Il sognatore occulto

di saccuz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1: Il campo di grano ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** INFORMAZIONI DI SERVIZIO ***



Capitolo 1
*** 1: Il campo di grano ***


Cap I
 
Jimmy era in una vasta distesa di grano, così vasta che non riusciva a vederne la fine, ai lati del campo si ergevano imponenti tronchi di quercia, che proteggevano le delicate spighe dal vento esterno; qua e là sbucavano leggeri papaveri, che risaltavano con il loro rosso acceso in quel mare sterminato giallo scuro.
Il ragazzo aveva indosso una camicia a quadri rossi e neri, un paio di jeans scoloriti e in testa un cappello di paglia; intorno a lui sbattevano le ali multicolore una moltitudine di farfalle e, su nel cielo, volavano due rondini, che intrecciavano le loro traiettorie come in una danza segreta, delle cui regole soltanto loro erano a conoscenza. Istintivamente Jimmy si mise a correre verso il centro del campo, con le spighe alte e ormai mature che gli sbattevano delicatamente contro le braccia spalancate. Correva, correva a rotta di collo, felice come non mai, senza che una goccia di sudore gli scendesse dalla fronte, senza che un briciolo di stanchezza si insinuasse nelle sue gambe. Correva ridendo forte nell’aria frizzante, che gli si insinuava nei vestiti, nelle narici, che gli scrosciava sul volto, introducendosi delicatamente nelle orecchie, ovattando così il tenue e allegro frinire dei grilli, che nonostante fosse primo pomeriggio, intonavano a pieno fiato una maestosa sinfonia di suoni meravigliosi.
 
Improvvisamente, al centro del campo, comparve una sfera bianca, sospesa in aria. Era alta almeno quanto lui, ma decisamente più grossa, di un bianco opaco, regolare, come se ogni colore vi si fosse fuso all’interno. Era lì, perfettamente immobile, apparentemente non cosciente di se stessa. Rimaneva fissa, sospesa in aria. Jimmy la osservò da tutte le direzioni, ci girò intorno, le parlò, provò a lanciarle un fiore, ma non ottenne alcuna reazione.
Lentamente un alone bianco, bianco come un foglio di carta, iniziò a spandersi dalla sfera, cancellando progressivamente tutto il paesaggio circostante, e lasciando dietro di se solo un abbacinante e tremendo bianco.
Jimmy vide lentamente sparire il mondo intorno a se; il bianco si diffuse sempre di più, finché il ragazzo non si ritrovò da solo, sospeso nel bianco, insieme alla sfera. Indossava ancora i suoi vestiti, eppure era come se si fossero sbiaditi. «Chi sei?» urlò alla sfera «Cosa vuoi da me?» «Perché è tutto così?» non ricevette risposta.
La sfera, lentamente, iniziò a rimpicciolirsi, sempre di più, era diventata così piccola che Jimmy avrebbe potuto tranquillamente tenerla nella sua mano di bambino di dieci anni; tuttavia non si fermava, continuava a ridursi, finché non divenne così minuta da non potersi più distinguere dal resto dello sfondo. Eppure era ancora lì, Jimmy ne avvertiva la presenza, non c’erano dubbi, non si era mossa, si era solo nascosta. Poi si accorse di una cosa, i suoi vestiti, non erano più solo opachi, stava scomparendo! Lentamente vide affiorare da sotto la camicia il petto, poi le gambe, i piedi, anche il cappello era scomparso… Era nudo, nudo e solo, sperduto in quella immensità senza colori. Gli venne da piangere, era solo un bambino dopotutto. Provò a piangere; ma neanche una lacrima rigò la sua guancia, provò a urlare; ma non riuscì ad emettere nessun suono. Cercò allora di darsi un pizzicotto; ma non riusciva a muovere un muscolo. Era immobilizzato, non aveva più nessun controllo sul suo corpo. Il terrore iniziò a propagarsi in lui, un terrore sempre più profondo, finché non desiderò di poter tremare, almeno  quello, ma niente, era fermo, come un blocco di ghiaccio, una statua, un monolite …
 
Jimmy si svegliò all’improvviso, madido di sudore. Non aveva più dieci anni, né indossava una camicia a quadretti, non si trovava più in un campo di grano, né in quella specie di limbo bianco; ma aveva diciassette anni, era disteso nel suo letto, in camera sua, con indosso il suo pigiama… andava tutto bene, era stato tutto solo un sogno.
Guardò la sveglia, le sette, tanto valeva alzarsi.
Molto lentamente, con un grugnito, spostando da parte le coperte, si alzò dal letto. Sempre molto lentamente, con gli occhi ancora cisposi per il sonno, si diresse in bagno, dove gettò via la stanchezza con un’abbondante fiotto d’acqua fredda sulla sua faccia, che lo fece rabbrividire dalla testa ai piedi, svegliandolo del tutto.
Tornato alla vita dopo la tappa in bagno si rivestì, pescando come al solito vestiti a caso dall’armadio, e scese le scale, entrando in cucina. Dopo colazione si diresse senza fretta alla fermata del pullman. Una volta a bordo, mentre imprecava cercando di indossare quelle che, in un diverso momento, in tempi remoti e felici, erano state le sue cuffie e non quel groviglio informe di cavi che non riusciva a districare, un pensiero prese forma nella sua mente. Un pensiero che, ragionandoci sopra, non lo aveva abbandonato da quando aveva aperto gli occhi.
E per quanto cercasse di distrarsi guardando il paesaggio, concentrandosi sulla canzone metal sparata a tutto volume nelle orecchie, osservando gli altri studenti del pullman (alcuni dei quali stavano raggiungendo nuovi abissi di perversione nel vestirsi) la sua mente ritornava sempre, con maniacale precisione, a quell’unica e inamovibile sfera bianca, sospesa in quel limbo dello stesso colore. Per qualche strano motivo quel sogno lo inquietava, lo inquietava profondamente, e non riusciva a spiegarsi il perché.

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Capitolo 2
*** II ***


Cap II
Il pullman, come di consueto, arrivò a scuola con i soliti cinque minuti di ritardo, che gli costarono come al solito, una volta entrato in classe, un’occhiata di rimprovero da parte della sua prof di fisica che, con i suoi improponibili capelli che assomigliavano straordinariamente ad un barboncino, gli rammentava che le lezioni erano iniziate cinque minuti prima. La lunga spiegazione sulle diverse categorie di attrito non lo sfiorò nemmeno, ma passò tutto il tempo ad osservare il disegno che spiegava il moto dei pianeti. Anzi, per essere precisi, passò tutto il tempo ad osservare il disegno dei pianeti, che erano, manco a farlo apposta, delle sfere perfette. L’ora successiva non fu meglio, e nemmeno quella successiva. Alla fine della giornata, dopo che ebbe deluso il suo adorato prof di storia per non aver fatto nessuno dei suoi abituali interventi durante la lezione, l’unica cosa che gli girava nella testa, con sempre maggiore insistenza, era quella dannatissima sfera. Era così immerso in quel pensiero che Mark, il suo migliore amico, dovette ripetere la stessa frase tre volte prima che Jimmy si rendesse conto che, in primis, gli stava parlando e che, in secundis, lo stava invitando a casa sua nel pomeriggio per una partita ad Halo, in cui decidere definitivamente chi dei due fosse il migliore. Il ragazzo, con in mente solo la sfera, rifiutò piuttosto bruscamente, dicendo di avere un altro impegno. Al ritorno non riuscì a sentire una sola note dei potenti accordi di chitarra che uscivano dalle cuffie, visto che tutte, dalla prima all’ultima, gli scivolarono addosso, venendo tutte assorbite dalla sfera nella sua mente, che, come un buco nero, assorbiva qualunque sensazione esterna giungesse a Jimmy. Dulcis in fundo, completamente rapito da quel chiodo fisso, perse la sua fermata e dovette camminare per un buon quarto d’ora fino a casa. Durante il pranzo mangiò meccanicamente, portando quasi inconsapevolmente il cibo alla bocca e, una volta tornato in camera sua, si rese conto non solo di non aver aperto bocca per tutta la durata del pasto, ma anche di non ricordarsi assolutamente cosa diavolo avesse mangiato poco prima. Passò tutto il pomeriggio a fissare la porta blu elettrico del suo armadio, indeciso se aprirlo o meno. Quando finalmente si decise a tirare fuori un foglio di carta per fare i compiti, la vista di tutto quel bianco gli provocò una violenta contrazione allo stomaco, che per poco non lo fece vomitare. Rimase poi completamente immobile a fissare, ma senza vedere veramente, fuori dalla finestra, mentre con il dito disegnava cerchi su cerchi, approfittando dell’appannatura del vetro. Quando il padre, bussando alla porta della sua camera (che non ricordava minimamente di aver chiuso) gli disse che era pronto a tavola, Jimmy si accorse di non avere minimante fame e rispose di dover finire un problema di matematica e che comunque aveva mangiato troppo a merenda. Infine, verso le dieci, essendo stanchissimo (cosa molto strana, visto che non aveva fatto un accidenti di niente tutto il giorno) decise di andare a letto, cosa che solitamente non faceva prima dell’una di notte. Spense tutte le luci e, mentre l’oscurità lo avvolgeva, si buttò sul suo cuscino, chiudendo gli occhi, credendo di addormentarsi immediatamente. Le cose invece andarono in un modo lievemente diverso da quello previsto da Jimmy. Infatti, non appena si rilassava, l’immagine di quella sfera fluttuante tornava a tormentarlo, e quel mondo tutto totalmente bianco lo inquietava oltre ogni dire. Di conseguenza, perseguitato da quei pensieri, passò buona parte della notte a rigirarsi nel letto, soffocando per il caldo e imprecando in silenzio contro tutto quel bianco. Finalmente, verso le quattro di notte, la stanchezza ebbe la meglio e i suoi occhi si rilassarono, portandolo nel mondo nei sogni. O almeno, questa era la loro intenzione, infatti non appena si addormentò Jimmy si ritrovò nuovamente in quell’universo senza dimensioni, interamente bianco, avendo come unica compagnia la silenziosa presenza della sfera che, rispetto alla notte prima, sembrava lievemente rimpicciolita. Abbassò gli occhi su di se, era nuovamente un bambino, era nudo e, cosa ancora più importante, era ancora completamente incapace di muoversi. Nuovamente cercò con tutte le sue forze di muovere anche solo un singolo muscolo, ma non ottenne il men che minimo risultato; provò a urlare, con tutte le sue forze, finché non iniziò a bruciargli la gola, ma anche così non un suono, neanche un semplice rantolio uscì dalla sua bocca. Jimmy aprì gli occhi di botto; erano le sette meno un quarto, aveva dormito per circa due ore e si sentiva come se si fosse appena steso sul letto: era distrutto. Eppure, nonostante la stanchezza, si ritrovò a pensare a cosa mangiare a colazione, visto lo stomaco che brontolava. Questo pensiero lo sconvolse, era un ragionamento non legato alla sfera, già, la sfera… Immediatamente le sue riflessione ritornarono su quell’argomento e, senza neanche accorgersene, si reimmerse in quel vicolo cieco della sua mente, in cui era rimasto intrappolato tutto il giorno prima.

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Capitolo 3
*** III ***


Cap III

Vestitosi, scese a fare colazione; lì, seguendo le necessità del suo corpo e non quelle della sua mente, si rifece ampiamente della cena saltata, buttando giù abbondanti quantità di corn flakes, bagnate da generose sorsate di latte; poi, dopo che il suo corpo gli ebbe dato l’ok, sempre con la testa persa dietro quella sfera, salì sul pullman e, seguendo una serie di movimenti meccanici, messosi gli auricolari, fece partire la musica. Il potente assolo di chitarra dei Dream Theatre lo lasciò perfettamente indifferente, venendo risucchiato dal bianco della sfera.

Sceso dal bus entrò nella scuola, sempre immerso nei suoi pensieri, percorse i rumorosi corridoi tentando di raggiungere la sua aula. Ebbe un unico sussulto quando, mentre superava un gruppo di compagni particolarmente rumorosi, incrociò lo sguardo con Stephanie, con i suoi capelli corvini tagliati a caschetto, la pelle di un delicato rosa tenue, dietro delle montature c’erano quegli occhi, che non erano degli occhi, ma delle porte aperte sullo spazio infinito. Come al solito non riuscì a parlarle, ma si limitarono a quel breve scambio di cenni di saluto, accompagnati da un sorriso, e niente altro. In quell’istante di lucidità si rese conto di dov’era e di dove si trovava, poi ripiombò pesantemente nella sua catalessi mentale, nella quale rimase per tutto il giorno.

La sera si addormentò quasi subito, ma ancora una volta la sua mente gli giocò un brutto scherzo, e di nuovo quando aprì gli occhi era un bambino di dieci anni, completamente nudo e immobile. E come unica compagnia, la sfera. Provò a muoversi in tutti i modi, tese i muscoli fino allo spasmo, si fece sanguinare la gola a forza di provare a urlare, sentiva le corde vocali vibrare a vuoto, le percepì tese, come se stessero per spezzarsi. Di tanto in tanto si fermava per riprendere fiato, per poi ricominciare con accanimento sempre maggiore. Lottò in questo modo per tutta la notte. Sapeva che la sua era una battaglia persa, eppure non poteva fare a meno di provarci, c’era qualcosa che lo spingeva a ritentare, fino a sfinirsi, e poi a tentare ancora.

La mattina riaprì gli occhi, alle 7 precise, come un orologio. Anche quella notte non aveva riposato per niente, nonostante le otto ore di sonno consecutive…  Non appena tentò di alzarsi dal letto si sentì vacillare, avvertì le ginocchia farsi molli, i piedi perdere presa sul pavimento. Solo la provvidenziale presenza di una sedia lì vicino gli impedì di crollare a terra.
Lentamente, molto lentamente si diresse verso il bagno, dove, cercando di svegliarsi, si fece una doccia con l’acqua gelata; ma neanche questo funzionò. Dopo essersi vestito, in qualche modo riuscì a sedersi al tavolo della cucina dove, con uno sforzo immane si versò il latte nella scodella, mentre già l’altra mano si allungava a prendere i corn flakes. Con la scatola dei cereali in mano lentamente volse la testa per versarli nella ciotola, e a quel punto i suoi occhi incontrarono il liquido bianco che aveva versato un attimo prima. E la mente precipitò nel suo sogno.

Riprese conoscenza dopo un paio d’ore: era disteso sul letto; intorno a lui c’era la madre, con gli occhi preoccupati e uno sconosciuto col camice, probabilmente un dottore, che lo stava visitando.
Dopo aver controllato ogni parte del suo corpo diagnosticò che aveva la pressione sotto le scarpe e lo imputò alla mancanza di sonno. Gli diede un paio di sonniferi e se ne andò. L’ultima cosa che Jimmy ricordò era la madre che, presasi un giorno di vacanza dal lavoro, si sedeva accanto a lui, accarezzandogli i capelli.

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Capitolo 4
*** IV ***


Cap IV
 
Ovviamente, non appena chiuse gli occhi, si ritrovò catapultato in quell’universo bianco, sempre di dieci anni, sempre nudo, sempre bloccato. Come al solito iniziò la sua lotta feroce per liberarsi, ma man mano che andava avanti la voce che lo spingeva a combattere iniziò ad affievolirsi: prima impercettibilmente, poi in modo sempre più evidente, fino a ridursi a un flebile sussurro, che poi sparì del tutto. A questo punto Jimmy, sfiancato dalla lotta, senza più quella voce a spronarlo, si rilassò e chiuse gli occhi.
Quando li riaprì si accorse di essere sempre in quell’universo bianco, però davanti a lui c’era una sfera diversa, di un bianco più opaco del solito, che la faceva risaltare in mezzo a tutto quel bianco.
Dal nulla e senza alcun preavviso una voce profonda e rauca disse: «Tu non dovresti essere qui!» e immediatamente Jimmy avvertì una forte spinta, quasi come se fosse un forte vento, e si ritrovò sollevato da terra, come in balia di un tornado, che lo portava sempre più lontano dalla sfera, finché questa non scomparve dalla sua vista.
Jimmy riaprì gli occhi, era nel suo letto, erano le sette di mattina, doveva aver dormito tutto il giorno e la notte precedente. Si alzò, perfettamente riposato e, cosa incredibile, con la mente sgombra da ogni pensiero riguardante la sfera. Tranquillamente si diresse in bagno, si lavò, si vestì e scese a far colazione. Sotto c’era la madre che, non appena lo vide gli corse incontro chiedendogli come stesse.
«Sto bene mamma, sul serio! Dai, che sennò faccio tardi a scuola» fece Jimmy liberandosi dall’abbraccio in cui era stato stretto.
Fece colazione con gusto (aveva saltato tutti i pasti del giorno prima dopotutto), poi prese lo zaino e, in perfetto orario, salì sul pullman.
Durante quel viaggio si godette ogni singola nota delle canzoni che dal suo cellulare, attraverso gli auricolari, facevano vibrare i suoi timpani.
A scuola salutò con calore Mark, che era preoccupato per l’assenza dell’amico il giorno prima. Jimmy lo rassicurò e si autoinvitò nel pomeriggio a casa dell’amico per quella benedetta sfida finale ad Halo. Quel giorno le lezioni gli sembrarono le più interessanti mai ascoltate, inglese compreso, e si dovette trattenere dal fare un applauso al professore di storia quando questo terminò la sua spiegazione della battaglia di Appomattox. All’uscita, mentre si dirigeva insieme a Mark verso casa dell’amico si sentì felice come non mai, se proprio doveva trovare un neo alla giornata era che non aveva incontrato Stephanie, ma non si poteva avere tutto nella vita.
 
Passò l’intero pomeriggio uccidendo alieni in centoventidue modi diversi, guadagnandosi così la vittoria della sfida e il riconoscimento di supremo giocatore di Halo.
Quando verso le cinque se ne andò da casa di Mark accompagnato da centoventidue amichevoli insulti, si diresse verso casa, desiderando ardentemente un letto. Passò il resto del pomeriggio costretto sulla scrivania, a fare i compiti di tre giorni tutti insieme.
Alle otto, ora in cui scese a fare cena, era stravolto.
 
Il suo corpo, strapazzato per tutti quei giorni, reclamava imperiosamente cibo, e Jimmy fu ben lieto di obbedire. Assaltò con vivo piacere ogni piatto che sua madre portava in tavola, accompagnandolo con ampie fette di pane e annaffiando abbondantemente il tutto con almeno un litro di 7’up.
 
Satollo, verso le dieci meno un quarto se ne andò in camera sua, dove si buttò sul letto, addormentandosi di botto.
 
Come era prevedibile riaprì gli occhi vedendo solo bianco intorno a sé, sempre nudo, di dieci anni e immobile. Questa volta non provò nemmeno a iniziare a lottare, ma chiuse nuovamente gli occhi, cercando di dormire.
Nuovamente comparve davanti alla sfera, e nuovamente una forte spinta lo ributtò indietro, finché la sfera non scomparve completamente dalla sua vista, e si risvegliò direttamente nel suo letto. Nuovamente alle sette di mattina.

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Capitolo 5
*** V ***


Cap V
 
Si alzò e fece colazione. Solo una volta sul pullman, mentre una canzone degli Alan Parson’s Project gli rilassava la mente, si accorse che ben presto, esattamente fra tre giorni (contando anche il weekend) sarebbe partito per la gita! Tre giorni lontano da casa, con i suoi amici e, soprattutto, sarebbe venuta anche Stephanie.
 
Giunto a scuola percorse i chiassosi corridoi volgendo lo sguardo a destra e sinistra, alla ricerca di quei capelli corvini che tanto amava. A un certo punto le ricerche diedero i loro frutti, lei era lì, che parlava con le sue amiche, o meglio, le sue amiche parlavano con lei, ma lei non stava ascoltando, aveva gli occhi persi nel vuoto e due occhiaie profonde che le segnavano quel viso altrimenti bellissimo.
 
Turbato entrò in classe, dove, non appena vide Mark, chiese informazioni riguardo a Stephanie.
«Stephanie? Sì, in effetti è da un da un paio di giorni che è strana, sembra non dormire molto e inoltre le sue amiche dicono che ha sempre la testa fra le nuvole… Chissà che non si strugga per qualcuno!!» aggiunse alla risposta dando di gomito a Jimmy, il quale rimase così turbato dalla spiegazione dell’amico che non si curò nemmeno di mandarlo al diavolo.
 
Durante l’intervallo la cercò per andare a parlarle, ma senza risultato.
 
Quel pomeriggio e durante il week end non ebbe modo di ragionare su quella strana coincidenza, occupato com’era a preparare bagagli e a rassicurare parenti e genitori che sì, si sarebbe comportato e che no, non avrebbe fatto sciocchezze. Infine giunse il giorno della partenza.
 
Tutte le classi erano in aeroporto, tutte emozionate, chiassose e soprattutto sparpagliate, per la gioia degli insegnanti.
Jimmy si guardò intorno: aveva continuato a fare gli stessi sogni tutto il weekend, e non vedeva l’ora di parlarne con Stephanie. Ma purtroppo prima che lui riuscisse a fare alcun che venne bloccato da Mark che non trovò di meglio da fare che raccontargli la trama dell’ultimo videogioco che aveva comprato; conversazione che lo tenne impegnato per tutto il tempo in cui rimasero in aeroporto. Durante il viaggio i professori vietarono tassativamente di alzarsi, e quindi non riuscì a rivolgere a Stephanie nulla di più che un cenno di saluto.
 
Atterrarono che era già sera inoltrata, e non ebbero altro da fare che arrivare in hotel, pregustando il programma del giorno dopo. Jimmy aveva saputo da fonte certa (un’amica di Stephanie era la cugina di un compagno di classe di un amico di Mark, il quale garantiva che la notizia era senza dubbio esatta) che Stephanie aveva la camera il piano sopra il loro, e che i professori, in un impeto di fiducia, avevano tutti preso le camera al primo piano dei tre che la loro scuola occupava.
Dopo aver vuotato la propria valigia e dopo aver convinto Mark a seguirlo, si diressero verso la camera della ragazza. Lì Mark allontanò la compagna di stanza di Stephanie iniziando a parlare di una certa ragazza che un suo amico gli aveva riferito aver visto insieme ad un suo compagno di classe che, guarda caso, era suo cugino.
Rimasto solo davanti alla porta chiusa della camera di Stephanie, alzò il pugno per bussare; per poi riabbassarlo di botto. Poi si fece coraggio e lo rialzò; e poi lo riabbassò nuovamente. Stava per tornarsene in camera, sentendosi un perfetto idiota, quando improvvisamente la porta della camera si aprì.
«Liz, hai tu le chiavi…» Stephanie troncò la frase di botto, osservando il ragazzo che spesso vedeva in corridoio che la guardava con aria ebete e con il pugno alzato come se stesse per bussare alla porta.
Ehm… Ciao!» riuscì a balbettare Jimmy
«Ciao» rispose distratta lei.
«Posso parlarti?»
«Mmmh?» mugugnò in risposta Stephanie. Prendendolo per un sì il ragazzo raccolse tutto il suo (poco) coraggio e, dopo aver preso un respiro profondo, disse: «Lo so che quello che sto per dire suona estremamente ridicolo ed imbarazzante, ma, per caso, una sfera ti ha rubato i sogni?»
«Mmmh?» aggiunse con voce distratta la ragazza, corrucciando le sopracciglia, come se cercasse di riportare alla mente qualcosa.
«Ho chiesto – ripetè Jimmy, sempre più rosso in volto – se una sfera ti ha rubato i sogni.»
Stephanie non diede segni di reazione, continuando a fissare il vuoto e a corrucciare le sopracciglia. Dopo cinque minuti buoni il ragazzo si alzò, pronto ad andarsene. Aveva fatto solo pochi passi verso la porta quando d’improvviso un’unica parola uscì dalle labbra della ragazza:
«Bianco… Tutto quel bianco…»
Jimmy si girò di scatto per guardarla: «Come hai detto? Ripeti per favore.» Ma lo sguardo della ragazza era di nuovo perso nel nulla assoluto, con le sopracciglia distese e un’espressione impassibile sul volto.
Rendendosi conto che ormai la ragazza era irraggiungibile, augurò la buonanotte e se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle. Nel giro di un minto fu di nuovo nella sua camera, dove già c’erano Mark e Gabriel, ai quali si unì nella conversazione, ignorando palesemente tutte le domande sulla conversazione di pochi minuti prima. Alla fine, verso le tre di notte, con la mascella che gli doleva e con le lacrime agli occhi per il troppo ridere, si addormentò. Come di consueto si ritrovò nel solito spazio bianco, dove una voce facilmente ignorabile gli suggeriva di cercare di muoversi. Come ormai aveva imparato a fare da poco, chiuse gli occhi e si rilassò. La solita sfera comparve, della solita opacità che la faceva risaltare nel bianco che c’era tutto intorno. Il solito vento che si alzava, era pronto a sentirsi trascinare via ed a risvegliarsi, quando all’improvviso avvertì una presenza, come se non fosse l’unico in quel posto. Quella presenza era come un insieme di sensazioni, visive, tattili, odorose, uditive, ma non riusciva a darci un nome. Improvvisamente si accorse di come il vento lo investisse in pieno, senza smuoverlo di un millimetro. Al sopraggiungere di questa consapevolezza scomparve l’altra presenza, e il vento lo sollevò in un attimo, gettandolo lontano dalla sfera, come di consueto.
 
Il giorno dopo le classi in gita diventarono la rappresentazione esemplare del detto: “La sera leoni e la mattina…”. Infatti tutti erano dotati un profondo paio di occhiaie e di un’espressione e di un incedere che ricordava senza molte approssimazioni quello degli zombie. La giornata passò rapidissima per Jimmy, preso nel vortice della gita dimenticò ben presto la stanchezza. L’unica cosa stonata durante la giornata fu una non troppo spiacevole sensazione di essere osservato.
Sensazione che trovò la sua conferma la sera, dopo cena, mentre il ragazzo si trovava momentaneamente da solo in camera (Mark si era allontanato con una ragazza che vantava parentele con un compagno di classe di un amico del ragazzo, mentre Gabriel era occupato nella hall nelle consuete chiamate a casa, per rassicurare i suoi, forse troppo, apprensivi genitori). Jimmy stava cercando il paio di ciabatte che la mattina, troppo rintronato dal sonno per fare una qualche azione anche solo lontanamente logica, aveva scagliato da qualche parte, quando sentì bussare alla porta. Pensando che Gabriel avesse terminato le chiamate, aprì la porta con un sorriso, sorriso che si trasformò in sorpresa quando al posto del ragazzo dinoccolato e biondo che si aspettava di vedere, si trovò davanti dei capelli corvini tagliati a caschetto.
«Ciao» disse esitante Stephanie
«Ciao» rispose stupito il ragazzo
«Ti secca se entro un momento?»
«Tutt’altro!» disse Jimmy, spostandosi da davanti alla porta, invitando Stephanie ad entrare.
«Ecco – iniziò titubante la ragazza – ieri sera, dopo che te ne sei andato, mi sono addormentata, e mentre sognavo – e a quella parola la ragazza rabbrividì visibilmente – mi sono ritrovata per la prima volta davanti ad una sfera di un bianco opaco, che mi ha spazzato via con una raffica di vento…»
«Succede anche a me, da un po’ di notti a questa parte»
«Si, però questa notte, prima di essere spazzata via dal vento, ho avvertito come una presenza, che sul momento non sono riuscito ad identificare, ma che stamattina, ripensandoci, corrispondeva di sicuro a te!»
A quelle parole la mente di Jimmy ritornò alle sensazioni provate la sera prima, e si accorse che collimavano perfettamente con Stephanie
«Sì – esclamò all’improvviso – anche a me è successa la stessa cosa ieri sera, e prima non mi era mai successa!».
«Sì beh – riprese la ragazza – dopo vari giorni stamattina mi sono alzata perfettamente lucida e riposata, come non mi succedeva da un po’».
Nel giro del successivo quarto d’ora (compresi anche i due minuti persi nel chiudere la porta in faccia a dei basiti Mark e Gabriel, che erano inopportunamente tornati) i due si informarono rispettivamente di tutto ciò che gli era successo, e di molto altro.
«Ma allora cosa possiamo fare? Voglio dire, non ho intenzione di tenermi vita natural durante un qualunque cosa sia quella roba nella mia testa che mi rubi tutti i sogni! Dobbiamo fare qualcosa!»
Disse Stephanie, piena di energie come non lo era da giorni
«Beh, la cosa interessante è che fino a ieri sera, cioè quando ho avvertito la tua presenza, non ero mai riuscito a resistere a quel dannato vento. Secondo me se riuscissimo a metterci in contatto in qualche modo potremmo raggiungere la sfera…» disse Jimmy
«Sì, ma una volta che cosa facciamo?» rispose Stephanie
«Non lo so, ma tentare non costa nulla, non trovi?»
«Va bene, però come facciamo a ritrovarci? Voglio dire, ieri a mala pena siamo riusciti a percepirci a vicenda…»
«Ecco – iniziò esitante Jimmy – mentre parlavamo un’idea mi sarebbe venuta in effetti…»

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Capitolo 6
*** INFORMAZIONI DI SERVIZIO ***


Salve a tutti voi! (e per voi intendo voi lettori che avete seguito questo mio racconto fino ad ora)

Vi scrivo questo messaggio per darvi una brutta notizia, ho infatti deciso di sospendere la scrittura di questo racconto che credo si potrebbe definire come il mio primo fallimento completo nel campo dei racconti.

Mi spiace per quelli di voi a cui questa storia piaceva, che magari volevano vederne la conclusione...

A loro e a tutti gli altri voi chiedo scusa, perchè non sono in grado di concludere questo racconto. E non sono in grado di concluderlo nè per mancanza di volontà (perchè ci ho provato in tutti i modi a continuarlo) nè per mancanza di tempo (perchè, anche se non abbondo di quello, ne ho abbastanza per scrivere), ma bensì perchè non mi piace la storia che io stesso ho scritto. Non mi piace per niente, e in questi casi credo sia doveroso prendere una pausa da questa storia.

Come potete leggere sopra ho detto sospendere, non terminare... questo perchè non so se un giorno, per qualche strano ghiribizzo, mi riprenderà voglia di scriverlo...

Nel frattempo, in attesa di quel momento, chiunque si voglia prendere l'incarico di proseguirla e di portarla a termine, sarà il benvenuto!

Detto ciò io vi saluto, dandovi appuntamento a presto per il primo capitolo di un mio nuovo racconto che pubblicherò nei prossimi giorni...

Ciao a tutti!
Saccuz

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