Gli stessi di sempre

di difficileignorarti
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Gli stessi di sempre



Ho ancora l’immagine impressa di quando in casa scoppiò una guerra,
il caos in testa e i tuoi abiti a terra.
E mentre il sole dalla finestra filtrava
una porta tra me e te si chiudeva e il buio su noi non cessava.
Tu eri brava a dirmi “stop” perché ero bravo a parole,
ma non parlavo col cuore infondo era solo rumore.
E ora che questo silenzio mi ammazza dentro
copro con le grida il presentimento di aver già perso pure avendoti perché tu non mi hai,
io perdo la pazienza e sparo mentre tu no mai,
mi incazzo come niente chiedendomi come fai
io sbaglio come sempre tu mi ami come non mai.
(Emis Killa; Gli stessi di sempre)
 
 
 
 
 
Prologo.

Per una ragazza girare di notte in uno dei quartieri più malfamati di San Francisco era pericoloso, se non peggio.

Per Emmeline, fortunatamente o sfortunatamente, dipende dai casi, non era così.

La gente sapeva che lei era la ragazza di una delle persone, considerata, dalla gente del posto, più pericolose del quartiere, se non di tutta la città americana; lui non era così.

Ma erano proprio loro ad avergli attribuito ciò.

Era stato preso in custodia per possesso di stupefacenti un paio di volte, ma il fatto è che lui non ne aveva mai fatto uso e le analisi del sangue lo avevano accertato; così fu rilasciato.

Lei non la pensava come loro; per lei, lui era un ragazzo uguale agli altri, con tanti problemi, con tanta rabbia addosso, che aveva passato la sua adolescenza con le persone sbagliate, cresciuto in mezzo alle persone sbagliate, che avevano contaminato la sua vita, la sua personalità, il suo essere.

Ma lui, per lei, era tutto; con lei era diverso, era normalissimo, in grado di donare amore, protettivo, geloso, dolce, affascinante, sexy, tremendamente sexy; oh si, eccome se lo era!

Con lui aveva scoperto un nuovo mondo, aveva scoperto cosa voleva dire essere libera ed indipendente, dipendere solamente dalle proprie scelte e da se stessa, non più dai genitori; era andata alla ricerca della sua persona, riscoprendone, poi, la vera lei: una ragazza forte e stronza fuori, ma debole ed innocente dentro.

E quando camminava per quelle vie sudice, ricoperte di pozzanghere e fango, dove i marciapiedi ospitavano senzatetto, probabilmente armati, ragazzi collassati per colpa di qualche sostanza stupefacente, o addirittura qualche cadavere, dove in lontananza si sentivano i suoni delle sirene della polizia o delle autoambulanze, o nelle stradine buie qualcuno le si avvicinava per venderle eroina,  lei non aveva paura, sapeva di essere, nonostante ciò, al sicuro, perché era stata la sua ragazza, e nessuno osava avvicinarsi a lei, per paura di ritrovarsi con le spalle al muro, o peggio, chiuso dentro ad una cassa di legno e seppellito sotto terra.

Anche se lei, in realtà, non era convinta del fatto che lui avesse questo coraggio: quello di uccidere.

Lo smog delle fabbriche e delle macchine contaminava l’aria, ogni giorno era sempre peggio, e di notte vedere quel fumo grigio invadere le strade e i vicoli non era per niente bello.

Non sapevi mai chi potesse esserci dall’altra parte: il nulla o qualcuno.

Ma in realtà, lei aveva paura, perché lui non c’era più da quasi un anno; se n’era andato, così, dal nulla, era sparito dalla sua vita senza lasciare traccia, ne un biglietto, ne una telefonata, ne una parola; niente.

Questo le aveva lacerato l’anima e distrutto il cuore.

Perché lei aveva lottato con i denti e con le unghie per portare avanti quella relazione, distruggendo il rapporto meraviglioso che aveva con i suoi genitori,  che non appena ebbero scoperto di quella malsana relazione la cacciarono di casa, costringendola ad affittare un piccolo appartamento, squallido e vecchio, insano, sporco; la cosa bella di ciò era essere con lui.

Erano insieme e niente e nessuno avrebbe potuto separarli.

Ma si sbagliava, perché lui non c’era ed era come se si fosse volatilizzato.

Ma le mancava, da morire; ma aveva comunque paura, perché ora che stava cominciando a vivere di nuovo, cercando, comunque, di lasciarlo da parte, lui sarebbe ricomparso, lei lo sapeva, se lo sentiva, che lui sarebbe tornato da lei, proprio quando tutto stava tornando alla normalità, quando il rapporto con i genitori era stato riallacciato, quando era riuscita a laurearsi, grazie al loro mantenimento universitario, quando aveva un lavoro, che se anche non le piaceva, bè, le permetteva di andare avanti, lui sarebbe tornato a sconvolgerle la vita di nuovo.

Perché è così che succede: nel momento in cui dimentichi una persona, o cerchi disperatamente di farlo, questa ritorna, mandando il tuo piano a puttane.

Quello che lei non sapeva, era che lui era tornato, e che la stava osservando da lontano.

 
*******

 
So di avere ancora una storia all'attivo, ma avevo una gran voglia di condividere con voi il prologo di questa mia nuova storia.
Tengo davvero molto a questa storia, mi piace tanto, e spero vivamente che possa piacere anche a voi.
Sono davvero molto curiosa di sapere le vostre opionioni :)


Se volete contattarmi, conoscermi o semplicemente fare due chiacchiere vi lascio qualche link:

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Un abbraccio e un bacio,

Montii.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


1.




 
Lui era tornato già da qualche mese, ma era stato bravo a non farsi beccare in giro.

Nessuno sapeva che era tornato a San Francisco, tranne il suo migliore amico.

Se ne era andato esattamente undici mesi prima, nel cuore della notte, mentre Emmeline dormiva profondamente, al suo fianco, arrotolata tra le lenzuola scure, quelle che avevano scelto assieme; le aveva lasciato un bacio sulla fronte ed era uscito silenziosamente dal loro piccolo appartamento.

Non le aveva lasciato un biglietto, non l’aveva svegliata, non voleva spiegargli il motivo della sua imminente partenza, perché lei sicuramente l’avrebbe convinto a rimanere e a fermarsi, perché lei lo amava e se ne fregava di quello che la gente pensava.

Lui, invece, stava cominciando a prendere di peso quelle parole, quelle che sentiva in giro, o quelle che qualcuno gli urlava in faccia, compresi i suoi amici: non sei adatto per lei; una come lei ha bisogno di qualcuno di migliore; non potrai mai darle niente, se non dolore.

Quelle stesse parole lo ferirono talmente tanto che decise di andarsene con il suo migliore amico, in giro per il mondo, a vedere quello che poteva offrire, e soprattutto provare a dimenticare la ragazza che lo aveva stregato.

Ma non ci era riuscito; le mancava ogni giorno, sempre di più.

Era come se pian pianino qualcuno gli togliesse l’ossigeno, e lui non riusciva più a respirare, e prima di morire lentamente, si era rimesso lo zaino in spalla ed era tornato.

Ora, davanti ad una tazza di tè fumante, decise di fare un salto nel passato, riguardando tutte le foto che teneva nascoste in una scatola, compreso l’annuario scolastico, proprio quando cominciò a notarla nei corridoi della scuola.

Non aveva mai notato quella ragazza dai capelli scuri e fin troppo lunghi, dalla piccola statura, minuta, ma con le forme al posto giusto e, casualmente o, forse, accidentalmente, era rimasta coinvolta in una delle tante risse che lui e il suo gruppo di amici scatenavano all’interno del cortile scolastico.

Era comparsa dal nulla, incazzata come una iena, furiosa, e per sbaglio le aveva tirato un ceffone in pieno volto; in quel momento si sentii un vero verme: aveva picchiato una donna.

Quegli occhioni scuri s’inumidirono velocemente, non tanto per il dolore, ma solamente per rabbia e nervoso, o forse umiliazione; se avesse potuto, lo avrebbe strangolato.

Per quel che lui sapeva, nessuno, ribadisco, nessuno, le aveva mai messo le mani addosso, nemmeno suo padre quando era una bambina capricciosa; e quello schiaffo che lui le tirò le face male, nel profondo.

Davvero non l’aveva mai notata tra i corridoi, o forse era troppo stupido da prendere in considerazione solo quelle che gli sbavavano dietro e che erano disposte ad andare a letto con lui, anche solo una sveltina nei bagni; mentre lei, Emmeline, era una ragazza solitaria, che amava leggersi un libro e fumarsi una sigaretta, una Marlboro Rossa, sotto ad un albero durante la pausa pranzo, una ragazza che non aveva mai provato nessun genere di droga, che non si era mai fumata una canna, che non beveva superalcolici ma solo birra.

Era semplice lei, e a lui le cose, comprese le ragazze, semplici non erano mai piaciute.

Ma lei, maledizione, lei era diventata indispensabile nella sua vita; ogni giorno, da quello schiaffo, la cercava tra i corridoi, in mezzo agli altri ragazzi, voleva parlare con lei, chiederle scusa, cosa che non aveva praticamente mai fatto, e magari diventare suo amico.

Un giorno l’aveva trovata sotto il solito albero, mentre rileggeva l’ultima lezione, con le cuffie nelle orecchie e la sua amata sigaretta tra le dita, e lui era rimasto li, a osservarla, come un’idiota, ad ammirarla come se fosse la creatura più bella che lui avesse mai visto; ed era così, lui la vedeva così.

Era la sua Dea; sua e di nessun altro.

Erano diventati una coppia il giorno del diploma, sotto gli occhi increduli di tutta la scuola, e quelli sconvolti delle ragazze che sbavavano dietro a lui.

Ci aveva messo mesi a conquistarla, questo se lo ricordava bene; solitamente Em non gli dava nemmeno il tempo di parlare e lo liquidava con qualche occhiataccia, o semplicemente si girava dall’altra parte e se ne andava, lasciandolo li, come uno scemo.

Per lui era tutto nuovo; non aveva mai avuto una ragazza fissa, solo brevi avventure, ma per lei avrebbe fatto tutto, e impegnarsi in quella relazione era una parte di quel tutto; se avesse potuto, le avrebbe regalato un anello di brillanti, ma non poteva permetterselo; stronzate.

Lui le avrebbe regalato la Luna, con tutte le stelle.

Al contrar suo, Emmeline veniva da una famiglia benestante che, nonostante la scoperta della loro storia, l’ha sempre aiutata economicamente, e con l’Università; anche se i rapporti erano diventati un disastro, per quello era stata cacciata da casa e insieme avevano affittato quel sudicio appartamento; era quello che potevano permettersi.

Ma quello era il loro piccolo nido, ed era bellissimo.

Avevano convissuto tre anni in quel postaccio, prima che lui partisse e la abbandonasse.

Dio solo sa quanto avesse pianto, una volta su quella vecchia macchina appartenente al suo migliore amico; e piangeva un po’ tutti i giorni, sfiorando una foto che li ritraeva felici e sorridenti; era la sua foto preferita quella, la portava sempre con sé, all’interno del suo portafogli.

In quella scatola, oltre alle loro foto, all’annuario, c’erano anche quelle fedine che era riuscito a comprare facendo qualche lavoretto; si ricordava come se fosse ieri, quando gliela mise al dito, la felicità di lei, e il suo cuore colmo di gioia; era il simbolo della loro unione.

Gliel’aveva restituita, lasciandola a sua madre, e tra le lacrime quest’ultima l’aveva lasciata al figlio.

Con la manica della felpa si asciugò le lacrime, accolte dal suo viso, ormai, stanco e sciupato; lui era tornato per lei, ma chissà se lei sarebbe stata disposta a riaverlo.



 
*****
 

Qui c'è il primo capitolo.
Come potete vedere, il nome del personaggio maschile non è ancora venuto fuori; lo scoprirete nel prossimo capitolo u.u
Intanto ringrazio di cuore chi la sta leggendo e chi lascia le recensioni!
Le vostre opinioni sono molto importanti per me.


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Montii.

 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


2.



 
Tenderloin era un quartiere storico, ricco di hotel conservati intatti fin dai primi anni del ventesimo secolo; nacque dopo le devastazioni del terremoto d’inizio Novecento, e la maggior parte degli alberghi furono costruiti per accogliere le vittime del disastro; le condizioni squallide, i senzatetto, la criminalità, lo spaccio di droga, i tossici, chiamati crackheads,  la prostituzione, gli oltre sessanta negozi di liquori e i locali di spogliarelliste davano al quartiere una reputazione poco lusinghiera.

Quegli stessi alberghi furono poi convertiti in abitazioni per famiglie con un reddito minimo; e proprio qui gli affitti erano bassissimi.

Un quartiere ricco di alcolizzati, mendicanti, barboni, delinquenti e drogati, che ospitava solo edifici fatiscenti, negozi indecenti, corner stores, sexy shop e strip club; questo era quello che presentava il quartiere, e anni addietro proliferavano anche gang di strada.

Oggi non era più lo stesso quartiere, o meglio, oltre alla scossa psicologica che si poteva subire, di pericolo c’era rimasto ben poco.

E in quello stesso quartiere qualcuno mormorava sul fatto che lui fosse tornato a Tenderloin, dove avevano vissuto e dove lei continuava a vivere.
Solitamente non dava peso alle chiacchiere futili della gente, ma quei mormorii e quelle parole aumentavano di giorno in giorno, ed Emmeline aveva ripreso a guardarsi intorno, alla ricerca di quello che era il suo ragazzo, o il suo compagno.

A dir la verità lei nemmeno voleva incontrarlo; oltre a ciò che non sarebbe riuscita a dirgli, avrebbe voluto riempirlo di schiaffi; era, forse, l’unica cosa che si meritava.

Perché era tornato?

Emmeline non si sapeva ancora spiegare la sua fuga improvvisa, figuratevi se poteva immaginare il perché del suo imminente ritorno.

La ragazza passò davanti ad uno dei tanti locali aperti nella notte americana, dove c’erano flotte di giovani che attendevano di entrare, strepitanti e ansiosi.

Anche lei c’era stata una volta, ma non era stato proprio di suo gusto, essendo abituata ad altro, e lì il suo ragazzo voleva farla provare il narghilè, ma lei rifiutò energicamente; forse in quel momento se la sarebbe fatta volentieri una fumata.

Si era sempre domandata come il suo ex ragazzo fosse riuscito a vivere lì per tutto quel tempo; a lei era venuta l’ansia e il terrore già la prima volta che aveva messo piede in casa sua, quando le aveva fatto conoscere sua madre, Simone, una donna di buon animo e generosa, sempre pronta ad accoglierla a braccia aperte; ancora oggi.

Nemmeno lei sapeva niente del figlio.

Si strinse nella sua felpa larga e pesante quando una folata di vento le fece venire i brividi.

Era freddo, molto, le temperature erano veramente basse, e alla vista di un paio di prostitute sul ciglio della strada, si chiese come facessero a rimanere li, tutta la notte, con quegli abiti succinti, quando lei aveva freddo con tutto quello che indossava.

Un’altra domanda cui non era riuscita mai a rispondere era il perché la gente definiva lui una delle persone più pericolose del quartiere, quando non era un criminale e nemmeno un tossico.

Era un attaccabrighe, su questo non c’erano dubbi, interveniva quando ce n’era bisogno, ma non era pericoloso; forse la gente pensava che fosse uguale a suo padre, un assassino, uno spacciatore, che decise di uccidersi davanti ad un gruppo di bambini, compreso suo figlio.

Lui non era come suo padre, non lo sarebbe mai stato, e lei lo sapeva bene.

Nonostante l’odio e la rabbia che provava nei suoi confronti, non riusciva a non difenderlo e a pensare a tutte le cose positive che, in fondo, aveva fatto.

Quella sera decise di passare per uno di quei vicoli bui, pensando di non trovare nessuno; non aveva voglia di girare mezzo quartiere a piedi per arrivare al suo appartamento.

«Guarda, guarda» una voce fredda, sadica, le fece rizzare i capelli e sgranare gli occhi; aveva quasi paura che le uscissero fuori dalle orbite. «Si dice che il tuo ragazzo sia tornato, dolcezza» si ritrovò ad accelerare il passo, ma finì contro qualcuno che la bloccò contro il muro, impedendole di uscire. «Non avrebbe dovuto lasciarti sola» continuò quella persona davanti a lei, che non riuscì a vedere, per colpa del buio pesto e dal cappuccio pesante che copriva gran parte del suo volto. «Non ti ha mai detto che questo non è posto per le belle fanciulle? Girare da sola, poi!» il ghigno malefico che comparve sul suo viso, la spaventò a morte.

Oh eccome; più di una volta le aveva detto di non passare per nessuna stradina stretta, buia, soprattutto di notte; e mentalmente si prese a pugni, per non aver fatto il solito percorso, sotto la luce dei lampioni e le insegne colorate dei locali.

Cominciò davvero a temere il peggio quando la mano del suo aggressore circondò il suo collo, senza stringere, mentre con l’altra mano le carezzo la guancia; si lasciò toccare, trattenendo le lacrime, pregando che quell’uomo non le fece niente di male.

«Toglile le mani di dosso immediatamente» entrambi si voltarono quando sentirono quella voce.

Emmeline credeva di sognare, o di essere dentro un incubo; lui era li, e la stava salvando, per l’ennesima volta.

«Oh ma guarda, ti è venuto a salvare» rise in modo spaventoso la persona che aveva davanti; la lasciò andare e la spinse verso il suo salvatore. «Sei patetico, Kaulitz, lasciatelo dire» scomparve dal vicolo, lasciandoli soli, avvolti nel buio e nel fumo.

Lei ancora guardava davanti a se, incredula di quello che l’era appena successo, di quello a cui era scampata: uno stupro e una probabile morte.

Il calore delle sue mani le scaldò tutto il corpo, e con dolcezza la costrinse a voltarsi.

«Ehi» lo sentì mormorare a poca distanza dal suo viso, mentre la fissava con adorazione e amore, come solo lui sapeva fare.

Non rispose, non ne ebbe il coraggio; lei voleva solo insultarlo, prenderlo a schiaffi, e invece non riusciva nemmeno a muoversi, incapace di distogliere lo sguardo dai suoi occhi color cioccolato.

Non appena sentì i suoi polpastrelli toccare la sua guancia, ebbe come la sensazione che volesse cancellare il tocco rude di quella persona a lei, a loro, sconosciuta, come a volerla pulire dallo schifo.

«Torna a casa, piccola, è tardi» strinse ancora una volta le sue mani, prima di lasciarle un soffice bacio sulle labbra e andarsene, dandole le spalle, e sparendo tra la foschia creata dallo smog.

Ma lei rimase li, con gli occhi sgranati, ancora incredula, ma non appena si toccò la guancia, capì che non era un sogno, ma la pura realtà.

Tom.

 
*****
 
Finalmente è venuto fuori il nome  del personaggio maschile; ve lo aspettavate?
Bè non c'è molto da dire, dal prossimo capitolo si entrerà nel vivo della storia.
Che dite, me la lasciate una piccola recensione? Certo, non siete obbligate/i, però a me farebbero molto piacere, ewe.

 
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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Vorrei che arrivaste fino in fondo.
Grazie.

***



3.



 
Anche quella sera l’aveva seguita nella notte, rimanendo a debita distanza per non farsi vedere.

Tom non si sentiva anche pronto a venire allo scoperto ed affrontare una discussione con Emmeline, non aveva proprio il coraggio, così preferiva pedinarla e guardarla da lontano, beandosi di lei.

E quando l’aveva vista infilarsi in un vicolo buio, accelerò il passo e la salvò da una orribile fine, venendo allo scoperto; ma alla fine aveva preferito così, evitando poi di andare a trovarla al cimitero.

Lui sapeva bene chi era quell’uomo; era ricercato da anni dalla polizia, era un predatore sessuale, violentava le sue vittime e poi le uccideva, e la sua Em poteva essere una di loro; ma proprio gli sbirri non erano ancora riusciti a prenderlo e a sbatterlo dentro, spariva nel nulla.

Aveva continuato a seguirla anche le sere successive, come faceva da mesi, ma la scena che gli si parò davanti una di quelle notti, lo congelò, distruggendo il suo cuore.

Non poteva credere di averla vista assieme ad uno sbruffone, un figlio di papà, uno di quelli che le aveva sempre fatto il filo, ma che lei, invece, non calcolava, perché aveva occhi solo per lui; il suo lui.

Li aveva osservati cenare, la vedeva ridere con lui, la vedeva spensierata, come non lo era mai stata con lui, lo aveva visto baciarla, li aveva visti abbracciarsi, tenersi per mano, ma soprattutto l’aveva vista felice.

Ed ora lui si trovava li, a buttare i suoi abiti dentro lo stesso borsone che lo aveva accompagnato in giro per il mondo, intenzionato a scappare, ad andarsene di nuovo; perché gli altri avevano ragione, lui non avrebbe mai potuto competere con uno come Liam; lui era bello, ricco, potente, sapeva farla stare bene.

Ma quello che lui non sapeva, era che lei era ancora innamorata di lui, non aveva mai abbandonato i suoi pensieri, e mai lo avrebbe fatto; era il suo amore e sempre lo sarebbe stato.

Non appena scese le scale e aprì la porta di casa, il suo cuore perse un battito, forse più di uno, forse smise proprio di battere; Emmeline era davanti a lui, in tutta la sua piccolezza e bellezza.

Era così tenera e dolce.

Si guardarono per istanti che parvero infiniti; nessuno dei due aveva il coraggio di parlare, di iniziare un discorso serio, una discussione.

«Ero sicura di trovarti qui» cominciò lei dopo aver deglutito quello che sembrava essere un masso. «È dalla sera che mi hai salvato che ti sto cercando, Tom» continuò facendo un passo avanti. «Mi sembrava doveroso ringraziarti» sorrise tristemente, cominciando a giocare con una ciocca di capelli, sfuggita dalla coda scomposta che si era velocemente fatta. «Dove stai andando?» solo allora parve essersi accorta del borsone che Tom aveva e i suoi occhi si dilatarono dallo spavento. «Stai scappando di nuovo?» mormorò, riportando gli occhi sui suoi, e li vide umidi, come vide le lacrime cominciare a solcarle il volto. «Perché?» soffiò disperatamente.

Tom non poteva vederla soffrire così, non sarebbe dovuto tornare, sapeva che l’avrebbe ferita solamente.

La invitò ad entrare, prendendola dolcemente per un braccio e chiudendo la porta dietro la sua piccola figura.

«Sto scappando di nuovo, si hai ragione» mormorò lui, rimanendo dietro di lei. «Eviteremo entrambi di soffrire, Em» a quel punto lei si voltò, non capendo le sue parole, non capendo ciò che voleva dirle. «Ti ho vista felice, come non lo eri mai stata con me» soffiò, avvicinandosi a lei, sovrastandola in altezza e la vide tremare violentemente. «Con Liam» concluse, sbottando il suo nome.

Lei chiuse gli occhi e abbassò la testa, torturandosi la manica della felpa, evitando di crollare emotivamente davanti a lui.

«Non è una presenza importante nella mia vita, non come lo sei stato tu, come lo sei» balbettò in un sussurro. «Tu non hai la minima idea di quanto io possa aver pianto in questi mesi, quanto mi sentissi sola, abbandonata dalla persona che amavo» riportò l’attenzione su di lui; ora non stava piangendo, bensì stava cercando di trucidarlo con lo sguardo. «Perché te ne sei andato quella maledetta notte? Perché mi hai lasciata sola a me stessa? Mi hai uccisa, Tom» mormorò tagliente, sputando fuori il suo dolore.

Tom abbassò lo sguardo, sentendosi sempre più in colpa; erano undici mesi che si portava dentro quel peso assurdo che lo faceva star male; sapeva di averla ferita in una maniera assurda, ma mai avrebbe immaginato di averla uccisa, proprio come lei stava affermando.

Lasciò scivolare il borsone sul pavimento, provocando un tonfo sordo che la fece sobbalzare.

«Voglio sapere perché te ne sei andato e, soprattutto, perché sei tornato» la sentì mormorare prima di trovarsela di fronte, a pochi passi.

La osservò a lungo, perdendosi in quegli occhi che tanto amava, che tutte le notti immaginava; li vedeva sempre felici, mentre ora erano spenti, carichi di dolore ed inondati di lacrime.

Lui non poteva vederla così, era un sofferenza troppo grande, ma era colpa sua, solo sua.

«Non l’ho fatto perché non ti amavo più, piccola» riuscì a mormorare dopo un tempo infinito, mentre lei chiudeva gli occhi a quel nomignolo. «Pensavo che senza di me saresti stata meglio» spiegò, gesticolando appena.

Quella risposta fu come uno schiaffo in pieno viso per Emmeline, tant’è che alzo di scattò la testa, cercando di incenerirlo con la sola forza del pensiero.

«Tom ti rendi conto di quale stronzata hai appena detto? Ti ho mai dato l’impressione di una che non era felice al tuo fianco?» gli urlò contro, continuando a piangere. «Rispondimi, maledizione!» urlò di nuovo, spingendolo appena, mentre lui chiuse gli occhi accusando il colpo, senza, però, rispondere. «Prima sorridevo ogni giorno, ogni istante della giornata, ora non lo faccio più, da quando te ne sei andato, io non sono più me stessa, Tom» continuò, visto che lui non aveva voglia di degnarla di una parola. «Quella mattina quando mi sono svegliata e non ti ho trovato, pensavo fossi uscito, ma poi ho aperto il nostro armadio e la tua roba era sparita» singhiozzò di nuovo, ormai devastata, e lui allungò le braccia per stringerla, ma lei si rifiutò, facendo qualche passo indietro. «Ho cominciato a farmi mille domande, chiedendomi cosa ti avessi mai fatto, cosa ti avesse spinto ad andare via da me, dalla nostra relazione, e soprattutto perché non mi avevi detto nulla» portò lo sguardo sulle sue scarpe bagnate e sporche di fango, trovandole, improvvisamente, interessanti. «Io ti amavo così tanto, non ho ancora smesso di farlo e credo che mai lo farò, Tom, ma ho bisogno, necessito, di spiegazioni» pianse ancora, cercando lo sguardo di lui, che trovò, e capì che era distrutto, un po’ come lei. «Ti prego» soffiò di nuovo.

E lui capì.

Capì che doveva darle delle spiegazioni, doveva dirle il fottuto motivo che l’aveva spinto ad andarsene.

Sospirò pesantemente, cercando di mettere insieme i duemila pensieri che affollavano la sua mente.

«Non volevo lasciarti, non me sono andato per te» cominciò, mormorando e cercando il suo sguardo che, però, non trovò. «Avrei voluto portarti con me, a dir la verità» sorrise tristemente, guardando il vuoto. «Mi hai sempre detto di non dare ascolto alle parole della gente, ma io ad un certo puto non ce l’ho più fatta» continuò, trovando lo sguardo confuso di Emmeline. «Ho cominciato a credere che avessero ragione» chiuse gli occhi, reprimendo le lacrime. «Tutti dicevano che non ti avrei mai reso felice, che non avrei mai potuto darti la vita che meriteresti, e non facevo altro che pensarci, così sono partito» si morse il labbro inferiore, mentre lei fece un paio di passi avanti, riavvicinandosi a lui. «Ma sono tornato, per te, per noi, per la nostra relazione e la nostra vita insieme» portò una mano sulla guancia di lei, accarezzandola e sorridendo tristemente. «Sei veramente felice con lui?» chiese, con il timore di sapere la verità.

Lei scosse la testa, poggiando la sua piccola mano su quella di Tom.

«Liam ci prova con me da prima che io e te stessimo insieme, e alla tua partenza ne ha subito approfittato, senza ottenere niente» mormorò, non distogliendo lo sguardo da quello di lui. «Quando mi ha baciata, ci sono rimasta male ed ero schifata» Tom ridacchiò lievemente nel vedere la smorfia che Em fece. «Tu sei l’unico importante, sei l’unica persona che amo e, ti giuro, non amerò mai nessun’altro come amo te» mormorò lei, mentre dai suoi occhi, lacrime salate avevano ripreso a scendere. «Anzi, so per certo che l’unico che amerò sarai tu, quindi non pensare a ciò che la gente dice, sono tutte stronzate, Tom, tutte, dalla prima all’ultima» sorrise, continuando a stringere la mano di lui sulla sua guancia.

Lui parve scioccato; non si aspettava una reazione simile da parte sua.

Non poteva credere ai suoi occhi e alle sue orecchie, tant’è che si chiese più volte se stesse sognando.

«Vuoi tornare con me, piccola?» chiese ancora sconvolto, ad occhi sgranati. «Nonostante io me ne sia andato via, abbandonandoti in questo posto, con questa gente da manicomio?» scosse la testa, ridacchiando lievemente, avvicinandosi ulteriormente a lei. «Cosa ho fatto per meritarti?» mormorò dolcemente, poggiando la fronte su quella di lei che, ancora tra le lacrime, sorrideva felice.

«Avevo deciso di riempirti di insulti, di prenderti a schiaffi, ma ti amo troppo per farlo» cinse il collo di lui con le braccia, mettendosi in punta di piedi. «Ti amo Kaulitz, ricordatelo» soffiò dolcemente, prima di annullare ogni tipo di distanza, e riassaggiare, come voleva, quelle labbra, che tanto amava, e che tanto aveva sognato nei mesi scorsi.

Il sorriso sciocco che apparve sulle labbra di Tom e su quelle di Emmeline era troppo bello per essere cancellato.

Tom aveva paura di perderla definitivamente, ma invece l’aveva ritrovata, e se la sarebbe tenuta stretta al suo fianco, ed era pronto ad andare contro tutti per lei.

Erano di nuovo insieme e questa volta nessuno, o forse, avrebbe potuto dividerli.



 
******

 
Non ero molto sicura di pubblicare, se devo essere sincera.
Vorrei un vostro parere: devo continuare questa storia o devo cancellarla?
A me piace particolarmente, ma a quanto pare non è così per voi.


Montii.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


4.




 
Liam Spencer era il ragazzo che tutte avrebbero voluto; in realtà lui ne voleva solo una, proprio quella che non ricambiava nemmeno una minima parte di quello che provava lui: Emmeline Evans.

Le aveva provate tutte con lei, ma niente aveva funzionato, e ora che era tornato il suo ex, Tom Kaulitz, suo acerrimo nemico, sapeva di non avere più nessuna possibilità.

Ma chi era veramente Liam?

Oltre alla bellezza esagerata, il classico biondo, con gli occhi chiari e vispi, un accenno di barba e i denti perfettamente bianchi, nella sua biografia doveva esserci scritto esattamente quello che la gente pensava di Tom: la persona più pericolosa di San Francisco.

Nessuna sapeva quello che si nascondeva dietro a quel sorriso e a quegli occhi incantevoli.

Spaccio di droga, traffico illegale di armi, prostituzione, criminalità, mandante di un centinaio di omicidi; questa era la sua seconda vita, quella che aveva durante la notte; mentre durante il giorno era un normalissimo studente universitario, tirocinante presso uno studio legale, proprio quello che voleva diventare: un avvocato.

Più di una volta aveva cercato di mandare al fresco Tom, ma ne era sempre uscito vivo, anche grazie alla dolce e fedele compagna: Em.

Faceva tanto l’ingenua, ma era più sveglia ed intelligente di qualsiasi altra persona.

E questo faceva sorridere Liam; loro due insieme avrebbero potuto fare scintille, ma lei stava dalla parte del perdente, dal ragazzo dei bassifondi.

Bè, forse non aveva tutti i torti, la sua seconda vita era pessima per una brava ragazza come lei.

«Se ti avvicini di nuovo ad Emmeline, ti faccio fuori personalmente!» gridò contro l’uomo che nel vicolo si avvicinò alla ragazza. «Ti avevo detto di fare fuori quel pezzente, non lei!» spinse Sebastian contro al muro, ma lo lasciò andare subito dopo.

«Ma come si fa a non avvicinarsi a quel bocconcino» ghignò maleficamente, osservandolo. «Kaulitz è fortunato ad averla, capo» mormorò subito dopo, beccandosi diverse fulminate da parte di Liam. «Cosa dovrei fare adesso?» chiese successivamente, sospirando.

«Aspetti il mio prossimo ordine, ma non ti azzardare mai più ad avvicinarti a lei!» gli diede un busta gialla, dove c’erano dei soldi e lo liquidò velocemente.

Buttò lo sguardo fuori dalla finestra del salotto di casa sua, e si mise la mani in tasca.

Odiava Tom Kaulitz con tutto se stesso; non solo perché aveva la donna che voleva lui, ma anche perché più di una volta lo aveva fatto sentire inferiore, si era preso gioco di lui in tutti i modi, e così si era sempre ripromesso che gliela avrebbe fatta pagare, ma fino ad adesso non ci era riuscito, gli era sempre andata bene.

Per avere Emmeline avrebbe fatto di tutto, compreso uccidere Tom.

 

***


«Sei così bella, piccola» miagolò dolcemente all’orecchio di lei, stringendola al suo petto, dopo essersi ritrovati, dopo aver fatto l’amore.

La sentì ridere divertita, prima di rotolare via da lui, per nascondere l’imbarazzo.

«Sei il solito bugiardo, amore» soffiò lei, sempre più rossa in viso, poco prima di sentirlo al suo fianco.

La strinse a se, il più vicino possibile, così da poter inebriarsi del suo profumo e dell’odore della sua pelle.

Quelli erano, in assoluto, i profumi che più amava al mondo.

«No, non sono un bugiardo, ti ho sempre detto la verità» mormorò prima di morderle dolcemente il lobo dell’orecchio. «Mi sei mancata terribilmente» aggiunse, questa volta guardandola negli occhi che si mostrarono più grandi del solito, lucidi e stanchi.

«Anche tu» soffiò lei subito dopo, prima che le loro labbra si toccassero di nuovo.

Finirono per legarsi ulteriormente, erano un intreccio di gambe e braccia; rotolarono sul letto finché lei non finì sopra di lui, avvolta dalle sue possenti braccia.

Le mani di lei si poggiarono sul petto di lui; mentre le mani di Tom viaggiavano leggere sulla sua schiena, disegnando qualcosa di astratto e sconnesso, e tra i suoi lunghi capelli.

Tutto di Emmeline gli piaceva, anche le più piccole imperfezioni, come potevano essere quei nei che lei non sopportava, quella piccola voglia di “caffè” tra la valle dei seni a cui era affezionata, e qualche minuscola smagliatura che nemmeno si vedeva; non avrebbe cambiato niente di lei e non avrebbe voluto nessun’altra donna: solo la sua dea.

Ai suoi occhi era sempre bellissima e lo sarebbe sempre stata.

«Mi prometti una cosa?» gli chiese lei, adagiandosi del tutto sul suo corpo marmoreo, mentre lui strinse le mani di lei tra le sue, baciandone i dorsi con dolcezza.

«Tutto quello che vuoi, piccola» sorrise, facendola sciogliere come un cubetto di ghiaccio al sole.

Lei amava quel sorriso perfetto, dolcissimo, ma sempre con una piega maliziosa; quella non gliela avrebbe tolta nessuno.

«Non lasciarmi più» mormorò, sentendo improvvisamente un nodo in gola. «Se un domani te ne dovessi andare, voglio venire con te» continuò, mentre Tom la guardava rapito. «Non voglio morire di nuovo» finì, attendendo impaziente una risposta dal suo ragazzo.

«Non lo farò, piccola mia» la rassicurò, accarezzandole una guancia. «Rimarremo insieme, qualsiasi cosa accada» continuò, facendola sorridere teneramente.

«Ti amo» sussurrarono contemporaneamente, prima che i loro corpi tornassero ad unirsi, diventando un’unica cosa, per la seconda volta in poco tempo.

Ben presto, la vecchia stanza di Tom si riempì di sospiri e gemiti strozzati.


 
*****
 

Questa storia non vi piace proprio per niente, eh? c.c
Sono dispiaciuta per questo, non volevo cancellarla, ci tenevo ad arrivare fino in fondo, ma a questo punto non so più cosa fare.

Montii.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


5.




 
Nonostante Emmeline odiasse il quartiere in cui viveva, amava San Francisco, in tutte le sue sfumature.

Gli abitanti la chiamavano amorevolmente Frisco; fu la città simbolo degli Hippie e della controrivoluzione giovanile degli anni Sessanta, ed era diventata il cuore pulsante di una rinascita culturale guidata dall’arte e dal design.

Emmeline era veramente legata alla sua terra e forse anche per questo motivo decise che dopo il college avrebbe frequentato l’Università, scegliendo la facoltà di Arte, al City College Of San Francisco; e li si era laureata nei mesi precedenti; aveva passato cinque anni a studiare la storia dell’arte, l’unica materia che l’affascinava in maniera incredibile.

Il suo sogno, che probabilmente si sarebbe realizzato a breve, era di lavorare a Los Angeles, al Los Angeles County Museum of Art; è uno dei più grandi, con quasi un milione di visitatori all’anno che possono compiere come un tuffo nell’arte, da quella preistorica a quella contemporanea.

Em era stata li durante gli studi, e ne rimase talmente colpita da decidere, su due piedi, di voler lavorare li da grande; e una volta finita l’Università mandò loro un curriculum.

E aspettava con ansia quella risposta, per lei era di vitale importanza.

E così si trovava a lavorare al War Memorial Opera House, come semplice bigliettaia, e questo lo odiava, ma era l’unico lavoro più decente che avesse trovato; in molti le avevano offerto lavoro come lavapiatti, badante di anziani, cameriera in un Fast Food e ballerina in uno strip club.

Aveva sempre rifiutato perché era una ragazza molto attiva, senza contare che odiava ogni offerta ricevuta, e all’Opera House lavorava solamente alla sera; per lei era perfetto solo per quel motivo.

Si fissò le mani, un po’ screpolate per colpa del freddo, mentre aspettava il suo ragazzo, Tom, all’entrata del teatro; la stava andando a prendere, come non accadeva da troppo tempo, e si ritrovò a sorridere emozionata, ancora incredula di averlo ritrovato e di averlo di nuovo al suo fianco.

Ora per lei era tutto perfetto, mancava solo lui a completare il puzzle della sua felicità.

Aveva voglia di scoprire tutto quello che aveva fatto in questi mesi lontano da lei, dato che nel pomeriggio precedente avevano recuperato il tempo perso a fare l’amore, ad amarsi come non avevano mai fatto, e questo pensiero portò la ragazza ad arrossire lievemente.

Solitamente non si vergognava quando ripensava alle loro nottate, ma quella precedente era stata più passionale del solito, appartenersi di nuovo dopo tanto tempo, per lei era come appartenersi per la prima volta; amava Tom in tutte le sue cinquecentomila sfumature, amava il modo in cui la trattava, come si preoccupava per lei; lui era l’unico ragazzo che la conoscesse veramente, sapeva tutto di lei, ogni piccola sfaccettatura della sua vita e dei suoi gusti.

Non vedeva l’ora di vederlo arrivare su quella vecchia Mustang color antracite; si chiedeva sempre come potesse andare ancora; era veramente vecchia, quasi un rottame, ma Tom si occupava di quel suo piccolo gioiello, era sempre pulita e perfetta, come se fosse nuova.

Era stanca quella sera; l’unica cosa che voleva, era abbracciare il suo ragazzo e dormire tra le sue braccia, come facevano sempre, quando Emmeline tornava a casa dal lavoro; oppure passavano qualche ora a chiacchierare sul divano, mangiando gelato o qualche schifezza.

Voleva Tom, voleva le sue mani, voleva le sue labbra, e lo voleva li con lei.

«Ciao meraviglia» si voltò velocemente, trovandosi davanti Liam, con un mazzo di rose rosse tra le mani, e l’unica cosa che riuscì a fare fu sgranare gli occhi, sorpresa: era l’ultima persona che voleva vedere. «Mi sei mancata, sai?» mormorò lui, avvicinandosi e cercando di poggiare le sue labbra su quelle di lei.

Emmeline si allontanò disgustata e con sguardo corrucciato.

«Stalle lontano» a quella voce chiuse gli occhi e sorrise, prima di voltarsi verso Tom, che l’aveva raggiunta e l’aveva stretta tra le sue braccia, proprio come lei amava. «Non voglio più vedere le tue luride mani o le tue labbra avvicinarsi alla mia ragazza, sono stato abbastanza chiaro, Spencer?» gli chiese con durezza, con l’odio negli occhi, senza staccare le mani dal corpo di Emmeline.

Liam fece una smorfia, porgendo i fiori alla ragazza che, però, non accettò.

«Sei tornata con questo pezzente?» le chiese, indicando Tom come se avesse la lebbra o fosse un mostro uscito da un film dell’orrore. «Ti ha fatta soffrire e ti ha abbandonata! Pensavo avessi un minimo di cervello, Em!» le disse e lei si offese, lanciandogli uno sguardo di puro odio.

«Sempre meglio uno come Tom, che uno stronzo, arrogante e depravato come te!» sbottò, intrecciando le dita con quelle del suo ragazzo.

Tom trattenne una risata, posandole un bacio sulla testa.

«Non ti darà mai niente, non quel che ti meriti! Qui fuori c’è una limousine che ci aspetta, è pronta a portarti dove vuoi» mormorò il biondo, cercando di convincerla, ma lei si infastidì ulteriormente.

«Non me ne faccio niente di limousine, rose rosse, champagne, soldi e locali lussuosi!» disse sprezzante, osservandolo. «Se posso essere rispettata e amata, questo è sufficiente, non me ne faccio niente di tutte quelle cose materiali e da ricconi» cercò di trascinare Tom verso l’uscita, ma quest’ultimo si voltò nella direzione di Liam.

Puntò un dito contro i preziosi fiori che ancora il biondo stringeva tra le mani.

«Dici tanto di essere migliore, di amarla, ma non sai nemmeno quali siano i suoi fiori preferiti» ridacchiò, facendo infuriare il biondo. «Vergognati, e sparisci dalle nostre vite» gli disse acidamente, uscendo, finalmente, dal teatro.

Emmeline gli allacciò le braccia al collo, mettendosi sulle punte, e lui la osservò con un sorriso dolce sulle labbra, prima di sfiorare il naso di lei con il suo.

La ragazza ridacchiò, e gli lasciò un soffice bacio sulle labbra, prontamente ricambiato.

«Non sono mai stata così contenta di vederti» mormorò la giovane, ora appoggiata alla fiancata dell’auto di Tom. «Mi sei mancato proprio» lui ridacchiò, baciandole il dorso della mano con delicatezza.

 «Devi stare tranquilla, ci sono e ci sarò sempre io a proteggerti, è il mio compito, piccola» sussurrò sulla sua pelle, facendola rabbrividire. «Prima di andare a casa vorrei portarti da qualche parte, ti va?» le chiese, invitandola a salire a bordo della sua auto.

Era stanca, sì, ma per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa, e in quel caso, il letto avrebbe aspettato.

Annuì con il sorriso sulle labbra.


 
***


Avevano passeggiato mano nella mano per un po’ bel po’, nel quartiere di Mission District, uno dei preferiti di Emmeline, uno dei quartieri più interessanti e diversificati, soprattutto perché l’arte, che era parte di lei, era qualcosa che si respirava nell’aria, anche soltanto passeggiando, dove tantissimi murales decoravano le case, le banche e i ristoranti, raccontando la vita quotidiana dell’America di ieri e di oggi.
 
L’arte è ovunque, non solo sulle strade, ma anche ai vostri piedi.
 
Era una frase che l’insegnante di Em ripeteva spesso, e le era rimasta impressa, e se ne sarebbe ricordata sempre.

Avevano preso dei nachos al formaggio, dei tacos messicani, due birre e qualche ciambella al cioccolato, in una delle tante bancarelle che si trovavano lungo la strada, e appoggiati a un muretto si erano goduti quello spuntino serale, accompagnato dalla musica del vivo, dove i marciapiedi ospitavano performance di avanguardia artistica.

Da quando lui era partito, non era più stata li, perché loro due, insieme, erano soliti andarci, passare delle ore li, a bere birra e ascoltare musica, e ora si ritrovava contenta; le piaceva molto, ma senza Tom non ci sarebbe tornata, proprio perché era stato lui a portarla lì per la prima volta.

«Mi mancava ingozzarmi di questa roba» lo sentì mormorare, facendola ridere. «Sempre e solo in compagnia della mia dolce metà, altrimenti non c’è gusto» si baciarono teneramente, sorridendosi subito dopo.

Emmeline si era stesa sul suo ragazzo, accolta dalle sue braccia, dal suo calore e dalla sua protezione, mentre lui la cullava e le donava qualche bacio sulla testa, accompagnandola pian pianino tra le braccia di Morfeo.



 
*****
 

Solo una domanda bella gente (si, sono convinta che siate tutte/i bellissime/i): vi piace questa storia? Sincerità, per favore, solo questo e nient'altro.
Le vostre opinioni per me sono importantissime :')

Oh, nel caso interessi a qualcuno, ho cominciato a buttare giù la OS che farà da seguito a Soli (assieme), ma per ora non posso aggiungere altro.

Intanto godetevi (o schifate) questo capitolo,
un bacio e un abbraccio,

Montii.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Quando ho iniziato a scrivere questa storia, non avevo idea di cosa potesse venirne fuori, e man mano che la continuavo, avendo sempre più idee, ho capito quanto io mi ci sia, poi, affezionata.
Quindi ho deciso di condividere questa mia "gioia" con voi, pensando che potesse piacere, ma a quanto pare non è così.
Credo che la soddisfazione più grande di una persona che scrive, per hobby o per professione, sia il ricevere commenti, opinioni, impressioni, negativi o positivi che siano.
Io, personalmente, non mi sento più motivata a scriverla, quando decido di scrivere un capitolo non mi dico più, ciò che mi dicevo precedentemente: "ehi continua a fare quello che stai facendo, c'è qualcuno che aspetta un capitolo con ansia e che lo apprezza!".
Sono contenta che molti di voi la leggano, e vi ringrazio, ma non capisco se vi piace o no.
Forse non vi piace il titolo, o la trama è troppo banale, o il fatto che nella descrizione non ci siano i nomi dei personaggi non vi spinge a leggerla, non lo so.
E mi dispiaccio del fatto che non sono riuscita nel mio intento: farvi piacere "Gli stessi di sempre"; l'errore è mio.
Però, comunque, vi lascio questo capitolo, e successivamente deciderò se continuare a postarla o eliminarla del tutto, e magari ripostarla fra qualche mese.




 
*****
6.






 
«Piccola, ma la tua auto che fine ha fatto?» alla domanda di Tom, Emmeline si bloccò, con la fetta biscottata a mezz’aria, un po’ per lo shock e un po’ per la bellezza del suo ragazzo.

Non si erano raccontati ancora niente di quello che era successo nei mesi precedenti e quella semplice domanda la mandò in crisi: come avrebbe reagito Tom a quello che gli avrebbe rivelato?

«Ho dovuto venderla» mormorò e sperò che non riuscisse a sentirla, ma lo sguardo che il ragazzo le rivolse, le fece capire esattamente l’opposto.

«Perché?» le si avvicinò, sedendosi al suo fianco, con una tazza di caffè fumante tra le mani. «Dimmelo, Em» continuò, pregandola con lo sguardo.

«Non riuscivo più a pagare l’affitto e tutto il resto, Tom» sintetizzò, tralasciando qualche dettaglio, sperando di non doverli nemmeno raccontare al suo ragazzo.

Non aveva voglia di ripensare a quello che aveva sopportato, alle violenze fisiche e morali; lei non voleva rivivere niente, ci aveva messo tanto tempo a passarci sopra, e ora sarebbe venuto tutto a galla, di nuovo.

«Quel porco ha alzato il prezzo dell’affitto?» chiese con durezza e lei si limitò ad annuire. «Come mai non hai chiesto aiuto ai tuoi genitori? Ti avrebbero aiutato, sei la loro unica figlia» soffiò, stringendo la mano della sua ragazza tra le sue, cercando di rendere meno difficile e complicato quel momento.

Quelle lievi carezze durarono poco, però; lei si alzò e si avvicinò all’unica finestra presente in quella piccola cucina.

«Per poi sentirmi dire, di nuovo, “te l’avevo detto”? Non ne posso più di ascoltare sempre le stesse parole! Volevo cavarmela da sola, proprio come ho sempre fatto in questi undici mesi!» si alterò, incenerendolo con la sola forza del pensiero. «Nei mesi in cui tu mi hai abbandonato» disse con tono sprezzante, mentre lui chiuse gli occhi, accusando il colpo, sentendosi sempre più in colpa. «Con te qui, era tutto diverso, tutto più semplice, insieme ce la facevamo» si riavvicinò a lui, ma non troppo, tenendo un minimo di distanza. «Ma io da sola, con il mio misero stipendio, non riuscivo più ad arrivare da nessuna parte» chiuse gli occhi, cercando disperatamente di non piangere.

«Em, piccola, cosa è successo?» Tom riuscì a capire esattamente quello che stava per succedere: l’imminente pianto della sua ragazza era vicino, lui lo sapeva, conosceva ogni singolo gesto, riusciva ad interpretare ogni sua singola emozione, smorfia, sorriso; la conosceva molto bene, ed era l’unico.

«Lui aveva paura solo di te» cominciò, abbassando lo sguardo e torturandosi le mani. «Inizialmente ce la facevo, poi mi sono ritrovato con l’acqua alla gola, e ho smesso di portargli i soldi, cercando di guadagnare tempo» fece una smorfia. «Ho cominciato a trovarmelo sull’uscio di casa, in piena notte, reclamando i suoi soldi, con la violenza e l’insistenza» qualche lacrima cominciò a rigarle il volto.

Tom la strinse tra le braccia, lasciando stare la tazza di caffè, cercando di confortarla in qualche modo, sentendosi sempre più responsabile del dolore che la sua Emmeline aveva sopportato e che stava, tuttora, vivendo.

«Ti ha messo le mani addosso?» le chiese riluttante, pregando di ricevere una risposta negativa, ma ne ottenne una positiva, invece: un lieve accenno del capo.

E questo lo fece imbestialire, tanto da sentire la rabbia cominciare a ribollirgli nelle vene.

Non poteva crederci.

Emmeline aveva cominciato a piangere disperatamente, nascondendosi nell’incavo del collo del suo ragazzo, aggrappata disperatamente alla sua maglietta.

Il ragazzo si sentì sempre più in colpa, mentre continuava a stringerla e a lasciarla piangere, come segno di sfogo, pensando che prima o poi gliel’avrebbe fatta pagare: nessuno doveva mettere le mani addosso ad una donna, soprattutto alla sua.

Sentiva il disperato bisogno di trovarlo e di massacrarlo, ma cercò di trattenersi, non volendo peggiorare la situazione, soprattutto perché la sua ragazza aveva bisogno di lui.


 
***


Avevano finito col litigare: Tom continuava a ripeterle che avrebbe dovuto chiedere una mano ai suoi genitori, ed Emmeline continuava ad accusarlo che era tutta colpa sua, della sua fuga improvvisa.

Se ne era dette di tutti i colori, una di quelle litigate che non avevano mai affrontato, e questo aveva preoccupato molto la giovane, in particolar modo dopo aver visto Tom infilarsi una giacca, ed uscire di casa, sbattendosi, con violenza, la porta alle spalle.

Si era ritrovata improvvisamente da sola, con un bisogno esagerato del suo ragazzo, ma allo stesso tempo era arrabbiata con lui; era come se fosse stata solo colpa sua.

In realtà di chi fosse la colpa, non aveva importanza, era passato, e loro due dovevano semplicemente pensare al loro presente e al loro futuro; nient’altro.

Decise di uscire anche lei, tanto rimanere in casa a rimuginare su ciò che era appena successo, non le sarebbe giovato molto; magari camminare o fare jogging le avrebbe fatto bene, e avrebbe lasciato fuori dalla sua testa tutti quei pensieri negativi che la invadevano.

Solitamente le piaceva andare verso il Golden Gate Bridge, e spesso lo percorreva tutto, andata e ritorno, circa cinque chilometri totali, e così si distraeva; quel ponte arancione le era sempre piaciuto, lei e sua mamma lo facevano sempre quando avevano bisogno di staccare o semplicemente per passare del tempo insieme.

Ed Emmeline non aveva perso la voglia, anche se lo faceva da sola, con la musica nelle orecchie era sempre un piacere.

Ma anche semplicemente camminare per le vie di San Francisco, guardando le vetrine dei negozi, dove abiti, accessori e scarpe facevano parte solo ed esclusivamente dei suoi sogni, la faceva stare meglio, o prendere un cable car, i famosi tram a cremagliera, e starsene li, a guardare ciò che avveniva in quel mondo che ormai non le apparteneva più.


 
***


Tom stava colpendo ripetutamente, e con forza, il sacco da boxe che Georg, uno dei suoi migliori amici, aveva nel salotto: voleva sfogarsi, anche se quei colpi avrebbe voluto infiggerli al proprietario del loro piccolo appartamento; quel porco che aveva osato toccare la sua donna.

«Mi avevi fatto una promessa, Georg!» sbottò, rivolgendosi all’amico, e lanciandogli sguardi infuocati. «Ti avevo chiesto di tenerla d’occhio, di proteggerla, nei mesi della mia assenza, e invece?» chiese, avvicinandosi al ragazzo con i capelli ramati, che stava tranquillamente fumando una sigaretta, per niente intimidito da Tom.

«Tu conosci Emmeline meglio di me, Tom» cominciò, aspirando un po’ di nicotina. «Se le fossi stato troppo addosso, avrebbe cominciato a farmi domande e sai benissimo che avrei ceduto!» lo incenerì con lo sguardo, mentre l’amico scuoteva la testa. «Sa essere così persuasiva, così ho deciso di allentare un po’ la corda» spense la sigaretta e si avvicinò a Tom. «Non sapevo di questo fatto» i loro sguardi s’incatenarono, e il moro capì benissimo che non stava mentendo. «L’ho pedinata per mesi, la seguivo, e qualche volta mi ha anche notato, ma ha sempre fatto finta di nulla, non volevo rischiare troppo» Tom annuì, stravaccandosi sul divano dell’amico.

«Georg, io vorrei ucciderlo quel porco!» ammise e il suo amico sorrise, capendolo perfettamente. «Ma allo stesso tempo non voglio fare danni, non voglio che Emmeline abbia paura di me e, soprattutto, non voglio perderla!» chiuse gli occhi, immaginandosi gli occhi scuri e dolci della sua metà, e il suo sorriso timido; adorava quando lo guardava in quel modo. «Ho già rischiato troppo, so di avere ancora molti ostacoli da affrontare, come quel Liam e i suoi genitori, ma so che voglio avere un futuro con lei» si ritrovò a sorridere come non aveva mai fatto.

«Sei proprio fottuto!» ridacchiarono entrambi. «Vuoi una birra?» gli chiese, e il moro negò con la testa, rifiutando una delle sue bevande preferite.
«Strano» mormorò sorpreso Georg, sedendosi al suo fianco.

Si erano conosciuti quando erano piccoli, ed avevano stretto, fin da subito, una grande amicizia: non avevano mai avuto un litigio serio, sapevano tutto l’uno dell’altro, non si erano mai traditi, erano davvero due amici veri; la loro era una di quelle amicizie rare.

Georg, esattamente come Tom, aveva radici tedesche, erano entrambi esuberanti, con tanta voglia di fare, con molte passioni in comune, come le auto, la palestra e le donne; peccato che ora quello che si divertiva di più era solo lui, al contrario del moro che aveva una sola ragazza per la testa, e sempre lei sarebbe rimasta.

«Vorrei rimanere sobrio, se permetti, devo fare pace con Emmeline, sai che non mi piace litigare con lei» soffiò, osservandolo accendersi un’altra sigaretta. «Voglio prepararle la cena» si ritrovò a dire, facendo scoppiare a ridere l’amico, che dovette, però, cercare di darsi un contegno per non morire soffocato.

«Ma tu non sei capace a cucinare!» gli ricordò, e Tom s ritrovò ad alzare il dito medio, con una smorfia sul volto, prima di prendere, anch’esso, una sigaretta dal pacchetto che aveva sempre in tasca; l’altra sua fedele compagna.

Sicuramente bere birra e fumare sigarette, Marlboro anche loro, era una delle tante cose che li univa.


 
***


Era stata fuori tutto il giorno, e ora che era calata la notte voleva solamente tornare a casa, al caldo, e, soprattutto, voleva dormire, e dimenticare quello che era successo nella giornata, voleva fare pace con Tom, ma probabilmente il suo orgoglio gliel’avrebbe impedito: non era lei a doversi scusare per prima.

Talmente era assorta nei suoi pensieri, si era ritrovata a percorrere il Golden Bridge almeno un paio di volte, macinando un sacco di chilometri, e tutto quel movimento le aveva fatto venire una fame assurda; così si era fermata in una bancarella qualsiasi, e aveva comprato qualcosa, ma non aveva placato il suo appetito.

Aveva spento il cellulare e aveva alzato il volume della musica: la gente che le passava affianco la osservava in modo strano, altra le sorrideva, e qualche ragazzo aveva, addirittura, cercato di provarci; non aveva guardato in faccia nessuno, non le interessava niente.

Si era fermata a pochi metri da casa sua, seduta alla fermata dell’autobus, intenta a fumarsi una sigaretta; voleva calmarsi un altro po’, prima di entrare e affrontare, nuovamente, il suo ragazzo.

La sua macchina era parcheggiata esattamente davanti all’entrata; probabilmente la stava aspettando, o forse era incollato al televisore, con una bottiglia di birra tra le mani, o forse era uscito con qualche amico.

Una macchina scura si fermò davanti a lei, così lanciò uno sguardo all’interno dell’abitacolo e intravide i capelli scuri di sua madre; erano molto simili, anzi, molte persone pensavano fossero sorelle.

Sorrise timidamente, spense la sigaretta con il piede e salì in auto, lasciandosi stringere dalla sua mamma, un pezzo importante della sua vita.

«Tesoro» mormorò sulla sua tempia. «Come mai non sei ancora rientrata?» le chiese, e lo sguardo stranito della figlia fece ridacchiare la madre. «Sono passata da casa tua poco fa, e c’era Tom» Emmeline chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore. «Siete tornati insieme, questo è quello che mi ha detto lui» annuì, e la madre le sorrise dolce, ma la figlia lesse benissimo anche una nota di disgusto e tristezza.

I suoi genitori si erano sempre rifiutati di conoscere Tom più a fondo; preferivano credere alle voci che giravano a San Francisco, e questo faceva male alla figlia.

Non riusciva a capire come mai i suoi genitori, di mentalità aperta e sempre pronti a conoscere le persone, con Tom si comportavano in modo diverso; non lo sopportava questo comportamento.

«Si, è tornato da me, per un futuro insieme, e non me la sono sentita di chiudergli tutte le porte in faccia, mamma» mormorò, arricciandosi una ciocca di capelli tra le dita. «Infondo sai che sono innamorata persa di lui, non ce l’avrei fatta a lasciarlo davvero» sorrise tristemente. «Come mai eri qui?» le chiese, osservando il suo profilo.

«Ero passata per dirti che domani sera, io e tuo padre vogliamo portati fuori a cena» sorrisero. «Vogliamo passare un po’ di tempo con la nostra bambina, e visto che c’ero ho invitato anche il tuo ragazzo» Emmeline sgranò gli occhi incredula. «Magari io e tuo padre finalmente lo conosceremo per quello che è davvero» strinse la mano della figlia. «Ho visto come i suoi occhi brillano al tuo nome, o quando parla di te, tesoro» la ragazza deglutì. «L’amore che quel ragazzo prova per te è enorme» si ritrovò a sorridere commossa. «Anche tuo padre si comportava così con me» si abbracciarono di nuovo. «Torna da lui e fate pace» le strizzò l’occhio e capì che Tom le aveva raccontato, molto vagamente, del loro litigio furioso.

Salutò la madre con un bacio e scese dall’auto, ormai decisa a rientrare.

Tom era sul divano, come previsto, ma la televisione era spenta, e non c’era nessuna bottiglia di birra a fargli compagnia; aveva il cellulare tra le mani, il piede batteva velocemente sul pavimento, e lo sguardo era perso nel vuoto.

Emmeline lanciò uno sguardo alla cucina, e intravedeva la tavola apparecchiata, e il takeaway appoggiato sopra, assieme ad una bottiglia di vino; probabilmente il più scadente, comprato nel negozio di liquori di fronte al loro appartamento.

Non appena tornò sulla Terra, si ritrovò a scrutare il suo ragazzo, ora in piedi di fronte a lei, intento a osservarla attentamente, senza battere ciglio, con una strana espressione sulla faccia.

«Mi stavo preoccupando, credevo ti fosse successo qualcosa» lo sentì mormorare, prima di vederlo spostarle una ciocca di capelli.

«E nei mesi in cui non c’eri chi si preoccupava per me?» sbottò la giovane, sottraendosi al tocco del ragazzo, e sorpassandolo. «Tu no di sicuro, chissà dov’eri e con chi» si ritrovò a dire.

Tom sospirò, capendo che quello non era un bel momento; dopotutto al mattino avevano litigato, e sapeva che la ragazza stava cercando di sbollire.

«Ho preso il cinese e il vino bianco, ti va?» cambiò discorso, raggiungendola e sistemandosi alle sue spalle.

La ragazza abbassò il capo, abbandonando la borsa sul divano, per poi fare qualche passo avanti e sorridere tristemente.

«Non ho fame» mentì spudoratamente, e sapeva benissimo che Tom se ne sarebbe accorto. «Credo che andrò a dormire, è stata una giornata un po’ così» si voltò verso di lui, trovandolo triste, il broncio a disegnargli le labbra, ma non fece una piega e annuì, deciso a lasciarla stare.

Emmeline gli lasciò un bacio sulla guancia, prima di sparire in stanza da letto, lasciandolo solo.


 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


7.









 
L’aveva osservata tutto il giorno: era rimasto in casa solo per non perdersi ogni suo singolo movimento, ogni sua singola mossa, ogni sua singola azione.

Non l’aveva persa di vista nemmeno un secondo, amava osservarla in tutto ciò che faceva: preparare la colazione, il pranzo o la cena, vestirsi, truccarsi, prendersi cura di quel buco che loro chiamavano nido, prendersi cura di lui che era peggio di un bambino.

Non si erano ancora rivolti la parola, ma lui non aveva comunque evitato di stringerla durante la notte, o di dedicarle attenzioni durante il giorno; non ce la faceva a starle lontano, era una sofferenza troppo grande per lui: se n’era andato ed era tornato per lei, e avrebbe fatto di tutto per lei, anche chiedere scusa per primo, cosa che non sopportava veramente, esattamente come odiava litigare con lei.

Lanciò uno sguardo nella sua direzione e la vide intenta a infilarsi dentro ad un paio di jeans sbiaditi e strappati in più punti, abbinati a una maglietta bianca a manica lunga e un cardigan di lana smanicato; era semplicemente perfetta e quella sera sarebbe stato più che felice di accompagnarla e di essere al suo fianco, ma non sarebbe andata così.

«Non ti prepari?» era la prima frase che Emmeline gli rivolse e lui si ritrovò a sorridere.

Questo era un passo avanti.

Si alzò e la raggiunse, trovandola un pochino più alta, grazie ai tacchi che aveva deciso di indossare; le accarezzò una guancia, e si ritrovò a perdersi nei suoi occhi scuri, resi ancora più belli dal trucco leggero che aveva scelto.

«Ho deciso di non venire» le rivelò e lo sconforto che lesse, ora, nel suo sguardo, lo distrusse. «Non abbiamo fatto passi avanti rispetto a ieri, e non me la sento di affrontare i tuoi genitori, e nemmeno di passare una serata a tenere il muso e, soprattutto, senza vederti felice» continuò, lasciandole, tra le mani, le chiavi della sua auto. «Così non dovrai prendere un taxi o più di un autobus per arrivare» spiegò il gesto precedente.

Emmeline abbassò lo sguardo, ma subito dopo si appese alle sue labbra, lasciandolo sbigottito, ma rispose con gioia e passione a questo suo gesto, stringendola.

«Avrei preferito che venissi con me, sinceramente» mormorò sulle sue labbra, ancora stretta tra le sue braccia. «C’era la possibilità di farti conoscere per quello che sei veramente, amore» continuò, assaggiando di nuovo le sue labbra.

«Avrò altre occasioni per mettermi a nudo, anche, con i tuoi genitori» sussurrò divertito, facendola ridacchiare. «Mi dispiace per ieri, per quello che ti ho detto, per averti incolpato» tornò, improvvisamente, serio, ma poi le sorrise timidamente e lei ricambiò, scuotendo lievemente la testa.

Era così che facevano pace la maggior parte delle volte; solamente dovevano capire chi dei due doveva fare la prima mossa; entrambi troppo orgogliosi e testardi per farlo.

Si baciarono nuovamente, come voler sigillare, chiudere, l’episodio precedente.

«Se continuiamo così, non ti farò mai uscire da quella porta, lo sai vero?» mormorò maliziosamente, spostando i baci sul collo scoperto della giovane, che rideva divertita, cercando di sottrarsi a quelle labbra calde e umide, senza, però, ottenere risultati.

Emmeline appoggiò le mani sul suo petto, cercando di allontanarlo, sempre scossa dalle risate.

«Smettila» ridacchiò, riuscendo a scrollarselo di dosso. «Magari quando torno» mormorò suadente, occhieggiandolo attentamente, trovando i suoi occhi più maliziosi del solito. «Però, ora, lasciami andare» posò le labbra su quelle di Tom, prima di uscire.

Il ragazzo si ritrovò a fissare la porta da cui la sua ragazza era appena uscita, e ridacchiò divertito, prima di osservarsi distrattamente i pantaloni e notare un leggero rigonfiamento.

Avrebbe, sicuramente, trovato un modo piacevole di fargliela pagare.


 
***


Il Quince Restaurant non era molto lontano dal quartiere in cui viveva, ma apprezzava molto il fatto che Tom le avesse lasciato l’auto; non se la sarebbe sentita di tornare a piedi, siccome il taxi, in realtà, non poteva permetterselo.

Non voleva presentarsi da sola alla cena con i suoi genitori, la presenza di Tom sarebbe stata gradita, e probabilmente si sarebbe sentita più sicura.

Osservava l’entrata del ristorante, una dimora centenaria, fatta di legno e marmo, mentre fumava una sigaretta, appoggiata alla fiancata dell’auto, in attesa di finire la sua fedele compagna, prima di entrare e vedere, conversare, cenare con la sua famiglia; quello era il loro ristorante preferito, ci andavano spesso quando Emmeline era più piccola: adorava la cucina californiana dalle influenze francesi e italiane e, soprattutto, la torta al cioccolato con panna.

Non ne era mai sazia e, spesso, i proprietari, loro conoscenti, gliene davano una fetta in più da portarsi a casa; era la sua preferita e lei era solo una bambina.

Sospirò e decise di entrare; rimanere fuori con la scusa del fumarsi una sigaretta non sarebbe durata in eterno.

Fu accolta da uno dei tanti camerieri che, in seguito, la accompagnò al tavolo prenotato, dove i suoi genitori la stavano aspettando.

Le mancò il respiro quando notò che era apparecchiato per quattro: quel posto, al suo fianco, sarebbe rimasto vuoto per tutta la sera.

«Scusate il ritardo» mormorò imbarazzata, mentre il padre, Robert, la strinse, come non faceva da troppo tempo. «È stato carino da parte vostra invitare me e Tom, ma sono sola» si accomodò di fronte a sua madre, Gemma, e cominciò a sentirsi a disagio sotto i loro sguardi.

«È stata tua madre a invitarlo» disse con durezza suo padre. «Poteva dimostrare un po’ di gratitudine e venire» continuò, mentre Emmeline cominciò a pentirsi di essersi presentata a quella cena. «Ho sempre pensato che fosse un pessimo ragazzo, e a quanto pare avevo ragione» la ragazza gli lanciò uno sguardo gelido, prima di cominciare a scrutare il menù posato sotto il suo naso. «Hai proprio sbagliato uomo, tesoro» concluse.

«Robert» il richiamo severo di sua madre la fece sorridere. «Al cuore non si comanda, dovresti saperlo» gli disse. «E poi non lo puoi giudicare, non ci hai mai voluto parlare e, magari, Tom non è come la gente lo descrive» Emmeline ringraziò la madre con lo sguardo.

Robert decise, momentaneamente, di non rispondere alla moglie, troppo concentrato sul menù del suo ristorante preferito.

«È vero, cara, ma se non si presenta nemmeno a una semplice cena, non avrò mai l’onore di scambiarci due parole» riprese il discorso, dopo aver deciso cosa prendere. «Uno come Liam Spencer sarebbe più adatto a te» Emmeline avrebbe volto rovesciargli la caraffa piena di acqua addosso.

Lei odiava Liam: certo, era uscita con lui, ma pensava che era solo uno sbruffone arrogante, e sicuro di se, e con uno così non ci sarebbe mai stata.

Ogni volta era sempre la stessa storia: quando si parlava della sua relazione con Tom, si finiva solo per litigare, e suo padre tirava fuori, sempre, Liam; aveva un debole per lui, o forse perché era un buon partito, o forse perché era figlio di una persona che conosceva.

«Papà» mormorò, cercando di controllarsi, sotto lo sguardo preoccupato della madre. «Non sono venuta qua per litigare sulla mia vita privata e sentimentale» gli disse, sorseggiando del vino bianco: il suo preferito.

Emmeline non capiva niente di vini, non era un argomento che le interessasse davvero, per lei erano tutti uguali; non capiva tutte quelle differenze, l’unica cosa importante era il sapore e, soprattutto, doveva piacerle.

«Signori Evans, Emmeline» a quella voce chiuse gli occhi, volendo improvvisamente sparire, nascondersi; non poteva essere vero, forse era un incubo.

Il sorriso di suo padre le fece venire il volta stomaco, ma decise di voltarsi per trovarsi di fronte alla faccia da schiaffi di Liam: quel ragazzo era capace solo ed esclusivamente di tormentarla.

«È bello vederti, come sempre d’altronde» le mormorò, sorridendole, ma lei preferì rifilargli una smorfia. «Non hai fatto molto bene a portare il tuo ragazzo qui» a quelle parole corrugò la fronte, non capendo. «C’è Tom all’entrata, ma ha il suo bel da fare con la sicurezza, li ho messi in guardia sul soggetto» Emmeline sgranò gli occhi e si alzò, facendo strisciare, poco elegantemente, la sedia sul pavimento, attirando l’attenzione di tutti i presenti.

Gli tirò uno schiaffo in pieno volto, cercando di metterci tutta la rabbia e l’odio possibile; come si permetteva di mettere ulteriormente in cattiva luce il suo Tom?

Raggiunse l’entrata del ristorante con l’ansia e un odio maggiore verso quello sbruffone di Liam; trovò Tom con la faccia al muro, e uno degli uomini della sicurezza che lo tratteneva, perquisendolo.

Si rabbuiò e scattò in avanti, spingendo di lato l’uomo in nero, che la fissò stranito.

«Signorina Evans, questo pericoloso individuo la stava cercando» mormorò indicando Tom, dietro di lei, leggermente scosso e sconvolto.

«Pericoloso individuo?» s’inalberò la giovane, incenerendolo con lo sguardo. «Mi dica, il signor Spencer quanto l’ha pagata per fare ciò?» chiese e l’uomo davanti a lei abbassò lo sguardo, colpevole. «Non voglio vedere mai più le sue luride mani addosso al mio ragazzo» sibilò velenosamente e cercò di avvicinarsi, ma Tom la trattenne per i fianchi.

Emmeline si voltò verso di lui e i loro sguardi s’incatenarono per qualche istante; la ragazza sfiorò la pelle morbida della sua guancia, leggermente arrossata e gonfia: probabilmente uno di quei gorilla gli aveva tirato un pugno.

Lo portò nel bagno del ristorante, senza dire una parola e lui continuò a osservarla, sempre più sbigottito dal suo comportamento iperprotettivo, ma allo stesso tempo dolce e confortante; nessuno, tranne lei, si era mai comportato così con lui: mamma esclusa.

«Ehi, ehi, frena!» si lamentò ad un certo punto, sentendosi bloccato dal minuto corpo della sua ragazza e il marmo del lavandino dietro di lui. «Non è successo niente, piccola, sono abituato a questo» mormorò, con una punta di tristezza, pensando che non è la prima volta. «E poi tu non eri quella che non badava a ciò che la gente dice?» chiese.

Lei scosse la testa, tamponandogli, con l’acqua fresca, la guancia.

«Non m’importa di quello che la gente dice di noi due, se posso o non posso essere felice con te, se puoi o non puoi darmi il meglio» sussurrò, continuando a fare ciò che stava facendo. «A me da fastidio quello che la gente pensa di te, quello che dice» continuò a dire, tornando a scrutarlo attentamente. «Per quale motivo la gente pensa che tu possa essere un pericoloso individuo, un criminale o altro? Tu non sei ciò, io lo so, e alla fine lo sapranno anche loro, e smetteranno di giudicarti» Tom la mise a tacere con un bacio, non poteva continuare ad ascoltare quelle cose, ne aveva piena la testa.

«Smettila» mormorò contro le sue labbra. «Mi hai insegnato, mi hai pregato, di non ascoltare le parole della gente, a me interessa solo la tua opinione» disse, facendola sorridere. «Solo la tua» sussurrò nuovamente, tornando a baciarla.


 
***


Aveva lasciato i suoi genitori da soli, con tutti gli sguardi della gente addosso; a sua madre non importava di essere vista e, soprattutto, non le importava di quello che la gente pensava di lei o della sua famiglia; al contrario di suo padre che, invece, odiava essere al centro dell’attenzione, non voleva essere sulla bocca di tutti.

Eppure per colpa di sua figlia era proprio quello che succedeva: da quando stava con quel Tom, la gente non faceva altro che parlare di loro e ora potevano continuare tranquillamente.

«So a cosa stai pensando, smettila, Robert» mormorò Gemma, dopo aver lasciato le ordinazioni al cameriere. «Dovresti lasciare Emmeline libera di vivere la sua vita, è una ragazza con la testa sulle spalle, qualunque cosa scelga di fare è nel suo interesse» continuò, dopo aver visto Liam andarsene.

Quello schiaffo, probabilmente, lo avevo ferito nell’orgoglio, lo conosceva, era esattamente come il suo vecchio: tale padre tale figlio, no?

«Potrebbe vivere una vita serena, agiata con Liam o con qualsiasi altro ragazzo benestante e, invece, ha scelto di stare con quel disgraziato, e ora vivono in quel buco che loro chiamano casa, in quel quartiere di pazzi da ricovero» soffiò scuotendo la testa, contrariato e schifato allo stesso tempo.

Gemma si ritrovò a sospirare, affranta e pensando che ormai suo marito fosse un caso perso.

Vide sua figlia arrivare in compagnia di Tom, e pensò che, nonostante tutto, erano una coppia bellissima; per lei, infondo, quel ragazzo, molto bello, era adatto a sua figlia: riuscivano a completarsi.

Certo, non erano stabili economicamente, non vivevano in un bel quartiere, ma erano giovani e avrebbero potuto avere un futuro roseo; negli anni precedenti era contraria a quella loro storia, ma poi aveva cominciato a ricredersi: da quanto aveva riallacciato i rapporti con la sua unica figlia, aveva capito che Tom non era come la gente lo descriveva, e quelle poche volte che avevano avuto una conversazione, aveva percepito tutto l’amore che quel ragazzo prova per la sua bambina.

E poi, aveva un sorriso meraviglioso; e lei era stata conquistata solo con quello, e ora avrebbe tanto voluto sapere altro su di lui: voleva conoscere il suo futuro genero.

Già se li immaginava il giorno del loro matrimonio, e i loro futuri figli: forse era pazza.

«Mamma?» Emmeline sventolò, per l’ennesima volta, la mano davanti al suo viso, così tornò con i piedi sulla terra e poteva concentrarsi sui due giovani davanti a lei: la sua adorata figlia e il suo ragazzo completamente spaesato e imbarazzato.


 
***


Tom si sentiva osservato, completamente fuori luogo in quel posto troppo lussuoso per lui, per i suoi standard e, soprattutto, per il suo portafoglio.

Gli sguardi assassini che gli stava lanciando il padre di Emmeline lo facevano sentire male; voleva solo andare a casa, e pensò che, forse, fosse stato meglio non chiamare Georg per farsi accompagnare a quella cena: non avrebbe voluto lasciare la sua ragazza da sola, ma non avrebbe nemmeno voluto scambiare due parole con suo padre.

Non potevano vedersi; Tom aveva cominciato a odiarlo nel momento in cui capì che se non avesse lottato, gli avrebbe portato via Emmeline, anche con la forza, o con il ricatto.

Ci aveva già provato una volta, ma lui aveva rifiutato, sputando su quella busta piena di soldi e su quel biglietto aereo: solo andata.

Non lo aveva mai raccontato a Emmeline, voleva molto bene a suo padre, non avrebbe mai cercato di metterla contro di lui.

«Allora, Tom» il ragazzo alzò lo sguardo su Robert che, nel frattempo, stava mangiando il dolce. «Che lavoro fai in questo momento?» si ritrovò a deglutire, per niente preparato a ricevere una domanda come quella.

Emmeline al suo fianco gli posò una mano sul ginocchio, nel tentativo di farlo calmare: purtroppo con poco successo e lei parve accorgersene.

«Dalla prossima settimana lavorerò in un’autofficina» mormorò, trovandosi in ulteriore imbarazzo.

Il signor Evans cercò di trattenere una risata, e si diede un contegno nel momento in cui Emmeline gli tirò il tovagliolo in faccia, facendo ridacchiare la madre.

«Smettila di trattarlo come se fosse un essere inferiore e schifoso» ringhiò la giovane, spaventando lievemente Tom, che sobbalzò sul posto. «A me non importa il lavoro, non m’importa quanti soldi ci siano nei nostri portafogli, non mi importa se viviamo qui o a New York o Tokyo, mi importa solo del suo amore, ed è questo che dovrebbe interessarti» prese una boccata d’aria, gonfiando lievemente le guance. «L’unica cosa che deve rientrare nel tuo interesse è il suo modo di trattarmi e se mi ama, il resto per te è out» finì, accavallando le gambe e appoggiando la testa sulla spalla del ragazzo che le posò un soffice bacio sui capelli.

«Tesoro ma io mi preoccupo anche del resto» mormorò, riempiendosi il bicchiere di vino, facendo lo stesso anche con quello del giovane che, sorpreso, alzò un sopracciglio. «Che sia innamorato lo vedo, d’altronde state insieme da secoli, mi preoccupo di quello che si dice su di lui, e del futuro che potreste avere» i diretti interessati si adocchiarono un momento, prima di voltarsi verso il padre di lei.

Tom sospirò, prima di iniziare a parlare.

«Quello che si dice di me è del tutto falso e quelle parole non fanno male solo a me, ma anche a sua figlia» dichiarò prendendo coraggio e stringendo la mano della ragazza. «Io me ne sono andato per questo motivo, ma sono tornato perché amo questa fantastica ragazza» le sorrise dolce, facendola imbarazzare. «Vorrei darle un futuro sereno e felice, credo che questo possa essere sufficiente» il padre di Emmeline lo fissò qualche istante, spostandolo poi sulla figlia e sulla moglie, prima di sorridere lievemente al giovane e annuire; probabilmente si era arreso, era inutile continuare ad andare contro a Emmeline e alla sua storia con quel ragazzo: qualunque cosa dicesse o volesse fare non sarebbe servita a niente.

«Va bene» si arrese poi. «Dammi solo un po’ di tempo per conoscerti meglio, okay?» sospirò, ricevendo in cambio un ampio sorriso da Tom, forse più rilassato, e un bacio sulla guancia da parte della figlia.


 
***

 
Casa Evans era grande e accogliente: il luogo adatto per vivere e crescere dei figli.

Tom si guardava intorno curioso, d’altronde era la prima volta che entrava nella casa dei genitori della sua dolce metà; erano stati invitati lì per un caffè e per chiacchierare ancora, e potevano rimanere lì anche per la notte, a una sola condizione: niente sesso.

A quell’affermazione il giovane si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo, reprimendo un sorriso malizioso: la sua piccola vendetta avrebbe dovuto attendere la giornata successiva, anche se lui non vedeva l’ora di farla impazzire totalmente.

Emmeline e Tom erano accoccolati sul divano: il braccio del ragazzo le cingeva le spalle, mentre lei aveva appoggiato la testa sulla sua spalla, e le gambe su quelle del giovane; i genitori della mora li guardavano inteneriti, e Robert, ora, si sentiva già più leggero, infondo quel ragazzo non era poi così male.

«Questi mesi dove li hai trascorsi?» la madre di Emmeline porse quella domanda con curiosità.

Anche la giovane era curiosa e, infatti, sorrise complice alla madre; questo dettaglio, però, sfuggì al ragazzo.

«Io e uno dei miei migliori amici abbiamo girato prima l’America e qualche altro Paese del mondo» sorrise ricordando, accarezzando lievemente il braccio a Emmeline. «Facevamo qualche lavoretto settimanale e poi scappavamo via, alla scoperta di altri posti» disse facendo ridacchiare tutti. «Sono tornato poco prima della laurea di questa bellissima ragazza» ammise, scrutando attentamente il viso della sua ragazza, che arrossì lievemente. «Non potevo perdermi quel giorno» sorrise dolce. «I girasoli erano un mio regalo» la ragazza ridacchiò, prima di baciarlo castamente.

I girasoli erano i fiori preferiti di Emmeline e questo Tom lo sapeva bene; quando poteva, la portava in qualche campo e passavano lì l’intera giornata: era un modo per vederla felice.

Altro che rose rosse: Liam Spencer, per quel verso, era troppo all’antica e, soprattutto, non conosceva per niente i gusti di quella ragazza, anche per questo aveva zero possibilità.

«Come sapevi della mia laurea?» gli chiese la mora, ancora commossa dalla rivelazione del suo ragazzo.

Non avrebbe mai immaginato che lui sarebbe stato lì e non pensava nemmeno che i girasoli fossero un suo regalo, ma quel “Ti amo” scritto sul bigliettino doveva farle capire il contrario.

Invece aveva ipotizzato che fossero di qualche spasimante.

«Georg mi ha avvertito» Emmeline ridacchiò.

Quel ragazzo l’aveva seguita per mesi, cercando, ovviamente, di non farsi beccare, ma con scarsissimi risultati, ma lei aveva preferito non darci peso e andare avanti per la sua strada, anche se era sicura che Georg sapesse benissimo dove si fosse cacciato Tom e con lei avrebbe cantato.

«Gli avevo anche chiesto di occuparsi di te» mormorò, posandole un bacio sulla tempia. «Ma come sai, non è in grado di badare nemmeno a se stesso» dichiarò, provocando l’ilarità di tutti.

Robert si alzò dalla sua poltrona e si avvicinò alla libreria, tirandone fuori un album fotografico: ciò che aveva in mente avrebbe provocato altre risate e altrettante proteste da parte di una sola persona.

«Lasciamo correre questo discorso» cominciò, attirando l’attenzione di tutti i presenti. «Ho trovato un vecchio album di foto e, personalmente parlando, Emmeline, credo che al tuo ragazzo possa far piacere» trattenne una risata, mentre Tom rizzò la schiena e sorrise maliziosamente alla ragazza che, al contrario, sgranò gli occhi e diventò rossa.

«Oh sì, sono molto curioso!» ridacchiò il giovane, trattenendo Emmeline sul divano, al suo fianco.

Voleva scappare: magari chiudersi in bagno o nella sua stanza.

«Che bastardata, papà!» obbiettò, arrendendosi alla forza del suo ragazzo che continuava a ridere. «Voi due fino a qualche ora fa non potevate nemmeno vedervi, mentre adesso avete addirittura fraternizzato!» si lamentò e cercò di soffocare un urlo di disperazione quando suo padre posò quel maledetto album di foto sulle gambe di Tom.

L’avrebbe sfottuta a vita: lei odiava farsi le foto e farsele fare, e non voleva che qualcuno, soprattutto il suo ragazzo, vedesse com’era quando era piccola e nei primi anni di adolescenza.

Avrebbe strangolato volentieri suo padre in quel momento.

«Perché protesti tanto, piccola?» le chiese Tom, lievemente preoccupato, costringendola a guardarlo negli occhi. «Di cosa hai paura?»

«Mi vergogno da morire, non voglio che tu veda com’ero» mormorò, distogliendo lo sguardo e fissando il tavolino di fronte a lei. «Avevo l’apparecchio, vestivo male ed ero in carne, e quando ero piccola, ero una palla» gonfiò le guance in modo tenero e buffo, prima di abbandonarsi allo schienale del divano.

«Robert, credo che tu abbia un po’ esagerato, lo sai che non vuole» sussurrò con tono severo la madre di Emmeline.

Tom si ritrovò a spostare lo sguardo sui tre presenti, non sapendo più cosa fare; guardò la sua ragazza, a occhi chiusi, e poi portò lo sguardo sull’album che aveva sulle ginocchia: sfiorò la copertina con le dita, sorridendo lievemente.

«Non devi vergognarti piccola, è normale non essere perfetti a quell’età» sussurrò, aprendo l’album e cominciando a osservare le prime foto.

Un sorriso intenerito e divertito si aprì sulle sue labbra.


 
***


La stava osservando spogliarsi per infilarsi una maglia larga, usurata e sbiadita: il suo pigiama.

Non gli aveva più rivolto la parola, nemmeno uno sguardo: se l’era veramente presa per la storia dell’album fotografico e ora lui ne stava pagando le conseguenze.

«Piccola» mormorò avvicinandosi alle sue spalle, poggiando le mani sulle sue braccia nude, provocandole brividi ovunque. «Cos’hai?» le chiese, la disperazione nella voce.
Non riusciva proprio a evitare di litigare con Emmeline; non ne faceva mai una giusta con lei e ogni volta si trovava a maledirsi per questo.

«E me lo chiedi pure?» sbottò, voltandosi e mostrando le lacrime al suo ragazzo, che rimase scioccato e senza parole. «Ti avevo detto che non volevo che tu vedessi com’erano la mia infanzia e la mia adolescenza, non mi sentivo pronta a farti vedere quella sfera della mia vita privata» continuò, e lui si ritrovò ad abbassare lo sguardo. «Hai oltrepassato la linea del confine, potevi almeno rispettarmi» mormorò, mentre un’altra lacrima le scivolò sulla guancia.

Tom la avvolse tra le sue braccia, stringendola forte, e posando diversi baci sui suoi capelli, mentre lei continuava a piangere, aggrappata a lui.

Certo, aveva fatto male a non ascoltarla e a guardare le sue foto, ma Emmeline non ce l’aveva veramente con lui, d’altronde prima o poi le avrebbe visto: ora era lei che non vedeva l’ora di guardare le foto di Tom da piccolo.

«Mi dispiace piccola, non pensavo dicessi sul serio» mormorò sui suoi capelli. «Non volevo farti arrabbiare e nemmeno piangere, sai che non sopporto vederti stare male» le strappò un piccolo sorriso e non poté fare a meno di farne uno anche lui. «Comunque non dovevi vergognarti, eri così bella da piccola» ricordò continuando a sorriderle, mentre lei roteò gli occhi al cielo, lasciando perdere il pianto e le lacrime. «Avevi due occhioni bellissimi e un sorriso stupendo, proprio come ora» sussurrò, baciandole le labbra. «E l’aspetto fisico non m’interessa minimamente, anzi, preferirei vederti con qualche chiletto in più» ridacchiò, mentre lei gli sussurrò uno “stronzo” in modo divertito. «E poi se devo dirla tutta, voglio che nostro figlio prenda questi due dettagli da te» commentò e lei sorrise intenerita.

Si baciarono di nuovo, ma, improvvisamente, Emmeline si staccò, con un sopracciglio alzato.

«Nostro figlio, eh?» ridacchiò divertita. «In tal caso dovremmo darci da fare, non credi?» mormorò maliziosamente, sulle sue labbra, trascinandolo con lei sul letto.

«Che cosa stai cercando di fare?» soffiò divertito, lasciando vagare le mani sul suo corpo. «Tuo padre ha detto niente sesso ed io ci tengo ai miei gioielli di famiglia, sai?» continuò, mentre lei rise, sentendo le sue labbra ovunque. «In futuro voglio essere io a vivere l’intimità con te e a darti piacere, mia cara» le morse il labbro inferiore, tirandolo leggermente. «Soprattutto se vuoi rendere nonno tuo padre» Emmeline ridacchiò e si ritrovò ad annuire, completamente d’accordo.

«Però aspetta, avevi una faccia strana quando mio padre ha detto niente sesso» sfiorò il naso di Tom con il suo, chiudendo gli occhi e beandosi di quel tocco.

«Lo vuoi sapere davvero?» sussurrò e lei annuì, curiosa più che mai. «Quando te ne sei andata stasera, mi hai lasciato un po’ insoddisfatto e avevo pensato di fartela pagare in serata, ma mi sono imbattuto in un divieto e quindi dovrò aspettare domani» si ritrovarono a ridere,  e si baciarono, sempre più uniti.



 
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Ho deciso di continuare a postare per la vostra gioia :D
Questo capitolo è un pò lunghino, ma credo sia meglio, no?
Ah, ovviamente le vostre opinioni e impressioni sono sempre ben gradite!


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Un abbraccio e un bacio,

Montii.


 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


8.







 
Quella sera al lavoro il tempo sembrava non voler passare: aveva strappato così tanti biglietti d’ingresso e le stava venendo il mal di testa a forza di sentire l’opera.

Emmeline odiava l’opera e per sua fortuna non lavorava tutte le sere della settimana, altrimenti se ne sarebbe andata a gambe levate da un pezzo.

Una volta finito il turno, Tom la stava aspettando fuori, impaziente come sempre, e l’aveva costretta a cambiarsi in macchina, così il tragitto lavoro-discoteca l’aveva passato tra i sedili, praticamente, inesistenti della Mustang del suo ragazzo; aveva tirato parecchie testate e ad ogni curva si sbilanciava e cadeva, non riuscendo a stare ferma, sotto le occhiate divertite e maliziose di Tom, che ogni tanto ne approfittava e allungava una mano per sfiorarle un lembo di pelle, o stringerle un ginocchio.

Aveva paura di essersi infilata la maglia, che Tom le aveva gentilmente portato assieme alle scarpe, al contrario, non vedeva niente all’interno di quella macchina.

Si erano ritrovati a fare una fila interminabile all’entrata, le mani intrecciate, carezze proibite, baci umidi, ed Emmeline si ritrovò costretta a tenere lontano Tom dal fare a pugni con qualche coglione che faceva apprezzamenti poco carini nei suoi confronti, e ora stravaccati su un divanetto, intenti a baciarsi come non avevano mai fatto, stavano snobbando allegramente gli amici di Tom che, però, erano molto interessati alle gambe nude di Emmeline.

La maglia era troppo larga, ma non esageratamente lunga, e vista la posizione in cui era, stava dando spettacolo.

Tom aprì un occhio con malavoglia ma visto che aveva una mano sulla coscia della ragazza, poteva immaginare qualcosa, e, infatti, trovò i suoi amici intenti a fissare le gambe di Emmeline; si staccò dalle sue labbra e la ragazza si lamentò, soffocando un grugnito, che solo lui riuscì a sentire.

Le piaceva da morire pomiciare con Tom davanti a tutti: ci sapeva fare parecchio e poi avevano un sacco di mesi di tempo da recuperare.

«Ragazzi, ci sono almeno un centinaio di ragazze qui dentro, milioni a San Francisco, quindi smettete di fissare a bocca aperte le gambe della mia» brontolò gelosamente, facendo ridacchiare Emmeline che cercò, disperatamente, di riappendersi alle sue labbra.

Tom la accontentò volentieri, dimenticandosi nuovamente dei suoi amici, che scuotevano la testa, divertiti e arresi, conoscendo bene i due giovani davanti a loro.

«Ehi, ragazzi!» la voce di Georg arrivò dritta alle loro orecchie, superando quasi la musica alta del locale.

Emmeline e Tom si ritrovarono, di nuovo, costretti a separare le loro labbra, cercando di darsi un contegno.

La mora si ritrovò a sgranare gli occhi, e dovette cercare di non farli uscire dalle orbite: Georg non era solo, era accompagnato da una ragazza, una bella, bellissima, ragazza.

Distrattamente si ritrovò a pensare che quella non fosse proprio il genere del ragazzo: aveva tratti orientali, i capelli castani, gli occhi scuri; era perfetta, nel vero senso della parola.

«Questa è Ria, la mia nuova vicina di casa e ho pensato che fosse carino invitarla e farvela conoscere» aggiunse, sedendosi davanti alla giovane coppia, assieme alla ragazza.

Georg li presentò uno per uno alla nuova arrivata, che sorrise a ognuno, rimanendo sulle sue.

Emmeline strinse la mano al suo ragazzo, accavallando le gambe, cercando di coprirsi il più possibile; Tom dal suo canto, ricambiò la stretta, posandole un bacio sulla tempia.

Chiuse gli occhi, sperando che quella sensazione di disgusto e ansia se ne andasse d un momento all’altro; non poteva credere che quella donna fosse davanti a lui, adesso.


 
***


Aveva deciso di uscire sul terrazzo del locale, sul tetto, per fumare una sigaretta: non ne poteva più di quella musica assordante, delle luci psichedeliche, del fumo, degli sguardi insistenti di Ria; non aveva idea di cosa ci facesse lì a San Francisco, e non sapeva nemmeno cosa volesse da lui.

Quello che lo preoccupava maggiormente era rimanere li, chiacchierare come se nulla fosse, e tenendo Emmeline, al suo fianco, all’oscuro di tutto; si stava godendo il suo drink analcolico, era con lui, era di nuovo felice.

Che cosa poteva rovinare quel momento? Tutto, semplice.

Quel mese che aveva passato a Vancouver, avrebbe voluto cancellarlo dalla sua vita, dalla sua esistenza; aveva fatto una stronzata colossale e, probabilmente, ne avrebbe pagato le conseguenze.

Non avrebbe mai voluto commettere un errore così grande, ma l’aveva fatto, e non sapeva nemmeno come fosse successo; ma l’aveva fatto, e della durata di un mese.

«Tom» una voce femminile arrivò alle sue orecchie, in modo non chiaro, e interruppe, bruscamente, i suoi pensieri.

Spense la sigaretta, gettandola a terra e calpestandola con forza, come a volerla far sparire, farla diventare tutt’uno col pavimento.

«Amore» si ritrovò a mormorare, voltandosi e trovandosi davanti alla donna sbagliata. «Ho sbagliato persona, pensavo fossi Emmeline» scosse la testa, sorridendo verso le sue scarpe. «Cosa diavolo vuoi, Ria?» chiese con durezza, prima di sentire i suoi passi avvicinarsi, per poi trovarsela di fianco.

Nell’attesa di una risposta, decise di accendersi un’altra sigaretta; sicuramente ne avrebbe fumate altre, da lì a minuti: lo aiutavano a mantenere la calma, a non sbroccare, anche se i suoi polmoni gli mandavano insulti a più non posso.

«Non mi sembravi così scontroso, Tom» mormorò lei in risposta, facendo una smorfia. «Hai fatto finta di non conoscermi per tutta la sera, e scommetto che alla tua ragazza non hai detto niente» continuò, mentre lui si ritrovò a chiudere saldamente gli occhi.

«Emmeline non sa niente di quello che è successo e non deve nemmeno saperlo» sbottò, voltandosi verso di lei, trucidandola con lo sguardo. «Ho faticato tanto per ottenere un posto nel suo cuore, è tornata con me, la amo da impazzire e ho iniziato ad avere un rapporto con i suoi genitori, non voglio mandare tutto a puttane, e non devi farlo nemmeno tu» le puntò un dito contro, ma lei non si fece intimidire, anzi, lo sfidò con lo sguardo, alzando entrambe le sopracciglia.

«Oh, bè si capisco» disse, stringendosi le braccia al petto. «E la amavi così tanto anche quando venivi a letto con me?» sbottò, e Tom si ritrovò ad avere un conato di vomito, che riuscì a trattenere a stento.

Ecco.

Lui aveva già cercato di seppellire quella storia, non la sarebbe, di certo, andato a ripescare nei meandri della sua memoria.

«È stato un errore madornale, Ria!» sbottò, gettando per terra la sigaretta, non ancora consumata.  «Io non voglio più sentir parlare di questa cazzo di storia, voglio vivere la mia relazione con la mia donna e nient’altro!» concluse, portandosi le mani in tasca.

Osservò il panorama, la notte stellata e fredda di San Francisco, le mille luci.

«Riesci a vivere una relazione con lei, a guardarla negli occhi, dopo averla tradita?» quelle parole accoltellarono Tom, più volte, e vicino al petto. «Voi uomini siete tutti uguali, fate schifo» si lamentò disgustata.

La verità fa male.

E non solo al ragazzo, ma anche alla sua giovane compagna.

Già, Emmeline aveva deciso di cercarlo, non le piaceva rimanere sola in mezzo al suo gruppo di amici pazzi, e immaginava che fosse a fumare: quello non era il suo genere di locale.

Ma non avrebbe mai pensato che con lui ci fosse la nuova arrivata, Ria; non avrebbe mai lontanamente pensato che loro due si conoscessero; non avrebbe mai pensato che avessero avuto una relazione, mentre lui era ancora legato a lei, anche se lontano.

Lei non aveva preso in considerazione di avere una storia con altro uomo che non fosse Tom, lei lo aveva aspettato, lo aveva ripreso con sé e ne aveva ricevuto solo un pugno in pieno viso.

Quella serata sarebbe dovuta finire in modo diverso, invece si ritrovava a piangere lacrime salate all’interno di un locale a lei sconosciuto, dopo aver scoperto una verità dura.

Si ritrovò davanti Georg, che le bloccava la strada e la guardava stranito, sconcertato e curioso, e l’unica cosa che Emmeline riuscì a fare, fu quella di togliersi la fedina che aveva al dito, che gli era stata restituita nei giorni precedenti, e lasciarla nelle mani del giovane, che non riuscì a dire niente, a fare nemmeno una domanda, perché Em se ne era andata, era sparita in mezzo al bagno di folla.

L’aria fresca che la colpì in pieno volto riuscì a farla respirare: all’interno della discoteca e dopo essere venuta a conoscenza di quel piccolo e sporco segreto, le si stava bloccando la respirazione.

Fece qualche passo, cercando di allontanarsi da quel posto, ritrovandosi poco dopo in un vicolo, per sua fortuna non eccessivamente buio, e si appoggiò al muretto, piegandosi in avanti a rimettendo tutto quello che era all’interno del suo stomaco.

Non si era mai sentita così.

Si accasciò sulla strada, continuando a piangere tutte le lacrime che aveva smesso di versare nei mesi precedenti; aveva abbracciato le ginocchia, chiudendosi a riccio, come a volersi proteggere dal mondo esterno; esattamente come quei piccoli animaletti.


 
***


Il pacchetto di sigarette l’aveva finito: se l’era fumate tutte, e aveva accartocciato l’involucro, abbandonandolo sulla terrazza.

Non sapeva esattamente quanto tempo aveva passato all’aria aperta, il suo cellulare lo aveva abbandonato; voleva tornare giù e abbracciare Emmeline, e poi tornare a casa, a fare l’amore e dimenticare quella serata assurda.

Ria lo aveva lasciato solo, dopo averglielo imposto con durezza più di una volta; non poteva credere che fosse venuta a San Francisco per spiattellargli in faccia l’errore che avevano  condiviso e vissuto; aveva riportato a galla tutto quello che lui, con fatica, aveva cercato di lasciare negli abissi della sua memoria.

Decise di scendere le scale e tornare all’interno della discoteca, voleva andarsene a casa e dormire e smettere di pensare.

Incrociò un paio di ragazzi ubriachi fradici, che barcollavano e gli andavano addosso, ridendo da soli; Tom rabbrividì, pensando di non aver mai visto niente del genere, nemmeno lui si era mai trovato in quelle condizioni.

Non appena raggiunse il suo gruppo di amici, dopo aver ricevuto spallate e occhiate maliziose da parte di alcune ragazze, cercò, con lo sguardo, Emmeline tra di loro, al bar o in pista, ma niente, lei non c’era.

Gli salì una paura assurda, gli si chiuse lo stomaco, gli mancò l’aria per qualche istante: e se avesse capito qualcosa? Se Ria le avesse raccontato tutto?

«Che diavolo hai combinato?» la voce di Georg gli arrivò nitida e dritta alle orecchie, così si voltò verso di lui, trovandolo con il viso corrucciato.

«Dov’è Emmeline?» chiese, evitando di rispondere; ormai la paura aveva invaso il suo corpo, gli aveva annebbiato la vista, voleva quella risposta. «Dimmelo, Georg, dimmi dov’è!» abbaiò, sovrastando di molto la musica, spaventando il giovane davanti a lui.

Georg sospirò, scuotendo la testa e aprendo la mano dove si nascondeva la fedina che la ragazza gli aveva lasciato un po’ di tempo prima.

Tom sgranò gli occhi e gli bastò per capire ogni cosa.

«Tom, era distrutta, piangeva, tremava» il moro abbassò lo sguardo e successivamente afferrò con dolcezza quel piccolo anello che voleva vedere solo al dito della sua ragazza. «Cosa è successo?» gli chiese di nuovo, volendo sapere tutto.

«Ha scoperto una cosa che non volevo scoprisse» si ritrovò a mormorare, senza guardarlo negli occhi. «Io conoscevo già Ria» ammise e Georg sgranò gli occhi, sconvolto. «Abbiamo avuto una sorta di relazione, durata un mese, ma non era niente di speciale» incrociò lo sguardo dell’amico, e volle sotterrarsi.

Gli occhi di Georg erano colmi di rabbia, di odio e d’incredulità.

Non si aspettava una cosa del genere dal suo migliore amico: cazzo, lui amava Emmeline, avevano una storia de secoli, probabilmente si amavano ancora prima di nascere, con quale coraggio l’aveva tradita?

Georg voleva molto bene a Emmeline, per lui era come la sorellina che non aveva mai avuto, avrebbe fatto di tutto per lei, e in quel momento voleva spaccare la faccia a Tom.

«Vorrei tanto prenderti a pugni, lo sai?» sbottò, sfidandolo con lo sguardo. «Come hai potuto fare una cosa del genere a quella povera ragazza?» continuò, mentre il moro continuava ad accusare i colpi. «Quindi tu sei il ragazzo di cui mi ha tanto parlato» ridacchiò nervosamente e scuotendo la testa. «Il ragazzo che la faceva stare bene, il ragazzo di cui si è presa una cotta disumana» continuò a scimmiottare ciò che Ria gli aveva raccontato. «Ed Emmeline dov’era mentre ti scopavi Ria, eh?» ringhiò.

«Georg, basta» lo pregò con lo sguardo, il colpevole. «Devo parlare con Em, devo spiegarle tutto» il castano alzò un sopracciglio, immaginando come ne sarebbe uscito dalla loro prossima litigata.

Emmeline era minuta, ma sapeva tener testa a tutti, non si faceva prendere in giro, non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, tanto meno da Tom e, probabilmente, non gliel’avrebbe fatta passare liscia.

«Auguri» fu l’unica cosa che riuscì a dirgli Georg, prima di voltargli le spalle per tornare a dedicarsi a se stesso e alla sua birra.

Tom sospirò affranto e arreso.

Gli auguri non gli sarebbero serviti, quello che stava per succedere lo avrebbe scosso e segnato parecchio.

Riuscì a uscire dal locale, venendo investito da una ventata di aria fredda, che gli arrivò fino alle ossa, congelandolo da capo a piedi, cuore compreso.

Non sapeva dove fosse andata, non sapeva dove cercarla, da dove cominciare, ma optò per tornare al loro nido; l’unico luogo che la fa sentire al sicuro.

Sfortunatamente per lui, il locale non era distante, avrebbe fatto presto, anche se avrebbe preferito ritardare il più possibile la catastrofica litigata che si sarebbe abbattuta su di loro, su di lui; anzi non avrebbe mai voluto trovarsi in quella condizione.

Parcheggiò di fronte al negozio di liquori ancora aperto, e si chiese distrattamente, come poteva rimanere aperto per ventiquattro ore consecutive.

Sospirò e scosse la testa, e decise di entrare in casa; doveva risolvere quel problema il più presto possibile.

Lo spettacolo che gli si parò davanti, lo fece raggelare sul posto: i suoi abiti erano sparsi un po’ ovunque, assieme alle scarpe e a tutto ciò che aveva di più caro; i quadri con le loro foto, quelli appesi e quelli appoggiati ai vari mobili, erano completamente distrutti.

C’era puzza di sigaretta, assieme ad una nuvola di fumo.

Fece qualche passo avanti, destreggiandosi tra i suoi vestiti, senza inciampare, ma di Emmeline non c’era nessuna traccia e questo lo preoccupò non poco.

Raggiunse la loro stanza da letto, trovandosi di fronte a qualcosa di ancora peggio a ciò che aveva visto in precedenza: c’era puzza di alcol, e il liquido chiaro era anche sul pavimento, assieme alle due bottiglie di vodka vuote, mentre Emmeline era stesa sul setto, a pancia sotto, addormentata.

Non si era mai ubriacata, non aveva mai toccato quel genere di alcol, e lui l’aveva, praticamente, spinta ad ubriacarsi per cercare di dimenticare e stare meglio; si sentiva un mostro.

Si avvicinò a lei e si sedette al suo fianco, accarezzandole piano i capelli, e solo allora vide il cuscino completamente bagnato dalle lacrime.

«Sistemeremo tutto, amore mio, te lo prometto» mormorò, posandole un bacio sulla nuca.



 
*****


 
Se volete potete lasciare un commento.

N.b: non ho niente contro Ria (lo dico ora, soprattutto perchè andrà a riguardare qualche capitolo successivo), anzi, la ritengo molto fortunata:)



Se volete contattarmi, conoscermi o semplicemente fare due chiacchiere vi lascio qualche link:

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Un abbraccio e un bacio,

Montii.

 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


9.




 
Le mattonelle della doccia erano particolarmente fredde, e la testa di Emmeline era contenta di tutto quel freddo; non aveva la più pallida idea del perché avesse deciso di prendersi una sbronza.

La prima, ed ultima, della sua vita.

Il getto di acqua calda scendeva su di lei, incessante e forte: aveva bisogno di calore, quello che avrebbe potuto scaldarla nei giorni successivi.

Si era ubriacata, ma ricordava ogni singolo momento della sera precedente: la verità scoperta su Tom e Ria, la sua uscita di scena in lacrime, il ritorno a casa travagliato e aggrappata al muro, la lavagnetta delle offerte del negozio di liquori, la pazza idea di comprare due bottiglie di vodka liscia, la decisione di sparpagliare per casa gli abiti del ragazzo, un chiaro invito ad andarsene, il rompere le loro foto, e piangere, piangere, piangere.

Non aveva mai passato una serata del genere e non aveva nemmeno mai pianto così tanto.

Si era risvegliata tra le braccia di Tom: era stretta a lui, aggrappata a lui in modo disperato, e se ne sorprese davvero molto; nel sonno si era aggrappata all’unica cosa bella della sua vita, ed anche l’unica cosa che più, in quel momento, la stava facendo soffrire.

Si sarebbero dovuti affrontare e avrebbero sofferto entrambi, questo lo sapeva.

Decise che era meglio farlo subito; ritardare non sarebbe servito a niente.

Si avvolse nel suo accappatoio bianco e si asciugò, prima di infilarsi l’intimo e una maglia larga, sbiadita, del suo ragazzo; lasciò che i capelli ancora bagnati, si appiccicassero alla sua schiena, bagnando il tessuto.

Uscì dal bagno e s’incamminò verso la cucina, rimanendo appoggiata al muro; era proprio ridotta come uno straccio: la testa girava vorticosamente, e il senso di nausea aumentava di minuto in minuto.

Tom stava preparando il caffè e la colazione: sul tavolo c’erano le fette biscottate e la marmellata di frutti di basco, la sua preferita, e in un piccolo vaso c’erano dei fiori, probabilmente rubati dalla vicina di casa.

Probabilmente, se fosse stato un giorno diverso da quello, avrebbe sorriso intenerita e lo avrebbe abbracciato da dietro, spaventandolo, ma in quel momento, avrebbe bruciato ogni cosa; era furiosa, arrabbiata, ferita e, allo stesso tempo, innamorata.

Rimase lì appoggiata allo stipite della porta, senza emettere un suono, senza dire una parola, mentre osservava i movimenti del ragazzo, i suoi muscoli tendersi e rilassarsi, muoversi a suo agio davanti ai fornelli, intento a preparare qualcosa a lei sconosciuto, qualcosa di sconosciuto al suo stomaco.

Aveva fame, è vero, ma non avrebbe ceduto, per nessun motivo al mondo.

«Buongiorno, piccola» la voce di Tom la riportò sulla Terra, facendole distogliere lo sguardo da tutto quel cibo, spostandolo sul giovane.

Era in piedi con una padella tra le mani e lo sguardo fisso su di lei; Emmeline riuscì a leggere, sul suo volto, la stanchezza, la paura, l’imbarazzo e un miliardo di altre emozioni.

Durante la notte lo aveva sentito stringerla, coccolarla, baciarla, non l’aveva lasciata un attimo in pace, non le era stato lontano un attimo, e si era svegliata tra le sue braccia, come ogni altra mattina; aveva fatto finta di dormire quando lo sentì svegliarsi, e darle il buongiorno con un bacio.

Lei amava quella dolcezza infinita, ma in quel momento non sarebbe servita per addolcire nessuno, nemmeno una delle cose più amare di questo pianeta.

«Mi si è bruciato il composto per i pancake» ridacchiò lievemente, abbandonando la padella da una parte, mentre la giovane scosse la testa, trattenendo un sorriso. «Non sono bravo come te a prepararli» continuò, muovendo qualche passo verso di lei.

«No, Tom» sbottò, imponendogli di fermarsi, e di starle lontano. «Mi devi un universo di spiegazioni e senza troppi giri di parole, come tuo solito» riprese parola, cercando di mantenere un tono di voce normale, e cercando di badare al mal di testa sempre più fitto.

Lui annuì semplicemente.

«Perché non me lo hai raccontato, Tom?» gli chiese subito dopo. «Avevamo parlato di fiducia e niente segreti, avresti dovuto dirmelo, invece hai preferito tenermi all’oscuro di tutto, e il modo in cui sono venuta a saperlo mi ha distrutto totalmente» chiuse gli occhi, pensando di non voler piangere; almeno non ancora. «Mi hai ucciso, di nuovo» questa volta fu lui a chiudere gli occhi e a deglutire.

«Ho deciso di non dirtelo semplicemente perché avevo seppellito quel che è successo con Ria» mormorò. «Io ti amo da morire, quello che c’è stato con lei non ha contato niente, non è cambiato niente» continuò, ed Emmeline volle scoppiare a ridere istericamente e riempirlo di botte, usarlo come un saccone da box.

«Non è cambiato niente?» lo scimmiottò, alzando la voce di qualche ottava. «Come puoi dire una cosa del genere? Mi hai tradito, hai passato un mese nel letto, e tra le gambe, di un’altra, mentre io ero qui a piangere e a disperarmi perché tu te ne eri andato» si morse il labbro inferiore, e sentì le prime lacrime scendere lungo le sue guance.

Tom si avvicinò a lei e prontamente gliele asciugò.

«Non piangere, piccola mia, non farlo» la strinse a se, cercando di farla calmare, ma lei si ribellò alla sua stretta, divincolandosi e allontanandosi. «Non so cosa sia venuta a fare a San Francisco, per me lei non conta niente!» ripeté. «Tu sei il mio tutto, il mio mondo, le altre non esistono, Emmeline, devi credermi!» anche lui si trovò ad alzare la voce, facendola tremare.

Odiava quando le urlava contro; gli faceva proprio paura.

«Come puoi dire che esisto solo io? E smetti di chiamarmi piccola!» si inalberò, perdendo il controllo. «Non è cambiato niente, non è significato niente, come puoi dirlo! Tu mi hai tradito, hai tradito il mio amore, la mia fiducia, la nostra storia, e per te è come se non fosse successo niente!» gli puntò un dito contro, continuando a piangere. «Cosa diavolo hai nel cervello? Segatura?» si prese la testa tra le mani, sentendo le tempie pulsare.

Si appuntò mentalmente di prendere qualcosa per il mal di testa e, soprattutto, di farlo prima di una litigata furiosa, la prossima volta magari.

«Emmeline, per favore, calmati, non stai bene per niente» mormorò, tentando di avvicinarsi a lei, senza risultati. «Mi dispiace, avrei dovuto dirtelo subito, è vero, ma ho preferito tenerti all’oscuro, non volevo farti soffrire» aggiunse esasperato. «Eravamo così felici e intoccabili, perché ora dobbiamo rovinare tutto di nuovo?» chiese ed Emmeline gli lanciò uno sguardo infuocato.

«Dobbiamo? Dobbiamo, Tom? Tu hai rovinato tutto di nuovo, non io! E mi stai facendo soffrire, di nuovo!» sbraitò. «La conoscevi già, non è vero? È per lei che te ne sei andato e sei tornato, non è vero, Tom? Girare l’America e qualche altro paese del mondo, certo, come no!» disse, sfidandolo con lo sguardo.

Tom sgranò gli occhi, incredulo delle sue parole.

«Che cosa stai dicendo?» sbottò. «L’ho conosciuta a Vancouver, ma tu sai benissimo perché me ne sono andato, e Ria non è il motivo!» continuò. «Le parole cattive delle persone, la paura di non renderti felice, questo mi ha spinto ad andarmene, e sono tornato perché mi mancavi troppo e perché ti amo troppo» ribadì. «Emmeline ti prego, smetti di piangere e passa sopra a questa cosa, per favore» la pregò.

Voleva stringerla a se, coccolarla e amarla, senza problemi e discussioni in mezzo.

«Come hai detto, prego?» gridò. «Passarci sopra, hai detto? Spero tu stia scherzando, maledizione! Come diavolo faccio a passare sopra ad un tradimento?» gli chiese, ma lui rimase senza le parole, così richiuse la bocca e abbassò la testa. «Già, non sai cosa dire, vero?» mormorò, mentre le lacrime non smettevano di scendere. «Invece, io so cosa dire» continuò. «Raccatta le tue cose, vattene e non farti più vedere» disse, stringendosi le braccia intorno al corpo, abbassando lo sguardo. «Probabilmente Ria ti accoglierà in casa a braccia aperte» mormorò.

Non avrebbe mai voluto farlo, ma era l’unica cosa necessaria che riuscì a fare in quel momento; stava soffrendo troppo e continuare ad averlo tra i piedi, avrebbe causato altro dolore.

Lui sgranò gli occhi, di nuovo, e sbiancò.

«Emmeline no, non puoi farlo!» disse, sull’orlo di una crisi isterica. «Tu mi ami, i tuoi sentimenti non possono essere svaniti così!»

«No, infatti non sono svaniti, ma come faccio! Tu mi hai tradita, Tom! Ho bisogno di tempo per me stessa, per capire cosa farne di noi e della nostra storia» dichiarò, lasciandosi cadere sul pavimento.

«Piccola» mormorò, piegandosi davanti a lei e spostandole i capelli dal viso. «Non volevo che lo scoprissi così, anzi, non volevo che lo scoprissi affatto, non volevo vederti soffrire ed è proprio quello che sta succedendo» sorrise amaramente, sfiorandole la guancia e asciugandole, nuovamente, le lacrime. «Se hai bisogno di tempo e spazio, io te ne darò, quanto ne vuoi, ti aspetterò tutta la vita se necessario» continuò mormorando. «Ti amo tanto e spero che tu abbia la forza di perdonare questo mio errore» sussurrò, prima di posarle un bacio sulle labbra, prontamente ricambiato dalla ragazza.

Un secondo dopo e il ragazzo era già fuori casa.


 
***


L’appartamento di Georg non gli era mai sembrato così brutto, puzzolente e vuoto.

Si era presentato da lui con la faccia stravolta, la paura e la stanchezza negli occhi, e Georg non se l’era sentito di chiudergli la porta in faccia, in fondo era il suo migliore amico.

Ma non gli aveva ancora rivolto la parola: si era piazzato sul divano di pelle e si era acceso una sigaretta, e successivamente un’altra, e un’altra ancora.

Non faceva altro che sfiorare la foto che si portava continuamente appresso: la faccia stravolta e piena di delusione di Emmeline era stato uno schiaffo in pieno volto, quasi quanto aver rivisto Ria e aver riportato a galla quel mese in Canada.

Stava andando tutto liscio, erano felici, finalmente; e ovviamente tutto stava andando nel verso sbagliato, come sempre, d’altronde.

Non se la sentiva, nemmeno, di andare da sua madre: con quale coraggio le avrebbe detto che Emmeline lo aveva sbattuto fuori perché lui l’aveva tradita?

Non sapeva cosa fare e decise che la cosa migliore sarebbe stato aspettare la decisione della ragazza: continuare la loro storia o buttare tutto all’aria.


 
***


Emmeline era rimasta sul pavimento, con lo sguardo fisso sulla porta che Tom si era chiuso alle spalle, qualche ora prima.

Non pensava che lo facesse seriamente, almeno non con così tanta semplicità: non aveva, davvero, fatto una piega, aveva deciso di lasciarla stare, lasciarla sbollire, e lasciarla libera di decidere e di dare sfogo alle sue emozioni e ai suoi sentimenti.

L’avrebbe aspettata sempre: dopo quella frase aveva capito che lui l’avrebbe amata per sempre, qualsiasi fosse stata la sua scelta.

Senza Tom, Emmeline stava male, era peggio che morire, peggio che venire a conoscenza di un tradimento; si sentiva morta, vuota, la sua vita aveva poco senso.

Davanti al volto del ragazzo, davanti a quella litigata, le sembrava la decisione più giusta da prendere, ma in quel momento le sembrava la cosa più assurda che il suo cervello avesse mai partorito in quasi ventiquattro anni di vita.

Il ragazzo non aveva preso su nemmeno un suo abito, e si ritrovò a pensare che, probabilmente, sarebbe tornato a prenderli; forse poteva usarla come scusa per rivederla, per risentire il suo profumo, per parlarle un po’, o forse, solamente, per lanciarle qualche sguardo.

Gattonando raggiunse una felpa scura di Tom e la stropicciò, portandosela sul volto, facendosi sballare dal suo profumo, e continuò a piangere, non riuscendo a darsi un contegno.





 
*****

 
Scusate se è un pò corto, ma spero lo stesso possa piacervi:)

Se volete potete lasciare un commento.

N.b: non ho niente contro Ria (lo dico ora, soprattutto perchè andrà a riguardare qualche capitolo successivo), anzi, la ritengo molto fortunata:)



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Un abbraccio e un bacio,

Montii.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


10.






 
Georg odiava i parchi: non si era mai spiegato il perché di quella cosa.

Anche da piccolo voleva andarci poco, anche se sua madre insisteva continuamente, lo costringeva a uscire e ad andarci, voleva che giocasse con altri bambini.

Ma no.

La sua unica passione era la boxe, e ne aveva fatto il suo lavoro: amava allenare giovani ragazzi che cominciavano a muovere i primi passi verso quello sport, ma amava anche sfondare il sacco per sfogarsi.

E li passava la maggior parte del suo tempo: ci si allenava, faceva esercizi e si occupava dei suoi allievi.

Il Golden Gate Park era praticamente vuoto a quell’ora del mattino, ma sapeva di poter trovarci Emmeline: conosceva i suoi gusti, e al mattino correva qualche ora in quel parco enorme, e ora si trovava ad aspettarla, al Japanese Tea Garden, dove riposava dopo la corsa.

Georg voleva parlarle e voleva farle capire molte cose: non ne poteva più di vedere i suoi due amici messi in quella situazione.

Tom si stava rassegnando troppo, stava smettendo di lottare per la sua donna, e stava prendendo troppa confidenza con il suo divano.

Aveva trovato un fottuto lavoro che poteva permettergli qualcosa, che poteva, magari col tempo, dargli una vita migliore, magari lontano da San Francisco e da Tenderloin, invece voleva buttare tutto al diavolo, perché per lui non aveva più senso.

Georg si trovò a ridere da solo: come cazzo poteva ragionare in quel modo?

Spesso si ritrovava a non capirlo, come minimo il novantanove per cento delle volte.

La piccola figura di Emmeline apparve sotto il suo sguardo; non lo aveva ancora notato, troppo concentrata ad ammirare ciò che le stava intorno, anche se conosceva perfettamente quel luogo.

«Cosa ci fai qui?» mormorò la giovane raggiungendolo e spaventandolo.

«Voglio parlare un po’ con te, Emmeline» le rispose prontamente, invitandola a camminare con lui. «Sono tuo amico e voglio aiutarti, se posso» la giovane gli sorrise timidamente.

«E vuoi parlarmi di Tom, immagino» continuò sorridendo, calciando distrattamente un sasso.

Il ragazzo ridacchiò, offrendole una sigaretta che lei accettò di buon grado.

«Non sono qui per parargli il culo, ma per illustrarti le mie idee su di voi e su quello che sta succedendo» cominciò, fermandosi per osservarla in faccia; era così che preferiva. «Ti ricordi quando ti ha chiesto di diventare la sua ragazza?» le chiese ed Emmeline annuì, abbassando lo sguardo.

Come poteva dimenticarsene, era stato il giorno più bello della sua vita.

«Aveva sconvolto tutti, Georg» ridacchiò, riportando gli occhi su di lui. «Ci stavamo frequentando da un po’, e quando mi ha chiesto di essere sua, ero al settimo cielo» ricordò.

«Per lui era un traguardo raggiunto con tanta fatica» le disse senza troppi giri di parole. «Con te è riuscito a cambiare e a dare una svolta alla sua vita, sei stata la sua ancóra di salvezza» la ragazza si ritrovò a deglutire. «Lui ti ama da morire, se sbaglia, è perché deve imparare, è come un bambino che muove i primi passi in questo nuovo mondo» la mora alzò un sopracciglio, non molto convinta. «Il mondo dell’amore per lui è nuovo, anche se c’è dentro da ormai troppi anni» mormorò, spegnendo la sigaretta con il piede.

«Chi ama non tradisce, ed è esattamente quello che Tom ha fatto» gli ricordò. «Hai presente la tua bella vicina?» gesticolò nervosamente, sgranando appena gli occhi. «Cosa c’è da imparare da questo?»

«Lui non ha fatto una piega quando gli dicevo che uscivi con Liam» Emmeline rimase scioccata da quella confessione. «Ti tenevo d’occhio e lo sai, gli ho sempre detto tutto, nei dettagli, e poi vi ha visto insieme a cena, felici» la ragazza chiuse gli occhi. «Non ci sarai andata a letto, ma nel suo piccolo potrebbe essere considerato un tradimento!» le disse. «Eravate lontani, teoricamente era come se aveste rotto, lui era libero e tu pure!» Emmeline scosse la testa.

«Per me non era finita, Georg!» sbottò, picchiettando un dito sul petto.

«Però non ti sei fatta problemi ad uscire con Liam!» gli ricordò e lei cercò di replicare, senza riuscirci. «Lui è stato con Ria, okay, ma è tornato per una certa Emmeline Evans, la conosci?» gli chiese, facendola sorridere appena.

La mora si guardò intorno, non sapendo dove aggrapparsi.

«È stato un brutto colpo per me, Georg» mormorò. «Ho deciso di cacciarlo da casa e me ne sono pentita subito dopo» il ragazzo ridacchiò.

«Stai soffrendo, non è vero?» chiese e lei annuì, torturandosi le mani. «Allora sappi che siete in due» mormorò, nascondendo le mani in tasca. «Ti direi di venirtelo a riprendere, ma credo che tu debba pensare ancora un po’ a cosa fare, non ti vedo del tutto lucida» dichiarò, aprendosi in un sorriso.

La giovane lo occhieggiò qualche secondo, prima di porre una domanda.

«Sta da te?» mormorò in un sussurro, e lui annuì semplicemente.

«Lascia che io ti dica due cose» disse. «Tu sei il pezzo di puzzle che non riusciva a trovare per completare la sua vita, sei la donna che vuole al suo fianco, la sua metà, e se io fossi in te, questa volta, ragionerei con il cuore e non con la testa» vide alcune lacrime scendere sulle sue guance, e gliele asciugò. «Non c’è bisogno di piangere, è la verità, lo sanno tutti, così come lo sai tu» sorrise appena, sfiorandole le labbra per cercare di fare lo stesso. «Passa sopra al tradimento come ha fatto lui, e riprenditi Tom, così com’è, con i suoi pregi, difetti, e tutto quel fardello di problemi che si porta appresso» la ragazza sorrise tiratamente, e gli strinse le braccia intorno alla vita.

Lui le posò un bacio sui capelli e le donò qualche carezza, prima di lasciarla sola, con molte cose cui pensare.


 
***


Le parole di Georg continuavano a frullarle nella testa: non faceva altro che pensarci, continuamente, giorno e notte.

Dio, quanto aveva ragione!

Erano passati una quindicina di giorni da quando aveva buttato fuori Tom; era venuto a prendere gran parte delle sue cose e l’aveva fatto in uno dei tanti momenti in cui lei non era in casa.

E questo l’aveva fatta rabbuiare e deprimere.

C’era una cosa che, però, continuava a tormentarla: era andato a chiedere un posto a Georg, invece di andare da sua madre, quindi, per lei, preferiva rimanere nelle vicinanze di Ria, e questo le dava fastidio.

Magari doveva smettere di pensare negativamente.

Aveva bisogno di parlare con Ellen, sua collega di lavoro ma, soprattutto, sua amica di vecchia data: lei sapeva darle ottimi consigli ed era l’unica che riusciva a farle una lavata di capo, gratuitamente.

E ora si trovava a fissare l’insegna dell’autofficina dell’altro lato della strada, indecisa sul da farsi: aveva un bisogno assurdo di vederlo, anche solo da lontano, di sfuggita, per qualche secondo; voleva capire se stava bene, anche se, probabilmente, era nelle stesse sue condizioni.

Al diavolo.

Attraversò la strada senza farsi investire e venne, successivamente, inondata dai classici odori che  ci sono all’interno dell’autofficina: l’odore di nafta del compressore e quello delle gomme d’auto.

Si guardò intorno, curiosa, come se non fosse mai stata da un meccanico, e ne osservò l’ampio banco per gli attrezzi, un ordinatissimo scaffale per i ricambi e per i pezzi vecchi da riutilizzare, poster di auto, di modelle completamente nude o seminude, tipico degli uomini, e un calendario.

«Questo non è un posto adatto per una fanciulla come te» la voce di uno dei ragazzi la risvegliò dal suo stato di trance e sorrise, imbarazzata. «Posso aiutarti? Hai problemi con l’auto?» le chiese avvicinandosi e pulendosi le mani sui jeans, ormai completamente sporchi e rovinati.

«Bè, io» balbettò insicura, torturandosi le mani. «Sto cercando una persona»

«Emmeline» la voce di Tom la portò a voltarsi nuovamente, e sobbalzò sul posto quando lo vide. «Cosa ci fai qui?» le chiese, con curiosità nella voce, prima di liquidare con un gesto il ragazzo che prima l’aveva accolta.

Era sciupato, probabilmente dimagrito, aveva profonde occhiaie, il viso pallido e un accenno, in più del solito, di barba.

«Stavo cercando te» sorrise timidamente, e pulì, con la manica della sua felpa, la faccia sporca di nero del ragazzo, che ridacchiò piano, cercando di togliersi di dosso le mani della ragazza, in modo scherzoso. «Come stai?» gli chiese, guardando le mani di Tom giocare con le sue dita.

Le piaceva il tocco del ragazzo: era sempre caldo e delicato.

«Non vuoi veramente che io ti risponda, vero Em?» chiese ironicamente, facendola imbarazzare. «A parte che mi manchi da morire, sto bene» sussurrò, mentendo sull’ultima parte, ed Emmeline se ne accorse, ma non disse nulla.

Si liberò delle mani di Tom e cominciò a cercare dentro la sua borsa, sotto lo sguardo curioso del giovane, che osservava ogni suo singolo movimento.

«Ti ho portato il pranzo» gli allungò un paio di ciotole, contenenti alcune pietanze. «Immagino che ti sia stancato dei cibi precotti, congelati e confezionati di Georg» mormorò ironicamente, sorridendogli appena, mentre lui si ritrovò ad annuire, senza togliere lo sguardo dal suo pranzo.

Probabilmente aveva fame.

«Grazie» mormorò, accettando di buon grado ed Emmeline alzò le spalle, senza rispondere.

Si ritrovarono in silenzio, imbarazzati e senza nulla da dirsi, solo capaci di adocchiarsi di sottecchi, sotto i diversi rumori udibili nell’autofficina.

«Credo che sia meglio che io vada» ruppe il silenzio la ragazza. «Tu devi lavorare ed io sono di troppo» alzò una mano, accennando un saluto, prima di voltargli le spalle e incamminarsi verso l’uscita.

Tom la fissava, senza muovere un muscolo, ma non poteva lasciarla andare così, senza nemmeno ricambiare il saluto.

«Emmeline aspetta!» la richiamò, correndole dietro, e nel momento in cui si ritrovò di fronte a lei, intento a osservarla dritto negli occhi, si chiese se mai sarebbe riuscito a fare a meno di lei. «Posso baciarti?» le chiese e lei sgranò gli occhi, scioccata da tale domanda: lui non doveva nemmeno chiederlo, doveva farlo e basta.

Annuì, aspettando che il giovane posasse le labbra sulle sue: Tom le afferrò il viso con delicatezza, facendo incontrare le loro labbra, in un semplice, soffice e dolce bacio a stampo.

Entrambi sapevano che non era finita.


 
***


«Avanti, Em, sputa il rospo» Ellen la stava osservando, mentre continuava a far girare la cannuccia nel suo cocktail.

La bionda l’aveva convinta ad andare a bere qualcosa dopo il lavoro, dopo che Emmeline le aveva detto che voleva parlare: insomma aveva bisogno di parlare con una donna di cui si fidasse.

Emmeline la fissò, alzando un sopracciglio.

«Oh avanti, non sono stupida, ti conosco da vent’anni e quella faccia te la porti dietro da almeno due settimane» le disse, puntandole un dito, affusolato e smaltato di rosso, contro, sorridendole. «C’entra con Tom, vero?» la mora si ritrovò ad arrossire, come una bambina sorpresa a rubare una caramella.

Ellen ridacchiò, scuotendo la testa.

«L’ho sbattuto fuori di casa» mormorò, fissando il liquido colorato all’interno del suo bicchiere, mentre la bionda sgranò gli occhi, fissandola come se fosse un alieno. «Smettila di guardarmi come se fossi verde e avessi le antennine sulla fronte» mormorò. «Mi ha tradito, cosa dovevo fare?» chiese, incrociando le braccia al petto.

«Tom? Tom ti ha tradito? Stiamo parlando dello stesso Tom?» mormorò sotto shock la bionda. «Il Tom Kaulitz che ama solo una donna dall’ultimo anno del liceo? Lui ha occhi solo per te, Emmeline! Com’è possibile?» sghignazzò, incredula. «Scommetto che è successo nel momento in cui era a fare lo zingaro in giro per l’America, no?» continuò la bionda a fare domande, non lasciando il tempo necessario, all’amica, di rispondere.

«Sì, ma l’ho scoperto e mi sono infuriata» borbottò la mora, spiegando con poche parole quello che è successo in seguito.

«Il tuo carattere aggressivo esce sempre fuori in queste situazioni» ridacchiò nuovamente  Ellen. «Per come la vedo io, devi passarci sopra, lasciar perdere e continuare la tua relazione con lui» Emmeline dischiuse le labbra per dire qualcosa, ma si morse la lingua e decise di star zitta: erano le stesse parole che le aveva detto Georg. «Ti ricordi cosa ti dissi l’ultimo anno del liceo?» le chiese e la mora negò, facendo roteare gli occhi all’amica. «Come immaginavo» borbottò sottovoce. «Mi chiedesti se stavi facendo la cosa giusta, e ti risposi che lo sapevi da sola» cominciò. «Non ti eri presa una sbandata per lui solo perché era bello e aveva la fama del cattivo ragazzo, ma ti eri presa una sbandata per lui per il suo modo di trattarti, perché fin da subito ha iniziato a trattarti come una principessa, la sua» mormorò, e gli occhi di Emmeline s’illuminarono.  «Da quando vi siete scontrati, è come se si fosse messo il paraocchi, vede solo te» disse, facendo arrossire lievemente Emmeline. «Sei entrata nella sua vita e l’hai stravolta completamente, come un uragano» continuò, mentre la mora deglutì. «Avevi paura, perché ascoltavi le voci di corridoio e quelle di città, ma ci sei passata sopra, fregandotene, e guarda dove siete arrivati» la guardò dritto negli occhi, sorridendole.

Emmeline abbassò lo sguardo, colpita anche dalle sue parole: si sentiva stupida e non sapeva il perché; insomma, era stata tradita e si sentiva in colpa di averlo cacciato via.

«Lo so, Ellen, lo so» soffiò poi. «Ma cosa dovevo fare? Abbracciarlo, dirgli che lo amo e far finta di niente? Non è da me, mi dispiace» borbottò sulla difensiva, facendo ridere l’amica.

Entrambe finirono il loro cocktail e mangiarono qualche stuzzichino, ascoltando il brusio intorno a loro, le chiacchiere degli altri e la musica di sottofondo.

«No, ma non dovevi nemmeno buttarlo fuori, così su due piedi» la rimproverò piano. «Dovevi far passare una notte o due, e fare pace» sorrise, stringendo la mano di Emmeline tra le sue. «Tanto da quello che mi hai detto vi mancate a vicenda e ieri vi siete persino baciati, cos’altro vuoi sentirti dire da lui? Sai che ti ama, che non voleva farlo e poi uno come lui, che ti dice che ti aspetterà tutta la vita, non lo troverai mai più» anche Emmeline sorrise, abbassando lo sguardo, arrossendo lievemente.

Aveva proprio bisogno di sentirsi dire tutte queste cose da Ellen: lei ne sapeva sempre una in più del diavolo, sapeva sempre cosa dire e quando dirla, non aveva peli sulla lingua.

«Anche Georg mi ha detto, praticamente, le stesse cose, sai?» ridacchiò piano, ricordando le parole dell’amico di un po’ di tempo prima.

«Georg? Quel gran pezzo d’uomo?» si illuminò la bionda, raddrizzando la schiena, improvvisamente più interessata della conversazione precedente. «Credo che tu non ti sia mai resa conto di quanti bonazzi conosci» Emmeline alzò un sopracciglio, curiosa. «Oh andiamo, Tom è il tuo compagno ed è una favola, Georg è palestrato, affascinante, poi c’è Liam, ricco sfondato, bello, e ti muore dietro da secoli» entrambe ridacchiarono, mentre la mora scosse la testa, pensando che la sua amica era pazza. «La prossima volta che uscite, invitami, voglio conoscerlo di persona, finalmente» la mora sorrise maliziosa, ma annuì energicamente.

Era troppo presa e concentrata a pensare alle parole di Ellen, ma anche quelle di Georg le tornarono in mente, e sorrise teneramente, pensando a quanto lo amasse e che lo avrebbe sicuramente perdonato, anzi lo aveva già fatto, e lo avrebbe ripreso in casa, nel loro nido.

Lo amava troppo per perderlo.






 
*****
 
Stamattina mi sono alzata con l'idea che oggi fosse martedì o giovedì, e non so nemmeno perchè aahaha; comunque a parte la mia pazzia (probabilmente è colpa del caldo che mi sta uccidendo), oggi è mercoledì, e come ogni mercoledì posto un capitolo, e quindi eccolo qui.
Ho notato che lo scorso capitolo non è piaciuto, ma spero vivamente di rimediare con questo.

Ho cambiato nickname, ormai ovunque mi chiamo difficileignorarti (lo adoro proprio, penso sia stata una genialata), e quindi ho pensato di chiamarmi così anche qui su EFP.

Visto che ci sono, se no va a finire che mi dimentico, voglio fare un grosso (grossissimo!!) in bocca al lupo alle ragazze e ai ragazzi che dovranno affrontare gli esami di terza media o di maturità: andrà tutto bene, vedrete! :D

Ne approfitto anche per ringraziare tutte quelle persone che stanno leggendo questa mia storia, che lasciano recensioni (sempre gradite) e che l'hanno aggiunta tra le preferite e seguite; siete davvero gentilissime/i e per questo vi abbraccio (virtualmente) uno per uno.

Okay, forse oggi ho parlato anche troppo e non è da me, quindi ora vi saluto e vi mando un bacio!



N.b: non ho niente contro Ria (lo dico ora, soprattutto perchè andrà a riguardare qualche capitolo successivo), anzi, la ritengo molto fortunata:)


Se volete contattarmi, conoscermi o semplicemente fare due chiacchiere vi lascio qualche link:

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Un abbraccio e un bacio,

difficileignorarti

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


11.

 


Emmeline ed Ellen quella sera non facevano che fumare una sigaretta dietro l’altra, oltre che a mangiare pasticcini e salatini, portati da un membro del tribunale, che avrebbe tenuto una conferenza sulla giustizia.

Avevano registrato il pienone; mai successo con le serate di opera, anche se Emmeline, in quel momento, avrebbe preferito ascoltare quel genere di canto che non rientrava per niente nei suoi gusti, al posto delle parole e dei discorsi, per lei incomprensibili, che venivano fatti.

«Dio, voglio sotterrarmi» mormorò Ellen, afflosciandosi sulla sedia al suo fianco, mentre la mora si ritrovò a ridacchiare, concentrata sul computer di fronte a lei, intenta a registrare le presenze illustri della serata.

«Non conosco nessuno di queste persone» borbottò, pensando, magari, di venire da un altro pianeta, ma improvvisamente il nome di Liam comparve e lei si ritrovò a sgranare gli occhi. «Vorrei andare a casa a dormire profondamente e abbracciare il cuscino» brontolò, riprendendosi, ed evitando di piagnucolare, mentre l’amica si ritrovò ad annuire, completamente d’accordo.

Sognava il suo letto da quando aveva messo piede fuori di casa per andare al lavoro; aveva passato il pomeriggio a sistemare e pulire quel piccolo appartamento, assieme al suo armadio: ne aveva tirato fuori gli abiti più leggeri e aveva trovato altre cose di Tom.

Dapprima aveva sorriso teneramente, stringendo il tessuto dei suoi abiti, inalandone il profumo del ragazzo, ma poi aveva sospirato tristemente, riponendo tutto in un cassetto.

Non si erano più rivolti la parola, solo qualche sguardo imbarazzato quando si incontravano in giro; Emmeline sapeva benissimo che lui stava aspettando una sua risposta, e sapeva che le stava dando i suoi spazi, ma sapeva anche che non avrebbe aspettato molto, nonostante le bellissime parole  che Tom le aveva detto: ti aspetterò per sempre.

«Avete parlato?» la voce di Ellen la risvegliò dal suo stato di trance, e si ritrovò a negare, abbassando lo sguardo. «E cosa aspettate? Una benedizione divina o che qualcun altro si metta tra di voi?»  chiese alzando un sopracciglio, rassegnata. «Siete due testoni, mamma mia» Emmeline sorrise, senza farsi vedere: aveva ragione.

«Lui non ha colpa, lo vedo impaziente e a fremere quando mi vede, ma l’unica cosa che riesco a fare è rifilargli un’occhiata» mormorò, imbarazzata, mentre l’amica fece schioccare la lingua sul palato.

«Ho sempre pensato che fossi dura di testa, ma così è esagerato, non credi?» mormorò, tirandole un pugno scherzoso sul braccio. «Fai qualcosa, Emmeline, o finirai per perderlo e tu non vuoi questo, così come non lo vuole lui» si sorrisero, e la mora la ringraziò con uno sguardo.

Non avevano bisogno di parole loro due.

«Ragazze, potete andare» il loro capo annunciò quelle parole con il sorriso, e loro due, contente, lo salutarono e uscirono.

Era raro che il loro capo le lasciasse uscire prima dal lavoro; era una persona gentile, molto amorevole con loro, le trattava come delle figlie.

Emmeline rimase stupita nel vedere Georg dall’altra parte della strada: o la stava seguendo o la stava tenendo d’occhio, e sicuramente c’entrava Tom.

Ellen, al suo fianco, trattenne un gridolino di gioia e sorrise ampiamente, seguendo la mora verso il suo amico; la bionda aveva una cotta per Georg e non lo nascondeva affatto, ma non aveva mai avuto il coraggio di parlargli e di conoscerlo.

Quello poteva essere il momento.

«Ehi, Em» sorrise il ragazzo, stringendola a se. «Ciao» salutò la bionda, subito dopo, sempre con il sorriso sulle labbra. «Ti ho portato un paio di cose» indicò la sua macchina e la ragazza notò immediatamente tre girasoli appoggiati al cruscotto.

Si ritrovò a sorridere imbarazzata.

«Georg questa è la mia amica Ellen» cambiò discorso, ritornando con lo sguardo su di lui, che roteò gli occhi al cielo. «Voleva conoscerti da un po’» ridacchiò maliziosa, ricevendo una gomitata nelle costole da parte dell’amica.

Ellen arrossì notevolmente, osservando di sottecchi il giovane, che le strizzò l’occhio.

«Poiché sei tanto impaziente di lasciarla nelle mie mani» cominciò Georg, ricevendo l’attenzione di entrambe. «Tu» indicò Emmeline. «Prendi la mia macchina, vai a casa, prendi quei girasoli e leggi ciò che il tuo amato ti ha scritto» gli occhi della mora s’illuminarono e il suo cuore riprese a battere violentemente contro la gabbia toracica. «Mentre la tua amica viene a prendersi qualcosa da bere con me» propose, e le ragazze annuirono.

I tre amici si divisero: Georg ed Ellen s’incamminarono verso un bar nelle vicinanze, mentre Emmeline salì a bordo dell’auto di Georg.

Anche se i tre girasoli erano finti, Emmeline sorrise, sfiorandoli, immaginando che fossero veri: non era ancora la stagione adatta e per questo si accontentava anche di quelli finti.

Afferrò la busta appoggiata affianco ai fiori, e ne tirò fuori un foglio, riconoscendone la scrittura del ragazzo, che era raffinata ed elegante: si era sempre chiesta come facesse un ragazzo a scrivere così bene.

 

 
Non sono mai stato bravo a parole, immagina a scrivere una lettera.
Solitamente sono schietto, diretto, ma per parlare di sentimenti e amore, ci sono sempre volute le tenaglie, per cavarmi qualche parola di bocca; ti ricordi?
Ho sempre pensato che conoscerti sia stata la cosa migliore che io abbia mai fatto, e continuo a pensarlo, tu mi hai cambiato, trasformato completamente, tirando fuori l’uomo che sto cercando di essere; certo il cattivo ragazzo è rimasto, sai mi ha contaminato la vita e probabilmente mai lascerà il mio corpo.
Gli anni con te sono stati i migliori della mia vita: i ricordi, i momenti vissuti, quelli me li porterò dietro per sempre, proprio come il mio amore per te.
Il mio sogno più grande, dopo aver capito di amarti, era quello di renderti felice, di avere, un giorno, una famiglia con te, di sposarti, per passare il resto della mia vita al tuo fianco, così che gli altri potessero sapere che questo fiore di donna era occupato.
Ma dopo gli ultimi eventi successi, ho paura che tutto questo non accadrà; sai io ti amo, te lo dirò sempre, mal l‘ho combinata grossa, ti ho fatta soffrire di nuovo, e questo mi fa male, perché, per me, significa esattamente il contrario di quello che sognavo: non posso renderti felice, non come meriti almeno.
Ma non per questo rinuncerò a te, questo non lo farò mai: lotterò per te, per la nostra relazione, per un nostro futuro; credo che non riuscirei mai ad amare nessun altra donna, non come amo te.
Ho ripreso il vizio che avevo quando sono tornato: ho ripreso a seguirti e a tenerti d’occhio, lo faccio solamente per proteggerti, per il tuo bene, non voglio che tu lo consideri un gesto ossessivo e di possessione, non sono così pazzo.
Bè, forse dipende dai punti di vista: ad esempio sono pazzo di te.
Ti ricordi la prima volta che abbiamo dormito insieme? Era un letto singolo e tu, praticamente, dormivi su di me, e io non ho fatto altro che accarezzarti i capelli, baciarti morbidamente la fronte, guardarti dormire, ascoltare il tuo respiro regolare e calmo; questo è quello che vorrei fare per il resto della mia vita, magari in un letto matrimoniale, in una casa nostra, magari dall’altra parte del mondo.
Ti ricordi cosa ti ho detto a casa dei tuoi genitori? Vorrei che nostro figlio avesse il tuo sorriso e i tuoi occhi; vorrei vedere il tuo pancino piatto lievitare lentamente, segno della crescita del nostro frutto dell’amore.
Sai, sto cercando di immaginarti mentre sorridi a queste mie parole, vorrei davvero che tu lo facessi, vorrei davvero che tu continuassi a sorridere, e vorrei che la causa del tuo sorriso sia io.
Ogni volta che ti vedo fremo dalla voglia di correrti incontro, di abbracciarti, stringerti tra le mie braccia e baciarti; dammi un’altra possibilità, ti prometto di non deluderti più, di non commettere più errori di nessun genere, cercherò di essere migliore per te, per me, per noi.
Voglio dirti un’ultima cosa, un paio di battute che ci dicemmo agli inizi di tutto: mi dicesti “io e te siamo un errore” e io ti risposi “e allora facciamo questo errore, al resto penseremo dopo”; noi due non siamo mai stati un errore, siamo stati e siamo due giovani che si sono trovati e che sono destinati.
Questo è il mio pensiero, qualsiasi sia la tua scelta, ti amerò per sempre.
Tom.

 
Emmeline sorrise, asciugandosi dolcemente le lacrime scese, e toccò lievemente quel foglio, cercando di sentirlo un po’ più vicino a sé.

Una volta qualcuno le disse “Non perdere l’occasione di stare con la persona che ami, perché non si sa mai, domani potrebbe essere troppo tardi” e ora ne capiva veramente il suo significato.


 
***


Si era infilata una maglietta di Tom, non una di quelle vecchie e usurate che usava come pigiama, ma una di quelle che portava tutti i giorni, per uscire o per oziare.

Quelle parole che le aveva scritto le avevano confermato tutto quello che Georg ed Ellen le avevano detto: lui l’amava davvero e quello era semplicemente stato un errore che non avrebbe più commesso.

Probabilmente il fatto di voler i suoi spazi era solamente una scusa, come quella di averlo buttato fuori; lei aveva già deciso da un pezzo, lei lo avrebbe riaccolto tra le sue braccia e nella sua vita, lo avrebbe sempre fatto.

Non aveva mai pensato che Tom avesse avuto il bisogno di tradirla, non si era mai vista con un paio di corna sulla testa, pensava di avere il ragazzo più fedele del mondo, o che comunque cercasse di esserlo, anche quello per Emmeline era stato uno shock.

Ma loro avevano una relazione da anni, entrambi si conoscevano alla perfezione, perché ad un tratto, per colpa di un errore, avrebbe dovuto resettare la sua mente e doversi abituare a qualche d’un altro?

Nessuno dei due l’avrebbe fatto.

L’improvviso bussare alla porta, la fece sobbalzare, nel verso senso della parola; curiosa, dato l’orario, e speranzosa andò ad aprire.

Sgranò gli occhi e fece una smorfia, osservando il biondo davanti a lei.

«Liam, credo che tu abbia sbagliato porta, persona e quartiere» mormorò, appoggiandosi a quel pezzo di legno, mentre lui alzò un sopracciglio. «Che vuoi?» soffiò, aspettando una sua risposta.

«Scambiare due parole con te» la mora si trovò a sbuffare, infastidendo il ragazzo, e titubante lo lasciò entrare, pregando di non pentirsene, e soprattutto che si sbrigasse: lei voleva andare a dormire.

Le faceva strano avere Liam in giro per casa, quello non era il suo ambiente, non era abituato a uno spazio così piccolo, e nemmeno le sue donne dovevano abitare in un posto simile; spesso si chiedeva perché avesse questo morboso interesse per lei.

«Che cosa vuoi, Liam?» chiese, volendo arrivare subito al dunque, immaginando già dove volesse andare a parare; era come un disco rotto, ogni volta che si vedevano finivano sempre per parlare delle stesse cose.

Il ragazzo continuava a guardarsi attorno, da bravo finto curioso, e giurò di averlo sentito trattenere una risata, e infatti nel momento in cui si voltò verso di lei, aveva un sorriso idiota sulla faccia e con un dito indicava intorno a se.

«Non posso credere che tu viva in questo schifo di posto» ridacchiò, scuotendo la testa, prima di nascondere le mani nelle tasche dei suoi pantaloni eleganti.

Emmeline alzò un sopracciglio, per niente divertita dal suo comportamento e dal suo tono ironico e per niente amichevole: e allora? Era il suo appartamento, aveva sudato per averlo e lui osava, addirittura, giudicare.

«Bè, puoi anche andartene, sai?» sbottò, stringendosi le braccia sotto al petto, e lui scosse la testa, tornando serio, improvvisamente.

La stava fissando con i suoi occhietti inquisitori, cercando di decifrare il suo sguardo o cercando di leggere all’interno della sua anima.

«Hai ragione, scusami» mormorò, facendo qualche passo verso di lei. «Avevo pensato di portare lo champagne per festeggiare, ma poi, ragionandoci bene, magari non avresti gradito» la mora alzò entrambe le sopracciglia: champagne? «Bè, ho saputo della fantastica notizia, e sono venuto, finalmente a marcare il territorio».

Emmeline chiuse gli occhi, cercando di trattenersi dal ridere, ma non ce la fece e scoppiò in una fragorosa risata, lasciando sconvolto Liam.

«Scusami?» mormorò, dandosi un contegno. «Fantastica notizia? Champagne? Marcare il territorio?» ridacchiò di nuovo. «Ma cosa ti sei fumato, Liam?» gli chiese.

Lui si limitò semplicemente a incenerirla.

«Hai lasciato Tom, Emmeline» mormorò lui, e lei s’immobilizzò, tornando seria, impassibile.

«Come sai questa cosa?» soffiò, riducendo gli occhi a due fessure. «E poi l’ho solo buttato fuori, non l’ho lasciato» mormorò, facendo una smorfia.

Liam ridacchiò, scuotendo la testa, e poi la fissò, chiedendole con lo sguardo se quel suo gesto non fosse sinonimo di averlo lasciato.

«E cosa cambia, scusa?» chiese, ma lei non rispose, alzando le spalle. «Comunque la notizia sta girando, è sulla bocca di tutti, ma io l’ho saputo da Ria».

Emmeline fece una smorfia, sentendo quel nome, ma incominciò a stranirsi e a insospettirsi: che lui c’entrasse qualcosa con tutta quella storia?

«Come conosci Ria?» si ritrovò a domandare. «Hai ragione, Liam, non cambia niente, peccato per te, che ci stiamo riavvicinando» lo informò, felice di quel fatto.

Non vedeva l’ora di abbracciare il suo cattivo ragazzo.

Lui alzò le spalle, avvicinandosi a un mobile lì vicino e prese a scrutare una delle poche cornici che si sono salvate: erano lei e Tom, ed erano felici.

«Non importa come io la conosca, è una donna fantastica, però» mormorò, lanciandole uno sguardo. «Em, senti, io non riesco ancora a capire cosa ci trovi in lui» mormorò, riavvicinandosi a lei che, istintivamente, ne fece un paio indietro. «Non può darti niente, non ti merita perché tu meriti di più di tutto ciò» indicò l’appartamento intorno a se. «Meriti di più di uno che ti tradisce non appena se ne va, meriti di più di uno che ti abbandona perché non ha le palle di affrontare le brutture che la gente dice» le disse con arroganza e disprezzo nei confronti di Tom. «Per quanto mi riguarda, lui non merita nemmeno di respirare la tua stessa aria» Emmeline sgranò gli occhi: nessuno aveva mai osato dire una cosa del genere, e le stava facendo male.

Abbassò lo sguardo, colpita e ferita da quelle parole.

«Non ti permetto di dire una cosa del genere, Liam» mormorò improvvisamente. «Sei sempre così ripetitivo, ma è inutile, anche se tra me e lui dovesse finire definitivamente, io non mi metterei mai con te» annunciò con una calma assurda, ma con tanta paura; aveva paura di una sua reazione, ma lui rimase impassibile. «Non sei il mio tipo, non lo sei mai stato e mai lo sarai» dichiarò. «Tu mi metti sempre in soggezione, rimango sempre in secondo piano, perché in realtà tu mi vuoi solo perché hai un odio represso per il mio ragazzo» gli puntò un dito contro. «E alla fine scoprirò anche il perché, Liam, puoi starne certo» soffiò, sfidandolo con lo sguardo.

Lui sorrise tiratamente, sfiorandole appena la guancia, toccando la pelle della ragazza che non avrebbe mai potuto avere.

«Ho forti dubbi a riguardo, piccola Em» mormorò lui, continuando a sorriderle. «Nonostante tutto, lui è fortunato, può sfiorarti, accarezzarti, baciarti, amarti, farti sorridere, ridere, ogni volta che vuole» la sua voce sembrò incrinarsi lievemente. «Io pagherei tutto l’oro del mondo per averti, ma tu non lo accetteresti» cercò di avvicinare il suo viso a quello di lei in cerca di un bacio ma Emmeline spostò la testa di lato, permettendogli di lasciargli solo un bacio sulla guancia.

Si scostò da lei, che si girò in tempo per vederlo uscire dal suo appartamento, chiudendosi la porta dietro le spalle.

Una cosa che Emmeline non riusciva a capire era il motivo di questa sua folle e morbosa attrazione nei suoi confronti, ma quello che la stava mangiando adesso e che l’aveva insospettita prima, era l’amicizia con Ria.

Niente di quell’incontro e di quella chiacchierata la convinceva.

E poi cosa sperava che si mettesse con lui, subito dopo essere uscita da una relazione?

Non era mica matta.


 
*****
 
Un commentino? Una piccola recensione? Un "fa schifo"? Mi accontento di tutto, eh.

Come è andata la prima prova della maturità? E gli esami di terza media (per chi li ha, ovviamente)? :)

Un bacio. 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


12.






Quando era piccola, Emmeline, voleva essere un unicorno, ma non era mai riuscita a spiegarne il motivo e ora ne aveva uno tatuato sulla spalla sinistra: era piccolo e stilizzato, ma per lei rappresentava la sua infanzia, e ne era affezionata.

Simboleggiava la saggezza, la forza, la purezza, la generosa vittoria, ed era considerato docile, incapace di fare male agli altri, era sensibile: fino a qualche anno prima si ritrovava in alcuni di quelli aggettivi, ma poi si era fatta una sorta di analisi interiore, e ne aveva tirato fuori una persona che stentava a riconoscere, ma sapeva benissimo che senza quella sua nuova parte non era completa; era una Emmeline a metà, e solo da qualche anno si sentiva completa.

E il ringraziamento più grande, sicuramente, andava a Tom.

Rileggeva quella sua lettera almeno un paio di volte al giorno, e ogni volta il suo cuore scoppiava di gioia; certe volte, mentre era in giro, sorrideva da sola, ripensando a quelle parole; era pazza, anche lei lo era, eccome se lo era.

E ora seduta su una panchina del Golden Gate Park, pensava a come riportarselo a casa: era indecisa se prenderlo per mano e trascinarlo con se, era indecisa se baciarlo passionalmente, era indecisa se saltargli addosso e abbracciarlo stretto, era indecisa se guardarlo negli occhi e lasciare che lui leggesse tutto l’amore che provava attraverso essi, era indecisa se spogliarlo e fare l’amore li, ovunque si trovassero.

Sospirò e si ritrovò a pensare di essere una stupida: non aveva pensato che quella fottutissima decisione di sbatterlo fuori avrebbe fatto male a entrambi, perché entrambi stavano soffrendo per via di quella lontananza forzata che Emmeline aveva imposto.

Certo, lei era quella tradita nel vero senso della parola; ma a proposito di parole: c’erano quelle di Georg, che le ricordavano che nel suo piccolo anche le sue uscite con Liam potevano essere considerate tali, e lei non ci aveva mai pensato.

Lei aveva brontolato tanto, aveva pianto, si era presa una sbronza, lo aveva allontanato e lui non aveva fatto una storia, non l’aveva accusata di niente, a parte chiederle se era qualcosa di serio.

E a proposito di Liam, quello sbruffone, arrogante e approfittatore, tutto quello che le aveva detto, era stato così cattivo e duro; come poteva parlare in quel modo?

Quel ragazzo odiava talmente tanto Tom, e lei aveva sempre pensato che fosse solo una sua impressione, ma in realtà non era così, ed Emmeline l’aveva capito, troppo tardi, ma l’aveva capito; quello che invece non riusciva a spiegarsi era il perché.

Il flusso impazzito dei suoi pensieri fu interrotto da qualcuno che si sedette al suo fianco.

Spostò lo sguardo e per poco non le uscirono gli occhi dalle orbite: Ria la stava fissando e poi le sorrise timidamente, accennando un saluto con la mano destra.
Emmeline si ritrovò a pensare che fosse davvero bella; solo uno stupido poteva dire il contrario.

«Ci mancavi solo tu a complicare la mia vita, già piena di problemi» sospirò la mora, tornando a fissare il vuoto davanti a se. «Cosa sei venuta a dirmi?» riprese parola dopo pochi secondi. «Sei, per caso, stata a letto, di nuovo, con Tom? Vuoi le mie congratulazioni? Non sono disposta a fartele, vai a cercare appoggio da un’altra parte» continuò schifata, ma venne bloccata dalla donna al suo fianco, che le diede una lieve spinta, come a volerla far tacere.

Emmeline sobbalzò, incredula: come si permetteva di toccarla?

Le rifilò un’occhiata assassina, e si pulì la manica della maglia, schifata.

«Non voglio niente del genere, Emmeline» mormorò la castana, alzando un sopracciglio. «Non sono stata nuovamente con Tom» le disse in tutta sincerità. «Quel ragazzo ti ama, Emmeline, io sono stata una distrazione in un momento di lontananza tra di voi e quello che ho detto a Georg, sul fatto che lui era il mio tipo ideale, che ero cotta di lui, bè quelle erano solo bugie, un po’ come per quello che ho detto a Tom, l’averci riprovato, non era qualcosa di mano mia, non ero io a gestire i fili» la mora la stava ascoltando, ma non ci stava capendo niente, ma la lasciò comunque continuare nel suo monologo, voleva vedere e capire cos’altro le avrebbe detto. «Per quanto mi riguarda, niente di ciò sarebbe dovuto succedere, anche se devo ammettere che Tom è stato il miglior sesso della mia vita» Emmeline vide Ria accavallare le gambe e poi arrossì, pensando che anche lei avesse potuto godere delle capacità del suo ragazzo, o meglio dire di Tom.

«Scusami, Ria, ma io non ci sto capendo niente» mormorò stralunata e sempre più confusa.

Probabilmente avrebbe avuto bisogno di uno psichiatra dopo quella chiacchierata.

«Non è importante se non capisci di ciò che sto dicendo, credimi, devi solo capire che io non sono niente, non sono nessuno per Tom, e non m’intrometterei una seconda volta» continuò, sorridendole appena. «Non sarei nemmeno dovuta venire a San Francisco, e non vedo l’ora di tornare a casa mia» alla mora venne da ridere lievemente.

«No davvero, Ria, io non sto capendo niente» ammise onestamente, di nuovo. «Apprezzo quello che mi stai dicendo, la tua sincerità la riesco a leggere nei tuoi occhi e la percepisco nelle tue parole, ma chi è comanda i fili se non sei tu?» chiese, ormai arrivata alla disperazione totale.

«È irrilevante, Emmeline» mormorò in risposta.

«È come se ci fosse qualcuno che stia cercando di distruggerci?» chiese, deglutendo appena, e la vide alzare le spalle, inclinando la testa di lato, come a volerle dare una conferma. «Ti faccio una semplice domanda» iniziò, mentre il suo cervello stava partorendo pensieri non molto carini. «Conosci un certo Liam Spencer?» mormorò, osservandola dritto negli occhi, e vide quelli di Ria dilatarsi lievemente, il suo viso sbiancare di poco.

«Non so chi sia, mi dispiace» le rispose, anche se Emmeline non credette a quelle parole. «Volevo dirti come stavano le cose, mi ha fatto piacere parlare con te, e auguro il meglio a te e a Tom» sorrise lievemente. «In bocca al lupo per tutto, Emmeline» le porse la mano, e la mora la strinse, prima di sorriderle.

«Anche a te, Ria, davvero» mormorò, prima di vederla andare a via, per lasciarla nuovamente sola.

In realtà non era sola, c’era qualcuno che la stava osservando da lontano, e quel qualcuno, questa volta, non era Tom.


 
***


Aveva iniziato a piovere mentre lei era ancora al parco, ancora immersa nei suoi mille pensieri distaccati, confusi, dopo quella strana, o meglio dire, stranissima, conversazione con Ria.

La pioggia non era prevista ed Emmeline non aveva nemmeno un ombrello con sé, e la sua maglia era sprovvista di cappuccio, così ora si ritrovava completamente bagnata: sentiva l’acqua ovunque, persino dentro le scarpe, i vestiti e i capelli erano completamenti attaccati alla pelle.

Probabilmente si sarebbe presa un coccolone, una di quelle influenze pesanti.

Ma il fatto è che non le importava niente: incontrava gente che la osservava stranito, qualcuno che rideva di lei, bambini stupiti da quel suo comportamento, ma lei  continuava a camminare per la sua strada, mancava poco per arrivare a casa.

Tirò fuori le chiavi dalla tasca dei pantaloni e spostò alcune ciocche di capelli che le erano cadute sul viso, limitandole la vista e solo allora vide una figura alta davanti alla sua porta, anch’essa completamente bagnata.

Tom.

Lui le sorrise timidamente, prima di avvicinarsi a lei, bloccata sul marciapiede, sotto la pioggia battente.

«So che avevo detto che avrei rispettato i tuoi tempi, i tuoi bisogni, i tuoi spazi, ma non ce la faccio più, sto impazzendo Emmeline, ho bisogno di sapere» mormorò, guardandola dritto negli occhi e lei riuscì a leggere tutta la disperazione e l’impazienza.

Le veniva da ridere, ma si morse il labbro inferiore per trattenersi, e si limitò a sorridere timidamente, come lui poco prima.

«Lo so, Tom, lo immagino» rispose.

«Non hai nemmeno risposto alla mia lettera» aggiunse lui, facendo una smorfia. «Né un messaggio, né una chiamata, un segnale di fumo, niente, Emmeline» continuò, probabilmente sull’orlo di una crisi. «Ho iniziato a pensare di tutto, negativamente parlando, e poi ho visto Spencer qui, e tu l’hai fatto entrare» se stava piangendo, Emmeline non poteva vederlo, a causa della pioggia, ma poteva capirlo, grazie al suo respiro tremolante e alla smorfia sofferente che si era disegnato sul volto.

«Voleva solamente parlarmi, l’ho respinto in tutti i modi, Tom, non è successo niente, basta per rassicurarti?» chiese, portando una mano sul suo volto, che chiuse gli occhi al tocco della giovane.

«Non lo so, Emmeline» mormorò, lasciandola basita; non si fidava di lei. «Non so nemmeno cosa siamo adesso» confessò, e lei si ritrovò d’accordo, anche se non disse una parola. «Cosa ne posso sapere io di quello che è successo? Magari siete stati a letto insieme e puoi rifilarmi una stronzata» sbottò, liberandosi dal suo tocco.

«Non ti fidi di me, Tom?» mormorò, a occhi sgranati.

Faceva male pensarlo e dirlo.

«Non mi fido di lui, Em!» rispose, alzando la voce di qualche ottava. «Lui può darti tutto, Em, lui può renderti felice, come non posso farlo io, e questo mi fa male!» le ricordò, spostandole qualche ciocca di capelli dal viso. «Lui può darti tutto quello che vuoi, tutto a quello a cui sei abituata, mentre io cosa posso darti?» perché le stava facendo di nuovo quel discorso?

«Tom» mormorò chiudendo gli occhi, esasperata. «Perché stai tornando su questo discorso? Io sono felice così, con te!» ribadì per l’ennesima volta. «Io non voglio lui, io voglio te, solo te e nessun altro!» abbaiò con rabbia, puntandogli un dito contro. «Avrei voluto che nel momento in cui ti urlai dietro di andartene, tu non l’avessi fatto sul serio, Tom» mormorò, abbassando nuovamente la voce; era stanca di litigare, era stanca di dare spettacolo davanti a tutti, era stanca di non riuscire a far capire a Tom che lui era tutto e che nessun altro le avrebbe dato quello che le dava lui, era stanca di combattere inutilmente. «Vuoi lasciarmi, Tom? Allora fallo, ma smettila di farmi soffrire in questo modo, smettila di dire tutte queste stronzate, smettila di dire di non essere abbastanza per me, smettila di dire che non mi renderai felice, perché non è vero e io sono stanca di tutto questo» scosse la testa piano, e si morse il labbro inferiore.

Un tuono in lontananza squarciò il silenzio, e forse anche la sua anima.

Non poteva credere di averlo messo davanti a quella domanda; di nuovo una domanda trappola.

«Non voglio lasciarti, Em» sorrise tristemente lui. «Siamo stati lontani per troppo tempo, voglio recuperare tutto il tempo perso» posò le labbra su quelle di lei, dopo averla spinta verso di lui. «Mi dispiace, piccola, scusami, per tutto quello che ho fatto e che ho detto» mormorò sulle labbra morbide e bagnate di lei, che si lasciò cullare da quelle di lui.

«Siamo gli stessi di sempre, Tom» soffiò, inalando il suo respiro che sapeva di tabacco. «Siamo le stesse persone, con gli stessi pregi e difetti, e con lo stesso amore che ci lega, non dimenticarlo, per favore» mormorò, mentre lui la strinse a se, sentendo anche i suoi abiti bagnarla.

Infilò le mani tra i suoi capelli completamente bagnati, e lo baciò, trascinandolo in una sorta di danza passionale, che solo loro potevano vedere, che solo loro potevano avere.


 
***


Era in una sorta di dormiveglia, completamente rilassata, con un sorriso leggero sulle labbra, stretta tra le braccia di Tom, che le lasciava carezze leggere lungo il corpo, e ogni tanto le donava qualche bacio tra i capelli, ormai, asciutti.

Dopo aver parlato, discusso, sotto la pioggia, si erano infilati in casa, sempre più bagnati e infreddoliti, avevano riempito la loro piccola vasca da bagno, si erano immersi e si erano lavati a vicenda, riscaldandosi e giocando come due bambini.

«Posso farti una domanda?» chiese Emmeline, facendo scoppiare una delle poche bolle di sapone rimasta, mentre Tom continuava a coccolarla e a stringerla a se.

«Tutto quello che vuoi, piccola» mormorò in risposta al suo orecchio, dopo averle posato un bacio alla base del collo, facendola rabbrividire.

Quanto amava i suoi baci, le erano mancati davvero tanto; certe volte se li sognava durante la notte e si svegliava, cercandolo con lo sguardo, ma lui non c’era, ma ora era tornato ed eri li con lei.

«Ria è stata il miglior sesso della tua vita?» chiese, prendendo coraggio e sentendo il corpo del ragazzo irrigidirsi a quelle parole, probabilmente spaventato da quella domanda un po’ inaspettata.

«Se ti rispondessi di si?» la ragazza sgranò gli occhi e cercò di staccarsi dalla sua presa, ma lui la trattenne al suo posto, ridacchiando lievemente. «Sapevo che questa era la tua reazione, ma fammi parlare» ridacchiò donandole un altro bacio, mentre lei sospirò rassegnata. «Ria sarà anche stata il miglior sesso, ma con te è diverso, con te ho sempre fatto l’amore, ed è diverso, lo capisci questo?» si appoggiò alla spalla di lei, mentre Emmeline annuì, senza proferire parola, aspettando che lui continuasse. «Con te è sempre diverso, ogni volta è come la prima, scopro sempre qualcosa che la volta prima non avevo visto, o non avevo sfiorato o toccato» mormorò di nuovo, mordendole piano il lobo dell’orecchio. «Io farò sempre l’amore con te, e ogni volta sarà migliore» Emmeline sorrise, abbandonandosi alle sue parole, ai suoi baci e alle sue carezze. «Quelle che baciavo non erano le tue labbra, quello che toccavo non era il tuo corpo e nemmeno la tua pelle, voglio te, solo te e nessun’altra» la ragazza voltò il viso nella sua direzione e gli lasciò un morbido bacio sulle labbra. «Voglio toccarti davvero, voglio vederti con gli occhi lucidi e voglio vederti ridere e sorridere» soffiò sulle labbra di lei ad occhi chiusi, gustandosi il momento. «Voglio che tu sia felice, con me» il cuore di Emmeline si riempì di gioia, perché finalmente l’aveva capito.

Ci aveva messo un sacco di tempo a farglielo capire, e ora che l’aveva ammesso, era la donna più felice sulla faccia della Terra; le aveva fatto una sorta di dichiarazione e per lei era stata bellissima, piena di significato.

Sapeva che per Tom era difficile parlare di sentimenti, esternarli, anche quando parlava con lei, e sentire quel discorso le aveva fatto tanta tenerezza e il suo cuore si era riempito di gioia, si era gonfiato; era stato un discorso tutto suo.

«Sai, García Márquez diceva che è facile essere sicuri di sé quando fai sesso con una donna che non ami, perché l’unica cosa che importa è avere la conferma di saperci fare, vedendola godere» Emmeline si stranì del fatto che il suo ragazzo, nonostante il diploma, conoscesse uno scrittore così importante, ma si stupì anche del discorso che aveva cominciato a farle, così dal nulla. «Ma fare l’amore con la donna che ami è diverso, perché si ha paura di non essere abbastanza» le posò un altro bacio sulla spalla, mentre lei posò le mani sugli avambracci di lui. «L’amore ci rende fragili» mormorò sulla sua pelle.

Emmeline si girò tra le sue braccia, e Tom le sorrise intenerito nel vederla con gli occhi lucidi.

«Ti amo troppo, mi hai proprio cambiato la vita» mormorò sfiorandole il viso e la vide avvicinarsi, appendendosi poi al suo collo, sfiorando il naso di Tom con il suo, in un innocente bacio a eschimese.

«Il destino ci ha fatto incontrare ed io non potevo chiedere di meglio» mormorò lei in risposta, sulle sue labbra carnose.

Lui sorrise, d’accordo con lei, ma non rispose, posando, invece, le mani sui fianchi di Emmeline che annuì piano, capendo le sue intenzioni.

«Avremo una vita migliore, Tom, te lo prometto» disse sicura, guardandolo dritto negli occhi; lui sorrise di nuovo, non capendo, però, cosa intendesse la sua ragazza: insomma come potevano stare meglio con quei miseri lavori che avevano? «Se accetteranno la mia domanda, andremo a Los Angeles, Tom» quest’ultimo sgranò gli occhi incredulo. «Non volevo dirtelo, non volevo darci farse speranze, ma non potevo tenermelo dentro ancora a lungo» sorrise abbassando lo sguardo, mentre lui le posò un bacio sulla fronte. «Staremo bene e avremo una nuova vita, lontano da questo schifo di posto e da questa gente» soffiò continuando, avvicinandosi al corpo del ragazzo. «La decisione, se venire con me o meno, spetta solo a te» passò le mani sul suo petto e si mosse un po’, rovesciando l’acqua sul pavimento. «Capirò se non vuoi venire perché non vuoi lasciare questa città, tua madre e tutti i tuoi amici, ma sarei più contenta se venissi con me, ecco» mormorò in imbarazzo, facendolo ridacchiare.
Lo voleva con sé e tutto per lei.

«Andrei in capo al mondo con te, piccola» confessò, prima di aiutarla a unirsi a lui, in un contatto estremamente intimo.

Emmeline si morse il labbro inferiore, cercando di darsi un contegno, a quel contatto.
Chiuse gli occhi, allacciando le braccia intorno al suo collo, lasciandosi stringere e beandosi di quell’unione tanto attesa; Tom sospirò rumorosamente al suo orecchio.

«Non devi nemmeno chiedermelo, la risposta sarà sempre e solo si» disse semplicemente, facendola sorridere, prima di cominciare a lambirle il collo e dare un ritmo lento a quella loro unione.

Non importava a nessuno dei due dell’acqua sul pavimento, troppo concentrati ad amarsi senza un contegno.


 
***


Emmeline gli aveva quasi imposto di uscire con i suoi amici, mentre lui insisteva per rimanere a casa con lei, per parlare un po’, coccolarsi e, chi lo sa, magari rifare l’amore; invece tra un bacio e l’altro, gli aveva detto di uscire e di divertirsi per una serata tutta al maschile, mentre lei sarebbe passata da sua madre, voleva parlarle e passare un po’ di tempo con lei.

Si stava fumando una sigaretta, aspettando l’arrivo di uno dei suoi amici, Andreas, il solito ritardatario, eppure aveva sempre l’orologio al polso e controllava il telefono ogni due per tre.

Era felice di essere tornato al fianco di Emmeline, ed era felice di aver saputo che forse se ne sarebbero andati da Tenderloin; poteva essere davvero l’inizio, o il continuo, di una lunga storia d’amore, lontano da quel luogo che non avrebbe mai offerto niente a loro due, se non guai e tanti problemi.

«Hai ancora il sorriso sulle labbra, come è possibile?» a quella voce maschile, Tom si girò, per poi alzare lo sguardo al cielo, trovandosi di fronte uno dei tanti problemi: Liam.

«Bè, quando passi l’intera giornata con la tua donna e quando non smetti di pensare a lei, mi sembra il minimo, Spencer» mormorò in risposta, gettando il mozzicone di sigaretta e spegnendolo con la scarpa. «Cosa vuoi? Non hai niente da fare?» sbottò poco dopo, odiando la sua presenza e il suo sorriso strafottente sul volto.

«Hai ragione, però una come Ria non fa solo sorridere, insomma, dovresti capirmi, sei uomo anche tu» ridacchiò Liam, mentre Tom fece una smorfia.

«Che diavolo c’entra Ria? Io stavo parlando di Emmeline, è lei la mia donna» gli ricordò, e lo vide irrigidirsi e tendere la mascella, come se non se lo aspettasse, e poi si voltò del tutto verso di lui non capendo come lui conoscesse la canadese.

Lo sfidò con lo sguardo, prima di porgli la domanda.

«Tu come conosci Ria?» mormorò.

«È irrilevante, Kaulitz» sbottò in risposta. «L’ingenuità di Emmeline mi stupisce sempre di più» ridacchiò infilando le mani in tasca, mentre Tom strinse i pugni; nessuno doveva insultare la sua ragazza. «Ogni volta che la fai soffrire, torna con te, cos’hai la bacchetta magica o la ipnotizzi?» chiese con tono duro e cattivo. «Cosa diavolo ci trova in te? Non sarà mai felice, perché tu non puoi renderla felice»

Tom ridacchiò: Liam era ridicolo, ripeteva le stesse cose almeno un centinaio di volte, e nonostante ottenesse sempre le stesse risposte, continuava.

«Non offenderla» gli puntò un dito contro. «E poi sei come un disco rotto, dici sempre le stesse stronzate!» scosse la testa. «E poi non dovresti prendertela con me» aggiunse. «Se Emmeline mi sceglie sempre, un motivo c’è, ed è perché mi ama, ma non le importa se io sia ricco o no, mettitelo in testa e mettiti l’anima in pace» sbottò, e poi girò i tacchi, lasciandolo solo.


 
***


Era la prima volta che si era sporcato le mani con un omicidio, e non gli piaceva per niente: odiava il sangue, odiava portare un cadavere in un altro posto e odiava l’odore che emanava non molto tempo dopo; solitamente si serviva di killer professionisti o di Sebastian, ma quella volta doveva farlo in prima persona.

Aveva rischiato troppo, stava rischiando tutt’ora, non poteva farlo ulteriormente; non poteva lasciarla in vita: si era servito di lei, l’aveva pagata e stava per spifferare tutto, forse sentendosi colpevole e dispiaciuta per quello che aveva fatto.

Non gli interessava, doveva morire e basta.


 
***


Si era addormentata sul divano a casa dei suoi genitori e non aveva nemmeno avvertito Tom; sperava che non si fosse preoccupato troppo, sperava che non si fosse fatto venire un paio di infarti, sperava che non avesse messo sottosopra tutta la città per trovarla: ne era capace.
 
Mi sono addormentata, scusa, sto tornando.

Gli scrisse quel messaggio mentre camminava per una delle vie principali di Tenderloin; c’era gente ai tavolini dei bar intenti a fare colazione, si sentiva l’odore del pane e delle paste appena sfornate e ad Emmeline venne di nuovo fame; aveva lo stomaco sfondo, se volesse potrebbe mangiare tutto il giorno.
 
Non ho chiuso occhio stanotte, piccola, mi hai fatto prendere uno spavento assurdo. Sono per strada, ti sto venendo incontro, così facciamo due passi.

Sorrise intenerita, pensando che un ragazzo così non l’avrebbe mai più trovato: il cattivo ragazzo più protettivo, possessivo e geloso del mondo ce l’aveva solo lei, ed era contenta di questo.

Avevano passato un pomeriggio fantastico e aveva capito che sarebbe sempre stato lui, qualsiasi cosa sarebbe accaduto: lei sarebbe sempre tornata con lui; sapeva che la loro storia sarebbe arrivata lontana, sapeva che al mattino, svegliandosi, si sarebbe ritrovata tra le sue braccia, sapeva che lui l’avrebbe sempre sostenuta nelle sue scelte, sapeva che non l’avrebbe abbandonata; l’amore che li legava era troppo grande per essere distrutto.

Si fermò davanti ad una vetrina di un negozio di vestiti ancora chiuso e sospirò; aveva bisogno di fare shopping e di buttare soldi in vestiti, scarpe, accessori, come non faceva da tempo.

Da quando stava con Tom, fare shopping sfrenato non era possibile; e Liam si trovava ad avere ragione sul fatto che quella vita le stava stretta e non era sua, ma non era importante: il peggio era passato, ora entrambi avevano un lavoro, e i genitori di Emmeline le avevano detto che nel bisogno loro li avrebbero aiutati.

E poi c’era in forse quel lavoro da sogno a Los Angeles.

Si accorse della presenza di Tom ancora prima di vederlo: i loro corpi e la loro anima erano come collegati da una linea invisibile e nello stomaco della ragazza si liberavano migliaia di farfalle, esattamente come le prima volte, non appena sentiva la sua presenza.

Le strinse un braccio intorno alle spalle, mentre lei infilò la mano nella tasca posteriore dei jeans del ragazzo; un gesto di possessione che era diventato una sorta di vizio fin da quando si erano messi insieme.

«Ciao, amore mio» mormorò lui, carezzandole una guancia, prima di baciarle morbidamente le labbra.

Emmeline sorrise dolce, accoccolandosi a lui maggiormente.

«Ehi» sussurrò contro le sue labbra. «Mi dispiace, non volevo farti preoccupare, ma sono crollata» spiegò, mentre lui scosse la testa divertito, ma con sguardo severo.

«Non farlo più» le disse in modo duro, mentre s’incamminavano verso casa. «Scusami, non volevo essere duro, ma ho una paura assurda di perderti o che qualcuno possa farti del male» continuò più dolcemente, e lei sorrise intenerita, senza dirgli niente.

In lontananza videro un gruppo di persone e qualche agente della polizia, così, curiosi si avvicinarono, ed entrambi si raggelarono sul posto.

A terra c’era un cadavere di una donna, sangue ovunque; era una scena che erano abituati a vedere in un film, non si erano mai trovati davanti ad una scena del genere.
La cosa che sconvolse di più la coppia, fu l’identità della donna.

Ria.




 
*******
Solitamente posto il mercoledì, ma stasera mi sento buona e ho deciso di postare il nuovo capitolo.
Comincio col dire che, tra tutti i capitoli che ho scritto fino adesso, questo è il mio preferito in assoluto, e spero vivamente che possa piacere anche a voi.
Continuo col dire e RIBADISCO che io non ho niente contro Ria, quello della storia è solo un personaggio inventato dalla mia testa, esattamente come tutta la storia
Questo capitolo è abbastanza lungo e devo dire che sarà meglio che vada a scrivere il prossimo, non mi piace fare aspettare la gente.
Comunque se volete potete lasciare recensioni, sempre molto gradite :)

Un bacio e un abbraccio, e un grosso in bocca al lupo a chi deve ancora dare l'orale degli esami di terza media e di maturità: andrà tutto bene!

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


13.








 
Avevano entrambi la stessa espressione sconvolta, gli occhi sgranati e il volto pallido.

C’era altra gente che aveva la loro stessa espressione e qualcun altro stava piangendo.

C’era un poliziotto che stava coprendo il cadavere con un sacco, mentre altri prendevano le impronte e facevano rilevamenti, mentre altri ancora interrogavano i presenti, cercando di capire di più sulla ragazza e su quel che era successo.

Tom le strinse la mano, mentre Emmeline continuava a guardare ciò che aveva davanti, cercando di capire chi avesse potuto fare una cosa del genere e perché: nessuno la conosceva, tranne loro, e poi non ci sarebbe stato nessun valido motivo per poterla uccidere, alla fine si era rivelata una brava ragazza e con un segreto che la stava soffocando; questo la mora lo aveva capito.

«Merda» riuscì a mormorare il ragazzo dopo un lungo tempo di silenzio.

Emmeline si limitò a non rispondere alla sua imprecazione e strinse un po’ più forte la sua mano, terrorizzata.

Un agente si avvicinò a loro, chiedendo i loro nomi e se conoscessero la vittima; data la risposta affermativa, erano stati convocati in commissariato per essere interrogati, come da prassi.


 
***


Non era la prima volta che si trovava in un commissariato: aveva tirato fuori più volte Tom dai guai, conosceva bene quel posto, ma non si sarebbe mai immaginata di trovarsi li, quasi sotto accusa.

«Signorina Evans, come ha detto, lei conosceva la vittima, la signorina Sommerfeld» la ragazza annuì, evitando di guardare l’agente davanti a lei in faccia. «Quando è stata l’ultima volta che l’ha vista?» le chiese.

«Ieri mattina, al Golden Gate Park, abbiamo avuto una chiacchierata di chiarimento» disse; non poteva mentire, la polizia le metteva soggezione.

«Chiarimento a riguardo di …?» domandò a quel punto, osservandola attentamente.

Emmeline sospirò stancamente.

«Qualche mese fa ha avuto una sorta relazione con il mio ragazzo» disse e arrossì, imbarazzata; le faceva strano parlare dei suoi affari personali con una persona sconosciuta.

«Quindi lei aveva un movente, signorina» la ragazza sgranò gli occhi e lo fissò.

«No!» sbottò, sbattendo le mani sul tavolo di fronte a lei. «Io non ce l’avevo con lei, solo con il mio ragazzo, e poi come le ho detto avevamo chiarito, so che lei non ha fatto tutto di sua spontanea volontà!» l’agente ridacchiò, scuotendo la testa.

«Non voglio sapere altro, signorina» le disse. «Anche perché non penso che lei sia un’esperta di armi da fuoco» la ragazza fece una smorfia e negò con la testa: non aveva mai toccato un’arma in vita sua e mai l’avrebbe fatto. «La signorina Sommerfeld è stata uccisa da un professionista» le spiegò e solo allora la mora capì. «Mi dica, il suo ragazzo, il signor Tom Kaulitz, potrebbe aver avuto un valido movente? Insomma, sono stati insieme e lei era la sua ragazza, signorina» Emmeline si trovò di nuovo a sgranare gli occhi. «Dove vi trovavate ieri sera?» le chiese.

«Tom non farebbe mai una cosa simile, anche perché non ne avrebbe avuto motivo, eravamo già tornati insieme» confessò. «Ieri sera mi trovavo da mia madre e ho passato la notte li, mentre Tom era fuori con i suoi amici» mormorò, e alzò le spalle.

«Okay, metta una firma qui e poi aspetti» le comunicò e poi lasciò la stanza, lasciandola sola.

Sorseggiò un po’ d’acqua e poi si abbandonò sul tavolo, cercando di trattenersi dal piangere.


 
***


«Signor Kaulitz, da quanto conosceva la signorina Sommerfeld?» chiese lo stesso agente che in precedenza aveva interrogato Emmeline. «La sua ragazza ci ha detto che avete avuto una sorta di relazione» continuò e Tom roteò gli occhi al cielo.

«È stato un bel po’ di tempo fa, agente, mi trovavo in Canada» disse semplicemente.

«E questa relazione aveva compromesso la sua storia con la signorina Evans, giusto?» il giovane annuì. «Era un buon motivo per ucciderla, non crede?»

«Mi sta accusando di avere ucciso Ria?» chiese scioccato. «Lo fa solo perché sono il figlio di un pregiudicato, ma non farei mai una cosa simile, per lo più a una donna» lo sfidò con lo sguardo, per niente intimorito. «Non mi abbasso a certi livelli, agente» borbottò.

Aveva bisogno di una sigaretta o sarebbe impazzito al più presto; voleva sapere come stava Emmeline e aveva bisogno anche di lei.

«Lei non ha un passato immacolato, signor Kaulitz, ma non voglio accusarla di niente, le voglio solo dire una cosa» Tom si mise sull’attenti, ora curioso di sapere cosa volesse. «Accanto al cadavere è stato trovato un biglietto con su scritto che non sarebbe stata la prima» il moro deglutì. «Non lasci che la sua ragazza esca di casa da sola, soprattutto di notte, si prenda cura di lei e la protegga» mormorò. «Non vogliamo un altro cadavere e speriamo di mettere dentro chi ha fatto una cosa simile» gli fece firmare le sue dichiarazioni. «Arrivederci» mormorò, salutando il giovane.


 
***


«Tutto bene?» le chiese Tom in un sussurro.

Erano passati dal loro appartamento per prendere su qualche abito: avrebbero passato un po’ di tempo dai genitori di Emmeline; sarebbero rimasti insieme e forse avrebbe potuto proteggere la sua ragazza in modo migliore.

«Una meraviglia» mormorò ironicamente la mora in risposta. «Ria è stata uccisa, siamo quasi stati accusati, c’è un assassino a piede libero, certo che va tutto bene, Tom» continuò, osservando la strada davanti a se, correre veloce sotto di loro.

Il ragazzo ridacchiò piano, immaginando quella risposta e quella reazione da parte della sua ragazza; appoggiò una mano sul suo ginocchio, stringendolo piano, cercando di confortarla in qualche modo, con quel gesto.

«Appena arriviamo dai tuoi genitori, ci facciamo un bagno caldo e passerò il tempo a coccolarti, magari ti aiuta a rilassarti, che ne dici?» domandò con un sorriso sulle labbra, voltandosi verso di lei momentaneamente.

Vide un piccolo sorriso nascere sulle labbra della sua ragazza, e già sentì i suoi muscoli rilassarsi.

«Mi sembra una buona idea» sussurrò Emmeline, appoggiando la mano su quella del ragazzo, ora sul cambio. «Ultimamente passiamo più tempo nella vasca da bagno che da un'altra parte» ridacchiarono entrambi.

Si sentiva già più leggera, anche se l’ansia e la paura non avevano nessuna intenzione di lasciare il suo corpo.

«L’importante è che tuo padre ci lasci rimanere soli, anche perché voglio fare l’amore con la mia donna» mormorò dolcemente, fermandosi davanti alla villetta dei genitori di Emmeline, e si voltò verso di lei.

Emmeline gli sorrise, avvicinandosi a lui, baciando le sue labbra che tanto amava.

Si lasciò stringere dalle sue braccia e si lasciò baciare dalla sua bocca, lasciandosi andare in quel momento tutto loro.

«Sai, “fare l’amore” è la mia frase preferita» mormorò sulle labbra di Tom che, aprendo gli occhi, la guardò curioso; non capiva cosa intendesse. «È come dire che io sono la tua parte mancante, e hai bisogno di me per completarti» sorrise, prima di baciarlo di nuovo.

Anche Tom sorrise nel bacio, stringendola un più forte, avvicinandola a lui.

Per Emmeline fare l’amore con Tom era come fare un viaggio misterioso: si lasciava guidare, trascinare, condurre in luoghi che non conosceva e che non aveva mai visto; e ogni volta era come la prima.

Che cosa poteva rovinare quel momento così bello tra di loro? Che cosa poteva rovinare la loro storia?

 
Il problema della felicità è che quando arriva, porta con sé anche la paura.
Paura che qualcuno o qualcosa rovini quel momento.
Paura di perderla troppo velocemente, quella felicità.

 
***


Non amava spiare la gente, soprattutto sua figlia, ma ancora si fidava poco di Tom, e il fatto che non molto tempo prima era venuto a sapere che l’aveva tradita, lo aveva riportato ad essere diffidente nei confronti del ragazzo.

L’unica cosa che lo faceva stare leggermente meglio, era che con lui, Emmeline sarebbe stata al sicuro: molte persone avevano paura di Tom, forse per il suo passato o per quello che dicevano di lui, e diffidavano dall’avvicinarsi; lui l’avrebbe sempre protetta.

Erano venuti da loro nella mattinata, dopo che avevano scoperto dell’omicidio di quella ragazza e dopo che gli agenti di polizia gli avevano chiesto di tenerla al sicuro: li avevano accolti in casa senza troppi pensieri e problemi, perché anche loro volevano tenere al sicuro la loro bambina.

E ora li osservava dormire dallo stipite della porta, e uno strano sorriso tranquillo aleggiava sulle sue labbra: Tom la stringeva a se in un gesto possessivo e protettivo, come solo un compagno dovrebbe fare.

Forse era davvero il ragazzo giusto per sua figlia.


 
***


Sentiva le labbra di Tom baciarle il volto, la nuca, il naso, cercando di svegliarla nel miglior modo possibile.

Era praticamente sveglia, ma preferiva rimanere con gli occhi chiusi e lasciarsi coccolare e baciare dal suo ragazzo: aveva bisogno di tutta quella dolcezza e calma.

Le era preso caldo per quello era sveglia: Tom mentre dormiva aveva il vizio di rimanerle vicino, stringerla, toccarla, come a voler confermare la sua presenza, e le stava addosso, riscaldandola.

Involontariamente strinse la sua mano e sospirò pesantemente, dandogli la conferma sul fatto che si fosse svegliata.

«Sei molto calda piccola, tutto bene?» le chiese amorevolmente, mettendo la sua mano sulla sua fronte, che sorrise divertita.

«Indovina di chi è la colpa» ridacchiò la ragazza, lanciandogli uno sguardo divertito. «Non ho la febbre, ho solo caldo» si sistemò meglio sul suo petto, chiudendo gli occhi.

Stava così bene lì stretta nella morsa calorosa del suo ragazzo.

«So che non ne vuoi parlare, ma ancora non posso credere che qualcuno abbia ucciso Ria» mormorò lui e nel suo tono, Emmeline, percepì la sua preoccupazione e la sua paura. «L’agente di polizia mi voleva accusare» le disse piano, come se lei non lo sapesse, baciandole la spalla nuda.

«Lo so» mormorò lei in risposta, carezzandogli dolcemente il braccio. «So che non sei stato tu e lo sanno anche loro» disse semplicemente. «È stato un professionista e a noi tocca aspettare che sia arrestato» mormorò piano, lasciando poi che il silenzio calasse su di loro. «Ho paura, Tom» confermò a se stessa e a lui.

Il ragazzo dal suo canto aumentò la stretta intorno alla sua vita, prima di risponderle.

«Ce ne ho anch’io, piccola» la informò e lei non se lo aspettava. «Farò di tutto per proteggerti, non ti accadrà niente, anche perché prima dovrebbero passare sul mio cadavere» le disse seriamente.

Emmeline alzò lo sguardo su di lui, appoggiando la mano sulla guancia del ragazzo.

«E chi protegge te?» chiese osservandolo dritto negli occhi.

Lui le sorrise tristemente, posandole un bacio sulla fronte.

«Non importa piccola, io morirei per te, lo sai e sono disposto a tutto per proteggerti e vederti felice» le disse ed Emmeline si rabbuiò e si asciugò una lacrima che era scesa; Tom sorrise prima di donarle un altro bacio. «Per te questo e altro, amore mio» la ragazza annuì piano senza rispondere, ritornando al petto marmoreo del ragazzo.

Lui avrebbe fatto veramente di tutto per lei: se avesse potuto, le avrebbe donato la luna e tutte le stelle, ma lei si accontentava semplicemente del suo amore.

Quello le bastava ed era l’unica cosa che voleva.

«Voglio portarti al mare» lo sentì mormorare improvvisamente, e la ragazza, stranita, alzò la testa e, con sguardo curioso, gli chiese spiegazioni; lui le carezzò piano la nuca, sorridendole nel modo più dolce possibile, facendola sciogliere. «Vorrei poter passare una serata così, al mare, noi due da soli, accendere un falò, mettere sul fuoco i marshmallows, fare un bagno al chiaro di luna e poi, chissà, fare l’amore sulla spiaggia» disse dolcemente, sfiorando il naso di Emmeline con il suo.

La ragazza sorrise e si allungò per rubargli un bacio, che lui, prontamente, ricambiò, stringendola.

«Vorrei poter fare così tante cose con te» continuò sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sorridendo tristemente.

«Abbiamo tutta la vita per fare tutto quello che vogliamo, e l’idea della spiaggia mi piace molto» confessò lei, sorridendo e tracciando qualche disegno invisibile sul petto del suo ragazzo. «Sei stato a Los Angeles nei mesi scorsi?» chiese curiosa, cambiando discorso.

Tom si sistemò meglio tra le lenzuola, trascinandosi dietro la ragazza che ridacchiò, cercando di ribellarsi scherzosamente alle sue mani vaganti.

«Per quanto m’intrigasse no, non ci siamo stati» le confessò sinceramente. «Non vedi l’ora di andarci, non è così?» le chiese curioso, anche se già sapeva la risposta.

Sapeva che non era solo per lavoro, sapeva che provava interesse per quella città, e come poteva darle torto: si parlava della città degli angeli, del sogno Americano di mezzo mondo, la città in continuo movimento, la città dalle mille sfaccettature, la città ricca di culture e tradizioni, la città ideale per chi ama la moda, lo sport e lo spettacolo, la città adatta per ricominciare a vivere.

«Non vedo l’ora di cominciare una nuova vita, Tom, ecco quello che voglio» mormorò. «Lontana da San Francisco, da Liam, da tutti i problemi, da tutto lo schifo che ci circonda e che non ci fa vivere, voglio allontanarmi da tutto ciò che mi fa soffrire e che non mi fa vivere bene» spiegò di nuovo, e lui annuì, sorridendole dolce.

Voleva solo il meglio per lei, e lui avrebbe fatto di tutto per renderla felice come vuole, l’avrebbe aiutata e l’avrebbe sostenuta, come solo un compagno dovrebbe fare.

«Io sono con te, piccola, ti seguirò ovunque, e cercherò di renderti felice, più di adesso» le disse, e lei lo strinse, regalandogli un altro bacio, e poi sorrise sulle sue labbra, stampandogli diversi baci sulle labbra, sotto le sue risate.

«Ma tu mi rendi felice» soffiò lei, e lui le sorrise malizioso, carezzandole piano e leggermente la schiena nuda. «Che stai facendo?» squittì, sentendo brividi ovunque.

«Adesso vuoi rendere felice anche me?» mormorò lui maliziosamente, avvicinandosi alle sue labbra, ma Emmeline scoppiò a ridere, rotolando via dalle sue braccia.

Si alzò dal letto e s’infilò una vecchia maglia, mentre Tom la fissava sconvolto dalla sua posizione comoda tra i cuscini e le lenzuola.

«No, tesoro» ridacchiò, facendogli la linguaccia, e lui fece una smorfia. «Voglio mangiare quintali di cioccolata se devo essere sincera» mormorò pensierosa, parlando più a se stessa che con Tom.

Anche lui si alzò e la raggiunse, sovrastandola in altezza e la guardò divertito.

«Hai detto di no a una mattinata di sesso con il tuo ragazzo perché vuoi strafogarti di cioccolata?» le chiese, cercando di trattenersi dal ridere.  «Cos’è questa tua voglia improvvisa, mh?» mormorò, prendendo il suo volto tra le mani, osservandola dritto negli occhi.

Emmeline allungò le braccia, circondandogli il collo, avvicinandosi al suo corpo caldo.

«Mi ameresti lo stesso, anche se fossi grassa?» chiese Em, brontolando, facendo ridacchiare Tom. «Non è una voglia improvvisa, non pensare male, non aspetto un figlio, ho solo voglia di mangiare schifezze» si lamentò, facendolo ridere di nuovo.

«Ti amerei sempre, mia piccola Em, sempre e in qualunque modo» soffiò piano, baciandole una guancia. «Io non penso male, piccola, se dovesse arrivare io non me ne pentirei, anzi» sussurrò, sfiorandole piano la pancia piatta. «Prima o poi lieviterà» sorrise teneramente, contagiando la ragazza, che si allungò per baciarlo.


 
***


Sfogliava quei vecchi raccoglitori e ne osservava le foto in bianco e nero che erano state raccolte.

Erano anni che Liam faceva spiare Emmeline, ne faceva scattare foto, si faceva dire tutto quello che faceva, con chi si incontrava: era così che cercava di conoscerla, dato che quando si incontravano, non gli lasciava mai la possibilità di farlo.

Aveva una copia del suo certificato di nascita, una copia del suo diploma, una lista dei suoi interessi.

E ora era tornata con Tom, per l’ennesima volta, e la soddisfazione sul volto del ragazzo gli aveva dato così fastidio, lo aveva irritato così tanto,  così come lo irritava il suo sorriso.

Ma lui aveva già un piano per farglielo sparire.

E solo quel pensiero lo faceva ghignare, mentre beveva del whisky, continuando a guardare il volto sorridente della ragazza che diceva di amare.


 
***


Erano a cena con Georg ed Ellen: avevano bisogno di uscire, di distaccarsi dai problemi e da tutto quello che li stava danneggiando, almeno per qualche ora di una sera.

Georg ed Ellen non stavano insieme, ma si stavano frequentando, e questo faceva la gioia di Emmeline, che non smetteva un attimo di sorridere nel guardarli, e Tom sorrideva con lei, gli bastava solo guardarla per essere felice.

Allungò un braccio e strinse le spalle della ragazza, sorridendole non appena lei si voltò verso di lui, e la vide ricambiare con amore.

«Siete l’amore fatto a persona, quello con la “a” maiuscola» mormorò Ellen, osservandoli e sorridendo appena.

In molti dicevano che erano fatti per stare insieme, che erano destinati e che si completavano, ma non ci avevano mai dato molto peso, anche se lo pensavano e non lo ammettevano.

Aveva restituito quella semplice fedina a Emmeline, ed era contento e orgoglioso di vederla al suo dito.

Sorseggiò la sua birra e sorrise di nuovo, prima che Georg interrompesse il flusso dei suoi pensieri, e facendolo tornare con i piedi per terra.

«Ti vedo molto rilassato» commentò malizioso, pensando chissà cosa, mentre il moro scosse la testa, divertito.

Spostò lo sguardo al suo fianco, incrociando quello di Em, che gli sorrideva intenerita, così si allungò per lasciarle un bacio sulla nuca.

«Non pensare male, questa furbetta ha preferito strafogarsi di cioccolato» l’amico ridacchiò, mentre Emmeline, arrossita, schiaffeggiò il suo braccio. «Ma non ho nessun motivo per non essere felice e rilassato, tutto sembra andare bene e sono affiancato dalla donna migliore di questo pianeta» sorrise, accostando il viso al suo, prima che lei gli lasciasse un bacio soffice sulla guancia.

«Smettila, mi stai facendo imbarazzare» mormorò lei, guardandolo dritto negli occhi, prima di essere interrotta dalle sue labbra che si posarono sulle sue. «E poi queste non sono cose da dire in un luogo così affollato» mormorò, lanciandogli uno sguardo di rimprovero, che fu ricambiato da uno sguardo scherzoso del ragazzo.

Emmeline si arrese, sospirando, tornando al suo hamburger, mentre Tom le pizzicò un fianco, facendola sobbalzare: come poteva essere arrabbiata con lui, per aver sbandierato la loro vita intima? Era un bambino, e lei amava il suo bambino, con quell’enorme bagaglio di difetti che si portava appresso.

«Allora, voi due non avete niente da dirci?» disse, cambiando discorso, la mora, continuando a sentire le mani di Tom sul fianco, continuando a stuzzicarla.

«Ci frequentiamo» rispose Georg semplicemente, sorridendo complice a Ellen, e questo non sfuggì a Emmeline, che cercò lo sguardo dell’amica.

Tom, finalmente, riuscì a toglierle le mani di dosso per dedicarsi al suo panino, tanto agonizzato; per la prima volta era quasi contenta di vederlo così dedicato a un hamburger piuttosto che a lei.

«Non ci crede nessuno» mormorò Tom a bocca piena, ricevendo uno schiaffo sul braccio da parte della sua ragazza. «Gli sguardi che vi lanciate dicono tutto» continuò, ed Emmeline si sporse per farlo tacere.

«Non parlare con la bocca piena, maleducato» disse piano, causando le risate dei ragazzi di fronte a loro, divertiti da quella situazione. «Ti rendi ridicolo, comportati da uomo, per favore» continuò mormorando, cercando, però, di trattenere una risata.

«Tornando a noi» cominciò Ellen, attirando gli sguardi su di lei che, accorgendosene, la fecero imbarazzare. «Ci stiamo conoscendo meglio, non siamo interessati all’avere una relazione» disse, e Georg annuì, dandole manforte. «Usciamo, ridiamo, scherziamo, facciamo quello che fate voi alla fine» concluse con un’alzata di spalle, tornando alla sua bibita ghiacciata.

Tom si bloccò, con il panino a mezz’aria, con uno sguardo  misto tra il curioso e il malizioso.

«Fate sesso?» chiese  con un sorriso furbo sulle labbra e le sopracciglia alzate.

Emmeline scoppiò a ridere, senza trattenersi e senza badare all’indelicatezza che aveva usato Tom, e proprio lui la seguì, scuotendo la testa e abbandonando la sua cena nel piatto.

Georg ed Ellen arrossirono violentemente nello stesso momento, senza dare conferme e nemmeno smentire, mentre i due piccioncini continuavano a ridere.

«Alla faccia della frequentazione» ridacchiò Tom, cercando e trovando lo sguardo di Emmeline. «Vi date da fare, eh?» ammiccò facendo l’occhiolino a Georg che cercò di tirare un calcio all’amico, senza riuscirci.

Eh sì, quell’uscita gli serviva proprio, soprattutto alla sua Em che aveva bisogno si svagarsi senza stare a pensare a tutte le negatività che li circondavano; vederla ridere così spensierata lo faceva stare bene.


 
***


Emmeline ed Ellen si stavano osservando allo specchio del bagno: non erano ragazze vanitose, ma una sistematina non faceva mai male a nessuno.

«Devo ringraziarti, Emmeline» mormorò improvvisamente la bionda, lasciando sconcertata l’amica, che si stava incipriando il naso.

Le lanciò uno sguardo dallo specchio, e colse il sorriso timido dell’amica che, però, evitava accuratamente il suo, ancora troppo imbarazzata da ciò che era successo in precedenza.

Tom li aveva smascherati in pieno, anche se effettivamente non l’avevano ammesso: ma d’altronde era più che normale voler tenere segreto quello che stava succedendo, soprattutto se si tratta di qualcosa così intimo.

«Per cosa, El?» chiese sorridendo.

«Lo sai» rispose, ridacchiando appena. «Per avermi presentato Georg, credo di interessargli veramente» ammise, e la mora ridacchiò prima di stringerla a se.

Emmeline sorrise, guardando l’amica dallo specchio, anche se era al suo fianco, e la vedeva più felice e raggiante del solito, e si dispiaceva di non esserne accorta prima.

«Per me è stato un vero piacere» sorrise dolce. «La tua felicità è importante per me, El, sei la mia migliore amica, per te questo e altro» la bionda si commosse, e abbracciò di nuovo l’amica.

Uscirono dal bagno e si trovarono di fronte a Liam che se ne stava appoggiato al muro, con lo sguardo fisso di fronte a se, perso nel nulla.

Emmeline si trattenne dallo sbuffare: come poteva sapere dove si trovava? Perché ovunque era c’era anche lui?

«Perché sei ovunque?» chiese esasperata, incrociando le braccia al petto, mentre Ellen ridacchiò, ma smise non appena Liam posò lo sguardo su di lei, incenerendola.

Quel ragazzo faceva paura a tutti, a lei per prima.

«Ho un radar quando si parla di te, piccola Em» sorrise, e Emmeline voleva solo vomitare; le faceva ribrezzo. «Siete sole, belle fanciulle?» chiese improvvisamente.

«No sbruffone, fuori ci sono i nostri ragazzi» sbottò Ellen, trovando coraggio, e lui la sfidò con lo sguardo. «Non ti credere di essere migliore di loro, ti rendi ridicolo agli occhi di tutti» continuò, mente Emmeline cominciò a preoccuparsi del suo tono e della reazione che poteva avere Liam, così si avvicinarono, intimandole di stare zitta.

«Che bel caratterino che ha la tua amica, ma dovrebbe imparare a rivolgersi con più educazione alle persone che non conosce» sibilò, riducendo i suoi occhi a due fessure.

«Ha parlato colui che importuna Emmeline da una vita, quando sa benissimo che è impegnata e che niente o nessuno potrebbe dividerli» soffiò stizzita Ellen, ormai aveva ingranato la quarta e la mora non sapeva come farla tacere; non l’avrebbe fermata nessuno. «Dovrebbe passarti sopra un treno o, magari, potrebbero rapirti gli alieni, magari ti sistemo quelle poche rotelle difettose che ti ritrovi» Emmeline cercò di trattenere una risata, solo per non far saltare, ancor di più, i nervi del ragazzo.

La mora ebbe quasi paura che con la sola forza dello sguardo avrebbe potuto trucidarle e seppellirle, così pensò bene di trascinare l’amica nel bagno, senza dire una parola.

Una volta chiusa la porta, si voltò verso Ellen e si lasciò andare in una fragorosa risata, senza preoccuparsi di Liam, che poté benissimo sentirla.


 
***


Le stavano aspettando fuori dal fast-food, dove avevano cenato ed entrambi sapevano che ci avrebbero messo secoli a uscire dal bagno.

«Donne» mormorò Georg, gettando a terra un po’ di cenere della sigaretta che si stava lentamente consumando tra le sue dita. «Non capirò mai perché vanno sempre in bagno in due» continuò, facendo sorridere Tom che, come lui, non sapeva la risposta, ma semplicemente perché non si era mai posto la domanda.

«Le donne sono estremamente complicate, amico, non farti domande a cui non saprai mai darti una risposta» gli disse, spegnendo la sua sigaretta con la scarpa. «Mai andare contro una donna, non ne uscirai vivo, e parlo per esperienza» stavolta fu Georg a sorridere.

«Non ci tengo a complicare ulteriormente la mia vita, lo è già abbastanza» si disse Georg, e Tom gli tirò un pugno scherzoso sulla spalla.

«Sì, ma l’entrata di una donna nella tua vita è fantastica, ti stravolge totalmente, e alla fine non ne puoi più fare a meno, Georg» gli disse e il diretto interessato gli lanciò uno sguardo e vide il moro sorridere. «Non me la immagino la mia vita senza Emmeline, lei ha dato un valore alla mia misera vita, e non riesco a pensare a come potrei essere senza di lei» aggiunse e Georg cominciò a preoccuparsi: era pronto a tuffarsi in una relazione seria?

Lui era abituato ad avere delle ragazze, ad avere delle storie, ma mai qualcosa di serio, ma era curioso e poi vedeva l’amico così felice e diverso.

«Avete progetti futuri?» chiese Georg, ma aveva paura della risposta: cosa poteva aspettarsi?

«Intendi matrimonio e figli?» domandò Tom curioso, e l’amico annuì. «Non c’è niente in cantiere, anche se siamo d’accordo sul fatto che, se dovesse capitare, un bambino sarebbe il regalo più grande che la vita potrebbe darci» Georg si ritrovò a deglutire: non avrebbe mai immaginato che quello scapestrato di Tom pensasse già ai figli e al matrimonio.

«Dio, Emmeline ti ha fottuto per bene» disse e poi gli sorrise.

Tom si limitò a non rispondere, ma sorrise solamente, pensando che incontrare Emmeline fu la cosa migliore che potesse succedergli.

Dal locale vide uscire Liam, e il moro si ritrovò a fare una smorfia.

«Sempre in mezzo al cazzo, Spencer» disse duramente, non appena il biondo gli fu vicino.

Liam sorrise maleficamente, e Georg osservandolo rabbrividì: era anche grande e grosso e palestrato, ma uno come quello faceva davvero paura; nei suoi occhi poteva leggere tutto l’odio e il disprezzo che provava.

Il biondo continuava a fissare Tom, senza dire una parola, mentre dietro di loro stavano arrivando le ragazze: le vedeva ridere e camminare senza problemi su quei trampoli che portavano ai piedi e che slanciavano le loro gambe in una maniera assurda.

Si era imbambolato a osservarle, ma il rumore di uno sparo lo fece sobbalzare sul posto, così come l’urlo straziante di Emmeline; si voltò e vide Tom accasciarsi a terra, e Liam correre via e senza pensarci due volte gli corse dietro: doveva prenderlo e spaccargli la faccia.

Emmeline si gettò sul corpo di Tom, e premette sulla ferita che Liam gli aveva provocato all’altezza del petto: non le importava del sangue, non le importava di macchiarsi, le importava solo di salvargli la vita.

«Non mi lasciare» mormorò la ragazza, ora, scossa dal pianto. «Non chiudere gli occhi, guardami, sono qui» continuò, toccandogli piano la fronte.

Non si accorse nemmeno che Ellen stava chiamando i soccorsi; non si accorse che Georg era sparito; non si accorse che intorno a loro si era avvicinato un gruppo di persone.

Tom le sorrise tiratamente, cercando di tenere gli occhi aperti, proprio come gli diceva Emmeline, ma li sentiva così pesanti; si sentiva così stanco.

«Devi rimanere con me, Tom, per noi» disse la mora, baciando piano le sue labbra.

Lo stava stringendo a se, continuando a premere su quella maledetta ferita, continuando a piangere.

Se quello era un incubo, lei voleva svegliarsi.

Se quella era la realtà, lei voleva morire con lui.

In lontananza si sentivano le sirene dell’autoambulanza e, probabilmente, anche quelle della polizia, Emmeline si ritrovò a pregare mentalmente che facessero in fretta; lo sentiva sempre più debole e pesante, lo sentiva andarsene lentamente e lei questo non poteva accettarlo.

«Ti amerò per sempre» le disse piano, prima di chiudere gli occhi.



 
*******
 
Scusate l'attesa.

Mi aspetto di tutto: insulti, minacce di morte, tutto quello che volete.

Non voglio dire molto, anche perchè non mi sento di dire niente a riguardo di questo capitolo, sono ancora un pò scossa dopo averlo scritto: non so, quando scrivo, e lo stesso quando leggo, mi immergo completamente nella storia, quindi è come se io fossi stata con i personaggi.


La prossima settimana non so se riuscirò a postare, ho un problema col computer e devo portarlo da un tecnico, però prometto di postare il prima possibile, non appena sarà di nuovo tra le mie mani.

Le vostre recensioni e i vostri pensieri sono sempre molto graditi :D

Ripeto: questa storia è frutto della mia (malata) fantasia.


Un bacio e un abbraccio,

difficileignorarti.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


14.






 
Tom odiava i balli della scuola, l’aveva sempre fatto e mai vi aveva partecipato, ma quella volta aveva deciso di prendervi parte.

Da quando aveva, accidentalmente, colpito Emmeline, si sentiva diverso, pieno di colpa e di rimorso; la ragazza non voleva avere niente a che fare con lui, lo evitava in tutti modi possibili, e non appena s’incrociavano nei corridoi della scuola, c’era sempre qualcosa che gli impediva di avvicinarsi per parlarle e per scusarsi: qualcuno che la fermava, i suoi amici che lo bloccavano e lo distraevano da lei, o semplicemente il suo sguardo pieno di astio e odio.

E l’unico modo per parlarle e per poterle stare un po’ vicino, era quello di partecipare al ballo, anche se non aveva una compagna, preferiva starsene in disparte, in compagnia di qualche amico, a bere qualcosa, e a osservarla in tutta la sua bellezza.

La vedeva ridere con le sue compagne di corso, la vedeva ballare con qualche ragazzo, anche se nessuno era il suo cavaliere e, ogni tanto, la vedeva lanciargli qualche timido sguardo: probabilmente sentiva il suo bruciargli addosso.

Era davvero difficile toglierle lo sguardo di dosso: quell’abito le stava d’incanto, le metteva in risalto le forme, le metteva in mostra la schiena nuda, dando a tutti, lui compreso, la possibilità di osservare la sua pelle perfetta, e il tatuaggio che abbelliva il suo incarnato.

«Al posto di stare lì e mangiartela con gli occhi, perché non vai da lei?» la domanda di Andreas gli arrivò dritta alle orecchie, l’unica cosa che il moro riuscì a fare, fu quella di lanciargli uno sguardo confuso, e colto in flagrante.

«Mangiarmela con gli occhi? Di chi parli?» domandò, cercando di rimare tranquillo, facendo ridere il biondo, che non ci era affatto cascato.

«Emmeline Evans, la ragazza che stai cercando di avvicinare da un sacco di tempo» ridacchiò, indicandola, ora tra le braccia di un ragazzo a lui sconosciuto, stretta tra le sue braccia, intenti a ballare.

Si ritrovò ad avere un attacco di gelosia, e il bicchiere di carta che stringeva tra le mani, finì accartocciato sul pavimento con estrema facilità.

Non si interessò di rispondergli, intento a raggiungerla e a interrompere quel ballo: era giunto il momento di agire.

Si fece largo tra la folla, utilizzando i gomiti, e nel momento in cui si ritrovò di fronte a loro, gli si seccò la gola: non era possibile che in tutti quegli anni non si fosse accorto di lei.

«Scusa, sfigato, credo che sia arrivato il mio turno» sbottò in modo burbero, spaventando il ragazzino che gli stava davanti, che non se lo fece ripetere due volte e sparì, lasciando sola una Emmeline basita, e preoccupata, ma comunque piena di astio. «Su, non guardarmi così, non ti va di ballare con me?» chiese, sorridendole dolcemente.

La ragazza rimase colpita da quel sorriso: era troppo bello per appartenere ad un ragazzo come lui, con tutto quello che girava sul suo conto?

«Ti farebbe così schifo concedermi un ballo?» le chiese sorridendo, avvicinandosi di qualche passo, sostenendo lo sguardo di Emmeline. «Non mi hai mai dato la possibilità di dirti una cosa importante» cominciò, mentre lei alzò un sopracciglio, curiosa di sapere dove sarebbe andato a parare. «Mi devo scusare per quello schiaffo, non era mia intenzione, non ho mai messo le mani addosso a una donna, e non sai quanto questo mi faccia ribrezzo» mormorò sinceramente, e lei ne rimase sorpresa e un po’ di stucco.

Non se lo aspettava, e decise di abbassare la guardia; leggeva la sincerità nei suoi occhi, e il suo pentimento e questo le permise di sorridere: un piccolo sorriso per quel ragazzo.

«Un sorriso è sempre meglio che le parole, Emmeline» la ragazza continuava a guardarlo, cercando qualcosa in lui di tutto quello che la gente raccontava, ma non trovava niente o forse era solo la sua apparenza. «Ora me lo concedi questo ballo?» domandò, e lei annuì, lasciandolo sorpreso, forse.

Timidamente allungò le braccia, allacciandole dietro al suo collo, dandogli così la possibilità di essergli vicino; lo sentì posare le sue mani calde sulla sua schiena nuda, provocandole brividi ovunque, e doveva ammettere che le piaceva sentirlo.

«Mi dispiace di non averti mai dato il permesso di avvicinarti per scusarti» mormorò la ragazza, osservando Tom dritto negli occhi.

Le mancò il fiato: quegli occhi dal taglio leggermente a mandorla, il loro colore, la dolcezza che mostravano, le sembravano addirittura sorriderle.

Doveva ammettere che quel ragazzo era veramente bello, e non sapeva quale altro aggettivo usare; le sembravano tutti così banali.

«Non devi dispiacerti, Em, posso chiamarti così?» le chiese sorridendo e lei ridacchiò, prima di annuire: quel nomignolo le piaceva, e le piaceva sentire il suono del suo nome uscire dalle sue labbra.

Per un momento si chiese cosa le stava succedendo: stava tra le braccia del ragazzo che fino a quel momento odiava, stava ballando con lui, si stavano sorridendo a vicenda, e il bello di tutto ciò, le piaceva stare li con lui.

«Sei davvero bellissima» disse senza troppi giri di parole, e lei si ritrovò ad arrossire pericolosamente, ma lui non se ne accorse, forse per colpa della poca luce. «Ti ho osservata tutta la sera, è difficile non farlo» confessò, sempre con il sorriso sulle labbra: non riusciva a cancellarlo. «Sai, dal giorno in cui ti ho colpita, ho iniziato a pensare che avevo dei paraocchi, non ti avevo praticamente mai vista, e ora non riesco a fare meno di voler vedere il tuo viso e anche il tuo sguardo pieno di odio per me» ridacchiarono, e Emmeline abbassò lo sguardo, colpita da quelle parole. «Non so cosa mi stia succedendo, non mi è mai successo».

«Grazie, Tom» sussurrò sinceramente colpita dalle sue parole, ma non aggiunse altro.

Si divincolò dalle sue braccia una volta finita la canzone, lasciandolo stupito e con una faccia da cane bastonato, mentre lei sentì freddo, trovandosi stranita.

Non le era mai successo, a lei non interessava Tom, ma il calore che aveva sentito mentre era tra le sue braccia non lo aveva mai sentito, e quel freddo che toccava la sua pelle era così fastidioso, che la riportò ad avvicinarsi, ricevendo un suo sorriso in cambio, che la fece sciogliere, di nuovo.

 «Rimani un altro po’ con me, uhm?» le chiese, porgendole una mano che lei accettò con piacere; lui ne approfittò, per tirarla verso di se, e stringerla di nuovo. «Grazie» mormorò al suo orecchio, prima di baciarle teneramente una guancia.


 
***


Odiava gli ospedali.

Aveva smesso di piangere, non aveva più lacrime, e nonostante si sforzasse non ce la faceva, quindi preferiva rigirarsi tra le mani quella piccola fedina che lui portava al suo dito, mentre aspettava.

Aspettare, aspettare, aspettare.

Era tutta la notte che lo faceva e non ne poteva più; le faceva male stare li senza poter fare niente: non riusciva a dormire, non riusciva a mangiare, non riusciva a parlare, non riusciva a muoversi, non voleva parlare con nessuno, nonostante gli sguardi di Georg, Ellen, la madre di Tom, i suoi genitori, Andreas, le bruciassero addosso, impotenti e incapaci di fare qualcosa.

Guardò di nuovo la porta di fronte a se, e la trovò chiusa: voleva sapere, qualunque fosse la risposta.

Lo stavano operando da ore e non le dicevano niente, facendola, così, impazzire.

Non poteva credere che Liam gli avesse sparato: non poteva credere che fosse così pazzo e malato da poter fare una cosa del genere, non poteva credere che avesse così tanto fegato da sparare ad un ragazzo disarmato, e solo per odio o per piacere di toglierlo di mezzo.

«Tesoro, dovresti andare a casa a cambiarti e a riposare» lanciò uno sguardo di ghiaccio a sua madre: non le importava se i suoi abiti fossero sporchi del sangue di Tom, del sangue dell’uomo che amava, non voleva riposare, anche perché non ci sarebbe riuscita.

Non sarebbe uscita da quell’ospedale finché qualcuno non le avrebbe dato notizie del suo ragazzo: voleva pregare anche se non era molto credente, voleva pensare a lui, e basta.


 
***


«Vorrei poter prendermi cura di te» mormorò lui improvvisamente, catturando l’attenzione di Emmeline, dapprima occupata a ripassare qualche materia.

Sorrise confusa, abbandonando il libro di arte moderna, per concentrarsi del tutto sul ragazzo di fronte a lei, intento a fumare una sigaretta.

«Tom» sussurrò lei, mentre lui le sorrise dolce. «La nostra relazione non potrebbe andare da nessuna parte, siamo troppo diversi» lui annuì, comprensivo, capendola perfettamente.

«Si giusto, io vengo dal più squallido quartiere di San Francisco, sono burbero, aggressivo, arrogante, mentre tu vieni da un mondo diverso, sei benestante, sei educata, gentile, sensibile, siamo diversi, è vero» lei sospirò affranta, perché lui aveva colpito nel segno: era sveglio ed intelligente, questo lo doveva ammettere. «Ma tu vorresti veramente frequentare uno uguale a te? Sei davvero convinta di voler vederti riflessa in un uomo, invece di poter completarti con uno completamente diverso?» Emmeline abbassò lo sguardo, pensierosa: aveva ragione.

«Non volevo dire questo, Tom, non è la differenza di classe a preoccuparmi» mormorò immediatamente, dispiaciuta, e avvicinandosi un pochino al corpo del ragazzo. «Ma sono tutte quelle persone che non ci accetteranno che mi preoccupano» disse, e il ragazzo si allungò per accarezzarle piano una guancia. «Tipo i miei genitori» borbottò tristemente.

Tom ridacchiò, stendendosi sul prato, continuando, però, a guardarla con affetto.

Si frequentavano da poco, ma ogni giorno l’affetto che sentiva per lei cresceva a dismisura, e non sapeva nemmeno spiegarsi il perché.

«Io per te andrei contro tutti e tu?» chiese semplicemente, lasciandola ammutolita. «Non so cosa mi stia capitando, ma ho occhi solo per te» ammise. «Emmeline, non voglio che tu mi risponda subito, ma vorrei sapere se fossi disposta ad andare, in questo caso, contro i tuoi genitori, per stare con me» la serietà del ragazzo la preoccupò non poco.

Deglutì e cominciò a torturarsi le dita delle mani: quella domanda era difficile e, sicuramente, le avrebbe portato via tanto tempo, aveva bisogno di rifletterci sopra.

«Concedimi un po’ di tempo, Tom» mormorò imbarazzata e lui le sorrise, comprensivo.


 
***


Era passata la polizia in ospedale, ed Emmeline si era rifiutata di parlare e di lasciare una confessione: non voleva parlare con nessuno, non voleva ricordare quello che era successo, voleva solo pensare al suo ragazzo, ancora sotto i ferri, e pregare che lottasse con tutte le sue forze per tornare da lei.

Continuava a pensare, anche, a quel disgraziato di Liam, e non vedeva l’ora di avere notizie del suo arresto, e sperava che lo rinchiudessero in una cella di massima sicurezza e buttassero via la chiave; sarebbe andata a trovarlo, e l’avrebbe spremuto per bene, per sapere tutto sul suo odio eccessivo verso Tom.

E scommetteva su tutto quello che aveva di più caro, che aveva fatto fuori anche Ria.

Guardava e riguardava quella porta davanti a se che, però, non dava segni di vita, e lei non ne poteva più di aspettare: a ogni minimo rumore, alzava di scatto la testa speranzosa, ma ne rimaneva sempre delusa.

Appoggiò di nuovo la testa contro il muro e chiuse gli occhi.

Preferiva continuare a ricordare che vivere la realtà.


 
***


«Si!» sbottò affiancandosi a Tom, interrompendo bruscamente la conversazione tra il ragazzo e una biondina tinta che si trovava alla festa.

Non le importava niente degli sguardi che proprio la ragazza le stava lanciando, e non erano per niente amichevoli, mentre Tom la guardava quasi scocciato.

Non le rivolgeva la parola dall’ultima volta che si erano parlati, quando lei gli aveva chiesto del tempo per pensarci e l’aveva fatto: aveva preso la sua fottutissima decisione e non vedeva l’ora di dirgliela, ma lui la stava fissando con quello sguardo, e stava cominciando a pentirsi di averli interrotti.

Era gelosa, e sì, lo voleva ammettere: voleva lottare al suo fianco, voleva stringergli la mano, come due soldati che si proteggono a vicenda, facendo scudo l’uno all’altra con i loro corpi.

Lei sapeva che loro due potevano essere qualcosa di più che due semplici amici.

«Scusa?» squittì la biondina, cercando di mandarla via, ma Emmeline s’impuntò e continuò a guardare Tom che, in quel momento, non le toglieva gli occhi di dosso, cercando di capire le intenzioni della ragazza.

Liquidò con un gesto della mano la biondina, che sbuffò e, per poco, non gli rovesciava addosso il cocktail che aveva in mano.

Tom prese per mano Emmeline e, senza farsi vedere da nessuno, la trascinò fuori da quella lussuosa villa in cui si trovavano, portandola in giardino, dietro ad un paio di siepi e vicino ad un muretto e potevano sentire benissimo la musica che veniva dall’interno dell’abitazione gremita di ragazzi.

«”Si” cosa, Emmeline?» chiese curioso, spostando su e giù lo sguardo per osservarla meglio: era pur sempre un uomo e in quel momento si ritrovò ad apprezzare ciò che aveva davanti, più del solito.

«È la risposta alla tua domanda di qualche giorno fa, ricordi?» mormorò e lui aggrottò al fronte, facendo perdere la pazienza alla ragazza. «Mi hai chiesto se per noi sarei disposta ad andare contro tutti e tutto, contro i miei genitori, e la risposta è si» disse senza batter ciglio, aspettando di leggere e capire la sua reazione che non tardò ad arrivare.

Si ritrovò schiacciata tra il muretto e il corpo del ragazzo, e non appena sentì le labbra del ragazzo sulle sue, sgranò gli occhi, incredula: non si aspettava che la baciasse.

La stringeva tra le braccia come se fosse sua da sempre, mentre le sue labbra si prendevano cura delle sue con delicatezza e gentilezza, e le carezzavano morbidamente, come nessun ragazzo aveva mai fatto con lei.

Non appena si staccarono per riprendere fiato, Tom appoggiò delicatamente la fronte sulla sua, sfiorando il naso della ragazza con il suo, facendola sorridere timidamente.

«Questa è la risposta che volevo, Em» sussurrò lui, guardandola negli occhi. «Mi hai fatto aspettare tanto, e vedendoti chiacchierare con altri ragazzi non mi è piaciuto affatto» la ragazza sorrise, sfiorando di nuovo le sue labbra carnose. «Mmh» mormorò, assaporando il gusto delle sue labbra, del suo lucidalabbra. «Però, per il momento non dovremmo farci vedere in pubblico, l’importante è che tu ti tenga alla larga da altri esseri maschili, io devo essere l’unico per te, piccola» le disse piano, e lei annuì, aggrappandosi alla sua canottiera.

«La cosa vale anche per te, mio caro» mormorò in risposta. «Avrei staccato le mani di quella biondina, se solo avesse continuato a toccarti» ringhiò, facendolo ridere divertito.

«Fidati di me» soffiò, stringendola al suo petto. «Questo tuo look mi piace particolarmente» ammise poi, distaccandosi di poco per osservarla di nuovo. «Anche se questa camicetta è piuttosto trasparente, si vede l’intimo, e qui ne possono godere diversi ragazzi» le disse, facendola ridere.
Si abbracciarono di nuovo, e dalla casa partì una canzone, “Hey There Delilah”, che di lì a poco divenne la loro canzone, quella che andava a sigillare il loro amore appena sbocciato.

 
A thousand miles seems pretty far
But they’ve got planes and trains and cars
I’d walk to you if I had no other way
Our friends would all make fun of us
and we’ll just laugh along because we know
That none of them have felt this way
Delilah I can promise you
That by the time we get through
The world will never ever be the same
And you’re to blame
 
Hey there Delilah
You be good and don’t you miss me
Two more years and you’ll be done with school
And I’ll be making history like I do
You’ll know it’s all because of you
We can do whatever we want to
Hey there Delilah here’s to you
This ones for you


 
***


Beveva caffè amaro, senza contare che faceva schifo, e stava cercando di intrattenersi leggendo un manifesto sul fumo appeso al muro: diceva che faceva male, che era la causa del tumore ai polmoni, esattamente le stesse parole riportate sui pacchetti di sigarette che fumava; ma in quel momento si ritrovò a pensare che la cosa che la faceva stare più male, che probabilmente le avrebbe causato un infarto nel giro di poche ore, se qualcuno non le dava notizie, e, successivamente, la morte, era Tom.

La madre del ragazzo, Simone, aveva provato a cominciare una conversazione con lei, senza ottenere risultati: l’aveva sentita parlare per un po’, la sentiva dirle che non doveva preoccuparsi, perché Tom era forte e, sicuramente, stava lottando per tornare da lei, da loro.

Non aveva risposto, non aveva sbattuto ciglio, non l’aveva guardata in faccia: si stava isolando da tutti, si sentiva come dentro una bolla.

Girò la testa di scatto non appena sentì una porta sbattere: per poco non le cadde quel bicchiere di caffè che aveva tra le mani e si affrettò a raggiungere quel dottore che ne era uscito.

«Allora dottore?» chiese Georg, scrutandolo attentamente.

Questo sospirò, osservandoli bene uno per uno.

«Siamo riusciti a estrarre il proiettile» mormorò, e tutti attesero che andasse avanti: non era sufficiente. «Ha perso molto sangue, abbiamo dovuto rianimarlo un paio di volte, ma tutto sommato sta bene» Emmeline sospirò e, finalmente, quella bolla in cui si era chiusa scoppiò. «Però dire che sia fuori pericolo è prematuro» aggiunse subito dopo. «Vediamo come andranno le prossime settantadue ore» concluse, aspettando che qualcuno prendesse parola.

Emmeline non aveva coraggio di parlare, non sapeva nemmeno come sarebbe uscita la sua voce o se si sarebbe sentita.

«Possiamo vederlo?» chiese la madre del ragazzo, con le lacrime agli occhi.

«Mi dispiace, ma ora no» disse, mettendosi le mani in tasca. «Tra qualche ora lo porteremo nella stanza che gli abbiamo assegnato, ora deve rimanere sotto osservazione» spiegò, non appena vide le persone davanti a se preoccupate. «Ma potranno entrare solo i parenti» sorrise tiratamente, prima di congedarli.

Georg e Andreas si accasciarono sulle sedie, ed Emmeline si mise in mezzo a loro, mentre guardava Simone di fronte a lei, e la vide piegarsi sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza: le accarezzò piano una guancia.

«Starà bene, Em, non preoccuparti» le disse, sorridendole appena.

Emmeline non rispose.


 
***


«È molto carina, sai?» mormorò sua madre non appena Tom rientrò in casa.

Il ragazzo la scrutò attentamente, cercando di capire a chi si riferisse, ma non trovò la risposta che stava cercando.

«Cosa? Chi?» chiese confuso.

«La ragazza che ti sta aspettando» sorrise, indicando il piano superiore.

Curioso, arrivò alla sua camera e una volta aperta la porta, arrotolata tra le coperte, individuò Emmeline, che dormiva profondamente.

Sorrise intenerito, vedendola così piccola, e chiuse la porta dietro di se, avvicinandosi a lei, sedendosi al suo fianco.

Le carezzò piano la fronte, stando ben attento a non svegliarla.

«Mi prenderò cura di te e ti renderò felice, piccola» mormorò, lasciandole poi un bacio sulla fronte. «È una promessa».


 
*****

Sono imperdonabile lo so, e voglio chiedervi scusa.

Come avete potuto notare questo capitolo è un pò come un salto nel passato, ai primi ricordi di questa loro storia d'amore, e spero che possa piacervi.

Le vostre recensioni, opinioni sono sempre molto gradite.

Un bacio e un abbraccio,
difficileignorarti.


 
“Hey There Delilah” canzone dei Plain White T’s, scritta da Higgenson, è ispirato alla ventiquattrenne speranza olimpica Delilah Di Crescenzo, che aveva rifiutato l'autore. Higgerson ha rivelato "Penso che sia stata la ragazza più bella che abbia mai incontrato. Le ho detto 'ho già una canzone per te'. Ovviamente non c'era ancora una canzone, ma penso di essere stato furbo." Un anno dopo l'autore ha scritto Hey There Delilah.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


15.








«Tom è come il fratello che non ho mai avuto» mormorò Georg, attirando l’attenzione di Emmeline. «Lui non abbandonerà nessuno di noi, Em, ne sono convinto» continuò, facendo sorridere tristemente la ragazza. «Non permetterebbe mai a nessuno di avvicinarsi a te e di prendere il suo posto, perché è solo suo» Emmeline si limitò a stringergli il ginocchio con affetto.

Stava aspettando che Simone uscisse da quella stanza e che le disse qualcosa sulle sue condizioni: l’era stato negato di vederlo, non poteva entrare e nemmeno avvicinarsi finché non avrebbe riaperto gli occhi e ripreso conoscenza; non era importante che fosse la sua compagna.

«È l’uomo della mia vita, Georg» disse semplicemente, alzando le spalle, e appoggiando la testa al muro.

Era andata a casa, si era concessa un lungo bagno caldo, si era cambiata, aveva mangiato ed era tornata in ospedale: non si sarebbe allontanata da li per nulla al mondo.

«Non ho capito molto bene perché non ti fanno entrare» mormorò il ragazzo, facendo ridacchiare Emmeline: era bello per Georg sentirla ridere di nuovo. «Insomma, sei la sua compagna, sei la sua famiglia» continuò, e sospirò piano.

«Condividiamo un sentimento, il letto, ma per loro potrebbe essere una cazzata, sarebbe diverso se portassi una fede» ridacchiarono entrambi, e poi scese il silenzio su di loro.

Aveva ripreso a parlare con tutti, anche se con meno loquacità e meno entusiasmo, però questo lo faceva sentire un pochino meglio.

Si accorse dell’arrivo di un agente di polizia, nel momento in cui voltò la testa verso la sua destra, e si alzò di scatto, raggiungendolo, seguita da un Georg curioso e ansioso.

«Ci sono novità?» chiese immediatamente Emmeline, facendo annuire l’agente di fronte a lei.

«Sì, signorina Evans, abbiamo delle novità» confermò. «Abbiamo arrestato il signor Spencer e ha confessato di aver sparato al signor Kaulitz, e non solo» mormorò, mentre Emmeline lo pregò di continuare con lo sguardo. «Ha confessato anche di aver ucciso la signorina Sommerfeld, di essere un trafficante di droga, di armi illegali, si occupava di prostituzione, ed era il mandante di centinaia di omicidi» la ragazza dovette aggrapparsi al braccio di Georg per non crollare sul pavimento: quell’uomo era un pericoloso criminale, era lui il pericoloso criminale, non Tom.

Gli aveva sempre addossato un sacco di problemi, e chissà per quali assurdi motivi, e poi, in un momento come quello, veniva a sapere che quell’uomo era un mostro, e lei era stata vicina a lui, aveva passato del tempo con lui, si era lasciata toccare e baciare da un mostro.

«Mi scusi, ma si sa il perché di quanto è accaduto? Insomma perché avrebbe ammazzato quella donna e sparato al nostro amico?» chiese Georg, toccando i due punti più importanti.

«Mi dispiace, ma ancora non siamo riusciti a strappargli di bocca il tutto» mormorò, alzando le spalle, e poi li congedò, lasciandoli soli ai loro pensieri.

Emmeline si appoggiò al muro, a occhi sgranati, e si lasciò scivolare, accomodandosi sul pavimento, mentre Georg sospirò, passandosi una mano tra i capelli.

«Questo è un incubo» mormorò la mora, stringendosi le ginocchia al petto.


 
***


Tom aveva passato tranquillamente le prime ventiquattro ore, e ora ne rimanevano solo quarantotto: il tempo sembrava non passare, e Emmeline a momenti diventava pazza.

Così aveva deciso di uscire e fare due passi, anche se quel piccolo appezzamento di prato al di fuori dell’ospedale faceva pena, anche se le aveva dato modo di pensar ad una cosa: voleva andare da Liam subito, ma aveva bisogno del sostegno di una persona.

Aveva preso un autobus e l’aveva portata nel quartiere dello studio di suo padre: aveva chiesto di lui urgentemente alla sua segretaria, e lui l’aveva invitata a entrare.

«Tesoro mio» mormorò stringendola calorosamente e affettuosamente: sapeva che aveva bisogno di lui. «Cosa è successo? Tutto bene? Tom sta bene?» Emmeline fece una smorfia all’ultima domanda fatta.

«Non preoccuparti, non è successo niente, e Tom è stabile» disse, accomodandosi sulla poltrona di fronte a lui. «Liam è stato arrestato, ha confessato, papà» sorrise amaramente, appoggiando il mento sulla mano. «E tu che mi dicevi che dovevo stare con lui» suo padre s’imbarazzò, e le chiese scusa con lo sguardo. «Papà, droga, armi, prostituzione, omicidi, questo era il mondo di Liam, ed io sento lo schifo addosso, solo per avergli parlato, per aver passato del tempo con lui» gli disse senza troppi fronzoli.

Suo padre sgranò gli occhi alle parole della ragazza: e lui che aveva sempre pensato che Liam Spencer fosse un bravo ragazzo, con la testa sulle spalle, con un buon conto in banca, e adatto per sua figlia, ma si sbagliava, si sbagliava di brutto.

Aveva passato gli ultimi anni ad allontanare la sua unica figlia, a rimproverarla, a dirle di stare lontana da Tom Kaulitz, perché pensava fosse un criminale, una persona senza scrupoli, che potesse far soffrire la sua bambina, e ora lo sapeva su quel letto d’ospedale a lottare tra la vita e la morte: ed era un bravo ragazzo, con i piedi per terra, che trattava la sua bambina come una principessa, che la amava e che l’aveva, e l’avrebbe, sempre protetta.

Avrebbe pagato tutto l’oro del mondo, in quel momento, per farlo risvegliare e per far tornare il sorriso e la felicità negli occhi scuri di sua figlia.

«Mi dispiace, tesoro» disse semplicemente, rimasto senza parole. «Non ho mai capito niente e non sai quanto mi pento di tutto questo» mormorò. «Ho sempre deriso e trattato male il ragazzo sbagliato, e ti stavo per spingere tra le braccia di un mostro vero e proprio» sorrise tristemente. «Perdonami, tesoro mio» Emmeline gli sorrise.

«Ci sono sempre passata sopra, però sono contenta che finalmente hai aperto gli occhi» scherzò, mentre suo padre si lasciò sfuggire una lieve risata. «Ma oltre ad informati di questo, ero qui per chiederti una  cosa» disse, e lui la invitò a continuare con un gesto della mano. «Mi accompagni in prigione? Voglio fare due chiacchiere con Liam» mormorò, sorridendo maleficamente, e suo padre annuì, non molto convinto della scelta della figlia: ma se era quello che voleva fare, allora lui l’avrebbe appoggiata.


 
***


Non capiva dove si trovava: sentiva solo un bip incessante e vedeva nero ovunque.
Sentiva il suo corpo così pesante e assente, non riusciva ad avere il controllo degli arti, sentiva un dolore assurdo al petto.

Aveva un ricordo, che gli pareva lontano, della voce e della presenza di sua madre al suo fianco, ma non quella della donna che amava: no, lei non l’aveva sentita al suo fianco, e si chiedeva, per quanto potesse, il perché di questa sua lontananza.

Si ricordava i suoi occhi colmi di lacrime, le sue parole strozzate che lo pregavano di rimanere con lei, si ricordava la sua sofferenza, il suo dolore, prima di chiudere gli occhi.

Voleva aprirli ma non ci riusciva, erano troppo pesanti e lui non aveva la forza per farcela.

Ma voleva metterci tutto l’impegno e la forza per tornare: avrebbe lottato, avrebbe vinto, per lui, per sua madre, per i suoi amici, per la donna che amava.

Per la sua Emmeline.


 
***


Non era mai stata in un carcere vero e proprio: le stazioni di polizia non sono niente in confronto; c’erano telecamere e guardie ovunque, senza contare la presenza del filo spinato.

Si guardava intorno spaesata, in ansia, mentre aspettava, in compagnia di suo padre e di una guardia, l’arrivo di Liam: le era stato detto di non avvicinarsi molto al detenuto, e aveva una ventina di minuti per dirgli e chiedergli tutto quello che voleva.
Sapeva che stato rinchiuso in una cella di sicurezza, isolato da tutti e da tutto.

«Guarda guarda, sei l’ultima persona che avrei immaginato di vedere» alla voce di Liam, Emmeline alzò lo sguardo, incrociando il suo. «Ti sei portata dietro i rinforzi?» chiese, indicando il padre della ragazza, mentre si sedeva.

«Sono qui solo per evitare che ti uccida» disse Robert, non preoccupandosi del tono di voce utilizzato. «Ma probabilmente glielo lascerò fare lo stesso» concluse, provocando un sorriso malizioso nel ragazzo.

«Perché?» chiese Emmeline, interrompendoli, e Liam continuò a guardarla, a sorriderle in quel modo inquietante.

«"Perché" cosa, Emmeline?» disse lui, sostenendo il suo sguardo. «Perché ho ucciso Ria? Perché ho sparato a Tom? È un peccato non aver puntato più in alto» a quelle parole Emmeline scattò in avanti, pronta a colpirlo, ma suo padre riuscì a trattenerla: non tanto perché potesse preoccuparsi per Liam, ma perché anche lei sarebbe finita li. «Colpiscimi, Emmeline, fallo, è da tanto che sogno le tue mani su di me» la ragazza grugnì esasperata, mentre lui ridacchiò, divertito da quella situazione.

«Mi fai salire il vomito, Liam» disse disprezzante. «Sei un mostro» sbottò. «Hai quasi ucciso il mio compagno, e te ne stai lì a sorridere, ma cosa pensavi di ottenere?» chiese, avvicinandosi e appoggiandosi al tavolo.

«Semplicemente, te» rispose, senza aspettare più di tanto. «Inizialmente ti volevo solo per ripicca nei confronti di Tom, per quello che mi aveva fatto passare» cominciò, e stavolta lo vedeva serio, probabilmente gli stava raccontando la verità. «Poi mi sono preso una cotta, e sono finito per innamorarmi, forse perché sei bellissima, perché io non ti conosco proprio per niente» le disse. «Anche per quello ho iniziato a farti seguire, cercando di conoscerti attraverso i tuoi spostamenti, le persone che frequenti» Emmeline sgranò gli occhi, incredula e scioccata, era impensabile. «Quanto Tom se n’è andato, e ho iniziato a corteggiarti come si deve, pensavo che saremmo potuti diventare qualcosa» finì, e la giovane fece una smorfia, cercando di trattenersi dal ridere.

«E Ria?» chiese lei, curiosa di sapere.

«L’ho contattata io, chiedendole di portarselo a letto» ammise, facendo sgranare gli occhi alla mora. «Volevo un pretesto per tenerlo lontano da te, per allontanarlo definitivamente che, però, a quanto pare non ha funzionato» sorrise amaramente. «Non sapevo se sarebbe tornato, e visto che lo ha fatto, le ho chiesto di venire qui e di farti sapere la verità, in un modo o nell’altro» le spiegò, e la ragazza credette di trovarsi davanti ad un pazzo da rinchiudere in un manicomio. «L’ho uccisa perché era diventata un pericolo, perché stava per spifferarti tutto, quella lurida» ringhiò, spaventando Emmeline, che fece qualche passo indietro.

«Tu sei completamente pazzo!» sbottò. «Sono contenta di saperti dietro alle sbarre, lontano da me, da Tom e da tutto il mondo» disse. «Devi marcire qui dentro» gli disse disprezzante e lui rise.

«Sei davvero così sicura che sia finita? Ci sono sempre i miei uomini in giro, lo completeranno loro il mio lavoro incompleto» rise maleficamente, e Emmeline sgranò gli occhi il più maggiormente possibile.

Nel momento in cui l’agente comunicò la scadenza del tempo e prese Liam per un braccio, per riportarlo al suo buco di cella, Emmeline vide un tatuaggio che non aveva mai visto su di lui.

«Ci si rivede, piccola Em» le disse, prima di uscire definitivamente dalla stanza.

Oh mio Dio, pensò la ragazza.


 
***


«Quello è pazzo, Ellen!» sbottò Emmeline sedendosi a un tavolino di un bar non molto lontano dall’ospedale, di fronte alla sua amica che ridacchiò divertita. «Completamente pazzo, da manicomio!» continuò, aumentando l’ilarità nella bionda, concentrata a mescolare lo zucchero nel suo caffè macchiato.

«C’era da aspettarselo, forse» commentò lei. «Insomma, uno come lui, io personalmente, non l’ho mai visto normale, sempre dietro a seguire le persone, ridicolizzarle, e tutto quello che lo schifo che si portava appresso» mormorò disgustata, facendo annuire la mora, intenta a fissare la sua spremuta d’arancia. «Penso di averlo visto comprare cocaina da qualcuno una volta» ricordò, ma Emmeline non la vide molto convinta, ma decise di lasciar perdere, non le importava affatto.

«Voglio che ci muoia dentro quella cella» sbottò. «Ma c’è quella frase che mi ha detto, quel “ci sarà sempre qualcuno dei miei a poter completare il lavoro” che mi preoccupa» mormorò, sospirando pesantemente, afflosciandosi sul tavolino. «Non voglio passare la mia vita a scappare, a nascondermi, a cambiare, magari, identità ogni volta, non voglio vivere così, Ellen» disse, e la sua amica la guardò dispiaciuta, non sapendo nemmeno cosa risponderle. «Voglio vivere con Tom, qui, a Los Angeles o a Tokyo, ma con la mia identità, con la vita che ho sempre voluto, con il mio ragazzo problematico, non con uno con un’identità inventata li sul minuto» continuò, e per poco non scoppiò a piangere. «Come si esce da una situazione del genere, Ellen?» chiese.

«Io non mi ci sono mai ritrovata e non saprei, sinceramente» disse, ma se ne vergognò, perché sapeva bene che Emmeline aveva bisogno di una risposta, di qualcuno che la aiutasse in quel cammino tortuoso, pieno di ostacoli e d’insidie. «Ma credo che il modo migliore sia affrontarla».

Emmeline annuì senza proferire parola, appuntandosi mentalmente di pensare a qualcosa per capirne di più, per decidere cosa fare, con chi parlare e come risolvere.

«Come sta Tom?» chiese di punto in bianco Ellen, e la mora sorrise intenerita, pensando al suo ragazzo imbottito di medicinali, attaccato a diverse macchine, che probabilmente la stava aspettando, ma che, per ora, non poteva vederla.

«Simone dice che sta bene, insomma, è stabile, ma è presto per parlare» mormorò, sorseggiando la sua spremuta. «Deve passare ancora giornata per saperne di più» alzò le spalle. «Non vedo l’ora di vederlo, di stringerlo, di aiutarlo, perché avrà bisogno di me» sorrise ed Ellen annuì, completamente d’accordo.

«La nostra ultima uscita è stata fantastica, almeno per quando eravamo al ristorante» si corresse immediatamente la bionda, dopo aver notato lo sguardo di Emmeline. «Anche se ci avete messo in imbarazzo fin da subito» la mora scoppiò a ridere, ricordando tutto. «Siete stati un po’ cattivi con noi» mormorò, imbarazzata ancor di più.

«Abbiamo solamente detto la verità, dai!» ridacchiò, facendole l’occhiolino. «Sai, mi piace la nostra amicizia, il nostro gruppo, quello che facciamo, che condividiamo» Ellene sorrise, contagiando la mora. «Mi ricorda molto The OC, te lo ricordi?» chiese, ricordando quel telefilm che tanto amavano quando erano un po’ più piccole.

«Vuoi andare a vivere a Newport Beach?» le chiese, prima di ridere. «Siamo fantastici, Emmeline, torneremo a essere quello che eravamo, anzi, saremo qualcosa di più, lo spero proprio» mormorò, pregando che la sua storia con Georg decollasse.

Gli piaceva da morire, adorava la sua compagnia, tutto quello che condividevano, i momenti intimi che si ritagliavano: era tutto troppo bello per lei, troppo reale, e si sentiva veramente coinvolta, era tutto quello che voleva.

«No mi basta andare a Los Angeles» disse, ridacchiando lievemente, pregando di avere quel lavoro e di partire: era tutto quello che desiderava, così come il risveglio di Tom. «Noi lo siamo già, miglioreremo soltanto, è una promessa, Ellen» le disse, stringendole una mano, confortandola.


 
***


Era riuscita a intrufolarsi nella stanza di Tom, senza farsi vedere da nessuno, e aveva passato un po’ di tempo con lui.

Gli aveva fatto male vederlo così, in quelle condizioni: il viso pallido, le occhiaie più violacee del solito, la pelle ispida per colpa della barba non fatta, tutti quei macchinari attaccati, e quel fastidiosissimo e incessante bip; voleva sentire la sua voce.

Aveva stretto la sua mano, l’aveva sentita fredda, e aveva avuto paura: aveva avuto paura di non poter sentire più quel calore che emanava; aveva baciato la sua fronte, le sue labbra, aveva pianto silenziosamente e gli aveva sussurrato parole dolci e, soprattutto, gli aveva chiesto di tornare da lei, perché aveva bisogno di lui.

Riusciva a sorridere un po’ di più rispetto a prima ed era più ottimista.

Se ne stava fuori dall’ospedale, a sedere per terra, godendosi i raggi del sole, fumando una sigaretta e bevendo una Coca Cola ghiacciata: voleva prendere aria e, soprattutto, cambiarla.

Le tornava in mente l’incontro con Liam: non si pentiva di averlo fatto, aveva bisogno di spiegazioni, le aveva avute, ci era rimasta male, di merda era riduttivo, ma aveva anche molta paura, perché le parole e la risata malvagia del ragazzo la preoccupavano davvero.

La polizia le aveva fatto ricevere decine e decine di raccoglitori su di lei, diari in cui appuntava qualsiasi cosa che la riguardava, l’odio che provava per Tom: non aveva mai visto tante sue cose raccolte; l’aveva fatta seguire per anni, l’aveva stalkerata per bene, come nessuno aveva mai fatto.

Aveva letto perché odiava tanto Tom: lo aveva fatto sentire inferiore, si era preso gioco di lui, lo aveva criticato tanto, e anche pesantemente, e Liam voleva fargliela pagare, voleva togliergli la felicità; voleva togliergli Emmeline.

Ma poi aveva deciso di far fuori direttamente il problema.

Era incredibile, per la mora, sapere come quel ragazzo ragionava, non in senso positivo: lo considerava ancora più pazzo, completamente fuori di testa, e con una grossa, grossissima, ossessione nei suoi confronti.

Le veniva da ridere istericamente, ma non ci riusciva, c’era qualcosa che la bloccava, ma non sapeva cosa, così si morse il labbro e inspirò profondamente, e la buttò fuori, e poi aspirò di nuovo della nicotina, e pensò solamente a rilassarsi.

Sentì il cellulare vibrare in tasca e lo prese: solitamente non rispondeva ai numeri a lei sconosciuti, ma quella volta decise di non badarci, e pigiò il tastino verde.

«La signorina Evans?» la voce dall’altra parte del telefono era maschile ed era profonda, adulta, non la riconosceva o forse non l’aveva mai sentita in tutta la sua vita.

«Sì, sono io» confermò. «Lei chi è?» chiese curiosa, anche se non era molto convinta di voler sapere davvero la risposta; forse aveva paura di saperla.

«Sono il direttore del Los Angeles County Museum of Art» Emmeline trattenne il fiato incredula: quella telefonata davvero non se l’aspettava. «Ho letto il suo curriculum, l’ho trovato interessante, e so che vuole lavorare con noi» le disse. «Ci abbiamo messo un po’ di tempo a decidere, ma io sono fermamente convinto che lei sia perfetta per noi» continuò, mentre a Emmeline veniva da piangere dalla felicità. «Lei quando sarebbe disponibile per venire qua?» le chiese e la ragazza deglutì: quello non era proprio il momento.

«La ringrazio della telefonata» mormorò, e sentì un nodo alla gola; si sentiva come  costretta a rifiutare la proposta di lavoro che sognava. «Non sto passando un bel momento, signor direttore» disse, e si morse il labbro inferiore per non scoppiare a piangere al telefono.

«La capisco, signorina» lo sentì come sorridere, o per lo meno lei se lo immaginò così. «Non le sto chiedendo di venire qua subito, se vuole la richiamo tra un paio di giorni» propose.

«Davvero? Lo farebbe davvero?» chiese e rizzò la schiena, contenta.

«Sì, signorina Evans» lo sentì ridacchiare, probabilmente dopo aver sentito il suo tono di voce, contento ed elettrizzato. «Io la voglio nella squadra, sarei disposto ad aspettarla tutto il tempo che vuole, e non ci sono secondi fini» questa volta fu Emmeline a ridacchiare. «La capisco se ha dei problemi che la trattengono, perché cambiare città in così poco tempo, non è facile per niente, quindi l’unica cosa che posso dirle, è di risolvere i problemi che ha a San Francisco, e di raggiungerci nel momento in cui andrà tutto bene, okay?».

«Okay, la ringrazio, questa sua telefonata mi ha davvero tirato su il morale» disse sinceramente. «Aspetterò la sua telefonata, e sarò davvero contenta di poter entrare a far parte del vostro museo» mormorò, e dopo essersi congedati, chiuse la telefonata e sospirò.

Aveva un altro motivo per cui valeva la pena sorridere.

Si abbandonò contro il muro e si accese un’altra sigaretta, fregandosene altamente dei suoi polmoni: la aiutavano a rilassare i muscoli e i nervi.

Sorseggiò un po’ della sua Coca Cola e chiuse gli occhi: voleva stare così, voleva pensare che tutto quello che stava vivendo era solo uno stupido incubo, anche se c’era una nota positiva, come quella chiamata.

«Che fai li?» quella voce dolce, sincera attirò la sua attenzione, e nel momento in cui aprì gli occhi, si ritrovò davanti un bambino curioso e con un grande sorriso sulle labbra. «Stai male?»

«No, tranquillo, va tutto bene» sorrise lei, sistemandosi meglio e spegnendo la sigaretta per non infastidirlo. «Che ci fai qui? Ti sei perso?» chiese, ma lui si sedette di fronte a lei, lasciandola stupita e basita.

Non sapeva chi fosse quel bambino, ma le veniva voglia di sorridere: era strano che un bambino si fermasse a parlare con una sconosciuta, ma le faceva piacere, magari avrebbe smesso di pensare per qualche minuto.

«Non mi sono perso, la mia mamma mi ha appena accompagnato qui» la mora lo guardò e cercò di capire se fosse malato. «È un compito che ci ha assegnato la maestra» a quella frase divenne sempre più confusa. «Dobbiamo far sorridere qualcuno che è triste e poi scriverlo sul quaderno» sorrise innocentemente il bambino, e la ragazza lo imitò.

Lei non ricordava i tempi della scuola elementare e, soprattutto, non ricordava che la maestra mandasse in giro dei bambini per gli ospedali per dare conforto a chi ne aveva bisogno: ma d’altronde la sua maestra era una bigotta, una falsa e senza interesse per gli altri, non c’era da stupirsi se era così stronza e priva di sentimenti.

«Ma io non sono triste» disse, e sapeva bene di mentire.

«Stai sorridendo, è vero, ma i tuoi occhi sono tristi, rossi e gonfi, quindi hai pianto» le disse ed Emmeline si ammutolì: i bambini erano la bocca della verità, a loro non sfuggiva niente. «Quindi sei triste» concluse, sempre con il sorriso sulle labbra.  «Come ti chiami?» le chiese curioso.

«Mi chiamo Emmeline, e tu?» domandò, incrociando le gambe, incuriosita dalla piega di quella strana e improvvisa conversazione.

«Anche la mia mamma si chiama così, sai?» mormorò lui felice, prima di ridacchiare e scompigliarsi i capelli lunghi. «Io sono Harry» le disse e le porse la piccola manina che lei strinse cortesemente. «Cosa ti rende triste?» domandò.

Emmeline sorrise tristemente, prima di mordersi il labbro inferiore e abbassare lo sguardo: cosa poteva raccontare a quel bambino? La verità o una menzogna inventata sul momento? E lei non era nemmeno brava a raccontarle.

«Il mio ragazzo, Tom, non sta molto bene ed io sono triste, perché mi manca vedere i suoi occhi, parlargli, ridere con lui» disse, e si passò una mano sugli occhi per non piangere: anche se aveva semplificato, quelle poche parole che aveva usato erano espressive.

Harry rimase qualche attimo in silenzio: preferiva osservare quella ragazza che faceva tanto la dura, ma che dentro era fragile e si stava sgretolando poco a poco; non sapeva cosa dirle, non sapeva come farle tornare il sorriso, soprattutto nel momento in cui la vide piangere silenziosamente.

Trattenne il fiato un attimo, e poi decise di fare quello che fa la sua mamma, o quello che dovrebbero fare le madri, quando lui si sentiva triste: abbracciarlo forte, senza dire una parola.

Così si avvicinò alla ragazza, e la abbracciò, nascondendo la testa tra i suoi capelli: Emmeline dal suo canto rimase colpita e si limitò a stringerlo; smise di piangere quasi subito, a rimase stretta tra quelle piccole braccia a lungo.

Nel momento in cui il bambino si staccò dolcemente da lei, la vedeva già sorridere: certo, sì, era un piccolo sorriso quello che aleggiava sulle labbra della ragazza, ma per lui era un grande traguardo.

Sua madre gli aveva detto più di una volta che far sorridere una persona era una buona azione, e lui si sentiva felice di averla compiuta, anche se era piccola.

Emmeline gli scompigliò i capelli biondi, facendolo ridere divertito.

«Grazie» gli disse semplicemente, ma veniva dal cuore.

«Ti ricorderai di me?» gli chiese il bambino improvvisamente. «Lo so che non mi conosci, e lo so che non ho fatto molto per aiutarti, ma mi sembri simpatica!» sorrise, toccandole la guancia con un dito.

«Certo che mi ricorderò di te, piccolo Harry!» mormorò lei, sorridendogli dolcemente. «Ti correggo invece, perché hai fatto tanto, avevo davvero bisogno di un abbraccio, e nessuno si è permesso di darmelo in questi giorni» gli disse e lui sorrise, avvinghiandosi di nuovo al suo collo.

«Emmeline!» la voce di Simone la riportò alla realtà, e non appena vide la donna con le lacrime agli occhi, sentì il mondo crollarle addosso. «Si è svegliato, e la prima cosa che ha detto è stata il tuo nome!» aggiunse.

La mora chiuse gli occhi e sospirò, come a volersi liberare di un grosso peso, e strinse di nuovo il bambino, prima di scompigliargli nuovamente i capelli, e lasciargli un soffice bacio sulla guancia.

Ora voleva solamente rivedere l’amore della sua vita.




 
*****

 
Ecco qui il nuovo capitolo! Contente/i? :DD
Spero vivamente che vi possa piacere, e aspetto le vostre recensioni, giusto per sapere cosa vi piace e non vi piace.
Ho voluto inserire la presenza di un bambino, forse per smorzare un pò; posso dire che tornerà in un altro capitolo.

Un bacio e un abbraccio, 
difficileignorarti.




Se volete contattarmi, conoscermi o semplicemente fare due chiacchiere vi lascio qualche link:

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


 
16.







Stavano ancora aspettando fuori: il medico voleva visitarlo, e non voleva che nessuno gli stesse intorno; Emmeline a forza di camminare avanti e indietro stava scavando una sorta di fossa, come nei cartoni animati.

Voleva entrare, voleva abbracciarlo e invece no, doveva aspettare, aspettare, aspettare; come se non lo avesse già fatto abbastanza.

Avevano contattato tutti e stavano tutti raggiungendo l’ospedale: tutti erano impazienti di rivederlo.

«Non fatelo sforzare troppo» disse immediatamente il medico non appena uscì dalla stanza. «L’intervento è andato bene, ora lo posso confermare» sorrise ed Emmeline si liberò di un peso e di tutta l’ansia che la stava soffocando. «Avrà bisogno di tanto riposo e di un po’ di aiuto» stavolta guardò la ragazza e le sorrise, prima di congedarsi.

Senza dire niente, Simone, con lo sguardo, le disse di entrare: erano due giorni che non lo vedeva e quella visita clandestina non era stata sufficiente, lei lo sapeva.

Emmeline la strinse a se, ringraziandola silenziosamente.

Si voltò tremante verso la porta, ma si avvicinò ed entrò, chiudendosela dietro le spalle.

Non seppe dove trovò il coraggio di guardarlo in faccia: era diverso dal vederlo dormire al vederlo sveglio; e lui era li, e la stava fissando con gli occhi socchiusi.

Si avvicinò al letto, piena di timore e senza sapere come comportarsi: non sapeva nemmeno lei perché si stesse comportando in quella maniera, era come se avesse paura di lui, di una sua reazione.

«Come ti senti?» mormorò, sedendosi sulla sedia accanto al letto; lui la seguì con lo sguardo, non riusciva a toglierle gli occhi di dosso: era così bello vederla.

Tom cercò la mano della ragazza, abbandonata sul letto, e gliela accarezzò piano, toccando di nuovo la sua pelle morbida.

«Ora che sei qui, meglio» parlò lui piano, sorridendo forzatamente, contagiandola.

La ragazza gli strinse la mano, posandogli un bacio sul dorso, e poi ricominciò a piangere silenziosamente, facendo preoccupare il ragazzo, che cercò di muoversi, provocandosi dolore al petto: fece una smorfia e decise di tornare steso, allungando, però, l’altra mano per cancellare quelle lacrime.

«Ehi» mormorò preoccupato. «Che c’è, piccola? Perché piangi?» continuò, mentre la ragazza sorrise tristemente tra le lacrime, asciugandosele subito dopo.

Era stupido piangere perché lui si era risvegliato e si sarebbe ripreso e sarebbero tornati quelli di sempre, ma lei stava piangendo perché si sentiva in colpa.

«Mi sento in colpa, Tom» disse e lui la guardò con sguardo interrogativo. «Tu sei qui e hai rischiato la morte, ed io mi sento così in colpa per questo» aggiunse e Tom la zittì, appoggiando l’indice sulle sue labbra, accarezzandogliele, poi, piano.

«Non è colpa tua, Em, non devi nemmeno pensarlo, okay?» mormorò lui, e lei annuì, ma non era poi così convinta, ma non voleva continuare a preoccuparlo, non se la sentiva. «Sono così contento di vederti, mi sei mancata così tanto» aggiunse quasi piagnucolando, facendo ridacchiare la mora. «Vuoi alleviare un po’ la mia pena?» chiese e lei annuì, curiosa e si mise sull’attenti, aspettando. «Me lo dai un bacio?» chiese, sfoderando il suo sguardo da cucciolo abbandonato.

Emmeline sorrise e poi si allungò su di lui, lasciandogli un morbido bacio sulle labbra, cercando di accontentarlo, senza approfondire; nel momento in cui si staccò da lui, Tom la riprese, avvicinandola di nuovo alle sue labbra, volendo approfondire questa volta.

Le era mancata così tanto, che quel bacio approfondito così tanto agognato era il minimo: voleva di più, molto di più, ma poteva aspettare.

«Uhm, non dovresti sforzarti troppo, tesoro» mormorò lei sulle sue labbra, accarezzandogliele piano, sentendo le mani di Tom tra i suoi capelli lunghi, sorridendole maliziosamente. «Non esagerare» aggiunse, tornando comoda sulla sedia.

«Non esagero piccola, è che avevo voglia di baciarti, non posso?» le chiese ed Em ridacchiò, stringendo la sua mano. «Posso chiederti perché non sei stata con me in questi giorni?» domandò, facendola sospirare.

«Non me l’hanno permesso, poteva entrare solo tua madre» ammise, e lui sospirò, scuotendo la testa contrariato. «Sono entrata clandestinamente questa mattina, però» abbassò la voce, facendogli l’occhiolino.

Tom continuava ad accarezzarle piano la mano: la sentiva comunque agitata e preoccupata, il suo modo di fare, di essere così distante e fredda; continuava a pensare che si sentisse in colpa.

«Piccola» mormorò, accarezzando la fedina che portava al dito e sorrise teneramente. «Perché ti stai comportando così? Non è stata colpa tua, te l’ho detto» le disse nuovamente. «Non sei stata tu a premere il grilletto» continuò, sforzandosi di arrivare ad accarezzare il suo viso stanco e ancora bagnato dalle lacrime.

Emmeline si sforzò di sorridere, ma era stanca di dover sorridere e di sentirsi morire dentro, di nascondere le sue paure, le sue colpe, i suoi sentimenti e tutto quello che la spaventava.

«Tom, Liam ha cercato di ucciderti perché ti odia» mormorò la ragazza: voleva raccontargli tutto. «Anche Ria è stata parte del suo piano e poi l’ha uccisa, perché mi stava raccontando tutto» continuò, abbassando lo sguardo ma senza smettere di accarezzare la mano del ragazzo che ancora la stringeva. «Lei non sopportava più quel peso e me l’ha raccontato, o sperava di farmelo capire» fece una smorfia e Tom ridacchiò, tirandola verso di lui, ma lei rimase al suo posto, provocando una reazione negativa nel ragazzo. «Liam voleva portarmi via da te, e successivamente ha deciso di fare il contrario, voleva portarti via da me» altre lacrime solcarono il suo volto mentre continuava a parlare. «Sai, ho parlato con lui in prigione, e mi ha detto che non è finita qui, Tom, qualcuno potrebbe finire il lavoro che ha cominciato» il ragazzo sospirò, abbandonandosi sul cuscino, gonfiando le guance, proprio come faceva la ragazza.

Quella notizia lo distrusse non poco, perché proprio non se lo aspettava: c’era qualcun altro che avrebbe provato a ucciderlo? Qualcun altro avrebbe provato a togliere loro la felicità? E solo perché Liam lo odiava? Era una situazione da manicomio.

«È un incubo questo, piccola?» mormorò voltando il capo verso di lei. «Senti, ora pensiamo solo a noi, al nostro futuro, alla mia guarigione e basta» le disse, cercando di calmarla, e lei alzò un sopracciglio, per niente convinta. «A Liam e a tutto il resto ci penseremo dopo» concluse.

La ragazza annuì non molto convinta dalle sue parole, mentre la sua testa stava già pensando a qualcosa: doveva parlare con una persona e sicuramente Tom non doveva saperlo.

«Ora me lo dai un altro bacio?» chiese ed Emmeline ridacchiò, accontentandolo.


 
***


Aveva preso l’auto di suo padre e si era messa in viaggio verso Fairfield, a un’ora da San Francisco.

Non conosceva il posto e aveva paura di perdersi, ma sentiva il bisogno, o forse doveva, parlare con una persona in particolare: lui aveva lasciato la città per un problema grosso con un ormai ex amico.

Parcheggiò davanti ad una vecchia casa e lì di fuori lo vide, seduto sugli scalini, con il cappuccio calato in testa sopra a un berretto e la sigaretta che si consumava tra le dita.

Non era cambiato molto, forse era diventato più alto, più muscoloso, più uomo, ed era davvero bello: in quel momento si rese conto che era davvero attratta dai cattivi ragazzi, anche se non lo erano.

«Non posso crederci» mormorò lui non appena la vide, sorrise divertito e si alzò in piedi per raggiungerla: era più alto di Tom e si sentì davvero piccola e indifesa. «Emmeline, cosa ci fai qui?» le chiese e poi divenne sospettoso, divenne serio e cominciò a guardarsi intorno. «Entriamo, per favore, non mi sento tranquillo» mormorò poi, guardandola dritto negli occhi.

Lei lesse tutta la preoccupazione e la paura che quel ragazzo stava sentendo.

In quei giorni non faceva altro che essere preoccupata, ansiosa, e faceva preoccupare anche tutti quelli che le stava intorno: forse avrebbe dovuto calmato e rilassarsi.

Quella piccola e vecchia casa era quasi peggiore del suo vecchio appartamento: c’era una sorta di nebbia leggera, probabilmente era dovuta dalle troppe sigarette fumate; c’era confusione, tante scatole vuote di cibo cinese e pizza, bottiglie vuote di birra e lattine di Coca Cola; era molto buia, le finestre erano quasi tutte chiuse.

«Non hai perso il vizio di fumare come una ciminiera, eh Bill?» ridacchiò la ragazza, sedendosi sul pouf nero che aveva vicino al divano.

Anche il ragazzo ridacchiò e la adocchiò, lanciandole un pacchetto di sigarette che accettò volentieri.

«Vedo che nemmeno tu non hai perso il vizio di fumare» ridacchiò, raggiungendola e sedendosi sul divano.

Emmeline aveva cominciato a fumare per colpa di Bill: il primo tiro l’aveva fatto con lui, e aveva rischiato di soffocare, mentre lui rideva come se non ci fosse stato un domani; se lo ricordava bene.

«Dimmi Em, come mai a Fairfield? E non dirmi che mi sei venuta a trovare, perché non sei la persona che si fa un’ora di macchina a vuoto» le disse sorridendo, e lei abbassò lo sguardo, colpita ed affondata.

Erano anni che non si vedevano e non si sentivano, era vero.

Lui aveva fatto esattamente come Tom: se ne era andato all’improvviso, senza dire niente a nessuno, sparendo nel nulla; era ancora un ragazzino in pratica, non aveva nemmeno finito il liceo.

«Ti prego, non arrabbiarti, ma ho davvero bisogno di te e del tuo aiuto, Bill» mormorò lei, aspirando un po’ di nicotina, prima di guardarlo negli occhi: capì subito che lui aveva inteso di cosa volesse parlargli. «Si tratta di Liam» il ragazzo roteò gli occhi al cielo.

«Emmeline» disse lui con tono da rimprovero.

Liam era un tasto dolente per Bill: era uno degli amici di Liam, ma non aveva mai voluto far parte della sua banda di amici, lui non era come loro, non era stronzo, non voleva spacciare, non voleva andare a puttane, era solo un ragazzino, esattamente come loro, ma già facevano quelle cose.

Avevano fatto un patto col sangue, questo se lo ricordava, ma non voleva fare quel tatuaggio che li identificava, non voleva perché voleva rimanere pulito, non voleva avere niente a che fare con loro e con tutta quelle merda che si portavano dietro.

E Liam la prese male: aveva cercato di ucciderlo, lo aveva minacciato in tutti i modi possibili, gli aveva detto che lo avrebbe cercato in tutto il mondo se lo avesse denunciato; così Bill decise di sparire, voleva cambiare identità, cambiare vita e dimenticare, un po’ quello che voleva e doveva fare lei.

«Lo so, Bill, lo so» disse lei. «Ha cercato di uccidere Tom» mormorò e Bill fece una smorfia, non capendo. «Tom Kaulitz» precisò allora lei.

Bill sorrise, scuotendo la testa divertito.

«Ma dai! Quello dai vestiti extralarge, i dreadlocks e quell’aria da bullo? Quel Tom Kaulitz?» Emmeline ridacchiò, divertita da quella descrizione. «E a te cosa importa, scusa? Liam ha ucciso e ha fatto uccidere un sacco di gente, perché t’importa di lui?» chiese, buttando fuori il fumo, e la mora lo guardò insistentemente, cercando di fargli capire qualcosa. «Non posso crederci, Em, è il tuo ragazzo?» chiese e lei annuì. «Fortuna che lo consideravi sbruffone, spocchioso e irritante, eh?» la ragazza si allungò per lasciargli uno schiaffo sul braccio.

Tom e Bill non potevano sopportarsi, e più di una volta erano arrivati alle mani, ma in realtà s’ignoravano completamente.

«In realtà è molto cambiato ed è il mio compagno da anni, Bill» mormorò felice e s’indicò la fedina al dito e il ragazzo ridacchiò guardandola. «Ne abbiamo passate tante, ma ci amiamo e non sopporterei di perderlo, mi farebbe troppo male la sua lontananza e il non saperlo qui» ammise.

«Okay, ti dirò qualcosa, ma poi devi promettermi che sparirai dalla mia vita, Em, non posso rischiare» disse serio e la ragazza si rattristò: non voleva perderlo, ma si costrinse ad annuire. «Gli uomini di Liam sono ovunque, anche le persone che non t’immagini possono essere dalla sua parte, e possono accoltellarti alle spalle anche se sei loro amico» le disse abbassando il tono della voce. «Il tatuaggio che li simboleggia sono due coltelli incrociati, sul collo o sull’avambraccio sinistro, dipende da persona a persona» continuò e la ragazza si appuntò questo dettaglio nella mente. «Non so quanti uomini abbia, ma non tutti hanno il coraggio di uccidere, sai è diverso dallo spacciare o da scoparsi una puttana» Emmeline fece una smorfia, contrariata da quel linguaggio scurrile. «Ti consiglio di chiedere aiuto a qualcuno, tipo Gustav, un vecchio amico, so che è entrato in polizia, e potrebbe proteggerti, darti una pistola, e poi dovete andarvene, non importa dove, se vicino o lontano, ma dovete sparire da San Francisco» mormorò seriamente e la ragazza annuì.

«Bill, per me è difficile dirti addio, siamo amici da tantissimo tempo, ho sofferto e soffro la tua lontananza, ma capisco la tua posizione, anche perché mi ci ritrovo dentro completamente» disse lei, stringendo la mano tatuata del ragazzo. «Fortuna che odiavi gli aghi e non volevi fare il tatuaggio come Liam» lo prese in giro e il ragazzo rise con lei.

«Si cambia Emmeline, e poi non volevo entrare nella squadra di Liam» mormorò disgustato. «Ho tatuaggi un po’ ovunque, ma non sto a farteli vedere, altrimenti torni a casa l’anno prossimo e il tuo ragazzo si preoccupa» scherzò.

La ragazza si alzò e lo strinse a se, dopo che anche lui si mise in piedi: si lasciò stringere da quelle braccia, si lasciò accarezzare i capelli dal suo amico d’infanzia, quello che sapeva tutto di lei, con cui aveva condiviso tutto; erano cresciuti, erano cambiati, e dovevano separarsi di nuovo.

Definitivamente questa volta.

«Grazie, Bill» mormorò lei, lasciandogli un morbido bacio sulla guancia.


 
***


Bill le aveva lasciato una foto di questo Gustav, e una volta tornata a San Francisco, si mise sulle tracce di quel poliziotto: le avrebbe provate tutte, anche a costo di uccidere lei stessa Liam Spencer.

Sarebbe finita in prigione pur di dare la felicità e la libertà a Tom.

E ora se ne stava li, ad aspettare che arrivasse, seduta su una squallida e scomoda sedia: aveva dovuto cercare in molte delle centrali di polizia della città, ma poi lo aveva trovato.

Ma non sapeva cosa dirgli, non sapeva come comportarsi.

«Mi hanno detto che mi sta cercando» quella voce maschile la spaventò e si alzò in piedi, osservandolo attentamente: erano alti uguali, e lui sembrava un bel tipo, sincero e leale e, soprattutto, sembrava bravo nel suo lavoro. «Come posso aiutarla?» le chiese sorridendo.

«Possiamo parlare in privato, per favore?» chiese lei, guardandosi intorno con fare sospetto, un po’ come aveva fatto Bill in precedenza.

Il ragazzo annuì e la condusse nel suo ufficio, almeno era quello che pensava la ragazza.

«Mi ha mandata Bill» mormorò, e lui annuì capendo e le chiese di andare avanti. «Ho bisogno di aiuto, si tratta di Liam Spencer» disse.

«È per il caso Kaulitz? Lei è la sua ragazza, no?» Emmeline annuì e lui le sorrise di nuovo. «Ha paura che possa succedere qualcosa? Sono qui per proteggere lei e il suo ragazzo da ogni problema» continuò e la ragazza si sentì sollevata, almeno un poco.

«Mi ha detto che qualcuno dei suoi potrebbe ucciderlo, insomma finire il lavoro che non ha concluso lui» aggiunse lei, ma lui la fermò con un gesto della mano.

«Abbiamo arrestato quasi tutti gli uomini che lavoravano per lui, non si preoccupi» mormorò lui. «Capisco la sua preoccupazione, è normalissima, ma non tutti sono in grado di uccidere» le disse e lei pensò che fossero le stesse e identiche parole che le aveva detto Bill. «Io continuo a occuparmi del caso, e a ogni novità le farò sapere, nel frattempo lei tenga gli occhi aperti e se c’è qualcosa che non la convince, me lo dica» le sorrise bonario e Emmeline lo ringraziò.

Avrebbe dovuto stare un po’ più tranquilla?


 
***


Le baciava teneramente la schiena, sentendola rilassarsi sotto di lui.

Avevano appena fatto l’amore, la loro prima volta insieme, e Tom non sapeva cosa pensare: si era preso cura di lei, l’aveva amata teneramente e dolcemente, era stato attento, delicato, premuroso, l’aveva trattata come una principessa, ma aveva comunque paura di averle fatto del male.
Vedeva la pelle d’oca formarsi sulla sua pelle e gli venne da sorridere, tornando a donarle carezze e baci, mentre lei sospirava, in dormiveglia, lasciandosi coccolare.

«Stai bene?» le chiese premurosamente all’orecchio, adagiandosi su di lei, senza pesarle.

«Perché non dovrei?» mormorò lei in risposta, aprendo gli occhi. «Non sono mai stata meglio, Tom» confessò imbarazzata e Tom sorrise, tranquillizzandosi.

Le era sembrata così timida e imbarazzata: le era sembrata una bambina e a lui veniva da ridere; non era mai stato con una così e la considerava una prima volta, ma era stata la più bella.

La ragazza riuscì a girarsi tra le sue braccia, e lui ne approfittò per rubarle un bacio, profondamente ricambiato.

«Voglio dormire con te tutte le notti» mormorò contro le sue labbra. «Voglio poter toccarti, accarezzarti ogni volta che voglio» continuò facendola ridacchiare piano. «Sei importante, piccola mia» le disse dolcemente.

Emmeline lo baciò piano, prima di sorridergli teneramente.

Tom spostò i baci tra le sue scapole, assaggiando nuovamente la sua pelle profumata e morbida, esattamente come aveva fatto in precedenza: aveva esplorato il suo corpo lentamente, dedicandole attenzioni che non aveva mai dato a nessuna; l’aveva sentita sospirare di piacere, stringerlo, tirargli i capelli e graffiargli la pelle.

«Mi fa piacere saperlo, Tom» mormorò lei in risposta, prendendo il suo viso tra le mani per vederlo sorridere come un idiota.

Si stavano cambiando la vita a vicenda e stavano bene insieme e così.


 
***


Gli piaceva ricordare il momento in cui avevano vissuto l’intimità per la prima volta, perché era cambiato anche lui quella notte: aveva amato per la prima volta e aveva capito che lei era la metà che lo completava, era quella giusta.

E tuttora quando facevano l’amore, gli piaceva ricordare tutto, rifare tutto dal punto zero, anche se ogni volta era diverso ed era più bello.

Erano emozioni vive, reali e forti e completamente diverse ogni volta.

Non l’aveva vista per tutto il giorno e le mancava: era stanco di starsene a letto, a girarsi i pollici e a non fare niente.

La sua stanza era stata invasa da fiori, palloncini e cioccolatini: ne era stato contento, ma sembrava diventare la stanza di una paziente.

«Ti ho portato la cena» la voce dolce della sua ragazza attirò la sua attenzione.

Emmeline era sulla porta, con un sacchetto stretto in una mano e un cartone con due bicchieri nell’altra, e gli stava sorridendo nel modo più dolce possibile.

Annuì, finalmente contento di vederla, e la vide chiudere, con difficoltà, la porta.

Si avvicinò a lui, lasciando sul mobiletto la cena e le bibite, prima di allungarsi su di lui, per lasciargli un bacio soffice sulla fronte.

«Ti hanno portato un sacco di fiori» sorrise, guardandosi intorno, mentre lui rimaneva concentrato su di lei: adorava osservarla, adorava osservare ogni sua singola mossa, ogni suo singolo gesto, ogni sua espressione, ogni sua smorfia.

Le sue smorfie sceme lo facevano sorridere.

«Dove sei stata tutto il giorno?» chiese improvvisamente, in modo serio. «Mi hai lasciato da solo tutto il giorno» continuò lamentandosi, facendola ridacchiare e guadagnando un bacio all’angolo sinistro della bocca.

«Avevo delle cose importanti da fare» mormorò vagamente, guardandolo dritto negli occhi. «Rimango con te questa notte, okay?» lui annuì pensieroso.

Cose importanti? Cosa c’era di più importante di lui adesso?

Emmeline aveva svaligiato un fast-food e il suo stomaco cominciò a brontolare rumorosamente ala vista di tutto quel cibo.

«Del tipo?» mormorò dopo il primo boccone; la ragazza sospirò, abbassando lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore. «Piccola, perché ho l’impressione che mi stai nascondendo qualcosa?» chiese, abbandonando subito il panino. «Emmeline» disse con tono severo, riprendendola.

«Ti odio quando sei così insistente» mormorò lei, rifilandogli un’occhiataccia che sorprese il ragazzo. «Sto cercando in tutti i modi di prevenire dei problemi futuri» disse, incrociando le braccia al petto e sedendosi sulla sedia più lontana possibile.

Stava mettendo una distanza tra loro.

«Em, smettila di pensarci e vieni qui» sussurrò lui: la rivoleva li vicino, gli faceva male vederla lontana.

«Non me ne starò con le mani in mano ad aspettare di vederti con una pallottola piantata in testa o nel cuore, non questa volta!» sbottò incazzandosi. «Non ho nessuna intenzione di perderti, quindi lasciami fare» lo mise in guardia, lasciandolo scioccato.

Stava cambiando, stava crescendo e maturando ulteriormente: gli piaceva eccome.

«Vieni qui» mormorò di nuovo lui, battendo la mano sul letto, al suo fianco, lasciando cadere il discorso che stavano facendo.

«No» sbottò lei in risposta, sorseggiando la sua bevanda.

A Tom veniva da ridere: la testardaggine della sua ragazza era esagerata e per lui era più che divertente, anche per quello la amava da impazzire.

«Quando t’incazzi e t’impunti sei ancora più bella, lo sai?» mormorò maliziosamente, sapendo di scaturire una reazione nella ragazza: la conosceva troppo bene.

«Smettila, tanto non attacca» rispose lei, spostando lo sguardo fuori dalla finestra, osservando il cielo scuro e nuvoloso, probabilmente quella notte avrebbe piovuto. «È sempre la stessa e identica storia, Tom» sussurrò, continuando a non guardarlo.

«Continuerò a dirtelo finché staremo insieme, Em» disse lui, ridacchiando subito dopo, facendole riportare l’attenzione su di lui: erano belli i suoi occhi, esattamente come il suo sguardo seducente. «Vieni qui con me, meravigliosa creatura, per favore» miagolò, non sopportando più quella lontananza.

Emmeline sbuffò pesantemente, sbattendo un piede per terra, come una bambina, prima di alzarsi e avvicinarsi a lui: gli ridiede il panino e si accoccolò al suo fianco, posandogli un altro bacio sulla fronte.

A Tom era stato impedito di muoversi, e se doveva farlo, aveva bisogno di qualcuno: per ora era immobilizzato a letto.

«Mi hanno chiamata per quel lavoro a Los Angeles» lo informò, carezzandogli i capelli, mentre lo guardava abbuffarsi. «Verrai con me?» gli chiese subito dopo, come aveva fatto un po’ di tempo prima.

Tom la guardò intensamente, carezzandole una guancia e poi le sorrise in modo dolce.

«Ti seguirei fino in capo al mondo, piccola» mormorò. «Non ti libererai mai di me, Emmeline Evans» le disse prima di baciarla come se non ci fosse un domani.



 
******

 
Scusate il ritardo!
Okay, capitolo postato, ho corretto anche un errore (madornale) in quello precedente e così la mia coscienza è tornata pulita!
Come potete vedere ho inserito altri due personaggi: Bill e Gustav, appunto, anche perchè all'appello mancavano solo loro due; preciso che Gustav lo ritroveremo almeno in un altro capitolo, al contrario di Bill che non andrà oltre.
Questo capitolo mi piace a pezzi, non so perchè, ma spero possa piacere a voi!
Ovviamente le vostre recensioni e opinioni, sono sempre ben accette!

Un bacio e un abbraccio,
difficileignorarti.


Se volete contattarmi o conoscermi, vi lascio qualche link:

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


17.






 
«Se dovrò seguirti a Los Angeles, dovrò rinnovare l’armadio, trovare un lavoro che mi permetta di soddisfare tutte le nostre esigenze, perché non ho nessuna intenzione di pesare nuovamente sulle tue spalle» mormorò osservando qualcosa sul portatile che Emmeline gli aveva portato. «E poi dovremmo comprare o affittare un appartamento e che sia decente questa volta!» continuò il suo monologo facendo ridacchiare la ragazza. «E poi vorrò portarti in tutti quei posti lussuosi e renderti la donna più felice di questo mondo» sussurrò alzando lo sguardo per sorriderle nel modo più idiota possibile.

Emmeline scosse la testa, sorseggiando il suo caffè macchiato, avvolta in una felpa del ragazzo, rannicchiata su una piccola poltroncina.

Il suo ragazzo stava impazzendo totalmente, o forse lo era già.

«Hai fatto il vagabondo per un sacco di mesi, come mai sei così emozionato per Los Angeles?» chiese la mora curiosa, sorridendogli.

«Bè c’è differenza» disse lui, poggiando il portatile di lato per accogliere la sua amata tra le braccia. «La prima è che tu non sei Andreas» entrambi ridacchiarono. «La seconda è che potremo avere, finalmente, la possibilità di essere felici e di vivere la nostra vita come vogliamo» sussurrò, posandole un soffice bacio sulla guancia. «Ed io credo che noi dobbiamo costruirci il nostro futuro nella città degli angeli, a Hollywood» la ragazza sorrise ancora, lasciandolo parlare a ruota libera.

«Sei buffo, lo sai?» mormorò lei, pizzicandogli una guancia. «Il nostro futuro lo possiamo costruire ovunque, Tom, non c’è bisogno che sia Hollywood» gli disse convinta. «La mia casa sei tu, quindi ovunque tu sia, io sarò con te, sempre e comunque» mormorò baciandolo teneramente sulle labbra. «Per ora stabilizziamoci li, magari in futuro cambieremo» propose, facendolo sorridere intenerito.

«Che cosa ho fatto per meritarti, piccola?» chiese e lei scosse la testa, rubandogli un altro bacio. «Preferisci un appartamento vicino al mare o vicino al lavoro?» le chiese sulle labbra, facendola ridere divertita, prima di riprendere il portatile.

Era ora di scoprire un paio di carte.

«Non c’è bisogno che cerchi casa, Tom» gli disse e lui la guardò non capendo.

«Come no? Vuoi vivere sotto a un ponte? Ho capito che non abbiamo risorse economiche, ma questo non vuol dire che io voglia vivere per strada, eh» si lamentò, tornando a guardare qualche annuncio.

La ragazza posò una mano sul portatile, chiudendolo gentilmente, lasciando sempre più sconvolto Tom: non la capiva proprio.

«Ce l’abbiamo già una casa a Los Angeles» confessò, lasciandolo scioccato: aveva lanciato una vera e propria bomba.

«Scusami? Non credo di seguirti!» mormorò gesticolando.

Emmeline ridacchiò, alzandosi e sedendosi sulla sedia affianco al letto, per poterlo guardare meglio.

«Ci sono delle cose riguardanti la mia famiglia che non ti ho mai detto» iniziò lei, sorridendogli imbarazzata, mentre lui alzò un sopracciglio, ma lei non seppe decifrare la sua espressione. «Tu sai che sono benestante, che ho vissuto la bella vita, che ho qualche parente in giro per il mondo, ma non ti ho mai detto che ho ereditato una villetta indipendente a Hollywood» disse e Tom sgranò gli occhi, incredulo: non se lo aspettava proprio. «E quella casa ci sta aspettando» sorrise, mentre lui si allungò per rubarle un bacio. «E nei mesi della tua assenza, mio padre ed io abbiamo contattato una signora che l’ha arredata secondo i miei gusti, spero non ti dispiaccia» mormorò imbarazzata, facendolo ridacchiare.

Il ragazzo le posò un dito sulle labbra, accarezzandogliele piano, tracciandone il contorno.

«Io mi faccio andare bene tutto, l’importante che al mio fianco ci sia tu, uhm?» le disse e lei annuì, avvicinandosi per avere un altro bacio, immediatamente ricambiato. «Tu non immagini nemmeno quello che voglio farti» mormorò maliziosamente, facendo rabbrividire di piacere la ragazza. «Non appena posso uscire da questo posto, voglio poter passare un’intera giornata ad amarti come si deve e come non facciamo da tempo» Emmeline sorrise, annuendo, felice di quella sua idea.


 
***


Le era stato chiesto di partecipare al processo di Liam, ma si era rifiutata categoricamente: non voleva vederlo, non voleva essere nella stessa stanza con un mostro come quello, ma era curiosa di sapere la sentenza, per cui avrebbe aspettato Gustav e avrebbe parlato con lui.

Quel poliziotto era una persona seria, uno dei pochi che aveva conosciuto.

Aveva lasciato Tom in balia dei suoi amici e lei non ne voleva sapere niente, anche perché con i loro discorsi su donne, motori e alcol lei non c’entrava niente: aveva bisogno di stare con i suoi amici e di svagarsi, così da poter dimenticarsi dei problemi.
Ancora un paio di giorni e poi sarebbe potuto tornare a casa, alla vita di sempre e in un’altra città.

«Emmeline» la sorpresa nella voce di Gustav la fece sorridere divertita. «Cosa ci fa qui?» le chiese: erano fuori dal tribunale, e poiché aveva rifiutato di andare al processo, la sorpresa del poliziotto era più che normale.

«Sono curiosa di sapere» mormorò imbarazzata, avvicinandosi. «Posso offrirle un caffè?» lui ridacchiò e annuì.

«Glielo offro io il caffè» la invitò nel bar più vicino.

Si sederono a un tavolino fuori, data la bella giornata e ordinarono due semplici caffè.

«La curiosità uccise il gatto, gliel’hanno mai detto?» le chiese il giovane, divertito e lei scosse la testa, alzando gli occhi al cielo.

«Voglio semplicemente sapere di quale morte devo morire» rispose la ragazza e lui rimase sorpreso dalle sue parole e le sorrise.

«Non deve preoccuparsi, nessuna morte in programma» ammise e lei sospirò, ma non sapeva se esserne contenta o meno. «Gli hanno dato venticinque anni» aggiunse. «Lo so, sono pochi, ma visto che ha confessato tutto, o comunque in parte, e hanno pensato di abbassare la pena» Emmeline voleva sbattere la testa sul tavolo fino a farsi male.

«Solo venticinque anni?» sbottò sgranando gli occhi. «Con tutto quel fardello di cose che ha fatto? Con tutti quegli omicidi, con la droga e la prostituzione di mezzo?» mormorò e lui le sorrise, capendola.

«Già, di più non abbiamo potuto fare» Emmeline abbassò lo sguardo, capendo e annuendo. «Senta, io non voglio spaventarla, voglio metterla di nuovo in guardia» cominciò, preoccupando la ragazza. «C’è rimasta una sola persona disposta a uccidere il suo ragazzo» mormorò abbassando il tono della voce e guardandosi intorno. «Non so il suo nome, non so che faccia abbia, ma c’è rimasto solo lui» Emmeline deglutì, annuendo piano.

«Se scopro qualcosa la devo avvertire?» lui annuì e in quel momento stesse vennero serviti i loro caffè.

Emmeline allontanò il suo, dato che il suo stomaco si era chiuso: avrebbe dovuto mentire di nuovo, giocare sporco alle spalle di Tom, dell’uomo che amava, solo per proteggerlo.

«Non voglio che si metta nei guai, signorina, ma è necessario per la sua sicurezza e di tutti quelli che la circondano» le disse, cercando di tranquillizzarla, mentre a lei veniva da ridere istericamente. «Io la aiuterò per qualsiasi cosa, okay?» le domandò.

«Okay


 
***


Non sapeva che piega stava prendendo la sua vita: sicuramente non si aspettava una vita simile, non si aspettava di vivere dei momenti così negativi e terrificanti; certo sapeva che il percorso di una persona non era tutto rose e fiori, ma così, per lei, era esagerato.

Non faceva altro che vivere con l’ansia addosso, a essere terrorizzata da tutto e da tutti, aveva paura di rispondere al telefono, aveva paura di parlare con qualcuno, pensando che quel qualcuno potesse avere una doppia faccia.

Aveva parlato al telefono con il direttore del Museo e aveva accettato di andare a Los Angeles la settimana successiva: con o senza Tom.

E ora stava tornando alla stanza del ragazzo, con una scatola dei suoi muffin preferiti tra le mani: sentiva il bisogno di viziarlo e così faceva.

Il rumore dei suoi tacchi risuonava nel corridoio vuoto, ma non era l’unica cosa che riusciva a sentire: le risate provenienti dalla camera di Tom erano tante, e istintivamente sorrise.

Era bello sentirlo ridere.

Rimase imbambolata sulla porta nel trovarsi davanti Georg, Andreas e due ragazzi a lei sconosciuti.

«Ohh, momento sbagliato» mormorò imbarazzata, scusandosi.

Tom ridacchiò e allungò le braccia verso di lei, perché le era mancata e aveva bisogno del suo calore, così la strinse a se, lasciandole diversi baci, sotto le risate dei ragazzi.

Gli piaceva metterla in imbarazzo.

«No, momento azzeccato, piccola» le disse. «Volevano proprio conoscerti» continuò, indicandole i due ragazzi che non conosceva. «Loro sono Mark e Luck» mormorò indicandoli e lei sorrise intimidita, accennando un saluto con la mano. «Ragazzi, lei è Emmeline, la mia dolce e preziosa metà» quella volta la mora voleva nascondere la testa sotto terra e sparire completamente dalla faccia della Terra: lei odiava essere in imbarazzo e lui, invece, adorava mettercela.

«Che carina, è arrossita!» ridacchiò quello che le era stato presentato come Mark, indicandola, e tutti gli altri gli andarono dietro: Emmeline fece una smorfia, non molto felice.

Non le piaceva essere al centro dell’attenzione, non le piaceva che qualcuno la indicasse e non le piaceva che qualcuno ridesse di lei: si sentiva un po’ ridicola, è vero, ma le veniva naturale.

Tom le baciò teneramente una guancia, sussurrandole un “ti amo” all’orecchio, in modo che solo lei potesse sentire: e quelle due semplici paroline le fecero venire i brividi.

Quei momenti brevi ma intimi e solo per loro, erano i più belli in assoluto: si costruivano la loro bolla di sapone anche se intorno a loro c’erano altre persone; se ne fregavano altamente.

«Torno più tardi, okay?» mormorò sulle sue labbra, e lui annuì, riassaggiando quelle della ragazza.

Emmeline strinse la mano ai due nuovi amici e s’immobilizzò sul posto non appena strinse quella di Mark: solo una cosa le rimase impressa e rabbrividì, ritraendo la mano velocemente.

Due coltelli incrociati.

Lui le lanciò uno sguardo duro e vide la sua mascella tendersi pericolosamente, spaventandola a morte.

Gli uomini di Liam sono ovunque, anche le persone che non t’immagini possono essere dalla sua parte, e possono accoltellarti alle spalle anche se sei loro amico”.

Il tatuaggio che li simboleggia sono due coltelli incrociati, sul collo o sull’avambraccio sinistro, dipende da persona a persona”.

C’è rimasta una sola persona disposta a uccidere il suo ragazzo”.

Sbiancò e indietreggiò, uscendo, poi, velocemente dalla stanza, sotto i richiami preoccupati di Tom.

Quella persona era più vicina di quanto poteva immaginare, e mentre correva fuori dall’ospedale, chiamò Gustav.


 
***


«Devi dire a quel Mark di stare lontano dal mio ragazzo!» sbottò non appena Liam si fu seduto. «Devi dirgli di non finire il lavoro che hai iniziato!» continuò, avvicinandosi pericolosamente al ragazzo, che rideva divertito.

«Sei così sexy quando t’incazzi, te l’hanno mai detto?» la provocò, e la ragazza non si trattenne più, dandogli uno schiaffo in pieno volto, lasciando l’impronta della sua piccola mano. «Chi ti da il permesso di mettermi le mani addosso, sgualdrina?» Emmeline si arrabbiò ulteriormente, incredula: aveva osato chiamarla sgualdrina, dopo tutto quello che le aveva detto, che era innamorato di lei, che voleva renderla felice, ora le dava della puttana.

«Come ti permetti, brutto stronzo?» sbottò, assottigliando lo sguardo. «Tu ci hai provato con me fino alla settimana scorsa, mi regalavi fiori, dicevi di amarmi, di volermi rendere felice, e ora mi dici che sono una sgualdrina?» incrociò le braccia al petto, osservandolo. «Sei molto coerente mi dicono» sputò con odio. «Devi fare quello che ti ho detto, Liam.»

«Non ti sei mai interessata a me, Emmeline» le disse lui con ovvietà. «Ho fatto di tutto, le ho provate tutte, ma niente» la guardò. «Perché dovrei esaudire il tuo desiderio?» le chiese.

«Se provi davvero qualcosa e vuoi rendermi felice, fai ciò che ti dico» mormorò lei autoritaria, provocando ilarità nel ragazzo. «Anche se fossi riuscito a uccidere Tom nei giorni precedenti o nei mesi scorsi, io non mi sarei messa con te, mi fai schifo, ti ho sempre ripudiato e continuerò a farlo» Liam scoppiò a ridere e lei non ci vide più, aggredendolo violentemente, facendogli sbattere la testa contro il tavolino di fronte a lui. «Non sto scherzando, Spencer, non c’è da ridere» continuò, ringhiando. «Devi fermare Mark, o tornerò anche domani e non mi limiterò a questo» lo minacciò, indicando il sangue che macchiava il tavolo.

«Sempre se Tom è ancora vivo» le disse lui.


 
***


«Sono stato semplicemente operato al petto e mi tocca girare su una sedia a rotelle» si lamentò il ragazzo, quasi piagnucolando, continuando a fumare la sua sigaretta.

Emmeline sorrise tiratamente, osservando dritto davanti a se, concentrata solo ed esclusivamente sulla sua sigaretta che si stava consumando lentamente tra le sue dita.

Aveva lo sguardo perso nel vuoto, era assente: quello che era successo con Liam nelle ore precedenti l’aveva particolarmente toccata; non era mai stata violenta con nessuno, ma aveva reagito d’impulso, sentiva di doverlo fare.

«Piccola» il calore della mano di Tom la convinse a voltarsi verso di lui. «Che ti prende?» le chiese in modo amorevole.

La mora scosse la testa, allontanando la mano del ragazzo.

«Sto bene, non preoccuparti» mormorò, spegnendo la sigaretta con il piede. «Sono solo stanca» mentì e lui se ne accorse: conosceva la sua ragazza meglio di tutti, sapeva quando mentiva, sapeva che c’era qualcosa che la stava turbando in modo particolare.

«Emmeline, non mentirmi, per favore» la pregò, stanco sfinito di quella situazione.

«Non mi va di parlare, Tom» sbottò in modo maleducato, lasciando il ragazzo perplesso.

«Come siamo arroganti!» sbottò lui, non molto contento. «Che diavolo stai facendo alle mie spalle, eh?» le domandò costringendola, in modo burbero, a guardarlo.

Vide il suo volto stravolto e stanco, e si preoccupò maggiormente.

«Che diavolo succede?» chiese di nuovo, più insistentemente, facendola sbuffare e allontanare da lui.

«Posso cavarmela da sola per una volta?» domandò retoricamente, esasperata. «Posso tenerti fuori da questa cosa?»

«Di che cosa stai parlando?» cercò di indagare, sospettoso. «Sei tornata da Liam? Hai parlato di nuovo con lui?» domandò stupefatto, reprimendo un urlo di nervoso e di rabbia.

«Stanne fuori Tom!» gli disse, puntandogli un dito contro. «Devi fidarti di me!»

«Fidarmi?» assottigliò lo sguardo lui. «Mi prendi in giro? Mi nascondi le cose, non mi dici niente, mi fai passare dei momenti orribili, ti vedo strana, sgarbata, maleducata, e mi chiedi di fidarmi di te! Con quale coraggio!» sbottò, partito in quarta.

«È già la seconda volta che mi dici che non ti fidi di me» mormorò Emmeline, sorridendo amaramente e calmandosi. «Cosa devo pensare?» incrociò le braccia al petto, appoggiandosi ad una panchina. «Sto facendo tutto questo per te, per liberarci di un peso, ma sembra che non te ne freghi niente» mormorò, ormai sull’orlo delle lacrime. «Lo faccio perché ti amo, perché voglio viverti, ma sembra che non t’interessi, e se vuoi morire, prego, non sarò io a fermarti» gli disse e lui rimase pietrificato. «Stammi bene» mormorò guardandolo negli occhi, prima di voltargli le spalle e andarsene.

Tom la vide camminare lungo il viale e poi la vide sparire.

Rimase sbalordito e incredulo: era la prima volta che gli parlava così.

L’aveva vista strana, l’aveva vista sbiancare e tremare di fronte ad uno dei suoi amici e poi se ne era andata di corsa.

Perché non riusciva a venire a capo di quella situazione?

Cosa l’aveva preoccupata in quel modo?
Cosa l’aveva spinta a dirgli quelle cose, a farla reagire così?
Cosa l’aveva spinta ad andarsene, ad abbandonarlo
?

 
******


Forse è un pò corto come capitolo, ma ho dovuto tagliare per non renderlo eccessivamente lungo, e per incuriosirvi (forse) ulteriormente. 

Sono indecisa se prendermi due settimane di stacco, non perchè vado in vacanza, ma solo per continuare a scrivere e per dedicarmi solo ad essa; tra l'altro ho un'altra trama per una nuova storia che mi frulla per la testa da un paio di giorni.

Volevo scrivere tante cose per voi, ma c'è un insetto schifoso che ha invaso la mia camera e non riesco ad ucciderlo, però vi dico che siete così carini, e volevo ringraziare tutte quelle persone che leggono questa storia silenziosamente, che la recensiscono, e tutte quelle che l'hanno inserita tra le preferite e seguite: siete fantastici e io vi abbraccio tutti, :3 .

Detto questo, aspetto sempre le vostre opinioni che tanto adoro.

Un bacio e un abbraccio,
difficileignorarti


 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


18.







 
Aveva mal di testa  e lo stomaco chiuso: non sapeva se era per la situazione che si era venuta a creare, l’aver scoperto che Mark era uno degli scagnozzi di Liam, per la litigata con Tom, per averlo abbandonato da solo in ospedale, o per altro.

Aveva pianto, di nuovo, tutta la notte: non voleva parlare con nessuno, si era di nuovo chiusa in se stessa, e non riusciva a capire perché si stesse comportando in quel modo.

La colpa di tutto quello era solo sua: non parlava con Tom, non voleva metterlo al corrente di niente; se gli avesse detto che Mark avrebbe potuto ucciderlo, gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia, e lei non voleva questo.

Avrebbero solo finito col litigare e peggiorare la situazione, che era già catastrofica.

Così aveva deciso di preparare le valigie e andare immediatamente a Los Angeles, senza aspettare una settimana.

Sarebbe andata in macchina, così avrebbe avuto più tempo per pensare e capire alcune cose, avrebbe avuto più tempo per se stessa.

Ma prima avrebbe comunque provato a parlare con Tom, non poteva partire senza vederlo un’ultima volta: chissà se si sarebbero rivisti in futuro.

«Che stai facendo, tesoro?» la voce di suo padre la spaventò, facendole cadere un paio di magliette dalle mani. «Non devi partire la prossima settimana?» domandò di nuovo, osservandola attentamente.

«Parto stasera, papà» mormorò tristemente lei. «È inutile rimanere in questa città una giornata di più» disse, sedendosi sul suo letto.

«Ma Tom ha bisogno di te» le disse e lei ridacchiò piano, scuotendo la testa. «Sono stato da lui poco fa e mi ha detto tutto» ammise.

Emmeline lo guardò, non sapendo più cosa dire.

«Ah si?» sussurrò. «E ti ha anche detto che non si fida di me?» sbottò, ricordando le sue parole.

Le avevano fatto male, di nuovo: era doloroso, per lei, sapere che il suo ragazzo non si fidava, il suo cuore si era incrinato per l’ennesima volta; aveva ricevuto come un pugno nello stomaco dalla persona che amava.

«Tom vuole solo sapere cosa sta succedendo, e anch’io» la ammonì dolcemente. «Mi hanno detto che sei stata di nuovo a trovare Liam» la ragazza a quelle parole abbassò lo sguardo, trattenendo un paio d’imprecazioni.

«Papà, io voglio solo proteggerlo, e lui non me lo sta permettendo» disse semplicemente. «Mi sta rendendo le cose difficili, e per me non è facile» ammise con un’alzata di spalle.

Decise di finire di preparare le valigie, e portò con sé anche un paio di felpe del ragazzo: forse per avere un ricordo o forse per sentirne l’odore in uno dei tanti momenti in cui le sarebbe mancato.

«Cosa c’è di difficile, Emmeline?» mormorò suo padre, continuando a guardarla e a seguire tutti i suoi movimenti. «Devi solo spiegargli la situazione» finì.

Emmeline posò lo sguardo su di lui, e sorrise tristemente prima di rispondergli.

«Pensi davvero che mi crederebbe?» domandò, lasciando turbato il padre.


 
***


«Hai visto Emmeline ultimamente?» chiese Tom a Georg.

Non aveva chiuso occhio tutta la notte, ripensando all’ultima conversazione avuta con la ragazza, sfociata in una litigata e nell’abbandono.

Non riusciva a capirla, e se gli stava mandando dei messaggi lui non riusciva a captarli: quella situazione stava cominciando a stargli stretta e stava mandando a puttane la loro relazione.

«Non riesco a stare dietro alla mia ragazza, figurati se sto dietro alla tua» disse lui ridacchiando, mangiando con gusto uno dei muffin portati dalla ragazza il giorno precedente. «Però ieri l’ho vista strana e non mi era mai capitato in tutto questo tempo» disse pensieroso.

«Tu ed Ellen fate sul serio, eh?» mormorò lui malizioso. «Solo ieri? È da quando sono così che si comporta da schifo» continuò, tornando al discorso sulla sua ragazza.

«Era inutile andare a letto insieme, fare tutte quelle smancerie e non essere una coppia, così abbiamo ufficializzato» sorrise divertito, occhieggiando l’amico. «Penso che abbia i suoi motivi, lasciala fare, Tom, è in gamba, sveglia, sa quello che fa, ne sono sicuro» mormorò e Tom annuì, non molto convinto.

«Ho paura di perderla, Georg» sussurrò piano e tristemente. «Lei è il mio tutto, il mio mondo, la mia ancóra di salvezza, l’altra mia metà e sento che la sto perdendo» mormorò con il magone che gli bloccava la gola.

«Glielo hai detto?» domandò Georg seriamente e il moro negò con la testa.

Gli faceva male vedere il suo amico stare così: lui sapeva quanto quella ragazza fosse importante per Tom, sapeva quanto tenesse a lei.

«Le ho detto che non mi fido di lei e non è la prima volta» mormorò colpevole e Georg sospirò: certe volte il suo amico era così ottuso e orgoglioso.

«E puoi biasimare il suo comportamento?» chiese di rimando il ramato. «Mio Dio, come sei riuscito a dirle che non ti fidi?» domandò sconvolto.

«Mi nasconde le cose, fa tutto alle mie spalle, questo dovrebbe essere un momento in cui dovremmo essere più uniti, perché io ho bisogno di lei, proprio come lei ha bisogno di me e invece io la sento così lontana» mormorò piano, e Georg quasi faticò a sentirlo. «E non la biasimo, no, so di averla ferita, nuovamente» continuò, chiudendo gli occhi.

«È una ragazza forte, probabilmente capirà il tuo comportamento» provò Georg non molto convinto, e Tom gli intimò di tacere, perché sapeva benissimo che era una stronzata.

«Sai, certe volte penso che forse era meglio se rimaneva la mia piccola ed innocente Em» sussurrò Tom, sorridendo appena. «Adoravo metterla in imbarazzo, anche se lo fa tuttora, ma prima era diverso, reagiva in modo diverso» ricordò. «È cambiata, è cresciuta, e mi piace questa cosa, ma mi spaventa allo stesso tempo» disse, ma l’amico non capì. «Ho paura che questo suo cambiamento sia la nostra rovina totale» finì, passandosi una mano sugli occhi.

«Io credo che, invece, questo suo cambiamento sia più che giusto» commentò Georg. «Forse la vostra relazione era troppo monotona, troppo amore, troppe smancerie, troppo sesso» a Tom venne da ridere, perché alla fine gli piaceva quella vita. «Forse questa scossa che state ricevendo vi farà bene, vi renderà più forti e più uniti, ne sono più che sicuro» sorrise e Tom provò a ricambiare e a pensare che forse, in fondo, aveva ragione.


 
***


Quel pomeriggio faceva piuttosto caldo, anche se pioveva ed Emmeline, come sempre, non aveva un ombrello con sé: ma la pioggia le piaceva e adorava sentirla cadere sui suoi vestiti, adorava vedere i suoi capelli bagnarsi e appiccicarsi al viso e al collo; si sentiva completamente diversa dalle altre ragazze, un po’ di pioggia poteva rovinare loro la capigliatura.

Non riusciva mai a capire se era lei la diversa o erano loro a essere eccessivamente strane: ma alla fine non le importava.

Aveva deciso di dire tutto a Tom, di metterlo al corrente: era stanca di sfidare la sorte e anche se lui non le avrebbe creduto, lei se ne sarebbe andata con la coscienza pulita.

Forse.

Lo avrebbe messo in guardia, proprio come le aveva consigliato di fare Gustav: quella battaglia per lei era troppo grande e difficoltosa, non ne sarebbe uscita viva.

Un tuono squarciò il silenzio e la spaventò, facendola sobbalzare.

Passò per un vicolo, non eccessivamente stretto e nemmeno tanto buio, e ancora una volta le tornarono in mente tutte le parole di Tom che la mettevano in guardia sui vicoli; ma non solo quelle, anche l’episodio in cui rischiò la vita e dove Tom la salvò da quel malvivente.

Ma cosa poteva succederle ancora? E in pieno giorno poi.

Ma non fece in tempo a finire di pensarlo che qualcuno la bloccò al muro, di nuovo.

«Sei un po’ impicciona, non trovi?» sussurrò una voce maschile al suo orecchio, in modo arrogante, ma non riuscì a riconoscerla.

«Che diavolo vuoi da me?» sbottò lei, cercando di liberare le sue mani, bloccate dietro alla schiena. «Forse dovresti prendertela con qualcuno della tua taglia e non con una donna» continuò, e lui la fece voltare.

La ragazza represse un ghigno, trovandosi davanti Mark.

«Ti piace fare la stronza eh?» le chiese, osservandola attentamente dall’alto. «Parli con Liam, parli con la polizia, ma non parli con Tom» la ragazza sgranò gli occhi e deglutì: come sapeva di Gustav? «Hai paura che non ti creda eh?» ridacchiò maleficamente. «E sai perché non lo farà? Perché gli amici rimangono, le ragazze fanno le troie e ci scaricano» le accarezzò una guancia con un dito e lei si spostò malamente, disgustata.

«Perché tu ti definisci un amico?» chiese lei divertita. «E sei disposto ad uccidere un amico tu? Che bell’amico che sei, Mark» sputò quelle parole con rabbia e odio, cosa che lo fece innervosire ulteriormente.

Vedeva la vena del collo pulsare pericolosamente, la mascella contratta, lo sguardo cattivo, e la presa sulle sue mani sempre maggiore: si sarebbero formati dei lividi sulla sua pelle.

«Sai perché gli ho sempre gironzolato intorno?» le chiese improvvisamente e lei negò: nemmeno sapeva che esistesse fino al giorno prima. «Lui aveva sempre delle belle ragazze che gli giravano intorno, e loro consideravano anche noi, ma poi sei arrivata tu, e gli hai fottuto il cervello» spiegò e lei si ritrovò a pensare che fosse più fuso di Liam. «Non ti sei mai chiesta, in questi giorni, se la causa di tutto ciò non sia tu, uhm?» mormorò guardandola negli occhi. «Se magari non ti fossi messa in mezzo, a quest’ora non sarei costretto a uccidere un amico» continuò mormorando, ma il suo sguardo cadde sulle sue labbra. «Liam aveva ragione, sei solo una sgualdrina, e lui mi paga fior di quattrini per uccidere il tuo ragazzo, e sono quasi contento di farlo» ammise.

«Oh certo, ti piace incolparmi, vero?» sputò con odio. «Tornando al discorso di prima, sono quasi convinta che gli amici tradiscano di più dei compagni di vita» si ritrovò a dare voce ai suoi pensieri, abbassando lo sguardo.

Non fece in tempo ad alzare di nuovo lo sguardo che sentì le labbra del ragazzo avventarsi sulle sue: la ragazza smise di respirare e sgranò gli occhi, cercando di spingerlo via in tutti i modi possibili e non appena ci riuscì, ricevette un forte schiaffo sulla guancia.

Rimase scioccata, con la mano premuta sulla parte colpita, e lo vide correre via.

Sperò vivamente di non ritrovarsi con un livido sulla faccia, quello come lo avrebbe spiegato?

Mark era pazzo, ne aveva la conferma, ora doveva solo dirlo a Tom, ma lui le avrebbe creduto?

La prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata chiamare Gustav per far mettere sotto protezione il suo ragazzo.


 
***


Sfogliava una rivista di gossip in una sala dell’ospedale, in compagnia di alcune vecchiette curiose che gli lanciavano diverse occhiate.

Gli veniva da ridere, perché gli sembrava una situazione divertente, anche se alla fine non era così: voleva Emmeline, voleva stringerla, baciarla, toccarla, voleva fare pace con lei, riprendere ad avere una relazione normale, come quella che avevano.

E invece no, non la vedeva e non la sentiva da un giorno, non sapeva cosa sta facendo e nemmeno quello che aveva in mente: si stava mettendo nei guai, se lo sentiva.

«Ciao» alzò lo sguardo, pensando di trovare Emmeline e, invece, c’era un bambino che gli stava sorridendo.

«Ehi» ricambiò il saluto e il sorriso. «Che ci fai qui? Non è un bel posto questo» mormorò e il bambino si avvicinò, sedendosi di fronte a lui.

«Vengo qui quasi tutti giorni» gli disse. «Voglio far sorridere la gente che soffre» Tom sorrise compiaciuto: quel bambino era sveglio. «All’inizio era un compito per la scuola, adesso lo faccio perché mi piace» ammise e Tom rise.

«È bello sapere che c’è qualcuno disposto a fare ciò» gli disse, scompigliandogli i capelli. «Un sorriso e un abbraccio fanno sempre bene» continuò e il bambino annuì. «Come ti chiami, piccolo?» domandò, abbandonando la rivista sul tavolino.

«Sono Harry!» si presentò, porgendogli la sua piccola mano, che Tom strinse con attenzione e premura.

«Piacere, piccolo, io sono Tom» sorrise e il bambino ricambiò, cominciando a scrutarlo attentamente: forse, per il piccolo, era solo una coincidenza, ma quel ragazzo aveva lo stesso nome dell’amico di Emmeline, e forse aveva capito che si trattava proprio di lui.

«Sai, qualche giorno fa, qui in ospedale, ho incontrato una ragazza, stava fumando una sigaretta» ridacchiò il piccolo, incuriosendo Tom. «Io odio l’odore della sigaretta, però lei era bella e molto dolce, e ha lo stesso nome della mia mamma» il moro sorrise intenerito, vedendo il bambino imbarazzato. «Mi ha detto che era triste perché il suo ragazzo stava male» Tom ammutolì e gli si seccò la gola: quel bambino aveva parlato con Emmeline, ne era sicuro. «Ha iniziato a piangere ed io l’ho abbracciata, facendole tornare il sorriso» ricordò Harry contento. «Poi è arrivata una signora bionda e le ha detto che quel ragazzo si era svegliato ed io mi sono sentito felice, perché sapevo che lei sarebbe tornata dalla fonte della sua felicità» Tom sorrise, contento di ascoltare quel vulcano di parole: quel bambino aveva fatto sorridere la sua dolce metà in un momento buio e lui non sapeva come ringraziarlo.

«Senti sempre una bella sensazione alla bocca dello stomaco quando fai qualcosa di utile, non è vero?» gli domandò e il bambino annuì. «Credo che tu sia un bambino sveglio e farai la felicità di tante persone» gli disse serio. «Hai fatto sorridere anche me, sai?» ammise e il bambino gli sorrise contento: si accontentava di poco ed era un bene.

Si batterono il cinque e Tom gli scompigliò i capelli biondi per l’ennesima volta.

Il viso del bambino s’illuminò e sorrise più apertamente nel vedere una persona dietro di lui, così si voltò, curioso e poi sorrise dolce.

«Emmeline!» il bambino le corse in contro, saltandole poi in braccio.

La ragazza rise divertita, stringendo e baciando affettuosamente quel bambino: Tom sorrise intenerito nel vedere quella scena, e già pensò a un loro possibile bambino; Emmeline come madre sarebbe stata più che perfetta e lui come padre, chissà, solo il tempo avrebbe potuto decidere.

Spostò lo sguardo nei suoi occhi e si aspettava di leggervi odio e freddezza, ma l’unica cosa che riuscì a leggere era amore e perdono.

La accolse tra le sue braccia, baciandole teneramente le labbra, ma quel bacio divenne più passionale e bisognoso: sentiva le mani della ragazza tra i suoi capelli e non riusciva a capire il perché di quel cambiamento.

«Mi fa piacere vederti, piccola, ma se continui così, avrò un problema più grosso» mormorò, facendola ridere maliziosamente. «Ti piace provocarmi eh?» le chiese, rubandole un altro bacio.

«Esattamente come a te piace mettermi in imbarazzo» disse lei, sorridendogli dolce.

Harry li stava guardando divertito e schifato allo stesso tempo e poi li salutò con la manina: era piccolo per capire certe cose.

«Possiamo parlare in un posto più tranquillo?» chiese lei improvvisamente, tornando seria e lui annuì piano, capendo la situazione.

Raggiunsero la stanza del ragazzo, e si accomodarono sul letto.

«Voglio scusarmi per il mio comportamento di ieri, Tom» si scusò e lui le accarezzò entrambe le mani, notando i segni sul polso, ma rimase in silenzio, osservandoli attentamente: cosa era successo? Chi le aveva fatto del male?

«Anch’io mi devo scusare, piccola, il tuo comportamento era più che giustificabile, ti ho detto cose che non avrei mai dovuto dirti, sono imperdonabile» le disse e Emmeline gli accarezzò una guancia, sorridendogli teneramente. «Ti sto sentendo lontana ultimamente e ho paura di perderti» ammise, e la ragazza lo capì perfettamente.

«Perché ci stiamo allontanando Tom» disse lei, preoccupando il ragazzo, ma poi si ricordò del bacio precedente e cercò di calmarsi. «Questa situazione dovrebbe avvicinarci e invece sta succedendo il contrario» continuò sospirando appena. «Ieri, di nuovo, mi hai detto di non fidarti di me, e questo mi ha fatto male» Tom si sentì profondamente in colpa e voleva stringerla e dirle che non era vero, ma lei non gli lasciò aprir bocca. «So che ti dispiace, non c’è bisogno di dirmelo, lo so» lo rassicurò con un sorriso stanco. «Io so molte cose, ho parlato con un po’ di persone, e ho chiesto aiuto alla polizia» ammise e Tom si sorprese. «C’è una sola persona disposta a ucciderti ed è una persona che conosci e che ha un tatuaggio con due coltelli incrociati» mormorò, rimanendo in silenzio e aspettando una reazione da parte del ragazzo.

«Mark?» mormorò stranito Tom, lasciando perdere il discorso che la ragazza aveva fatto. «Andiamo Emmeline, non dirai sul serio?» ridacchiò lui, lasciandole le mani. «Non sparare stronzate!» la ragazza ci rimase malissimo, anche se a dir la verità se lo aspettava e per questo sorrise tristemente, accettando il colpo. «È un mio amico da tanto, non mi farebbe mai del male» continuò.

Sei cieco e stupido, pensò la ragazza.

«Anche tu sei dell’idea che un amico è per sempre? Come un diamante?» mormorò lei, cercando di trattenere le lacrime. «Pensi che mi piaccia venire qui e parlare male dei tuoi amici?» sbottò lei, cominciando a camminare per la stanza, sotto lo sguardo attento del ragazzo. «Io ti amo, cerco di proteggerti, ti dico poi come stanno le cose e tu mi vieni a dire che non ti fidi e che sono una bugiarda che s’inventa le cose!» gli puntò un dito contro, oltraggiata, umiliata e ferita. «Ero venuta qui con tutte le migliori intenzioni, e tu mi smonti in questo modo» si asciugò velocemente le lacrime che le stavano solcando le guance. «Ho visto come mi guardavi i polsi prima» mormorò e lui avvampò: non credeva che l’avesse visto. «Sai chi mi ha aggredita oggi? Il tuo amico Mark, ma a te non importa, perché lui è buono ed io sono la cattiva della sua situazione!» continuò alzando ulteriormente la voce.

Il ragazzo cercò di avvicinarsi, ma lei non glielo permise, e lui si sentì morire.

«Emmeline» sussurrò lui, sentendosi in colpa: lui non la stava ascoltando, e l’aveva pregata di farlo più di una volta, e lei si stava allontanando definitivamente.

«Quando si presenterà da te e ti punterà una pistola alla tempia, ricordati di me e delle mie parole, perché io non sarò qui a pararti il culo! Sono stanca di essere trattata con delicatezza, non sono fatta di vetro perchè ho più palle di te, Kaulitz» mormorò schifata.

Quando lo chiamava per cognome, non era mai un buon segno.

Respirò affannosamente e spostò lo sguardo sulla mano sinistra, dove portava l’anello e Tom sentì il mondo crollargli sotto i piedi: l’aveva fatta grossa.

«Questo te lo puoi tenere» sputò, lanciandogli l’anello. «È stato bello finché è durato, ma a quanto pare tu credi di più alle amicizie invece che alla tua ragazza che ti sostiene dal giorno uno» continuò, raccattando la sua borsa. «Spero che troverai qualcuno che ti soddisfi maggiormente, sia a letto e sia nella vita» gli lanciò uno sguardo dispregevole e lui deglutì, non sapendo cosa fare. «Addio.»

La vide uscire dalla sua stanza e lui si sentì morire dentro: non riusciva a muoversi, era come paralizzato; la colpa era solo sua, di nuovo.

L’aveva persa.

Fece qualche passo, intento a raggiungerla, ma fuori dalla porta si trovò faccia a faccia con Mark, e tremò di paura: aveva una pistola tra le mani e questa volta si immobilizzò davvero.

Sudava freddo e aveva una paura tremenda: se ne sarebbe andato col rimpianto di aver lasciato andar via l’unica donna che amava? Se ne sarebbe andato dopo gli avvertimenti ivani della ragazza? Se ne sarebbe andato così, tradito da un amico che conosceva da tanto tempo?

Indietreggiò spaventato e con il cuore in gola: cosa avrebbe dovuto fare in quella situazione?

Dall’altra parte dell’ospedale, all’entrata, Emmeline stava camminando con lo sguardo basso, mentre le lacrime continuavano a scendere e singhiozzava silenziosamente.

L’aveva lasciato: come aveva immaginato, lui non le aveva creduto e per quello stava soffrendo come non mai, perché non sapeva cosa sarebbe successo adesso; lei sarebbe partita, ma come sarebbe stata? Come faceva ad andare avanti con il peso di averlo perso?

Il rumore di uno sparo la fece sobbalzare pericolosamente e lei si bloccò nel bel mezzo dell’entrata: il suo cuore si frantumò e le si bloccò il respiro.

Che cosa sarebbe successo ora?





 
*****

 
Devo dire che è stato triste scrivere questo capitolo.
Probabilmente mi ucciderete, lo so e forse me lo merito.
Avevo detto che ero indecisa se prendermi o meno una "vacanza" dal postare capitoli per un pò, ma ci ho ripensato e ho deciso di non farlo: continuerò a postare una volta alla settimana, e una volta finita la storia mi prenderò un pò di tempo.
Non so quanti capitoli avrà, ancora non ho ben chiaro il finale, quindi non posso dire niente, potrebbero essere 10 come potrebbero essere 5.

Come sempre sono curiosa di sapere le vostre opinioni che mi rendono sempre felice, siete fantastiche, davvero.

Un abbraccio e un bacio,

difficileignorarti.

 
 
 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


19.





 
I remember the day you told me you were leaving
I remember the makeup running down your face
And the dreams you left behind you didn't need them
Like every single wish we ever made
I wish that I could wake up with amnesia
And forget about the stupid little things
Like the way it felt to fall asleep next to you
And the memories I never can escape
'Cause I'm not fine at all



 
 
Los Angeles, CA

Quella villetta per lei era troppo grande e troppo silenziosa.

Era brutto tornare a casa dal lavoro e non essere accolta da nessuno, tranne che dal silenzio: nessun bacio, nessun abbraccio, nessun “bentornata a casa, piccola, mi sei mancata”, niente.

Ancora si guardava intorno spaesata e ogni giorno sbagliava strada: una volta all’andata e qualche volta al ritorno.

Non era abituata a tutto quel traffico: certo, anche a San Francisco ce n’era, ma nella Città degli Angeli era triplicato o peggio.

Le piaceva camminare per la strada, vedere facce nuove e che non conoscessero il suo passato; si stupiva quasi sempre di incontrare qualche personaggio famoso, di vederlo camminare tranquillo in compagnia di qualche amico, o di vederlo dentro ad un bar in compagnia del compagno o della compagna.

Le piaceva andare a correre al mattino, sentire la sabbia bollente sotto i piedi e guardare il mare per poi rilassarsi e rimanere a pensare e a ricordare per delle ore intere.

Le piaceva il suo nuovo lavoro, adorava stare in mezzo a tutta quell’arte e in mezzo alla gente curiosa e appassionata.

Ma si sentiva sola, dannatamente sola e questo la faceva stare male.

Ogni giorno finiva per chiedersi se aveva fatto la cosa giusta, quel giorno in ospedale, un mese prima: lasciarlo, con tutti i suoi problemi e con quel pazzo di Mark.

Già; l’aveva visto quel pomeriggio, era lì in ospedale e sapeva bene che aveva una pistola e che era lì per uccidere quello che era il suo ragazzo.

Si ritrovò a sospirare: le mancava da morire ed era stanca di stringersi addosso le sue felpe che ormai non avevano più il suo odore; erano diventate felpe normalissime, proprio come quella che stava indossando in quel momento, anche se faceva caldo.

Sua madre le telefonava ogni santo giorno per chiederle come stava e la risposta era la solita menzogna, il solito “sto bene, mamma, non preoccuparti”, e il minuto dopo cominciava a piangere come una bambina che aveva perso il suo giocattolo preferito.

Era così che passava le sue giornate quando non lavorava: piangeva e ricordava e soffriva.

Sospirò di nuovo, sfogliando quel quadernino che da qualche settimana a quella parte aveva cominciato a riempirsi di appunti e nomi: quando era in giro, le piaceva ascoltare e se sentiva un nome che le piaceva, se lo appuntava; leggeva dei libri e faceva lo stesso.

Quella era l’unica cosa che la faceva sorridere: sì, era strano a dirsi, ma era veramente così.

L’aveva scoperto poco dopo essere arrivata a Los Angeles e così aveva capito perché stava male da un po’: era incinta ed era felice, anche se aveva paura e da una parte era triste, perché lui non c’era e probabilmente non ci sarebbe stato.

Stava bene a San Francisco, circondato dai suoi amici, dall’amore di sua mamma e da quello dei suoi genitori, che lo stavano ospitando e aiutando, mentre lei era lontana diversi miglia da lui e con suo figlio in grembo, sola.

Ma la decisione era stata sua e ora ne stava pagando le conseguenze.

Forse avrebbe dovuto telefonargli o forse sarebbe potuta tornata a San Francisco.


 
***


San Francisco, CA

La sua routine era diventata monotona e ripetitiva: svegliarsi, mangiare qualcosa, osservare una foto di Emmeline fino a scoppiare a piangere, fumare come una ciminiera, bere birra, osservare di nuovo quella fotografia, piangere come un bambino, mangiare qualcos’altro, dormire e fare incubi.

Ogni giorno da un mese a quella parte viveva in quel modo: aveva perso qualche chilo, si era lasciato crescere la barba e anche se gli faceva un prurito assurdo, non aveva nessuna intenzione di radersi.

Georg passava da lui quotidianamente, cerando di convincerlo a uscire, cambiare aria, svagarsi, ma Tom non ne voleva sapere: stava soffrendo come un cane abbandonato dal padrone che aveva tanto amato.

Si sentiva proprio così e gli faceva male: lei era lontana chilometri da lui, perché lui non le aveva creduto, e nel momento in cui si trovò davanti Mark, capì tutto e si sentì ancora peggio; gli aveva raccontato la verità, aveva provato a fermarlo andando da Liam, e lui le aveva detto che era una bugiarda, che era la cattiva di turno.

I genitori di Emmeline erano stati così dolci a prenderlo in casa con loro, stavano cercando di prendersi cura di lui, visto che sua madre, per colpa del lavoro, non poteva farlo.

Loro sapevano bene dov’era, ma non volevano dirgli niente: forse per rispettare una decisone della ragazza, forse per non farlo soffrire ulteriormente o per altro, ma in realtà non riusciva a darsi una spiegazione.

Era così dura andare avanti senza di lei, in quella casa che era sua: in ogni angolo la sentiva e la vedeva, le sue fotografie sparse per casa non lo aiutavano affatto e nemmeno la sua vecchia stanza, dove si rifugiava ogni volta che poteva, quando voleva sentirla vicina, solo per poter respirare un po’, per non continuare a soffrire.

Ma ogni volta era sempre peggio, e questo lo uccideva: ma non gli importava.

Preferiva soffrire nel ricordarla, piuttosto che cercare di dimenticarla: lei era tutto ciò che voleva e avrebbe lottato di nuovo per riaverla al suo fianco, anche se non sapeva quanto dovesse fare; magari lei lo avrebbe accolto a braccia aperte e sarebbero tornati ad amarsi.

Scoppiò a piangere di nuovo, stringendo il cuscino ormai intriso di lacrime.

Non si accorse della porta che si aprì e per questo sobbalzò, quando una mano si appoggiò delicatamente, e con amore, sulla sua schiena.
Gemma, la madre di Emmeline, lo stava fissando con tanta compassione negli occhi.

Si sedette al suo fianco e aspettò che il ragazzo smise di singhiozzare: non aveva mai visto piangere qualcuno così tanto e non poteva capire quanto dolore stava provando quel giovane; anche lei aveva sofferto per amore, ma le passava tutto in una settimana.

«Tom» mormorò dolcemente, accarezzando piano la schiena del ragazzo. «Basta piangere, dai» gli disse, sentendo un magone bloccarle la gola: vedere qualcuno stare male e piangere, la contagiava.

Il ragazzo tirò su col naso e cercò di asciugarsi le lacrime, aiutandosi con le maniche della maglietta, nel modo più rozzo possibile: si sistemò meglio, appoggiato alla spalliera del letto, con il cuscino tra le gambe e gli occhi rivolti alla madre della sua ragazza.

O forse doveva dire ex ragazza?

Per Tom era difficile guardarla in faccia: era così simile a Emmeline, gli occhi, lo sguardo, i capelli, i modi di fare; soffriva nel sentirla vicino.

«Dovresti mangiare qualcosa, è da ieri che non metti qualcosa nello stomaco» mormorò dolcemente e lui si accorse del piatto di pasta, sul comodino, che la donna gli aveva preparato e portato.

«Non ho fame» mormorò raucamente, per colpa del pianto e del magone che lo soffocava.

La madre di Emmeline scosse piano la testa, mordendosi il labbro inferiore.

«Lo so, lo immagino, ma non puoi continuare così» gli disse piano, e lui la guardò da sotto le lunghe ciglia: vedeva Emmeline in lei e sentì di nuovo le lacrime inondargli gli occhi, facendo preoccupare quella povera donna. «Tom» mormorò, posando la mano sul suo ginocchio, cercando di dargli un minimo di conforto. «La notte non dormi, non è vero?» chiese e luì deglutì: non voleva farsi sentire. «Hai incubi? Ti sentiamo soffocare le grida nel cuscino» mormorò imbarazzata, facendolo sospirare.

«Mi dispiace» sussurrò in modo strozzato. «Non volevo rendervi partecipi dei miei problemi» la madre della ragazza si allungò per accarezzargli una guancia bagnata. «Mi ritorna in mente il suicidio di mio padre davanti ai miei occhi» raccontò piano, facendo sgranare gli occhi alla donna. «Ero un bambino, non capivo molto, quell’episodio mi ha traumatizzato» mormorò, chiudendo gli occhi al ricordo. «Rimarrà una ferita aperta che mi farà sempre male, lui era un mostro e io non voglio diventare come lui» disse.

«Non sei un mostro» mormorò la donna, rassicurandolo. «Sei un bravo ragazzo e lo sai, non raccontarti cavolate» gli disse sorridendo appena.

«La vicinanza di sua figlia mi faceva stare bene» la guardò negli occhi e qualche altra lacrima scivolò lungo le sue guance. «Mi ricorda così tanto Em, mi fa soffrire questa cosa» spiegò, asciugandosi le lacrime e Gemma sorrise tristemente, annuendo piano con la testa. «Mi manca così tanto» aggiunse in un sussurro. «Se n’è andata per colpa mia, non le ho dato ascolto, le ho detto che non mi fidavo di lei, che era una bugiarda» sorrise tiratamente e ricordò il suo volto, rabbuiato. «Me la merito tutta questa sofferenza» abbassò lo sguardo e strinse più forte il cuscino.

«Non dire cavolate, Tom!» lo rimproverò a bassa voce Gemma. «Nessuno merita di soffrire, tantomeno te!» continuò con convinzione. «Hai passato dei momenti terribili, hai subito un’operazione e hai rischiato di ricevere un’altra pallottola» sospirò e scosse la testa, come se volesse aggiungere altro. «Non dovrei dirtelo, ma le manchi molto» aggiunse, facendolo sorridere appena, un po’ rincuorato.

«Davvero?» chiese e lei annuì, alzandosi per poterlo lasciare un po’ da solo, anche per lei era difficile vederlo soffrire in quel modo, le si stringeva il cuore nel vedere i suoi occhi così gonfi, rossi e sofferenti. «Mi dica dov’è, per favore» mormorò, pregandola.

Lei abbassò il capo, indecisa sul da farsi, e scosse la testa.

«Mi dispiace, Tom» alzò le spalle, come per volersi scusare, e poi abbandonò la stanza, appoggiandosi alla porta, prima di sentirlo piangere di nuovo.

Sospirò affranta: doveva fare qualcosa.


 
***


Fumava una sigaretta distrattamente, sul terrazzo di casa Evans.

La notte sembrava tranquilla ed era stellata: era davvero una bella serata e lui se ne stava solo con una sigaretta che si consumava lentamente tra le sue dita e pensava alla donna che amava che ora si trovava a Los Angeles; si, lo aveva capito e aveva sentito i genitori di Emmeline discuterne apertamente.

Voleva partire, voleva raggiungerla, voleva chiarire con lei e riprendere la loro storia: voleva stringerla, accarezzarla, baciarla, amarla, renderla felice e avere una famiglia.

Era il suo tutto e non sarebbe stato con le mani in mano, ad aspettare che qualcuno gliela portasse via: Tom non avrebbe mai smesso di amarla e non poteva permettere che qualcun altro lo facesse al suo posto, no.

Scosse la testa e spese la sigaretta nel posacenere e sospirò, sistemandosi meglio sulla sedia di vimini, chiudendo gli occhi per cercare di rilassarsi: avrebbe pensato a come agire, il giorno seguente.

Qualcuno si sedette al suo fianco, ma non ci diede molto peso: voleva godersi l’arietta che tirava e rimanere in silenzio, almeno momentaneamente.

«Come va?» il padre di Emmeline pose quella domanda con naturalezza e Tom si ritrovò a sospirare, aprendo un occhio per osservarlo. «Pessima domanda, scusa» il ragazzo scrollò le spalle, indifferente.

Il moro si sporse per afferrare nuovamente il pacchetto delle sigarette.

«Le da fastidio se fumo?» chiese, osservandolo attentamente: sapeva che non sopportava l’odore di fumo, per questo lo faceva sempre all’aria aperta e mai in casa.

Robert negò con la testa, non se la sentiva di negargli una sigaretta, anche se odiava l’odore della nicotina: sorrise tristemente, ricordando che Emmeline gli fumava in faccia senza farsi problemi, perché non le importava.

Così lo vide accenderla e aspirare profondamente, buttando, poi, fuori il fumo.

«Gemma ed io abbiamo parlato molto, abbiamo discusso» mormorò, attirando l’attenzione del moro. «Emmeline ci ha chiesto esplicitamente di non informarti su dove si trova, anche se ti avrà detto che sarebbe partita per Los Angeles» Tom annuì distrattamente, concedendogli così il permesso di continuare a parlare. «È lì che si trova, come penso che immagini, ma non vuole che ti diamo l’indirizzo» Tom alzò un sopracciglio e l’uomo scosse la testa. «La ami davvero?» chiese e il ragazzo si stupì di quella domanda.

Deglutì, prima di fare un altro tiro.

«È la mia vita» rispose seccamente. «Non posso stare senza di lei, ho bisogno di lei» aggiunse più dolcemente. «La amo sì, conoscerla è stato un bene, ha migliorato la mia vita e non smetterò mai di ringraziarla, ma l’ho ferita, le ho detto cose che non avrei mai dovuto dire, e capisco ora il suo comportamento, me lo merito» disse, riappoggiandosi allo schienale.

Robert scosse la testa: non poteva credere che pensasse davvero di meritarsi tutto quel dolore e quella sofferenza.

«Senta, io se potessi le chiederei di sposarmi anche domani» mormorò e Robert sgranò gli occhi incredulo, non poteva credere alle sue orecchie. «Io la voglio al mio fianco sempre e per tutta la vita» questa volta sorrise nel sentire quelle parole.

«Hai la mia benedizione, ragazzo» mormorò dolcemente, posandogli la mano sulla spalla. «Mi dispiace di non averti mai supportato, pensavo fossi un pessimo ragazzo, forse per colpa di tutto quello che la gente diceva di te, ma sono arrivato alla conclusione che tu sia quello perfetto per lei» gli sorrise e Tom si imbarazzò. «Per questo vogliamo che tu la raggiunga e subito» aggiunse poi, consegnandogli una busta gialla. «C’è l’indirizzo del lavoro e di quello di casa sua, un biglietto aereo e dei soldi per il viaggio» disse e il ragazzo sgranò occhi e bocca incredulo, perché non se lo aspettava proprio per niente.

«Io non posso accettare» si affrettò a dire, una volta ripresosi dallo shock iniziale. «Non posso, devo arrangiarmi» mormorò in imbarazzo.

«Non dire cavolate, Tom!» sbuffò Robert, lanciandogli un’occhiataccia. «Los Angeles ti aspetta, va e ricomincia la tua storia con mia figlia, da dove si è interrotta» il ragazzo deglutì, osservando quella busta tra le sue mani. «Non rimuginare troppo, fallo e basta» gli disse bonario. «Los Angeles ed Emmeline non ti aspetteranno per sempre» mormorò prima di alzarsi e lasciarlo solo.


 
***


Sorrideva intenerita nel vedere quel gruppo di bambini incuriositi che indicavano ogni quadro o statuetta che vedevano: era sempre un piacere spiegare l’arte ai bambini.

Chissà poi se erano veramente interessati, ma quello era una cosa che non le interessava affatto, le piaceva il suo lavoro, le piaceva parlare di arte.
Era quasi la fine del suo turno e non vedeva l’ora di tornare a casa: le scoppiava la testa, voleva dormire profondamente avvolta in una delle maglie di Tom, sentiva lo stomaco in subbuglio e aveva una fame assurda.

Anche in quel momento indossava qualcosa di Tom, una camicia scozzese blu e nera, e le stava larghissima, ma la adorava tanto.

Sorrise nel vedere che due bambini la salutarono, prima di uscire dal museo.

Da quando aveva scoperto di essere incinta, adorava sempre di più i bambini e non vedeva l’ora di stringere il suo tra le braccia e sperava che somigliasse di parecchio all’uomo che amava.

«Stai bene?» la voce di Ben la riportò alla realtà e scosse la testa, prima di lanciargli uno sguardo e fargli un mezzo sorriso. «Ti vedo molto pallida, e negli ultimi giorni non sei stata bene» constatò e lei arrossì, colpita nel vivo: perché non si faceva gli affaracci suoi?

Ben era fantastico, avevano subito legato, e lei aveva capito che lui si era preso una cotta e lui sapeva che aveva un ragazzo a San Francisco, ma non gliene importava granché: cercava sempre di rallegrarle la giornata, si occupava di lei e voleva farla felice, ma lei non aveva occhi per lui.

Era bello, su questo non aveva dubbi, affascinante, più adulto e responsabile, e questo le piaceva, ma il suo cuore apparteneva a Tom, non avrebbe potuto donarlo a nessun altro.

«Sono molto stanca, Ben» mormorò, recuperando la borsa e lui annuì, per niente convinto della sua risposta, ma non gli diede peso.

«Per la cena di domani sera, ti passo a prendere alle otto?» le chiese, cingendole le spalle con il braccio, uscendo insieme dal museo, nella tiepida aria californiana: era una così giornata.

Avrebbero avuto una cena di lavoro e il ragazzo si era offerto fin da subito di passarla a prendere e di passare la serata con lei, anche perché quasi tutti i loro colleghi avevano un marito o una moglie e non volevano arrivare soli.

«Sì, va bene, non c’è problema» sorrise stancamente lei e si chiese pigramente perché aveva accettato di andarci.

La accompagnò alla macchina e lui le sorrise contento, guardandola cercare le chiavi all’interno della sua borsa firmata.

«Ciao, piccola» rabbrividì a quel nomignolo, a quella voce e la borsa le cadde a terra, sgranò gli occhi e deglutì, ma non si voltò.

Tom.



 
*******

*Amnesia - 5 Seconds Of Summer

Dovevo aggiornare ieri, ma vabbè.
Ecco qui il capitolo, spero siate felici :)
Come vedete Tom è ancora vivo, qualcuno credeva nel contrario? o.o
Per chi non conoscesse la canzone dei 5SOS, vi inviterei ad ascoltarla, perchè merita davvero!
Comunque, le vostre recensioni/opinioni sono sempre ben gradite :D


Un beso!
difficileignorarti


 

 
 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


20.






 
Ben gli lanciò uno sguardo di puro odio e non lo conosceva nemmeno, mentre Emmeline sorrise senza farsi vedere: sì, aveva pregato i suoi genitori di non dire niente, ma non era mai stata così contenta di vederlo e di sentirlo; qualcosa dentro di lei si mosse e non sapeva bene se fosse un branco di farfalle o un elefante, non ne era molto convinta.

«Cosa ci fa lui qui?» mormorò Ben a Emmeline, ma lei non gli rispose, troppo concentrata a raccogliere la sua borsa e a voltarsi verso Tom: quest’ultimo le sorrise intenerito e poi incenerì Ben con lo sguardo, perché aveva circondato, di nuovo, le spalle della ragazza in un gesto protettivo.
Emmeline lo trovò sciupato, dimagrito, con una barba esagerata e si diede tutte le colpe.

«Ti dispiacerebbe togliere le tue mani dalle spalle della mia ragazza?» chiese con una finta calma che preoccupò la giovane, aveva quasi paura che potesse mettergli le mani addosso. «Non voglio ripetermi» mormorò ancora e Ben si decise a lasciarla andare. «Così va molto meglio» sorrise.

Tom porse una mano a Emmeline, con l’idea di portarla via da quel ragazzo che non gli piaceva per niente, mentre la ragazza guardò la mano dell’uomo che amava e si chiedeva cosa fare: alla fine decise di accettare e fece qualche passo avanti, facendo sorridere apertamente il moro.

«Ci vediamo domani, Em» disse Ben, lanciando un altro sguardo di odio al moro, e lei annuì, prima di voltarsi totalmente verso Tom.

«Quello ti vuole» mormorò facendo una smorfia, facendo sorridere timidamente la ragazza. «Oh, quindi è con questo che devo avere a che fare?» chiese curioso, alzando un sopracciglio e lei aggrottò la fronte, non capendo. «Con tutti questi ragazzi che ti corrono dietro» spiegò gesticolando, sempre con la sua mano stretta nella sua. «Il tuo cuore è ancora impegnato?» le chiese, baciando teneramente il dorso della sua mano, osservandola dritto negli occhi e lei tremò, dall’intensità del suo sguardo.

Fece un piccolo sorriso, e gli accarezzò piano una guancia.

«Ti ho abbandonato in ospedale, ho pensato di non rivederti più, ho pensato che mi odiassi e invece sei qui, davanti a me» mormorò sentendo le lacrime salirle agli occhi, annebbiandole la vista. «E mi chiedi se il mio cuore è ancora impegnato» scosse la testa, rise leggermente. «Il mio cuore è tuo» mormorò, osservandolo negli occhi, e lo vide rilassarsi visibilmente.

Le asciugò le lacrime e la strinse in un abbraccio, facendole cadere nuovamente la borsa: si aggrappò alla sua maglia e lo strinse forte, come a volersi assicurare che lui fosse veramente lì davanti a lei, in carne e ossa.

Le posò un bacio sulla tempia e le sussurrò un “ti amo” all’orecchio, che la fece piangere di nuovo, ma erano lacrime di gioia.


 
***


Avevano bisogno di parlare, di chiarirsi, ma prima Tom voleva riempirsi lo stomaco; aveva ripreso ad avere una fame assurda, da quando era atterrato a Los Angeles e da quando l’aveva rivista: era sempre bellissima, ma aveva visto la tristezza nei suoi occhi, e ora che era di fronte a lui, la vedeva sciupata.

Erano da Starbucks, seduti a un tavolino vicino alla finestra e lui aveva ordinato per un esercito, al contrario di Emmeline che aveva preferito una cheescake e un latte macchiato.

Non sapeva esattamente come comportarsi, non sapeva come iniziare un discorso e, soprattutto, da dove cominciare.

«Mi dispiace» mormorò improvvisamente, attirando l’attenzione della ragazza. «Avrei dovuto crederti, darti ascolto, e invece ho fatto di testa mia, rovinando tutto» continuò, ricordando e lei scosse la testa, come a volerlo fermare. «Quando mi hai ridato l’anello, mi sono sentito morire e piuttosto che vivere la sofferenza di starti lontano e di averti persa, avrei preferito morire» le disse e lei abbassò lo sguardo, non molto sicura di voler ascoltare altro. «Ho pregato Mark di farlo, Emmeline» ammise e la ragazza vacillò sulla sedia.

«Tom» mormorò preoccupata, a occhi sgranati e col fiato corto.

«No, per favore, non interrompermi» la rimproverò senza cattiveria. «In quel momento volevo solo morire, te ne eri andata e avevi le tue ragioni» le disse, sorridendo amaramente. «Ma quel poliziotto è intervenuto, salvandomi» Emmeline sospirò, ricordandosi di Gustav: era grazie a lei se Tom era vivo, l’aveva avvertito lei quel poliziotto. «Mi ha detto che sei andata a parlare con Bill» disse divertito, ricordando il soggetto, e lei s’imbarazzò. «Io ti devo tanto, Emmeline» ammise, accarezzando piano la mano della ragazza, abbandonata sul tavolo. «Quando ti ho conosciuta, mi hai tolto da una situazione orribile, mi hai dato la forza di andare avanti, di affrontare i problemi in un altro modo, mi hai fatto innamorare e mi hai salvato dalla morte» scosse piano la testa, mentre lei lo guardò attentamente, senza batter ciglia. «Ti sei messa in gioco per me ed io ti ho trattata di merda» lei annuì piano, confermando le sue parole. «Se mi odi, ti capisco, lo accetterò» fece una smorfia.

Emmeline, dal suo canto, alzò un sopracciglio: se lo odiasse davvero non lo avrebbe accolto in quel modo, lo avrebbe mandato via malamente e lo avrebbe ripudiato, ma come poteva veramente farlo? Lei lo amava.

«Io non ti odio!» disse, mettendo subito in chiaro quella cosa. «In quel momento lasciarti mi era sembrata la cosa più giusta, ma me ne sono pentita subito dopo» ricordò, sorridendo tristemente. «Volevo proteggerti, volevo farlo da sola, ma era una situazione troppo grande e pericolosa per me, per questo mi sono rivolta a Gustav e in precedenza a Bill» raccontò. «Quel periodo aveva il compito di unirci e invece ci ha allontanato» Tom annuì, completamente d’accordo. «Quando ti guardavo negli occhi, non capivo se era amore o se era il mio amore per te che si rifletteva» gli disse arrossendo e lui aggrottò la fronte, contrariato.

«Non ho mai smesso di amarti, Emmeline» la rassicurò, facendola sorridere intenerita. «Non dubitare più del mio amore per te, non farlo, te ne prego» le disse poi in una sorta di preghiera.

Era così sincero e lei era così dannatamente innamorata.

Ma sospirò e abbassò lo sguardo, scrutando attentamente ciò che le era rimasto nel piatto e decise di finirlo, aveva fame e ora doveva pure mangiare per due.

Anche il ragazzo di fronte a lei sospirò e le parve più che normale: insomma, Emmeline non gli stava rispondendo, non gli stava dicendo niente, mentre lui aspettava una risposta, o forse più di una.

«Ho una proposta» lo sentì mormorare e lei alzò lo sguardo, curiosa, ma non troppo.

«Spara» rispose semplicemente, appoggiando la forchetta sul piatto e finendo il suo latte macchiato, e subito dopo si chiese perché l’aveva preso: in quel momento le faceva schifo.

«Perché non semplifichiamo le cose?» chiese e lei aggrottò la fronte, non capendo: cosa c’era da semplificare? «Ripartiamo da zero» mormorò, sorridendo appena, e lei si mise sull’attenti, ritornando curiosa. «Sì, un calcio al passato e viviamo ogni giorno come se fosse l’ultimo» le disse, tornando ad accarezzare la sua mano con dolcezza.

Si sentiva morire: lei lo aveva abbandonato e lui le stava chiedendo di ripartire.

«Tom» mormorò tra il confuso e il non saper cosa dire.

«Voglio chiederti di ricominciare» sussurrò ed Emmeline, nella sua voce, captò tanta speranza e altrettanta felicità: come poteva dirgli di no?

Lei sorrise, anche se forse sembrò più una smorfia, guardando le loro mani che si stavano accarezzando come nei mesi precedenti; sorrise, anche se forse sembrò più una smorfia, nel pensare che sembrassero una coppia normale, perché agli occhi degli altri lo erano; sorrise, anche se forse sembrò più una smorfia, nel pensare che lei volesse tornare ad avere quello che avevano, perché quello che avevano era semplice, puro, e il loro amore, era ciò che li univa.

«Posso prendermi un po’ di tempo per pensare?» chiese e il sorriso sulla faccia di Tom scomparve, e il cuore della ragazza, a quella visione, perse più di un battito: che cosa aveva fatto? Perché voleva farlo soffrire ancora? Sapeva bene che anche lei avrebbe sofferto ancora.

Lui annuì piano, lasciandole la mano, tornando a quello che aveva nel piatto.


 
***


Si guardava intorno spaesato, proprio come aveva fatto Emmeline all’inizio, ma apprezzava quell’appartamento, gli piaceva l’arredamento moderno, abbinato a qualcosa di vintage: era tipico della ragazza e gli venne da sorridere.

Gli piaceva quella parete adibita a libreria: era vero, non era uno che amava leggere, ma quella era fantastica, gli trasmetteva tanta curiosità e tranquillità e calma, un po’ come se fosse in una vera e propria biblioteca.

«Ti piace?» mormorò Emmeline, avvicinandosi a lui con un bicchiere di vino bianco tra le mani.

Gli occhi del ragazzo s’illuminarono e la ringraziò con lo sguardo.

«Da morire» le disse e lei sorrise, contenta. «È un bel posto e questo è un bell’appartamento» disse e annuì, apprezzando.

Era bello essere circondati da tutto quel lusso, anche se non sapeva se definirlo così fosse giusto, forse lo diceva solo perché era abituato a cose schifosamente vecchie e orribili.

Stranamente si sentiva a suo agio: gli piacevano i colori accostati, l’arredamento e anche l’odore che sapeva di casa, di pulito, di nuovo e, soprattutto, di Emmeline.

La vedeva più timida rispetto al solito, e gli faceva tanta tenerezza: voleva accarezzargli una guancia, cercando di infonderle tutto l’amore che provava, ma decise di tenere ferme le mani, non sapendo se lei potesse apprezzare.

«Vuoi parlare un po’?» le chiese, cercando un minimo di dialogo: non la vedeva così timida e imbarazzata dall’inizio della loro storia e gli tornarono in mente tanti ricordi, positivi e negativi. «Ci sediamo qui o li?» indicò prima il divano e poi i cuscini agiati sul pavimento.

Emmeline sorrise divertita e prima di prenderlo per mano, lo vide appoggiare il bicchiere sul tavolino di vetro: lo voleva trascinare sui cuscini, le piaceva stare a sedere per terra.

Tom, però, la fermò, circondandole la vita con le braccia, cogliendola di sorpresa, e la scrutò attentamente in volto.

«Perché sei così timida?» le chiese piano, sfiorando il naso della ragazza con il suo, e quel gesto dolce le scaldò il cuore e tutto il corpo. «Non ne hai motivo, sono sempre io, il Tom di sempre, quello che ami di anni» le ricordò e lei annuì, mordendosi piano il labbro inferiore e ricambiò il gesto del ragazzo.

«Hai detto che vuoi ricominciare da zero, ricordi?» gli disse e lui chiuse gli occhi, soffocando una risatina.

«Oh, quindi tutto quello che abbiamo vissuto è stato resettato completamente?» mormorò divertito. «Cinque lunghi anni cancellati così? Questo non mi rende affatto felice» la rimproverò piano e lei sorrise, lasciandosi cadere a terra e portandoselo dietro.

Le cadde addosso, schiacciandola sotto al suo peso, mentre lei scoppiò a ridere, senza un contegno, vedendolo improvvisamente imbarazzato e rosso sulle goti.

«Emmeline» mormorò lui, osservandola dall’alto, con uno strano sguardo malizioso negli occhi e un sorrisino dolce sulle labbra. «Avevamo detto, “parlare”» le ricordò, abbassandosi per sfiorarle le labbra.

«I gesti possono parlare per noi» disse lei sulle sue labbra, convinta, osservandolo dritto negli occhi, carezzandogli dolcemente una guancia.

 «Gesti, eh? Qui non si parla di semplici carezze, piccola, lo sai bene» mormorò lui, abbassandosi sul suo collo, facendo leva sulle braccia, annusando prima la sua pelle e poi baciandole ogni centimetro, sentendola ansimare subito dopo. «Emmeline, aspetta» mormorò in fretta, alzandosi da lei e sedendosi al suo fianco. «Ti ho chiesto di ricominciare e mi hai chiesto del tempo per riflettere» scosse la testa, abbassando lo sguardo e poi sorrise. «Ora, invece, stai facendo finta di nulla e vuoi fare l’amore con me» gli veniva da ridere istericamente, ma cercò di trattenersi, mentre la ragazza sbuffò divertita.

«Sinceramente, Tom, non pensavo di rivederti, non pensavo che mi saresti venuto a cercare, insomma io ti ho lasciato, tu non dovresti essere qui» si sistemò tra i  cuscini e incrociò le gambe, mentre lui alzò un sopracciglio, curioso di sapere: era avido di informazioni. «Non ho mai pensato a una mia possibile reazione nel vederti e adesso non so esattamente come comportarmi» riferì, scrollando le spalle. «Sono contenta che tu sia qui, il mio cuore è più leggero e il mio stomaco è tornato invaso dalle farfalle, ma le tue parole, “non mi fido di te”, quelle sono ancora presenti e mi fanno male» abbassò lo sguardo e lui ne approfittò per avvicinarsi un pochino e afferrare la sua mano, carezzando dolcemente le nocche. «Mi hai chiesto di ricominciare, okay, ti ho chiesto del tempo, ma io non so nemmeno perché l’ho fatto» mormorò, osservandolo di sottecchi. «Io non ho bisogno di tempo, io so quello che voglio» annuì convinta, sbilanciandosi un po’ in avanti, arrivando quasi a sfiorare le labbra del ragazzo, socchiuse. «Io voglio te, solo te e nessun altro» concluse in un sussurro, sentendo il respiro del ragazzo accarezzarle la pelle.

Lo vide deglutire e inumidirsi le labbra, prima di parlare.

«Non potevo rimanere un giorno di più a San Francisco, sapendo che la donna che amo non era li» sussurrò e si scrutarono attentamente, come se non si fossero mai visti, si studiavano nei minimi dettagli. «Io mi fido di te, Emmeline» confermò, annuendo piano. «Sei la donna che voglio al mio fianco, con cui voglio costruire un futuro solido e una famiglia, ci sei solo tu e ci sarai solo e soltanto tu anche in futuro, questa è una promessa» sorrise e lei ricambiò, rincuorata e più felice.

Non c’erano altre parole da dire, così finirono per baciarsi, sigillando quella promessa carica d’amore che le aveva fatto il ragazzo.

La riportò sotto di se, facendo attenzione a non schiacciarla, adagiandola con premura sui cuscini e tra un bacio e l’altro le ricordò che aveva indosso la sua camicia e che gli aveva portato via metà del suo guardaroba, facendola ridere.

Emmeline lo liberò da quella maglietta, tra una risata e l’altra, mentre Tom si dedicò alla sua camicia, lasciandola in reggiseno, prima di passare ad accarezzare con le labbra la pelle della ragazza.

E nel momento in cui lo sentì lasciare diversi baci sul suo ventre ancora piatto, si sentì come morire, forse di gioia, perché ancora lui non sapeva della gravidanza, e non lei non sapeva nemmeno come avrebbe reagito, anche se più volte avevano pensato e parlato di avere un bambino.

«Ehi» la richiamò Tom, sorridendole appena, sfiorando il naso con il suo. «Tutto bene?» le chiese ed Emmeline, solo in quel momento, concentrata a toccarlo, si accorse della cicatrice sul suo petto, facendole trattenere il fiato. «Non è niente, non fa male e non è colpa tua» mormorò lui, accortosi della traiettoria dello sguardo della ragazza. «Stai bene?» le chiese di nuovo, lievemente preoccupato.

«Fa l’amore con me» mormorò lei, facendo sorridere il ragazzo.

E quando divennero una cosa sola, Emmeline capì che sarebbe andato tutto bene, che avrebbero ricominciato la loro relazione e che  sarebbero stati felici.


 
***


«Hai davvero chiesto a Mark di ucciderti?» domandò Emmeline, curiosa e allo stesso tempo preoccupata per la risposta.

Non avevano alcuna intenzione di alzarsi dal pavimento e dai cuscini: si erano avvolti in una trapunta e si stavano coccolando, come non facevano da qualche tempo.

«Vuoi davvero sapere la risposta?» le chiese in un sussurro, e lei annuì, appoggiando il mento sulla sua spalla nuda. «Sì, l’ho fatto» rispose. «Era l’unica cosa che volevo in quel momento, dopo che te ne sei andata, la mia vita non aveva più senso, piccola» soffiò, ricordando. «Volevo correre da te, anche se non potevo, volevo chiederti scusa, pregarti da rimanere e di perdonare la mia arroganza, cattiveria, insolenza, quello che vuoi» alla ragazza scappò un sorriso. «Poi ho visto Mark, e ho pensato a come mi sarei sentito se me ne fossi andato senza averti parlato e baciato un’ultima volta» le posò un bacio sui capelli. «Lui era piuttosto sconvolto alla mia richiesta, ma alla fine Gustav ha messo fine alle nostre pene» si rese conto di quello che aveva appena detto e fece una smorfia. «Anzi, la mia pena è iniziata in quel momento, Em» sussurrò piano, quasi in un lamento.

«Non dire niente, lo so, lo so» lo bloccò Emmeline, perché non voleva sentire altro. «Anch’io ho sofferto e, sinceramente parlando, non voglio rivivere quei momenti» mormorò poi.

«Chi è quello con cui sei uscita oggi dal lavoro?» le chiese Tom, cambiando totalmente discorso e baciandole teneramente una tempia, mentre lei oziava pigramente sul suo petto, tracciando dei disegni astratti sulla sua pelle.

«Lavora con me, si chiama Ben» mormorò la ragazza, beandosi delle carezze leggere del ragazzo: fosse stata un gatto, avrebbe iniziato a fare le fusa, su questo ne era pienamente convinta. «Perché?» chiese poi, lasciandogli un bacio sulla cicatrice.

«Vuole qualcosa che non può avere» mormorò con ovvietà e lei soffocò una risata. «Non c’è niente da ridere» le pizzicò un fianco, facendola sobbalzare. «Lo sa che hai un ragazzo?» le chiese poi, stringendo la sua mano che era abbandonata sul suo petto.

«Sa che avevo un ragazzo a San Francisco» disse, accoccolandosi meglio tra le sue braccia. «Lo so che ha una cotta per me» disse senza troppe cerimonie e lui ridacchiò, mordendole il lobo dell’orecchio dolcemente.

«Non te la tirare troppo» le disse e lei alzò lo sguardo su di lui, osservandolo dritto negli occhi. «Posso ridarti l’anello? Posso tornare a chiamarti amore? E posso vivere qui con te?» le domandò poi, facendola ridere.

Lo baciò piano sulle labbra, prima di annuire tre volte, rispondendo così alle domande del ragazzo.

«Domani sera ho una cena di lavoro» mormorò improvvisamente, sentendosi piccola e indifesa, mentre lui alzò un sopracciglio, continuando a far scorrere le dita sulla schiena della ragazza. «Ci vado con Ben» sussurrò e lui sospirò, chiudendo gli occhi.

«Promettimi solo che non gli permetterai di avvicinarsi e di dirgli che il tuo ragazzo è tornato in città, okay?» chiese, sovrastandola di nuovo. «Sei mia piccola, non voglio condividerti e cercherò di non essere troppo possessivo, anche se sarà difficile» disse dolcemente, sentendo le mani della ragazza tra i suoi capelli.

«Ti prometto tutto quello che vuoi» sussurrò, rendendolo felice.

Lo catturò in un nuovo bacio e gli sussurrò un “ti amo” sulle labbra.


 
***


«Dopo la cena, stasera, andiamo a fare due salti in discoteca? Domani siamo a casa» le propose Ben, con un sorriso da un orecchio all’altro, facendola ridere: aveva più o meno dieci anni in più di lei e voleva fare il ragazzino solo per impressionarla, e questo la faceva divertire parecchio.

«Non credo sia il caso» mormorò lei, osservandolo attentamente e il suo sorriso si spense. «Magari un’altra volta, così ti presento Tom» mormorò sulla difensiva, cercando di lanciargli un segnale più che evidente.

«Tom?» fece una smorfia, avvicinandosi a lei di qualche passo. «Il tipo di ieri?» le chiese, cingendole la vita con le mani, facendola arrossire.

«Sì, e probabilmente ti staccherebbe le mani a morsi se ti vedesse in questo preciso momento» borbottò, dando voce ai suoi pensieri e poi si morse la lingua: accidenti! «Senti, Ben, mi hanno fatto piacere le tue attenzioni, ma sono felicemente impegnata» disse seriamente e lui fece qualche passo indietro, deluso e imbarazzato. «E anche se non ci fosse Tom, probabilmente non vorrei avere nessuna relazione, è l’uomo che amo e l’unico che voglio» mormorò e lui annuì, incassando il colpo.

Le fece un piccolo sorriso e le ricordò l’orario per la sera, prima di lasciarla sola.

Pensava fosse più difficile dirglielo.

Non vedeva l’ora di tornare a casa e di dire a Tom che aspettava un bambino: aveva deciso di dirglielo quello stesso pomeriggio; si era alzata con quell’idea e così avrebbe fatto.

Era così bello riaverlo intorno, poterlo baciare, sfiorare, toccare ogni volta che voleva, sentire le sue battute senza senso, vederlo sorridere e sentirlo ridere.

Le era persino mancato il suo russare durante la notte e in quel momento si sentiva la donna più felice del mondo.

Il sorriso si allargò non appena posò una mano sul ventre: sì, era davvero felice e non poteva chiedere di meglio.


 
***


Quel Ben non gli piaceva affatto: non sopportava l’idea che la sua Emmeline passasse con lui tutto il giorno e aveva capito fin da subito che aveva degli interessi nei suoi confronti; non riusciva mai a stare tranquillo e quella sera doveva stare tranquillo e cercare di non pensare che quello si sarebbe avvicinato troppo alla sua donna.

Assurdo!

Girovagava per quell’enorme casa, curioso come un bambino di cinque anni: ogni cosa che vedeva attirava la sua attenzione, proprio come una falena era attirata dalla luce e dal calore.

Lo sguardo cadde, involontariamente, all’angolo del salone, dove c’erano i cuscini e dove si erano amati nella serata precedente: sorrise teneramente, ricordando, e pensò quant’era bello poterla stringere, baciare, toccare, amare, di nuovo.

Le aveva ridato il suo anello, che portava sempre con se, e le aveva raccontato che aveva ripreso a fare gli incubi, sempre lo stesso, ogni notte: suo padre che si uccide davanti ai suoi occhi e davanti a quelli dei suoi amichetti.

Deglutì e chiuse gli occhi, cercando di eliminare quelle immagini.

C’erano così tante altre cose che voleva dirle: la prima e quella più importante, era la benedizione di Robert per poterla sposare; sorrise ancora più apertamente pensando al giorno in cui glielo avrebbe chiesto e, per ora, l’unica cosa che sapeva, era che sarebbe stato presto e sarebbe stata una proposta di matrimonio fantastica.

O almeno lui la pensava così.

Voltandosi urtò un mobiletto che non aveva visto e fece cadere una scatola, rovesciandone il contenuto: imprecò più volte e, come se fosse spiato, si affrettò a raccoglierla, ma il suo contenuto catturò la sua attenzione.

Sbiancò totalmente e qualcosa dentro di lui si mosse, non appena raccolse quelle cose.

Accidenti quello era un test di gravidanza e quel foglio era un’ecografia!

E proprio in quel momento rientrò la ragazza, sorridendo, contenta di essere a casa, ma non appena incrociò lo sguardo del ragazzo, si sentì morire.

«Che cazzo è questa roba?» tuonò Tom, facendo spaventare la ragazza.




 
*****

Ehm.
Scusate sono in ritardo e sono imperdonabile c.c avevo detto che avrei pubblicato martedì e a qualcuno ho persino detto che forse avrei aggiornato prima (non dirò mai più una cosa del genere), ma mi sono messa a guardare la seconda stagione di Chicago Fire e ho perso la condizione del tempo (o dei giorni, se preferite).

Okay, dopo essermi scusata, dico che questo capitolo mi piace abbastanza u.u e spero vivamente che possa piacere anche voi.

Come sempre le vostre opinioni e recensioni sono graditissime e io sono sempre molto contenta di riceverle e di rispondere.

Un bacio e un abbraccio,
difficileignorarti

ps. mi perdonate vero? c.c


 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


21.










 
Emmeline batté le palpebre diverse volte, non riuscendo a capire la reazione del ragazzo e, soprattutto, perché stava reagendo in quel modo.

Chiuse la porta alle sue spalle con un tonfo e appoggiò le chiavi e la borsa sul mobiletto affianco all’entrata, prima di dirigersi a passo spedito e pesante verso il ragazzo, che boccheggiò diverse volte, una volta che Emmeline gli tolse quelle cose dalle mani.

«Indovina, genio» mormorò riappropriandosi delle sue cose. «E non ti azzardare mai più ad alzare la voce in casa mia, altrimenti quella è la porta» sbottò velenosamente, lasciandolo sbigottito.

«Emmeline, sei incinta?» chiese, avvicinandosi di poco a lei, ma non si azzardò a toccarla, perché non sapeva come avrebbe reagito e probabilmente, leggendo il suo sguardo, ci avrebbe rimesso la vita.

O quasi.

«Hai visto il test e l’ecografia, fai due più due e datti una risposta» gli disse sgarbatamente.

Non sapeva nemmeno perché gli stava rispondendo così, maleducatamente, arrogantemente, forse era colpa di quello che aveva detto prima, quando era entrata: nessuno, nessuno, poteva urlarle contro in quella maniera e ora che era incinta, nessuno, nessuno, poteva parlare male del bambino che portava in grembo.

«È mio?» quella domanda la destabilizzò completamente.

Chiuse gli occhi e si appoggiò al mobiletto che era stato urtato precedentemente dal ragazzo, cercando di mandare giù quel groppo di rabbia che le  stava attanagliando la gola.

Quella era la goccia che fece traboccare il vaso: peccato che quel vaso, in quel momento, non era pieno di acqua, ma bensì di benzina, e sarebbe potuto scoppiare un incendio.

E avevano appena cominciato a parlare, o forse è meglio dire litigare.

«È questo che pensi?» si voltò, inveendo contro di lui, avvicinandosi, e Tom pensò di non averla mai vista così tanto arrabbiata da quando la conosceva, e cominciava ad avere paura; nemmeno per Ria era così. «Pensi che sia andata a letto con un altro? Pensi questo, Tom?» sibilò, riducendo gli occhi a due fessure.

«Emmeline, dannazione, mettiti nei miei panni!» borbottò lui, sentendosi piccolo sotto il suo sguardo. «Ti rivedo dopo un mese e scopro che sei incinta, scusa se qualche cattivo pensiero lo faccio» aveva persino il coraggio di dire quelle cose.

«Ah certo, ora devo anche mettermi nei tuoi panni!» lo prese in giro, spingendolo. «Tu mi stai dicendo che non appena sono arrivata qui, ho aperto le gambe al primo che passa per consolarmi! Mi stai dicendo che sono una puttana!» urlò. «Mi fai davvero così subdola?» chiese, ringhiando.

«Come faccio io a sapere che quello che porti in grembo non è figlio di un altro? Che ne so, magari di quel coglione che ti gira attorno come un cagnolino!» disse lui, e quello che ricevette in pieno viso, fu uno schiaffo in piena regola.

La ragazza trattenne una bestemmia per il dolore e lo trucidò con lo sguardo.

«Bene, quindi pensi che sia andata a letto con Ben dopo averti lasciato» non voleva piangere, anche se la sua voce si stava incrinando. «Pensi questo» si morse il labbro inferiore e sentì le prime lacrime salirle agli occhi. «Non vedevo l’ora di tornare a casa per dirti che aspetto un figlio, tuo figlio, e mi sento dire queste cose» sorrise tristemente, scuotendo la testa. «Abbiamo parlato più volte sul fatto di volere un bambino, e ora tu pensi che sia di un altro» lui provò ad aprir bocca, ma la richiuse, non sapeva cosa dire. «Pensavo avessi detto che ti fidavi di me, avevamo parlato di fiducia, e mi vieni a dire queste cose» mormorò piano. «Una presa in giro» si disse da sola. «Se non ti fidi di me, se pensi che io sia andata con un altro, o chissà, più di uno, cosa sei venuto a fare a Los Angeles?» domandò e poi si morse la lingua. «Anzi non dirmelo, non voglio saperlo, tanto non fai altro che rifilarmi bugie» gli lanciò un ultimo sguardo, prima di dirigersi al piano superiore.

Tom boccheggiò di nuovo, osservandola salire le scale: sobbalzò quando sentì la porta sbattere e chiuse gli occhi nel momento in cui sentì qualcosa rompersi.

Cosa diavolo aveva fatto?


 
***


«Cos’hai fatto?» sbraitò Georg dall’altra parte del telefono, facendo fare una smorfia a Tom. «Sei li da meno di ventiquattro ore e hai già fatto un casino? Non ti vergogni?» sbottò di nuovo.

«Georg» piagnucolò il moro, stravaccandosi meglio sul divano. «Ho esagerato un pochino, forse» mormorò non molto convinto.

«Esagerato un pochino? Tom tu hai appena fatto scoppiare la Terza Guerra Mondiale!» sbottò ironicamente. «Ma come ti è venuto in mente di dirle che il bambino che aspetta non è tuo?» chiese di nuovo, sospirando.

Tom sbuffò pesantemente prima di dargli una risposta.

«Georg, non lo so» mormorò stancamente: voleva piangere. «Ieri l’ho vista uscire con un tizio» raccontò piano, quasi vergognandosene. «Lui aveva il braccio intorno alle sue spalle, mi sono ingelosito da morire» borbottò. «Poi abbiamo parlato, abbiamo fatto l’amore, ci siamo coccolati e oggi ho trovato quel test e sono arrivato a pensare a tutto, tranne che il bambino sia mio» sussurrò e immaginò Georg dall’altra parte, mentre scuoteva la testa, disapprovando.

«Troverai un modo per chiarire con lei» provò Georg dall’altra parte: non era molto sicuro su quale consiglio dargli, non si era mai trovato in una situazione simile. «Come ti senti a riguardo?» gli chiese poco dopo.

Sorrise teneramente, lasciando perdere il casino che aveva combinato, ricordando, poi, la foto che aveva visto nell’ecografia: non aveva visto granché, ma si era davvero emozionato e una sorta di elefante di era mosso nel suo stomaco.

«Credo sia un’emozione grandissima» ridacchiò piano. «Non so come descriverla, Georg, non credo di esserne in grado» mormorò poi, sentendo ridere il suo amico.

«Ed Emmeline come sta?» gli chiese, curioso.

«Non la sento» mormorò, spostando lo sguardo verso il piano superiore. «Ma era ferita, delusa, scioccata e mi ha tirato uno schiaffo» Georg non riuscì a non trattenere una risata. «Non ridere, mi fa ancora male» si lamentò il moro.

«Avrebbe potuto tirarti una ginocchiata in mezzo alle gambe, Tom, dovresti ringraziarla!» rise, prendendolo in giro.

Chiusero la telefonata qualche minuto dopo e il moro sospirò: non aveva una possibile soluzione a quell’enorme problema che aveva creato e non sapeva come fare.

Emmeline poteva non rivolgergli più la parola.

Al posto di pensare a tutte le cose negative, non poteva essere felice come aveva immaginato? Aveva sempre immaginato di ricevere quella notizia, di scoppiare a piangere come un bambino, stringere Emmeline e baciare ripetutamente quel ventre ancora piatto; invece la sua testa aveva deciso di pensare che quel bambino potesse essere di Ben.

La loro relazione era di nuovo sull’orlo di un precipizio.


 
***


Non sapeva esattamente come comportarsi: da una parte era furiosa con Tom, perché aveva messo in dubbio il suo amore, dall’altra lo capiva, perché aveva visto l’espressione del moro alla vista di Ben.

Si guardava allo specchio, con un’espressione indecifrabile sul viso, indecisa sul da farsi: andare di sotto e cacciarlo da casa e dalla sua vita, andare di sotto e abbracciarlo e perdonarlo, andare di sotto e non rivolgergli la parola.

Optò per l’ultima opzione.

Scese le scale senza inciampare nei tacchi e si diresse in cucina, senza prima lanciare uno sguardo a Tom, che stava guardando la televisione, un programma di cui lei ignorava l’esistenza.

Si accomodò al tavolo della cucina e sbuffò, prendendosi la testa tra le mani: perché non riusciva a essere felice? Perché c’era sempre qualcosa che non andava? Perché dovevano sempre litigare per tutto? Perché non aveva potuto accettare la gravidanza come avevano sempre desiderato e voluto?

Batté le mani sul tavolo, mandando al diavolo tutti quei pensieri.

«Em, piccola» la voce bassa e roca di Tom la spaventò, facendola sobbalzare. «Voglio chiederti scusa per prima» mormorò, mentre lei gli lanciò uno sguardo di puro odio. «Ho esagerato, mi sento una merda» le disse, cercando di avvicinarsi a lei, con timore.

«Tom» borbottò, alzandosi, osservandolo poi negli occhi, sospirando. «Non posso parlare adesso, devo andare a quella cena» gli disse piano e lui annuì, a testa bassa. «Parleremo più tardi, prometto di non fare eccessivamente tardi» mormorò e si stupì del suo tono di voce e del fatto che tutta quell’incazzatura le stava passando: guardarlo negli occhi e leggere tutto il dolore e il pentimento, le stavano facendo capire che lui si sentiva in colpa. «Ti ho ordinato la cena, dovrebbe arrivare a minuti» gli fece un piccolo sorriso e lui rimase sconvolto.

«Perché?» chiese lui piano, osservandola prendere la borsa.

«Perché devi mangiare, sei sciupato, dimagrito» spiegò senza problemi, con un’alzata di spalle e una smorfia. «Te l’avrei preparata io, ma mi hai fatto saltare i nervi oggi» le veniva da ridere ma si trattenne nel vederlo arrossire.

«Emmeline, perdonami, ti prego» mormorò lui disperato, facendola sospirare di nuovo. «Mi dispiace così tanto» a malapena lo sentì e gli faceva tanta tenerezza.

Il suono di un clacson interruppe quella misera conversazione.

«Devo andare» mormorò lei, e lui annuì distrattamente, mettendosi le mani in tasca. «Tom» lo chiamò, dopo aver aperto la porta. «Lo so che ti dispiace» gli disse, sorridendogli appena, prima di chiudersi la porta alle spalle e vederlo sorriderle tiratamente di rimando.

Non appena salì sulla Mercedes di Ben, sbuffò come non aveva mai fatto, liberandosi di tutta l’aria che si portava dentro.

«Che ti prende?» le chiese Ben, preoccupato, voltandosi appena verso di lei. «È da un po’ che ti vedo strana e non in piena forma» mormorò facendola sorridere appena.

Era così premuroso con lei, così attento ai dettagli.

«Tom ed io abbiamo litigato» disse piano e lui annuì, zittendosi, perché non voleva farsi gli affari loro, anche se era dannatamente curioso. «Stiamo insieme da così tanto tempo che litigare e subito dopo fare pace è come un’abitudine» disse così dal nulla, sorprendendo il ragazzo e sorprendendo, persino, se stessa.


 
***


«Quindi, qual è il tuo sogno?» le chiese divertito, osservandola mangiare una crêpe alla nutella accompagnata da fragole.

«Il mio sogno?» mormorò lei, lanciandogli uno sguardo interrogativo, cercando di non sporcarsi con tutta quella cioccolata: Tom aveva intenzione di farla ingrassare, ne era quasi sicura. «L’arte è sempre stata il mio sogno, Tom» sussurrò con un sopracciglio alzato, come se fosse ovvio. «Ma ne ho avuti talmente tanti che ho perso il conto» ridacchiò, incuriosendo il ragazzo. «Volevo fare la parrucchiera, la mantenuta, la ballerina, la poliziotta e altri mille» rise, spostando lo sguardo sul ragazzo, che si era, nel frattempo, rilassato sul prato del parco dove si trovavano. «Il tuo?» mormorò curiosa, avvicinandosi a lui, stendendosi sulla pancia, per osservarlo meglio.

Era così bello da sembrare illegale e non poteva credere che fosse il suo ragazzo: era vero, in precedenza, lo considerava sbruffone, arrogante, pieno di sé, una sorta di Dio sceso sulla Terra, ma aveva scoperto, conoscendolo, che quella era solo una maschera che si era costruito.

«Mi sarebbe piaciuto diventare un writer» mormorò, spostando lo sguardo sulla ragazza e poi le sorrise dolcemente, carezzandole una guancia.

«Imbrattare muri antichi, monumenti e vagoni?» chiese la mora, prima di ridere, scuotendo la testa.

«Quelli sono i vandali, piccola» mormorò lui, divertito. «Ho fatto qualche graffito qualche anno fa, però» le sorrise, allungandosi per rubarle un bacio. «L’avrei fatto solo per lanciare dei messaggi, nient’altro» aggiunse subito dopo. «Ma ora non so più cosa voglio fare» sospirò. «Voglio trovare un lavoro vero una volta finita la scuola, voglio poter provvedere a te, prendermi cura di te, non voglio che sia il contrario» le disse seriamente, colpendola.

Dio, ogni volta che le diceva quelle cose, le venivano i brividi: era così profondamente sincero e dolci; nessuno le aveva mai detto cose simili e per lei era più che piacevole.

Quella volta fu lei ad allungarsi per baciarlo.

Lui era quello giusto per lei, non aveva dubbi: sarebbe stato lui per sempre.


 
***


Non si ricordava nemmeno il nome del ristorante in cui erano.

Si stava annoiando come non mai, voleva essere a casa con Tom, a chiarire quella situazione assurda: sì, era assurda, e visto che la considerava tale, le veniva da ridere; la colpa era di entrambi, questo l’aveva capito, e la sua reazione era stata esagerata.

Non aveva praticamente toccato cibo: le veniva da vomitare ogni volta che portavano un piatto diverso.

Ben le diceva di mangiare, preoccupato, ma le preferiva mettere nel suo piatto ciò che le portavano: Tom non avrebbe replicato, aveva lo stomaco sfondo, ma si sarebbe preoccupato, ma forse vista la situazione, avrebbe capito.

Così aveva deciso di uscire per prendere una boccata d’aria: infilò le mani in tasca e trovò un accendino, e sbuffò; da quando aveva scoperto di essere incinta, aveva deciso di smettere di fumare, o almeno cercava di farlo, non era facile, per niente.

Il suo stomaco, in quel momento, era tutto in subbuglio: era ancora un po’ nervosa, senza contare che non si sentiva per niente a suo agio in mezzo ai suoi colleghi, per non parlare dell’odore del cibo.

Però aveva voglia di qualcosa di dolce e di molto calorico: a quello non avrebbe detto di no.

«Non hai toccato cibo, Em» la voce di Ben la fece voltare, e notò l’espressione contrariata e preoccupata del ragazzo. «Stai male?» mormorò, avvicinandosi a lei.

Sapessi, pensò solamente, rifilandogli un’occhiata.

«Non preoccuparti, Ben, ho solo lo stomaco chiuso» mormorò, sorridendogli appena.

«Perché ho l’impressione che quel Tom non ti renda per niente felice?» chiese lui, facendole fare una smorfia.

Oddio, questo è come Liam, pensò nel panico.

«Tom mi rende più che felice, Ben, non dubitare di lui» sbottò acidamente: come si permetteva di parlare male dell’uomo che ama? Nemmeno lo conosceva! «In ogni storia ci sono alti e bassi, e come sempre ne veniamo fuori» rispose, osservando, poi, il cielo stellato.

Voleva andare a casa e forse avrebbe chiamato un taxi per farlo.

«Scusami, hai ragione» mormorò lui, dispiaciuto. «Non sono affari miei» aggiunse e lei annuì, trovandosi d’accordo. «Pensavo di avere almeno una possibilità, sai?» sussurrò appena e lei si ammutolì, non sapeva cosa rispondergli.

Sapeva di piacere a quel ragazzo, ma non si era mai immaginata che lui potesse dire una cosa simile; alla fine gli sorrise dolcemente.

«In altre circostanze avrei potuto» mormorò poi, infondo aveva diritto a una risposta.

Non voleva dirgli della gravidanza, voleva aspettare, ma intanto sapeva della sua relazione con Tom, e questo doveva bastargli.

«Vuoi che ti accompagni a casa?» le chiese piano e lei annuì, stanca.

E non appena girarono l’angolo per dirigersi alla macchina del ragazzo, Emmeline andò a sbattere contro qualcosa, o meglio qualcuno che, però, la prese al volo: poteva riconoscere quel tocco caldo e forte tra milioni, e le vennero i brividi.

Alzò lo sguardo, trovandosi davanti Tom, che le sorrideva timidamente.

Oh, accidenti, come poteva rimanere arrabbiata davanti ad un sorriso così?

«Sono venuto a riprenderti, spero non ti dispiaccia» sussurrò, rimettendola in piedi.

«Non dovevi disturbarti» mormorò duramente Ben, facendo alzare un sopracciglio al moro, che era piuttosto divertito.

Emmeline era contenta di vederlo, doveva dire la verità, e così lo prese per mano, lasciandolo sbigottito ed incredulo: quella ragazza, quella sera, era una contraddizione continua.

«So che hai una cotta per Emmeline, e mi dispiace lasciarti a mani vuote, ma, amico, troppa gente ha cercato di dividerci e sto cominciando a stancarmi di questo» disse Tom, con calma, troppa calma: anche quella volta la giovane ebbe paura di un possibile scatto d’ira. «Lotterò tutta la vita per lei, nessuno, ripeto, nessuno, me la porterà via, ma ora voglio solo un po’ di felicità, non chiedo troppo» aggiunse in un sospiro e Ben aprì la bocca, per poi richiuderla. «Con questo non voglio dire che non dobbiate essere amici, non sono così maledettamente possessivo, accidenti, solo rispetta la nostra storia» disse poi, sorridendo appena.

Emmeline abbassò lo sguardo, aggrappandosi al suo braccio e sorrise.

«Non sono quel genere di persona» alzò un sopracciglio Ben. «Rispetto la vostra storia, ma ti prego, promettimi di trattarla bene, se lo merita» mormorò poi, spostando lo sguardo sulla ragazza, troppo concentrata a fissare la sua mano, intrecciata a quella di Tom. «Le voglio molto bene» aggiunse.

I due ragazzi si strinsero la mano in segno di rispetto, e Ben si congedò, andando alla sua auto.

Tom abbassò lo sguardo sulla ragazza, che ancora osservava e giocherellava con le sue dita; tracciò il contorno del suo viso con un dito e poi la costrinse a guardarlo in faccia.

«Piccola» mormorò, sorridendo appena, toccandole piano le labbra. «Mi dispiace» mormorò ancora, e lei annuì: aveva capito. «Ho esagerato, lo so, sono stato un insensibile, uno stronzo vero e proprio, ti ho trattata male, ti ho detto cose orribili, e ho messo in dubbio il tuo amore e la tua fiducia» sussurrò piano: voleva mettersi a piangere a dir la verità. «Io ti amo e amo anche questo piccolino» mormorò, poggiando la mano libera sul ventre piatto della ragazza.

Quest’ultima sorrise e poggiò la mano sulla sua.

«Mi sento una contraddizione continua» disse lei, osservandolo attentamente negli occhi. «Un attimo prima ti odio, quello dopo ti amo, non so esattamente cosa mi stia succedendo» sussurrò, facendolo ridacchiare. «Quando hai detto che il bambino non era tuo, mi hai quasi ucciso, sai? Insomma, io non vedevo l’ora di dirti che avremo un bambino e tu mi hai detto che eri convinto del contrario» mormorò ancora e lui annuì, deglutendo. «Ma la colpa è di entrambi, sai?» chiese e lui alzò entrambe le sopracciglia, non capendo. «Avrei dovuto telefonarti e dirtelo non appena l’ho scoperto e tu sai perché hai colpa» mormorò sorridendo appena. «Io ti amo, ma tu comportati con me di nuovo in questo modo e, giuro sulla mia vita, che te ne faccio pentire in due secondi!» gli disse duramente e lui annuì, prima di abbracciarla, stretta.

Quello era uno dei posti che più adorava, tra le braccia dell’uomo che amava.

Tom si lasciò scappare un singhiozzo, mentre la stringeva a se, come se fosse la sua ancóra di salvezza; Emmeline si preoccupò un po’, ma non appena lo vide sorridere tra le lacrime, si sciolse.

«Pensavo di averti persa, di nuovo» mormorò, prendendo il viso della ragazza tra le mani. «Quello che ti ho detto, la tua reazione» sospese la frase, chiudendo gli occhi. «Sei davvero una contraddizione vivente oggi, devo ringraziare gli ormoni sballati?» Em ridacchiò, poggiando le mani sulle sue. «Io sbaglio come sempre e tu, invece, mi ami come non mai, come fai a sopportarmi?» chiese, sfiorando il naso della ragazza con il suo. «Alzo la voce per niente, sono lo stesso di sempre, e certe volte mi chiedo se mai ti stancherai di me e, invece, fai finta di niente, come sempre» Emmeline sorrise, e si allungò per rubargli un bacio, ma lui si ritrasse. «Sono pieno di difetti, mentre te cerchi di migliorare per entrambi» la ragazza fece una smorfia non molto convinta. «Ti prometto giorni migliori, Emmeline, lo prometto» mormorò, poggiando, finalmente, le labbra su quelle della ragazza, che non aspettavano altro.

«Tom» disse la ragazza, interrompendo il bacio. «Quando mi sono messa con te, ho accettato tutto il pacchetto, pregi e difetti, non m’interessa» gli disse poi. «Godiamoci il presente, fanculo il prima e il dopo» mormorò sorridendo. «Ricominciamo» sussurrò. «Era questo il piano, no?» il ragazzo annuì e lei lo ribaciò, cingendogli il collo con le braccia. «Mi porti a mangiare qualcosa? Non ho cenato» mormorò sulle sue labbra, facendolo ridacchiare divertito.

«Crêpe nutella e fragole?» mormorò lui, facendo illuminare gli occhi alla ragazza.


 
***


Tom le stava sorridendo com’era suo solito: nel modo più dolce e sensuale possibile.

Adorava le sue guance gonfiarsi mentre sorrideva, le ricordava un bambino: ma alla fine era così, lui era ancora un bambino e questo le piaceva, eccome se le piaceva.

«Perché mi guardi così?» chiese Emmeline mormorando, lievemente imbarazzata.

«Perché sei la cosa più bella di questo mondo, Em» mormorò lui in risposta, facendola arrossire pesantemente. «Anche adesso, al naturale, spettinata, dopo aver fatto l’amore, con le guance rosse, gli occhi lucidi e stanchi, avvolta in questo lenzuolo di poco valore» le sorrise di nuovo e il cuore della ragazza perse qualche battito: era la persona più dolce che avesse mai incontrato o forse era colpa sua se era diventato così.

Si scambiarono un bacio, prima che lui ricominciasse a parlare.

«Sai, quando ero piccolo, mia madre mi raccontò una leggenda Hawaiana che mi è rimasta impressa e ora voglio raccontarla a te» mormorò alzandosi dal letto come mamma l’aveva fatto, facendo arrossire la ragazza, di nuovo: era un piacere guardarlo, questo era ovvio, anche se ancora si sentiva timida nei suoi confronti; lo vide prendere qualcosa e poi si infilò i boxer, scoccandole un’occhiata maliziosa. «Si tratta del fiore di Naupaka, un fiore che cresce solo alle Hawaii e principalmente parla di un uomo comune e di una bellissima principessa hawaiana di nome, appunto, Naupaka» sorrise dolce, tornando a sedersi di fronte a lei. «Si erano innamorati, ed era un problema, perché sai, alle Hawaii, nei tempi antichi, era un tabù per un plebeo avere a che fare con le élite o gli aristocratici» continuò, aumentando la curiosità nella ragazza, che lo guardava attentamente. «Questa storia ti sembra vagamente nota?» le chiese ridacchiando, ed Emmeline mormorò “noi due”, facendolo annuire piano. «Si erano innamorati e non avrebbero dovuto, così salirono in cima ad una montagna per incontrare un sacerdote molto saggio, di cui non mi ricordo il nome» Emmeline ridacchiò, scuotendo la testa. «Ascoltò la loro triste storia e disse loro che non poteva fare niente, ma li mandò a pregare in una rea sacra e, mentre pregavano, cominciò a piovere» sospirò, prendendo fiato e le sorrise. «Erano sofferenti, disperati perché si stavano abbracciando per l’ultima volta e Naupaka si tolse il fiore che aveva dall’orecchio, lo spezzò a metà e ne diede metà al suo amato, dicendogli che lui avrebbe vissuto vicino all’oceano e lei sulle montagne» Emmeline era incantata, non riusciva a staccare gli occhi di dosso a Tom, che continuava a raccontare tranquillo e lei si ritrovò a pensare se avesse avuto uno scopo. «E quando si separarono, tutte le piante che crescevano attorno sentirono la loro tristezza» mormorò lui, giocherellando con le sue dita. «Il giorno dopo, quel fiore si schiuse, ma soltanto la metà del fiore» Emmeline si stupì, ma ne rimase meravigliata. «Ora il fiore di Naupaka si trova solo sulle montagne e vicino al mare, e quando prendi l’uno e l’altro e li metti insieme, è come se Naupaka e il suo amato, finalmente, si riunissero» concluse Tom, guardandola negli occhi.

«È una storia bellissima, Tom, ma è, allo stesso tempo, triste» disse la giovane, e lui si ritrovò ad annuire. «Posso chiederti perché me la stai raccontando?» mormorò poi, facendo ridere il ragazzo.

«La mia ragazza è così fottutamente curiosa» disse lui, divertito, scuotendo la testa, facendole fare una smorfia. «A dir la verità, non volevo raccontarti questo» Emmeline aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse, non sapendo cosa dire. «Ma si tratta sempre di fiori» mormorò, mostrandole una scatolina nera, che scaturì la curiosità della ragazza. «Conosci la plumeria?» le chiese e lei annuì: quel fiore faceva un profumo assurdo, e le piaceva, ma preferiva di gran lunga i girasoli. «Conosci il suo significato?» le chiese ancora e lei negò: non si intendeva di fiori. «Significa amore duraturo e lontananza, nel linguaggio dei fiori» quella volta gli occhi di Emmeline s’illuminarono. «Invece, secondo la tradizione hawaiana, se il fiore viene messo dietro l’orecchio destro, la principessa è in cerca di un fidanzato, ma se è messo dietro l’orecchio sinistro, significa che è impegnata» mormorò, sorridendole.

Anche Emmeline sorrise, anche se non ci stava capendo niente.

«Tom, scusa la mia impertinenza, ma non capisco cosa vuoi dirmi, perché sono sicura che con queste due storie tu voglia dirmi qualcosa, solo che…» si bloccò, facendo un gesto con le mani e lui sorrise, capendola e vedendola in difficoltà.

«Sì, è vero» annuì divertito. «Noi due siamo come Naupaka e il suo amato, tu sei la principessa ed io sono il plebeo, e sotto molti aspetti la nostra storia è sbagliata, una sorta di errore» mormorò tristemente e lei si rabbuiò.

«Non per me, non me ne frega niente di quello che gli altri possono dire di noi» sbottò risoluta e scazzata: non le piaceva quando il suo ragazzo parlava così.

«Lo so» disse lui. «E poi c’è la storia della plumeria, uhm?» mormorò, e lei annuì, curiosa di sapere. «L’impegno» mormorò ancora, mostrandole quella scatolina che già prima aveva attirato la sua attenzione. «Io non posso darti molto, anche se vorrei darti la Luna e tutte le stelle, sono riuscito a permettermi questi» aprì la scatolina, rivelando due fedine e gli occhi della ragazza si sgranarono e inumidirono.

«Tom!» squittì, portandosi entrambe le mani alla bocca.

«Questo è per te, piccola» sussurrò, infilandoglielo al dito. «Perché voglio impegnarmi con te, voglio stare con te, voglio renderti felice, e voglio che gli altri sappiano che sei impegnata» Emmeline cominciò a piangere di felicità e, con mani tremanti, riuscì ad infilarla anche nel dito di Tom, facendolo ridacchiare divertito, ma comunque emozionato. «Perché ti amo e non voglio condividerti con nessuno» mormorò, stringendola in un abbraccio.



 
********


 
Oggi non è un bel giorno per me, ho perso mio nonno e non sto bene per niente. Ma so che lui non avrebbe voluto vedermi così abbattuta, così sto cercando di essere forte, non solo per me, ma anche per i miei genitori e per mia nonna.
Nonostante questo, ho deciso di postare il capitolo, dato che era pronto, e perdere 5 minuti per postarlo non mi sono costati niente. 
Non sono sicura se posterò la prossima settimana, forse mi ci vorrà un pò di tempo, ma voglio avvisarvi che "Gli stessi di sempre" non è arrivata al capolinea, solo datemi un pò di tempo.
Vorrei riprendermi da questo shock.

Okay, li ho fatti tornare insieme, perchè si, insomma, io non ce la faccio a vederli separati, non mi va più di vederli (farli) soffrire e spero vivamente che questo capitolo vi piaccia, tanto quanto piace a me, perchè io amo questo capitolo, in tutte le sue parti. 
La parte finale, quella dei fiori, ammetto che è stata presa giù, in parte, e rivoluzionata, da un episodio di Beautiful (si, guardo Beautiful, lo ammetto), mi piaceva troppo e mi ha dato l'ispirazione per chiudere questo benedettissimo capitolo.

Dopo avervi spiegato ciò, dico che come sempre che aspetto le vostre recensioni, e dico che vi adoro tanto, ma davvero tanto, siete fantastiche.

Aggiungo che potreste ascoltare "Gli stessi di sempre", la canzone che da il titolo a questa storia: non conosco i vostri gusti musicali,ma vi invito ad ascoltarla, ha davvero un testo fantastico.

Come sempre, alla fine, vi lascio i miei contatti,  se volete scrivermi, aggiungermi, mi fa piacere.

Un bacio e un abbraccio,
difficileignorarti.

 
 
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


22.





 
«Christopher ti piace?» mormorò curioso Tom, leggendo attentamente il quadernino che la ragazza aveva scritto precedentemente e non appena la sentì sbuffare, capì che era un no. «Matthew?» continuò, lanciandole uno sguardo e poi sorrise, avvicinandosi a Emmeline.

Erano passati un paio di mesi dall’ultima discussione che avevano avuto, ed erano tornati ad essere quelli che erano: felici ed intoccabili, rinchiusi nella loro bolla d’amore puro e pulito.

La pancia della ragazza era ancora piuttosto piatta, ma di profilo si cominciava a vedere bene e lui ogni sera passava un sacco di tempo a baciare ogni lembo di pelle della pancia di Emmeline, beccandosi qualche libro in testa, che proprio la ragazza leggeva prima di dormire.

E poi voleva viziarla in ogni modo possibile, e lo faceva, e in futuro voleva soddisfare ogni sua voglia, anche a costo di alzarsi nel cuore della notte per cercare qualcosa d’introvabile.

«Mi piace, ma forse potremmo cercare qualcos’altro, potrebbe esserci di meglio» mormorò lei, concentrata a leggere un libro sulla maternità. «Ma forse dovresti cercare anche qualche nome per una bambina, anche se so che vuoi un maschio» alzò lo sguardo su di lui, e si sorrisero dolcemente.

Tom annuì: con due donne in casa sarebbe diventato pazzo, ne era sicuro, ma infondo lo era già, quindi non sarebbe cambiato molto.

«Con cosa dovrei girare? Mazze da baseball, bastoni?» chiese ironicamente, alzando un sopracciglio, facendola ridacchiare. «Già tu sei un bel problema, bella come sei attiri l’attenzione di tutti, provocando in me una gelosia incontenibile» mormorò, sfiorandole la mano dolcemente. «Pensa se avremo una bambina e sarà bella come te» brontolò, facendola ridere più forte.

«Tom!» ridacchiò, richiamandolo, non riuscendo a fermarsi: era così bello vederlo così. «Non possiamo pensare a questo il giorno in cui nascerà?» mormorò, infilando la mano tra i suoi capelli morbidi e lunghi, sorridendogli dolcemente. «Se continui a pensarci, mi diventerai vecchio precocemente e mi muori il giorno del parto, ed io non voglio questo» aggiunse e lo vide rilassarsi e poi le sorrise.

«Hai ragione, piccola, ma io voglio essere preparato» mormorò, e lei si addolcì. «Ho paura di diventare padre, sai? Ho paura di non esserne capace, di non riuscire a tenerlo in braccio e di non essere un buon padre, che non sa mettere regole…» sospirò e decise di lasciar stare, anche perché gli veniva da piangere. «Ho paura di diventare come mio padre e questo mi spaventa, da morire, Emmeline» spiegò e lei si avvicinò a lui, sedendosi sulle sue gambe.

Gli prese il viso tra le mani e gli asciugò quelle poche lacrime che stavano scendendo sulle sue guance: sapeva bene che il ricordo di suo padre era ancora grande, dopo tutto il male che gli aveva fatto, il modo in cui si è ucciso davanti ai suoi occhi, il modo in cui l’aveva traumatizzato, ne aveva ancora gli incubi.

Posò un bacio sulle sue labbra, prontamente ricambiato, e si sentì stringere forte.

«Tom» mormorò sulle sue labbra, aprendo gli occhi, perdendosi in quelli di Tom. «Ascoltami, tu non diventerai come lui, non lo sarai mai, anche perché io non te lo permetterò mai» lui le sorrise e le rubò un altro bacio. «Ci sarò io al tuo fianco, impareremo insieme e tuo figlio, nostro figlio, sarà orgoglioso dei suoi genitori, perché tu sei una persona fantastica e niente e nessuno potrà mai dire il contrario» mormorò la ragazza, sorridendogli nel modo più incoraggiante possibile. «Avrà tutto e starà benissimo, non preoccuparti, amore» sussurrò dolcemente e lui annuì, pensando che poteva provarci: poteva farlo, per Emmeline e per il loro bambino.

Le sfiorò piano la pancia e sorrise, prima di alzare nuovamente lo sguardo sulla donna che amava e la vide sorridergli: non poteva credere, a distanza di anni, di aver trovato una ragazza disposta ad amarlo per quello che era veramente, con tutti i difetti e il caratteraccio che aveva, e non per il suo aspetto fisico e per la sua bellezza, e non poteva credere che sarebbe diventato padre.

Gli veniva da piangere e non appena si appoggiò con la fronte alla spalla della ragazza, si lasciò andare in un pianto liberatorio, ma anche di gioia.

Emmeline lo strinse a se, lasciandolo sfogare, ne aveva bisogno e lei lo sapeva: ogni tanto doveva lasciarsi andare a quei crolli emotivi, era una persona ed era più che normale.


 
***


Se ne stava sul divano, intenta a guardare un film alla televisione: aveva il pomeriggio libero, ma si stava annoiando troppo in casa a non fare niente; lei voleva sempre avere le mani impegnate e qualcosa da fare.

Tom voleva vederla tranquilla, riposata, rilassata, non voleva vederla affaticata, non voleva che succedesse qualcosa al bambino: insomma, si preoccupava troppo.

Emmeline voleva andare in spiaggia, prendere il sole.

Emmeline voleva fare qualche cazzata, vista anche la giovane età: tipo quelle cose da adolescenti, infilarsi dentro ad un carrello e lasciarsi spingere da qualcuno, e ridere a crepapelle; voleva mettersi i pattini e infilarsi le cuffiette nelle orecchie e pattinare a Venice Beach, in mezzo alla gente, anche se Tom non voleva, aveva paura che si spiattellasse sulla strada; ma quella non era una cazzata.

Spense la tivù e si alzò dal divano con un balzo, posò una mano sulla sua pancia e sorrise teneramente: eh sì, avrebbe avuto a che fare con un padre iperansioso e iperprotettivo.

Decise di fare un giro, per dare un’occhiata ai negozi e, magari, comprare qualcosa, anche se avrebbe voluto che Tom fosse con lei, nel momento in cui avrebbe scelto le cose per il bambino o bambina.

Ma in realtà era contenta che avesse trovato un lavoro: si era accontentato di lavorare in un negozio di musica, gli piaceva e sembrava pagare bene; qualcuno gli aveva addirittura offerto lavoro come modello per qualche rivista.

Le veniva da ridere se ci pensava: Tom non era proprio il tipo da poter stare su una copertina; era bello, aveva stile da quando era a Los Angeles, ma, insomma, no, lei non ce lo vedeva proprio.

E poi avrebbe dovuto iniziare a girare lei con le mazze da baseball, per poter allontanare qualsiasi essere di genere femminile che potesse sbavargli dietro peggio di un cane.

A dir la verità aveva già discusso più volte con qualche ragazza che, nel bel mezzo di una cena o di una passeggiata, gli aveva chiesto il numero di telefono o altro: e li si era incazzata! Insomma, non era invisibile, e presto sarebbe diventata una mongolfiera, addirittura. Si era alzata e con poca galanteria le aveva detto di girare i tacchi e di tornarsene da dove era venuta. E poi lui non era nemmeno una star internazionale, un vip, era un ragazzo dei bassifondi di San Francisco, e si sentiva in imbarazzo ogni volta che capitava.

Era dannatamente gelosa, nessuna donna poteva avvicinarsi, nessuna.

Solo lei.

Faceva caldo, anche se, in realtà, a Los Angeles faceva caldo tutto l’anno, praticamente; così raccolse i capelli in uno chignon morbido e si mise una canottiera del ragazzo e un paio di scarpe da ginnastica.

Sarebbe uscita, esattamente come aveva deciso, e la prima tappa sarebbe stata il negozio dove lavorava Tom: adorava interrompere le sue giornate lavorative e distrarlo.

Ridacchiò prima di uscire di casa.


 
***


Il negozio di musica dove lavorava quel gran pezzo d’uomo del suo ragazzo era uno dei più grandi della città; a Emmeline piaceva molto, e nel suo primo mese di permanenza a Los Angeles, ci avevo passato diverse ore, ad ascoltare musica, non solo moderna, ma anche classica, e le piacevano da morire i vinili: e, infatti, ne aveva portati a casa un paio.

Tom stava sistemando dei dischi e le venne da sorridere: il suo capo, Ty, le lanciò uno sguardo divertito e lei rispose con un gesto della mano, avvicinandosi al moro.

«Mi scusi, saprebbe dirmi dove posso trovare le novità?» mormorò spaventandolo.

Il ragazzo quando se la trovò di fronte sorrise, dopo aver ripreso fiato, dopo lo spavento, e le allacciò le braccia intorno alla vita, stringendola in un abbraccio amorevole.

«Devi risponderti o volevi semplicemente attirare la mia attenzione?» sussurrò, cercando le sue labbra e trovandole poco dopo: baciarla era sempre un piacere, le sue labbra erano una droga vera e proprio.

Emmeline ridacchiò, infilando le mani in entrambe le tasche posteriori dei pantaloni del ragazzo, potendo permetterselo.

«Non ce n’è bisogno» mormorò lei in risposta. «Sono uscita per fare shopping e volevo passare prima da te» disse, e lui le sorrise nel modo più dolce possibile. «Mi mancavi tanto, davvero tanto» ammise, e lui si ritrovò ad accarezzarle piano la schiena.

«Sono contento di sentirtelo dire, sai?» mormorò, abbassandosi di nuovo sulle sue labbra. «Anche tu mi mancavi, ma tu mi manchi sempre» le disse ed Emmeline sorrise, felice di sentirglielo dire. «Anzi, mi mancavate tanto» aggiunse, poggiando una mano sul pancino di Emmeline, lievemente gonfio.

La ragazza si riappese alle sue labbra, e lo sentì sorridere.

«Stai indossando una delle mie canottiere più scavate, sei mezza nuda, ti si vede tutto» borbottò geloso, osservandola attentamente, facendola ridacchiare.

«Lo so» ammise lei, alzando un sopracciglio. «Ma posso permettermelo, no?» mormorò piano e Tom roteò gli occhi al cielo.

«Non sto nemmeno a risponderti, Em» le disse.

«Solo per te» mormorò la ragazza, e lui si ritrovò ad annuire, completamente d’accordo. «Ci sono tante ragazze che ti stanno mangiando con gli occhi» brontolò, e questa volta fu lui a ridere. «Non ridere» mormorò lei, schiaffeggiandogli piano il braccio.

«Hai ragione, piccola, non c’è molto da ridere, ma i miei occhi cercano solo te, non stare a preoccuparti delle altre» le disse dolcemente. «Ci siete solo voi due per me» aggiunse.

Le veniva da piangere di gioia: come poteva non commuoversi con un ragazzo così?

Allacciò le braccia al suo collo, stringendolo in un caloroso abbraccio, che lui ricambiò, baciandole più volte la nuca.

Doveva lasciarlo tornare al suo lavoro e a malincuore sciolse quell’intreccio.

«Ci vediamo più tardi a casa?» mormorò Emmeline, sistemandogli la maglietta.

«Torno un po’ prima, possiamo fare qualcosa stasera, se vuoi» le propose, riprendendola tra le braccia e, solo allora, si accorse delle occhiate maliziose che gli lanciavano alcune delle ragazze che erano nel negozio.

Scosse la testa, concentrandosi nuovamente sulla sua dolce metà e le sorrise, baciandole teneramente la fronte.

«Proponi qualcosa?» chiese, ricambiando il sorriso. «Cenetta, cinema, altro?» mormorò curiosa e con un sorriso malizioso sulle labbra.

Tom ridacchiò.

«Sei insaziabile, Em, fattelo dire» mormorò, scuotendo la testa. «Drive In?» chiese e le si illuminarono gli occhi: ne avevano parlato nei giorni precedenti, ma non erano mai riusciti a trovare una serata per andarci, e forse quella poteva essere quella giusta.

«Ci sto!» annuì felice, baciandolo ripetutamente sulle labbra, facendolo ridere.

«Ciao ragazzi!» la voce di Ben fece rizzare i capelli ai due giovani.

Emmeline chiuse gli occhi, aggrappandosi alle braccia di Tom e sospirò.

Quel ragazzo in gran parte era molto simile a Liam e questo la preoccupava non poco, anche se rispettava la sua relazione con il moro, non smetteva di correrle dietro.

«Ben» sospirò piano Tom, come a volerlo salutare: il moro sapeva della situazione e sapeva che non smetteva di bombardarla di messaggini e Tom aveva dovuto, di nuovo, alzare la guardia.

Sperava non fosse come Liam, ci sperava davvero tanto, perché era stanco di dover combattere: voleva vivere sereno e felice e basta.

Emmeline si limitò a lanciargli uno sguardo e sorridendogli appena: aveva preso un po’ di distanze, anche al lavoro, ma non era servito; anche lei era stanca.

«Io vado, ci vediamo dopo a casa, okay?» mormorò la ragazza, prendendo Tom per la maglia e tirarlo verso di lei, baciandolo castamente.

«Ti faccio compagnia se vuoi» si propose Ben ed Emmeline si bloccò sul posto, cercando immediatamente lo sguardo del suo ragazzo. «Così da poter tener lontano qualsiasi malvivente in agguato» aggiunse e Tom sogghignò, scuotendo la testa.

Semmai avrebbe dovuto mandare lui qualcuno a controllare quel ragazzo.

Incrociò le braccia al petto, lanciando uno sguardo alla ragazza: era tesa come una corda di violino e aveva gli occhi semi sgranati.

«Mi raccomando, Ben» quasi ringhiò, puntandogli un dito contro e lui annuì semplicemente, raggiungendo Emmeline alla porta.

Sperava che quelle ore passassero velocemente e che Ben non allungasse le mani sulla sua donna.


 
***


Emmeline camminava silenziosamente, con le braccia strette intorno al corpo, come a voler proteggere lei e il bambino che portava in grembo da qualcosa di cattivo e di pericoloso.

Le era passata la voglia di fare shopping e, persino, di guardare le vetrine.

Voleva semplicemente andare a casa ad aspettare il ritorno di Tom; sarebbe dovuta rimanere in casa sul divano a guardare qualcosa d’inutile alla televisione.

«Emmeline» mormorò Ben, cercando di attirare la sua attenzione, e la ragazza si fermò, rivolgendogli uno sguardo scioccato. «Non capisco perché hai costruito questo muro tra di noi, cosa ho fatto?» chiese.

«E lo chiedi anche?» mormorò stupita. «Mi sembrava che Tom ti avesse detto di rispettare la nostra relazione, di comportarti da amico» sbottò, schiarendosi la voce subito dopo. «Hai detto che mi vuoi bene» lui annuì piano con la testa. «Se è davvero così, allora fai quello che hai promesso al mio ragazzo» gli ordinò seria.

«Non ci riesco, Em» sussurrò lui, lasciandola scioccata; così abbassò la testa, osservandosi la punta delle scarpe. «Non ti ho mai visto solo come un’amica, lo sai» le disse ed Emmeline cominciò a rabbrividire. «Lo so che tu non senti quello che sento io, so che non ti interesso, ma questo non mi vieta di continuare a fare quello che faccio» mormorò e la ragazza scosse la testa.

Doveva dirglielo.

«Ben, ascoltami bene, perché non parlerò due volte, non amo ripetermi» cominciò e sentiva la rabbia invaderle le vene. «Io aspetto un figlio da Tom» sganciò la bomba e lui sgranò la bocca e gli occhi, preso in contro piede. «Questo è quello che volevamo da sempre, una famiglia nostra» disse. «Stiamo insieme da anni, abbiamo affrontato un sacco di ostacoli, compreso un’idiota da manicomio che ora è in prigione e non voglio avere a che fare, di nuovo, con un pazzo!» gli disse, puntandogli un dito contro, con cattiveria.

Lui continuava a fissarla, senza dire una parola, probabilmente pensando a qualcosa.

«Grazie del complimento» mormorò ironicamente. «Ma non mi interessa se sei incinta o meno, tu mi interessi veramente» le disse, di nuovo.

Emmeline sbuffò e batté un piede per terra: Dio, non lo sopportava più!

Non fece in tempo ad aggiungere altro, perché le labbra di Ben toccarono le sue, in un bacio a stampo.

La ragazza sgranò gli occhi e si oppose, respingendolo con violenza.

Si staccò da lei e le scoccò uno sguardo, prima di andarsene.

Le lacrime cominciarono a inondarle gli occhi: si sentiva un vero schifo e si vergognava da morire.

Si era lasciata baciare e Tom si sarebbe incazzato da morire: avrebbero discusso ancora.


 
***


Tom era felice: aveva preso la programmazione per il Drive In e aveva deciso che voleva passare una bella serata con l’amore della sua vita.

Non passavano un momento insieme da un sacco di tempo e non vedeva l’ora.

Entrò in casa e la prima cosa che vide fu Emmeline rannicchiata sul divano, le braccia strette intorno alle ginocchia, la testa nascosta tra le braccia e stava piangendo.

Non sapeva esattamente cosa pensare: o era successo qualcosa o era colpa degli ormoni o della gravidanza.

E in quel momento aveva paura di sapere.

Lasciò cadere le chiavi sul pavimento e si precipitò da lei, inginocchiandosi sul pavimento, preoccupato come non mai.

«Piccola» mormorò allarmato. «Cosa succede? Cos’hai? Stai bene? Il bambino?» fece tutte quelle domande, con l’ansia alle stelle e un nodo alla gola.

Emmeline continuava a piangere, dondolandosi, senza guardarlo negli occhi, ma poi decise di alzare lo sguardo, perché era inutile tenersi quel peso dentro.

Posò gli occhi su Tom e attraverso le lacrime vedeva la sua preoccupazione infinita e questo la fece sorridere teneramente, o almeno sperava di sorridere: quel sorriso assomigliava molto di più ad una smorfia indefinita.

Allungò una mano e accarezzò piano il viso di Tom, ma poi il ragazzo le prese la mano e la strinse, aspettando una risposta: si stava immaginando troppe cose negative e aveva bisogno di sapere cosa le stava succedendo.

«Io e il bambino stiamo bene, Tom» mormorò la ragazza tra un singhiozzo e l’altro e lo video tirare un sospiro di sollievo.

«E allora perché stai piangendo? Qualcuno ti ha fatto del male?» chiese in apprensione, e poi sembrò come illuminarsi e un lampo di rabbia gli attraversò gli occhi. «Quel coglione ti ha fatto del male?» sbottò, digrignando i denti.

Emmeline deglutì e abbassò lo sguardo, ma Tom la costrinse a guardarlo di nuovo.

«Dimmi che cosa ti ha fatto» ringhiò nuovamente e la ragazza si spaventò, sbiancando come non mai, preoccupata.

«Mi ha baciata» mormorò piano e Tom rimase immobile, inspirando forte, accusando il colpo.

Lasciò la sua mano e si alzò, mettendosi le mani nei capelli e cominciando a camminare avanti e indietro per il salotto, sotto lo sguardo attento, impaurito della ragazza.

Non l’aveva mai visto così incazzato, e si stava pentendo di averglielo detto, ma non poteva vivere con quel peso sullo stomaco, avrebbe sofferto il doppio, o forse il triplo.

Non voleva avere segreti con l’uomo che amava, anche se questo costava solo sofferenza e dolore.

«Tom» mormorò lei, cercando di attirare la sua attenzione.

«Perché glielo hai permesso?» sbottò, voltandosi verso di lei, spaventandola ulteriormente. «Se lui ti ha baciata un motivo ci sarà sicuramente, Emmeline!» disse con rabbia.

Si sentì piccola in quel momento: se Ben l’aveva baciata era colpa sua? Funzionava davvero così?

«La colpa sarebbe mia, quindi?» chiese lei, asciugandosi le lacrime: forse era esagerato piangere per un bacio. «Io non ho fatto niente di male, non gli ho dato nessun motivo di farlo, non l’ho incoraggiato se è questo che intendi!» si arrabbiò lei, imbronciandosi.

Tom le lanciò uno sguardo torvo, incrociando le braccia al petto.

«Ogni volta va a finire sempre così!» aggiunse, abbassando lo sguardo sulle sue gambe nude. «Succede qualcosa che non ti va a genio e la colpa è mia!» continuò.  «Io non gli ho detto di baciarmi, non l’ho incoraggiato, gli stavo esattamente dicendo il contrario!» raccontò, cercando di difendersi, come se fosse veramente colpa sua, ma poi scosse la testa. «Sono stanca di discutere sempre per le stesse cose, Tom, lui mi ha baciata, subito dopo che gli ho detto che aspetto un figlio dall’uomo che amo, e che non mi interessa nulla di lui» sorrise tristemente, e scosse nuovamente la testa. «Non dici niente?» chiese, alzandosi e cercando di avvicinarsi a lui.

Lui la guardò dal basso, ancora arrabbiato: ma non ce l’aveva con lei, sapeva che non era colpa sua, era l’ira a farlo parlare, ad averla attaccata a darle la colpa.

Doveva parlare con Ben, e doveva dirgli come stavano le cose una volta per tutte: non doveva avvicinarsi più alla sua donna.

Spostò lo sguardo sul ventre della ragazza e trattenne un sorriso.

«Non ce l’ho con te, scusami, Emmeline» abbassò il tono della voce e le carezzò piano una guancia. «Parliamo dopo, uhm?» le lasciò un bacio sulla fronte, raccolse le chiavi e uscì dalla loro casa.

Emmeline non sapeva cosa pensare, era piuttosto scossa dal repentino cambiamento di umore del suo ragazzo, e decise di lasciar perdere, era un enigma troppo complicato per lei.

Peggio del cubo di Kubrick e lei aveva proprio lasciato perdere, era troppo difficile.


 
***


Avrebbe aspettato tutta la sera e la notte e gran parte del giorno dopo se fosse servito.

Era postato sotto casa di Ben, chiuso in macchina: lo stava aspettando, voleva proprio fargli un bel discorsetto.

Non poteva credere che aveva osato baciare la sua ragazza, incinta di suo figlio.

A dir la verità non poteva credere nemmeno che le mandasse tutti quei messaggi ogni giorno, le mandava addirittura dei fiori, e quello non poteva assolutamente accettarlo!

Proprio come non poteva accettare il bacio: Emmeline era sua, nessuno poteva toccarla, avvicinarsi; il genere maschile gli faceva schifo e lui ne faceva parte, sapeva cosa pensavano, come ragionavano e spesso se ne fregavano addirittura delle relazioni che le ragazze avevano.

Ben lo aveva preso per il culo quando gli aveva detto che rispettava la loro storia, che non era quel genere di uomo e lui c’aveva pure creduto! Che stupido che era stato!

Aveva abbassato la guardia, le permetteva di uscire con lui, di lavorare a stretto contatto con lui, perché, nonostante la gelosia e la diffidenza, quel ragazzo gli era sembrato sincero e, invece, lo aveva pugnalato alle spalle.

Si accese una sigaretta e si appoggiò meglio allo schienale della sua Mustang, tenendo l’occhio puntato sulla porta di casa di Ben: chi lo vedeva poteva benissimo pensare che fosse uno stalker.

Ridacchiò al sol pensiero e poi gettò uno sguardo al suo orologio.

Sì, era vero, aveva detto che avrebbe aspettato anche tutta la notte, ma, a dir la verità, non vedeva l’ora di tornare a casa da Emmeline, parlare e mettere in chiaro alcune cose, ma, soprattutto, iniziare a pensare e progettare qualcosa per l’arrivo del loro primo bambino.

Voleva promettere a Emmeline che non si sarebbe più arrabbiato con lei, che avrebbe continuato a fidarsi, che avrebbe smesso di dubitare di lei e del suo amore per lui.

E poi stava cominciando a pensare alla proposta di matrimonio che presto le avrebbe fatto: aveva già qualcosa in mente, doveva solo organizzarsi e, probabilmente, avrebbe chiesto aiuto a Georg e a Ellen, ma anche ai genitori di Emmeline, che la conoscevano davvero bene.

Sorrise teneramente pensandoci, ma poi vide uscire Ben da casa e quel sorriso si cancellò dalla sua faccia.

Scesa dalla macchina e spense la sigaretta, avvicinandosi velocemente al ragazzo che, non appena lo vide, cominciò a deglutire.

Tom era quello che era: era cambiato, sì, ma il ragazzaccio, quello che veniva sempre alle mani, con tanta rabbia dentro, quello era rimasto, era ancora intrappolato in quel corpo che stava crescendo; non lo avrebbe mai abbandonato.

Non ci pensò due volte e gli tirò un pugno in pieno viso, facendolo accasciare a terra, con una mano sul volto e gli occhi sgranati, sotto lo sguardo curioso e impaurito di qualche amico di Ben.

«Che cazzo fai? Ti sei bevuto il cervello?» sbraitò Ben, incredulo, guardandolo dal basso.

Tom si abbassò su di lui, con tanta, tantissima rabbia negli occhi.

«Se provi ad avvicinarti di nuovo a Emmeline, a parlarle, a pensare a lei, a guardarla in un modo che non mi piace, giuro che non mi farò problemi a procurarmi una pistola e farti un buco in testa» sibilò, con calma, tanta calma, facendo sbiancare Ben.

Eh già, Emmeline glielo aveva raccontato.

«Ehi, amico, era una cosa innocente!» provò a rimediare.

Tom alzò un sopracciglio, falsamente divertito.

«Innocente, dici? Tu non sai cosa voglia dire innocente!» sbottò. «Mi avevi detto di rispettare la nostra relazione, ma vedo che hai continuato con le tue avances, con tutti quei messaggini stupidi e insignificanti, con tutti quei fiori che, tra parentesi, Emmeline odia» ridacchiò in modo cattivo. «Sei ridicolo, Ben» gli sputò in faccia quelle parole, non preoccupandosi di avere a che fare con un ragazzo più grande di lui. «Te lo ridico, Emmeline è incinta del sottoscritto, le chiederò di sposarmi, ha una storia con me, perciò, per lei, tu vali meno di zero» continuò. «Non avvicinarti più a lei, sono stato abbastanza chiaro?» chiese, fissandolo negli occhi.

Ben a quel punto si ritrovò ad annuire, non poteva competere con Tom, lo sapeva bene.

Tom ritornò in piedi e si voltò per tornare alla sua auto: quel ragazzo ora era un problema in meno e se doveva succedere qualcos’altro, sperava di non dover ricorrere alle maniere forti, come aveva detto.


 
***


Emmeline stava cucinando ed era preoccupata per Tom: era fuori da un paio di ore e non era ancora tornato, non le aveva nemmeno mandato un messaggio o una chiamata, ma niente.

Non era arrabbiata con lui, aveva capito la sua reazione e sapeva che non ce l’aveva con lei, ma aveva paura di sapere cosa aveva fatto a Ben: insomma, era sempre il suo cattivo ragazzo.

Era vero, Ben era stato sfacciato con lei, le aveva mancato di rispetto, e non solo a lei, anche a Tom e al bambino che portava in grembo, e questo l’aveva fatta incazzare, e anche parecchio.

Non appena sentì due mani forti afferrarle i fianchi, sobbalzò, spaventata: sapeva bene che era Tom, e non appena sentì le sue labbra morbide sfiorarle il collo, sorrise.

Non lo aveva sentito entrare, talmente era immersa nei suoi pensieri.

«Sei arrabbiata con me?» mormorò, stringendola teneramente, posando entrambe le mani sulla pancia della ragazza.

«No» rispose tranquillamente lei, sfiorando le mani del ragazzo.

Lo sentì sorridere sulla sua pelle e, poi, le posò un bacio sulla spalla, sospirando.

«Cosa gli hai fatto?» chiese Emmeline curiosa, guardandolo con la coda dell’occhio.

«Gli ho detto chiaramente di non avvicinarsi mai più a te, e altre duemila cose simili» la ragazza alzò gli occhi al cielo, reprimendo una risatina. «E gli ho dato un pugno» quella volta sgranò gli occhi, voltandosi tra le braccia del ragazzo. «Quella è stata la prima cosa che ho fatto, a dir la verità» le sorrise beffardo, sfiorandole una guancia con un dito affusolato. «È meglio che non ti dico di cosa l’ho minacciato» sussurrò e la ragazza rabbrividì, per niente curiosa di sapere.

Non aveva nessun’altra parola da aggiungere, così lo baciò, aggrappandosi al suo collo e appendendosi alle sue labbra.

«Mi dispiace» mormorò Tom sulle labbra della giovane, ancora intenta a godersi il bacio. «Per tutto, per averti accusata di averlo incoraggiato e per averci rovinato la serata» Emmeline sorrise, e aprì gli occhi, guardandolo affettuosamente.

Era così dannatamente bello: avrebbe potuto guardarlo per ore senza mai stancarsi.

«Rimedieremo» alzò le spalle lei, ancora tra le sue braccia.

Tom si allungò per spegnere i fornelli e poi le sorrise maliziosamente, prendendola in braccio, facendola strillare sorpresa e divertita.

«Mangeremo più tardi, okay?» le propose, voltandosi. «Ora voglio semplicemente amarti» sussurrò, rubandole un bacio e poi un altro ancora.




 
*******

Okay, bella gente, sono ufficialmente tornata! I'M BACK!

Voglio annunciarvi che alla fine di questa storia mancano più o meno due, o al massimo 3, capitoli. Sto anche pensando ad un'eventuale sequel, anche perchè ho intenzione di finirlo in un modo particolare, una sorta di punto interrogativo gigante, e quindi il sequel è quasi d'obbligo. 
Ma non voglio svelarvi di più ;)

Non la volevo finire frettolosamente come ho fatto con Soli (assieme), volevo e voglio dedicarmi appieno a questa storia.

Poi poi poi, volevo dire GRAZIE a tutte quelle persone che recensiscono, che mi fanno sempre sorridere a 3000 denti, che mi riempiono di complimenti, che credo di non meritare.
Dico GRAZIE anche a tutte quelle persone che la leggono, che sono davvero tante, non lo avrei mai immaginato: ogni volta è uno stupore sempre maggiore!

Allora, cosa ne pensate di Run, Run, Run? E di Girl Got A Gun? L'avete sentita? u.u -me curiosa eh-

Comunque, bando alle ciance, sicuramente stavate aspettando questo capitolo e spero vi sia piaciuto, anche in minima parte.
Come sempre aspetto le vostre recensioni!

Un bacione grandegrande e un abbraccio,
difficileignorarti.


 
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


23.







 
Sia i genitori di Emmeline e sia la madre di Tom, erano rimasti sorpresi alla notizia della gravidanza, ma alla fine erano più che felici di diventare nonni.

Erano rimasti da loro qualche giorno ed entrambe le madri avevano dato consigli a Emmeline, e oramai le uscivano dalle orecchie: “devi mangiare per due, dormire per due, non devi stancarti troppo, non fare sforzi eccessivi, non prendere su cose troppe pesanti, per quello c’è Tom” e poi continuavano con altre cose, ma lei aveva deciso di smettere di ascoltare, le scoppiava la testa.

Per non parlare di quando le avevano parlato del parto, del dolore, soprattutto parlando di un parto naturale, proprio come lo voleva la ragazza: anche se le stavano venendo i dubbi e una grossa quantità di paura aveva preso spazio all’interno del suo corpo; le era venuta addirittura voglia di prendersela con Tom per averla messa incinta, perché le sarebbe toccato soffrire.

Alla fine aveva realizzato che era una stronzata abnorme e che non vedeva l’ora di stringere suo figlio tra le braccia, perdersi nei suoi occhioni e piangere di gioia.

E non solo: avevano detto loro di cominciare a prendere le cose per il futuro bambino o bambina, di preparare la cameretta, di scegliere i colori, i vestitini, le tutine.

Le veniva da sorridere ripensando alle loro parole: non lo avevano fatto vedere a nessuno, ma già stavano lavorando alla cameretta; nel tempo libero, passavano ore in diversi negozi, o in casa a montare le varie cose, come il lettino.

Era divertente guardare Tom dipingere i muri della cameretta: avevano scelto un colore neutrale, che poteva andare bene con entrambi i sessi, un color tè verde chiaro; era piaciuto ad entrambi e ne erano contenti.

Tom era buffo nelle vesti d’imbianchino, si sporcava ogni due secondi, per questo si era convinto ad indossare qualcosa di vecchio ed estremamente usurato, mentre Emmeline, seduta su un cuscino sul pavimento, lo osservava, ridacchiando e facendo qualche battutina: alla fine finivano sporchi entrambi, più lei lo stuzzicava, più lui si divertiva a sporcarla; e ridevano, spensierati, felici, innamorati, come ogni coppia che viveva la loro stessa e identica situazione.

«Oggi è il dieci, hai fatto la foto?» le chiese Tom, ammirando il muro appena dipinto, notando, però, di averne dimenticato un piccolo pezzo.

La ragazza sorrise, avvolta in una delle maglie vecchie e larghissime del suo uomo: aveva scoperto di essere incinta il dieci di cinque mesi prima, e ogni mese, in quel giorno, si faceva una foto, di profilo, mostrando la pancia e il cambiamento; lo aveva visto fare da diverse star su Instagram, loro lo facevano per moda e per mostrarsi, lei lo faceva per ricordare e per attaccarle sull’album di fotografie dedicato al loro piccolo.

«Si» annuì raggiante, portando lo sguardo su Tom che, come immaginava, si era macchiato di nuovo. «Non ce la puoi proprio fare, eh?» chiese lei, alzandosi, avvicinandosi a lui, che la accolse tra le sue braccia, contento.

«No, ma tu mi ami anche se sono così pasticcione e maldestro» mormorò lui, poggiando le labbra su quelle della ragazza.

«Ti amo proprio perché sei così» confermò la ragazza, sorridendogli, baciandolo di nuovo. «Quando mi sono innamorata di te, mio caro Kaulitz, ho accettato di amare ogni tuo difetto e ogni tuo pregio, qualsiasi essi siano» sorrise dolcemente, stringendo le braccia intorno alla sua vita, abbracciandolo meglio che poteva: la pancia che cresceva stava diventando ingombrante.

«Tu sei stata la mia benedizione del cielo, piccola, non mi stancherò mai di dirtelo» mormorò piano, baciandole la fronte teneramente. «Non smetterò mai di amarti, di proteggerti, di cercare di renderti felice» le disse, spostando i baci sulle sue guance, facendola ridacchiare.

«Sei tutto quello che voglio» disse nuovamente lei. «Non so quante volte io debba ripetertelo, Tom» sorrise lei, portando le braccia intorno al suo collo, mettendosi sulle punte, per arrivare a sfiorare il naso del ragazzo. «La mia vita mi piace così com’è, e sono contenta che tu ne faccia parte» sorrise dolcemente e lui ricambiò, prima di intrappolare, di nuovo, le labbra della ragazza in un bacio.


 
***


«Ma li hai i soldi per comprarle un anello di fidanzamento?» chiese curioso Georg, intento a mangiare un panino con dentro mezzo frigorifero di casa Kaulitz.

Tom alzò lo sguardo su di lui e fece una smorfia disgustata: gli veniva da vomitare solo a guardarlo.

«Gli ultimi quattro mesi di stipendio li ho risparmiati, spero siano sufficienti» mormorò, passandosi le mani sul viso. «Non voglio prenderle qualcosa di poco valore come ho fatto con le fedine, voglio qualcosa di bello e raffinato come lei, qualcosa di duraturo come la nostra relazione» disse sorridendo e poi sbadigliò poco elegantemente, appoggiando la testa sul tavolo.

Era stanco morto, aveva bisogno di dormire, tanto bisogno di dormire.

«Ti accompagnerò, se vuoi» si offrì Georg sorridendogli. «Hai delle occhiaie assurde, fai paura Tom, hai dormito?» chiese, ridacchiando.

Il moro alzò la testa, lanciandogli uno sguardo assassino: era vero, si era guardato allo specchio e aveva un aspetto pessimo.

«Emmeline è rimasta sveglia gran parte della notte, si girava continuamente, mi parlava, non mi ha lasciato stare un attimo, e poi le è presa una voglia assurda di qualcosa che non mi ha detto, ordinandomi di andare a prenderlo» Georg scoppiò a ridere, ricevendo un calcio da parte dell’amico che lo fece tacere. «Non c’è niente da ridere, voglio vedere quando toccherà a te e a Ellen, poi riderò io» borbottò Tom, facendo arrossire l’amico. «Comunque a un certo punto è crollata su di me, addormentata come una bambina di cinque anni» sorrise teneramente nel ricordare il viso della ragazza, rilassato e addormentato. «Mi era passato il sonno e così ho deciso di finire di dipingere la cameretta» sorrise trionfante e lanciò uno sguardo a Georg. «Ecco il perché del mio aspetto» fece una smorfia.

«Perché mi sembra così traumatico?» chiese Georg, guardandolo attentamente.

«Nah» disse Tom, facendo un gesto con la mano. «Non lo è, Georg, proprio per niente» ammise seriamente. «Sapere di diventare padre è un’emozione indescrivibile, vedere la pancia della ragazza che ami lievitare di giorno in giorno ti riempie di gioia» sorrise dolcemente. «Quando la sento agitata, durante la notte, cerco di rimanere sveglio per rassicurarla e prendermi cura di lei nel momento del bisogno» aggiunse. «Probabilmente il giorno del parto morirò d’infarto o mi verranno i capelli bianchi e le rughe, ma non è traumatico» ridacchiò.

Georg vide l’amico così cambiato, sereno e maturato: era bello vederlo così, con una famiglia, in una città bellissima, con una nuova vita da portare avanti.

«E quindi cosa hai intenzione di fare per la proposta?» chiese cambiando discorso: non voleva pensare a un figlio, gli sembrava presto, e se per Tom non era un trauma, per lui lo era eccome.

«Perché, secondo te, te lo vengo a dire?» mormorò Tom alzando un sopracciglio. «È una sorpresa, non dirò nulla a nessuno» borbottò, incrociando le braccia al petto.

Al sol pensiero tremò, emozionato.

Sarebbe stata una proposta da ricordare: uno dei tanti giorni più belli da ricordare e da rivivere.


 
***


Emmeline stava sistemando i vari vestitini che Ellen le aveva portato: avevano riempito un piccolo armadio con tutto quello che le avevano regalato e che avevano comprato.

«Avete deciso i nomi?» le chiese la bionda curiosa, guardando la futura mamma con affetto. «Certo che la gravidanza ti dona, sei bellissima, più del solito» commentò, facendo arrossire notevolmente Emmeline.

«Non proprio, a dir la verità» disse la mora, portando lo sguardo sulla bionda: era bello averla intorno. «Abbiamo deciso per “l’effetto sorpresa” e non siamo molto d’accordo con i nomi, così abbiamo deciso di aspettare il giorno del parto» aggiunse, sedendosi sulla poltrona che avevano messo nella cameretta. «Non appena guarderemo in faccia il nostro piccolo, o la nostra piccola, il nome ci verrà spontaneo» sorrise teneramente, poggiando una mano sulla pancia. «E comunque non è vero che sono bellissima, sono una balena, e diventerò ancora più grossa nei prossimi mesi, ma sono felice» le strizzò l’occhio, facendo ridere la bionda.

«Sarete dei genitori fantastici, giovani, con la mente aperta, che sapranno mettere delle regole, che gli, o le, daranno tutto quello di cui avrà bisogno» sorrise. «Non vedo l’ora di vederlo e stringerlo tra le braccia» mormorò emozionata.

Emmeline ricambiò il sorriso: lei era la prima a voler vedere suo figlio.

«Tom ha molta paura» mormorò Emmeline, ricordando una vecchia conversazione. «Sai, la storia di suo padre, è una ferita aperta e teme di diventare come lui» spiegò, anche se l’amica sapeva già tutto.

«Tom farà di tutto per non essere come suo padre, Emmeline» le sorrise rassicurante Ellen. «Con te al suo fianco, sarà il padre dell’anno!» entrambe scoppiarono a ridere.

In realtà non era molto divertente, non lo pensava in quel momento, magari lo avrebbe pensato in passato: Tom non sarebbe stato il papà dell’anno, sarebbe stato il papà del suo bambino, e basta.

Con la gravidanza era diventata molto più gelosa di quanto non l’era già, anzi, aveva davvero fatto un cambiamento assurdo: il minuto prima piangeva, quello dopo rideva da sola, quello dopo ancora riprendeva a piangere, quello dopo ancora si arrabbiava con tutti, quello dopo ancora era in cerca di coccole, amore e affetto.

Non osava immaginare come sarebbe stata negli ultimi due mesi: si spaventava e rabbrividiva al sol pensiero.

E Tom le stava affianco, la confortava e si prendeva cura di lei, assecondandola in tutto.

Tom era davvero paziente, davvero tanto.

Ellen la guardava, vedeva la sua espressione assente, e aveva paura di aver detto qualcosa d’inappropriato: insomma, prima rideva della sua battuta e poi la vedeva così.

Era così che ci si sentiva in gravidanza? Con l’umore sballato?

«Tutto okay?» chiese Ellen, avvicinandosi a lei, preoccupata. «Mi dispiace, non volevo offenderti o altro» disse e la mora le sorrise rassicurante.

«Non preoccuparti, Ellen» disse Emmeline, scuotendo piano la testa. «Non è successo niente, solo che il mio umore cambia di minuto in minuto, non badare a me» mormorò.


 
***


Tom e Georg giravano per le varie gioiellerie di Los Angeles, in cerca dell’anello giusto per la sua donna, ma ancora non avevano trovato niente.

Georg si sentiva svenire ogni volta che una commessa diceva il prezzo dell’anello all’amico, che sembrava non scomporsi più di tanto: e si chiedeva se era solo una tattica o se anche lui si sentiva morire.

Non poteva permettersi un anello così costoso, nemmeno se avessero lavorato e messo da parte soldi per dieci anni.

Tom si fermò davanti a Cartier e Georg spalancò la bocca, incredulo, scioccato, sconvolto, turbato.

«Non è una buona idea» mormorò, attirando la sua attenzione. «Non hai tutti quei soldi per permetterti un anello qui» continuò, sorridendo tristemente e alzando le spalle.

«Georg, ho intenzione di chiederle di sposarmi questo fine settimana, e mancano due giorni, e io non ho ancora uno straccio di anello!» sbottò, appoggiandosi ad una panchina col bacino. «Sono settimane che cerco e niente!» continuò, osservandolo. «Non posso agitarmi, incazzarmi, stare sulle mie, se no Emmeline si sente in colpa, anche se non ha fatto niente, e si agita, e non deve!» gli veniva da piangere.

«Tom, calmati, o ti verrà un infarto» si preoccupò Georg: capiva i problemi di Tom, capiva come si sentiva, ma non capiva perché doveva spendere un capitale in un anello di fidanzamento.

Il moro posò lo sguardo sugli anelli in vetrina e sospirò, abbassandolo, poi, sulle sue scarpe.

Era vero, non poteva permettersi un anello di Cartier, ed era uno degli ultimi negozi rimasti.

«Tiffany» mormorò improvvisamente, come colto da un’illuminazione. «È la mia ultima opportunità, Georg» sussurrò, voltandosi verso l’amico, che annuì.

Doveva trovarlo, e avrebbe anche risparmiato, altrimenti, tutto quello che aveva organizzato, sarebbe andato a puttane e lui non voleva questo, perché si stava scervellando da mesi, pur di organizzare una serata perfetta e indimenticabile.


 
***


Era stanca morta, le mancavano ancora poche settimane di lavoro poi sarebbe entrata ufficialmente in maternità, e allora sarebbe potuta rimanere nel letto tutto il giorno, sul divano a mangiare schifezze o quello che le andava in quel momento.

Era vero, non le piaceva stare ferma, ma i mesi aumentavano, così come la sua pancia cresceva, ed era ingombrante, e lei era sempre stanca e affaticata.

Emmeline entrò in casa, felice di essere in quel posto così caldo, confortevole e amorevole, e non vedeva l’ora di abbracciare e baciare il suo uomo: le mancava ogni santo minuto.

Cominciava a pensare di essere pazza del tutto: infondo lo era, stava con Tom.

Appoggiò la borsa sul divano e chiamò il suo ragazzo a gran voce.

«Tom, amore, sono io, dove sei?» urlò per farsi sentire, ma l’unica cosa che ottenne fu il silenzio e questo la stranì: insomma, doveva essere in casa, dato che aveva chiesto un pomeriggio libero, e lei nemmeno sapeva perché.

Andò in cucina, intenzionata a bere un bicchiere d’acqua e mangiare qualcosa: stava letteralmente morendo di fame.

Rimase imbambolata sulla soglia della cucina: c’era una candela profumata, rosa, accesa e una rosa rossa, assieme ad un biglietto.

Sorrise intenerita e si avvicinò, curiosa, molto curiosa.


 
Al piano di sopra c’è una sorpresa che ti aspetta. T.

 
Prese il bigliettino e ridacchiando andò nella loro stanza, dove trovò un mazzo di rose bianche, adagiate al centro del letto matrimoniale, e due scatole, una grande e una più piccola, mentre sul comò trovò un’altra candela, questa volta di colore arancione tenue, sempre profumata e accesa: e ovviamente un altro bigliettino.

 
Indossalo, amore mio, fatti bella per me: ho pensato a tutto, al vestito, alle scarpe, troverai tutto. Ti amo, T.


Cosa stai architettando?, si chiese la ragazza, piegando con cura anche quel bigliettino.

Aprì la prima scatola, quella più grande, e ne trovò un abito elegante, lungo, bianco, ricamato in oro ed era adatto alle sue condizioni: era bellissimo, non aveva dubbi a riguardo e ne rimase davvero sorpresa.

Nell’altra scatola, lievemente più piccola, trovò un paio di scarpe col tacco, non eccessivamente alte, visto che non poteva indossarli, faceva male al bambino, e trovò anche una pochette argentata.

Vicino ai fiori trovò un altro biglietto, così si sedette sul letto e lo lesse.


 
Più tardi ti manderò l’indirizzo. Raggiungimi e non preoccuparti, è una sorpresa, piccola. Ti amo, T.


 
***


Si guardò allo specchio e sospirò: non si piaceva, si vedeva grossa come una mongolfiera, quel vestito era aderente, forse troppo.

Sospirò e si sistemò i capelli su una spalla, prima di afferrare la pochette e le chiavi della macchina: avrebbe raggiunto Tom a Malibu e, davvero, non vedeva l’ora di vederlo, di stringerlo, di ringraziarlo e di rimproverarlo per averle preso un abito troppo attillato, perché odiava vedersi così.

Probabilmente si sarebbe persa, perché non conosceva la strada, ma si promise di arrivare da lui sana e salva.

Era emozionata, non sapeva cosa aspettarsi: le sembrava di essere come al primo appuntamento in età adolescenziale e si sentiva un po’ stupidina.

Dall’altra parte della città, in una casa sulla spiaggia c’era Tom, con le ginocchia molli e tremolanti e il battito cardiaco accelerato: gli sarebbe venuto un infarto, ne era più che sicuro.

Non avrebbe mai pensato che sarebbe stato così difficile, ed Emmeline non era ancora li!

Sarebbe morto sicuramente.

Avrebbe voluto accendere un fuoco sulla spiaggia e mettere su una tenda improvvisata e farle lì la proposta, ma poi aveva cambiato idea; così aveva preso in affitto, per una giornata intera, notte compresa, quell’appartamentino sulla spiaggia e l’aveva trasformato totalmente: probabilmente non aveva mai fatto una cosa così romantica in tutta la sua vita.

C’erano candele profumate e colorate ovunque, le luci soffuse che davano ancora più calore a quella casa, i petali di rosa sparsi un po’ ovunque, mazzi di rose rosse in ogni angolo.

Georg ed Ellen lo avevano aiutato e si erano occupati del catering: sembrava tutto così lussuoso, e invece era riuscito a permetterselo benissimo, anello compreso.

Si, l’aveva trovato, e la scatolina scura giaceva tranquilla all’interno della tasca della sua giacca scura., pronta a stupire la ragazza che amava.
Sarebbe stato indimenticabile, o almeno lui lo sperava.


 
***


Come aveva pensato, si era persa per ben due volte, così era stata costretta a tornare a casa e chiamare un taxi, e una volta salita su quella macchina gialla, si rilassò contro il sedile, con una mano sulla pancia e il cuore in gola: sì, era così fottutamente agitata e ansiosa.

Che cosa aveva organizzato quel pazzo del suo uomo?

Davvero, non riusciva a immaginare proprio niente: non era il suo compleanno, non era un anniversario e non era nemmeno San Valentino!

Decise di smettere di pensarci, tanto non sarebbe mai arrivata alla conclusione, almeno finché non sarebbe arrivata a Malibu.

Ma poi perché proprio Malibu? Oddio, sì, era bellissima, le spiagge, i paesaggi, ma Los Angeles e tutti i suoi quartieri e le sue spiagge erano bellissimi e mozzafiato, dal primo all’ultimo metro quadro, in fin dei conti.
 
Era persino in ritardo, a Tom sarebbe venuto, come minimo, un infarto: ridacchiò divertita, mentre l’autista la guardava con uno strano sorrisino divertito.

Si fermò poco dopo, davanti all’appartamento, e dopo aver pagato la corsa ed essere scesa, guardò con un sorriso l’entrata di quella casa: il vialetto era ricoperto di petali di rosa; come inizio prometteva bene.

Non aveva molta voglia di calpestare quel meraviglioso tappetto, ma dato che non aveva, ancora, la capacità di volare, si convinse a muovere i primi passi verso la porta, socchiusa.

La aprì lentamente, curiosa come una bambina di cinque anni, e all’interno trovò un Tom preoccupato che camminava avanti e indietro.

Candele profumate e petali di rosa anche all’interno: sorrise divertita ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle, spaventandolo a morte.

Si voltò verso di lei, bianco in volto, e lo vide rilassarsi visibilmente e poi sorrise dolcemente, guardandola, avvolta in quell’abito che aveva scelto con Ellen e si portò entrambe le mani alla bocca, vedendo quanto il grembo della ragazza fosse in evidenza.

Era così bella.

«Non ridere, sono orribile» si lamentò la ragazza, facendo ridere Tom, che si avvicinò a lei e la strinse in un abbraccio, prima di baciarla sulle labbra, con amore.

«Non è vero niente, Em» mormorò sulle sue labbra, prendendole il viso tra le mani. «Sei bellissima, piccola» le disse, imbarazzandola a morte. «Non l’ho fatto apposta, ho scelto questo vestito con cura, volevo che il nostro bambino fosse in bella vista» ridacchiarono divertiti e si baciarono di nuovo.

La ragazza scosse la testa divertita nel momento in cui si staccò dalle sue labbra.

Lo osservò attentamente: indossava una giacca scura, sotto una camicia chiara e i jeans, chiari e sfumati e strappati in più punti; era bellissimo, non aveva dubbi.

«Wow» soffiò, come incantata e lui alzò gli occhi al cielo.

«Non sono “wow” e lo sai benissimo» commentò lui. «Tu lo sei» aggiunse sorridendo.

«Se continuiamo così, passeremo tutta la sera a dire “no, lo sei tu”, lo sai come siamo fatti» gli ricordò prima di scoppiare a ridere e lasciarsi stringere di nuovo. «Casa nostra o un ristorante non andavano bene? Mi sono persa e ho dovuto chiamare un taxi» gli raccontò brevemente e lui si preoccupò un attimo.

«No, erano troppo scontati e banali, non è una cena normale e semplice, Emmeline» le disse, senza lasciar trapelare altro.

La ragazza alzò un sopracciglio, sempre più curiosa: era bravo a tenerla sulle spine accidenti!

Aveva fame e tutto quell’odore di cibo non aiutava affatto, e lui, oh maledizione, lui la stava facendo morire, totalmente.

La vedeva così curiosa e sapeva che stava attendendo con pazienza.

Tom era combattuto: non sapeva se chiederglielo ora, durante la cena o dopo, ma vista la curiosità della giovane Emmeline, decise di accontentarla, d’altronde quello era il suo compito principale; renderla felice e assecondarla in tutto.

Si schiarì la voce e si morse il labbro inferiore, prima di prenderle entrambe le mani e guardarla negli occhi, intensamente.

Il cuore della ragazza smise di battere e le si bloccò il respiro: non poteva credere a quello che la sua mente stava partorendo, non poteva credere davvero che lui stesse per fare una cosa simile.

Ricambiò lo sguardo del ragazzo, agitata e con il cuore a tremila.

«Non sono bravo con le parole, Emmeline, non lo sono mai stato e lo sai» cominciò, facendola ridacchiare piano. «Quando ti ho conosciuto non avrei mai pensato che saremmo arrivati fino a qui, insieme da anni e con un figlio in arrivo» sorrise teneramente. «Ma fin da subito avevo capito che tu eri diversa dalle altre, mi apprezzavi per quello che ero e per quello che avevo, non hai mai ascoltato le parole che gli altri dicevano, mi hai sempre difeso e ti sei presa cura di me» Emmeline si commosse: non sapeva se era colpa sua, se era troppo emotiva o se era colpa degli ormoni. «Ho capito che senza di te non sono niente, non mi sento né felice né vivo» si morse il labbro inferiore prima di continuare: se la stava facendo addosso. «Sei la mia luce nei momenti bui, il mio fuoco quando è freddo e quando non ci sei, mi sento vuoto» le lasciò le mani, solo per cercare la scatolina all’interno della sua giacca.

La ragazza si portò le mani alla bocca, con gli occhi pieni di lacrime e una gioia incolmabile dentro al cuore: lo stava facendo davvero?

Il ragazzo s’inginocchiò, un po’ goffamente, davanti a lei, con un sorriso dolce e timido sulle labbra.

Sì, lo stava facendo davvero.

«Ti amo come non ho mai amato nessun altro nella mia vita» riprese, aprendo la scatolina e mostrandole l’anello: un diamante a forma di cuore, il simbolo dell’amore, incastonato su una semplice fedina di oro bianco. «Ti adoro da sempre e quest’amore che sento aumenta ogni giorno» continuò, sentendo le lacrime annebbiargli gli occhi: si era ripromesso di non piangere, ma come non poteva? «Voglio che tu sia mia moglie, ora e per sempre» aggiunse piano, vedendola ridere tra le lacrime. «Sei la persona più straordinaria che abbia mai conosciuto» mormorò, chiudendo gli occhi, per aprirli subito dopo. «Emmeline Evans, vuoi sposarmi?».



 
*****

Hooooola! Sono tornata e ho un sacco di giorni di ritardo, lo so, scusatemi tanto!
Ma ho avuto un pò di impegni, e anche questp capitolo mi ha dato il suo bel da fare e devo dire che mi è mancata anche l'ispirazione e questo mi ha mandato un pò giù di morale.
Non so di preciso come sia venuto il capitolo, a me piace abbastanza, soprattutto la parte iniziale e quella finale, voi che ne dite? :D
Per il prossimo capitolo, l'ultimo, non so quanto dobbiate aspettare: ho in mente diverse cose, e spero di riuscire a farlo lungo, molto lungo, prima di concludere e iniziare il sequel, che NON so quando potrà arrivare, mi dispiace.
Vorrei prendermi anche una mezza pausa, insomma, forse mi ci vuole e tornerò solo quando avrò scritto un pò di capitoli, non voglio ridurmi come adesso u.u

Detto questo, come sempre, aspetto le vostre  recensioni che tanto adoro!
Nel frattempo ringrazio tutte quelle persone che leggono questa storia, che la commentano e che l'hanno inserita tra le preferite/ricordate/seguite.
Oh, e voglio ringraziare anche quelle persone che mi hanno inserito tra i loro autori preferiti: uao, questo si che è un onore!

Un bacio e un abbraccio,

difficileignorarti.

 
 

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Capitolo 25
*** Epilogo ***


24 - Epilogo.






 
«Ti amo» le mormorò all’orecchio, facendola sorridere intenerita. «Non sai quanto» aggiunse, lasciandole un bacio dietro l’orecchio.

Si guardò la mano sinistra per l’ennesima volta, sorridendo nel modo più idiota possibile: non si era mai sentita così, era davvero al settimo cielo e ancora non poteva credere che Tom le avesse chiesto di sposarlo.

Si girò sulla schiena, portando lo sguardo in quello del ragazzo, e lo vide così innamorato, così perso: nemmeno lei l’aveva mai visto così e le veniva da ridere.

Lui si allungò e le rubò un bacio, prima di posare anche un bacio sul grembo della ragazza: sorrise dolcemente, accarezzando i capelli del ragazzo, sentendoli morbidi sotto le sue dita.

«Tutto bene, piccola?» mormorò Tom, tornando a guardarla negli occhi, sorridendole nel modo più dolce possibile, facendole alzare un sopracciglio, incuriosita e stranita.

«Non sono mai stata meglio» mormorò, stiracchiandosi leggermente, prima di rubargli un bacio, e poi un altro ancora, e un altro ancora. «È il giorno più bello della mia vita, Tom, non potrei chiedere di meglio» sorrise, e lui si rilassò visibilmente. «È stata una sorpresa bellissima, mi hai presa in contropiede e mi hai stupita allo stesso tempo» mormorò dolcemente, accarezzando lievemente il volto del ragazzo. «Non avrei mai immaginato che mi chiedessi di diventare tua moglie, non così presto almeno» continuò piano, senza permettere ai loro sguardi di sciogliersi: erano sguardi intensi, pieni di amore e di affetto.

«Più volte ti avevo detto che l’avrei fatto» rispose dolcemente, sorridendo nello stesso modo. «Ho anche avuto il permesso di tuo padre, cosa possiamo volere di più?» le chiese e Emmeline si sciolse in una risata dolce: quello non lo sapeva! «Io ti amo» sussurrò piano, avvicinandosi alle sue labbra socchiuse, come in adorazione verso il ragazzo. «Amo te, questo piccolino e la nostra vita insieme, con tutto quello che abbiamo passato, i momenti felici, quelli tristi, quelli difficili, abbiamo superato tantissimi ostacoli insieme e ne supereremo ancora, ne sono sicuro» Emmeline annuì, e baciò le sue labbra, con passione, con amore.

«Insieme possiamo tutto, Tom» confermò lei, sorridendo contenta. «Persino sposarci!» ridacchiò, contagiandolo.

Il moro si sistemò meglio contro lo schienale del letto, tirandosela dietro, coccolandola, donandole tutte le attenzioni possibili immaginabili e non solo a lei, ma anche al loro bambino.

Rimase contro il petto del ragazzo, in silenzio, ad ascoltare il suo respiro calmo e beandosi delle sue coccole, delle sue carezze e dei suoi baci.

«Tom» mormorò piano, attirando la sua attenzione, girando lievemente la testa verso di lui.

«Uhm?» mugugnò lui in risposta, baciandole teneramente una spalla nuda.

«Non vorrei interrompere questo momento magico e tranquillo e, soprattutto, nostro» sorrise al nulla prima di continuare. «Ma non abbiamo cenato e io ho fame e devo mangiare per due» piagnucolò subito dopo, voltandosi tra le braccia del ragazzo, per quanto poteva.

Tom la guardava, senza dire nulla, sbattendo piano le palpebre.

«Abbiamo bruciato le tappe, eh?» mormorò, grattandosi dietro la testa, imbarazzato. «Dovevamo prima mangiare, poi ti avrei chiesto di sposarmi e avremmo fatto l’amore, ma abbiamo fatto il contrario, perdonami» le baciò piano la fronte, prima di stringerla.

«Non preoccuparti, tesoro» mormorò lei, sorridendo, toccandogli piano il viso, osservandolo attentamente. «Ho preferito mille volte di più come l’abbiamo stravolta» sussurrò maliziosamente, baciandolo sulle labbra.

Il ragazzo si alzò controvoglia, non voleva staccarsi da lei, voleva sentirla al suo fianco, voleva sentire il calore della sua pelle, il suo amore, ma doveva scaldare la cena, doveva sfamare la sua famiglia.

Le scoccò uno sguardo prima di uscire dalla camera, e la vide arrotolarsi nel lenzuolo, scaldandosi, e non appena alzò lo sguardo sul ragazzo, sorrise dolcemente, piegando la testa di lato.

La amava da impazzire, su questo non aveva dubbi.


 
***


Era appena uscita dall’ambulatorio del suo medico: mancava davvero poco, quattro settimane all’incirca, e lei non ne poteva davvero più; si sentiva ingombrante, una balena, o peggio, una mongolfiera, non poteva fare niente, non riusciva più a dormire, si girava in continuazione e si lamentava, impedendo persino il sonno al suo uomo, che preferiva alzarsi e dormire sul divano.

Si sentiva in colpa: lui doveva lavorare, e aveva bisogno di dormire, e lei non lo lasciava in pace.

Tom era così paziente, non si lamentava un attimo, anche se Emmeline sapeva che non ne poteva più, proprio come lei: c’era sempre per lei, per ogni piccolo problema, in ogni singolo momento, per soddisfare ogni sua voglia improvvisa, le stava affianco nei suoi mille sbalzi d’umore giornalieri, le donava amore in ogni momento, e quando era al lavoro, le telefonava spesso, solo per sentirla, per tranquillizzarla e rassicurarla.

Arrivò alla sua macchina, domandosi, di nuovo, come avrebbe fatto a entrare.

Si mise a cercare le chiavi dentro la borsa, cercando di non rovesciare il frullato che aveva tra le mani, uno dei peggiori frullati che avesse mai preso in una tutta la sua vita e senza accorgersene ne rovesciò un po’ sulla maglietta che indossava.

«Accidenti!» imprecò. «Tom mi uccide» mormorò poi, ricordandosi che indossava una maglia del ragazzo: ormai portava solo i suoi vestiti, e lui rideva ogni volta che la vedeva con qualcosa di suo addosso.

Appoggiò, così, il frullato e la borsa sul cofano della sua auto, svuotandone il contenuto, ma delle chiavi della macchina non c’era traccia: voleva piangere, ma poi s’illuminò e provò ad aprire la portiera, trovandola aperta e vide le chiavi inserite.

«Sono furba» si rimproverò ironicamente, salendo e sistemandosi: sospirò, pronta a partire, ma si accorse di aver lasciato la borsa e il frullato fuori. «Oggi non è decisamente giornata» borbottò, scuotendo la testa.

Rientrò a casa una mezz’ora più tardi, con tanta voglia di dormire, di piangere e di mangiare.

Fu accolta da Simone, che aveva deciso di passare del tempo da loro, visto che sua madre non poteva, per aiutarla con la gravidanza, e con Tom.

«Dov’è il mio futuro marito?» sorrise, abbracciando di slancio la madre del ragazzo, che stava cucinando qualcosa e faceva un buonissimo profumo.

«Sta dormendo» le rispose con un sorriso bonario.

Emmeline fece una smorfia, e raggiunse la loro camera da letto, trovandolo addormentato sulla sponda del suo lato, con un braccio a penzoloni.

Decise di tirargli un cuscino, che lo svegliò praticamente subito, preoccupato e con ansia.

«Che succede, piccola?» mormorò allarmato, tirandosi su a sedere, mentre la ragazza si sedette vicino a lui, sospirando appena.

«Mi dispiace» mormorò, sentendo le mani del ragazzo sulle sue spalle, intente a farle un massaggio rigenerante.

«Per cosa?» le chiese piano, baciandole la nuca.

«Per tutto» mormorò. «Non dormi per colpa mia, so di essere un peso, sono ingestibile e intrattabile, insopportabile aggiungerei» sospirò, lasciandosi andare contro il petto del ragazzo, che rise divertito, e la strinse in un abbraccio, posando entrambe le mani sulla pancia della ragazza.

«Non m’importa» le sussurrò dolcemente all’orecchio. «È una bella esperienza, e non vedo l’ora di riviverla» mormorò poi, baciandola dietro l’orecchio. «Come sta questo piccolino?» le chiese poi.

«Oh, sta benone, e il medico dice che è il bambino più bello che abbia mai visto» sorrise dolcemente e Tom rise. «Ed io non vedo l’ora che nasca, non ce la faccio più» si lamentò poi. «Non riesco più a dormire, mi fa sempre male la schiena, sono una balena ingombrante, piango di continuo e senza contare che nostro figlio mi ha scambiata per un pallone da calcio» piagnucolò, aumentando l’ilarità nel ragazzo, che non smetteva di ridere. «E ti ho macchiato la maglietta con uno schifosissimo frullato» aggiunse, asciugandosi le lacrime.

«Non importa» mormorò di nuovo Tom. «Non m’importa di niente, e sei bellissima» aggiunse, voltandola leggermente per poterle rubare un bacio.


 
***


«Ti ricordi che ti avevo detto che avrei voluto portarti al mare, fare l’amore sulla spiaggia, accendere un falò, mangiare marshmallows?» chiese Tom, ingozzandosi con le lasagne.

Emmeline ridacchiò, con un sopracciglio alzato: lei era quella incinta e mangiava normalmente, mentre lui aveva lo stomaco sfondo.

«Mi ricordo tante cose, amore» mormorò lei, allungandosi per pulirlo con un tovagliolo: era peggio di un bambino. «Puoi mangiare anche più lentamente, non ti corre dietro nessuno, io non ho nessuna intenzione di rubarti la tua porzione e poi finisci che stai male» lo rimproverò dolcemente e lui annuì, abbandonando il piatto da una parte, vuoto.

«Hai ragione, piccola, ma avevo fame» sorrise imbarazzato lui, contagiandola. «Comunque, ti ricordi, no?» chiese di nuovo, impaziente, e lei annuì assecondandolo.  «Volevo utilizzare quell’idea per farti la mia proposta, sarebbe stato bello, ma non so nemmeno perché te lo sto dicendo» Emmeline scoppiò a ridere, senza contegno: Tom non sarebbe mai cambiato. «Scusami, piccola, ma davvero, volevo dire qualcosa e non sapevo cosa» si scusò, ridacchiando piano.

La ragazza si avvicinò a lui, prendendolo per il mento, costringendolo a guardarla.

«Non c’è bisogno di parlare, Tom» mormorò lei, osservandolo attentamente. «I gesti, le carezze, i nostri sguardi, l’amore che proviamo, quello che facciamo l’uno per l’altro, parlano per noi» sorrise dolcemente, accarezzandogli una guancia con amore. «Le parole non servono certe volte, ti conosco talmente bene che, solo con uno sguardo, capisco cosa provi, cosa pensi» aggiunse in un sussurro. «Il nostro legame è talmente forte che ci permette anche questo» sorrise, prima di aggiungere altro. «Non c’è bisogno di gesti eclatanti, rose, candele profumate, una cena romantica, una villa sperduta sulle spiagge di Malibu, per ricordarmi che mi ami» Tom abbassò lo sguardo, deglutendo. «Potevi benissimo farmi la proposta in macchina, fuori dal lavoro, nel giardino dietro casa nostra o in bagno, non mi sarebbe importato, perché la mia risposta sarebbe stata sempre e comunque “sì”, perché ti amo e voglio passare la mia vita con te e basta» gli sorrise con amore, stampandogli un bacio sulla guancia.

«Voglio viverti per sempre» mormorò lui in risposta. «Perché sei fantastica così come sei, sei tutto ciò di cui ho bisogno, te lo ripeterò mille volte al giorno, lo so» Emmeline sorrise intenerita, vedendolo così imbarazzato. «Voglio te e basta» aggiunse e concluse, rubandole un bacio e poi un altro ancora e un altro ancora.


 
***


Beveva birra, osservando un punto indefinito davanti a se, nella luce soffusa del salotto.

Aveva lasciato Emmeline, addormentata profondamente, nella loro stanza da letto, al piano superiore, mentre lui non era riuscito a chiudere un occhio, non lo faceva da mesi, a dir la verità.

Ogni momento poteva essere buono per la nascita del loro primogenito, e lui aveva una paura immensa, anche se cercava di non darlo a vedere, ma Emmeline sapeva bene come si sentisse, lei lo conosceva fin troppo bene.

Lui aveva paura di diventare come suo padre, di essere non adatto, di non saper gestire nessun tipo di situazione, di non essere capace neppure a cambiare un pannolino. Aveva paura di non volergli bene come pensava e aveva, persino, paura di perdere Emmeline.

Era difficile mentirle, lei conosceva ogni sua smorfia, ogni suo pensiero, ogni sua mossa, movimento: non le sfuggiva nulla, anche se, alcune volte, preferiva starsene zitta e lasciarlo in pace, a sbollire da solo.

Lui aveva paura di tutto, soprattutto di diventare padre, ma in cuor suo sapeva bene che non vedeva l’ora di stringere quel piccolino o piccolina tra le sue braccia, di vederlo sorridergli, di vederlo crescere, vederlo muovere i primi passi, di sentirsi chiamare papà. Se fosse stato un maschietto, non vedeva l’ora di insegnarli tante cose, di portarlo al parco a giocare, e se fosse stata una femminuccia, non vedeva l’ora di metterla in guardia da tutti i ragazzacci che c’erano in giro.

Bevve un’altra generosa sorsata di birra e si stravaccò meglio sul divano, prima di chiudere gli occhi e abbandonarsi ai ricordi e ai suoi mille e mille pensieri.


 
***


Quella mattina aveva avuto una fitta assurda alla pancia, e così aveva deciso di rimanere a letto, viziata dalle mille attenzioni che Tom le stava dando.

Mangiava tranquillamente una pasta e beveva del latte caldo, mentre continuava a fissare il suo portatile, dove stava appuntando, da diversi mesi, qualcosa per il matrimonio: avevano deciso di sposarsi dopo la nascita del bambino e quella era l’unica cosa sicura, a parte che volevano farlo a Los Angeles, e che sarebbe stato per pochi intimi, amici e genitori, e basta.

«Come ti senti?» mormorò Tom, sedendosi al fianco della sua fidanzata, che lo accolse  con un sorriso stanco, ma comunque felice.

Le posò un bacio sulla tempia e Em si appoggiò totalmente a lui, stanca morta.

«Distrutta» sussurrò, chiudendo gli occhi, nascondendosi nell’incavo del collo del ragazzo. «Non ho chiuso occhio, Tom, anche se ti ho fatto credere il contrario» anche Tom chiuse gli occhi, donandole un altro bacio sulla nuca. «Nostro figlio mi sta distruggendo» ridacchiò piano e Tom sorrise, senza dire niente.

«Manco poco, piccola, resisti, uhm?» mormorò sulla sua pelle, prima di baciarle nuovamente la tempia. «Hai qualche altra idea per il matrimonio?» chiese, dopo aver buttato l’occhio sul portatile della ragazza.

Emmeline sospirò, cercando la mano di Tom, che non tardò a trovare.

«A dir la verità, non tante» ammise. «Voglio il lilla, il rosa e il bianco» disse, mentre il ragazzo roteò gli occhi al cielo. «Magari nostro figlio potrà partecipare al matrimonio come paggetto, potrebbe portare le fedi e spargere i fiori all’entrata» Tom ridacchiò, divertito, immaginando la scena.

«Non ho intenzione di aspettare due anni e oltre» le disse, cercando il suo sguardo. «Voglio sposarti al più presto, piccola» spiegò e la ragazza sorrise emozionata e felice. «Matrimonio e battesimo assieme, mia madre pensa che sia una grande idea» propose, ed Emmeline si fece più attenta.

«Parli con tua madre del nostro matrimonio?» chiese curiosa.

«Sì, non c’è niente di male» rispose lui con un’alzata di spalle. «Perché?»

«Non ne parli con me» spiegò, sorridendo imbarazzata. «Non l’hai mai fatto da quando mi hai chiesto di diventare tua moglie» Tom arrossì appena sulle goti: era vero. «Lo so che voi uomini tendete sempre a lasciar fare a noi donne, ma io mi sposo con te, non con me stessa, voglio sentire le tue opinioni, quello che vuoi e quello che non vuoi» stavolta fu lei ad alzare le spalle, come se fosse normale, almeno per lei. «Voglio il nostro matrimonio, non il mio» sorrise dolcemente e Tom non poté fare a meno di intenerirsi e sorridere.

Si baciarono piano, un bacio intimo, loro, come non facevano da un po’.

«Avremo il nostro matrimonio, piccola, il più presto possibile spero» ridacchiò il moro, mordendole piano il labbro inferiore. «Mi manchi tanto» sussurrò sulle sue labbra, e lei lesse, nei suoi occhi, tutta la voglia che aveva. «Dopo il parto dovrò aspettare altre sei settimane, almeno così ho letto in uno dei mille libri che hai comprato» Emmeline rise, piano.

«Sei un ingordo» mormorò, accarezzandogli piano il viso.

Lui le sorrise maliziosamente e poggiò la fronte su quella della ragazza, con amore, come solo lui sapeva fare.


 
***


«Cos’è per te l’amore?» le chiese Tom, osservandola con la coda dell’occhio.

Emmeline sorrise a quella domanda inaspettata, ma non si voltò a guardarlo, anche se sentiva lo sguardo del ragazzo bruciarle addosso.

«L’amore è quando vai contro tutto e tutti per stare insieme alla persona che ami, anche quando ti delude e tu sei ancora li ad aspettarla» rispose semplicemente la ragazza. «Perché?» domandò poi, lanciandogli uno sguardo indagatore.

«Chiamala curiosità» mormorò Tom, guardandosi le scarpe. «È un po’ quello che hai deciso di fare tu per stare con me» continuò piano ed Emmeline annuì. «Ti ho delusa?» domandò lui, con ansia e paura.

La ragazza si bloccò e capì il perché della sua domanda: lei lo aveva detto prima e si maledette.

«No, non l’hai mai fatto» ammise. «Quella frase che ho detto prima non è riferita a te, me l’ha detta mia mamma qualche anno fa» scrollò le spalle. «Posso farti una domanda?» si morse le labbra la ragazza, e lui annuì semplicemente. «Perché indossi questa maschera da duro, quando invece sei una delle persone più buone al mondo?» era dannatamente curiosa, lo sapeva e forse lui non voleva nemmeno rispondere: si era sforzata così tanto di capirlo da sola, ma alla fine non era riuscita a capirci niente.

Tom era ancora complicato per lei: erano solo all’inizio, d’altronde.

«La realtà, certe situazioni e certe persone ti costringono a diventare qualcuno che non sei, a mostrarti per qualcuno che non avresti mai immaginato di diventare» rispose con durezza, ma poi scosse la testa. «Non voglio essere così criptico e complicato, scusami piccola, ma non mi sento ancora pronto a raccontarti tutto della mia vita, è difficile» le sorrise tiratamente, scusandosi.

«No, scusami tu, devo farmi gli affari miei» si affrettò a rispondere la mora, imbarazzata. «Nel senso che non devo curiosare nella tua vita senza il tuo permesso e quando ti sentirai pronto potrai parlarmi di tutto quello che vuoi» gli sorrise dolcemente, accarezzandogli una guancia: era un’abitudine oramai, le piaceva da morire toccarlo.

«Piccola, è giusto che tu voglia sapere, ci stiamo ancora conoscendo» si sporse verso di lei, rubandole un bacio. «Mi piace vederti curiosare, piccola, è la prima volta che lo permetto» Emmeline si sentì soddisfatta e gli lanciò uno sguardo malizioso.

«Sentiamo, quante donne hai avuto?» domandò, osservandolo attentamente.

«Ohoh, curiosona!» la riprese lui, puntandole un dito contro. «Se ti rispondo, cosa ottengo?» domandò e la ragazza si ammutolì. «Sto scherzando» ridacchiò, ricevendo uno schiaffo sul braccio da parte di Emmeline. «Troppe, piccola, nonostante la giovane età e non ne vado fiero» sussurrò. «Sono andato a letto, praticamente, con tutte le ragazze della scuola, ma nessuna relazione seria» aggiunse e la ragazza annuì. «Sei tu la mia prima ragazza seria» le toccò una guancia, facendola sorridere.

«E come ti sembra avere una relazione seria?» gli chiese, mordendosi il labbro inferiore: aveva paura di sentirsi dire che in realtà era solo una scopata e l’avrebbe gettata nella spazzatura, fregandosene.

«Per ora mi piace» le sorrise dolcemente. «Non preoccuparti piccola, tu mi interessi veramente, non sei come le altre, mi attrai in tutti i sensi possibili, non solo fisicamente, adoro il tuo carattere, il tuo essere dolce e premurosa come non mai, adoro quando mi tocchi le guance, adoro quando mi baci, adoro sentire le tue labbra sulle mie e non solo, adoro quando mi coccoli, adoro il tuo essere timida, il modo in cui arrossisci» e la ragazza si imbarazzò come non mai, coprendosi il volto con le mani, nascondendosi da lui.

Tom ridacchiò divertito, allungandosi verso di lei, per poterla vedere in volto.

«Ecco, è questo che dicevo» sorrise, prendendole le mani, liberandole il volto. «Sei così bella» mormorò, baciandole le guance, il naso, la fronte e le labbra.

«Smettila, ti prego» mormorò, aggrappandosi al suo collo, nascondendosi tra l’incavo del suo collo e la sua spalla. «M’imbarazzano da morire tutte queste cose» Tom la strinse a se, baciandole una spalla. «Mi piacciono i tuoi abbracci, i tuoi baci e le tue parole, sapendo l’effetto che mi fanno» cominciò lei, senza sciogliere quell’abbraccio, mentre il ragazzo apriva bene le orecchie: era curioso e allo stesso tempo aveva paura di sapere. «Mi piace il modo in cui mi guardi, che sembra voglia strapparmi il mondo dagli occhi e l’amore dal cuor; mi piacciono i tuoi occhi che sanno farmi sentire a casa; e poi mi piaccio anche io, quando sono con te; con te sono una persona migliore, mi tiri fuori sorrisi che non pensavo di avere, e riempi il senso di ogni cosa» sorrise al nulla, sentendo il ragazzo cullarla avanti e indietro. «Mi piace il fatto che sembriamo capirci, volerci e amarci, ma forse è presto» ridacchiarono, e lei finalmente trovò il coraggio di guardarlo in faccia e lo trovò con uno stupido sorriso sulle labbra. «Mi prendi quando sono sul punto di crollare, mi asciughi le lacrime e contiamo i battiti del nostro cuore, che non è mai andato così veloce, vero?» domandò sorridendo appena e lui annuì, sfiorando il naso della ragazza con il suo. «E ti prendi cose che nessuno si era mai preso, e ti ho dato cose che non avevo mai dato» sorrise maliziosamente e lui ridacchiò, avvicinandosela. «E ti preoccupi sempre per me, se ho mangiato, se sento freddo, se sto bene, se mi manca affetto» sorrise dolcemente.

Tom era quasi commosso: nessuno gli aveva mai detto tutte quelle cose, non voleva piangere davanti a lei, ma non riuscì a trattenersi, e le prime lacrime cominciarono a solcargli le guance.

Emmeline si preoccupò e gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarla negli occhi.

«Grazie» sussurrò lui semplicemente, sorridendo appena.


 
***


Non sapeva esattamente da quanto tempo era li: non sentiva niente e nessuno gli diceva qualcosa, stava per avere un infarto, se lo sentiva.

Odiava gli ospedali.

Era notte fonda e si era svegliato con un brutto, bruttissimo presentimento, e nel voltarsi aveva trovato Emmeline seduta sul letto, completamente sudata, che cercava di trattenersi dall’urlare e di bestemmiare, probabilmente: le lenzuola erano completamente bagnate e lui era entrato in panico, nell’esatto momento in cui capì che le se erano rotte le acque e che stava per diventare padre.

L’aveva rassicurata, le aveva consigliato di respirare come le avevano insegnato al corso pre-parto, mentre lui si vestiva velocemente; l’aveva aiutata ad alzarsi e l’aveva accompagnata in macchina, ed era partita la corsa pazza verso l’ospedale.

L’aveva sentita gridare e piangere e lui era andato in panico, gli scoppiava la testa e li, in quell’ospedale, in quella sala d’attesa, non sapeva cosa pensare e fare: aveva telefonato ai genitori di Emmeline che sarebbero arrivati nella mattinata, aveva telefonato a Georg, in panico, e con Ellen l’avrebbero raggiunto a breve, e sua madre lo guardava da lontano, sapendo bene che voleva stare solo.

Una parte di lui voleva entrare in sala parto, vedere venire alla luce suo figlio, tagliare il cordone ombelicale e piangere come un bambino e abbracciare Emmeline, baciarla e ringraziarla, ma l’altra parte di lui, sarebbe svenuta e quindi aveva deciso di rimanere fuori ad aspettare.

Si alzò, cominciando a camminare avanti e indietro, sotto gli occhi attenti di sua madre che, probabilmente, non l’aveva mai visto così: Tom stava letteralmente morendo di paura e di felicità, allo stesso tempo.

Dio, non vedeva l’ora di conoscere il suo piccolino.

Osservò uno a uno i quadri che erano appesi alle pareti, lesse tutti i cartelloni e i fogli che gli capitavano sotto agli occhi e poi si appoggiò con la fronte alla parete, cercando di calmarsi.

Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi su se stesso: riusciva a sentire il suo cuore battere all’impazzata, ma non se ne preoccupò molto.

«Signor Kaulitz?» si sentì chiamare da una voce femminile, dolce, e nel momento in cui si voltò, di scatto, rischiò di cadere a terra, come una pera cotta: quell’infermiera teneva in braccio il suo bambino; si commosse e si avvicinò, timoroso e curioso allo stesso tempo. «Vorrei presentarle sua figlia» gli sorrise dolcemente, mettendo quella piccola creatura tra le braccia del padre, spiegandogli attentamente come mettere le mani. «È bellissima e sana, complimenti e congratulazione» aggiunse poi, osservandolo intenerita.

Tom non la stava ascoltando, troppo concentrato a guardare sua figlia e a cercare di non farla cadere o di farle del male: era così piccola, delicata e bella, la sua piccola principessa.

«Come sta Emmeline?» mormorò, senza staccare gli occhi dal visino della piccola, che dormiva tranquilla tra le sue braccia: probabilmente sapeva già che quel ragazzo impacciato era suo padre.

«Sua moglie sta bene, è stata molto brava» rispose l’infermiera e Tom alzò di scatto la testa, preso in contropiede.

«Non è ancora mia moglie» sorrise imbarazzato e lei gli sorrise, come a volersi scusare. «Posso vederla? Ho bisogno di vederla.» mormorò, pregandola con lo sguardo.

Lei annuì semplicemente: nessuno glielo avrebbe impedito.

Si voltò un momento verso sua madre, che gli stava sorridendo con le lacrime agli occhi e lui ricambiò il sorriso, felice come una Pasqua.

Fu accompagnato in una stanza, dove trovò una Emmeline quasi addormentata, sicuramente sfinita, e ancora sudata: sorrise teneramente e si avvicinò a lei, sedendosi appena sul letto, sempre con la piccola tra le braccia.

La ragazza aprì un occhio, anche se sapeva già di chi si trattasse: avrebbe riconosciuto il suo profumo tra mille.

Fece un sorriso stanco e si sforzò per sistemarsi meglio e tirarsi un po’ su: voleva rivedere la sua bellissima bambina.

Tom le posò un bacio sulla nuca dolcemente.

«Sei stata così brava, piccola» mormorò lui, attirando l’attenzione della ragazza su di se.

Emmeline gli sorrise e si allungò per baciarlo castamente sulle labbra, prima di riportare l’attenzione sulla loro bambina.

«Abbiamo fatto un capolavoro, amore!» squittì lei, sfiorando con un dito, la guancia paffuta della piccola. «Come ti senti?» gli chiese poi.

«Dovrei fartela io questa domanda» ridacchiò appena lui. «Adesso mi sento meglio» sussurrò e la vide annuire, distrattamente.

Non aveva occhi per lui adesso, questo lo sapeva bene, ma non gli interessava molto.

«Ha il tuo stesso naso e le tue stesse orecchie, guarda» mormorò la ragazza, e il moro si precipitò a guardare con attenzione quei due dettagli: ed era vero.

«E ha lo stesso neo che ho sulla guancia» continuò lui. «Però ha le tue labbra, piccola, e il taglio degli occhi» aggiunse e la ragazza gli sorrise.

«No, il taglio degli occhi è il tuo» lo corresse, prima di posare un bacio sulla testolina piena di capelli scuri della piccola. «È una piccola Kaulitz» aggiunse ridacchiando.

Tom non rispose, non sapeva cosa dirle, si limitò a guardarla intensamente.

Sobbalzò nel momento in cui quel piccolo fagottino che aveva tra le braccia si mosse: i loro sguardi s’incatenarono per la prima volta e lui tremò dall’emozione.

Emmeline sorrise intenerita nel vedere la sua bambina sveglia, intenta ad osservarli, probabilmente curiosa.

«Ciao piccola» sussurrò Tom, posandole un bacio sulla fronte, prima di lasciarla tra le braccia della neomamma, che la accolse con amore sul suo petto.

Il ragazzo portò un braccio intorno alle spalle della sua ragazza, stringendola affettuosamente e regalandole un altro bacio sulla tempia: guardava con amore le sue donne e probabilmente quello era il giorno più felice della sua vita.

Non poteva credere di essere diventato padre, doveva essere un sogno.

Le osservava con amore, osservava la donna che amava baciare diverse volte il frutto del loro amore e si sentiva così felice.

«Non abbiamo pronto il nome, però» mormorò ed Emmeline portò, finalmente, lo sguardo su di lui: Tom aveva ragione, non avevano pensato a un nome per una bambina.

«Arabella» rispose lei in un sussurro, baciandolo di nuovo sulle labbra.


 
***


Le aveva regalato un mazzo di girasoli.

Aveva letto che avrebbe dovuto fare un regalo alla sua donna, dopo che lei gli aveva dato uno dei regali più belli, un figlio, e Georg gli aveva consigliato un gioiello, ma lui aveva speso un sacco con l’anello di fidanzamento, quindi ha preferito prenderle i girasoli.

Emmeline era stata più che felice.

Simone e Gemma erano diventate pazze alla vista della loro nipotina, e le avevano regalato un sacco di cose che, probabilmente, si sarebbero rivelate inutili e avrebbero occupato un sacco di spazio in casa.

Anche il padre di Em era stato felice, così come Georg ed Ellen: la giovane si era convinta di volere un figlio dal ragazzo che aveva preferito guardarla scioccato, era presto, no? Dopotutto stavano insieme da quasi un anno.

Tom posò un bacio sulla fronte della ragazza: era tornato a casa per farsi una doccia e per darsi una sistemata, ma poi era tornato, aveva visto la sua bambina cercare il seno della madre, l’aveva cullata e l’aveva vista addormentarsi.

«Ciao» sussurrò la ragazza, cercando le labbra di Tom: le era mancato e le mancava infinitamente. «Dov’è la nostra principessa?» chiese curiosa, mentre lui le sorrise dolcemente.

«Mammina premurosa» la prese in giro, baciandola di nuovo. «Credo che la porteranno qui, non l’ho vista di la» alzò le spalle lui.

Emmeline s’incupì e si preoccupò, proprio come aveva fatto Tom in precedenza.

Era stato strano non vederla nelle culle della Nursery ed era ancora più strano il fatto che nessuno ne sapesse niente e che non fosse nemmeno con Emmeline.

Non tardò molto all’arrivo dell’ostetrica che aveva aiutato la giovane a mettere al mondo Arabella, accompagnata da un paio d’infermiere, ma della piccola non c’era traccia.

La ragazza cercò subito la mano di Tom, che strinse con forza.

«Non so come sia potuto succedere, visto che il reparto è sorvegliato costantemente» cominciò la donna. «Ma vostra figlia non è più qui» entrambi i giovani sgranarono gli occhi: non era possibile, non poteva essere possibile. «È stata rapita



 
*********

 
Perdonatemi l'ennesimo ritardo, sono imperdonabile, lo so!

Questa storia è nata ad aprile e se voi avete potuto leggerla è stato grazie alla mia migliore amica DreamerAlien, che mi ha convinta a postarla.
Mi ha fatto uno strano effetto, cliccare sulla casella "completa", perchè, come voi, anche io sono affezionata a questa storia, ai personaggi, alla coppia Emmeline-Tom.
Ho scelto un finale particolare, e infatti mi aspetto di trovarvi sotto casa mia con fucili e forconi, ma come vi ho già detto in precedenza, ci sarà un sequel (ora come ora non so quando sarà pronto il primo capitolo).
Voglio ringraziare, come è giusto che sia, tutte quelle persone che hanno letto "Gli stessi di sempre", siete davvero tantissime; voglio ringraziare quelle persone che mi hanno lasciato una recensione ogni volta; voglio dire grazie a quelle 17 persone che l'hanno inserita tra le preferite, e le 14 che l'hanno inserita tra le seguite: vi dico grazie infinitamente.
Ovviamente voglio ringraziare anche le 7 persone che mi hanno aggiunta tra i loro scrittori preferiti, uao.

Prima di salutarvi e di lasciarvi i miei contatti, voglio ricordarvi che le vostre recensioni (positive o negative che siano) sono sempre ben accette! Anzi se avete consigli da darmi o insulti da dirmi, non trattenetevi!

Okay, dopo avervi ringraziate, vi lascio: il sequel si intitolerà "Invaded" e per ora è l'unica cosa che posso dirvi e ovviamente vi aspetto, spero che siate curiose di leggere cosa succederà nella vita (inventata) dei nostri protagonisti. 


un bacio e un abbraccio,
difficileignorarti

 

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