Planet 0081

di Banana_Mecha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione - Planet 0081 ***
Capitolo 3: *** Scatole vuote ***



Capitolo 1
*** Prefazione - Planet 0081 ***


Prefazione – Planet 0081
 
Ricordo ancora quella frase, che allora registrai nella memoria senza darle alcun peso.
Fuori pioveva, c’era il tifone. Non ero mai stata sotto un tifone (cosa che avrei sperimentato di lì a poche ore, ma questa è un’altra storia) e dall’interno della classe semideserta in cui altri cinque studenti stranieri  e un professore americano mi facevano compagnia, niente a parte i pesanti muri d’acqua che sgorgavano dalle grondaie del tetto dell’edificio proprio di fronte alle vetrate, faceva intuire qualcosa di più di un semplice temporale.
Ricordo i primi giorni di scuola come cortissimi ed entusiasmanti; tutto ciò che mi aspettava era avvolto di una luce sfavillante che mi faceva brillare gli occhi e i professori venivano a turno a spiegarci qualsiasi cosa ritenessero importante che sapessimo, dalle regole scolastiche fino alla vita sociale, e molti di loro essendo americani rallegrarono le nostre ore con dell’umorismo.
La prima impressione che ebbi era che volessero sfogarsi di qualcosa.
Ne ebbi la conferma il terzo giorno dell’orientamento.
Il professore che era entrato nella nostra piccola classe isolata da tutto, sembrava avesse poca voglia di scherzare.
Si era grattato la testa pensoso, e poi aveva sospirato.
La frase che aveva detto in seguito, come vi ho anticipato, non mi fece granché effetto.
«Questa è un discorso che faccio sempre a tutti i nuovi arrivati; non importa se venite da parti del mondo totalmente differenti, voi siete i terrestri. E questo posto non è la Terra, è un universo parallelo.
Forse non avete avuto il tempo di rendervene conto ancora, ma qui niente è come siete abituati a viverlo.
«Benvenuti sul Pianeta Giappone».
Allora pensai ci volesse solo impressionare un po’.
Oggi mi sono ricreduta.
Anzi, se qualcuno mi chiedesse di descrivere il Giappone, probabilmente non troverei esempio più giusto di quello che usò quel vecchio professore.
Un pezzo di Terra dove tutto è ribaltato, scomposto in mille pezzi come in un caleidoscopio, un universo in cui il valore di ciò che fai non si misura con metri, chilogrammi o sorrisi, dove il rispetto si cela dietro ciò che pensi ma non dici, dove i bambini vengono cresciuti insegnando loro che un giorno dovranno staccarsi dai genitori, dove le grandi lezioni della vita sono racchiuse in frasi da quattro caratteri chiamate kotowaza e si imparano alle elementari.
Credo che un anno di superiori all’estero sia difficile e meraviglioso ovunque si vada.
Io vi descrivo il mio attraverso gli occhi di un’adolescente catapultata in un mondo che in poche ore l’ha ritrasformata in una bambina ignorante di tutto e affascinata da tutto.
Vi racconto le splendide metamorfosi che l’anima umana è capace di fare, se le si dà l’opportunità di rinascere.

Benvenuti sul Pianeta Giappone.

 

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Capitolo 3
*** Scatole vuote ***


Oggi sono passati quasi quattro mesi da quando sono tornata in Italia.
I dieci mesi passati in Giappone sono stati avvolti nella nebbia tipica dei sogni, dove niente sembrava reale quanto questo asfalto grigio su cui cammino e questo cielo blu che mi sovrasta.
Risvegliarsi è stato come tornare a respirare, intenso e morbido come il tiramisù che si scioglie in bocca, consolante come camminare in strada d’estate mangiando un ghiacciolo al limone e sentire il profumo della biancheria stesa fuori ad asciugare.
 
Non ero felice, là in Giappone. Si può dire che sia stata sfortunata, che sia stata colpa mia, che è così che doveva andare. Si possono dire tante cose, ma io preferisco guardare tutto con distacco, pensando che quel che è fatto è fatto ed è inutile piangersi addosso.
 
Il Giappone è un posto meraviglioso, e ci sono giorni in cui il mio unico pensiero è tornarci, viverci per sempre, farne la mia casa.
Altri in cui la malinconia mi assale e mi ricorda quant’è stato bello uscire da quell’aeroporto, il 28 giugno scorso, e sentire l’odore umido e inebriante della notte estiva italiana.
Vorrei raccontare tutti gli eventi con calma, ma prima mi sembra doveroso fare un’anticipazione.
 
Il Giappone mi ha mangiato l’anima.
Mi ha addormentata, mi ha anestetizzata e mi ha strappato via tutto senza che me ne rendessi conto.
Ora è troppo tardi.
Della ragazza entusiasta, positiva, piena di sogni, fiduciosa ed estroversa che è partita da Roma il 28 agosto 2013 è rimasta solo la scatola vuota da buttare.
Avrei voluto salutare meglio i miei, lasciare che mi guardassero meglio, che mi accarezzassero ancora un po’ perché quella sarebbe stata l’ultima volta che mi vedevano.
E invece ho pensato solo al mio egoismo e ai miei sogni ciechi, li ho salutati spicciamente, ho sorriso loro e poi mi sono messa in fila per il check-in. Mi sono voltata una sola volta e ho fatto “ok” con la mano. Mia madre aveva gli occhi lucidi e non mi scollava gli occhi di dosso.


Non mi sono pentita di essere andata in Giappone e di aver fatto quel che ho fatto, ma i miei sì.
Mio padre mi guarda disperato e cerca di ripescare nel mio sguardo qualche barlume fioco della luce che aveva prima. Mia madre piange spesso.
Mi dicono che sono cattiva e insensibile, e io mi sento un verme perché li faccio soffrire con la mia apatia, la mia cattiveria, la mia mancanza d’affetto, la mia introversione. Più che chiudo dentro di me il disagio e la rabbia dell’essere rimasta sola contro tutti, più che non chiedo aiuto, e più che loro sprofondano nel mare nero dell’impotenza.
Mi guardano sperando che torni normale, desiderandolo più della loro vita.
Ma non posso tornare quella di prima neanche volendolo.
E’ come chiedere a una rana di tornare un girino, a un biscotto inzuppato nel caffèlatte di ridivenire compatto.
 
So di tante persone che hanno vissuto un’esperienza meravigliosa, che hanno conosciuto famiglie stupende che li hanno aiutati, capiti e amati. Li ho visti con i miei occhi abbracciarsi all’aeroporto e sono morta dentro.
Studenti con tutti i compagni di classe ad abbracciarli e a piangere.
Mi sono chiesta quanto effettivamente ho sbagliato io e quanto sia stata colpa del caso.
 
E pensare che all’inizio mi era sembrato tutto perfetto. 

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