The Bad Friends Trio

di Joy Wyatt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nice to meet you, Oxford! ***
Capitolo 2: *** It's all about Libraries ***
Capitolo 3: *** Crazy Nights in Oxford ***
Capitolo 4: *** A jump in the past ***
Capitolo 5: *** Feelings ***
Capitolo 6: *** Hangover and third-wheels ***



Capitolo 1
*** Nice to meet you, Oxford! ***


THE BAD FRIENDS TRIO

 

Vi siete mai sbronzati fino al punto di non capire più nulla di ciò che vi circonda?

Vi siete mai sbronzati fino al punto di non capire chi è donna e chi è uomo?

Vi siete mai sbronzati fino al punto di baciare uno dei vostri migliori amici, credendolo, in buona fede, una bionda mozzafiato?

Se anche solo una delle vostre risposte è no, allora non avete mai vissuto, o meglio non vi siete mai divertiti come si deve!

 

Capitolo I

Nice to meet you, Oxford!

 

Tutto iniziò con un biondo con la puzza sotto il naso, un corvino molto amichevole ed inopportuno ed un albino con il carattere di un’ubriacone Don Giovanni.

Erano coinquilini in un appartamento nei dintorni della sede principale dell’Università più famosa del mondo.

Oxford.

Erano studenti, nel fiore dei loro anni, mandati dai genitori, nella speranza che almeno quella rinomata Università, riuscisse a limitare la loro indole al dolce far niente.

Tutti e tre erano figli di buone famiglie.

Il biondo era figlio del presidente del famoso produttore di profumi e trucchi francese, Guy de Bonnefoy.

Il corvino era figlio del famoso, Fernandez Roberto Carriedo, proprietario di una celebre catena di alberghi spagnoli, che si stava espandendo in tutto il sud Europa.

L’albino, il primo in famiglia con questa disgrazia, ovvero capelli biondo-bianchi ed occhi rossi, era il primogenito del famoso produttore di automobili tedesche, Beilschmidt & Benz.

Erano diversi anni che le tre famiglie cercavano in tutti i modi di liberarsi dei propri figli, considerati buoni solo a sperperare i soldi famigliari ed a mettere a rischio la reputazione ed il buon nome dei genitori.

L’occasione giunse quando le tre disgrazie, finirono i rispettivi licei privati, e dovettero pensare a dove iscriversi per ricevere l’educazione universitaria adeguata, in un Ateneo che sarebbe stato in grado di rimetterli sulla retta via, responsabilizzandoli e spronandoli a dare il meglio di sé.

La miglior candidata per lo svolgimento di un tale fardello si rivelò essere proprio la celebre Università inglese.

Le carte erano state firmate, le prime rette versate, le preghiere espresse.

Ora era tutto nelle mani di Oxford, chissà, sarebbe riuscita a compiere il miracolo e a trasformare quei tre ragazzini in uomini dei quali le loro famiglie non si sarebbero vergognati?

Solo il tempo e le rigide regole di Oxford potevano dirlo..

 

***

 

Profumo di Omelette.

Il soffio di una caffettiera che ha appena terminato la cottura della pregiata bevanda che tutti amano.

Luce che pizzica gli occhi e ti ordina di aprirli.

Un basso grugnito, impastato di sonno.

Un sogno amato che velocemente lascia il posto alla realtà.

Le coperte calde che hanno avvolto un corpo atletico ed abbronzato per la fredda notte inglese, facendogli ricordare il sole ed il caldo del paese natio.

Aprì gli occhi infine.

Si rigirò nel letto, con decisamente troppa poca voglia di alzarsi e uscire sulle strade fredde e bagnate della città inglese.

Uno sbuffo, a constatare che i suoi timori erano ben fondati.

Un nuovo giorno.

E piove.

« Antonio!» una voce melodiosa lo chiamò dalla cucina, « la colazione è pronta, vieni a servirti!»

Uno sbadiglio, e con la dovuta calma si alzò dal letto e si vestì.

Arrivò in cucina che i suoi due coinquilini erano già comodi a tavola.

Uno con un piatto di Omelette, una brioche ed un caffè in mano.

L’altro con un piatto di salsicce, verdure varie, uova in umido, ed una birra accanto.

Il terzo posto era per lui, sul piatto una fetta biscottata con della marmellata e del burro.

« Buongiorno!», esclamò Antonio, felice di trovare la sua colazione prediletta già pronta sul tavolo, pronta per essere mangiata.

« Buongiorno, Tony», lo salutò Gilbert, con la bocca piena, e uno sguardo divertito.

« Bon jour, Antonio».

Antonio si sedette sul posto a lui lasciato libero e spalmò il burro sulla fetta biscottata.

« Che lezioni avete oggi?».

« Bah, non lo so, devo guardare, ma so per certo che ho tutti il giorno pieno», sbottò Gilbert, facendosi un sorso di birra, come per scacciare il pensiero della tortura quotidiana.

« Io Dovrei avere solo un paio di lezioni, una di relazioni internazionali e l’altra sulla storia europea moderna».

« Magnifico, France! Anche io devo seguire Relazioni, andiamo insieme?», sorrise Antonio, lieto di sapere che non avrebbe dovuto affrontare il borioso professore Wiston da solo.

« Certo, ora sono le…», guardò il costoso orologio da polso: « nove e mezzo, quindi direi che per essere in perfetto ritardo dovremo partire per le dieci».

Arrivare in ritardo, era ovvio, le persone importanti si fanno sempre aspettare, e poi sfilano davanti a tutti mostrando l’ultimo completo acquistato.  Stupidi inglesi, il loro gusto per l’abbigliamento era un puro pugno nell’occhio per Francis, come avrebbe fatto a resistere per cinque interi anni in quel paese tanto irrispettoso per lo stile e il buon vestire? Avesse potuto, avrebbe preso il primo volo per Parigi.

« Ora ricordo, ho storia contemporanea ed un’altra puttanata tipo, filologia inglese», Gilbert si accasciò sul tavolo, ma perché diavolo lo avevano mandato a fare materie umanistiche e così dannatamente inutili? Oh. Forse aveva capito, perché quando aveva provato con la chimica, era esploso il laboratorio, lasciando miracolosamente intatto lui ed il suo professore, in quel momento soli nella stanza. A nulla erano servite le scuse ed il tipico: “non l’ho mica fatto apposta, scusa!”

Gilbert amava la chimica, ma non era corrisposto, la stronza gli aveva negato i suoi segreti, ed i genitori gli avevano giurato che non avrebbe mai più fatto nulla che somigliasse ad un esperimento.

« Storia contemporanea?»

« Sì, sai, dagli anni settanta, oggi dovremmo fare la caduta del muro di Berlino», si lamentò Gilbert.

« Beh, dai, almeno parlano della tua adorata Germania!», gli sorrise Antonio.

« Al diavolo la storia, me l’hanno incuccata a forza già a casa, ormai conosco a memoria persino i mattoni di quello stupido muro», sventolò la mano, come a cacciare via una mosca, « piuttosto, stasera che si fa? Non ho nessuna intenzione di restare a casa».

« Ho parlato con il veneziano ieri, ed ha detto che oggi ci sarebbe stata l’apertura di un nuovo ed elegante disco-club», lo informò il francese, finendo la sua gustosa omelette.

« Chi, Feliciano?», chiese lo spagnolo.

« Quanti altri veneziani conosci?», gli chiese Gilbert, dopo aver addentato una salsiccia gustosa.

« Se è lui allora ci sarà da divertirsi, quello è uno che spacca!», rise Antonio, pensando all’italiano Casanova.

« Ho sentito che si è messo con Elizaveta!», disse Francis, ammiccando ad Antonio, perché vedesse l’espressione della faccia di Gilbert.

Il tedesco fece una smorfia, mollò la forchetta sul tavolo e sbuffò sonoramente, Antonio ridacchiò.

« Piuttosto, Antonio, hai visto che bella che è la nuova studentessa ad Inglese?», chiese Gilbert cambiando argomento.

« La bionda?», chiese Antonio cercando di ricordare la persona in questione.

« Sì, sì, la belga, quella ha due bocce che te le raccomando», sospirò Gilbert immaginandosela nuda: « quella me la porto a letto, sicuro!», esclamò alla fine, alzandosi da tavola e dirigendosi verso la sua camera.

Antonio si soffermò sul ricordo che aveva della ragazza bionda. Se ricordava bene, l’aveva vista la prima volta una settimana prima, incrociata in segreteria didattica, quando aveva portato le carte attestanti il versamento della prima retta.

L’aveva notata subito, aveva un grazioso cerchietto azzurro tra i capelli ricci e corti, portati poco sopra la spalla, aveva movimenti aggraziati e occhi azzurri. La belga aveva inoltre, inconsapevolmente, una sensualità innata, nei modi di fare, di guardare e persino di camminare. Non aveva ben capito come si chiamasse, ma probabilmente anche il suo nome era sensuale, e le calzava a pennello. Aveva comunque osservato lo strano rapporto che aveva con quello, che lui aveva sentito, da voci, essere suo fratello. Un omone di un metro e novanta abbondanti, con capelli biondo cenere ed una cicatrice verticale sulla fronte. Aveva un’aria minacciosa, in un certo senso. La belga non si allontanava mai da quel ragazzo, seguivano persino gli stessi corsi.  Pregava, sperava che fosse davvero suo fratello, altrimenti non avrebbe avuto alcuna speranza di spuntarla, dal basso del suo metro ed ottanta.

Per quanto riguarda le parole pronunciate da Gilbert poco prima, Antonio sapeva che il tedesco, effettivamente non aveva occhi che per l’ungherese, che ora se la faceva con Feliciano. Si sarebbe dimenticato della belga in men che non si dica, non appena avesse ricevuto un rifiuto ed un pugno dall’omone.

La belga comunque era riuscita ad avvelenargli la mente, aveva passato ben due giorni a pensare alla ragazza, prima di passare alla sua prossima conquista, in mancanza del contatto con la ragazza bionda.

« Hai più parlato con la ragazza mulatta?», chiese Antonio distrattamente al francese, che intanto stava sparecchiando tavola.

« Sesel, dici?», lanciò uno sguardo ad Antonio, « ci ho parlato ieri sera, al locale, è davvero adorabile, sorride sempre ed è bellissima», confessò Francis.

Antonio rise di gusto, che fosse la volta buona che il ragazzo si innamorasse? Si alzò ed andò verso il divano, abbandonandosi sopra ad esso.

Erano due mesi che erano lì, a vivere insieme ed a frequentare Oxford, ed il francese si era già fatto mezza popolazione femminile del suo anno, se non fosse stato attento, presto avrebbe dovuto passare al lato maschile, per mancanza di femmine interessanti.

« Di dov’è?»

« delle Seychelles, a suo dire», rispose Francis.

Antonio sorrise, e si portò una mano tra i capelli, certo che Oxford era proprio un’Università internazionale!

 

 

***

 

Dividevano un grande appartamento, con più di cinque stanze, di cui utilizzavano solo tre, ognuno aveva la propria camera, non sopportavano di dividere una camera con qualcun altro che non fosse l’amante scelta per la notte.

La cucina era grande, di colore beige, come aveva preteso Francis, con il tavolo in vetro in mezzo. Il salotto era ampio e ben illuminato, con un grande divano ad angolo rosso, come gli occhi di Gilbert, ed una televisione al plasma attaccata al muro come fosse un quadro.

Era curioso come si fossero ritrovati a dividere quell’immenso appartamento. Prima cosa da dire è che l’appartamento non era dato loro in affitto, ma che lo avevano comprato.

Erano venuti tutti e tre, lo stesso giorno, con tre agenti immobiliari diversi, a visitare l’appartamento, non riuscendo a decidere chi aveva il diritto di comprarlo, alla fine uno degli agenti consigliò loro di dividerlo da studenti, come facevano in molti in Inghilterra. Inizialmente ai tre, viziati ed arroganti che erano, l’idea non era piaciuta per niente, specialmente alle orecchie di Francis era sembrata peggio di una blasfemia. Dopo una mezz’ora buona di litigi, capirono di essere simpatici, l’uno all’altro, e che forse quella situazione, come amava dire Gilbert, era il destino che l’aveva creata, perché loro facessero casino e conquistassero il mondo insieme.

Il suddetto albino, aveva appena finito di preparare i libri per la lezione, anche se tutti i suoi pensieri erano rivolti ad Elizaveta e Feliciano. Provava in tutti i modi, ma non riusciva ad immaginarseli insieme. Dannata ungherese, lei ci godeva a farlo star male. Prima il nobile austriaco con la mania del pianoforte ed ora l’artista veneziano. Dannazione, si poteva sapere perché non riusciva,             qualsiasi cosa facesse, a richiamare la sua attenzione? Perché lei vedeva solo gli altri? Perché non scambiava quegli sguardi dolci, riservati ai suoi amanti, anche con lui?

« Stupida ungherese del cavolo», sussurrò con un sorriso amaro sulle labbra.

Prese la borsa con il suo notebook e, finalmente, decise che era ora di andare, non amava arrivare in ritardo alle lezioni, come Francis, era tedesco per qualcosa no?

 

***

 

Elizaveta si alzò verso le nove ed un quarto, scoprendo Feliciano disteso accanto a sé, ancora tra le braccia di Morfeo. Un sorriso le si disegnò sulle labbra, quel ragazzo era davvero troppo dolce, davvero, il miele fatto persona. Gli accarezzò i capelli disubbidienti, e lui lentamente aprì gli occhi, regalandole un sorriso malizioso.

« Buongiorno, Eliza!», esclamò riconoscendo gli occhi verdi dell’ungherese, « dormito bene?»

« Certo, Feliciano, quando ci sei tu, dormo sempre bene!», arrossì lei, sorprendendosi dell’audacia nelle sue parole.

Feliciano rise di gusto, avvolgendola in un abbraccio stretto, e caldo, come il paese da dove proveniva. Inspirò il suo profumo e si beò del contatto con la sua pelle diafana e soffice. In una scia di baci arrivò al suo seno, dove appoggiò la testa. L’ungherese arrossì fino alla punta delle orecchie, non era abituata a tante attenzioni, da parte di un uomo. Si disse che avrebbe dovuto provare anni addietro con i ragazzi del sud. Loro si che sapevano come si trattava una donna, altro che i suoi ex tedeschi ed austriaci. Freddi come il loro clima, perdinci se non era vero!

« Hai lezioni oggi?», chiese l’italiano, non accennando a lasciarla andare.

Elizaveta pensandoci, aveva solo una lezione di storia contemporanea, verso le dieci e mezza. Carezzò i capelli del ragazzo ancora, finché lui non la guardò negli occhi, poi parlò:

« Sì, ho una lezione di storia», gli rispose, Feliciano s’illuminò:

« anche io devo andarci, è quella con Holmes, no?»

« Proprio lui», confermò l’ungherese. Feliciano la sciolse dal suo abbraccio, e scattò giù dal letto.

« Perfetto, ora vado a prepararti la colazione, Amore», le posò un bacio casto sulle labbra e si precipitò fuori dalla stanza. Fortuna che vivevano soli in quel appartamento, perché Feliciano era andavo via nudo, senza tanti problemi o pudore. Non che dovesse averne, con quel corpo atletico, allenato ed abbronzato al punto giusto. Non era tanto più alto di lei, la superava al massimo di dieci centimetri. Molti le avevano fatto i complimenti per la conquista, era risaputo infatti che gli italiani, e specialmente i gemelli Vargas ci sapevano davvero fare nel letto.

Elizaveta si ritrovò a sfiorare le labbra, toccate poco prima dall’italiano, con una vaga nota maliziosa. Non aveva sbagliato a lasciare Roderich per lui. L’italiano svegliava in lei un desiderio che non aveva mai provata, ed era passionale come l’austriaco non era mai stato. Feliciano era tutto emozioni, mentre Roderich era tutto litigi.

Dopo essersi rotolata tra le lenzuola, indecisa se fosse o no il caso di alzarsi, sentì la voce dell’italiano, che la invitava a tavola, per un buon cappuccino.

Si vestì velocemente ed uscì dalla stanza, lasciando le coperte sfatte.

 

 

***

 

L’aula a gradoni era come sempre affollata di studenti di varie nazionalità, che impazientemente aspettavano l’inizio della lezione.

Il professore, un uomo robusto, sulla quarantina era seduto alla cattedra, intento a riordinare le sue carte, sembrava troppo preso da ciò che stava facendo, per accorgersi che avrebbe dovuto iniziare la lezione da ormai più di dieci minuti.

Gilbert era seduto in una delle ultime file, accanto ad una finestra che dava sul giardino, la sua espressione era vuota, ma attenta, come se stesse contando le gocce infinite che cadevano a bagnare la città.

Una voce famigliare focalizzò la sua attenzione su una ragazza, seduta nelle file centrali, accanto ad un ragazzo dai capelli castano scuro, piuttosto rumoroso.

La ragazza rideva di gusto, mentre il suo lui le raccontava delle sue avventure italiane in macchina.

L’albino sbuffò, grattandosi la testa ed abbassando lo sguardo.

Stupida donna.

Roderich Edelstein gli stava di fianco, a rileggere gli spartiti che aveva scritto la sera prima, canticchiando una melodia dolciastra.

« Puoi smetterla per favore?», chiese Gilbert disturbato da quella cantilena.

« Mi daresti un consiglio piuttosto?», eccolo, come sempre Roderich non badava minimamente alle parole di Gilbert: « Secondo te, è meglio un passaggio così:», e gli canticchiò qualcosa che assomigliava alla marcia funebre, « o questo?», cambiò radicalmente verso una musica da camera troppo dolce da sopportare.

« la prima», rispose automaticamente Gilbert, tornando a guardare fuori dalla finestra. Non vedeva l’ora che quelle dannate ore finissero, così che potesse tornare dai suoi amici, e bere fino ad affogare il dolore che aveva, ed il peso al cuore, al vedere l’ungherese e l’italiano tanto intimi.

La belga si sedette proprio davanti a lui, un attimo prima che il professore richiamò l’attenzione per iniziare la lezione. Era la prima volta che la vedeva senza l’omone che si portava appresso sempre e comunque.

Gilbert allungò la mano ad accarezzarle i capelli, e la ragazza si girò subito, con espressione sorpresa e curiosa al contempo.

« Ciao bellezza», le sorrise Gilbert, « come ti chiami?», la belga voltò la testa, dopo aver regalato una deliziosa smorfia al tedesco, che ne rimase estasiato. Non si aspettava che da un approccio così diretto sarebbe venuto nulla di buono, perciò si mise tranquillo, e cercò di seguire la lezione il più possibile.

 

***

 

« Shhh! Feliciano, ci sentirà!», rise Elizaveta, cercando di zittire Feliciano, intento a raccontargli dell’amico tedesco che aveva incontrato un giorno a Venezia.

« Ma va!», fece l’italiano, « occupato com’è con i suoi fogli non ci vede nemmeno!»

« Comunque, dicevi?»

« Sì, ti dicevo», lanciò uno sguardo al professore e continuò: « Ho incontrato questo tipo a carnevale, a febbraio, è stato troppo divertente! Io ero travestito da nobile del settecento», fece una pausa per riprendere fiato:« e questo mi si avvicina e dice qualcosa di incomprensibile in crucco, io gli faccio, messere, “what do you want, please say it in english”. Il tedesco mi guarda strano e fa no con la testa, non conosceva l’inglese, ti rendi conto?», rise Feliciano di gusto: « abbiamo passato quindici minuti buoni a gesticolare sulla strada, passando per matti, alla fine voleva solo sapere dove si prendeva il traghetto per Piazza S. Marco!»

« E’ incredibile che nel XXI secolo non conoscano l’inglese!», rise Elizaveta. Prese una mano di Feliciano tra le proprie e l’accarezzò con dolcezza, poi posò la testa sulla spalla sinistra del ragazzo, e si accoccolò di fianco a lui, godendo di quella vicinanza all’oggetto dei suoi desideri.

Feliciano le accarezzò la spalla ed il braccio, e si mise in modo da farla stare più comoda contro di lui, era incredibile che avesse trovato una ragazza tanto dolce, ringraziava il Signore ogni giorno per quella conoscenza.

« Oddio, eccolo, sta iniziando!», Elizaveta tornò composta al suo posto, ricevendo un grugnito contrariato da Feliciano, che con malavoglia le concesse di essere attenta alla lezione. Non solo perché la rispettava, ma anche per convenienza, giacché la ragazza gli avrebbe passato tutti gli appunti presi, in seguito.

Feliciano allungò lo sguardo verso le file dietro di lui, vedendo lo sguardo in cagnesco che gli rivolgeva un tedesco albino, Gilbert Beilschmidt si chiamava, secondo le sue fonti. Era davvero singolare il suo comportamento, ma capì subito che il perchè della sua avversione era seduta accanto a lui. L’italiano aveva un sesto senso per quanto riguardava le faccende amorose, divertente, pensò, se il tedesco voleva togliergli Elizaveta, allora si era davvero stancato di vivere.

Un sorriso maligno gli si disegnò sul volto per la durata di un istante, trasformandosi poi in un sorriso dolce ed innocente, quando guardò verso Eliza e lei gli restituì il sorriso con uno sguardo innamorato.

No.

Non avrebbe permesso a niente e nessuno di portargliela via, figuriamoci ad un rampollo tedesco, sceso ieri dalle montagne…

 

 

Angolo autrice:

 

Questa fan fiction è ispirata ad “Appartamento Spagnolo”, devo ringraziare la sua autrice, becky, per avermi fatto ritrovare il desiderio di scrivere.

Come vediamo dal titolo e dal primo capitolo, i personaggi principali saranno Gilbert, Antonio, Francis e pochi altri. Per il momento ho deciso di fare coppie Natural, più avanti probabilmente inserirò anche qualche coppia Yaoi, appariranno Roderich, Ludwig e tanti altri personaggi, tra cui il mio prediletto, Russia, alias Ivan.

Feliciano in questa fiction avrà un ruolo molto diverso da quello che siamo abituati a leggere ed a vedere dalle mini puntate di Hetalia, ma non preoccupatevi, lo troverete molto più sexy e meno fragile di quanto vi aspettiate, sarà un vero Latin Lover, altro che frignone e pauroso. E se avete colto la vena sadica di Feli, provate ad immaginare come renderò quel bastardo di Romano! XD

Cercherò di aggiornare settimanalmente, o al massimo entro le due settimane, la lunghezza dei capitoli sarà sempre di 7 pagine di word, non una parola più o una meno! XD

 

A presto

-          Vostra Joy.

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Capitolo 2
*** It's all about Libraries ***


CAPITOLO II

 

It’s all about Libraries

 

Francis sgattaiolò fuori a metà lezione, la natura chiama.

Si guardò intorno, dove diavolo era il bagno in quella stupida Università? In due mesi non era ancora riuscito ad impararlo.

Ma a che serviva?

Quel posto era un labirinto.

Non restò fermo come un palo, andò a destra, pregando che fosse la direzione giusta. Più avanzava e più la folla di studenti prodighi allo studio si diradava.

Alla fine rimase solo, a questo punto dubitava fortemente di aver scelto la strada giusta. Maledetto caffè, ne aveva bevuti due quella mattina. Ma che poteva farci? L’aveva fatto troppo buono e gli ricordava la Francia.

Fantastico, guardò l’insegna della porta davanti a lui.

Biblioteca delle Aree Scientifiche.

Sbuffò sonoramente, per forza che non c’era nessuno lì, chi andava a studiare quella roba?

Chimica, Fisica, rabbrividì solo al pensiero.

Comunque, appena fosse diventato il Re del Mondo, avrebbe dato fuoco ad Oxford personalmente. Aveva già deciso. Sospirò pesantemente, tanto valeva tornare a lezione, sarebbe andato con Antonio dopo. Girò i tacchi e restò pietrificato.

« Ciao Francis», lo salutò dolcemente Sesel, « cosa ci fai qui?»

« Io…», bene, ed ora che cazzo le diceva? “Guarda mi sono perso in questa trappola, dov’è il bagno?”. Non glielo avrebbe detto nemmeno in punto di morte. Pensa Francis, pensa, che vuoi dirle?

« Ciao Sesel, sono venuto qui in biblioteca.»

« Ma, non avevi detto di studiare Relazioni Internazionali?», aggrottò la fronte,  Santo Cielo che carina! Riprenditi, straccio, la tizia ti ha appena fregato.

« Ecco, pensavo che magari potrei passare di corso, mi sono sempre interessate le scienze», Francis si dette dello scemo, ma che diavolo stava blaterando? Per lui le scienze e la matematica erano il cancro del mondo!

Sesel sorrise.

« Sarebbe fantastico averti nello stesso corso, ma non ti ci vedo in mezzo ad un laboratorio», Santo Cielo, ora le saltava addosso, la amava!« piuttosto ti vedrei in un qualche parlamento», that’s over Baby, here I come!

« Sesel, andiamo?», che cos’era quella voce profonda? Francis alzò lo sguardo all’omone biondo vicino a quell’angelo di Sesel. Come aveva fatto a non notarlo? O sì, lei lo abbagliava!

« Francis, permettimi di presentarti il mio caro amico Ivan».

Fantastico, pensò Francis, era pure russo. Esperienze personali gli suggerivano di essergli amico, piuttosto che nemico. Fece la faccia più simpatica che gli riusciva in quel momento.

« Sono Francis, piacere, Ivan!», gli porse la mano.

Il russo l’afferrò con un sorriso innocente sul viso. Aveva l’innocenza di un bambino, ma la stretta di un vero Kolhoz.

« Sono Ivan, vengo da San Pietroburgo», la stretta si fece più forte, e secondo Ivan, quello significava più amichevole.

Adesso mi rompe la mano, pensò Francis viola dal dolore. Sesel se ne accorse, e chiese con tatto al russo di allentare la presa.

« Ora devo proprio andare», si scusò Francis, accarezzandosi la mano offesa. « Sesel, ci si vede in giro», la ragazza lo salutò sorridente.

« Ivan, beh», cosa gli poteva dire? « è stato davvero un piacere, una volta o l’altra vieni a casa mia che ci beviamo un caffè insieme!»

« Verrò senz’altro», rispose l’altro.

Ti prego non farlo.

« Ciao allora», si girò e si allontanò il più veloce possibile da là.

 

 

 

****

 

 

 

Finalmente la tortura era finita, il professore raccolse le sue carte e Antonio tirò un sospiro di sollievo, ormai ne aveva davvero abbastanza. Non solo li aveva rimproverati per il ritardo, ridicolizzandoli davanti tutta la classe,(la faccia che aveva fatto Francis meritava un Oscar, era diventato rosso di indignazione, con un tic nervoso all’occhio destro) aveva anche continuato a riprenderli per tutta la durata della lezione. Non importava per quale sciocchezza, l’importante era pronunciare un: “ se non la smettete vi sbatto fuori” ad intervalli regolari.

Francis si era segnato il nome del professore nella sua agenda per ricordarsi chi doveva uccidere per primo, una volta uscito da quel dannato ed inutile Ateneo.

Antonio mise le sue cose nella cartella ed afferrò Francis per il braccio, prima che i suoi istinti omicidi lo portassero a fare massacro di tutti i testimoni alla sua strigliata pubblica. Sorrise, gli sarebbe piaciuto vedere Francis fuori di sé, probabilmente avrebbe tirato fuori un fioretto o una sciabola e avrebbe cominciato ad agitare la lama fino a quando nessuno fosse rimasto in vita. Ma non era decisamente il caso di permettergli di fare i suoi comodi, dopotutto, sarebbe finito in prigione, no?

« Andiamo a bere, France», e se lo trascinò dietro.

Francis lo seguì docilmente, dimenticando persino di guardarsi allo specchio, per controllare che i suoi capelli fossero a posto.

« Bastardo inglese», borbottò sottovoce, « ecco, Antonio, ora capisci il perché dell’avversione dei francesi verso gli inglesi?», domandò il francese uscendo all’aperto.

Antonio lo guardò negli occhi e sorrise, aveva un espressione imbronciata adorabile.

« Non badarci, France, andiamo a prendere Gilbert piuttosto, prima che attacchi rissa con qualcuno, mi sono stancato di fare la crocerossina per lui!», era matematico, oramai, ogni dannata settimana, Gilbert si faceva pestare, o pestava qualcuno. Perché? Per le ragazze, ovviamente! Per marchiare il territorio, o per dimostrare chi era il maschio Alfa. Chissà se tutti i tedeschi erano teste così calde?

A sentire Gilbert, suo fratello minore era il suo opposto, ma chissà, Antonio non riusciva ad immaginarselo un Gilbert junior che si comportava responsabilmente e non andava a fare casini con gli altri ragazzi.

« Mi ha mandato un messaggio durante la lezione», disse Francis e tirò fuori il suo Iphone 4, cercò il messaggio del tedesco e lo lesse ad alta voce: « “ Sono al The head of the River, venite subito”».

« La smetterà mai di comandarci?», chiese Antonio sarcasticamente.

« Lascia stare, è il suo modo di essere, grazie al cielo si smolla quando beve!» 

« Ho bisogno di qualcosa di forte, che ore sono?»

Antonio guardò l’orologio e rispose: « le sette meno dieci adesso».

« Vorrà dire che oggi inizieremo a bere presto», passò amichevolmente un braccio sulla spalla di Antonio, ed insieme s’avviarono verso il locale.

 

 

***

 

 

Elizaveta e Feliciano si erano separati dopo la lezione, avevano entrambi un impegno, ma si erano ripromessi di rivedersi quella sera, al River.

La ragazza avanzò a passo sicuro, sotto la pioggia, verso la biblioteca, aveva bisogno di trovare il libro per Storia moderna. Doveva anche muoversi, erano già le sei e mezza di sera e la biblioteca avrebbe chiuso per le sette.

Entrò in biblioteca, la trovò semi deserta, solo pochi studenti si aggiravano silenziosi tra gli alti scaffali. L’anziana bibliotecaria la salutò con un sorriso e un cenno della testa. Elizaveta continuò a camminare, fino alla sezione di Storia moderna.

Doveva fare una ricerca su Galileo Galilei e sulla sua teoria dell’Universo. Incredibile pensare che solo fino a cinquecento anni fa si pensava che la Terra fosse il centro dell’Universo. Confrontato l’egocentrismo degli studiosi antichi e della Chiesa Cattolica, persino il tedesco albino che aveva la sfortuna di conoscere dall’infanzia, sembrava una persona modesta.

Si conoscevano da quando avevano più o meno quattro anni, erano andati alla stessa scuola privata. I genitori di Elizaveta avevano insistito che la ragazza ricevesse un’educazione austriaca. Così la ragazza si ritrovò a frequentare una rinomata scuola privata, nei dintorni di Vienna, dove appunto incontrò la piccola peste tedesca, che crescendo non mutò il suo carattere di Prima Donna.

Da piccola Elizaveta aveva finto di essere un maschio, essendo cresciuta in una famiglia con cinque fratelli maschi, le era più semplice comportarsi come loro, alla maschiaccio. Sua madre era morta dandola alla luce, si diceva che avessero gli stessi occhi, e che i suoi boccoli erano identici a quelli della madre. Il padre di Elizaveta non aveva molte foto della donna, tranne una, con la moglie ancora giovane, che conservava nel suo studio, gelosamente, non lasciandola toccare a nessuno. Era la copia esatta di Elizaveta, sembrava quasi che le due fossero state clonate.

Salì sulla scala, non riuscendo ad arrivare ad un libro, sembrava pericolante, ma lei era leggera e veloce, non le sarebbe accaduto nulla.

Si sporse in avanti per prendere il libro, scoprendolo tuttavia ancora troppo in alto per lei.

Si sporse di più.

Non ci arrivava.

Testardaggine.

Ce la posso fare.

Si sporse ancora.

Ci sono quasi.

Lo prese e nello stesso istante perse l’equilibrio, cadde all’indietro.

Non emise un suono.

Lei no urlava.

Cadde per il tempo che le sembrò un secolo.

Non più di un paio di secondi

Cadde nelle sue braccia diafane.

Lui la circondò in un abbraccio caldo.

Cadde e fu inondata dal suo profumo.

Si sentì soffocare.

Cadde e senza girarsi lo riconobbe.

Sapeva che sguardo le stava rivolgendo.

Cadde e le lacrime le salirono agli occhi.

Perché era Gilbert.

 

****

 

Gilbert era sempre stato restio dal passare troppo tempo in biblioteca, odiava studiare ed odiava i libri.

 Ok, forse l’unica parte che non disprezzava e derideva era la storia prussiana, adorava Federico II, era il suo idolo, aveva sempre letto un sacco di libri su quel re mitico.

Le sue gesta, le sue innovazioni, erano semplicemente musica e poesia per lui.

Anche alcuni racconti della mitologia greca, sinceramente, non gli dispiacevano.

Quando era piccolo, sua madre, per farlo addormentare gli leggeva L’Iliade. Gilbert si immaginava sempre come l’Achille coraggioso o Paride, che aveva rischiato tutto per avere la donna che amava, la bellissima Elena.

Non riusciva a decidere chi avrebbe preferito essere, Achille oppure Paride, amore o gloria?

Entrò nella biblioteca di Oxford e cercò qualche libro sulla mitologia greca, giusto per una lettura leggera post-sbornia.

Quella sera contava di ubriacarsi fino a perdere i sensi, si sarebbe fatto la belga entro la sera, sennò non avrebbe più potuto chiamarsi uomo ed esperto Don Giovanni.

Si, adorava, correre dietro le gonne delle ragazze.

I primi tre appuntamenti erano sempre i migliori, in quelli le ragazze mostravano sempre il lato migliore. Il quarto cercava di evitarlo, solitamente, perché dopo quello iniziavano le pretese di fedeltà e le promesse d’amore eterno.

Selezionò circa cinque volumi e si sedette su una delle grandi tavolate in legno, per darci un’occhiata veloce, prima di decidere quale portare con sé.

La 10 fatiche di Ercole, oppure l’Eneide?

Noioso.

Mise i due libri da parte, si dedicò agli altri tre.

L’Iliade, L’Odissea e la Leggenda del Minotauro.

Aprì L’Iliade e sfogliò i canti fino ad arrivare al suo preferito, Achille contro Ettore.

Iniziò a leggere sottovoce, era un bene che a quell’ora erano quasi tutti andati a mangiare, non sarebbe stato zittito da uno stizzito: “Shhhh!”

Il rumore di passi famigliari lo distolse dalle pagine ingiallite e lui guardò in direzione di esso.

Spalancò gli occhi a vederla avanzare verso di lui, senza vederlo.

Lo oltrepassò senza nemmeno volgergli uno sguardo, tanto era immersa nei propri pensieri.

Un brivido gli percorse la schiena, perché diavolo si comportava come se non lo conoscesse?

In due mesi che erano lì, avevano la stessa età, non si erano nemmeno rivolti la parola.

Sapeva di averla ferita, ma erano passati già due anni! Lui sperava che almeno la ragazza gli concedesse l’amicizia, per ora.

Stupida Ungherese.

Si alzò e si avvicinò lentamente, la ragazza era salita sulla scala per raggiungere un libro, si stava sporgendo pericolosamente e la scala non sembrava delle più sicure.

Aumentò il passo, finché non si mise a correre, quando la vide cadere all’indietro.

Riuscì a prenderla, e l’avvolse nel proprio abbraccio, inspirò il profumo di rose dei suoi capelli. Sospirò, erano almeno sei mesi non la sentiva contro di sé, anche solo per un abbraccio amichevole.

Liza, mia Liza, perché devo sempre salvarti, Amore mio?

 

 

***

 

 

I due gemelli erano seduti a tavola, nella cucina della villa che aveva acquistato Lovino, poco fuori dalla città di Oxford, giusto per capriccio. Era una villa in stile neo-classico, era raro vederne di quel genere in quella zona. Aveva un grande prato, dove i doberman di Lovino correvano liberi ed erano altrettanto liberi di azzannare le chiappe di qualunque ospite inatteso.

Al centro, davanti l’entrata, c’era un’elegante rotonda, con in mezzo una fontana, che funzionava con acqua calda, ed andava anche d’inverno.

Feliciano guardò suo fratello leggere il giornale e bere un cappuccino con l’aria più pacifica di questo mondo.

Nessuna espressione imbronciata, nessuna sopracciglia rialzata in senso di dissenso, la sua espressione era semplicemente atona.

Feliciano si rigirò la penna tra le mani, aspettando che l’altro si degnasse di aprir bocca.

« Allora?»

Lovino lo guardò tra l’interrogativo e lo scocciato, posò a tavola la tazza con la bevanda e gli chiese:

« Cosa vuoi che dica scusa?».

« Per esempio cosa stai complottando», era ovvio che l’altro pensasse qualcosa di grosso, quando era così non c’era da aspettarsi nulla di buono, lo sapeva bene. 

« Non ti riguarda, Feliciano», Lovino posò lo sguardo freddo sul fratello, « ti prego, stanne fuori», era una richiesta o una minaccia?

« Lovino, per favore!», fece Feliciano, si alzò e si avvicinò dal fratello, « siamo dalla stessa parte, permettimi di aiutarti».

« Non c’è bisogno di sporcarsi le mani, tesoro mio», parole dolci pronunciate con la voce di un pazzo omicida, « voglio solo che  l’austriaco abbassi le arie e che capisca quando è il caso di fermarsi, dobbiamo dargli dei freni, altrimenti», accarezzò il mento del fratello con dolcezza, poi mise giù il giornale, per concentrarsi meglio sul gemello. Gli riavviò i capelli dietro l’orecchio, gli sorrise. Feliciano rispose al sorriso ed appoggiò una mano su quella del fratello, che si era fermata tra i suoi capelli.

« Altrimenti non ci rispetteranno più», terminò Feliciano, Lovino gli posò un bacio sulle labbra, come fosse un premio per un cucciolo che ha eseguito bene l’ordine del padrone. Si allontanò dal viso del fratello e disse: « Giusto, Feliciano», fece una pausa, Feliciano aprì gli occhi, « ma con discrezione, non vogliamo alzare polvere attorno a noi, vero?»

« Decidi, Feliciano»,  fece una pausa e sorrise.

« Lo svizzero o il russo?», era come dire: Ade o Lucifero?

« Lo svizzero, se mandi Ivan ci costa troppo dopo».

« Come sempre fai la scelta più saggia, fratello mio» l’adulò Lovino. Prese il telefonino e chiamò il numero dello svizzero, attese la risposta. Appena l’altro alzò la cornetta iniziò a parlare:

« Vash, sei fortunato oggi, ho del lavoro per te», sorrise malignamente.

 

 

Author’s Corner

 

Ciao ragazze! XD ringrazio le quattro che mi hanno commentato, e vi presento questo capitolo. Qui facciamo conoscenza con Ivan e Lovino. Siate sincere, Lovino sembra un po’ mafioso o sbaglio? E Feliciano gli pende dalle labbra, asd!

Comunque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, la settimana prossima vi farò leggere una Liza/Gil! XD spero vi piaccia, non voglio spoilerare, ma Elizaveta si comporterà da perfetta stronza, haha, Gilbert se lo merita, e scoprirete perché.

Vi saluto,

vostra, Joy.

 

Next chapter: Crazy night in Oxford.

 

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Capitolo 3
*** Crazy Nights in Oxford ***


 

Chapter III

Crazy nights in Oxford.

 

« Ti prego…», si lamentò Gilbert attirando l’attenzione del ragazzo al banco, « Per favore, un’altro Long Island».

« Gil, ne hai già bevuti tre!», gli rispose il ragazzo biondo che aveva di fianco,  « questo è l’ultimo», alzò la mano verso il cameriere, quello si avvicinò e prese l’ordine.

« Arthur…», sbottò Gilbert con voce roca, « stasera quella belga me la faccio, vedrai!»

L’inglese gli batté una mano sulla spalla, Gilbert non aveva capito se era una pacca amichevole per spronarlo o un: “mettitela via amico, tanto non te la da’!”, non gliene importava granché comunque.

« Vedrai, vedrai», continuava ad auto convincersi il berlinese, « Appena entra da quella dannata porta, le salterò addosso!».

Arthur Kirkland nascose un sorriso, «l’unico che ti salterà addosso, se lo farai davvero, sarà il gigante olandese, e scommetto che sarà molto passionale con te».

« Tu ed il tuo umorismo del cazzo», sbuffò Gilbert, bevve un sorso del Long Island e sospirò, Santo Cielo se non era fantastico, ogni sorso gli faceva venire i brividi!

« Oh, sono appena arrivati i Gemelli!», Arthur indicò la ragazza, automaticamente Gilbert puntò gli occhioni verso di lei e un basso ringhio uscì dalle sue labbra.

« Li odio, ed odio pure Eliza!».

« Suvvia amico mio, non essere così brusco!»

Gilbert girò la testa dall’altra parte e sbuffò, quella sera non c’era molta gente, ok, ad essere precisi, i ragazzi radunati in quel locale erano molti, ma non superavano la soglia di quelli del venerdì sera, che conciati a festa a schiacciarsi gli uni con gli altri a mo’ di sardine per riuscire ad entrare in quel bar. Non fosse mai che poi i suddetti avessero sete! Una parola: bordello.

« Dici che mi sono vestito troppo da damerino?», chiese il tedesco indicando all’inglese il completo che aveva indosso. Quella sera aveva deciso, per una volta, di ascoltare i consigli di Francis ed indossare qualcosa di elegante. Non che non avesse vestiti che avrebbero soddisfatto persino i gusti difficili del francese con la puzza sotto il naso. Era semplicemente che non si sentiva sé stesso con quelle trappole  addosso.

« Stai bene, oh le tue ammiratrici sono qui», Arthur indicò un gruppetto di ragazze con vocine stridule che urlavano: “Lui è Gilbert del F3*!”. Il tedesco sbuffò, ecco le oche preferite di Francis. Che pazienza aveva quell’uomo per sopportarle..

« Fantastico..» sbottò sottovoce.

« Che entusiasmo, Gil, ti prego parla più piano che mi metti davvero in imbarazzo, cavernicolo tedesco!», rise Arthur, « Barman, un altro scotch!».

Gilbert bevve un altro sorso del suo Long Island, era ancora scosso da ciò che era accaduto quel pomeriggio, come poteva trattarlo in quel modo? Come poteva meritarsi quelle parole e quella freddezza?

« Levami le mani di dosso», Elizaveta si scostò da Gilbert di scatto e raccolse il libro, cadutole durante la sfortunata caduta tra le braccia del tedesco idiota. Gilbert la guardò confuso. Non che si aspettasse baci appassionati o dichiarazioni d’amore, non ancora, ma sperava almeno in un grazie!

« Ti prego di scusarmi se ti ho evitato di schiantarti contro il tavolo», miglior difesa? L’attacco.

« Potevo benissimo cavarmela da sola..».

« Sì con un trauma cranico,un’emorragia…», disse sarcastico il tedesco, la ragazza lo fulminò con lo sguardo.

« Non essere ridicolo!»

«… e magari un’amnesia così che tu possa dimenticare quel frocetto italiano», continuò Gilbert imperterrito, pensando ad alta voce.

« Ma come ti permetti?!», gracchiò Elizaveta, rossa in faccia, « non mettere Feliciano in questa storia».

« Che c’è? Paura che il Maccherone venga a sapere di noi?», insinuò Gilbert avvicinando il vico a quello di lei.

« Sapere cosa? Non c’è nulla da sapere e non c’è nessun Noi», fece una paura, doveva auto convincersi della verità nelle sue parole: « non c’è mai stato».

Gilbert barcollò, la ragazza aveva appena azzerato la sua sicurezza di sé.

Aveva rimosso tutti i loro ricordi insieme? Aveva cancellato tutto ciò che c’era stato e che tuttora c’era tra loro?

« Sai che ti dico?», il ragazzo usò una freddezza che lui stesso non pensava di possedere, « va all’Inferno, sei la creatura più infida e miserabile che io abbia mai incontrato», detto questo si girò e se ne andò. Ne aveva davvero abbastanza, non era il solo responsabile della non riuscita della loro storia, senza dubbi era il maggior responsabile ma non il solo.

Non sapeva se la ragazza avesse pianto, dopo.

Sapeva solo di averla lasciata immobile con lo sguardo puntato verso il vuoto e mille pensieri.

Aveva ragione lei, pensò ripensando a ciò che lei gli aveva detto anni addietro.

Vivevano in mondi diversi.

Lui nobile e ricco ereditiere di un impero economico tedesco.

Lei una semplice figlia di professori.

Non potevano stare insieme.

E non avrebbero mai dovuto incontrarsi.

 

« Ci vedo doppio o quella è la belga?», prima che Arthur riuscisse a fermarlo, il tedesco si alzò e si diresse a passo di carro armato verso la bionda. Era un miracolo che quella sera l’omone non fosse nei dintorni, perché probabilmente non sarebbe riuscito a tornare a casa intero se l’avesse baciata davanti a quello là!

Comunque, stavo dicendo: passo di carro armato verso la preda. Senza dire nulla, le si piazzò davanti e la baciò. 

Immediatamente un silenzio tombale avvolse il locale, sembrava che persino il dj avesse fermato il disco, non credendo ai suoi occhi.

Le ragazze del locale non sapevano se ridere o piangere, tanto erano sconvolte.

Molti dei ragazzi del locale si erano quasi strozzati bevendo, ed i restanti avevano la bocca spalancata a mo’ di caverna.

Gilbert era troppo ubriaco per capire il motivo, quelle scenette accadevano di continuo, circa due o tre volte alla settimana, ma fu lusingato di ricevere tanta attenzione.

Arthur, povera anima, balbettava parole senza senso.

Antonio spuntato da chissà dove era caduto a terra in preda alle risate, non accennava a smettere.

Romano poco lontano, seduto ad un tavolo con i suoi amici, era deliziosamente sorpreso, non credeva che i crucchi fossero di quella sponda, aveva sentito che fossero piuttosto puritani.

Francis era passato da una colorazione rosea abbronzata a un blu livido, cercando di capacitarsi di ciò che stava accadendo.

E Gilbert..

Gilbert stava baciando Francis.

 

 

***

 

« Dimmi che non è accaduto, Antonio», quella cantilena andava avanti da ormai mezz’ora, « dimmi che non è accaduto».

« Vuoi che non ti dica che Gilbert non ti è saltato addosso, ti ha baciato appassionatamente davanti ad almeno cento persone e poi è svenuto tra le tue braccia?», lo canzonò Antonio e riavviò le coperte di Gilbert.

« La mia vita è finita», disse semplicemente il francese, in preda alla depressione più nera.

« Grazie a questo coso ubriaco», indicò Gilbert tremando, « ora sono davvero un frocio francese!».

« Avanti, vedi che si dimenticheranno presto!», come no, pensò Antonio, aveva visto chiaramente Lovino, dannata l’anima sua, fare delle foto e uno dei suoi fare un video, probabilmente tutta quella roba era già su YouTube, o lo sarebbe stata presto.

« No non è vero! Sarò per sempre lo zimbello di tutti!», prese un fazzoletto e si asciugò elegantemente il naso, « Tutto il mondo saprà ciò che è successo stanotte, essere famoso è così fastidioso certe volte!».

« Lascia perdere sul serio, è stato molto più ridicolo vederti scappare con la tua faccia livida e Gilbert trascinato per un orecchio mentre diceva: “Oh sì, piccola, mi piace violento!”», Francis rabbrividì, ma quello spagnolo da chi l’aveva preso il tatto? Dal mafioso italiano? O dallo svizzero dal grilletto facile?

« Come puoi ricordarmi queste cose?», strillò con voce spezzata, « dovresti essere mio amico!».

Antonio rise ed in risposta aggiunse: « dovevi vedere le facce delle ragazze, davvero, amico, erano tra l’eccitato e lo scandalizzato».

« Le ragazze?», argomento preferito di Francis: « le ragazze cosa?»

« Erano con la bava alla bocca!».

Ed ecco Francis di nuovo nel mondo dei suoi fantastici pensieri, con tante pollastrelle che lo circondavano e lo osannavano per chissà quali motivi. La maggior parte erano bionde, il Creatore gliene era testimone, le bionde lui le adorava, anche perché s’intonavano alla perfezione con il suo aspetto fisico. Due biondi, un ragazzo ed una ragazza, sarebbero stati senz’altro al centro della scena! Specialmente a Parigi, dove i biondi erano scarsi e i bruni li schiacciavano di numero.

Gilbert aprì gli occhi, sbadigliò e fissò il soffitto sopra di sé.

Le voci dei due amici gli arrivavano appannate e fastidiose, aveva la testa che a momenti gli scoppiava.

Quanto aveva bevuto? E perché i due bastardi si ostinavano a parlare ad alta voce? non erano mica in una fabbrica! Si mise a sedere sul letto, si addossò sui cuscini e attese che i due lo notassero.

« Oh, ma tu guarda!», esclamò la voce calda di Antonio, « il nostro bell’addormentato si è svegliato finalmente!».

« Questa non la passi liscia, Gilbert», miniacciò Francis.

Gilbert lo fissò con l’aria più innocente del mondo.

« Che è successo?».

« Non ricordi?».

Gilbert si passò una mano tra i capelli, « no».

« Mi hai quasi violentato ieri», il tedesco sbiancò. Si rammentava la scena di un bacio appassionato, ma credeva di averla sognata, ma comunque non era possibile, perché lui aveva baciato una ragazza!

« Non essere ridicolo, mi sono fatto la belga!».

« Non era Frédérique**, era Francis», puntualizzò sarcasticamente Antonio.

« Co-cosa?», Gilbert era scandalizzato, in vita sua non aveva mai nemmeno sfiorato negli suoi incubi peggiori l’idea di baciare un ragazzo.

« Fantastico, ora quest’idiota mi scambia per una ragazza!», sbottò Francis ferito, « Io sono più uomo di quanto tu sarai mai, belloccio!».

Antonio fece un ghigno sarcastico, convinto del contrario.

« Oh Santo Cielo», Gilbert era di un bianco innaturale, se normalmente  era pallido, ora era semplicemente di un colore cadaverico, cosa che spaventò non poco Antonio.

« Riprenditi, Gil!», disse preoccupato lo spagnolo e toccò la fronte del tedesco per assicurarsi che non scottasse.

« E’ successo fuori dal River vero?», chiese la voce tremante di Gilbert.

« Oh no, eravamo perfettamente dentro, tedesco del cavolo!», disse Francis con una vena di sarcasmo.

Gilbert si adagiò meglio sui cuscini, se fosse stato in piedi, le ginocchia gli avrebbero ceduto senz’altro.

« Davanti a tutti?».

« C’era anche il mafioso stasera, ci ha fatto un sacco di foto», l’informò il francese.

« Merda, ora sarà già tutto su twitter! E su facebook, e su YouTube! La mia vita è finita!».

La scena ad Antonio ricordava un vago deja-vu. Quei due erano più simili di guanto pensassero.

« La prossima volta impari a bere meno», disse Francis e si alzò dal ciglio del letto, dove era seduto fino a poco prima. Andò verso la porta, « Vuoi un caffè Antonio?».

« Sì, grazie Francis, arrivo subito!», gli rispose Antonio e si girò verso Gilbert. Il tedesco gli rivolse uno sguardo pietoso.

« Tony, trova il cubano, ho bisogno di roba forte!», disse Gilbert.

« Ma si può sapere perché hai bevuto tanto?», chiese curioso Antonio, « non ti serve tutto questo per correre dietro ad una gonna!».

« Per rincorrere una ragazza no, ma per dimenticare un’altra sì».

« Si tratta di nuovo di Elizaveta?».

« Come sempre amico mio, come sempre», ripeté Gilbert, più a sé stesso che ad Antonio.

« Non era in quel locale, vero?».

« Non l’ho vista, ma c’erano i Gemelli del Malaugurio se t’interessa», l’informò Antonio.

Gilbert fece una smorfia.

« Che vadano entrambi all’Inferno», disse gentilmente Gilbert, «va’ ora che voglio riposarmi un po’», detto questo, si girò verso la parte opposta e cercò di dormire. Domani sarebbe stata una giornata lunga.

 

 

***

 

Lovino era seduto su un divanetto, annoiato, come al solito, sempre la stessa gente, niente di nuovo, solamente una moltitudine di inglesi insignificanti e grigi. Seriamente, si chiedeva come aveva fatto quel popolo a procreare nel corso della sua storia. A suo avviso gli inglesi erano il popolo più freddo e distante che gli fosse mai capitato sotto tiro, e conoscendo alcuni danesi, freddi pure loro, ne sapeva qualcosa. Quei britannici evitavano il contatto fisico come la peste. Lui era italiano, e gli italiani erano molto amichevoli e caldi la maggior parte del tempo.

« Fréd?», la ragazza al suo fianco si era appisolata, lui la scosse per farla tornare vigile. La bionda gli rivolse un caldo sorriso e gli si strusciò contro con sguardo malizioso. Lui le posò un bacio sulle labbra, percependo lo sguardo di ghiaccio del cugino di lei posato su di lui. 

« Keith***, sei sempre molto socievole ed amichevole al tempo stesso», sorrise sarcasticamente Lovino. La ragazza rivolse uno sguardo di sufficienza all’olandese, che in tutta risposta si girò di spalle ai due.

« Mi accetterà mai come tuo principe azzurro su una bellissima Ferrari bianca?», chiese Lovino teatrale alla ragazza.

« Ignoralo quel cretino,» rispose semplicemente Frédérique. Lovino rise di gusto e la ragazza si unì alla sua risata.

Feliciano se ne stava in disparte a sorseggiare un vino rosso che aveva fatto importare dall’Italia apposta per sé. Elizaveta gli aveva mandato un messaggio per dire che non poteva venire e scusandosi. Quindi era rimasto solo quella sera, lui e la compagnia di suo fratello. Non che lo intrattenessero molto, Lovino e la belga si spalmavano l’uno contro l’altra e l’olandese se ne stava zitto a fumarsi qualcosa, a giudicare dalla faccia era pure potente. Prima o poi si sarebbe fatto offrire qualcosa.

« Feliciano, cosa c’è?», Lovino si era accorto dello sguardo perso nel vuoto del gemello.

« Niente».

« Feliciano…», ripeté Lovino, concentrandosi su di lui.

Feliciano sospirò e si decise a sputare fuori la verità:

« Eliza non è venuta».

« Non è la prima volta, se non sbaglio, giusto? Quella studia pure mentre dorme, lo starà facendo anche ora», lo consolò Lovino.

« Non è questo il punto».

« E cosa c’è, allora?», chiese Lovino preoccupato.

« Vash ha detto di averla vista con Beilschmidt oggi», Feliciano abbassò gli occhi, « a suo dire non è successo nulla, ma sono comunque in pena», confessò Feliciano con voce debole.

« Parli del loro passato? E’ questo che ti preoccupa, Piccolo mio?», Lovino si ostinava a chiamarlo “Piccolo Mio”, anche se erano nati solo ad un’ora di distanza l’uno dall’altro. Era sempre stato molto protettivo nei confronti del suo gemello, specialmente dopo che avevano perso i genitori a causa di un gruppo di malviventi a Roma. Dopo l’episodio, insieme al nonno Cesare, si erano trasferiti a Venezia, dove avevano vissuto la maggior parte della loro vita.

« Lei continua a dire che lui non significa nulla, ma io li vedo quegli sguardi, la tristezza dei suoi occhi, quando anche solo per sbaglio si posano su quel dannato albino del cazzo», si alterò tanto da spezzare il bicchiere  con il vino tra le dita. Le schegge di vetro gli ferirono le dita.

Frédérique prese un fazzoletto di lino e gli pulì la mano dal sangue. La rattristava la vista di quel ragazzo, tanto simile al suo Lovino, con quello sguardo malinconico. Gli accarezzò le guancie ed il ragazzo sorrise. Era davvero adorabile quando sorrideva. 

« Fréd smettila che sono geloso», disse Lovino afferrandola per la vita e portandosela sulle gambe. La belga rise e baciò l’italiano con passione.

« Tieni», disse semplicemente Keith porgendoli la sua pipa, aveva appena finito di fumare, e l’aveva riempita di nuovo. Solo l’odore, ancora prima che fosse accesa inebriò Feliciano, che non si fece ripetere due volte l’offerta.

Fumò di gusto, ed il buonumore tornò a disegnarsi sui suoi lineamenti abbronzati.

« Feliciano, guarda là», gli disse la voce scioccata di Lovino.

Il tedesco, causa della tristezza di Feliciano era balzato in piedi, ed era corso verso il francese e gli era letteralmente saltato addosso.

« E’ un attacco sessuale, vero?», chiese Feliciano incredulo, tutto avrebbe creduto tranne che quell’albino in particolare nutrisse interesse verso l’altra sponda.

« Io lo sapevo che quel francese era frocio», sottolineò Frédérique storcendo le labbra, in un ghigno canzonatorio.

« Non ci credo, dov’è il mio Iphone?», Lovino prese a cercare disperatamente il suo telefonino, non poteva lasciarsi scappare una scena del genere, l’avrebbe messa su internet la sera stessa.

Anche Keith filmò la tenera scena d’amore tra i due ragazzi. Anche se dal colore bluastro della faccia del biondo francese, non sembrava che apprezzasse le attenzioni del suo amico tedesco.

Durò qualche minuto, ma sarebbe diventata leggenda per decenni.

Ora il tedesco si era accasciato tra le braccia del francese, che lo sostenne, con uno sguardo da animale inferocito verso il compagno di bevute.

« Lo sta trascinando fuori per un orecchio?», la belga spalancò gli occhi, sorpresa che l’orecchio del tedesco avesse una tale forza di opposizione alla gravità, qualsiasi altro si sarebbe già staccato.

Lo spagnolo invece le aveva rivolto uno sguardo sorridente, quando l’aveva individuata tra gli spettatori della piccola scenetta improvvisata. Quel ragazzo la lasciava interdetta, sembra troppo solare per essere vero. Forse ci avrebbe fatto amicizia, un giorno o l’altro, dopotutto aveva sempre desiderato visitare Madrid e Granada.

 

 

 

 

Author’s Corner

 

Chiedo umilmente perdono per il ritardo nell’aggiornare! >_< sono stata parecchio occupata negli ultimi tempi, quindi.. scusate… XD

Ringrazio delle vostre dolci recinsioni! J

 

*F3= Gilbert, Francis, Antono. Ho visto un drama coreano chiamato boys over flowers di recente e quindi ho deciso di chimare il Bad Friends Trio così.

** Frédérique= il nome che ho dato a Belgio.

***= Keith= il nome di Olanda.

 

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Capitolo 4
*** A jump in the past ***


A Jump in the past

« Io ti amo, Eliza», sussurrò Gilbert con voce dolce. Accarezzò i capelli castani della ragazza, di fronte a lui.

« Tornerai, vero?», alzò lo sguardo e guardò i due rubini che il tedesco aveva per occhi. La sua voce era spezzata dalla minaccia dell’imminente allontanamento del ragazzo che le aveva rapito il cuore.

« Sai che tornerò, io tornerò sempre per te!», le assicurò il ragazzo.

 

Bugiardo.

Non era tornato.

Era rimasto a Berlino.

L’aveva lasciata ad aspettare a Vienna, mentre nevicava.

Con il suo regalo di Natale, una sciarpa di candida lana bianca, che lei stessa aveva fatto.

L’aveva aspettato, a lungo, finché non era svenuta. Per fortuna un ragazzo la soccorse, un giovane distinto, che ricordava di aver incontrato prima, all’accademia.

Roderich Edelstein, figlio di nobili, uno snob scorbutico e insofferente a chiunque, solo lui si era presentato quella notte, davanti a lei, l’aveva portata a casa, l’aveva vegliata tutta la notte, aveva suonato il pianoforte per lei, l’aveva consolata, aveva asciugato le sue lacrime.

In seguito apprese che era stato Gilbert a mandare l’austriaco ad incontrarla. L’unica spiegazione che gli aveva dato era che non riuscì a muoversi da Berlino, che i suoi genitori ed suo fratello avevano bisogno di lui per Natale.

Se era vero, perché le aveva promesso che l’avrebbe passato con lei? Perché mentire? Se lui glielo avesse detto chiaramente, lei avrebbe capito. Non l’avrebbe accusato di trascurarla. Lei non era quel tipo di ragazza, lei era altruista, lo era sempre stata.

Dopo quell’episodio aveva tagliato tutti i contatti con lui.

Non voleva più vederlo né sentirlo, anche se era difficile visto che ogni santo giorno quell’albino era in televisione per una delle sue solite bravate infantili.

Più cercava di evitare di pensare a lui e meno le riusciva.

Lo aveva amato, Dio se non l’aveva amato! Con tutto il cuore, capiva le differenze sociali tra loro, eppure non demordeva, da perfetta stupida aveva creduto che il loro amore fosse in grado di passare sopra a tutto e di unirli per sempre.

Non era stato così. Il suo cuore era andato in frantumi. Un cuore di cristallo caduto a terra, a causa del suo poco attento proprietario, Gilbert.

Si era ripresa a fatica, con l’aiuto di Roderich, con il quale era uscita insieme per qualche mese.

Erano stato un anno buio, quello dopo Gilbert, la sua depressione era altalenante, ed il suo umore sempre imprevedibile. Pianti dirotti e rabbia ceca.

Il suo ultimo anno delle superiori era stato il peggiore della sua vita.

Dopo, però, era finalmente arrivato un raggio di sole ad illuminare la sua vita.

Feliciano Vargas.

Italiano, bellissimo, cortese, galante, adorabile.

L’aveva incontrato durante il carnevale a Venezia. Era andata nella città degli innamorati per trascorrere un week-end con la sua migliore amica, si erano fermati in un hotel su piazzale Roma. Elizaveta aveva amato da subito quella città magica costruita di sogni e sul mare.

 Adorava perdersi per le strette calli per poi spuntare in piccole piazzette inesplorate dalla normale marmaglia di turisti americani e cinesi.

Era stato così che aveva incontrato Feliciano, quando lei si era persa, lui l’aveva trovata. Era uscito da un grande palazzo, decorato in stile orientale e con accenni di Liberty.

Indossava un cappello con una grande piuma, era vestito di un’elegante verde smeraldo, da nobile, con una maschera argentata in volto che gli lasciva la parte bassa del viso scoperta.

 I loro sguardi si incrociarono e rimasero incatenati per qualche minuto, inconsapevolmente si erano avvicinati, lui si era inginocchiato davanti a lei, le aveva preso la mano nella sua ed aveva fatto il gesto del baciamano.

Elizaveta era arrossita, e l’italiano aveva sorriso, presentandosi e pregandola di concedergli una giornata insieme. Senza dubbio era stato il giorno migliore della sua vita, Feliciano era un vero gentiluomo, e quando quel giorno finì, lei se ne era già innamorata.

Aveva chiuso il ricordo del suo amore per Gilbert in uno scrigno e ne aveva gettato via la chiave, ripromettendosi di non aprirlo mai.

 

***

 

Una lieve pioggia bagnava le strade di Oxford, la pace regnava a quell’ora del giorno, pochissime persone si azzardavano a mettere il naso fuori al gelo dell’autunno inglese.

Quella città pullulava di studenti stranieri, alcuni abituati al caldo dei loro paesi natali, altri che come gli inglese erano abituati al freddo, ma non all’umidità di quella terra bretone.

Era normale vederli in giro, verso le nove e le dieci del mattino, sempre di fretta per le lezioni, ma nessuno si degnava di uscire prima delle nove.

Tuttavia c’era sempre uno studente, vestito di un lungo cappotto nero, chiaramente costoso, con al collo una sciarpa colorata e un’espressione di cortese indifferenza.

Al capo portava un basco nero, in stile francese, qualche capello gli invadeva gli occhi e si mostrava sempre infreddolito, chiaramente non abituato al clima. Era fuori sempre alla stessa ora, prima degli altri, per godere della pace mattutina, nel suo bar preferito, che apriva quasi solo per lui e per la sua silenziosa presenza.

Prendeva sempre un cappuccino ed una brioche alla marmellata, chiedeva sempre al suo cameriere, che ormai conosceva per nome, il suo giornale preferito: “Il Corriere della Sera”. Quel bar era l’unico di Oxford ad essere abbonato a quel giornale e lo studente mattutino e silenzioso era l’unico a leggerlo, insieme a pochi altri.

Quella mattina, tuttavia, non era solo, un altro giovane gli stava di fronte, deciso a sedersi allo stesso tavolo dello studente. Il ragazzo aveva lineamenti abbronzati, capelli corvini, l’espressione calda di chi arriva dal sud, ed è abituato a sorridere al sole ed ad un nuovo giorno sotto i suoi raggi.

« Si può sapere che diavolo vuoi, Bastardo?», disse la voce amichevole di Lovino, al giovane davanti a sé che lo guardava, era infreddolito tanto quanto l’italiano, ma non lo dette a vedere, una volta varcata la soglia del bar si tolse il giubbotto ed ora se lo trascinava dietro sotto un braccio.

Senza troppi complimenti Antonio si sedette al tavolo di Lovino Vargas e gli sorrise.

« Buongiorno, Vargas», disse con voce calda lo spagnolo, facendo segno al cameriere di portargli il menù.

Lovino appoggiò sul tavolo il suo giornale: « Cosa hai dimenticato qui?», mormorò con voce fredda.

Lo spagnolo si tolse anche i guanti in pelle eli posò sul tavolo, accavallò le gambe e lanciò uno sguardo al cameriere, che gli stava portando il menù.

Lovino attese pazientemente che il suo interlocutore rispondesse.

Non appena Antonio ebbe tra le mani il menù iniziò: « Hai già pubblicato le foto di Gilbert e Francis?», chiese con un sorriso sulle labbra.

Lovino lo guardò storto e girò la testa verso destra, « No, non ancora», gli aveva detto esattamente ciò che lui voleva sentire, Antonio socchiuse gli occhi, i quegli specchi verdi aleggiava una luce strana, pericolosa, calcolatrice.

« Hai intenzione di usarle come ricatto?».

« Non saprei, per il momento non avete nulla che mi possa interessare», disse Lovino puntando lo sguardo sullo spagnolo, si leccò le labbra, le aveva screpolate. Non si era ancora tolto il cappotto nero, ma a quel punto decise di disfarsene, si era scaldato abbastanza ed inoltre quel cappotto non lo faceva sentire a suo agio.

Il cameriere arrivò con un piccolo computer portatile apposta per le ordinazioni. Antonio gli chiese un caffè americano ed una fetta di cheesecake. Lovino non smise mai di guardare i movimenti dello spagnolo, pensò che assomigliasse molto ad un leone dagli occhi verdi.

« Sei sicuro? Posso darti quello che vuoi, basta che tu chieda», propose Antonio con voce pacata, incrociò le dita e le posò sul ginocchio.

« Qualsiasi cosa?», rise Lovino, finalmente lo spagnolo era riuscito a catturare tutta la sua attenzione, « sentiamo, cosa potrei volere, io?», gli chiese sarcastico, « possiedo già tutto ciò che desidero, non ho bisogno di altro».

« Tu hai bisogno di nuove sensazioni, Vargas, devi trovare qualcuno che non ti annoi, qualcuno all’altezza delle tue aspettative, che sia davvero degno di essere il tuo giocattolo preferito, perché tutto qui ti annoia, non è vero? Il tempo, le persone, persino la tua bella Fréd è tediante per te».

Lovino non rispose, si limitò a guardare gli occhi socchiusi di Antonio, avevano un colore smeraldo, la stessa pietra incastonata nei suoi gemelli preferiti. Si scoprì ad accarezzare le maniche della sua giacca gessata inconsapevolmente ed allora sorrise malizioso.

« E chi sarebbe all’altezza delle mie richieste?», chiese con voce suadente.

Antonio aveva notato il movimento delle mani di Lovino e capì di aver colto nel segno, era sempre stato bravo a capire le persone, ancora una volta se lo dimostrava. Poggiò il gomito sul tavolo e si sorresse la testa con la mano.

« Ti prometto che mai ti farà annoiare», gli assicurò Antonio, « ma c’è un prezzo da pagare».

« Essia, Vash ti porterà le foto questo pomeriggio», decise Lovino, abbassando lo sguardo sulla sua tazza.

« Ci vediamo domenica allora», sentenziò Antonio, « ti porterò a volare, sono un pilota provetto, in caso tu non sappia».

« Granada», disse Lovino.

« Essia, mio Signore, la porterò a Granada», fece un inchino e si allontanò con un mezzo sorriso sulle labbra.

Avrebbe fatto qualsiasi cosa per Francis e Gilbert, anche se comportava passare del tempo con Lovino Vargas.

Lovino guardò la figura dell’iberico allontanarsi, e d’un tratto perse del tutto l’appetito ed il desiderio di terminare il suo cappuccino.

 

***

 

Gilbert si alzò, per prima  cosa andò a controllare che lo spagnolo fosse in casa, bussò diverse volte alla porta della camera ma nessuno rispose, allora la spalancò e vide ciò che temeva, il letto era fatto e non c’era nessuno.

 L’iberico se l’era già svignata.

« Stupido Spagnolo», sbottò Gilbert paonazzo e con i pugni stretti, « aveva promesso di accompagnarmi a lezione».

Francis lo guardò storto: « Doveva pure tenerti per manina per caso?», sottolineò sarcastico il francese, mentre sorseggiava il proprio caffè con aria apparentemente pacifica.

Gilbert gli lanciò un’occhiata, il francese era seduto a tavola e stava consumando la sua colazione, omelette, brioche e un caffè fumante anche il tedesco aveva una discreta fame, ma preferiva non avvicinarsi a Francis per un po’, era andata bene finché era rimasto a letto, ma ora che era in piedi, il francese poteva anche decidere di tirare fuori il suo moschetto, ed  il tedesco era sempre stato una frana nelle sue lezioni di scherma, sarebbe finito infilzato dopo il secondo incrocio di spade se gli andava bene. Era deciso, avrebbe mangiato solo quando Francis fosse uscito di casa per le sue lezioni, fino ad allora doveva essere pronto ad essere schiaffeggiato con un guardo ed ad avere un francese offeso che pretendeva di combattere per l’orgoglio ferito.

Sciocchezze, si disse Gilbert ad un certo punto, in fin dei conti, Francis era uno dei suoi migliori amici, ed una sciocchezza come un bacio nel locale più famoso di Oxford non avrebbe spezzato la loro amicizia… Giusto?

Gilbert guardò il francese:

« Si può sapere per quanto ancora sarai arrabbiato?», domandò esasperato il tedesco, passandosi le dita tra i capelli bianchi e lisci. Francis incrociò gli occhi con quelli rubini del tedesco. Per un minuto considerò cosa dire, alla fine decise per:

« Fino a che non mi regalerai la tua Enzo Ferrari», rispose ,come se fosse la richiesta più semplice di questo mondo. Bevve un sorso dalla sua tazza ed abbassò lo sguardo sull’articolo che stava leggendo.

Gilbert diventò blu dall’orrore: « Hai idea di quanto costa quella macchina?», disse con la voce tremante, « gli esemplari sono contati!», fece segno di contare con le mani.

« Non occorre che me lo dici, lo so benissimo», in quel momento finì il suo articolo e girò la pagina, c’era la pubblicità dell’ultimo profumo creato dall’azienda del padre, guardò con interesse la descrizione del prodotto, sorprendendosi di non averne mai sentito parlare prima d’ora. Avrebbe dovuto essere più presente nella vita economica della famiglia. Poteva essere una buona idea.

 

Il tedesco sbatté gli occhioni, capendo di aver del tutto perso l’attenzione del suo interlocutore francese.

Non c’era altro da aggiungere comunque. Si accasciò sul divano, ed accese la televisione, a volume moderato, e continuò a fare zapping fino a che non trovò un programma che fosse vagamente interessante. Una giornalista stava intervistando un giovane e Gilbert capì subito di chi si trattava.

« Guarda, Francis, parlano di me!», disse fiero, il francese alzò lo sguardo verso la televisione al plasma e storse il naso, stavano di nuovo facendo il programma preferito di Gilbert, ovvero la sua biografia, da quando era un lattante ai vent’anni.

Cosa c’era da dire della vita di Gilbert?

Era figlio di una delle più celebri e potenti famiglie del paese, suo padre l’anno successivo si sarebbe proposto come Cancelliere tedesco, la madre era molto attiva nella Beneficenza, aveva persino creato una sua associazione che faceva concorrenza al mondialmente noto “Lion’s club”.

Come se non bastasse suo fratello minore era un genio dell’informatica e della meccanica, sicuramente sarebbe andato a lui l’impero automobilistico del padre.

Mentre Gilbert… Gilbert era la pecora nera della famiglia, era il casinista, il figlio che faceva vergognare il padre, il figlio che finiva in prigione per aver aggredito chiunque avesse osato guardarlo dall’alto al basso.

Il figlio umanista.

Gilbert amava la storia, amava i racconti del passato, soprattutto i racconti greci e la storia prussiana. Gilbert era il figlio passionale, che non aveva nulla a che fare con la freddezza della professione del padre, Gilbert sarebbe stato un ottimo Re se solo ne avesse avuto occasione, se solo fosse nato in un secolo diverso e con una famiglia diversa.

Avrebbe reso grande il paese che avrebbe governato.

Solo, in un’altra vita.

In questa Gilbert non era altro che un ragazzo solo, in continua ricerca dell’affetto che i genitori gli avevano negato quando era un bambino.

Gilbert era un’erede dei Beilschmidt prima che un figlio.

Ma tutto questo non era permesso saperlo alle persone all’esterno.

Gli spettatori ed i media vedevano solo le stelle conquistate dall’albino. Una lunga scia di attrici e cantanti, varie ereditiere e nient’altro.

Ricco, bello e single, questo interessava alla massa.

Poter sognare il partito ideale.

« Esibizionista», rispose Francis tornando al suo articolo, Gilbert aveva perso ciò che avrebbe dovuto essere suo, l’amore. Senza l’amore, un uomo non poteva dirsi completo.

Non  bastava avere rovinato l’infanzia ad un bambino, la famiglia Beilschmidt aveva portato anche portato via l’Amore ad un adolescente, lasciando, un uomo solo, in preda di sé stesso ed indirizzato verso valori sbagliati.

Come vorrei aiutarti amico mio…

« Non sono esibizionista», sussurrò Gilbert lusingato, « semplicemente amo che si parli di me!».

Ma finché eviti i tuoi problemi e ripeti i tuoi errori, non posso.

 

****

 

Francis aveva trovato il coraggio di uscire di casa solo due giorni dopo l’accaduto.

Aveva un esame di inglese da fare, non aveva scelta, scelse il completo nero di Armani e uscì dall’appartamento, a passo fiero.

Antonio aveva promesso di accompagnarlo fino all’Università, in effetti aveva promesso di accompagnare sia lui che Gilbert, i due avevano qualche problema a restare soli in pubblico, diventavano paonazzi e il pensiero che la gente si faceva di loro era inevitabile. Tutto andò in rovina, lo spagnolo traditore se l’era già svignata, quando il francese si svegliò quella mattina.

Antonio avrebbe dovuto andare con lo loro, giusto per salvare le apparenze.

In teoria Sesel non l’aveva visto. Almeno quello.

Era riuscito a farsi promettere un appuntamento subito dopo l’esame di Inglese, Francis era sicuro che l’esame non sarebbe stato difficile, visto il professore che insegnava la materia. Un certo americano con un esagerato patriottismo verso il proprio paese.

Uscì dall’appartamento, Gilbert aveva un po’ di febbre, gli aveva lasciato il pranzo pronto, così che non si sforzasse, nonostante l’accaduto e la loro brutta figura in pubblico, restavano ottimi amici.

Francis,  a dispetto delle apparenze, era una persona responsabile e si curava dei propri amici. La sua unica pecca, era il troppo attaccamento al proprio guardaroba e la cura fino all’esasperazione della sua immagine. Lui doveva essere sempre perfetto. Anche se doveva semplicemente uscire a buttare la spazzatura, doveva apparire come se andasse ad una sfilata di moda d’alta classe.

In Francia era uno dei partiti migliori dello Stato, se non il migliore, le ragazza cadevano a valanghe davanti ai suoi piedi, che calzavano sempre l’ultimo modello ed il più elegante di Gucci.

Per lui era prima apparire, poi essere.

 

***

 

Gilbert poltrì sul divano tutta la mattina, non aveva nessun desiderio di mettere il naso fuori, stava piovendo e probabilmente faceva un freddo cane e lui non era così masochista, o almeno non lo era quel giorno.

Guardò la televisione, lesse qualche libro, che ovviamente non aveva nulla a che fare con il programma che doveva studiare, una pagina dopo l’altra, nessun pensiero, si lasciò cullare dalle parole, scritte nella sua lingua madre, il tedesco.

Francis se n’era andato verso le dieci e mezza, ma non senza avergli fatto una predica sull’accaduto e sul fatto che non era consigliabile per lui saltare le lezioni. Gilbert non l’aveva ascoltato.

Sentiva addosso malinconia e basta, fuori pioveva, e piangeva anche il suo cuore. Era incapace di amare, l’aveva capito da tempo. Era tutto molto semplice: non era degno di amare ed essere riamato. 

Perché amare poi? L’amore portava solo dolore e tristezza. Eliza gli aveva spezzato il cuore. Lui aveva provato a spiegarle mille, no duemila volta che non l’aveva lasciata per sua volontà, ma lei era irremovibile, ferma sulle sue idee, senza alcun accenno a cambiare opinione.

Posò il libro che stava leggendo sul tavolino di vetro, davanti a lui, ascoltò il rumore delle gocce di pioggia sul tetto, vivevano all’ultimo piano, e la notte, quando pioveva, il rumore della pioggia li cullava e li conduceva verso un lieto sonno. Ma Gilbert aveva da tempo smesso di sognare. Tutto ciò che gli era rimasto erano gli incubi, che ogni notte disturbavano il suo riposo. Ogni notte sognava ciò che aveva perso, viveva senza Elizaveta, ogni notte sognava la vecchiaia senza di lei, in solitudine, oppure lei insieme a quell’italiano. Sognava le loro nozze, in cui lui era solo uno dei tanti invitati, sognava lo sguardo di lei, pieno di rancore e disprezzo, quegli occhi dolci trasformati in strumenti per ferirlo. Non voleva dormire, ogni notte cercava di non addormentarsi, ogni notte era sopraffatto dal sonno e dalla stanchezza, ogni notte i suoi incubi lo rincorrevano.

Almeno Francis ed Antonio non lo sapevano, si consolava Gilbert. Non avrebbe sopportato i loro sguardi.

Arthur aveva promesso di passare verso le undici, e Gilbert sapeva che l’inglese solitamente era puntuale. Mancavano circa cinque minuti all’orario, Gilbert decise che era ora di alzarsi dal divano, preparò un thè nero, Antonio aveva comprato una torta al cioccolato e quella era senz’altro l’occasione migliore per iniziarla.

Suonarono alla porta alle undici precise, Gilbert finì di preparare la tavola ed andò ad aprire.

« Good Morning Gilbert!», esclamò Arthur Kirkland con voce gentile.  Gilbert lo invitò ad entrare ed insieme si diressero verso la tavola apparecchiata per una tarda e leggera colazione.

« Ci hai messo molto a trovare la casa?», chiese Gilbert all’inglese.

Arthur fece ‘no’ con la testa e gli sorrise: « ho cercato il palazzo più bello ed ho capito che l’F3 poteva abitare solo che lì», ammise Arthur.

Gilbert rise di gusto, « siamo così prevedibili?», chiese scortando Arthur alla tavola. Gli offrì il thè che aveva appena preparato. Arthur si sedette ed attese che il tedesco si sedette con lui.

« Non sempre», rispose alla fine, « ciò che tu e Francis avete fatto al River era davvero imprevedibile ed impulsivo!».

Gilbert si passò una mano tra i capelli, spettinandoli, « A quest’ora tutta la scuola lo sa, vero?».

Arthur lo guardò stranito, « Oggi sono stato all’Università ed a dire il vero non ho sentito nemmeno una parola sull’accaduto».

Gilbert lo guardò come si guarderebbe un alieno, appena arrivato intento a scendere dalla sua astronave. Oxford di secondo nome faceva “People” come la famosa rivista scandalistica inglese, ma se la rivista usciva settimanalmente, Oxford faceva girare gli scoop sette volte più veloce, se un fatto era accaduto la sera prima, entro il tramonto del giorno dopo, tutti quanti avrebbero saputo.  Proprio per      questo Gilbert era sorpreso della notizia dall’inglese.

« Nessuno sa nulla», ripeté Arthur.

« Non capisco, a quest’ora persino i professori avrebbero dovuto apprendere del mio bacio con Francis», mormorò Gilbert. Si prese il mento tra l’indice ed il pollice e se lo massaggiò.

« Sembra quasi che ci sia lo zampino dei Gemelli del Malaugurio», disse Arthur, « solo loro avrebbero il potere di arrestare una fuga di notizie di questo calibro».

« I gemelli? Vorrai dire Lovino Vargas», precisò Gilbert, « a che diavolo gli serve fermare le chiacchere maligne sull’F3? Al contrario, quello non vede l’ora di buttare fango su di noi».

« Qualcosa senz’altro gli sarà interessato a questo punto», Arthur bevve un po’ del suo thè nero, non aveva il gusto di un thè fatto dalle esperte mani di un inglese, ma era comunque di gusto piacevole.

« Oggi lei c’era?», chiese Gilbert ad un tratto.

Arthur lo guardò negli occhi, lesse il nome di quella lei nella malinconia degli occhi del giovane tedesco.

« Sì, era alla lezione di Storia, insieme all’italiano», rispose Arthur calmo, « non sembravano in buoni rapporti, non si sono toccati per tutta la lezione, ed è strano, di solito sono piuttosto appiccicosi in qualsiasi situazione».

Quella notizia rincuorò il tedesco, se il Cielo voleva, l’ungherese era diventata d’un tratto più intelligente ed aveva deciso di mollare l’italiano. Gilbert doveva solo sfruttare la situazione, perché lui si muoveva così, come un serpente, un sinuoso e viscido serpente approfittatore.

 

***

AUTHORS’ comment:

Eccoci con il quarto capitolo, visto che vi ho fatto aspettare un botto, ve l’ho fatto più lungo! XD

Vorrei ringraziare le mie adorate che mi commentano ogni volta, leggere i vostri commenti mi scalda il cuore, davvero! XD

Chibi_: Spero ti sia piaciuto! XD LOL è arrivato Alfred alla fine, ed è un proffe! XD LOL

Veralya: Sono davvero lieta che ti piaccia! XD d’ora in poi però si farà più seria! J

Claws: YAY un commento nuovo, LOL! XD I gemelli italiani sono OOC di proposito, chissà che riesca a scacciare questa opinione sul fatto che sti italiani di hetalia siano solo dei pagliacci che escono ogni tanto… XD LOL Per quanto riguarda Feliciano ed Eliza, nell’anime sono stati a lungo insieme, quindi dopotutto non sono così OOC. Lovi e la belga invece sono canon, secondo l’anime ed il manga Lovi è innamorato di lei! XD Confido di non averti annoiata con questo capitolo, LOL! XD

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Capitolo 5
*** Feelings ***


 

Capitolo V

Capitolo V

 

Breve nota del autore: Mi piacerebbe davvero che i miei lettori mi lasciassero qualche commento in più, con le vostre opinioni. Prendetevi 5 minuti per dirmi cosa ne pensate! ;D

Ringrazio Chibi_; Veralya, Scricciola e PrussiaySpain per le vostre opinioni! <3 è sempre un piacere sentirvi! <3

 

Feelings

« Liza, ti prego dimmi cosa non va», pregò Feliciano, al limite dell’esasperazione, « sai benissimo che farei qualsiasi cosa per te, per farti star meglio!», le prese il mento tra le mani e dolcemente le alzò il volto, per guardarla negli occhi. Aveva quello sguardo da diversi giorni ormai e l’italiano aveva bisogno di sapere perché.

« Non è nulla, passerà», rispose con voce spezzata la ragazza, non avrebbe avuto il cuore di ammettere che la ragione della sua tristezza fosse il dannato berlinese. Non l’avrebbe mai detto, specialmente a Feliciano. Lei lo amava, amava quell’italiano, amava il suo sguardo caldo,  premuroso, dolce, proprio per questo non poteva permettersi di cedere, non voleva vedere la tristezza negli occhi di colui che amava.

« Non insisto», Feliciano era così, sapeva benissimo quando fermarsi, non era invadente, non amava torchiare le persone, farle sentire a disagio, come invece piaceva fare al suo gemello.

« Vieni, stenditi accanto a me ora, Tesoro», l’ultima parola l’aveva detta in italiano, era una lingua tanto dolce e melodica, pensò Elizaveta mettendosi sotto le coperte, accanto al corpo caldo del ragazzo. Feliciano le circondò le spalle con il braccio, e lei si accoccolò sul suo petto. Sprigionava un profumo mascolino e gentile che allo stesso tempo la attiravano per desiderio e la respingevano per paura.

« Raccontami cosa hai fatto oggi, non ti ho quasi vista, non dirmi che hai studiato tutto il tempo?».

« Sono stata in biblioteca sì, a lungo», cerco di richiamare i ricordi della giornata, « ho incontrato Fréd e siamo andate a prendere un thè al bar dell’Università, credo che ci stiamo avvicinando finalmente».

« Mi fa piacere sentirlo, ricordi quando ti ho presentata a mio fratello?», Elizaveta sorrise, prese ad accarezzare il petto di Feliciano con movimenti lenti e circolari, « Quella volta c’erano anche Fréd e Keith, e non sei piaciuta a nessuno di loro!».

« E’ vero, non sapevo cosa dire, stavo semplicemente in piedi davanti a loro, pietrificata dal terrore», ammise Elizaveta, rossa in volto dall’imbarazzo.

« Non v’era nulla di cui aver paura, a Lovino sei piaciuta parecchio!».

« Lovino mi ha benvoluta solamente perché sapeva che ti piacevo, mentre Fréd e Keith sono stati più sinceri e mi hanno praticamente ignorato», fece una pausa, « anzi Keith mi ha ignorato, Fréd ha storto la faccia ed ha continuato a guardarmi con diffidenza, scommetto che pensava qualcosa tipo: “quella non è abbastanza per Feliciano”».

« Ma va, conosci Fréd, all’inizio pare sempre contrariata e fredda, si deve semplicemente imparare a conoscerla!», Feliciano abbracciò la ragazza stretta, voleva sentirla sul suo corpo, gli era mancata molto durante quella giornata che non finiva mai. Aveva trascorso la maggior parte del giorno con Lovino e Vash, che come al solito complottavano qualcosa. Aveva chiaramente sentito Lovino, appena tornato dalla sua colazione mattutina, ordinare ai suoi di fermare qualsiasi fuga di notizie riguardo L’F3 ed il loro bacio passionale, aveva pure dato istruzioni a Vash di portare e consegnare personalmente le foto scattate a Carriedo.  Qualcosa doveva avergli fatto cambiare idea riguardo il da farsi. Feliciano era curioso, ma non indagava, aveva capito a proprie spese che era meglio non ficcare il naso negli affari del fratello, se non si volevano ripicche.

« Solo il Signore sa quanto sono stata fortunata ad trovarti, Feliciano!».

Feliciano adagiò il mento tra i capelli vaporosi e soffici della ragazza e le chiese:

« Ricordi la nostra prima giornata insieme a Venezia?».

Elizaveta fece segno di sì, come poteva scordarsene?

« Sai mi ricordo ancora il nomignolo che mi avevi dato», mormorò Feliciano soffiando tra i capelli dell’ungherese, « mi hai sempre chiamato Helios, nonostante ti avessi detto che ero Feliciano», Elizaveta sorrise e sospirò.

« Non mi pare che ti dispiacesse, e comunque da quel giorno tu sei il mio sole, trovo che Helios ti si addica molto più di Feliciano».

« Il mio è solo un nome, Amore mio, non è una gamba, un braccio o il mio cuore, chiamami come vuoi, tanto quando lo farai io capirò sempre che cerchi me, anche se mi chiamerai con il nome di un animale», disse Feliciano, « per esempio “Rex”».

Ad Elizaveta venne in mente il famoso telefilm che guardava da piccola, “il commissario Rex”, incentrato su un pastore tedesco che risolveva i casi più difficili insieme al suo fedele compagno umano.

« Helios sarà l’unico nome che userò per te», detto questo si sollevò sui gomiti, si mise sopra di lui, a cavalcioni e cercò le sue labbra, le trovò umide e calde, schiuse, pronte ad accoglierla con un bacio passionale, di quelli che solo Feliciano sapeva dare, dolce, ardito e forse anche violento. Le loro lingue si incontrarono a metà strada, ed insieme danzarono sensualmente. Feliciano si lasciò scappare un gemito, e subito dopo invertì le posizioni e si staccò da quel bacio con malavoglia, la guardò dolcemente e lei gli sorrise. Lui portò una mano sul suo viso e lei chiuse gli occhi per assaporare meglio quel contatto. Lui sospirò, aveva letto il desiderio negli occhi di lei, si abbassò per baciarla ed i suoi capelli castani e lisci le solleticarono il volto, rise nel bacio, adorava il profumo che lui emanava quando era eccitato, era più che inebriante.

Sentì qualcosa premerle sul ventre e sorrise all’idea che riuscisse ad accenderlo con tale rapidità e facilità. Non aveva mai pensato a sé stessa come ad una donna sensuale ed ambita, ma era così che l’italiano la faceva sentire. Desiderata e bramata, tutte le notti ed a volte anche di mattino. Perché come era risaputo, il sesso mattutino era il migliore della giornata.

« Helios…», gemette lei, quando le mani di lui le accarezzarono le cosce, lui la guardò e le sorrise.

« Sai che non mi chiamo così», le sussurrò nell’orecchio. Lei in risposta gli catturò le labbra ed invertì le posizioni, ora era sopra di lui, a guardarlo soddisfatta, un’espressione di malizia le colorava il volto di porpora.

 

***

Era venerdì e quel giorno il francese più famoso di Oxford doveva ridare un esame di Inglese, non l’aveva passato la prima volta, si era vergognato come un ladro quando scoprì che il suo nome non compariva tra quelli che avevano passato l’esame del mese scorso. Aveva sempre saputo di non essere un asso in inglese, ma al punto di non passare un esame…

Quella volta sarebbe stato diverso, Francis entrò nell'aula, fermamente convinto di prendere almeno un A- in quell'esame.

Il professore si era rivelato essere un tipo alquanto particolare, lo doveva ammettere, dopo la conoscenza di quell'insegnante, gli stereotipi che conosceva sugli americani gli sembravano davvero fondati. Si chiamava Alfred Jones e non doveva avere più di ventisette anni, aveva i capelli biondi, degli occhiali quadrati ed un caldo sorriso. Abitualmente indossava felpe, camicie senza pretese, giacche troppo larghe per lui, l'unica costante erano i suoi jeans, sempre rigorosamente scuri. A Francis il suo stile faceva rabbrividire, sospirò, e pensare che era convinto che fossero gli inglesi i più mal vestito del mondo occidentale. Scosse la testa, quell'americano batteva su tutti i fronti del mal vestire quell'odioso inglese, che incontrava ogni tanto all'Università o al River.
L'aula si riempiva man mano che l'ora dell'inizio dell'esame si avvicinava, quando Francis era arrivato c'erano sì e no cinque ragazze con i libri aperti, sulle scalinate più in alto. Ora aveva perso il conto della gente che arrivava e cercava di accaparrarsi un posto da cui poter copiare più facilmente.
Francis aveva studiato, non aveva alcun bisogno di quei stratagemmi per prendere una misera B, che oltretutto non avrebbe accettato, da quanto orgoglioso era.
L'unica cosa che gli rodeva era che tra i suoi amici, solo a lui a cui mancava quell'esame, gli altri due bastardi erano passati al primo colpo, brillantemente Gilbert, sulla sufficienza Antonio. Lo spagnolo non poteva certo dirsi un amatore dello studio e non perdeva occasione di dimostrarlo. I suoi voti erano tutti sulla B, raramente riusciva a prendere un'A, ma la cosa non lo toccava affatto.
Francis Bonnefoy scelse un posto centrale nella sala ed attese che il suo curioso professore si decidesse a consegnargli il foglio d’esame.
Prima finiva, prima se ne andava e prima vedeva Sesel. 
L'americano passò freneticamente tra i banchi, mollando fogli volanti a destra ed a manca.
"Americani", pensò il francese indispettito da tanta confusione.

Ogni volta che presenziava a quelle lezioni non poteva fare a meno di pensare come avesse fatto un'Università come Oxford ad accettare che un professore tanto confusionario avesse la cattedra di lingua inglese. Gli inglesi erano dei grandi patrioti ed era risaputo il loro odio per quei chiassosi fratelli d'oltre Atlantico. Gli Yankee, come li chiamavano in inglese. Tuttavia, Oxford non era come il resto dell'isola Bretone. No. Oxford dalla sua nascita non faceva che vantarsi della sua diversità di nazionalità e di vedute, rispetto alle altre.
Francis sospirò ed afferrò al volo il foglio con le domande buttato dal professore, che nel frattempo era corso indietro verso la sua cattedra.
- Ok, guys! -, fece l'americano con un sorriso caldo, - Ora girate i fogli e cominciate!-
Il francese girò il foglio, lesse tute le domande e tirò un sospiro. Le domande erano venti, delle quali solo a due non sapeva bene cosa rispondere, ma si sarebbe inventato qualcosa, un giro di parole oppure una risposta parziale.
Francis scrisse ininterrottamente per circa quindici minuti, tutto ciò che si ricordava riguardo i diversi argomenti trattati.
L'esame durava in tutto un'ora.
Una volta finito Francis lo ricontrollò diverse volte, controllò lo stile, la grammatica e la pertinenza delle proprie risposte.
Tutto sembrava andare alla perfezione. Mancavano dieci minuti alla fine, lui non aveva alcuna voglia di consegnare prima, semplicemente posò la penna sul tavolo ed attese.
Dieci minuti solo con i suoi pensieri.
Cosa avrebbe fatto quella sera?
Semplice: Gilbert l'avrebbe trascinato al River, come era suo solito fare. Non che gli dispiacesse il locale, solamente che sarebbe stato bello cambiare aria ogni tanto.
Si tolse la sciarpa, iniziava a far caldo in quell'aula. Che fossero i neuroni fusi dei poveri studenti che li spremevano come potevano per fare un buon esame?
D'un tratto scorse una ragazza con le codine bionde, più avanti di lui di tre file.
Gli venne in mente Sesel. Era davvero curioso di conoscerla più da vicino, di approfondire quell'amicizia superficiale che si era creata tra di loro. Avrebbe utilizzato tutto il suo famoso Charme per farla cadere ai suoi piedi.
Non sapeva molto di lei, non era una tipa appariscente, che amava stare al centro della scena. Già, Sesel era il contrario di quella strana modella bielorussa che aveva conosciuto all'inizio dell'anno. Si chiamava Natalia Qualcosa, quella si che era una tipa tosta, mai visto una ragazza tanto schizofrenica e lunatica. Passava da tremenda ad in personificazione del Diavolo salito in Terra dall'Inferno. Aveva un carattere discutibile ma un corpo da sballo. Era la tipica femmina da scopata e via.
Natalia l'avrebbe vista bene con il russo che girava con Sesel, si sarebbero completati sicuramente, ed oltretutto parlavano la stessa lingua da quel che gli risultava, avrebbe provato a fare da Cupido per loro, se riusciva.
« Avete altri cinque minuti», disse l'americano sorridendo, « dopodiché spiccherò la mia corsa per raccogliere i compiti e non darvi il tempo di terminare le frasi che starete sicuramente cercando di scrivere», le parole del suo professore fecero sorridere Francis, era un tipo particolare, ma alla fine era anche piacevole seguirlo.
Il francese si strinse di nuovo la sciarpa al collo, in cinque minuti si sarebbe ritrovato per le vie fredde di Oxford.
Chissà che aveva da fare Antonio quel fine settimana, quando gli aveva proposto di fare un viaggetto in Francia era rimasto sul vago ed aveva risposto con " Non posso, scusa". A volte si comportava davvero in modo strano.
« Ok ragazzi, per favore ora consegnate!», disse l'americano, velocemente percorse tutte le gradinate e raccolse tutti i compiti.

Francis una volta consegnato il suo si alzò, si sistemò la sciarpa al collo e prese a scendere le scalinate diretto verso l’uscita. Diversi ragazzi e soprattutto ragazze si fermarono a parlare insieme a lui, chiedendogli consigli su locali, su acconciature e su vestiti. I diversi scambi di opinioni ritardarono di un quarto d’ora la sua uscita dall’aula.

Appena uscito un brivido percosse la sua schiena, vide passare davanti a lui un gemello Vargas. Non sapeva bene chi fosse, non si era mai impegnato a capire le differenze tra i due, per lui erano semplicemente due carogne, due pezzi di letame, non gli importava se ad uno piaceva il blu e l’altro aveva paura del buio. Tutto ciò che il francese doveva sapere sui due, era che i due gemelli italiani erano pericolosi ed andavano evitati per quanto possibile.

L’italiano non era solo, oltretutto, era accompagnato dallo svizzero-dal-grilletto-facile.

Stavano parlando animatamente di un film che avevano visto, o almeno così dedusse Francis giacché l’argomento toccava una sparatoria a New York. Si allontanarono insieme, non l’avevano visto, ma comunque, Francis cambiò strada, guardò l’orologio e si accorse di essere in ritardo per l’appuntamento con Gilbert, prese a correre a velocità moderata, non poteva permettersi di rovinare la piega che si era fatto fare dalla sua parrucchiera quella mattina.

 

 

 

***

 

« Non sono ancora riuscito a capire come hai fatto a convincermi a venire con te a fare compere», sbottò Gilbert ficcando le mani nelle tasche della giacca e finalmente decidendo di sedersi.

« Ti ho promesso di perdonarti», spiegò Francis sorridendo, guardò il commesso e fece un gesto con la mano, come per scacciare un insetto, « questa non va bene, me ne porti un’altra, sul verde smeraldo».

« Si, signore», rispose il ragazzo e si ritirò. Gilbert sbuffò, era la quarta cravatta che il francese rifiutava, non che gli mancassero, ma Francis aveva la strana abitudine di comprare una cravatta nuova ogni settimana. Era un drogato dello shopping. Non solo, portava sempre con sé qualcuno nella ricerca dei suoi nuovi capi, aveva bisogno di pareri, sempre e comunque.

Quel pomeriggio anche Gilbert aveva deciso di vestirsi elegantemente alla sua maniera. Non era lo stile di Francis, Gilbert aveva un fresco stile universitario, jeans neri, giacca grigia e camicia sbottonata.

« Vuoi diventare un Serpeverde?» chiese Gilbert, mentre Francis sceglieva da le cravatte che gli avevano offerto.

« La tua allusione ad Harry Potter è fuori luogo», rispose il francese, toccò delicatamente ogni cravatta, « sai benissimo che non mi piace quel romanzo e che il verde scuro è comunque il mio colore preferito».

« Con chi devi uscire?», chiese Gilbert.

« Con Sesel, e confido che il russo non sia con lei».

« Hai problemi con Ivan?», Gilbert lo guardò sorpreso, « è un ragazzo adorabile!».

Un brivido percosse la schiena del francese.

Aveva detto adorabile?

Seriamente Gilbert aveva detto quella parola per descrivere l’omone che era sempre al seguito della sua Sesel a mo' di guardia del corpo?

« Gilbert, hai davvero una strana concezione di adorabile » sussurrò Francis.

 

****

 

La domenica prestabilita arrivò prima che Antonio riuscisse a capacitarsene. Era piuttosto in ritardo, avrebbe dovuto farsi accompagnare dal suo autista all’aeroporto di Heathrow, l’aeroporto principale di Londra, dove aveva acquistato un aerodromo per il proprio aeroplano. Da Oxford era circa un’ora di strada a velocità moderata.

Erano le nove e mezza ed avrebbe dovuto incontrare il mafioso italiano alle dieci, era nervoso, al primo appuntamento certamente era scortese arrivare in ritardo.

Granada, la Spagna, il suo adorato paese, erano almeno cinque anni che non tornava in quella città, chissà se era cambiata, chissà se in quel periodo era invasa dai turisti. Era autunno, probabilmente sì, la Spagna era da evitare in estate per le temperature impossibili che si raggiungevano, quasi quaranta gradi al sole e circa trentacinque all’ombra.

Guardò fuori dalla finestra, stava piovigginando ma Antonio sapeva che sopra le nuvole c’era sempre il sole, quel viaggio, nonostante la compagnia discutibile lo fece sorridere. Tornava dal sole, al sud dell’Europa, lasciava, finalmente per almeno un giorno  quel paese freddo e grigio. Potevano dire quel che volevano a proposito la Gran Bretagna, a proposito Londra, potevano essere cosmopoliti quanto volevano, ma il sud Europa, la sua Spagna era cento volte meglio, secondo lui.

Il suo cellulare vibrò, Antonio distolse l’attenzione dal finestrino e lo prese. Era un messaggio di Gilbert che gli chiedeva dove era sparito, alle prime luci dell’alba.

Antonio alzò un sopracciglio, era partito appena un quarto d’ora prima. Gilbert aveva sempre la testa tra le nuvole.

« Signore, arriveremo tra mezz’ora», disse il suo autista in spagnolo. Antonio gli sorrise, mezz’ora ed avrebbe ripreso in mano il suo aereo.

Il tempo passò in fretta, arrivarono in prossimità dell’aeroporto.

Arrivarono ai cancelli delle piste, Antonio, essendo proprietario di uno degli aerodromi, aveva diretto di entrare nella zona protetta dell’aeroporto. L’auto parcheggiò davanti l’entrata della proprietà dello spagnolo. Timidi raggi di sole si intravedevano tra le nuvole scure. L’autista uscì dalla macchina ed aprì la porta ad Antonio.

Lo spagnolo chiuse gli occhi e sospirò. Uscì dalla macchina, guardò in direzione del suo aerodromo.

Era in orario.

« Grazie Alejandro», disse Antonio, entrò nell’aerodromo, a quanto sembrava l’italiano non era ancora arrivato. Meglio, avrebbe avuto qualche minuto con il suo aereo, ogni volta prima di un nuovo volo, lo controllava personalmente, le ali, il motore, il carburante.

Un addetto alla manutenzione lo accolse con un sorriso:

« Lord Carriero!», esclamò avvicinandosi, era un uomo sulla quarantina, aveva già qualche filo grigio tra i capelli castani, « è un piacere averla qui, Signore».

« Salve Sebastian», rispose Antonio, « come sta il mio gioiello?».

« Sempre benissimo, Signore, l’ho controllato proprio ieri, è pronto per volare, il suo team arriverà a momenti», s’interruppe si voltò da una parte, attirato da un pensiero, « dimenticavo di dirle, il suo ospite è già qui».

Un brivido di gelo percosse la schiena dello spagnolo, pensava che gli italiani fossero dei ritardatari, ma a quanto pare era inutile usare gli stereotipi su Lovino Vargas.

In quel momento l’ospite uscì allo scoperto, aveva ispezionato attentamente tutto il velivolo. Notò che il proprietario era arrivato, storse il viso. Indossava un cappotto nero, il solito, una sciarpa con il disegno tradizionale di burberry.

« Sei in ritardo di cinque minuti, spagnolo», disse semplicemente, Antonio gli andò incontro, si stampò un sorriso sulle labbra, era buon viso a cattivo gioco.

« Ti prego di scusarmi, Vargas», Antonio incatenò il suo sguardo a quello dell’italiano, che  lo sosteneva. Avevano una differenza di altezza di circa dieci centimetri, Lovino era il più basso, ma il suo sguardo era degno dell’orgoglio di un re. L’italiano non aveva mai avuto nessun complesso con la sua altezza, era un metro e settantatré, tanto gli bastava.

« Confido che non accada più», gli lanciò un sguardo gelido ed assottigliò gli occhi, « nonostante le maldicenze sul ritardo degli italiani, io sono sempre in orario e non amo aspettare», gli voltò le spalle e si sistemò i guanti in pelle neri.

Antonio abbassò lo sguardo, quel ragazzo era davvero odioso. Ma chissà, forse si sarebbe divertito comunque, l’importante era tornare anche se per poco nella sua Spagna.

« Appena avrò finito di controllare l’aereo partiremo», disse gentilmente, « ti prego di pazientare ancora un po’».

Lovino si voltò di nuovo verso lo spagnolo, non gli rivolse altro che un’espressione scocciata ed un soffio tediato.

« I miei sottoposti ti faranno accomodare nell’ufficio, potrai prende un caffè nell’attesa, non ci metterò molto», gli assicurò Antonio sorridendo.

« Io..», iniziò Lovino ma venne interrotto da una voce femminile che lo chiamava, una ragazza uscì dall’interno dell’aereo entusiasta.

« Lovino, questo aereo è la fine del mondo!», la bionda corse verso l’italiano e lo afferrò per il braccio. Indossava una pelliccia di visone grigia, le arrivava sopra il ginocchio.

Antonio resto interdetto, non sapeva cosa fare o cosa dire. Era convinto che l’italiano sarebbe venuto da solo, invece si era trascinato dietro quella ragazza.

« Dimenticavo di dirtelo», fece Lovino, « ho portato la mia Fréd», sorrise dolcemente alla ragazza e la prese per mano, « spero non sia problema, Carriedo», guardò il volto pietrificato dello spagnolo con un sorriso perfido, alle sue orecchie erano giunte voci su una possibile cotta da parte di Carriedo verso la sua Fréderique. A quanto pare il ragazzo aveva davvero un debole per la sua belga.

« Non ricordo di essermi mai presentata», parlò Fréderique, porse la mano allo spagnolo e attese che lui gliela stringesse, « io sono Fréd, piacere di conoscerti, Antonio, sono sempre stata curiosa di conoscere qualcuno del famoso F3!», ammise solare.

Antonio si costrinse all’autocontrollo. Aveva già mostrato troppo all’italiano dei suoi sentimenti.

« Incantato, Miss Fréd», le rispose galante, « non è affatto un problema accogliere un’altra ospite per me, anzi sarà un piacere godere della tua compagnia, se fossimo andati solamente con Lovino, sicuramente ci saremmo annoiati», mormorò Antonio, strinse la mano della ragazza.

Il suo team di volo era arrivato, Antonio fece accomodare i suoi ospiti in ufficio e sparì per decidere sul da farsi con il capitano dell’aereo ed i suoi aiutanti.

Fréderique e Lovino si sedettero su un divano di pelle chiara e  rimasero soli ad aspettare che lo spagnolo tornasse.

« Sembra un tipo simpatico», fece Fréderique, sorseggiando il caffè che le era stato offerto.

« Ed interessante», aggiunse Lovino con un sorriso malizioso.

« Quindi si va a Granada?», chiese Fréderique, si strinse a Lovino e quello le passò il braccio attorno le spalle.

« Sì, Tesoro», non vedeva l’ora di visitare quella città, dai racconti era una delle più belle della Spagna, il viaggio di nozze i suoi genitori l’avevano passato là. E forse, solo forse, sarebbe riuscito a scoprire qualcosa sul motivo del loro omicidio. Sapeva benissimo che suo padre, essendo stato un politico era malvoluto, ma nessuno si era mai permesso di attaccare una carica pubblica prima di quel fatidico giorno. Aveva visto Feliciano piangere per la prima volta, e davanti alle lacrime di suo fratello, aveva giurato di trovare i mafiosi responsabili del loro dolore.

Lovino accarezzò la mano delicata di Fréderique, che sorrise. Si guardarono negli occhi, Lovino lesse lo sguardo innamorato che gli rivolgeva la ragazza e quello gli scaldò il cuore. Aveva deciso di portarla dietro non solo per dispetto ad Antonio, ma anche perché sentiva per lei sentimenti forti, passione, dolcezza, possesso e forse anche amore.

Prese il viso di lei tra le dita e le sue labbra incontrarono quelle della ragazza.

La baciò a lungo, assaporò le sue labbra scarlatte, avevano il gusto di fragola, gliele leccò e poi si insinuò nella sua bocca per cercare le carezze che lei gli avrebbe regalato con la lingua. Si spostò, per essere più comodo, e la strinse tra le braccia, le passò una mano sulla schiena e l’altra gliela infilò tra i capelli, morbidi al tocco. Lovino adorava i capelli delle ragazze, a suo dire erano la cosa più bella che il genere femminile aveva, dopo gli organi sessuali.

Il bacio si fece più intenso, Lovino prese di peso Fréderique e se la posò sulle cosce, lei gemette.

« Ragazzi!», Lovino grugnì contrariato quando la belga si girò paonazza in volto verso il terzo in comodo. Era quel deficiente dello spagnolo che con un sorriso a trentadue denti era entrato nell’ufficio, disturbandoli.

« Antonio!», esclamò Fréderique, cercando di rimettersi a sedere sul suo posto. Non ci riuscì, l’italiano la teneva saldamente tra le sue braccia, non disposto a lasciarla andare.

« Che vuoi, Bastardo

« L’aereo è pronto, visto che avete finito i vostri caffè», indicò il tavolino davanti a loro con le tazze vuote, « Perché non mi seguite?», si spostò a lato della porta e li attese sorridendo.

Lovino prese in braccio Fréderique, che si dimenò contrariata, chiedendogli di metterla giù.

« Tesoro mio, che ti stanchi di camminare adesso», fece malizioso, ammiccando alle scarpe con i tacchi alti, che la belga aveva avuto la bella idea di indossare quel giorno, « come faremo a girare tutto il giorno per Granada?».

Fréderique lo guardò di traverso ma non rispose, se voleva portarla in braccio, lei non aveva niente da ridire, quanto più stava vicino a Lovino, tanto più era felice. Circondò il collo del giovane con le mani. Antonio guardò la scena sorridendo, ma i suoi occhi dicevano tutt’altro. Un lampo scuro li attraversò diverse volte, ma non era davvero il caso di aprir bocca.

I ragazzi uscirono dall’Ufficio ed insieme andarono nell’aereo.

« Ho deciso che per l’andata non piloterò l’aereo, preferisco tenervi compagnia», disse Antonio, precedendoli di qualche passo.

Fantastico, pensò Lovino, la mezza idea che aveva di una scopata veloce sul velivolo dello spagnolo era appena stata sfumata dalle parole del Bastardo.

« Bello!», disse invece Fréderique, ignara dei pensieri sconci del fidanzato, « così ci racconterai un po’ della città!»

« Farò di tutto per intrattenervi, Signorina», disse di rimando Antonio, facendole l’occhiolino.

Lovino iniziava già a divertirsi, gli avrebbe reso quella giornata un Inferno.

 

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Capitolo 6
*** Hangover and third-wheels ***


Hangover and third-wheels
 
Gilbert si svegliò di soprassalto in tarda mattinata, temendo di essere nuovamente in ritardo per le lezioni.

Dopo alcuni momenti di dormiveglia si ricordò che era domenica e che, ovviamente, quel giorno non ci sarebbe stata alcuna lezione.

Imprecò ad alta voce e decise di sonnecchiare ancora per qualche minuto, e dopo una lunga stiracchiata, decise di alzarsi, poco dopo sentì l’orologio scoccare le dodici.

Aveva un leggero mal di testa, dolce regalino che il suo corpo decise di farli, per ricordarli cordialmente che anche la notte prima si era sbronzato.
Maledizione, pensò massaggiandosi leggermente le tempie, se non avesse geni tedeschi abituati all’alcol ed un fegato di ferro avrebbe deciso di frenarsi dal bere per almeno una settimana buona.

«Francis?», lo chiamò cercando l’amico.

 Nessuna risposta.

«Tony?».

Nuovamente il silenzio.

Inveì sottovoce, erano usciti entrambi, lasciando solo come un cane. Lo spagnolo se l’era svignata di prima mattina, mentre il francese probabilmente era uscito più tardi a considerare dal caffè ancora caldo nella caffettiera.  Se ne versò una tazza ed accennò a berne un sorso, quando sentì qualcuno suonare al citofono. Si avvicinò alla porta d’entrata e vide nell’immagine bianconera del dispositivo Elizaveta, per poco non gli cadde la tazza di mano.

«Che diavolo vuoi, Liza», le chiese non appena accostò la cornetta all’orecchio, dall’immagine vide Elizaveta sussultare a quel benvenuto.

«Dobbiamo parlare Beilschmidt, scendi per favore», disse la ragazza in risposta.

«Non abbiamo nulla da dirci», sbottò Gilbert, «a quanto ne so», aggiunse poco dopo, quando la vide abbassare gli occhi.

«Ti prego, sono venuta a scusarmi...», sussurrò appena lei, « non voglio che ci siano conflitti tra di noi».

Gilbert si fermò ad osservare la ragazza dallo schermo, una parte di lui non desiderava altro che correre da lei, ma un’altra gli diceva di non farsi illusioni. Solamente perché’ lei era venuta sin lì per parlargli non voleva dire automaticamente che gli avrebbe proposto di ritornare insieme.

«Vattene Liza», il suo tono era spento e stanco. Sentire l’ungherese nuovamente vicino, inebriarsi del suo profumo lo avrebbe fatto solo star peggio di quando già non stava. Mise giù la cornetta e tornò in salotto, dopo quell’esperienza il suo caffè andava corretto.
 
***
Quel giorno, tanto per cambiare diluviava. Nonostante questo, Francis era uscito da casa con un sorriso a trentadue denti.

Finalmente, era arrivato il giorno dell’appuntamento con la bella Sesel. Per l’occasione aveva indossato uno dei suoi completi migliori, uno smoking nero, una cravatta color smeraldo e una camicia bianca, il tutto perfettamente inamidato.

A pensarci, doveva consegnare alla sua domestica i vestiti da lavare e stirare per la settimana successiva… Scacciò il pensiero velocemente, non era il momento di preoccuparsi di quello. Ora doveva concentrarsi sull’appuntamento.

Un paio di giorni prima aveva incontrato Sesel tra i corridoi dell’università, quella volta il kolhoz russo per fortuna non c’era, ed avevano deciso di darsi appuntamento in un bar in stile parigino in centro nella città di Oxford.

Francis ci mise piede solo una volta e quella gli era bastata, il cappuccino che gli avevano portato era un obbrobrio, ed anche i tre successivi che aveva ordinato, dopo aver rimproverato il cameriere di incompetenza non erano stati meglio. Se non fosse che era un bar rinomato, si sarebbe preoccupato che al quarto caffè che il cameriere rifaceva, avesse deciso di lasciargli nella tazza un tocco personale.

Il francese aveva sempre pensato che il caffè fosse una bevanda piuttosto difficile da rovinare, eppure i sempliciotti inglesi ce la facevano sempre e comunque, nonostante la qualità del prodotto e della caffettiera che avevano a disposizione, nemmeno quello filtrato riuscivano a farlo decente. 

Tra questi pensieri si accorse di essere arrivato al posto dell’incontro, per un attimo si soffermò sulla soglia, indeciso se fosse più cavalleresco aspettare Sesel fuori o dentro. Alla fine decise per la seconda, il tempo da lupi facilitò notevolmente il suo dilemma.

Entrò nel bar ed attese che un cameriere venisse ad accoglierlo, questo non si fece aspettare a lungo:

«Buon giorno Signore!».

«Salve, vorrei un tavolo per due», dette una breve occhiata al bar e precisò: «vicino alla finestra».

«Certamente, la prego di seguirmi», il cameriere lo precedette e si diresse verso il miglior tavolo che avevano sistemato accanto ad una grande finestra che dava sul giardino posteriore. Nonostante la pioggia, la vista rimaneva piacevole.

«Posso portarle qualcosa, mentre aspetta?» chiese il cameriere non appena Francis si era accomodato al tavolo.

«Non per il momento, grazie», lo scacciò Francis con un gesto della mano. Il cameriere si ritirò e continuò a servire gli altri clienti.

Il francese attese per circa dieci minuti, controllando il suo costoso orologio da polso a cadenza regolare.

Sesel entrò nel locale con il viso ambrato leggermente arrossato dalla corsa. Francis ridacchiò nel vedere il suo viso mortificato. Il suo sorriso si tramutò in una smorfia di orrore quando vide l’omone russo entrare subito dopo la sua dolce Sesel. I due lo scorsero e presero ad avvicinarsi al tavolo mentre Francis iniziava a sudare freddo, perché diavolo se l’era portato appresso? Non le aveva forse fatto capire con esattezza che quello era un appuntamento tra loro due, soli?

«Buon giorno, Francis, è un piacere divederti!» disse l’omone russo precedendo Sesel a passo spedito verso il francese, «Sesel mi ha detto che vi vedevate oggi, quindi mi sono unito anch’io!», continuò amabilmente, la sua espressione cambio da dolce a pazzo omicida quando aggiunse: «spero non sia un problema, vero?».

Merda, questo mi ammazza.

«Perdonami Francis», si scusò Sesel, «Ivan ha insistito tanto nel venire, non me la sono sentita di dirgli di no», spiegò «sono sicura che passeremo una bellissima giornata noi tre insieme!».

Contenta lei, contenti tutti, si ritrovò a pensare Francis, vedendo crollare tutti i suoi castelli in aria.

Che illuso, si disse, come poteva pensare anche solo per un momento che non ci sarebbe stato qualcosa a rovinare quel giorno?

Tutto ciò che voleva era solamente passare un giorno romantico con quella bella ragazza dalla pelle ambrata ed i capelli color dell’ebano.

Guardò il russo, che continuava ad avere l’espressione ed il sorriso più ebete del mondo.

A mali estremi, estremi rimedi.

Per fortuna aveva il numero della bielorussa schizzata. Ora gliele insegnava lui un paio di buone maniere, aveva sentito da fonti che la bionda da sballo con il carattere da incubo aveva una cotta per il russo, pertanto non sarebbe stato difficile convincerla a raggiungerli…

 
***
 
«Sei mai stata in Spagna, signorina Fréd», le chiese Antonio con voce solare mentre scendevano dal suo aereo privato.

«No, mai!», esclamò lei eccitata dalla vista del cielo azzurro, senza l’ombra di una nuvola, «fa’ piuttosto caldo qui, forse avrei dovuto vestirmi meno?», fece a mo’ di domanda.

Lovino ridacchiò, «non chiedevo altro, tesoro», ricevette in risposta un dolce sorriso sia da Fréd che da Antonio.

«Hai ragione, ci saranno almeno 22 gradi ora come ora», considerò Antonio, chiuse gli occhi e si beò del sole caldo del suo dolce paese natale.

«Sì, in effetti, qui fa più caldo che in Italia», considerò Lovino, «la vegetazione mi ricorda quasi un deserto».

«Non considerare un paese da ciò che c’è intorno all’aeroporto», gli fece notare Fréderique. Lovino si limitò ad alzare le spalle. 
Una macchina nera li stava aspettando poco distante dall’aereo, l’autista, dopo essersi accertato che gli ospiti di Antonio non avessero bagagli gli invitò a salire, aprendo loro la porta posteriore. Fréderique e Lovino si sedettero dietro mente Antonio decise di sedersi di fianco all’autista. Presto i due iniziarono a parlarsi in spagnolo scoppiando ad intervalli regolari in una risata fragorosa.

Lovino prese ad accarezzare pigramente la gamba di Fréd, lasciata parzialmente scoperta dalla minigonna, ed a guardare fuori dalla finestra, mentre lentamente le radure con poca vegetazione della Spagna di sostituivano a caseggiati tipici di quella parte dell’Europa meridionale.

Erano arrivati in centro ed avevano pranzato velocemente, Lovino aveva insistito nel fare un giro in centro subito dopo, a nulla erano servite le spiegazioni di Antonio sulla siesta degli abitanti di Granada e della Spagna in generale. Aveva sottolineato che fino ad almeno le tre del pomeriggio, tutti i bar ed i negozi sarebbero stati chiusi, Lovino aveva ribadito in risposta che se voleva fare dello shopping or bere un buon caffè, l’avrebbe fatto in Italia.

Alla fine, vinto dall’insistenza dell’italiano, girarono in centro per un paio d’ore, dopodiché l’autista si rifece vivo ed i tre salirono in macchina.

Una volta che si misero comodi, Antonio si rivolse a Lovino:

«C’è qualcosa in particolare che vorresti visitare?».

Lovino incrociò gli occhi di Antonio nello specchietto retrovisore e rispose:

«Voglio andare all’Alhambra».

Antonio sorrise e parlò in spagnolo all’autista che annuì e fece partire la macchina. Arrivarono al palazzo circa venti minuti dopo, intorno ad esso c’era una moltitudine di alberi e flora, l’Alhambra era situata su un rialzamento rispetto al resto di Granada, quindi era protetto dai rumori della città sottostante.

«Antonio è bellissimo», mormorò Fréderique a bocca aperta. Il palazzo era costruito in stile islamico e mudéjar datato tra il tredicesimo e quindicesimo secolo. Le sue mura erano appena rosate.

Il volto di Lovino si fece cupo, «I miei genitori vennero qui per la loro luna di miele», bisbigliò Lovino guardandosi intorno.

Nessuno dei due sentì il suo commento, e se lo sentirono non lo dettero a vedere. Senza aggiungere altro Lovino si allontanò lasciando Fréderique e Antonio indietro a parlare animatamente del palazzo che stavano visitando. Presto Lovino li perse dietro di se’. Continuò a camminare finche’ non arrivò nel Patio de los Aeeayanes, una corte interna che aveva una grande vasca in centro.

Si avvicinò all’acqua e vi si specchiò, l’immagine che vide era quella di un uomo determinato con gli occhi verdi pieni di rancore per coloro che avevano osato separare lui e Feliciano dai loro genitori.

Non voleva compagnia in quel momento, il silenzio attorno a lui era perfetto, ad eccezione dei canti degli uccelli che volavano intorno a quello spiazzo. Osservò il cielo azzurro, senza nuvole, che trovò noioso. In Italia, c’erano sempre delle nuvole che attraversavano pigramente l’orizzonte.
Perse la cognizione del tempo, se ne stava semplicemente in piedi, taciturno, appoggiato ad una colonna ad osservare il riflesso del cielo nell’acqua della vasca.

La Spagna non era nulla di speciale dopotutto, non sarebbe mai stata altrettanto bella come la sua Italia, come la città in cui lui e Feliciano erano nati, la città eterna, Roma.

Senti un rumore di tacchi avvicinarsi a lui ad una velocità notevole e riconobbe il profumo famigliare di lavanda. Una Fréderique affannata e con le guance imporporate gli si parò davanti con espressione a dir poco contrariata.

«Idiota che non sei altro!», gli sbraitò contro, «si può sapere dove eri finito?», continuò nello stesso tono senza accenni ad abbassarlo, «ti abbiamo cercato per ore!».

In quel momento Lovino distolse lo sguardo dalla belga e lo rivolse ad Antonio, fermatosi poco lontano da loro. Abbassò gli occhi nuovamente e rise di se’ stesso, era rimasto a commiserarsi per ore? Si portò una mano alla testa e passò le dita tra i suoi capelli corvini e disordinati.

«Lovino?», fece Fréderique allora, preoccupata per la reazione dell’italiano. Lui a sentire pronunciare il suo nome non rispose, ma abbracciò la ragazza di slancio e la strinse a se, inspirando quel profumo calmante di lavanda. Allora lei iniziò ad accarezzargli lentamente i capelli, cingendolo a sua volta tra le sue braccia. 

Il sorriso di Antonio si spense al vedere quella scena tra i due innamorati. Lui in quel momento era il terzo in comodo. Inizialmente aveva creduto che fosse solamente lussuria e desiderio il sentimento che i due condividevano, tuttavia si dovette ricredere. 

Dopo qualche minuto Lovino si separò da Fréderique e si rivolse ad Antonio:

«Vorrei fare un giro in città e poi tornare ad Oxford».

Antonio si sforzò di rivolgergli un sorriso cortese, da ciò che gli aveva raccontato Fréderique mentre cercavano Lovino, i suoi genitori erano venuti a mancare quando i gemelli Vargas erano piccoli, uccisi da malviventi a Roma. Per la loro luna di miele avevano deciso di visitare la Spagna ed erano rimasti particolarmente affascinati da Granada e dai suo palazzi e la moltitudine di giardini. 

«Possiamo fare tutto ciò che vuoi Lovino», rispose Antonio con dolcezza, «se vuoi possiamo tornare in Inghilterra anche ora».
 
***
 Spazio Autrice
Salve a tutti/e! Essi’, cosa posso dire? Ho riletto questa storia circa una settimana fa ed ho deciso che andava assolutamente finita! :D
Il mio modo di scrivere sicuramente sara’ cambiato dopo tutto questo tempo, comunque spero di non annoiarvi! XD 
 
Fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando, eh! 
 
Bacioni, 
Vostra Joy!

 

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