First lady

di cherubina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lady Washington ***
Capitolo 2: *** Lady Adams ***
Capitolo 3: *** Lady Jefferson ***
Capitolo 4: *** Lady Madison ***
Capitolo 5: *** Lady Monroe ***
Capitolo 6: *** Lady Quincy Adams ***
Capitolo 7: *** Lady Jackson ***
Capitolo 8: *** Lady Van Buren ***
Capitolo 9: *** Lady Harrison ***
Capitolo 10: *** Lady Tyler ***
Capitolo 11: *** Lady Polk ***
Capitolo 12: *** Lady Taylor ***
Capitolo 13: *** Lady Fillmore ***
Capitolo 14: *** Lady Pierce ***
Capitolo 15: *** Lady Lane/ Buchanan ***
Capitolo 16: *** Lady Lincoln ***
Capitolo 17: *** Lady Johnson ***
Capitolo 18: *** Lady Grant ***
Capitolo 19: *** Lady Hayes ***
Capitolo 20: *** Lady Garfield ***
Capitolo 21: *** Lady Arthur ***
Capitolo 22: *** Lady Cleveland ***
Capitolo 23: *** Lady Harrison ***
Capitolo 24: *** Lady Mckinley ***
Capitolo 25: *** Lady Roosevelt ***
Capitolo 26: *** Lady Taft ***
Capitolo 27: *** Lady Wilson ***
Capitolo 28: *** Lady Harding ***
Capitolo 29: *** Lady Coolidge ***
Capitolo 30: *** Lady Hoover ***
Capitolo 31: *** Lady Roosevelt ***
Capitolo 32: *** Lady Truman ***
Capitolo 33: *** Lady Eisenhower ***
Capitolo 34: *** Lady Kennedy ***
Capitolo 35: *** Lady Johnson ***



Capitolo 1
*** Lady Washington ***


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MARTHA

14 dicembre 1799

Le mani, fasciate da bellissimi guanti di capretto neri, si giungono in un universale gesto di preghiera.

È l’ultimo saluto al suo George.

Il viso è sferzato dal vento di dicembre ma la giornata si preannuncia luminosa.

La bufera dei giorni scorsi è solo un brutto ricordo, come la neve che ha ricoperto Mount Vernon di meringa.

Come la pioggia ghiacciata che ha fatto ammalare George, ucciso da una forte influenza e da una laringite curata male.

Washington era un uomo semplice e semplice è stata anche la sua morte.

Questo è un debito che tutti paghiamo, prima o poi !”

Si è arreso, soffocando, alla fine della sua breve agonia mentre Martha era al suo capezzale.


“Una bellissima giornata per il tuo funerale!”

Sussurra l’ex first lady.

Il cielo è azzurro, come la primavera in cui ha incontrato, per la prima volta, il generale dagli occhi grigio-azzurri e dal naso lungo e dritto…

Ventisette anni entrambi ma lei con già una vita funestata dai lutti.

Quattro figli, due bambini morti ancora in fasce.

Bella con i suoi capelli scuri e i modi dolci, raffinata, simpatica e ricca.

Vedova.


L’album dei ricordi la riporta a quel 6 gennaio: George con il vestito blu e argento e le fibbie d’oro alle ginocchia, e la giovane Martha raggiante con le sue scarpette lilla giunte dall’Inghilterra.

Il giorno dell’inizio della loro vita insieme.

Il loro matrimonio non è stato una favola ma il loro amore è stato sincero e autentico.

George ha amato i figli di Martha come un vero padre.

Martha lo ha sostenuto nella lotta per un’Amarica indipendente.

Ha sacrificato un figlio, morto di febbre tifoidea sul campo di battaglia.

Ha seguito George negli accampamenti di Valley Forge, facendo amicizia con le altre mogli, confortando i soldati, preparando tè e caffè per ristorarli e proponendo canzoni per ristorarli .

Il ruolo di first lady l’ha spaventata quando George è stato eletto il primo presidente degli Stati Uniti d’America.

Molte donne sarebbero state felici al posto suo ma Martha avvertiva soltanto una forte nostalgia di casa.

Come una prigioniera di Stato costretta a fare buon viso a cattivo gioco e ad accogliere, sempre, con un sorriso gli ospiti .

È stato un sollievo quando suo marito ha rifiutato il quarto mandato e le ha ridato l’intimità domestica di Mont Vernon.


George sarà seppellito lì.

Vicino a Patsy, la figlioletta adolescente stroncata da una crisi epilettica.

Vicino a Jackie perito sul campo di battaglia.

La famiglia di Martha riposa sotto quella stessa terra che è stata la sua fortuna.

È spuntato il sole, il cielo totalmente limpido si tinge di quell’azzurro speciale dei nontiscordardimé.

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Capitolo 2
*** Lady Adams ***


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ABIGAIL

17 giugno 1775

S'è destata al rombo assordante dei cannoni, con il cuore e la mente in tumulto e le braccia forti pronte ad abbracciare e a rassicurare i suoi quattro bambini.

Sulla collina di Bunker Hill si combatte, si combatte per l'indipendenza dalla madrepatria. A sole venti miglia da Braintree è la carneficina.

Abigail può scorgere distintamente il fuoco, i boati, le urla strazianti dei combattimenti dalle finestre della sua casa e si sente inerme come non è mai stata.

La fattoria di Braintree, lì nel Massachusetts, dove è stata donna indipendente durante le lunghe assenze di John ora le sembra una trappola mortale.

Non si lascia soggiogare dalla paura, però, Abigail e si adopera per capire, per essere attiva, per essere un sostegno.

Lei che ha detto al marito:

"Non si dovrebbe mettere un potere illimitato nelle mani dei mariti. Qualsiasi uomo sarebbe un tiranno se potesse"

si comporterà da donna emancipata durante questa battaglia per l'indipendenza americana. Si comporterà da donna forte e indipendente come in tutti i mesi, gli anni, in cui John , impegnato al congresso a Filadelfia,l'ha lasciata da sola a gestire la fattoria e a tirar su la famiglia.

Stacca i figli dal suo grembo, prende con sé John Quincy, il maggiore, e si avvia a ridosso della collinetta per veder meglio ciò che accade.

Non vuole mettere in pericolo la vita del suo ragazzo ma rendere il figlio cosciente dello spirito patriottico che anima i rivoluzionari. Il massacro, tuttavia, le provoca un senso di nausea e una fitta di dolore quando a cadere sotto le armi inglesi è il dottor Joseph Warren, un caro amico suo e di John.

Le armi degli insorti sono scarse, imprecise e la battaglia sembra infinita: è ormai pomeriggio e si combatte da ore.

La disfatta sembra imminente: ormai le munizioni sono finite e gli inglesi finiscono gli insorti a colpi di baionetta.

Abigail si precipita verso casa, tenendo John Quincy per mano. A Braintree si raccolgono posate, argenteria, si fondono metalli per farne pallottole per i soldati americani.

Non basta. I rivoluzionari vengono sconfitti lasciando tuttavia morti sul campo pochi uomini, dimostrando di essere un esercito degno di tale nome.

Ora ci sono da soccorrere i feriti. Abigail da indicazioni a sua figlia Nabby: le Adams cuociono brodi ristoratori, medicano ferite, danno ospitalità nella loro fattoria ai soldati in transito.

Ancora una volta Abigail è padrona di casa, mamma, padre e filantropa allo stesso tempo.

Passano quattro giorni prima che possa mettersi alla scrivania e scrivere una delle innumerevoli lettere che costelleranno il suo matrimonio.

Informa John di quanto sia stata cruenta la battaglia di Bunker Hill, di quanto sia stata violenta l'epidemia di tifo che ha falciato già molti loro conoscenti, di come sia difficile tirare avanti in tempi di ristrettezze economiche.

"Abbiamo troppe parole altisonanti e poche azioni che vi corrispondano!"

Si lamenta sdegnata la coraggiosa Abigail. Lei che, da bambina malaticcia, leggeva avidamente nella biblioteca del padre; lei che s'è sempre battuta e continuerà a farlo per veder riconosciuti i diritti delle donne e degli schiavi.

Ha fatto infuriare più di un bigotto benpensante quando ha avallato il diritto allo studio di un ragazzo di colore.

"Solo perché la sua pelle è nera a quest'uomo deve essere tolta la possibilità di procurarsi i mezzi necessari alla sua sopravvivenza e a quella della sua famiglia?"

Ha tuonato. John ha molto rispetto delle sue idee e le loro lettere sono diventate un ottimo viatico di scambi politici più che di dolci parole d'amore.

Abigail Adams sarà la consorte del secondo presidente degli Stati Uniti d'America. La prima a risiedere alla Casa Bianca: la casa in costruzione del presidente, fredda e ancora misera.

Abigail affronterà la nuova sfida con il sorriso e con la determinazione che la distinguono anche quando trasformerà una stanza della casa presidenziale in uno stenditoio per il bucato.

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Capitolo 3
*** Lady Jefferson ***


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PATSY

10 luglio 1789

Accomoda la coccarda tricolore sul suo lindo vestito e il giovane viso, tempestato di efelidi, si contorce in una smorfia incerta.

Patsy guarda sua sorella Polly, più piccola, più innocente di lei, forse un po' più spensierata. La piccola Polly a cui lei ha fatto un po' da mamma quando la loro mamma se ne è andata, sfinita dai troppi parti.

Fino ai sette anni la vita di Patsy è stata felice a Charlottesville, nella tenuta di Monticello sebbene dei cinque bambini che la mamma ha dato alla luce solo lei, Polly e Lucy hanno riempito la casa di giochi e di risate.

Fino a quel giorno di settembre quando la mamma è spirata tra le braccia del suo Thomas.

Oh come era inconsolabile papà nei giorni successivi, quando si aggirava inebetito per la tenuta e vagava per ore come un pazzo!

Solo la sua Patsy gli aveva impedito di abbandonarsi ai deliri. "La sua forza" soleva ripeterle e Patsy, che aveva sette anni, si sentiva orgogliosa e responsabile nel dover pensare a papà d'ora in poi.

Anche se, lo sapeva bene, la sua infanzia era finita per sempre.

Quando papà era dovuto partire per Parigi, per lavoro, per la nascente America indipendente, era scontato che lei lo seguisse.

Thomas Jefferson aveva affidato le figlie più piccole alle cure delle zie materne e si era imbarcato assieme a Patsy, a quella figlia che aveva chiamato Martha in onore della signora Washington.

Era stato tutto nuovo, tutto entusiasmante per Patsy: il viaggio, il nuovo continente, la Francia e quasi con rassegnazione aveva accettato la decisione del padre di farla studiare alla "Abbaye Royale de Panthemont ".

Lì in quel convento cattolico aveva ricevuto l'educazione e imparato la cultura e le buone maniere che si addicono ad una "figlia di Monticello". La badessa e gli altri contatti femminili le avevano dato la grazia, l'eleganza e la disciplina che suo padre esigeva e non poteva darle. E forse qualcosa di più.

Patsy, che proveniva da una famiglia protestante, era decisa a convertirsi al cattolicesimo e a prendere il velo. Suo padre, allarmato, aveva prontamente tolto le sue figlie da quella scuola.

Ora Patsy cammina lungo i boulevard parigini, con gli occhi azzurri che si perdono nelle acque della Senna e la mano che stringe forte quella di Polly.

Intorno a loro il popolo è in fermento. Si parla di rivoluzione.

Come sono lontani i tempi in cui la piccola Patsy prendeva parte ai primi ricevimenti e si negava ai primi corteggiatori alla brillante ma disgraziata corte di Luigi XVI.

Pensa alla mamma in questa calda sera d'estate e anche a Lucy, la sorellina morta troppo piccola, troppo lontano da lei per colpa della pertosse.

"I francesi vogliono fare con il re quello che in America hanno fatto con gli inglesi?"

Chiede Polly, con la sua voce ancora da bambina, incuriosita dalla folla agitata.

Patsy allenta la mano e la porta, nuovamente, sulla coccarda.

"Si i francesi vogliono l'uguaglianza e la libertà proprio come noi americani!"

Polly è incuriosita.

"Anche loro al posto del re avranno un presidente?"

"Non lo so. Forse faranno la rivoluzione."

Le due sorelle si fermano, si siedono su una panchina lungo i boulevard.

"Tu pensi che un giorno papà sarà presidente degli Stati Uniti?"

Patsy, diciotto anni e tanti sogni infranti, sorride all'idea della sorellina.

"Forse"

"E se così fosse tu farai la parte della mamma?"

Patsy si ferma, riflette, i suoi occhi blu sembrano un pozzo di pensieri senza fondo.

Non diventerà monaca. Diventerà mamma, un giorno, perché è quello che sa fare meglio.

E sarà la figlia colta ed aggraziata del presidente degli Stati Uniti d'America.

"Si Polly farò quello che avrebbe fatto la mamma!"

E tornare in America le sembra un poco meno penoso.

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Capitolo 4
*** Lady Madison ***


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DOLLEY

24 agosto 1812

Ha passato una notte insonne. L'esercito inglese, comandato dal generale Ross, è alle porte di Washington e minaccia di dar fuoco agli edifici pubblici della città.

All'alba del secondo giorno di combattimenti, Dolley torna sul tetto della casa bianca con il suo cannocchiale, con la speranza, sempre più flebile, di una vittoria americana.

James ha già cavalcato lontano dalla Casa Bianca, e lei, sebbene sia una quacchera, non si tirerà indietro se ci sarà da combattere per difendere e difendersi.

Dolley ha mostrato la propria determinazione organizzando una cena ieri sera. La paura degli inglesi, con la notizia che hanno ricevuto 6.000 unità di rinforzi, era tanta così nessuno si è presentato.

James le ha mandato due messaggi. Nel primo assicurava che i britannici sarebbero stati certamente sconfitti. Nel secondo l'ha esortata a prepararsi alla fuga.

James l'ha sollecitata, nel caso accada il peggio, a salvare i giornali di gabinetto e ogni documento pubblico che possa essere stipato in carrozza.

Dolley ha già riposto i velluti di seta rossi della sala ovale, e i servizi d'argento e aspetta. I cannoni rimbombano, in lontananza, ma lei coraggiosamente apparecchia la tavola per un pranzo con il presidente e il suo staff e ha insistito perché il cuoco inizi a preparare.

Arrivano due messaggeri coperti di polvere. Vengono dal campo di battaglia e la esortano a fuggire.

Il signor Carroll cerca di affrettare la partenza, è di pessimo umore perché Dolley non vuole sentire ragioni e insiste nell'aspettare.

"Ora dobbiamo andare!"

Alla fine la presenza di Maj la convince e a malincuore acconsente a lasciare la Casa Bianca.

Mentre si prepara osserva il ritratto di George Washington, una copia del ritratto Lansdowne di Gilbert Stuart, affisso alla parete della sala da pranzo.

"Non posso permettere che venga dato alle fiamme un pezzo della nostra storia!"

"Non posso abbandonarlo alla distruzione del nemico!"

Dolley punta i piedi, nel caos del fuggi fuggi generale pretende ed esige che quel ritratto venga salvato. E due uomini prendono ordini, staccano il dipinto dal muro e lo portano al sicuro, nella carrozza.

Ormai sull'uscio dà al suo pronipote, Lucia, una copia della dichiarazione d'indipendenza perché la metta al sicuro in una delle sue valigie. "Non so dove sarò domani!"

Conclude orgogliosa e rammaricata Dolley mentre sale in carrozza e la Casa Bianca brucia alle sue spalle.

Canti popolari durante la guerra faranno di lei un'eroina nazionale per il suo gesto patriottico. E sarà la prima a meritarsi l'appellativo di "first lady".

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Capitolo 5
*** Lady Monroe ***


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ELIZABETH

15 gennaio 1795

I cavalli sbuffano e nitriscono in preda ad un mistico terrore, quasi fossero spaventati nell' attraversare quella strada.

Piazza della rivoluzione. Piazza del terrore.

Cinque funzionari sono finiti sulla ghigliottina ieri l'altro.

Elizabeth, all'interno della carrozza rabbrividisce e volge il pensiero ad altro. Pensa alla sua casa di New York, pensa a nonna Hester, risoluta e determinata, che l'ha trasformata nella donna coraggiosa che è oggi.

I cavalli avanzano nel gelido gennaio di Parigi: James ha voluto per lei la migliore carrozza che sia riuscito a trovare.

Ad Elizabeth spetta un compito difficile e coraggioso oggi, sarà ambasciatrice. Ne va della vita di una donna.

Fuori dal carcere "La Plessis" si è radunata una folla curiosa.

"La belle americaine!"

Acclamano così Elizabeth, la moglie dell'ambasciatore americano e lei ricambia quella simpatia tanto da aver imparato alla svelta a parlar francese quando lei, il marito e le ragazze sono arrivati in Francia. Inoltre Eliza, la figlia maggiore, è diventata una buona amica di Hortense figliastra di quel Napoleone.

Elizabeth scende dalla carrozza con grazia, un sorriso accennato alla folla che l'acclama e un groppo in gola alla vista della grigia e maestosa prigione.

"Vengo in visita a Madame La Fayette!"

Si annuncia. Il suo interessamento "non ufficiale" per la sorte di quella poveretta eviterà qualsiasi incidente tra il governo americano e l'alleato francese.

Non si poteva scomodare James. Lui ha già rischiato nel ricevere la grazia per Thomas Paine.

La prigioniera ha una maschera pietrificata, di puro terrore e di rassegnazione, dipinta in volto.

Si rianima quando i carcerieri la portano innanzi alla "belle americaine" impeccabile ed elegante come sempre.

Adrienne si butta tra le braccia dell'amica e comincia singhiozzare.

"Temevo fossero venuti a prendermi. Temevo fosse giunta la mia ora!"

"Non vi sarà fatto nessun male, Adrienne!"

La marchesa si rianima un momento, poi alla marchesa sfugge una smorfia di dolore.

"Hanno ghigliottinato mia sorella, mia madre, perfino mia nonna!"

Elizabeth resta agghiacciata dal racconto. Sospira profondamente e cerca le parole per ridar animo a una donna che ha visto troppo orrore per continuare a sperare.

"Ma voi siete viva Adrienne. Lottate per voi, per vostro marito..."

"Sono viva, ma non sono libera!"

Gli occhi blu di Elizabeth risplendono fiduciosi.

"Presto sarete libera. Presto vi rimetterete in forze e potrete cercare uno scopo per tornare a sorridere, amica mia!"

Le mani delle due donne si stringono come in un patto, come in una promessa che sarà mantenuta.

Il 22 gennaio James ed Elizabeth Monroe ricevono una lettera.

" Marie Adrienne Françoise de Noailles, marchesa de la Fayette è stata rilasciata senza alcuna provocazione ufficiale, mantenendo inalterata l'alleanza tra Francia e Stati Uniti."

James sorride ammirato alla consorte.

"Ogni incidente diplomatico è stato evitato per merito della mia belle americaine!"

Elizabeth sorride. Anche nonna Hester sarebbe orgogliosa di lei.

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Capitolo 6
*** Lady Quincy Adams ***


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LOUISA

12 novembre 1812

L'inverno a San Pietroburgo è ormai imminente: coltri di gelo e neve, paesaggi desolati che bene si abbinano con la profonda solitudine di Louisa.

Oh come è difficile e amara la vita nella terra degli zar! Non bastano gli inviti a corte, il fascino del mondo nuovo, le attenzioni che lo zar Alessandro ha per lei: il cuore di Louisa è restato in Massachusetts assieme a George e a John, undici anni il primo, nove il secondo.

Il padre ha deciso di lasciarli a studiare in America, strappandoli alle cure della mamma. Louisa ha accettato rassegnata e con il cuore pieno di dolore ma non si è opposto alla forzata separazione. Lei deve adempiere i suoi doveri di moglie e lo ha John Quincy nel suo incarico come ministro in Russia.

Come sono freddi gli inverni in Russia, come sono strani i costumi indossati da questa gente! Solo le risate infantili di Charles, l'innocenza di un bambini di cinque anni le rende sopportabile la lontananza dall'America e dai figli maggiori.

Oggi Louisa ha ripreso a suonare l'arpa. Non era un tutt'uno con la sua lira da tanto tempo, da quando ancora era in dolce attesa.

Accarezza il ventre piatto, vuoto. Sono passati ormai due mesi dalla morte di Louisa Catherine, la bambina che l'ha riempita di gioia e l'ha indaffarata per un anno soltanto.

La piccola Louisa nata e morta in terra straniera che mai conoscerà i suoi fratelli più grandi.

La mamma disperata strimpella sulle corde, esce fuori una melodia struggente che da voce alla sua profonda solitudine.

"Gli uomini della famiglia Adams sono freddi e insensibili. Non sono capaci di dare amore e di rendere felice alcuno!"

Lo ripete e se lo ripete Louisa nei momenti di più buio sconforto e ripensa all'iniziale opposizione di suo suocero al matrimonio del figlio con una straniera.

Lei, nata in Inghilterra, aveva conosciuto John a Nantes a soli dodici anni. Nove anni dopo il vecchio Adams aveva dato il suo beneplacito e l'aveva accolta in famiglia.

E se il vecchio John avesse mantenuto la sua opinione? Se avrebbe continuato ad opporsi a quell'amore che tanto la stava facendo soffrire?

Lei sarebbe stata più felice?

Charles si mette a ridere, interrompendo uno dei suoi giochi, quasi come si facesse beffa dei pensieri contorti della mamma.

Louisa smette di suonare: le è venuto mal di testa. Deve stendersi un attimo anche se niente riuscirà a lenire il suo disagio.

Sarà condannata ad essere infelice e depressa anche come first lady degli Stati Uniti d'America.

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Capitolo 7
*** Lady Jackson ***


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RACHEL

24 dicembre 1828

La seppelliranno con l'abito bianco. Quell'abito che aveva acquistato, con orgoglio, per indossarlo alla cerimonia di insediamento del marito alla Casa Bianca nel marzo prossimo.

Rachel non vedrà l'alba della nuova primavera: sarà seppellita nel giardino della sua casa a Nashville, Tennessee, proprio la vigilia di Natale.

"A calunnie di essere così gentili e virtuosi può ferire ma non disonorare." Sarà il suo epitaffio.

Un promemoria ai detrattori di Andrew Jackson, parole che riflettono l'amarezza della pacata Rachel per gli insulti che ha ricevuto il marito durante la campagna elettorale. Parole dure che hanno accelerato la sua morte.

Era solo una bambina della frontiera Rachel , nata in Virginia, quando si trasferì con la famiglia nel deserto del Tennessee. Aveva solo dodici anni, a diciassette aveva sposato Lewis Robarts.

La gelosia di Lewis le aveva impedito di vivere a lungo con lui. Si separarono e un anno dopo Rachel aveva conosciuto l'amore della sua vita.

Andrew Jackson ferocemente geloso del suo onore quasi quanto Lewis lo era di lei, impegnato in risse e in duelli e con il fardello di un omicidio sulla sua coscienza.

Sempre pronto a vendicare ogni offesa a lei recata.

Andrew che aveva ucciso un uomo che aveva lanciato un insulto ingiustificato a lei.

Si erano sposati dopo solo un anno Rachel ed Andrew dando scandalo perché, dopo due anni di matrimonio felice, avevano scoperto, con sgomento, che Rachel non aveva ottenuto il divorzio dal precedente marito.

Adulterio, bigamia: Rachel ha sempre affrontato, a testa alta, quelle accuse infondate.

Si risposarono tranquillamente lei ed Andrew ma i sussurri continuavano mentre la carriera politica di Jackson avanzava.

E sono state proprio quelle ingiurie, quelle calunnie immeritate a portare Rachel alla tomba ancor prima che potesse essere la moglie del settimo presidente degli Stati Uniti d'America.

L'epitaffio sulla sua tomba lo ricorda. Ricorda, nonostante gli scandali, la gentilezza senza pretese di Rachel che ha vinto il rispetto di tutti quanti la conoscevano.

Ricorda Rachel, la first lady mancata.

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Capitolo 8
*** Lady Van Buren ***


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ANGELICA

1 gennaio 1840

Riceverà gli ospiti alla Casa Bianca in maniera formale, secondo l'etichetta delle corti inglesi e francese.

Angelica porta le mani sul suo ventre arrotondato e ultima i preparativi del capodanno: non indosserà copricapi ingioiellati e non vorrà sedie che somiglino a troni, si sarà solo un mazzo di fiori sulla tavola e ci sarà il saluto democratico, tra gli ospiti, di una semplice stretta di mano.

Questa volta non potranno criticarla, non potranno tacciarla di essere stravagante.

Ha solo ventun' anni la nuora del presidente ma sta ricoprendo con impegno e raffinatezza il suo ruolo. Angelica che ha ricoperto con grazia ed eleganza quel seggio di first lady restato vacante per quasi due anni.

Martin, suo suocero, è vedovo ormai da quasi due decenni e mai ha pensato di riprender moglie. Nei primi anni del suo mandato ha abitato assieme ai suoi tre figli maschi alla Casa Bianca senza nessuna figura femminile finché non è apparsa Angelica.

La ragazza fa un profondo respiro e si affloscia su una delle sedie: è la sua prima gravidanza e il pancione di cinque mesi inizia a farsi notare. Probabilmente questa sarà la sua ultima apparizione ufficiale per quest'anno.

Angelica ripensa alla prima visita che lei e sua sorella Marion fecero alla Casa Bianca appena tre anni fa: fu la zia Dolley Madison, cugina della loro mamma, ad introdurle negli ambienti bene di Washington e a favorire le simpatie tra Angelica e Abram, il primogenito del presidente.

Abram Van Buren non era rimasto indifferente al fascino di quella colta e bella ragazza, educata al "Grelaud Seminary" ed eletta "Regina di maggio" nel 1831, titolo che già preannunciava la sua popolarità.

Marion aveva trovato i figli del presidente :" piacevoli, senza pretese, giovani uomini amabili".

Abram era rimasto incantato dalla grazia, dai riccioli scuri e dagli occhi limpidi di Angelica. C'era stata un'istantanea simpatia reciproca tra i due e, dopo poco tempo, lui l'aveva chiesta in sposa. Angelica aveva accettato.

Si sono sposati in South Carolina nel novembre di due anni fa e subito si sono trasferiti alla Casa Bianca.

Il suocero ha preso in simpatia Angelica e lei lo ha affiancato nelle cene formali e ha seduto al posto d'onore come la donna di più alto rango, status di solito riservato alle mogli dei presidenti.

Angelica, sciolta e brillante nelle conversazioni, è ammirata universalmente dalle folle pubbliche che l'hanno incontrata, ha impressionato persino la regina Vittoria in Inghilterra e Luigi Filippo in Francia durante il tour in Europa assieme al marito. In quel viaggio di nozze posticipato.

I detrattori del presidente l'accusano di essere diventata monarchica dopo quel viaggio, accusano i suoi costumi e il suo savoir faire troppo legati a quel Vecchio Continente di cui gli Americani lottano per spezzare i giochi che li hanno resi loro sottoposti per secoli.

Angelica risponderà con questo stile sobrio e formale alle accuse. Si meriterà anche i complimenti di Adolphe Fourier de Bacourt, ministro francese che così parla di lei:

"In qualsiasi paese Angelica Van Buren non avrebbe difficoltà nel passare per una donna amabile nei suoi costumi, dall'aspetto grazioso e distinto."

Nonostante tutto l'America ama la sua giovanissimi first lady, il fato, invece, le è avverso.

Rebecca, la piccola che porta in grembo, morirà nella primavera cinque giorni dopo aver visto la luce.

Una tragedia che accomunerà Angelica ad un'icona di oltre un secolo dopo.

Angelica Van Buren, con la sua raffinata eleganza e la sua frizzante giovinezza, passerà alla storia come la Jackie dell'ottocento.

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Capitolo 9
*** Lady Harrison ***


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ANNA

6 aprile 1841

Ha imballato le ultime cose e ormai è pronta a lasciare North Bend. Il corteo che la accompagnerà fino a Washington è silenzioso e ossequioso.

Tutto avviene a ritmo laconico, inevitabile, quasi fatalista. Tutto è così diverso rispetto ad un mese fa quando William è partito, a capo di una chiassosa, allegra e fiera carovana, alla volta della Casa Bianca.

Anna, che ormai ha sessantacinque anni e sente incombere su di lei il peso opprimente della vecchiaia come un giogo che la deprime, non l'ha accompagnato. Trenta giorni fa era troppo malata per viaggiare.

Non voleva che il marito diventasse il nono presidente degli Stati Uniti d'America: "mi auguro che gli amici di mio marito lo lascino dove si trova, felice e contento in pensione."

Ha esclamato Anna, amante della quiete domestica, dopo la schiacciante vittoria del marito contro Martin Van Bureen. Lei non ha ambizioni sociali o politiche, vuole solo continuare a fare la moglie e la madre.

Non vuole lasciare la sua piccola casa di tronchi a North Bend ma sa che è suo dovere essere accanto al marito.

Quando tutto è pronto per il viaggio imminente arriva un corriere. Dal cavallo scende un uomo, si avvicina a Ms. Harrison, toglie il cappello in segno di rispetto e le bisbiglia parole concitate.

Gli occhi scuri della donnina che gli sta di fronte diventano vitrei, le pupille si dilatano, poi Anna si porta una mano alla bocca a soffocare un gemito, un grido inesistente.

Non farà quel viaggio. William è morto ieri l'altro: ad un mese esatto dal suo insediamento alla Casa Bianca. Un mese solo da Presidente.

Prima di essere first lady lei è vedova.

Il paggio fa una riverenza, porge le sue condoglianze e cavalca via.

Anna, che si è sempre opposta alla candidatura del marito, pensa ora che aveva ragione:

"Hai sessantotto anni William, rinuncia a questo incarico troppo gravoso per te."

Era stato inutile, William era irremovibile.

"Ecco a cosa ti ha portato la tua cocciutaggine!"

Bisbiglia Anna e siede, crolla, fuori dalla loro fattoria. Resterà in Ohio, il viaggio fino a Washington DC sarebbe arduo, lungo e inutile: non arriverebbe mai in tempo per le esequie funebri e per la sepoltura temporanea di William.

William Henry Harrison tornerà in Ohio, sarà sepolto a North Bend per sempre.

Anna ha sempre accettato le decisioni del marito, quasi con rassegnazione. Ha accettato la sua carriera, ha accettato la difficile vita per una donna della frontiera quando ha deciso di sposarlo nonostante l'opposizione di suo padre.

Il giudice Symmes si era inizialmente opposto a quel matrimonio ritendendo che la carriera militare di William non era abbastanza stabile per sostenere una moglie e una famiglia. Il carattere e la forza del genero l'avevano fatto ricredere.

Anna ripensa ai tempi in cui il marito è stato governatore in Indiana, i dieci figli a cui badare, gli studi religiosi e Shakespeare, l'obbligo, come moglie del governatore, di fare della sua casa uno spazio pubblico e il dover intrattenere in quello spazio anche numerosi capi indiani che venivano a trattare con il governatore.

Nel corso delle varie trattative con i nativi americani aveva intrattenuto in casa sua capi come Shawnee e suo fratello Tenskwatawa, leader politico e spirituale, che credeva che una guerra e una strage contro i coloni bianchi fosse necessaria e inevitabile.

Come era vulnerabile e coraggiosa Anna nella guerra del 1812 quando prese i suoi figli e si rifugiò presso il giudice Symmens in Ohio.

Ricordi e dati di fatto.

"La politica porta solo guai"

Esclama ricordando i tempi in cui divorava, avidamente, tutti i giornali e le riviste politiche che era in grado di ottenere lungo la frontiera.

Sospira e il sole cala sulla giornata insolitamente fredda. Cala sulle disgrazie degli ultimi anni: la morte di suo figlio Carter nel 1839, di suo figlio Benjamin nel giugno del 1940 e ora anche William l'ha lasciata.

Si alza dignitosamente e rientra in casa.

Vivrà ancora altri ventidue anni. Ventidue anni di vedovanza per la first lady che non ha mai messo piede nella Casa Bianca.

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Capitolo 10
*** Lady Tyler ***


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JULIA

28 febbraio 1844

"No, no, no!"

Il laconico e tormentato rifiuto è così diverso dal tono vezzoso e civettuolo con il quale, fino all'altro ieri, la bella Julia rifiutava la corte del presidente.

Quel "no" non è più ripetuto nei saloni della Casa Bianca ma dinnanzi ad una bara, la bara del suo amato papà.

David Gardiner, il presidente Tyler e membri del suo gabinetto, Dolley Madison stavano facendo una crociera sul Princeton quando un cannone navale è esploso uccidendo il segretario della marina e David.

Julia è inconsolabile e John è al suo fianco. Potrebbe sembrare un amico del suo defunto papà mentre le tiene la mano: lei una fresca rosa di ventiquattro anni e il presidente vedovo che di anni ne ha cinquantaquattro e ne dimostra dieci in più.

Daranno scandalo quando ufficializzeranno la loro volontà di unirsi in matrimonio.

Del resto, Julia non è nuova a creare polveroni attorno al suo nome. Come quella volta, nel 1839, quando posò segretamente per una litografia che sarebbe stata utilizzata per promuovere alcuni detersivi.

Una ragazza nubile e perbene che si prestava alla pubblicità: gli ambienti snob di New York l'avevano biasimata e condannata.

Per sopperire a quell'umiliazione( una donna non sposata che si esponeva in un'impresa commerciale!) i genitori presero lei e sua sorella Margaret e partirono per un lungo tour in Europa nella speranza di insegnare a Julia come si comporta una signorina perbene.

John l'aveva conosciuto al suo ritorno, nel 1842, quando i Gardiner erano stati accolti alla Casa Bianca dal Presidente e dalla nuora Priscilla.

La moglie di John, Letitia, paralizzata da un ictus da molti anni viveva ai piani superiori della casa e non scendeva mai.

Una regina spodestata prigioniera di quelle mura dorate.

Julia provava pena per la signora Tyler sebbene non la conoscesse.

Poi Letitia era morta. Julia e la famiglia erano tornati a Washington per la stagione sociale l'inverno successivo e il fresco vedovo aveva iniziato a flirtare con lei.

Accanto a Julia John sembrava nuovamente un adolescente.

Alle loro prime apparizioni in pubblico le chiacchiere e le speculazioni si sprecavano.

Le figlie di John non la accetteranno mai, non accetteranno mai una matrigna più giovane di loro, una donna che prenda il posto della loro mamma nel cuore di John.

Julia cerca di farsi scivolare addosso l'odio dei figliastri, di ignorarlo come ignorava i pensieri dei benpensanti di New York.

Il mandato di John scadrà a breve. Ha poco tempo per passare alla storia.

In giugno sarà celebrato il matrimonio. Il primo alla Casa Bianca: conterà dodici invitati appena.

Durante gli otto mesi in cui sarà first lady la chiameranno "la Presidentessa".

Sarà la prima a posare negli studi Anthony a New York per una fotografia, la polka prenderà il suo nome e verrà ribattezzata "Julia Valzer".

Julia, così giovane ed energica, sarà la prima lady a ballare alla Casa Bianca dando scandalo anche in questo.

L' élite sociale di Washington disprezzerà i suoi cerimoniali, la sua forma regale di ricevere gli ospiti attorniata da una dozzina di giovani donne vestite in bianco che chiamerà "le mie vestali".

I cittadini si rivolgeranno a lei per ottenere clemenza, con il suo fascino convincerà John a promuovere strenuamente la proposta di annessione del Texas, con i suoi costumi e il suo portamento regale sarà ammirata da tutti.

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Capitolo 11
*** Lady Polk ***


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SARAH

4 marzo 1845

Un forte temporale si è abbattuto su Washington. Sarah, che siede in primo piano, alla cerimonia di giuramento del marito attribuisce a quell'acqua il potere della benedizione: è la benedizione per James Polk, undicesimo presidente degli Stati Uniti d'America.

Sarah rimane composta, con un sorriso enigmatico dipinto sul viso e gli occhi orgogliosi: sa bene quanto ci sia di suo dietro la vittoria di James.

In un'epoca in cui la maternità è l'unica carriera possibile per una donna, Sarah si è dovuta rassegnare alla sterilità. Il non avere bambini, tuttavia, le ha permesso di aiutare, costantemente, il marito nell'ascesa della sua carriera politica.

Si erano sposati il giorni di Capodanno del 1824: lei aveva vent'anni, James otto in più. Era stato Andrew Jackson ad incoraggiare la loro storia d'amore.

"Non fatevi sfuggire una ragazza così bella, astuta e intelligente!"

Andrew aveva ammonito così il suo amico. E alla proposta di matrimonio di James, Sarah aveva risposto scherzosamente:

"Vi sposerò quando sarete eletto alla carica politica!"

Allora James Polk era un semplice impiegato del Senato del Tennessee, agli inizi della carriera politica. Ne avevano fatto di strada insieme lui e Sarah!

Pensa la donna, pensa a quanto avesse contribuito lei all'elezione del marito: lo ha accompagnato a Washington ogni volta che ha potuto, ha copiato la sua corrispondenza e lo ha aiutato con i discordi da preparate, gli ha dato consigli e lo ha rimproverato quando si è strapazzato di troppo lavoro.

"Sarah ecco qualcosa che mi auguro leggerai..."

James esordisce sempre così, mettendole un giornale in mano, cercando il suo tacito aiuto. Allora Sarah, moglie devota e spalla politica silenziosa, inizia a lavorare in sordina.

Le piace la politica ma è preoccupata per il superlavoro che minaccerà la precaria salute del nuovo presidente.

Il neoeletto James Polk saluta la folla sotto la pioggia battente, Sarah si alza con dignità: lui la prende sottobraccio e insieme si avviano alla festa organizzata in loro onore.

Hanno già festeggiato a Nashville la notizia dell'elezione, poi il viaggio verso la capitale con diligenza, battello a vapore e treno. Sempre insieme.

All'arrivo della coppia presidenziale nella sala della cerimonia, l'orchestra attacca una marcia di accoglienza.

La first lady, presbiteriana e sobria, proibirà alle bande di musicisti di far musica di domenica, durante i tre anni del mandato di James.

Sarah sarà molto diversa da Julia Tyler, quasi un'antitesi. Non danzerà e non servirà alcolici alla Casa Bianca, non assisterà a corse di cavalli o a spettacoli teatrali.

Sarà una first lady composta e sobria, un'abile conversatrice rispettata da tutti.

Sarà lei la prima ad organizzare una cena del ringraziamento alla Casa Bianca.

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Capitolo 12
*** Lady Taylor ***


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MARGARET

9 luglio 1850

La sera è opprimente e afosa a Washington. Zachary Taylor, il Presidente, è sul letto di morte.

Al suo capezzale stanno la figlia Betty con il marito, e Margaret, sua moglie semi invalida.

Margaret, detta affettuosamente Peggy, è rimasta come in trance negli ultimi cinque giorni, dopo che Zachary ha accusato un improvviso malessere intestinale.

Non riesce a credere che la stia lasciando. Ormai il Presidente è allo stremo delle forze.

"Suvvia Zac, sei sopravvissuto a minacce ben peggiori nella tua vita. Ti sei fatto onore sul campo di battaglia, abbiamo resistito alle fortezze primitive che, per quarant'anni, sono state le nostre case...Non puoi, non puoi andartene così!"

Peggy si accascia sul marito morente, diventa isterica, ripete quella cantilena finché lui non spira.

"Non lasciarmi sola!"

Mormora, insiste perché il ghiaccio che ne preserva il corpo venga rimosso, per tre volte, affinché possa guardarne il viso ancora una volta.

Questa volta le sue preghiere non sono bastate, non hanno salvato Zachary. Ha pregato così tante volte Dio perché suo marito tornasse sano e salvo e, nel terrore che potesse essere ucciso l'unica volta che lei non si era unita a lui al fronte quanto Taylor aveva comandato l'esercito nei pressi del Rio Grande, aveva fatto voto: avrebbe rinunciato a rientrare nella società a Louisville o altrove purché Zachary tornasse sano e salvo.

"Mia moglie è stato un valoroso soldato, al mio fianco per quarant'anni."

Il Presidente amava ripeterlo sempre. Riconoscere il giusto tributo alla vita da nomade e da solitaria a cui Peggy era stata costretta restando al suo fianco.

E mentre lui diventava colonnello nel 1832, generale di brigata nella guerra a Seminole, maggiore generale della guerra messicana, Peggy lo seguiva in tutti i paesi di frontiera.

Avevano vissuto in fortezze, tende, casette. Dalla Florida al Missouri. Ma Peggy non era mai venuta meno alla sua promessa finché era stata in salute: aveva giurato, il giorno del matrimonio, di seguire sempre ed ovunque il marito nonostante le privazioni.

E quella vita da pioniere, avventurosa e difficile le aveva posto le prove più dure per una madre: nel 1820, in Louisiana, Octavia di tre anni e Margaret di un anno e mezzo morirono in seguito allo scoppio di una terribile epidemia. Anche Peggy si ammalò gravemente e fu sul punto di condividere la sorte di due dei suoi cinque figli.

Quei dolorosi lutti l'avevano convinta a far crescere gli altri figli con i parenti, lontano dalla frontiera, in un mondo più civile affidandoli alle cure dei parenti.

Peggy aveva continuato a vivere con il marito nelle fortezze e nei campi. A Fort knox, Vincenness in Indiana aveva conosciuto una profonda solitudine vivendo isolata: unica donna tra quarantasei uomini. A Tampa, invece, aveva lavorato come infermiera in un ospedale militare.

Solo nel 1838 Peggy e Zachary avevano avuto una pausa dalla vita militare, navigando in Florida, a New Orleans, fino a Louisville per trascorrere del tempo con i parenti.

Quando si prospettava una parvenza di stabilità nella sua vita, Zachary era staro richiamato a guidare l'esercito e poi c'era stata la corsa alla casa bianca.

Peggy aveva protestato energicamente alla nomina del marito e aveva parteggiato, spudoratamente, per Lewiss Crass il candidato avversario.

"Queste elezioni sono un complotto per accorciare la tua vita e la mia."

Queste parole risuonano, improvvise come un eco, nei pensieri di Peggy, si annidano nella veglia funebre di Zachary.

Lei c'era all'inaugurazione, un anno addietro, circondata dai parenti solidali.

Non aveva mai messo il naso negli affari pubblici del marito e non aveva mai perso il suo rispetto.

Occuparsi dei pasti, supervisionare i giardini, la cucina, tenere sotto controllo i pasti, la salute e il guardaroba impeccabile di Zachary era il ruolo di moglie devota che Peggy si era cucita addosso nell'ultimo anno.

Aveva rifiutato le funzioni pubbliche della first lady e, sovente, si mescolava alle folle mentre assisteva a numerosi eventi pubblici nelle sale di rappresentazione della Casa Bianca. In piedi, tra un gruppo più ampio di donne che attorniava il presidente, non veniva quasi mai riconosciuta.

Questo suo non voler apparire aveva dato adito alle voci più assurde. Tra i leader delle società capitali iniziarono a circolare voci sulla signora Taylor come di una donna reclusa ai paini superiori della Casa Bianca, che fumava la pipa da una pannocchia ed era tenuta nascosta nella soffitta dalla sua famiglia mortificata.

Leggende. A Peggy qualsiasi tipo di fumo provoca disturbo.

Peggy ascolta i lamenti funebri in questa sera d'estate, morta la mano alla bocca e singhiozza, in stato di shock.

Domani non parteciperà ai funerali nella Stanza Est.

Il ricordo di Zachary l'accompagnerà e l'opprimerà per il resto della vita. Per altri due anni.

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Capitolo 13
*** Lady Fillmore ***


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ABIGAIL

4 marzo 1853

Washington è sferzata da un vento gelido, un vento di tempesta che spezza i rami degli alberi e ulula con le sue raffiche minacciose.

Abigail non se ne cura. Se ne resta nel suo spazio, un rifugio caldo e accogliente, in quello spazio della Casa Bianca che è nato per merito suo.

Strofina le dita affusolate su carta ruvida e ingiallita, posa i curiosi occhi azzurri a divorare tomi interi per soddisfare la sua cultura mai sazia. Impara ancora Abigail sebbene ormai abbia più di cinquant'anni.

"Non si conosce mai abbastanza. Si può vivere anche cent'anni e non si sarà mai abbastanza eruditi."

Questa convinzione è nata in lei fin da quando, ancora ragazzina, ha iniziato ad insegnare nella scuola di suo fratello Cyrus a Sempronio. Cyrus, la grande biblioteca personale ereditata dal padre, gli insegnamenti impartiti a casa da sua madre hanno contribuito a darle un'educazione liberale.

Le viene da sorridere ora, nelle ultime ore che trascorrerà alla Casa Bianca, nella sua amata biblioteca, nel ripensare a Millard come ad un suo studente. Il più anziano e il più ambizioso dei suo scolari all'Accademia di New Hope, New York.

L'amore per l'apprendimento, la curiosità, l'ardente desiderio di sapere e i voler sapere ancora di più, non accontentarsi mai. La sete della conoscenza era stato il cibo del loro amore.

Millard aveva letto il suo primo libro quando ormai aveva diciannove anni. Veniva da una famiglia poverissima e non si era risparmiato quando c'era da spaccar la legna o lavorare la terra.

Aveva imparato tenendo sempre un dizionario a portata di mano per cercarvi le parole di cui non conosceva il significato.

Ed era stata questa costanza, questa tenacia a catturare il cuore di Abigail.

Aveva sposato la sua maestrina Millard ed era diventato un discreto avvocato di campagna.

Abigail aveva continuato a lavorare fino alla nascita del loro primo bambino mentre la carriera politica di Millard proliferava.

Si erano trasferiti a Buffalo dove fondarono una biblioteca per promuovere l'istruzione.

Nel 1836 Abigail aveva lasciato i suoi due bambini e aveva seguito Millard diventandone, applicando il suo forte intelletto alla politica, consigliere ed alleato.

Con l'elezione di Zachary Taylor, Millard era diventato vice presidente. Durante la campagna elettorale Abigail era confinata a letto con lancinanti dolori all'anca e alla schiena: si era rotta una caviglia qualche anno prima e non guarirà mai completamente.

Ci ripensa Abigail, capitolo dopo capitolo, saga dopo saga, spaginando velocemente il suo piccolo tesoro prima di cederlo al successore di Millard.

Lei diventata first lady all'improvviso dopo la scomparsa del presidente Taylor.

Liscia la sua lunga veste, una delle prime ad essere create con la macchina da cucire e si mette più comoda alla scrivania. Hanno lavorato sarte e acconciatrici attorno a lei in questi anni in cui è stata first lady: Abigail, ben consapevole dell'importanza delle sue apparizioni pubbliche, ha sempre tenuto a presentarsi impeccabile; tanto da essere l'unica donna presente durante una cerimonia in cui il presidente aveva ricevuto una delegazione di Sioux.

"Penso che se mio marito fosse presidente io scapperei!"

Le aveva scritto una nipote tempo fa. Ma Abigail non si è mai sottratta ai suoi doveri: ha passato mesi a selezionare, personalmente, i volumi con cui arricchire la nuova biblioteca e quella parte della Casa Bianca è diventata il luogo di vigorose discussioni politiche e di rilassanti eventi musicali. Ha ospitato i concerti di artisti come Maria Alboni e Henrietta Sontag.

Tra poche ore Abigail lascerà la Casa Bianca e dietro alle sue mura lascerà un immenso patrimonio che arricchirà le generazioni future.

Nonostante si senta poco bene, tra poche ore assisterà alla cerimonia di insediamento di Franklin Pierce, il successore di Millard.

Si raggomitolerà nelle vesti invernali e tremerà, resistendo, stoica, alla tormenta. Lancerà uno sguardo ammirato a sua figlia Abbie, ormai bellissima ventenne e uno carico d'amore a Millard.

Non sa che da qui a qualche settimana non ci sarà più.

Il freddo intenso di questo marzo la farà ammalare di polmonite.

Le sarà risparmiato il dolore di vedere la sua bellissima Abbie strappata alla vita, ventiduenne, dal colera.

*** ***

Faccio i più cari auguri di un Santo Natale a quanti leggono questa raccolta di one-shot, a chi l'ha inserita tra le preferite e le seguite.

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Capitolo 14
*** Lady Pierce ***


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JANE

6 gennaio 1853

Ci sono solo rottami sulle rotaie che collegano Washington ad Andover, Massachusetts e il corpo straziato di Benny, dodici anni appena, riverso a valle.

È morto davanti agli occhi increduli ed esterrefatti dei suoi genitori basiti.

Alla fine sarebbero andati a Washington per assicurare un futuro a Benny i Pierce. Ah quante parole, quante liti, quanta fatica per persuadere Jane ma, alla fine, Franklin l'aveva convinta.

Essere presidente degli Stati Uniti avrebbe significato un passepartout per il successo nella vita del loro amato Benny.

Era svenuta Jane alla notizia della nomina del consorte. Lei tragica eroina di un romanzo vittoriano con il suo viso delicato, il corpo esile e il temperamento malinconico: troppo debole per non essere vinta dalle tragedie che si susseguono nella sua vita.

Tragica nell'aspetto come nel destino. Ecco il dipinto di Jane.

Stringe forte il corpo esamine di Benny a sé e urla e piange. Un pianto straziante e disperato.

Avrebbero dovuto partecipare alle esequie di un amico di famiglia questo pomeriggio , come avrebbero potuto immaginare di ritrovarsi a piangere, all'improvviso, un figlio?

Perché il cielo non si è preso lei?

Perché non sono rimasti a Concord, nel New Hampshire, dove hanno vissuto i loro anni più sereni come una normale famiglia? Quattro anni in cui il suo cuore ha trillato fiero nel veder crescere, giorno per giorno, Benny.

"Spero che papà non sarà eletto. Io non voglio andare a Washington e non lo vuoi neanche tu."

Le parole del bambino ora le ronzano nelle orecchie come una premonizione funesta.

Jane porta una mano ad accarezzarsi il grembo vuoto e freddo. Quel grembo nel quale per tre volte ha germogliato la vita. Tre vite che la mano crudele della morte ha falciato troppo presto: quelle dei suoi tre bambini.

Franklin, nato e morto dopo soli tre giorni.

Robert che il tifo si era portato via dopo soli quattro anni su questa terra.

E adesso Benjamin, la luce di Jane. Il deragliamento e il piccolo come unica vittima: possono essere così crudeli gli dei?

Jane legge queste disgrazie come dei segni di avversione alla carriera politica del marito.

"Lassù qualcuno ci odia."

Ripete.

Tutta la nazione condividerà il lutto dei due genitori ma niente e nessuno riuscirà a ridare la voglia di vivere ad una madre in lutto.

Jane non si riprenderà mai completamente.

Sarà assente alla cerimonia di insediamento del marito che si terrà in marzo in un clima sobrio e ancora a lutto.

Pregherà e scriverà lettere stazianti, piene di dolore e di amore, per Benny chiusa nelle stanze del secondo piano della Casa Bianca e porterà per sempre con sé la Bibbia del suo caro bambino.

Sarà la sua amica Varina Howell a svolgere le funzioni di first lady fino al capodanno del 1855. Solo allora Jane sfiderà la sua cagionevole salute e le sue afflizioni facendo la sua prima apparizione pubblica al fianco di Franklin come padrona di casa e moglie del presidente.

Ma il dolore, quello, l'accompagnerà per tutta la vita.

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Capitolo 15
*** Lady Lane/ Buchanan ***


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HARRIET

28 febbraio 1861

Le prime rose e i bucaneve abbelliscono i giardini della Casa Bianca.

Harriet si china a sfiorare un bocciolo delicato, così fragile che certamente non resisterà alla prima gelata di un inverno ancora in essere.

Il cielo si sta già ricoprendo di nuvoloni cupi, minacciosi come le nubi che ombreggiano sull'amministrazione di "Nunc".

James Buchanan, il suo zio prediletto, lascerà il seggio presidenziale tra poco meno di due settimane in preda all'amarezza: non è riuscito ad impedire la guerra di secessione.

Buchanan è stato troppo indeciso in un momento in cui le ostilità tra gli stati del sud e gli antischiavisti stanno raggiungendo il punto di massima tensione.

Harriet non potrà far nulla se non offrire, come sempre, sostegno incondizionato al suo caro zio che per lei è stato un padre e una famiglia.

L'aveva adottata che era appena una bambina di undici anni, rimasta sola al mondo, James lo zio scapolo: era stata Harriet a chiedere di essere affidata a lui.

E poi c'era stato quel viaggio a Londra, appena dieci anni prima, quando la regina Vittoria aveva accolto la giovane Harriet con gli onori che si convengono alla moglie di un ambasciatore.

Harriet, però, ad ammogliarsi non pensa proprio. Avrà trentasei anni quando indosserà l'abito bianco.

No lei non resterà zitella come lo zio James e poco le importa delle voci messe in giro dai nemici politici circa i dubbi sull'orientamento sessuale del presidente.

"Il nostro compito qui sta diventando difficile, impossibile, mia cara Hal!"

Ha detto tristemente ieri l'altro zio James accarezzandole, amorevolmente, le ciocche bionde. Sette stati hanno minacciato di uscire dall'unione.

Harriet pensa solo che a Washington è stata felice e popolare. Una "Regina democratica" accolta con entusiasmo dopo la tristezza della presidenza Pierce.

Harriet ha riempito la Casa Bianca di fiori e di gaiezza. Ha lottato per migliorare le condizioni di vita dei nativi americani nelle riserve indiane.

Le donne copiano le sue acconciature, tre navi sono state varate con il suo nome e "Listen to the Mockingbird" è una canzone a lei dedicata.

Si gode le sue rose premature Harriet: presto tornerà nella spaziosa casa di Wheatland, in Pennsylvania, assieme allo zio.

I prossimi diciotto anni saranno pieni di dolori per lei. Dovrà affrontare un lutto dopo l'altro: suo zio, suo marito Henry e i suoi due giovani figli.

Harriet sa che un giorno tornerà a Washington: lì lascerà il suo cuore e le amicizie più care. Si spegnerà all'età di settantatré anni a Washington, nella città che l'ha consacrata come la prima, moderna, first lady della storia.

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Capitolo 16
*** Lady Lincoln ***


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MARY

15 luglio 1871

Sabato. Un altro giorno da necrologio nella vita della signora Lincoln: suo figlio Thomas, diciotto anni appena, è spirato presso l'Hotel Clifton House di Chicago vinto dalla tubercolosi.

Riposerà a Springfield, nella tomba del Presidente, assieme al padre e a due fratelli già strappati alla vita. Sarà Robert, il Lincoln superstite, ad accompagnare il ragazzo nell'ultimo, mesto, viaggio.

Sua madre Mary è troppo sconvolta per affrontare questo nuovo lutto e si aggrappa ai ricordi, l'unica cosa che ormai la tiene in vita.

Thomas è stato il suo più grande conforto dopo l'assassinio di Abraham: è in sua compagnia che Mary ha viaggiato in Europa per riacquistare la salute. "Tad" lo chiamava affettuosamente il presidente perché, ancora bambino, aveva portato l'innocenza alla Casa Bianca.

"Si muove guizzante come un girino!"

Diceva orgoglioso il padre quando Tad interrompeva qualche riunione per mostrargli qualche insetto o piccolo animale che aveva scovato in giardino.

È uno dei rari momenti felici che Mary ricorda del soggiorno alla Casa Bianca, un sorriso in un periodo fatto di lacrime e di molti, troppi lutti: suo figlio Willie, fratelli e fratellastri periti a causa della guerra civile, le accuse di tradimento da parte degli Stati meridionali e una grave forma di depressione.

Questo le ha regalato la sua esperienza come first lady. Come è lontano quel tempo in cui la giovane Mary dichiarava sicura agli amici: "Sposerò un uomo che un giorno sarà presidente!"

Aveva avuto ragione ma a quale prezzo!

In questi giorni di luglio, giorni di disperazione, le sembra di tornare indietro nel tempo, di tornare a Washington, al quindici aprile, al venerdì santo di sei anni fa.

Rivede vividamente le poltroncine del Ford's Theater, la locandina della commedia musicale "Our American Cousin", Abraham che, sereno e compito, prende posto nel palco presidenziale accanto a lei.

"Così sia sempre per i tiranni!"

Il motto dello stato della Virginia, la frase storica di Bruto mentre finiva Cesare. Poi i colpi di pistola.

Mary non sa perché ma del momento in cui la sua vita andava definitivamente in frantumi ricorda nitidamente quella frase pronunciata dall'attore della Virginia. John Wilkes Booth: l'assassino di suo marito.

Abraham era morto a causa della guerra, come i soldati al fronte. La stessa guerra che aveva oscurato tutte le attività di Mary come first lady: nessuno ricordava il suo lavoro come infermiera volontaria negli ospedali dell'Unione, i consigli al Presidente, le visite nei campi, la forte volontà per divertire i combattenti tenendo altro l'umore all'interno dell'Unione.

Troppe tragedie si sono verificate nella vita di Mary perché venga ricordata per i suoi trionfi.

La morte di Tad è la proverbiale "goccia che fa traboccare il vaso": catapulterà Mary in un mondo di illusioni dove sarà perseguitata da omicidi e povertà.

Un mondo tutto suo dal quale Mary, ormai priva di senno, cercherà di fuggire cercando di gettarsi da una finestra.

Suo figlio Robert l'accuserà di follia e cercherà di farla internare in un manicomio, suscitando lo stupore e lo biasimo generale.

Il giorno del ricovero a Batavia, nel "Bellevue Insane Asylum" Mary tenterà per ben due volte il suicidio.

Sarà rilasciata solo dopo quattro mesi e affidata alle cure della sorella Elizabeth, unico affetto rimasto ad una donna che troppe volte dovrà confrontarsi con la morte.

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Capitolo 17
*** Lady Johnson ***


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ELIZA

30 settembre 1862

Rifugiata di guerra. Non c'è altro appellativo con il quale Eliza possa descrivere la sua situazione.

Quante privazioni e quante paure deve patire e sopportare!

Sono ormai diverse notti che lei e sua figlia Mary preparano cibo di contrabbando nelle inospitali grotte situate tra le montagne dove, invano, cercano di avere notizie del marito di Mary forse già perito in battaglia.

E, ora, oltre al danno anche la beffa: è prigioniera del generale Forrest a Murfreesboro.

Una detenzione di soli due giorni: oh ma lo strazio e il disonore!

Deve barcamenarsi nel caos della guerra Eliza, ormai vecchia e malata, senza nessuno che le dica cosa fare, dove andare o a chi chiedere aiuto. Così si ritrova a bussare di porta in porta, per chiedere un rifugio per la notte in case di sconosciuti, per sé e per la sua famiglia.

Finora ha avuto successo solo per una notte: dei simpatizzanti dei confederati, a malincuore, le hanno concesso asilo per una notte, non di più.

Così Eliza e sua figlia si ritrovano a vagare, a pernottare in un ristorante abbandonato, ignare di dove saranno domani, senza cibo e senza luce. Ma Eliza, previdente e scrupolosa, ha portato con sé le candele da casa e conserva sempre i resti di un panino di guerra del giorno prima per poter sfamare i suoi piccoli nipoti.

Del resto lei è nata nella povertà e ricorda bene cosa vuol dire passare le ore a far pelli e cuoi per sandali per incrementare il misero reddito di una famiglia di artigiani.

Era questo il suo mestiere quando incontrò Andrew, forse ancor più povero di lei. Si era subito invaghita di lui, fin dalla prima volta che l'aveva visto entrare in Greenville alla ricerca di un lavoro dignitoso.

Era diventato sarto e, per mesi, aveva fatto una discreta ma convincente corte ad Eliza.

A sedici anni Eliza lo aveva sposato e gli aveva insegnato a leggere e a scrivere.

Nella sua lunga carriera politica Andrew Johnson non è mai venuto meno al riconoscimento nei confronti della moglie, ringraziandola sempre pubblicamente perché lei lo ha sempre appoggiato nella carriera.

Solo una volta Eliza non è stata d'accordo con i metodi di Andrew: nel 1840 quando le ha affiancato nei lavori domestici Dolly e Sam, due schiavi afroamericani.

"La proprietà di esseri umani è una cosa ingiusta e immorale!"

Aveva protestato con veemenza sorretta dalla sua fede metodista.

Per ironia della sorte, Eliza non aveva mai visitato Washington, durante la lunga carriera del marito, prima che scoppiasse la guerra. Poi era tornata in Tennessee.

Ed ora eccola qui a vagare per il paese, a cercare di raggiungere un rifugio sicuro a Nashville.

Vi arriverà il 13 ottobre ma il viaggio in treno: oh quale incubo!

I passeggeri, simpatizzanti dei confederati, la molesteranno verbalmente, minacciando addirittura di morte i suoi figli.

Eliza affronterà tutto con rassegnato coraggio e con cieca fiducia in Andrew.

Le stesse doti che la sosterranno quando si ritroverà ad essere, all'improvviso, first lady d'America.

Una first lady silenziosa e nell'ombra a causa della sua salute cagionevole. Ma la sua fiducia in Andrew non vacillerà mai, mai. Nemmeno quando il Senato voterà l'impeachment per il Presidente.

"Sapevo che sarebbe stato assolto. Lo sapevo."

Dirà trionfante e sicura Eliza Mc Cardle quando la faccenda volgerà al meglio per quell'uomo che lei, imparandogli a leggere, ha contribuito a creare e ad annoverare nei libri di storia.

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Capitolo 18
*** Lady Grant ***


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JULIA

4 marzo 1877

Si sente come una trovatella, quasi un apolide, mentre sale sulla carrozza che la porterà lontano dalla Casa Bianca, che la strapperà per sempre agli otto anni più felici della sua vita. Gli anni in cui, con orgoglio, ha servito il Paese come first lady.

Sì perché, nonostante lì dentro sia diventata nonna, per Julia questi otto anni sono stati una seconda giovinezza, "una lunga estate di sole, fiori e sorrisi" al pari dell'infanzia a White Haven: un idillio sotto la protezione di quattro fratelli più grandi, a correre scalza per il bosco, a pescare e cavalcare a lungo per la piantagione della sua famiglia assieme a quei compagni di giochi che poi l'avrebbero chiamata "padrona".

La sua grande forza di carattere e la sua energia instancabile l'hanno accompagnata fino ad oggi dipingendola come una donna fiera e vincente.

"Sposerò un soldato. Un coraggioso, valoroso e audace soldato!"

Aveva fantasticato ancora studentessa e, di ritorno dal college, aveva incontrato Ulysses.

"Il ragazzo è troppo povero!"

Aveva protestato suo padre che si opponeva a quella nascente simpatia.

"Io sono povera al pari di lui!"

Aveva replicato l'orgogliosa Julia e la sua testardaggine aveva avuto ragione: trentasette anni di matrimonio felice, segnati da fiducia, amore e rispetto.

Ripensa a quei trentasette anni pieni di gioie ma anche di prove difficili l'ex first lady mentre la carrozza lascia Washington, a quel tempo così lungo che ora le sembra solo un attimo.

La lunga guerra del Messico che aveva impegnato Ulysses per quattro lunghi anni portandoli sempre a posticipare la data delle nozze e poi quel 22 agosto del 1848 quando, finalmente, lo aveva raggiunto all'altare radiosa e lo aveva chiamato marito per la prima volta.

"L'uomo più bello che abbia visto in vita mia!"

Aveva assentito quel giorno d'estate la giovane sposa.

Poi erano arrivati i loro quattro bambini e Julia si era costantemente presa cura di loro e, sei anni dopo, avevano ereditato ottanta acri di terra dal padre di Julia.

Lei era stata felice anche allevando polli e occupandosi della zangolatura del burro, definendosi fieramente " la moglie di uno splendido contadino".

Nel plumbeo cielo di marzo spaziano ora i cari ricordi legati alla "moglie del generale Grant", alla sua vita da Army Waives.

La guerra civile, Ulysses lontano da casa, le lettere e gli innumerevoli viaggi all'accampamento dove era alloggiato il marito, da sola o assieme al marito. E anche in quell'occasione, nonostante la paura e l'incertezza, ha vinto la caparbietà: Julia ha cercato di dare il suo contributo bellico, diventando un confidente fidato e dando suggerimenti ad Ulysses, pregandolo, invano, di inviarla come emissario per i colloqui di pace proposti dai Confederati nel 1864.

Aveva dovuto attendere altri cinque anni prima che gli anni di stress e difficoltà fossero ripagati con gioie e vittorie.

First lady degli Stati Uniti d'America!

Oh forse nessuna prima di lei e nessuna dopo sarà così orgogliosa di forgiarsi di quel titolo!

Julia ha partecipato attivamente alla vita presidenziale in questi otto anni, frequentando le udienze del Senato, leggendo le lettere del presidente, incontrando membri del governo.

Ci sono stati anche momenti difficili, è certo, come la grave depressione economica del 1873 e le accuse di corruzione mosse alla presidenza del marito.

Julia è sempre rimasta al fianco di Ulysses, nel bene e nel male come sempre, crogiolandosi nel suo ruolo di padrona di casa e della nazione.

Sorride ora e cerca la mano di Ulysses, ormai stanco, per intraprendere insieme un nuovo cammino insieme. La malinconia se ne è andata: Julia Dent affronterà le nuove sfide della vecchiaia con la determinazione che l'ha contraddistinta per tutta la vita.

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Capitolo 19
*** Lady Hayes ***


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LUCY

1867

" È così difficile essere donna!"

Lucy avviluppa le mani attorno al ventre arrotondato e si concede quel sospiro di frustrazione.

È una donna bella ed energica, impegnata ed acculturata: ha conseguito la laurea che non aveva ancora ventun anni eppure il fatto di dover rimanere sempre un passo indietro a Rutherford, di essere disinformata sulle decisioni politiche che la riguardano e che toccano il suo Paese la scoraggia.

"Se ci fosse stato un reggimento di donne a Fort Sumter non si sarebbe mai arreso!"

Si è lamentata con il marito quando è scoppiata la guerra di secessione. E durante quella guerra Lucy ha dimostrato tutto il suo sprezzante coraggio: nell'autunno del 1862, quando il braccio di suo marito è stato centrato dalla pallottola di un moschetto, non rimase a casa ma decise di raggiungerlo per prendersi cura di lui. Si avventurò erroneamente a Washington, poi a Middletown e, finalmente, nel Maryland dove Rutherford l'attendeva.

Non se ne è rimasta con le mani in mano allora Lucy: ha visitato gli ospedali in tenda, cucito e cucinato per i soldati che erano sotto il comando del marito. "Madre del Reggimento" l'hanno nominata gli uomini del ventitreesimo reggimento dell'Ohio.

Ora che si combatte una nuova guerra, una guerra che vede contrapposti nord e sud di uno stesso paese, Lucy si trova ancora in prima linea e confidente politico del marito.

A parlato alle donne meridionali per spiegare il suo sostegno al "suffragio dei Neri", si è adoperata per creare un orfanotrofio che accolga gli orfani di guerra in Ohio, insegna e si prende cura di pazienti sordi, muti e ciechi.

Non è facile essere una donna!

Lucy se lo ripete in questi momenti difficili, in questi momenti in cui è così stanca della politica. Sono momenti di incertezza proprio come quelli che precederanno l'elezione di Rutherford Hayes a diciannovesimo presidente degli Stati Uniti d'America.

Non ci sarà ballo inaugurale nel 1877 quando gli Hayes giungeranno alla Casa Bianca e l'elezione sarà in dubbio fino all'ultimo.

Le paure e le incertezze che aleggeranno attorno a quell'elezione saranno dissolte quando Lucy, vestita in nero e con i capelli semplicemente divisi in due sulla fronte, guarderà suo marito prestare giuramento e i giornalisti, i critici e i cinici saranno rassicurati dal suo viso bello e sereno.

La chiameranno "Lemonade Lucy" perché durante il mandato di Rutherford per espressa disposizione della first lady, fervente metodista, sarà bandita qualsiasi bevanda alcolica dalle cene ufficiali.

Diventerà tuttavia una delle donne più amate che abbiano transitato alla Casa Bianca grazie alla sua intelligenza e alla sua cultura, alla conoscenza del mondo politico e alla sua lunga e felice vita coniugale.

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Capitolo 20
*** Lady Garfield ***


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LUCRETIA

19 settembre 1881

Dovrebbe sentirsi arrabbiata, sollevata, disperata eppure nel cuore di Crete c'è solo un grande vuoto.

Sono state le ultime undici settimane a svuotarla di ogni energia e di ogni speranza: mesi lunghissimi spesi al capezzale di James in cui il coraggio e la calma che l'hanno contraddistinta le sono valsi l'ammirazione del popolo americano.

Chiude gli occhi e si lascia cullare dal rilassante rumore delle onde dell'oceano che si infrangono sulla battigia ad Elberon. Lo stesso mare del New Jersey che ha salvato lei da una morte quasi certa non è stato di nessun aiuto a James.

La pallottola che il 2 di luglio Charles Guiteau ha sparato contro il presidente è stata più forte di tutto, anche della voglia di vivere di James e della tenacia della sua Crete.

Pensa a quell'uomo ora Lucretia, all'assassino di suo marito che lei, pochi giorni prima che contraesse la malaria, aveva accolto in una riunione all'aperto. Aveva trovato quell'avvocato senza successo un "deluso ma loquace personaggio". Dovrebbe indignarsi e, invece, quasi sorride per l'assurdità di come quell'uomo abbia posticipato l'assassinio di James.

Guiteau aveva già provato a sparare al presidente, alla stazione ferroviaria di Washington poche settimane prima di luglio. Quel giorno James aveva accompagnato proprio lei perché prendesse il treno: era quasi morta per la malaria e i medici erano concordi nel dire che l'aria salata, di mare, di Elberon le avrebbe giovato.

Lucretia era così sottile e debole quel giorno che Guiteau all'ultimo aveva desistito dal suo proposito volendo risparmiare alla first lady l'angoscia di essere una testimone dell'uccisione del marito.

Ora che è solo l'ombra di se stessa, un pensiero subdolo le attraversa la mente: forse sarebbe stato meglio che l'assassino non avesse un simile gesto cavalleresco per lei, forse sarebbe stato meglio che James morisse subito.

Quante sofferenze si sarebbero risparmiate a lui e a lei.

Ora che siede al suo capezzale e fissa quell'uomo incapace di gesti di tenerezza in vita ormai esamine si rende conto di averlo amato nonostante tutto.

Lo ha amato nonostante lui l'abbia sposata più per "dovere" che con "passione".

Lo ha amato nonostante per lui abbia rinunciato all'insegnamento e alla meravigliosa sensazione di indipendenza che, all'epoca, le aveva dato il poter vivere da sola.

Lo ha amato nonostante i suoi primi sei anni di matrimonio siano stati in realtà soltanto sei settimane a causa delle numerose assenze di James, nonostante la rabbia e la frustrazione espressa nelle lettere in cui lo accusava di scarsa passione verso di lei.

Lo ha amato nonostante Rebecca Selleck e Alameda Booth. Ha saputo perdonare i tradimenti Lucretia quando lui ha confessato e si è rammaricato e, con dignità, ha saputo mantenere in piedi il suo matrimonio e dare alla luce sette figli.

Ricorda come fosse ieri il giorno in cui James le ha annunciato la sua candidatura a presidente: lei stava lavando un pavimento. All'inizio Crete si era opposta alla corsa alla "Casa Bianca" ma quando James le aveva detto che avrebbe accettato la candidatura solo con il suo consenso si era sentita importante e aveva messo da parte la sua privacy per contribuire al successo del marito.

Dopo le elezioni aveva viaggiato in incognito, sotto il falso nome di "Mrs Greenfield" per fare da messaggero tra suo marito e un membro della fazione repubblicana di New York "Stalwarts".

Aveva svolto l'impiego a malincuore ma non si era tirata indietro.

Eppure, alla cerimonia di insediamento, James ancora una volta l'aveva messa in secondo piano. Dopo il giuramento aveva baciato sua madre anziché sua moglie, elegante nel suo abito viola accanto alla first lady uscente Lucy Hayes.

All'inizio quel nuovo ruolo da first lady l'aveva intimorita ma poi gli inviti a scrittori e ospiti celebri, venire a conoscenza delle storie delle famiglie dei presidenti passati aveva acceso in lei l'interesse per la storia della "Casa Bianca" tanto da progettarne una ristrutturazione.

Quelle stesse stanze, ricche di storia e di aneddoti, in cui si è corsa freneticamente nelle ultime settimane, le cucine dove ha preparato pasti sostanziosi e nutrienti per James, i divani dove si è accasciata sfinita, e ancora convalescente anche lei, alla sera.

La Casa Bianca sembra ora a Lucretia un castello lontano.

C'è la casetta di Elberon e l'oceano rassicurante e confortevole. E poi ci sono lei e sua figlia Molly a far la veglia al defunto.

Torna alla realtà e si rimette in piedi con contegno: dovrà pensare al funerale e alla sepoltura di suo marito. E li affronterà con lo stoicismo che l'ha sempre contraddistinta.

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Capitolo 21
*** Lady Arthur ***


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ELLEN

1881

La piccola margherita che fungeva da segnalibro è rimasta nelle pagine centrali del romanzo che Ellen stava leggendo, l'ago da cucito è rimasto affisso sul lavoro di ricamo e i due uccelli da compagnia cinguettano nelle loro gabbie.

Tutto è rimasto come se Nell dovesse tornare da un momento all'altro e riprendere la vita di sempre nella casa di New York.

Chester ha voluto che nulla fosse toccato o spostato e ha trasformato la stanza della moglie in una sorta di museo della memoria.

"Potranno tributarmi tutti gli onori di questo mondo ma io non sarò mai più quello di una volta!"

Con questi pensieri amari il ventunesimo presidente degli Stati Uniti ha accolto la sua nomina. Sarà un buon presidente ma felice non riuscirà ad esserlo mai più.

La sua bellissima Nell, dal portamento elegante e dalla voce soave, se ne è andata a quarantadue anni, appena un anno prima che potesse diventare la donna più ammirata del Paese.

La vetrata della Saint John Church, che Chester può vedere illuminata nella notte dalle stanze del secondo piano della Casa Bianca, è stata realizzata in memoria di Nell.

A lei avrebbe fatto piacere: quella è stata la chiesa della sua infanzia.

Chissà quante volte cantando nel coro su Lafayette Square, la piccola Ellen aveva volto il capo dall'altro lato della strada, su quella Casa Bianca dove tante volte era stata ospite di Dolley Madison e magari aveva fantasticato di diventarne padrona di casa un giorno.

Oh se solo avesse saputo che sarebbe arrivata appena ad accarezzarlo quel sogno di bambina!

Invece lascia a Chester i loro due bambini, i rimpianti e i sensi di colpa.

Appena due anni fa, stanca delle continue assenze del marito, stanca di sentirsi trascurata, stanca di dover affrontare i dolori da sola, Ellen è stata vicina a lasciare il marito.

Chester non c'era quando William, il loro primogenito, è morto che non aveva ancora compiuto tre anni.

Chester era oberato dagli impegni politici quattro anni fa, quando Ellen fu costretta a compiere il viaggio più lungo e difficile della sua vita da sola. Un viaggio transatlantico, fino in Francia, per recuperare i resti della signora Herdon morta improvvisamente.

L'ha lasciata da sola ad affrontare la perdita della persona più importante della sua vita. Quella madre che per Ellen, figlia unica e con un padre morto eroicamente durante un naufragio, era stata tutto. Era stata madre, amica, sorella, confidente, idolo e famiglia.

Non ha capito Chester quanto il vuoto incolmabile lasciato da quella perdita abbia messo in pericolo la salute di Ellen, scioccata, nervosa e depressa.

La bella voce era quello che restava alla sua "mogliettina ribelle". L'aveva chiamata, affettuosamente, così la sua caparbia Nell durante la guerra civile quando vi era stato più di uno scontro verbale tra di loro.

L'insistenza di Ellen, allora, era stata decisiva perché Chester intervenisse a salvare dalla prigione Dabney Hardon, chirurgo dell'esercito confederato, quel cugino che, anni prima, li aveva fatti incontrare a Saratoga.

Non può perdonarsi Chester per averla lasciata sola anche nella fine. Non può perdonarsi il fatto che sia stata proprio quella voce incantevole, da soprano, a portarsi via Ellen.

I "Mendelssohn Glee Club", un gruppo amatoriale formato nel 1866 che si esibiva in concerti musicali era stato un punto di rinascita per Ellen che vi si era unita soprattutto quanto i proventi venivano devoluti in beneficenza.

Era andata ad assistere ad un loro concerto la gelida notte del 13 gennaio di un anno addietro. Aveva preso freddo mentre aspettava la sua carrozza.

Il raffreddore si era trasformato in polmonite e se l'era portata via nel giro di tre giorni.

Chester, che si trovava ad Albany, aveva ricevuto un telegramma e aveva strappato un passaggio a un carro del latte per correre a New York, per correre al capezzale della moglie morente.

Aveva fatto in tempo a darle un ultimo bacio.

E questo, quest'ultimo gesto d'amore mitiga i sensi di colpa di un uomo innamorato.

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Capitolo 22
*** Lady Cleveland ***


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FRANCES

Marzo 1889

"Prendetevi cura della casa finché non torneremo!"

La signora Cleveland, venticinque anni appena, dà precise disposizioni al personale della Casa Bianca. Impartisce gli ultimi ordini prima di partire e, da buona padrona di casa, si assicura che tutto resterà in ordine nella sua lunga assenza.

Tra tre anni ritornerà, ne è certa.

Grover è stato appena sconfitto: Benjamin Harrison ha vinto per voti elettorali ma non nel cuore della gente ma è diventato ugualmente il nuovo Presidente.

Alla scadenza del suo mandato, però, Grover avrà la sua rivincita e i Cleveland torneranno a Washington, Frances lo sa.

Lei che in quegli spazi è diventata moglie, madre e la più giovane first lady della storia sa che la Casa Bianca, in fondo, un po' le appartiene.

Se pensa che potrebbe esserci sua madre Emma al fianco di Grover al posto suo le viene quasi da sorridere. Così come quando ripensa all'eventualità sfiorata che, anni addietro, Grover potesse diventare tutore della sua futura moglie.

Eppure per Frances i ventisette anni di differenza di età con il marito non sono mai stati un problema. Non l'ha mai imbarazzata il fatto che Grover fosse un vecchio amico di suo padre Oscar, morto in un incidente in carrozza, e che la conoscesse fin da quando era neonata.

Forse l'aveva addirittura presa in braccio, cullata, vezzeggiata come fosse stato il suo padrino, ignaro di star giocando con la sua futura moglie.

Che delusione che era stata per sua madre Emma in quella primavera del 1885 quando, durante un viaggio a Washington con Frances, il Presidente aveva chiesto la mano della ragazza! La vedova Folsom non aveva visto di buon occhio quell'impegno, complice un po' di gelosia verso la figlia: sperava infatti che Grover proponesse a lei di sposarlo.

Tuttavia il 2 giugno dell'anno successivo, Emma era stata la prima a baciare la figlia fasciata nel suo abito bianco e a congratularsi con lei nella "Sala Blu" della Casa Bianca.

Frances Cleveland, ventun anni appena, l'unica first lady a sposarsi alla Casa Bianca, era pronta a conquistare l'America.

L'immagine di Frankie, come l'ha ribattezzata la stampa, (un nomignolo che lei odia) è apparsa su fazzoletti, tovaglioli, carte da gioco e volantini già durante la campagna elettorale di Cleveland, nonostante il dissenso di Grover.

Secondo il Presidente: "una donna non dovrebbe impegnare la sua testa su partiti politici e questioni pubbliche". Sebbene la giovane Frances si sia astenuta da entrambe le cose non sarà ricordata soltanto per i suoi abiti scollati che, secondo i benpensanti, esercitano una cattiva influenza sulle ragazze americane o per il suo volto bello e vivace che è stato utilizzato, talvolta in maniera subdola, per pubblicizzare prodotti dalle piastrelle in ceramica alle caramelle, dal kit da cucito ai profumi per donna.

La "Sposa della Casa Bianca" si è battuta perché alle ragazze venisse riconosciuta la stessa educazione dei giovani uomini, ha fatto un concreto sforzo per sostenere la carriera di giovani musiciste in un epoca e in un settore predominato dagli uomini e, grazie alla sua sponsorizzazione, una giovane violinista è stata la prima americana a vincere il prestigioso premio Mendelsoohn Stipendium a Berlino.

Ha raccolto fondi per acquistare un edificio da adibire ad orfanotrofio, è stata uno dei membri più in vista del "Colored Christmas Club" che fornisce cibo e vestiti ai bambini poveri.

Ma, soprattutto, la bella Frances ha contribuito a cambiare l'immagine di Grover Cleveland: da grossolano politico di Buffalo e amante della birra a marito devoto e padre premuroso.

Sarà un pilastro anche durante il secondo mandato di Grover Cleveland, nonostante la depressione economica che impoverirà il Paese.

Quando tornerà alla Casa Bianca, Frances non sarà più una ragazza ingenua e sognatrice ma una donna matura.

Sarà una Frances diversa ma sempre capace di farsi amare dagli americani.

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Capitolo 23
*** Lady Harrison ***


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CAROLINE

Settembre 1892

"C'è qualcosa che posso fare per te?"

Benjamin è premuroso e presente in questo periodo così difficile per lei e Carrie quasi si pente di aver dubitato di suo marito.

"No, grazie!"

Sorride lei, quasi rassegnata prima di perdere conoscenza.

La tubercolosi se la sta portando via e la malattia e la depressione l'hanno torturata per l'estate intera tanto da far galoppare la sua fantasia, tanto da convincere Caroline che suo marito si sta innamorando di Mary Lord Dimmick, segretaria e nipote di lei.

Vorrebbe rimettersi in salute, pentirsi dei suoi sentimenti di rancore, chiedere scusa al suo Benjamin.

Vorrebbe tornare ai tempi della loro giovinezza, quando Benjamin aveva lasciato il collegio degli agricoltori per proseguire i suoi studi alla Miami University. Aveva scelto Miami non solo per costruirsi una buona reputazione ma, soprattutto, per essere vicino alla sua Caroline Scott, la sua "danzatrice dagli occhi marroni".

Caroline è sempre stata amante del divertimento. Un vulcano di energie e di passioni capaci di rendere più spigliato anche un ragazzo rigido e serio come Benjamin. Caroline era frizzante e allegra al pari di quanto il suo futuro sposo era serio, quasi solenne.

Quante risate si erano fatti Caroline e Benjamin quando, ancora fidanzati, lei lo aveva trascinato in sfrenate danze contro la volontà di suo padre!

Solo la cattiva salute aveva messo un freno al carattere esuberante di quella ragazza amante dei libri e della pittura.

Caroline, così sensibile che facilmente poteva essere ferita ma che non portava mai rancore, si deprimeva facilmente quando non stava bene.

Amava la sua famiglia e riusciva a scorgere il lato divertente in qualsiasi problema.

Erano stati i problemi respiratori che l'avevano tediata per tutta la vita, però, a far sempre preoccupare Benjamin per lei e ad intimarle, amorevolmente, di prendersi cura di sé anche se questo aveva comportato rinunciare all'insegnamento.

Benjamin che, dopo essere stato lontano durante la guerra di secessione ed essere stato per questo rimproverato nelle lettere scrittele dalla moglie, non l'ha mai più trascurata da quel momento. Non è mai stato un marito assente o un padre negligente per i loro due figli e anche ora, anche nella fine, è vicino a questa first lady oscurata da chi l'ha preceduta e da chi le succederà.

Caroline, che ha portato l'elettricità nella Casa Bianca anche se ne ha avuto tanta paura da non osare neppure premere gli interruttori, Carrie che è stata la prima ad addobbare l'albero di Natale nella casa più famosa d'America, nonostante il dolore ancora fresco per la morte di sua sorella, si spegnerà nel silenzio.

Si spegnerà tra le braccia di Benjamin, confortata dal delicato profumo dei suoi amati fiori.

La first lady più sottovalutata della storia americana lascerà il mondo proprio come ha lasciato la Casa Bianca: in punta di piedi.

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Capitolo 24
*** Lady Mckinley ***


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IDA

Settembre 1901.

Stringe forte il fazzoletto nella mano serrata a pugno. Quel fazzoletto che non asciugherà nessuna lacrima mentre la bara del Presidente sfila per l'ultimo saluto a Canton.

Sono stati tre giorni lunghissimi, tre giorni in cui il treno che trasportava la salma di William McKinley ha percorso mestamente il tragitto da Buffalo a Washington, a Canton. Ida ha avuto un moto di stizza, un gesto di rabbia e di frustrazione, quando molte delle sue richieste non sono state ascoltate come quella di esporre pubblicamente la bara aperta del Presidente prima della sua sepoltura.

Sono stati giorni difficili e lunghissimi per Ida eppure non piange. Non piange semplicemente perché non ha più lacrime da versare.

Che altro possono toglierle gli dei?

Stringe forte quel fazzoletto orlato di pizzo, quel rettangolino di stoffa che, tante volte, William le ha premuto teneramente sulla bocca durante i pranzi alla Casa Bianca, durante una delle sue crisi convulsive.

Hanno stravolto ogni protocollo i McKinley e hanno animato diverse chiacchiere quando la padrona di casa non sedeva dall'altro lato della tavola ma affianco del Presidente, affianco di William che si è sempre preso cura di lei come un marito premuroso.

In fondo Ida ha già perso molto prima che gli spari di Leon Czlogosz le portassero via l'unica fonte d'amore rimastale.

Ha perso sua mamma che era ancora un'adolescente. Quella mamma, leader sociale per le donne di Canton, che si batteva per l'istruzione delle donne e per la schiavitù e alla quale lei, di ritorno dal college, dava una mano a cucire le uniformi per i soldati impegnati nella guerra civile.

Ha perso la sua piccola Ida. Quattro mesi appena per stringerla tra le braccia.

Ha perso Katherine, la bimba che portava il nome della madre e che era arrivata come un dono di Natale nel 1871. Katie che era il suo raggio di sole, il piccolo uragano capace di riempire di gioia, di risate e di amore la vita di Ida e di William. Katie che la scarlattina si era portata via a soli quattro anni.

Che senso ha la vita quando perdi le tue bambine? Una mamma orfana dei suoi piccoli non vive più, al massimo sopravvive.

Nonostante tutto, nonostante la perdita di Katie fosse stata un colpo durissimo, nonostante le tragedie e un incidente che l'aveva portata a ferirsi alla testa con un corpo contundente, nonostante danni neurologici ad una gamba e innumerevoli malanni, Ida Saxton aveva trovato la forza di rialzarsi.

Certo la donna vivace dagli occhi azzurri, dalla pelle candida, e dai lunghi capelli ramati, quella ragazza caparbia che aveva insistito tanto per ottenere un impiego nella banca del padre e si era ritrovata a fare la contabile in un ambiente prettamente maschile sollevando le maldicenze delle menti becere del tempo. è solo uno sbiadito ricordo.

Al suo posto c'è una petulante malata dal viso pallido e tirato e dai corti capelli grigi. I suoi occhi vitrei, offuscati dal ricordo della felicità dei primi anni di matrimonio, possono essere placati solo con i sedativi.

Due anni di felicità e venti di malattia. Ne valeva davvero la pena?

Ida non può fare a meno di porsi questa domanda mentre la bara di William, del Presidente assassinato, viene calata nella terra.

Ripensa al primo incontro con William ad un picnic sul lago Meyer.

Ripensa a Katie e alla piccola Ida e alla gioia immensa ma breve nello stringerle tra le sue braccia.

Ripensa al giorno dell'insediamento alla Casa Bianca. A lei che è andata contro i suoi limiti fisici per mostrarsi una first lady all'altezza, arrivando in treno dall'Ohio, partecipando al ballo d'inaugurazione per poi svenire stremata.

Ripensa a tutte le gioie e i dolori che ha condiviso con William, a tutte le volte che lui si è preso cura di lei amorevolmente.

Ripensa all'ultimo saluto che le ha rivolto William, a Buffalo, prima di andare a visitare i luoghi dell'Expo. Quel "Tornerò presto" continua a ronzarle nelle orecchie e a farla macerare nei perché e nei sensi di colpa: se solo non fosse stata malata, se solo non avesse avuto timore di mescolarsi in mezzo alla folla...forse quell'anarchico non avrebbe sparato.

Ma non c'è spazio per i rimpianti: Ida ha solo una certezza.

Sì, nonostante tutto ne è valsa la pena!

Si dice mentre le prime lacrime la investono e le fanno bene come le acque piovane che rigonfiano un fiume in secca.

Perderà per sempre la gioia di vivere Ida, andrà avanti sorretta dai suoi ricordi. Nei prossimi anni visiterà la tomba di William ogni giorno, finché il cielo non le renderà grazia ricongiungendola alla sua famiglia.

**** ***

Ringrazio quanti continuano a leggere questa raccolta, chi recensisce, chi ha inserito la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate...A presto^^

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Capitolo 25
*** Lady Roosevelt ***


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EDITH

2 dicembre 1886

Sistema il velo di pizzo sullo chignon castano mentre la carrozza avanza verso la chiesa anglicana di St. George, ad Hanover Square, Londra.

Edith ha aspettato tutta una vita, quasi per tutti i suoi verdi venticinque anni, per coronare il suo sogno: sposare Theodore, anche se pronunzieranno il fatidico "si" nella piovosa Inghilterra, così lontano dal Connecticut, dal patinato mondo di New York.

Il bouquet di roselline che stringe tra le mani ondeggia lievemente tra le mani nervose della sposa.

Ha aspettato a lungo, ha superato mille difficoltà e prove del destino, si era quasi rassegnata ma, alla fine, l'ha spuntata lei.

Ha sempre saputo che sarebbe stato Teedie a condurla all'altare, un giorno.

Lo sapeva la prima volta che è entrata in casa dei Roosevelt come amica di Corinne e ha finito per stringere amicizia con quel bambino allegro, chiassoso e ambizioso. Lo sapeva mentre le loro mani si intrecciavano, casualmente, durante i giochi che hanno condito la loro infanzia di risate, quando, da gentiluomo, l'aiutava a salire in barca durante le spensierate vacanze estive a Long Island e a Oyster Bay.

Niente ha scalfito la convinzione di Edith. Nemmeno la lontananza, grave nemica degli amori giovanili, ha scalfito i suoi sentimenti quando lei e Theodore si sono separati per andare a studiare ad università differenti.

Lei, una ragazza tranquilla e amante dei libri, aveva toccato il cielo con un dito quando, ancora sedicenne, era stata così vicina a diventare la signora Roosevelt. Se soltanto suo nonno e il padre di Theodore non avessero avallato le loro ferme proteste, opponendosi assurdamente a quell'unione che, a loro dire, sarebbe stata sfortunata a causa di quelle malelingue che tacciavano presunti problemi di fertilità all'interno della famiglia!

Era stata a piangere per una settimana chiusa in camera sua, allora, Edith.

Eppure la sua convinzione è sempre rimasta ferma. Anche dopo quella violenta litigata che lei e Theodor avevano avuto nell'estate del 1878.

Anche quando tutto sembrava perduto e Theodore infilava la vera nuziale all'anulare di Alice Lee Hathaway. Allora Edith aveva giurato che, se non avesse potuto avere Theodor, avrebbe preferito restare nubile a vita.

Aveva incontrato Alice, bella e delicata, durante una vacanza invernale a casa dei Roosevelt e, benché avesse dovuto odiare colei che si era presa la vita che aveva sempre sognato per sé stessa, aveva finito per essere affabile e gentile con quella ragazza di Brookline che aveva stregato il cuore di Theodore.

Si era messa il cuore in pace, o perlomeno ci aveva provato, e aveva iniziato a ripensare al matrimonio. Certo non si sarebbe sposata per amore ma un marito ricco le avrebbe dato sicurezze.

Poi Alice era morta poco dopo aver dato alla luce la sua primogenita. Theodore si era chiuso nel suo dolore perché perdere l'amata moglie e la mamma nello stesso giorno era qualcosa di disumano, e incontrare di nuovo Edith era stata una casualità. Una fortunata casualità.

Edith ora sa che, anche quando tutto sembra perduto, c'è sempre speranza.

Ci ha creduto anche quando Theodore l'ha gelata con quella frase: "Io sono sempre stato contrario alle seconde nozze. Ritengo che mostrino debolezza nel carattere di un uomo!". Edith aveva ingoiato il boccone amaro e si era allontanata con le lacrime agli occhi.

Nel novembre, però, Theodore le aveva proposto di diventare la signora Roosevelt. E lei aveva accettato senza esitazioni.

Così hanno passato l'ultimo anno a progettare il loro matrimonio in gran segreto, divertendosi e amandosi come due amanti clandestini.

Edith poggia il bouquet sul suo ventre piatto. Quel ventre che presto sarà arrotondato da ben cinque gravidanze.

Anche la bambina che Theodore non ha più voluto vedere dalla morte di sua moglie, quella bambina che ha affidato alle cure della sorella e che, portando lo stesso nome della madre, viene semplicemente chiamata "Baby Lee", per non rinnovare il dolore di Theodore verrà a vivere con la sua nuova famiglia.

Edith l'amerà come se fosse figlia sua, vorrà chiamata da lei "mamma" e non ricalcherà gli stereotipi della matrigna di Cenerentola.

Ci saranno tanti contrasti tra Edith e la "principessa Alice" ma sarà proprio la matrigna, con la sua tenacia e la sua severità, a salvarla dalla poliomielite.

Avanza, raggiante, nella navata centrale della chiesa come qualsiasi sposa nel giorno più bello della sua vita. Avanza con la stessa dignità che la contraddistinguerà quando la tragedia dei Mckinley la porterà alla Casa Bianca.

Edith sarà sempre gelosa della sua privacy e di quella dei suoi figli, bandendo ai curiosi i piani superiori della casa più famosa d'America.

Essere mamma sarà la sua grande vocazione di vita ma si batterà perché venga riconosciuto il diritto di voto alle donne.

Perché, in fondo, Edith l'ha sperimentato sulla sua pelle: quando tutto sembra perduto, c'è sempre speranza.

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Capitolo 26
*** Lady Taft ***


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NELLIE

1900

Ama le sfide. Quando si è sposata, quattro anni fa, Nellie Herron è stata ferma nella sua convinzione di non diventare la signora Taft solo per mettere su famiglia, per essere una sposa tradizionale.

Nellie ha cercato in Will soprattutto un partner che la rispetti e che incoraggi i suoi interessi per la politica e l'economia attuale.

Ora, quattro anni e tre figli dopo, è pronta a lasciare i confortevoli e colti salottini frequentati da intellettuali e letterati, i luoghi in cui si è dipanato il corteggiamento di Will, per affrontare l'ignoto.

Nellie ama mettersi in gioco come ha fatto subito dopo il matrimonio diventando maestra d'asilo a Cincinnati e rinunciando ad uno stipendio, offrendosi di insegnare ai piccoli allievi come volontaria seguendo l'esempio di sua suocera, una delle fondatrici del movimento della scuola materna libera a Cincinnati

Finché non era rimasta incinta di Robert e non era più tornata al lavoro.

Ora però partirà insieme a Will e ai loro tre bambini per l'Asia, per quelle Filippine dilaniate dalla guerra ispano-americana.

Il presidente McKinley ha offerto a Will la carica di governatore generale di quelle isole e Nellie cerca di far capitolare il marito, di fargli vincere ogni perplessità ed invogliarlo ad accettare. Lei, che lo esorta ogni giorno, sembra la più entusiasta di trasferirsi a Manila assieme alla sua famiglia.

Quella stessa donna che, ancora ragazzina, durante una visita alla Casa Bianca durante la presidenza Hayes ha promesso di vivere un giorno in quella residenza faraonica si sente ora a proprio agio a vivere nelle parche residenze e a rispettare gli indigeni filippini.

Mostra verso quel popolo un rispetto non convenzionale, quasi inaudito, per una donna anglosassone. Eppure mentre Will è in servizio per gli Stati Uniti, Nellie si prodiga per aiutare i bambini del posto che beneficiano del programma nutrizionale "Goccia di latte" da lei fortemente voluto.

Ha sconvolto l'establishment militare americano rompendo il rigido codice precedente che non ammetteva di invitare i nativi ad eventi sociali.

Sta facendo uno sforzo, concentrata e determinata, per imparare la lingua e la cultura delle varie regioni dell'isola. Nellie non ha la boria della conquistatrice ma l'umiltà della visitatrice, di un ospite che si sente ben accolta.

Manterrà lo stesso entusiasmo nei viaggi in Giappone e Cina e durante una speciale missione diplomatica in Vaticano.

Quando tornerà a Washington troverà la sua vita come moglie di un membro del Gabinetto avvilente e noiosa.

La campagna elettorale per la presidenza di Will, durante la quale lei resterà in ombra ma non si esimerà nel dargli consigli sulla postura da tenere e persino sulle parole da usare, ridarà a Nellie l'entusiasmo di un tempo.

Dovrà attendere il 1908 per sfilare, orgogliosa, affianco del nuovo Presidente durante la parata inaugurale per coronare il suo sogno da ragazzina.

Farà un grande cambiamento alla Casa Bianca sostituendo gli uscieri maschi bianchi con uscieri afro-americani in uniforme. Una posizione di personale domestico ritenuta, però, di gran prestigio.

Appena undici giorni essere diventata first lady si incontrerà con i leader di Washington NCF per migliorare le condizioni di lavoro, soprattutto per le donne.

La voglia di fare, le idee e le iniziative di Nellie, però, resteranno realizzate solo per metà. Il 17 maggio 1909 un ictus le causerà problemi di afasia e dovrà imparare di nuovo a parlare.

Limiterà le sue apparizioni in pubblico, soprattutto per nascondere il suo difetto di pronuncia residuale e sarà assistita dalla figlia Helen e dalle sorelle durante le sue funzioni di first lady.

Per la prima volta la donna impavida e temeraria, capace di sfidare un popolo e una cultura che non gli erano affini, sempre ferma nelle proprie decisioni, avrà bisogno di aiuto. Avrà bisogno che altri decidano per lei.

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Capitolo 27
*** Lady Wilson ***


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EDITH

ottobre, 1919

La chiamano la "Presidentessa segreta". La prima "donna presidente" degli Stati Uniti d'America, in un certo qual senso.

Edith però non ha il tempo per pontificare, per gloriarsi di un titolo e di una responsabilità così grandi.

Woodrow è stato colpito da un ictus e lei deve fare di tutto per salvare la presidenza del marito, per far si che non sia costretto a dimettersi e che Thomas Marshall, il vice-presidente, ne approfitti per giurare sulla Bibbia.

Farà di tutto, anche giocare sporco , dire bugie, portare avanti una campagna di disinformazione. Il congresso e l'opinione pubblica dovranno credere che il Presidente soffre semplicemente di un esaurimento temporaneo e che basterà un periodo di riposo perché si rimetta in forze.

Edith, in uno dei capitoli più drammatici della storia presidenziale, diventerà l'unico canale di contatto tra il presidente Wilson e il suo gabinetto . Non permetterà a Thomas Muller di giocare d'anticipo, neanche di assumere responsabilità o incarichi temporanei.

Si sobbarcherà lei tutti gli oneri e il peso delle sue bugie. Edith, nel cui sangue scorre la passione indomita, combattiva, orgogliosa di Pocahontas, non si darà per vinta nemmeno questa volta.

Non si è data per vinta quando, nonostante le sue idee romantiche, ha trascorso un'infanzia da aristocratica sfollata costretta a vivere in una stanza affollata, sopra un negozio, assieme a numerosi fratelli e parenti in una zona rurale della Virginia occidentale.

Non si è data per sconfitta quando il suo primo e unico figlio, un bambino al quale non avevano dato nemmeno un nome, è morto dopo soli tre giorni di vita lasciandola infertile. La stessa dignità l'ha dimostrata cinque anni dopo quando anche Norman Galt, il suo primo marito, l'ha lasciata vedova che non aveva ancora quarant'anni.

Non ha avuto esitazioni ad accettare la proposta di matrimonio di Woodrow, vedovo al pari di lei, dopo soli tre mesi dal loro primo incontro e dopo lo scambio di tante lettere che mescolavano politica ed amore.

Non si è lasciata abbattere neppure quando nell'aprile del 1917 gli Stati Uniti sono entrati nella Grande Guerra. Allora Edith ha guidato la raccolta fondi con la vendita di lana tosata da pecore lasciate pascolare nei giardini della Casa Bianca; ha fatto volontariato presso la sede della Croce Rossa a "Union Station", da dove i soldati erano in partenza per il fronte bellico; ha divulgato avvertimenti pubblici per i soldati in partenza per metterli in guardia contro le malattie veneree che avrebbero potuto contrarre in un Europa dilaniata. Ha dato il buon esempio razionando il cibo e stabilendo solo alcuni giorni alla settimana in cui carne, grano e benzina potevano essere usati per destinare queste risorse allo sforzo bellico.

Non si darà per vinta nemmeno questa volta. Sarà il suo periodo di stewardship . Sarà compagna, filtro e custode per suo marito. E anche se il Gabinetto riceverà spesso rispose confuse e i documenti ufficiali saranno accompagnati da note indecifrabili annotate con la calligrafia femminile di Edith, lei assolverà i suoi compiti. Amministrerà con la stessa fierezza dei suoi avi, con la stessa compostezza con la quale, nel novembre 1918, ha affiancato le teste coronate europee.

Il primo viaggio da first lady in Europa assieme a Woodrow che, un anno dopo, è andato in Europa per visitare le truppe e firmare il trattato di Versaille assieme alle potenze vincitrici. La prima first lady a spiccare tra tante regine, un ruolo, tipicamente americano, riconosciuto finalmente a livello internazionale.

La prima first lady riconosciuta da tutto il mondo. La prima Presidentessa segreta

Edith è orgogliosa, certo, ma si sente anche intrappolata e inesperta in una veste insolita e nuova.

Porterà a riscrivere un emendamento alla costituzione per stabilire come si ci debba comportare quando il Presidente in carica è impossibilitato a svolgere, temporaneamente, il suo ruolo ma dovrà smettere presto di giocare a governare l'America

Woodrow si riprenderà presto ed Edith, la discendente di Pocahontas, l'eroina moderna, potrà tirare un sospiro di sollievo nel non dover raccontare più bugie al Congresso e all'America intera.

*** ***

Edith la seconda moglie di Woodrow Wilson era discendente di Pocahontas da parte del nonno.

Stewardship: amministrazione.

Ringrazio quanti continuano a leggere questa raccolta.

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Capitolo 28
*** Lady Harding ***


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FLORENCE

1923

"Il mio unico hobby? Mio marito!"

Ha sempre chiosato così alle domande dei curiosi e ora che insinuano, che scrivono addirittura libri per calunniarla e distruggerne la reputazione, Florence si sente una vittima.

Lei che vittima non lo è stata mai.

Forse quest'idea folle che hanno di lei è solo una metafora di quell'incompetente di Sawyer, il medico omeopatico nel quale ha riposto la sua piena fiducia perché si prendesse cura della salute del Presidente.

Certo il matrimonio tra lei e Warren non è stato privo di dispiaceri, di tradimenti, di scandali eppure Florence ha sopportato tutto sempre a testa alta. Come possono arrivare ora muoverle un'accusa tanto grave?

Marcia Champrey, la nota chiromante della capitale glielo aveva predetto, e ora la first lady appassionata di astrologia non può far altro che rimuginare su quella profezia: Warren Harding sarebbe stato eletto presidente ma sarebbe morto prima di terminare il proprio mandato.

Non è certo se sia stato un infarto o un colpo apoplettico a stroncare la vita di Warren a cinquantasette anni: era in viaggio in California.

La sua posizione ha iniziato a vacillare quando sono venuti fuori gli affari loschi e poco chiari in cui è stata coinvolta la "cricca dell'Ohio", come viene definito l'entourage di Harding, e lui si trovava a San Francisco proprio per cercare di recuperare credibilità.

Florence, che pochi mesi prima ha insistito per fare un viaggio in Alaska con il Presidente, era con lui. Voleva salvare il loro matrimonio dopo averlo minacciato, più volte, di voler chiedere il divorzio: la giovane Nan Britton è solo l'ultima della lista e sostiene anche di aver dato una figlia al presidente. Quella figlia che Florence non è stata in grado di partorire.

Ha avuto solo un figlio Florence: Marshall Eugenie, nato dal suo primo matrimonio. Lo ha avuto a diciannove anni dopo una fuga d'amore con un suo amico d'infanzia. Un uomo all'apparenza romantico rivelatosi poi un incallito bevitore che non ha esitato ad abbandonare Florence con Marshall ancora in fasce.

Anziché piangersi addosso lei ha chiesto il divorzio per negligenza, lo ha ottenuto e, fatti armi e bagagli, se n'è tornata dal padre riprendendo il suo cognome da nubile.

Quando ha conosciuto e ha sposato Warren lui si è preso cura del bambino come se fosse suo.

Finché non è arrivata Nan con le sue minacce, con le sue pretese, con il suo silenzio comprato a peso d'oro. E prima di lei c'erano state Susan, amica d'infanzia di Florence, Grace, Augusta, Rosa, Ruby: tutte le donne del presidente, o presunte tali.

Troppe intruse nel suo matrimonio. Troppe da sopportare per lei che si era sempre battuta per i diritti delle donne.

Fin da quando Warren era direttore del "The Marion Star" e, in seguito ad una malattia nervosa, si era preso un periodo di congedo lasciando proprio Florence a sostituirlo. La caparbia donnina non scriveva o modificava le storie ma sapeva prendere bene le decisioni: assunse Jane Dixon, la prima giornalista donna dell'Ohio e seppe conquistarsi il rispetto e il sostegno del personale maschile.

In quegli anni un'altra donna, Carrie Fulton Philips, la moglie di un vicino di casa, aveva rischiato di mandare in frantumi il suo matrimonio: Warren aveva iniziato una relazione con l'altra mentre Florence era stata operata d'urgenza per la nefrite. Durante la convalescenza aveva imposto un out out al marito che aveva promesso di esserle sempre fedele in futuro, così lei aveva rinunciato al divorzio.

L'essere donna e le donne, però, avrebbero continuato ad esercitare una forte influenza nel suo modo di vedere la politica: sarà la prima first lady a votare perché il marito candidato diventi Presidente.

E con che carisma aveva condotto la campagna elettorale di Warren, nella loro casa con il portico in pietra! Un giorno indossava il grembiule per sbucciare mele e chiacchierare con le mogli degli agricoltori, un altro si rifiutava di indossare la vera nuziale considerandolo un oggetto di schiavitù, un altro ancora rispondeva ad un giornalista che preferiva lavorare piuttosto che cucinare . E allora gli veniva la nostalgia per il piano e per l'insegnante di musica che era stata da ragazzina.

Non ha avuto timore di esporre le sue opinioni politiche e prima di entrare nella Casa Bianca ha affermato:

"Quando un popolo elegge un presidente, allo stesso tempo, elegge anche una presidentessa!"

E con la stessa intemperanza si è rivolta al marito:

"Bene Warren Harding ora che sei stato eletto presidente cosa hai intenzione di fare?"

Non sapeva ancora se suo marito sarebbe stato un buono o cattivo presidente, quello di cui era certa era il suo impegno per continuare ad aiutare le donne americane: a capire il governo, a migliorare le loro condizioni di vita, ad avere maggiori diritti...

Ha invitato alla Casa Bianca non solo gruppi politici di donne ma anche donne lavoratrici, ragazze del college o prossime al diploma; perfino donne divorziate.

Ha sostenuto un programma di riforma carceraria destinando fondi agli asili nido e ai diritti all'infanzia per le donne imprigionate.

"Arriverà un giorno in cui le donne saranno i capo-famiglia!"

Pensava ad un progetto utopistico la first lady che non esitò ad indossare i pantaloni e gli occhiali protettivi per concedersi un primo giro in aereo.

E queste donne, donne di genio, di talento, semplici lavoratrici, con i loro visi stanchi ma sempre sorridenti gli sono sempre rimaste impresse nella mente e nel cuore. Certamente in maniera più profonda di Nan, Carrie, Grace, Auguste...

Alcuni amici di Warren finiranno addirittura in prigione e anche lui, benché non coinvolto direttamente nelle operazioni illecite degli amici, sarà accusato di aver speculato sulla Casa Bianca.

La morte assolverà Warren Harding. L'America intera ha già assolto Florence: l'eroina buona, la donna sempre circondata da donne che si è battuta per le donne.

Non un assassina. Ma solo una moglie tradita ma sempre fedele.

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Capitolo 29
*** Lady Coolidge ***


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GRACE

Luglio, 1924

"Tu, figlio mio,

mi hai mostrato Dio.

Il tuo bacio sulla mia guancia

mi ha fatto sentire il tocco delicato

di Colui che ci guida...

E quando te ne sei andato

hai lasciato le porte del cielo socchiuse

in modo che possa intravedere

le glorie della sua grazia.

Tieni, figlio mio, la mia mano

guidami lungo il percorso

in modo che non inciampi,

che non vaghi,

Mostrami la strada che ci porta a casa.

Con amore, mamma.

La poesia che, con inchiostro e lacrime, ha scritto per il suo Calvin Jr campeggia sui principali magazine Americani. La poesie della first lady, la poesia di una mamma con il cuore straziato.

Grace è rimasta per quattro giorni interi al capezzale del suo Calvin, inizialmente alla Casa Bianca, poi al Walter Reed Hospital: ha assistito, inerme, alle sofferenze del suo ragazzo, ai due giorni di lotta straziante per sopravvivere.

Alla fine quell'infezione l'ha ucciso. Il sedicenne, che aveva ereditato la stessa passione per lo sport della mamma, è rimasto a giocare a tennis senza calze finché una bolla non si è formata sotto il suo piede. Il veleno si è diffuso nel giro di quattro giorni e lo ha ucciso.

Sono arrivati molti messaggi di cordoglio, dall'ex presidente e dal governatore di New York Franklin Delano Roosevelt, sono state organizzate veglie di preghiera per l'adolescente davanti alla casa Bianca e i Coolidge hanno acconsentito perché le porte restino aperte al pubblico.

Ci sono delle lettere che leniscono il dolore della first lady: sono quelle di altre mamme e di altri papà che hanno sperimentato un dolore così grande. Grace si riconosce nelle loro parole e si sente meno sola.

Lei che si sforza per dimostrarsi forte e serena in pubblico e crolla, disperata e in segreto, dietro la porta della sua camera.

In fondo lei con le difficoltà ha sempre convissuto fin da quando, da bambina, aveva la schiena debole ed era costretta a degli esercizi specifici per rinforzare le vertebre. Fin da quando, dopo la laurea nell'università del Vermont, ha dedicato la sua vita da nubile ad insegnare ai bambini sordi.

Non ha voluto fasti nemmeno il giorno del suo matrimonio quando ha sposato John Calvin Coolidge a casa dei suoi genitori fasciata nel suo abito grigio, senza fiori, con pochi amici e parenti a presenziare alla cerimonia. Una veloce luna di miele a Montreal e poi una casa in affitto a Northampton.

Non si è lasciata intimorire nemmeno quando la sua vita è cambiata di colpo e si è ritrovata a vivere come la moglie del vice-presidente d'America perdendo l'intimità e la quiete della sua vita domestica e privata. Nemmeno la sera del 3 agosto del 1923 quando Grace, il marito e i figli si trovavano nella loro casa di Plymouth e furono svegliati alle prime ore del mattino.

Il presidente Harding era morto e Grace accese la lampada a petrolio alla luce della quale il marito ripeté il giuramento presidenziale alla presenza di un notaio.

La vita di Grace è destinata a cambiare in un batter di ciglia, ormai lo sa.

In una notte si era ritrovata first lady.

In pochi giorni si ritrova orfana di un figlio.

Non le piace mettere il naso negli affari di Calvin, spesso esita a disturbarlo quando è a lavoro nei suoi uffici e ha manterrà un profilo basso anche per la campagna di rielezione del presidente Coolidge.

Non è per mancanza di interesse o per ignoranza che, sovente, Grace si tratterrà dall'intervenire in questioni sociali e pubbliche ma sarà proprio il presidente a ritenere impropri quegli interventi.

Quel Calvin che le impedisce di guidare l'auto e che si rifiuta di farla viaggiare in aereo con il colonnello Lindbergh, soffre però di ansia sociale e, spesso, è Grace, estroversa e brillante, a venirgli in soccorso avviando i discorsi con gli ospiti alla Casa Bianca e con qualsiasi altro interlocutore.

"Grace mi ha permesso di vincere le mie debolezze" Dirà Calvin durante l'anniversario per le nozze d'argento.

Grace che è sempre stata un bastone sul quale gli altri hanno potuto appoggiarsi non ha mai recriminato per essere stata lasciata sola con i suoi dolori.

Ha aiutato suo marito, restando in ombra, ha continuato a promuovere iniziative per le scuole e per le letture labiali che aiutino i bambini sordi, ha perpetrato la causa per il voto alle donne...Non si lascerà sopraffare dal dolore per la morte di Calvin Jr.

Quando sarà triste o il ricordo del figlio sarò troppo doloroso da gestire si ritirerà a leggere le lettere di conforto di quegli sconosciuti che condividono il suo stesso dolore. E scriverà per lui, per il suo Calvin.

*** ***

La poesia iniziale, dal titolo "the open door" fu composta da Grace Coolidge per onorare la memoria di suo figlio Calvin, morto a 16 anni. Ho cercato di essere più fedele possibile al testo inglese traducendo...chiedo perdono se ci sono degli errori.

Un grazie di cuore a chi continua a seguire questa raccolta!

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Capitolo 30
*** Lady Hoover ***


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Lou

19 aprile 1929

Le piace distinguersi, fare scelte coraggiose e spesso innovative: Lou parlerà attraverso la radio, terrà un discorso alle Figlie della Rivoluzione Americana e la sua voce arriverà all'intera nazione.

È la prima volta che una first lady si avvicina a quello strumento di trasmissione innovativo, lo sfrutta per arrivare al cuore del popolo.

Lou, d'altronde, è abituata a mettersi in gioco fin da ragazzina. L'infanzia da girovaga per seguire suo padre che cercava un lavoro più redditizio: Waterloo, in Iowa, Corsicana, in Texas, Clearwater, in Kansas, Whittier e Monterei, in California...La vita avventurosa per Lou era iniziata presto.

Che non sarebbe cresciuta come una ragazza tradizionale era stato chiaro fin da subito quando, oltre alle maniere tipicamente femminili, veniva incoraggiata dai genitori a praticare lo sport. E così l'indomita Lou si era ritrovata a giocare a baseball in strada, a basket, al tiro con l'arco e a divertirsi a far canottaggio, pattinaggio, pattinaggio su ghiaccio e a giocare con lo slittino. Prediligeva la compagnia di suo padre quando si avventuravano in campeggio o a pescare insieme e durante le loro passeggiate a cavallo, Lou aveva dimostrato di essere anche un'ottima cavallerizza.

Ha dimostrato la sua straordinarietà anche nel momento di iscriversi all'università di Stendford: geologia, unica studentessa donna del corso.

Fu uno dei professori a presentarle Herbert Hoover. I due ragazzi, oltre all'amore per la geologia, scoprirono presto di avere altri interessi comuni: l'Iowa, la pesca e un innato senso di avventura.

Quando, dopo la laurea, Herber era andato in Australia come cercatore d'oro per una compagnia mineraria britannica, Lou si era ripromessa di aspettarne, per la prima volta pazientemente, il suo ritorno. Herbert aveva guadagnato così tanto da diventare milionario e fu proprio dall'Australia che le spedì un telegramma... Un telegramma che avrebbe cambiato la vita di entrambi.

Una proposta che Lou non poté rifiutare. Si sposarono il 10 febbraio 1899. Il giorno dopo partirono per la Cina.

Tientsin. "Guado del fiume del paradiso" In quel posto remoto, misterioso e diverso, Lou ed Herbert, assieme ai loro due figli, hanno vissuto le esperienze più affascinanti.

La signora Hoover, con la tenacia e la caparbietà che la contraddistingue, non si era lasciata scoraggiare e aveva affrontato le difficoltà di petto: sua lei che Herbert si erano gettati, a capofitto, nello studio del cinese e spesso era Lou, molto più veloce nell'apprendere, a far da traduttrice per il marito.

Che risate che si fanno adesso, alla Casa Bianca, il presidente e la first lady quando usano quella lingua astrusa come un linguaggio in codice per preservare i loro segreti da orecchi indiscreti!

Quando nel 1901 era scoppiata la rivolta dei Boxer, e i nativi attaccavano con ferocia gli stranieri, Lou mantenne il suo proverbiale sangue freddo: con lucidità contribuì a costruire barriere di protezione intorno al loro villaggio, si prese cura dei feriti, ha gestito una piccola mandria di mucche perché ai bambini non mancasse il latte. Ha imparato ad andare in bicicletta e ad usare la pistola come autodifesa...

Che gran spavento quando la loro casa era stata crivellata da proiettili e da granate ma sia Lou che Herbert erano rimasti, miracolosamente, illesi!

La first lady sta ancora pensando di pubblicare un libro sulla sua esperienza in Cina ma, per ora, è riuscita a scrivere solo un articolo sulla vedova imperatrice cinese.

Una donna così innovativa non poteva non battersi affinché venga riconosciuta la parità tra uomini e donne. A Lou va il merito della fondazione delle Girl Scoutes , incoraggia gli uomini a compiere lavori domestici e ha interrotto quella sciocca tradizione secondo la quale le donne incinte non dovessero apparire in pubblico, invitando diverse donne in stato interessante alla Casa Bianca.

La voce di Lou gracchia attraverso la radio e milioni di orecchie la ascoltano. Un ennesimo passo di innovazione per una donna mai indomita.

Sarà il primo di tanti discorsi. Quella scatolina, così rivoluzionaria, scriverà la storia futura dell'America e sarà il collante che unirà la first lady al suo popolo nel periodo più difficile che arriverà da qui a pochi mesi: ottobre con il suo giovedì nero, l'America costretta a fare i conti con la grande depressione.

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Capitolo 31
*** Lady Roosevelt ***


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ELEANOR

1921

Ribellarsi, finalmente.

Non essere più sottomessa alle decisioni di Sara: c'è voluto un evento drammatico per far spiccare la personalità di Eleanor, per imporsi a quella suocera invadente che, per troppo tempo, ha comandato nella sua famiglia.

La poliomielite e Franklin paralizzato alle gambe. Per sempre.

Sara, la madre che stravede per il suo unico figlio; che si è opposta strenuamente al matrimonio tra i due giovani, considerando Eleanor timida, insignificante e poco esperta della vita; invita ora il figlio a ritirarsi dalla scena politica e a rassegnarsi al suo destino.

Eleanor dice no.

Eleanor che, inspiegabilmente, ha lasciato che Sara dominasse completamente il primo periodo della sua vita coniugale: è stata la suocera a scegliere la casa degli sposi, poco distante dalla sua, e ad arredarla secondo il suo gusto personale.

Eleanor che, poco tempo fa, minacciò addirittura di chiedere il divorzio se Franklin non avesse troncato immediatamente la relazione con Lucy Mercer, la sua segretaria.

Eleanor, la timida e impacciata bambina affamata d'affetto e d'amore, tirata su da nonna Mary; ormai è diventata una donna con una grande sensibilità per i diseredati di ogni razza, credo e nazione.

Eleanor convince il marito ad andare avanti, a non arrendersi: sarà le sue gambe e le sue orecchie.

E, nel suo ruolo di first lady, sosterrà e promuoverà il New Deal le scelte e le linee politiche del marito.

Trasformerà il ruolo della first lady: viaggerà in ogni parte del Paese, anche all'estero senza il Presidente, terrà conferenze stampa e conferenze in trasmissioni radiofoniche, esprimerà, candidamente, le proprie opinioni in una colonna del My Day.

Franklin, che quando la condusse all'altare il giorno di San Patrizio del 1905, sperava di aver trovato in Eleanor una "mosca bianca" che non lo avrebbe mai tradito e che gli avrebbe perdonato i suoi tradimenti, si accorgerà presto di aver avuto molto di più.

Eleanor, la saggista, la filantropa, la femminista, si ritroverà ad essere First Lady di un America in crisi, sul ciglio della depressione. E saprà essere in sintonia con gli americani colpiti dalla crisi, impegnandosi in prima persona nelle attività di rilancio dell'economia.

Eleanor che non permetterà più a nessuno di dominarla, sarà first lady durante la Grande Depressione e durante la Seconda Guerra Mondiale.

Quando gli USA entreranno in guerra, affronterà molti viaggi al fronte per supportare le attività della Croce Rossa e per tenere alto il morale delle truppe.

Assieme a Fiorello La Guardia, sindaco di New York, dirigerà un comitato nazionale di difesa civile e visiterà i centri civili e militari in segno di sostegno morale ai combattenti.

Nel 1943, insieme a Wendell Wilkie e ad altri esponenti americani, getterà le basi per la costruzione della Freedom House , un istituto di ricerca per la promozione della pace e della democrazia nel mondo. Eleanor riuscirà a raccogliere fondi attraverso la pubblicità e grazie al Pan American Coffee Bureau arriverà ad incassare mille dollari a settimana.

Eleanor, sostenitrice anche dei diritti delle donne e degli afro-americani, non permetterà mai che i dispiaceri della vita familiare intralcino l'impegno che lei e Franklin hanno preso verso il paese. Anche se le loro amicizie e le loro vite si faranno sempre più distanti, i Roosevelt sopporteranno, rimarranno uniti come soci con un passato insieme alle spalle, continueranno a dividere gli stessi interessi valori e faranno di tutto per tenere unita la famiglia, nonostante i matrimoni e i divorzi dei loro figli.

"È finita!"

Dirà Eleanor nel 1945 alla morte di Franklin. Tornerà a vivere nella proprietà di Hyde Park per godere di quella privacy che le è mancata per troppo tempo.

Eppure la first lady venerata dall'America non poteva lasciare la scena con quella frase sibillina, che sapeva quasi di resa.

Il presidente Truman le chiederà di diventare rappresentante dei Diritti Umani e quando, nel gennaio del 1948, la Dichiarazione sarà approvata quasi all'unanimità dall'Assemblea delle Nazioni Unite per Eleanor sarà il coronamento di un lungo e faticoso impegno politico cominciato negli anni venti.

Viaggerà ancora in paesi stranieri, anche in Unione Sovietica, e sarà d'ispirazione per molti quella bimbetta impacciata capace di diventare l'icona di un epoca. First lady of the World.

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Capitolo 32
*** Lady Truman ***


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1948

"Most definitely no!" "Assolutamente no!"

Il tono di voce di Bess è deciso nel rispondere a quella domanda, una delle rare, che si è lasciata rivolgere da un cronista.

Assolutamente no! Non vorrebbe mai che sua figlia Mary, un giorno, diventasse Presidentessa degli Stati Uniti!

Bess, una ragazza del Missouri legata alle tradizioni, è sempre stata restia a dare in pasto la sua vita privata alla stampa, alla curiosità pubblica.

Non voleva essere la moglie del vicepresidente, figuriamoci dell'uomo più potente d'America!

Quando, nel 1944, Henry ha accettato l'offerta del presidente Roosevelt a concorrere per un posto come vice-presidente, Bess si è arrabbiata e gli ha urlato contro:

"E se dovesse morire? Allora tu diventeresti il presidente!"

Non poteva sapere, allora, che i suoi dubbi si sarebbero trasformati ben presto in certezze, in una realtà che avrebbe voluto evitare a tutti i costi.

Nonostante la sua riluttanza, Bess ha sostenuto il marito. Quel marito che ha frequentato fin dalle scuole elementari. Con il quale ha studiato insieme fino al liceo, che ha aspettato, pazientemente, tornasse dalla prima guerra mondiale per poterlo, finalmente, sposare. Nonostante le perplessità di sua madre...

Harry la ama: ama i suoi occhi azzurri e i suoi riccioli biondi. Ama la sua calma e la sua riservatezza.

Parla di lei come "Il Boss" , e così la introduce quando la introduce al pubblico alla fine dei suoi discorsi. Bess però è pessimista circa le possibilità di Henry di venir rieletto.

Una sconfitta sarebbe certo una delusione per lui ma un sollievo per lei. Se ne potrebbero tornare in Missouri e, invece, resterà first lady a condividere preoccupazioni e decisioni ostili con il Presidente.

Come quella presa nel 1945: le bombe atomiche da sganciare sul Giappone per costringerlo alla resa. Suo malgrado, odiando sé stessa, Bess si è trovata concorde con quella decisione: le era parsa la soluzione meno deleteria.

Certo le terribili bombe avrebbero causato un altro grave tributo di sangue innocente. Ma se la guerra fosse proseguita ad oltranza?

Bess, così diversa dalla volitiva e impegnata Eleanor Roosevelt, che terrà una sola conferenza-stampa, rispondendo con vari "no comment", ha nel cuore un segreto che teme venga alla luce se troppa attenzione le viene riservata.

Quel padre suicida che l'ha costretta a crescere troppo in fretta. Uno scheletro del passato del quale si vergogna e che non vorrebbe costituisse un'onta anche per la carriera politica di Henry.

Quella carriera politica che lei detesta.

Quando, finalmente, potrà tornarsene alla Gates Mansion a Indipendece, Missouri, resterà una first lady incompiuta.

Avrà fatto conoscere al popolo americano solo una parte di lei: la donna calma in apparenza e criptica nelle sue osservazioni.

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Capitolo 33
*** Lady Eisenhower ***


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MAMIE

1953

Impertinente.

È questa qualità che ha fatto innamorare Dwight, tenente dell'esercito diciannovenne, di quella ragazzina da curiosi occhi azzurri e dalla frangetta da diva degli anni venti.

Impertinente.

È quella sfacciataggine, mai irrispettosa, che porterà Mamie a destreggiarsi tra Capi di Stato provenienti da tutto il mondo. Ormai viaggiare in aereo è più semplice che in passato e gli Eisenhower inviteranno alla Casa Bianca personalità di spicco dell'intero pianeta.

La first lady magari vestirà di rosa, come sempre, e improvviserà una partita a bridge o a canasta con quelle illustri persone. Come faceva con suo padre nelle estati passate in Colorado e nei soleggiati inverni texani.

Mamie, cresciuta con tre sorelle, negli agi di Colorado Spring e di San Antonio ha imparato, però, presto a non badare troppo ai soldi e a sorridere sempre nelle difficoltà. Ha avuto sempre un grande spirito di sacrificio e di adattamento.

Come quanto, a causa del suo basso stipendio, Dwight, ufficiale di giornata, gli offriva un cenetta messicana all' "Originale" e poi la portava a guardare uno spettacolo vaudeville.

A Mamie bastava: quando si è giovani e innamorati si è felici con poco. Dwight e Mamie si bastavano.

Sorrideva raggiante Mamie quel 1 luglio del 1916 quando Dwight la sposò a casa dei suoi genitori, in Colorado. E i suoi occhi azzurri continuarono a brillare vivaci nei trentacinque anni successivi.

Trentacinque anni senza fissa dimora. Come qualsiasi moglie di un soldato.

Gli Stati Uniti, il Canale di Panama, le Filippine, la Francia: Mamie si adeguava a vivere in ogni posto. Sapeva che ogni posto significava un passo in avanti per la carriera politica del marito.

E per ventotto volte ha cambiato residenza senza batter ciglio o protestare. Con il sorriso sulle labbra.

Solo una volta il suo bellissimo sorriso si è increspato e gli occhi le si sono velati: quando il suo piccolo Ike è venuto a mancare a quattro anni appena.

Impertinente

La prima first lady che bacia in pubblico, durante la cerimonia d'insediamento, il nuovo Presidente. Quel Dwight che l'ha voluta affianco durante la campagna elettorale, chiedendo orgoglioso: "Vi piacerebbe conoscere la mia Mamie?"; e che l'ha voluta accanto anche durante le comparse televisive.

La first lady che approverà fortemente la decisione di invitare il cantante afro-americano Marian Anderson ad esibirsi alla cerimonia d'inaugurazione.

Impertinente ma dal cuore d'oro.
Mamie: l'anfitriona gentile ma gelosa della sua vita privata. La signora frugale e pronta a condividere con tutte le massaie americane il segreto del suo famoso budino al cioccolato.

First lady: moglie del Presidente e padrona di casa della "White House": nessuno interpreterà il ruolo meglio di Mamie.

Vivace, attraente e...impertinente.

Dwight vede ancora così sua moglie mentre lo bacia innanzi all'America intera: come quella ragazzina che, quasi mezzo secolo fa, gli venne presentata in Texas dalla moglie di un altro soldato.

La sua impertinente, bellissima e frizzante Mamie dagli occhi azzurri e dalla frangia che detterà moda.

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Capitolo 34
*** Lady Kennedy ***


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JACQUELINE

22 novembre 1963

Le hanno regalato rose rosse. In ogni altro angolo del Texas le hanno porto rose gialle, una peculiarità dei paesi del sud, ma al Love Field di Dallas la First Lady è stata omaggiata da fiori rossi.

Rose rosse: le preferite di Jackie.

Sorride e saluta, poi cerca la mano di Jack per salire sulla limousine. Si sistema la gonna del tailleur rosa Chanel, uno dei preferiti di Jack, prima di prendere posto sui sedili posteriori.

Jackie non voleva venire in Texas. Voleva restare con Caroline e John-John, magari fuggire con i bambini in Virginia per strigliare e cavalcare i suoi amati cavalli. Voleva solo restare sola Jackie, in qualsiasi parte del mondo: fuggire dai sorrisi stentati e dal dolore che ha nel cuore.

Restare sola, magari con Jack, a piangere il loro piccolo Patrick: morto pochi mesi fa dopo soli due giorni tra le braccia dei genitori.

E, invece, John Kennedy uno degli uomini più influenti della storia, il presidente della nuova frontiera , il marito fedifrago ha bisogno di lei.

"Accompagnami laggiù Jackie!"

Le ha chiesto soltanto. Il Texas, conservatore, è aspramente critico verso alcune decisioni del presidente che riguardano l'integrazione nei neri e quando Jack e Bobby hanno fatto di tutto per far ammettere Joseph Meredith all'università del Mississippi si è rischiata la guerra civile.

Allora Jackie era al fianco di John.

Così come è rimasta al suo posto quando il mondo era sull'orlo della terza guerra mondiale.

La crisi dei missili a Cuba e John che la pregava di mettersi al sicuro, con i bambini, in un rifugio antiatomico.

"Io resto con te."

Aveva replicato Jackie, convinta, in quell'ottobre di appena un anno addietro.

E, silenziosamente, John le era stato grato. Come quando Jackie, novella sposina, si è presa cura di lui dopo l'operazione alla colonna vertebrale, un doloroso ricordo del suo coraggio in guerra, e lo ha aiutato a redigere e a pubblicare il suo libro "Profiles in Courage"

Un premio Pulitzer per due. Da dividere con la colta e raffinata moglie laureata in letteratura francese.

John, nonostante le scappatelle e le incomprensioni, oggi la trova bellissima. Come la prima volta che le è stata presentata e lo ha intervistato.

Come tutte le volte che lo ha affiancato: in Francia, in Messico, alla Casa Bianca conquistando i cuori di molti con i suoi discorsi in perfetto italiano, francese e spagnolo.

Come tutte le volte che è rimasta con lui. Nonostante tutto.

E, stamattina, quando a Fort Worth l'ingresso di Jackie ha distolto l'attenzione di molti dal Presidente, John ci ha scherzato su con i giornalisti:

"Quando eravamo in Francia, io ero l'uomo che accompagnava la signora Kennedy. E mi divertivo."

E anche oggi è orgoglioso di sua moglie. Forse possono ricominciare insieme, forse proveranno ad avere altri bambini...

La limousine svolta tra la Houston Street e la Elm Street: il Presidente e il Governatore Connelly salutano la folla. Jackie si protegge dal sole di mezzogiorno e poi si volta, stupita, a guardare la mano fasciata dai guanti che tiene in grembo ad accarezzare i petali rossi. Jack gliela stringe.

Non l'ha mai presa per mano o abbracciata in pubblico.

Sorride.

Un colpo.

Forse una gomma ha forato o lo scoppiettio di una moto. John si sporge in avanti, confuso: forse ha mal di testa. Si tiene il collo.

Jackie non capisce.

Due colpi.

Il corpo di John si accascia contro le braccia di Jackie, sulle rose ormai sgualcite. Jackie intuisce.

Tre colpi.

Jackie si precipita sulla parte posteriore dell'auto a cercare di recuperare un pezzo di vita di Jack.

È assurdo ma non le interessa.

"Stia giù signora Kennedy!"

Le intimano mentre la limousine sfreccia verso il Parkland Memorial Hospital.

"Ti amo Jack. Ti amo!"

Singhiozza mentre stringe tra le braccia il corpo esamine del presidente. I petali ancora più rossi sparsi intorno. Rossi come il sangue.

Il sangue da cui qualcuno le ripulisce dalle mani e dal viso ma che resterà, indelebile, sul vestito rosa.

Jackie si rifiuterà di cambiarlo.

"Voglio che tutto il mondo veda cosa hanno fatto a mio marito!"

Dirà a Lady Bird.

E con il vestito macchiato da chiazze rosse e gli occhi gonfi e, ormai, asciutti infilerà la vera nuziale al dito di John per l'ultima volta.

Sa che è la fine. La fine del sogno americano.

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Capitolo 35
*** Lady Johnson ***


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CLAUDIA

1963

"The Second Lady" Per anni Claudia Alta è stata nell'ombra, sempre un passo indietro.

La vice, la sostituta di Jackie quando la signora Kennedy non poteva presenziare ad eventi ufficiali.

E, forse, rimarrà sempre tale nel cuore degli americani. Dell'America scioccata e commossa per la tragica dipartita del presidente Kennedy.

E Claudia, catapultata all'improvviso nel ruolo di first lady, saprà pazientare. Aspetterà perché l'America ami anche lei.

Lady Bird , così la chiamava la sua tata Alice quando era ancora bambina trovandola graziosa come una coccinella, non è stata per nulla contenta quando Lyndon ha accettato di correre come vicepresidente per i democratici nel 1960. Ma, dopo un lungo confronto con il marito, lo ha spinto ad accettare.

E anche lei, sempre timida e riservata, aveva capito di non poter restare nell'ombra. Nel 1959 si era iscritta ad un corso per imparare a parlare in pubblico, per affrontare quei discorsi pubblici in cui era sempre stata riluttante ad esporsi.

Bobby Kennedy, il fratello del presidente, la ringraziò pubblicamente sul Time perché "grazie a lei avevano ottenuto la vittoria in Texas".

In quel Texas dove Claudia ha perso la mamma che aveva appena cinque anni, dove ha studiato giornalismo, dove Lyndon l'ha corteggiata con lettere e con un bellissimo anello di fidanzamento.

Quel Texas pieno di violenza e di contrasti interni. Il Texas razzista che, in un'occasione, ha accolto lei e Lyndon con sputi mentre attraversavano la strada per partecipare ad un pranzo a Dallas.

Claudia, così come Lyndon, così come John Kennedy, crede che l'integrazione razziale in America sia possibile. Ha invitato anche donne afro-americane agli eventi organizzati alla Casa Bianca e sarà presente quando il presidente Johnson firmerà la legge sui diritti civili. L'unica donna presente mentre verrà apposta quell'importante firma.

I diritti civili saranno l'obiettivo principale della campagna di Lady Bird che la porterà ad intraprendere un ruolo senza precedenti, un programma di apparizioni e di discorsi indipendenti dal marito.

Su un treno, il Lady Bird Special viaggerà con le donne sostenitrici e la stampa attraverso otto stati del sud per quattro giorni per essere fautrice di un "Nuovo Sud".

Molti dei leader dei paesi che visiterà sono pro-segregazione. Claudia annuncerà la sua visita con delle telefonate di preavviso e tutti concorderanno sul fatto che, pur avendo opinioni divergenti, sarebbe "scortese non salutare la first lady."

Mettendo a repentaglio la sua stessa vita, Claudia rimarrà educatamente ferma nel trasmettere il suo messaggio nonostante il picchettaggio dei pro-segregazione razziale.

"Sarebbe una tragedia senza fine se il nostro paese rimanesse razzialmente diviso..."

Dirà la first lady.

Lady Bird terrà fede al suo nome anche attraverso il suo amore per la natura. Il 4 febbraio 1965 inaugurerà la creazione di un comitato per l'abbellimento della capitale: saranno piantati tulipani, narcisi, arbusti e piante da fiore.

Fu la prima first lady ad avere un addetto stampa, Liz Carpenter. Insieme a lei preparava i testi dei suoi discorsi pubblici.

Lady Bird fu, forse, la prima first lady pienamente consapevole del suo ruolo. Nel 1987 disse:

"La first lady, a differenza del presidente, non viene eletta. Lei è lì per far squadra. Ed è molto più appropriato per lei lavorare su progetti che fanno parte della sua amministrazione. Una parte dei suoi obiettivi sono speranze per l'America!"

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