lily si sentì improvvisamente bene, come se tutte le ansie e le paure potessero sparire. Ma se per un momento ogni cosa brutta si sollevò dall’animo di Lily, quello dopo ripiombarono tutte insieme, facendosi sempre più presenti, incombendo sempre più minacciosamente. Era Aprile, ed erano quasi quattro mesi che Lily aveva scoperto della presenza dei Mangiamorte nella scuola, quattro mesi che rischiava inconsapevolmente la vita anche andando semplicemente a lezione perché, chissà, qualcuno si sarebbe potuto divertire a lanciare l’Anatema che Uccide per i corridoi. A Ottobre era accaduto lo spiacevolissimo evento alla Stamberga, quando qualcuno stava per ucciderla davvero, ma allora c’era ancora Severus. Severus che, con la sua maschera che celava bugie e inganni l’aveva rassicurata e le aveva promesso di proteggerla.
Lily sapeva che la sua vita era in bilico e sapeva che doveva imparare a difendersi e a difendere tutti quelli che erano in pericolo, perché non avrebbe mai permesso ad un’altra ragazzina di diventare come lei, non avrebbe mai permesso a nessuno di ritrovarsi all’improvviso solo al mondo. E sapeva anche se tutta quella storia era tesa come un elastico. Prima o poi sarebbe successo qualcosa, qualcosa di veramente grosso e pericoloso, qualcosa in cui avrebbe dovuto dare prova del proprio coraggio e delle proprie capacità. Ricordava alla perfezione la conversazione con l’Auror Harris: serviva coraggio, determinazione, sangue freddo e autostima per essere un Auror. Lily non era sicura dell’ultimo punto, ma credeva abbastanza in se stessa per poter salvare tutti quelli che amava.
 

***

 
Era la prima volta che Peter vedeva riuniti assieme tutti i Mangiamorte presenti ad Hogwarts, e si stupì quando vide un notevole numero di ragazzi, quasi tutti appartenenti a Serpeverde, seduti in cerchio nella Stanza delle Necessità. Delle altre case non vi era quasi nessuno, tranne lui, di Grifondoro e due Corvonero dall’aria apparentemente innocente, ma se erano lì con tutti loro, l’innocenza non c’entrava proprio niente. La Stanza delle Necessità era ben diversa da tutte le volte in cui vi era stato: c’erano diverse sedie malconce disposte in cerchio, un debole fuoco era acceso nel caminetto nonostante fosse appena iniziato Aprile e la primavera fosse alle porte, tutto l’ambiente era scuro e tetro, Peter sentiva i propri passi rimbombare nonostante fossero silenziosi e tutto aveva un non so che di inquietante, anche a causa delle varie candele che, pendendo dal soffitto, erano l’unica fonte d’illuminazione.
Lui prese posto accanto a Mortimer, perché era l’unica persona che conosceva oltre a Rosier. Quando alzò lo sguardo e vide un Severus Piton infastidito e imbronciato sedere vicino ad un altro ragazzo piuttosto robusto, a Peter quasi cadde la mascella a terra.
Severus Piton non poteva essere un Mangiamorte.
Uno, era stato il miglior amico di Lily, almeno finché lei non aveva cominciato a passare più tempo con James e con tutti loro in generale, da allora non li aveva mai visti più girare insieme per i corridoi di Hogwarts; e poi, lo aveva sempre ritenuto dalla parte dei buoni. Non andava d’accordo con James, certo, ma chiunque in quella scuola non lo conoscesse appieno non andava d’accordo con lui, semplicemente, scoprire che Severus Piton era un Mangiamorte, fu  sconvolgente per Peter, soprattutto per l’occhiata truce che gli rivolse non appena lo vide.
Allora, Peter si accovacciò a parlare con Mortimer mentre ormai la stanza si era quasi riempita, aspettavano tutti Evan Rosier, quello che, capì Peter, doveva essere il più importante lì dentro. Era lui, infatti, che aveva reclutato tutti i Mangiamorte ad Hogwarts, era lui che dava gli ordini per mezzo del Signore Oscuro, era lui che dirigeva con autorità quel microcosmo. Anche se Peter sapeva che Rosier era solo una pedina e che se il suo lavoro non avesse soddisfatto Lord Voldemort, non ci sarebbe voluto molto a trovare un rimpiazzo.
Quando Rosier arrivò, Peter seguì il discorso dall’inizio alla fine, non riuscendo a stare gli occhi da quelli grigi e taglienti del ragazzo che non erano mai rivolti a nessuno in particolare. Giurò d’aver sentito Mortimer, alla sua destra, tremare come una foglia. Severus Piton era impassibile, così come il suo amico accanto a lui che, anzi, aveva addirittura un’espressione compiaciuta sul volto. Rosier parlava e Peter ascoltava, rapito da tutto quello che diceva, anche se erano cose orribili da ascoltare.
A volte Peter si perdeva a pensare e a chiedersi perché mai avesse accettato di entrare a far parte di quella cosa. Non riusciva a capire perché l’avesse fatto. Per gloria? Potere? Ambizione?
Rosier l’aveva colto in inganno con dei trucchetti, gli aveva promesso la notorietà, la fama, la possibilità di non essere più l’anello debole dei Malandrini, la possibilità di spiccare e non essere più soffocato da nessuno. Erano tutte bugie, Peter avrebbe dovuto capirlo. Erano bugie perché i suoi amici non lo soffocavano affatto, non lo sovrastavano, loro gli volevano bene. La colpa era solo sua, era lui ad autocommiserarsi, ad avere la coda di paglia, a sentirsi inferiore e a risolvere i suoi problemi nel modo sbagliato, parlandone con degli estranei che lo consideravano meno di zero. Sicuramente, se ne avesse parlato con gli altri, di questo suo problema, di questo suo sentirsi inferiore, loro l’avrebbero aiutato a risollevarsi e tutto sarebbe andato bene, adesso Peter non avrebbe avuto dei rimorsi costanti, non si sentirebbe sentito in colpa, non si sarebbe guardato indietro con un velo d’amarezza negli occhi, desiderando solo di poter riavvolgere il nastro e tornare al punto di partenza: aveva fatto la sua scelta e aveva deciso di stare dalla parte dei cattivi e dei doppiogiochisti. Lui non era un Serpeverde, non aveva la capacità di arrivare ai suoi obiettivi distruggendo tutto quello che incontrava per la sua strada, non era subdolo, non era bugiardo, non era astuto o particolarmente intelligente, non aveva nessuna delle particolarità che caratterizzavano quei ragazzi che erano lì con lui, non valeva nemmeno la metà di tutti loro messi assieme. Peter non aveva tutte quelle ambizioni che aleggiavano nell’aria stessa che respirava. Si guardò attorno, studiando con attenzione i volti di tutti quei ragazzi. Glielo leggeva negli occhi, persino ai due Corvonero, ognuno di loro aveva un motivo per essere lì e non rimuginava affatto di tornare sui propri passi, cambiando la propria decisione. Lui, invece, non aveva alcuno scopo e rimpiangeva il fatto d’aver ingenuamente creduto d’averlo avuto per un momento, e di essere stato così debole da appigliarsi ad una bugia.
 

***

 
Il primo giorno in casa Potter si era rivelato molto più piacevole del previsto. Sirius era rimasto lì, come faceva ogni anno da quando aveva abbandonato la sua famiglia. Si ricordava ancora l’estate del suo quinto anno, dopo i G.U.F.O., quando aveva litigato con tutti e aveva fatto i bagagli, presentandosi a casa di James. La madre di James l’aveva accolto in casa e per tutta l’estate era stata la madre che Sirius non aveva mai avuto veramente, dimostrandosi gentile e amorevole come una vera madre dovrebbe essere. Si era sistemato  nella stessa stanza di James, mentre la signora Potter aveva gentilmente offerto a Lily la stanza degli ospiti, ovvero quella accanto. Lei riusciva già ad immaginare le battutine di Sirius sullo scambio delle stanze e riusciva già ad immaginare di come, tra una risata e l’altra, James l’avrebbe veramente convinta a spedire Sirius nell’altra camera. Così, persa tra i propri pensieri, Lily aveva passato un’ora buona a sistemare i propri vestiti nell’armadio, James aveva bussato alla sua porta poco prima che finisse di svuotare il baule. Le aveva rubato un bacio e si era messo seduto sul letto, a fissare le pareti di quella stanza in cui era entrato davvero poche volte in vita sua: la stanza degli ospiti non veniva quasi mai usata, nemmeno da quando Sirius era scappato di casa, perché loro due erano come fratelli, per cui tanto valeva farli dormire nella stessa stanza.
Solo quando era stato detto loro che era pronta la cena, i due erano scesi incrociando Sirius per le scale, James aveva cominciato a fare lo stupido come al solito ed erano quasi ruzzolati giù, e adesso, si ritrovavano tutti e cinque a tavola, a gustare uno dei fantastici manicaretti della signora Potter.
«Allora Lily, hai già deciso cosa farai dopo i M.A.G.O.?» chiese la madre di James.
«Mamma...» si lamentò quest’ultimo, mantenendo un tono falsamente severo mentre tagliava un pezzo di bistecca.
Lily sorrise dolcemente  per la reazione di James e poi rispose: «Io e James ci iscriveremo al corso di Auror.»
Si stupì quasi quando James quando si rese conto d’averlo inserito in una risposta sul suo futuro, ma non poteva farci nulla. Lily chiudeva gli occhi e si vedeva al fianco di James.
Il signor Potter guardò attentamente il figlio, con uno sguardo impossibile da decifrare, almeno per Lily.
«Non ci hai mai detto di voler fare l’Auror, James.»
«Be’...» iniziò lui, infilzando un pezzo di carne con la forchetta. «Ho preso questa decisione molto recentemente, e anche se le mie motivazioni sono diverse da quelle di Lily, abbiamo entrambi lo stesso scopo.»
Sirius rimase in silenzio, con una foglia di insalata a penzoloni tra le labbra, non aveva mai sentito James parlare in modo così serio, e quasi gli sembrava di non riconoscere più il suo migliore amico che aveva sempre la battuta pronta, che era sempre disposto a scherzare e a sdrammatizzare ogni situazione.
«Ovvero?» continuò sua madre.
Lily, da sotto al tavolo, intrecciò la mano con quella di James, perché sapeva quanto quel discorso gli stesse costando, perché sapeva che James e i suoi genitori non avevano tantissima confidenza, sapeva che James dei propri problemi preferiva parlarne con i suoi amici.
«Proteggere le persone che amiamo.» rispose James, guardando Lily negli occhi, come se niente intorno a loro esistesse, come se la cena fosse svanita e loro non si fossero ritrovati a stringersi la mano sotto la tovaglia. James guardava gli occhi di Lily e si perdeva in un mondo meraviglioso; Lily guardava James negli occhi e si sentiva finalmente a casa. Non è necessario che una famiglia sia tale solo se vincolata da legami di sangue, una famiglia è dove ti senti bene, dove sai di essere al sicuro, è il posto dove tornare quando non si ha più niente, e James era il posto preferito di Lily, era il suo punto di fuga. James era l’unico modo per sentirsi protetta e lasciare il mondo ad urlare invano in un angolo.
 
Dopo cena, Sirius scomparve misteriosamente sul tetto con la scusa di inviare una lettera e James trascinò Lily nella sua stanza, dicendole che erano in vacanza e che non serviva affatto andare a dormire presto. E Lily rise, mentre James le faceva il solletico e mentre cadeva a peso morto su uno dei due letti. Rise quando si ritrovò sovrastava dal corpo di James con gli occhi di lui a pochi centimetri dai suoi. Smise di ridere un momento dopo, ma solo perché James la baciò, stringendole delicatamente i polsi che Lily portò sopra la testa, chiudendo gli occhi.
Quando James la baciava, Lily si sentiva in Paradiso. Era così magico ogni singola volta, anche quando era solo per salutarsi, per darsi la buonanotte. Anche quando era solo per la voglia si sentire le labbra dell’altro sulle proprie. Voleva circondargli il volto con le mani, ma lui gliele teneva bloccate contro il copriletto.  Lily allora gli morse un labbro, perché non aveva la possibilità di fare altro, nella posizione in cui si trovava. James sorrise, interrompendo il bacio per un attimo, poi lasciò i polsi di Lily e si puntellò sui gomiti, dandole la possibilità di intrecciare le braccia attorno al suo collo. Lily si tirò su, aggrappandosi al collo di lui.
Gli sbottonò i primi bottoni della camicia dimenticando che al piano di sotto i genitori di James stavano chiacchierando in pace, ignari di quello che stava succedendo sopra le loro teste, dimenticò anche se Sirius ci stava mettendo un po’ troppo a spedire quella lettera. Lo dimenticò non appena James spostò le labbra da quelle di Lily alla sua mascella, e poi ancora sul suo collo.
«James...» sospirò Lily, mentre la sua maglietta blu veniva lanciata da qualche parte e lei rimase con la canottiera leggera.
«Mh?» domandò lui, stringendola ancora di più, alzò la testa e la guardò negli occhi.
«Mi rendo conto solo ora di non avertelo mai detto.» rispose Lily, quando riuscì ad aprire finalmente tutti i bottoni della camicia di James.
«Che cosa?» chiese ancora James, facendo vagare le mani sotto la canottiera di lei.
«Che ti amo.»
James allora non rispose, bensì riprese a baciarla con ancor più foga, spingendola contro il materasso. I capelli rossi di Lily si sparsero per tutto il cuscino e i suoi pensieri si annullarono completamente mentre James riprendeva da dove si era interrotto prima. Con una mossa veloce lo aiutò a togliersi la camicia, e contrariamente a come si aspettava, in tutti quei gesti non c’era nulla di impacciato. Tutto le veniva naturale e non riusciva a provare vergogna mentre James la toccava e mente lei gli accarezzava la schiena nuda.
Chiuse gli occhi mentre si perdeva in un mondo fatto d’amore e sospiri, e poi li riaprì bruscamente, irrigidendosi all’improvviso quando captò un rumore provenire dal corridoio.
«Che c’è? Ho fatto qualcosa di sbagliato?» chiese James preoccupato.
«No, non ti preoccupare. È solo che mi è sembrato di sentire―» Lily si alzò a sedere sul letto con James di fronte, ma il suo sguardo era puntato sulla porta che si aprì un momento dopo, rivelando Sirius che aveva le guance arrossate.
«Sarà primavera ma di sera fa freddo... oh! Scusate, non volevo interrompervi» disse. «Certo che potevate chiudere la porta a chiave, eh! Ci avrei dormito io nella stanza di Lily.»
Lily arrossì di colpo, e andò in silenzio a recuperare la propria maglietta finita sula scrivania. James era cadaverico e non sapeva come rispondere. Era seconda volta che succedeva in due giorni.
«Ehm, buonanotte ragazzi.» disse Lily, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Buonanotte Lils!» dissero James e Sirius in coro.
Quando Lily si chiuse la porta alle spalle, Sirius guardò il suo migliore amico con un sorriso furbo sul volto. «James, dobbiamo fare due chiacchiere...»
 

 
 

NdA: Hola bellissimi! So che probabilmente non ci sarà nessuno di domenica pomeriggio, sarei dovuto andare al mare ma mi sono svegliata con la pioggia, questa mattina, quindi niente ç__ç Questo capitolo è stato un po' un travaglio perché ci ho infilato in mezzo davvero troppe cose, sorry, però ne vado leggermente orgogliosa (?) soprattutto per la parte di Peter. Di nuovo, scusate per l'assenza dei Wolfstar, nel prossimo capitolo li inserirò, promesso. Allora, nello scorso capitolo vi avevo detto della mia scaletta, ebbene, è finalmente terminata e con gioia (o forse no), vi annuncio che questa storia avrà 32 capitoli, più l'epilogo, quindi non siamo poi così vicini alla fine. Cioè sì, MA NON PENSIAMOCI. Ci sono ancora un sacco di cose da risolvere e un sacco di cose brutte da scrivere *si cuce la bocca*. u__u
Ringrazio moltissimissimissimo (dubito che questa parole esista) Jade_Horan, Bells1989 e AriPotterJackson01 per aver recensito lo scorso capitolo e djvergxnt per aver recensito il capitolo 17! :) siete sempre dolcissime/i? (ragazzi, se ci siete battete un colpo :3) e mi fate sorridere ♥
È stato uno spazio autrice molto flash, mi dispiace, ma devo scappare ahahah Fatemi sapere cosa ne pensate e grazie di tutto. :3
Bacioni,
Marianne



 

 
 

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Capitolo 28
*** Distruzione ***


 

 

CAPITOLO 27 – DISTRUZIONE

 
Dopo le vacanze pasquali, Hogwarts sembrava tornata quella di sempre: forse, allontanarsi da quell’ambiente che si era trasformato proprio a causa di chi vi era dentro, aveva aiutato tutti ad assumere un comportamento quasi felice nei confronti della vita di tutti i giorni.
I professori erano tornati a spiegare ed assegnare compiti su compiti, Pix aveva ricominciato a fare disastri per il castello, i fantasmi sembravano più vivi che morti; durante i pasti c’era sempre più rumore e i bambini del primo e del secondo anno uscivano di nuovo a godersi il sole primaverile dopo le lezioni. Sembrava essere tornato tutto alla normalità, ma quello che successe solamente una settimana dopo la ripresa delle lezioni, fece intendere che quella che avevano vissuto fino a quel momento, era solo un idilliaco momento di tranquillità.
Era un venerdì sera quando Lily era tranquillamente accovacciata su una poltrona della Sala Comune a leggere. Aveva deciso di lasciare Mary e Marlene a sbollire la rabbia da sole, in dormitorio, e si era defilata prima che potesse diventare vittima di qualche Schiantesimo. Di James non c’era traccia e lei aveva approfittato di quel momento di pace per leggere in tranquillità.
Sirius entrò in Sala Comune seguito da James e Remus, ridevano tutti e tre divertiti, sicuramente per qualche scherzo tipico di loro, erano ritornati i Malandrini che Lily ricordava, solo che adesso li vedeva cresciuti, nonostante si comportassero come sempre. Cercò di continuare la propria lettura, ma come era prevedibile James le si avvicinò e si mise seduto sul bracciolo della poltrona.
«Che fai qui tutta sola?» le chiese dolcemente.
«Cercavo di leggere.» rispose lei, rivolgendogli un sorriso radioso. Si arrese e infilò il segnalibro tra le pagine, appoggiando il libro sul tavolino di fronte a lei. James riusciva a distrarla da qualsiasi cosa stesse facendo e, inconsapevolmente, attirava sempre l’attenzione di Lily, pur non facendo niente di particolare. Forse era proprio questo sentirsi innamorati.
«Dov’è Peter?» chiese curiosa, notando che non era rientrato con loro.
«Non lo so, ci ha detto che doveva andare nell’ufficio della McGranitt per non so cosa.» rispose James.
Lily allora annuì, stava per dire qualcosa quando un rumore attirò la sua attenzione, proveniva da fuori. Allora si alzò e accorse alla finestra, per poi scoprire che la fonte dei rumori era la Torre d’Astronomia. Era strano, a quell’ora nessuno sarebbe dovuto essere più in giro. Sembravano dei colpi e non accennavano a cessare, fu raggiunta da James che le chiese cosa stesse succedendo.
«Andiamo a vedere.» rispose lei, accertandosi di avere la bacchetta con sé.
«Potrebbe essere pericoloso...» tentò James, beccandosi un’occhiataccia da Lily.
«Siamo Caposcuola, James.» ribatté la ragazza. Allora James si fece trascinare fuori dalla Sala Comune, sotto gli occhi confusi di Remus e Sirius.
I corridoi erano stranamente bui e silenziosi, i due si avventurarono verso destra, nella direzione che portava alla Torre d’Astronomia. Ben presto, si imbatterono nel Preside in persona.
«Tornate subito nella Sala Comune.» disse con calma Silente.
James deglutì e Lily parlò: «Ma professore, cos’erano quei rumori?»
«Nulla di cui dobbiate preoccuparvi, ora tornate pure nella Sala Comune e restateci.» disse ancora Silente. Lily non trovò argomenti con cui ribattere, avrebbe potuto dire che ormai facevano parte dell’Ordine e che dovevano essere informati, ma poteva benissimo non trattarsi di una minaccia – cosa che Lily dubitava fortemente, comunque – perciò si limitò ad annuire e a tornare sui propri passi.
«Lily, secondo me è qualcosa di grave.» mormorò James, mentre si avvicinavano al ritratto della Signora Grassa.
«Lo so, ma non vogliono dircelo. Eppure siamo membri effettivi dell’Ordine...» Lily sospirò e pronunciò la parola d’ordine, il buco nel ritratto si aprì ed entrarono nella Sala Comune. Tutto era come l’avevano lasciato, era tutto calmo, tutti parlavano normalmente. Almeno finché il vetro della finestra principale non andò in mille pezzi, che si sparpagliarono sul pavimento. Un urlo di terrore si levò dalla Torre Grifondoro, Lily rimase impietrita per un momento: non c’era ombra di dubbio che quelli fossero Mangiamorte.
«TUTTI FUORI!» gridò James, Lily si sentì agguantare da quest’ultimo e si riversò nel corridoio del settimo piano insieme a tutti i suoi compagni di Casa. Ebbe bisogno di qualche secondo per elaborare quello che era successo, poi capì: i Mangiamorte c’erano riusciti, si erano introdotti nella scuola grazie a coloro che logoravano le difese dall’interno, grazie a quelli come Severus.
Scosse la testa, evitando di pensarci. La scuola era in pericolo e lei doveva trovare Mary, Marlene, Alice e tutti gli altri che avevano aderito all’ordine insieme a lei e James. Non fece in tempo a girarsi che incontrò lo sguardo della professoressa McGranitt, e i suoi sospetti si rivelarono esatti.
«Evans, riporta i tuoi compagni in Sala Comune, lì sarete più al sicuro e―»
«Hanno sfondato una finestra, professoressa. Non siamo al sicuro da nessuna parte.» rispose Lily, stringendo la bacchetta in pugno.
La professoressa rimase allibita per un istante, poi ordinò di andare in Sala Grande, molto probabilmente tutti i Grifondoro avrebbero passato la notte lì. Lily, però aveva dei programmi diversi. Se i Mangiamorte fossero stati veramente lì – e sapeva che c’erano – giurò a se stessa che allora avrebbe trovato chi aveva distrutto la sua famiglia, chi aveva distrutto la famiglia di quella ragazzina del primo anno, chi aveva distrutto decine di famiglie e si sarebbe vendicata, perché nessuno aveva il diritto di strappare la vita a delle persone innocenti.
Camminò in silenzio verso la Sala Comune, cercando con lo sguardo le sue amiche, le trovò solo quando furono al secondo piano, e lasciò per un momento la mano di James.
«Ragazze» disse Lily, affiancandole. Marlene parlava con Alice e Mary sembrava in una sorta di trance, quelle due non avevano ancora fatto pace, ma a Lily non importava, avrebbero dovuto collaborare. «Ci sono i Mangiamorte. Voglio combattere.» Lily abbassò il tono di voce.
«C-combattere?» chiese Alice.
«Facciamo parte dell’Ordine.» disse ancora Lily.
«Lils, capisco l’adrenalina e tutto il resto, ma è una cosa seria. Ci puoi rimettere la pelle.» fece notare Marlene.
«Lo so e non ho paura. Non vi ricordate? Ce lo ha detto anche la McGranitt che non è un gioco. Oppure per voi non conta niente?» esclamò Lily.
«Non stiamo dicendo questo» intervenne Mary. «Ma se tu vuoi combattere, be’, noi siamo tue amiche e ti aiuteremo.»
Lily vide Alice e Marlene annuire e si lasciò scappare un sorriso nervoso. Non era mai stata così determinata in vita sua e la cosa la terrorizzava un po’, ma Lily scoprì che, avendo un obiettivo, si era disposti a tutto pur di raggiungerlo.
 
Erano in otto e correvano a perdifiato per le scale, erano riusciti a sgattaiolare via dalla Sala Grande e adesso si dirigevano verso la Torre d’Astronomia. James aveva insistito per cercare Peter, ma non l’avevano trovato da nessuna parte, allora avevano iniziato a dirigersi verso la Torre, da dove era iniziato tutto. Lily era in testa al gruppo. Si muovevano velocemente e silenziosamente tra i corridoi deserti. Mary e Marlene avevano deciso di comportarsi normalmente per un po’, non potevano permettersi di litigare in quella situazione. Alice era stretta al braccio di Frank e cercava di non tremare come una foglia, perché il coraggio che sentiva scorrerle nelle vene non riusciva a vederlo nessun altro e la cosa era abbastanza frustrante. Remus e Sirius erano al fianco di James ed erano in religioso silenzio, tenendo le bacchette tese di fronte a loro. Man mano che si avvicinavano, i suoni della battaglia che si stava svolgendo nel punto più altro di Hogwarts si facevano sempre più nitidi. Lily mandò giù il groppo che aveva in gola e continuò ad avanzare finché non sentì la mano calda di James sul braccio.
«Sei sicura?» le chiese, guardandola negli occhi.
Lei annuì convinta e continuò a camminare risoluta, senza dire una sola parola. James guardava Lily e le sembrava una guerriera che marciava in territorio nemico. In pochi minuti arrivarono sotto la volta delle scale e Lily si accorse di non avere un vero e proprio piano, allora improvvisò.
«Qualcuno deve rimanere qui a fare da guardia, chi vuole venire con me, venga. Altrimenti rimanete in corridoio e avvertiteci se succede qualcosa.» disse la ragazza, pensando che potesse funzionare.
«Noi veniamo con te.» disse Marlene, prendendo Mary per un braccio. La mora rimase sorpresa di quel gesto, era come se Marlene l’avesse perdonata tutto d’un tratto. O forse era solo solidarietà contro i Mangiamorte, forse dopo quello sarebbe ritornata a non parlarle.
«Va bene.» disse Lily.
«Anche io vengo con te.» disse James.
«Io ed Alice rimaniamo qui a fare la guardia.» asserì Frank.
«Ci state togliendo tutto il divertimento...» brontolò Sirius. Sia James e Remus lo fulminarono.
«Noi andiamo in corridoio e ci occupiamo di chiunque provi a salire qui sopra.» disse allora Remus, prese Sirius per la manica della camicia e lo trascinò via.
James sospirò e strinse Lily in abbraccio, farla ragionare e convincerla a tornare indietro sarebbe stato inutile, quando Lily si impuntava in quel modo non c’era  verso di farle cambiare idea. Lily era convinta di poter trovare l’uomo che aveva ucciso i suoi genitori e aveva la forza di un uragano, niente avrebbe potuto fermarla. Lei non si sarebbe data pace finché non l’avrebbe trovato, e poi? Poi James non aveva idea di cosa sarebbe stata capace Lily.
 

***

 
 
Sirius percorreva su e giù il corridoio per la settima volta mentre Remus, appoggiato al muro, sbuffava per la settima volta. Quella parte del piano era una noia, su questo non c’era dubbio. In più, ogni rumore proveniente dalla Torre li faceva sussultare, lì sopra era in corso una battaglia e Sirius si stava ancora chiedendo perché li avessero confinati laggiù: i suoi amici erano in pericolo. Poi guardò Remus e si disse che se gli fosse successo qualcosa a causa della sua testardaggine, non se lo sarebbe mai perdonato, quindi era meglio stare lì a far nulla.
«Te l’avevo detto io che ci toglievano tutto il divertimento.» sbuffò Sirius. Remus roteò gli occhi e lo ignorò, Sirius aveva ragione, ma non l’avrebbe mai assecondato. Se qualcuno fosse arrivato con l’intenzione di salire sulla Torre, loro l’avrebbero fermato. A meno che non si fosse trattato di qualcuno dell’Ordine.
«Non siamo qui per divertirci, siamo qui per aiutare e cercare di rimanere vivi.» disse infine Remus.
«Lo so, ma questo fare avanti e indietro è snervante! Potrei distruggere qualsiasi cosa da un momento all’altro.» esclamò il ragazzo.
«Pensiamo a fermare quel tipo.» disse Remus, avvistando una figura incappucciata correre lungo il corridoio. Veniva verso di loro ed era sicuramente diretto alla Torre, non riusciva a vedergli il viso a causa del mantello nero che lo copriva fin sopra la testa. Ma era uno studente, lo riconosceva dallo stemma verde e argento sulla divisa. Forse era uno di loro e stava andando ad aiutare i Mangiamorte.
Sirius alzò subito il capo e assottigliò gli occhi grigi, guardò Remus, lanciandogli un breve sguardo d’intesa e in meno di un secondo, i due avevano già bloccato il ragazzo, prendendolo per le spalle.
Il cappuccio gli scivolò dalla testa, rivelando dei capelli neri come la pece.
«Regulus...» mormorò Sirius, spingendo il fratello contro la parete di pietra. «Che diavolo ci fai qui?»
«Ti interessa così tanto, fratellino?» rispose l’altro, con il capo alzato, guardava Sirius dritto negli occhi e lo sfidava con lo sguardo: non aveva paura di lui.
«Nessuno può salire sulla Torre, vattene.» sibilò Sirius.
«N-non posso.» ribatté Regulus, cercando di mantenere un tono risoluto. Ma tremava, non per colpa di Sirius, ma al pensiero di quello che sarebbe successo se non fosse arrivato sulla Torre.
«Invece puoi. Ritorna nel tuo covo di serpi e stai lontano da questa Torre.» riprese Sirius.
«Devo andare. Se non li raggiungo...» iniziò Regulus, sotto lo sguardo confuso del fratello. «Se non li raggiungo mi uccidono.»
Sirius non accennò a togliere le mani di dosso le spalle del fratello, che era ancora bloccato con la schiena al muro. Remus si avvicinò ai due ragazzi, cercando di capire cosa stesse succedendo.
«Se non raggiungi chi?» domandò confuso.
«I Mangiamorte» rispose il più grande al posto di Regulus. «Sei il loro cagnolino, no? Te l’hanno già impresso il Marchio Nero? O forse anche per loro vali meno di niente?»
«Sirius, calmati.»
«No!» esclamò il ragazzo, afferrando i lembi del mantello di Regulus. Lui non si smentiva e continuava a guardarlo negli occhi. Dimostrandogli di non essere spaventato e di essere più forte di lui, Sirius l’avrebbe lasciato andare.
Conosceva suo fratello e sapeva che odiava perdere, per questo lo sfidava, per vederlo perdere e dimostrargli di essere perfettamente capace di saper badare a se stesso, di non aver bisogno di nessuno, specialmente di lui.
«Non ti uccideranno» mormorò a bassa voce, stavolta. «Non se lo faccio prima io.»
Una mano andò a cercare la bacchetta nella tasca dei pantaloni e Remus lo tirò per un braccio, lasciando libero Regulus.
«Cosa diavolo vuoi fare? È un ragazzino, è tuo fratello!» gli urlò contro Remus.
«Lasciami, Remus.» disse Sirius, cercando di liberarsi dalla presa del suo ragazzo.
Regulus guardò la scena, rimanendo pietrificato per un momento, poi se la diede a gambe, ricominciando a correre verso la Torre, quando Sirius si liberò, suo fratello stava già salendo le scale due a due ed era arrivato quasi in cima.
«Perché l’hai fatto?» urlò Sirius, carico di rabbia e frustrazione. «Perché?»
«Te ne saresti pentito per tutta la vita! Non so se l’hai capito, ma stavi per uccidere tuo fratello. Sangue del tuo sangue.» esclamò Remus, ansimando per lo sforzo. Sirius era davvero forte, e trattenerlo era stato difficile.
«Non è più mio fratello» sibilò Sirius appoggiandosi al muro. «Non da quando è uno di loro, non da quando mia madre l’ha fatto diventare quello che io ho deciso di non essere. Lui è non è più mio fratello, è un traditore!»
«Sirius...» tentò Remus, ritrovandosi a corto di parole.
Sirius scivolò sul pavimento e nascose il volto tra le ginocchia, circondando quest’ultime con le braccia. Remus si inginocchiò al suo fianco e gli mise una mano sulla spalla. Sussultò quando sentì il suo corpo venire scosso da quello che assomigliava ad un singhiozzo. Probabilmente, se Remus l’avesse raccontato in giro, nessuno gli avrebbe creduto, ma Sirius Black stava piangendo per davvero. E non era affatto necessario che qualcuno lo sapesse, ora doveva solo trovare un modo per confortarlo, perché a questo servono le persone amate che amano a loro volta. Remus doveva convincersi di poter aiutare Sirius, anche se aveva l’orribile sospetto che non avrebbe potuto fare molto, se non lasciarlo sfogare.
«Perché non me l’hai lasciato fare?» chiese ancora Sirius, la sua voce era ovattata, gli moriva in gola e sembrava volersi nascondere.
«Non saresti stato migliore di lui. E so che in realtà lo sei, sei una delle persone migliori che io abbia mai conosciuto.» rispose il ragazzo, prendendogli il viso tra le mani.
E allora Remus lo strinse a sé e Sirius si lasciò stringere, perché ormai non aveva più senso recitare la parte di quello forte, intoccabile, che non si lasciava scalfire da niente. Non puoi recitare quando il mondo ti crolla addosso.
 

 
***

 
Sulla Torre, Lily, James, Marlene e Mary aveva scoperto che gran parte dei loro professori si trovava già lì e stava già combattendo contro i Mangiamorte, oltre a loro, c’erano diverse persone che nessuno dei quattro aveva mai visto prima. Sembravano tutti più grandi di loro e allora si sentirono infinitamente piccoli e decisamente nel posto sbagliato.
Lily afferrò la mano di James come se non dovesse lasciarla andare mai più. Mary e Marlene osservavano la battaglia esterrefatte, ma non riuscirono a pentirsi di essere salite. Potevano farcela, dovevano solo smettere di ignorarsi e tornare a fidarsi l’una dell’altra, perché altrimenti non avrebbero resistito due minuti in battaglia. Era lì, sotto i loro occhi, ed erano tutti pronti a fare un passo avanti e a combattere. Di tutto, pur di scacciare i Mangiamorte dalla scuola.
«Dobbiamo omologarci. Dobbiamo dimostrare di essere all’altezza degli altri.» disse Lily. Tutti annuirono e dopo aver preso un grande respiro, si gettarono nella mischia.
James giurò d’aver sentito qualcuno borbottare qualcosa simile a un «Che ci fanno dei ragazzini qui in mezzo?» e aveva fermato l’impulso di ribattere che non era un ragazzino, che era maggiorenne e aveva tutta la responsabilità delle proprie scelte. Però non ebbe nemmeno il tempo di pensarlo che dovette lanciare un incantesimo difensivo per respingere quella che molto probabilmente era una Maledizione Cruciatus. Lily era qualche metro dietro di lui e lanciava Schiantesimi senza farsi vedere, Marlene invece, combatteva al fianco di un uomo dai capelli rossi e pareva abbastanza sicura di sé da sembrare un’adulta. Anche se utilizzava sempre gli stessi incantesimi. Mary era al fianco di Lily e combatteva usando la sua specialità, ovvero l’incantesimo Levicorpus, che richiedeva però un’incredibile concentrazione.
E James all’improvviso capì quanto l’Auror Harris avesse ragione, quella sera. Gli aveva detto che un minuto poteva salvargli la vita e che due avrebbero invece potuto ucciderlo. Non stava fermo neanche un secondo, continuava a gettare incantesimi da tutte le parti. A volte per difendersi, a volte per attaccare. Non sapeva nemmeno contro quale Mangiamorte li stesse lanciando, perché non perdeva di vista Lily. Eppure lei sembrava così decisa, così determinata in quell’istante, che James non poté fare a meno di chiedersi chi fosse tra i due quello da proteggere. Lily era sicura e credeva in quello che stava facendo. E lui? Lui se la stava semplicemente cavando, annaspava per restare a galla e capì di essere troppo poco per tutto quello. Nonostante tutto, non si stancava mai e continuava a lanciare incantesimi. Sentì un rumore assordante, qualcuno aveva appena lanciato un Bombarda e parte del muro alle spalle dei Mangiamorte era andato distrutto.
Lily, dal canto suo, non riusciva mai a sentirsi soddisfatta. Non sapeva come avrebbe capito chi fosse stato l’uomo che aveva ucciso i suoi genitori, e a quel punto non le importava, voleva mandarli via tutti, farli scomparire possibilmente dalla faccia della Terra e quindi dalla sua vita. Fece un passo indietro e andò a sbattere contro Mary che si era arrestata all’improvviso e adesso aveva lo sguardo rivolto verso le scale, poi ancora verso sinistra e poi sui Mangiamorte davanti a loro.
«Che succede, Mary?» le chiese.
Ma Mary non era capace di dire una singola parola, il suo sguardo era ancora rivolto in avanti e Lily cercò di capire quale fosse il centro della sua attenzione.
«Attente!» gridò qualcuno, Lily strattonò Mary per un braccio e usò un Protego abbastanza potente per entrambe, le chiese nuovamente cosa stesse succedendo.
«Regulus... lui è...» iniziò la ragazza, sentendo gli occhi pizzicare, indicò i Mangiamorte e Lily capì all’istante.
«Regulus? Il fratello di Sirius?» chiese ancora Lily. Vide Mary annuire, stavolta lo sguardo era sconvolto e perso nel vuoto. Lily avrebbe voluto dirle che sapeva come ci si sentiva a scoprire che la persona che si ama in realtà è un Mangiamorte, però non trovava le parole giuste da dire, aveva la gola secca e si abbassò insieme all’amica abbastanza velocemente da schivare uno Schiantesimo.
«Mary, non puoi restare qui... sei sconvolta, vai giù da Frank ed Alice.»
«No!» ribatté la ragazza. «Io voglio aiutarti.»
«Hai già fatto tanto, adesso vai più prima che―» Un altro incantesimo evitato per un pelo. «Prima che ci ammazzino.»
Mary annuì, ma non fece in tempo a dirigersi verso le scale che qualcuno esclamò: «Se ne stanno andando!»
Allora rimasero tutti sulla Torre, Lily corse tra le braccia di James e osservò i Mangiamorte svanire in nubi nere e minacciose, una dopo l’altra. Mary guardò Regulus negli occhi un’ultima volta prima che anche lui svanisse insieme ad una nuvola. Poi si lasciò sfuggire quella lacrima che tratteneva da troppo tempo e Marlene corse ad abbracciarla, mettendo da parte ogni rancore.
«Stai bene, Lils?» chiese piano James, accarezzandole i capelli.
«Sì...» mormorò la ragazza. «Credo di sì.»
«Ragazzi, è stato spaventoso!» esclamò Marlene, avvicinandosi ai due. «Ho temuto il peggio per un momento.»
«Non credo fossero nemmeno all’apice delle forze. Non c’erano tutti i Mangiamorte di Hogwarts.» ribatté Lily, ricordandosi di non aver visto Severus da nessuna parte, lì sulla Torre. «Quando saranno davvero tutti, allora sarà più che spaventoso.»
«È meglio se andiamo giù e diciamo agli altri che è tutto finito.» disse James. Le tre ragazze annuirono e scesero le scale, mentre i professori e gli altri membri dell’Ordine sembravano averli ignorati tutto il tempo.
E mentre scendeva le scale abbracciata a James, Lily era certa di una cosa: non si sarebbe mai fatta scoraggiare da niente e nessuno.
 

 
 

NdA: Mi stavo quasi dimenticando di aggiornare, potete lanciarmi tutte le maledizioni che volete, sul serio çç Praticamente, mentre scrivevo di Regulus sono morta. Capite, io amo quel povero ragazzo e fargli capitare tutte queste cose mi uccide. E ora mi dispiace per Mary, e per Sirius, e oddio sono una persona tremendamente orrenda. Comuuunque, credo di essere negata a scrivere di battaglie, quindi chiedo scusa se il capitolo fa leggermente schifo e credo anche che quando ci sarà la battaglia "più seria" farò un casino assurdo. Povera me che vado a plottare cose del genere. E inoltre muoio di sete, ma questo non c'entra niente. Spero che vi sia piaciuto, fatemelo sapere con una recensione ^_^
Intanto, ringrazio AriPotterJacskon01, Jade_Horan, niclue, El_ly e Bella1989 che hanno recensito lo scorso capitolo ♥
Detto questo, venerdì parto, quindi se ci riesco aggiorno giovedì, altrimenti se giovedì non avete miei segni di vita, ci risentiamo lunedì sera/martedì, ovvero quando ritorno :\
Baci,
Marianne






 

 
 

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Capitolo 29
*** Non crollare ***


 

 

CAPITOLO 28 – NON CROLLARE

 
Dopo l’attacco dei Mangiamorte, solo i Grifondoro sembravano essere totalmente scossi e terrorizzati. Le altre Case quasi non si erano accorte di niente. Dopotutto, la finestra sfondata in Sala Comune non l’avevano avuta loro. L’entusiasmo iniziale di Lily per far parte dell’Ordine era leggermente svanito dopo la battaglia sulla Torre, si era resa conto che non era una cosa da niente avere quella responsabilità, ma non riusciva ancora a pentirsene. James la pensava come lei, anche se da una parte gli sembrava d’averci trascinato dentro i suoi amici anche se forse loro non lo volevano davvero.
Stavano scendendo le scale per andare a pranzo, con loro c’era Mary che sembrava molto taciturna. Aveva fatto pace con Marlene, ma lei era scesa prima perché doveva parlare con Peter. Lily sapeva il motivo della tristezza di Mary, ci era passata anche lei tempo addietro, quando aveva scoperto il segreto di Severus. Solo che lei aveva avuto l’opportunità di sfogarsi, di urlargli contro, mentre Mary non aveva potuto far altro che vedere Regulus scomparire in una nuvola di fumo.
Stavano andando in Sala Grande quando la loro attenzione venne catturata da una battibecco in corridoio. Lily fu la prima ad allungare il collo per poi vedere Sirius e Regulus discutere a voce abbastanza alta, tant’è che intorno a loro si era già formato un gruppetto di persone.
James sospirò e si avvicinò con calma, mentre Mary si fiondò di corsa verso il cerchio di studenti, cercando di passare. Lily rimase per un attimo impietrita sulle scale, poi si decise a scendere.
James entrò nel cerchio senza difficoltà prendendo Sirius per le spalle, dato che aveva già sferrato un pugno al fratello. Non aveva sentito la conversazione e quindi non sapeva il motivo della rissa, ma Remus gli aveva detto che era dalla sera in cui Hogwarts era stata attaccata che Sirius si comportava in quel modo.
«Sirius, che ti prende?» gli chiese mentre lo tratteneva. «Ti ha dato di volta il cervello?»
«James, lasciami o giuro che prendo a pugni anche te!» esclamò Sirius, dimenandosi inutilmente nella stretta di James.
Mary, dall’altra parte, aveva  trovato un Regulus distratto e impegnato ad osservare il fratello, tant’è che non si era quasi accorto che Mary l’aveva preso per un braccio e l’aveva portato via di lì, dietro un altro corridoio, lontano da tutta quella gente e da tutte quelle voci.
L’aveva costretto con la schiena al muro e adesso lo guardava negli occhi scuri, cercando di capirci qualcosa. Ma Mary non riusciva a capire nemmeno se stessa, come poteva riuscire a comprendere la persona che amava, se quest’ultima le mentiva?
«Perché non me l’hai detto?» chiese, a poca distanza dal suo viso. Sentiva il respiro di Regulus addosso ed era una sensazione meravigliosa quanto strana, quanto sbagliata. Perché Mary era capace di farsi trascinare nell’oblio per Regulus, mentre sapeva che non sarebbe dovuto mai accadere. Nessuna persona avrebbe avuto il potere di cambiarla.
«Che io e mio fratello ci odiamo a morte? Scusa, ma lo sa tutta la scuola.» rispose lui acidamente, voltandosi dall’altra parte. Aveva paura dello sguardo di Mary perché sapeva fin dove poteva arrivare, per questo cercava di evitarlo il più possibile. Non voleva che qualcuno lo vedesse per com’era veramente.
«Perché non mi hai detto che sei un Mangiamorte?» Mary riformulò la domanda, così che Regulus non potesse più evitarla. Sapeva che l’aveva fatto apposta, che non intendeva veramente la situazione tra lui e Sirius. Lui lo sapeva perché l’aveva guardata negli occhi prima di andarsene, la notte prima.
«Perché tu mi avresti abbandonato, come hanno fatto tutti e come ci si aspetta da tutti. Non volevo perderti, eppure sento che adesso ti stai già allontanando da me.» mormorò il ragazzo, riposando lo sguardo su di lei. Mary, allora, gli si avvicinò ancora di più, fino a premere il corpo contro il suo, finché i loro nasi non si toccarono e finché le loro labbra non furono attratte da quella sorta di elettricità e magnetismo che caratterizzava ogni singola cosa di loro.
«Non ti sto abbandonando» disse lei, guardandolo negli occhi. Prese il ciondolo azzurro che portava sotto la camicetta e lo tirò fuori, fece lo stesso con quello di Regulus e li mise vicini, proprio davanti al loro occhi. «Vedi? Noi saremo sempre legati in un modo o nell’altro, e se tu mi svelerai ogni cosa di te, io non ti abbandonerò, Regulus. Sei una persona cento volte più complessa di tuo fratello, e nonostante tutto io sono ancora qui, a dirti che ci sarò sempre. Non voglio abbandonarti, non ne sarei mai capace, andrei contro me stessa.»
Regulus prese la mano di Mary e per un lunghissimo momento non disse niente.
«Io non sono come gli altri. Sono cresciuto secondo determinati ideali e non posso cambiare ciò che sono. Ma non voglio fare del male a nessuno, Mary, te lo giuro» disse. «Loro parlano di uccidere, di sterminare chiunque non sia puro di sangue, ma io questa cosa non l’ho mai capita appieno. Non la voglio sul serio, e se solo tu conoscessi la mia famiglia, capiresti perché sono diventato un Mangiamorte. Non ho avuto scelta.»
Mary annuì, circondandogli il volto con le mani. «Lo so che tu non sei cattivo. Lo so e mi fido di te, Reg. Io ti amo.»
Poi Regulus la guardò negli occhi e «Baciami.» sussurrò, come se all’improvviso non avesse bisogno di niente che non fossero le labbra di Mary sulle sue. E Mary lo fece, annullando quella distanza già minima. Avrebbe voluto piangere di gioia, perché non tutto era perduto, perché Regulus era ancora lì e le stava chiedendo scusa, a modo suo. Mary era stranamente felice, nonostante tutto quello che stesse accadendo a scuola, perché per una volta amava ed era amata veramente. E si sentiva mancare il respiro, ma non importava, perché le braccia di Regulus erano attorno a lei e in quel momento non esisteva altro.

 

***

 
A pranzo, tutto sembrava normale. Le persone facevano chiasso, altre si lanciavano il cibo, e Lily era seduta accanto a James, Sirius e Remus erano di fronte a loro e Peter mangiava a sbafo mentre chiedeva a Remus se avesse intenzione di finire il suo purè di patate. Sembrava tutto perfettamente normale, ma Lily sapeva benissimo che non lo era affatto. Sirius era troppo taciturno, Remus troppo poco affamato, Peter al contrario aveva troppa fame, James non parlava a proposito del torneo di Quidditch e Lily non stava ripassando per qualche materia.
Erano tutti stranamente fuori da se stessi per apparire normali.
Lily si era appoggiata alla spalla di James quando aveva capito di non avere più fame, lui le circondò le spalle con un braccio e le chiese se stesse bene. La risposta di Lily fu, ovviamente, affermativa, ma entrambi sapevano che non era così. Che nessuno stava bene per davvero, in quel momento. C’era chi era troppo scosso, chi non ci capiva più niente, chi aveva paura e chi non capiva dove stesse andando la propria vita. Lily si sentiva al sicuro accanto a James, e si disse che, qualsiasi cosa fosse accaduta, avrebbe avuto la certezza di averlo al proprio fianco, perché si amavano.  Si ritrovò a pensare che fosse eccessivamente buffo: avevano passato tutti quegli anni ad urlarsi contro e a fingersi di odiarsi, che avevano capito solo all’ultimo di essere innamorati.
«Mi scoppia la testa...» si lamentò la rossa, massaggiandosi una tempia. James le posò un bacio sui capelli.
«Studi troppo.» le disse allora, beccandosi un’occhiata ammonitrice ma divertita allo stesso tempo da parte di Lily. In realtà, ultimamente Lily e i libri erano due universi completamente separati. Erano successe così tante cose dopo la morte dei suoi genitori che studiare le sembrava un’impresa titanica.
«Non è vero.» ribatté lei, ridendo. Diede una gomitata scherzosa a James e passò a fissare il proprio piatto, pieno di cibo. Anche mangiare, in quei giorni, sembrava un’impresa titanica.
«Silenzio, per favore!» La voce del preside si diffuse per tutta la Sala Grande e fece ammutolire ogni studente. Tutti si girarono verso il tavolo del professori, dove Silente si era appena alzato in piedi e aveva tutta l’aria di star per dare un annuncio molto importante. Lily appoggiò il mento sul palmo della mano e osservò curiosa. «A causa degli attacchi subiti dalla scuola negli ultimi tempi, gli esami di fine anno sono sospesi fino a nuovo ordine per tutti. Gli studenti del quinto e del settimo anno sono definitivamente esonerati dai G.U.F.O. e dai M.A.G.O.»
Da qualche tavolo si levarono dei risolini sommessi e dei sospiri di sollievo, ma da parte di Lily e gli altri non ci fu nulla. Nessuna reazione particolarmente degna di nota, se non Sirius che sdrammatizzò la situazione con una delle sue solite battute senza capo né coda.
Lily da una parte si sentì molto sollevata, non aveva studiato per niente in quell’ultimo periodo, e gli esami la innervosivano da morire, ma se l’alternativa era farsi uccidere dai Mangiamorte, avrebbe affrontato i M.A.G.O. senza aver studiato un virgola, e si sarebbe fatta bocciare altre mille volte. Lily aveva paura, ma si era presa delle responsabilità e le avrebbe rispettate, non importava quello che sarebbe successo. Sospirò, dichiarando di non avere fame. James la guardò preoccupato, e quando lei si alzò, lui anche scattò in piedi, provocando i risolini sommessi di Remus e Sirius.
«Ti accompagno in dormitorio?» chiese James, preoccupato.
«No, non ti preoccupare.» rispose Lily. In cuor suo, sperava che James lo facesse comunque, perché non voleva sembrare di non poter nemmeno salire alla Torre da sola, ma stare sola le faceva male, e voleva qualcuno con sé. E James era testardo, per questo la prese comunque sottobraccio e insieme si diressero verso l’uscita della Sala Grande.
Non parlarono molto mentre salirono le scale, James tenne un braccio sulle spalle di Lily e lei lo tenne stretto a sé come fosse l’unica sua ancora di salvezza.
Arrivarono in Sala Comune e la trovarono vuota, erano tutti a pranzo oppure fuori in cortile sotto al sole.
«Come ti senti?» chiese James dolcemente, fermandosi davanti alle scale che portavano ai dormitori.
«Bene. Cioè, non bene perché tutto quello che sta succedendo è un vero casino, ma bene fisicamente » rispose Lily. «Voglio stare con te.»
Lily abbracciò James e inspirò forte il suo profumo. James rise. «Meglio che ti porti di sopra...»
«I ragazzi non possono entrare nel dormitorio femminile. Portami da te, stiamo un po’ insieme. Ti prego. Ne ho davvero bisogno.» disse Lily, gettandogli le braccia al collo. Lo baciò, alzandosi sui talloni, e dapprima James ne rimase molto sorpreso. Lily di solito non prendeva iniziativa, era sempre così restia a manifestare i suoi sentimenti, e James l’amava perché la conosceva e sapeva che anche lei ricambiava i suoi, nonostante non lo desse spesso a vedere.
Ricambiò il bacio con enfasi, circondandole il volto con le mani. La prese in braccio, come una sposa, Lily rise dolcemente e James la trasportò fin nel dormitorio maschile del settimo anno.
Una volta arrivati, Lily ritornò a poggiare i piedi sulla moquette rossa e continuò a baciare James. Sapeva alla perfezione che il suo letto era il secondo a partire dalla porta, in mezzo a quello di Peter e Sirius. Indietreggiò, continuando a trascinare James. Lui la sollevò di nuovo e l’adagiò sul letto. Lily venne a contatto con il copriletto rosso e James chiuse le tende del letto, lei rise e i capelli si sparpagliarono sul cuscino bianco, come un’aureola di rose rosse. Lei scoppiò a ridere e cercò di alzarsi con ogni particella di sé per raggiungere James e baciarlo, ma lui la precedette ei s abbassò su di lei, tenendosi sui gomiti. James amava il suono che producevano mentre si baciavano, era un insieme di respiri, battiti e risate trattenute e scivolate via... era musica. James scese a baciarle il collo mentre Lily faceva vagare le mani nei suoi capelli scuri e indomabili, pareva guidarlo nella sua inesorabile discesa.
Come quando erano a casa di James, Lily si sentì esattamente a proprio agio in quella situazione. Tutto veniva da sé, spontaneo e naturale. Cominciarono a baciarsi con più foga, come se il loro unico scopo nel mondo fosse quello. Baciarsi e amarsi. Come se fosse stata l’unica via di evadere, di scappare e di salvarsi. Lily fece scivolare le mani dal collo di James alle sue scapole e gli tolse la camicia che lui sveva già sbottonato. Si sentiva così piccola... minuscola e indifesa di fronte a James, che di esperienze probabilmente ne aveva già, e anche tante. Cercò comunque si scacciare via quel pensiero e si concentrò solo sulle labbra calde di James che esploravano la sua pelle, e che ritornavano a baciarla di nuovo, ancora e ancora, senza mai stancarsi. James si beò del tocco delicato di Lily sulla guancia e sulla schiena e capì di non essere mai stato così insicuro e così preoccupato in vita sua. James sapeva come comportarsi in situazioni del genere, ma quella era tutta un’altra cosa.
Questa è Lily Evans, pensò. E con lei tutto era diverso, con lei James aveva stravolto le proprie abitudini e il proprio comportamento, ed era stato uno sciocco a pensare di poter mantenere la solita faccia anche in quel momento.
«James...» sospirò Lily ad un certo punto. Lui si arrestò all’improvviso, provocando la nascita di un’espressione confusa quanto divertita sul volto di lei.
«Che c’è? Sto sbagliando in qualcosa? Io...» cominciò il ragazzo, si stese al fianco di Lily e la guardò negli occhi non appena lei girò la testa nella sua direzione.
«Va tutto bene, non ti preoccupare.» gli disse Lily, accarezzandogli di nuovo il volto. Nell’istante in cui lo guardò negli occhi, ogni dubbio e paura svanirono dalla mente di Lily. Avrebbe voluto dirgli tante cose, in quel momento, ma per parlare ci sarebbe stato tempo, e in quell’istante di tempo per parlare non ce n’era. C’era solo il tempo di guardarsi e di agire, di amarsi e basta. Così James sorrise e si ritrovò piacevolmente sorpreso quando Lily si mise sopra di lui e lo baciò senza la minima esitazione. I capelli rossi gli ricadevano sul collo e gli facevano il solletico, James le mise le mani sui fianchi mentre Lily si armava di tutto il coraggio che possedeva e si toglieva la camicia bianca e guardava James negli occhi, senza mai distogliere lo sguardo, perché era a quegli occhi che Lily apparteneva.
E quando a dividerli non rimase altro che pelle, James credette di essere ritornato alla prima volta, perché, alla fin fine, ogni cosa con Lily era come se fosse la prima volta. E allora credette di amare qualcuno per la prima volta in assoluto, perché da una parte era vero. James non aveva mai amato nessuno come amava Lily. Non aveva mai desiderato proteggere qualcuno così tanto, anche a costo della vita.  Fu probabilmente il momento più bello della vita di entrambi, almeno così pensò Lily, mentre continuava a guardare James e mentre James guardava lei, ma la guardava dentro, oltrepassava il verde dei suoi ed esplorava la sua anima, lasciandosi esplorare a sua volta. Lily capì che il momento giusto arrivava da sé, proprio come era arrivato per loro.
E così, pelle contro pelle, labbra contro labbra e cuore contro cuore, Lily capì anche che tutto quello, seppur lei lo considerasse un istante magico che avrebbe ricordato per tutta la vita, non era altro che un piccolo momento di pace, quell’unico momento di silenzio e calma prima che il mondo crollasse all’improvviso.
 
 

***

 
Evan Rosier non aveva rimorsi. Se ne andava in giro per la scuola a testa alta, con lo sguardo fiero e osservava di sottecchi le sue prossime vittime con soddisfazione. Edward aveva più volte giurato che il suo amico non provasse sentimenti, che al momento del rituale gli avessero fatto qualche sorta di incantesimo che gli aveva completamente tolto la sua umanità. Lui in realtà, era leggermente spaventato da Evan, la sua stazza e i suoi occhi glaciali lo avevano sempre terrorizzato, gli avevano sempre messo una certa inquietudine.
Rosier era entrato nel dormitorio con passo pesante e il fuoco negli occhi, aveva guardato Mortimer, seduto sul letto a leggere e quest’ultimo aveva alzato lo sguardo, ritrovando quello di Rosier puntato nel suo.
«Chiama gli altri, vi voglio nella Stanza delle Necessità.» disse Rosier.
«Riunione speciale?» chiese Mortimer con un po’ d’esitazione nella voce.
«Fallo e basta, Edward.»
E Mortimer odiava farsi chiamare per nome, ma quando lo faceva Evan Rosier non osava ribattere. Allora annuì e uscì dal dormitorio per andare a chiamare gli altri Serpeverde coinvolti nella faccenda dei Mangiamorte. Recuperare Peter Minus e gli altri due Corvonero non sembrò essere troppo difficile, così, nemmeno un’ora dopo erano tutti riuniti nella Stanza delle Necessità.
Erano di nuovo disposti in cerchio, con Evan Rosier al centro a non fissare nessuno in particolare. Peter era sempre seduto vicino a Mortimer e osservava ancora curioso Severus Piton, chiedendosi ancora una volta da quanto tempo, e soprattutto perché fosse un Mangiamorte.
«Amici,» iniziò Rosier, catturando l’attenzione di tutti. «il Signore Oscuro mi ha comunicato i suoi progetti, il prossimo attacco darà quello decisivo, e ci sarà tra due settimane esatte. Vi fornirò un breve elenco di nomi.»
«Per nomi intendi...persone da uccidere?» chiese qualcuno.
«Esattamente. Più precisamente, sono solo mezzosangue e Nati Babbani, tutti gli altri saranno risparmiati e portati davanti al Signore Oscuro, se si rifiuteranno di passare dalla sua parte, sarà lui stesso ad ucciderli.» rispose Rosier, tirando fuori un pezzo di pergamena dalla tasca dei pantaloni. Peter deglutì. Era la lista delle vittime.
«Io le leggo, spartitevele voi» disse il ragazzo, persino Mortimer trasalì. Rosier considerava quelle persone oggetti. «Lily Evans, Aline Bloodbond, Thomas Cutterson, Marlene McKinnon...»
Peter strinse i pugni e osservò Piton, era bianco in volto e fissava il pavimento. Sentire il nome di Lily  doveva essere uno shock, proprio come lo era per Peter quello di Marlene. Non poteva ucciderla. Non ci sarebbe mai riuscito.
«Roger Willow, Katherine Norman, Logan Strikes...» Intanto, Rosier continuava con la lista dei nomi, ma Peter non ascoltava più. Era diventato improvvisamente assente. Tutto quello che voleva era alzarsi e urlare che non potevano uccidere tutte quelle persone, che era ingiusto. Che non potevano uccidere la sua Marlene.
Quando la riunione finì, lui fu l’unico a rimanere seduto dov’era, tant’è che Rosier gli si avvicinò e gli chiese cosa avesse. Peter scosse la testa e mentì, disse che stava bene.
«Peter, mi sarei intrattenuto a parlare con te comunque. Sai, il Signore Oscuro non ha avuto ancora prova della tua fedeltà, per questo, la vittima te l’assegno io personalmente. Va bene, no?» disse Rosier con un sorrisetto sul volto. Era una domanda retorica. Peter annuì, controbattere sarebbe significato morire, in parole povere. «Bene, perché voglio che sia tu ad uccidere Marlene McKinnon.»
 

 
 

NdA: S-salve. *le tirano pomodori* LO SO, Sono in un ritardo abominevole, ma giovedì il capitolo non era finito e sono stata quattro giorni senza internet, ho avuto occasione di finirlo e sono tornata a casa questa mattina, quindi ora aggiorno, abbiate pietà di me u.u Vi dico già da ora che sabato riparto e torno sabato prossimo, ma questa volta dovrei avere la wi-fi nel recidence/hotel, quindi DOVREI riuscire ad aggiornare in mezzo alla settimana. Lo spero.  
Parliamo del capitolo, per farmi perdonare vi ho regalato una mezza """lime""" Jily. Che è venuta fuori di merda, ma almeno è venuta. (che gioco di parole squallido... *si nasconde*) Okay, è leggermente cortino, scusate, ma sono stata bloccata sulla scena Jily per giorni ç_ç
Mary e Regulus continuano ad essere la mia coppia preferita e Rosier essenzialmente è uno stronzo. E ora mi appello a voi: Peter avrà il coraggio di uccidere Marlene oppure rinnegherà Rosier per "amore"? Io lo so u.u
Nel prossimo capitolo mi obblicherò a scrivere Wolfstar, almeno un pochino u.u
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: niclue, Jade_Horan, kikka_love1d, El_ly, TheChief, djvergxnt e AriPotterJackson01. Stasera rispondo perché ora voglio fare un sonnellino, non dormo decentemente da giorni (colpa di mia cugina che mi ha corrotto con le puntate di Game Of Thrones), grazie anche a tutti voi che leggete silenziosamente e per aver seguito una povera pazza come me fino al 28esimo capitolo. ♥
Bacioni,
Marianne

 





 

 
 

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Capitolo 30
*** Sbagliato ***


 

 

CAPITOLO 29 – SBAGLIATO
 

La biblioteca era uno dei posti preferiti di Lily, era silenziosa e pacifica. Lei non ci andava solamente per studiare, ma anche per leggere in pace e rimanere un po’ da sola con i propri pensieri. Dopo l’annuncio che gli esami erano stati annullati, la biblioteca era quasi sempre vuota. Nessuno ci andava più, perché nessuno studiava più. Lily però aveva ricominciato ad andarci ogni giorno: si metteva seduta al tavolo più nascosto di tutti, in un angolino vicino alla finestra e a volte osservava il paesaggio, leggeva un libro, un manuale, un qualsiasi cosa che le impegnasse la mente. Non voleva pensare a tutto quello che stava succedendo nella sua vita, al fatto che continuava a vivere sul filo del rasoio perché sapeva che presto si sarebbe ritrovata a combattere di nuovo contro i Mangiamorte, perché Hogwarts non era più in grato di proteggere quelli come lei.
Quel giorno agli inizi di Maggio, stava leggendo un libro sulla magia medioevale quando sentì qualcuno sedersi di fronte a lei e alzò lo sguardo. Nessuno si sedeva mai in quel posto, nessuno tranne una persona.
«Severus.» mormorò apatica, senza alcuna traccia d’emozione. Non parlava con lui dall’inizio di Febbraio. Erano passati ben tre mesi, e ora si chiedeva perché fosse venuto a cercarla. Perché volesse parlarle.
«So che non vuoi più saperne di me, ma è importante. Ti prego, ascoltami.» incominciò lui, appoggiando entrambe le braccia al tavolo. Lily guardò la pagina che stava leggendo: la 245. Chiuse il libro e alzò lo sguardo verso gli occhi di Severus, cercando di bloccare tutti i ricordi che la assalirono.
«Dimmi.» ribatté Lily, di nuovo con una voce fredda e distaccata che non sentiva di possedere veramente.
Severus si avvicinò con il viso e abbassò la voce. «Vogliono attaccare Hogwarts stanotte. Ci saranno tutti. Molti di più dell’ultima volta. Sei sulla lista.» sussurrò.
«Sulla lista di cosa?» chiese Lily, aggrottando le sopracciglia.
«Delle persone da uccidere.»
Lily sussultò e divenne pallida in volto. Guardò Severus e si chiese che senso potesse avere tutta quella situazione.
«Perché me lo stai dicendo?»
«Scappa. Non farti trovare a Hogwarts, ti prego.» continuò Severus.
«Non abbandonerò la scuola. Combatterò, che vengano pure ad uccidermi.» disse Lily, stringendo il libro tra le mani.
«Be’, io voglio che tu scappi. Se ti uccidessero, io―»
«Tu cosa, Severus? Ne saresti dispiaciuto? Sei dalla loro parte, per quanto mi riguarda potresti essere tu stesso a farlo.» disse lei, guardandolo negli occhi.
«Io non riuscirei mai a perdonarmelo. Quindi trova un modo per scappare e torna quando tutto sarà finito.» continuò Severus.
Lily scosse la testa, ridendo. «Non abbandonerò i miei amici, hanno bisogno di me. Io ho delle responsabilità che tu nemmeno immagini. Negli ultimi mesi la mia vita è cambiata, in meglio, aggiungerei. E mi dispiace Severus, tu non ne fai parte.»
Si alzò di scatto ed uscì spedita dalla biblioteca. Lasciò il libro sul tavolo, senza andarlo nemmeno a riporre. I corridoi erano vuoti e Lily non sapeva dove andare, sapeva solo che voleva allontanarsi il più possibile da quel posto, da Severus. Dal fatto che non capiva perché la stesse mettendo in guardia, lui faceva parte di quelli che la volevano morta, non avrebbe dovuto dirle tutte quelle cose. Si tolse i capelli dal viso e cominciò a salire le scale senza avere una meta ben precisa, forse doveva semplicemente tornare in Sala Comune e parlarne con le sue amiche. E così fece, solo che né Marlene né Mary erano in Sala Comune, questa, per l’appunto, era vuota. Era stranamente inquieta, Lily. Parlare con Severus dopo tutto quel tempo le aveva fatto un effetto piuttosto strano. Andò su in dormitorio a prendere il manuale di Difesa e cominciò a studiare un po’, anche se ultimamente non lo faceva molto, studiare l’aveva sempre rilassata, in un modo o nell’altro. Riusciva a separare i paragrafi e le parole del libro dalla vita reale e alcune volte era stato davvero un toccasana. Bene o male, funzionò anche quella volta.
James entrò in Sala Comune insieme a Remus e Sirius. Lily notò che questi ultimi tenevano per mano e represse un sorriso. Nonostante la guerra, Voldemort e tutto il resto, c’era sempre qualcuno come lei e James che cercavano di proteggersi a vicenda da tutto quello usando l’arma più potente del mondo: l’amore.
James le lasciò un bacio sulla guancia prima di sedersi accanto a lei e sbirciare quello che stava leggendo. Lily chiuse di scatto il manuale e lo posò sul tavolo di fronte a lei, intrecciando le dita con quelle di James.
«Dov’è Peter?» chiese Lily, notando che il quarto dei Malandrini non c’era.
«Con Marlene da qualche parte del castello, ha detto che doveva dirle qualcosa di importante» rispose Remus al posto di James.
Quest’ultimo annuì e aggiunse: «Ancora non riesco a credere che non si siano ancora messi insieme, sono cotti l’uno dell’altra praticamente da sempre!»
Lily represse un sorriso. James aveva ragione. Lei ricordava ancora di come Marlene, la notte di Halloween, volesse fare colpo su Peter ed era andata nel panico. E dire che Marlene non andava mai nel panico con i ragazzi, la maggior parte delle volte era lei a far andare nel panico loro. E se un ragazzo riusciva a farle perdere la ragione in quel modo, significava solo una cosa: Marlene era innamorata.
«James, devo parlarti di una cosa importante» sussurrò Lily, stringendogli la mano. «Da soli.»
Posò lo sguardo su Remus. Lui annuì impercettibilmente e prese la mano di Sirius con molta disinvoltura e lo trascinò su per le scale con una scusa abbastanza banale, Sirius lo seguì comunque senza farselo ripetere due volte, dato che se sembrava avere occhi solo per Remus, quel giorno. Solo quando rimasero da soli, James guardò curioso Lily, chiedendosi mai di cosa potesse parlargli di così importante e con così tanta urgenza, soprattutto.
«Dimmi.» le disse lui gentilmente.
«Oggi in biblioteca ho parlato con Severus.» iniziò la rossa. Onestamente, temeva una po’ che James potesse arrabbiarsi, eppure non lo fece. James non avrebbe mai potuto essere geloso, perché si fidava ciecamente di Lily e le avrebbe affidato la sua stessa vita, se necessario. Conosceva i sentimenti della ragazza che amava e non li metteva in dubbio; sapeva quanto lei fosse attaccata a Severus prima di quel litigio avvenuto a metà anno di cui ancora non conosceva la natura, e se Lily gliel’avesse detto, l’avrebbe fatto di sua spontanea volontà. James amava Lily e l’amava con tutti i suoi difetti e le sue paure, con tutti i suoi segreti e le sue idee. L’amava semplicemente perché era Lily, perché era cocciuta, forte anche quando era lecito non esserlo, impaurita, determinata e pronta a tutto, anche se il tutto la terrorizzava a morte.
«E...?» domandò lui, incitandola ad andare avanti.
«E mi ha detto che stanotte i Mangiamorte attaccheranno Hogwarts. Mi ha detto di scappare, di non farmi trovare qui, ma tu sai che faccio parte dell’Ordine e che devo riferire questa cosa e combattere» rispose Lily. James aggrottò le sopracciglia, ma prima che potesse aprir bocca per fare ulteriori domande, lei continuò a parlare. «E poi ha detto una cosa che mi ha turbata molto – e qui Lily fece una piccola pausa per sospirare e raccogliere tutto il coraggio di cui disponeva – Mi ha detto che il mio nome è su una lista. Una lista nera, James. Mi vogliono uccidere perché... perché sono sbagliata.»
Passarono alcuni momenti prima che James circondasse il corpo di Lily con le braccia. Lei non era sbagliata. Lui lo sapeva. Lo sapeva dopo essere arrivato dove nessuno era mai stato, con Lily. Aveva scoperto ogni singola parte di lei, anche la più piccola e la meno importante, sia col corpo che con l’anima. Lily adesso gli apparteneva e lui apparteneva a lei, e James poteva giurare su ciò che aveva di più caro, che nemmeno un singolo atomo di lei fosse sbagliato. E avrebbe tanto voluto dirgliele, tutte quelle cose, ma fece solamente la prima domanda che gli venne in mente.
«Come fa lui a sapere tutte queste cose? L’attacco, la lista... come è possibile che lo sappia?» chiese, facendo scorrere le mani nei capelli rossi di Lily.
«Lui... lo sa perché è uno di loro. E proprio per questo non capisco perché me lo abbia detto. Insomma, mi vuole morta.» mormorò Lily col cuore il gola e il viso accaldato.
«Cosa?» domandò ancora James, scioccato questa volta. Di tutto aveva pensato su Severus Piton, ma non che potesse essere un Mangiamorte. Lo riteneva l’essere più spregevole del mondo, ma non aveva mai pensato che potesse arrivare così in basso. Che l’oscurità potesse travolgerlo a tal punto e impossessarsi di lui così a fondo. Ma quando vide Lily annuire senza dire una parole, non poté far altro che arrendersi di fronte alla verità. Severus Piton era un Mangiamorte, ma aveva comunque avvertito Lily del pericolo che correva rimanendo. E proprio perché James conosceva Lily sapeva che, pur essendo spaventata a morte, non si sarebbe tirata indietro.
«E da quanto lo sai?»
«Gennaio, più o meno.» disse lei, sospirando sonoramente. James annuì e non disse niente. Non riusciva a crede nemmeno che Lily non lo avesse detto a nessuno per tutto quel tempo, era un gran segreto da tenersi detto. Non poté far a meno di pensare che al posto suo, lui l’avrebbe immediatamente detto a qualche professore e avrebbe fatto prendere dei provvedimenti, ma era anche vero che lui l’avrebbe fatto anche perché non sentiva assolutamente niente per Severus Piton, nemmeno amicizia. Erano conoscenti e non si sopportavano nemmeno, non avrebbe avuto dei sensi di colpa. Per Lily era diverso, e anche tanto.
Tuttavia,  «Credo che dovresti dirlo a qualcuno, agli Auror. Non puoi lasciare un Mangiamorte a piede libero nella scuola.»
Lily lo guardò con gli occhi spalancati, come se avesse appena detto un’eresia o qualcosa di altrettanto sconvolgente.
Cominciò a scuotere la testa vigorosamente, sembrava spaventata. «No...» sospirò. «Non posso. Non posso fargli questo. Non lo odio a tal punto, io voglio solo che lui mi lasci in pace. Non voglio che lo arrestino, non posso...»
E come James temeva, Lily stava facendo i conti con tutti i possibili sensi di colpa che l’avrebbero assalita se avesse denunciato Severus agli Auror. La ragazza si prese la testa tra le mani e cominciò a respirare rumorosamente, alzando e abbassando le spalle velocemente. Sembrava in preda ad un attacco di panico. James le carezzò la spalla dolcemente, per cercare di calmarla, con risultati poco più che scarsi.
«Lo so, ma è la cosa migliore per tutti, anche per te. Comunque, la scelta è tua. Stai tranquilla, rilassati, Lily. Non hai fatto niente di sbagliato.» provò a rassicurarla.
Lily non disse niente per un po’ e rimase semplicemente attaccata alla spalla di James, a sentire lui che le accarezzava lentamente i capelli. Chiuse gli occhi per un po’ e ritrovò la mente piacevolmente svuotata. Era una bella sensazione. James la faceva stare bene. Aprì gli occhi e lui era ancora lì, guardo il tomo di Difesa sul tavolo di fronte ai suoi occhi e pensò che oramai lo studio la rilassava, sì, ma era diventato solo ed unicamente James il suo toccasana. Niente o nessuno avrebbe saputo farla stare meglio di lui.
Ma poi venne nuovamente assalita da tutte le frasi che sentiva sussurrate nei corridoi, ripensò a quando Severus l’aveva umiliata di fronte a tutti e il cuore ricominciò a batterle forte, in preda all’ansia. Lo stomaco annodato in una strana e fastidiosa morsa. Guardò James negli occhi. «Ma io sono sbagliata, James...» mormorò. «Non dovrei essere una strega. Se fossi stata una persona normale, avrei un bel rapporto con mia sorella, i miei genitori sarebbero ancora vivi e io avrei vissuto una vita normalissima. Forse hanno ragione a chiamarmi Sanguesporco.»
«Oh, Lily. Non c’è assolutamente niente di sporco o sbagliato in te» James le baciò la fronte e l’abbracciò ancora. «Tu sei semplicemente perfetta così come sei.»
 
 

***

Quando Sirius e Remus scesero dal dormitorio, in Sala Comune non era rimasto più nessuno. James e Lily dovevano essersene andati chissà dove e adesso la stanza era completamente vuota. Era calata la sera. Quando Remus passò accanto alla finestra, si soffermò un momento e guardare fuori.
«Che giorno è oggi?» chiese allora, fermandosi di punto in bianco. Sirius aggrottò le sopracciglia e fece mente locale.
«Otto Maggio, perché?» rispose, guardando Remus in maniera interrogativa.
«Cazzo» esclamò l’altro. Ora Sirius era più confuso. Remus non imprecava quasi mai se non per cose decisamente gravi o importanti, quindi si chiese cosa stesse succedendo. «La luna piena è oggi. Me ne sono completamente dimenticato, con tutta la storia dei Mangiamorte e tuo fratello e –»
«Dobbiamo andarcene subito.» disse Sirius, prese Remus per un braccio e lo trascinò fuori dalla Sala Comune, continuò a camminare velocemente per le scale e i corridoi, e solo quando furono al primo piano Remus realizzò quello che stava succedendo.
«Aspetta, e James e Peter?» chiese. «Non possiamo andare alla Stamberga senza di loro.»
«Be’, loro non sono qui e non abbiamo tempo da perdere» replicò Sirius. «Dobbiamo uscire dai confini di Hogwarts prima che la luna raggiunga il punto più alto, quegli Auror non mi convincono e non voglio che ti prendano, quindi muoviti.»
E Remus non ribatté, uscirono dal campo di Quidditch, perché a quell’ora ci sarebbe stato sicuramente qualcuno a controllare l’entrata principale del castello. La luna era sorta, ma fortunatamente non aveva ancora raggiunto il suo apice, sarebbe stata comunque una questione di minuti, quindi meglio sbrigarsi. Avrebbero dovuto entrare nel Platano Picchiatore senza l’aiuto di Peter che bloccava l’albero premendo il nodo alla radice, sarebbe stata un po’ difficile, ma ce l’avrebbero fatta.
Erano usciti in cortile e avevano quasi raggiunto il Platano Picchiatore. Ormai mancava meno di un centinaio di metri, ma poi all’improvviso, Remus cadde sull’erba e rimase indietro. Sirius si bloccò e si voltò, poi corse verso di Remus e gli si inginocchiò accanto. Alzò gli occhi verso la luna: era alta nel cielo e splendeva come non mai. Stava iniziando la trasformazione.
«Rem, la Foresta Proibita» borbottò Sirius, mentre aiutava il ragazzo ad alzarsi in piedi. Ormai non c’era altro posto in si sarebbero potuti dirigere.
Ma proprio mentre muovevano i primi passi verso la Foresta, Sirius si sentì afferrare per la spalle da qualcuno molto più alto di lui. Altri due, Auror probabilmente, avevano raggiunto Remus, e ora lui stava venendo allontanato, spinto verso il castello da quelle braccia molto più forti di lui.
Dimenarsi e protestare non serviva a niente, fu lasciato libero solo quando fu dentro il castello e dopo che una porta gli venne chiusa in faccia. Ci si abbatté sopra, ma non si apriva più. Continuò a battere pugni sulla porta finché non capì che era impossibile da buttar giù. Allora Sirius cominciò a vagare per castello, non avendo nemmeno la minima idea di dove si trovasse. Riconobbe in penombra il Salone d’Ingresso e si mise le mani in tasca, appoggiandosi al muro. Non era stato capace di aiutare Remus. Era l’unica cosa a cui riusciva a pensare.
Si lasciò scivolare sul pavimento di pietra ad osservare un punto vuoto, perso in mezzo al nulla, in mezzo al buio dell’enorme stanza. Non riusciva ancora a realizzare quello che era successo, non riusciva ancora a realizzare che gli Auror avevano visto Remus trasformarsi e che avevano portato Sirius via da lì, forse con la buona intenzione di portarlo al sicuro. Ma non c’era niente da cui essere protetti, niente che avrebbe potuto fargli del male. C’era solo Remus e  Remus non era capace di far del male ad una mosca, era totalmente al sicuro lì con lui. Si sarebbe trasformato e non avrebbe potuto fargli niente di grave. Perché lo avevano portato dentro? Lui voleva uscire, voleva uscire e ritrovare Remus e portarlo nella Foresta. E al mattino voleva tornare in dormitorio assieme a lui e addormentarsi tra le sue braccia, come era solito fare.
Eppure adesso eccolo lì, appiattito contro un muro e seduto su un pavimento polveroso ad autocommiserarsi per non aver potuto far niente, dopotutto, non era mica colpa sua. Era stato troppo tempo in quell’angolo buio, era giunto il momento di alzarsi e andare a recuperare Remus. Avrebbe trovato James e Peter, non importava che fossero impegnati con Marlene o Lily. Gli amici venivano prima delle ragazze, questa era la prima regola, la prima promessa, e nessuno di loro l’avrebbe mai infranta. Si avviò per le scale, era più o meno al secondo piano quando vide una testa di folti capelli ricci venirgli in contro e due occhi azzurri spalancati.
Austin Krueger.
Oh no, e ora quel tipo cosa voleva da lui? Aveva due ragazzi da cercare e una missione di salvataggio da compiere, non aveva assolutamente tempo da perdere con quel Corvonero da strapazzo.
«Sirius! Cioè... volevo dire, Black! Oh, al diavolo i nomi, devo dirti una cosa importantissima!» esclamò il ragazzo, scendendo due scalini alla volta finché non raggiunse Sirius.
«Krueger, non ho tempo da perdere. Devo fare una cosa seria e, davvero, facciamo un’altra volta se devi chiedermi di uscire.» tagliò corto Sirius, cercando di superarlo. Austin lo trattenne per un braccio e lo costrinse a scendere un gradino.
«Non devo chiederti di uscire, idiota. Si tratta di una cosa seria.» sibilò Austin, e dal suo sguardo, Sirius capì che aveva ragione, allora sospirò sconfitto e si appoggiò al corrimano.
«Allora dimmi, ti ascolto, ma sii veloce.» sbuffò.
«Mio zio, l’Auror Harris, è in un’aula del quarto piano e sta interrogando Remus. Credo che la cosa ti interessi.»
 

 


 NdA: HO UN MOTIVO VALIDO PER SCUSARMI DEI MIEI *va a controllare l'ultimo aggiornamento* UNDICI GIORNI DI SILENZIO. Non ho potuto aggiornare in mezzo alla settimana perché la wi-fi c'era nel residence, vero, ma prendeva solo in determinati punti come il bar, la piscina e la reception. E mio padre non voleva portare il computer fuori dalla stanza, quindi niente. Però ho scritto, e ho iniziato anche il prossimo capitolo quindi non dovrei tardare troppo per il capitolo 30, quindi non uccidetemi, oppure non avrei i vostri ultimi capitoli. Detto questo, spero che mi abbiate perdonato ^^" 
Scusate ancora se la Wolfstar è poco e niente, ma non so proprio dove e come inserirli. Nel prossimo comunque ci saranno, lo dico con assoluta sicurezza perchè ho già iniziato ahaha
Oooora, passo a ringraziare e termino presto questo NdA che fa a dir poco schifo, perciò grazie di cuore ha chi ha recensito lo scorso capitolo: niclue, AriPotterJackson01, kikka_love1d, Fraraphernelia, Jade_Horan e El_ly
E grazie a chi leggerà anche se non mi faccio sentire dai secoli dei secoli amen (?)
A prestissimo, giuro!
Bacioni,
Marianne

 





 

 
 

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Capitolo 31
*** Ultima occasione ***


 

 

CAPITOLO 30 – ULTIMA OCCASIONE
 

 
«Domani finirà il mondo. Non riesco ancora a credere di starmi fidando di te, Krueger» disse Sirius mentre seguiva il ragazzo alto e moro per i corridoi del castello. «Come fai a sapere dove si trovano?»
«Pronto? È di mio zio che stiamo parlando, dell’uomo che ce l’ha a morte con mio padre e che sembra avercela anche con me.» rispose Austin. «Anche se ci odia, è pur sempre un mio parente, lo conosco e niente mi impedisce di seguirlo.»
«Perché stai facendo tutto questo? Voglio dire, perché mi stai aiutando?» chiese Sirius.
«Non lo sto facendo per te, so che ho creato a Remus non pochi problemi e sto cercando di scusarmi.» disse Austin.
«L’hai fatto mesi fa!» esclamò il ragazzo.
«Che ti costa accettare un po’ d’aiuto, Sirius? Nel caso non l’avessi capito, il tuo ragazzo è sospettato di collaborare con Voldemort, cazzo! Non puoi avercela con me per tutta la vita, ho fatto una cavolata e lo ammetto, ma c’è in ballo qualcosa di serio qui.»
Sirius tacque. Austin era piuttosto determinato e agitato. Ma soprattutto, era serio, forse per la prima volta in vita sua. Dalla sua espressione si poteva evincere che avesse un piano e che la cosa lo spaventasse, e anche tanto, tuttavia, Sirius non gli chiese cosa avesse intenzione di fare e lo seguì finché non arrivarono al quarto piano e si nascosero dietro la porta della famigerata stanza. Accostarono le orecchie al legno, ma non riuscirono a sentire nulla. Austin sospirò, suo zio doveva aver fatto un incantesimo per evitare che qualcuno origliasse, proprio come stavano facendo loro.
«Okay, dobbiamo entrare.» disse Austin, cercando la bacchetta nella tasca del pantaloni.
«Sei completamente pazzo?» esclamò Sirius, passandosi una mano tra i capelli. Austin sbuffò.
«So esattamente quello che faccio, sei pregato di non mettere in dubbio le mie capacità, grazie.» ribatté seccato il ragazzo. Sirius assottigliò gli occhi. Che tipo buffo che era, Austin Krueger, eccentrico come ogni altro Corvonero che Sirius avesse mai conosciuto, intelligente, però era anche abbastanza impulsivo, cosa che non si addiceva quasi per niente alla sua Casa.
Sirius lo prese per un braccio. «Prima che ci mandi entrambi ad Azkaban perché accusati di cospirare contro gli Auror, potresti spiegarmi il tuo brillante piano?» gli chiese.
«Entrerò e gli dirò qualcosa che potrebbe scioccarlo molto di più di un lupo mannaro.» rispose Austin, ma Sirius non accennò ad allentare la presa.
«Ovvero?»
«Hai una vaga idea di come sia fatto mio zio?»
«Alto, minaccioso, con una cicatrice sull’occhio?»
«Stronzo, all’antica e tanti altri aggettivi.»
«Non vorrai mica dirgli che sei gay?»
Austin non rispose e Sirius esitò sul dissuaderlo da quella missione completamente suicida. Insomma, se Harris era davvero come Austin l’aveva descritto, Sirius immaginava solamente un modo in cui avrebbe potuto prendere la notizia. E di sicuro non ne sarebbe uscito fuori nulla di buono. Austin provò ad aprire la porta, ma notò che era chiusa a chiave, sbuffò.
«Alohmora» sussurrò, e la serratura si aprì. «Ti spiego il piano. Entro prima io, parlo con mio zio. Quando comincia a dare di matto, prendi Remus e scappa.»
Sirius ci pensò su. «Senti, lo sai che non mi sei simpatico, ma non ho intenzione di lasciarti qui, va bene?»
Austin spalancò gli occhi. «Ti stai seriamente preoccupando per me?» lo punzecchiò, ricevendo in risposta solo un grugnito infastidito.
«Tu mi fai un favore, io te ne faccio un altro. Stop.» disse Sirius alla fine. Austin scrollò le spalle e aprì piano la porta, sperando che questa non cigolasse. Gettò un rapido sguardo all’interno, senza farsi vedere.
Suo zio era seduto dietro la cattedra, e Remus appoggiato svogliatamente allo schienale di una sedia di un banco in prima fila. In quel momento stavano in silenzio, poi Remus sbuffò sonoramente.
«Gliel’ho già detto, non collaboro con Voldemort. Mi hanno morso da bambino e se lei avesse parlato con il Preside, saprebbe che ho il permesso di uscire dai confini della scuola ad ogni luna piena per evitare di ammazzare qualche studente.» disse il ragazzo. Harris, dal canto suo, non sembrava troppo convinto.
«E dov’è che andresti?» gli chiese duramente.
«Hogsmeade, nella Stamberga Strillante» rispose Remus. Harris alzò un sopracciglio. Non mi dica che anche lei crede a quelle stupide storie sui fantasmi?»
«Si da il caso che nel mese di Ottobre dei Mangiamorte si nascondessero nella Stamberga. Ti sei appena incastrato da solo, ragazzo mio.» disse Harris.
«Oh sì, stavano per ammazzare me e i miei amici.» disse ancora Remus. «Immagino che i Mangiamorte si uccidano tra di loro ogni tre per due»
Sirius aggrottò le sopracciglia, non aveva mai sentito Remus usare tutta quell’ironia, poi capì che era semplicemente il suo modo di difendersi e far capire all’Auror di non c’entrare niente con tutta quella storia. Nonostante la situazione, la cosa lo fece sorridere divertito.
«Ho tutte le carte in regola per accusarti. Sospettiamo che i Mangiamorte si riuniscano lì, immagino che ti ci stessi dirigendo anche questa notte per passare loro informazioni, non è così?» continuò l’Auror, Remus sbuffò di nuovo.
«Se non l’ha notato, mi stavo trasformando e lei mi ha ficcato la Pozione Antilupo in gola» disse il ragazzo. «Anche se fossi ciò che lei crede, il mio ultimo pensiero sarebbe stato passare informazioni. Senta, perché non parla direttamente con il professor Silente invece di tenermi incollato qui?»
«Non ho bisogno di sentire altre scuse, Remus John Lupin.» sibilò Harris. Austin riuscì a vedere Remus impallidire, e i suoi occhi dilatarsi per la paura. Era arrivato il momento di agire, spalancò la porta, mentre Sirius rimase dietro il muro, come da programma. Sia suo zio che Remus si girarono verso di lui, assunsero un’espressione molto confusa.
«Krueger?» mormorò Remus allibito.
«Austin, sto lavorando. Non mi disturbare. In più il coprifuoco è scattato da più di venti minuti.» disse seccato Harris.
«Zio, devo dirti una cosa importantissima.» iniziò Austin, deglutendo sonoramente. Nessuno nella sua famiglia sapeva della sua omosessualità, dirlo a suo zio avrebbe significato dirlo anche ai suoi genitori, dato che lo sarebbero venuti a sapere nel giro di qualche giorno.
«Non puoi aspettare?» chiese scocciato l’uomo.
Austin scosse la testa. «No.»
«Sii veloce.»
«Be’, ho sempre pensato che tu saresti stata l’ultima persona a cui l’avrei detto, e avevo preparato anche un discorso, ma dato che da un momento all’altro i Mangiamorte potrebbero attaccarci e ucciderci, suppongo che non abbia molta scelta» sospirò il ragazzo. «Sono gay. E, cavolo, ora mi sento indiscutibilmente più leggero.»
A quel punto sarebbero dovuto entrare in scena Sirius, portare Remus via di lì e lasciare zio e nipote faccia a faccia. E così fece, Austin si era spostato dall’altra parte dell’aula un modo che Harris desse le spalle alla porta. Sirius entrò di soppiatto e prese Remus per un braccio, quest’ultimo aggrottò le sopracciglia ma capì che non era affatto il momento di fare domande, così si alzò cercando di fare il meno rumore possibile, un secondo dopo erano fuori dall’aula, nascosti dietro una grande colonna nell’oscurità del corridoio. Remus si guardava attorno confuso, chiedendosi ancora come fosse possibile che Austin e Sirius avessero collaborato insieme.
«Spiegami cosa sta succedendo, perché io non ci sto capendo davvero nie―» Remus non finì mai di parlare perché si ritrovò immediatamente con la schiena premuta contro il muro e le labbra di Sirius sulle sue. Da quanto tempo non lo baciava così? Gli sembravano passati secoli anche se forse erano stati solo pochi giorni, al massimo una settimana. Con l’Ordine e una Guerra alle porte il tempo per amarsi si era ridotto drasticamente, ma in quel momento Sirius non poteva farne a meno. Aveva avuto paura per lui, si era sentito piccolo e infinitamente impotente, era riuscito a combinare qualcosa solo grazie all’aiuto di Austin Krueger, l’ultima persona al mondo con cui avesse mai immaginare di architettare qualcosa. E adesso Remus era di nuovo al sicuro, tra le sue braccia, nel suo respiro. Era presente in ogni sua particella, gli era semplicemente entrato dentro e non ne sarebbe mai uscito. E Sirius dovette ammettere che era una sensazione piacevole quanto straordinaria, quella di sentire il sangue scorrere nelle vene e pensare che potesse essere colmo solo di respiri affannati e di pelle che scottava. Era di nuovo bellissimo sentire il viso di Remus sotto le dita e chiudere gli occhi, abbandonandosi completamente a tutti gli altri sensi, al profumo di Remus, al suo sapore e al meraviglioso suono dei loro respiri mescolati. Quando si separarono e Sirius appoggiò la fronte su quella di Remus, guardandolo negli occhi anche se erano in penombra.
«Dovrei farmi beccare dagli Auror più spesso se poi mi baci sempre in questo modo.» scherzò Remus, accarezzandogli i capelli neri.
«Dovremmo togliere Krueger dai casini, prima che suo zio cominci a distruggere Hogwarts.» disse Sirius, non spostandosi di un millimetro.
«Suo zio?» chiese Remus, confuso.
«Harris è suo zio e... non hanno un bellissimo rapporto, in più lui gli ha detto di essere gay e... è una lunghissima storia, Rem, te la racconterò prima o poi.» rispose Sirius. Remus annuì e riuscì a staccarsi dalla parete di pietra. Si avvicinò con cautela all’aula e notò che la porta era di nuovo chiusa, abbassò leggermente la maniglia e inclinò di poco la testa per vedere all’interno della stanza. Austin e suo zio sembravano star parlando civilmente, ma aguzzando l’orecchio, Remus riuscì a sentire parole sconnesse del tipo “Tuo padre...”, “Disonore”, “Siamo una famiglia purosangue!”. E capì che la situazione era totalmente degenerata, dal momento che Austin annuiva apatico e ad un certo punto diede una risposta come «C’è sempre mia sorella per sfornare bambini purosangue».
«Tua sorella ha dieci anni!»
Austin guardò Sirius e lui annuì, dovevano davvero togliere Krueger dai casini.
Sirius fece cenno a Remus di rimanere fuori dalla porta e poi entrò nell’aula. Harris non lo aveva mai visto, quindi non avrebbe corso alcun rischio. Si ritrovò ad inventare una scusa su due piedi, dato che non aveva progettato niente prima di entrare. Allora si schiarì la voce per prendere tempo ed Harris si girò verso di lui. Sirius s’irrigidì all’istante, lo sguardo di quell’uomo faceva davvero paura.
«Mi scusi, signore, ma Austin è urgentemente richiesto... nel... nell’ufficio del Preside, signore. Sa, in quanto Prefetto... non volevo disturbarla, signore, ma è una cosa molto importante» E Sirius non sapeva nemmeno se Austin fosse Prefetto. Poi abbassò lo sguardo e aggiunse «Signore.»
L’espressione di Austin si sciolse in un sorriso di gratitudine. «Se lo richiede il Preside...» sospirò Harris.
Austin sfrecciò via dall’aula più veloce della luce, e un minuto dopo Sirius si ritrovò a correre per le scale con Remus e Austin, senza avere una meta ben precisa. Si fermarono solo quando arrivarono in prossimità della Sala Comune dei Corvonero.
«Grazie per prima.» mormorò Austin, imbarazzato.
«Ti sei lanciato in una missione suicida per tirare Remus fuori dai guai, dovevo ricambiare il favore.» rispose semplicemente Sirius. Austin fece per ribattere, ma in quel momento un rumore assordante squarciò l’aria e il mondo sembrò tremare per un istante.
«Che cos’era?» chiese Remus.
«Terremoto?» provò Sirius.
«Non ci sono terremoti in Scozia, Black!» esclamò Austin, sembrando leggermente infastidito.
«Mangiamorte...» sibilò allora il ragazzo moro, pensieroso. Avevano attaccato, avevano fatto la loro mossa. Il rumore sembrava provenire dalla Torre d’Astronomia, probabilmente si erano introdotti di nuovo da quel punto, come l’altra volta.
«Stai scherzando, vero?» chiese Austin.
«Temo di no» Remus sospirò e si massaggiò le tempie con le dita, già discutere con Harris era stato sfiancante, dubitava che sarebbe arrivato sano e salvo alla mattina seguente. «Dobbiamo raggiungere gli altri, Austin, vieni con noi e tieniti pronto a lanciare Schiantesimi o a proteggerti.»
I tre allora si incamminarono verso la Torre Grifondoro, e man mano che si avvicinavano, più le persone che correvano e strillavano aumentavano. Sirius cercava di chiedere cosa stesse succedendo, e l’unica cosa che riuscì a capire fu che dovevano andare tutti in Sala Grande. Ma loro non potevano, loro erano membri dell’Ordine, dovevano combattere.
«Krueger, vai in Sala Grande» disse bruscamente. «Adesso.»
«E voi?» chiese confuso il ragazzo.
Sirius e Remus si guardarono. «Tu vai e basta.» disse Remus, mettendogli una mano sulla spalla. Austin non sembrava ancora troppo convinto, ma prima che potesse dire o fare niente, una voce acuta, una voce femminile, una voce che avrebbe riconosciuto tra mille lo strappò da tutti i suoi pensieri.
«Austin!» gridò Rita Skeeter dall’altra parte del corridoio. Cominciò a correre controcorrente verso i tre ragazzi, dando e ricevendo non poche spallate per poter farsi strada tra tutta la massa che si avviava verso le scale per scendere.
«Rita?» domandò confuso il ragazzo, quando la vide avanzare verso di sé. Cosa doveva dirgli adesso? Si comportava in quel modo solo quando doveva dirgli qualcosa di particolarmente importante, come che Valerie Lobthorn aveva un nuovo ragazzo o cose del genere, quando doveva raccontargli un nuovo pettegolezzo di cui non gli importava proprio niente, ma che ascoltava pazientemente pur di vederla così vispa e allegra.
«Austin! Devo dirti una cosa importantissima.» esclamò ancora la ragazza, col fiatone dovuto alla corsa.
«Adesso? Non puoi dirmela giù in Sala Grande? Sai, sopra le nostre teste ci sono degli assassini.» disse Austin, con una certa urgenza nella voce.
«Sì, devo dirtela proprio adesso, non posso più aspettare.» continuò la ragazza, passandosi una mano tra i capelli biondi.
Sirius e Remus intanto, assistevano alla scena molto confusi. Non sapevano che Rita e Austin fossero così attaccati, anzi, a dir la verità non credevano che lei avesse amici veri, ma Austin era un tipo strano, e con lui tutto era possibile.
«Allora dimmi...» sospirò Austin, abbozzando un sorriso.
«Lo so che ti sembrerò totalmente inappropriata, anche perché so benissimo che tu... insomma, conosco il tuo orientamento sessuale e...» iniziò, sembrava nervosa, prese a gesticolare e a deglutire ritmicamente. Poi  cominciò a ridere istericamente. «Ma sai cosa? Probabilmente moriremo tutti stanotte, quindi alla fine non me ne importa più di tanto.»
E a quel punto, Rita fece un passo avanti e si alzò sulle punte, abbracciò Austin e gli diede un bacio sulle labbra, Austin spalancò gli occhi, non sapendo davvero cosa fare. Non aveva mai baciato una ragazza prima, credeva che gli potesse fare schifo, invece fu un bacio normale, insomma, alla fine un paio di labbra non erano poi così diverse tra uomini e donne. Il problema era che Austin non sentì niente di niente e quasi si dispiacque per la povera Rita che lo stava baciando. Lui le... piaceva? Come era possibile? Loro erano semplicemente amici nati per caso, da un segreto che andava mantenuto, Rita sapeva tutto su di lui e Austin si considerava assolutamente l’ultima persona di cui Rita si sarebbe dovuta innamorare.
Il tutto durò una manciata di secondi e Rita parve stranamente più rilassata dopo averlo baciato. Non abbassò i talloni e rimase semplicemente così, vicina a lui e con il suo viso tra le mani.
«Era semplicemente la mia ultima occasione.»
 

***

 
Il boato che Marlene aveva sentito non appena uscita dai bagni era stato spaventoso. Aveva fatto per tornare in Sala Comune, ma tutti sembravano impazziti. Correvano per le scale e gridavano, qualche ragazza piangeva e Marlene non ci stava capendo assolutamente nulla.
Aveva provato a chiedere cosa stesse succedendo, ma l’unica persona che le rispose, seppur in maniera molto confusa, fu un ragazzo Tassorosso del quinto anno. A quanto sembrava, i Mangiamorte avevano attaccato e si stavano sparpagliando nella scuola, quindi per essere più al sicuro tutti gli studenti avrebbero dovuto raggiungere la Sala Grande e chiudercisi dentro. Marlene non li seguì. Doveva trovare Lily e tutti gli altri, avrebbero combattuto di nuovo come l’altra volta.
Tirò fuori la bacchetta e la strinse in pugno, camminando con la schiena attaccata al muro dei corridoi, per non farsi travolgere dalla marea di studenti che andava nella direzione opposta. Decise di non andare verso la Sala Comune perché probabilmente tutti erano impegnati ad uscire, e i suoi amici non dovevano essere lì, ma già sul luogo dell’imminente battaglia. L’unico problema era che, più Marlene camminava, aggirandosi con cautela nei corridoi, più la battaglia sembrava essere ovunque. Il suo degli incantesimi si propagava lentamente e aumentava sempre di più. Si ritrovò a vagare per il castello alla ricerca dei suoi amici, e all’improvviso la strada le fu sbarrata da un uomo incappucciato, con una pesante maschera sul viso. Era uno di loro.
E Marlene non ci pensò nemmeno, gli scagliò contro uno Schiantesimo e lo scaraventò sulla parete opposta, cominciando a correre a più non posso. Saliva e scendeva le scale, veniva catapultata da quest’ultime in corridoi che faticava addirittura a riconoscere, cominciò a perdere le speranze quando realizzò che i suoi amici avrebbero potuto trovarsi praticamente ovunque, e sentì una strana morsa allo stomaco quando capì che forse erano in pericolo e lei non era lì ad aiutarli, per questo, quando si scontrò con Peter, si lasciò scappare un sospiro di sollievo. Almeno lui stava bene.
«Peter!» esclamò, correndogli in contro. Lo abbracciò con tutte le forze che aveva, ma Peter non ricambiò, rimase incredibilmente rigido. «Sai dove sono gli altri? Non riesco a trovarli. Cosa sta succedendo?»
Peter abbassò lo sguardo e non rispose, strinse forte la bacchetta in pugno e cercò di farsi coraggio. Doveva seguire gli ordini o l’avrebbero ucciso. Doveva cercare di non guardarla negli occhi.
«Peter, stai bene?» chiese ancora Marlene, stavolta con un’evidente preoccupazione nella voce.
Lui scosse la testa.
Marlene allora si allontanò leggermente e cercò di capire perché fosse così strano. Allora ripeté la propria domanda. «Cosa sta succedendo?»
«Mi dispiace.» mormorò Peter, alzando di poco lo sguardo.
«Per cosa?» domandò ancora Marlene. Tutta quella situazione si stava facendo molto strana, non capiva niente, e soprattutto, non capiva perché Peter si stesse comportando in quel modo. «Per cosa ti dispiace, Peter?»
Lui deglutì sonoramente e cominciò a tirare su la manica sinistra della camicia, Marlene doveva saperlo. E fu questione di pochi secondi che il Marchio Nero spuntò sulla pelle di Peter, Marlene abbassò timorosa lo sguardo e sgranò gli occhi. Trasalì, si allontanò il più possibile, finché la sua schiena non incontrò il muro. Allora prese a scuotere energicamente la testa, come se non volesse credere ai suoi stessi occhi. «Non è vero» disse. «È uno scherzo. Vero, Peter? È uno scherzo.»
«Temo di no.» disse lui a bassa voce, come se si vergognasse. E in parte era così, si vergognava da morire per averle mentito e si sarebbe odiato per tutta la vita per il gesto che stava per fare. Ma era obbligato a farlo, doveva, o ci avrebbe rimesso la vita. E fu per qualche breve istante che si chiese quale vita valesse di più, la sua o quella di Marlene. La risposta era talmente scontata che Peter ebbe quasi l’impulso di andarsene da quel corridoio e combattere insieme ai suoi amici, anche se significava morire.
«Peter...» tentò ancora Marlene, ma la voce le moriva in gola. Si sentiva totalmente paralizzata da decine di emozioni differenti: paura, delusione, dolore, tristezza... non riusciva semplicemente a credere che Peter potesse davvero essere uno di loro.
Il ragazzo alzò la bacchetta verso di lei, tremando come una foglia. «Mi dispiace» ripete, facendo dei respiri profondi. «Ma devo farlo. Altrimenti loro mi uccidono, capisci? E sono un codardo, lo so, ma io non voglio morire.»
«Nemmeno io voglio morire, Peter» mormorò Marlene, con gli occhi lucidi. «Io ti voglio bene.»
«A-Anche io, ma non ho altra scelta.»
E allora Marlene sospirò e chiuse gli occhi, non poteva più fare niente. La sua bacchetta era caduta a terra quando aveva praticamente travolto Peter, correndo, ed era inchiodata ad un muro. Era finita. Aspettò che Peter pronunciasse l’Anatema Che Uccide e si preparò al buio perenne.
 

 


NdA: Una parola sola: RISTIN (?) oppure AURITA (?)
Okay, questa ship è una delle cose più improbabili che la mia mente abbia mai creato, forse più improbabile della Mary/Regulus. Comunque, per la vostra sanità mentale, non cominciate a shipparli: Austin è gay e forse è per questo che Rita col tempo è diventata così acida, ma non fatelo perché non c'è nulla di bello in questa ship. Solo dolore. Mannaggia a me. Andiamo avanti, ci sono i Wolfstar! Ve l'avevo promesso e ora sono perdonata, giusto? Ci saranno quasi sempre d'ora in poi, piccoli momenti Wolfstar, non temete u.u Inoltre vi ricordo che mancano due capitoli + epilogo alla fine e i'm really not fine at all (perché cito i 5sos ovunque?), e che tecnicamente Marlene non è ANCORA morta, quindi non ammazzatemi, per favore, io ci tengo alla mia vita e voi volete sapere come va a finire la faccenda di Marlene e Peter perché no, non è ancora finita u.u
Detto questo, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: Jade_Horan, Fraraphernelia, niclue, Pixoforever, AriPotterJackson01, kikka_love1d, Erule e jale90, mi fate sempre sciogliere come un gelato (che similitudini ahaha) ♥
E niente, me ne vado prima di venir colpita da ortaggi e spranghe di ferro LOL.
Alla prossima!
Bacioni,
Marianne





 

 
 

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Capitolo 32
*** Buio ***




(Piccolo consiglio, durante la lettura ascoltate "Hello" e "Tomorrow never dies")

 

CAPITOLO 31 – BUIO
 

Marlene chiuse gli occhi, realizzò che di lì a pochi secondi sarebbe morta, che sarebbe stato tutto finito e che sarebbe finito in modo così orribile e così anonimamente che sarebbe stata ricordata solamente come una vittima di un attacco di Mangiamorte. Ma lo realizzò nel modo migliore, pensando che non c’era nessuna via d’uscita, nessun modo per salvarsi.
«Avada...»
La voce di Peter tremolava. Passò un secondo.
Addio mamma, ti voglio bene.
Un altro secondo.
Anche a te, papà.
Continuò a tenere gli occhi chiusi e a rivolgere i propri pensieri alle persone a cui voleva bene.
Lily, Alice... siete le mie migliori amiche.
Passò ancora un momento.
Addio Mary, sei come una sorella, la sorella che non ho mai avuto.
L’ultimo istante.
E addio anche a te, Peter.
«Avada Kedavra!».
Ci fu un girotondo di suoni: la voce di Peter risuonò tra le pareti del corridoio, ci fu il grido di una ragazza, tant’è che Marlene pensò d’averlo lanciato lei stessa, provò ad aprire gli occhi, ma con grande sorpresa si ritrovò in piedi e con la schiena contro il muro. Era viva. Era ancora viva e niente era finito. Eppure Peter aveva lanciato davvero l’incantesimo, quello non l’aveva immaginato.
Peter era di nuovo di fronte a lei, con la bacchetta tesa in avanti, osservava impaurito il corpo che lo divideva da Marlene. Anche lei abbassò lo sguardo a terra: una ragazza giaceva supina, con i capelli neri e ricci sparsi sul pavimento, il volto pallido e le labbra socchiuse e screpolate, prove ormai di ogni di vitalità.
Mary.
Marlene gridò e si avvicinò alla sua migliore amica, gettandosi in ginocchio accanto al suo corpo, la sollevò dalla testa e «No... no... Mary» cominciò a vaneggiare. Quando alzò la testa, Peter era ancora lì con gli occhi spalancati, come se fosse pietrificato.
Ebbe solamente la forza di mormorare un «Oblivion» prima di scappare.
 
Quando Marlene si svegliò, aveva un fastidiosissimo vuoto in testa che non le faceva capire come mai lei e Mary fossero sul pavimento del corridoio, non ricordava niente di niente ed era una sensazione che odiava. Si alzò sulle ginocchia, voltandosi verso Mary. Cercò di svegliarla, ma Mary rimaneva immobile sotto il suo tocco, la scosse ancora e ancora, finché una piccola consapevolezza non arrivò a fare capolino nel suo cervello, come arrivò un leggero pizzicore agli occhi.
«Mary, su svegliati» continuava a dire. «Svegliati, dobbiamo andare a cercare tutti gli altri».
Non sapeva ancora che Mary non si sarebbe mai svegliata.
Udì dei passi venire nella loro direzione, quindi alzò la testa e gattonò fino a recuperare la bacchetta che era rotolata via sul pavimento, la puntò contro l’angolo del corridoio e si rilassò solo quando vide i volti familiari di Frank ed Alice venirle incontro.
«Alice! Alice, aiutami!» gridò con tutta l’aria che aveva nei polmoni. Si alzò in piedi, barcollando un poco, e la raggiunse.
«Che cosa sta succedendo?» chiese allora l’altra ragazza, con un tono di voce visibilmente preoccupato.
«Dovete aiutarmi, Mary... lei..» iniziò. «Non si sveglia. Credo sia ferita o qualcosa del genere, dobbiamo portarla in Sala Grande da Madama Chips, così si riprenderà».
Alice rivolse un’occhiata a Frank, che si precipitò subito al fianco di Mary, mentre Alice abbracciava Marlene e cercava di rassicurarla. I suoi occhi rimanevano però puntati su Frank che, intanto, aveva preso delicatamente il polso di Mary tra le mani e ricambiava lo sguardo di Alice con aria affranta e triste. Alice sobbalzò e spalancò gli occhi, strinse Marlene ancora di più.
«Mi dispiace, mi dispiace tanto...» le sussurrò.
«Cosa?» Marlene si voltò immediatamente tra l’abbraccio di Alice e vide Mary inerme tra le braccia di Frank, si staccò bruscamente dall’amica e si avvicinò al ragazzo. «Cosa succede?»
Frank, colto alla sprovvista, si ritrovò a balbettare un «Mi dispiace, m-ma non credo ci sia più qualcosa da fare».
Marlene gli disse che si sbagliava, poi notò che, effettivamente, Mary non respirava più. Nemmeno flebilmente come aveva inizialmente pensato.
Non gridò e non pianse copiosamente: una sola lacrima carica di dolore le scivolò sulla guancia, creando un solco roseo sulla pelle sporca.
 

***

 
James correva. Non sapeva esattamente verso dove, dato che i corridoi erano semi distrutti e che di conseguenza non riusciva più a riconoscerli. Correva e basta, pregando di non incontrare nessun Mangiamorte, perché dopo averne mandati al tappeto tre, guidato dal solo istinto di sopravvivenza, aveva a malapena la forza fisica di correre. E quando anche quella sarebbe finita, si sarebbe accasciato contro un muro a riprendere fiato e a sperare di non venir sorpreso da nessuna figura troppo spiacevole. Continuava a correre, stringendo in pugno la bacchetta come fosse la sua unica salvezza e il suo unico appiglio alla vita, poi pensò che da una certa prospettiva lo era davvero e che tutta quella situazione era dannatamente assurda. Era successo così velocemente, aveva perso Lily di vista dopo che una parete era stata fatta saltare in aria da un incantesimo, sperava che stesse bene, perché se fosse successo qualcosa a Lily non sarebbe mai riuscito a perdonarselo davvero, anche se non era stata colpa sua. Continuava a correre, ma stavolta pensava a Lily, e realizzò che la bacchetta che stringeva nella mano destra era solo un’arma. Il suo vero appiglio alla vita era lei, e sarebbe morto se non fosse riuscito a trovarla.
Svoltò a destra e riconobbe l’entrata della Sala Comune dei Tassorosso. Era al primo piano, vicino le cucine. La Sala Grande non doveva essere molto distante, avrebbe potuto arrivarci e mettersi in salvo, ma prima doveva trovare Lily. Ogni sua singola particella si concentrava su di lei e lo faceva muovere come un automa, in una direzione che nemmeno lui sapeva spiegarsi poi così bene, poi si disse che avrebbe solamente dovuto far testo al proprio istinto e tutto sarebbe andato bene, perché aveva sempre agito d’impulso e se ne era sempre tirato brillantemente fuori. Con un po’ di fortuna, non sarebbe stato diverso.
Quando la vide, non riuscì più a sentire la stanchezza, il fiatone, i muscoli doloranti; dimenticò gli orrori della battaglia che lo stava lentamente circondando e deteriorando dentro e si sentì come rinato e pervaso da un’allegria quasi sconveniente in quel momento, da una gioia del tutto nuova che il suo cervello registrò semplicemente come sollievo: era viva.
I suoi capelli rossi ondeggiavano mentre si muoveva con agilità e lanciava incantesimi, solo allora James realizzò che stava fronteggiando ben due Mangiamorte, per di più da sola. Le si avvicinò di corsa e le rivolse un sorriso veloce prima di aiutarla contro i Mangiamorte. Ma l’adrenalina scorreva sempre meno nelle vene, la stanchezza ritornava a schiacciarlo con un peso quasi insostenibile, eppure continuava a lanciare incantesimi, a proteggersi, a proteggere Lily con il suo stesso corpo, e a tenerla il più lontano possibile da quelle due losche figure che stavano affrontando.
«Lily!» esclamò James, attirando l'attenzione della ragazza, così da farle schivare uno Schiantesimo, sul volto di lei comparve un sorriso riconoscente e spontaneo.
James ricominciò ad aiutarla contro i Mangiamorte, lanciò qualche fattura abbastanza potente, ma i due maghi erano abili e potenti e le schivavano tutte.
Ad un certo punto, il mondo si fermò per un momento e l'aria sembrò solidificarsi: uno dei due maghi incappucciati sollevò la bacchetta e lanciò una maledizione Cruciatus. Non era la prima che veniva lanciata, ma era la prima che andava veramente a segno.
Lily cadde dapprima sulle ginocchia, poi si accasciò completamente a terra e si rannicchiò su se stessa, proteggendosi il corpo con le braccia, anche se non c'era davvero qualcosa a colpirla. James si sentì completamente lacerato.
Sentì il cuore spaccarsi a età e sentì tutta la rabbia e la sofferenza scorrere nelle vene. Sentiva le urla di Lily e tutto quello che voleva era sprofondare, poi, non sentì più niente.
Spense tutto.
Spense i sensi e non c'era più alcun rumore, di fronte a lui c'erano i Mangiamorte e il mondo che lo circondava svaniva lentamente.
Spense le emozioni ed evitò di pensare alle conseguenze.
Gli puntò contro la bacchetta, gli occhi marroni bruciavano nella loro inespressività. Pronunciò le parole fatali, facendo uscire un fascio di luce verde dalla propria bacchetta. L'uomo fu colto alla sprovvista e venne investito in pieno dall'Anatema che Uccide e pochi istanti dopo giaceva a terra, morto.
James sembrò tornare alla realtà quando l'incantesimo si spezzò e Lily smise di gridare, ritornando a respirare normalmente, ancora distesa sul pavimento sporco. L'altro Mangiamorte scappò via, terrorizzato. James si gettò al fianco di Lily, tenendole la testa sule ginocchia.
«Lils... Lils, mi dispiace» le sussurrò.
«L'hai ucciso, James» mormorò Lily, con la voce flebile e gli occhi socchiusi.
«Lo so, ma non sapevo che fare, ero nel panico... ti stava facendo del male. Ho sentito cose orribili sulla maledizione Cruciatus» disse ancora James.
«Non avresti dovuto farlo, ma grazie».
Lily sorrise dolcemente e James le accarezzò piano la fronte, scostandole i capelli dagli occhi
«Ti amo» iniziò James. «Ti amo e per te farei di tutto». L'aiutò ad alzarsi e continuò: «Andiamo in Sala Grande, ce la fai a camminare?»
«Non mi hanno tagliato una gamba James, mi gira solo la testa» cercò di sdrammatizzare Lily, James rise. Poi si incamminarono senza troppi intoppi verso la Sala Grande.
Quando arrivarono, la stanza era colpa di persone. Chi stava bene aiutava a medicare i feriti, che occupavano i quattro tavoli. Ma la cosa che colpì i due ragazzi furono i morti. Decina di corpi senza vita erano stesi, alcuni coperti da un telo, altri con gli occhi ancora aperti e rivolti verso il nulla.
Mentre James camminava, fu tirato indietro da qualcuno. Girandosi, notò che era Frank, con un'espressione triste sul viso. Lily intanto aveva visto Marlene ed Alice e si era avviata verso di loro, ma c'era qualcosa di strano: Marlene aveva evidentemente pianto e Alice aveva gli occhi lucidi, osservavano entrambe un corpo su uno dei tavoli. James si voltò di nuovo verso Frank.
«Che è successo?» chiese James. Frank sospirò e gli mise una mano sulla spalla e aspettò qualche secondo prima di parlare.
«Mary è morta».
«Cosa?».
Furono interrotti dal grido di Lily, James la raggiunse immediatamente, mentre Marlene provava tenerla ferma. Lily si dimenava e cercava di divincolarsi dalla sua amica. Voleva uscire di lì, trovare chi l'aveva uccisa e vendicarsene. Fargliela pagare per tutto: per i suoi genitori, per Mary, per la sua vita distrutta.
James la allontanò da Marlene e la strinse tra le braccia, mentre lei cominciava a piangere.
«Va tutto bene, Lily, va tutto bene» sussurrò James, con le labbra premute contro i capelli rossi di lei.
«No!» esclamò. «No! Non va bene! Lasciami, James, lasciami andare!»
James la strinse ancora di più, senza replicare. Poco a poco Lily smise di agitarsi e le sue forze diminuirono sempre di più, finché non rimasero semplicemente abbracciati a dondolare sul posto, in silenzio, mentre il buio li divorava sempre di più.
 

***

Sirius aveva avuto paura poche volte in vita sua: quand'era bambino era terrorizzato da sua madre, a dodici anni aveva paura delle McGranitt, e adesso, a quasi diciotto anni, aveva paura per la prima volta dopo tanto tempo.
Era nascosto nel bagno di Mirtilla da troppo tempo, dato che ormai non faceva più caso all'odore nauseabondo. Si alzò da terra e uscì dal cubicolo, perfino Mirtilla era scomparsa. Uscì in corridoio, tenendo alta la guarda e la bacchetta alla mano. Si rese conto di avere paura di un sacco di cose tutte insieme, in quel momento: aveva paura di incontrare suo fratello Regulus, aveva paura che fosse successo qualcosa a Remus, aveva paura di venir catturato dai Mangiamorte e aveva paura di venir ucciso da Voldemort in persona, una volta che si sarebbe rifiutato di unirsi a loro. Camminava con il cuore a mille, ad ogni angolo che svoltava brandiva la bacchetta per difendersi, anche se non si rivelava mai qualcuno di potenzialmente pericoloso.
Percorse tutti i corridoi e scese le scale senza incontrare nessun Mangiamorte, il che gli sembrò piuttosto strano. Da fuori non proveniva molta luce, ma il sole avrebbe dovuto sorgere a momenti. Sirius faticava addirittura a credere che sarebbe sorto ancora un sole, dopo tutta notte, dopo quella battaglia e dopo tutta la fatica per rimanere a galla e sopravvivere. Sirius credeva che il cielo sarebbe rimasto buio per sempre, che non ci sarebbe stata più luce per il resto dell'eternità, perché aveva la certezza che sarebbero morti tutti quella notte stessa.
Ma Sirius era ancora vivo e in lui risiedeva qualche piccola speranza. Arrivato davanti la Sala Grande, quasi non gli sembrò vero, accelerò il pazzo e la grande porta si aprì di un poco. Sirius alzò lo sguardo e vide Remus, quest'ultimo era troppo lontano perché Sirius potesse sentirlo, però mormorò: «Sei vivo» e lasciò cadere la scatola che aveva in mano. Quando questa toccò terra, producendo un fastidioso rumore, Sirius sembrò svegliarsi dalla sua specie di trance e un momento dopo si ritrovò a barcollare all’indietro, circondato dalle braccia di Remus.
Si ritrovarono per terra e scoppiarono a ridere come matti, anche se non era il momento. Soprattutto Remus sapeva che non era il momento di essere felici e spensierati, ma con Sirius gli veniva tutto spontaneo e naturale, ed era solamente felice di vederlo, di sentirlo, con il viso arrossato e il fiatone per aver corso, probabilmente. E poi lo baciò, in mezzo alle macerie, con la polvere sui vestiti e tra i capelli, mentre fuori sorgeva il sole perché un domani ci sarebbe sempre stato, perché i domani non muoiono mai, perché sono l’unica certezza che si ha oltre alla morte. Perché avevano fatto di tutto per cambiare il loro destino ed erano riusciti a piegarlo al loro volere, e adesso lo sconfiggevano di nuovo, mentre dimostravano silenziosamente al mondo che la luna avrebbe sempre lasciato posto ad un stella e viceversa, e che le leggi fisiche non avevano poi così importanza quando c’era l’amore di mezzo. Perché quello era più potente di qualsiasi altra cosa, perfino della guerra.
«Rem sei qui, ero terrorizzato. Ti amo» disse Sirius, mischiando i suoi pensieri in una frase sola. Non aveva molto senso, ma non importava. Erano vivi entrambi, si erano ritrovati, la battaglia era finita. Ce l’avevano fatta.
«Dillo ancora» disse Remus baciandogli di nuovo le labbra.
«Ti amo, e avevo paura per te» disse Sirius, alzandosi da terra. Remus sorrise e gli passò un braccio dietro le spalle.
«La battaglia è finita, se ne sono andati tutti. Stavo portando a Madama Chips dei medicinali rimasti in Infermeria, abbiamo allestito una specie di ospedale in Sala Grande. Era il porto sicuro fino a qualche ora fa, ma è meglio rimanerci finché gli Auror non controllano la scuola da cima a fondo» gli spiegò Remus, mentre si avviavano verso le scale che portavano all’Infermeria.
«Quindi è finita? Che nottataccia... stanno tutti bene?» sospirò Sirius.
«A proposito di questo...» iniziò Remus,  fermandosi un momento. Sirius lo guardò con un’espressione confusa. Se Remus iniziava una frase in quel modo, la risposta era negativa. Ovvero, era successo qualcosa di grave.
«Che cosa?» chiese allora Sirius.
«Mary...» rispose Remus abbassando lo sguardo. «È stata... lei... è morta».
 


 

NdA: SONO GIUSTIFICATA.
Okay, perdonatemi infinitamente questi quindici giorni di silenzio, ma vi spiego: il 10 Settembre, credo, giorno in cui avrei dovuto aggiornare, ho aperto il documento Word di questa storia e il capitolo 31, ovvero questo, era sparito. Volazitilizzato. Perso nel nulla. Credo che la mia pennetta abbia qualcosa che non vada e quindi si cancelli la roba da sola, comunque, ho dovuto riscriverlo da capo, e l'ho ripreso in mano solo dopo qualche giorno perché ero davvero arrabbiata e abbattuta çç quindi perdonatemi.
E perdonatemi anche per Mary. So che non ve lo aspettavate e che per Marlene sembrava essere finita, ma è dovuta andare così. Mi dispiace anche per chi cominciava ad affezionarsi alla coppia Mary/Regulus, scrivere il prossimo capitolo sarà una tortura, anche perché UDITE UDITE, il prossimo è l'ultimo. Poi ci sarà l'epilogo.
E poi.... ç_____ç
Comunque, se avete ascoltate le due canzoni, vi dico subito che sì, ho gusti musicali molto disparati e sento praticamente di tutto quindi non sorprendetevi se prima trovate gli Evanescence e poi i 5 Seconds of Summer perché quando si tratta di me è NORMALE XD, dicevo, se le avete sentite scusate per l'audio velocizzato di Tomorrow never dies ma non sono riuscita a trovare su YT la versione normale, perché è una canzone che fa parte di una versione del CD tutta americana e youtube la toglie per il copyright, quindi...
Parliamo del capitolo, dopo aver appurato che ho fatto morire Mary perché sì, James ha ucciso un Mangiamorte. Lo so che è stata un'azione piuttosto... brutale da fargli fare, infatti nella versione originale del capitolo non c'era, però se è una battaglia si combatte da entrambi i fronti, non esistono i cattivi che ammazzano le persone e i buoni che cercano di sopravvivere. Poi passiamo alla parte con cui ho cercato di farmi perdonare il tutto, i Wolfstar, gentilmente ispirati appunto dalla canzone dei 5SOS, Che bellini *q*
Ora, il prossimo aggiornamento dovrebbe arrivare in orario, ovvero tra una settimana, ma mettiamoci in mezzo scuola, Sam Claflin a Roma domenica (ergo, mi accamperò alle sette del mattino per vederlo, se sarà necessario), e tutte le altre 189489 storie che ho da scrivere, spero sarete comprensivi se ci metto uno o due giorni in più xD
Ora ho davvero detto tutto, scusate per l'angolo autrice chilometrico. Ovviamente non mi dimentico di chi ha recensito lo scorso capitolo e vi ringrazio con tutto il cuore se non mi avrete abbandonata: jale90, AriPotterJackson01, Jade_Horan, Erule, niclue, Fraraphernelia, kikka_loved1d ♥
Bacioni,
Marianne




 

 
 

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Capitolo 33
*** Decisioni e bugie ***




CAPITOLO 32 – DECISIONI E BUGIE

 

Quando il sole fu altro nel cielo, si contavano i morti e si spostavano le macerie. Era stata una battaglia vinta, ma troppe vite erano andate perdute in quella notte infinita. La comunità magica aveva deciso di organizzare un funerale per tutte le vittime. Chiunque era chiamato a spendere qualche parola su chi ormai non c’era più. Quando Marlene fu mandata a dire qualcosa su Mary, mise due parole in fila e poi scoppiò in lacrime. Lily prese il suo posto e finì il discorso, dicendo di quanto Mary fosse una persona meravigliosa, un’amica fidata e gentile, che raramente metteva se stessa di fronte agli altri, che aiutava sempre chi ne aveva bisogno, che cercava di vedere il buono in tutte le persone che la circondavano, anche in chi di buono non c’era niente.
Quando ritornò a sedersi al suo posto, James le passò un braccio attorno alle spalle, guardando Marlene, seduta tra Alice e Peter. L’unico che non osava nemmeno alzare lo sguardo da terra era proprio lui.
Provava delle sensazioni talmente strane e disparate che non riusciva a classificarle tutte nel senso di colpa. Teneva gli occhi puntati in basso, perfino posare la mano sulla spalla di Marlene lo faceva sentire uno schifo, un codardo, un traditore.
Un bugiardo.
Ecco cos’era. Aveva mentito a tutti, sin dall’inizio; poi aveva cancellato la memoria di Marlene, aveva ucciso ed era scappato via, con la testimonianza di se stesso a ricordargli tutto ciò che aveva fatto, le azioni e gli orrori che aveva commesso.
Bugiardo! Traditore! Assassino!
Per questo, quando la cerimonia finì, rientrò nel castello con una banalissima scusa. I suoi amici non ribatterono, in parte perché nessuno aveva davvero la forza di chiedergli il vero motivo per cui se ne stesse andando, in parte perché i problemi erano ben altri, e un ragazzo che scappava da un funerale non sembrava avere troppa importanza, di fronte a quello che era successo quella notte.
Lily rimase al fianco di James per tutto il tempo, mentre Marlene parlò pochissimo. Remus non trovava Sirius da nessuna parte, ma non chiese di lui a molte persone, dato che tutti erano addolorati per la scomparsa di qualcuno in particolare e chiedere se avessero visto per caso Sirius Black non gli pareva esattamente una mossa intelligente: non voleva che le persone lo catalogassero come un senza cuore.
Dopo un po’ lo vide, per fortuna. Era accanto ad un albero, e parlava con un ragazzo. Fin qui nulla di strano, se non fosse stato che il suo interlocutore avesse i capelli scuri come i suoi e lo stemma verde-argento sulla divisa parzialmente strappata. Sirius e Regulus Black parlavano civilmente, senza essere notati. Sirius teneva una mano sulla spalla del fratello e Remus decise di lasciarli fare, era giusto che le cose andassero così, d’altra parte, Regulus doveva essere davvero distrutto.
E lo era. Non riusciva a capire esattamente come fosse sopravvissuto a tutte le emozioni che lo avevano lacerato da una parte all’altra nel giro di pochissime ore. Prima non ci aveva creduto, poi vederla stesa a terra con il viso pallido e la pelle gelata, gli aveva fatto cadere il mondo addosso. Aveva sentito ogni singolo atomo sbriciolarsi sulle sue spalle, aveva sentito il cuore spezzarsi in due e aveva semplicemente cominciato a negare a se stesso tutto quello. L’aveva abbracciata, pregandola di tornare indietro, di aprire gli occhi e di sorridergli come solo lei sapeva fare, di accarezzargli i capelli e di dirgli “Ti amo” almeno un’ultima volta. Ma niente di tutto ciò era successo e Regulus si era arreso all’evidenza: si era piegato di fronte alla realtà e al mondo che continuava a cadere, pezzo per pezzo. Mary era morta. L’unica ragazza che avesse mai amato non c’era più. L’unica persona che lo teneva ancorata al mondo lo aveva lasciato per sempre. Regulus si era ritrovato improvvisamente solo al mondo e aveva guardato in faccia la vita vera: la sua famiglia lo opprimeva, faceva parte di una cosa che non voleva davvero, il suo unico fratello lo odiava, era solo. E qualche ora dopo, vedere le amiche di Mary parlare di lei, oppure provare a farlo, lo aveva fatto sentire anche peggio. Aveva visto di come Lily Evans non stesse pensando nemmeno ad una delle cose che aveva detto, perché se avesse tolto quella maschera d’acciaio che la faceva apparire forte, avrebbe fatto esattamente come Marlene McKinnon, sarebbe scappata via senza saper dire nemmeno una parola di quello che aveva detto su Mary, perché non si poteva riassumere la vita di una persona in qualche frase, non si poteva sminuire qualcuno a cui si voleva bene in un discorso, inventato sul momento o meno. Lui, almeno, non sarebbe mai riuscito a descrivere Mary a qualcuno, semplicemente perché ci sarebbero state così tante cose da dire che una vita intera avrebbe potuto non essere abbastanza. Perché Mary andava ricordata in ogni singolo dettaglio, anche il più insignificante. Andava ricordata nei suoi piccoli gesti quotidiani, nei sorrisi distratti che faceva, nelle diverse tonalità che la sua voce assumeva a seconda del suo umore; andava ricordata nella fretta che aveva nel vestirsi per non arrivare tardi a lezione e in tutte le piccole e semplici cose che la rendevano quella che era. Unica e inimitabile Mary. Nessuno avrebbe mai avuto la sua risata e la sua allegria, nessuno al mondo avrebbe mai potuto prendere il suo posto, in qualsiasi circostanza si trovasse. Era esistita una sola Mary MacDonald e aveva scelto di amare proprio lui, solo Regulus e nessun altro. E forse era proprio questo a ferirlo ancora di più.
«Reg, so che è difficile» disse Sirius, sospirando. Guardò negli occhi il fratello, rispecchiandosi nei suoi stessi occhi, riscoprì che alla fin fine un minimo di rapporto con suo fratello gli era mancato e che ora parlare con lui era bello.
«No, non lo sai. Nessuno lo sa» replicò Regulus, abbassando lo sguardo a terra.
«In effetti hai ragione, ma non trovo altre parole. Non so come ci si comporta in queste situazioni, e so che tu sei quello che la sta prendendo malissimo...».
«Io sono innamorato di lei» lo interruppe Regulus. «Certo che la sto prendendo malissimo».
«Tu eri innamorato di lei» lo corresse Sirius.
«No. Io lo sono ancora. Lo sono adesso e lo sarò sempre, non ci sarà un tempo passato quando si tratta di lei. Lo so che è morta e, cavolo, dirlo rende il tutto ancora più reale, ma per me lei non sarà mai una cosa successa e basta. Continua a succedere e continuerà a farlo per il resto della mia vita».
Sirius lo guardò, cercando di comprenderlo, ma non riusciva a capire quella sua ostinazione. Era come se volesse non accettare che Mary fosse morta davvero, anche se l’aveva persino riconosciuto.
Ebbe paura ad immaginarsi nei panni di suo fratello, perché aveva paura ad immaginare la sua vita se la persona che amava fosse morta. Aveva paura perfino ad accostare il nome di Remus a quel pensiero, perciò non lo fece e rinunciò a provare a capire le emozioni di Regulus. Anche perché aveva ragione, né Sirius né nessun altro poteva capire davvero.
«Senti, mi dispiace non esserci stato in questi anni, di essere stato troppo occupato a vedere in te la nostra famiglia. Ma dopotutto, sei ancora mi fratello e... mi dispiace» disse Sirius, buttando fuori ogni cosa che pensava, credendo che avrebbe potuto farlo sentire meglio.
Regulus alzò lo sguardo e incontrò quello di Sirius, un momento dopo lo abbracciò goffamente: gli era mancato avere qualcuno con cui essere davvero se stesso, gli era mancato avere un fratello.
«Li ucciderò tutti» sibilò Regulus. Strinse il tessuto della camicia di Sirius e si morse con violenza le labbra. « Li annienterò. Li fermerò, distruggerò Voldemort, fosse l’ultima cosa che faccio».
Sirius non replicò, ma continuò a dare pacche gentili sulla schiena di Regulus, che intanto veniva scosso da frequenti e silenziosi singhiozzi, che cercava di mascherare come meglio poteva.
«Sirius?».
«Sì?».
«Tu ami davvero Remus?»
«Lui è la persona di cui mi fido di più al mondo... il che è più o meno la stessa cosa».
«Allora amare qualcuno significa avere la più assoluta fiducia in quella persona?».
«Reg, il fatto che non sia stato tu a dire a Mary di essere un Mangiamorte non vuol dire che tu non l’amassi» fece notare Sirius. « Volevo dire, ami. Che tu non l’ami» si corresse subito dopo.
«Sono comunque felice che l’abbia saputo prima, altrimenti mi sarei sentito ancora peggio. Ma forse se non l’avesse saputo sarebbe stato meglio. Forse l’hanno uccisa perché sapeva».
«Non hai nessuna colpa per la sua morte».
«Lo so, devo solo convincermene».
Sirius fece per replicare, ma una figura alla sua sinistra attirò l’attenzione sia sua che di Regulus. Remus si trovava in piedi poco distante dai due fratelli e non staccava gli occhi da Sirius.
«Ti cercava James» mormorò, un po’ imbarazzato. Quasi gli dispiaceva interrompere quel momento. Vide Sirius esitare un attimo, ma con grande sorpresa, su Regulus a parlare per primo.
«Vai pure».
Sirius raggiunse Remus. Avrebbe voluto chiedergli se non fosse tutta una scusa, ma evitò, perché non lo riteneva davvero importante, non come altre situazioni e domande che gli vorticavano per la testa. Quella notte lo aveva cambiato così tanto, sembrava maturato tutto d’un tratto, sembrava avere tutta la capacità di saper scegliere cosa si addicesse e cosa no ad un determinato momento.
«Come sta?» gli chiese Remus.
«Male, come vuoi che stia?».
«Quindi vi siete... uhm, riappacificati?».
«Non oserei spingermi così in là, ma credo di sì».
Cominciarono a camminare verso gli altri, che si trovavano ancora accanto alle sedie. Marlene era seduta e ancora non parlava, Remus si staccò per un attimo da Sirius e si mise seduto accanto a lei, posandole una mano sulla spalla.
«Hey» le sussurrò dolcemente, in passato non avevano avuto un bellissimo rapporto, soprattutto a causa di quel grosso equivoco che entrambi erano però riusciti a superare, e nonostante tutto, Remus voleva bene a Marlene, anche se aveva seguito il terribile consiglio di Austin Krueger e anche se lei lo aveva schiaffeggiato di fronte ai Grifondoro. Erano amici e basta, non molto legati, ma lui era l’unico che non aveva ancora provato a confortarla e a farle dire qualche parola.
Come previsto, Marlene non disse niente, si limitò ad alzare lo sguardo e poi a riabbassarlo, sconfitta.
«Non è questa la fine del mondo, Marlene. Sei viva e sei con noi, i Mangiamorte se ne sono andati. Non è anche questa una piccola vittoria?» continuò Remus.
Lei scosse la testa.
«E che cos’è, allora?».
Ora tutti guardavano Marlene, perché tutti sapevano quanto lei tenesse a dire sempre la sua su ogni cosa e non poteva certo rifiutare una risposta ad una domanda del genere. E difatti, non lo fece.
«È sopravvivenza. Nient’altro che sopravvivenza. Noi abbiamo avuto le nostre perdite, loro lo stesso. Siamo sopravvissuti e basta, nessuno ha vinto davvero» sibilò la ragazza, guardando un punto vuoto di fronte a sé. «La mia vittoria è riavere Mary, e lei non c’è. Per questo non ho vinto».
«Qualcuno ha visto Peter?» chiese James, per smorzare la tensione. Peccato che tutto quello che fece fu peggiorare ancora di più le cose, perché Marlene gli rifilò uno sguardo truce, che poi venne investito dalla tristezza e nascosto da una patina opaca.
«Non devi nominarlo» gli sussurrò Lily.
«Perché?»
«Se ne è andato nel castello senza dirle nulla. E lo sappiamo entrambi che Peter le piaceva» rispose Lily, prendendo James da parte, in modo da allontanarsi da tutti gli altri.
«Aspetta, piaceva? Mi sono perso qualcosa?»
«La migliore amica della ragazza per cui provi qualcosa è morta, e tu sparisci senza nessun motivo, senza nemmeno provare a consolarla o mostrare un minimo di comprensione, come credi che si sia sentita Marlene?» ribatté Lily.
James sospirò, in effetti, Peter non ci aveva fatto una bellissima figura. Ma forse era solo perché non sapeva comportarsi.
«Insomma, Peter è timido! Lo sappiamo tutti, magari non si è sentito semplicemente all’altezza di riuscire a confortare Marlene» James cercò di giustificare il suo amico.
«Non importa che sia timido o meno, non ci si comporta così» disse Lily.
«Vedrai che si aggiusterà tutto, Lils. È un po’ quando ti svegli da un bel sogno e realizzi che la vita vera fa schifo, solo che in questo caso non c’è stato nessun bel sogno, ma la vita vera continua a fare schifo» disse James. Lily si lasciò sfuggire un sorriso.
«Il tuo finto filosofare mi mette sempre di buon umore, James» sospirò la ragazza, stringendosi a  lui.
«Visto?» replicò James.
«Torniamo dagli altri» disse ancora Lily.
Marlene adesso si era alzata in piedi e rispondeva più o meno alle domande che le facevano, Sirius ogni tanto gettava un’occhiata ai margini del bosco, per vedere sempre la stessa scena, ovvero suo fratello con la schiena appoggiata ad un tronco e lo sguardo perso in mille progetti di vendetta, Alice e Frank si stavano guardando l’un l’altro come se avessero dovuto dire una cosa importante, ma non avessero davvero il coraggio di farlo, e quindi si stessero chiedendo silenziosamente “chi lo dice per primo?”. Sembrava quasi una situazione di relativa ordinarietà e calma, solamente che mancavano due grandi nomi all’appello, uno dei quali non vi sarebbe più stato.
«Ragazzi» esordì Alice, spezzando il silenzio generale. «Io e Frank dobbiamo dirvi una cosa molto importante».
Ottenuta l’attenzione di tutti, Frank sospirò e strinse la mano di Alice. Doveva dirlo lui, insomma, aveva avuto il coraggio di dirlo ad Alice, di farle la domanda più importante della sua vita, dirlo ai suoi amici non sarebbe stato poi così diverso.
«Sappiamo che forse non è il momento adatto, ma io ed Alice abbiamo deciso che ci sposeremo» disse il ragazzo, sotto lo sguardo sbigottito dei suoi amici. «Insomma, non so quando, ma presto. Il più presto possibile».
Lily si portò entrambe le mani davanti al viso per lo stupore e corse ad abbracciare Alice, congratulandosi sia con lei che con Frank. Tutti gli altri fecero lo stesso, come illuminati da quella notizia gioiosa che aveva provveduto ad alleggerire quella giornata che portava ancora i segni e le ferite della notte appena trascorsa.
«Quindi Lils, io e te saremo i prossimi, giusto?» scherzò James.
«Nei tuoi sogni, Potter» esclamò lei di rimando, facendo scoppiare l’ilarità generale.
Quello che Lily non sapeva ancora, era che presto, tutto avrebbe cominciato ad insinuarsi anche nei suoi, di sogni.

 

 

 

NdA: Okay, ci sono! :D In ritardo di un po', ma la scuola mi ha portato a non scrivere per giorni, so here I am!
Okay, ragazzi, mettiamo in chiaro due cose (?): 1) so che questo capitolo è corto e relativamente veloce, lo so, so anche che può sembrare tutto affrettato, ma mi serve per dare una visione generale dei personaggi, perchè è l'ultimo capitolo effettivo e sull'epilogo ç__ç voglio concentrarmi più sui miei Jily, perché dopotutto, la storia è su di loro ♥
2) la seconda cosa che volevo dire e che ho già detto è che, appunto, il prossimo sarà l'epilogo e io mi sento così male al pensiero che non ho nemmeno la forza di aprire il documento su cui sto lavorando da quasi un anno (sì, perché la storia era in cantiere un po' prima di gennaio, diciamo da novembre/dicembre 2013 :3), e di scriverlo, quindi aiuto ç__ç
I miei bambini.
Detto questo, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, ovvero: jale90,Erule, niclue, Jade_Horan, Fraraphernelia, AriPotterJackson10, kikka_love1d, e CastagnettaRosso_e_Oro
Ora scappo a studiare arte (domani verifica ç___ç) e stasera rispondo a tutti voi, grazie davvero, aspettatevi un discorsone la prossima volta1
Baci,
Marianne



 

 
 

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Capitolo 34
*** Epilogo ***




EPILOGO

 

 
Nel mese che seguì, le pareti sfondate e i pavimenti distrutti furono rimessi a nuovo. Le lezioni furono sospese fino al completamento del restauro a cui prese parte la maggior parte degli studenti. Tuttavia, una volta ricominciata la vita all’insegna della normalità, tutti gli esami finali e in particolare i G.U.F.O. e i M.A.G.O. furono annullati.
E fu una fortuna, perché nessuno aveva la capacità e la voglia di prepararsi adeguatamente per sostenere una prova così importante, perfino i professori non insistevano troppo nelle spiegazioni, non erano più così severi, e chiudevano un occhio se vedevano qualcuno disattento.
Tutti gli studenti che avevano preso parte alla battaglia, anche in minima parte, furono premiati con un importante riconoscimento e promossi all’anno successivo; per quanto riguardava quelli dell’ultimo anno, fu consegnato loro un attestato al pari del diploma, con cui si sarebbero potuti inserire nella società magica.
Era il 14 Giugno quando Lily e James trovarono un momento da passare da soli: quasi sempre Lily era tenuta occupata da Alice, che le parlava costantemente di tutti i preparativi che li aspettavano una tornati a casa, insieme ai genitori da affrontare. Lily ammirava tantissimo la sua amica: per amore di Frank sarebbe stata disposta ad affrontare il mondo a mani nude. D’altra parte, James si era ritrovato a passare molto tempo con Peter, che intanto si era scusato innumerevoli volte con Marlene per non aver mostrato nemmeno un po’ di gentilezza dopo il funerale di Mary. Marlene lo aveva perdonato, ma non riteneva che fosse giusto provare ancora qualcosa per lui, così decisero entrambi di rimanere amici.
Quel giorno faceva abbastanza caldo e l’aria era secca e afosa, non tirava nemmeno un filo di vento e i due ragazzi si riparavano dai raggi del sole sotto l’ombra di un grande albero, distesi sul prato. Era bello pensare che fosse tutto finito, ma mentre vivevano quegli attimi di pura calma e tranquillità, sapevano bene che quella battaglia era stata solamente l’inizio di una cosa molto più grande di loro. Di una cosa le cui responsabilità e conseguenze sarebbero presto ricadute su di loro, che avevano già deciso di diventare i membri più importanti per la salvaguardia del Mondo Magico. Degli Auror. James stentava ancora a crederci, e Lily non avrebbe mai immaginato di sentire dentro di sé quella scintilla che l’avrebbe portata a sopportare mesi e mesi di addestramento in mezzo al fango e alle intemperie, ma solo guardando James sapeva che ne sarebbe valsa la pena. Non avevano paura, loro due, avevano vissuto relativamente poco e visto davvero troppo per essere spaventati da qualcosa, avevano affrontato cose al di fuori della portata di due diciottenni, di due studenti, di due bambini, come avrebbero potuto etichettarli alcuni maghi più grandi e con più esperienza di loro. Sapevano che la paura era un’emozione alquanto irrazionale, quasi al pari dell’amore, ma sapevano anche che senza  irrazionalità non sarebbero stati umani: per questo preferivano amarsi che aver paura di qualcosa. Per il momento, rimanevano semplicemente sdraiati sull’erma, con le mani intrecciate e i sogni che erano gli stessi. Non contavano i giorni che li separavano dal ritorno a casa.
Quale casa? Pensò Lily, e poi James la guardò, come avesse letto i suoi pensieri e volesse risponderle: da me, da adesso sono io la tua casa.
Gli sorrise e poi chiuse gli occhi, beandosi del canto delle cicale e del rumore della natura, dell’universo, della vita che intorno a lei continuava a scorrere inesorabilmente e di quell’ignoto che si trovava dietro quell’infinità che lei riusciva a stento immaginare. Ricordava ogni singola parola che James le aveva detto e le sembrò strano ritornare a pensarci proprio in quel momento, in cui il mondo sembrava vivere un momento di pace prima di precipitare nel buio per sempre.
L’universo era infinito, e su questo non c’erano dubbi. Ma dopo cosa c’era? Una serie infinita di infiniti universi? Ed era giusto parlare di un dopo nella stessa circostanza di infinito? Lily non era una scienziata, né una matematica, non aveva mai studiato approfonditamente tutte quelle cose, ma credeva che ci fosse qualcosa al di là dell’immaginabile e che quel qualcosa fosse caratterizzato esattamente dalla stessa irrazionalità che li rendeva umani.
«James» iniziò, senza nemmeno pensarci.
Il ragazzo girò la testa per guardarla meglio, e poi «Sì?» le chiese.
«Ti rifaccio la stessa domanda che mi hai fatto qualche tempo fa, ricordi? Cosa c’è dietro l’infinito?»
James si sciolse in un sorriso e poi rispose: «Non lo so, ma qualcosa c’è, perché un posto con il niente assoluto non esiste».
«Io lo so» ribatté Lily. «O meglio, ho una mia teoria».
«Sentiamo» sospirò lui, divertito.
«C’è l’amore. C’è quello e ci sono tutte le emozioni, ci siamo noi, c’è la nostra storia scritta in qualche stella che tra qualche millennio probabilmente morirà, c’è quel caos meraviglioso che riesce a sembrare una cosa giusta e studiata pur nella sua natura disordinata e dispersiva».
«E tutte queste riflessioni da dove derivano?» le chiese James, girandosi su un fianco, sorreggendosi la testa con la mano.
Lily fece spallucce. «Non saprei, forse da tutto quello che è successo negli ultimi giorni, ho l’impressione che sia solo l’inizio...».
James le spostò via i capelli dal viso e la guardò con dolcezza. «Non dire così, è così bello stare qui, in pace» sospirò il ragazzo, chinandosi per baciarla. Lily sorrise prima di schiudere delicatamente le labbra: baciare James era sempre bello, era sempre come la prima volta perché come la prima volta la faceva sentire così lontano dal mondo reale... la faceva sentire quasi in quel posto mistico e irrazionale che si trovava appena un po’ più in là di ogni scoperta logica e scientifica.
«Forse dovremmo fare come Frank ed Alice, fare tutto quello che vogliamo finché c’è tempo» disse Lily.
«Non mi starai mica chiedendo di sposarti?» scherzò James.
Lily tacque per un istante, pensando a cosa dire. «Perché, tu non vorresti?».
«Certo, ma devo essere io a chiedertelo!» esclamò James, tirandosi su a sedere sull’erba.
Lily scoppiò a ridere e si tirò su anche lei, per guardare meglio James negli occhi. Voleva che glielo chiedesse, ma forse era ancora troppo presto. Era davvero pronta a passare tutta la vita con James? Stavano insieme da pochi mesi, dopotutto, ma in quei mesi era stata segnata da profondi cambiamenti e James era stato l’unico ad averla appoggiata, era stato l’unico ad adattarsi a tale cambiamenti ed era stato l’unico a cambiare, solamente per incastrarsi alla perfezione con lei e a riempire i suoi spazi vuoti, lasciandosi riempire a sua volta. Quindi sì, non ne era sicurissima, ma se pensava a tutti i giorni del mondo non ce n’era uno in cui James non fosse presente. Sarebbe stato bello sentirsi dire quelle parole e poter rispondere con euforia, poterlo baciare fino a non sentire più labbra e potersi finalmente sentire felici e realizzati. Rimaneva comunque un quesito a cui non sarebbe mai riuscita a trovare una risposta da sola, ma d’altronde, da sola non era mai stata riuscita a fare altro. Doveva tutto alla vita, che seppur infausta a volte, le aveva regalato amici e persone meravigliose, le aveva regalato James e aveva fatto sì che aprisse finalmente gli occhi e lo vedesse per com’era veramente. Aveva finalmente cancellato l’idea di ragazzino immaturo che si era fatta di lui per sei lunghi anni, e quell’immagine ora sfocata a distorta era stata sostituita da quella di un uomo coraggioso che amava lei e che, Lily lo sapeva, lo avrebbe sempre fatto. Chiuse gli occhi per un istante e immaginò come sarebbe stata la sua vita al fianco di James: avrebbero avuto una casa tutta loro, dei figli magari, o forse solo uno. Avrebbe avuto la stessa vivacità di James, e forse i suoi occhi, oppure i suoi ricci scuri. Sarebbero stati felici, come una vera famiglia. Lei, James e...
«Harry» sibilò sovrappensiero la ragazza.
«Chi è Harry?» chiese James, aggrottando le sopracciglia.
Lily rise, perché si accorse di aver pensato ad alta voce. «Nessuno» rispose.
Almeno, non ancora.
 
 

 

 

NdA: È uffucialmente finita, ho messo la crocetta su "Completa" e ora niente sembra avere più senso.
Ero sicura che avrei cambiato il finale mille volte, e invece è rimasto invariato. Scritto e mai più ritoccato. So che forse è scontato e banale, ma a me piaciucchia e non ne saprei trovare uno migliore. Poi ho voluto riprendere il discorso dell'infinito, perché volevo riprendere il titolo, ecc. e dare una risposta vera e propria, quindi boh. L'ho scritto tutto di getto, in un giorno solo e ODDIO NON CE LA POSSO FARE.
Capite? E' tutto finito. I miei bambini, i miei Wolfstar, Jily, Fralice, Marlus, Marlene e Peter, perfino Rita e Austin mi mancheranno. E quindi dopo questo "viaggio" durato nove mesi e qualche giorno è finita. Oddio, è come se avessi partorito un figlio (???), perdonatemi lo sclero e capitemi. Volevo fare un discorso serio, ma come al solito non ci sono riuscita.
So solo che se sono arrivata fin qui è solo grazie a voi e al vostro supporto. Quindi il merito è tutto vostro. Ringrazio ogni singola persona che ha messo questa storia nelle ricordate, seguite e preferite, chi ha letto silenziosamente e chi ha dato un parere. Ringrazio chi è qui dall'inizio e chi si è aggiunto dopo, ma l'importante è rimanere fino alla fine :') E poi ringrazio me stessa (?) perchè scrivendo questa storia ho conosciuto delle bellissime persone con cui ora ho un legame speciale.
E niente, nella mia testa questo NdA era qualcosa di esageratamente lungo, ma alla fine non è uscito fuori niente di che. Sappiate che questa non sarà - ovviamente - l'ultima cosa che pubblicherò in questa sezione, anche se per adesso preferisco concentrarmi su altre storie che ho in corso. Però, se qualcuno di voi mi "conosce" dai tempi di Carpe Diem (la Scorily), sappiate che ho in cantiere il prequel e che appena finirò ciò che ho da finire potrei addirittura farlo approdare qui su EFP :)
Intanto, se volete parlare della storia o in generale, io sono su Facebook
Grazie per aver letto fino a qui, grazie per essere rimasti nonostante i miei millemila ritardi, imprevisti e grazie per non avermi ucciso per tutte le cose che ho fatto passare a quei poveri cristi dei personaggi, perché un pochino a loro mi ci sono affezionata e lasciarli mi pesa un po'. ♥
Vi auguro un sacco di cose e belle e questo sarà solamente un arrivederci ;)
Bacioni,
Marianne



 

 
 

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