Zombie Blues - Not for Human Consumption

di DonatellaR
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. La scritta ***
Capitolo 2: *** 2. La nevrosi ***
Capitolo 3: *** 3. La Santera ***
Capitolo 4: *** 4. Il party ***



Capitolo 1
*** 1. La scritta ***


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Rabbrividisce muovendo le spalle e girandosi su un fianco.
Il suo materasso è ghiacciato e umido. Aggrotta le sopracciglia in disappunto. Quel cesso di caldaia si è rotta di nuovo. Formulare il pensiero di rabbia successivo genera una scarica di dolore nella sua mente.
Risate. Tintinnare di bicchieri.
Ah, no. Non è tornata a casa la sera prima.
Chissà se ha ancora il vestito?
Apre a fatica un occhio.
Sotto la giacca spunta un vestito lungo di finto chiffon che spopola in giro e ormai si trova pure nelle marche d’abbigliamento dei supermercati. Arriccia il naso alla suola stropicciata delle sue brogues rinforzate sulla punta da una placca di metallo dorata. Sono già da buttare.
Si stiracchia. Le duole ogni giuntura del corpo. Che idea fantastica addormentarsi su un lettino a bordo piscina ad uccidersi di umidità ed insetti molesti.
Sta albeggiando. Si scherma la vista con la mano destra, assottiglia le palpebre. C’è qualcosa scritto sul polso della sua mano sinistra, in controsole non riesce a leggerlo. Si sistema in posizione eretta e strizza gli occhi alle lettere di nero inchiostro impresse sulla pelle.
 
Z O M B I E
 
Il nome di un nuovo locale? La Zombie Apocalypse fa furore dalla West Coast alla East Coast, facile che anche Los Angeles abbia seguito la scia. Doveva proprio essere stata bevuta per entrare in un locale del genere. Ha rifiutato diversi b-movies erotico splatter per la presenza di quei fantocci. Li trova profondamente stupidi. Nel Kansas i film horror erano sempre una scusa per infilarle le mani nelle mutandine e li associa ad un doppio disgusto.
Si massaggia le braccia con entrambe le mani. Deve andarsene.
Si guarda di sfuggita intorno. Rimasugli di una festa sparsi sulla terrazza della collina. Piatti di carta col cibo intatto o smangiucchiato (non sia mai che a Hollywood veramente la gente mangi), tracce di vomito sulle piastrelle di maiolica, bikini bagnati, calpestati e stropicciati. L’assenza di costumi da uomo la dice lunga sul tenore della serata
Sempre meglio svegliarsi in un lettino che distesa a faccia in giù in un vasto salotto. E non può giurare non le sia capitato.
Un uomo tarchiato dai tratti messicani col cappellino da baseball calcato sulla testa si fa strada in quel mare di caos, un rastrello poggiato sulla spalla.
L’istinto la fa sporgere in avanti per chiedere che ore siano. Ha il viziaccio di non portarsi l’orologio dietro, il cellulare antidiluviano abbandonato sulla mensola del suo monolocale. E’ convinta che dichiarare di non averlo sia chic.
Nota qualcosa nella polla della piscina imperiale – kitsch.
Michael Fogarty galleggia a faccia in giù nell’acqua.
Rimane immobile mentre il giardiniere si esibisce in un urlo da scrofa scannata.
Come sembriamo buffi pupazzi quando siamo privi di vita.
 
Non è il primo cadavere che vede.
Suo zio Jack è morto investito da un mietitrebbia. Aveva lasciato acceso il motore. Lo aveva scoperto lei mentre andava a chiamarlo per la cena. Assomigliava orrendamente alle uova strapazzate per cena di zia Beth.
Non rimase colpita dalla sua morte perché non nutriva molta simpatia per il parente. Non era un tipo loquace. Riempiva di grugniti la stanza e il massimo dell’interazione che si poteva avere erano un “si” e un “aha”. Il mondo non l’avrebbe compianto.
Fogarty lo conosce bene. Le ha toccato spesso tette e culo come se fosse roba sua. Il proprietario lo fa fare perché gli dà una mancia maggiore di tutti i quanti i clienti.
Si chiude il cardigan con una spilla da balia. Non vede l’ora di togliersi quelle scarpe del cavolo.
La città si sta risvegliando. I semafori sospesi oscillano pigri al vento caldo californiano. L’alba è pervinca e rosata. Un uomo alla sua destra si sta avviando a posizionare un’insegna a lavagna “Fancy Cuts” scritto in gesso fucsia.
Attraversa senza fretta. Non c’è un’anima.
Perde l’equilibrio per un secondo.
- Stronza di una scarpa! – sputa fuori con astio. Se le toglie sull’altro marciapiede, massaggiandosi le caviglie martoriate.
Decide di procedere a piedi nudi. L’asfalto le gratta i plantari, le fa sentire di appartenere a Los Angeles. L’ha assorbita nel suo DNA, l’ha imbevuta fino al midollo come se l’avesse generata.
E’ diventata aliena con essa. Non guarda, non ascolta, segue il suo percorso egoista. Vede ma non incontra.
Persone e fatti che sarebbero stati etichettati dai suoi concittadini di Augusta come pazzeschi, oltraggiosi, scandalosi, non la sfiorano. A Los Angeles tutto è normale. Anche raffiche di spari in piena notte. Un uomo che perde le braghe per ubriachezza incosciente. Grida di una donna assalita. I sensi si annullano. E se non si riesce ad estraniarsi o ci si ammala o si muore lentamente o si torna a casa.
Squillo di un cellulare.
- Si può sapere dove cazzo sei?
Morgan, suo fratello, deve essersi svegliato da poco. E non l’ha trovata a letto.
- Sono per strada.
Uno sbuffo.
Sa che si sta tirando indietro i capelli con la mano destra. Reagisce sempre così quando qualcosa non gli va bene.
- Che significa per strada? Dove?
Amanda chiude gli occhi ferma sul ciglio del marciapiede. La luce dei pedoni davanti a lei si illumina di verde.
- Non serve tu venga a prendermi.
- Come sei vestita? – parlare con un sordo era uguale.
- Mor, non sono affari tuoi. Non vado in giro nuda.
Ha bisogno di un frappuccino dello Starbucks. Certe conversazioni sono indigeribili a una certa ora del mattino.
- Non ti preoccupare, fratellino. – chiude la chiamata senza attendere replica. Si passa due dita ai lati dell’attaccatura del naso.
Le sarà mai concessa una mente sgombra?
 
Morgan fissa lo schermo dell’I-phone.
Ended call.
Butta il cellulare sul sofà stizzito. Va in bagno e fa scorrere l’acqua del rubinetto.
Sciacquio.
Amanda bada a se stessa fin troppo bene, ma non ha alcuna cura per il suo “futuro”, come direbbe Arnold Greenwood. Non lo chiama più “papà” dall’età di quindici anni.
La settimana prima un’agenzia di modelle gli ha telefonato inferocita per la sua mancata presenza ad uno shooting. Semplicemente sua sorella non aveva voglia di alzarsi.
In una diversa occasione aveva risposto per le rime ad un regista impertinente ed era stata cacciata da un provino.
La sua insofferenza è di tali proporzioni che si era trovata un lavoro al Blue Moon, pur non avendone bisogno per fare dispetto a lui o ai suoi, difficile a dirsi.
Nonostante la contrarietà del padre, la madre versa i soldi sul loro conto. Non quanti erano abituati a casa, sufficienti però per vivere a Los Angeles.
Se sua sorella non bruciasse la sua paga in vestiti e scarpe, non avrebbero problemi. Invece è costretto a cercare concerti extra fuori Los Angeles per arrotondare.
Squillo.
Non può essere lei.
- Mor, porta il tuo culo subito qui. Dovevi esserci per le sette e sono già le sette e mezza.
- Sto aspettando una persona.
- Non me ne frega un cazzo di chi stai aspettando. Se hai dei problemi, non sceglierti questo mestiere, gesù cristo!
Riattacca.
Deve essere la sua mattina fortunata. Telefoni sbattuti in faccia nel giro di quindici minuti.
Non conoscere dove sia Amanda con esattezza gli inacidisce i succhi gastrici. Non può rischiare che Jeff gli levi il ruolo per il concerto. Un roadie dei Red Hot Chili Peppers è pagato più che bene e non può farsi sfuggire questa occasione.
Al diavolo.
Acchiappa il borsone ed esce.
 
Daniel Boyle odia i casi assegnati d’ufficio. Lo fanno sentire un novellino.
Non gli piace tornare indietro e perdere rispetto.
E non gli piacciono le prove da superare.
Soprattutto quando un caso è una bomba a orologeria.
Fogarty era un dannato magnate dell’industria cinematografica. In quell’anno la sua etichetta ha sfornato cinquanta film, al terzo posto dopo la Disney. Un autentico polverone con la stampa ai cancelli.
Grugnisce a ripensare ai giornalisti che si erano appiccicati al suo didietro come zanzare ad una zanzariera. La pressione mediatica immobilizza il suo cervelletto, riducendo la sua voglia di indagare pari allo zero.
Non è obbligato ad occuparsene ma a risolverlo questa volta. Altrimenti non si immagina con precisione cosa possa accadere. Privarlo del distintivo è ancora un’ipotesi paranormale. Ha, però, la netta visione di se stesso in uno stanzino di tre metri per tre circondato da scartoffie amministrative.
Il cadavere è stato trascinato fuori dalla piscina, la scientifica sta prelevando campioni attorno. Un palloncino di lardo gonfio d’acqua.
Si informa sui primi rilevamenti. Non possono affermare nulla di significativo finché non abbiano eseguito delle indagini di laboratorio.
Un sussurro al suo orecchio.
- Ispettore, vuole parlare con la moglie? – un agente accenna alla finestra in alto della villa. Una donna dai capelli corti ossigenati contempla la scena del delitto, la fronte lievemente increspata. Emette un cenno di saluto capendo di essere osservata.
Boyle non è meravigliato dal suo viso sgombro di lacrime. I matrimoni per amore sono rari come l’inverno ad Hollywood. 
Alle persone a bordo piscina è stato intimato di trattenersi ma è sicuro come la morte che la metà di loro non si ricordi come ci è arrivato in piscina.
Vorrebbe archiviare questo caso sedutastante. Michael Fogarty ucciso da un piranha rilasciato dal giardiniere malpagato. La sua supposizione sguazza nella fervida fantasia, pagherebbe affinché si avveri. I delitti patinati sono una spina nel culo. Bucano la carne per lungo tempo.
Dovrà presentare ogni passo dell’indagine al dipartimento e alla stampa. Gioia.
E’ un sadico modo di controllarlo. Se la testa non gli fosse andata in ebollizione per qualche provocazione in sede, magari non sarebbe caduto in questo pasticcio.
La polizia di L.A. è corrotta sin dai tempi della sua fondazione. Ogni dieci anni c’è un giro di boa, una caccia alle streghe che colpisce la metà dei dipendenti, giusto per far vedere che è un posto in cui vige la legalità. Dallo scandalo Rampart l’amministrazione non scende tenera sui reati di minore importanza.
Boyle aveva tollerato lo smercio di sostanze stupefacenti leggere nel suo distretto e aveva passato marijuana sotto banco a colleghi del suo dipartimento dietro pagamento. Gli era stato sospeso il distintivo per sei mesi. E gli era andata di lusso, considerato avrebbero dovuto sbatterlo in galera per almeno tre anni.
Il segreto della sua salvezza risiede nella sua popolarità. Un privilegio che gli è stato spesso più utile di un macigno sulle palle. Non è come Ed Exley di L.A. Confidential. Ha sempre rifuggito la gloria ma quella lo insegue come una puttana che non è stata pagata a sufficienza.
Sfila una sigaretta dal suo pacchetto Camel già mezzo vuoto e stropicciato.
Si avvicina al cadavere sottoposto ai rilevamenti della scientifica. Piega entrambi i lati della bocca ingiù in un’espressione disgustata. A Fogarty è stato scarnificato l’uccello e gli stanno prelevando dei campioni di carne maciullata. Peccato che le piscine non siano infestate da squali assetati di sangue. Caso risolto, chiuso. Invece, l’essere umano, creatura incredibile, è capace pure di sbrindellare a morsi l’apparato genitale di un suo simile.
- Causa della morte?
Il tizio interpellato in tuta bianca si toglie la mascherina blu.
- Dissanguamento.
- Ma…? – indica l’acqua, tirando la nicotina e grattandosi la testa.
- E’ stato buttato dopo nell’acqua. Non ci sono segni di affogamento.
Bella merda. Questa scoperta non restringe di certo il campo. Strizza le sopracciglia tra pollice e indice destri, stressato dalla prospettiva di dover vagliare ogni tipo di ipotesi.
- Detective Boyle?
La moglie di Fogarty si è degnata di fare la sua apparizione, due leggere ombre nere sotto agli occhi. Breve stretta di mano. Un profumo esotico gli stordisce le narici. I tratti della donna sono ispanici e indossa scarpe col plateau che non riescono però a raggiungere la notevole altezza dell’uomo.
- Per servirla. – assume il tono di cortesia che è di prassi con i parenti delle vittime. Accenna al cadavere disteso a qualche metro da lui: - Condoglianze.
Carla Fogarty annuisce impassibile. Aspetta le domande, una lieve tensione nella fronte. Comportamento standard consueto per chi ha subìto da poco uno shock.
- Era al party?
Uno scrollo di testa.
- Ero ad una cena di beneficienza a Cabasas. Aiutiamo le madri ispaniche a dare un’educazione ai propri figli senza crescerli sulla strada.
Daniel sfodera la faccia più apatico-comprensiva possibile.
Porcate. Giocare a canasta sarebbe stata un’occupazione migliore per i loro cervelli.
Ciascun quartiere di quella città è una trincea e non c’è raccolta fondi che lo possa salvare.
- A che ora è tornata?
- Ero ospite di Helen Pedrosa, la signora che ha organizzato la cena. Sono tornata solo questa mattina quando la polizia mi ha telefonato.
Altro granchio. Helen Pedrosa è la consorte del vicesindaco di Los Angeles. La sua sigaretta è arrivata ad una triste metà.
- Verificheremo.
La donna mostra un velo di contrarietà. Boyle non reprime un sorrisetto divertito. Tipetto suscettibile.
 
 
Amanda ha un preciso obiettivo quella mattina: togliersi il cattivo gusto dalla bocca. Prima della doccia, prima del lavoro. Odia avere l’alito di un cinquantenne. Fruga nella borsetta, trovando il suo kit con spazzolino da viaggio. Lo stringe sollevata.
- Heyyy! – una ragazza biondo platino corre ad abbracciarla, le ciocche ondeggianti ai lati degli occhiali da sole. Tintinnio di bracciali, le sta strapazzando la chioma.
Lei stira le labbra sbrigativa. Ha chiamato Jeanette solo perché è l’unica persona in zona e non le va di fare colazione da sola.
Si siedono. Amanda ha una gran voglia di spazzolarsi tutto quello che c’è sul menù.
- Huevos rancheros, pancakes ai mirtilli e café de olla.
La compagna sbianca mentre ordina muesli con yoghurt, frutta e miele.
- Cos’è? Un nuovo club? – l’amica indica la scritta all’interno del polso sinistro di Amanda.
Questa lo copre istintiva. Accortasi del gesto troppo brusco, lo sfrega in imbarazzo. Non sa che rispondere.
- Nah. Una festa.
Jeanette ha distolto l’attenzione facendo spallucce. Affonda il cucchiaio nelle fibre, sgranocchia pensierosa.
- E’ tanto che non vieni al Rhonda. Per non parlare dell’agenzia.
Sono a corto, vorrebbe dirle. Non può permettersi spese extra, anche se la sua tendenza al risparmio lascia a desiderare. Da un mese Morgan gestisce la sua paga che riceve dal Blue Moon, un tiki bar sulla Sunset Strip di West Hollywood. Le ha imposto la museruola da quando ha speso tutti i suoi spiccioli per un paio di scarpe e una borsa su ASOS.
- Mi hanno raddoppiato i turni al bar, un ragazzo se ne è andato senza preavviso. Non ho tempo di organizzarmi per nulla.
Una risatina scema.
- Sai che non ti ci vedo a miscelare cocktail?
Amanda sorride affettata.
- Dovresti passare di tanto in tanto, così vedresti come me la cavo.
- Sicuro, tesoro. Non appena riesco a liberarmi dagli impegni.
Ovvero passare di letto in letto a Calabasas. Può affermare con certezza matematica che quello che indossa non è stato comprato di propria tasca dalla ragazza. Lei non ci riesce in automatico. Forse avere un fratello sempre presente non è da sottovalutare.
Si salutano all’uscita. Amanda spera non raccolga il suo invito. Si scoccia terribilmente se i conoscenti vengono a trovarla sul lavoro.
Si gratta la scritta nera. Diavolo di inchiostro indelebile, dovrà eliminarlo con lo spirito!

 
 
 

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Capitolo 2
*** 2. La nevrosi ***



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2.
La nevrosi
 
 
 
Daniel legge il referto. Di tanto in tanto si interrompe sorseggiando il caffè bollente di Parsons. Un giorno gli verrà un infarto nel berlo.
Salta i paragrafi non appena la concentrazione si spegne.
- Uuuuh, stai leggendo l’autopsia di Fogarty? Come te ne va, amico? E’ ora di pranzo! – il sergente Pedro Torres entra con un panino di pastrami e cavolo rosso diviso a metà che al detective ricorda due palle di toro. Non che le abbia mai viste, sia chiaro. La puzza di cipolle fritte gli anestetizza il naso.
- Il tuo fegato scoppierà prima o poi. –borbotta Parsons al computer.
- Ti ho sentito, agente. – lo indica col dito grassoccio.
Quello si esibisce in un sorriso di circostanza.
- Senti, capo…
- Non sono più il capo di nessuno. – Daniel strascica la voce annoiato. Per Torres è difficile abbandonare le proprie abitudini.
- In ogni caso, Boyle, non li leggi i giornali? Qualche settimana fa era sul Los Angeles Times. – si siede spargendo gli incartamenti del fast food sulla scrivania – Un tizio di West Hollywood impazzisce e morde la faccia del compagno. I soliti froci impulsivi…
Il sergente non ha il dono di spiegarsi.
- Cannibalismo? – il sopracciglio è alzato per scetticismo.
- Oh, no, no. – addenta il panino masticando rumoroso. Boyle non vorrebbe essere camicia alla moglie.
- Droga, capo! – abbassa la voce accorgendosi di aver urlato – Roba nuova, tipo marijuana sintetica. Li chiamano sali da bagno e pare ciascuno abbia una composizione diversa.
Daniel raggrinzisce l’angolo del labbro superiore destro in una smorfia da volpe.
- E tu come lo sai?
Pedro arrossisce.
- Era riportato nell’articolo. Che vuoi insinuare, capo?
Si gratta la testa biondo riccia ridacchiando.
- Nulla, figurati.
L’insinuazione di Torres, per quanto ingenua, può essere sensata. Voglia di parlare con la sezione narcotici saltami addosso! Dopo il suo misfatto non ha un buon rapporto con questa. Ironico si trovi di nuovo immischiato negli stupefacenti. Quasi crede nel karma. Quasi.
Ramona gli sbatte con malagrazia l’elenco della lista degli invitati alla festa.
Wow. Un centinaio. Fogarty non era tipo da cenette intime.
Il desiderio cosa siano realmente questi sali da bagno è troppo forte.
- Torres?
Questi si volta interrogativo trattenendo un grosso boccone.
- Dove li posso trovare?
- Negozi di tabacco e botanica.
Si infila una sigaretta dietro l’orecchio finto pensieroso.
- Grazie. – gli rivolge un sorriso mellifluo a trentadue denti. L’uomo si è fatto sfuggire il nome botanica, le botteghe che forniscono materiale per la pratica della santeria.
Torres deglutisce male e beve di corsa un sorso di Coca Cola.
Fregato.
 
 
 
- Finalmente sei nello spirito del bar! – Hernie guarda compiaciuto ciò che crede essere un tatuaggio. Amanda lo copre spazientita mentre svita una bottiglia di rum nero giamaicano.
Ha un mal di testa atroce accresciuto dalle immagini che si susseguono dell’omicidio di Michael Fogarty trasmesse dalla TV nazionale. Interrogheranno pure lei e sarà una scocciatura rivelare che era abbastanza ubriaca da non ricordarsi nulla. Realizza che ha di nuovo fame.
Affonda la mano in un pacchetto di nachos.
- Paghi tu per loro? – le passa accanto Frank in una maschera di indifferenza.
Annuisce senza pensare. Al diavolo, chiudete la bocca.
Prima di arrivare a lavoro, ha provato a cancellare la scritta con dell’alcool: zero. Sembra un’incisione sotto pelle. Il bello è che non si ricorda assolutamente come se l’è procurata. Sa solo che deve essere stato al party di Fogarty. Le si serra lo stomaco. Dovrebbe smetterla di ubriacarsi al punto di non ricordarsi una ciabatta di ciò che è successo.
- E’ pericoloso. – la faccia preoccupata di Morgan tra gli alcolici.
Era andata alla festa per cercare di essere scritturata nell’ultimo film del magnate, un blockbuster di facile comprensione che avrebbe sbancato al botteghino. Ora non è sicura lo manderanno in produzione. Magari qualcun altro sarà incaricato di proseguire il progetto ma non ha idea se le interesserà ancora. La serata le ha lasciato l’amaro in bocca assieme a quel fastidioso marchio.
- Hai un colorito pessimo. – Imani la squadra. Non scorre buon sangue tra loro. La ragazza la considera una bianca ricca che le ruba lo stipendio e coglie qualsiasi occasione per essere sgradevole con lei. Amanda scuote il dito indice della mano sinistra.
- Scordatelo, non andrò a casa per così poco.
La parola “zombie” è di nuovo allo scoperto.
La barista ride divertita.
- Non sapevo avessi senso dell’umorismo!
Amanda raggrinzisce le labbra sprezzante.
- Non dovreste essere esperti di questa roba voialtri?
Il volto di Imani si tinge di nero nell’oscurità.
- Io sono presbiteriana.
- Non è una garanzia.
- Ragazze, ragazze! – Phil, baffoni brizzolati e floscia coda di cavallo, si mette in mezzo tentando di spezzare l’elettricità tra le due – Possiamo concentrarci, per favore? Preparate il Don’s mix e orecchie puntate sul cliente!
 
 
Morgan si lega i capelli e guarda fisso la cassa difettosa ai suoi piedi. Si piega per capire cosa c’è che non va.
Gli piacciono le operazioni meccaniche, gli impediscono di pensare. Per fortuna l’emozione di trovarsi sul palco dei Red Hot ha il suo effetto benefico.
- Accorda un po’. – Matt strimpella due note al basso che escono sconnesse dall’amplificatore.
- Il segnale di distorsione è disturbato.
Come il cellulare di Amanda quando gli aveva telefonato quella notte. Era strafatta oltreché ubriaca lercia, e il suo cuore aveva accelerato nel non avere la minima idea di dove fosse.
- Ok, allento la tensione di alimentazione. Riprova al mio cenno.
Dovrebbe lasciarla andare. Ci ha provato più volte senza successo. Sono state tutte suoi surrogati. Amanda è imbattibile nel suo peggio.
Rivolge il pollice alzato a Matt che ha riprovato lo strumento.
E’ maggiore della sorella di tre anni. La madre, Samantha, profondamente cattolica e accanita sostenitrice di Freud, lo aveva portato dallo psicoterapeuta non appena aveva manifestato un attaccamento anomalo ad Amanda. La genitrice era rimasta fino in fondo solo alla prima seduta. Morgan era un bambino obbediente che ispirava fiducia. Proprio per questo era riuscito a scamparla. Per non insospettire Samantha aveva preso in prestito un libro sulla psicanalisi dalla biblioteca della scuola. Secondo un libro francese di cui non sapeva pronunciare il nome, soffriva di una nevrosi ossessiva. Una forza interna incontrollabile avrebbe innescato il suo attaccamento alla sorella. Concetto inconcepibile per un ragazzino che la considerava un’inclinazione naturale.
Era nato come istinto di protezione un giorno nel retro del loro capannone in Kansas, nella desolata Wallace.
Aveva udito il sibilo troppo tardi. Uno strillo micidiale si era levato dal campo. Gli uccellini si erano librati in volo atterriti. Delle trecce bionde erano state risucchiate dal verde giallognolo delle erbacce. Era volato al suo fianco, mettendo in fuga il serpente giarrettiera colpevole dell’aggressione. Le aveva sollevato la gamba, estratto sangue dalla ferita con la bocca e sputato come aveva visto fare da un tizio in televisione. Avrebbe scoperto soltanto più tardi con immensa delusione che il morso dell’animale non era velenoso. Forse se non fosse stato inebriato dall’odore di ambrosia selvatica caratteristico della pelle di Amanda, la sua vita avrebbe assunto un’altra piega.  Sua sorella era diversa dalle bambine del villaggio che si contavano sulla punta delle dita. Per incontrare adolescenti come lui doveva andare a scuola fino ad Oakley, un bel tragitto con lo scuolabus.
Aveva ragazzine che gli andavano dietro regalandogli bigliettini stracciati in seguito nella pattumiera. Quella carta puzzava di rose.
Abusava comunque della loro disponibilità. Era impossibile sperimentare con Amanda vivendo sotto lo stesso tetto dei genitori. Lei era gelosa perché era molto più chiusa del fratello e aveva difficoltà a stringere rapporti con persone di sesso opposto.
La madre aveva scelto di scolarizzarla tardi, intralciando un suo facile inserimento nel sistema. Era consapevole della bellezza di sua figlia e voleva preservarla. Per questo motivo non si vedevano di buon occhio. Dopo aver identificato l’attaccamento di Morgan ad Amanda, il suo amore per lui era stato colmo di riserve.
Come se l’oggetto del suo desiderio lo ami.
Se avessero condiviso la stessa ossessione sarebbero stati già morti.
No.
Lui è in uno stato pietoso perché non esiste reciprocità.
Amanda lo usa.
Amanda é un involucro vuoto che accoglie qualsiasi riempimento.

 

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Capitolo 3
*** 3. La Santera ***


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3.
La Santera
 
 

 
Carla de la Rivera è il suo nome da nubile. Ha la madre cubana e il padre messicano. I suoi genitori sono cristiani nel senso più lato del termine. Praticano la Santeria, il culto afro-caraibico che nasconde elementi della religione Yoruba nei santi del Cristianesimo.
Carla è una donna religiosa solo nelle disgrazie. Ha paura degli spiriti dei morti, soprattutto quello del suo defunto marito. Era un aleyo, un outsider, tuttavia la villa è impregnata della sua presenza e il suo efferato assassinio esige un rito di purificazione. Per se stessa.
Paula, la santera, le borbotta davanti frasi in una lingua africana che sospetta neanche lei capisca. Acqua, erbe e latte di cocco sono spruzzate sulla sua testa.
Per il funerale non dovrà muovere un dito, saranno gli Studios a organizzare e pagare. Intende levare le tende dopo la lettura del testamento. Si è già messa in contatto con il suo amante, un regista di Hollywood che vive ad Orange County. Si trasferirà da lui non appena possibile.
E’ una donna pratica. Rimarrà a disposizione della polizia, fornendo l’aiuto necessario.
Paula sbianca, gli occhi si rovesciano.
La signora Fogarty la fissa. Pensa sia parte del rito.
La vecchia si appiglia alla sua camicia.
- Eshuuu – rantola.
Il dio dei crocicchi, colui che comunica con gli Dei.
Stringe i denti, la santera ha una presa d’acciaio. Se vuole aumentare la sua offerta, non è sulla buona strada. Come minimo le sta lasciando un livido. Non apprezza chi le fa perdere tempo, le aveva suggerito di essere rapida ed efficace nella cerimonia. La osserva passiva aspettando finisca la messa in scena.
Paula ha la bocca spalancata, la lingua inarcata sul palato, i bulbi bianchi.
Contrariata all’inverosimile, Carla continua il canto Aguanile interrotto a metà dalla sacerdotessa.
Eeeh kirie eleison, christe eleison
No me metas a mi mona que yo tambien
Me se de eso.[1]
- Fun ifanimora[2]! – apre la bocca infine la santera.
Deve essere yoruba. La donna scuote il capo. Non capisce. Strattona via la mano di Paula dal suo braccio e la scrolla violenta.
- Svegliati, Iyalorichas[3]!
Questa batte le palpebre ad intermittenza come ridestatasi da un incubo tumultuoso. Le somministra qualche schiaffetto gentile e controlla l’ora.
- Che mi è successo? – la fa sedere sul divano bianco della sala. Si dirige in cucina. Rubinetto che scorre. Un lungo bicchiere di vetro ricolmo d’acqua è posto di fronte alla provata Paula.
- Credo lei sia stata posseduta. – alla vecchia per poco non cade il bicchiere dallo stupore.
- Che ho detto?
- Ha esclamato Eshu e qualcosa in yoruba.
La santera si guarda intorno confusa. Fissa i nastri che ostruiscono il passaggio alla piscina. CRIME SCENE – DO NOT CROSS.
Beve.
- E’ avvenuto un omicidio qui?
Carla segue il suo sguardo imbambolato. Annuisce irritata. Deve ricordarsi di chiamare Jodie, la sua parrucchiera, per avvisarla che farà ritardo.
Paula annusa l’aria. Un lieve lezzo esotico.
- E’ stato tutto ripulito?
Cenno affermativo.
Si alza e passeggia per l’ampio salone come alla ricerca di qualcosa. Si abbassa, scandagliando gli interstizi tra i mobili. Nulla.
- Le posso essere d’aiuto?
- Com’è avvenuto il delitto?
Carla risponde di malavoglia.
- C’era un party. Mio marito è stato ritrovato in piscina morto.
- Avete usato il catering?
La signora Fogarty è perplessa.
- Sì…ma che c’entra, scusi?
Fa spallucce.
- Posso vedere la cucina? Devo verificare una cosa.
Carla si chiede se non sia il caso di declinare la stramba richiesta. La donna le è stata raccomandata da una cara amica, non dovrebbe essere pazza o una ladra.
Entra nella stanza come se fosse a casa sua. Tocca superfici, maneggia oggetti. Gira un ripiano di legno quadrato per tagliare le verdure.
Spalanca le palpebre.
Un’incisione impolverata di farina.
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- Papa Legba. – sussurra spiritata, scruta Carla dritto nelle pupille.
- Rifaremo la cerimonia di purificazione ma tu devi andartene da qui, bambina mia. – ripone il tagliere apposto – Non può venire nulla di positivo da questo.
- Cos’è?
- E’ un veve. – dice riluttante – E’ disegnato quando si desidera un intervento magico. Papa Legba è il tramite tra la divinità e il richiedente.
- Questa non è Santeria.
- No, questo è Vodun…Voodoo.
 
 
A Daniel sta salendo la voglia di buttare il telefono tra i cespugli del vialetto di una villa che sta passando con la macchina. Bart Crosby, il suo collega, scruta dinanzi a sé passivo. Non c’è molto feeling tra di loro ma è l’unico di cui sopporta la presenza.
- Che cazzo significa che la signora è ancora dentro?! L’intero blocco della casa è una fottuta scena del delitto, Grant! – gli tremano le mani, digrigna i denti per il nervoso, gli occhi spiritati di sangue. Dà il cellulare al suo collega.
- Parlaci tu, se no spezzo l’aggeggio.
- Sì? Va bene. Mh. Come vuole. – riattacca.
Il detective lo squadra infastidito. Ha dimenticato che la concisione di Bart è leggenda.
- Per oggi non possiamo andare, Dan.
Compie un’inversione di marcia repentina, Crosby afferra il manico per tenersi.
- Dove stiamo andando?
- A non perdere tempo!
Fanno il loro ingresso nel botanica più grande della zona che è riuscito a trovare su Google. Spera sia la prima e ultima volta che mette piede in quella giungla esoterica.
Il negozio è deserto all’ora di pranzo. Le luci al neon illuminano ceri, bambolette di gomma dei santi, candele della Santissima Muerte.
Bart si trastulla con flaconi d’olio impolverati.
Tapa Boca – Mouth Cap. Amansa Guapo – Taming The Bully. Chango Macho – Anointing Oil.
Soluzioni magiche per intervenire sulla volontà delle persone.
Boyle sbuffa. Merda liquida.
Il proprietario non si vede.
- C’è qualcuno? – butta una voce.
Rumori confusi nel ripostiglio.
Daniel allunga il collo tra gli scaffali.
Un ometto tarchiato sulla sessantina dai lineamenti ispanici esce dal retro e si fa strada dietro il bancone.
- Buongiorno, posso fare qualcosa per voi? – sorride rivelando un vistoso dente d’oro.
- Salve! – sfoderano i distintivi, l’uomo continua a sorridere imperturbato, probabile se ne fosse già accorto.
- Stiamo facendo una ricognizione dei botanica della zona di West Hollywood per controllare sia tutto a posto, sa. – Boyle lo guarda in tralice, un sopracciglio abbassato e l’altro alzato, l’espressione di suo nonno quando sospettava una bricconata. E’ meglio non nominare la parola “omicidio”, regala strani pruriti dietro alla nuca alla gente.
- Cercate qualcosa di specifico?
Gli piacciono i tipi che vanno dritti al sodo.
- Sali da bagno.
- Oh, ne abbiamo parecchi. – a quel punto non dovrebbe essere entusiasta, invece lo è.
Gli agenti lo seguono nella sezione appropriata. Indica un esercito di piccole confezioni cilindriche. Stesso criterio degli oli e ce n’è per ogni gusto: pepe del comando, rimozione maledizioni, attira soldi, rituale di sbarramento. Rimane un secondo di più su quest’ultimo. Che significa?
L’uomo cattura la sua occhiata.
- E’ per guarire da una maledizione prolungata nel tempo.
Daniel tira un intenso sospiro. Anni nella polizia e non ci si abitua mai all’assurdità del mondo. Di colpo fare l’omino del furgoncino dei gelati ti sembra un mestiere plausibile.
- Si fanno sciogliere i sali nell’acqua e la maledizione è…lavata? – obietta Crosby, il finto interessato dei due.
Il negoziante ride.
- Ci vuole un rito appropriato, altrimenti questi prodotti sarebbero venduti in un supermercato qualsiasi.
- Ah. – replica atono.
- Possiamo aprirli?
- Sì, certo. – il signore ne apre uno e lo tende a Boyle – Prego.
Il comportamento di un tizio apposto.
Fissa con rassegnazione i granuli bianchi.
Non sarà semplice smascherare una droga camuffata.
 
 
Morgan fuma sul balcone ammirando le luci della città all’orizzonte.
Una porta che si richiude, chiavi lanciate su un mobile.
Si gira di un quarto, i gomiti sulla ringhiera.
- Sei tornata.
Silenzio.
E’ stata una giornata sfiancante per lui, eppure ha ancora la forza di correrle dietro. E’ come se dentro di sé ci sia una minuscola rotella che scatta un meccanismo incontrovertibile.
Infrangersi di vetri.
- Porca puttana!
Morgan spegne veloce la sigaretta a metà e la getta tra le fronde blu di crepuscolo degli alberi sottostanti.
Corre in bagno.
Amanda si volta piangente dalla rabbia.
Un rivolo rosso le cola dal polso.
- Cristo, questa si suicida!
Tenta di acchiappare il vetro che la ragazza stringe nel pugno destro. Lei lo spintona via e barcolla all’indietro sulla tazza del water.
- Vattene! – urla isterica, il sangue sulla scritta Zombie – E’ un cazzo di tatuaggio, capisci? Chi mi ha tatuato?!
Morgan si passa le mani su viso e capelli, quasi stuccandoseli.
- Tu non sei normale. Si può sapere che cazzo hai fatto l’altra sera da restarne finora sotto gli effetti?!
- E’ questa scrittaaa! – allunga la vocale nevrotica e gli sbatte il polso vicino al naso.
- Vado a prendere il disinfettante. – commenta impassibile.
Aveva deciso di non immischiarsi nelle sue stronzate, però ha l’acida sensazione che non gli sarà permesso.
 
[1] Eeeh non tentare di maledirmi, non tentare la magia nera su di me perché anch’io conosco queste cose.
[2] Incanto nero.
[3] Madre delle donne.

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Capitolo 4
*** 4. Il party ***


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4.
Il Party


 
 
 
Boyle non ha toccato cibo per l’intera giornata.
L’obitorio non è il suo posto preferito.
La pelle gli diventa color bile avvicinandosi ai frigoriferi d’acciaio.
E Fogarty non è stato un bel morto. I delitti da arma da fuoco sono roba soft.
I testicoli erano completamente assenti, come staccati, e il pene scarnificato all’osso. Un ubriaco non avrebbe la presenza mentale di strappare lembi di pelle, un drogato sì.
A quanto ne sa, la Santeria non prevede omicidi rituali, quindi non suppone sia da considerare come elemento scatenante del delitto.
E’ carente nei crimini occulti. Un ulteriore ragione per odiare il caso.
Per sentito dire e voci di corridoio, Palo Mayombe e Satanismo sono i culti più sospettabili per operazioni di questo tipo.  Anche se sono trascorsi ventiquattro anni i vecchi in centrale ricordano ancora Richard Ramirez, il Night Stalker. Venti attacchi. Violazione di domicilio, stupro, tortura, costrizione della vittima a dichiarare il suo amore per Satana, omicidio. Ma lui era un criminale.
Ispezionando la casa di Michael Fogarty, finalmente libera dalla consorte, Daniel ha la sensazione di non avere a che fare con un assassino di professione.
Alza il tagliere della cucina per guardarci sotto. Nota il segno complesso con la coda dell’occhio.
Cazzo. Non basta la Santeria, pure il Voodoo.
Lo conosce perché è stato in viaggio di nozze a Haiti con la sua ex moglie. Quel simbolo era disegnato col gesso bianco al suolo.
- Bart, prendi una busta di plastica e infilacelo dentro. – il compagno annuisce.
E’ il segno dello spirito che apre la comunicazione con le divinità, Papa Legba.
Tira fuori una sigaretta d’istinto e se la infila nella tasca della giacca. La fumerà dopo. E’ convinto che gli elementi strani non siano finiti.
La cucina non è stata considerata come scena del delitto, quindi è stata ripulita. E’ un caso abbiano ritrovato qualcosa. Probabile il quadrato di legno sia compromesso da parecchie impronte digitali.
Organizzare un rituale indica l’aver subito un torto in particolare. Una persona piena di vizi come il defunto produttore cinematografico doveva avere numerosi scheletri nell’armadio. Una vendetta? Un regolamento di conti? Magari si trattava sul serio di un individuo religioso.
Ok, sta premendo troppo l’acceleratore.
Alla scuola del crimine avevano sempre giudicato come un difetto il fantasticare se non basato su prove evidenti. Assume sia stata una persona sola a perfomare il rito ma non è da escludere ci siano stati più complici dietro.
Spolvera il tavolo con una mano pensieroso.
Lo scopo non poteva che essere la morte, pur se delle parti del corpo, i testicoli, erano spariti. Acquisizione postuma per…? Leva il lato destro della bocca in una smorfia di assoluto disgusto. Crosby mangerà da solo a pranzo.
Si avvicina alla finestra, la punta del piede fa rotolare qualcosa. Mette a fuoco chinandosi. Scorza di lime secco.
- Grant? Manda una squadra della scientifica al 37 di Bedford Drive. Ci è sfuggita una stanza.
 
 
Amanda non gli aveva risposto la sera prima. Se ne era andata a dormire indossando il muso come se fosse stato Morgan a causargli un torto.
Più ci pensa più gli uccide il cervello. Rimugina. Troppo. Inutilmente.
Qualcuno direbbe che il suo pensiero è ossessivo. Forse la sua psicanalista non aveva torto. L’unica cosa che ha compreso è che occuparsi dei problemi degli altri non gli fa districare i suoi. Li tampona rimandandoli sempre finché la sua voragine cresce e ogni volta che si ritrova con se stesso la voragine aumenta.
E lui non sa da dove cominciare. Il solo rimedio è rituffarsi nelle vecchie abitudini. In un infinito circolo vizioso.
Non risolvere i suoi problemi é la logorante soluzione.
Tre gocce d’Havana nel caffè. E’ mezzogiorno e si sente intontito.
Per fortuna deve tornare nel pomeriggio a ultimare i preparativi per il concerto.
Nota una copia stropicciata del Los Angeles Times sul divano della sala. E’ ripiegato sulla pagina della cronaca nera. Posa il bicchiere. Affonda nella pelle lucida.

 
 
ASSASSINIO A BEVERLY HILLS


 
 
Nel trafiletto sotto al titolo spicca il nome di Michael Fogarty.
Aguzza gli occhi. Lo ha udito nominare dalla bocca di Amanda.
Bestemmia alzando gli occhi al cielo. C’entra qualcosa.
Ha il pollice appiccicoso. Marmellata di arance sulla pagina. In genere la sorella lascia ditate di colazione quando è distratta dai pensieri. E’ preoccupata.
E’ pervaso dal disagio. “Zombie”, quel timbro da disco pub che non se ne va deve essere la connessione a ciò che non sa.
Scommette che era stata al party in quella villa. Si ostina a seguire la strada dell’attrice senza averne l’attitudine. Davanti all’obiettivo è imbattibile, una drama queen, ma recitare è una questione differente. Ci vogliono preparazione, esercizi, consapevolezza di sé. Amanda è cosciente della sua bella figura, però non dell’interezza delle sue espressioni. Vero che a Los Angeles non c’è bisogno di una mostruosa arte recitatoria. Le bionde sono soprattutto ingaggiate per la loro avvenenza, dagli anni Cinquanta i criteri dell’industria non sono cambiati di una virgola.
Posa il giornale sul tavolo continuando a leggere mentre estrae un elastico dalla tasca posteriore dei jeans per legarsi i capelli.
Evirazione? Scarnificazione? Macabro rito di punizione? Il giornalista si sbizzarrisce in ipotesi sulla modalità e il movente del delitto.
In che diavolo di pasticcio si è ficcata sua sorella?
Controlla l’ora sul suo I-phone. E’ in tempo per fare un salto da Normandie Patisserie, il caffè dove Amanda va spesso a fare il brunch. Da quando è a LA non riesce a svegliarsi ad un’ora decente. Vive dall’ora di pranzo a notte fonda.
Sale sul suo 4Runner, quasi a corto di diesel. Spera possa reggere il suo ritorno. Stare in quella città è un continuo spreco di soldi con una metropolitana che porta ovunque e da nessuna parte.
Amanda è nel bel mezzo di un ricco pasto, il cerotto fucsia che sbuca vistoso dal bordo della maglia. Appena lo avvista rotea gli occhi addentando il suo french toast vaniglia e cannella.
Morgan afferra la sedia davanti a lei, la gira e si siede a gambe divaricate appoggiandosi allo schienale col braccio sinistro. Le butta il giornale vicino al piatto.
Lei dischiude la bocca, lo identifica rapida, abbassa le palpebre con indifferenza e torna al suo cibo.
- Che cazzo è?
- Nulla che ti riguardi.
Le stringe il braccio repentino dal lato della ferita.
- Chi è che te l’ha medicata?
Amanda si libera con uno scatto. Vorrebbe continuare in santa pace la sua colazione ma è chiaro che è pretendere troppo.
- Sì, ero al party. No, non c’entro nulla. – tenta di prevenire le sue domande.
- Più verosimile tu non ricorda nulla. – taglia corto piegandosi indietro con un gran sospiro.
La ragazza non risponde. Mentire a suo fratello è impossibile.
Morgan assottiglia la voce avvicinandosi con gomiti sul tavolo.
- Non fraintendermi, non vorrei trovarmi con la polizia appiccicata al culo per un delitto che non ti riguarda.  – la sua fantasia viaggia alle bustine di Molly[1]  nascoste tra le mattonelle del bagno.
- Non ero l’unica invitata alla festa.
- Ciononostante il tatuaggio ti irrita. Svarioni come se ti fossi fatta un camion di met.
- Quello è il mio carattere. – dà una forchettata ad un pomodoro sfuggito alla sua omelette francese.
- Siamo autoironici?
- Che vuoi che ti dica? – posa le posate sul piatto, aderisce allo schienale a braccia conserte.
- Niente. Prima o poi ti ricorderai. Soltanto non venire a piangere da me quando lo farai, potrei non essere così magnanimo come lo sono stato ieri sera. – di tanto in tanto gli piace sentenziare. Peccato che non mantenga mai ciò che stabilisce in tono perentorio.
Si alza, lasciandole il quotidiano.
Amanda lo osserva andarsene dal locale.
Le è rinvenuto qualche frammento di memoria.
Un sapore metallico e dolciastro tra i denti. Grida di un uomo. Una cantilena. Succo di ananas e albicocca.
Non si è mai fatta di acidi e metanfetamine. Una pasticca sciolta in un cocktail è una storia vecchia quanto il mondo.
Ha provato a ricostruire l’accaduto. La sua mente incespica dopo il terzo Bellini. Non può fare affidamento sulla sua compagna di festa, Betsy dal Wyoming. L’aveva persa di vista nel salone un’ora prima arrampicata su un tizio.
La sensazione è di non essere estranea ai fatti, in quale maniera le rimane oscuro.
 
[1] Metanfetamina in gergo.

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