Everytime we touch

di Aishia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vita Malata ***
Capitolo 2: *** Incontro con il passato ***



Capitolo 1
*** Vita Malata ***


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Vita malata



‘’Non importa quanto una cosa faccia male,certe volte,
rinunciare a quella cosa, fa ancora più male.’’
Meredith Grey

« tu sei mia!», pronunciò a denti stretti, stringendomi il braccio con la sua mano forte e muscolosa,facendomi quasi male. I suoi occhi brillavano e sembravano sputare lingue di fuoco incandescenti,mentre la sua stretta diventava sempre più forte e la mia possibilità di sfuggirgli diveniva sempre più distante.
Sapevo di non avere alcuna possibilità, lo avevo constatato più volte e avevo anche imparato che fuggendo mi sarei fatta ancora più male. Non potevo far nulla per cambiare il presente, mi ero cacciata in un guaio più grande di me e adesso ne dovevo pagare le conseguenze. Era sempre così: se non ubbidivo ai suoi ordini, se non mi sottomettevo ai suoi voleri finivo sempre con un occhio nero o probabilmente con un coltello puntato alla gola.
Cercai di divincolarmi dalla sua presa ferrea,già avvertivo le vene della mano pulsarmi così forte da sembrare che potessero scoppiarmi da un momento all’altro e non ne sentii più la mobilità.
« Gabriel, mi fai male», mi lagnai inutilmente, dimenandomi finché non diminuì la tenuta.
Dovevo cercare di rimanere calma e non metterlo in agitazione. Gabriel si agitava soprattutto quando si sentiva in pericolo oppure quando si rendeva conto di non avere la situazione in pugno! Questo più che altro lo faceva andare in bestia.
Mi faceva male vederlo in quel modo, il viso paonazzo e gli occhi spiritati e fuoriusciti dalle orbite. Rischiavo continuamente la vita ogni talvolta vi entravo in contatto ma non potevo lasciarlo solo a combattere i demoni che dimoravano nella sua mente. Avevamo bisogno entrambi l’una dell’altra.
In silenzio si avvicinò a me e potei sentire i battiti scalpitanti del suo cuore quando mi strinse tra le sue braccia, avvolgendo le mani intorno la schiena e appoggiando il viso sulla mia spalla.
« dimmi che mi ami!! », sussurrò a denti stretti, guardandomi poi negli occhi e mettendomi le mani sul viso in modo che potessi guardalo senza alcun ostacolo « dimmelo! ».
« ti amo »

*


« hai una sigaretta?» mi sollevai leggermente,coprendo con un lenzuolo il mio seno abbandonante e portando la testa all’indietro, gemendo quando i miei capelli umidi sfiorarono la mia pelle nuda.
Cercai con lo sguardo i miei indumenti, dimenticati dall’altra parte del letto disfatto e mi alzai,recuperando il pacco di sigarette dalla tasca dei miei pantaloni stracciati.
La pioggia batteva incessantemente,picchiettando sul vetro della grande finestra da dove si intravedevano dei grossi nuvoloni grigi che non presagivano nulla di buono e ricoprivano l’intera città come un lungo lenzuolo scuro.
Dall’apertura si poteva vedere tutta la città. New York era una grandissima metropoli dalle mille sfaccettature e dalle tante classi sociali che si contrapponevano l’una con l’altra. C’erano i ricchi che vivevano beatamente nelle loro villette, tracannando tutto il cibo e il vino che il loro stomaco poteva sopportare. La classe media che si limitava a vivere negli enormi grattacieli che sembravano sfiorare la maestosità del cielo stesso e poi c’eravamo noi: poveri disgraziati che non avevamo nemmeno la fortuna di avere un tetto sopra la testa o quantomeno un modo per ripararci dalle intemperie della società.
Non era sempre così! Dovevo considerarmi fortunata quando riuscivo ad accalappiare una notte al caldo, quando riuscivo a toccare delle sontuose coperte di lino e mangiare anche un piccolo pezzo di pane,ammaliando un vecchio riccone che magari non si concedeva una notte da ‘’leoni’’ dai tempi della prima guerra mondiale.
Mi fermai quando sentii il suo sguardo perforarmi la schiena seguito da un movimento e dal rumore delle lenzuola. Mi sentii ancora più nuda, spogliata di me stessa e della mia dignità di donna, ma quello era l’unico modo che avevo di sopravvivere …
Questa vita non potevo considerarla un regalo del destino, soprattutto perché dovevo lottare con le unghie e con i denti per accaparrarmi un posto nel mondo. Non andavo fiera di ciò che facevo , a volte il peso della vergogna era così forte da non farmi dormire la notte, ma stavo morendo di fame o stavo morendo davvero.
Sussultai quando delle mani mi cinsero il ventre e le sue labbra si poggiarono sulla mia schiena, spostando i miei capelli con le sue mani fredde e iniziò a baciarmi avidamente, per poi risalire piano piano sul mio collo.
« come hai detto di chiamarti?», sussurrò con fiato corto,soffiandomi nell’orecchio « Briseide? ».
« Bris, chiamami Bris », risposi con stizza, allontanandomi da lui e scendendo dal letto per recuperare quel che rimaneva dei miei vestiti, così da andarmene il più in fretta possibile prima che Gabriel mi venisse a tirare per i capelli a causa del mio enorme ritardo.
Non voleva che ritornassi troppo tardi, aveva il terrore che scappassi con i soldi e lo lasciassi solo,abbandonato al suo destino, ma sapevo che se lo avessi fatto mi avrebbe inseguito fino in capo al mondo solo per tagliarmi la gola.
«dove credi di andare, bambina? », sbiascicò l’uomo con tono di voce autoritario, prendendomi per la schiena e trascinandomi nuovamente su quel letto dove poco prima avevamo consumato una notte di passione, sdraiandosi sopra di me e schiacciando il mio seno con il peso del suo torace.
Era un uomo sulla sessantina, i suoi capelli erano bianchi e brizzolati e qualche rughetta faceva capolino ai lati dei suoi piccoli occhi fini e da un colore azzurro ghiaccio.
Iniziò a baciarmi il collo e a toccare con le sue mani rugose la mia pelle abbronzata per via delle lunghe giornate passate sotto la luce del sole. Non ne avevo abbastanza?
« lasciami! », mi lagnai cercando di trovare una scappatoia « mi dispiace mio caro! Il servizio è finito, quindi dammi i soldi e vattene a quel paese! »
Il tizio probabilmente aveva problemi di udito a causa dell’età avanzata e non mi ascoltò nemmeno per sbaglio, continuando a baciarmi avidamente il collo e facendosi spazio tra le mie gambe.
« il servizio finisce quando IO deciderò di farlo finire »,ringhiò a denti stretti, prendendo i miei polsi con foga e immobilizzandomi in modo da non farmi scappare.
Strizzai gli occhi quando iniziò a spingere violentemente, reggendo tutto il suo peso sulle mie braccia e facendomi urlare da dolore. Mi fece un male atroce ma agli uomini come lui interessava soltanto salvaguardare il suo rendiconto, fregandosene della vita umana. Sapevo già che era abituato a violentare le ragazze ma non avevo altra scelta: avevo bisogno di denaro e questa era la strada più facile per procurarsene e non passare un’altra notte senza cibo, acqua o un luogo dove dormire.
Mi baciò avidamente le labbra, infilandomi la lingua e in bocca e io, prendendo la palla al balzo, gliela morsi restituendogli il dolore che mi aveva provocato un attimo prima.
«puttana! », disse alzandosi violentemente, portandosi le mani in bocca.
Scesi dal letto di corsa, prendendo il resto dei miei vestiti per andarmene a gambe levate « devi capire che non hai più l’età per certe cose ».


La giornata si rivelò più tetra di come ricordassi. Il cielo era terso e la pioggia si dibatteva incessantemente sul mio viso provocandomi degli scossoni lungo la spina dorsale, penetrandomi fin dentro le ossa o quel che ne rimaneva.
Ritornare da Gabriel con quel tempo si sarebbe rivelato una condanna a morte e quindi optai per il parco abbandonato dietro l’enorme centro commerciale a pochi isolati da qui, dove si trovava un piccolo capanno disabitato dal legno logoro e rovinato ma che si sarebbe rivelato un ottimo giaciglio per ripararsi dalla tempesta.
Non avrebbe retto a lungo, soprattutto ora che l’inverno era alle porte portando con sé le conseguenze pari ad un cataclisma tropicale ma almeno sarebbe stata la soluzione migliore, soprattutto rispetto al piccolo ponte che ormai consideravo il mio rifugio quotidiano.
Mi sentii più intorpidita di quel che sperassi, con le ossa doloranti per via di quella notte in cui il nonnetto si era dato alla pazza gioia, dando sfogo alle sue voglie represse e trovando un rimedio per le sue artrosi.
Ero stanca di sentirmi di continuo una marionetta nelle mani del suo burattinaio, un oggetto utilizzato solo per il divertimento degli altri. Non avevo altra scelta e questa era la cosa che mi faceva sentire peggio: non avere soluzioni per cambiare la mia vita e renderla migliore. Arrivai alla soglia del piccolo capannone e restai all’ingresso, guardando sbalordita il luogo che avevo considerato per così a lungo la mia casa, ripensando a come un tempo era stato florido e rigoglioso mentre adesso non era rimasto che un aggrego di pezzi di legno logoro e dalle assi rovinate che a malapena si reggevano in piedi.
Salii gli scalini scricchiolanti e mi adagiai sul pavimento con le gambe strette al ventre, aspettando che la pioggia cessasse così da darmi la possibilità di ritornare a casa.
Mi ricordai quando non molto tempo fa mi arrampicavo sul tetto, facendo finta di trovarmi nella fortezza di un grande castello, mentre adesso quello stesso tetto a spiovente era pieno di buchi e fessure dove subentravano goccioline d’acqua che battevano sul pavimento ligneo, generando una piccola pozzanghera che si andava estendendo ogni talvolta una minuscola goccia lo colpiva.
Era passato un bel po’ di tempo da allora, da quando Gabriel mi aveva trovata vagare senza meta e mi aveva presa con sé, dicendomi che insieme avremmo edificato la nostra fortezza e trasformato quella piccola casa di legno nel nostro punto di riferimento, nell’epicentro del nostro amore: come l’ossigeno per un essere umano o come la stella polare per il suo marinaio.
Saremmo stati una cosa sola, in simbiosi per sempre.
Non osai minimamente immaginare al suo stato d’animo, alla preoccupazione nel non vedermi arrivare. Era sempre stato possessivo nei miei confronti ma non per egoismo ma per il semplice fatto che mi amava troppo. Mi amava più di quanto amasse se stesso e questo potevo considerarlo il suo tallone di Achille. Questo affetto nei miei confronti avrebbe provocato la distruzione di entrambi.
Non avevo idea del tempo passato ad aspettare che la pioggia cessasse e mi sembrò passata un’eternità da quando avevo messo piede in quell’album dei ricordi. Il freddo sembrava aver messo radici e dal cielo cominciò a discendere una flebile sostanza bianca che si posò delicatamente sul terriccio inumidito dalla pioggia, scomparendo subito dopo come se non fosse mai esistita.
«dov’eri finita?», sbiascicò una voce alle mie spalle, facendo scricchiolare le assi del pavimento con il suo tenue passo.
Non c’era alcun bisogno di voltarmi, conoscevo quella voce come le mie tasche e avevo imparato a riconoscere ogni sua minima sfaccettatura. Era sicuramente entrato dal retro, dove le termiti avevano avuto modo di divorare le pareti della baracca, provocando un enorme buco nel legno rovinato. Sospirai, consapevole che sarebbe stata una lunga notte all’insegna della sopravvivenza e io non avevo la forza per sopportare un altro litigio, un’altra violenza o una lotta tra me e il resto del mondo.
Desideravo solo avere pace, non vivere più quell’esistenza che mi aveva condannata ad una vita malata piena di sofferenza e di vergogna. A volte ero anche arrivata a desiderare di non vivere affatto, ma avevo promesso ad una persona che lo avrei ritrovato e riportato da me e avremmo vissuto insieme per sempre, vivendo quella vita che non ci aveva dato l’opportunità di essere vissuta.
Mi voltai lentamente, vedendo Gabriel fermo e immobile come una statua di marmo, con le braccia stese lungo i fianchi e le mani chiuse in un pugno che stringeva così forte da avere le nocche bianche e in contrasto con la sua carnagione scura. I suoi capelli neri erano scompigliati e bagnati dalla pioggia e delle piccole goccioline scivolavano dalla punta dei suoi capelli umettando il suo viso dai lineamenti ben delineati. Dalla sua bocca fuoriuscivano nuvolette di fumo causate dal freddo al contatto con l’aria gelata, mentre le sue spalle si alzavano e si abbassavano come se avesse percorso una maratona per mille miglia.
I suoi occhi verde smeraldo mi guardarono con stizza, lasciando trapelare tutto quelle emozioni che lo avevano travolto in quel tangente. Era come un libro aperto ed ero a conoscenza della rabbia che gli ribolliva dentro. Gabriel era sempre abituato ad avere ogni cosa sotto mano e odiava quando gli altri non rispettavano le sue regole.
Mi sollevai lentamente, barcollando due o tre volte e iniziai a torturarmi le mani così da non doverlo guardare negli occhi, sapendo che mi sarebbe potuto essere fatale.
« E` iniziato a piovere e ho preferito cercare riparo», parlottolai con voce tremante dicendo la prima cosa che mi fosse passata per la mente , anche se corrispondeva alla verità.
Gabriel sorrise e agli angoli della sua bocca comparvero delle piccole fossette che lo resero quasi tenero, prima che iniziasse a ridere grossolanamente e che la sua voce potesse rimbombare nell’aria.
Si avvicinò a me velocemente e con un rapido scatto fulmineo mi sferrò uno schiaffo in pieno volto, facendomi scivolare e cadere a terra, causando un rumore sordo.
«quante volte ti ho detto che devi tornare subito da me? Non me ne importa un fico secco della pioggia! », sbiascicò con stizza avvicinandosi e sferrandomi un calcio in pieno stomaco.
Mi misi le mani davanti la faccia,evitando che mi colpisse in pieno volto e cercando di ripararmi il più possibile «scusa! », lo implorai vedendolo fare qualche passo indietro per poi avvicinarsi nuovamente per afferrarmi il colletto della camicia ,issandomi con tutta la forza che aveva in corpo. «hai i soldi?! »
Il male che provavo non era comparabile con la morsa alla stomaco che sembrava quasi soffocarmi. Schiusi gli occhi,sentendo già le lacrime comparire dai miei occhi e rigarmi il viso « mi dispiace …», sussurrai con voce tremante « non mi ha voluto pagare, voleva che rimanessi ancora con lui ma non ce l’ho fatta»
«Quante cazzo di volte ti avrò detto che mi servono quei soldi? », strizzò a denti stretti, lasciando la presa per poi spingermi, facendomi finire sul terriccio infangato « Io ti do da mangiare,ti do un buon lavoro e ti aiuto a cercare tuo fratello e in cambio? Mi ripaghi così? Non dandomi nulla ? », strinsi i pugni e abbassai il viso guardando di sottecchi il suo diventare paonazzo e ancora più adirato.
Mi sentii un verme,una nullità,una buona a nulla.
Aveva ragione, non valevo niente! Ero solo un piccolo moscerino che non riuscivo a trovare un posto nel mondo.
Mi alzai, con gli occhi gonfi, assaggiando le mie lacrime amare « mi dispiace … ma avevo paura che ti saresti arrabbiato del ritardo e …» « devi stare zitta! », sbottò facendosi avanti « tu non sai niente!! » si avventò su di me,avvolgendomi il collo con le sue grosse mani forti e callose, avvicinando il suo viso al mio,stringendo i denti così forte da farsi scoppiare a sangue il labbro inferiore.
Nonostante tutto quello che mi stava facendo non riuscivo ad odiarlo né a provare il minimo rancore. Cercai di fargli allentare la presa ma non sentivo più niente, solo il cuore battere più veloce del solito e il mondo volteggiare intorno a me senza freni.
« così l’ammazzi! », assaltò una voce come un fulmine al ciel sereno. Non riconobbi quel timbro di voce e mi sembrò provenire da lontano e in sottofondo distinsi una figura sfocata correre a perdifiato verso la nostra direzione. Avrei voluto urlare, chiedere aiuto ma le parole sembravano essermi rimaste in gola, finché non sentii allentare la presa sul collo e spalancai gli occhi quando vidi il viso di Gabriel diventare pallido e i suoi occhi sgranati, come se avesse visto un fantasma. Gabriel si staccò definitivamente da me,cadendo a terra come un peso morto. Aprii la bocca per poi richiuderla poco dopo, sbattendo le palpebre, cercando di capire quel che era successo.
Alzai lo sguardo,scorgendo un ragazzo con un pezzo di legno in mano e capii immediatamente, sentendomi quasi rincuorata e quasi in colpa per quel senso di benessere che mi aveva travolta.
Mi sentivo strana e confusa e crollai sulle ginocchia, guardando Gabriel ad occhi chiusi respirare convulsamente.
Come poteva essersi ridotto così? Molte volte era arrivato a picchiarmi violentemente ma non fino al tal punto da rischiare di soffocarmi. Alzai lo sguardo verso quello del ragazzo dagli enormi occhi azzurri. Lui sorrise dolcemente come a volermi rassicurare e si avvicinò flebilmente, chinandomi e stringendomi tra le sue braccia. Non replicai, anche se il cuore mi batteva incessantemente dentro al petto ma volevo solo andarmene, scappare da quella realtà che mi stava diventando stretta, abbandonandomi al torpore del suo corpo caldo e del suo profumo aromatico.
Non mi incuteva terrore, al contrario, mi infondeva una strano senso di pace che non sentivo da tanto. Era come se ci fossimo conosciuti tanto tempo fa, in un’altra vita e che fossimo destinati a rincontrarci.
«… ora mi occupo io di te …»,sussurrò portandomi via con sé.

… Forse finalmente avevo trovato la pace che cercavo …



‘’Non importa quanto una cosa faccia male,certe volte,
rinunciare a quella cosa, fa ancora più male.’’
Meredith Grey



Salve a tutte e benvenute nel mio piccolo mondo!
Ringrazio tutti coloro che hanno letto la storia o che stanno ancora a metà pregando di finire in tempo per svoltare pagina e andare in un'altra storia che faccia sognare ancora. Perchè questo è il nostro compito: far sognare chiunque ad occhi aperti, anche solo per qualche minuto! :)
Vi dico subito che ci saranno spesso queste mie piccole note, perché mi piacerebbe instaurare un bel rapporto con i lettori e sapere i loro pensieri e le loro riflessioni.
prima di andare però vorrei dedicare questo capitolo ad una persona che ho conosciuto in questo sito e che ora è diventata una delle persone più importanti, la mia quotidianità e la mia migliore amica :)
grazie a Princess of Dark per avermi supportato in questa mia avventura e per sopportarmi ogni giorno, continuando ad essere sempre una persona stupenda e bella dentro! Grazie d'esistere <3
Un kiss forte :*
Aishia

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Capitolo 2
*** Incontro con il passato ***


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Incontro con il passato

2

Non andartene anche tu!
… Sei l’unica cosa che mi rimane …

« non lasciarmi! », sussurrò con la sua vocina spaventata, afferrando i lembi del mio vestito con le sue manine piccole e stringendosi forte a me, come se avesse paura che potessi scomparire da un momento all’altro.
Mi voltai, chinandomi alla sua altezza e scompigliando i suoi capelli biondo cenere, avvertendo un enorme morsa all’altezza dello stomaco.
« andrà tutto bene! », bisbigliai dandogli un piccolo buffetto sul nasino « devo cercare aiuto ma prometto che tornerò a prenderti! Staremo insieme per sempre, piccolo mio», sorrise malinconicamente e i suoi occhi si velarono di lacrime che cercò prontamente di ricacciare all’interno, così da non farmi percepire il suo sgomento.
Cercava di essere forte ma capii che dietro quella piccola corazza che si era creato batteva un cuoricino indifeso e in cerca di protezione.
Avevamo lottato contro il mondo dal giorno di quel tragico incidente che aveva spazzato via le nostre vite, in cui ci avevano calpestato il cuore, lacerando ogni fibra del nostro essere.
Non c’era alcun modo per cambiare quel che era successo e ora eravamo costretti a separarci l’uno dall’altro, perché questo sarebbe stato l’unico modo per rimanere in vita. Questo era l’unico barlume di speranza che ci restava per non soccombere. «prometti che tornerai? »
« promesso! », sussurrai con la voce rotta, avvolgendo il dito al suo e facendo una promessa che non ero riuscita a mantenere.


*


Aprii gli occhi di scatto quando fui svegliata da un piccolo raggio di sole che pose fine al mio sonno con la sua tenue luce.
Sbattei le palpebre più volte e mi sollevai sconvolta, con il volto bagnato di sudore e il cuore a mille a causa di quel sogno che mi aveva riportata indietro nel tempo, ad attimi della mia vita che avevo riposto in un cassetto e che avrei preferito rimanessero sepolti.
Sembrava passata un’eternità da allora, da quando ero poco più di una bambina ma tuttavia quei ricordi facevano ancora male, come una ferita ancora aperta e riportavano a galla un dolore che non ero riuscita a spazzare via.
Solo allora mi accorsi di essere in un luogo sconosciuto , ritrovandomi distesa su un enorme letto a due piazze, avvolta da un lenzuolo di lino dalla tonalità che sfumava dal blu ad un tenue lillà.
Cominciai a guardarmi intorno alla ricerca di qualche dettaglio che mi potesse fornire un indizio: era una piccola stanza dalle pareti di un bianco sporco, con qualche mobile posto ai quattro angoli e con un enorme scrivania di fronte al letto con tanti libri riposti sopra, come fossero soprammobili.
Dei lunghi drappeggi di un verde mela coprivano delle finestre completamente a vetrate da dove oltrepassavano i raggi funesti del sole, che rischiaravano l’ambiente, illuminando quella piccola stanza.
Scesi dal letto, sussultando quando i miei piedi nudi entrarono in contatto con il pavimento freddo e mi piombai alla finestra, assaporando il torpore del sole sulla faccia e la brezza del vento scompigliarmi i capelli.
Probabilmente mi trovavo in uno dei grattacieli più alti della città e difatti riconobbi il parco in cui mi ero rifugiata la notte precedente così da ripararmi dalle intemperie della tempesta, e riconobbi anche il centro commerciale dall’altro lato dell’isolato.
Non ricordavo nulla, nemmeno il modo in cui ero entrata in questa stanza, l’unica cosa che rimembravo erano le mani di Gabriel attorno al mio collo in un approccio mortale.
« vedo che sei sveglia», proferì una voce alle mie spalle, facendomi sobbalzare di scatto dalla paura e facendomi arrivare il cuore in gola. Mi voltai di scatto e smisi di respirare quando scorsi sulla soglia della porta un ragazzo che non avevo mai visto prima. «Non volevo spaventarti! »
Mi sembrava un volto familiare anche se avevo la certezza di non averlo mai visto prima e di non aver mai incrociato la sua strada: era molto più alto di me, dalle spalle larghe e le braccia muscolose ma proporzionate al resto del suo corpo. I capelli erano ricci e di un biondo molto più chiaro del mio e due grandi occhi azzurri guizzavano sul mio corpo,guardandomi con curiosità « stai tranquilla, non voglio farti del male», proferì infine alzando le mani in segno di resa.
Non riuscii a proferire parola, ero terrorizzata come se fossi una piccola donzella in pericolo, come se non avessi lottato da tutta una vita e non sapessi badare a me stessa dopo lunghi anni in cui avevo dovuto provvedere da sola alla mia esistenza, senza qualcuno a guardarmi le spalle.
Cercai una via di fuga ma per la prima volta mi sentii braccata,messa al muro e senza alcuna possibilità di scappare. Fu allora che mi ricordai di lui,di come la notte precedente mi aveva salvata da Gabriel mettendolo a terra, per poi prendermi tra le sue braccia … portandomi via con sé.
Il cuore iniziò a battermi forte e avvertì il viso andarmi a fuoco, seguito da uno strano calore all’altezza del ventre. Era strano che qualcuno si preoccupasse così tanto per me. Non ero abituata a ricevere così tante attenzioni e non per secondi fini.
«come ti chiami », proferì avvicinandosi con cautela, come se avesse il timore di una mia reazioni esagerata. Spalancai la bocca, cercando di proferir parola e torturandomi le mani con fare nervoso.
«Bris», balbettai qualche secondo dopo,abbassando lo sguardo imbarazzata. Lui sorrise e per un attimo non mi sentii più attaccata al suolo, come se avessi la certezza di essere al sicuro. Non sembrava avere cattive intenzioni e ormai, dopo tanti anni, avevo imparato a riconoscere le intenzioni della gente al solo sguardo e lui non sembrava averne di cattive.
« adesso stai bene? », mi chiese ritornando serio e guardandomi senza alcuna espressione in volto. Capii al volo a cosa alludesse e mi portai spontaneamente le mani al collo, sentendo ancora quelle di Gabriel stritolarmi forte. Non era stata una bella sensazione ma non ero arrabbiata con lui, lo conoscevo bene e quello era stato un gesto legato alla paura di perdermi. Gabriel non era cattivo anzi, ma aveva bisogno di avere al suo fianco qualcuno che gli dimostrasse ripetutamente il suo amore. Era fragile e aveva troppo bisogno di me, come io avevo bisogno di lui.
Ritornai alla realtà quando avvertii il suo sguardo addosso nell’attesa di una risposta. Mi limitai ad annuire, guardando il suo viso cambiare espressione.
« quello di ieri era il tuo ragazzo? », sorrisi amaramente sentendo un nodo alla gola che non mi permetteva di respirare adeguatamente. Non ero abituata a tutte quelle domande e mi sentii a disagio, come se stesse cercando di insinuarsi prepotentemente nella mia vita, varcando quel confine che non avevo mai permesso a nessuno di superare. « non proprio »
« e cosa ci stava facendo con il tuo collo? », ma cos’erano tutte queste domande? Faceva parte della Cia? Mi sentii ribollire dentro e fui investita da un forte senso di rabbia.
Era vero, mi aveva salvata ma questo non gli dava alcun diritto di stipulare un interrogatorio per sapere cose che non erano di sua competenza, che non lo riguardavano in prima persona. Lo guardai torva e decisi che era arrivato il momento di girare i tacchi e andarmene. Quello era il momento di ritornare al mio piccolo inferno personale che doveva rimanere solo mio. Inizia a camminare in direzione della porta,con lo sguardo puntato davanti a me,senza degnarlo minimante « ti ringrazio molto per avermi aiutato ma ora è arrivato il momento di andare»
« e dove credi di andare?! », sbottò adirato, afferrandomi per un braccio« da lui? »
« ma che t’importa? »,replicai con stizza, divincolandomi dalla sua presa. Mi guardò come se fossi pazza e il suo sguardo indagatore mi diede la nausea.
« ti ringrazio per aver evitato una tragedia ma ciò non ti da alcun diritto di farmi un interrogatorio come se fossi un agente segreto in missione. Non so nemmeno chi sei!Non so nemmeno il tuo nome»
« Leo, mi chiamo Leo», rispose aggrottando la fronte e serrando le labbra in due fessure « e mi dispiace di averti dato questa brutta impressione ma non ho alcuna intenzione di lasciarti andare. Non posso lasciare che ti accada qualcosa »
Scoppiai a ridere in una fragorosa risata. Ma chi si credeva di essere? Credeva di sapere tutto? Era già convinto di sapere tutto di me, di conoscere il mio passato, le mie angosce e i miei dolori senza tener conto che poteva aver capito solo la sinossi della mia vita, senza conoscere il vero contenuto del libro.
« So badare a me stessa! L’ho sempre fatto da quando ero poco più di una bambina. Quindi ritorna alla tua vita e lascia che io ritorni alla mia», feci per voltarmi e andarmene prima che potesse fermarmi e mi braccò nuovamente,prendendomi per un braccio e costringendomi a voltarmi, ritrovandolo a pochi passi da me.
« lascia che ti aiuti, che mi prenda cura di te! », saltai un battito quando si avvicinò lentamente, guardandomi con i suoi occhi di ghiaccio, così profondi come se avesse un abisso all’interno. Mi accarezzò il viso con la sua mano fredda e mi accorsi solo ora che stava asciugando una lacrima che si era presa la libertà di uscire.
Non riuscii a credere che a questo mondo esistessero persone dall’animo gentile,capace di aiutarmi senza chiedere nulla in cambio.
Era la prima volta che qualcuno mi capiva veramente o quantomeno ci provava, e avvertii uno strano senso di protezione che non avevo mai sentito prima. Uno strano calore al centro del petto.
« aiutami, ti prego»



**


«Da quanto tempo va avanti così? », domandò porgendomi una tazzina fumante con uno strano liquido all'interno,dal profumo buono e intenso. Abbassai lo sguardo, perdendomi nell’immensità dei miei pensieri più profondi, situati nel luogo più emblematico della mia mente.
Ero seduta comodamente sul divano del suo ampio e illuminato soggiorno, con le gambe rannicchiate al petto in segno di protezione mentre lui se ne stava appollaiato sulla sedia accanto al tavolo, fumando una sigaretta che posò su un piccolo contenitore di porcellana bianco,decorato con delle rose di un blu intenso.
I nostri volti venivano illuminati dal fuoco di un grande camino a legna che scoppiettava emanando scintille colorate di un blu e di un rosso acceso.
Una piccola televisione faceva da sfondo ai miei pensieri,in cui una signora sputava sentenze sul tempo, dicendo che oggi sarebbe stata un’altra giornata di pioggia incessante.
Erano passati secoli dall’ultima volta che avevo visto la televisione, ovviamente perché sotto i ponti non c’era alcuna antenna che potesse trasmettere dei segnali.
Mi voltai, ritrovando Leo con le mani sulle ginocchia, aspettando che continuassi. Abbassai lo sguardo imbarazzata « Da quando avevo sedici anni », risposi tenendo lo sguardo sulla bevanda calda che iniziai a sorseggiare. Degustai l’aroma amarognolo, storcendo il muso quando mi scottai la lingua.
Avvertii il suo sguardo perforarmi da parte a parte, seguito da un silenzio tombale che sembrò durare un’eternità. «e che ci fai con Gabriel?», chiese dopo qualche minuto, sminuendo il silenzio che si era venuto a creare «perché stai con lui pur sapendo che ti farà solo del male?», alzai lo sguardo e incrociai il suo. Aveva la fronte corrucciata e i suoi occhi erano talmente intensi che mi persi nell’immensità del suo sguardo.
Stava cercando di capirmi, di comprendere la mia situazione ma non avrebbe capito comunque. La mia era una storia lunga e piena di insidie, impossibili da capire per chi non aveva visto l’inferno con i propri occhi.
«Gabriel non è una cattiva persona. Mi prese con sé quando il resto del mondo mi aveva voltato le spalle. E’ stata l’unica persona che mi sia restata accanto e non finirò mai di ringraziarlo per questo, anche se a volte si è rivelato troppo possessivo nei miei confronti», feci spallucce e sorrisi amaramente, sentendo una morsa farmi presa nello stomaco.
Non era affatto facile parlare di un qualcosa che avevo tentato inutilmente di cancellare dalla mia memoria, semplicemente perché era più facile non pensare al dolore che affrontarlo.
In questi tre anni avevo scoperto cosa significasse vivere una vita che non ti appartiene, perché quella non era più la vita di Briseide Bailey ma una ragazza che non mi apparteneva, che aveva preferito ripudiare se stessa e le sue origini per quello che era stata costretta a diventare.
Avevo preferito dimenticare quello che ero stata perché la vita aveva deciso così.
Dovevo dimenticarmi di quella ragazza con il cuore puro, indifesa e con il sorriso sempre sulle labbra. Quella vita non mi apparteneva già da tempo.
« e in tutto questo: dove sono i tuoi genitori? », domandò stipulando l’unica domanda che considerava una lama a doppio taglio, il mio tallone d’Achille.
Avevo sempre avuto paura delle domande, forse perché comportavano delle risposte che mi terrorizzava ancora di più. Era stato difficile cancellare dalla mia memoria coloro che mi avevano dato la vita e per tanto tempo avevo continuato la mia strada, cercando di dimenticare chiunque avesse messo piede nella mia infanzia, questo perché non volevo soffrire ancora. Avevo già provato troppi dolori per essere solo una ragazzina.
« sono morti», balbettai esasperata, torturandomi le mani con brutalità come se volessi accanarmi verso me stessa, sentendo già il mio viso bagnarsi delle prime gocce che cercai inutilmente di ricacciare all’interno
« sono morti quando io ero ancora molto piccola, a … causa di un incidente d’auto. Lasciandoci soli al mondo»
« soli? »
Serrai i pugni con forza finchè le notte non diventarono bianche « si, a me e a mio fratello», alzai lo sguardo, notando una nota di stupore nei suoi occhi che mi riportò indietro nel tempo.
Non avrei mai potuto dimenticare quello stesso sguardo. Quegli occhi castani velati di lacrime di terrore per ciò che ne sarebbe stato di lui.
Era solo un bambino, costretto a crescere precocemente perché la vita non aveva avuto pietà. La vita non ha mai pietà per chi è più debole.
La colpa era solo mia che avevo permesso che mi venisse portato via, senza lottare con le unghie e con i denti per tenerlo con me. Non avrei mai potuto dimenticare il filo invisibile che ci legava, quel filo che molti avevano cercato di tagliare per coprire le tracce del loro passaggio.
«e che fine ha fatto? » chiese qualche minuto dopo,sospirando rumorosamente.
«non lo so! », risposi alzandomi di botto, facendo rovesciare la tazzina con dentro il liquido amarognolo «Non ho più sue notizie da tre anni ormai. Da allora ho lottato con le unghie e con i denti per scoprirlo ma senza alcun risultato. Io non riesco a vivere pensando che lui è la fuori da solo e aspetta ancora che lo vada a riprendere», si alzò dalla sedia venendomi vicino, afferrandomi prepotentemente il braccio in modo da bloccare il mio delirio. Lo guardai sconvolta e senza più energie per continuare questo tipo di conversazione: questa era la mia Kriptonite.
«lo so che può essere stato difficile ma …»
«no! tu non lo sai! », sbiascicai allontanandomi da lui,guardandolo ad occhi sgranati come se fosse pazzo
« tu non sai che significa svegliarsi la mattina e non sapere che ne sarà di te, se riuscirai a sopravvivere e chiedersi continuamente cosa succederà … domani! Ho perso tutto Leo,i miei genitori, mio fratello e sto perdendo anche me stessa. » Mi sentivo una bambina, senza difese e senza la forza per smettere di piangere. Era un dolore troppo grande da sopportare per una persona sola,troppi segreti che avevo custodito per così a lungo e che non avrei mai potuto rivelare.
«devi calmarti! », tuonò prendendomi fra le sue braccia e accarezzando il viso con le sue mani fredde.
Il suo respiro mi solleticò le gote facendomi quasi il solletico e i suoi occhi guizzavano sul mio viso « vieni! », sussurrò un attimo dopo, stringendomi forte a sé e accarezzandomi dolcemente mentre appoggiai la testa tra l’incavo della sua spalla e il collo, premendo le mani sul suo petto «ti prometto che ti aiuterò a ritrovare tuo fratello. Fosse l’ultima cosa che faccio! » sussurrò flebilmente soffiando al mio orecchio.
Una seconda voce piombò nella mia testa come un uragano

Ultime notizie!

Proferì una donna al telegiornale, richiamando la mia attenzione e distogliendomi dal caloroso abbraccio di Leo.

Ritrovato un ragazzo morto nei quartieri più poveri della Grande Mela. La causa del decesso è ancora da stabilire.

Sgranai gli occhi e il cuore mi arrivò in gola,facendomi mancare il respiro. Non poteva essere, non potevo essere vero! Non poteva essere lui.
«Gabriel! »

Non andartene anche tu!
… Sei l’unica cosa che mi rimane …







Fuochi d’artificio!!!!!!! :D
Waw è la prima volta che aggiorno a tempo di record: solo una settimana!!!!
Sono orgogliosa visto che devo finire una storia iniziata due anni fa ^-^’’
Ho riletto la storia un casino di volte ma alla fine ho deciso di pubblicare, altrimenti mi decidevo il prossimo anno. Sono troppo indecisa... :/
Come secondo capitolo non è niente di che ma ho dovuto inserirlo per far un pò di luce sul passato di Bris, ma per il prossimo capitolo preparatevi ad una bomba!! Spero …
Non trovate che Leo sia molto ... caliente? *_* a me piacciono da morire!! Però non so, forse Bris è innamorata di Gabriel. Ma Che cosa gli sarà successo? Leo ha messo fine alla sua vita con un solo colpo?
lo vedremo nel prossimo capitolo ;)
Ringrazio calorosamente: Princess of Dark e Fuffettina05 per aver trovato qualche minuto da spendere per una recensione ( vi ringrazio u.u ) e su: Vi voglio più attivi :D ahahahaha
Un bacio.
Aishia

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