Spin Off: CAT & LOKI

di KaterinaVipera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** BREAK ME ***
Capitolo 2: *** BEFORE THE STORM ***
Capitolo 3: *** FALLING IN LOVE (EVERYTHING GOES BLACK) ***
Capitolo 4: *** CHECKMATE TO KING ***
Capitolo 5: *** OUR NEW LIFE TOGETHER ***



Capitolo 1
*** BREAK ME ***


Sarebbe voluto uscire da casa dell'umana quasi a corsa, invece tutto quello che le sue gambe furono in grado di fare fu trascinarlo lentamente, ancora debole e malconcio, fuori dall'abitazione senza saper dove andare, dal momento in cui non aveva la più pallida idea di dove si trovasse.
Che fosse precipitato su Midgard, ormai, era cosa chiara e purtroppo non poteva farci niente ma la cosa che veramente lo irritò fu scoprire di essere arrivato in una cittadina di mare.

Dannazione!

Non poteva ritrovarsi in una regione in mezzo alle montagne, fredda e, possibilmente desolata, invece che in un luogo caldo ed afoso come quello?
Continuava ad aggirarsi per il quartiere senza una meta, ripensando ossessivamente a ciò che era accaduto solo poche ore addietro.
Era stato esiliato da Thor, per aver cercato di distruggere un pianeta. Che assurdità! Lui che era stato il primo a volere la distruzione di Jötunheimr, adesso era rinsavito tutto insieme per decidere di esiliarlo sulla Terra.
Strinse i pugni e contrasse ogni singolo muscolo in un moto di rabbia, al pensiero di quanto suo fratello gli aveva detto: era stato accusato di tradimento, di cospirazione contro il sovrano e della tentata distruzione di un intero popolo e per questo bandito.
Strinse ancora di più i pugni finché le nocche non gli divennero bianche ma dovette rilassarsi all'istante dal momento in cui sentiva ancora dolore su gran parte del corpo; dolore accentuato dall'urto con un signore che non lo aveva visto, troppo occupato a trafficare con il suo palmare, e che gli era andato praticamente addosso, facendo si che, sul viso del Dio si disegnasse una smorfia di sofferenza abbastanza evidente tanto da farlo, anche se in maniera impercettibile, mugolare.
Se Loki, in quel momento, avesse avuto suoi poteri su per compiere magie complesse, lo avrebbe sicuramente trasformato in un piccolo ed insignificante mucchio di cenere ma era già tanto che riuscisse ancora a stare in piedi, senza crollare come un miserabile.
Quello che gli serviva era un posto sicuro dove potersi nascondere e curare le ferite e, una volta ripresosi, pensare al suo piano di vendetta, perché nonostante muovere un passo gli costasse fatica, stava già premeditando la sua rivincita e sapeva, di già, che sarebbe stata totalizzante.
Non dovette camminare a lungo per trovare quel che cercava; non lontano da dove aveva conosciuto quell'umana, trovò un appartamento che, come diceva il cartello rbianco piantato nel cortile, era stato messo in vendita. Si accertò che nessuno lo vedesse, estrasse il cartello ed esercitando la poca forza che gli era rimasta, riuscì ad aprire la porta per poi entrarvi dentro richiudendosela alle sue spalle.
La fortuna fu dalla sua parte quando, salendo lentamente le scale che conducevano al piano superiore, trovò in una stanza un vecchio e logoro materasso gettato da una parte. Non era molto e, sicuramente, non era niente rispetto a quello a cui era abituato ma, vista la situazione in cui si trovava, dovette accontentarsi di quello che la sorte gli concedeva dato che, per adesso, non gli aveva arriso poi molto.
Si sfilò la maglietta nera che aveva stampato sopra l'immagine di un angelo riverso sopra una tomba, cercando si studiare le sue condizioni: gli ematomi viola risaltavano, macabri, sul pallore della sua pelle ed alcune ferite non si erano ancora del tutto risanate. Evitò di controllarsi la zona del viso dato che, a quella, ci aveva già pensato quella ragazza che aveva tanto insistito per aiutarlo. Si dette del debole per essersi lasciato convincere a farsi aiutare nonostante le avesse fatto capire che non gli serviva. O meglio, gli serviva ma non lo voleva da una ragazzina midgardiana. Aveva accettato, chissà perché, poi, immaginando ancor prima che ne avesse le prove che quella creatura sarebbe stata solo una gran seccatura e la sua rovina.

Maledetta ragazzina. Continuava a maledirla per averlo fatto sentire uno sciocco e un debole, per avergli fatto perdere la lucidità ed il controllo dei suoi pensieri; avrebbe continuato a maledirla finché gli sarebbero rimaste le forze.

Mi distruggerai, mi distruggerai. E ti maledirò finché avrò vita e fiato.1

In fondo era già stata la sua rovina. Si, lei lo aveva portato in casa e lo aveva curato senza chiedergli nulla, con la sola intenzione di essergli utile – strano, perché con lui tutti avevano uno scopo – e per questo avrebbe dovuto esserle almeno in parte grato ma quando l'aveva guardata con più attenzione, aveva provato una sensazione senza nome e senza precedenti, che quasi la trovò irritante. Lui, sempre così composto ed altero, immune da qualsiasi cosa lo potesse abbassare al livello degli altri, specialmente se era a livello degli umani, si era trovato spiazzato davanti alla gentilezza che gli aveva usato ed allo sguardo dispiaciuto che gli aveva rivolto.
Sembrava che fosse sinceramente dispiaciuta per la sua sorte e per non poter fare di più per lui. Ma com'era possibile? Non lo conosceva. Se lo avesse conosciuto o se avesse conosciuto le sue vere intenzioni, avrebbe sicuramente cambiato atteggiamento. No che a Loki importasse cosa la terrestre pensasse di lui.
Si gettò con fare molto goffo sul materasso polveroso, alzando altrettanta polvere tanto da farlo tossire e maledire qualsiasi cosa fosse umana, cadendo, quasi all'istante, in un sonno profondo e terribilmente oscuro.

 

Si svegliò solo molto tempo dopo. Non sapeva dire con esattezza quanto avesse dormito ma, certamente, doveva essere passato più di un giorno.
Il sole non era ancora a metà del suo percorso e quando era entrato in quell'appartamento era pomeriggio inoltrato.
Aprì gli occhi, facendo mente locale alla svelta, venendo aggredito dagli ultimi violenti e odiosi ricordi. Gli doleva la testa ma, se non altro, gli altri dolori sembravano essersi attenuati ed alcuni addirittura spariti.
Si alzò col busto, guardandosi intorno e provando disgusto per quell'arredamento così scabro e privo di gusto che caratterizzava quella stanza spoglia.
Gli ci volle più del solito per rimettersi in piedi, ancora un po' indolenzito e sicuramente assonnato.
Poi un rumore ovattato, simile ad un gorgoglio, colpì la sua attenzione. Era il suo stomaco. Aveva fame. Scese al piano di sotto per cercare qualcosa da mettere sotto i denti ma in ogni ripiano della dispensa trovò solo una quantità incalcolabile di polvere e nulla più.
Così, anche se controvoglia, fu costretto ad uscire in quella seccante cittadina, brulicante di moleste persone. Camminò fino a che non gli parve di trovare quel che cercava. Era una specie di bancarella su quattro ruote e l'uomo che sembrava il proprietario stava trafficando con del cibo su di una piastra.
L'odore arrivò fino al Dio che, quasi senza accorgersene, si avvicinò spinto dalla fame che gli stava attanagliando lo stomaco.

“Ehi, amico!”esclamò l'uomo dall'altra parte del carretto, continuando a rigirare quel pezzo di carne, il tono della voce eccessivamente alto tipico dei mercanti.

Amico a chi? Chi si crede di essere?

Ogni tentativo di protesta da parte di Loki venne fatta tacere da un nuovo brontolio allo stomaco.

“Voglio mangiare.” si limitò a dire, il tono imperioso ed impaziente.

L'altro lo guardò un attimo, perplesso, prima di sorridergli cordiale e dire “Non ti preoccupare, ci penso io.” e così dicendo iniziò a trafficare con due fette di pane e delle salse dal colore poco invitante.
Nel giro di un paio di minuti Loki aveva tra le mani il suo pasto che gli era costato una serie di insulti e minacce per averlo preso senza pagare. Nonostante il suo aspetto misero doveva ammettere che non era poi affatto male, dopotutto era pur sempre qualcosa di commestibile che mangiava da diverso tempo.
Si ritrovò a camminare per un lungo viale alberato, dove tantissime altre persone stavano affollando il suo stesso tragitto impedendogli di camminare in modo lineare. Odiava tutta quella confusione, tutte quelle persone che involontariamente si scontravano con lui e quel senso di soffocamento causato dalla temperatura elevata del luogo.
Alla fine della lunga strada alberata si trovò di fronte ad una distesa immensa d'acqua, placida e – doveva ammetterlo – profumata. Quell'aria salmastra che si attaccava alla pelle e che invadeva le narici.
In quel momento iniziò a soffiare un leggero vento che trasportava con se quell'odore non tanto sgradevole e donava un sollievo tanto agognato dal Dio. Chiuse gli occhi per un momento, respirando a pieni polmoni quell'aria così nuova, beando i suoi sensi dell'aria di mare, rimanendo però sempre vigile su quello che lo circondava.
La sua attenzione, però, fu presto catturata da una voce che gli giunse alle spalle e che sembrava averla già sentita; la risata che ne seguì dopo gli dette la conferma.
Aveva già sentito quella risata ma la cosa che veramente lo sorprese fu il fatto di averla riconosciuta.
Si voltò, immaginando chi fosse la proprietaria.
Con sua sorpresa vide la mortale che lo aveva soccorso il giorno precedente, in compagnia di un'altra umana, una ragazza della stessa età, più alta della compagna, bionda e decisamente magra, mentre passeggiavano insieme, parlando e ridendo tra loro.
La ragazza dai lunghi capelli castani indossava un abito corto, che le lasciava le gambe scoperte e le ricadeva di lato, lasciando intravedere la pelle olivastra della spalla destra. Teneva stretto a se, all'altezza del cuore, un libro come se fosse uno oggetto prezioso e lo custodisse gelosamente. Erano poco lontane da lui e potette udire di cosa stavano parlando.

“Ma sei pazza ad aver fatto entrare uno sconosciuto in casa mentre eri sola?!” sbraitò infervorata la ragazza bionda che le camminava accanto, cercando di non far cadere la borsa che teneva sulla spalla.

“Aveva bisogno di aiuto, non potevo lasciarlo lì.” constatò, senza sentire il bisogno di giustificarsi con l'amica.

Stavano parlando di lui, ne era sicuro.

Decise di seguirle, spinto dalla solita sensazione che aveva provato la prima volta che i suoi occhi di giada si erano posati sulla mortale.
Ma che cosa gli aveva fatto per farlo comportare in quel modo?
Sapeva cosa spingeva un uomo a seguire una donna; quante volte gli era toccato sorbire i racconti di Thor che gli narrava delle fanciulle che aveva sedotto? Tante per essere contate e ricordate. E tutte le volte si prometteva che non avrebbe fatto il suo stesso errore, evitando così di affrontarli.

Sento i sentimenti miei, che non ho sentito mai, l'onda che non affrontai.1

Ma adesso non riusciva a fare a meno di seguirla, spinto da uno strano desiderio a cui però non voleva dare un nome perché, ancora, il suo cuore freddo come l'inverno perenne di Jötunheimr non voleva ammettere.
Anche nei giorni successivi, continuò a ripetersi che la stava seguendo solo per capire se la poteva usare per i suoi piani, magari come uno dei tanti soggiogati che aveva irretito con la sua magia, ma la verità era che era stranamente incuriosito da quella ragazzina e voleva capire cos'era quell'agitazione alla bocca dello stomaco che gli prendeva ogni volta che la vedeva. Doveva capire cosa gli fosse preso, se si fosse ammalato nel suo corpo mortale o se quello fosse solo un brutto sogno o un tiro mancino giocatogli dal fato.

Io non so più cosa sono. E se ragiono o se sogno.1

Accadde un giorno, mentre il sole iniziava la sua discesa e tingeva il cielo di fuoco, la temperatura più alta del normale.
Aveva passato tutto il giorno ad ultimare il suo piano di conquista e si era deciso ad uscire, non tanto perché gli piacesse quel posto ma perché dentro a quelle squallide quattro mura si sentiva soffocare, come un animale in gabbia.
Percorse lo stesso viale che, ormai, da giorni sondava quotidianamente. Dentro di se continuava a ripetersi che lo faceva solo perché non c'era altro luogo in cui poteva schiarirsi le idee e fare lunghe e solitarie passeggiate come quelle che faceva nei giardini o nei boschi ad Asgard.
Ma, la verità, era che in tutto quel fluire frenetico di persone, ne cercava una in particolare; una persona che non riusciva a togliersi dalla mente. E quel pensiero fisso lo avrebbe fatto impazzire, lo avrebbe distrutto.

Tu mi hai gettato nell'abisso di un pensiero fisso. Tu mi distruggerai, mi distruggerai. Mi distruggerai.1

Aveva impiegato solo un paio di giorni a capire le abitudini giornaliere dell'umana che, puntualmente, attraversava la via verso il tramonto di ritorno dalla biblioteca ogni volta con un libro diverso stretto a se. La vide, da sola, l'aria stanca ma serena, con una tracolla pesante sulla spalla, mentre si avviava verso casa. Indossava degli stivaletti neri, bassi, le stringhe troppo lunghe legate intorno alla caviglia, dei pantaloncini corti, i fili scuciti dell'orlo che si muovevano al vento ed una canottiera che le lasciava parte della pancia scoperta. Aveva le cuffie e non si accorse che una ragazza ed un ragazzo le stavano andando dietro, cercando di non farsene accorgere. Quando le furono abbastanza vicini, la ragazza bionda le coprì gli occhi con le mani, facendola fermare all'istante.

“Mary, so che sei tu.” fece una breve pausa durante la quale si tolse le mani dagli occhi. “Ti riconoscerei ovunque.” puntualizzò voltandosi verso i suoi amici.

“Ma così non c'è gusto!” si lamento bonariamente l'altra, fingendosi offesa.

“Dove stavate andando?” domandò Cat, rivolta ai due fratelli.

“Jake ed io volevamo andare a mangiare da Joe, ti unisci a noi?”

“Non posso, avrei da studiare ed anche tu.” le consigliò sorridendole, sapendo come sarebbe andata a finire. Ed infatti, come prevedeva, Mary sbuffò alzando gli occhi al cielo.

“Dai, Cat, non fare la secchiona ed esci.” scherzò Jake.

“Cosa?! Io non sono secchiona.” si difese, dando una spallata giocosa a Jake, non spostandolo di un millimetro, facendolo sorridere.

“Dai, vieni con noi, per favore!” insistette Mary, le mani giunte a mo' di preghiera, per cercare di convincere l'amica.

“Okay, va bene. Verrò.” sentenziò alla fine, non potendo più resistere allo sguardo che le stava rivolgendo la bionda. Anche se, in verità, le faceva piacere passare del tempo con i suoi amici.

La ragazza bionda le cinse la vita con un braccio, continuando a camminare tutti e tre uno di fianco all'altra, mentre il viale, piano piano si stava svuotando facilitando il cammino.

“Hai più rivisto il tizio dell'altro giorno?” domandò a bruciapelo Jake, informato dell'accaduto dalla sorella, tra il curioso ed il preoccupato.

“No, a dire il vero non l'ho più visto.” rispose Cat, soffermandosi sulla stranezza della cosa.

“Beh, meglio così. Poteva essere pericoloso.” proseguì il ragazzo, il tono della voce premuroso come se stesse parlando con un'altra sorella, ribadendo sempre la stessa cosa.

“No, io non credo che fosse un uomo pericoloso.” anche Cat, insisteva sempre sullo stesso punto: era convinta di aver fatto la cosa giusta e non sentiva neanche il bisogno di giustificarsi con nessuno mentre i due fratelli si ostinavano a dire che aveva corso un grosso rischio.

“Ma almeno era carino?” si intromise Mary, curiosa ed un poco civettuola come suo solito.

Cat si prese del tempo per pensarci ed in mente le si proiettò l'immagine del suo viso, all'inizio le era sembrato abbacchiato e ferito, terribilmente solo, ma appena lo aveva finito di medicare i lineamenti del viso erano cambiati radicalmente, diventando terribilmente duri ed austeri, con quello sguardo glaciale e penetrante.
Si ritrovò a guardare per terra e ad arrossire impercettibilmente.

“Si.. no.. cioè, era un tipo..” balbettò, non riuscendo a trovare le parole giuste ma l'amica aveva già capito e le venne da sorridere.

“Capito: lo trovi carino.” rispose per lei la bionda.

“Si, si è così.” ammise alla fine, dopo un lungo momento di silenzio, sapendo che non poteva nascondere nulla all'altra ragazza, sorridendo al vuoto mentre ripensava al ragazzo che aveva conosciuto.

Loki, in tutto quel tempo, aveva seguito i tre ragazzi sotto le sembianze di un'altra persona ed aveva sentito tutta la loro conversazione. Quella ragazza lo trovava carino. Carino? Ma lo aveva scambiato per un cucciolo di lupo per essere considerato tale?!
Non sapeva se esserne offeso o lusingato.
Comunque, capì che ne voleva sapere di più sulla creatura mortale e c'era solo un modo per capire che cosa gli stesse succedendo. Doveva mantenere la sua parola.

Era giunto il momento di riprendersi quella maglietta.

 





 

- Angolino dell'autrice-

Salve... si, sono di nuovo io e no, non mi sono scordata di voi, non potrei mai.. :*
Sono tornata con le avventure di Cat e Loki, in attesa del seguito de ''La Gemma dell'Anima'', spero che vi piacciano e che apprezziate. Questo primo capitolo si inserisce tra il primo incontro tra Loki e Cat ed il secondo in cui il Dio va a riprendersi ciò che gli appartiene.

 

PS: per chi segue anche l'altra mia storia (La Nipote dello zio) sappiate che è ancora in corso e che non me ne sono dimenticata, ho avuto solo parecchi imprevisti che mi hanno fatto rimanere indietro. Riprenderò il prima possibile.

 

NOTE:

1 Mi distruggerai, Frollo, Notre Dame de Paris;

Besos :*

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Capitolo 2
*** BEFORE THE STORM ***


Le aveva consegnato il biglietto per il volo aereo e si era defilato senza dirle una parola né riguardante il regalo né del bacio che si erano scambiati, lasciandola confusa e con diverse domande. Rimase seduta sul tavolo della cucina, le labbra ancora un po' dischiuse dopo che erano state assaporate da quelle deliziose dell'uomo, lasciandole una sensazione nostalgica quando si era staccato da lei.
Che fosse stato solo un sogno, una illusione nata da un desiderio neonato nella sua mente? Poi guardò il foglio che aveva tra le mani, nero su bianco, tangibile e vero. No, quello non era stato un sogno, era pura verità.
Era stata baciata da uno conosciuto da poco ma sentiva che non c'era niente di sbagliato, niente di male in quello che le aveva fatto e che, anche lei, avrebbe voluto baciarlo ancora.
Corse in camera sua a prendere la borsa e si precipitò fuori di casa per andare di volata da Mary, perché c'era una cosa che le doveva assolutamente dire e non poteva aspettare.
Una volta giunta davanti all'abitazione dei due fratelli, li vide entrambi nel garage e sentì chiaramente le lamentele della bionda.

“Ciao ragazzi!” salutò Cat, fermandosi sulla soglia della porta scorrevole in acciaio, guardando Jake indaffarato a trafficare con pezzi di motore di una macchina, con indosso una paio di jeans strappati ed una canotta bianca che mostrava i muscoli tesi per il lavoro svolto.

“Ti prego, dillo tu a Jake che deve piantarla di farmi fare da sua assistente! Io non ci capisco e non ci voglio capire nulla di motori! Guarda, sono tutta sporca d'olio.” si lamentò ancora una volta mentre cercava di togliersi il nero dalle mani ben curate, senza risultati soddisfacenti.

“Dovrebbe farlo fare a te, non a me!” gettò il pezzo di carta con il quale si era pulita nel cesto dell'immondizia e si avvicinò a Cat.

“Vuole portarmi a New York. E mi ha baciata.” enumerò bisbigliando Caterina ancora stordita dall'accaduto sperando che l'amica capisse al volo. Infatti, capì benissimo.

“O MIO DIO. O MIO DIO. O. MIO. DIOOOOOOO!!” urlò, assordando Caterina anche se aveva le mani sulla bocca per lo stupore, facendo preoccupare Jake che corse subito da loro preoccupato.

“Che succede Mary?”

“Nulla, fatti gli affari tuoi. Noi usciamo, ciao.” tagliò corto sua sorella e prendendo a braccetto la sua amica, si avviarono verso il centro della città per fare una passeggiata e per poter parlare in tranquillità.

“Okay: voglio sapere tutto.” asserì mentre prendeva il resto dal cassiere di un chiostro dopo aver ordinato due mokaccini per entrambe ed averlo offerto uno alla sua amica.

“Si è arrabbiato per una cavolata, abbiamo discusso e l'ho buttato fuori di casa.” iniziò a raccontare per sommi capi il fatto. “Poi oggi si è presentato davanti alla mia scuola e mentre mi accompagnava a casa mi ha detto che aveva una sorpresa per me.” fece una pausa per bere la sua bevanda.

“Mmmmmh, si fa interessante..” squittì Mary, sempre più presa e curiosa, guardando la ragazza che le stava accanto.

“Una volta in casa mi ha baciata e dopo mi ha dato il biglietto aereo per New York.” cercò di raccontare con calma ma si sentiva dal suono della sua voce che era ancora emozionata.

“ Ti ha baciata?!” esordì, tralasciando il discorso del regalo. “Come? Dove? Quando?” Mary era già in fibrillazione, molto più di Cat, nemmeno lo avesse ricevuto lei quel bacio.

“Con la bocca, e con cosa secondo te?” domandò retorica ed un poco divertita.

“Ma era a stampo o alla francese con la lingua? È stato dolce o deciso? Ti ha afferrato per i capelli o è stato delicato?”

“Cristo, Mary, quante domande!” esclamò fintamente esasperata da quel terzo grado, ritrovandosi sommersa di domande senza saper come fare a spiegarle che era stata una cosa molto più innocente di quel che credeva lei.

“Ma io sono curiosa, devo sapere!” si giustificò la ragazza bionda, la voce bizzosa per gioco.

“E' stato poco più di un contatto, e...”

“E..?” la incoraggiò.

“E si, è stato dolce e bello. Almeno per me.” si affrettò a puntualizzare dal momento in cui non sapeva cosa passava per la testa di Loki.

Si ritrovò a sorridere ancora una volta al niente, all'asfalto su cui stavano camminando, gli occhi socchiusi e le guance le presero colore al solo pensiero delle sue labbra gelide, non accorgendosi che Mary la stava guardando meravigliata.

“Mio Dio, ti piace sul serio.” constatò grave, un accenno di sorriso che dimostrava che anche lei ne fosse felice. “Non ne sarai mica già innamorata?” domandò l'attimo dopo, un po' preoccupata.

“No, certo che no. Lo sai, non sono il tipo da elargire il mio amore al primo che capita.” si difese Caterina, la voce leggermente più dura rispetto al solito.

“Anche perché hai avuto a che fare solo con Tommaso che, in tutta sincerità è un perfetto cretino.”

“Però si, si mi piace.” ammise a bassa voce, come un segreto tutto loro e come se lo confidasse a se stessa.

“Però è strano..”borbottò tra se e se, mentre cercava di raccogliere la schiuma rimasta in fondo al bicchiere, ripensando a quel che c'era stato.

“Cos'è che è strano?”

“Nonostante avessimo camminato per tre isolati quando mi ha sfiorata era freddo, freddo come il ghiaccio.”

Mary rifletté un attimo come se stesse cercando una risposta sensata, poi parlò. “Forse è un vampiro.” disse seria, come se ci credesse davvero in quel che aveva detto.
Ci fu un attimo di silenzio dopo il quale le due ragazze iniziarono a ridere divertite mettendosi la mano davanti alla bocca per cercare di soffocare un poco le risate, mentre continuavano a camminare affiancate con il sole che ormai si accingeva a sparire dietro la linea dell'orizzonte, tingendo la terra di un caldo ed avvolgente arancione.

 

Sarebbe stato meglio usare la sua magia per recarsi in quella fastidiosa, confusionaria e puzzolente città ma non poteva e non voleva farsi scoprire da Cat, altrimenti il suo piano sarebbe andato in fumo, così come – ne era sicuro – quella specie di rapporto che aveva con la mortale. Per lui era già strano che non gli avesse domandato molto sulla sua vita, lasciandoli quel velo di riservatezza che tanto gli piaceva. La cosa che veramente lo aveva colpito di lei, era stato il fatto che si fosse fidata di lui, nonostante non sapesse chi fosse; lui che era un mostro, un ibrido rinnegato da entrambe le parti e che tra poco sarebbe diventato un pericolo, era riuscito a farsi benvolere da quella creatura che, adesso, gli stava parlando di cosa gli aspettava una volta giunti a New York e che non riusciva a starsene un attimo zitta, troppo emozionata di aver intrapreso quel viaggio con lui, da sola.

“Tu hai mai fatto una cosa del genere? Io no.” esclamò, ancora stupita del suo gesto azzardato. “Ho pure raccontato una mezza balla ai miei.” cercò di trattenere una risatina malandrina, perché si rendeva conto di aver esagerato.

Quando si rese conto dello sguardo di rimprovero che Loki le rivolse, disse “Non mi guardare così, anche tu avrai mentito qualche volta ai tuoi quando eri un ragazzo!”

Beh, in effetti, lui continuava a mentire tutt'ora, quindi non era nessuno per poterla rimproverare.
Ad un certo punto l'aereo attraversò una zona di bassa pressione abbastanza intensa che lo fece sobbalzare. Cat entrò subito nel panico, iniziando ad imprecare a mezza voce un “Oh cazzo... caz....zo.” ad ogni scossone. Strinse gli occhi, fino a farsi male, e trattenne il respiro inchiodandosi al sedile fino a che non sentì la mano destra di Loki posarsi sopra la sua che stava artigliando, senza rendersene conto, quella sinistra dell'uomo.

“La mano mi servirebbe ancora.” disse solo quando uscirono dalla zona turbolenta.

La ragazza spalancò gli occhi e quando si rese conto di stargli praticamente stritolando la mano si stacco all'istante mortificata, si, ma solo di aver stretto troppo.

“S-scusa.. non volevo.. è l'aereo che mi mette ansia.” disse in un sorriso sforzato. “Soffro di vertigini.” confessò dopo, facendo spallucce come a voler sminuire la cosa e tornando a sorridere.

Durante tutto il viaggio Loki si era ritrovato a guardarla stranito, non capendone il motivo; lo divertiva vederla gesticolare e non stare un attimo ferma, continuando a parlare, a ridere cercando di coinvolgere anche lui. Lui che era considerato un nemico ed un essere a cui era meglio non avvicinarsi.
Mentre erano in volo, infatti, aveva pensato di poter usare la ragazza per i suoi piani, usarla come lasciapassare in caso il suo piano fosse fallito o se Thor ed i suoi nuovi amici in tuta lo avessero obbligato ad usare le maniere forti. Quel pensiero, però, era scomparso alla stessa velocità con cui gli era venuto; si era reso conto, dopo aver posato le labbra su quelle della mortale, che quella sensazione ancora senza nome gli piaceva ed avrebbe trovato il modo di riviverla.
Rimaneva, però, sempre intenzionato a portare avanti il suo progetto di conquista così, una volta accompagnata Cat nella camera dell'albergo, ce l'aveva lasciata per recarsi in uno dei tanti tunnel della metropolitana abbandonati, dove si trovava il suo covo in cui scienziati ed agenti, il cui cuore era stato corrotto dal potere del Tesseract, lavoravano per lui inconsapevoli di quello che stavano compiendo.
Si aggirava tra i tavoli dove computer e schermi piatti mostravano grafici, dati e calcoli utili per far svolgere il lavoro alle persone che vi aveva assoldato. Si stava già pregustando il dolce sapore della vendetta. Vendetta contro quello che aveva considerato suo fratello, contro quello che si era dichiarato essere suo padre e, invece, si era rivelato solo il più meschino di tutti gli altri, solo un ladro ed un bugiardo, contro tutti coloro che lo consideravano un debole ed incapace a governare e gli avrebbe fatto vedere di che cosa era capace. Perché Loki era in grado di radere al suolo un'intera città senza batter ciglio e di conquistare l'intero pianeta come il re che sarebbe dovuto essere. Osservava le persone intorno a lui, sorridendo maligno, quando, all'improvviso venne folgorato da un pensiero: come aveva potuto portare con se la ragazza?
L'aveva portata dove da lì a poco si sarebbe scatenato l'inferno, rischiando di coinvolgerla e di ferirla. Non era mai stato considerato coraggioso ed un eroe quando era ancora illuso di appartenere a qualcosa, tanto meno adesso che era pronto a sparare la sua ira come una pistola carica, figlio unico della menzogna, distrutto da una tremenda consapevolezza ed in fuga.

 

I'm a loaded gun. An only son but I'm nobody's hero. I've come undone. I'm on the run. I'm nobody's hero.1

 

No, non era un eroe ma neanche colui che l'avrebbe destinata a morte certa facendola rimanere lì. Sapeva ben poco sulla gratitudine ma quello, di certo, non era il modo adatto per dimostrargliela.
Si precipitò all'hotel con l'intenzione di rispedirla a casa quella sera stessa, non importava se lei non avesse capito, se non lo avesse perdonato o se si fosse arrabbiata, Caterina doveva andare via immediatamente. Una volta dentro, ogni suo piano venne mandato in frantumi dall'esuberanza della fanciulla che lo costrinse ad uscire fuori per fare, insieme a lui, una passeggiata per le vie della Grande Mela e per andare a mangiare qualcosa dato che si ostinava a ripetere di avere una fame da lupi.

“Puoi ordinare qualcosa e fartela portare in camera.” aveva controbattuto Loki all'insistenza della ragazza.

“Ma siamo qui, a New York, non possiamo mangiare dentro a quattro mura!” aveva risposto a sua volta, indicando con le mani il posto in cui si trovavano, senza mai smettere di sorridere e senza rabbia nella voce. “Dai, ti prego, usciamo.” lo aveva invitato, calmando il tono della voce ed avvicinandosi a lui con le mani giunte dietro la schiena.

Te ne devi andare.

Loki non si mosse, rimase fermo ad osservare la ragazza che gli si avvicinava ed il suo profumo che gli annebbiava i sensi.

Te ne devi andare via subito.

Cat si sciolse i capelli lasciandoli ricadere sulle spalle e lungo la schiena, facendo si che il profumo dello shampoo, mango e karkadè, pervadesse nell'aria. Ormai era praticamente di fronte a Loki ed indirizzò il suo sguardo incerto in quello ancora più incerto dell'uomo, che la stava guardando come se dovesse dirle una cosa da un momento ad un altro ma non sapesse come fare.

“Va tutto bene?” si informò Cat, vedendo lo strano comportamento di Loki e non sapendosi dare una motivazione a ciò.

No, sciocca umana. Te ne devi andare. Subito.

Loki non rispose ma si limitò a guardarla dritta negli occhi ed una consapevolezza iniziò a farsi strada nel suo petto.

“Loki stai bene?” indagò ancora, una punta di preoccupazione nella voce bassa.

No, non sto affatto bene. Ma cosa diavolo mi hai fatto?

“Si, certo.” mentì l'attimo dopo, sfoderando uno dei suoi soliti sorrisi sghembi. “Forza, andiamo a mangiare.” disse più morbido e le poggiò una mano sulla schiena mentre si accingevano ad uscire.

 

La prima a mettere piede nella camera fu Cat che trotterellava quasi, ridendo cristallina e felice, con un sacchetto trasparente di dolciumi in mano sinistra mentre con l'altra teneva una stringa di liquirizia a cui dava qualche morso, seguita da Loki che le andava dietro serio e calmo come suo solito. Evitò di accendere la luce, ad illuminare la stanza ci pensavano già le luci della città, che proiettavano i suoi colori abbaglianti dentro. Erano appena tornati da fare un giro per Times Square dove Cat aveva tanto insistito per fermarsi a mangiare qualcosa in uno dei tantissimi ristoranti che avevano incontrato, non badando alle proteste di Loki.

“Cristo, sto per scoppiare!” esclamò, portandosi le mani sulla pancia e gettandosi a peso morto sul letto, non curandosi se sgualciva o meno l'abito che aveva acquistato nel pomeriggio, continuando a ridacchiare ancora divertita per quella gita improvvisata e per le sensazioni che l'atmosfera di New York le suscitava.

“Lo farai sicuramente se continui a mangiare ancora.” puntualizzò Loki ironico, soffermandosi sulla soglia della camera da letto di Cat, con un ombra di sorriso sulle labbra, contagiato dall'allegria della ragazza cercando di nasconderlo.

“Non è colpa mia se avevo fame!” disse guardando il suo interlocutore in tralice, sempre distesa supina, addentato un altro pezzo di liquirizia.

Il silenzio che si venne a creare venne interrotto dallo squillo del cellulare.

Cat si rigirò spiegando il copriletto ed afferrando il telefono lesse il messaggio che le era arrivato.

Sorrise, mentre digitava veloce i tasti per rispondere, e spontanea balenò nella testa del Dio la domanda “Per quale motivo stai sorridendo?”

“Mary mi ha chiesto come procede la vacanza con il bel tenebroso.” l'attimo che impiegò per rendersi conto di essersi lasciata sfuggire troppo lo impiegò per mordersi la lingua, ma ormai era troppo tardi.

“Bel.. tenebroso?” fece eco Loki, confuso.

“Si, è così che ti chiama.” spiegò lei, facendo spallucce con nonchalance.

Il silenzio che ne seguì dopo spinse la ragazza ad alzare lo sguardo verso Loki e, dopo essersi messa seduta sul bordo del letto con le gambe incrociate, a spiegargli il motivo di tale soprannome.

“Il fatto è che non so niente di te, a fatica mi hai detto il nome. E, quindi, le è venuto naturale chiamarti così.” si giustificò, iniziando a torturarsi le dita e chinando il capo, intimidita dallo sguardo impenetrabile di chi le stava di fronte.

C'era una domanda in fondo alla trachea che premeva per uscire fuori; fino ad allora era sempre riuscita a ricacciarla indietro ma ora, ora che era giunta così lontana con lui, che si era decisa a fidarsi nonostante fosse uno sconosciuto, sentiva che non poteva più tacere.

Loki doveva capire che di lei si poteva fidare perché non aveva nulla da temere.

“Mi dirai mai niente di te?” proruppe alla fine, il tono della voce basso ma lo sguardo fisso e deciso in quello dell'uomo.

A Loki quella domanda parve più una supplica, una richiesta accorata a fidarsi di lei, di darle una possibilità.
La scrutò con attenzione, con i suoi occhi indagatori aumentando in lei un senso di disagio e facendole nascere una certa ed immotivata – o forse non tanto – paura quando, con passi lenti e calcolati degni di un perfetto predatore, le si avvicinò posando i palmi delle mani ai lati del suo corpo facendo abbassare il materasso sotto il suo peso. Cat si ritrovò a deglutire a vuoto incastrata com'era tra le braccia di Loki, gli occhi grigi fissi in quelli dell'uomo che le si parava davanti serio e quasi minaccioso. Sorrise, o meglio, ghignò di fronte al comportamento dell'umana perché, anche se non voleva ammetterlo, gli piaceva vedere l'effetto che aveva su di lei e vedere le sue guance tingersi di un tenue rosa al suo avvicinarsi.

“Forse, un giorno.” rispose il moro, il tono della voce calmo e basso, sfiatandole vicino alla pelle, compiacendosi ancora di quello strano effetto che aveva sulla creatura davanti.

A Cat quella risposta parve più una minaccia ma alla fine poco importava: era riuscita a convincerlo e questo era già un passo avanti.

“Okay, allora aspetterò fino a quel giorno.” rispose serena, scacciando quella sensazione di paura che per un breve istante l'aveva attanagliata, rimanendo sempre incastrata tra le braccia di Loki fiduciosa che non le avrebbe fatto del male.

Fu lui, dopo aver udito quella risposta ed aver visto la sua reazione, a distanziarsi incredulo.

Com'è possibile che sia così ingenua e in buonafede?

Si allontanò turbato con l'intenzione di chiudersi nella sua stanza, lontano da lei e dallo sguardo inconsapevolmente languido che ogni volta gli lanciava. Stava per chiudersi la porta alle spalle quando si sentì toccare timidamente una spalla da una mano calda e delicata. Quando si girò vide Caterina ferma, in piedi di fronte a lui con lo sguardo incerto e le guance un poco più accese.

“Grazie per tutto.” fu quello che esalò guardandolo dritto negli occhi prima di chiuderli ed alzarsi in punta di piedi per rilasciarli un bacio tra la guancia e l'angolo della bocca. Quando si staccò non attese un secondo di più e con una certa impazienza si ritirò nella sua stanza, lasciando Loki sbalordito da tale gesto.

Cat si chiuse la porta alle spalle, il viso leggermente accaldato e il cuore che iniziava a scalpitare come un cavallo imbizzarrito. Si ritrovò a sorridere ebete al vuoto, pensando che alla fine avrebbe voluto vedere Loki non come un semplice amico ma come ad una persona un po' più speciale che abitasse il suo cuore. In fondo, lui vi aveva già fatto breccia e non ne sarebbe più uscito, di questo ne era sicura. Poteva ancora sentire sulla sua pelle il lungo, pericoloso ed eccitante fremito percorrerle la schiena quando aveva posato delicatamente le sue labbra sulla pelle diafana e fredda come il marmo di lui.
Una volta che anche Loki fu in camera sua, continuò a ripensare al bacio che gli era stato dato dalla mortale. Era puro, innocente come chi lo aveva elargito e non c'era cosa che lo facesse pensare di più. Quell'atto lo aveva completamente lasciato senza parole e senza sonno, la sua testa piena di lei.

 

Ich kann nicht schlafen. Mein Kopf ist so randvoll von dir.2

 

Per tutta la notte non fece altro che rimuginare, riflettere e dannarsi su come avesse potuto meritarsi tale fiducia da parte di lei e sentire, adesso più forte di prima, il bisogno di allontanarla dal pericolo. Si ritrovò quasi spaventato da quella decisione. Lui non era mai stato una persona altruista, disposto a sacrificarsi per gli altri; invece, per lei, era disposto a molto più di quello che credeva lui stesso. Che stesse, forse, cambiando? Non era proprio quella paura una prova evidente del suo cambiamento?

 

Sono cambiamenti solo se spaventano.3
 

Alla fine arrivò ad un'unica conclusione: forse lei era veramente diversa da tutte le persone che aveva incontrato durante la sua lunga esistenza e forse valeva la pena preservare quella vita e quell'ingenuità disarmanti. E per la prima volta in vita sua, si rese conto che gli importava di ciò che qualcun altro pensava di lui e per questo motivo prese la sua decisione di mandarla via. Questo fluire inesorabile di pensieri gli era nato nel momento in cui era entrato di soppiatto nella camera della ragazza. Era intenzionato a ripetere quel bacio che si erano dati in cucina, a prendere l'iniziativa quando lei era troppo timida per poterlo fare. Voleva sapere cosa gli stava succedendo perché quello che provava non poteva essere identificato come unico e mero istinto. L'avrebbe svegliata catturando la sua bocca con la propria ma ogni pensiero, ogni... istinto si frantumò appena la vide dormire scomposta ma serena, le lenzuola calciate in fondo al letto, una maglietta troppo corta che le lasciava la pancia scoperta e dei pantaloncini a quadri che le coprivano davvero lo stretto necessario. Si soffermò a guardarla con la spalla appoggiata al muro e le braccia intrecciate sul petto, in un moto di tenerezza che non poteva identificare come suo, rimanendo ancora un po' ad osservarla dormire. Uscì dalla camera da letto e prendendo un pezzo di carta ed una penna iniziò a scriverci sopra qualcosa che a Cat non sarebbe piaciuto per niente.

E, forse, non piaceva neanche a lui.













 

-Angolo autrice-

Salve, eccomi di nuovo qui...

Inizio subito col ringraziare tutti coloro che mi stanno seguendo e che mi hanno lasciato una recensione :-)

ENJOY!!!!

 

 

NOTE:

1 Nobody's hero, Black Veil Brides;

2 Wer bin ich, Lafee [trad.:Non posso dormire. La mia testa è così piena fino all'orlo di te];

3 Di domenica, Subsonica.

 

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Capitolo 3
*** FALLING IN LOVE (EVERYTHING GOES BLACK) ***


Mi scuso in anticipo se tutto il capitolo avrà tutto lo stesso carattere ma il computer dal quale sto pubblicando non è il mio e non funziona molto bene.
Scusatemi per ogni possibile disagio.






Chasing these shadows around this darkened room. I’ve laid here so long I don’t even want to move. I need a minute now to heal. I need a minute now to remember how to feel. Whenever you’re gone away. The darkness hides the day. Whenever you’re gone the bleeding won’t stop. It hurts 'til you come back. Everything goes black. Everything goes black.1


Non sapeva dire con esattezza da quanto tempo si trovasse rinchiuso in quelle quattro mura che da lì fino alla fine della sua lunga vita sarebbero state le sole cose che avrebbe visto, oltre ai prigionieri che riempivano le prigioni, colme dei nemici che minacciavano la pace dei Nove Regni e dei cospiratori contro il re.
All'interno dei sotterranei si potevano udire urla, imprecazioni, offese da parte dei prigionieri in tutte le lingue parlate verso coloro che erano stati la causa della loro incarcerazione. Solo da una cella, la prima a sinistra, non si sentiva provenire un singolo suono.
Lì, in silenzio, sommerso dai suoi pensieri, il prigioniero attendeva. Difficile dire cosa stesse aspettando. Forse il momento buono per evadere, o forse il momento buono per morire. Sappiamo solo che stava aspettando.
Per lui i minuti, le ore ed i giorni non erano altro che un lento ed inesorabile trascorrere del tempo infinito della sua vita. Dentro quella cella di luce, si stava lentamente consumando la sua vita con una sola consapevolezza: non ne sarebbe più uscito. O perlomeno, è quello che gli avevano fatto credere.
Circondato dai suoi amati libri, unici compagni in quella prigionia forzata e tanto detestata, si ostinava a leggere sempre gli stessi, in un'abitudine che stava quasi diventando una mania ossessiva.
E così, anche quel giorno non era poi diverso dagli altri, se non per la comparsa dell'ologramma di sua madre Frigga, che apparve all'interno della cella e che trovò suo figlio col capo chino su di un libro.
“Sei sempre stato un ragazzo molto sveglio, eppure ti ostini a leggere gli stessi libri.”
“Salve a voi madre.”si limitò a dire Loki, lanciandole un'occhiata fugace per poi tornare a leggere, inumidendosi l'indice per voltare pagina.
Madre. L'aveva chiamate madre.
Doveva essere sicuramente di buon'umore perché le dava quell'appellativo solo quando il suo umore non era dei più neri e – coincidenza o meno – capitava solo quando leggeva i libri provenienti da Midgard.
“Non ti sono sufficienti i libri che ti ho fatto mandare?” indagò la regina, intuendo che ci fosse un motivo valido per il comportamento di suo figlio.
“Si.” fu la risposta laconica di Loki, ancora semi sdraiato con la schiena appoggiata al muro, le gambe di stese ed accavallate.
La regina si sedette sul bordo del letto e prese il primo libro che trovò accanto a se, in una delle tante pile.
Si rigirò tra le mani il volume, un piccolo libro con la copertina morbida e con un disegno floreale stampato sopra.
“I fiori del male.” lesse a voce alta, guardando Loki di sottecchi sapendo di aver catturato la sua attenzione. Infatti l'uomo la guardò in attesa che andasse avanti, interrompendo per un breve istante la lettura.
La donna lesse il nome dell'autore e poi, aprendolo alla prima pagina, vide che erano state scritte a mano due iniziali ad indicarne, probabilmente, il proprietario.
O proprietaria. Pensò la regina madre, spinta un po' dal suo sesto senso un po' dalle voci che gli erano giunte da Thor, riguardo una certa mortale che lo aveva fatto rinsavire durante la battaglia di New York.
“Deve essere molto interessante il libro che stai leggendo.” constatò sua madre, avendoglielo visto tra le mani già decine di volte.
“Infatti, lo è.” sospirò, iniziando ad avere il sentore che sua madre avesse voglia di parlare, ragion per cui eliminò ogni possibilità di conversazione.
Quella visita, finì in quel modo: con Frigga che cercava invano di parlare con suo figlio e con Loki che non alzava lo sguardo dalle righe nere del libro, non curandosi dei tentativi di approccio della madre.

 

Jacksonville University, Jacksonville, Midgard
un giorno come tanti

“... e quindi per la settimana prossima voglio una relazione battuta al computer di 5000 parole sull'argomento trattato quest'oggi sulla differenza...”
Le parole del docente le arrivavano come se provenissero da lontano, come se le sentisse al di là di un vetro, ovattate e poco chiare.
Cambiò mano con la quale si sorreggeva il mento, lo sguardo che vagava fuori dalle grandi vetrate dell'aula del professor Norrison, i pensieri occupati a pensare ad altro, non rendendosi conto che le due ore di lezione erano volate e lei non aveva né preso un appunto né aveva ascoltato.
All'inizio si era limitata a posare il quaderno sul piccolo banco marrone, avvitato alla sedia, e ad aprirlo per scarabocchiarci sopra fermandosi solo quando aveva deciso di guardare altrove con la speranza di distrarsi dai suoi malinconici e tristi pensieri.
“Mio Dio, se continuava a parlare per altri cinque secondi credo che mi sarei addormentata.” si lamentò Mary rivolta alla sua compagna, mentre si alzava dalla sedia cercando di tirarsi giù la gonna e prendeva la borsa che si era messa tra i piedi. “Ogni volta che spiega la lezione mi domando chi me lo abbia fatto fare...” ed anche questa volta la sua presunta interlocutrice rimase in silenzio, ancora intenta a fissare fuori di finestra.
Quando si accorse di un movimento alla sua destra, si ridestò lentamente come da un lungo e profondo letargo e riuscì a dire “Uhm?”
“Mi stavi ascoltando?”
“No.” rispose Cat radunando il quaderno e la penna ed infilandoli a caso dentro la tracolla, rendendosi conto solo allora che era ora di andare via.
“Hai almeno prestato attenzione al professore?” chiese Mary, avviandosi fuori dall'aula seguita dalla sua amica che sembrava stesse ancora navigando nel suo mondo.
“No.”
Una volta fuori furono colpite dai caldi raggi del sole che sembrava volesse augurare loro una buona giornata e che costrinse la bionda ad infilarsi gli occhiali da sole per non rimanerne accecata. Passarono per il prato alberato del campus, cercando le zone d'ombra per ripararsi dal caldo pomeriggio in quella giornata di studio intenso.
Si fecero largo tra un gruppo di ragazzi che stava giocando ad un ragby improvvisato, giusto per distrarsi dopo tutte quelle ore passate chiusi in una classe, chini su libri, formule e numeri, quando sentirono dire ad uno di loro “Avete sentito? Il responsabile dei fatti di New York è stato rispedito a casa sua.” e poi passò la palla al compagno, che la prese al volo.
“Dicono che non era umano nemmeno lui.” intervenne una ragazza seduta sull'erba con in mano un giornale di gossip. “Guardate, è scritto qui!” e mostrò ai suoi amici l'articolo di cui parlava.
Gli altri smisero di giocare, si avvicinarono all'amica e prendendole la rivista iniziarono a leggere.
“Secondo quanto è riportato qui, il responsabile ha aperto quello squarcio nel cielo che fungeva da varco interspaziale per far passare le sue truppe di alieni.” sintetizzò quello che aveva in mano il giornale.
“Fammi vedere, fammi vedere!” protestò la ragazza, curiosa e pettegola, che prese in malo modo ciò che gli apparteneva. “Dice anche che il suo scopo era quello di ucciderci tutti e rubare sostanze preziose per la terra.”
“Le autorità hanno sbagliato ad acconsentire che ritornasse nel suo pianeta, qualsiasi fossero le sue intenzioni. Doveva essere giudicato qui, da noi, e punito come si deve.” intervenne il terzo ragazzo, il più autorevole, quello che comunemente viene chiamato capo.
“C'è la sua foto?” domandò con la voce stridula la loro compagna.
“Doveva essere giustiziato qui, sulla terra.” continuò. “I governi gli dovevano dare una bella lezione. Magari la pena di morte.”
“Si, si hai proprio ragione.” affermò l'altro, concordando con il suo amico che ricevette l'assenso anche dalla ragazza.
In tutto quel tempo Caterina e Mary erano rimaste ferme, come bloccate, a sentire l'argomento di discussione di quel gruppo di universitari.
“Ehi Cat, va.. va tutto bene?” si informò la ragazza bionda, poggiando una mano sulla spalla dell'altra per riscuoterla ed evitare che fulminasse i tre ragazzi con solo lo sguardo.
Caterina non rispose e senza degnarla di una parola si stava avvicinando all'allegro gruppetto con un passo veloce e l'espressione feroce stampata in viso che avrebbe fatto paura a chiunque.
“Ehi ferma, dove credi di andare?!”
“A dare loro una bella lezione, magari la pena di morte.” rispose acida, tagliente e terribilmente seria che spaventò veramente Mary, tanto da costringerla a pararsi di fronte a lei e bloccarla per le spalle.
“Non puoi farlo. Loro non hanno colpe riguardo a quello che è scritto in quella rivista e tu non puoi cambiare le cose.”
Lo sguardo che Cat riservò all'amica, pieno di dolore e di tristezza, le fecero un gran male sapendo che non poteva far nulla per aiutarla.
Anche Cat si rese conto di aver esagerato; fare quei discorsi non era certo da lei che era sempre stata una ragazza pacifica, contro la violenza.
Si accorse che stava cambiando, non era più la stessa persona di qualche mese prima e lo aveva fatto in così poco tempo. Ormai l'estate era finita, così come il periodo della sua innocenza perché da dopo gli eventi di New York si era sentita quasi colpevole di quello che era accaduto.
Non ne parlava più, sembrava che si fosse tutto assopito dentro di lei ma nonostante tutto non aveva dimenticato ciò che era successo e ciò che aveva perso. Avrebbe voluto che  qualcuno l'avesse svegliata dicendole che era tutto finito.

Summer has come and passed. The innocent can never last.[...] As my memory rests. But never forgets what I lost. Wake me up when September ends.2

Sospirò prima di riservare all'amica un sorriso che di allegro non aveva nulla.
“Scusami, non so cosa mi sia preso.”
“Va un po' meglio?” indagò con tatto la bionda.
“Si, credo di si.” cercò di essere il più sincera possibile con la sua amica.
“Senti, perché non vieni con me e le altre del corso di biologia al festival che c'è in città? Magari ti distrai e ti diverti pure.”
“No, grazie. Sarà per la prossima volta.”
Quella era una frase che Mary aveva sentito fin troppe volte. Non importava quanto lei si sforzasse per cercare di distrarla e di farla uscire, Caterina continuava a starsene sempre per conto suo, in disparte, iniziando ad isolarsi dal mondo ed a far preoccupare chi le stava accanto.
“Vieni con me e le altre. Ci sarà la musica, un sacco di bancarelle ed una marea di gente!”
“Grazie, davvero. Ma stasera non ne ho voglia, ti prometto che verrò la prossima volta okay?” cercò di convincerla e, soprattutto, di convincere se stessa che la prossima volta che l'avrebbe invitata sarebbe andata veramente.
“Okay, guarda che ci conto!” le disse  sorridendole mentre montava nella sua auto e Cat faceva la stessa cosa.
Una volta montate nelle rispettive vetture presero strade diverse, indirizzandosi una verso il centro della città per andare alla Festival che annualmente si svolgeva a Jacksonville e l'altra per andare in un luogo in cui si recava spesso nell'ultimo periodo, con la scusa di starsene da sola, in privato ed indisturbata, per poter osservare la volta celeste divenire sempre più scura fino al calare della notte. Durante il tragitto accese la radio per avere un po' di compagnia ed evitare di distrarsi e andare a ingarbugliarsi nei meandri dei suoi pensieri e dei suoi ragionamenti.
Lo speaker stava parlando, introducendo la band e la canzone, mentre in sottofondo già si iniziava a sentire il pezzo che avrebbero trasmesso.
“Tuffiamoci ancora indietro nel tempo, con un pezzo che ha fatto la storia della musica. Buon ascolto a tutti.” e detto ciò lasciarono spazio solo al brano.
All'inizio non prestò molta attenzione a cosa stessero passando alla radio ma quando cantarono la terza strofa non potette fare a meno di riconoscersi dentro quelle parole tristi.

How I wish, how I wish you were here. We're just two lost souls, swimming in a fish bowl. Year after year, running over the same old ground. What have we found? The same old fears. Wish you were here.3

Sospirò, cercando di non farsi troppo coinvolgere emotivamente dalle parole e continuando a ripetersi che ce l'avrebbe fatta a superare anche quel dolore.
Parcheggiò la propria auto e dopo aver preso la propria tracolla, più per abitudine che per vero e proprio bisogno, scese e si incamminò verso la spiaggia. Attraversò una zona erbosa e disconnessa prima di sentire coi piedi la morbidezza della sabbia e l'odore forte del mare portato dal vento che andava a scompigliarle i capelli e ad attaccarsi alla sua pelle.
Il sole aveva intrapreso il suo percorso di discesa, nel giro di poco lì, dove si trovava lei, sarebbe diventato tutto buio senza un lampione ad illuminare quel pezzo di litorale. Ed era proprio quello che ogni volta Cat cercava: poter vedere il cielo al calar delle tenebre e veder spuntare pian piano, come se si stessero svegliando una ad una, tutte le stelle, alla ricerca di una in particolare che sapeva essere dimora di Dei e Dee.

 

Prigioni sotterranee, Palazzo Reale, Asgard,
qualche giorno dopo, uno come tanti

Si svegliò spalancando gli occhi e immediatamente venne aggredito dalla violenta ed accecante luce presente nella sua cella. Rimase qualche secondo sdraiato prima di sedersi sul bordo del letto, con le braccia sulle ginocchia, ripensando a quello che aveva sognato.
L'aveva sognata di nuovo. Perché il suo volto continuava a tormentarlo? Perché non poteva semplicemente scordarsi di quell'umana? In fondo non era altro che un essere mortale. La verità, quella stessa verità che aveva timore a confessare a se stesso, che lei era stata l'unica a rischiare la vita per dirgli che gli voleva bene. Un sentimento che lui stesso non sapeva nemmeno si potesse provare per un essere come lui, la cui genia era odiata e vista come il Male.
Chiuso in quelle quattro mura cercava di riempire il vuoto di quella stanza con i ricordi di quel poco tempo che aveva vissuto sulla Terra con la mortale, cercando di tenerli chiusi, al sicuro, dentro ad un cassetto della sua memoria insieme a delle promesse sussurrate, che già sapevano di menzogna, mentre il loro mondo scivolava a loro insaputa nel baratro dell'oblio.

Stanze vuote da riempire, di pensieri buoni e qualche abbraccio da dimenticare, chiuso in un cassetto, pieno di promesse e frasi sussurrate piano mentre il nostro mondo scivolava lentamente verso un altro oblio.4

Si alzò con stizza dal letto e prendendo in mano il primo libro che trovò, iniziò a leggerlo cercando cancellare e di dimenticare quei pensieri così strani e confusi che lui non era mai solito avere.
L'ologramma della regina apparve all'improvviso, senza destare l'attenzione del prigioniero che era andata a trovare.
Ormai andava a fargli visita ogni volta che le era permesso, cioè quando i suoi doveri di regina e moglie non le impedivano di compiere anche i suoi doveri di madre.
Questa volta lo trovò seduto sulla poltrona intento a leggere un libro che le aveva portato lei, sulla magia e su certi oggetti arcaici che risalivano alla nascita dell'Universo, con il tomo tra le mani, i gomiti appoggiati ai braccioli della sedia ed una gamba piega sopra l'altra.
Si meravigliò di non sorprenderlo a leggere i suoi soliti libri ed intuì che ci fosse, in lui, qualcosa che non andava.
Frigga stava per parlare ma fu Loki il primo a proferir parola.
“Volete qualcosa?” domandò tagliente e per niente incline ad una conversazione, volendo tagliar sul nascere qualsiasi intento di dialogare con lui.
“Ho bisogno di un motivo per venire a trovare mio figlio?” domandò retorica, il tono della voce dolce, affabile e carico di calma che solo una madre può avere.
Il silenzio cadde tra di loro pesante ed opprimente. Frigga si sedette sul bordo del letto, dove ormai si sedeva ogni volta che andava a trovare Loki, senza essere degnata di uno sguardo e forse, a lei, andava bene anche così.
Trovò alcuni libri sparsi sul pavimento, ai piedi del letto; un segno di disordine che non era caratteristico di lui.
Raccolse tutti i volumi e se ne lasciò uno per se che prese a sfogliare e leggere, sfogliando casualmente le pagine. Quando lesse le iniziali C. B. nella pagina bianca di quel libro, così come in altri che aveva casualmente aperto, capì che le voci che giravano su quella famosa mortale non erano poi così tanto voci.
“E' molto importante per te la mortale.” azzardò, ma anche quella volta non le pervenne nessuna risposta solo un'espressione stupita e al tempo stesso interrogativa disegnata sul viso di Loki.
“Ci sono cose che ad una madre non si possono nascondere.” rispose la donna senza bisogno che le venisse formulata direttamente la domanda e gli sorrise con dolcezza.
“Come si chiama?” domandò un secondo dopo, una curiosità che non riusciva a nascondere bene.
Non ottenne risposta ma si ritrovò a sorridere, felice che finalmente qualcuno avesse fatto breccia nel cuore del figlio e che lui, per proteggerla da qualsiasi tipo di pericolo, la tenesse nascosta come un prezioso tesoro.
In quel suo ostinato silenzio riconobbe una persona buona e perfettamente in grado di pensare a coloro che amava prima che a se stesso; una persona non diversa da come l'aveva cresciuta.
“Sei innamorato di lei.” constatò grave la regina.
A quell'affermazione il cuore del principe perse un battito. No, lui non poteva essere innamorato di lei, perché non sapeva come si amava né cosa fosse l'amore.
Frigga fece per andarsene e solo il rumore del suo abito ridestò Loki.
“Caterina. Si chiama Caterina.” fu tutto quello che il principe disse durante quella visita ma a sua madre bastò perché all'interno di quella frase c'era molto più di quello che Loki stesso volesse ammettere.
Una volta che la regina fu nelle sue camere usò la magia per visualizzare la ragazza che, a quanto pareva, aveva fatto breccia nel cuore del principe minore.
Era già calata la notte su Midgard, il manto divenuto oscuro con i suoi puntini luminosi e lontani aveva già fatto il suo ingresso, coprendo le teste degli umani  ed inducendo la maggior parte di essi tra le braccia di Morfeo.
C'era una ragazza che, nonostante fosse ormai notte inoltrata, non riusciva a prendere sonno e per quel motivo se ne stava accovacciata sul cuscino del davanzale della finestra di camera sua, con il naso all'insù intenta ad ammirare la volta celeste alla disperata ricerca di qualche indizio dell'ubicazione del mondo dal quale proveniva Loki.
Stava ascoltando una canzone e, ogni tanto, una lacrima solitaria le rigava il viso, andandosi a schiantarle sul braccio o cadendo a terra.
Guardava il cielo e si domandava perché le stesse capitando tutto quello e perché dovesse essere così difficile andare avanti; ogni istante diventava sempre più duro da vivere.

Every night you cry yourself to sleep, thinking: "Why does this happen to me? Why does every moment have to be so hard?"5

Gli occhi della mortale si erano arrossati e qualche lacrima continuava a solcarle il viso ma non dava segno di voler cedere, non voleva cedere e mai lo avrebbe fatto anche se, dentro di lei, la speranza che Loki mantenesse fede alla sua promessa si stava lentamente affievolendo facendo spazio, così, ad una più crudele verità: che quella fatta dal Dio non era altro che una delle sue tante menzogne.
Erano sospiri nostalgici ed innamorati quelli che emanava senza accorgersene Cat e Frigga arrivò ad un'unica e possibile conclusione: erano innamorati e, per loro, c'era ancora speranza.





 

Angolo autrice -

Salve a tutti!! ecco a voi il 3° capitolo (sfornato e pubblicato oggi) che si ambienta tra la fine della prima storia e l'inizio della seconda..
Spero apprezziate ;-)...

PS: il mio pc è completamente defunto quindi sono spiacente informarvi che l'altra FF subirà un ritardo nella pubblicazione maggiore a quello che avevo previsto. Mi dispiace :-(


NOTE
1 Everything goes black, Skillet;
2 Wake me uo when September ends, Green Day;
3 wish you were here, Pink Floyd;
4 Una nave in una foresta, Subsonica;
5 Won't go home without yuo, Maroon 5.

 

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Capitolo 4
*** CHECKMATE TO KING ***


Le si era gettato addosso per farle da scudo con il proprio corpo, evitando così che venisse ferita od attaccata una seconda volta dalle schegge dell'Aether che, in quel momento, era andato in mille piccoli frantumi dopo un potente attacco da parte di Thor. Il Dio del tuono si era scagliato con il suo Mjolnir contro il nemico proprio nel momento in cui era più debole, ovvero quando stava tentando di impossessarsi di quell'arma di distruzione.
Abbassò lo sguardo sulla mortale di suo fratello e vide impresso sul suo volto l'espressione più limpida e cristallina di paura ed impotenza, lei così piccola e fragile per quel mondo così crudele e barbaro.
Vederla lì, sotto di lui, tremante ed impaurita dopo che era stata solleva di un paio di metri e scaraventata a terra, gli fece ritornare in mente la sua mortale sulla Stark Tower. In fondo, le due donne, non erano poi così diverse: entrambe avevano messo a repentaglio la propria vita per ritrovare coloro a cui tenevano di più.
Più volte da quando era stato ricondotto ad Asgard si era domandato che cosa stesse facendo e se, come Jane, lo stesse cercando oppure lo avesse dimenticato. Più volte sul suo volto si erano impressi i segni della disperazione, della follia, di lunghe notti insonni passate a domandarsi se quella ragazza fosse umana o strega, perché non riteneva possibile che lui, principe austero e rigido, si potesse dannare a causa sua o se, invece, quella ragazza fosse una benedizione; la sua unica via di redenzione che gli avrebbe permesso di vedere, finalmente, un po' di luce nel suo mondo fatto solo di tenebre.
Fu un rumore sovrannaturale a riscuoterlo dai suoi pensieri.
Thor non era riuscito a distruggere l'Aether e adesso le schegge si stavano riunendo sotto il potere di Malekith che era intenzionato a farlo entrare nel proprio corpo. Una volta che il fluido rosso venne accolto con successo dal corpo dell'Elfo Oscuro, ciò che si presentò agli occhi dei due asgardiani e dell'umana fu alquanto angosciante. Il loro piano era miseramente fallito poiché ora che l'Elfo aveva in se il Potere era indistruttibile e niente avrebbe potuto fermarlo.
La battaglia ebbe allora inizio mentre Kurse ed il suo signore, dopo avergli lanciato un'occhiata complice, se ne ritornavano alla loro nave per dare inizio al loro piano di distruzione.
Thor partì alla carica per primo, come suo solito, scaraventando a terra i suoi nemici in una sola volta con la sua forza e con il suo fedele martello con l'intenzione di fermare Malekith. Kurse, accortosi dell'intenzione del Dio, afferrò una bomba e la scagliò contro Loki e la mortale che erano rimasti in disparte. Il Dio degli Inganni fece appena in tempo a gettare a terra Jane per evitare che venisse risucchiata dal flusso della bomba prima che si azionasse e venisse a sua volta coinvolto in quel risucchio mortale.
L'aveva salvata un'altra volta, suo fratello era in debito con lui e questa volta avrebbe trovato il modo per far si che le sue buone azioni giocassero a suo favore.
A niente sarebbero valse, però, le sue premeditate azioni se fosse stato risucchiato dalla bomba; per sua fortuna venne salvato da Thor che, dopo aver guardato il fratello con intesa, si precipitò contro i suoi avversari prima che mettessero piede sull'aeronave. Ricevette un potentissimo colpo da Kurse che lo fece volare a molti metri di distanza, contro una parete rocciosa tipica di Svartalfaheimr, per poi continuare a pestarlo senza subire alcun danno dal biondo Dio. Nel frattempo anche Loki venne circondato da quattro elfi ma, decisamente più elegante ed agile di suo fratello, li fece fuori con il suo pugnale in pochissimo tempo. Quando anche l'ultimo elfo stramazzò a terra, si precipitò in soccorso di Thor che era indiscutibilmente in svantaggio.
Raccolse un'arma elfica trapassando, da parte a parte, il torace del mostro che non si era accorto della sua presenza; prima che Loki si potesse allontanare, venne afferrato da Kurse che lo trafisse a sua volta. Riuscì comunque ad azionare la bomba, che aveva attaccata alla cintura della sua armatura, mentre aveva ancora la lama nel proprio torace facendo si che venisse distrutto.
L'urlo disumano che emise Thor alla vista di Loki ferito a morte riecheggiò macabro per tutta la deserta ed oscura vallata.
“Ci vediamo all'inferno mostro!” esclamò Loki, con le poche forze che gli erano rimaste, una volta che era stato gettato a terra esangue.
In pochissimi istanti l'essere dannato venne avvolto da un'aurea rosso fuoco che lo risucchiò nel suo vortice iridescente e fatale, sparendo qualche attimo dopo non lasciando alcuna traccia della sua esistenza.
Thor accorse immediatamente da suo fratello, sollevandolo un poco da terra e tenendolo tra le braccia gli disse “Sei un folle, perché non mi hai dato ascolto?”
“Si lo so, sono un folle, sono un folle.” ripetette con la voce tremula e bassa, iniziando ad avere gli spasmi.
“Guardami Loki.” Thor gli impedì di guardarsi la ferita, non voleva che vedesse quel tremendo squarcio verticale sul suo torace.
“Mi dispiace, mi dispiace.”
“Va bene, dirò a nostro padre cosa hai fatto qui oggi.” cercò di consolarlo mentre due lacrime gli solcavano il viso e gli arrossavano i bei occhi azzurri.
“Io non l'ho fatto per lui.” gli rispose il fratello, calmo, senza più il tremolio della voce, con una nuova consapevolezza che, adesso, non lo spaventava più.
Continuarono a guardarsi fino a che Loki non chiuse gli occhi ed il suo corpo iniziò a diventare grigio a causa dell'arma usata per ucciderlo.
“Noooo!” urlò Thor, preda del dolore e dello sconforto, capendo di aver perso anche suo fratello proprio nel momento in cui sembrava averlo ritrovato.
Jane si era avvicinata al Dio, spaventata da quell'urlo che di umano gli rimaneva poco e si ritrovò confusa nel vederlo piangere accasciato in terra.
“Thor, che sta succedendo?” domandò vedendolo così disperato, senza capirne il reale motivo. Se era per il fallimento del loro piano avrebbero sicuramente trovato un modo, non c'era bisogno di farla così tragica.
“Loki.... è morto.” rispose con un filo di voce incrinato.
“Ma cosa dici?” chiese la donna, ancora più confusa. “Loki è qui.” e indicò con l'indice l'uomo che le stava di fianco.
Infatti il Dio delle Malefatte era effettivamente accanto a lei, che si godeva lo spettacolo di suo fratello con un ghigno a dir poco beffardo sulle labbra.
“Non ho saputo resistere.” si giustificò il Dio moro, riuscendo a stento a trattenere una risata.
Il Loki che stava sorreggendo Thor scomparve sotto una luce verde ed il Dio del Tuono si ritrovò a sorreggere l'aria. Immediatamente si alzò, pronto per colpirlo e fargli smettere con quegli scherzi pessimi e di cattivissimo gusto. Riuscì ad assestargli un colpo in pieno viso prima che Jane si intromettesse tra i due, evitando che la situazione degenerasse. C'era una cosa più urgente da risolvere: fermare Malekith e la minaccia dell'Aether.

 

Palazzo Reale, Asgard
qualche tempo dopo

Il primo sole primaverile stava riscaldando ogni cosa, riportando la vita in ogni essere, da un semplice fiore del giardino, ad un albero che, pian piano, si liberava dal freddo abbraccio della brina e rinasceva, fino alle persone che passeggiavano allegramente per i viali, affollavano le via della città e vi riportavano la vita.
Il primo sole di primavera corrispondeva anche ai primi giorni di pace dopo il ritorno degli Elfi Oscuri e della loro minaccia; niente, quindi, era più idoneo di una bellissima e limpida giornata di sole come quella.
I raggi illuminavano e riscaldavano ogni cosa ed ogni persona sulla quale si posavano, donandole quel tepore tanto ricercato ed agognato in inverno. Tutti, tranne uno. E non perché, a lui, il sole primaverile non piacesse, perché quel clima mite, calmo e idilliaco si intonava perfettamente con la sua personalità ma perché i raggi solari non riuscivano a scavare così in fondo, fin dentro il suo petto, fin dentro al suo cuore, per poterlo riscaldare e fargli apprezzare ciò che avrebbe gradito un tempo. Si limitava, perciò, a leggere fuori sul balcone delle sue stanze dalle quali difficilmente usciva, per ricercare, almeno in parte, quel senso di calore che tanto gli mancava e che tanto gli era caro.
E così, anche quel giorno, aveva deciso di restare sulla terrazza a leggere un libro di vecchie rune arcaiche, ormai perdute, quando ad un certo punto qualcosa catturò la sua attenzione, facendogli alzare lo sguardo dal libro e guardarsi intorno con circospezione.
Guardò dentro la camera da letto e non vi trovò niente se non l'ordine quasi maniacale con cui sistemava ogni cosa, eppure era sicuro che qualcosa o qualcuno lo stesse osservando.
Lo aveva percepito, abituato com'era a guardarsi le spalle sempre con aria guardinga, sempre con le orecchie tese per non essere mai colto alla sprovvista. Si alzò dal triclinio sopra il quale era sdraiato e con passo lento e felpato entrò dentro la stanza da letto alla ricerca dell'intruso. Sapeva che ce ne era uno, poteva sentire i suoi occhi fissi su di lui, come una presenza sgradita e maligna; circondato da questa sensazione cominciò ad ispezionarsi intorno e più non trovava traccia dello sconosciuto e più in lui si faceva largo la convinzione che lo stessero spiando.
Si trovava nel centro della stanza quando, all'improvviso, un dolore simile a delle punture di spillo iniziò ad espandersi dalla testa, per poi scendere lungo tutto il corpo, in un crescendo continuo tanto da costringerlo a chiudere gli occhi per qualche istante.
Quando li riaprì il dolore era cessato e con suo sommo stupore, nonché  terrore, vide che non si trovava più ad Asgard, a Palazzo, ma era stato trasportato in un pianeta freddo, deserto ed impervio. Il terreno era duro, morto, inadatto a qualsiasi forma di vita, ma sapeva benissimo che nonostante queste condizioni era abitato. Lo sapeva perché era lo stesso dei suoi incubi che, ogni notte, lo tormentavano e lo lasciavano senza sonno.
Mosse qualche passo, sapendo che colui che gli stava facendo questo si sarebbe ben presto fatto vedere; conosceva il suo avversario e sapeva come si muoveva.
Quello che non sapeva e che mai si sarebbe aspettato – perché quello scenario faceva parte solo dei suoi sogni ed i sogni sono tali e niente più –  fu vedere a qualche metro di distanza, sopra un cumulo di rocce grige e spugnose il corpo senza di vita di una persona che riconosceva fin troppo bene, benché fosse di spalle e la sua pelle fosse ricoperta di sangue. E come in uno dei suoi sogni le si avvicinò ed inginocchiandosi accanto a lei la girò verso di se, stringendo il suo corpo senza vita tra le mani.
Lei aveva sempre la pelle calda ed ambrata, il profumo dolce e fruttato che emanava era un inno alla vita stessa; vita che però adesso l'aveva abbandonata, lasciandola sola in quel luogo maledetto e venefico. Non aveva più il corpo caldo, un calore che aveva sempre spinto il Dio a ricercare la sua compagnia, non aveva più la pelle color dell'ambra che creava un dolce contrasto con la sua e non aveva più quel dolce profumo che tanto lo aveva attirato. Era riversa tra le sue braccia, gli occhi vitrei, freddi e spenti, la bocca leggermente dischiusa e le belle labbra ruvide e screpolate; il corpo della fanciulla era ricoperto interamente di sangue, pieno di bruciature e ferite, alcune delle quali ancora fresche.
Era morta da poco e sul suo viso c'era ancora impressa l'espressione di dolore e di paura.
Lei aveva avuto paura e lui non era al suo fianco per proteggerla come si era promesso di fare. L'aveva lasciata sola, abbandonata a se stessa, credendo che sulla Terra fosse più al sicuro, mentre capiva di aver sbagliato ogni cosa e che lo scotto lo aveva pagato lei ed anche parecchio caro.
Lasciò vagare il suo sguardo lucido sulle innumerevoli ferite che aveva e solo allora si accorse che ce n'era una, in particolare, nella zona del ventre, che predominava per profondità e per la crudeltà con la quale immaginava fosse stata inferta.
Le passò una mano sul viso, ogni proposito di chiamarla e di gridare per la frustrazione rimase impigliato nella trachea, rischiando di farlo soffocare.
Morire? Per lui sarebbe stato un sollievo, una benedizione, piuttosto che averla morta stretta a se.
“Ben tornato, asgardiano.” pronunciò una voce alle sue spalle, bassa, profonda, piena di scherno.
Un brivido di consapevolezza gli si propagò lungo tutta la spina dorsale, avrebbe voluto gridare, si sarebbe voluto scagliare contro quel mostro che aveva ucciso l'unica creatura di cui aveva caro l'amore invece rimase fermo, ancora inginocchiato mentre con la mano sinistra chiudeva gli occhi della ragazza.
“Di solito i vecchi amici si salutano.” lo canzonò ancora l'altro, che lo stava guardando divertito. Per lui quello era uno spettacolo sublime, traeva il maggior godimento possibile nel vedere gli altri soffrire per mano propria. Il dolore stesso era fonte del suo divertimento e del suo piacere. Vedere come era riuscito a piegare il Dio degli Inganni, con quella semplice e banale mossa, lo rendeva ancora di più spietato e soddisfatto.
Ancora una volta ignorò il proprietario di quella voce e cercando di mantenere una calma ed una razionalità che sentiva andargli via troppo alla svelta si alzò in piedi, sollevando il corpo della ragazza con l'intenzione di riportarla a casa; non avrebbe mai permesso che rimanesse su quel pianeta a marcire, facendo si che almeno la sua anima – perché lo sapeva, lo aveva sempre saputo, lei aveva un'anima pura ed innocente – potesse trovare un po' di pace, cosa che lì non avrebbe mai avuto.
Una volta presa, si avviò verso un punto imprecisato di quel luogo per poter far ritorno su Asgard con l'uso della magia ma gli venne impedito da colui che lo aveva portato lì.
“Non credere di poter andar via tanto facilmente. Dobbiamo parlare, io e te abbiamo una questione in sospeso.”
“Noi non abbiamo niente da dirci.” tagliò corto Loki, voleva scappare da lì per poter naufragare ed affogare nel suo dolore, non aveva veramente niente da dire a quel mostro.
“Io credo proprio di si.” ribattè l'altro con un ghigno a dir poco malvagio.
“No e lei ne è la prova.” disse cercando di mantenere il suo solito distacco e sollevò di poco il cadavere della terrestre per fargli capire che non c'era più bisogno delle parole.
Thanos rise di gusto, divertito da tale gesto, sapendo che quell'allocco del principe c'era cascato in pieno.
Allora non è furbo come dicono le voci. Peccato, non ci sarà gusto così.
“Oooh, tu credi che sia veramente morta. Ma lei non è morta, è ancora viva e sta bene...” fece apparire un cerchio nell'aria attraverso il quale permise ad entrambi di vedere Caterina seduta sopra un telo in spiaggia, mentre leggeva con un certo interesse un libro molto spesso, con una matita tra le labbra per sottolineare le frasi che più la colpivano, mentre si lasciava riscaldare dai raggi del sole in costume da bagno. La vide poi riporre il libro nella sua tracolla, dopo aver dato un'occhiata all'orologio del telefono e, dopo essersi infilata una maglietta più grande di lei di almeno due taglie, alzarsi per ritornare verso casa.
“...per ora.” finì di parlare e sparì l'immagine di Cat.
“Che cosa vuoi?” ringhiò, a quel punto, pieno di rabbia ed interiormente sollevato nel vederla ancora viva.
“Voglio le Sei Gemme dell'Infinito.” rispose con naturalezza il re di Titano
“E chi ti dice che sarò io a portartele?” domandò tagliente e duro il Dio.
“Lo farai, certo che lo farai. Sai a cosa accadrebbe a quell'inutile umana e sai anche che non sarà per niente indolore.” sorrise, sapendo di averlo in pugno, facendo svanire l'ologramma del cadavere della ragazza dalle sue mani e facendola apparire davanti a lui, vestita con un lungo e semplice abito turchese.
"Loki, ti prego, salvami!"lo supplicò con la voce flebile e tremula, gli tese le mani ma quando Loki cercò di prenderle, lei si dissolse come fumo ed il Dio in un attimo si ritrovò nuovamente nella sua camera da letto, in piedi, in mezzo alla stanza proprio come quando aveva avuto quella visione.
Perché proprio di questo si trattava: di una visione. Ma era anche un pericoloso e minaccioso messaggio. Se non faceva ciò che Thanos gli aveva ordinato per la mortale non sarebbe andata a fine per niente bene.
Non era intenzionato a cedere, non lo avrebbe mai fatto. Avrebbe sconfitto quell'essere una volta per tutte ma sapeva che non poteva farlo da solo, non aveva abbastanza mezzi per poterlo fare e per quanto la cosa gli desse fastidio e per quanto non si sarebbe voluto abbassare a tanto, era conscio che doveva chiedere aiuto all'ultima persona a cui si sarebbe voluto rivolgere.
Si sarebbe recato sulla terra e al diavolo gli ordini di quel vecchio orbo che lo vedevano costretto a non mettere piede fuori Asgard.



Era una giornata come tante, passata all'osservatorio su carte astronomiche, alla ricerca di stelle, galassie su cui lavorare, fare confronti e scrivere rapporti.
E, come ogni giorno, una volta a casa i due scienziati erano sempre più stanchi ma non per questo, meno entusiasti del proprio lavoro.
Il primo ad entrare fu il dottor Selvig, un uomo dai capelli grigi con i primi segni della calvizia, con indosso un maglione blu notte, un giacchetto marrone ed una pesante sciarpa di lana a righe nere e marroni, che si fece da parte per far passare anche Jane, coperta da capo a piedi perché ancora, dopo mesi, non riusciva ad acclimatarsi con il clima freddo di Londra seguita da Thor, prima di premere l'interruttore per illuminare la stanza e di vedere che ad aspettarli di fronte alla finestra c'era una persona che mai si sarebbe aspettato di vedere. In tutta sincerità sperava proprio di non doverlo rivedere mai più.
Rimase paralizzato, la bocca aperta che non emetteva nessun suono, neanche riusciva a respirare, nel vederlo voltarsi e rivolgergli un sorriso sghembo, la postura eretta, dignitosa e le mani dietro la schiena.
“L-loki!?” balbettò infine il povero dottore, facendo si che anche gli altri due si accorgessero della sua presenza.
A differenza di Erik, Jane e Thor reagirono in maniera molto più tranquilla e calma nel vederlo; c'era da capirlo pover'uomo, lui lo aveva nella sua testa e non era affatto una cosa piacevole.
Thor fu così contento di vederlo che gli andò incontro e lo abbracciò, con un trasporto sincero e quasi fanciullesco, sorridendogli speranzoso che loro padre avesse cambiato idea riguardo alla sentenza emessa per il figlio minore.
“E' bello vederti, fratello. Nostro padre ha finalmente capito.” dette voce a quel pensiero ma fu presto contraddetto.
“A dire il vero, il Vecchio non sa che sono qui. Non ancora.” disse inumidendosi le labbra e sfoggiando un sorrisino che gli fece venire delle fossette ai lati della bocca. “Ti devo parlare di una questione urgente.” abbassò il tono della voce, non voleva che anche gli altri sentissero che gli stava chiedendo aiuto, aveva ancora una reputazione, un onore ed una dignità da difendere dopotutto.
Thor fattosi immediatamente serio accennò un assenso col capo e gli indicò un'altra stanza dentro alla quale avrebbero potuto parlare indisturbati.
“E' stato un piacere rivedervi.” aggiunse Loki, inclinando la testa in un inchino, col tono fintamente sincero, mentre spariva dietro la porta seguito dal Dio biondo, lasciando gli altri due disorientati dalla sua apparizione e dal motivo che lo aveva spinto a fare ritorno sulla Terra.


“Mio Signore.. mio Signore..” chiamò una guardia semplice, la voce trafelata per la corsa con quella pesante armatura, mentre cercava di attirare l'attenzione del suo sovrano.
Odino era in piedi davanti ad un tavolo rotondo, in compagnia del Generale a discutere di alcune incombenze del regno, quando si sentì chiamare con così tanta urgenza. Si voltò verso il giovane soldato, girandosi solamente col busto e facendo appena forza sul suo scettro.
“Mio Signore, devo informarvi di una grave azione.” disse una volta giunto al cospetto del suo re, chinando il capo e portando la mano destra chiusa a pungo all'altezza del cuore come segno reverenziale, mentre cercava di riprendere fiato.
“Forza, parla dunque!” lo esortò, sapendo di star perdendo tempo prezioso per la questione che trattava con il Generale Theoric.
“Si tratta del Principe Loki, mio Signore.” riferì la guardia, alzando a fatica gli occhi da terra per paura di incontrare quello furioso di Odino. “E' fuggito.” sputò tutto insieme, prima che la vigliaccheria prendesse il sopravvento.
“Cosa?! Quando?”
“Non sappiamo con certezza, sire. Qualche ora o forse un giorno.”
“Come? Come è potuto accadere?” domandò Odino, quasi fuori di se, la voce appena più alta.
“Non lo sappiamo, sire. Crediamo che abbia usato una delle sue illusioni.” più andava avanti nel riportare i fatti e più si sentiva sprofondare, arrivando addirittura a chiedersi cosa glielo avesse fatto fare di fare il guerriero.
Il re congedò il soldato con cenno della mano e si mise a guardare il pavimento, alla ricerca di una soluzione.
Che cosa era mai successo per far fuggire Loki da Asgard? C'era sicuramente qualcosa e lui la stava covando, meditando, da chissà quanto tempo. Ecco spiegata tutta quella collaborazione da parte sua, il suo non volere discutere gli ordini e tutta quella accondiscendenza.
Stolto. Era stato uno stolto troppo debole e dal cuore troppo tenero.
Troppo vecchio. Sono anche troppo vecchio. Si ritrovò a pensare il Padre degli Dei.
Doveva capire cosa c'era dietro alle sue azioni. Perché scappare e dove andare.
“Mio Signore, volete che mandiamo i tre guerrieri a cercarlo?” domandò l'uomo al suo fianco, suo fedelissimo comandante e consigliere.
Odino stava ancora riflettendo e più sentiva di essere vicino alla soluzione, più questa gli sfuggiva.
Quando Theoric lo richiamò una seconda volta, il Dio si ridestò sapendo che cosa doveva fare.
“No. Heimdall lo troverà ma non voglio che venga catturato. Ordinagli di sorvegliarlo, voglio sapere ogni sua mossa, ogni sua azione. Voglio sapere dov'è e perchè è lì.”
Il Generale si congedò con il solito inchino e uscì dalla sala del trono per avvisare degli ordini il Guardiano.
Gliel'aveva fatta proprio sotto il suo naso e lui non si era mai reso conto di niente.
Si, stava decisamente invecchiando.










 

~~Angolo dell'autrice

Salve a tutti bella gente!!!! Scusate se ho aggiornato con un giorno di ritardo ma ieri ho passato tutto il giorno stravaccata sul divano dopo una giornata devastante e bellissima a Lucca XD
Comunque, bando alle ciance....
Questo capitolo è da inserirsi alla fine del primo della seconda FF, ve lo dico giusto per rinfrescarvi le idee...
Il prossimo capitolo sarà fuori dalla raccolta di queste one-shot perché avrà un rating estremamente rosso, quindi per motivi tecnici sarà separato...
Fatemi sapere cosa ne pensate in un commento, anche piccolo piccolo, tanto per mettermi l'anima in pace e vedere se devo continuare oppure no :-)
Detto ciò, vi saluto e ringrazio tutti coloro che mi seguono e leggono i capitoli..
Un abbraccio ;-)

KV


 

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Capitolo 5
*** OUR NEW LIFE TOGETHER ***




Il silenzio idilliaco del bosco era interrotto solo dallo scalpitio dei cavalli, dal rumore delle foglie rotte sotto i possenti zoccoli dei due animali che spronati dai due padroni venivano istigati ad andare sempre più forte.
Nonostante il loro passaggio rompesse la pace che regnava in quel bosco estivo, dove il sole filtrava leggero ma già caldissimo attraverso le chiome verdi, folte e maestose, dove l'ombra veniva ricercata e dava sollievo, non potevano fare a meno di bearsi di quei suoni, delle loro risate e di quei profumi trasportati dal vento che creavano. Per loro quella era la vera pace, quella tanto ricercata e conquistata duramente.
Era stata lei a proporre quella cavalcata, lei così incline a starsene in mezzo alla natura quanto in mezzo alle persone, le stesse che, dopo tanti anni trascorsi dal suo arrivo nella grande casa di Odino, la avevano accolta benevolmente a causa del suo carattere solare e gentile con tutti.
Caterina rideva, senza una ragione precisa, si sentiva felice e finalmente si sentiva a casa sua, si sentiva di appartenere a quel mondo meraviglioso e magico; per lei erano stati anni intensi  in cui aveva impiegato molto per sentirsi accettata ma alla fine  il popolo e gli abitanti del Palazzo avevano smesso di formulare teorie su di lei e sulla strana ed alquanto improvvisa – secondo loro – relazione con il principe minore.
Le risa di Cat risuonavano allegre per tutto il bosco, si potevano udire anche a distanza e chiunque li sentisse o li incontrasse, non poteva fare a meno di venirne contagiato.
Lei galoppava veloce, sembrava che la stessero inseguendo un branco di lupi ma l'unico che le galoppava dietro era suo marito.
Guardandosi il dito della mano sinistra sul quale riluceva, quasi di luce propria, l'anello che li legava indissolubilmente, ancora si stupiva di quanto ne fosse enormemente felice, ancora emozionata, come se stesse rivivendo lo stesso giorno, quello stesso magico evento che li aveva uniti per sempre. Sapeva che non si sarebbero più separati, che si sarebbero appartenuti l'un l'altra per sempre, fin tanto la loro lunga vita glielo avesse concesso e quel piccolo cerchio dorato che portava all'anulare era la prova evidente, concreta e tangibile,  della loro promessa.

E non cercare più, tu sei qua. Ci credo come credo che sia bellissimo sposare alla mia la tua felicità. Sarà un bel giorno quello che a te a te mi legherà. A te mi legherà.

Si voltò indietro, i capelli divenuti molto lunghi le coprivano gli occhi impedendole di vedere chiaramente ma sapeva che Loki era dietro di lei, tremendamente vicino tanto da riuscire a sentire la sua presenza e quando lo vide raggiungerla spronò il suo destriero a una velocità maggiore, tanto da portarlo ad allargare le narici, per non dargli la soddisfazione di vincere una gara in cui, in realtà, mai nessuno dei due vinceva sull'altro.
Quando ritornò con lo sguardo sul sentiero che stava percorrendo, ebbe un sussulto nel vedersi spuntare dal nulla una donna che si parò sul loro cammino. Fu costretta ad arrestare l'andatura folle del cavallo, facendolo impennare e nitrire imbizzarrito prima di riuscire a calmarlo con il suono della sua voce ed un paio di carezze sul collo dal pelo lucido.
Il cuore le martellava nel petto come un pazzo, tanto era stato lo spavento per quell'apparizione improvvisa. Smontò di sella con le gambe che le tremavano appena, un po' a causa del lungo sforzo a cui le aveva sottoposte  e un po' a causa della paura.
Si avvicinò alla donna che da quando l'aveva vista non aveva mai smesso di sorridere, non era neanche spaventata dal fatto che avrebbe potuta essere travolta dall'animale.
Lasciò cadere le briglie a terra e si avvicinò alla bellissima donna bionda.
“State bene? Vi serve aiuto?” le domandò gentile Cat, rimanendo a qualche passo da lei sospettosa da quel suo strano comportamento.
La misteriosa figura si limitò a sorriderle senza proferir parola alcuna. Solo quando, qualche istante dopo, giunse anche Loki ella si inchinò rispettosamente ad entrambi, facendosi scivolare davanti alcune delle lunghissime ciocche chiare come il grano dei suoi capelli.
“Vi stavo cercando.” disse semplicemente, con una lentezza che servisse a fargli recepire il messaggio.
“Chi siete?” domandò allora Loki avvicinandosi alla sua sposa, il tono di voce sospettoso e gelido, come lo era sempre con tutti.
“Non importa chi io sia ma il motivo per cui sono qui.” rispose enigmatica la donna, non muovendosi di un solo passo, continuando a sorridere loro affabile e dolce.
“Dunque qual'è questo motivo?” Loki cominciava ad essere spazientito di tutta quella situazione, poco incline alle perdite di tempo, e contrariato perché quella donna era riuscita a trovarli persino in una zona lontana da palazzo come quella.
“Sono qui per vostra moglie.” chiarì senza nessun tono di minaccia nella voce.
Nonostante avesse usato dei toni pacati e le sue azioni non mostrassero segni di minaccia, il Dio non potette fare a meno di afferrare Cat per un braccio e trascinarla dietro di se per proteggerla in caso di pericolo.
Caterina era in grado di difendersi da sola, lui lo sapeva bene, si era esercitata moltissimo durante quegli anni sia con le armi, durante i pomeriggi sfiancanti passati con Thor e la sua cerchia di amici, che con la magia che Loki stesso le aveva sapientemente insegnato.  Ma il suo senso di protezione – anche se lui si ostinava a dire di gelosia – ebbe il sopravvento e non avrebbe mai più permesso a qualcuno di farle del male.
“Non le farai del male.” sibilò a denti stretti, lo sguardo glaciale e duro fisso in quello della donna, mentre sentiva il suo cuore perdere un battito.
“Ma io non ho intenzione di farvi del male.” precisò iniziando a camminare in cerchio intorno a loro con le mani, coperte dalla stoffa bianca dell'abito tenuto stretto in vita da una cintura in cuoio, sul grembo . “Vi voglio fare un dono.”
Continuò a muovere qualche altro passo, questa volta nella loro direzione.
“Chi sei tu, veramente?” le chiese il Dio, osservando la figura misteriosa, dai tratti fini e delicati che si ostinava a non rivelare le sue vere intenzioni.
“Sono qui perché ho visto il futuro e il vostro ruolo in questa storia non si è ancora concluso. Solo chi ha da perdere il bene più prezioso farà di tutto per custodirlo.”
Loki la guardò adirato, avrebbe voluto stringere le mani intorno al collo della sconosciuta fino a che non gli avesse rivelato le sue vere intenzioni, avrebbe voluto darle della bugiarda, l'avrebbe uccisa prima ancor prima di poter alzare un solo dito su sua moglie ma  per tutto il tempo in cui aveva parlato sia Loki che Cat erano come rimasti ipnotizzati dalle parole della donna. Era come se, in un certo senso, credessero a quello che diceva prima di aver compreso bene ciò che gli stava dicendo.
Sembrò che il tempo si fosse fermato, dilatato all'infinito, catapultati in un altra dimensione mistica e lontana, dove le uniche persone presenti erano loro tre.
La figura eterea riuscì ad avvicinarsi all'oggetto del suo interesse che si era momentaneamente sporta per osservare meglio quella scena surreale. Era ritornata al fianco di Loki, spinta anche lei dal senso di protezione.
Con un gesto veloce riuscì a posarle una mano sul ventre, rilasciando da sotto di esso un'intensa quanto calda luce rossa.
“Sii felice, principessa.” le sorrise dolcissima e detto ciò tolse la mano sparendo immediatamente avvolta da una luce dorata, lasciandoli soli.
Caterina si lasciò avvolgere dal calore che dal ventre iniziò a dipanarsi per tutto il corpo, cullata da quella sensazione che le infondeva sollievo e tranquillità. Chiuse gli occhi e cadde tra le braccia di Loki prima che la sostenne prima che cadesse a terra.
Quando si svegliò si ritrovò nelle sue stanze, distesa sopra le leggere e lisce lenzuola setose che adornavano il loro letto. Volse lo sguardo a giro e vide Loki davanti all'immensa finestra con le mani giunte dietro intento a guardare il sole che calava dietro la lontana linea dell'orizzonte.
“Loki..” fu il flebile richiamo che giunse al Dio che portò la sua attenzione immediatamente alla donna distesa sul materasso.
Le si sedette accanto, accarezzandole il viso. “Come ti senti?” si informò pieno di tatto, la voce ridotta ad un sussurro per non infastidirla.
Cat si prese del tempo per pensare ma in realtà si sentiva stranamente bene.
“Cosa mi è successo? Chi era quella donna e che cosa voleva?” domandò d'un fiato, alzandosi con la schiena e poggiandola sui cuscini morbidi della testata del letto.
Era leggermente confusa, si ricordava di tutta la conversazione avuta con la misteriosa donna, di quello che le aveva detto e persino dell'ultimo gesto che le aveva rivolto ma non riusciva a capirne il nesso logico.
Fu Loki a prendersi un momento di tempo per risponderle perché quello che aveva da dirle poteva risultare assurdo, oltre che difficile da accettare.
“Quella non era una semplice donna, era Freyja la Dea della fertilità.” concluse la frase, lasciandola in sospeso sapendo che non erano necessarie altre parole per farle comprendere.
L'espressione di stupore che si disegnò sul viso di Cat fu il chiaro segno che lei stava iniziando a capire.
“No, non può essere..” bisbigliò sbigottita, credendola una cosa impossibile e portandosi istintivamente una mano sul lato del ventre dove sapeva di trovarci la cicatrice.
Fissò Loki per un lungo istante, aspettando ulteriori spiegazioni da parte sua, prima di fraintendere e vedersi spezzata una speranza proprio sul nascere.
Loki le sorrise dolce, intuendo le sue perplessità e porgendole la mano destra la invitò ad alzarsi e a seguirlo davanti allo specchio.
“Perché indosso questa?” chiese una volta alzatasi ed accorgendosi di indossare una leggerissima camicia da notte e non l'abito con cui era uscita per andare a cavalcare.
“Quando sei svenuta ti ho portato dalle Guaritrici e dopo averti visitata ti hanno messo questa.” le spiegò con pacatezza, fermandosi una volta giunti davanti alla superficie vitrea.
“Loki cosa è accaduto veramente?” domandò col tono accorato, impaziente di sapere la verità.
“Guarda con i tuoi occhi, solo così capirai.” si fece indietro per lasciarle spazio davanti allo specchio.
Con una lentezza quasi solenne si tirò su l'indumento, le mani le tremavano d'aspettativa ed il cuore iniziava ad aumentare il battito ad ogni centimetro di pelle che esponeva alla vista. Prese un profondo respiro e socchiuse per un attimo gli occhi, prendendo il coraggio che le serviva per fare l'ultimo ed il più importante passo e senza indugiare oltre finì di sollevarsi la camicia da notte posando i suoi occhi sul riflesso della sua immagine. Quando i suoi occhi esaminarono lo strato di pelle esposta e non vide più quella grossa e orrenda cicatrice rossastra a deturpargli il corpo il suo cuore iniziò a fare i capricci, palpitando in maniera irregolare e gli occhi le si inumidirono. Passò un dito sulla pancia per accertarsi che fosse tutto vero e non solo un bellissimo sogno. Quando si rivolse a Loki i suoi occhi erano umidi di lacrime e le labbra inclinate in un sorriso tenerissimo e colmo di gioia.
“E' la verità?” chiese ancora intontita, lasciando andare le vesti e portandosi una mano alla bocca per coprire una risata che sentiva nascere dal profondo.
Il Dio le si avvicinò, le tolse la mano per prenderla con la propria prima di inclinare il viso verso di lei con la felicità che gli esplodeva violenta nel petto.
“Si. Si è la verità.” sussurrò con un sorriso che non avrebbe mai nascosto anche se avesse voluto, poggiando l'ampia fronte su quella di lei.
Gli si avventò al collo, abbracciandolo tanto da costringerlo a muovere un passo all'indietro mentre lui le avvolgeva le braccia intorno al costato. Rimasero stretti per tantissimo tempo, solo la gioia e la felicità a padroneggiare sopra le loro teste e nei loro cuori.


Trascorsero molte settimane da dopo quell'incantevole notizia; settimane relativamente tranquille passate, come erano soliti fare, passeggiando per i giardini privati o nei boschi, esercitandosi con la magia nella grande e silenziosa biblioteca o ad allenarsi nell'arena dalla quale Cat tornava sempre con qualche graffio o qualche piccolo livido ma sempre soddisfatta delle nuove cose che riusciva ad apprendere.
Era riuscita, inoltre, a stringere una sincera e piacevole amicizia con Jane e spesso capitava che le due donne si ritrovassero per parlare e discorrere di argomenti più o meno importanti.
Erano due caratteri affini e non era difficile sorprenderle a parlottare tra loro, ridendo come due ragazzine, per i corridoi del palazzo.
Alla fine Jane si era arresa all'evidente fatto che quella ragazza, era riuscita seriamente a conquistare il cuore tenebroso del fratello di Thor. E lo poteva leggere nelle iridi di entrambi ogni volta che stavano insieme; era contenta, si, contenta per entrambi che avessero trovato una persona che li rendesse felici a quella maniera.
Fu durante uno dei loro pomeriggi che Cat fece a Jane una grande, immensa confessione che si sentiva premere dentro da ormai qualche giorno.
Erano sedute sopra una panca in pietra, rilassate ed intente a godersi il clima mite di Asgard che presto avrebbe lasciato spazio al clima più rigido dell'inverno, pressoché in silenzio, quando da una navata laterale che conduceva direttamente ai giardini, videro sbucare con il solito passo marziale la giovane Lady Sif che si avvicinò a loro.
La dea mora rivolse un'occhiata sfuggevole e poco amichevole alla scienziata per poi rivolgersi cortesemente a Cat con la quale non le dispiaceva, qualche volta, intrattenersi; in fondo, era l'unica donna all'interno del Palazzo con la quale aveva qualcosa in comune o che non avesse tentato di portarle via.
“Non vieni ad allenarti oggi?” domandò con cortesia, incuriosita dal modo repentino con cui aveva smesso di recarsi nell'arena. Il suo interesse non era dovuto al fatto che con qualsiasi arma avessero combattuto o il livello di Cat nel maneggiare la spada Sif avrebbe, prima o poi, vinto ma nasceva dal profondo rispetto e da quel senso di primitiva amicizia che nutriva nei suoi confronti.
Caterina boccheggiò presa alla sprovvista da tale domanda alla quale non aveva la più pallida idea di cosa rispondere. Boccheggiò mentalmente per qualche istante, cercando una scusa che fosse almeno minimamente accettabile.
“No, non quest'oggi.” rispose alla fine, credendo opportuno non dare ulteriori informazioni o dettagli, sorridendo gentile ma troncando lì il discorso.
Sif si allontanò a passo spedito in direzione dell'arena di combattimento, lasciando nuovamente le due donne da sole.
Cat sospirò chinando appena il capo e socchiudendo gli occhi per lo scampato pericolo che potevano essere le domande insistenti della dea. Riaprì gli occhi solo quando si sentì toccare la spalla destra per riportarla alla realtà.
“Va tutto bene?” indagò Jane, piena di tatto, avendo intuito all'instante che qualcosa la turbava. Aveva notato anche lei che Caterina non si allenava già da qualche giorno ma la cosa non l'aveva interessata più di tanto, credeva che fosse normale non riuscire a reggere i ritmi sfiancanti e serrati con cui si allenavano i guerrieri e persino Thor.
L'altra non rispose ma si limitò a serrare le mani intorno alla stoffa liscia e fresca del suo abito turchese.
Prese un profondo respiro sentendosi catapultata indietro nel tempo, ad un momento in cui si sentiva perduta, sola e spaventata. Era come rivivere lo stesso ricordo, ritornare a farne parte una seconda volta con una sicurezza in più ma anche tante più paure.
“Sono stata dalla Guaritrice qualche giorno fa. Credevo di non stare bene.” disse a bassa voce, ritornando a guardare Jane che la stava ascoltando con attenzione.
“E..?” la spronò ad andare avanti dopo una pausa decisamente lunga, durante la quale Cat era caduta nuovamente dentro alle sue fisime, paranoie ancora taciute.
“Sono incinta.” fu quello che riuscì a dire il sorriso sulle labbra che le illuminava l'ovale del volto, una luce tutta sua a brillarle negli occhi. Ma ci fu qualcosa, l'attimo dopo che ebbe pronunciate quelle parole, che fece capire a Jane che c'era qualcosa che stonava. La vedeva felice eppure sembrava triste allo stesso tempo; gli occhi erano una fontana di allegria ma facevano trasparire una nota di timore. L'espressione stessa di Cat era una contraddizione continua.
“E non sei felice?” le domandò poggiandole una mano sul ginocchio.
“Oh Jane, non sai quanto.” rispose lei, la voce ridotta quasi ad un sussurro, coprendo la mano della scienziata con la propria.
“Allora cos'è che ti preoccupa? Loki che cosa ti ha detto?” ma lo sguardo che le riservò le fece capire che lui ancora non sapeva niente di tutta quella storia.
“Ancora non gliel'ho detto, lui non lo sa.” ammise lei, sentendosi in colpa per avergli taciuto una cosa di quel genere.
“Hai paura di come la possa prendere?”
“Un tempo ne avrei avuta ma non ora.” le rispose, ritornando coi pensieri a quando aveva veramente temuto cosa ne potesse pensare lui.
Quando anche la fidanza di Thor comprese quale terrore covasse nel petto Cat, non potette fare a meno di abbracciarla per farle capire che non era sola e che qualsiasi cosa avesse dovuto affrontare non lo sarebbe stata mai.
“Non lo perderai, non questa volta.” la consolò accarezzandole una guancia e sorridendole dolce.
“Ho paura, però.” si lasciò sfuggire, ormai decisa a dirle le cose come stavano, ad aprirsi a lei per cercare di avere un consiglio.
“Beh,” iniziò Jane,  riflettendo su quanto aveva da dire. “credo che sia perfettamente normale, sopratutto visto il tuo triste passato ma sono sicura che questa volta sarà diverso.”
“Non sai quanto lo spero.” si sentì pungere gli occhi dalle lacrime, tanto era la gioia che non riusciva più a contenere, poggiando entrambe le mani sulla pancia che ancora non dava alcun segno di gravidanza.
“Vai da Loki, diglielo e vedrai che tutte le paure andranno via.” le consigliò, facendole un gesto con il capo in direzione delle stanze interne.
Cat si alzò di scatto come se quella panchina scottasse troppo per restarci ancora a sedere.
“Grazie.” e dando un bacio sulla fronte alla donna davanti a lei, si precipitò a cercare Loki.
Lo trovò che stava uscendo dalle sue stanze, l'aria apparentemente calma e disinteressata, andando, forse, a cercare sua moglie che era sparita già da alcune ore.
Quando la vide si fermò sulla soglia, incuriosito dal suo modo affannato che aveva di camminare.
“Loki ti devo parlare.” gli disse tutto d'un fiato, non dandoli modo di ribattere nulla perché lo aveva afferrato per un braccio spingendolo dentro alla loro camera.
“Sei proprio una ragazzina strana.” scherzò dandole quell'appellativo che gli aveva dato anche la prima volta che l'aveva vista e che, molto probabilmente, sempre le avrebbe dato.
Tutta la sicurezza che aveva accumulato durante il tragitto sparì quando voltandosi andò ad affogare nelle iridi chiare di suo marito che la stavano osservando, aspettando ciò che aveva da dirgli.
Iniziò a scaricare la tensione sulle proprie mani che vennero fermate da quelle più grandi di Loki e che la costrinsero ad avvicinarsi a lui.
“Ehi va tutto bene?” si informò, preoccupato dalla reazione che aveva avuto.
Il sorriso che si aprì sulle sue labbra era impossibile da contenere, così puro e bello, che esprimeva una felicità imparagonabile ma Loki fu ancora più confuso.
Cat lo abbracciò, mischiando alle risate anche leggere lacrime nascoste dai suoi capelli e dal volto parzialmente coperto sui pettorali del Dio.
“Sono incinta.” non pronunciò altro, dopotutto non serviva aggiungere altro.
Si sentì stringere dalle forti braccia di Loki che ancora in silenzio gli ci volle solo un attimo per realizzare quanto Caterina gli aveva appena detto.
La strinse a se, forte e possessivo, come era sempre quando si trattava di lei, per farle capire che per lui, quella notizia, era la più bella che potesse ricevere in vita sua.


Quella era una notte come tante altre, come tutte quelle precedenti che ormai era solita passare da quando la pancia aveva iniziato a farsi vedere. Si rigirò nel letto ma senza ottenere nulla di quello che aveva sperato: sollievo.
Spostò lo sguardo fuori dalla finestra e vide che stavano già spuntando le primi luci ad est, il sole non avrebbe tardato a sorgere e riscaldare con i suoi raggi tutti gli abitanti di Asgard.
Loki accanto a lei dormiva, esausto ed in perenne allerta per ogni spostamento della donna che giaceva con lui.
Cat avrebbe voluto a dormire, standosene distesa in quelle posizioni tanto strane quanto apparentemente scomode ma la pancia ormai alla fine della sua crescita glielo impediva e, come ogni volta che si svegliava prima del tempo, si arrese all'idea di non poter più chiudere occhio. Inoltre quell'esserino che le cresceva dentro scalciava in continuo, già si faceva sentire ed aveva la netta sensazione che anche una volta nato non sarebbe stato da meno.
Si alzò dal letto cercando di non svegliare Loki, dato che aveva passato molte notti insonne a causa sua e si diresse a sedere su di una sedia a dondolo per cercare di rilassarsi, concentrandosi solo sul suono del suo cuore e di quello della sua creatura.
Si portò una mano sulla pancia e chiudendo gli occhi iniziò a canticchiare una ninnananna che aveva letto su di un libro trovato nella biblioteca.
La sua emozione era dovuta anche al fatto che quel giorno sarebbero venuti i suoi genitori a trovarla e sarebbero stati insieme fino alla nascita del bimbo o bimba. Su questo punto Cat era stata chiara, non aveva voluto sapere il sesso del nascituro, quando sarebbe nato lo avrebbe scoperto; era un'emozione che si aggiungeva ad un altra e rendeva perfetta la loro nuova vita insieme.
Come da accordo i suoi genitori arrivarono in giornata e furono felicissimi di vederla sorridente e sempre più impacciata nei movimenti. Vennero accompagnati a fare un giro per il palazzo, mentre a loro si affiancarono anche Thor e Jane. I genitori di Cat avevano già fatto la conoscenza del Dio biondo  e nonostante fosse passato molto tempo dalla loro ultima visita, furono lieti di poter scambiare quattro chiacchiere anche con lui.
La cosa che veramente li colpì fu vedere la loro bambina, ormai cresciuta, camminare al fianco di suo marito, l'aria serena e rilassata. Più volte Caterina scorse sua madre intenta a guardarli, l'aria di chi la sa lunga e la gioia di una mamma nel vedere la propria figlia realizzata e raggiante.
Fu a fine giornata che la combriccola si divise in due gruppi e mentre madre e figlia camminavano fianco a fianco, tenendosi a braccetto e confabulando tra di loro – la madre si informava sulla sua nuova vita e voleva sapere di più di quell'uomo che l'aveva conquistata – il padre e Loki rimasero in disparte ad osservare le due donne;
fu il padre di Cat a rompere il silenzio.
“So chi sei e so anche di cosa sei capace” iniziò, il tono di voce fermo e serio, mentre lasciava vagare il suo sguardo su sua figlia che stava ridendo per chissà cosa, rivolgendosi al Dio che gli stava accanto con le mani intrecciate dietro la schiena.
Loki lo guardò, dubbioso, aspettando che l'uomo andasse avanti.
“Ma se farai soffrire ancora mia figlia, stai pur certo che niente ti potrà salvare.” finì di parlare e puntò i suoi occhi – gli stessi di Cat – in quelli del Dio che guardava il mortale con un leggero sorriso sghembo, meravigliato dall'arditezza che aveva avuto nel parlargli in quel modo.
Capì, adesso lo sapeva, perché conosceva quella nuova sensazione di assoluta protezione per i propri figli e non potette fare a meno di sorridere nonostante lo avessero appena minacciato.
Tornò a guardare le due donne che si erano fermate perché Cat stava spiegando a sua madre le costellazioni che cominciavano ad apparire sopra le loro teste.
“No, non accadrà.” gli disse sapendo di non star mentendo, poiché avrebbe lottato con tutto se stesso per far in modo di mantenere quella promessa.
Perché la vita che avevano creato insieme e quella che stava per nascere valeva più di tutto quello che prima di allora aveva sempre bramato.









Angolo autrice
Per la vostra gioia questo è l'ultimo capitolo, già vi immagino fare i salti a giro per casa XD
Mi scuso per il ritardo ma proprio non mi ero accorto che il tempo stava passando ed io non stavo aggiornando, sono un caso umano senza possibilità di recupero....
L'unica canzone all'interno del capitolo si intitola “La fede di diamanti” ed è un brano tratto dal musical che io ADORO: Notre Dame de Paris ed è una piccola dedica a td98 alla quale so che piace particolarmente ;-)
Grazie mille per esservi fermati a leggere e commentare..
Ciao ciao

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