Every sinner has a future

di imnotadirectioner
(/viewuser.php?uid=692120)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Dillon Thorley ha 26 anni e niente da perdere.

Ha una vecchia Opel Corsa grigia che va avanti per miracolo, un lavoro di merda da Tesco e una casa buia e vecchia nel quartiere di Kingsway, Gloucester, UK. Ha un po’ di MDMA, diversi grammi di erba e un bel po’ di cocaina da smerciare sabato sera al Moo Moo. Ha un giro di amici che più che altro sono clienti. Ha un fratello, anche se non di sangue, che è sempre un suo “cliente” però diverso perché è l’unico che sa davvero qualcosa di Dillon e gli va bene lo stesso.

A proposito, si deve ricordare di chiamarlo e chiedergli un favore per sabato sera. E deve anche cambiare l’acqua ai pesci. E lavare i piatti di ieri sera e della sera prima ancora e… bé, a dire il vero i piatti che stanno lì da circa una settimana. Ma prima di tutto ciò deve alzare il culo dal letto e farsi una doccia, tra mezz’ora attacca il turno da Tesco.

La sua stanza puzza di chiuso, ci sono dei cartoni di pizza di fianco all’Xbox e diverse bottiglie di birra vuote. Dillon osserva pensieroso l’ammasso di vestiti vicino al letto e scuote la testa: deve ricordarsi anche di fare qualche lavatrice.

In bagno studia il proprio riflesso bagnato davanti allo specchio rotto. Dillon ha i capelli biondi e gli occhi azzurri, una cicatrice sul fianco sinistro – ricordo di una rissa finita particolarmente male – e la testa leggermente più grande del dovuto, come molti dei suoi amici non mancano di sottolineare. Dillon non si ritiene bello ma le ragazze non gli sono mai mancate e anzi sembrano essere attratte da lui e dalla sua aria da ‘bad boy’. Cretine, pensa Dillon, non hanno idea di cosa voglia dire. Però intanto gli si strusciano addosso e gli lanciano occhiate languide e lui le lascia fare, che tanto non ha niente da perdere.

Infila la divisa di Tesco e scende in cucina, passa indifferente davanti ai piatti accumulati vicino al lavello – ci penserà più tardi - e guarda annoiato il frigorifero praticamente vuoto. Si deve ricordare anche di fare la spesa. Afferra quello che è rimasto e mette insieme una colazione più o meno decente, prepara una tazza di tè, mette tutto su un vassoio e risale al piano superiore.

Apre lentamente la prima porta a sinistra. La stanza puzza terribilmente di chiuso, sigarette e quello che sembra cibo andato a male. Dillon sbuffa, appoggia il vassoio sul cassettone ricoperto di spazzatura indefinita e scosta le tende, lasciando entrare la fredda luce grigia da fuori.
Nel letto, sua madre si rigira e mugugna qualcosa. Dillon sbuffa più forte e apre la finestra, l’aria gelida invade la stanza e sua madre si rannicchia ancora di più sotto le coperte.
“Mamma, ti ho portato la colazione.”
“Dillon, caro, chiudi quella finestra – è la risposta rauca – Mamma è stanca e vuole riposare, fai il bravo.”
Lui serra i pugni. “E’ quasi mezzogiorno. Forse è il caso che ti alzi e fai qualcosa oltre a dormire e fumare tutto il giorno, non credi?”
A quelle parole sua madre si riscuote e fa capolino tra le coperte, le ciglia incollate di mascara colato, i capelli un ammasso di biondo sporco. “Amore mio, lo sai che non sto bene…”
“Lo so, mamma – la interrompe brusco – Sono anni che non stai bene.”
Un attimo dopo averlo detto se ne pente, perché ora sua madre sembra di nuovo sull’orlo delle lacrime e lui non ha tempo per i melodrammi adesso. “Su, mangia qualcosa” le dice sbrigativo, passandole il vassoio.
Lei si tira su a sedere e si sistema meglio la maglia del pigiama, coperta di macchie di sugo e cenere.
“Grazie, Dillon, sei proprio un tesoro – gracchia, mentre con la mano scheletrica cerca un pacchetto di sigarette tra gli altri vuoti sul comodino – Ma ora non ho fame, magari più tardi, eh?”
Dillon stringe i pugni ancora più forte e inspira a fondo. “Certo. Magari più tardi.”
Raccoglie i resti di un’altra colazione, quella che le aveva preparato giovedì o venerdì scorso, come al solito intoccata.
“Devo andare a lavoro adesso. Vuoi che porti a casa qualcosa in particolare per stasera?”
“No, caro, solo le…”
“Le tue sigarette, certo.”
Dillon è già quasi fuori dalla porta quando sua madre lo richiama.
“Sì?”
“Sei un bravo figlio, lo sai?”
Respira a fondo di nuovo. “Certo, mamma.”
“…Proprio un bravo figlio.”
Dillon chiude la porta su sua madre, la sua depressione e i suoi fallimenti. Ora non ha tempo, deve andare a lavoro.

Aveva anche un padre una volta ma se n’è andato quando lui aveva due anni, quindi non se lo ricorda. Sua mamma dice che Dillon gli somiglia molto e forse è per questo che a volte non riesce a guardarlo in faccia e scoppia a piangere dal nulla. Dillon non lo sa, sa solo che quando suo padre è sparito sua madre si è attaccata alla bottiglia e saranno dieci anni che vivono con il sussidio di disoccupazione perché lei non si alza da quel letto prima delle 5 di pomeriggio. O meglio si alzava, perché ora non fa nemmeno più quello. Se ne sta lì sdraiata a dormire e fumare, ogni tanto piange e ogni tanto mangia qualcosa, mai abbastanza comunque.
Tirano avanti grazie al sussidio, allo stipendio di Tesco e al piccolo giro di spaccio che Dillon ha messo in piedi quando aveva quattordici anni.
E’ una vita di merda, ma è sempre meglio dell’affidamento, dove Dillon è stato per otto mesi quando aveva 13 anni, o dei sei mesi di carcere per spaccio che si è beccato qualche anno più tardi. Sua madre assomiglia più ad un vegetale che ad una mamma, ma a lui non interessa. Come non gli interessa più di tanto di avere un lavoro, una macchina e che gli abbiano finalmente ridato la patente. Quelli sono solo mezzi, espedienti, cose necessarie alla sua sopravvivenza quotidiana, ma Dillon ha come la sensazione che se dovesse perdere tutto quanto non sarebbe poi una gran tragedia. C’è sempre il sussidio e forse sarebbe più facile vivere come mamma, non fare assolutamente nulla tutto il giorno e aspettare di morire.

In fondo Dillon non ha mai avuto nulla, quindi non è che gli rimanga molto da perdere.




Salve a tutti (?)
non ho idea di cosa sia questa storia, è tutto assolutamente provvisorio. Ho pronti i primi capitoli ma per il resto è tutto da vedere; non ho idea della frequenza con cui posterò e non ho nemmeno idea se e come finirò questa... cosa. So che mi andava di scriverla e di postarla, quindi come al solito sarei felicissima di sapere cosa ne pensate.
xxx

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1 ***


Thomas Ward dovrebbe lavorare ma in realtà si è appena preso la quarta pausa sigaretta nel giro di due ore. Non c’è molto da fare stamattina da Shoe Zone e comunque lui non ha voglia di stare lì, ieri sera si è preso una sbronza colossale e ne sta risentendo parecchio. Appoggia i palmi freddi delle mani sugli occhi, cercando un po’ di sollievo dal mal di testa che lo martella da quando si è alzato.
Il telefono prende a vibrargli in tasca: è Dillon.
“Ehi.”
“Ehi, amico, credevo fossi al lavoro.”
“Pausa sigaretta – risponde Thomas, passandosi il telefono all’altro orecchio e appoggiando la schiena contro il muro alle sue spalle – E tu perché mi hai chiamato se pensavi che stessi lavorando?”
Dillon ridacchia. “Non prendermi per il culo, tu fai solo finta di darti da fare là dentro.”
Touchè – scrolla le spalle Thomas – Come va?”
“Splendidamente, tu?”
“Una meraviglia.”
“Senti, che fai sabato sera?”
Thomas schiaccia il mozzicone di sigaretta per terra. “Louise ha una festa di compleanno, vuole che l’accompagni.”
“Oh e dai, amico! – sbuffa Dillon – Mary è in città insieme ai suoi amici più grandi e speravo che tu mi aiutassi a farli divertire.”
Thomas sorride divertito, era un po’ che il suo amico non usava Il Codice. L’hanno inventato più di sei anni fa, ‘Mary’ sta per marijuana e ‘amici più grandi’ è il sottinteso per ‘droga più pesante’. Quanto al ‘farli divertire’ si intende ‘aiutami a venderla’.
“Non lo so, Louise è sempre nervosa ultimamente, non mi va di farla incazzare ancora di più.”
“Dai, non  puoi lasciarmi nella merda – ribatte Dillon – Offro io.”
‘Offro io’ significava sia avere una parte del ricavato, sia che Thomas avrebbe potuto andare a casa di Dillon a fine serata e fumare a scrocco quanto gli pareva.
Il ragazzo ci pensa su e poi: “E va bene, cerco di liberarmi il prima possibile e ti raggiungo. Dov’è che avevi intenzione di andare?”
“Al Moo Moo - risponde soddisfatto l’altro – Vedrai che ci sarà da divertirsi, è una serata studentesca.”
Thomas annuisce, sa che questo vuol dire grandi vendite tra i ragazzini del college, compresa qualche scena esilarante dell’idiota di turno che nel tentativo di strafare finirà a vomitare l’anima fuori dal locale – se non peggio -.
“D’accordo, andata.”
“Ora ti lascio, attacco il turno.”
“Sì, sarà meglio che anch’io vada a fare finta di lavorare.”

Dillon riattacca con un mezzo sorriso. Certe volte sente che forse la vita è un po’ meglio se può dividersi una canna con Thomas.
“Buongiorno – lo saluta Lydia con un gran sorriso – Tutto bene?”
Lydia è una delle colleghe di Dillon, ha 57 anni, i capelli tinti di un rosso acceso e anche se a volte è petulante e troppo impicciona è l’unica che lì dentro lo guarda davvero negli occhi.
Lui le risponde con un sorriso non altrettanto grande ma sicuramente sincero e “C’è una cliente alla cassa” lo informa, facendo cenno con la testa all’altro capo del negozio.
Dillon annuisce sbuffando e raggiunge la propria postazione. Controlla che la cassa sia in funzione e poi alza lo sguardo sulla ragazza di fronte a lui.
“Prego.”
Lei non risponde, indossa delle cuffie nere della Sony davvero enormi e non pare averlo sentito, troppo occupata a fissare le sigarette dietro il bancone per prestargli attenzione.
“Scusa!” dice lui un po’ più forte e finalmente la ragazza si riscuote, levandosi frettolosamente le cuffie.
“Oddio, perdonami – parla con accento straniero,  si copre la bocca con una mano – Avevo la musica e non ho sentito...”
“Prendi solo quelli?” la interrompe Dillon, perché non gliene potrebbe fregare di meno e oggi non ha voglia di stare a sentire le chiacchiere inutili della gente.
La ragazza scatta subito e deposita sul bancone una confezione di Twix, una tavoletta di cioccolato bianco e due pacchi di assorbenti. “Sì, cioè no, vorrei anche due pacchetti di Winston Blue.”
“Ce l’hai il documento?”
“Eh?”
Dillon inspira mentalmente e ripete, più educato. “Posso chiederti un documento d’identità?”
Lei lo guarda stranita ancora per mezzo secondo e poi scoppia a ridere.
“Scusa – dice, mentre fruga nella borsa – Mi avevano avvertito che sarebbe successo, ma non pensavo... E’ la prima volta che compro sigarette qui in Inghilterra, e... Che poi è stranissimo comprarle in un supermercato...”
Dillon chiude gli occhi invocando la propria pazienza e finalmente lei ripesca da una tasca la carta d’identità. Non è inglese – ovviamente – è una roba enorme, rosa, e lui non ha idea di dove guardare per cercare la data di nascita.
“E’ qui, vedi? – gli viene in aiuto lei, sporgendosi in avanti e arrivando ad una distanza ravvicinata che a Dillon infastidisce molto; non gli piace che la gente gli stia addosso. – Visto? Ho ventidue anni, pensavo di dimostrarli e invece... Tu quanti anni mi davi?”
Lui le restituisce il documento e risponde senza pensare. “Sedici.”
“Che cosa?” esclama scandalizzata e Dillon si è pentito di aver aperto bocca.
“Scusa – le dice, sforzandosi di essere carino nella speranza che lei si levi dalle palle il prima possibile – Se abbiamo anche il minimo dubbio siamo obbligati a chiedere il documento. Prendilo come un complimento, sembri più giovane” aggiunge alla fine, sfoderando addirittura un tentativo (penoso) di sorriso smagliante.
Lei non sembra affatto convinta, borbotta qualcosa di incomprensibile mentre lui le imbusta la spesa.
“Sono 19.76 £”
"Ok, aspetta” e tutta concentrata si mette a spulciare monetine nel portafoglio. Dopo aver scambiato una moneta da 10 pence per una da 20 e dopo aver chiesto ad alta voce perché diavolo quella da 10 sia più grande di quella da 20, riesce finalmente a consegnare 19 sterline e 80 pence nella mano aperta di Dillon. Lui le passa il resto e la osserva perplesso mentre studia interessata le monete nuove nella propria mano.
“Bé, grazie e scusa…”
“E di che cosa?”
“Mi sono appena trasferita e mi devo ancora abituare quindi sono un po’ un disastro con i soldi…”
“Non ti preoccupare  - la rassicura Dillon – Ce la farai.”
Lei gli sorride e lui sorride di rimando, poi si volta ed esce, augurandogli buona giornata.
Dillon resta a guardare il vuoto per un po’ e non si accorge di avere ancora un sorriso - un sorriso vero, non per cortesia - che indugia sulle labbra. Pensa che quella ragazza era buffa e per un attimo si chiede da dove sia sbucata.
Poi sospira tornando alla realtà e infila le mani nelle tasche. È ora di una pausa sigaretta.





Salve a tutti (?)
forse sembra un storia noiosa e forse lo è davvero, non so più cosa pensare. So che la sto scrivendo e non riesco a non postarla. Se volete crocefiggermi fate pure.
xxx

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2 ***


Sabato sera il Moo Moo è pieno di gente e Thomas è in ritardo. Dillon ha pure smesso di guardare il telefono, tanto lo sa che è inutile scrivergli ‘Dove cazzo sei?’ per la terza volta, la risposta sarebbe sempre la stessa di un’ora fa: ‘Ti giuro che sto arrivando’.
La musica è un miscuglio di roba commerciale davvero scadente, il volume è troppo alto, le luci non c’entrano nulla e i drink sono annacquati, il che contribuisce ad ingrossare il gruppo di persone alla ricerca di Dillon. Lui accontenta tutti, ma la gente è troppa per gironzolare intorno a uno solo e la cosa potrebbe iniziare a dare nell’occhio. Cerca di confondersi nella massa sulla pista da ballo, fingendo di saper ballare David Guetta, e fortunatamente becca qualcuno del suo giro di amici.
Jay, Nick e Rich sono parecchio ubriachi e quindi più sopportabili agli occhi di Dillon.
“Che ci fate qui? – urla loro nelle orecchie – E’ una serata per studentelli.”
“E studentelle!” sottolinea Nick, gli strizza l’occhio e poi muove di scatto la testa a destra per spostare la frangia bionda decisamente troppo lunga.
“E tu, amico? – domanda Jay, che è talmente basso e piccoletto da doversi alzare sulla punta dei piedi per parlare all’orecchio di Dillon. Quest’ultimo gli restituisce un’occhiata eloquente e Jay si illumina – Magnifico! Avevo proprio intenzione di fare spesa comunque questa settimana... Cos’hai?”
Dieci minuti più tardi sono tutti nel bagno del locale a sniffare speed e il mondo è di nuovo un posto sfocato, colorato e molto divertente; Dillon torna sula pista da ballo molto più lanciato e passa la successiva mezz’ora a smandibolare e ad essere un completo coglione. Rich gli butta tra le braccia una mora alta quasi due metri e lui le palpa il culo: lei ci sta e Dillon ride. Ride sguaiato ché tanto la musica è alta e lo sovrasta, ché non c’è mai niente di nuovo e le ragazze si somigliano tutte, ché ora va tutto veloce e lui domani non si ricorderà nulla.

                                                                                                                   ***

Domani non si ricorda un granché ma la mora gli ha lasciato parecchi segni rossi sul collo che Dillon spera non si vedranno sotto la maglietta del lavoro. Non che gli importi se gli fanno una ramanzina, sono i sorrisini insinuanti e le domande insistenti di Lydia che non riuscirebbe a sopportare.
Quando apre gli occhi sono le 3 di pomeriggio e lui sta letteralmente a pezzi. Prende un’aspirina e si fa del caffè nero; deve berlo in un barattolo vuoto dato che tazze e bicchieri puliti sono finiti. Sospira massaggiandosi le tempie: deve pulire.
Prima sale a controllare sua madre, la trova ancora a letto, non capisce se sveglia o meno, se morta o viva, ma decide che per oggi non gli interessa. Raccoglie il vassoio con la colazione di nuovo intoccata, raccatta qualche altro bicchiere sporco e poi chiude la porta. Non gli interessa.
Lava i piatti, pulisce i fornelli, butta l’immondizia, passa la scopa; il tutto con un sottofondo di dubstep a volume massimo, ché tanto sua madre non scenderà a dirgli di abbassare e i vicini possono andare a farsi fottere per quanto lo riguarda. Poi passa al salotto, sbatte i cuscini, ritrova soldi, accendini e persino un deca di erba tra le pieghe del divano, cerca di smacchiare la moquette da una sostanza rossiccia non meglio definita e cambia l’acqua ai pesci. Non sa nemmeno perché li tiene quei dannati cosi, li ha vinti sua madre mesi fa a una pesca di beneficenza al pub, una sera che aveva deciso di alzare il culo e fare finta di essere felice. Era tornata a casa tutta allegra alle 5 di mattina, aveva svegliato Dillon per mostrargli il suo trofeo e poi era collassata sul pavimento dato che era ubriaca marcia. Lui l’aveva letteralmente trascinata al suo letto, le aveva messo una bacinella di fianco e un bicchiere d’acqua sul comodino. Poi aveva guardato i due pesci in quello stupido sacchetto trasparente e li aveva afferrati, deciso a buttarli giù per lo scarico.
Non lo fare – aveva biascicato sua madre, in un eroico tentativo di riprendersi – Li voglio tenere. Ti prego, gli ho già dato un nome. Sid e Nancy, ti piace? Eh? Me ne prenderò cura io... Lo giuro...
E invece se n’è sempre curato Dillon, ma ormai è passato talmente tanto tempo che forse ci si è affezionato davvero a Sid e Nancy, per questo gli cambia l’acqua e li rimette al loro posto nell’acquario. Gli dà da mangiare e resta a fissarli mentre boccheggiano verso la superficie.
Il telefono squilla dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni, è Thomas. Dillon non fa in tempo a rispondere che quello ha già attaccato con le scuse.
“...Amico, te lo giuro, qualsiasi cosa succeda io non voglio più saperne nulla di quella stronza...”
Dillon sospira, torna in cucina e inizia ad infilare vestiti dentro la lavatrice.
“…Una festa di merda tra l’altro, piena di fighetti…”
“Tom, Louise è una fighetta.”
“Ma che c’entra? Lei è diversa… Ok, forse è un po’ fighetta, ma avresti dovuto vedere i suoi amici… Bé comunque mi dispiace di non essermi fatto vedere ieri sera, è stata colpa di quella stronza...”
Dillon ascolta la tirata di Thomas senza aprire bocca, tanto sarebbe inutile, deve lasciarlo sfogare. Chiude lo sportello della lavatrice e afferra la confezione di detersivo: dopo anni di bucato ancora non si ricorda la quantità giusta da usare.
“… E allora ha iniziato con la paranoia del ‘i tuoi amici vengono sempre prima di me’ e che palle, amico, solo perché settimana scorsa eravamo al pub e mi sono dimenticato di richiamarla…”
La lavatrice si mette in moto con dei rumori stranissimi che Dillon è quasi sicuro non dovrebbe fare, ma in fondo quella cosa ha almeno una quindicina d’anni quindi forse è normale.
“…E insomma abbiamo passato due ore a urlare in macchina e alla fine non me l’ha nemmeno data, la stronza.”
Thomas finalmente si prende una pausa dal proprio monologo, cosa che dà a Dillon l’occasione di interromperlo.
“E’ andata bene, comunque.”
“Sì?”
“Ho incontrato Jay, Nick e Rich – spiega – Mi hanno dato una mano loro.”
“Oh, ma dai – sbotta Thomas – Rich è un rincoglionito, non saprebbe distinguere un po’ di gesso da...”
Dillon ghigna. “Lo so, ma tu non c’eri, quindi...”
“Mi dispiace, amico. La prossima volta col cazzo che sto dietro a quella psicopatica."
“Non ti preoccupare – lo rassicura Dillon stiracchiandosi – Ora devo andare a lavoro.”
“Ok. Passo da te più tardi?”
“Va bene, ma alla birra ci pensi tu.”

                                                                                                                ***

“Due pacchetti di Winston Blue, per favore.”
“Posso vedere un documento?”
“Ma dai, me l’hai già chiesto l’altra volta!”
Dillon alza lo sguardo sorpreso e fissa la ragazza che ha di fronte. Ci mette qualche secondo a ricollegare il viso ma è quasi sicuro che sia quella dell’altro giorno, quella che non la finiva più di parlare.
“Oh. Scusa, è che viene tanta gente...”
Di fianco a lei c’è un uomo sulla trentina, alto due metri e largo almeno quattro, la guarda e scoppia a ridere divertito.
“Oh, sta zitto” sibila lei.
“Ehi, non ti avrà mica dato quella specie di foglietto rosa, eh? – domanda divertito a Dillon, ignorandola – Perché quello è falso, in realtà lei ha sedici anni.”
Un attimo dopo gli arriva un pugno sulla spalla. “E piantala, Grant!”
Grant continua a ridacchiare e lei, un po’ rossa in faccia, allunga i soldi per le sigarette. Dillon sorride - e di nuovo è per davvero e non per cortesia – perché arrossire è una cosa dolce ed era un po’ che una ragazza non lo faceva in sua presenza.
La guarda andarsene insieme a quel Grant e si chiede se quei due stiano insieme. Poi si ricorda che non c’è una ragione per cui dovrebbe interessargli e torna ad annoiarsi.





Salve a tutti (?)
sì, lo so, questa roba è sempre più noiosa ma lo prometto, lo giuro, che dal prossimo capitolo le cose inizieranno a muoversi. Mi scuso e sono cosciente di aver scritto una schifezza ma ci terrei comunque a sapere cosa ne pensate. Nel frattempo ringrazio i coraggiosi che stanno sprecando tempo a leggere questa storia. Wow, non avete davvero niente da fare.
xxx

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 3 ***


Venerdì pomeriggio Dillon è seduto dietro la cassa e si chiede pensieroso se sia effettivamente possibile morire di noia.
Thomas se n’è andato per il week end con Louise perché – come al solito – parla un gran tanto ma alla fine ci muore ancora dietro a ‘quella stronza’. È una cosa che Dillon non capisce e non vede troppo di buon occhio, ma è pure vero che lui non capisce gran parte dei rapporti affettivi tra le persone perché non è che abbia molta esperienza in quel campo.
Sua madre ha dato di matto ieri sera. È uscita nel pomeriggio e sembrava felice, è tornata con un paio di bottiglie di Vodka, mezz’ora dopo era sbronza e rideva di gusto davanti a Julian Clary. Due ore più tardi era in un mare di lacrime e urlava a Dillon di volersi ammazzare, che tanto era una nullità e un fallimento come madre. Dillon l’ha tenuta stretta per un po’ poi, una volta calmata, l’ha portata a letto e per buona misura l’ha chiusa nella sua stanza, lontana da qualsiasi cosa di potenzialmente letale.

“Se ti chiedo due pacchetti di Winston Blue mi chiedi di nuovo il documento?”
Dillon si riscuote dai propri pensieri e posa gli occhi sulla ragazza che gli ha appena parlato.
Sorride. “No.”
“Sicuro? - scherza ancora lei, appoggiando sul bancone una bottiglia di Prosecco – Perché se vuoi ce l’ho qui, ormai mi sto abituando a mostrarlo ovunque vado.”
Dillon scuote la testa mentre le passa le sigarette. “Scusami di nuovo, è solo la prassi.”
“Lo so, non ce l’ho con te” lei gli sorride e lui non si sta più annoiando.
“A posto così?”
“No, mi fai anche 20 sterline di ricarica su questa?”
Gli passa una tessera Top Up di Tesco e Dillon la striscia immediatamente.
“38.98 £”
Stavolta niente trafficare con monete varie, gli passa semplicemente due banconote da venti e aspetta il resto.
“Grazie. Buona giornata!” dice e sembra che glielo auguri sinceramente.
“Buona giornata anche a te” risponde Dillon e mentre la guarda uscire ha ancora un sorriso vero stampato in faccia.

                                                                                                                      ***

Il giorno dopo è sabato e, data l’assenza di Thomas, Dillon ripiega su Jay, Nick e Rich. I tre insistono per andare a Cheltenham in un pub di loro conoscenza e lui li lascia fare. Se ci fosse Thomas forse riuscirebbe a divertirsi un po’, ma non c’è e lui si annoia.
Jay e Nick stanno parlando delle prossime Nike su cui entrambi hanno messo gli occhi, Rich è uscito a fumare almeno mezz’ora fa e non è ancora rientrato e Dillon combatte tra la preoccupazione per sua madre e la vocina interiore che gli ripete che in fondo non sono cazzi suoi. Di solito non ha pensieri del genere al pub, ma lui i soldi per comprarsi le nuove Nike non ce li ha e quindi non può infilarsi nella conversazione di Jay e Nick e se solo ci fosse Thomas saprebbe capire e distrarlo, mentre invece...
“Allora, ragazzi! – è la voce di Rich, sparata a volume troppo alto nell’orecchio destro di Dillon – Ma che mortorio! Su su, guardate che vi ho portato!”
Si fa di lato per rivelare un gruppetto di sei ragazze alle sue spalle che sorridono più o meno timidamente e agitano le mani in segno di saluto.
“Avanti, spostatevi – intima a Jay e Nick, facendo segno di scorrere in giù sul divanetto – Ho incontrato queste incantevoli signorine qua fuori e hanno accettato di unirsi a noi per il prossimo giro. E indovinate un po’?, nessuna di loro è inglese!”
Rich ammicca in direzione degli amici, si sa che ‘turiste’ spesso vuol dire rimorchiare più facilmente. Dillon sta per spostare pigramente la propria sedia un po’ più in là quando viene fermato da una voce.
“Ehi, ma tu lavori da Tesco!”
Alza lo sguardo e si trova davanti la ragazza chiacchierona delle Winston Blue.
“Posso vedere un documento, per favore?” le chiede. Lei scoppia a ridere e Dillon le fa posto di fianco a sé. Rich li guarda di sbieco ma poi continua a parlare a voce troppo alta con le altre ragazze.

Gemma. Lei si chiama Gemma ed è simpatica. Viene dall’Italia e qui fa la ragazza alla pari, ha ordinato una Peroni e la fa sparire a una velocità decente, a differenza di tutte le altre che invece non fanno altro che sorseggiare le proprie birre aromatizzate. Ride alle battute di Dillon e non fa facce strane quando gli scappa un rutto. Un buon inizio, insomma. Non è niente di troppo speciale come aspetto fisico ma è abbastanza carina e lui comincia a pensare che forse la serata potrebbe prendere una piega inaspettata.
Poi lei si alza per andare in bagno e lui la osserva camminare fino alla toilette; gli torna in mente quello che gli aveva detto Thomas, dopo essere tornato da un viaggio in Sicilia: ‘non so come spiegartelo, amico, ma le donne lì camminano in modo diverso. Credo siano i fianchi, li sanno muovere, ecco.’
Eccome se li sanno muovere, pensa Dillon. Interessante.
Rich gli posa una mano sulla spalla.
“Che cazzo stai facendo?” gli sibila all’orecchio.
“Come?” chiede Dillon smarrito.
“Cosa pensi di fare con lei? L’ho vista prima io, è mia.”
Dillon lo fissa ancora per un attimo, poi scoppia a ridere. “Amico, seriamente? – domanda – Cos’hai, quindici anni?”
Rich scuote la testa. “Lasciala perdere, per favore. L’ho adocchiata subito mentre ero fuori a fumare, ho attaccato bottone con tutto il gruppo solo per lei; non puoi prendertene un’altra?”
“Prenditene tu un’altra – ribatte Dillon – E poi se proprio vogliamo essere pignoli l’ho vista prima io. Viene da Tesco a comprare le sigarette.”
“Bé allora potevi parlarci prima” sbotta Rich stizzito.
“E invece ci parlo adesso.”
“Giuro che se ci provi con lei...”
Ma Rich non finisce la frase, un po’ perché Gemma sta tornando dal bagno e un po’ perché, grazie all’occhiata che Dillon gli ha lanciato, si è ricordato chi è il capo tra loro due.

Sono le 2 di notte. Dopo il pub sono andati tutti quanti al Fever a ballare, ma adesso sta chiudendo ed è l’ora di tornare verso Gloucester. Dillon si guarda intorno e fa un attimo il punto della situazione. La ragazza polacca – no, non si ricorda il nome – ha appena finito di vomitare l’anima mentre quella giapponese le teneva la testa. Jay ha provato a concludere con la spagnola ma a quanto pare ha già un ragazzo e non ha voluto saperne, quindi ora Jay è parecchio nervoso e vuole andare a casa in fretta. La ragazza belga invece ha la lingua di Nick infilata fino in gola e sembra appezzare molto. E poi c’è Gemma, un po’ su di giri ma abbastanza sobria da reggersi in piedi, che continua a sorridere a Dillon e lui ricambia ogni volta come un coglione. Non è niente di importante, è solo un sorriso, ma gli viene naturale e per adesso non ha voglia di chiedersi il motivo delle proprie azioni. Adesso è ubriaco e Gemma appare ancora più sexy, quindi è proprio l’ora di dirigersi verso casa.
“Di! Ehi, Di! Ci riporti tu? - chiede Jay. Dillon scuote la testa – Oh, e dai! Non possiamo mica tornare con Nick, è occupato con Adela e non mi va di reggere il moccolo...”
“Io porto a casa Gemma.”
“E allora? Hai ancora tre posti, io e Rich ci stiamo perfettamen...”
“Tu porti a casa chi?” domanda Rich aggressivo.
“Gemma – risponde Dillon tranquillo – Hai qualche problema?”
C’è un attimo in cui Rich prende in considerazione l’idea di contraddirlo, ma poi ci ripensa e anche se fa male all’orgoglio si rimangia tutto quanto e rimane in silenzio. Nessuno contraddice Dillon.

Mezz’ora dopo sono alle macchine. Il resto delle ragazze vive a Cheltenham e torna a casa a piedi; Adela, la spagnola e Gemma invece tornano a Gloucester insieme a loro. Rich lancia a Dillon un’ultima occhiata di fuoco prima di schiacciarsi in macchina di Nick con gli altri.
Gemma parla a vanvera di cose che non importano davvero; è in macchina con il cassiere figo di Tesco e tanto basta a farla andare in confusione. Lui la lascia fare, niente di diverso dal solito.
Durante il viaggio lei si lascia trascinare un po’ troppo da una canzone di Ben Folds, se ne rende conto, arrossisce di nuovo e di nuovo Dillon la trova una cosa dolce.
“Senti, hai un coprifuoco?” le chiede a un certo punto.
Lei si volta cercando di nascondere un sorriso. “Sono le 3 di notte e sono ancora fuori. Tu che dici?”
“Allora ti va se invece di andare subito a casa ci beviamo un paio di queste?” chiede lui, accennando alle lattine di birra ammassate sui sedili posteriori. Gemma scrolla le spalle in segno di assenso e Dillon sa già come andrà a finire.

“Mi stai prendendo per il culo.”
“Assolutamente no.”
“Ma... è una roba che si vede solo nei film!”
“Precisamente il motivo per cui l’ho fatto.”
“E poi hai corso?”
“Come poche altre volte in vita mia.”
Gemma ridacchia e appoggia la fronte alla mano destra. “Non ci credo.”
“Non farlo” replica Dillon scrollando le spalle.
Lei lo guarda cercando di capire se sta mentendo o se è davvero un’idiota. Le piace, forse un po’ troppo per averlo incontrato solo stasera, ma in fondo è ubriaca e lui è carino e “Hai davvero rubato il cappello a un poliziotto?”
“A un poliziotto grasso – precisa lui – I ciccioni sono i più divertenti quando corrono.”
Lei smette di ridere così tanto e torna seria. “Non è una cosa molto carina da dire.”
“Forse. Però è vera.”
“Forse però suoni come uno stronzo.”
“Forse lo sono davvero.”
“Forse dovresti levare il ‘forse’”.
Dillon ghigna e la guarda, dà un tiro dalla sigaretta, inclina la testa e si atteggia in quel modo che, ha imparato anni fa, funziona sempre con le ragazze. C’è qualcosa negli occhi marroni di Gemma che li rende meno banali, più interessanti, profondi. Sembra quasi che ci sia davvero qualcosa dentro da leggere, qualcosa di infinitamente lungo e importante e nuovo e forse un po’ spaventoso, forse addirittura infinito o, peggio ancora, irreversibile. È pesante, ecco cos’è; qualsiasi cosa ci sia dentro quello sguardo è maledettamente insostenibile e Dillon deve abbandonarlo e concentrarsi su altro, dandosi del coglione perché non è assolutamente possibile farsi mettere soggezione da un paio di occhi.
“Io sono cicciona.”
“Come?”
“Io sono cicciona” ripete lei.
Dillon sbatte le palpebre e la squadra da capo a piedi, come per assicurarsi che si stiano riferendo alla stessa persona.
“Tu non sei cicciona, tu sei formosa. E, credimi, c’è tutta la differenza del mondo tra quei due termini.”
Gemma scrolla le spalle. “Lo so. Ma a volte mi vedo cicciona e a volte la gente mi etichetta in quel modo. E ti assicuro che non è carino.”
“Io ho la testa grossa” afferma Dillon senza ragionare.
“Eh?”
“La mia testa – ripete disorientato, non sta capendo nemmeno lui dove vuole andare a parare – E’ leggermente sproporzionata rispetto al resto del corpo.”
Gemma assottiglia lo sguardo e si concentra sulla sua figura, Dillon avverte l’istinto di stringersi addosso il giubbino di pelle e incassare la testa tra le spalle. Perché diavolo ha dovuto dirglielo?
“Sì, è vero – conclude lei dopo un po’ – Hai la testa grossa.”
Dillon non lo vorrebbe ammettere a se stesso, ma è rimasto un po’ sorpreso. Di solito le ragazze lo rassicurano e ‘ma cosa dici?, si vede appena!’, invece secondo Gemma lui ha la testa grossa e questo è quanto. Nessuna parola di conforto, nessuna frase educata per sistemare il tutto. Niente.
“Ci sei rimasto male?”
“Come? No, figurati! La gente me lo dice in continuazione.”
Lei annuisce. “Ti capisco, sai. Io ho il culo grosso. Ma non la ascoltare la gente, io non la sopporto. A me piace la tua testa.”
“E a me piace il tuo culo“ perché Gemma è carina e – a questo punto lo può ammettere – molto più intelligente, spiritosa e sveglia di qualsivoglia ragazza mai incontrata prima, ma Dillon è sempre Dillon. E Dillon sa già come andrà a finire questa serata e non vede l’ora che arrivi quel momento, perché inizia ad essere stanco e domani pomeriggio ha il turno da Tesco.
Gemma lo guarda incerta, lui le appoggia una mano sulla coscia e la sente fremere sotto il proprio tocco.
“Mi piaci. Mi piaci tanto, ad essere sincero” è un copione ben studiato, un po’ logoro forse, ma funziona sempre alla perfezione. “Ho insistito con gli altri per portarti a casa, ti volevano tutta per loro” la mano sale, stringe di più, Dillon si avvicina, le sfiora il collo con le labbra. “Ma ti avverto – aggiunge, perché anche il suo essere stronzo ha delle regole – In questo momento non sono in cerca di relazioni serie. Quindi puoi scoparmi o andartene a fanculo.”
Sente il corpo di Gemma irrigidirsi, lei trattiene il fiato e si volta di scatto a fissarlo. Porca puttana, quanta rabbia riesce a contenere uno sguardo?
Ok, forse non è stata la frase più felice mai uscita dalla bocca di Dillon, sicuramente poteva essere un po’ più delicato. Ma lui è fatto così, non ci sa fare con le cose delicate, agisce e basta perché tanto non gli importa mai di quali saranno le conseguenze. Perché è questa la sua vita e lui non ha niente da perdere.
Gemma rimane in silenzio ma il suo respiro è diventato irregolare, se ne sta lì a incenerirlo con lo sguardo e non dice una parola, ché tanto basta il disprezzo dei suoi occhi a spiegare come si sente.
Dillon la fissa coraggiosamente di rimando perché sta cercando di capirla. D’accordo, ci è andato giù pesante – sicuramente ha bevuto troppo – ma di solito non conta. Un’altra ragazza avrebbe finto di arrabbiarsi, avrebbe biascicato qualche lamentela pseudo femminista letta su qualche pagina per casalinghe disperate su Facebook, ma poi avrebbe sorriso e si sarebbe offerta a lui, perché è così che va a finire sempre. Un’altra ragazza si sarebbe lasciata fare di tutto per quella notte e forse avrebbe insistito per rivederlo il giorno dopo, prima di capire che era una battaglia persa e ritirarsi più o meno dignitosamente. Un’altra ragazza non starebbe aprendo la portiera – come invece sta facendo Gemma – per poi sbatterla con violenza sulla faccia ancora stupita e confusa di Dillon.
“Ma dove va?” si domanda lui ad alta voce, prima di rendersi conto di parlare da solo e decidersi ad uscire dall’auto per cercare di capirci qualcosa.
“Ehi!, dove vai?” urla, il tono decisamente scocciato.
Gemma si ferma, prende un gran respiro e si volta. “A fanculo.”
“Eh?”
“Tu hai detto che o ti scopo o posso andarmene a fanculo – ripete perfettamente calma – Credo che andrò a fanculo.”
“Ma...” questo non sta succedendo davvero, non è possibile.
“Non ti preoccupare, abito qui dietro, vado a piedi.”
“E dai – forse se lui si scusa riuscirà a rimediare e concludere la serata – Mi dispiace, non volevo offenderti. Torna in macchina, finiamo le birre e...”
Ma l’unica risposta che ottiene è il dito medio di Gemma alzato, lei ricomincia a camminare, e ancora una volta Dillon non può fare a meno di pensare che Cristo santo, come li sa muovere quei fianchi...
Se ne resta lì a guardarla, appoggiato alla sua Opel grigia sporca e malandata, forse è ancora convinto che lei a un certo punto tornerà indietro e si deciderà finalmente a comportarsi come ogni altra ragazza normale. È solo quando Gemma arriva in fondo alla via e sparisce dietro l’angolo che Dillon si decide a rientrare in macchina.
Si accende un’altra sigaretta, stappa la quarta birra e cerca di snebbiare la mente. Gli viene quasi da ridere, è la prima volta che una ragazza lo sorprende. Rimane fermo in quel parcheggio per quasi un’ora a tentare di capire cosa è andato storto, senza riuscirci.
Infine si decide a tornare a casa, lascia il giubbino a terra vicino all’entrata, butta un occhio nella stanza di sua madre – giusto per controllare che sia ancora in vita – e poi si infila a letto ancora vestito.
Accende l’ennesima sigaretta e si rende conto, sorpreso e un po’ infastidito, che non ha ancora smesso di pensare a Gemma e la cosa non gli piace. Si è reso conto anche di essersi comportato da stronzo e forse – solo forse – un po’ gli dispiace, perché in fondo lei era carina e se non altro intelligente e forse è proprio per questo che ha scelto di andarsene a fanculo piuttosto che stare con lui.




Salve a tutti (?)
bè, dopo 3 capitoli di nulla assoluto finalmente succede davvero qualcosa. Spero che questa storia riesca a decollare e ci terrei molto a sapere cosa ne pensate voi, accetto volentierissimamente anche le critiche.
xxx

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 4 ***


“’Giorno, Winston Blue, per favore”
Dillon alza lo sguardo di scatto, poi si dà del coglione. Passa le sigarette alla ragazza bionda ossigenata di fronte a lui, prende i soldi, saluta e torna a sbuffare nel suo angolo.
“Buon Dio, ragazzo, si può sapere che hai?”
E’ tutta la mattina che Lydia lo tartassa di domande e non è proprio il massimo dato il dopo sbronza che gli sta stritolando il cervello. 
“Niente, Ly. Ho bevuto troppo ieri sera.”
“E’ per tua madre? – domanda la donna, prima di rendersi conto di aver toccato un argomento tabù e diventare rossa quasi quanto i propri capelli – Mi dispiace, caro, è solo che mi sembri giù, e...”
“Sto bene” risponde Dillon, forse un po’ troppo bruscamente perché Lydia non dice più una parola e si allontana per andare a riordinare il reparto surgelati.
Lui sbuffa per l’ennesima volta. Sa di non essere stato gentile, per un attimo vorrebbe andare a scusarsi con lei, ma Dillon non è fatto così. L’unica volta in cui si è scusato con qualcuno è stato con Thomas, dopo avergli spaccato il labbro una sera che era talmente fatto da non capire nemmeno più chi erano gli amici e chi i nemici. Non riesce a chiedere scusa al resto della gente e di solito è perché non gliene importa abbastanza, quindi l’unica cosa che sente di poter fare è starsene lì seduto dietro la cassa a dispiacersi per come ha trattato Lydia ma senza l’intenzione di alzare il culo per andare a rimediare. Capirà – si dice tra sé – Lydia capisce sempre.

Già, come ha capito che Dillon ha qualcosa che non va quando nemmeno lui vuole ammetterlo a se stesso.
Sono cinque giorni che è irritabile – più del solito s’intende -, cinque giorni che ha il dopo sbronza, cinque sere che si beve il fegato davanti alla tv. Cinque giorni in cui ha sobbalzato e alzato lo sguardo di scatto ogni volta in cui una voce femminile chiedeva delle Winston Blue. Fino a cinque giorni fa a malapena guardava chi gli capitava davanti e ora all’improvviso tutto il mondo ha deciso di fumare quella marca di sigarette. E lui ogni volta ci spera, ogni volta cerca quegli occhi marroni, e ogni volta resta deluso per poi darsi del coglione; perché lui non è fatto così e questa situazione non gli va affatto a genio.
Gemma non gli va a genio. Lei e il suo sguardo di sfida, il suo dito medio alzato nella sua direzione, il primo vero rifiuto che Dillon abbia mai ricevuto da una ragazza dai tempi dell’asilo. Ed è stupido – si ripete – continuare a pensarci, avere i pensieri costantemente impigliati su di lei, a rimuginare i motivi che l’hanno spinta a reagire in quel modo e cosa avrebbe dovuto o potuto fare lui per evitare quel fine serata troncato di netto sul più bello. È stupido, lo sa, ma sono cinque giorni che Dillon non fa altro che analizzare i ricordi di quella sera ed è questo più di tutto il resto a renderlo così irritabile e di malumore.

“Ho chiesto le Rothmans blu, non le Winston.”
Dillon sbatte le palpebre e fissa il muratore ricoperto di polvere di fronte a sé. Poi ricollega il cervello e cambia le sigarette sul banco.
Fanculo’ è tutto quello che si concede di pensare.



Sono le 8 e finalmente Dillon esce dalle porte automatiche di Tesco, respira l’aria fresca di pioggia che c’è fuori e saluta Thomas con una pacca sulla spalla.
L’amico è appoggiato al palo della luce, sta digitando rabbiosamente sul telefono e non c’è bisogno di sbirciare per intuire che è l’ennesima litigata con Louise a renderlo così nervoso.
“Qual è il problema stavolta?”
“E’ quello che sto cercando di capire, cazzo” sbotta Thomas, bloccando il telefono e infilandolo nella tasca del giubbino.
“Pub?”
E non c’è altro da aggiungere.

Il Barn Owl non è esattamente il pub preferito di Dillon - più che altro perché è proprio attaccato a Tesco – ma nessuno dei due ha voglia di allontanarsi troppo da casa, Dillon è stanco e Thomas non è il massimo alla guida quando è impegnato a litigare con Louise via messaggio, quindi la scelta è molto ristretta.
Entrano e si stravaccano sul primo tavolo libero che vedono.
“Oh, e dai! – sbuffa Thomas fissando ancora il telefono – E’ per quello?”
“Cosa?”
Thomas blocca il proprio iPhone e lo lancia sul tavolo, butta la schiena all’indietro e incrocia le braccia al petto. “Non ne posso più, ora mi rompe le palle anche se gioco all’Xbox quando torno da lavoro...”
“E’ una donna – dice Dillon, con il tono di chi sta sottolineando l’ovvio – Che ti aspetti?”
“Una Foster ghiacciata, ecco cosa mi aspetto” e detto ciò si alza per andare al bancone ad ordinare per entrambi. 
Dillon si appoggia allo schienale del divanetto, le mani infilate in tasca si guarda attorno annoiato. 
Deve di nuovo pulire casa, è tornata ad essere uno schifo indecente e lui si è ripromesso anni fa che non avrebbe più vissuto come un animale solo perché sua madre è troppo pigra per prendere uno straccio in mano. Deve anche ricordarsi le bollette o rischia di nuovo che gli stacchino la corrente; ma non c’è problema, ha venduto praticamente tutta la cocaina e l’MDMA e gran parte dell’erba che aveva da parte, quindi almeno per un paio di mesi dovrebbe essere a posto.
Sua mamma è entrata di nuovo in una fase più o meno serena, ogni tanto si sposta dal letto al divano in salotto. Non che faccia molta differenza, continua per lo più a fumare e guardare la tv, ma del resto Dillon non si aspetta nulla di diverso. Continua a comprarle le sigarette, a cucinarle qualche pasto ogni tanto, a non riuscire a guardarla negli occhi certe volte e a incazzarsi con lei il resto del tempo.
Sospira guardando fuori dalla finestra.
Un paio di uomini stanno in piedi vicino alla porta sul retro, fumano e parlano agitando i propri boccali di birra. Un gatto bianco e nero è balzato sulla staccionata di legno che recinta il giardino con i tavoli rotondi del Barn Owl, zampetta in equilibrio perfetto e poi sparisce con un balzo nell’oscurità. C’è una ragazza seduta all’ultimo tavolo nell’angolo di destra, raggomitolata in un cappotto enorme, che legge un libro alla luce arancione del lampione sulla strada lì di fronte. Dillon si sofferma su di lei e sospira di nuovo. Non riesce a impedirsi di pensare che la tipa gli ricorda molto Gemma.
Thomas è tornato e gli appoggia una pinta di Foster davanti, ma Dillon non ci fa nemmeno caso. La ragazza là fuori legge e fuma, il viso appena visibile tra la cuffia nera calcata sulla testa e una pesante sciarpa grigia a coprirle il resto della faccia. C’è qualcosa nel suo modo di tenere la sigaretta che a Dillon risulta familiare.
“... Di? Mi stai ascoltando?”
Dillon sbatte le palpebre e torna a guardare Thomas, quasi sorpreso di trovarselo davanti. “Eh?, certo, certo...”
Ma l’attimo dopo è di nuovo concentrato sulla ragazza là fuori e ora sa perché. Lei si è appena voltata un poco nella sua direzione per bere un sorso della birra che ha poggiata di fianco a sé sul tavolo e prima di rendersene conto Dillon è balzato in piedi.
“Ma che cazz...”
“Scusa, amico, torno subito... sigaretta...” mugugna, avviandosi alla porta che dà sul retro, lasciandosi alle spalle un Thomas alquanto confuso. Esce in giardino senza staccare gli occhi dalla figura raggomitolata in quel cappotto troppo grande, si fa da parte per lasciar passare i due uomini di prima che hanno finito le loro sigarette e ora stanno rientrando, e si avvicina lentamente alla ragazza.
Gemma è talmente assorta nella lettura che non sente i passi alle sue spalle, come al solito il mondo potrebbe andare a fuoco che lei non se ne renderebbe conto. È solo dopo un minuto buono che si accorge della presenza silenziosa dietro di sé e si volta di scatto con un sobbalzo.
“Mi hai spaventa!... Oh – si blocca poi – sei tu.”
“Già.”
Dillon non sa cosa fare, improvvisamente prende coscienza del fatto che la sua mente è completamente vuota, sa di non sapere cosa dirle e nemmeno sa spiegarsi perché si sia avvicinato a lei dopo il modo tutt’altro che amichevole in cui si sono lasciati sabato sera. Che ci sta facendo lì fuori?, dovrebbe essere dentro a scolarsi la prima pinta della serata con Tom, che ci fa qui con...
“Gemma” dice alla fine.
Lei alza un sopracciglio. “Vedo che ti ricordi il mio nome” risponde sarcastica.
Lui annuisce. “Come stai?”
Lei lo guarda incredula ed esasperata. “Da non crederci” borbotta, mentre chiude di scatto il libro e inizia a raccattare il pacchetto di sigarette e l’accendino sparsi sul tavolo.
“Dove vai?” e Dillon si chiede disperato quanto ancora durerà questa paralisi cerebrale che gli impedisce di elaborare delle frasi appropriate alla situazione anziché il paio di domande fuori luogo che ha tirato fuori fino ad ora.
“A casa – lo informa Gemma, infilando il libro in borsa – Tanto avevo finito.”
“Hai ancora della birra nel...” ma non fa in tempo a finire la frase che lei si è scolata il resto del bicchiere.
“Bé, allora ci vediamo, eh.”
“Aspetta!”
Dillon fa un respiro profondo e vorrebbe che il suo cervello tornasse a funzionare. Vorrebbe che lei non lo guardasse con quello sguardo pieno di disprezzo, vorrebbe tornarsene dentro che qui fuori si gela, vorrebbe che nella sua voce non si fosse sentita chiara e forte quella nota di disperazione che la pregava di non andarsene.
Lei lo guarda in attesa. “Allora?”
“Solo... Aspetta un attimo.”
“Sto aspettando, Dillon.”
“Scusami.”
E l’attimo dopo averlo detto gli viene quasi da ridere, perché è una parola che difficilmente esce dalle sue labbra. Lei lo fissa indecisa e non lo sa che delle scuse spontanee da parte di Dillon Thorley non sono roba da tutti i giorni, però resta lì ferma lo stesso, in attesa di un seguito.
“Esattamente per cosa dovrei scusarti?” domanda alla fine.
“Per... per essere stato un cazzone l’altra sera” sputa fuori lui e gli ci vuole qualche secondo prima di capire che per la prima volta in vita sua non si sente debole ad ammettere i propri sbagli ad alta voce.
Gemma sbuffa alzando gli occhi al cielo. “Cazzone è riduttivo” dice. Poi però il suo sguardo si incastra in quello azzurro ghiaccio di Dillon e sente una stretta al cuore, e – dannazione! – se lui non fosse così carino forse sarebbe più semplice mandarlo a cagare una seconda volta...
“Non ti preoccupare - dice alla fine – E’ acqua passata.”
“Davvero?” domanda Dillon sorpreso.
Lei annuisce. “Bé, allora buona serata...”
“Aspetta!”
Di nuovo Dillon ha parlato prima di pensare e ora non sa come continuare. Aspetta perché?, aspetta che cosa?, non lo sa, sa solo che non vuole che lei se ne vada.
“Cosa?” chiede Gemma e sbuffa spazientita. Inizia a farla innervosire il fatto che lui se ne stia lì imbambolato a fissarla senza spiccicare...
“Cosa?” domanda ancora, perché Dillon ha mormorato qualcosa ma a voce talmente bassa che non è riuscita ad afferrare le parole.
“Il mio amico Thomas – ripete lui un po’ più forte – E’ dentro con la mia birra.”
Gemma alza di nuovo un sopracciglio e non sa decidere se lui la sta prendendo giro o è davvero un po’ tardo. “Buon per te. Vai a berla, allora.”
“Ti va di unirti a noi? Non è come pensi – aggiunge Dillon frettoloso, interpretando l’espressione di lei – Non sto cercando di provarci. È solo che sei simpatica e vorrei farmi perdonare per sabato sera offrendoti una pinta.”
Lei ci pensa su, non è sicura che lui sia sincero. Però non ha nemmeno voglia di tornare a casa così presto e in fondo non conosce ancora nessuno nell’area, questa potrebbe essere una buona occasione per iniziare a farsi amici nel quartiere.
“D’accordo – acconsente alla fine – Solo una pinta, però.”


'La pinta' è diventata 'due pinte' e infine 'quattro pinte'; il cervello di Dillon funziona di nuovo correttamente, Thomas non sta più pensando a Louise e Gemma è più ubriaca di quanto voglia ammettere.
Sono le 10.30, il pub si è riempito di gente, intorno al loro tavolo c’è un continuo via vai di gente che esce a fumare e camerieri con piatti fumanti di agnello e patatine.
Gemma indossa un maglioncino bordeaux che la fascia aderente e le sta infinitamente meglio del cappotto pesante di prima. Dillon si era quasi dimenticato quanto gli piace la sua risata e il marrone caldo dei suoi occhi. Le sbircia un paio di volte il seno e quando lei si alza per andare ad ordinare un quarto giro ringrazia che nessuno possa leggergli nel pensiero mentre la guarda camminare fino al bancone.
“Ehi, è davvero simpatica – osserva Thomas, sporgendosi verso l’amico – E molto carina. Hai intenzione di...?”
Dillon scuote la testa. “Ci ho già provato. Niente da fare.”
Thomas sembra impressionato. “Questo che è interessante” dice e sembra rifletterci seriamente. “Bé – conclude alla fine – Vorrà dire che se la prenderà qualcun altro.”
“Suppongo di sì” commenta Dillon, cercando di nascondere il moto di fastidio che gli ha stritolato le budella al solo pensiero che qualche coglione tipo Rich possa avvicinarsi a Gemma e provarci. 
Thomas lo guarda attraverso il bicchiere vuoto mentre scola le ultime gocce della propria Foster. Dillon non è mai riuscito a capire il motivo per cui lui si intestardisce così tanto a far funzionare le cose con Louise perché non ha mai avuto paura di perdere qualcuno. E Thomas sorride dietro il boccale perché ha la sensazione che questo sia sul punto di cambiare per sempre.



Salve a tutti (?)
posto di frettissima il nuovo capitolo e ringrazio tutti quanti perché le visite aumentano ogni giorno anche se questa storia non ha né capo né coda.

 
xxx

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 5 ***


Dillon apre faticosamente gli occhi alle 8.30 di un venerdì mattina che – tanto per cambiare -  è grigio e uggioso.
Si fa la doccia, si veste e fa partire un bucato. Si ferma davanti alla porta di sua madre, indeciso se entrare a controllarla, la mano  sulla maniglia e la fronte aggrottata.
No – decide poi – non oggi. Oggi Dillon è di buon umore.
Si prepara una tazza di caffè e  dà da mangiare ai pesci fischiettando tutto il temo un motivetto idiota.
E’ solo una volta varcate le porte automatiche di Tesco e grazie al commento sorpreso di Lydia, che Dillon si accorge di aver sorriso tutto il tempo da quando si è alzato.
 
Stasera uscirà con Gemma.
D’accordo, ci saranno anche Thomas, Louise e almeno altre cinque o sei persone; però ci saranno lui e lei insieme, nello stesso posto e nello stesso momento, quindi va bene lo stesso.
Sì, Dillon è di buon umore perché Gemma lo mette di buon umore. Semplicemente con la sua presenza, con le solite battute acide e quella risata contagiosa, con la sua sincerità piazzata nei punti in cui meno te l’aspetti e la sua tranquillità nello scoprire - strato dopo strato – tutto lo schifo che ricopre l’esistenza di Dillon.
Dopo averla incontrata al Barn Owl quasi due mesi fa, Thomas l’ha invitata alla sua festa di compleanno e dopo quella serata lei e Dillon sono diventati ufficialmente amici. Tom lo stuzzicava all’inizio, incoraggiandolo a provarci di nuovo (stavolta senza fare il cazzone), ma Dillon è un cazzone e qualcosa nello sguardo di Gemma gli ha fatto capire che non è quello che lei cerca e sicuramente non è nemmeno quello che si merita.
E’ forte Gemma, è gentile, simpatica, con la testa sulle spalle, più matura di quello che dà a vedere e la sua vita è in qualche modo pulita e ordinata rispetto all’ammasso di casini e squallore che invece è l’esistenza di Dillon. Lui si sente sporco, sbagliato di fianco a lei; per questo non voleva che venisse a sapere certe cose. Purtroppo però Gemma ha iniziato ad uscire con il loro gruppo e ha scoperto del giro di spaccio di Dillon, ha intuito che c’è qualcosa che non va con sua madre, che non ha un padre e, per quanto lui abbia cercato di nasconderlo, lei in qualche modo lo sa che lo stipendio di Tesco e la sua vecchia Opel Corsa sono gli unici traguardi che ha raggiunto nella vita.
Dillon si è sentito strano mentre Gemma lo spogliava di ogni barriera, ha avvertito una sensazione di fastidio mista all’istinto di scappare e andare a nascondersi da qualche parte. Ci ha messo un po’ per capire che quello che provava era solo semplice vergogna. La stessa cosa che sentiva nell’andare a scuola con la divisa sgualcita e lisa, i libri scarabocchiati e di seconda mano, mentre i suoi compagni si lisciavano i colletti delle camicie immacolate e stirate e parlavano dell’ultimo gioco del Game Boy che avevano ricevuto in regalo.
Ma Gemma non lo guarda dall’alto in basso, non lo compatisce e mai – assolutamente mai – lo fissa come se lo ammirasse per aver auto una vita difficile.
Lei gli sorride, gli racconta di quando ha fatto l’università e a volte Dillon deve chiederle di spiegargli qualche termine, ché lei si dimentica che lui non ha nemmeno finito il liceo, che quella universitaria è una realtà molto diversa da quella in cui ha sempre vissuto e non ha familiarità con parole come “punteggio per la borsa di studio”, “graduatoria” e “sessione d’esami”. All’inizio lui aveva paura di sembrarle un demente, si sentiva quasi in colpa per la propria ignoranza, finché non ha capito che Gemma si scorda di spiegargli le cose perché lei lo considera un ragazzo normale.
Niente di più e niente di meno, semplicemente uno con cui la vita è stata una stronza e che non sempre si guadagna il pane in modo legale, e nonostante questo rimane comunque una persona come le altre. Non uno da trattare come un emarginato o con riverito rispetto perché è “un duro”, “un tipo pericoloso che è meglio non fare incazzare”.
Lei gli dà del testa di cazzo quando Dillon si arrabbia con qualcuno e vorrebbe spaccargli la faccia per una sciocchezza, gli dice che le dispiace che lui non abbia avuto certe opportunità nella vita ma non lo scusa in tutto e per tutto solo perché “poverino, è nato sfortunato”, si incazza quando pensa che lui stia esagerando e non manca mai di farglielo notare con una sincerità sconcertante che spezza sempre Dillon a metà, mozzandogli il respiro. Gemma lo prende così com'è, non cerca di cambiarlo né di fargli vedere come e dove potrebbe essere una persona migliore. Non gli chiede niente e non pretende nulla se non un passaggio a casa a fine serata.
E dopo quasi due mesi Dillon si è accorto di volere la compagnia di Gemma più di qualsiasi altra cosa. Si è accorto che non ha bisogno di lei – lui non ha bisogno di nessuno – ma quando lei c’e lui sta meglio, il mondo sembra in qualche modo un posto migliore, i raggi del sole scaldano di più, le nuvole non sono poi così grige e lui non è più così arrabbiato con tutto e tutti.
 
E allora oggi Tesco non sembra così triste e deprimente, e il rosso dei capelli di Lydia mette allegria e Dillon fischietta ancora mentre pulisce il latte che un bambino ha rovesciato nella corsia 4.
Oggi lui uscirà con Gemma quindi non c’è motivo di sprecare la giornata con il malumore.




Salve a tutti (?)
posto di nuovo perché mi andava, ma vi avverto: il mio computer è attualmente fuori uso quindi ho scritto questo capitolo sul pc di qualcun altro che ovviamente ha una tastiera tedesca ma impostata sul modello UK – è una storia molto lunga -, comunque il succo è che ci saranno probabilmente degli errori di battitura che vi prego di perdonarmi, appena riavrò la mia tastiera italiana sistemerò tutto quanto, giuro.
xxx

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 6 ***


La prima volta che Dillon si rende conto di aver perso il controllo è un venerdì sera partito senza troppe pretese.
Un paio di birre a casa insieme a Thomas, una partita all’Xbox, la musica sparata a tutto volume che – come succede sempre più di frequente – Dillon non ha voglia che i lamenti di sua madre gli rovinino la festa. Il tempo passa svelto come sempre in compagnia del suo amico e quindi devono correre se vogliono arrivare in orario al parcheggio di Asda, per caricare in macchina Gemma e dirigersi verso il centro città.
Da Wetherspoon c’è il pienone di gente ubriaca e molesta, ragazze con molti kili di troppo che davvero dovrebbero evitare certi vestitini e l’aria è impregnata dell’odore di alcol e sudore.
Alla quarta pinta e terzo shot di Sambuca al lampone Gemma è sbronza e balla insieme a Dillon Ghost di Ella Henderson. Dillon ha bevuto molto più di lei ma il suo fegato ha una resistenza di gran lunga maggiore per cui ridacchia mentre la guarda muoversi davanti a lui, gli occhi chiusi e un sorrisino ebete sul viso. Osserva ogni suo movimento con attenzione, com’è ormai abitudine per lui. Già, Dillon presta molta attenzione a Gemma, ha memorizzato i suoi modi di fare, le parole che dice più spesso, le storie assurde che racconta e le smorfie buffe che tira fuori. Ed è stato talmente attento che adesso sa come interpretare ogni sua frase, sa indovinare il perché di un improvviso malumore e riconoscere se una giornata è stata buona o meno anche sotto il sorriso stanco che lei mette su ogni volta che si incontrano. Conosce nei dettagli la routine di Gemma, il libro che sta leggendo in quel momento, gli sforzi nello spremere al massimo le sue riserve di pazienza per farsi ascoltare dalle bambine che accudisce, i giorni che si sente una balena e quelli in cui invece cammina a testa alta perché ha deciso che quel giorno si vede bella – ma guai a farle un complimento!, ché lei ha la strana abitudine di mandarti a cagare invece che ringraziare -. Gemma si sorprende sempre quando scopre di essere all’altezza, di essere abbastanza brava per fare qualcosa o piacere a qualcuno, e questa è l’unica cosa che Dillon non riesce a capire. Non capisce perché lei si sminuisca quando è di gran lunga meglio di tutte le persone che lui ha incontrato fin ora nella sua vita. A volte pensa che è persino meglio di Thomas – in un modo diverso, ma lo è - . Sì, perché nemmeno a Thomas è permesso invadere lo spazio vitale di Dillon, e invece Gemma ci si infila in quello spazio e lui ha fatto una fatica immane all’inizio per cercare di farla uscire, di mandarla via. Finché non ha capito che a lui piace quella compagnia, gli piace se è Gemma quella che gli tocca la spalla e si appoggia al suo braccio per recuperare l’equilibrio. Non gli dispiace che gli si avvicini per urlargli qualcosa all’orecchio, che gli smolli telefono e borsetta mentre va in bagno, che lo spintoni scherzosamente per poi fargli una linguaccia e ridere ubriaca più che mai. E Dillon ride insieme a lei, ed è una sensazione strana, come se all’improvviso si sentisse più leggero in mezzo al petto, come se si fosse liberato di un peso che non sapeva nemmeno di avere.
“Sicura di volere un altro shot?” chiede, mentre Gemma si aggrappa al suo braccio per la quinta volta nel giro di un minuto.
“Forse hai ragione – biascica con gli occhi mezzi chiusi, facendolo sorridere – Forse mi devo fermare qui per stasera...”
“Sì, credo sia meglio – ridacchia ancora lui – Mi aspetti qui mentre vado a prendere da bere per me?”
Lei annuisce e si lascia cadere sul divanetto alle sue spalle come un sacco di patate.
Dillon si fa largo a spintonate fino al bancone e ordina una Foster, sta cercando di tornare barcollando verso la pista da ballo quando viene fermato da una mano sul proprio braccio.
“Di!”
“Eve!”
Dillon è quasi sicuro che Eve fosse mora l’ultima volta che l’aveva vista, invece ora i suoi capelli sono biondi ossigenati e di almeno tre spanne più lunghi. Gli occhi però sono sempre azzurro cielo e lo sguardo ancora decisamente languido.
“Tu guarda, quanto tempo!, come stai?”
“Bene... – borbotta – E tu?”
“Alla grande, tesoro, stasera sono già oltre il numero consentito di drink” risponde lei ridendo sguaiata e toccandogli di nuovo il braccio.
Dillon non ha voglia di parlare con lei ed è un peccato – si ritrova a pensare – perché Eve è un’ottima scopata e lo sa che è cotta di lui, dato che ogni volta che si incontrano sanno benissimo entrambi dove andranno a finire. Però stavolta lui non se la sente, semplicemente  sa che ha di meglio da fare, non sa che cosa ma sa che è così.
Eve fa gli occhi da cucciolo ferito mentre lui si libera dalla sua stretta biascicando qualche scusa, lei gli urla di farsi sentire ogni tanto e Dillon scrolla le spalle in un gesto che potrebbe voler dire sia sì che no.
E tanto non gli interessa perché Gemma si sta addormentando sul divanetto e il primo pensiero che gli attraversa la mente è: cazzo, non mi ero accorto che fosse messa così male, grazie al cielo mi sono liberato in fretta di Eve. Già, perché una ragazza semi svenuta in un posto come Wetherspoon di venerdì sera è tutto fuorché al sicuro e gli si attorciglia lo stomaco al pensiero di cosa sarebbe potuto succederle se lui non si fosse sbrigato a tornare.
Tira fuori il telefono e manda un messaggio a Thomas per avvertirlo di chiedere un passaggio agli altri perché lui deve riportare a casa Gemma subito; poi tenta di svegliarla e farla riprendere almeno un po’ prima di caricarsela quasi a spalle e passo dopo passo condurla fuori dal pub.
E’ solo una volta che lei è al sicuro sul sedile davanti della sua Opel Corsa che Dillon si rende conto di cosa ha appena fatto. Nell’ordine ha: rifiutato una scopata con Eve, abbandonato Thomas e gli altri, e pagato e poi lasciato sul tavolo un’intera pinta di Foster ancora ghiacciata.
Scuote la testa e sospira mentre guida verso Kingsway. Sente come se avesse perso il controllo sulla propria vita dato che ora gran parte delle cose che fa e che dice vengono fatte e dette in funzione della ragazza che ora gli sta dormendo a fianco. Non sa giudicare se sia una cosa buona o meno, sa solo che è una novità e che lui è parecchio spaventato dal momento che non sa come affrontarla. E quando Dillon non sa come affrontare le cose di solito scappa. Però stavolta non vuole scappare, perché scappare significherebbe non stare con Gemma e questo non gli va. Ma non gli va neppure di finire come Thomas, sempre a fare i salti mortali per accontentare Louise...
Scuote ancora la testa e si sfrega gli occhi. Che stupidaggine, Gemma non è Louise e lui non ha la più pallida idea di cosa fare. Perché va bene che Dillon aveva una vita di merda, ma si riteneva relativamente sistemato; non felice – nemmeno lontanamente – però c’era un qualcosa di stabile nella monotonia che ricopriva tutte le sue giornate e lui la conosceva bene, sapeva come maneggiarla e cosa aspettarsi. E poi è arrivata Gemma e Dillon la vuole, dannazione. La vuole come non ha mai voluto nient’altro. E il problema è che lei non è come gli altri, non è facile. Lo sembra, sembra normale, banale, e poi invece tira fuori dei pensieri da restarci secchi. E Dillon ci resta secco, ogni fottuta volta. Sembra come le altre e invece ha quegli occhi profondi e arriva dall’Italia tutta sola, senza un programma, senza chiedere la luna. Ma ha stravolto il mondo di Dillon e, Cristo santo, lui non sa cosa fare...
La catena di pensieri viene interrotta a un semaforo rosso, quando lui si ritrova una mano di Gemma tra i capelli.

“Grazie” gracchia, gli occhi ancora chiusi ma un sorriso leggero sulle labbra.

Il cuore di Dillon salta parecchi battiti perché l’unica cosa che vorrebbe dirle è: ti prego non togliere quella mano, non smettere di toccarmi, non voglio smettere di sentirti...

“Prego.”

Fanculo cercare di capire cosa prova, non è importante; fanculo la paura e l’istinto di nascondersi. Dillon è esattamente dove vuole essere e per stanotte è tutto ciò che conta.




 
Salve a tutti (?)
mi scuso per la discontinuità paurosa negli aggiornamenti ma questa storia sta nascendo piano piano e purtroppo tra tutti gli impegni che ho non riesco ad ritagliarmi un giorno per scrivere in santa pace, quindi posto al volo quando posso :(
Come sempre mi piacerebbe sapere cosa ne pensate e vi ringrazio se avete ancora la pazienza di leggermi nonostante tutto.
xxx

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 7 ***


Dillon è nudo come un verme nella piazza del mercato.
C’è una folla di sconosciuti attorno a lui ma l’unica cosa su cui è concentrato è Gemma, che lo guarda arrabbiata e continua ad urlare: “Perché non me l’hai detto? Hai rovinato tutto!”
Poi si volta e fa per andarsene e Dillon vorrebbe inseguirla, urlarle di fermarsi, che può spiegarle; ma le sue gambe sono come immobilizzate e per quanto si sforzi dalla sua gola non esce più di un sussurro smorzato. Si dibatte, è disperato, lei non può andar via, lui deve spiegarle, rimediare, e se solo il campanello smettesse di suonare riuscirebbe a pensare a un modo per farlo...



Dillon apre di scatto gli occhi e non è nella piazza del mercato, è nel proprio letto – anche se è davvero nudo –. Sospira, era solo un sogno.
Si guarda attorno frastornato: la luce che filtra dalle tende suggerisce che sia pomeriggio inoltrato e lui ha la strana sensazione di essersi dimenticato qualcosa.
Si tira a sedere sul letto e si prende la testa fra le mani. È stato in piedi tutta notte per accudire sua madre che ha dato fuori di matto come poche altre volte. Si è ubriacata e si è messa a ballare le hit di Mtv come una ragazzina di 15 anni, riducendo il salotto ad un completo disastro. Ha travolto e rotto una lampada, ribaltato un paio di sedie e la moquette probabilmente puzzerà di Vodka per un bel pezzo. Poi ha preso una decina di pillole antidepressive e meno male che a quel punto Dillon è tornato a casa, altrimenti non avrebbe mai fatto in tempo a farle bere acqua e sale per pulirle lo stomaco. Le ha fatto vomitare tutto quello che aveva ingerito, l’ha fatta camminare un po’ nel salotto devastato e ha continuato a parlarle senza mai fermarsi, costringendola a rispondergli. Poi, quando finalmente ha visto che era fuori pericolo, l’ha messa a letto e ha guardato l’ora. Erano le 4 di notte e dopo tre ore avrebbe dovuto attaccare il turno. Ha preso un gran respiro e molto coraggio e ha fatto una telefonata che avrebbe di gran lunga preferito evitare. Poi si è trascinato in camera, si è levato la divisa di Tesco sporca di vomito e si è infilato a letto nudo, crollando in un sonno istantaneo e profondo.

Il campanello di sotto riprende a suonare e Dillon tira una bestemmia. La gente non capisce che se nessuno risponde è il caso di lasciar perdere?
Resta ancora un po’ lì fermo, sperando che chiunque sia lo scocciatore si arrenda e si levi dalle palle in fretta. Speranza vana.
Dillon si alza sbuffando, si infila i primi pantaloni della tuta che trova e scende rumorosamente le scale, pronto a mandare a fanculo chiunque ci sia dall’altra parte della porta.

“Si può sapere che cazzo vuoi?... Gemma!”

“Ciao” mormora lei in imbarazzo, e Dillon avverte l’istinto di chiuderle la porta in faccia; non perché è una scocciatrice ma perché lui è in uno stato che lei non avrebbe dovuto vedere, sembra sia esplosa una bomba in casa e sua madre di sopra sta uno schifo, lui probabilmente puzza ancora di vomito, e...

“Ehm... cosa, cosa ci fai qui?”

Gemma esita, sembra a disagio, quasi di sicuro ha capito che non è un buon momento e ora non sa se è meglio scusarsi e andarsene o fare finta di niente.

“Io... Avevi detto che volevi fare un giro al Victorian Market dopo lavoro... Che se passavo a fine turno saremmo andati insieme... – Dillon si picchia una mano sulla fronte: con tutto il casino di sua madre se l’era completamente scordato. Gemma continua a spiegare mortificata, –  e sono andata da Tesco ma Lydia mi ha detto che l’hai chiamata stanotte per chiederle di coprire il tuo turno e ho provato a chiamarti, lo giuro, ma hai il telefono staccato...”
Dillon la ferma con un gesto della mano. “Sì, mi devo essere dimenticato di metterlo sotto carica ieri sera... – poi gli viene in mente la cosa più importante – Come facevi a sapere dove abito?”
Gemma esita ancora, poi confessa: “Me l’ha detto Thomas. Mi dispiace esserti piombata qui, ma non rispondevi e Lydia ha detto che probabilmente c’erano stati dei problemi con tua madre... – Dillon si sente avvampare e per un attimo è incazzatissimo perché la gente non sa mai tenere chiusa la bocca – ...E ho chiamato Tom ed è stato lui a dirmi di venire qui, che era meglio controllare...”
Dillon sospira. Bastardo... Se Tom avesse davvero voluto controllare sarebbe venuto di persona, se ha suggerito a Gemma di farlo è per ben altri scopi. Sono mesi che l’amico lo stuzzica per spingerlo a provarci di nuovo con quella ragazza, mesi che Dillon lo manda a cagare e dice che ormai per lui è solo un’amica. E ha sempre apprezzato l’aiuto di Thomas, perché sa farlo in silenzio, senza dirlo né farlo pesare e questo è molto importante per Dillon. Ma stavolta ha esagerato, non si rende conto di cosa ha fatto...
“Senti, mi dispiace – sta dicendo Gemma – Ero solo preoccupata, scusa...”
E arrossisce, ed è talmente bella da far male e Dillon vorrebbe piangere perché non è giusto, e non ha mai voluto così tanto una vita normale come in questo momento...
“No, tu... Sei, sei stata carina a preoccuparti – le dice, perché non sopporta quell’espressione triste su di lei – Ma non c’è bisogno, io sto bene.”
“Sicuro? – domanda Gemma, adesso con una nota di determinazione nella voce ancora insicura e titubante – Perché hai... Bé, hai il braccio sporco di vomito.”
Dillon si fissa l’avambraccio destro e bestemmia ad alta voce. Gemma prende un gran respiro e si costringe ad essere coraggiosa. “Posso entrare?”
“C – Come?”
“Posso entrare?” ripete più decisa, muovendo un passo verso la soglia. Dillon si irrigidisce e resta fermo dov’è. No, no, no, no, no... Fermala, fai qualcosa!, ma è troppo tardi, Gemma è sgusciata al suo fianco e ora si sta guardando intorno nell’ingresso buio. La fissa ancora pietrificato sul posto, rifiutandosi di elaborare quello che sta succedendo.
Lei avanza con cautela fino al salotto e osserva in silenzio il disastro intorno a lei.
“Come sta tua madre?” domanda poi e per Dillon è troppo.
“Fuori di qui.”
“Eh?”
Cerca di respirare a fondo ma ormai si è arrabbiato e lo sa che è inutile, e la cosa più brutta è che sta per farlo davanti a Gemma che non se lo merita proprio...
“Ho detto: fuori di qui. Sei stata gentile ma non ho bisogno di te e preferirei che tu te ne andassi.”
Lei non si muove di un passo e lo fissa, rossa in viso ma decisa a non schiodarsi di lì.
“Thomas mi ha avvertita che avresti reagito così...”
“E allora anche Thomas dovrebbe imparare a farsi i cazzi propri! – sbotta Dillon ormai fuori controllo – Posso benissimo risolvermi i problemi da solo, senza la carità e la pietà della gente...”
“Tu non mi fai pena...”
“...E tu non avresti mai dovuto venire qui, non ti ci voglio in casa mia! E dì a Tom di andare a cagare, lo sapeva benissimo di non dovermela fare questa, lo sapeva, cazzo! Non ho bisogno di nessuno e non voglio nessuno, chiaro?”
A Gemma sta tremando tutto, ma l’ha promesso a Thomas che non si sarebbe lasciata buttare fuori. E poi lo sa di cosa ha davvero bisogno Dillon e non ha nessuna intenzione di cedere.
“Hai finito?”
Lui si blocca nell’atto di ricominciare a gridare e la fissa ammutolito. Non è la reazione che si aspettava, perché non se ne va...?
“Se hai finito ti consiglio di andare a farti una doccia, forse ti servirà per sbollire.”
Wow, è suonata molto più sicura e autoritaria di quanto si senta in realtà e Dillon sembra essere troppo sotto shock per ricominciare ad urlarle addosso, quindi forse ce la sta facendo. “Su – lo incita ancora – Ti aspetto qui. Posso fumare dentro, vero?”
Dillon non risponde. Tutta la rabbia che provava è svanita e tutte le sue energie sono concentrate nel cercare di capire perché Gemma sia ancora lì con l’aria per niente spaventata.
“Dillon Thorley, puzzi di vomito da far schifo, non ho intenzione di starti vicino se emani quell’odore. Per l’amor di dio, vai in doccia!”
“Ma...” e il ragazzo si guarda intorno più confuso che mai, come a voler dire ‘vedi dove ti trovi?’.
“Ho visto di peggio” è l’unica risposta che ottiene, insieme a uno sguardo deciso che Dillon è quasi sicuro sia lo stesso che usa con le bimbe di cui si occupa quando fanno i capricci.
Lei lo guarda sparire al piano di sopra e vorrebbe mettersi a saltellare dalla gioia: Tom aveva ragione, ce l’ha fatta.

In bagno Dillon si guarda allo specchio e sembra finalmente ritrovare la ragione. Analizza la conversazione appena avuta con Gemma e arriva alla conclusione che dev’esserci lo zampino di quel pezzo di stronzo del suo cosiddetto ‘migliore amico’. Ma non ha tempo di pensare a lui, ora il problema più urgente è la ragazza in salotto, in mezzo a tutto quel casino, in casa sua, in mezzo ai suoi problemi, in mezzo a quella parte della sua vita che Dillon ha tentato in tutti i modi di tenerle nascosta. Se se lo fosse aspettato non l’avrebbe mai lasciata entrare, ma è stato colto di sorpresa e di certo non si sarebbe mai immaginato la calma e tranquillità con cui lei è rimasta impassibile alla sua rabbia.
Scuote la testa ed entra in doccia – perché su una cosa si trova d’accordo: puzza da far schifo – e tenta di pensare ad un modo per uscire da quella situazione.

Una volta pulito e profumato, con dei vestiti più o meno freschi di bucato, Dillon torna in salotto e di nuovo resta di sasso.
Gemma è in ginocchio con una spugna in mano, di fianco a sé una pentola con acqua calda, sapone e sale, e sta sfregando la moquette con uno zelo sorprendente.
“Cosa... Cosa stai facendo?”
Lei non alza nemmeno lo sguardo. “Credo che stia venendo via, ma l’odore di Vodka ti resterà per un po’.”
“Fermati. Fermati, ho detto. Per favore.”
A quelle parole Gemma si blocca, ripone la spugna nella pentola e si alza per fronteggiarlo.
“Mi dispiace per averti urlato addosso, prima – lei scuote la testa, come a fargli capire che è tutta acqua passata – E’ solo che è la mia vita, i miei problemi. E non c’è assolutamente bisogno che tu ti metta addirittura a pulire...”
“Dillon – lo interrompe, avvicinandosi ancora di più e assicurandosi che l’azzurro ghiaccio sia ben concentrato nel marrone scuro – Se mi conosci almeno un po’ dovresti aver capito che nonostante io sia molto più gentile e sorridente, sono anche una terribile egoista, proprio come te. Quindi credi davvero che sprecherei il mio venerdì pomeriggio a pulire questo casino solo per cortesia nei tuoi confronti?”
“Ma perché non puoi semplicemente lasciare perdere? – sbotta lui, e forse si sta arrabbiando di nuovo – Perché non puoi andartene, perché devi essere così testarda? Perché ti frega di come sto?”
“Non lo so! – e stavolta è il turno di Gemma di alzare la voce – E credimi me lo sono già chiesta almeno un migliaio di volte! So solo che voglio farlo, ok? Voglio stare qui a pulire, voglio sapere di tua madre, voglio che mi racconti i tuoi problemi. Voglio stare con te perché ci sto bene. E se proprio hai bisogno di una ragione allora è perché... perché credo, credo che tu non sia il totale fallimento che credi di essere.”
Ecco, l’ha detto. Non sa dove ha trovato la forza per essere così sincera, ma l’ha fatto, e ora Dillon la guarda con un’espressione indecifrabile che non sa se la spaventa o le fa tenerezza.
Lui se ne sta lì di fronte a lei, i pugni stretti, il cuore che batte furioso e la testa che gli gira. Voglio stare con te perché ci sto bene... il totale fallimento che credi di essere...
“Mamma è depressa ed è un’alcolizzata.”
Gemma si va a sedere sul divano e lo invita a fare altrettanto. Poi annuisce e Dillon inizia a raccontare.
All’inizio è difficile, sono più i momenti di silenzio che altro. Ma lei gli stringe una mano e gli passa una sigaretta, annuisce e gli lascia lo spazio e il tempo per organizzare i pensieri. E passo dopo passo lui ce la fa, ricorda, descrive, si vergogna e si arrabbia mentre ripercorre gli ultimi 26 anni. E, non si rende conto, ma non c’è più verso di fermarlo, che adesso che lei ha toccato quei punti nel modo giusto lui si è accorto che era una vita che aspettava di poterlo dire a qualcuno, di poter spiegare quanto è stato difficile e che forse aveva davvero bisogno di qualcosa in fondo. Aveva bisogno di non sentirsi più così solo.
Quando finalmente esaurisce le parole è come tornare alla realtà, e Dillon torna improvvisamente cosciente di chi ha davanti e che ha sbagliato tutto, doveva evitare di raccontare certe cose, che chissà ora cosa pensa di lui... E trattiene il respiro e non vuole guardare Gemma negli occhi, non vuole leggerci quanta pena le fa, vuole solo tornare a letto e dormire per almeno un anno.
Lei invece è sull’orlo delle lacrime e lo sapeva, lo sapeva che in lui c’è molto più di quello che lascia trapelare.
“Allora?” chiede Dillon, apparentemente rivolto al proprio ginocchio destro.
“Allora, cosa?” domanda Gemma, schiarendosi la voce roca dopo tanto silenzio.
Lui non risponde, si limita a scrollare le spalle. Sa che dovrebbe guardarla ma non ce la fa. Raccoglie le ultime briciole di coraggio e trattiene il respiro mentre dice: “Allora te ne vai adesso?”
“Vuoi che me ne vada?”
“No!” ed è quasi un ‘no’ urlato, incrocia il suo sguardo per una frazione di secondo ma poi torna a fuggirlo, che ha troppa paura di vederci dentro un rifiuto e lui non è mai stato molto coraggioso.
“Sei proprio incasinato, eh?”
Dillon annuisce una sola volta con un gesto secco del capo, il corpo inizia a fargli male per quanto si sta costringendo a restare immobile.
“Va bene” dice Gemma.
“Cosa?”
Rialza la testa e non riesce ad impedirsi di cercare quel marrone così profondo, forse ha sentito male...
“Ho detto: va bene – ripete lei e sorride in un modo che Dillon lo giura sta illuminando l’intera stanza e diamine!, può un sorriso farlo sentire così incredibilmente sollevato? – Per me va bene.”
Riprende a respirare di nuovo, e lo fa lentamente, godendosi l’aria che entra ed esce dai propri polmoni.
Va bene.
A Gemma va bene.
E Dillon non lo sa ma lui stesso sta sorridendo in modo diverso adesso, sta sorridendo come se ci credesse davvero di avere una possibilità, che forse le cose si possono mettere a posto e lui non si è perso del tutto, perché a lei va bene. Va bene.
Va tutto bene.








Salve a tutti (?)
non sono affatto sicura di questo capitolo. Spero che la decisione di Dillon di aprirsi con Gemma non vi sia parsa diciamo “troppo veloce”, nella mia testa era molto meglio spiegato ma come al solito ‘ tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare ’. Questo momento doveva arrivare prima o poi, spero solo di non averlo rovinato troppo.
xxx

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 8 ***


Dillon si sciacqua la bocca dopo aver vomitato per la terza volta di fila. Fissa il proprio riflesso nello specchio; osserva le occhiaie, i capelli disordinati e il colorito ancora più pallido del solito: sta da schifo. Tremando infreddolito torna a letto e si ficca sotto le coperte. È da ieri pomeriggio che non sta bene, ha lavorato comunque, ma stamattina ha dovuto darsi malato; si è beccato un maledettissimo virus e ha vomitato a intervalli regolari tutta notte.
Il campanello suona e lui mugugna qualcosa, rigirandosi nel piumone: chiunque sia dovrà andarsene perché lui non ha intenzione di muoversi da...
Il telefono vibra, un solo messaggio:

Aprimi, idiota.

E Dillon si sorprende di quanto i suoi riflessi siano pronti e veloci anche con la febbre a 38.
Si catapulta al piano di sotto – rischiando di scivolare sulle scale perché non è proprio fermo sulle gambe deboli – e spalanca la porta con un sorriso.

Gemma si toglie il cappotto verde militare e lo appende all’ingresso, si sfila le scarpe, lo abbraccia stretto e Dillon sta improvvisamente meglio.
Si fa cullare tra le sue braccia e respira l’odore del suo shampoo misto a pioggia e fumo, le sfiora la schiena e non mi lasciare, non mi lasciare...
“Non dovresti abbracciarmi – le dice invece – non vorrei attaccarti qualcosa.”
Ma lei scrolla le spalle. “Le bimbe hanno già avuto il virus e sono stata con loro tutto il tempo, direi che ormai mi sono fatta gli anticorpi.”
Poi Dillon la lascia andare anche se non vorrebbe, anche se si è accorto che ora che Gemma è sempre più vicina, lui vorrebbe averla vicina anche in un altro modo e ogni occasione è buona per toccarla, per sentirla ancora lì.
“Ti ho portato della zuppa” dice lei, mentre si fa strada verso la cucina e sfila un tupperware dalla borsa.
“Non c’era bisogno, davvero” perché Dillon fa ancora un po’ fatica ad accettare l’aiuto degli altri, però poi sorride e si arrende, ché in presenza di Gemma non riesce a fare altro.
E lei sorride di rimando scrollando le spalle, come se sapesse esattamente cosa gli sta passando per la testa e fosse soddisfatta della propria silenziosa vittoria. Gli parla tranquilla di cose inutili – hanno chiuso la strada su Tuffley Lane per dei lavori, i nonni delle bimbe verranno in visita il prossimo weekend, c’è un cappotto rosso da Primark su cui lei ha messo gli occhi e pensa di comprarlo anche se lo sa che dovrebbe risparmiare... – e mentre Gemma parla Dillon la guarda, appoggiato allo stipite della porta. Si muove con una tranquillità impressionante in mezzo alla cucina disordinata – apre i cassetti, trova una ciotola pulita, scalda la zuppa nel microonde – sembra quasi che abbia sempre vissuto lì tanto va a colpo sicuro e Dillon si ritrova a sorridere, rendendosi conto di non stare più ascoltando da un pezzo, occupato com’era ad osservarla.
“Forza – gli sta dicendo, la ciotola fumante di zuppa tra le mani – sul divano.”
“Non c’è davvero bisogno che tu...”
“Non c’è bisogno ma lo faccio lo stesso” ribatte lei, ed è inutile tentare di contraddirla.
Dillon esegue gli ordini, si va a sedere in salotto su uno dei divani marroni in pelle e accende la tv. “Che ti va di guardare?”
“Quello che vuoi – risponde Gemma noncurante – Vado un attimo in bagno e tu farai meglio a far sparire quella zuppa prima del mio ritorno, intesi?”
“Sissignore” scatta lui, accennando un saluto militare. Poi si rilassa contro lo schienale e dà un primo assaggio: è buonissima, saporita e bollente, esattamente quello che ci voleva.
Dillon mangia e fa zapping, cercando qualcosa di decente e quando Gemma torna al piano di sotto lui non ha ancora trovato nulla, ma ha completamente ripulito la ciotola.
“Bravo ragazzo – scherza lei – Ora qui sotto, forza.”
“Ma cosa...?”
“Sì, ho preso il piumone da camera tua; devi stare al caldo, su” dice sbrigativa, levandogli la ciotola dalle mani e buttandogli addosso il piumone blu.
“Ma come facevi a sapere quale...?”
Lei sbuffa. “Ho aperto tutte le porte finché non l’ho trovata. No, non ti preoccupare – aggiunge poi, perché Dillon l’ha fissata terrorizzato – Credo che tua madre stia dormendo, non mi ha sentita.”
Lui riprende a respirare cercando di calmarsi: lei non ha visto mamma, mamma non ha visto lei, va tutto bene, tutto bene...
“E comunque dovresti stare tranquillo, è poi solo un essere umano, mica un mostro...”
“Non ne sono così sicuro” borbotta lui, mentre Gemma gli si siede di fianco.
Lei ignora l’ultimo commento e tenta di avvolgerlo nel piumone, nonostante i lamenti di lui.
“E dai, non...”
“Se dici un’altra volta ‘non c’è bisogno’ giuro che ti spacco qualcosa in testa.”
E Dillon sta zitto, reprime l’istinto di scappare e si concentra sulle mani di Gemma che gli stanno sfiorando il viso.
“Dio mio, sei bollente – commenta lei, guardandolo preoccupata – sei più bianco di un lenzuolo e guarda che occhiaie!, hai un aspetto da schifo.”
“Grazie” sbuffa Dillon sarcastico ma smette subito di ridacchiare e trattiene il respiro. Gemma gli passa lentamente una mano tra i capelli e dietro il collo e va a fermarsi sulla sua guancia.
“Stai bene?” domanda sottovoce, incerta, quasi spaventata di aver attraversato una linea di confine che avrebbe invece dovuto rispettare.
Dillon non riesce a parlare, non riesce nemmeno a respirare in questo momento. Annuisce una sola volta e resta ad occhi chiusi a godersi quel tocco. È qualcosa di profondamente diverso da quello a cui è abituato. Non è eccitante in modo sessuale, non sono le pacche dolorose con Thomas, non sono delle nocche stampate sullo zigomo. È solo una mano leggera e delicata, ed è qualcosa che Dillon sa di aver provato da qualche parte a un certo punto della sua vita; forse quando era ancora piccolo e sua madre era una madre per davvero, forse sua nonna che è morta quando lui aveva 5 anni, forse se lo sta immaginando, ma riapre di scatto gli occhi perché Gemma non lo sta più toccando. Le chiede silenziosamente spiegazioni, perché ancora non riesce a spiccicare parola, ha un nodo in gola enorme e si rende conto inorridito di avere voglia di piangere.
“Scusa – mormora lei, gli occhi bassi – Se ti dà fastidio...”
“No – è una risposta secca e categorica, perché la voglia di risentire quelle mani sulla pelle supera di gran lunga la sua temporanea paralisi mentale – No. Solo... Non smettere. È... bello.”
Gemma annuisce, prende un gran respiro per farsi coraggio e si avvicina un po’ di più a lui, cercando di non far vedere quanto le stanno tremando le mani, i pensieri e il cuore. Riprende a sfiorarlo senza fretta, godendosi ogni centimetro di pelle, ben consapevole di che gran traguardo ha raggiunto, tanto che avrebbe voglia di mettersi ad urlare per la gioia, perché lui la sta finalmente lasciando entrare sul serio... traccia attenta il suo profilo, annega nell’azzurro gelido dei suoi occhi e si ferma ad osservare le sue labbra mentre ne segue il contorno rapita.
All’improvviso l’atmosfera è diversa, qualcosa nell’aria è cambiato ed entrambi diventano consapevoli di cosa sta per succedere. Il cuore di Dillon sembra scoppiare, Gemma non ha ancora smesso un attimo di tremare – come se fosse lei quella con l’influenza –, le sue mani si spostano verso il basso e gli sfiorano il collo, ma stavolta è un tocco differente, più deciso e meno delicato, Dillon smette di nuovo di respirare e lei si avvicina ancora un po’...
Poi un tonfo dal piano di sopra li fa sobbalzare e tornare bruscamente alla realtà.

Gemma è delusa e forse un po’ in imbarazzo, per Dillon è come ricevere una doccia gelata. Si sente strano, ha quasi le vertigini, il cuore gli batte ancora furioso anche se sembra essere sprofondato di qualche centimetro, e avverte chiaramente la rabbia che monta da dentro. Sua madre non riesce a fare qualcosa di buono per lui nemmeno quando non è presente; da non crederci.
Per un attimo si chiede preoccupato se scenderà, rovinandogli completamente l’attimo, il pomeriggio e la vita intera; poi però si rassicura. Non ha motivo di andare in salotto, probabilmente si è solo rigirata nel letto facendo cadere un bicchiere o dio solo sa cos’altro. Nonostante ciò è troppo tardi, Dillon ormai è arrabbiato e porca puttana!, per una sola volta in cui lui stava davvero bene – più che bene, era sereno – una sola schifida volta...
“Ti va di ridere guardando il Jeremy Kyle Show?”
Lui la fissa e – dannazione!, perché diavolo deve sempre sorridere come un’idiota quando lo fa? – annuisce prendendo un respiro profondo. Gemma è lì e non c’è motivo di restare arrabbiati.

Ridacchiano come due idioti all’ennesima ragazza incinta che non sa chi è il padre, Dillon rabbrividisce per l’ennesima volta e Gemma lo guarda intenerita. Gli fa segno di poggiare la testa sulle sue ginocchia e lui esita qualche secondo ma poi cede, che tanto è troppo tardi per fingere di non averne bisogno. Si sdraia, avvolto nel piumone come un burrito gigante, ascolta la voce di lei fare dei commenti sarcastici sulla gente problematica ospite di Jeremy Kyle, e poi sussulta ancora quando avverte la sua mano tra i capelli. Gemma lo accarezza piano, con attenzione, come si fa con le cose fragili e preziose e Dillon respira a fondo, tranquillo come non si è mai sentito in una vita intera. Chiude gli occhi e la lascia fare, che per la prima volta si sente davvero al sicuro in compagnia di qualcuno.


Quando si sveglia passa diversi secondi a occhi chiusi, facendo finta di esser ancora addormentato. Ci sono un paio di cose che non tornano.
Primo: si sente molto meglio, anzi ha addirittura caldo, il piumone sembra soffocarlo e sta iniziando a sudare.
Secondo: ha – crede – un panno bagnato sulla fronte ed è abbastanza sicuro di non esserselo messo da solo. Poi si ricorda di Gemma e sorride un poco.
Terzo: il Jeremy Kyle Show è finito – non sa da quanto, ha perso completamente la cognizione del tempo – e qualcuno deve aver cambiato e messo su un canale di musica anni ’80.
Quarto: sua madre è in salotto e gli sta parlando. Dillon si chiede quanto dev’essere ubriaca per non accorgersi che lui sta dormendo e lei sta parlando da sola. Non vuole aprire gli occhi, non vuole affrontarla. Stava così bene...

“...E quindi, tesoro, se ti vuoi fare le unghie è da Alice che devi andare – sta blaterando la donna – Sì, è un po’ snob, solo perché il suo secondo marito gestisce un pub a Bristol e allora si crede di aver fatto i gran soldi... Ma sulle unghie non la batte nessuno. Fammi vedere le tue, tesoro... Ma che carine, adoro quel colore; e te le sei fatta da sola?”

E’ come se un macigno enorme e pesantissimo si fosse appena scagliato sullo stomaco di Dillon, mozzandogli il respiro. Sua madre non sta parlando con lui. E ora che fa mente locale non si ricorda che Gemma abbia mai lasciato casa sua. E sicuramente non si sta parlando delle unghie di Dillon in questo momento.
Apre gli occhi e si tira su a sedere di scatto, talmente veloce da spaventare le due donne di fianco a lui.
Gemma è ancora al suo posto sul divano; sua madre è sulla poltrona lì di fronte, un maglione verde scuro infilato sopra la maglietta sporca del pigiama, il trucco appena rifatto, una sigaretta in bocca e il posacenere stracolmo in mano.
Non sta succedendo davvero...
“Dillon, amore mio! – trilla sua madre, estasiata dalla sua presenza, come se non avesse fatto altro che vegliarlo tutto il tempo aspettando il suo risveglio – Finalmente! Ti sei fatto una bella dormita, eh?”
Dillon è furioso; la odia, la odia con tutto se stesso, vuole solo alzarsi in piedi e ribaltarle il tavolino da caffè in faccia, e sta per farlo, calcia via il piumone ed è già quasi in piedi quando lo sguardo gli cade su Gemma. Lei lo fissa con gli occhi sgranati, spaventata almeno quanto lui, confusa e senza la minima idea di come gestire la situazione.
Dillon si blocca e con uno sforzo si rimette a sedere.
Ok, è un gran bel casino.
Lui dormiva e sua madre è scesa trovando Gemma lì da sola, ha cominciato a parlarle e dio solo sa quali stronzate ha detto, quanto si è resa ridicola e le balle che si è inventata.
Ora la priorità è far uscire quella povera ragazza di lì, allontanarla da sua madre e da tutti i guai che da sempre attira ovunque vada e qualunque cosa faccia...
“Stai bene?” domanda Gemma, studiandolo attentamente e non sa bene se si sta riferendo alla febbre o alla presenza di sua madre. Non ha idea di come lui possa reagire ma ha un bruttissimo presentimento.
Dillon la guarda impotente, vorrebbe dirle un sacco di cose, urlarle di uscire, di scappare, che non lo vede che casino è la sua vita?; ma non ce la fa, non ce la fa, perché di nuovo ha un groppo in gola e parlare gli risulta molto difficile.
“Certo che sta bene – esclama sua madre, su di giri – Il mio ragazzo è grande e forte, anche da piccolo si ammalava pochissimo... Ma, amore della mamma, avresti dovuto dirmi che non ti sentivi bene, la tua fidanzata mi ha detto che hai avuto nausea e febbre, e...”
“Non sono la sua fidanzata...”
“Ah, no? Mmm, a giudicare da come lo fissavi tutta presa quando sono scesa di sotto, secondo me ti piace...”
“Io...”
“Ora basta.”
“... Non c’è niente di cui vergognarsi, cara, mio figlio è un bel ragazzo, non credi? E poi è forte, maturo, molto responsabile... E intelligente!, ti ha raccontato che alle elementari le maestre dicevano che aveva ottime potenzialità...”
“Mamma, ho detto basta.”
“Purtroppo non ho mai avuto le possibilità di farlo studiare come si deve perché quel bastardo – scusami il francesismo, tesoro – quel bastardo di suo padre ci ha lasciati anni fa ed è sparito nel nulla... Quel figlio di...”
Chiudi – quella – cazzo – di – bocca!”
Dillon non si ricorda di essersi alzato in piedi e nemmeno di essere arrivato così vicino a sua madre, che ora squittisce terrorizzata sulla poltrona, il posacenere fino a terra e i mozziconi sparsi su tutta la moquette.
“Dillon...” tenta Gemma, ma lui non la sente, è infuriato, ha talmente tanta rabbia dentro che gli sembra che presto esploderà facendo a pezzi qualcosa – o qualcuno –.
“Perché sei scesa qui, eh? Ti sei stancata di marcire tutto il giorno in quella stanza di merda? Hai pensato di venire a fare conversazione? Cristo santo, guarda in che stato sei!, mi fai schifo...”
Sua madre piange come una disperata adesso, coprendosi il viso con le mani e mugugnando qualche frase senza senso. Gemma è pietrificata sul divano, non ha mai avuto così tanta paura in vita sua, eppure chiama ancora invano il nome di Dillon, cercando di far finire questo incubo.
“...Non ne posso più dei tuoi casini – sta urlando lui – Non ne voglio più sapere un cazzo di te, perché ogni volta –ogni fottuta volta– in cui io cerco di mettere a posto le cose e avere una vita quanto meno decente, tu ti metti in mezzo e mandi tutto a puttane! Ne ho abbastanza...”
“Dillon...”
“... Di te, della tua depressione e del tuo alcolismo di merda che mi ha rovinato la vita!”
“Amore mio non dire così – singhiozza sua madre – Io ti amo più della...”
“Stronzate! – ruggisce lui – Tutte stronzate, sempre e solo stronzate...”
“Dillon.”
“Avrei dovuto lasciarti morire, tutte quelle volte che hai cercato di ammazzarti, avrei dovuto lasciarti fare...”
Dillon, cazzo!”
E Dillon finalmente la sente e si volta a guardarla, ancora furioso. Gemma sussulta spaventata davanti a quegli occhi così diversi da quelli a cui è abituata, così arrabbiati e pieni di odio da sembrare quelli di un pazzo maniaco. Si è alzata in piedi e avvicinata a lui, che non importa quanta paura si sente addosso, l’idea che lui possa perdere del tutto il controllo e fare qualcosa a sua madre la terrorizza ancora di più, tanto da spingerla ad intervenire quando di solito sarebbe già scappata da un bel pezzo.
Dillon sbatte le palpebre e in un attimo torna alla realtà. È ancora arrabbiato ma ora con se stesso: ha appena dato spettacolo con una delle peggiori scenate mai fatte a sua madre e l’ha fatto davanti a Gemma. Gemma con cui andava tutto così meravigliosamente bene e che invece adesso lo guarda come se non lo riconoscesse. Respira cercando di calmarsi, ma tutto ciò a cui riesce a pensare è che l’ha persa. L’ha irrimediabilmente persa, perché conosce bene la paura nel suo sguardo, è la stessa di chi ha visto il lato più oscuro di Dillon per poi scappare a gambe levate.
“Andiamocene” dice all’improvviso.
Gemma lo fissa sempre più confusa.
“Andiamo via” ripete lui. “Ti prego. Sono calmo, te lo giuro – aggiunge, sperando di riuscire a rassicurarla almeno un po’ – Prometto che non darò di matto, ma ho bisogno che io e te usciamo di qui.”
Gemma annuisce in silenzio, poi si volta verso la donna in singhiozzi raggomitolata sulla poltrona lì vicino.
“Arrivederci, Kayleigh.”
Lei la ignora, troppo occupata a pregare Dillon di tornare indietro, di ascoltare, che non succederà più, lo promette...

Una volta fuori Dillon non ha il coraggio di guardare Gemma negli occhi. Si è davvero calmato e la vergogna ha preso il posto della rabbia. Fa dei cenni vaghi facendole capire di dirigersi verso il parco lì di fronte. Sente gli occhi di lei addosso e di nuovo vorrebbe scappare lontano. Non lo fa però, non può. Prima deve spiegarle e anche se oramai l’ha persa per sempre vuole provare a farle capire quanto gli dispiace.
“Sei... – Gemma si schiarisce la voce – Sei sicuro che sia saggio, ehm, lasciarla sola?”
Dillon scrolla le spalle e si siede sulla prima panchina disponibile. Gemma lo imita e gli passa una sigaretta prima di accendersene una per sé.
Lui ancora non parla, quindi si decide a farlo lei. “Senti, mi dispiace. Lei ha finito le sigarette ed è scesa per chiederti di andare a comprarle, ma tu dormivi e ha trovato me e ci siamo messe a parlare, e... – Gemma parla veloce, le parole che si rincorrono e si accavallano nella fretta di spiegare, di mettere le cose a posto – Ti si è alzata la febbre ma non ti sei svegliato e allora ti ho lasciato dormire, e credevo che lei se ne andasse una volta avuta la sigaretta, ma ha pensato che io fossi la tua... bè insomma la tua ragazza, e allora ha voluto sapere il mio nome e chi sono, e...”
Dillon finalmente la guarda e la voce le muore in gola. L’azzurro ghiaccio è cambiato ancora, ora è un oceano di dolore e c’è qualcosa lì in fondo che sembra proprio una speranza andata in pezzi, ed è uno sguardo talmente sconvolgente che Gemma ammutolisce e si aggrappa con forza al metallo freddo della panchina per non cadere sotto tutto il peso di quello che sta succedendo.
Quando Dillon parla lo fa con una voce talmente calma e controllata da sembrare totalmente un’altra persona.
“Quello che è successo lì dentro non avresti dovuto vederlo. Ti giuro che non sono un pazzo, di solito non perdo il controllo in quel modo e sicuramente, per nessuna ragione al mondo, avrei dovuto perderlo proprio di fronte a te. Ma è successo e io non so come farti capire che mi dispiace. Mi dispiace averti spaventata, mi dispiace aver rovinato tutto. Mi dispiace averti rubato del tempo e mi dispiace per quello che sarebbe potuto... Bè, per qualsiasi rapporto ci fosse tra di noi. Non ti preoccupare se vuoi ancora uscire con il gruppo, tanto non credo che io... Voglio dire che non devi farti problemi, loro non sono come me, sono a posto, e...”
“Dillon – lo interrompe Gemma – Cosa mi stai dicendo?”
“Ti sto dicendo che prometto di sparire. Non ti disturberò più e, anzi se vuoi cancello subito il tuo numero così sei sicura che...”
“Perché?”
Dillon la guarda sorpreso. Che razza di domanda è ‘perché’?
“C’eri anche tu lì dentro con me o me lo sono immaginato?” domanda retorico.
“Certo che c’ero – replica Gemma stizzita – E se proprio lo vuoi sapere mi hai spaventata a morte...”
“E allora che ci fai ancora qui? – chiede testardo – Perché non te ne vai?”
Gemma sorride. “Mi pare che abbiamo già avuto questa conversazione.”
“No – esclama Dillon – No, non ridere. Sono serio, cazzo. Ho sbagliato, non avrei dovuto raccontarti tutto, farti venire a casa...”
“Ma perché...?”
“Perché non è un cazzo di scherzo, va bene? Questa è davvero la mia vita ed è uno schifo! Quindi piantala di giocare alla crocerossina e vattene!”
“Scusami tanto – e ora è il turno di Gemma di urlare – Mi è permesso decidere per me stessa o hai già pensato tu a tutto quanto?”
Dillon la guarda spiazzato ed è più confuso che mai. Che sta succedendo?
“Sì, la tua vita fa schifo, questo mi era chiaro già da un po’. Quello che non capisco è perché continui a spingermi via, come se fosse mia la colpa dei tuoi problemi...”
“Non è per quello che ti allontano!”
“E allora perché?”
“Perché... perché...” ma Dillon esita, forse non è così sicuro della propria risposta. “Perché tu vuoi rimanere, allora? – riprende poi – Perché non puoi semplicemente lasciarmi perde...”
Ma l’attimo dopo la bocca di Gemma è sulla sua e bacia via ogni protesta.
Ci sono due secondi netti duranti i quali il corpo di Dillon non recepisce nulla di ciò che gli sta accadendo, dopodiché esplode tutto insieme. Vorrebbe staccarsi e ricominciare a gridare se per caso è impazzita, ma il cuore sembra volergli uscire dal petto tanto batte forte e il suo stomaco è tutto attorcigliato e non si è mai sentito vivo come in questo momento e forse non si ricorda più perché era arrabbiato né ha capito perché Gemma lo stia baciando, ma fintantoché continua a farlo non gli interessa più di tanto.
E’ lei a staccarsi dopo un tempo indefinito. Resta fronte contro fronte con lui e ancora non ci crede che l’ha fatto davvero.
“Per questo – dice poi, rispondendo alla domanda di Dillon – Perché non so come mai, ma ogni volta che ti vedo è questo che farei. E prima che tu ricominci a urlarmi addosso quanto tutto ciò sia una pessima idea, sappi che lo so già. Mi sono detta e ridetta che non sei il mio tipo e che dovrei starti alla larga, mi sono già fatta almeno una dozzina di ramanzine nella mia testa. Eppure eccomi qua.”
Dillon respira forte e non riesce ad abbandonare il marrone scuro di quegli occhi, ha paura che se lo fa poi non ci troverà mai più tutte le cose che ci sta leggendo adesso. Perché Gemma è sincera, non è sicuramente saggia o furba, ma è sincera e vuole davvero restare per qualche motivo oscuro persino a lei. E Dillon si sta prendendo tutto il tempo che gli serve per assimilare questa notizia perché è l’ultima cosa al mondo che si sarebbe aspettato e non ci è abituato.
“Non ti sto promettendo amore eterno – continua lei – Ti sto solo dicendo che... insomma, ci voglio provare... se, se per te è ok.”
Dillon la guarda e non c’è bisogno di articolare la domanda.
“Sì, mi hai fatto paura oggi. Tanta, a dire il vero. Però sono ancora qui, ti basta per adesso?”
E Dillon la bacia di nuovo, un po’ perché fosse per lui lo farebbe tutto il tempo, un po’ perché sente di nuovo il bisogno di piangere e deve tenersi occupato facendo altro.
E insomma lei non se ne va. Anche se ha paura, lei resta lì. E Dillon ride tra un bacio e l’altro, ride perché Gemma arrossisce e lo guarda con un sorriso timido, ride ché è novembre e lui non si è nemmeno preso il cappotto eppure in questo momento sente caldo dappertutto, ride ché si sente più leggero di una piuma e non sa se è l’influenza o sta semplicemente impazzendo; ride ché Gemma è meravigliosa e lui ha di nuovo una speranza.




Salve a tutti (?)
il capitolo è giusto un filino  lungo e mi scuso per questo. Avevo pensato di tagliarlo in due parti ma alla fine l'ho postato così, semplicemente non volevo dividerlo. Spero di non aver fatto una cavolata, fatemi sapere che ne pensate!
xxx

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2867515