Poison

di pluviophilia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** {I} Timebomb ***
Capitolo 2: *** {II} Control ***
Capitolo 3: *** {III} Alma Negra ***
Capitolo 4: *** {IV} Zayn ***
Capitolo 5: *** {V} Horror Story ***
Capitolo 6: *** {VI} Trust ***
Capitolo 7: *** {VII} Boutique ***
Capitolo 8: *** {VIII} Irresistible ***
Capitolo 9: *** {IX} Wolves ***
Capitolo 10: *** {X} Home ***
Capitolo 11: *** {XI} True-ish ***
Capitolo 12: *** {XII} Nightmare ***
Capitolo 13: *** {XIII} Sunset ***
Capitolo 14: *** {XIV} Checkmate ***
Capitolo 15: *** {XV} Halloween's Eve ***
Capitolo 16: *** {XVI} Pumpkin ***
Capitolo 17: *** {XVII} Control ***
Capitolo 18: *** {XVIII} Answers ***
Capitolo 19: *** {XIX} Promise ***



Capitolo 1
*** {I} Timebomb ***



You're bad for me I clearly get it, I don't see how something good could come from loving you.
 

-Juliet-

 

 
Rock my world into the sunlight
Make this dream the best I’ve ever known
Dirty dancing in the moonlight
Take me down like I’m a domino.

Continuai a cantare a squarciagola, l’iPod appoggiato sul mobiletto di legno, mentre l’acqua calda scorreva veloce sulla mia pelle, liberandomi dallo stress, dalle preoccupazioni e dalle tensioni della vita quotidiana. Era incredibile quanto una sola doccia potesse rimuovere tutte queste sensazioni negative, cullandomi sotto il getto tiepido.
Appoggiai la testa al muro, seguita poi lentamente dalla schiena, rabbrividendo per il contatto con la superficie fredda delle mattonelle.
La canzone finì; era ora di uscire, altrimenti sarei arrivata in ritardo.
Aprii l’anta di vetro e afferrai al volo l’accappatoio; come sempre avevo lasciato la finestra aperta e l’aria era gelida. Strofinai l’asciugamano bene sulle gambe, togliendo tutte le goccioline, e camminai in punta di piedi fino allo specchio. I capelli mi ricadevano dritti come spaghetti, tutti bagnati e appiccicati al viso, in un effetto alquanto spiacevole.
Afferrai un altro asciugamano e, a testa in giù, cominciai a strofinarli con forza. Quando non furono più grondanti d’acqua, presi il phon e partendo dalle punte li asciugai dolcemente.
Tenevo tanto ai miei capelli, non capivo come le altre ragazze rosse potessero tingerseli; insomma, eravamo una specie rara ormai, e invece alcune mie coetanee continuavano a comprare tinte biondo Barbie o nero Mortisia, quando avevano una chioma rosso tramonto stupenda.
Appoggiai il phon sul ripiano, lontano dalle chiazze d’acqua, e dapprima passai a pettinarmi. Decisi di lasciarli sciolti, con la riga al centro, insomma, mi sembravano adatti a una serata come quella. Passai velocemente la piastra, una sensazione che adoravo: i capelli ricadevano caldi sulle spalle, emanando un buon profumo, in quel caso di frutti esotici, esattamente com’era scritto sul flacone dello shampoo.
Finii di asciugarmi e indossai la biancheria pulita, raggiungendo Jade in camera. L’appartamento che dividevamo era piccolo, giusto qualche metro e fui da lei.
Era seduta a gambe incrociate sul letto, il mento appoggiato sul palmo della mano destra e lo sguardo fisso sull’armadio made in IKEA spalancato davanti a lei.
Era forse entrata in trance? Spaventata, sbirciai dentro al grande armadio che a stento conteneva tutti i vestiti della mia coinquilina. Non saltò fuori niente, notai solamente il solito disordine, abiti su abiti.
“J-jade va tutto bene...?” provai a chiederle.
Sbuffò. Ah, ecco, capii tutto.
“Cosa non trovi questa volta, dolcezza?” le domandai comprensiva. In questi momenti era molto fragile, bisognava starle vicini. Dopotutto ci sarebbe stata una festa, e doveva essere al massimo, apparire al massimo e dare il massimo. Se già per andare a scuola si svegliava mezz’ora prima di me, non immaginavo a che livello di crisi potesse essere arrivata adesso.
“Blu. Juliet, l’abito blu, quello che… - si soffermò - … blu. Hai presente? Quello svolazzante, quello bello…” perse il filo del discorso tornando a puntare gli occhi sull’armadio.
Esatto, stava cercando l’abito da indossare, quello che aveva comprato il giorno prima.
“Jade, allora... – iniziai con la tipica vocina rassicurante che si usa con i bambini - … quando l’hai comprato quel vestito?” le appoggiai una mano sulla spalla.
“Ieri.” mugugnò.
“Esatto, e cos’hai fatto quando sei arrivata a casa?” silenzio, mi fissò in attesa della risposta.
“Te lo dico io, ti sei buttata sul divano a mangiare popcorn, e il vestito…” lasciai in sospeso la frase.
“… l’ho lasciato nella busta all’ingresso!” saltò in piedi e corse di là euforica, rovistando dapprima intorno al divano, poi all’ingresso e infine in cucina.
“Eccolo!” sentii urlare. La vidi alzare il sacchetto in aria, manco fosse l'ultimo rimasto della prima giornata di saldi, e iniziò a cercare di staccare l’etichetta con i denti. Anche questo tipico da lei. Io senza forbici non ci riuscivo, era più forte di me.
Mi avvicinai al grande specchio che padroneggiava la stanza, la sua stanza fortunatamente. Nonostante l’appartamento non fosse troppo grande, eravamo riuscite ad ottenere due camere separate, con un bagno in comune. Era una grande fortuna perché, prima di tutto, avevamo entrambe decine e decine di abiti. In più, io amavo leggere, e beh… la mia stanza era tappezzata di poster e libri, erano ovunque.
Avevo una specie di letto-bunker, dove mi rifugiavo dopo le giornate più stancanti, dove mangiavo vagonate dei biscotti che cucinava Jade, e dove dormivo sonni profondi. Avevo appeso, l’anno prima, due tendine sottili, morbide e leggere, così, a volerlo, m’isolavo ancora di più.
Infilavo gli auricolari e… puff.
Via, mi teletrasportavo in un mondo tutto mio. Aspettate, no, non ero quel genere di persona. Non ero la più popolare della scuola, lo sapevo bene, ma avevo un sacco di amici ed era facile stringere un buon rapporto con me, anche se era altrettanto facile distruggerlo.
Amicizia? Sì, ma non tendevo a fidarmi troppo delle persone, degli estranei, non mi ispiravano nemmeno un po’.
Non ero il classico animale da festa, ma mi piacevano anche quelle, eccome se mi piacevano! E poi quella sera ci sarebbe stata una festa speciale, quella del mio migliore amico, quindi andava tutto per il meglio.
Jade, che era scomparsa dalla mia vista, riemerse perfettamente truccata e vestita.
Fece roteare la gonna come una bambina alle prese con il suo vestito da principessa. L'apparenza però poteva ingannare un osservatore poco accorto: Jade era di sicuro una delle persone più affidabili, sveglie e determinate che conoscessi.
“Ta-dan! Come sto?” chiese sorridendomi.
“Benissimo, veramente – ricambiai – mancano solo le scarpe.” le feci notare.
“Sì, metto quelle blu abbinate, o grigie come la giacca.” spiegò.
“No, no! – le sventolai l’indice davanti agli occhi – ho io qualcosa per te”.
Jade amava le mie scarpe, quelle che non prestavo mai a nessuno - lei esclusa. Ero molto gelosa delle mie collezioni, e avevo paura si rovinassero. Sfilai da dietro la schiena gli ankle-boots rossi lucidi incastonati di pietre, uno dei miei modelli preferiti.
“Oddio.” mi si avvicinò incredula.
“Oddio.” le sorrisi.
“Mi stai prestando un paio di scarpe?” le sfiorò sempre più sbalordita.
Annuii. Jade le afferrò con due dita, delicatamente.
“MI STAI PRESTANDO QUESTE SCARPE!” anche lei le amava.
“Sì, stasera devi stenderli tutti, fammi vedere come stai.”
Le infilò a velocità impressionante e afferrò borsetta e giacca, mentre io ero ancora svestita.
“Perfect.- ribadii alzando il pollice – Prendi le chiavi, faccio in un attimo.”
Volai in camera mia, infilando velocemente il vestito, fortunatamente senza zip. Indossai le scarpe, presi la borsa e la giacca di pelle, quasi uguale a quella della mia amica. Sembravo the-woman-in-black, altro che man. Era tutto, completamente nero, senza contare i dettagli dorati e le unghie rosse come le labbra.
“MIO DIO JULS.” esordì Jade quando entrai in salotto. Oh, mi ero dimenticata qualcosa. No, il trucco c’era, il resto pure. Che aveva da guardare?
“Stai benissimo!” sorrise.
“G-g-razie.” ricambiai imbarazzata. Tanto ero aperta e gentile con gli altri, tanto non accettavo i complimenti. Li odiavo, sotto c’era sempre ipocrisia e tanta, tanta falsità. Dopotutto però, Jade era probabilmente l’unica persona di cui mi fidavo ciecamente.
“Su, andiamo o arriveremo tardi.” uscimmo da casa, la discoteca non era tanto lontana, dovevamo camminare una manciata di minuti. Fortunatamente avevamo entrambe esperienza con i tacchi, altrimenti sarebbe stato un suicidio. Svoltammo, cambiando dalla via principale in una stradina più piccola, e girammo ancora un paio di volte. Senza contare che mi scontrai - giusto per cambiare - con un tipo, un tipo piuttosto strano, tatuato e pieno di piercing, che confabulò qualcosa e andò via innervosito, arrivammo senza alcun intoppo.
Il buttafuori, Charlie, oh, ormai eravamo grandissimi amici, ci salutò, senza controllare nemmeno che i nostri nomi fossero sulla lista, e ci fece accomodare.
Il corridoio era più chiassoso delle altre volte, la festa era già cominciata e qualche coppietta aveva cercato un luogo più appartato della pista da ballo.
Aprimmo la grande porta antincendio ed eccoci lì.
Un casino assurdo, gente da tutte le parti. Iniziammo a cercare il festeggiato sulle note di Sweat di Snoop Dogg e David Guetta, una canzone esplosiva, che mise a dura prova il mio autocontrollo.
Ma dovevo trovarlo, era pur sempre la sua festa, no? Dove poteva essere finito?
Non riuscii a distinguerlo tra i diversi gruppi che ballavano senza ritegno, agitando le braccia e muovendo i fianchi, così uscii da quella bolgia infernale e mi diressi verso la zona-poltrone, una sottospecie di priveè, se così si poteva chiamare, zona che poi era sommersa di regali.
Niente coppiette che amoreggiavano, solo un ammasso di pacchetti. 
“Ma dove cavolo sei finito…” sussurrai.
Sentii un indice picchiettarmi sulla spalla destra. Doveva essere il suo indice.
Niall!!” mi voltai spalancando le braccia per abbracciarlo. Nulla. Non c’era nessuno.
“Heylà, sono qui! Avevi detto che non ci cascavi più!” una voce mi fece girare.
Lo stritolai per bene “Sono troppo felice, ora. Lunedì in università facciamo i conti, festeggiato.”
Lo sentii sorridere “E questo outfit speciale è per me?” mi chiese facendo l’occhiolino.
“Ma cosa avete tu e Jade stasera? E’-è... un vestito normalissimo.” San Giuseppe, mi conosceva da cinque anni e non aveva ancora capito che mi dava fastidio ricevere complimenti. Non aveva speranze, quell’irlandese. Che poi, qualcuno mi doveva spiegare cosa ci faceva un irlandese a Londra, quando la sua terra d’origine è così verde e bella. La mente bacata dei suoi genitori era incredibile, io non avrei mai lasciato la campagna per la città. Ma gli affari erano affari, e il Signor Horan era un pezzo grosso. Beh, se non si fosse trasferito non l’avrei mai conosciuto, quindi, forse, in fondo, ma molto in fondo, era meglio così.
Gettai il mio regalo – dei pantaloni introvabili che voleva da molto e un piccolo album di nostre foto – in mezzo agli altri.
“Olè! - lo presi per mano – che la festa abbia inizio.”
Lo trascinai in mezzo alla folla, unendoci a un gruppetto di ragazzi della nostra età.
Iniziammo a ballare, di pari passo con gli altri, dimenandoci alla peggio. Alcune delle canzoni scelte erano improponibili, dubito seriamente le avesse volute Niall, infatti gli avevo trasmesso tutti i miei gusti musicali, e con la forza ero riuscita a fare un discreto lavoro. Partì, finalmente, Hangover di Taio Cruz, una bella canzone, anche se l'avrei scelta più per fine serata, quando le sbornie e le "ricadute" erano al culmine, ma non mi lamentai. Finita quella, e iniziando a sentire un po' di dolore ai piedi, cominciò Beauty And A Beat remixata alla peggio. Oh sì, ora Jade era soddisfatta.
Sarò ripetitiva, ma amavo totalmente quella canzone, era impossibile resisterle - Justin Bieber a parte. Quando arrivò il pezzo, quello fatidico "Body rock, girl i can feel your body rock eh-eh-eh" esclusa qualche troietta che sghignazzò strusciandosi contro lo sventurato accompagnatore, io e Niall scoppiammo a ridere, affiancandoci per non cadere. Ci ricordavamo bene quando, l'anno precedente, a una sottospecie di ballo scolastico, Jade aveva dato prova della sua brillante mente durante la visione di questo video.
Aveva sputacchiato il drink ridendo, così le avevo chiesto il perché, e aveva urlato indicando lo schermo "Vedi Bieber che si incula la Minaj e non ridi?!?!". Non era esattamente l'emblema della finezza, ma in fondo aveva ragione, e da allora, durante quella canzone, facevamo qualche secondo di silenzio per permettere a Jade di ascoltare il pezzo senza interferenze. Malefici, io e Niall, ma di sicuro più malvagia io. Finito anche quel brano e quello dopo, dire che ero a pezzi, tagliata a fettine da una motosega, era riduttivo. Niall decise, con la mia più totale approvazione, di aprire qualche regalo.
Mi stesi supina sul divano di velluto rosso, mentre nella sala echeggiava Bitch Better Have My Money di Rihanna. Era esilarante vedere l'irlandese aprire i regali, assumeva le espressioni più improponibili, dalla disapprovazione per le tre magliette uguali, allo stupore per il cappellino NY che voleva, allo shock per il film porno, che cercò di rifilarmi. Poco ma sicuro, colpa di quelli scemi dei suoi amici, che pensavo avessero la Master-gold-premium-card per YouPorn, a giudicare dal loro modo di parlare: non una frase, una sola frase, che non avesse un doppio senso.
Trovò qualche altro capo di vestiario, e giuro che se non fosse stato per la musica mi sarei addormentata, sdraiata su quella comoda, soffice, calda, imbottita e rilassante poltrona...
Niall prese in mano un pacchettino estremamente curato, e ne estrasse un bracciale sottile, che pareva prezioso.
"G-g-razie Juls, è... bellissimo, veramente." mi sorrise.
Usando quel briciolo di forza rimasta nel mio corpo, mi tirai su sistemando la gonna e mi avvicinai a Niall, prendendo il bracciale fra le mani. Due piccole lettere vi erano incise, una N, N di Niall supposi, e una J, che però non era la J di Juliet.
"No, guarda, non è mio, non te l'ho fatto io... " sussurrai, in fondo non volevo deluderlo, era davvero un bel bracciale.
"E allora di chi è?" mi domandò allacciandoselo aiutandosi con i denti e indice e pollice della sinistra.
"N-non lo so - scossi la testa - magari è la J di James: Niall James Horan..." tentai.
"Boh, non importa - alzò e abbassò le spalle - allora, cerchiamo il regalo della rossa... "
"Ti piacerà, biondo." sorrisi accasciandomi sul mucchio di regali, per fortuna, da quanto avevo visto, per la maggior parte vestiti.
Scartò la carta regalo che avvolgeva i pantaloni: era stata una grande botta di culo averli trovati. Stavo tornando da lavoro, sabato prima, ed eccoli lì, in bella vista, esposti in vetrina di un negozio di periferia. Presi al volo, un'occasione da non perdere, e perfino in saldo - meglio così perché non mi sarei potuta permettere di spendere troppo.
Per avere qualche spicciolo in più e comprarmi qualche abito carino, infatti, lavoravo in un piccolo negozietto. Ero pagata a ore, e mi permetteva di poterci andare quando avevo del tempo libero; i soldi che i miei m’inviavano per pagare l'affitto - fortunatamente non molto elevato - non mi sarebbero mai bastati per essere completamente autonoma, o almeno per come intendevo io questo concetto.
L'irlandese ripose i pantaloni con cura su una sedia - amavo questi suoi piccoli gesti - e aprì l'album, per poi iniziare a sfogliarlo dolcemente, pagina per pagina. Non lo avrei potuto giurare, ma penso che nel farlo gli sia scappata qualche lacrima, infatti quando puntò le sue iridi azzurre nelle mie le notai leggermente lucide.
"Grazie." sorrise dolcemente, giochicchiando con l'album di carta colorata fra le mani.
"Nulla, biondo - mi avvicinai per abbracciarlo - Ti voglio bene, buon compleanno." sussurrai sulla sua spalla.
Lo stritolai ancora un po', perdendo l'equilibrio un paio di volte, e rientrammo in pista a ritmo di Tik Tok. Tipica canzone da festa; al "put your hands up" si scatenava un coro di ragazzi, e riuscirsi a muovere tutti all'unisono, a centinaia, era una bellissima sensazione. Almeno finchè non cadevi a terra. Riuscii a scorgere Jade parlare con una mora, per poi notarci e raggiungerci.
"Eccovi! - un sorriso comparve sulla sua faccia, forse un po'sbronza, o come diceva lei 'allegra' - Vi ho cercato dappertutto in pista, ma poi ho lasciato perdere e mi sono unita ad altri. - si rivolse a Niall - Buon compleanno bellissimo!" si abbracciarono velocemente.
"Grazie Jade." ringraziò sulle prime note di... di... che canzone era quella? Oh, ecco. Timebomb di Kylie Minogue.
Quella canzone già altre volte aveva segnato il culmine delle feste, si scatenava sempre un macello, e i piedi mi facevano male, troppo male, così lasciai Niall e Jade e mi diressi verso il bancone dei cocktail, cercando di evitare morte certa per caduta dai tacchi.
Era semi deserto vista l'ora, e bevvi velocemente una... una... vodka, credo, volevo smettere di pensare per un attimo.
Poi ne ordinai un'altra, e non posso esserne proprio certa, ma non fu l'ultima della serata.
Mi rigirai verso la pista da ballo e appoggiai i gomiti al ripiano lucido del bar, non mi ero accorta ci fosse tutta questa gente, sembrava essersi duplicata da quando ero arrivata!
Niall era sì conosciuto, ma avrei giurato che non avesse mai visto prima metà delle persone in sala.

E fu in quel momento che mi trovai a riflettere, forse per effetto dell'alcool, che doveva essermi salito dallo stomaco al cervello, come evaporato per il calore eccessivo di quella stanza.
Pensai a quei momenti, a quegli attimi.
Spesso ci capita di dire che il tempo passa troppo piano, sopratutto se svolgiamo attività noiose o stancanti, e solo il giorno dopo ci accorgiamo di quanto, in verità, tutta la nostra vita sia passata velocemente, in un battito d'orologio. Attori, spazzini, insegnanti o biologi, cosa siamo noi per il mondo, per il pianeta? Nulla, solo un'altra forma di vita da ospitare per un periodo determinato. Dopo questo, basta, fine dei giochi. Sparisci per sempre, sarai rimpianto per qualche mese, ma alla fine tutti si dimenticheranno di te, le generazioni si susseguiranno e tu non sarai più nessuno, a meno di aver scoperto la cura per l'ultima malattia che affligge l'umanità.
La vita passava veloce, troppo veloce.
Dovevamo cogliere gli attimi, dobbiamo cogliere gli attimi che la vita ci propone, le diverse occasioni, non lasciarcele sfuggire come sabbia fra le dita.
Proprio come diceva Kylie "Fast, time is ticking so fast".
Oh Cielo, ma cosa mi mettevo a fare quelle riflessioni in discoteca, alla festa del mio migliore amico? Non ero nel mio letto bunker ad ascoltare musica da sala d'aspetto, ma in una sala gremita di gente.
Mi asciugai la fronte, doveva essere per forza colpa dei bicchieri di vodka, all'apparenza tanto innocenti, tanto simili ad acqua fresca, quanto in verità micidiali. Ecco, micidiali, intorpidivano tutti i sensi. Buttai la testa all'indietro, facendo scostare i capelli dal mio viso, rinfrescandolo, e lentamente la rialzai, inspirando ed espirando per ricominciare a pensare razionalmente.

E aprii gli occhi.
E fu allora che lo vidi.
 
 




















Salve vecchie mie. 
Eccomi qui, con questa nuova fic, la mia prima totalmente Oned. 
La vera vicenda si incomincerà a capire dal prossimo capitolo, 
questo é una sorta di prologo.
Vi ringrazio per aver letto, e in anticipo per le vostre recensioni o pareri.
Ah, ci saranno tutti e cinque i ragazzi, ma in ruoli molto differenti - e alcuni assolutamente OOC.
Alla prossima, 
ringrazio chiara_88 per il banner,
e Marianne_13 per la copertina facebook.

Joanne

 

Lei è Jade
Lei è Juliet.
 




“Juliet.” porsi la mano. “Bel nome.” rispose stringendola.
No, aspetta, era una domanda, avrebbe dovuto rispondere in maniera affermativa, dicendomi come si chiamava.
“E tu sei…?” chiesi vaga. “Da ora e per poco ancora, il tuo incubo peggiore.” si avvicinò pericolosamente a me.

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Capitolo 2
*** {II} Control ***




The death of me, must be your mission.

 

 

-Juliet-


 

Un ragazzo, un normalissimo ragazzo.
Pelle ambrata, occhi scuri, qualche orecchino e ciuffo tirato su a forza di gel, il tipico animale da festa. Solo a guardarlo sprizzava vanità da tutti i pori, - alla faccia del non avere pregiudizi, per una volta - conoscevo i tipi come lui, e non mi andavano a genio.
Tuttavia, a differenza degli altri, sembrava avere qualcosa, qualcosa in più, qualcosa di diverso.
Era lo sguardo e le emozioni che trasmetteva? Il portamento perfetto e le spalle ampie? Le mani affusolate e chiuse a pugno, così fragili e così spaventose allo stesso tempo? Non potevo saperlo, ma mi attirava, mi affascinava, m’ispirava fiducia.
Io, che odiavo gli estranei, che confidavo i miei segreti rare volte, che avevo paura, temevo perfino i conoscenti, io, provavo attrazione per uno sconosciuto.
Ah, la sbornia post festa.
Eccola, che arrivava e mi prendeva, facendomi notare il primo bel ragazzo in sala.
Se il contatto dei miei occhi con i suoi durò qualche secondo, fu quasi di sfuggita, perché guardai immediatamente altrove, le sue scarpe, il divano su cui era seduto, la gente che ballava; il suo invece era fisso, insistente su di me, sembrava non volerlo distogliere. Controllai quindi a destra, a sinistra, non c’era nessuno.
Stava guardando, tra tutta la gente in sala, tra le ragazzine ubriache alla ricerca di una botta e via e le rifatte dell’ultimo anno di college, proprio me. Aspettai, certa che dietro al bancone ci fosse un suo amico, una sventola bionda con la sesta abbondante, ma nessuno comparve prendendomi di sorpresa.
Ero rimasta sola al bar, e dall’altra parte della sala lui mi stava osservando.
 
Così mi staccai dal bancone, appiglio sicuro, e alzai il mento, sistemandomi l’abito. Presi coraggio, su, Juliet, va e saluta da brava bambina.
M’incamminai verso la pista, barcollando leggermente ma abbastanza cosciente delle mie capacità fisiche e mentali fino a quando il varco, aperto qualche momento prima, che mi aveva permesso di scorgerlo, si chiuse, rovesciandomi in mezzo alla folla.
“No, ehi…” protestai a bassa voce scontrandomi con una decina di studenti. Riuscii a strisciare, abbassandomi in qualche maniera, fuori dal groviglio di persone, facendomi spazio con le mani. Arrivai quasi a bordo pista, laggiù dove solitamente era gremito di gente che beveva stesa sui divani fiammanti, ma non lo trovai. Trovare, che parola grossa, dopo tre - o quattro? - bicchieri di vodka avrei potuto confondere un cammello con un dromedario, o una lucertola con un coccodrillo.
Mi scontrai lateralmente con un ragazzo, canotta e braccia muscolose, che camminava in direzione opposta a me.  No, non era nemmeno lui, eppure ci assomigliava.
“E sta attenta quando cammini, cazzo.” sibilò freddamente prima di andarsene.
Se non fossi stata così presa avrei sicuramente risposto a tono, ma non potevo, non avevo tempo. Dopo aver osservato in lungo e in largo tutta la sala, mi abbandonai su una poltroncina fosforescente, esausta. Possibile che ogni santa volta che pensavo di poter interessare almeno minimamente a qualcuno mi sbagliavo? Eppure - viva la modestia - non ero brutta, né fuori, né dentro, né in mezzo. O almeno così credevo, perché evidentemente mi sbagliavo. Avevo vent’anni, non quaranta, e una sola lunga relazione alle spalle, non ero esattamente da buttare.
Invece tutte le volte la stessa storia, qualche occhiata, battute, un paio di scambi di numeri e basta, nulla, finiva tutto lì, e chi si è visto s’è visto, solo perché raramente io e Jade arrivavamo al sodo la prima sera. Non ero disperata: stavo bene da sola, e ci ero stata benissimo per tutti gli anni passati, ma mi faceva piacere l'idea condividere il mio tempo con qualcuno in vista di una relazione e un rapporto romantico serio. A me non era mai successo, non veramente.
Ma stavolta no, sarebbe andata diversamente: non che avessi grandi progetti per il primo tipo occhiato in discoteca, ma mai dire mai - e c'era qualcosa, nei suoi occhi, che mi aveva colpita e pietrificata nel secondo in cui li avevo incrociati.
Sentivo il bisogno di ritrovare quel ragazzo, che per pochi istanti mi aveva fatto sentire protetta, sicura, e allo stesso tempo incredibilmente esposta al rischio. Il problema era capire se il rischio fosse lui, o se invece rappresentasse la soluzione. Un brivido d'eccitazione risalì la mia colonna vertebrale.
 
E se fosse stato un amico di Niall? Dovevo scoprirlo.
Mi tirai su, facendo di nuovo forza con le braccia stanche, e scrutai la folla, cercando i suoi capelli biondi.
Lo trovai, in corrispondenza di un paio di chiome folte e scure, e provai a buttarmi nella mischia per raggiungerlo, con il solo risultato di cadere a terra dai trampoli che mi ritrovavo ai piedi.
‘Se la soluzione non viene da te, vai te dalla soluzione!’ le sagge parole di Jade mi rimbombarono nella mente come un colpo di tamburo.
Mi sfilai le scarpe, abbassando le cerniere dorate, e le strinsi al petto, spingendo con più forza le persone riuscendo a farle scostare e pregando che nessun tacco a spillo mi arrivasse dritto sul mignolino.
Qualche piccolo salto e raggiunsi Niall di spalle.
Gli afferrai il polso, decisa: le tipe che gli si erano appiccicate sembravano essersi dimenticate qualche metro di stoffa a casa, e non mi dispiaceva interromperle. Ero molto possessiva nei confronti di Niall, lo ammetto, ogni tanto sembravo una fidanzata gelosa, ma in verità volevo solo evitare che qualcuno lo ferisse, o che, detto finemente, finisse per andare a letto con delle battone aspettandosi qualcosa di più e svegliandosi da solo, com’era già successo e non volevo ricordare. Il biondo era una delle persone migliori che conoscessi, ma mentre io aspettavo un amore sincero respingendo qualsiasi offerta insufficientemente valida, lui cercava di trovarlo in ogni persona, abituato com'era a vedere il meglio in ognuno. Non avrei saputo dire quale delle due tecniche fosse la più efficace, perché continuavamo a fallire miserrabilmente entrambi.
Lo strattonai a qualche metro dalle sue graziose accompagnatrici, facendo sì che non tardasse a manifestare il suo disappunto, ma era decisamente più importante che parlasse con me.
“Niall, tu la conosci tutta la gente qui?” che domanda stupida, ovvio che no.
“Insomma Juls, quasi tutti, ma c’è qualche infiltrato che vuole bere gratis, qualche sorella del fratello dell’amica e via dicendo, quindi no.” sbuffò.
“Per caso hai invitato un tipo, dalla pelle... ambrata, più o meno, occhi scuri, ciuffo, orecchini, della nostra età credo, ma non frequenta la nostra università, indossa dei jeans e una camicia nera…” gesticolai cercando di esser compresa.
“Ora che mi ci fai pensare devo averlo visto prima, quando sono uscito a salutare degli amici, stava fumando come un turco. - rise. Che simpatico. - Ti serve per una sfumazzata in compagnia?” mi prese in giro.
Scossi la testa esasperata, mentre il DJ dava inizio a un nuovo brano.
Niall odiava che fumassi, fumo o quel che fosse, anche se qualche volta lo tiravo nel mio “giro oscuro e poco raccomandabile”, e quando andavo a fumare, cosa che amavo fare da sola, in tranquillità, mi seguiva sempre per rompermi i coglioni. Arrivava da dietro e urlava cose come “Non è una magnifica giornata?!” o “Qui si sfumazza, eh?! Oldman?! Ma lo sa che è vietato, è a scuola!” e mi faceva prendere una serie di simpaticissimi infarti.
Una volta gli avevo tirato una sberla bella e forte, quando aveva fatto cadere una lavorazione complicata nell’erba bagnata dopo aver urlato che c’era il terremoto e la terra si stava squarciando.
“Grazie Niall, tranquillo, ti terrò da parte un po’ d’erba.” gli arruffai i capelli dirigendomi all’uscita.
Constatai che in sala non c'era, quindi sperai con tutta me stessa che fosse uscito a prendere un’altra boccata d’aria, o fumo che fosse.
Dentro, la discoteca era ancora piena, accaldata, e l’aria pungente di settembre mi puniva per non aver indossato la giacca e tenere ancora le scarpe in mano.
Riconobbi qualche membro della squadra di football del college, che anche alle feste teneva quell’insopportabile giacchetta con il nome, due gemelle un po’ strambe del corso di Legge e un ragazzo che mi aveva fatto copiare un compito l’anno prima, che poi mica era andato tanto bene, e che tuttavia pensava gli dovessi un favore. Quando si spostò, scostandosi dal muro, notai appoggiato alla parete di mattoni il ragazzo di prima.
Avevo compiuto la mia missione.
Ora toccava alla parte due: “Hai da accendere?”
Feci finta di guardarmi intorno spaesata, estraendo una sigaretta e posandola con cura tra medio e indice, sperando che nessuno arrivasse offrendomi un accendino. Fortunatamente erano tutti abbastanza menefreghisti, così nessuno si fece avanti e mi avvicinai al moro, portando i capelli di lato, ravvivandoli.
“Scusa…- osservai le sue labbra aspirare dalla cartina - …non è che avresti da accendere?”
Con un gesto lento ed estremamente calmo sfilò la sua sigaretta dalle labbra ed espirò il fumo dai polmoni in una sola, grande boccata, girando la testa lateralmente per non rimettermelo in faccia.
Estrasse dalla tasca destra un accendino consumato, scostando il lembo della camicia per afferrarlo, e si spostò dal muro, ponendosi di fronte a me, per poi formare una piccola cappa con le mani e accendere la mia sigaretta, in modo che il vento non la spegnesse.
Poi, con estrema calma, posò l’accendino nella medesima tasca e tornò ad aspirare avido dalla sua.
Presi una boccata, sentendomi incredibilmente rilassata, come se tutto intorno a me, a partire dalle persone, a partire da lui, fossero scomparsi, e ci fossimo solo io e la nicotina. Cielo, quanto avrei voluto avere la forza di smettere.
Espirai, adagiandomi alla parete, non troppo vicina al ragazzo.
Se, in un attimo di follia, pensai che avrebbe provato ad avvicinarsi, o a fare qualche domanda, ma anche solo a girarsi verso di me e guardarmi come mi aveva osservato poco prima, mi sbagliai.
Rimase nella stessa identica posizione a osservare la strada, incurante di ciò che gli succedeva intorno.
Ebbi quindi occasione, mentre finiva la sigaretta, di osservarlo meglio.
Ora che mi ero tolta le scarpe mi sovrastava in altezza, ma non di tanto, dopotutto ero piuttosto alta, e mi piaceva tantissimo esserlo, perché avevo un’altra prospettiva delle cose - incredibile quanto dieci o venti centimetri potessero cambiare tutto.
Aveva delle scarpe da ginnastica, non di quelle che si usavano per correre, ma simili, con l’immancabile simbolo della Nike, e i jeans, stretti alle caviglie, si allargavano leggermente, ma non avevano la vita troppo bassa.
La camicia probabilmente era di lino, tinta di scuro, o comunque di un materiale molto – troppo – leggero, da stupirsi di come non stesse rabbrividendo per il freddo, anche perché i primi due bottoni erano lasciati aperti. Gli orecchini erano i classici puntini argentati che andavano tanto di moda qualche anno prima, ma che continuavano a fare un certo effetto, e l’avambraccio era coperto di tatuaggi di ogni tipo: scritte, oggetti, cose poco identificabili, grovigli indecifrabili.
Non aveva con sé nulla, se non l’accendino e le sigarette, quasi come se sapesse che non gli sarebbe servito nient’altro, e rabbrividii al pensiero che mi stesse aspettando.
Non proferì parola, ma aspettò che la gente intorno a noi se ne andasse, chi ritornò in sala e chi si rifugiò a casa dopo una bella sbronza - alla faccia di Niall che li aveva invitati, e quando non ci fu più anima viva si staccò dalla sua postazione, gettò la sigaretta a terra e si avvicinò alla strada, rimanendo sul bordo del marciapiede e osservando intorno.
Lo sentii dare due colpi di tosse, e decisi che forse era meglio rientrare, mi ero stancata della situazione e cominciavo ad avere freddo, quando questo si girò e mi venne incontro.
Si fermò a pochi passi da me, così provai a presentarmi.
“Juliet.” porsi la mano.
“Bel nome.” rispose stringendola.
No, aspetta, vi era una domanda implicita, avrebbe dovuto dirmi come si chiamava.
“E tu sei…?” chiesi vaga.
“Da ora e per poco ancora, il tuo incubo peggiore.” si avvicinò lentamente ma pericolosamente a me.
Doveva essere ubriaco fradicio per il delirio, ma non lo sembrava affatto, e il suo alito sapeva solamente di tabacco.
Appoggiò le mani ai mattoni rossi, poco distanti dai miei fianchi, e avvicinò la bocca all’incavo del mio collo.
“Non che ti dispiaccia molto, vedo…” sussurrò mordicchiandomi leggermente la pelle.
Avevo bevuto, trovato un bel ragazzo, mi ero divertita: no che non mi dispiaceva, anche se mi metteva un po’ soggezione, chi avrebbe rifiutato?
“Non so come ti chiami.” feci roteare leggermente la testa verso destra per distoglierlo da quello che stava facendo.
“Se avesse importanza, te lo direi.” sì che aveva importanza, ma non mi sentii in grado di ribattere.
Le sue mani robuste scivolarono dal muro ai miei fianchi, che strinse lievemente, mentre con i pollici cominciava a fare piccoli movimenti circolari, che mi facevano sorridere poiché non riuscivo a resistere al solletico.
La sua bocca si spostò dal mio collo alla mascella e per un attimo pensai che mi volesse baciare e che non mi sarei affatto sottratta, invece ritornò tranquillo alla mia spalla mentre trattenevo il fiato.
Dove voleva arrivare? Che lo dicesse subito, stavo perdendo la pazienza.

Improvvisamente sentii la presa sui miei fianchi stringersi ancora di più e un dolore acuto perforarmi la colonna vertebrale, seguito da un bruciore dove era appoggiata la sua bocca.
In un primo momento pensai ad un succhiotto, uno molto molto forte, ma poi realizzai che non era possibile.
Provai una fitta al collo, e subito realizzai che qualcosa aveva perforato la mia pelle, giungendo in profondità. Optai per una siringa, qualche stupefacente o tranquillizzante, ma capii che era qualcos’altro, perché sembrava che tanti piccoli aghi mi avessero bucata e trapassata senza pietà su tutta la lunghezza della schiena.
Stavo per svenire, non riuscivo più a reggermi in piedi e sarei caduta se non fosse stato per la presa salda del mio aggressore, che mi manteneva ritta appoggiata alla parete, finendo la sua tortura.
Cercai di spostarmi, con la poca forza che ancora sentivo di avere, ma fu del tutto inutile. Sentivo infine gli occhi socchiudersi, sicura che non avrei resistito ancora per molto, quando quello si staccò bruscamente da me e mi fece cadere sulle ginocchia.
“Cazzo, no.” era completamente sbiancato in volto, aveva le labbra lucide, come ricoperte di saliva, ma più accesa, di una sostanza che luccicava, e lo sguardo era perso nel vuoto. Indietreggiò ancora un po’ sussurrando parole incomprensibili – o forse udibili ma che, visto il mio stato, non riuscivo a comprendere, udendo solo suoni ovattati – e arrivato al bordo del marciapiede si mise a correre in direzione del quartiere periferico.
Non vidi altro prima di svenire, accasciandomi su un fianco e tastando il segno che mi aveva lasciato, riuscendo a sfiorare due piccoli, profondi buchi nell’incavo del mio collo. Lottai per tenere le palpebre aperte, per gridare, per chiamare Jade, la mia Jade, ma nessun suono usciva dalla mia gola.
Mi sentivo debole, mi sentivo triste, mi sentivo sola, mi sentivo inerme e spaesata. Mi sentivo stupida.
Colpii il pavimento con un tonfo e non riuscii più a distinguere le figure intorno a me.






















 

Oh My Josh.
-ho deciso che questo sarà il mio grido di battaglia nella fic, yeps-
Anyway, ringrazio tutte quante per le recensioni, varie seguite, preferite e ricordate.
Ah, e ci tengo a dire una cosa: probabilmente non è quello che pensate.
E' un nuovo genere di sovrannaturale, diciamo originale.

Joanne






Indossava ancora i vestiti della sera precedente, non aveva nulla con sé, e i suoi occhi non erano più scuri e caldi, ma dorati e inquietanti. “Perché. Non. Sei. Morta?” chiese mentre allentava la presa per permettere che il dolore si protraesse più a lungo. L’unica risposta che fui capace di proferire fu di scuotere la testa in preda dal panico, mentre sentivo che gli occhi stavano diventando lucidi e il respiro affannato. 

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Capitolo 3
*** {III} Alma Negra ***




Cause with every hug and kiss, you're snatching every bit of strength.
 

-Juliet-


 

Il mio cervello si riattivò improvvisamente, focalizzando la visuale delle mie palpebre socchiuse inondate di luce calda. Le strizzai un paio di volte allungando le braccia oltre la testa e inarcando la colonna vertebrale, per svegliarmi. Ritornai alla posizione precedente, buttandomi su un fianco e portando le mani sotto alla testa, quando improvvisamente mi ricordai tutto.
La festa.
La Vodka.
Il ragazzo con la sigaretta.
Il muro.
Il dolore.
Io che mi accasciavo a terra.
Fui presa dal panico e mi rizzai a sedere, costatando solo che ero nel mio letto, sotto il mio plaid beige, con il mio cuscino stretto in mano e i miei poster attaccati alle pareti.
Era stata tutta un’illusione? Qualcosa non andava.

Prendendo tutto il coraggio che avevo, portai di scatto l’indice e il medio della mano destra a sfiorare il mio collo, ritraendole immediatamente.
Che stupida.
Serrai le labbra e portai le dita nuovamente lì, lentamente, quasi tremando, tastando la pelle. Non v’era alcuna traccia dei buchi che avevo sentito la sera prima, ma schiacciando le dita sulla pelle provavo fitte di dolore, e doveva esserci un livido. Mi sedetti sul letto, appoggiando i piedi nudi a terra, e alzandomi lentamente, non ancora certa di quello che stavo facendo, non ancora sicura che sarei riuscita a rimanere in piedi.
A dispetto dei miei presagi, camminavo perfettamente.
Aprii con cautela la porta socchiusa, affacciandomi in salotto.
Jade era seduta sul divano e stava controllando nervosamente il telefonino. Appena mi vide si precipitò nella mia direzione.
“Oddio Juls, stai bene – cominciò tastando ogni parte del mio volto – ho temuto il peggio.” finì abbracciandomi, dapprima con impeto, poi affievolendo la stretta ma sempre tenendo le braccia avvolte intorno a me.
“Cos’è successo? Cos’hai bevuto? Cosa ti hanno fatto? - domandò, mantenendo tuttavia la calma. - Oddio, non sapevo se chiamare l’ambulanza, Santo Cielo, eri stesa a terra priva di sensi!” confabulò poi muovendo nervosamente le braccia. La preoccupazione nella sua voce era tangibile, con una nota, forse, di senso di colpa.
“A-a dir la verità non lo so, Jade. - ammisi scuotendo la testa velocemente e mordendomi l’interno della guancia - P-penso che sia solo dovuto all’alcool… ho bevuto quattro drink e…”.
“Juliet, non mi prendere in giro, con quattro drink non ti avrei trovata in quello stato, fuori dalla discoteca oltretutto.” ribatté seria, ma non dura.
Nonostante me la cavassi molto bene a mentire, con lei non ci riuscivo mai, mi conosceva troppo bene. Per fortuna non aveva chiesto nulla a Niall, altrimenti sarebbe stata ancora più confusa.
“C’era un tizio… io… cazzo, Jade, penso che abbia tentato di rifilarmi qualche stupefacente ma non so… - sentivo la vergogna risalire le mie vene, calda e soffocante - forse ha sentito arrivare qualcuno, ed io sono svenuta…” sentii gli occhi pizzicare, ma la bionda mi strinse in un abbraccio. Cosa avevo fatto? Jade aveva ragione: normalmente, non mi sarei comportata in quel modo. Non sarei mai rimasta da sola con un estraneo in circostanze simili. Tutto quello che mi era successo era colpa mia. Per un po' mi abbracciò nel silenzio, e dopo si staccò, lasciando andare in uno sbuffo tutte le sue paure.
“Non lo fare mai più Juls, per favore. - I suoi occhi erano lucidi, un po' per il sollievo, un po' no - Mi hai fatto preoccupare, ma non c’era nessuno là fuori?”.
“Ha aspettato che se ne andassero.” mormorai, lo sguardo fisso sul pavimento.
“Ehi, tranquilla. E’ strano che ti sia avvicinata così a uno sconosciuto, ma almeno stai bene, no?” mi strofinò una mano sulla spalla.
“Jade sì, m-ma… non capisci, a me sembrava così… così…” fummo fortunatamente interrotte dal suono del campanello, al quale Jade sembrò ricordarsi di qualcosa di importante.
“Ehm… è Niall, sai, era preoccupato anche lui così ha passato qui la notte, era andato da Starbucks a prendere la colazione…” si allontanò con cautela e andò ad aprire il catenaccio, senza prestare attenzione allo spioncino.
La paura mi assalì, pietrificandomi: e se non fosse stato Niall, ma… lui? 

Quando il viso sorridente del mio migliore amico con due buste in mano co
mparve dietro la porta, ogni preoccupazione svanì.
“Ehi Juls, tutto bene?” domandò sorridente poggiando le borse sul ripiano della cucina.
Come faceva a essere così tranquillo?
“Sì, sta bene, sai, ieri sera ha preso una sbornia e non si è sentita molto bene.” disse rapidamente Jade mandandomi un gesto d’intesa.
Capisco, non voleva farlo preoccupare, dopotutto non si sarebbe mai perdonato una cosa simile, non alla sua festa di compleanno.
“Facciamo colazione, bellissime?” domandò appoggiando diversi pacchetti sul tavolo.
Mi alzai andando a sedere sui sedili da bar intorno al bancone della cucina, che davano un tocco moderno all’arredamento, almeno in quella parte della casa.
“Cappuccino, biscotti con gocce di cioccolato, muffin ai frutti di bosco per Juliet, e cioccolata e muffin alla vaniglia per Jade.” ci porse due piatti e un bicchiere di cartone, fumante.
Oh, cibo. A colazione ero una vera e propria ingorda, questo si sapeva bene.
Certo, non superavo Niall e i suoi tripli-cappuccini-special con biscotti assortiti e brioche con doppio cioccolato e crema, ma avevo la mia parte.
“Ti va di fare qualcosa oggi, Juls?” mi domandò pulendosi le mani dallo zucchero a velo.
“Non saprei, almeno questa mattina no, sono molto stanca…” mi riaffiorarono in mente i pensieri della sera prima.
“Va bene, nessun problema. Magari io e Jade possiamo uscire a fare un po’ di spesa, poi io ho gli allenamenti, e questa sera ci vediamo un film, ci state?” propose sgranocchiando uno dei MIEI biscotti al cioccolato.
“Ehi, giù le zampe Horan! Certo che ci stiamo!” lo ammonì scherzando e tirandogli una pacca sulla mano prima che riuscisse a prendermene un secondo.
Era così bello quando eravamo insieme, solo noi tre. Niente era dovuto, niente era aspettato in cambio dei piccoli gesti quotidiani.
Finita la colazione toccò a Jade lavare quelle due posate che avevamo usato e portare giù la spazzatura, dopodiché sistemai un poco la mia camera, cercando di tenere lontani i brutti pensieri, e nonostante sapessi benissimo che mi sarei tuffata sotto le coperte appena i biondi avrebbero varcato la porta di casa. Indossai dei pantaloncini corti e un maglione a righe ampio e molto, molto comodo.
Quando tornai di là erano pronti per uscire.
“E non dimenticare lo yogurt con i pezzi di fragola! – ammonii Jade – e di ciliegia! E il gelato alla vaniglia!”
“Sì, Juls, lo so.” mi stampò un bacio sulla guancia uscendo da casa, seguita da Niall, che congedai con un abbraccio e una strigliata di capelli, per concedergli quel tocco sbarazzino che aveva già, e per farlo innervosire.
 
Mi buttai a peso morto sul divano, agguantando l’Ipod e premendo sul tasto di riproduzione casuale. Sì, casuale nel senso che, solitamente, giravo fino a quando non trovavo la canzone che mi piaceva e che avevo voglia di sentire in quell’istante. Tuttavia, troppo stanca, lo lasciai scivolare giù dal divano lasciandomi cullare dalla melodia ignota.
Sì, cullare mica tanto, partì un ritmo spagnoleggiante che decisi di lasciare, chissà, magari mi avrebbe svegliata. Non sapevo neanche se volevo ripensare a quello che era successo o lasciarmelo completamente alle spalle e non parlarne con nessuno, non fare assolutamente nulla al riguardo. Sclesi che avrei rinviato la decisione. 
 
Tengo la camisa negra
hoy mi amor esta de luto
 
Hoy tengo en el alma una pena
y es por culpa de tu embrujo
 
Hoy sé que tú ya no me quieres
y eso es lo que más me hiere
 
que tengo la camisa negra
y una pena que me duele
mal parece que solo me quedé
y fue pura todita tu mentira
que maldita mala suerte la mía
que aquel día te encontré
por beber del veneno malevo de tu amor
yo quedé moribundo y lleno de dolor
respiré de ese humo amargo de tu adiós
y desde que tú te fuiste yo solo tengo…
tengo la camisa negra
porque negra tengo el alma
yo por ti perdí la calma
y casi pierdo hasta mi cama
cama cama caman baby
te digo con disimulo
que tengo la camisa negra
y debajo tengo el difunto

 
Solo arrivata al ritornello mi resi conto delle parole, cominciando, almeno cercando, di tradurle e comprenderle:
ho solo la camicia nera 
perché ho l'anima nera 
e per te ho perso la calma.

Mi ricordava terribilmente la sera precedente.
Che cosa aveva detto il ragazzo, le uniche parole che mi aveva rivolto? “Adesso e ancora per poco, il tuo peggior incubo." Ancora per poco.
Il significato di quelle parole equivaleva a una fitta di dolore acuto in petto: secondo i suoi piani, allora, non sarei dovuta essere ancora qui, ancora viva.
Se ne sentivano di aggressioni finiti con la morte, o peggio, ma non avevo mai pensato che una cosa simile potrebbe essere accaduta a me, se solo… se solo cosa? Perché si era fermato?
Continue domande mi ronzavano in testa, e non ce la facevo più. Portai una mano sulla mia bocca, per impedirmi di singhiozzare. Sentivo le lacrime arrivare, ma non volevo lasciarle uscire.
Ero al sicuro, ma continuavo a sentirmi spaventata e in pericolo.
 
...te lo dico dissimulando, 
che ho la camicia nera 
e sotto ho il defunto, 
ho la camicia nera. 
Basta, mi aveva stancato. Tolsi le cuffiette e le lanciai rabbiosamente a terra, mentre sentivo la musica continuare imperterrita di sottofondo.
Avevo ancora un po’ di tempo prima che Jade tornasse a casa – era uscita da due minuti, sì, Juliet, ragiona – così decisi di guardare un po’ di televisione, sperando che mi avrebbe distratta, e poi farmi una lunga, lunga doccia.
Feci appena in tempo a zappare due canali, quando suonarono alla porta.
Oh, Jade era incorreggibile, cosa si era dimenticata questa volta?
“Arrivo, un attimo!” urlai mentre il mio sguardo cadeva su un piccolo ombrello rosso appoggiato sul ripiano della cucina. Mi girai istintivamente verso la grande vetrata del salotto, accorgendomi che pioveva, e anche con un’intensità notevole.
Aspettandomi quindi una Jade semi-fradicia che reclamava il suo ombrello, sgridata da Niall, aprii la porta.
“Tieni, sta più attent-“ dissi sorridendo porgendole l’ombrello, quando mi accorsi che non era la mia amica quella fuori dalla porta.
 

Senza nemmeno pensarci cercai subito di chiuderla, senza aspettare un attimo di più, quando il ragazzo oppose resistenza, e mi trovai a spingere la porta con tutta la mia forza, facendo leva con le mani e il busto, cambiando poi con le spalle.
Tuttavia non durai a lungo, lui era molto più forte di me, e quando vidi una mano fare capolino, feci l’unica cosa che mi venne in mente, mollai la presa di scatto per destabilizzarlo e corsi verso la camera da letto di Jade per chiudermi dentro, certa che sarei riuscita a chiamare i miei amici prima che il ragazzo sfondasse anche quella porta.
Sentivo il cuore battere a mille, non riuscico a pensare e non ero mai stata così spaventata in vita mia, nemmeno la sera precedente, mai.
La consapevolezza peggiorava il tutto.

Pensai di morire d’infarto quando sentii la sua mano afferrarmi il collo e sbattermi contro la parete del salotto, alzandomi dal pavimento.
Lo osservai cercando di respirare, per quanto mi fosse possibile, visto che se avesse continuato a tenere la presa così salda, sarei soffocata da un attimo all’altro.
Indossava ancora i vestiti della sera precedente, non aveva nulla con sé, e i suoi occhi non erano più scuri e caldi, ma dorati e inquietanti.
“Perché. Non. Sei. Morta?” chiese mentre allentava la presa ma il dolore restava costante.
L’unica risposta che fui capace di proferire fu di scuotere la testa in preda dal panico, mentre sentivo i miei occhi diventare lucidi e il respiro affannato. Mollò la mano stretta sul mio collo e mi schiacciò completamente al muro, bloccandomi col suo stesso corpo, mentre con le mani mi scostava i capelli e passava un dito sopra la ferita. D'istinto, girai la testa di lato, sentendo il cuore battere all'impazzata per la paura.
Quando premette l’indice sulla mia pelle mi sentii andare a fuoco e tentaii di dimenarmi, ottenendo solo che posasse una mano sul mio fianco, imprecandomi di stare ferma.
Forse, se avessi tentato di urlare, qualcuno mi avrebbe sentito, ma avrei anche ottenuto solo una fine più rapida e dolorosa. Cercai di essere il più razionale possibile, guardando in ogni direzione per un'ancora di salvezza, ma ancora seguendo il mio istinto, cercai di farlo cadere tirandogli un calcio nello stinco, ottenendo solo che bloccasse pure la mia gamba con la sua.
“Vuoi provare qualcos’altro?” domandò divertito osservandomi, ma anche parecchio scocciato e infastidito.
Cercai di rassegnarmi, non potevo fare nulla se non sperare che Jade si fosse effettivamente dimenticata l’ombrello e tornasse su da un momento all’altro. O forse, in effetti, era meglio che non tornasse affatto.
Volevo ricordare il volto del mio aggressore, così lo fissai intensamente negli occhi.
Nei contatti del genere, solitamente, una delle due parti distoglie sempre lo sguardo, per imbarazzo, o per disturbo, invece mi sembrò quasi che lui, non aspettando altro, leggesse dentro i miei occhi azzurri, fragili come l’onda del mare che s’infrangeva sulla sabbia dorata, i suoi.
“No. Non a me. Non può essere successo.” ritrasse la mano lasciando, nuovamente, la presa, e mi ritrovai a tossire accasciandomi a terra.
I suoi occhi erano tornati scuri, quasi confortanti in quel mare di terrore perché ora, quello in panico, sembrava essere lui.
Si avvicinò alla finestra, la aprì con una velocità tale che malapena lo vidi, e saltò giù.
Riuscii a sentire l’impatto con una pozzanghera, e poi restai lì, ancora sconvolta.
Che cosa diamine stava succedendo?
L’unico pensiero coerente che riuscii a formulare, avendo infine preso coraggio ed essendomi affacciata dalla finestra del mio appartamento al quarto piano, fu che non era possibile compiere quel salto senza, come minimo, morire. Sentendo l’aria gelida e la grandine sulla mia pelle, capii anche che non aveva ancora finito il suo compito, e ci saremmo rivisti presto.
Non potevo sapere, però, che quel presto sarebbe arrivato molto prima di quanto immaginassi.






















Oh My Josh.
Vi ringrazio per tutte le parole gentili,
le vostre recensioni per me valgono sempre tantissimo.
Ci avviciniamo alla soluzione del "mistero", che sarà grossomodo fra due capitoli.
Attente con le conclusioni, continuo a ripetervi che è un sovrannaturale nuovo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto,

Joanne






Non sapevo perché provavo tutta quest’attrazione, semplicemente le mie gambe volevano correre e trovarlo.
Era la stessa sensazione che avevo provato quella sera, in discoteca. Fortissima, sconvolgente, non le potevi resistere.
Come se lui fosse stato una calamita con polo negativo, ed io quello positivo, che lavoravano ad orari alterni, ma in alcuni momenti s’incontravano.

 

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Capitolo 4
*** {IV} Zayn ***



...That I'm goin' need to fight off the inevitable.

 

-Juliet-


Erano passate cinque ore.

Mi ero chiusa in casa a chiave. Avevo sistemato le finestre, tutto. Jade era tornata, avevamo mangiato. Era uscita di nuovo per incontrare un’amica: nonostante insistesse per rimanere con me, non volevo rovinarle la giornata. Ero nuovamente rimasta a casa da sola, un po’ spaventata, un coltello da cucina al mio fianco.
Non era ancora successo nulla, e Niall e la mia coinquilina sarebbero tornati da un momento all’altro.
Penso fosse abbastanza evidente che, però, diventavo sempre più agitata. Non sapevo se farne parola con qualcuno o evitare. Non nascondevo nulla a Jade, solitamente, ma le parole che mi aveva rivolto il ragazzo, il suo modo di fare, qualcosa mi diceva che non era il caso di non parlarne, non ancora almeno. Di sicuro non era stato un incidente casuale, ma ora dovevo decidere se affrontarlo da sola o coinvolgere altri. Il problema era che non mi fidavo di nessuno, Jade e Niall esclusi. E per quanto riguardava loro, non volevo esporli al pericolo. 
Se il ragazzo aveva trovato il mio indirizzo di casa era pericoloso, e ben informato, e sarei dovuta stare attenta.
Infine decisi che, se l’avessi incontrato di nuovo, mi sarei confidata con Jade.
Se l’avessi incontrato e fossi stata in grado di dirlo a qualcuno, s’intende.

Finii di strofinare i capelli nell’asciugamano, togliendo le ultime goccioline, e tornai in camera, stendendomi sul letto e afferrando un paio di libri da sfogliare. Il mio comodino ne era sempre provvisto. Nello stesso momento in cui li presi, suonarono nuovamente al citofono. Guardai l’orologio, erano loro. M’infilai velocemente un paio di pantaloni di tuta, una maglietta bianca e un maglione comodo, e corsi ad aprire.
Scendendo dal letto, però, urtai inavvertitamente il comodino, facendo cadere i libri.
Feci per rimetterli al loro posto, quando una copertina scura attirò la mia attenzione. Era un libro di Anne Rice, una brava scrittrice di supernaturale. Quando i miei occhi si soffermarono sul titolo, ebbi un fremito.
Interview with the vampire.
Intervista col vampiro.
Col vampiro.
V a m p i r o.
La mia mente corse troppo velocemente, e il campanello squillò un’altra volta e un'altra ancora. Lasciai il volume e corsi in salotto, precipitandomi alla porta.
“Ta-daaaaaaa” Niall fece la sua entrata, carico di pacchetti.
“Abbiamo preso pop-corn, pop-corn, fonzies, pop-corn e… oh, guarda, pop-corn!” urlò Jade seguita dall’approvazione dell’irlandese, che non la smetteva di attingere da uno dei grandi contenitori formato cinema.
“sci, efhofessounfilm, belliffimo!” mugugnò sputacchiando mais da tutte le parti e buttandosi a peso morto sul divano.
“Quale?” chiesi andando ad accendere il video registratore, sintonizzandolo sulla rete giusta e premendo il tasto Open del telecomando.
“Intervista col vampiro! E’ uno dei tuoi film preferiti, vero, Juliet?” me lo lanciò. Lo afferrai all'ultimo, evitando che mi colpisse in faccia.
La mia mente si era fermata a vampiro.
V a m p i r o.
“Oh... sì.” annuii e lo inserì nel registratore.
Le mani mi tremavano.
“Tutto bene, Juls?” domandò Jade, un po’ preoccupata.
“No, no. Tutto bene, ho solo un po’ freddo, ecco.” sorrisi andando a sedermi tra i miei due amici.
“No problema, no problema, super Niall avere super coperta!” esclamò il biondo prendendo un grande plaid patchwork.
La cosa buona era che, lì dentro, nessuno avrebbe notato i miei tremori.
“Grazie, James.” gli lasciai un bacio sulla punta del naso e mi avvolsi nel plaid, aspettando che Tom Cruise e Brad Pitt facessero la loro comparsa sullo schermo. Il mio preferito, ovviamente, era Brad Pitt.
 
Il film fu snervante, molto snervante. Non riuscivo a smettere di pensare, la mia mente era altrove. Ero quasi sicura che i vampiri, o creature analoghe, non esistessero, e comunque non avevo avuto perdite di sangue, lo sconosciuto non sembrava interessato ai miei globuli rossi e la sua temperatura corporea non era affatto bassa. Qualcosa, però, mi diceva che ero sulla strada giusta. Folle, ma giusta.
Rabbrividii un paio di volte, quando Lestat morse Louise, sul collo, e in una scena simile, provando delle fitte di dolore per il ricordo. Jade sospettò qualcosa, e mi strinse la mano sotto la coperta. No, non poteva neanche immaginare.
Finita la pellicola, Niall tornò a casa, diedi il bacio della buonanotte alla bionda e rotolai nel mio letto, decisa solo a dormire, dormire e dimenticare.
 
Il tempo passava, ma il mio stato non migliorava, anzi.
La sofferenza che prima mi attanagliava solo a livello mentale sembrava essersi propagata per tutto il mio corpo.
La testa mi faceva male, pulsava, non riuscivo ad addormentarmi.
Le gambe erano pesanti, stanche come dopo una lunga camminata.
Cominciai a provare difficoltà nel respirare, e mi alzai a sedere.
Che cosa stava succedendo?
Sentivo un desiderio crescere, bruciare, una necessità, qualcosa richiamava la mia attenzione, ma non sapevo dove trovarla, dove cercarla.
Diedi un’occhiata al cellulare: solo le tre di notte, ed ero madida di sudore.
Ebbi l’impulso di vestirmi, e così feci, senza nemmeno pensarci infilai le scarpe, un’altra felpa, presi il cellulare e uscii di casa, scendendo in strada. Aprendo la porta d’ingresso un’ondata di freddo mi travolse, ma le ero inerme, non mi toccava, al momento percepivo solo che la mia respirazione diventava sempre più lenta e sentivo un bisogno disperato. Non di una bombola d’ossigeno, di un dottore, di un letto caldo.
Di lui.
Sentivo il bisogno di ritrovare quel ragazzo, non sarei mai riuscita ad addormentarmi, ad essere in pace con me stessa, senza rivederlo. Sentivo di avere una febbre che ad ogni secondo continuava a salire e salire, e il mio corpo si slanciava verso la cura mentre la mia mente era troppo annebbiata dal dolore per capire. Non sapevo perché provavo tutta quest’attrazione, semplicemente le mie gambe, improvvisamente agili, volevano correre e trovarlo. Era la stessa sensazione che avevo provato quella sera, in discoteca.
Fortissima, sconvolgente, non le potevi resistere.
Come se lui fosse stato una calamita con polo negativo, ed io quello positivo, che lavoravano ad orari alterni, ma in alcuni momenti s’incontravano. Non mi accorsi che le gambe avevano cominciato a muoversi, e stavo correndo più veloce di quanto avessi mai fatto. Il giorno prima sarei voluta scappare, e ora andavo incontro ai miei problemi. Il punto era che non sapevo nemmeno il perché, lo facevo e basta. Correvo da lui. Ero una vittima, pronta per il rapimento.*
 
Arrivai in un parco, che forse avevo già visto, tuttavia irriconoscibile per il buio, e lo attraversai, rallentando il ritmo di corsa e ansimando rumorosamente.
Ora che ero ferma, sentivo il vento spirare tra i rami delle querce, e scorgevo un vecchio lampione che mandava segnali di luce intermittenti.
Il tutto era molto, troppo inquietante, maledetta io e i miei film dell’orrore. In lontananza scorgevo dei condomini un po’ rozzi, tutti vicini, appiccicati, di vecchia data, ma che sembravano abitati per via delle persiane qua chiuse e là aperte, e di alcune voci di sottofondo a malapena udibili, senza le quali il parco sarebbe stato decisamente silenzioso e ancora più minaccioso.
Improvvisamente sentii le ginocchia cedere, e caddi a terra. Avevano svolto il loro compito, mi avevano portato lì, e ora non volevano più andarsene. Non riuscii a spiegarmene il perché fino a quando i miei polmoni cercarono di portare aria fresca dentro al mio corpo. Non respiravo più: le narici erano bloccate, come se stessi annegando, come un pesce fuor d’acqua. Purtroppo d’acqua nei dintorni non ce n’era, e nessuno mi avrebbe potuto aiutare.
Quando stavo per sentire i polmoni scoppiare, le narici si liberarono violentemente, e rinvenni con colpi di tosse secchi, trattenendo un conato di vomito, percependo due braccia stringermi stretta la vita. No, no, no-
“Sapevo che saresti venuta.” mormorò sul mio collo.
L’avevo trovato. O mi aveva trovata?
Il bisogno disperato di qualche minuto prima si tramutò in terrore.
“Beh, in caso contrario, dubito saresti ancora qui fra noi.” continuò, e lo sentii sorridere sulla mia spalla, facendomi il solletico.
Per un attimo ebbi la sensazione di essere inspiegabilmente al sicuro, ma mi dovetti ricredere quando un panno umido fece presa sul mio volto, e pur dimenandomi, inalai la sostanza e caddi in un sonno profondo.
 
Quando mi risvegliai, questa volta, fui travolta dal terrore. Non ci fu bisogno di tempo per prenderne coscienza, sapevo già di essere in trappola. Ero sdraiata su un letto, in una stanza fiocamente illuminata dalla luna. C’erano un armadio, una scrivania, fogli ovunque, foto attaccate alle pareti. La porta era chiusa - non ebbi bisogno di provare ad aprirla - di sicuro a chiave.
La finestra dava su sei piani di vuoto: non potevo scappare.
Sarei morta, se mi andava bene. In alternativa, non ci volevo neanche pensare. Se fosse andata ancora peggio, sarei capitata in qualche giro di prostituzione, come in quel film che mi aveva lasciata profondamente traumatizzata quando avevo dieci anni.
Un desiderio s’impossessò di me: potevo nascondermi. No, non potevo. O sì?
Dove andavo? Sotto il letto? Che cosa credevo, che sarei riuscita a scappare? Che non avrebbe controllato?
Dopotutto, sarei dovuta morire lo stesso, tanto valeva provarci. Sentii un rumore di passi che si avvicinavano, e mi nascosi sotto la grata del materasso, a contatto con il parquet. Il letto era basso, e dovetti prendere tutto il coraggio che avevo per resistere: soffrivo di claustrofobia, e di certo la cosa non aiutava. Mi sentivo schiacciata, stavo malissimo, ero nel panico. La porta si aprì, e vidi le scarpe grigie del ragazzo fare capolino. Entrò nella stanza e ne uscì subito dopo, lasciando il passaggio aperto.
La speranza si fece di nuovo strada in me, e senza esitare sgattaiolai fuori dal mio nascondiglio e raggiunsi la porta socchiusa, restando a contatto con la parete per sbirciare nell'altra stanza.
Valicai la soglia, finendo in un salotto ordinato ma un po’ trascurato, che si apriva a sinistra con delle finestre. A destra, però, non c’era alcuna traccia della porta: un’immensa parete tappezzata di poster e foto fu tutto quello che riuscii a scorgere, mentre la paura s’impossessava di me per l’ennesima volta.
 
“Non la troverai.” quella voce mi fece rabbrividire.
Vidi prima le sue gambe, poi il busto e il viso spuntare dall’angolo in fondo alla stanza, emergendo dall’oscurità in cui erano celate. Ora sì che ero spacciata.
“Cosa vuoi da me?” scoppiai, urlando, cercando di incontrare i suoi occhi.
“Non avevo voglia di venirti a prendere sotto al letto, davvero sei così ingenua?” rise pensando alla mia trovata di poco prima, senza perdere la sua compostezza. Per quanto non riuscissi a vederla in questo modo, il suo atteggiamento non sembrava minaccioso, come se fosse cambiato completamente in poche ore.
“Rispondi.” marcai la parola duramente, nonostante alcune lacrime indicassero la mia fragilità. Inarcò le sopracciglia, sorpreso.
“Cosa voglio da te? Suvvia, non l’hai ancora capito? – fece una pausa, ritornando alla solita voce calma e inquietante – Voglio te.”
Cosa fa in questi casi la ragazza impaurita, nella solita pellicola da cinema? Indietreggia fino a quando non colpisce un muro e si trova in trappola. Senza trovare un’alternativa migliore, fu quello che mi ritrovai a fare.
“E-e cosa m-mi vuoi fare?” chiesi balbettando.
“Capire perché è toccato proprio a te.” sussurrò spostandomi una ciocca di capelli dal viso, che si era attaccata alla guancia per via delle lacrime.
“Capitarmi cosa?”
“Vivere. Sopravvivere. Resistere. Non sarebbe dovuto succedere.” Avevo ragione, allora sarei dovuta morire.
“Non voglio farti del male. – cercò il mio sguardo – Non più.” si corresse, spostandosi e indicandomi la sua camera. Non avendo molta scelta, procedetti incerta verso la stanza, sedendomi per terra, sul parquet. Non mi sentivo a mio agio, provate a contraddirmi. Lo sentii sbuffare, e si accomodò al mio fianco, appoggiandosi alla fiancata del letto a due piazze.
Mi chiamo Zayn - mi girai a osservarlo, mentre rispondeva alla domanda che gli avevo rivolto tempo fa – e da un po’ di tempo non vivo per morire.
Mi costò fatica cercare di comprendere quelle parole, e scossi la testa. No, non mi sembrava essere un sadico ossessionato da riti, sacrifici e cose del genere. Da una parte mi veniva da ridere, ma sapevo che non era una grande idea.
“Non è come pensi. – mi lesse nel pensiero – Non è stata una mia scelta. O, più o meno lo è stata, ma non ne ero cosciente, e risale a molto, molto tempo fa, quando non avrei potuto tener conto della gravità della decisione.”
“Per favore, non capisco più nulla. – scoppiai singhiozzando – Mi dici cosa sta succedendo? Sono impazzita?”

C’è un momento prima della morte. – m’interruppe – Un momento in cui daresti ogni singola cosa per evitarla. In cui uccideresti, per evitarla. E’ allora che nasce tutto.





















Oh My Josh.
Eccoci qui, devo dirvi che personalmente adoro questo capitolo - w la modestia.
Lo considerò un po' il primo incontro civile fra i due.
Spero di cuore che intrighi anche voi, perché, ebbene sì, ora si entra al cento per cento nella vicenda.
*ripresa dalla canzone ET di katy perry, una delle mie ispiratrici per la fan fiction.
Ringrazio tutte per le bellissime parole, 
Saluto le prime Jade//Niall shipper,

Joanne





Buttai la testa all’indietro scoppiando a ridere. “Sai, Zayn. Mi sembra di vivere in un film, è impossibile…”
“La mia vita è un film. Purtroppo credo che sia classificabile solo nella sezione dell’orrore.” rispose sottovoce, riuscendo così a nascondere ulteriormente i suoi sentimenti. 

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Capitolo 5
*** {V} Horror Story ***


 
And it's a heart breaking situation;


-Juliet-

 
Stavo per ribattere, quando lui mi fece segno di stare zitta e continuò. Insolente.
“Non m'interessa se non mi crederai, perché so che non mi denuncerai, almeno fin quando sarai sotto il mio effetto." mi lanciò un'occhiata carica di significato. Va bene, era pazzo. Magari assecondandolo sarei riuscita ad andarmene.
“Dicevo... c’è un momento, quando stai per morire, dove saresti disposto a fare di tutto per scampare alla morte. Di tutto, non puoi immaginare come sia. – i suoi occhi si annebbiarono – Qualche… decennio fa, è capitato a me. Per favore non urlare. - mi bloccò, posando due dita sulle mie labbra – In una rissa, stavo per morire, ero finito in mezzo per difendere un amico… mi è arrivato un colpo in testa, sono caduto, è terribile da ricordare. Rimane comunque, che da quel giorno la mia vita non è più la stessa.” parlava con estrema lentezza, e almeno questo mi faceva piacere, visto che non riuscivo ad assimilare le sue parole.
Non comprendevo quello che stava dicendo… qualche decennio fa? Poi mi tornò in mente il film, il libro, i vampiri.
“Non voglio succhiare via il tuo sangue, non sono qui per un rito iniziatico, i vampiri non esistono. – cercò di calmarmi, almeno credo – Io non sono un vampiro, assolutamente.”
“A-allora che cosa sei? Sei diverso da me, l’ho notato.” chiesi cercando di mantenere la voce ferma.
Il modo in cui si esprimeva, il suo portamento, la sua voce, erano così ipnotici. Poteva essere il diavolo, poteva essere un angelo.
Sono un parassita.” sentenziò estremamente calmo, nonostante le sue parole mi facessero tornare i brividi a fior di pelle. Non sapevo se mi ero messa in una situazione peggiore della precedente o se adesso le cose sarebbero andate meglio.
“O qualcosa di simile. – continuò – I parassiti per definizione sono esseri che si uniscono ad altre forme di vita e sopravvivono grazie a loro. Io faccio una cosa del genere. Mi nutro dell’energia altrui.” affermò, piuttosto cupo. L'ultimo briciolo di insolenza era scomparso dai suoi occhi.
Mi servii qualche secondo per accettare la cosa. Inizialmente pensai a uno scherzo, ma neanche questa ipotesi mi convinceva, non portava a nulla. Ci doveva essere qualche legge scientifica che permetteva una cosa simile, no? Sapevo bene che la maggior parte delle cose che succedevano nel mondo erano irrazionali, inspiegabili su carta, ma mi sembrava di esser stata catapultata in un romanzo di fantascienza. L'avevo sempre desiderato, e ora me ne pentivo. Almeno riuscivo a vedere una sottile e fragile linea di luce all'orizzonte.
“Non ho paura. Spiegami.” le parole mi uscirono spontanee, non le pensai nemmeno, la curiosità sopprimeva qualsiasi altra emozione.
“In quell’istante, nella morte, afferrai il braccio di un ragazzo che protestava, picchiava e si dimenava, lì vicino. Non so perché lo feci, ma sentivo che era giusto e basta, qualcosa mi spingeva a prenderlo… e a morderlo. Affondai i denti nel suo polso, e all’inizio non capii quello che stavo facendo, ma poi diventò tutto più chiaro. Con il tempo, e con aiuto. Non sono l’unico. Quella volta, scoprii dopo tempo, avevo succhiato via al ragazzo la sua energia vitale. Lo avevo completamente privato di forze ed energie. Una cosa che la scienza non può spiegare al giorno d'oggi, perché non è di così ampie vedute di quanto si creda e anche perchè a noi non tornerebbe utile essere scoperti.” non che sembrasse impaurito, ma si vedeva che non gli faceva piacere ricordare quei momenti.
“Non capisco.” in fondo era la verità, non capivo cosa stava cercando di dirmi. Come potevo?
“Sono un parassita, te l’ho detto. Uccido le persone in 'stile vampiro', ma a posto del sangue prendo loro l’energia vitale, che ti assicuro, è molto meglio. Il sangue mi fa schifo. – rabbrividì a causa di qualche brutto ricordo  - Con te, l’altra sera, qualcosa è andato storto, molto probabilmente ho fatto un errore.” voleva capire cos’era successo con me, ma io avevo bisogno di altre spiegazioni. Molto probabilmente lo intuì, perché ricominciò a parlare, fermandosi spesso per delle pause, evitando di far trapelare troppe emozioni.
“Non hanno mai scoperto nulla, perché una volta morta, la persona esaurisce all’istante tutta la sua energia vitale. Tutti la possiedono, peròa lcuni ne hanno molta – si girò verso di me – altri, invece, davvero poca, quasi nulla. Con la pratica, si impara a riconoscere le persone giuste.”
“N-non… energia vitale? Io pensavo… l’anima, il sangue. Non può esistere.” scossi la testa, decisa.
“Se non esistesse io sarei morto un po’ di tempo fa, non credi? - le sue labbra si incurvarono in un sorriso che esprimeva ovvietà - L’energia vitale è un liquido trasparente, alla vista simile alla saliva, che scorre insieme al sangue, in uno strato esterno delle vene e delle arterie, proteggendolo. Non può essere toccato da strumenti umani, non può essere dimostrato, puoi solo sapere che si trova lì, e che è tutto, tutto per te.” mi venne improvvisamente il desiderio di provare, controllare, ma sarebbe stato totalmente inutile. Dalle sue ultime parole, avevo finalmente compreso. Ero davvero finita in una di quelle storie, di quei romanzi fantascientifici. Quale personaggio sarei stata?
“Con te, però – attirò la mia attenzione – è andata in maniera diversa. Io non voglio ucciderti, non lo desidero più, ti puoi fidare di me… ci puoi provare, almeno. - incertezza - Quella sera, avevi bevuto?” mi domandò, per la prima volta.
“Sì… un poc-“ mormorai a bassa voce.
“Cazzo, ecco perché!” urlò battendo il pugno contro il pavimento, spaventandomi.
“No, scusa, non volevo, è che… - si passò una mano sugli occhi, strofinandoli - sopravvivere a noi può essere difficile, molto più difficile di quanto tu possa credere. Non poche persone sono impazzite, credendo di trovarsi in uno strano universo, o ci hanno minacciato di dirlo alla polizia e simili, constringendoci a ucciderli in maniera più… umana.” rabbrividii alla visione di Zayn che accoltellava o sparava a una giovane ragazza.
“E’ tutto quello che devo sapere?”
“Sì…” mormorò incerto.
Perché hai scelto me?” me le sarei cercate, le risposte. Andassero al diavolo lui e le sue frasi criptiche.
“Mi hai incuriosito – sorrise, e per una volta non ebbi paura – E avevi un enorme quantitativo di energia.”
“Perché non hai cercato di uccidermi di nuovo, ma ti sei fermato?” era una delle cose che non riuscivo davvero a capire.
Quando ti ho guardato negli occhi… ho capito che non avrei dovuto farlo.” scosse la testa con incertezza. Compresi che questa confessione gli era costata cara, ed evitai di porgere nuove domande, quando fu lui a intervenire.
“Sai perché stanotte ti sei svegliata in quelle condizioni?” domandò, mentre pensai al respiro che si affievoliva, al battito cardiaco che si faceva più lento, e scossi la testa.
“Perché la tua energia vitale… vuole indietro la parte che ti ho sottratto. E finché sarai sotto l’effetto di questo legame, non potrai passare più di una giornata sopravvivendo, se resterai lontana da essa, dalla quantità che ora è nel mio corpo. Che scorre nelle mie vene, alimentandomi.”
Fui capace di formulare un solo pensiero, mentre capivo perché ora, in quella stanza, con lui, mi sentivo così calma e protetta.
“E t-tra quanto finirà?” balbettai.
“Una settimana, un mese, tre mesi, un anno. Non ne ho la minima idea. Dipende tutto da quanta energia userò, dagli sforzi che compirò.”
Mollai tutte le angosce, le ansie, e buttai la testa all’indietro scoppiando a ridere; “Sai, mi sembra di vivere in un film, è impossibile…”
“La mia vita è un film. Purtroppo credo che sia classificabile solo nella sezione dell’orrore.” rispose sottovoce, riuscendo così a nascondere ulteriormente i suoi sentimenti. Mi spiazzò.
Cos’avrei fatto, ora?
“Cosa farò... faremo, adesso?” arrossii e rabbrividii al pensiero che avrei dovuto passare così tanto tempo con lui.
“Aspetteremo che l’energia se ne vada. Ma non credo che quel momento arriverà così in fretta. Troveremo delle scuse, e tu starai con me nel frattempo… a passare il tempo, intendo, non ti obbligherò a fare nulla. Mi sembra già abbastanza orribile quello che ho cercato di farti. Io…non… uccidere...
Se fino ad allora avevo pensato a Zayn come un assassino, un ragazzo che sapeva manipolare vite umane per raggiungere i suoi scopi, ora compresi quello che doveva passare, ogni giorno.
Si dice che una volta trasgredita la legge, ci prendi l’abitudine.
Era così facile anche abituarsi ad uccidere?

Quante città aveva cambiato, quanti documenti falsificato, quante persone lasciato, per “vivere” in questa maniera, da parassita?
“Zayn, posso farti una domanda?” chiesi un po’ preoccupata dalla risposta che mi avrebbe dato. Acconsentì, e allora gli porsi l’interrogativo che mi tormentava.
“Come fai a uccidere le persone… senza che la gente non se ne accorga mai?” ero in una stanza con un assassino, e mi preoccupavo di come facesse sparire i cadaveri delle sue vittime. Avevo decisamente bisogno di rivedere le mie priorità, ma trovavo questo punto fondamentale.
Se mi avesse uccisa, mi avrebbe gettato in un fosso? Mi avrebbe fatto scomparire per sempre, dandomi per rapita? Sorrise, come se si aspettasse un’eventuale domanda: cominciavo davvero a pensare che potesse leggere nel pensiero, ma restai in silenzio.
“Una volta cambiavo città molto spesso: non sapevo controllare bene i miei istinti e non davo molto peso a queste cose, quindi ero costretto a fuggire. Ovviamente mi sbarazzavo dei corpi in maniera che non potessero mai essere ritrovati. Poi ho iniziato a distribuire meglio l’energia, l’ho conosciuta, imparato a vivere con lei, e a dosarla meglio. Da allora ho scelto con più cura le vittime, e anche più raramente. Londra è una città grande, spesso mi capitano ex-tossicodipendenti, qualche volta ho ucciso persone anziane in punto di morte in modo che non si sospetti nulla… oppure alle feste, come l’altra sera…” forzò un sorriso. Doveva sembrare incredibile anche a lui che gli credessi, ma qualcosa mi diceva che era stato sincero, e per quanto mi sforzassi di dare una causa razionale agli eventi la sua era l'unica che spiegasse, paradossalmente, con razionalità, quanto avvenuto. Certamente poi il problema non era chi uccideva, ma il fatto in sé. Riuscivo a stento a immaginarmi le famiglie dei malcapitati, piangere e tormentarsi per la scomparsa dei figli… era una cosa orribile, ma avrei dovuto accettarla.
Non che avessi molta scelta.
“E… rimani sempre così?” feci allusione alla sua forma fisica.
“Sono io a sceglierlo. Potrei invecchiare normalmente, ma non avrebbe senso. Rimango così, usando un po’ di energia vitale in più. E penso che sottraendone a te, tu sia ringiovanita di qualche mese, una cosa da nulla, ma qualche volta capita.” continuò a spiegare. Avrei voluto fargli migliaia di altre domande, ma ero stanchissima, e anche lui sembrava piuttosto scosso. Si alzò, e si avvicinò alla porta.
“Vuoi del the?” mi chiese.
“Oh, sì… magari.” spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e lo seguii nell’altra stanza, non sapevo qual era la distanza minima per non stare male, e non volevo correre rischio, inoltre m’incuriosiva il suo modo di fare. Mia zia Shirley una volta mi aveva detto che la mia curiosità mi avrebbe fatto scoprire qualcosa di straordinario o mi avrebbe fatta finire in fondo a un fosso: capii quale sarebbe stata l'opzione vincente. Rientrai per la seconda volta nel salottino, con molta più calma di poco prima. Mi fece la stessa impressione, ma sembrò più confortevole. Mi abbandonai sul divano rosso, dalle forme moderne, e mi appropriai di una coperta lì vicino, posandola sulle gambe.
La struttura della casa non era troppo diversa dalla mia, e riuscivo a scorgerlo nella piccola cucina, mentre metteva a bollire l’acqua e afferrava delle bustine verde acceso.
Il suo atteggiamento non m’incuteva più timore, solo un po' di soggezione, ma ogni qualvolta pensavo di essere in casa con una persona che per obbligo, destino o meno, uccideva a sangue freddo, mi sentivo un po’ in trappola e avevo timore che attaccasse. Ebbi nuovamente da ricredermi quando arrivò, poco dopo, con due tazze bianche fumanti ed emananti un buon odore di menta, il mio the preferito in assoluto, se si riusciva a coglierne l’aroma a pieno.
“E’ il mio preferito, attenta che scotta.” mi avvertì.
“Credo che con questo freddo un po’ di calore in più faccia solo bene.” ammisi, cercando di sforzarmi a intrattenere una normale conversazione.
“Stai bene, vuoi un’altra coperta?” domandò con una premura inaspettata.
“Sto bene ora, sicuramente meglio di prima. – sorrisi – Grazie.”
Bevvi la bevanda con rapidità, gustandone l’intenso sapore di menta fresca, e mi pulii le labbra con il bordo del maglione, una brutta abitudine presa da bambina. Mordevo le labbra in continuazione, ed erano guai se restavo due giorni senza burro cacao e nutrienti per la pelle secca, quelli che Jade mi regalava sempre, perché amava andare nei negozi di cosmetici.
Jade.
A quell’ora doveva essere a letto, ma il giorno successivo? Era poco probabile che dopo quanto successo uscissi il sabato sera e non mi facessi viva di domenica mattina, a casa.
“Penso che tra un po’ dovrò andare…” feci notare più a lui che a me stessa, come se dovessi chiedere il permesso. La verità era che non sarei resistita a lungo, senza la sua presenza.
“Ovviamente, non far mettere in pensiero la tua amica… almeno per ora. Domani pomeriggio, cioè, oggi pomeriggio, passo.  Sarebbe meglio se fossi da sola, per il resto cerca di stare tranquilla.” poggiò la tazza vuota sul tavolo.
In qualche minuto eravamo fuori casa, e stavamo percorrendo a ritroso il parco: io con la coperta sulle spalle, lui che si guardava in giro. Arrivata a casa, mi lasciò sulla porta, aspettando che entrassi. Non mi raccomandò di mantenere il segreto, sapeva bene che l’avrei fatto, e mi faceva quasi piacere, perché era una dimostrazione di fiducia.
Fiducia forzata.
 
Chiusi la porta e m’infilai velocemente a letto, pensando che nulla, nulla, sarebbe stato più come prima. E che Zayn aveva molti più segreti di quanti immaginassi. Non sapevo più a cosa credere, cosa fosse vero, cosa favole inventate da vecchie fuori di testa.
Una lacrima scivolò veloce sulla mia guancia, dandomi la buonanotte.

















 





Oh My Josh.
Quanto volevo postare questo capitolo!.
Cos'è Zayn? Zayn è un parassita; che si nutre dell'energia vitale degli umani,
detto in parole povere. Ovviamente è normale se non vi torna proprio tutto,
ma per qualsiasi domanda HERE I AM!, non fatevi problemi.

E ORA, PAPPARAPPAPAAAAAAAAAAAA SORPRESA!
Ho pensato di creare dei profili ask.fm per i nostri personaggi.
Per interagire con loro, mi sembrava una bella idea, ma ovviamente starà a voi decidere se ne vale la pena.
(con la comparsa di nuovi personaggi, creerò i profili)

Juliet: @JulietOldman_Poison
Jade: @JadeMiller_Poison
Niall: @NiallHoran_Poison
Zayn
: @ZaynMalik_Poison
Grazie per le bellissime recensioni;
Joanne


 


Senza riuscire a realizzare quello che stavo facendo, mi fiondai fra le sue braccia, sorprendendolo.
Solo quando ebbi preso due respiri profondi, calmando il dolore, mi staccai, piuttosto imbarazzata. 
“Scusa… è che… iniziavo a stare poco bene.” sussurrai facendolo entrare e chiudendo la porta. 

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Capitolo 6
*** {VI} Trust ***



 
I'm up in, but I can't control.

 
-Juliet-
 
La mattina seguente trovai Jade a fare colazione con un sorisetto stampato sulle labbra. Menomale, non sospettava nulla.
“Buongiorno!” esclami con la voce impastata dal sonno, sistemandomi i capelli.
“’Giorno, non hai visto che magnifica giornata è oggi?” sorrise puntando lo sguardo alla grande vetrata del salotto. A dirla tutta, non era poi così magnifica: non pioveva, ma il cielo era nuvoloso e l’aria carica del gelo dei giorni precedenti.
“Siamo di buon umore, a quanto pare.” mi rivolsi a lei sedendomi al bancone e afferrando un biscotto.
“Mmh-mhh…” mugugnò masticando una fetta di torta e pulendosi la bocca con il tovagliolo.
“Cosa succede, Jade?” nella mia mente balenò l’idea di un possibile ragazzo... ma perché non me l'aveva detto prima?
“Hai presente ieri sera? Ecco, tu a un certo punto ti sei addormentata durante il film… e ho visto che Niall portava un bracciale con le lettere J….” il suo sorriso si allargò man mano che andava avanti a parlare, quindi dovetti interromperla.
“No, no! Non è come pensi, Jade! Io e Niall non ci siamo fidanzati, quello era un regalo che ha ricevuto alla festa!” resi le idee chiare alla mia amica.
Scema, lo so che non era un tuo regalo!” mi rimbeccò. Scossi la testa, confusa.
Perché era un MIO regalo!” esclamò allegra pulendosi le mani dalle briciole. Si alzò dalla sedia e andò a posare la tazza nel lavandino, mentre facevo capo a quelle parole.
“Santo cielo Jade… ti piace Niall?!- la mia amica si girò sorridente, con le guance rosse per l’imbarazzo- Me lo potevi dire prima!” sbattei una mano sul tavolo, incredula. Scioccata. Sbiancata. Totalmente presa di sorpresa. Avevamo avuto una discussione a riguardo forse tre anni prima, giusto per mettere in chiaro che sì eravamo migliori amici ma se mai ci fossero stati degli interessi romantici fra due membri del trio, nessuno si sarebbe dovuto sentire in colpa e nulla sarebbe comunque cambiato. In tutta risposta Jade si buttò sul divano e affondò la faccia nel cuscino, stringendolo e battendo i piedi per la felicità. Mi fiondai addosso a lei facendole il solletico.
“Perché non me l’hai mai detto?” risi con lei.
“Non so, avevo paura che magari piacesse a te…” si morse il labbro inferiore.
“Ma ti pare? E’ il mio migliore amico! Che stronza che sei, lo volevo sapere! E da quando?”
“Da un po’…” continuò a stringere il cuscino fra le braccia, ciondolando le gambe.
“Jade… mi dispiace dirtelo… ma lui lo sa che quel bracciale è un tuo regalo?” alla sua festa sembrava non averne idea, pensavamo entrambi che fosse la J di James. Continuò ad annuire contenta.
“Sempre quando eri addormentata… - mi rispose mordendosi un’unghia – mi ha detto ‘mi piace molto, grazie’ riferito al braccialetto… non ci credo ancora!”
La conoscevo bene ormai, e dal modo in cui si comportava, Niall doveva piacerle non poco.
“E poi? Che cosa avete fatto? Cos’hai risposto tu?” domandai felice.
“Ho sorriso… e lui ha sorriso…. Dio, Juliet, il suo sorriso è perfetto! E ora posso urlarlo!” esclamò abbandonandosi a peso morto sul divano e sbuffando.
“Ah, l’amore… l’amore…” canticchiai mettendo a posto i biscotti e il piatto con la torta.
“Tu stai meglio?” mi chiese la bionda tornando improvvisamente seria.
“Molto meglio, grazie. Non sento più nulla.” cercai di mentire ricordandomi cos’era successo poche ore prima.
“Allora oggi ti va di uscire? Magari questo pomeriggio, stamattina dovrei studiare.” propose.
Cazzo. Non ci voleva questa. No, non potevo uscire. Quel pomeriggio sarebbe venuto lui, Zayn.
“Scusa Jade, ma non lo so ancora. Questa notte non ho dormito tanto bene, vorrei essere in forma per domani e…” mi scusai.
Perfetto! – m’interruppe saltando in piedi – Allora vado a chiamare Niall!” corse in camera sua. Era incorreggibile: sperava in un mio rifiuto, ma voleva rendermi partecipe lo stesso.
Uscii nel piccolo terrazino del salotto, portando sulle spalle la coperta che mi aveva dato Zayn la sera prima, e accesi una sigaretta, quando mi accorsi che era la prima che fumavo da quando lui mi aveva aggredita. Rimasi stupita, non era da me. Non ne ero proprio dipendente, ma almeno due o tre al giorno le fumavo, trovavo sempre il tempo e lo spazio. Invece, il giorno prima, non ne avevo avuto bisogno. Non sarebbero più state la mia dipendenza, forse? Lo sarebbe diventato lui? Rabbrividii al pensiero. Non volevo diventare dipendente da uno sconosciuto. Io ero forte, io ero autonoma.
Con una smorfia di disgusto buttai via la sigaretta e rientrai in casa.
 
Raggiunsi Jade in camera sua, o almeno ci provai. Metà dei vestiti della mia amica erano sul pavimento, e lei allo specchio, impegnata a mettersi il mascara.
“Jade… ma cosa è successo qui?” domandai sconvolta.
“Oh... ecco… prevedendo una possibile uscita, stamattina ho provato un paio di vestiti…” sorrise nervosa finendo di applicare il lucidalabbra. Indossava delle scarpe da ginnastica basse, un paio di jeans chiari a sigaretta e un maglione rosa leggermente ampio con una scritta. Era truccata con colori pastello, e portava i capelli sciolti.
“Capisco, bisogna farsi belle per amore…. Ma tu sei già perfetta così, e scommetto che piaceresti anche in pigiama a qualunque ragazzo- Niall in particolare.” le lasciai un bacio sulla guancia e tornai sull’uscio attenta a non inciampare negli abiti.
“A proposito, a che ora vi vedete?” domandai voltandomi verso di lei.
“Due e mezza. Volevamo andare alla fiera, e poi al mercatino della zona est. Ho bisogno di una sciarpa, e la prima regola per piacere a Jade Miller è accompagnarla a fare shopping.” sorrise raccogliendo delle magliette e buttandole nell’armadio.
Piacere? Ma se sei già cotta e stracotta di lui!” risi chiudendo la porta, prima che potessi beccare un cuscino in faccia.
Sì, sarebbero stati una bella coppia, i biondi.
 
Mi rintanai in camera a studiare, per quanto fosse possibile con i pensieri che mi ronzavano in testa, e passai il resto della mattinata ascoltando Lana Del Rey e girando su YouTube. Mi tolsi il pigiama, con mio grande dispiacere, e indossai un paio di leggings e uno dei miei maglioni, raccogliendo i capelli in una treccia laterale. Pranzai con Jade, punzecchiandola per la sua nuova love story, che speravo sarebbe potuta sbocciare presto, e poi la salutai, raccomandandola di non fidarsi degli sconosciuti, come una mamma fa con la propria bambina. Fidarsi degli sconosciuti, da che pulpito poi.
Erano le tre meno venti quando cominciai a provare una fitta di dolore, ad altezza della milza, e capii che Zayn sarebbe dovuto arrivare in fretta. Cinque minuti dopo, quando il dolore era quasi insopportabile, come se dovessi vomitare ma qualcosa all’altezza della gola me lo impedisse, sentii suonare il campanello. Corsi ad aprire in fretta a furia, e mi ritrovai il ragazzo davanti. Senza riuscire a realizzare quello che stavo facendo mi fiondai fra le sue braccia, sorprendendolo. Solo quando ebbi preso due respiri profondi sul suo petto, calmando il dolore, mi staccai imbarazzata.
“Scusami… è che iniziavo a stare poco bene.” sussurrai rapidamente facendolo entrare e chiudendo la porta. Lasciò la giacca di pelle scura sull'appendiabiti, restando in maglietta, e si rivolse a me chiedendo dove potesse sedersi. Gli indicai il divano e mi accomodai di fronte a lui, finché il silenzio non diventò troppo imbarazzante e decisi di prendere parola.
“Posso farti una domanda?” chiesi speranzosa.
“Certo.”
“Cosa fai nella vita? Sì, hai capito perfettamente cosa intendo.”
“Dipende. A volte studio, ma devo cambiare spesso liceo, per vari motivi che credo tu possa immaginare… altre faccio lavori molto saltuari, anche se una volta ho svolto per più di un anno il compito di barman in un locale prestigioso. Ci sono stati dei periodi difficili, in cui il cibo scarseggiava. Se te lo stai chiedendo, sì, mangio normalmente. Ma qualora non possa trovare viveri, la risposta è semplice. Vado avanti grazie all’energia vitale. Meno cibo, più…” interruppe la frase lasciandola a metà, ma avevo capito benissimo quello che voleva dire.
“Ti va di raccontarmi qualcosa di te, Zayn? Io… non so. Forse non sono solo curiosa… vorrei fare qualcosa.
“Non puoi fare niente, nessuno può fare niente, Juliet. Se vuoi però, parlerei con te volentieri. Non ho molti amici, e penso che tu possa capire il perché.” fece svanire le mie speranze.
“Quanti siete?” domandai temendo la risposta.
“Qui a Londra? Una decina, credo. E siamo tutti buoni, fortunatamente.”
La sua risposta mi fece ridere.
“Buoni? Come buoni, scusa?” non riuscivo a definire buona una persona del genere, nonostante uccidesse contro la sua volontà.
“Vedi, Juliet - iniziò prendendo in mano il DVD d’Intervista Col Vampiro, passandomelo - come dice Anne Rice in questo libro, “cattivo” è solo un punto di vista. Per te, io sono crudele. Per altri, sono fin troppo buono.” che anche la sua razza fosse divisa in gruppi? I “Louis”, quelli condannati, e i “Lestat”, quelli spietati?
“Vorrei poterti dire che capisco.” confessai a testa bassa.
“Devi essere felice che ti sia capitato io. Sono un parassita, sarei potuto vivere della tua energia, ma ti ho risparmiata. Se fossi capitata a quelli-pronunciò la parola disgustato – non saresti mai, e dico mai, resistita. Noi, noi cattivi ma buoni, prendiamo la vostra energia vitale. Loro, quelli cattivi ma crudeli, prendono tutto. L’energia vitale. Il vostro sangue è come una droga. Mangiano la vostra carne. Ci sono cose poco sicure, là fuori.” rabbrividii. Per quanto la mia mente si rifiutasse di crederci, era vero. Cose così spietate e crudeli esistevano, e la gente soccombeva al loro passaggio.
“Scusa, Zayn… ormai ci sono dentro, lo so, capisco e ti aiuterò, vi aiuterò se possibile… ma non riesco a far entrare nella mia testa una cosa.” affermai decisa cercando il suo sguardo.
“Cercherò di aiutarti a farla entrare, allora.” rispose puntando i suoi occhi caldi nei miei freddi una nuova volta.
“So di averlo già chiesto, ma perché, perché l’altro giorno non mi hai uccisa? Avresti potuto farlo comodamente, come potresti farlo ora, e avresti centinaia di problemi in meno.” sputai arrabbiata e confusa, ma anche spaventata dalla sua reazione.
“N-non posso dirtelo.” notai un tremore nella sua voce, poi si alzò, avvicinandosi a me e facendo segno di alzarmi. Eravamo vicinissimi, come due notti prima.
“…ma anche per questo.” puntò le sue iridi nelle mie, a pochi centimetri di distanza.
Come la prima volta che ciò era successo, un brivido percorse la mia schiena, e i crateri scuri in cui mi stavo specchiando divennero un mare d’ambra. Non potevo sapere cosa significava, ma se questo era la causa della mia sopravvivenza, era davvero speciale. Provai a leggere le sue emozioni e il suo passato nella sua espressione seria e allo stesso tempo speranzosa, ma non vi trovai nulla. Vorrei tanto esser stata dentro di lui per un attimo, anche un solo secondo, per sapere cosa si provava a guardare i miei, di occhi. Poi successe, e come se la mia anima si fosse riversata in un recipiente estraneo, riuscii a vederli. 
Vidi le mie iridi azzurre, ma non capii se ero dentro il corpo di Zayn, o se il suo sguardo era così profondo che mi ci stavo specchiando dentro. Questo era successo a lui? Questo l’aveva bloccato dall’uccidermi?
“Non so cosa significhi, non posso spiegarlo neanche io; ma da allora ho capito che mi sarei dovuto fermare. Che ti avrei dovuta proteggere. E, ti puoi fidare di me, d’ora in poi nessuno ti farà del male.” sussurrò al mio orecchio destro.
E inspiegabilmente gli credetti.





















 
Oh My Josh.
Non so che dire, siete state tutte gentilissime! Vorrei ringraziarvi tanto per le parole/seguite/ricordate/preferite.
Riguardo al capitolo, eccolo, per la gioia delle Jade//Niall (decidete un nome, plz) shipper.

Louis arriverà prima del decimo capitolo, e potrà sembrarvi marginale all'inizio quando invece è molto importante.
Per quanto riguarda 
Harry e Liam, uno dei due arriverà prima del quindicesimo, per l'altro non ne sono ancora sicura.
Alla prossima,
Joanne
 

 

 
“Ma come pensi che potrei accettarlo? Mi serve tempo! Pensavi che dopo la notte passata sarebbe stato tutto semplice?!”
“Sai cosa penso io? Che non sia semplice neanche starci dentro. 'Notte Juliet.”
scomparve dietro la porta e dai rumori che seguirono capii che era uscito da casa. 

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Capitolo 7
*** {VII} Boutique ***


 
You're just like Poison;

 
-Juliet-

 

Mi ritrassi allo sguardo di Zayn, cercando di dirigermi verso la cucina il più tranquillamente possibile. Calma, tranquilla, e in pieno possesso delle proprie facoltà mentali.
“Ehm… vuoi del the?” già sulla porta, mi girai a domandarglielo. Mi sembrava giusto ricambiare il pensiero.
“Mi piacerebbe molto, grazie.” sorrise tornando a sedersi.
Improvvisamente mi sembrò che facesse caldo, eppure la mattina era fredda, avevo avuto la possibilità di percepirlo. Sarà stata per la vicinanza al bollitore, ai fornelli, e a tutte quelle cose ustionanti. Immersi le bustine e aspettai quanto richiesto, innervosendomi per l’attesa, poi portai le tazze di là, e aggiunsi tre cucchiaini di zucchero alla mia. Avevo bisogno di energie, avevo dormito veramente poco e il giorno dopo avevo una simulazione d'esame. Speravo in un miracolo, ma sapevo che non sarebbe arrivato. Mi sedetti a gambe incrociate sulla poltrona e mescolai, mescolai e mescolai con il cucchiaino, perdendomi nel vortice che il mio movimento creava.
“Juliet, tutto bene?” la sua voce mi fece tornare alla realtà.
“Oh... sì, sì. Tranquillo.” corrucciai le sopracciglia e scossi la testa distogliendo lo sguardo dal the.
“No invece, non va tutto bene.” appoggiò la tazza sul tavolo.
“No, ecco era che… pensavo… cosa faremo domani? E dopodomani? Nel senso, io vado a scuola.” cercai di spiegare, trovando una delle tante cose che mi preoccupavano.
“Mica starai tutto il giorno chiusa là dentro, no?” domandò per risposta.
“No, certo che no. – mi fermai a pensare un attimo a quello che avrei dovuto fare il giorno dopo – Domani pomeriggio sono in Boutique.” mi ricordai.
“Dove?” chiese stupito.
“In Boutique. Ho un piccolo lavoro in una Boutique che vende cose particolari… libri antichi, abiti un po’ vintage, vinili, gioielli di rame fatti a mano… il conducente dell’attività è vecchio e stanco ormai, così quando posso passo a dargli una mano, perché sua moglie non riesce a lavorare tutti i giorni. Sono molto gentili con me.” sorrisi pensando a quanto Sean e sua moglie Dominique mi avessero aiutata in tutti quegli anni trascorsi a vivere con Jade.
“Sarebbe un problema, se passassi?” domandò per cortesia, visto che la sua presenza era vitale. Letteralmente.
“No, no, fa pure. A Sean farà piacere, solo… non fare nulla di strano, è un anziano sì, ma dalle ottime maniere, e con un’ironia pungente.” sorrisi e mi tornarono in mente ancora una volta la sua gentilezza e cordialità con i clienti.
“Perfetto. - sorrise anche lui, ma poi si fece subito serio – Credo che sia ora che io vada… ti volevo chiedere, hai una foto dei tuoi amici? Posso vederla?”
Non capii il perché di quella domanda, ma ancora una volta doveva essere urgente se me l’aveva chiesto senza troppi giri di parole, quindi mi alzai, presi da un volume una foto mia, di Jade e Niall, che usavo come segnalibro, e controllai che non fosse troppo imbarazzante. La passai a Zayn, che la analizzò attentamente, poi me la ridiede sussurrando che andava benissimo, accennando un sorriso.
“Scusa Zayn, ma perché hai voluto vedere una nostra foto?” chiesi mentre la rimettevo al suo posto.
“Pensavo l’avessi capito; con te ho fatto un errore, sì, ma gli errori non permettono la mia sopravvivenza. Errare è umano, ed io non lo sono.” disse in tono piatto, in una maniera che trovai piuttosto inquietante.
Per un’ennesima volta, compresi: sarebbe stata una serata di caccia, quella, per il ragazzo che sedeva di fronte a me. Qualcuno, a Londra o nei dintorni della città, sarebbe morto. Qualcuno non avrebbe fatto ritorno a casa. E Zayn non voleva uccidere i miei amici. Questa sua accortezza mi stupì, dimostrandomi che in qualche modo riusciva a essere 'buono' nella sua cattiveria. O il suo era solo un senso di colpa, e non si sarebbe perdonato di uccidere qualcuno a me caro? Con uno scatto, sussurrando di scusarmi, mi precipitai in cucina e posai la tazza nel lavandino, sbattendola sul ripiano e asciugandomi la fronte dal sudore con il dorso della mano. Per quanto avessi dovuto farlo, non riuscivo ad accettare – capire sì, ma accettare ancora no – che un ragazzo come Zayn potesse uccidere come se nulla fosse, così naturalmente.
Sai che non dipende da me.” sussurrò duramente alle mie spalle facendomi sobbalzare.
“Sì, cazzo, lo so, Zayn. Ma come pensi che potrei accettarlo? Mi serve tempo! Pensavi che dopo la notte passata sarebbe stato tutto semplice? Che mi sarei detta ‘toh guarda, un ragazzo che sottrae l’energia vitale agli altri uccidendoli e se ne ciba passerà un sacco di tempo con me, faremo cose molto divertenti e diventeremo migliori amici per sempre, ma non m’interesserà se ogni fottuto mese o settimana o quel cazzo che è uscirà a uccidere altre persone?!’ Non è così facile!” finii la frase mentre finii anche il fiato, pentendomi già per il tono aggressivo che avevo usato.
“Sai cosa penso io? Che non sia semplice neanche starci dentro. ‘Notte Juliet.” scomparve dietro la porta e dai rumori che seguirono capii che era uscito da casa. Innervosita, tirai un calcio al cestino e uscii in balcone, accendendomi una sigaretta.
Ora faceva freddo, ma la lacrima che scorreva lungo il mio viso non era dovuta a nessuno sbalzo di temperatura.
 

 
~ The Day After ~
 

Jade era tornata, entusiasta per il pomeriggio, ma anche delusa perché sperava in qualcosa di più, e aveva detto che mi avrebbe spiegato tutto a cena la sera stessa. Niall non l’aveva accompagnata su, forse in imbarazzo per la nuova situazione, e con lui me la sarei vista appena avremmo trovato un attimo per stare da soli. Jade in classe era piuttosto stanca, e si diede da fare per non essere vista mentre sonnecchiava sul banco.
Il mio posto in penultima fila vicino a Niall era strategico, e anche quando la professoressa mi fece delle domande difficili sul nuovo argomento il mio amico riuscì a passarmi un paio di risposte. Ad ogni modo me l’ero sempre cavata bene.
Se un pomeriggio non avevo voglia di studiare, imparavo bene una pagina, e riportavo la conversazione su di quella in maniera a dir poco sensazionale, come affermava Niall. Presi quasi il massimo nella simulazione dell'ora successiva, e un peso svanì dal mio stomaco, considerando che Diritto era una materia importante, e che non avevamo molte speranze di recuperare.
 
Pranzai velocemente come ogni lunedì, poi salutai i biondi lasciandoli soli – non aspettavano altro, anche se non lo avrebbero mai ammesso – e mi diressi verso la Boutique ascoltando la mia amata musica dal mio amato i-pod. La voce di Lana Del Rey in Blue Jeans mi calmò subito, e arrivai da Sean in perfetto orario e con il sorriso sulle labbra.
La Boutique non era molto grande, ma lo spazio era ottimizzato. Le vetrate permettevano di guardare all’interno e scovare deliziosi capi d’abbigliamento o accessori, e una volta entrati il profumo di lavanda invadeva i polmoni dolcemente ma senza via di scampo. Sulla sinistra stava Sean seduto alla cassa, intento a leggere un libro di una celebre scrittrice francese, e ai suoi piedi vi erano alcuni vasi dai fiori colorati e profumati. Al centro della stanza si estendeva in lunghezza una rella color legno, con appesi alcuni capi anni ’30 adorabili, fino ad arrivare ai ’90. A fianco ad essa, sulla parete destra vi erano i vinili, in perfetto ordine alfabetico, spolverati ma emananti ancora quell’aria di antico e intramontabile. Dall’altra parte invece, vi erano i vari gioielli che Dominique e suo marito creavano, adorabili e perfetti in ogni particolare. Sulle altre pareti numerosi poster e specchi di qualche decennio prima facevano da padroni, e oltre gli scaffali vi era una seconda parte del negozio, dove un’altra rella, un tappeto, due puff e uno specchio facevano da padroni, permettendo ai pochi ma raffinati clienti di provare quello che desideravano in intimità. Sulla parete al limitare della stanza vi erano una porta e una tendina: la seconda un camerino per signore riservate, e la prima portava alla casa di Sean e Dominique. Avevo avuto la fortuna di entrarci numerose volte, e sembrava il duplicato del negozio in tema casalingo. Nonostante Sean fosse londinese DOC, la Francia lo aveva rapito, e sposando sua moglie, di origini mediterranee, per la precisione di Marsiglia, era entrato con anima e corpo in questa cultura. Vicino ai vari vinili di cantanti di un tempo stava un giradischi, con annessa radio, dove ascoltavamo la musica mentre lavoravamo: nonostante Sean non conoscesse gran parte delle canzoni che sceglievo, era sempre cordiale e incuriosito da esse, e spesso mi faceva i complimenti per le scelte. Lavorare in Boutique, per me, era come passare un pomeriggio nella mia seconda casa, con i miei secondi genitori.
 
Entrai distogliendo Sean dalla lettura e appoggiando la borsa a terra, dietro il bancone.
“Buongiorno, tutto bene?” domandai togliendomi la giacca e appendendola all’ingresso.
“Tutto bene cara, te?” rispose levandosi gli occhiali da lettura.
“Tutto bene, grazie.” sorrisi e iniziai a scorrere fra i vestiti sui diversi appendiabiti, per vedere se c’era qualcosa da sistemare.
“Ne sono lieto, metti qualcosa da ascoltare?” chiese mentre prendeva pinze e fil di rame da un cassetto.
“Subito.” il vinile di una cantautrice francese iniziò a diffondere una leggera musica primaverile nell’aria.
“Ah… perfetto – sorrise Sean – Oggi devo uscire un attimo, non so quanto riuscirò a restare con te.” continuò dispiaciuto mentre preparava una delle sue creazioni uniche e preziose.
“Oh… va bene, dove vai di bello?” spolverai un ripiano con alcuni testi di autori londinesi di un tempo.
“Vado da un amico di vecchia data, penso starò via un paio d’ore. Dominique sta preparando una cena per alcuni ospiti, ma per qualsiasi cosa sarà al piano di sopra.” sorrise finendo di attorcigliare il filo e posando un paio di orecchini impreziositi da alcune pietre verdi scintillanti sul bancone per la lucidatura. Non era la prima volta che Sean mi lasciava qualche ora da sola, ma questa non lo sarei stata, e il pensiero che fra poco sarebbe arrivato Zayn mi metteva in soggezione.
 
Raccolsi i capelli in uno chignon disordinato e aspettai che i primi clienti arrivassero. Quando ormai sembrava un pomeriggio calmo e con poche visite, ed io ero stesa su un puff a leggere i titoli dei brani di un vinile dei The Beatles, sentii le campanelle suonare, segno che qualcuno era entrato.
“Buongiorno, mi scusi, sto cercando Juliet Oldman.” era la sua voce, e istintivamente mi alzai in piedi e appoggiai quanto avevo in mano.
“Sì Sean, lui è un mio amico.” li raggiunsi alla cassa.
Se già si poteva reputare Zayn un bel ragazzo, oggi era in forma smagliante. I capelli sembravano più lucidi, la pelle più colorita, i muscoli più tonici. Indossava una maglietta blu a maniche corte, e ancora una volta pensai che non avrebbe dovuto sprecare tutta questa energia e mettersi qualcosa di più pesante.
Ah, l’energia.
La caccia.
Ecco perché era così attivo, così – una normale adolescente lo avrebbe definito - perfetto.
“Oh, s’è fatta ora d’andare a quanto pare. Almeno ti lascio in buona compagnia… ricordati che la signora Prewett dovrebbe passare a ritirare una collana per la figlia e tre bracciali per le nipoti. – lanciò un'occhiata all’orologio, prese le chiavi e indossò la giacca – Come hai detto che ti chiami, figliolo?” si rivolse indubbiamente a lui.
“Zayn, Zayn Malik.” rispose stringendogli la mano alquanto formalmente.
“E’ stato un piacere, Zayn. Juliet, con te ci si vede più tardi. Ricordati che per ogni cosa, Dom è al piano di sopra. Arrivederci.” si congedò amabilmente, chiudendo la porta. Avevo come l’impressione che l’avesse fatto di proposito. Sean era noto per il suo tempismo, e ora mi trovavo da sola con Zayn, ad aspettare la signora Prewett che sarebbe arrivata chissà quando.
“Come hai fatto a trovare il negozio?” domandai stupita, ricordandomi che se n’era andato prima che gliene parlassi.
So fare molto di peggio che trovare un negozio, Juliet.” rispose ridendo.






















 


Oh My Josh.
Parto con il ringraziarvi per le meravigiliose recensioni, 
vi adoro!
Dopo ciò: il nome ufficiale è Jiall, è stato deciso ewe
E visto che ci siamo, vorrei ricordarvi dei 
meravigliosi profili ask dei nostri personaggi!
Askate askate askate per ogni cosa vi venga in mente.
Mi fa piacere che vi piacciano gli spoiler! Questo lo adoro ahahaha.
A presto,
Joanne

 
 

“E saresti uscita con lui perché era un cliente, Juliet? Ho visto come ti guardava il culo quando hai preso il vinile, fidati che quello non voleva invitarti a cena, almeno non era quello il suo scopo principale, e forse non ha nessun amico a cui piacciono i Beatles.” rispose con una certa ironia nella voce, scandendo alcune parole. 

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Capitolo 8
*** {VIII} Irresistible ***




Slowly moving through my system,

 
-Juliet-


La nostra discussione proseguì per un tempo indefinito, ma fu fortunatamente interrotta dall’arrivo di un cliente, e Zayn se ne andò di là sbuffando, mentre il ragazzo entrava nel negozio. Non doveva essere un tipo molto socievole, se si era già scocciato dei clienti - a quota uno, per ora. A me bastava che non rovinasse qualcosa, e poteva anche starsene seduto su un puff tutto il pomeriggio. Riportai l’attenzione al ragazzo, che stava sfogliando i vinili.
“Buon pomeriggio, stai cercando… ?” gli domandai mentre si scostava i capelli dalla fronte.
“Hai il vinile dei The Beatles? Va bene uno qualsiasi, è per un regalo.” spiegò.
“Certo, vado a prenderlo.” mi ricordai che era quello abbandonato sul puff, così mi chinai a raccoglierlo e lo portai alla cassa.
“Ecco a te, sono ventotto sterline e cinquanta - lo avvolsi nella carta di giornale e poi lo riposi in un sacchetto, stando attenta a non rovinarlo – A presto.” glielo porsi, ma lui sembrava non volersi muovere da lì.
“Senti… mi chiedevo… saresti libera stasera?” si appoggiò al bancone con i gomiti, mentre si sistemava nuovamente il ciuffo castano.
Rimasi sbalordita dalla sua sfacciataggine. Da quanto lo conoscevo, quaranta secondi? Prima che potessi rifiutare, qualcuno lo fece per me.
“No amico, mi spiace, ma credo che sia occupata.” Zayn comparve dall’altra parte della stanza interrompendo la discussione e avvicinandosi a noi.
“Era solo una domanda, amico, mica te la rubo.” sbuffò quello, lasciando due banconote sul bancone e dirigendosi verso l’uscita con il vinile sotto mano. Quando fu abbastanza lontano, mi rivolsi a Zayn.
“Ma sei matto?! E’ un cliente, come ti permetti?! - di tutta risposta, si girò per tornare da dove era venuto - Ascoltami, Zayn!” mi alzai raggiungendolo nell’altra stanza, dov’era tornato, tutto tranquillo.
“E saresti uscita con lui perché era un cliente, Juliet? Ho visto come ti guardava il culo quando hai preso il vinile, fidati che quello non voleva solo invitarti a cena, e forse non ha nessun amico a cui piacciono i Beatles.” rispose con una certa ironia nella voce, scandendo alcune parole.
Che nervi.
“Avrei detto comunque di no, e tu non hai il permesso di fare così, Zayn! Ho ancora una lingua e so declinare un invito da sola! Inoltre sono pur sempre clienti, non miei, ma di Sean!” gli ricordai.
“Almeno ha visto che non eri sola, no? Meglio stare lontano da individui del genere.” la sua definizione di ‘individui del genere’ mi faceva ridere e non poco. Di sicuro non era il tipo che poteva giudicare qualcuno in base all’apparenza. Sbuffai innervosita e andai a scaricare la tensione sugli abiti vintage, ordinandoli per l’ennesima volta e scorrendoli, alzando il volume della radio per non sentire se Zayn mi stesse chiamando. Inspirai ed espirai profondamente battendo i piedi a terra, cercando di scaricare tutto quello che avrei voluto dire, fin quando non mi calmai. Poi tornai di là a sistemare l'altra parte degli abiti, trovando la stanza priva di qualsiasi presenza umana, o ibrida.
“Zayn, dove sei finito… ?” sussurrai guardandomi in giro, quando sentii una mano afferrarmi il polso e trascinarmi dentro il camerino.
 
 
 
L’individuo, o meglio Zayn, chiuse la tendina, e si avvicinò a me bloccandomi contro il muro. Questo ragazzo aveva un problema: avremmo anche potuto parlare civilmente e non ricorrere al sistema sei-in-trappola che gli piaceva tanto e che stava per riproporre per l'ennesima volta.
“Zayn, che cazzo stai facendo?” scoppiai a ridere.
“Non voglio che ci veda qualcuno.” rispose.
“Siamo da soli in un negozio d’antiquariato alle cinque del pomeriggio, chi potrebbe vederci?” continuai a sussurrare ridendo per non far preoccupare Dominique al piano di sopra.
“Qualcuno, ecco chi.” disse scuotendo la testa sarcastico, e poi fu tutto veloce, molto veloce.
Sentii le sue labbra sulle mie che bloccarono la risata a metà, e mi ritrovai ad assecondare l'impulso naturale del mio corpo a ricambiare. Portai una fastidiosa ciocca di capelli dietro l’orecchio e con le mani mi aggrappai alle sue spalle, mentre le sue afferravano la mia vita. Il suo corpo emanava calore, e provavo piacere ogni volta che, muovendo un muscolo, lo sentivo a contatto con la mia pelle. Non penso che detti molta importanza a quello che sarebbe successo, ma quando chiese accesso alla mia bocca mi ritrassi un attimo. Non capivo. Perché?
“Juls, mi spiace, ma dopo che quel tipo se n’è andato sentivo il bisogno di farlo… dalla prima volta che ti ho vista, ne sentivo il bisogno… ieri, a casa tua, giuro, quando mi hai risposto in quella maniera, ci ho dovuto mettere tutto me stesso per andarmene e non zittirti subito baciandoti.” confessò sulle mie labbra, mentre ne rimiravo la forma perfetta.
“Ogni santo minuto mi rendo conto di quanto sia stato fortunato a sbagliare, quella sera, e di quanto tu sia stata fortunata a non capitare sotto le mani di nessun altro. Tu non te ne capaciti, ma non sei l’unica ad avere bisogno di questa vicinanza.” finì in un sussurro. Allora non potetti più opporre resistenza, credo che in fondo anch’io desiderassi tanto quanto lui quel contatto, e negare il groviglio di emozioni che sentivo all’altezza del petto sarebbe stato solamente inutile, senza contare che mi avrebbe causato un grandissimo rimpianto. Così fui io a cercare le sue labbra, così baciabili, a desiderare il suo bacio, così imperdibile, a intrecciare la mia mano nella sua mentre sfioravo le sue dita, così morbide, e a osservare i suoi occhi, così irresistibili. Fui io ad approfondire quel contatto, fui io che questa volta feci da membro attivo, e spinsi lui contro la parete del camerino, incrociando le braccia dietro al suo collo e alzandomi sulle punte dei piedi per raggiungere la sua altezza. Fui io che non volevo staccarmi, io che sarei rimasta ore sulle sue labbra, senza pensare alle conseguenze del gesto, godendo del singolo attimo. In quel preciso momento, sentivo che solo quella era la cosa giusta da fare - non che lui fosse meno consenziente.
“C’è qualcuno? Sean?” una voce rauca arrivò dal negozio.
Merda. 
Abbassai la canotta che si era alzata sopra l’ombelico e piombai all’ingresso in fretta e furia.
“Buongiorno signora Prewett.” sorrisi imbarazzata, portando una ciocca ribelle dietro l'orecchio.
“Oh, cara, eccoti, i gioielli per le mie nipotine sono pronti?” sorrise amabilmente, la vecchia strega. Aprii il secondo cassetto, afferrai i sacchettini color porpora e glieli porsi, come Sean mi aveva indicato di fare.
“Grazie mille, e per il conto Dominique avrà aggiunto tutto alla mia lista, ci vediamo.” si congedò altrettanto velocemente. Era una signora gentile, ma anche molto spartana, e non passava mai molto tempo con noi, benchè frequentasse la Boutique da decenni.
Eh-ehm.” un tossito rauco mi fece girare, e notai Zayn appoggiato alla parete lilla vicino ai vinili, mentre sorrideva sghembo. Le campanelle suonarono, indicando che la Prewett era uscita.
Zayn.
Zayn ed io.

OCIELIALTISSIMI.
Anche in quella fredda giornata, iniziava a fare decisamente troppo caldo per i miei gusti. Rifeci un’altra volta lo chignon e mi affrettai verso il tavolo dei gioielli, dalla parte opposta a dove stava lui.
“Ah, i gioielli! Serve proprio una bella spolverata! Sì, avrò da fare qui.” afferrai uno straccio e lucidai un bracciale dorato. Quando sentii dei passi avvicinarsi, cambiai postazione e raggiunsi gli scaffali dei libri.
“Ma guarda che disordine! Credo abbiano bisogno di essere catalogati, sì.” nel silenzio più totale percepii le sue dita stringersi sulla mia vita e mi precipitai agli appendiabiti.
“Caspita, e questi vestiti! Credo che avrò molto da fare.” esclamai in tono teatrale.
Juliet…
“Non lo pensi anche tu, Zayn?”
Juliet, io…
“I libri, diamine! I libri da sistemare!” lo oltrepassai tornando drammaticamente all’ingresso.
Jul…
“E questi puff! Che cavolo è successo?” agitai le braccia al cielo davanti alla visione dei puff, normalmente ordinari, come al solito.
Juliet – Zayn mi afferrò per la vita da dietro – Non sei tanto brava a inventare scuse. Te l’hanno mai detto?”
“Scuse? Ma cosa vai dicendo?”
“I libri sono perfettamente catalogati, i gioielli splendenti… e che razza di problemi vuoi che abbia un puff?” chiese ridendo.
“Nemmeno a Jade riesco a mentire. Agli altri sì però.” mormorai, deglutendo per la vicinanza dei nostri corpi.
“Non mi devi mentire, io mi fido di te.” sussurrò sul mio collo, alzando leggermente i lembi della mia canotta.
“E anch’io mi fido di te! Quindi su, forza, al lavoro!” mi scostai ri-ri-abbassando la mia maglietta.
“Te l’hanno mai detto che sei adorabile quando arrossisci?”
“Io non arrossisco!” negai.
“Invece lo fai, e molto spesso.” sorrise nuovamente.
Ero praticamente certa che fosse una cospirazione, che la gente lo facesse apposta a mettermi in imbarazzo, con complimenti o domande a cui non sapevo rispondere.  Con il senno di poi, realizzai cos’era appena successo in quel camerino, e non seppi cosa dire, o fare.
“Zayn, io… boh, non lo so.” passai una mano sul viso.
“Ehi, mica sono un esattore delle tasse, calmati! Qui nessuno vuole metterti in soggezione.” mi rassicurò.
Come se non lo fossi già!” sbuffai.
Lo ringraziai mentalmente per non aver fatto nessun accenno a quanto poco fossi in soggezione due minuti prima, e quando alzai lo sguardo era nuovamente di fronte a me.
“Però… se ti va… potresti smettere di arrossire e buttarti un’altra volta…” rigirò una mia ciocca di capelli fra le mani.
Lo guardai morendomi il labbro inferiore, quando sentii un rumore metallico.
“Eccomi qui, ragazzi.” la voce di Sean mi fece allontanare di scatto da Zayn, e lo ringraziai mentalmente in tutte le lingue possibili e immaginabili per il suo perfetto tempismo.
“Bentornato, la signora Prewett è passata e ha detto di aggiungere tutto al suo conto.” gli sorrisi afferrando il maglione e infilandomelo velocemente.
“Oh, perfetto. – appoggiò due sacchetti di plastica a terra – Volete fermarvi a cena?” domandò riferendosi sia a me che a Zayn.
“No, grazie, io devo andare… penso che Jade mi stia aspettando.” rifiutai volendo solo andare a casa e sprofondare d’imbarazzo sotto le coperte.
“Va bene, ma la prossima volta non accetterò un no! – sorrise mentre mettevo la borsa in spalla – E’ stato un piacere, Zayn. Alla prossima Juliet, facciamo mercoledì se hai tempo, ci sentiamo.” gli strinse nuovamente la mano.
Uscimmo insieme, Sean chiuse la saracinesca e ci avviammo verso casa mia. Non dissi nulla per tutto il tragitto, e fui contenta che neanche lui provasse a fare conversazione. Sentivo le parole sulla lingua, ma quando aprivo bocca avevo l’impressione che non sarebbero state opportune. Quando arrivammo al portone di casa stava iniziando a fare buio, e le luci della sera ci circondavano, così mi girai a salutarlo.
“Allora… buona serata, Zayn. Ci vediamo domani, credo.” pregai con tutta me stessa che rispondesse, che non mi lasciasse così come avrebbe anche potuto fare, visto il mio comportamento scortese e schivo di poco prima. Ma ciò, con mio grande stupore, non accadde. Percepii la sua presenza vicino a me, e sentii nuovamente il sapore delle sue labbra sulle mie. Un bacio semplice e veloce, un bacio della buonanotte.
Buonanotte, Juliet.” sorrise allontanandosi e tirando fuori dalla tasca una sigaretta.
 



















 
 
 


Oh My Josh.
PERCHE' QUI CI STA TUTTO.
(Louis is coming, booyaaa) 
Volevo dirvi che il 10/10/2013 faccio un anno su efp,
e molto probabilmente posterò qualcosa di cui vi metterò il link.
Ricordatevi di 
askare askare askare,
ve vojo bene pedavero,
Joanne

 

 
La porta si aprì, rivelandolo con una bottiglia di birra in mano. I capelli erano un po' più lunghi di quanto ricordassi, arruffati e disordinati; gli occhi limpidi come sempre, tanto che mi ricordavano quelli di Juliet, a cui continuavo a pensare, la carnagione abbronzata. Un sorrisetto gli ravvivò le labbra rosee e sottili. "Zayn? Da quanto tempo, in effetti mi chiedevo quando ci saremmo rivisti."
"Si dice che il diavolo perda il pelo ma non il vizio."

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Capitolo 9
*** {IX} Wolves ***




 Breaking all of my defenses with time;


 
-Zayn-

 
La lasciai sulla porta del condominio, e tornai a casa. Un milione di pensieri vorticavano nella mia mente, alcuni positivi, ancora inebriati da quello che era successo, altri troppo paurosi per soffermarcisi. Mi dispiaceva mentire a Juliet, mi dispiaceva non poterle dire tutto, ma era ancora troppo presto. Troppo presto, nonostante il tutto stesse prendendo una piega... curiosa.
Attraversai il parco senza curarmi della solita gang di ragazzi in cerca di qualche compratore per la loro merce "di prima qualità”, e arrivai al mio allegro condominio. Allegro sì quella sera, perché si sentivano numerose voci, oltre ai soliti pianti di neonati, provenire dalle finestre cadenti. I muri erano semplici mattoni rossi incastrati fra loro, con colate di cemento provvidenziali, e la forma delle pietre a volte non incastrava bene con la vicina. Il tetto era basso, di tegole alla buona, ed era interessante osservare la disposizione degli inquilini: alcuni piani erano quasi totalmente chiusi, molto probabilmente a causa di muffe ed infiltrazioni, altri invece erano completamente aperti, come il mio. Non vi era ascensore, ma non era mai stato un problema, anche perché non ci si curava troppo della manutenzione del plesso. Vi vivevano alcuni immigrati molto poveri, molti dei quali a volte non tornavano la sera e si facevano vivi dopo qualche giorno, costretti a scontare qualche ora in galera per tentativi di furto. Gli appartamenti, teoricamente, erano in affitto, ma il proprietario passava una sola notte ogni due o tre mesi a riscuotere qualcosa, o meglio lo faceva se c'era qualcosa da riscuotere, e non l'avevo mai incontrato. Tuttavia, il mio sesto senso mi diceva che l'avrei visto presto, perché due macchine di buona marca erano parcheggiate poco lontane dal portone, forse in un debole tentativo di essere nascoste.
Quando aprii la porta principale, per metà sfondata, mi venne da ripensare a quando, poco tempo prima, l'avevo valicata portando Juliet in braccio, in uno stato di incoscienza. Quella notte, però, a differenza di quella che stavo vivendo, era placida, tranquilla, mentre ora sentivo alcuni rumori provenire dal piano di sopra, e non era rumore di passi, nè di bambini che giocavano. Mi avvicinai alle scale, sentendo una voce parlare in un inglese troppo colto per essere uno dei miei vicini.
"Qui ce ne sono altri, poi dovremmo aver finito." disse al suo interlocutore.
"Questa zona sta diventando sempre peggio... mi chiedo come queste abitazioni possano esser state invisibili agli occhi della legge per così tanto tempo." sbuffò l'altro.
"Presto o tardi, giustizia è sempre fatta." rispose il primo con un certo orgoglio e un tocco di scherno nella voce.
"Ci manca ancora l'appartamento di quel negro* all'ultimo piano e poi abbiamo finito. Ricorda: dovranno sloggiare tutti entro domani, e se non lo faranno, la galera li accoglierà a braccia aperte." finì ridendo il secondo.
Un senso di disgusto mi disegnò una smorfia in volto. Ero già pieno di energie, ma nulla mi avrebbe vietato di dare il ben servito a quelle persone così spregevoli, che avrebbero sfrattato decine di famiglie innocue in una condizione di povertà estrema, che fosse per decreto della legge o meno. Ma il pensiero che ci potessero essere altri  sbirri, fuori ad aspettarli, mi bloccò.
"Andiamo allora, in nome della nostra città." udii un rumore di passi che salivano le scale. Non avevo molto tempo, evidentemente si erano dimenticati il mio appartamento, viste le numerose porte che affollavano ogni piano e corridoio.
Quando gli agenti, ispettori o poliziotti che fossero, si allontanarono e li sentii bussare alla porta del famigerato inquilino dell'ultimo piano, mi precipitai in camera mia. Se avessero deciso di chiudere la casa, sorvegliarla, o peggio abbatterla, non sarei potuto tornare, e non mi andava di avere a che fare con quei tipi, anche perché le mie varie documentazioni d'identità avrebbero potuto dare qualche dubbio. Fortunatamente il mio monolocale non era troppo disordinato, e dopo aver afferrato due borsoni, in uno buttai tutti i vestiti che riuscii a trovare e nell'altro misi qualche libro, un paio di foto che avevo da molto tempo e altre cose che non mi andava di vedere tra le macerie di quella casa popolare. Feci appena in tempo a chiuderlo che sentii bussare alla porta. S'erano accorti di avermi dimenticato, o avevo fatto troppo rumore? Esclusi la seconda ipotesi, forse mi stavano aspettando, e avevano capito che ero appena arrivato.
"Se è lì dentro apra, o saremo costretti a sfondare la porta." a parlare fu una voce roca.
"Apra, ora." ribatté l'altra.
Afferrai una borsa, la misi a mo' di zaino e presi l'altra in mano, poi mi avvicinai alla finestra e saltai, proprio mentre sentii un rumore, un tonfo sordo: la porta era crollata. Usai un poco della mia energia per non farmi male nella caduta, e poi corsi verso la boscaglia che circondava una zona del parco. Entrato, al sicuro, mi calmai. Nessuno mi avrebbe trovato, e anche se fosse, non avrebbero potuto provare che ero uno degli inquilini. Lanciai un ultimo sguardo al condominio, notando la luce della mia camera da letto accendersi, e mi inoltrai nel folto della boscaglia. Mi spiaceva solo per tutte quelle persone, quelle povere famiglie che non avrebbero trovato riparo, le ragazze che sarebbero finite per strada, i bambini piccoli che avrebbero dovuto dormire al freddo. Poi sgombrai la mente: era anche colpa loro, io non potevo fare nulla per aiutarli, e specialmente non mi interessava farlo. Continuai a camminare fino al limitare del boschetto, e percorsi due isolati a piedi fino ad arrivare al 'campo'. Lo chiamavo così per evitare altre definizioni peggiori. Era un campo base per roulotte e camper, dove viveva altrettanta povera gente, al confine con un piccolo parchetto, verso il quale m'incamminai. Che fossero benedette Londra, la periferia e i suoi parchi.
Avevo un solo pensiero in testa, un solo nome, il volto di un solo ragazzo impresso in mente. Sapevo di trovarlo lì, doveva essere lì, non poteva essere andato via. Ero sparito per un paio di giorni, ma non poteva essersela presa così tanto. Finalmente arrivai al confine con il parchetto, e scorsi la sua modesta abitazione. Senza ulteriore indugio, bussai alla sua porta.

Tra la varia strada percorsa a piedi saranno state le dieci passate, e avevo voglia di bere qualcosa, quindi pregai che non fosse arrabbiato con me, perché dopo che gli avrei raccontato di Juliet lo sarebbe diventato sicuramente, soprattutto perché era molto più esperto di me.
La porta si aprì, rivelandolo con una bottiglia di birra in mano. I suoi capelli erano un po' più lunghi di quanto ricordassi, arruffati e disordinati; gli occhi limpidi come sempre, tanto che mi ricordavano quelli di Juliet, e la carnagione abbronzata. Un sorrisetto gli ravvivò le labbra rosee e sottili.
"Zayn? Da quanto tempo, in effetti mi chiedevo quando ci saremmo rivisti." sarcasmo, tipico.
"Il diavolo perde il pelo ma non il vizio."
Le sue labbra si allargarono in un sorriso sornione, mentre beveva un altro sorso di birra. Si spostò e mi fece segno di entrare.
"È bello rivederti, ti sarai finalmente deciso ad uccidere con stile, se sei scomparso per tre giorni. Oppure hai setacciato Londra alla ricerca di qualche animale?" rise facendo chiaro riferimento a un periodo in cui ero troppo giovane e inesperto.
"L'esperienza, dicono."
"Dicono che sia solo una scusa per coprire gli sbagli. E tu ne hai fatti tanti, come tutti noi." aprii il piccolo frigo afferrando una lattina e lanciandomela.
"Cosa ti porta alla mia umile dimore, allora?"
"Il posto dove vivo non è più sicuro. - sorseggiai la birra, sentendomi finalmente meglio - Posso restare per un po'?"
"Mmh... direi di sì. Sai che però sono arrabbiato con te. Venerdì sei scomparso senza dirmi nulla. E ti fai vivo solo ora, tre giorni dopo." mi guardò, indagatore.
"Una preda difficile - ammisi - A te com'è andata?"
Il sorriso di poco prima tornò raggiante sul suo volto, e alzo pollice, indice e medio della mano destra.
"Tre?! Ne hai uccise tre?!" domandai sconcertato, capendo il perché della sua forma fisica migliore del solito.
"Sarò a posto per un po', quella festa prospettava molto bene, anche se ammetto che all’inizio ho avuto qualche problemino. Hai completamente ragione, dovremmo imbucarci più spesso con questa tattica." approvò, anche se per un attimo mi sembrò che la sua mente fosse altrove. Gli avrei voluto dire di Juliet, aveva il diritto di sapere, e di sicuro sospettava che ci fosse qualche ragione importante se ero scomparso così senza dire nulla, solo che, per qualche motivo, non gli andava di chiedermelo.
"Allora - alzò il tono della voce buttando via la bottiglia e facendo lo stesso con la mia lattina - io dormo sopra il posto di guida, tu puoi metterti dove stavi di solito." indicò il letto dove avevo dormito parecchie volte nel corso degli anni.
"Grazie." lo ringraziai buttando i borsoni sotto il tavolo.
"Ah, ma c'è un vero e proprio sfratto qui... - constatò - è sempre un piacere vivere con un amico, comunque." rise, e io scossi la testa.
"Te la passi bene qui?" domandai.
"Ehi, dubitavi? Ho sempre detto che era il posto migliore per vivere, non c'è bisogno di cambiare casa, è la casa a cambiare con me. Molto utile se puoi diventare un assassino pluriricercato...." lasciò in sospeso la frase, arrampicandosi sul materasso dove dormiva e sfilandosi pantaloni maglia.
"Fa molto caldo, eh?" lo presi in giro.
"Oh, piantala per favore. E ricorda che si fuma fuori." osservò il pacchetto che usciva dai miei jeans, mentre s’infilava una canotta larga.
Mi avvicinai al mio materasso, saltandoci sopra e levandomi le scarpe. Poi mi voltai verso di lui, prendendo coraggio.
"Dobbiamo parlare." sussurrai.
"Cos'è successo, Zayn?" si vedeva che non aspettava altro.
"Un terribile incidente." ammisi pentendomi già del termine che avevo usato.
"Alla festa?" chiese.
"Alla festa." confermai tenendo la testa bassa.
"Dimmi che non è quello che sto pensando, dimmi che non sei stato visto." era estremamente serio.
"Magari fossi stato visto - sentii il bisogno della nicotina sulle mie labbra, sentii la necessità di scappare - molto peggio."
"No. Zayn, no." scosse la testa spalancando gli occhi, saltò giù dal letto e si sedette al piccolo tavolo. Capii che dovevo raggiungerlo, e così feci. Parlò a più bassa voce possibile, quasi avesse paura che qualcuno, nelle ombre del campo, potesse capire.
"Non è morta. Lei non è morta, vero Zayn?" chiese conferma deglutendo. Ebbi solo la forza di scuotere la testa e di girarmi dall'altra parte.
"Cazzo Zayn, sei un coglione!" batté il pugno sul tavolo alzando il tono della voce.
"Ma credi che l'abbia fatto apposta?!" contrattaccai.
"Non mi interessa, sai a cosa sei andato incontro?! Dovevi ucciderla subito dopo, romperle l'osso del collo, cazzo! Devi andare a farlo ora!" urlò. Rabbrividii alla visione di me spezzare l'osso del collo a Juliet e buttare il suo corpo giù da una scogliera.
"Zayn, sei un coglione." ripetè a voce più bassa facendomi venire i nervi a fior di pelle. Tuttavia la sua reazione non era affatto esagerata, anzi, da lui mi sarei aspettato molto peggio.
"Cosa le hai detto?" cercò di tranquillizzarsi.
"Nulla di troppo specifico." tagliai corto.
"Quindi non sa cosa le succederà."
"No." provai ribrezzo per me stesso.
"Buona fortuna - rise - Ma cosa cazzo credi di fare, Zayn? Sai benissimo cosa succederà. Era già successo, capita a tutti. Perché tirare la cosa per le lunghe?"
"È convinta che quando finirà la sua energia vitale in me cesserà tutto. Per lei." a ogni parola mi vergognavo sempre di più. La sua risata invase ogni angolo.
"Bella questa, Zayn. Bellissima. Le auguro una vita felice allora. Felice e specialmente lunga." si arrampicò di nuovo sul letto, buttandovisi. Era una situazione seria, porca puttana, non avrebbe dovuto ridere. O forse avrei dovuto ridere anche io, visto che in fondo mi stavo prendendo gioco di Juliet? Era difficile dirlo, forse mi stavo prendendo gioco di me stesso, credendo che con lei le cose sarebbero potute andare in modo diverso solo perché io volevo così.
"Non è che l'hai fatto per quello che sto pensando..." la sua voce echeggiò dall'alto.
"Fatto per cosa, si può sapere?" mi ero stufato dei suoi giochi di parole.
"La leggenda narra che molto tempo fa un fanciullo baldanzoso incontrò una fanciulla graziosa presso il suo gran castello..." cominciò.
"Arriva al sodo." lo interruppi.
"Lo chiamano Cupido. Scocca la freccia e il colpo di ful-" rise afferrando il lenzuolo.
"Vaffanculo, Louis." sbuffai interrompendolo, e me ne andai a dormire.
Un'ulteriore volta, non sapevo se stavo mentendo a lui, a me, o a Juliet.
"Tranquillo ragazzo mio, sono sicuro che non possa essere solo per questo. Ma domani mi devi delle spiegazioni, e lo sai. E' meglio se pensi a quello che stai facendo... - mormorò - Che, lo sai, è sbagliato - concluse - Buonanotte." lo sentii rigirarsi sotto le coperte.
La giornata seguente gli avrei dovuto spiegare molte cose. A lui, non a Juliet. Non era ancora il momento. La domanda era, lo sarebbe mai stato?
Mi girai verso il muro, spensi la piccola lampada giallastra e cercai di incastrare i pensieri nella mia mente, anche se tutti sembravano tasselli di puzzle formati in maniera che nessuno potesse combaciare con l'altro.
















 
 




 
 
 
 

Oh My Josh.
Ecco il primo dal POV di Zayn! Ed ecco Loueeeeh!
Pppoi, ho postato la 
OS di cui parlavo per il mio anno su efp,
ci ho lavorato tantissimo quindi sarei contentissima se qualcuna di voi passasse.
E' una Larry, quindi so che può non piacere, ma sinceramente quando ho sentito Heart By Heart...

Grazie a tutte per le recensioni,
Joanne.


 


 
Tuttavia, qualcosa non andava. Ebbi gli incubi, ma ogni volta che finivano me li dimenticavo, e sudai freddo per tutta la notte. Ricordai vagamente una scatola che si stringeva fino a soffocarmi, un lago che si alzava fino a sommergermi, e mille pugnali conficcati nel petto che mi torturavano. La parte peggiore fu quando mi svegliai, alle sei, sputando sangue e saliva.

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Capitolo 10
*** {X} Home ***


                                                                 
 
You're just like poison, and I just don't get it:
 
-Juliet-


Il giorno seguente ci incontrammo di pomeriggio, a casa mia. Era una giornata nuvolosa, ma non cadde nemmeno una goccia d'acqua. Ero in ansia perché non avevamo un accordo, e pensavo sarebbe arrivata presto una fitta di dolore, eppure Zayn si presentò in perfetto orario, dieci minuti dopo che Jade era uscita per andare a fare alcune compere. Fu di poche parole, me ne stupii persino io: il bacio, o meglio, i baci avevano forse rovinato qualcosa? Mi sembrava che fosse stato lui a cominciare, io non ne avevo alcuna colpa - ipocrita, diceva una vocina nella mia testa - se non... beh, il ricambiare. Presi qualcosa da bere, e decidemmo come dove e quando ci saremmo visti per i giorni successivi. Come si diceva? Prima il dovere, poi il piacere. Cambiò argomento ogni volta che proposi di andare a casa sua, così ne dedussi che dovesse esser successo qualcosa di poco piacevole. Rimanemmo d'accordo di vederci a casa mia, al parco o in Boutique, sempre verso la stessa ora, e che a seconda di come mi fossi sentita avremmo deciso se rendere Jade partecipe o meno. Il tono piatto e apatico che usava mi rendeva nervosa: sembrava un'altra persona, non era né dolce né serio né sarcastico e nemmeno acido. Riuscivo a capire gli sbalzi d'umore, ma questo era eccessivo.
"Zayn, va tutto bene?" trovai il coraggio di domandargli. Si girò guardandomi negli occhi e aprendo bocca, ma la richiuse subito dopo.
"Tutto a posto, sta tranquilla." sorrise cercando di confortarmi. Ne seguì un altro silenzio.
"Però adesso devo davvero andare Juliet, io... io..."
"Non devi spiegarmi nulla." sussurrai a denti stretti e testa bassa. C'erano così tante cose che non sapevo di lui, eppure la solita vocina mi diceva che forse era meglio così, di non immischiarmi in qualcosa di troppo grande, e sopratutto troppo pericoloso. Ma, specialmente, sapevo che sarebbe stato lui a darmi le spiegazione che cercavo, presto o tardi. D'altra parte, la mia curiosità innata mi spingeva verso il burrone. Cominciai a temere che questo divario, come quel controllo psicologico che aveva esercitato su di me in discoteca per attirarmi a sè, fosse causa sua: ma come potevo decidere, se non sapevo quale decisione fosse stata realmente presa da me e quale forzata? Lo accompagnai alla porta, e sentii il suo sguardo sulle mie spalle. Istintivamente, le scrollai come se i miei muscoli fossero ancora intorpiditi e in via di risveglio.
"A domani, Zayn." chiusi la porta sforzandomi di essere gentile, senza aspettare che potesse aggiungere qualcosa. Il dovere c'era stato, ma il piacere non era ancora arrivato.  Non era arrivato quel giorno, e forse non sarebbe mai giunto. Viva gli sbalzi lunatici di Zayn. Magari i parassiti erano particolarmente sensibili a certi spostamenti degli astri e dovevo imparare a convinverci. 
Appena sentii i suoi passi allontanarsi mi avvicinai alla finestra, scostando le tende e guardando per strada. Lo vidi uscire poco dopo, e colpire con rabbia una lattina vuota schiacciata a terra. Alzò il cappuccio della felpa e si avviò verso casa sua.
Lasciai scivolare le tende e afferrai il libro di Letteratura, che dovevo assolutamente studiare. Giocai un po' con la matita, arrotolandomela fra i capelli o tra le dita, e alla fine sbuffai, chiudendo il libro e ripetendomi che ciò che spaventava quel ragazzo non mi doveva interessare. ciò che spaventava me era già abbastanza. Tuttavia in quel momento mi sarebbe piaciuto tanto essere con lui, ovunque si trovasse.

Stavo girando per casa in pigiama, due ore dopo, quando Jade tornò, e la vidi appoggiare due borse di plastica sul tavolo della cucina.
"La cena! Cibo cinese di prima qualità, del ristorante preferito della sottoscritta - che le ha fatto saltare la coda. Sono un'ottima cliente!" sorrise.
"Sei un'ottima cliente per qualunque negoziante, Jade." la presi in giro mentre si toglieva le scarpe.
"Vediamo qualcosa?" accennai alla televisione. Take Away e Film - preferibilmente con Brad Pitt o gli Hemsworth - erano un must delle sere settimanali.
"Oh, ehm.... - si morse il labbro - veramente io stasera vado a dormire da... da un'amica che mi ha invitata per ripassare Letteratura, devo uscire fra un'oretta, mi spiace." si scusò.
"Vuol dire che avrò un incontro ravvicinato con Criminal Minds." le sorrisi accendendo e trovando il canale che trasmetteva il programma.
"Grazie grazie grazie, Juliet, puoi sistemare te? Vado a prepararmi. - corse in camera - Prometto che per farmi perdonare questo weekend ti faccio i biscotti!" urlò dall'altra parte dell'appartamento.
"Scuse accettate!" risposi con la stessa intensità, sistemando la spesa nella credenza e aprendo il sacchetto con la cena: delizioso pollo alle mandorle e involtini carne e verdure, ecco quei momenti in cui amavo Jade più del solito, il che era difficile. Presi le bacchette e portai il tutto di là, trovando la mia amica vestita e truccata, con la sua borsa in mano. Ci sedemmo a gambe incrociate sul divano e parlammo del più e del meno, com'eravamo solite fare, anche se ogni volta che il mio sguardo ricadeva sulle grandi finestre mi veniva da pensare a dove fosse Zayn e a cosa stesse facendo in quel momento.
"Juliet, ci sei?" mi schioccò improvvisamente le dita davanti agli occhi.
"Eh? Sì, sì, scusami." buttai via il contenitore del pollo.
"C'è qualcosa che devi dirmi? Un ragazzo..." fece maliziosa.
Sbuffai continuando a mangiare il pollo: "Ma pensi solo a questo ultimamente?"
"Può darsi." rise. Finimmo le nostre porzioni di ravioli in un attimo, facendo a gara, che ovviamente vinsi io con grande vantaggio.
"Allora ci vediamo domani." afferrò la borsa, e accompagnai anche lei alla porta.
"Sì - affermai - Ah... e andateci piano te e Niall, stasera." già sulle scale, la feci voltare, sorpresa.
"Non mi puoi mentire Jade." risi facendole la linguaccia, lasciandola stupita per la mia giusta intuizione. Era tenera quando cercava di mentirmi, e sapevo che lo faceva solo perché aveva paura. Temeva che potessi credere che volesse allontanarmi dal mio migliore amico. Jade era una persona molto pacifica e gentile, sempre premurosa e preoccupata per gli altri, e per questo non voleva dirmi che avrebbe passato la serata da Niall, non voleva che mi sentissi esclusa. Cos'avrebbero fatto non volevo saperlo - anzi, meglio esserne esclusa, speravo solo che quel babbo la trattasse bene e ci andasse piano... con le barrette al cioccolato, s'intende. Le mandai un bacio e richiusi la porta con le labbra increspate in un sorriso.

La notte fu un tripudio di crimini, sangue, maniaci che uccidevano ragazze bionde con un punteruolo conficcato nel cuore e tizi che si credevano vampiri e succhiavano il sangue alla gente. Quando andai a dormire era appena scoccata la mezzanotte - meglio, quando mi addormentai sul divano, raggomitolata nella coperta di lana e sdraiata in una posizione troppo comoda per cambiaria, era appena scoccata la mezzanotte. Tuttavia, qualcosa non andava. Ebbi gli incubi, ma ogni volta che finivano me li dimenticavo, e sudai freddo per tutta la notte. Ricordai vagamente una scatola che si stringeva fino a soffocarmi, un lago che si alzava fino a sommergermi, e mille pugnali conficcati nel petto che mi torturavano.
La parte peggiore fu quando mi svegliai, alle sei, sputando sangue e saliva. La situazione continuava a peggiorare, e così corsi in bagno all'istante. Dopo cinque minuti di sofferenza, piegata sul lavandino con le gambe che tremavano, il flusso sembró migliorare, così mi infilai una canottiera, un paio di jeans e un cardigan che trovai in giro per la casa, mi infilai le vans e corsi verso l'appartamento di Zayn, munita di fazzoletti e cappuccio. Questa volta non avevo alcun imput, alcuna spinta, qualcosa che mi dicesse di andare da lui per stare meglio, e dovetti trovare il parco esclusivamente grazie alla mia memoria. Questo fatto mi spaventò, e non poco.
Quando finalmente arrivai, mi sentii mancare. I condomini dove abitava erano recintati e chiusi da nastri rossi e bianchi, le porte e le finestre sbarrate e un avviso esposto sulla facciata recava le parole "Abitazioni illegali" seguite da un lungo discorso. Vidi due poliziotti camminare nella mia direzione proprio quando sentii un nuovo conato salire in gola, così corsi verso il boschetto che si trovava dietro la casa, e tossii copiosamente, sentendo l'aria mancare. Una volta che riuscii a smettere, continuai a proseguire per il bosco, e notai che, con mia grande sorpresa, stavo benissimo
Mi girai, certa di trovare Zayn dietro ad un albero, e invece non vidi nulla. Provai a tastarmi la gola, per vedere se era finito tutto, e l'esame fu positivo. Quanto tempo mi restava prima della prossima manche?
Sempre più perplessa, uscii dalla macchia d'alberi, e mi trovai in un quartiere sconosciuto. Percepii finalmente una sensazione, simile a quella che mi aveva guidato da Zayn, la quale mi diceva di andare a destra, e la seguii senza farmi troppi problemi. Finii in un altro parco, e dopo aver camminato una decina di minuti, uscii in un campo pieno di roulotte e camper, abitazioni principalmente per immigrati, famiglie troppo povere che non riuscivano a trovare casa. Ero un po' diffidente, ma sentivo di essere vicina a lui, così proseguii. Quando l'erba finii, cominciarono dei sassolini, e giusto tra quel cambiamento di terreno, trovai un camper bianco sporco, con le finestre chiuse e il cruscotto oscurato, che sentivo essere la soluzione ai miei problemi. Esitai un attimo, e se mi fossi solo cacciata in un guaio?
Percepii qualcuno osservarmi, e trovai un ragazzo, appoggiato alla fiancata del veicolo, che fino ad allora non avevo notato. Non ero sicura stesse guardando me, così mi girai per controllare, e lo sentii ridere della mia mossa. Sì, ce l'aveva definitivamente con la sottoscritta.
I suoi occhi erano molto simili ai miei - da quella distanza non sarei riuscita a trovarne la differenza, ma i capelli ne coprivano leggermente uno. Indossava un paio di jeans chiari lunghi fino al ginocchio, con il risvolto, delle All-star bianche e una maglietta senza maniche, che metteva in risalto i muscoli, sulla quale si stagliavano un paio di bretelle rosse e blu.
"Sei Giulietta, vero?" domandò, guardandomi negli occhi.
"Juliet." ribattei seccata, non mi era mai piaciuto quel soprannome.
"Giulietta, in Shakespeare, finisce molto, molto male." continuò impertinente.
"Romeo anche peggio." dissi duramente, senza distogliere lo sguardo dal ragazzo.
Sorrise nuovamente, e lo vidi battere il pugno due volte sulla porta del camper.
"Zayn! Hai visite!" urlò incurante degli altri, che potevano essere ancora addormentati nei loro letti. La sua sfacciataggine era irrecuperabile. La piccola porta si aprì, e vidi una chioma mora uscirne.
"Che cazzo c'è? E' prestissimo - osservò il suo amico - Juliet!" si accorse della mia presenza.
"Ciao, Zayn." lo salutai con ovvietà.
"Aspetta un attimo." si congedò in fretta, chiudendosi di nuovo dentro il camper, e lasciandomi sola con l'altro ragazzo che, da quanto avevo notato, era suo amico. Mi aveva detto che non era l'unico ibrido a Londra, e se viveva con questo tipo, ciò significava che anche lui era dalla parte dei 'buoni'. Se non fosse stato per i suoi occhi, non ci avrei mai creduto. Ma fu quando alzò totalmente il volto nella mia direzione, che improvvisamente lo riconobbi. Era il ragazzo che alla festa di Niall mi era venuto addosso, e mi aveva liquidata come se niente fosse. Forse avevo fatto bene a non ribattere; qualcosa mi diceva che se mi avesse aggredita lui non sarei stata lì a raccontarlo.
A quanto pare lo notò anche lui, infatti rise nuovamente.
"Ah, e per l'altra sera. Saresti potuto stare più attento." lo squadrai.
"Non sono io quello che pretende di passare per una folla ubriaca senza scontrarsi con qualcuno." sorrise. Avrei voluto ribattere di nuovo, ma Zayn uscì dal camper e si diresse verso di me in fretta, lanciando un'occhiata fugace al ragazzo con gli occhi azzurri, che avrei definito impenetrabili.
"Divertitevi." disse quello, prima di rientrare.
"Juliet! - mi raggiunse - Stai bene? Ero preoccupato." preoccupato? Non capivo.
"A dir la verità sono stata malissimo questa mattina... ma era una cosa strana, diversa dal solito... perché eri preoccupato?" domandai corrucciando le sopracciglia.
"Non qui." mi prese per mano e cominciò a camminare verso il parco, nel quale avevo scorto un paio di panchine. Raggiuntane una, mi fece segno di sedere accanto a lui. L'aria fredda della prima mattina cominciava a essere più umida, un leggero vento soffiava da ovest e non c'era alcuna traccia di uccellini o tortore a dare il buongiorno, nell'aria. Forse perché il buongiorno non ci sarebbe stato, e gli animali non erano così ipocriti come gli umani.
"Prima di tutto, mi dispiace per ieri. L'altra sera è successo un casino terribile, che mi ha portato a... beh, spostarmi qui." cominciò.
"Sì, lo so. Ho visto casa tua, Zayn, stamattina." lo scusai.
"E penso che tu abbia anche visto Louis." mormorò, lasciando intuire ciò che non diceva.
"Sì. Ma se tu ti fidi di lui, mi fido anche io. Anche se ha qualcosa che... che... Non saprei spiegarlo." tentennai.
"È il mio più caro amico. Non so dove sarei finito senza di lui. Mi ha insegnato tanto, subito dopo la mia morte da vivente... e c'era anche lui, venerdì, alla festa." pensò di rivelarmi un segreto.
"Lo so - ammisi - Mi sono scontrata contro di lui. Comunque non stavamo parlando di questo." gli feci intendere.
"No. La cosa più importante, cosa ti è successo dopo che me ne sono andato, ieri sera?" prese le mie mani fra le sue, e provai un brivido di piacere e sorpresa nel constatare che erano calde e morbide.
"Mi sono svegliata presto. Vomitavo... sangue." rabbrividii al ricordo di un evento così vicino e così spaventoso.
"Non meglio di quanto pensassi, e sta già peggiorando." disse più a se stesso che a me.
"Cosa sta peggiorando? Avevi detto che sarebbe migliorata con il tempo!" protestai.
"Ti ho anche detto che non dipende da me... Juliet, ci sono così tante cose che non ti ho detto, e penso che tu te ne sia accorta..." abbassò il tono della voce. Nuovamente, capii che non avrei dovuto chiederle in quel preciso momento. Un'altra deroga, un'altra concessione: l'ultima, però.
"La domanda ora è: cosa faremo? Non posso vivere nell'ansia che una notte morirò di dolore, o mi sveglierò rimettendo gli organi!" ero sul punto di una crisi di nervi.
"Faremo quanto possibile, per ora, Juliet. E aspetteremo." proseguì.
"Cioè?" domandai perplessa, ansiosa della soluzione, le labbra secche.
"Sfrutteremo l'unico modo per farti stare meglio di salute e al sicuro. Verrai a vivere con me - ho già trovato una casa." la mia mente si era fermata alla parola 'sicuro'. 
Perché, da sola non lo ero?






















  Oh My Josh.
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, e sì,
C'E' QUELLA FO*****SSIMA BATTUTA.
Scusate l'enfasi, ma è stata praticamente la prima che ho scritto della storia intera.
Vi ricordo gli ask.fm dei nostri personaggi,  e spero di aggiornare al più presto.

(posterò un altro spoiler in pagina)
Joanne


 
 
 
 
"Per me va bene, supera le mie aspettative. E davvero, non è un problema, posso dormire sul divano, è spazioso-". 
"Non se ne parla nemmeno, Juliet. Sul divano ci dormo io." intimò severo.
"Non so quanto costi la casa, ma sei pur sempre tu a pagarla e non mi sembra corretto." non mi sentivo a mio agio a imbrogliare le persone. "Ti ho quasi uccisa e potrei provarci di nuovo, se solo ti avvicini a quel divano. È chiaro?" rise mentre riprendeva in mano le chiavi.


 

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Capitolo 11
*** {XI} True-ish ***



How can something so deadly feel so right?
 
-Juliet-

 
Le sue parole risuonarono nella mia mente. Vivere. Insieme. Con ZaynLa mia lingua si mosse per dire di no, per dire che dovevo e volevo restare con Jade, ma forse nessuna delle due affermazioni sarebbe stata esatta.
"Juliet? Mi senti?" passò una mano davanti ai miei occhi.
"Sì, sì, Zayn." abbassai la testa reprimendo le lacrime.
"Hey, stai... piangendo? Sai che lo faccio per il tuo bene." mormorò avvicinando la fronte alla mia.
"Lo so, santo cielo, è solo che sta procedendo tutto così velocemente e non avevo mai pensato che sarebbe potuto succedere qualcosa di simile." ammisi. Lui rimase un attimo in silenzio, lasciando lievi carezze sulla mia schiena, poi cambiò discorso.
"Ieri pomeriggio mi sono mosso, e ho già trovato un appartamento. Ci converrebbe aspettare e fingere, ma non possiamo. Domattina potresti già stare peggio." continuò.
"Stai dicendo... che lo dovremmo dire a Jade?" domandai incredula, era un'idea che non mi era passata per l'anticamera del cervello. Non volevo metterla in pericolo, no. No, no, no.
"Prima o poi avrebbe notato qualcosa, e visto la tua condizione di salute, è un po' improbabile che tu te ne vada via con uno sconosciuto così, casualmente. Sappi solo che non sarà indeterminato. Solo fino a quando starai meglio." era strano quanto si preoccupasse per la mia salute, considerando che era lui l'artefice dei miei dolori.
Annuì lievemente, mordendomi le labbra "E questo tempo determinato sarebbe...?"
"Non posso ancora dirtelo, mi spiace." abbassò il tono della voce.
"Apprezzo quello che stai facendo - mi guardò incredulo - Nel senso, potresti benissimo lasciarmi a rimettere sangue chissà dove, e per te non cambierebbe nulla - anzi, magari ti semplificherebbe le cose. Se posso dirlo in questi termini, mi hai ferita, ma stai cercando di lenire i dolori." mi fermai: non ritenevo necessario un ringraziamento.
"Non ti avrei mai potuta lasciare, su questo non ci sono dubbi. So che quello che ti ho fatto è orribile, e dentro mi sento malissimo, quindi è il minimo. Forse era destino che finisse così, forse sta succedendo qualcosa." mormorò. Ma non posso cambiare, pensò Juliet, ma Zayn non aggiunse nulla. Sorridemmo entrambi, per non pensare ad altro. Feci per spostarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, ma la sua mano sostituì la mia. Sorridemmo entrambi. Feci per aprire bocca, ma le sue labbra si posarono pronte sulle mie. Sorrisi stupita. Feci per approfondire il contatto, ma mi precedette anche questa volta. Sorrise sulle mie labbra. Il suo profumo fresco e leggero m'invase, scacciando via tutti i brutti pensieri e incitandomi ad abbandonarmi al piacere. Ci staccammo, non più sorridenti ma con un'espressione confusa in volto.
"È-è meglio che ora vada. Ho lezione." sussurrai.
"Penso che tu per oggi la possa anche saltare, se non hai nulla di importante - controllò l'ora - È ancora presto. Vieni, passo a prendere una cosa da Louis e poi ti faccio vedere dove abiteremo..." detto così suonava tanto - troppo - da giovane coppia innamorata.
"Poi andremo da Jade, é meglio non aspettare troppo." finì.
Dieci minuti dopo eravamo per strada, e camminavamo in una via leggermente affollata. I condomini erano alti e stretti, interrotti qua e là da qualche casupola più bassa.
"Eccoci." attraversammo la strada in corrispondenza di un ristorante giapponese.
L'edificio che stavo rimirando era di media altezza, sui toni del mattone e del rosso scuro, circondato da un piccolo giardino frontale. Il cancelletto d'ingresso era basso e grezzo, ma la costruzione non sembrava troppo vecchia. Zayn sfilò di tasca un mazzo di chiavi, e con la prima aprì la porta di vetro davanti a noi. L'ingresso era semplice, le pareti costellate da riproduzioni di quadri d'epoca e caselle della posta, e la portineria formata da un grande bancone di legno. Non vi era ascensore, e le scale presentavano qua e là qualche crepa. 
Arrivati al secondo piano, imboccammo il corridoio a destra fino a una porta lucida, che doveva essere quella del nuovo appartamento. Zayn l'aprì tramite l'uso di due chiavi e buttò il suo borsone blu scuro all'ingresso, togliendosi la giacca.
Entrai incerta, sperando che non fosse peggio del suo ultimo appartamento, e fui piacevolmente sorpresa.  Il salotto era spazioso e arredato in maniera spartana ad eccezione del divano ad isola nei toni dell'arancione. La cucina era piccola, ma accessoriata con gli strumenti indispensabili, seppur senza la traccia di un tavolo o qualcosa di simile su cui poter mangiare. Ritornando in salotto, a sinistra vi era un piccolo corridoio di collegamento, da cui si entrava nel bagno o nella camera da letto. Lo spazio non era grande, ma ottimizzato. Fortunatamente era molto luminoso, e questo mi bastava. C’era un piccolo balcone con un tavolo rotondo, sufficientemente grande per due o tre persone.
"Sempre meglio che vivere tre in un camper. Penso che non ti serva portare granchè, alla fine non sei molto lontana da casa tua, un quarto d'ora a piedi e dovremmo esserci se ci sbrighiamo." spiegò dalla cucina, bevendo un bicchiere d'acqua.
"Per me va bene, supera le mie aspettative. E davvero, non è un problema, posso dormire sul divano, è spazioso-" 
"Non se ne parla nemmeno, Juliet. Sul divano ci dormo io." intimò severamente.
"Non so quanto costi la casa, ma sei pur sempre tu a pagarla e non mi sembra corretto-" non mi sentivo a mio agio a imbrogliare le persone.
"Ti ho quasi uccisa e potrei provarci di nuovo, se solo ti avvicini a quel divano. È chiaro?" rise mentre riprendeva in mano le chiavi.
"Se proprio insisti..." accettai pensando che forse la convivenza avrebbe avuto i suoi lati positivi: un letto spazioso e niente risvegli all'insegna di dolori e sangue.
"Ci conviene andare ora, prima che Jade raggiunga l'università." spiegò.
"Jade, cazzo! - mi battei una mano un fronte - È da Niall! Che stupida stupida stupida, non me lo ricordavo. E ora?" domandai disperata.
"Abita molto lontano questo Niall?" mi chiese.
"Affatto, nella traversa di Banker Street." spiegai.
"È una persona importante per te, vero?" domandò con una nota indecifrabile nella voce. Diffidenza, forse?
"È il mio migliore amico. E da quanto sembra, potrebbe avere un certo interesse, ricambiato, per Jade..." mormorai sperando di non cacciare entrambi i miei amici in un guaio.
"Allora anche lui sarà informato. Credo sia meglio per tutti. Ora non abbiamo tempo da perdere, andiamo." aprì la porta, dando voce ai miei peggiori incubi: e se qualcosa fosse andato storto? Speravo solo che avrebbero capito.
 
Il tragitto fu più lungo del previsto, e arrivammo da Niall giusto quando stava uscendo di casa, mano nella mano con Jade. Stavano parlando fra loro, e avevo visto raramente la mia amica tanto radiosa. Mi sentì quasi in colpa a rovinare un momento così bello. Zayn era dietro di me, e aspettava che gli dessi il via libera.
"Niall!" lo richiamai.
"Juliet, cosa ci fai qui?" domandò mentre Jade mi salutava, leggermente imbarazzata. Era una situazione nuova per entrambe.
"Dobbiamo parlare, è urgente. Niente uni oggi." lo ammonii, pregando che la bionda non si arrabbiasse con me. Tenevo troppo a entrambi.
"Cosa succede?" domandò preoccupato.
"Succede che Jade non te l'ha detta proprio corretta a proposito di quanto mi è accaduto alla festa... ed io ho fatto la stessa cosa con lei." mi guardarono stupiti, le sopracciglia inarcate.
"Penso che ci convenga rientrare in casa. - fece Niall nervosamente - Risolviamo questa situazione." aprì la porta d'ingresso.
"Aspettate! - li richiamai - C'è... C'è... qualcuno che dovete conoscere- feci confusa, sentendo la mano del ragazzo moro sfiorare la mia - Questo è Zayn, lui, anzi, noi vi dobbiamo dire qualcosa di molto importante." le facce dei miei amici erano un misto di stupore, paura e confusione.
Ci affrettammo a entrare nell'appartamento, e supplicai Zayn di raccontare tutto, perché io non ce l'avrei fatta. Ci sedemmo in salotto senza troppi convenevoli, e l'ibrido cominciò a narrare nei dettagli ogni singola cosa, o, perlomeno, tutte le cose che aveva detto anche a me. Ascoltai senza riuscire a guardare Jade negli occhi per più di quattro secondi di fila.
I miei amici, d’altro canto, rimasero sempre più attoniti, non trovando parole per ribattere: Jade inizialmente era delusa perché non gliene avevo parlato, ma cominciò a capire, almeno più di Niall. Zayn era un abile oratore, lo ammetto, e descrisse alla perfezione gli avvenimenti e il concetto di parassita. Penso che gli persuase anche della sua 'bontà'. Dopo una mezz'ora di parole e una doppia dimostrazione della sua forza straordinaria e del cambiamento del suo volto quando entrava nel vivo dell'azione- al che pensai di trovarmi in un circo - il biondo si abbandonò contro lo schienale del divano. Il silenzio era interrotto solo dal rumore delle macchine che passavano giù in strada, dove tutto era normale. Una normalissima banalissima giornata come tante.
"I-io non so cosa dire. Alla sprovvista, v-veramente è... è... nel senso, boh." iniziò a confabulare.
"Io direi che è solo un problema. Un casino. Non riesco a capacitarmene... cosa succederà a Juliet dopo questo 'tempo determinato'? Cosa le succederà durante questo 'tempo determinato'?!" mormorò Jade con gli occhi lucidi. La conoscevo, e sapevo che più di ogni altra cosa voleva alzarsi e andare a tirare un paio di ceffoni a Zayn, ma non avrebbe cambiato nulla. Strinsi la mia mano nella sua.
"In questi mesi potrebbe avere dei miglioramenti o dei peggioramenti, sarà altalenante. Dopo, dovrete solo custodire il nostro segreto. Non vi vogliamo fare del male, non siamo quel genere di parassiti. Sappiate che però, se lo direte a qualcuno o tradirete la nostra fiducia, non potremo chiudere un occhio..." nemmeno Zayn sembrava convinto delle proprie parole. Durante il lungo discorso avevo capito che c'era qualcosa che non andava, qualcos'altro che non mi aveva detto, qualcosa che non sapeva come gestire, e che i fatti erano un po' diversi da come li aveva raccontati. Più volte si era fermato e aveva cambiato l’inizio di una frase: qualche domanda in più e sarebbe potuto crollare. In quei giorni, in quelle settimane che avrei passato con lui, avrei dovuto scoprire il suo segreto, perché sapevo che mi riguardava e che al tempo stesso lui non lo avrebbe rivelato di sua volontà a nessuno, forse non riusciva neanche ad accettarlo di per sé.
"Quanti siete? Nel senso, a Londra... è pericoloso?" chiese il biondo.
"Al momento, a Londra saremo quattro o cinque. In città solo io e Louis, che per il resto è mio amico e non vi attaccherà. I restanti sono fuori città, ma non possono avvicinarsi a voi. Se provassero ad uccidervi, sentirebbero che siete collegati a me, e non ci riuscirebbero. Potrebbero ferirvi, ma non al punto di uccidervi. Vi ho sotto quella che chiamiamo "Protezione", ora, come se foste delle vittime, predestinate a me, e gli altri parassiti lo sentono. Una specie di barriera che vi protegge dall'attacco degli altri. È una delle poche cose positive che sono in grado di fare ora... comunque nessuno ce l'ha con voi, non vedo perché dovrebbero. L'unico consiglio che posso darvi è di non addentrarvi in luoghi pericolosi da soli, tutto qui, e di non esagerare con l’alcool alle feste. Più facili da adescare - anche se vi ucciderebbero dopo, perché l'alcool può portare ad effetti collaterali momentanei sull'energia vitale." quindi i miei amici non correvano nessun grande pericolo. Tirai un sospiro di sollievo. Incrociai gli sguardi di Niall e Jade e capii che la parte più difficile adesso sarebbe stata cercare di comportarsi normalmente l'un l'altro, come se niente fosse, Zayn compreso: era entrato a far parte delle mia vita ma non volevo che la sua presenza fosse di troppo.
 
Passammo il resto della mattinata a casa di Niall, e non seppi con precisione se l'irlandese stesse cercando di socializzare o meno, perché stetti gran parte del tempo con Jade, a parlare in privato. Cercai di essere il più dettagliata possibile, e continuai a chiederle scusa per non avergliene parlato prima. Non fu così tragico, anzi, mi chiedette scusa anche lei per non avermi mai accennato della cotta per Niall – avrei voluto dirle che era tutt’altra cosa e non doveva sentirsi così - e mi confessò che gli avrebbe chiesto se poteva trasferirsi da lui, visto che a casa da sola non si sentiva più sicura, almeno mentre io sarei stata da Zayn. All'una mangiammo insieme, io e Jade, e fu piacevole, come se non fosse successo nulla: parlammo di scuola, di tutte le città che avevamo visitato, e dei nostri piatti preferiti. Riuscii comunque a cogliere una nota di sforzo e innaturalezza nella sua voce. Alle tre e mezza io e Zayn lasciammo i biondi, e alle sei eravamo a casa sua con una borsa che avevo riempito alla buona con qualche ricambio. Ordinare una buona pizza per cena. Mangiammo seduti sul divano, guardando la fine di una puntata di CSI Miami, e andammo a dormire sul presto. Come mi aveva imposto, presi la camera da letto, mentre lui si accomodò sul divano. Era tutto molto strano, ci comportavamo come se fossimo amici da secoli, e forse era proprio l'energia vitale che mi aveva sottratto e che ora circolava nelle sue vene che mi rendeva così facile e piacevole stare in sua compagnia. Più che probabile, in effetti.
Nel letto, quella sera, pensai a cosa mi avrebbe riservato il futuro, a quanto tempo avrei dovuto trascorrere con quel ragazzo, a come sarebbe cambiata ancora la mia vita da quel momento. Dormii profondamente, come mai in vita mia, e quando la sveglia suonò preannunciando una giornata di studio, mi sentivo più leggera ed ero in ottima forma fisica.
















 



 
 
 


Oh My Josh.
passiamo alla nostra storia senza divagare (ps: comprate ARTPOP di lady gaga, è eccezionale!)
anyway, questo capitolo non mi piace particolarmente, perché non avevo la più pallida idea di come descrivere le reazioni di Niall e Jade, cosa che da un lato è fondamentale poiché in questo modo anche loro entrano nel vivo della storia, ma dall'altro può sembrare di passaggio. Perché, siete avvisate, il prossimo capitolo è una bomba.
Vi ringrazio delle 33 preferite, 13 ricordate e 64 seguite, e tutte voi che recensite, può sembrare scontato ma significa moltissimo per me e spero che continuiate a seguire la storia con piacere.
Vi ricordo i profili ask.fm dei nostri personaggi,
Vi lascio con Jade.
Joanne




 


 
Sentivo di essere quasi arrivata all'uscita, quando percepii una mano sulla mia spalla sinistra.
Persi quasi ogni speranza. La sua mano mi prese per un fianco, e mi strinse a lui con violenza.
"Tana per il lupo." mi sussurrò in un orecchio facendomi rabbrividire.

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Capitolo 12
*** {XII} Nightmare ***


 

I'm not sure of what to do, it's a catch 22
 

 -Juliet-
 
La settimana procedette così velocemente che non mi accorsi neanche che era arrivato il weekend. Da quando mi ero trasferita non avevo più avuto attacchi di nessun genere, anche se una mattina non mi ero sentita molto bene - perché a quanto pare neanche la compagnia di un parassita può guarirti dalla tosse. Continuavo il mio lavoretto in Boutique, ogni tanto con Zayn, ogni tanto senza, e mi piaceva moltissimo trascorrere del tempo in sua compagnia. Mi si era aperto un nuovo mondo, ma tutto quello che avrei dovuto fare era aspettare - e nessuno ritiene che l'attesa debba essere sempre noiosa. Scoprii che Zayn sapeva cucinare, e anche piuttosto bene, e quando glielo feci notare sorrise, dicendo che non era certo l'esperienza a mancargli. S'informava ogni giorno sulla mia salute, e quando arrivammo a fine settembre decisi che uno di quei giorni gli avrei chiesto qualcosa di più, cosa che però non feci. Sentivo che si era creato un equilibrio, un accordo implicito fra noi, e non volevo spezzarlo. La scuola andava bene, riuscivo a concentrarmi meglio, anche se dedicavo molto meno tempo allo studio. Niall e Jade erano sempre più affiatati, quindi mi pesava meno l'essere diventata meno presente all'interno del gruppo. Non per questo avevamo troncato i rapporti o stravolto le nostre abitudini, tutt'altro. Ci ritrovavamo quasi ogni giorno, specialmente nel bar dell'università o nell'appartamento mio e di Jade. Anche loro si preoccupavano per me, ma con il tempo capirono che l'unica cosa che potevamo fare era aspettare e che Zayn era stato condannato a una vita che lui stesso disprezzava. Un paio di volte, la notte, avevo sentito una chiave girare nella toppa della porta, e i passi di Zayn che usciva. Le mattine seguenti l'avevo ritrovato in una forma fisica migliore del solito, ma non mi andava di fare domande, sapevo che non amava parlarne, e l'espressione cupa del suo volto confermava le mie incertezze. Dall'altro lato, continuava a essere molto dolce con me, e il bacio che ci scambiammo al parco non fu l'ultimo, anzi.
La prima rottura in questa sorta di equilibrio arrivò ad Ottobre, quando era quasi un mese che la mia vita era cambiata. Incontrai una persona che volevo solo evitare e cancellare dal libro della mia vita per semmpre, ma che da allora non mi avrebbe più dato grandi problemi.
 
 
Era uno di quei giorni in cui passavo a casa mia per prendere dei vestiti puliti, buttare a lavare quelli sporchi e cambiare libri nello zaino; stavo chiudendo la porta a chiave quando lo vidi dall'altro lato della strada. Inizialmente il mio cuore smise di battere, e poi cominciò a pompare il sangue nelle vene a velocità massima. Non frequentando la mia stessa scuola, non avevo problemi come cercare di evitarlo. Qualcosa mi diceva che non si trovava lì per caso. Evitai di guardarlo negli occhi e mi diressi a passi veloci via da quel luogo, appostandomi dietro l'angolo per vedere se era davvero in quel punto o era stata solo una mia impressione. Invece era proprio lì, che sciocca. L'avrei riconosciuto fra migliaia di persone. 
Aveva i capelli un po' più corti di quanto ricordassi, e i muscoli ancora più evidenti sotto la maglietta bianca. Tuttavia i suoi non erano dovuti all'energia vitale, ma a tanto allenamento in palestra e, da quanto avevo spiacevolmente sentito, anche sul campo da boxe ultimamente. Rabbrividii al ricordo di quanto quel ragazzo, così dolce, avesse potuto prendere una sbandata tale per colpa dell'alcool e arrivare a fare quelle cose. Dopo questo, però, sembrò che la violenza avesse incominciato a piacergli, e cambiò completamente. Mi veniva ancora da piangere se pensavo a tutte le parole gentili che mi aveva detto, e come avevano perso di significato quella notte.
Improvvisamente lo vidi dirigersi dalla mia parte, e capii che dovevo allontanarmi di lì in fretta. Forse non stava aspettando l'autbous, constatai. Avevo pensato di cambiare indirizzo, anni prima, per causa sua, ma alla fine avevo deciso che non ne sarebbe valsa la pena. In quel momento, ci ripensai seriamente. Proseguii per il viale, svoltando a destra e sinistra, da strada in vicolo e da vicolo a corso, guardandomi dietro casualmente, diretta verso un parco cittadino dove uno spazio era stato allestito a fiera. Richiamava sempre tante famiglie con i propri bambini, la calca in quei giorni non mancava, e sperai che avrei potuto confondermi in essa con facilità.
Tuttavia mi sbagliavo, e visto che il cielo cominciava a riempirsi di nuvoloni scuri, le persone iniziavano ad allontanarsi dalle attrazioni.  Il mio primo pensiero fu quello di addentrarmi nella casa degli specchi, al momento vuota, e con la speranza di evadere dal campo visivo e di uscirne in fretta ne imboccai l'entrata. Mi bastava appostarmi dietro il primo angolo, aspettare qualche minuto per sicurezza, e poi sarei uscita all'istante, magari tornando all'entrata. Di percorrerla non se ne parlava: anche se era una versione di casa a specchi molto semplificata, temevo che avrei potuto avere un attacco claustrofobico se non fossi riuscita a trovare subito l'uscita. 
Mi ero alzata in piedi per uscire quando sentii la sua voce chiamarmi dall'ingresso. Avrei preferito svenire lì all'istante per non poter avere coscienza di quello che stava per succedere o urlare chiedendo aiuto - tecnica già collaudata, ricordai a me stessa, e fallita miseramente. Mi allontanai tremando verso il capo del corridoio mentre sentivo i suoi passi raggiungermi.
"Dove ti sei nascosta?" lo sentii ridere. Una risata divertita, fredda, cattiva. Mi accorsi di essere solo a una decina di metri da lui, e, contro ogni logica, cominciai a correre. 
"Mossa sbagliata, piccola." sentii l'eco dei suoi passi, e capii che mi stava inseguendo. Ogni tanto arrivavo a un bivio, ragionavo un attimo, ma impaurita mi buttavo sempre a destra o a sinistra senza seguire una logica precisa, fino a quando non riuscii a scorgere un velo di luce più forte in una direzione, e allora cercai di seguirlo. Sentivo di essere quasi arrivata all'uscita, quando percepii una mano sulla mia spalla sinistra. Persi ogni speranza.
La sua mano mi prese per un fianco, e mi strinse a lui con violenza.
"Tana per il lupo." mi sussurrò a un orecchio facendomi rabbrividire.
"Liam, vattene." dimenai braccia e gambe premendo con i gomiti sul suo torace. Invano.
"Davvero pensi che sia venuto qui per un saluto? Mi mancavi, Juliet." rise.
"Tu non mi manchi, e non mi sei mancato. Tra noi è finita da un pezzo, torna dai tuoi nuovi amici e lasciami in pace, pensavo fossi stata abbastanza chiara su questo." sputai.
"Oh, sì che lo sei stata, solo che... non mi andava, credo." continuò, disegnando dei cerchi sul mio addome con le sue dita. Tremai.
"Dov'è il ragazzo di una volta, eh? - domandai esasperata e impaurita - Dov'è finito?" 
"Non esiste più, ma sai, se ami una persona dovresti accettare i suoi cambiamenti." sussurrò alzando l'intensità della voce.
"Liam, io non ti amo. Smettila." calcai la voce.
"E se io invece lo facessi?" domandò.
"Tu non lo fai. Altrimenti quella sera non sarebbe andata a finire così. E se tu tenessi veramente a me ora mi lasceresti andare." ribattei.
"Forse hai ragione... ma ciò non toglie che non possiamo divertirci un po', no?" allentò un attimo la presa; tutto nel suo atteggiamento mi faceva schifo.
Approfittai dell'occasione per girarmi su me stessa e divincolarmi da lui, tirandogli un calcio laggiù e facendolo cadere a terra. Sapevo che aveva appena utilizzato il poco autocontrollo che possedeva, e che ora sarei dovuta andare il più lontano possibile. Il cuore mi si riempii di gioia quando, una volta che girai a destra, trovai l'uscita. Mi precipitai fuori senza badare all'addetto all'attrazione, e trovai il parco quasi vuoto. Cosciente del mio minimo vantaggio, cominciai a correre con quanto fiato avevo in gola verso una zona, simile a un piccolo boschetto ricco di alberi, e mollai lo zainetto accanto a una quercia, continuando ad addentrarmi nella macchia cercando di non inciampare nei rovi o prendere un ramo in pieno volto e cadere.
Ovviamente - ma cosa credevo? - riuscii a percepire i passi pesanti di Liam, che doveva essersi alzato in tempo per vedere la direzione in cui mi ero diretta. Non ero una grande esperta delle decine e decine di parchi che ospitava Londra, e uscendo dal bosco mi sarei anche potuta trovare davanti a una recinzione o un palazzo, quindi decisi di nascondermi dietro ad un albero sufficientemente grande e sperare che tutto andasse per il meglio. Eravamo troppo lontani dalla fiera per poter essere visti dai passanti, e mi pentii di non avere chiesto aiuto a nessuno, avendo pensato che, tanto per cambiare, nessuno mi avrebbe ascoltata o creduta. E' difficile avere fiducia nelle persone quando nella tua esperienza ti hanno riso in faccia, e hai dovuto risalire il burrone da sola.
Mi schiacciai il più possibile contro l'albero, pentendomi per la maglietta rossa fin troppo visibile e controllando che i miei capelli lunghi non tradissero il nascondiglio.
"So che sei qui." sentii nuovamente la sua voce e mi morsi il labbro con quanta forza avevo, fino a farmi male, senza muovere un muscolo né tantomeno respirare. Sembrava quasi che mi fossi isolata completamente dal mio corpo, e non riuscivo più a pensare a una mossa da fare.
"Saresti dovuta essere più gentile." ogni volta che lo sentivo più vicino, io volevo essere più lontana.
Per un attimo pensai che si fosse incamminato in un'altra direzione, invece era semplicemente fermo, in ascolto. Poco dopo sentii appena il rumore dei suoi passi, come alleggeriti, e cercai di stringermi ancora di più alla corteccia, per quanto fosse possibile. Fu proprio questo a tradirmi, perchè per sbaglio un pezzo ne cadde,  producendo un piccolissimo tonfo sulle foglie bagnate di rugiada. Due secondi dopo il suo corpo era schiacciato contro il mio.
"L-liam... per favore, non ripetiamo quella notte." lo pregai con un filo di voce, senza guardarlo negli occhi.
"Non ti eri divertita? - rise - Sai quale sarà la differenza? Che allora ero ubriaco fradicio, mentre ora sono più che sobrio, e farò proprio quello che voglio." mormorò sulle mie labbra.
Un attimo dopo le sentii premere con prepotenza sulle mie, ma non potevo farci nulla; era dieci volte più forte di me e non era nei miei piani di rompermi un braccio per cercare di respingerlo fallendo miseramente. Fallendo ancora. Mentre la sua lingua s'insinuava nella mia bocca sentii la prima lacrima scendere, e tutto quello che sperai fu che Zayn potesse percepire che ero in pericolo.

Liam era stato il mio secondo fidanzato, il primo e ultimo che avevo mai amato veramente. La nostra era una bella relazione: non avevo mai conosciuto una persona così gentile, ci amavamo e rispettavamo a vicenda, e infatti andammo avanti così per due anni, fino al suo diciannovesimo compleanno, quando io ne avevo ancora diciotto. I suoi amici lo avevano gradualmente trascinato verso quell'oblio che è l'alcool, e quando passai da lui per festeggiare, quel lontano Agosto, non lo riconobbi affatto. Fu una delle serate peggiori della mia vita, proprio perché era una delle persone che amavo di più in assoluto. Cercai di denunciarlo, ma fu tutto inutile. Il primo poliziotto sembrò quasi divertito e non mi credette perché ero solo una ragazzina, il secondo mi fece compilare una denuncia ma non mi richiamò mai e così io lasciai stare, escludendo semplicemente Liam dalla mia vita e tagliando ogni contatto con lui, la sua famiglia e le sue nuove compagnie. 
Ma ora era tornato,trovandomi totalmente impreparata.
Sentii la sua mano insinuarsi sotto la mia maglietta, e mi stupii per quanto fosse fredda.
"Liam... pensaci, non vuoi che succeda di nuovo. Lo so." a dir la verità non sapevo proprio nulla, non potevo conoscere il cambiamento che aveva subito in questi due anni, in cui pensavo di essermi liberata per sempre di lui.
"Tu non sai proprio niente. - ammise - Anzi, sai una cosa? Sei messa meglio di quanto ricordassi." rise rocamente mentre con una mano faceva presa sul mio seno. Continuò la sua lenta tortura alzandomi la maglietta e slacciandomi il reggiseno, mentre mi succhiava un lembo di pelle tra collo e la spalla. Era solo un ragazzo annebbiato dall'odio e dal desiderio, e non poteva capire quanto stessi male, quanto volessi piangere, sprofondare sotto terra fino a scomparire. Continuò quindi imperterrito, slacciandomi la zip dei pantaloni mentre mi mordeva un capezzolo, senza comprendere che tutto ciò che provavo non era piacere, ma solo ribrezzo, paura e voglia di scappare.
I miei gemiti non bastarono a fermarlo, mentre mi alzava le braccia per potermi sfilare la maglietta, lasciandola al livello dei polsi. Tutto mi ricordava il ventitrè agosto di due anni prima, anche se allora non potevo sapere che l'avrebbe fatto veramente, e invece in quel momento supplicai solo tra me e me che non fosse troppo doloroso.
Si levò la maglietta, lasciandomi intravedere i suoi addominali scolpiti. Qualunque ragazza sarebbe svenuta alla visione, ma io avrei preferito il ragazzo esile e dolce di prima, di cui non dovevo avere paura, perché se la notte avevo degli incubi mi cullava fra le sue braccia. Premette il torace contro il mio, mentre la sua lingua si dedicava di nuovo alla mia bocca, e poi al mio collo. Avevo deciso di lasciar stare, di sperare che prima di sfociare nell'errore si fermasse, quando sentii, anche se sul momento non potei esserne certa, dei passi che venivano nella nostra direzione. Compresi che la persona in questione si era messa al mio fianco quando oscurò la scarsa luce che filtrava dalle foglie.
"Ehi, pezzo di merda." richiamò il ragazzo biondo che si girò all'istante verso di lui, e in quel momento ebbi paura - e la netta sensazione - che stesse per succedere qualcosa di terribile. Il ragazzo al mio fianco, prima che Liam potesse fare una mossa qualsiasi, gli tirò un pugno in pieno volto con un'intensità che non avevo mai visto prima. Un attimo dopo Payne giaceva a terra con la guancia destra coperta di sangue che scendeva copiosamente dal naso. Aveva entrambe le labbra spaccate.
Colsi l'occasione per spostarmi da lì giusto prima che si rialzasse, e mi fiondai spaventata dietro le spalle del ragazzo che mi aveva difesa, abbassandomi di nuovo la maglietta, coprendomi dagli occhi del mio ex fidanzato e dal freddo. Lo sconosciuto difensore era lì. Fu allora che lo riconobbi: Louis.
La sua bocca era contratta in un'espressione d'odio, di rabbia allo stato puro, e dai capelli scompigliati si capiva che doveva aver fatto una corsa per arrivare al più presto. Ma la cosa che mi stupii di più, come era successo quella volta con Zayn, furono i suoi occhi. Le pupille si schiarirono fino a diventare del bianco più chiaro, trasparenti come l'acqua del mare, e quando Liam si gettò su di lui, in un attimo mi ritrovai sopra il ramo di un grande albero. Louis stava usando la sua energia. Mossa sleale, ma estremamente corretta.
Si girò un verso di me, e mormorò appena un 'posso?', digrignando i denti. Ci volle per momento per capire, e subito il panico mi prese, facendomi fare scena muta. E, come si dice, chi tace acconsente.
Stavo ancora cercando di muovere la lingua per dirgli di No, di non farlo, quando lo vidi fiondarsi addosso alla vittima. Fu forse la scena più cruda a cui assistetti in tutta la mia vita, dal sonoro crack di ossa spezzate alla mano che cadeva lungo il corpo privo di sensi, e dopo una manciata di secondi Louis staccò la presa dal corpo di Liam, lasciandolo esanime a terra, mentre con il dorso della mano si ripuliva le labbra dal liquido luccicante. Penso che nello sguardo che mi rivolse subito dopo, oltre alla rabbia, ci fosse anche una sorta di dispiacere, di rimpianto, come di scuse.
La mia vista cominciò ad annebbiarsi, mentre lo sguardo rimaneva fisso, incapace di distogliersi, dal corpo di Liam, esanime a terra. Mi venne da ripensare a tutti i bei momenti che mi aveva fatto passare, che però non riuscii a ricordare nitidamente appena l'immagine della violenza subita quella sera d'Agosto mi riaffiorò ancora e ancora in mente. Una lacrima solitaria mi rigò la guancia. Era una realtà troppo crudele per riviverla nel ricordo.
Oh, quanto avrei voluto che non mi avesse mai più cercata. Buttai la testa contro la corteccia cercando di riacquistare una respirazione normale, ma ne uscirono solo singhiozzi. Si meritava davvero la morte? Cosa avevo appena fatto? Cosa avevo appena lasciato Louis fare?
Quando mi rigirai, il suo corpo non c'era più, e non volevo sapere dove si trovava. Tastai il segno violaceo sulla mia pelle, e mi convinsi - o almeno cercai di farlo - che aveva avuto quello che si meritava. Forse non ero stata la sua unica vittima in quel lasso di tempo, e forse avevo liberato di un peso insopportabile altre ragazze. Infatti, da quanto avevo sentito, dopo di me ce n'erano state altre.
Notai Louis al mio fianco, sul ramo.
"G-gr-azie..." balbettai, pensando a cosa sarebbe successo senza di lui.
"Non devi nemmeno dirlo. Ha avuto quello che si meritava." ribatté.
Perché erano tutti così gentili con me?
"I-io... n-non so..." non riuscii a formulare una frase, scossa da tutte le cose che mi stavano succedendo in così poco tempo.
"Non devi dire nulla, okay? Tranquilla. - percepii la sua presenza più vicina, ma non mi sfiorò - E ora andiamocene, in fretta." si passò una mano fra i capelli ritornando impassibile. 
Mi asciugai la guancia, facendo un salto e toccando nuovamente la terra con i piedi. Poco dopo ero al camper di Louis, e Liam era un capitolo definitivamente chiuso della mia vita. Certa che non l'avrei più rivisto, mi risvegliai da un incubo durato tre anni.














 






 

 
Oh My Josh.
{{Read Please:

Non so cosa penserete di questa versione di Liam, è una - brutta - parte del passato di Juliet,
che vedremo riaffiorare mano a mano nella storia. OVVIAMENTE c'è L'
OOC, non scaldatevi;
non ce la farei proprio a immaginare Liam così nella vita reale e infatti è abbastanza difficile scriverne.
Penso che sia abbastanza chiaro cosa sia successo fra lui e Juliet,
in caso non esitate a domandare ma comunque si scoprirà meglio nel corso della storia.
}}
Sì, Louis gli ha succhiato via l'energia tadaaaaaaaaa - che cattivo dite? Cattivo è un punto di vista.
Esiste anche un super 
account ask.fm di Liam, dove vi risponderà come se fosse ancora vivo.

Visto che nulla è ovvio, vi ringrazio per i complimenti, 34 preferite, 15 ricordate e -gosh - 72 seguite.
Joanne

 




Era vero che Juliet aveva bisogno di Zayn, bisogno della parte di energia che risiedeva in lui, perché era ancora viva, nessuno le aveva dato il colpo di grazia. Ma c’erano due cose che la rossa non sapeva, ed erano le più importanti.
Importanti come la sua vita, se c’era ancora qualcuno che teneva ad essa. Che teneva a lei. 
Qualcuno come me, che l’aveva trovata al primo istante.

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Capitolo 13
*** {XIII} Sunset ***



 
'Cause the cure is found in you, I don't want it but I do
 
-Juliet-
 
Improvvisamente sentii la testa girare, come se fossi appena scesa da una lunga montagna russa.
Poi diventò tutto nero.
 
Aprii gli occhi, stropicciandoli, e mi accorsi che ero sdraiata su un letto, con indosso una maglietta di due taglie più grande di me. Profumava di frutti esotici.
Tesi una mano sopra la testa, ma non riuscii a tendere tutto il braccio, perchè dopo qualche centimetro toccai una parete liscia. Mi girai a destra, e anche lì il passaggio era bloccato. Ebbi un momento di panico, poi notai che dalla mia sinistra provenivano dei piccoli raggi di luce, così tastai in quella direzione e vi trovai un tessuto morbido. Era una tenda: la scostai, venendo investita dai raggi del sole.
Davanti a me c’era una piccola porticina, sulla destra un tavolo e quello che doveva essere un altro letto, e di fronte ad essi una zona attrezzata a cucina, dove Louis stava cucinando qualcosa. Ero nel suo camper, e forse gli avevo anche fregato il letto.
“Ti sei svegliata, finalmente. Buongiorno.” notò.
“M-ma che ora è?” domandai confusa.
“Le tre di pomeriggio, non me la sentivo di svegliarti. Zayn è passato ore fa, appena l’ho avvisato; ma ho insistito perché ti lasciasse riposare. Lo chiamo subito se vuoi.” spiegò tranquillamente.
“I-io sono s-sve-“
“Sì, sei svenuta appena siamo arrivati qui.” mi interruppe.
Improvvisamente mi ricordai che non stavo indossando i miei vestiti, bensì una maglia che, a questo punto, doveva appartenere a Louis. Il pensiero che mi avesse spogliata per metterla, mentre dormivo, mi coprì di imbarazzo e di fastidio, dopo ciò che era successo il giorno prima. Come si era permesso?
“Se te lo stai chiedendo, non te l’ho messa io. Ieri sera sei rinvenuta dopo qualche minuto, ti ho dato la maglia, hai bevuto un bicchier d’acqua e poi sei andata a dormire. Molto probabilmente non te lo ricordi.” espirai sollevata. Aveva ragione, non mi ricordavo nulla. Nulla. Be’, a parte quanto era successo con Liam. Quello era fisso nella mia mente, forse fin troppo bene.
“Quello dovrebbe essere il tuo zaino, l’ho trovato ieri.” lo indicò con la testa.
“S-sì, grazie.” Scesi dal letto e mi abbandonai esausta su una delle due panche, appena in tempo perché i pensieri cominciassero a riaffiorare, provocando in me dei sensi di colpa troppo forti da ignorare.
Liam Payne. Nato nell’Agosto del 1993, ebbe un’infanzia felice, fino al suo primo incontro con l’alcool. Presumibilmente morto nell’autunno 2013, il cadavere non è mai stato ritrovato.’ ecco, ci mancava solo che mi mettssi a stilare dei necrologi mentali. Dovevo solo togliermelo dalla testa; era già uscito dalla mia vita da anni, e non doveva ritornarci. E comunque - constatai -anche se ci avesse provato, non avrebbe più potuto farlo.
“Ehi, hai fame?” Louis si rivolse a me.
“Nnon molta, grazie.” la voragine nel mio stomaco non si poteva di certo chiudere con del cibo.
Sentii bussare alla porta, proprio dietro di me, e il moro tolse il catenaccio, lasciando entrare Zayn. Appena lo vidi mi alzai per abbracciarlo. Non aveva la minima idea di quanta paura avessi provato il giorno prima, di quanto avessi sperato in un suo intervento. Mi crogiolai nel suo profumo per qualche secondo, sentendomi già meglio.
“Dio, Juliet, sono stato così in pensiero.” mi accarezzò la schiena. Sarebbe stato normale cercare di evitare il contatto fisico, ma in lui c’era qualcosa di rassicurante, che non riuscivo a trovare in nessun altro.
“Ho avuto paura.” ammisi.
“Quando non cominciavi più a tornare sono venuto a cercarti, pensavo fossi da Jade e Niall, invece nulla. Non sapevo dove guardare.” spiegò a bassa voce. L’unico potere che sarebbe servito il giorno prima, la localizzazione, purtroppo non era nelle sue capacità ibride. Riusciva a correre velocissimo, a usare la sua energia per qualunque altro scopo, ma se fossi stata in pericolo lontana da lui, avrebbe dovuto cercarmi in lungo e in largo. Era una cosa che non mi piaceva.
“T-tu sai che cosa è… ieri…” confabulai.
“Louis mi ha detto tutto. Come ti senti?” domandò velocemente.
“Potrei dire bene, ma sarebbe solo una bugia. Credo che…” mormorai.
“Vuoi andare a casa?” il tono che usò fu come una tazza di camomilla. Casa. Casa sua. Casa nostra.
Annuii, mettendo lo zaino in spalla e infilandomi le scarpe.
“Louis, ti dispiace se te la riporto un’altra volta?” domandai, riferendomi alla sua maglietta.
L’ultima cosa che volevo era indossare quella rossa, che ormai mi faceva sentire sporca, debole, esposta. La volevo buttare, calpestare, bruciare, volevo che sparisse dalla mia vista per sempre, insieme al ricordo di Liam. Magari fosse stato così facile.
“Tienila pure, tanto ormai non la usavo più.” rispose senza troppo sentimento, buttando via la scatola della pasta. Il suo atteggiamento mi sembrava diverso, come se la presenza di Zayn lo infastidisse. Avevano forse litigato, mentre dormivo?Non volevo essere causa di nessuna incomprensione fra i due: entrambi non potevano sapere dove mi trovavo.
Tuttavia se c’era una cosa che non riuscivo a capire, era perché 
Louis fosse arrivato a salvarmi così velocemente, e Zayn, nel cui corpo risiedeva la mia energia vitale, non avesse percepito nulla.





-Louis-
 
Aspettai che Zayn e Juliet se ne andassero, e quando fui certo di non poterli incontrare uscii dal camper, sbattendo rumorosamente la porta.
Avevo fumato poche volte in vita mia, più che altro in compagnia di amici, per passare il tempo con una birra, e non vedevo nella sigaretta un metodo per battere la tensione o per superare una crisi ma non riuscii a resistere alla tentazione: presi del Drum e me ne andai più lontano possibile da quel posto, più lontano possibile da Londra e dai ricordi.
Arrivai a Dover, beandomi dell’energia vitale che avevo sottratto ad un anziano al culime delle forze il giorno precedente. Entrai in un’area chiusa al pubblico per manutenzione, e mi sedetti ad osservare il mare, mentre preparavo la mia distrazione. Le dita scorrevano agili sulla cartina nonostante non fossi più esperto, come se avessi riprovato ad andare in bicicletta dopo secoli che non ne vedevo una.
Erano almeno duecento anni che non m’interessavo delle persone, delle conseguenze, dei crimini, e cento anni che avevo imparato a vivere la mia vita, a stringere compromessi, a riparare agli errori commesi e a cercare di vedere oltre la nebbia, ma Zayn aveva appena messo sotto sopra tutto il mio lavoro. Mi ricordavo ancora quando lo avevo trovato, quarantadue anni prima, smarrito come un bambino nel centro di Londra. Aveva l’aspetto di un diciottenne, ma dentro di lui scorreva energia vitale. Gli avevo insegnato tutto: come comportarsi, come aggredire, come evitare i fallimenti. Eravamo diventati amici, più di quanto avessi mai sperato, e da allora organizzavamo tutti gli attacchi insieme, anche se io spesso agivo d’impulso e sforavo il numero di vittime prestabilite. Lui no, non lo faceva mai; come se la rabbia non gli ribollisse dentro, come se provasse pena per quelle persone.
Un parassita, un essere disgustoso come noi, condannato a una vita del genere, non dovrebbe proprio avere dei rimorsi, ancor più dei rimpianti. Fortunatamente l’aveva capito, e da allora era stato tutto molto più semplice, almeno fino a quella dannatissima sera, quel tredici settembre quando tutto era cambiato.
Accesi la mia piccola creazione e la portai alle labbra, senza però riuscirne a trarre piacere dalle prime boccate. Solo più in là sembrò rilassarmi, fino a quando non rimase solo un piccolo mozzicone, che buttai a terra. Era quasi l'ora del tramonto e il sole iniziava a scontrarsi con la superficie piatta del mare. Il cielo sembrava tingersi di rosso, un rosso che mi ricordava i capelli di Juliet, dove le rondini erano le sue minuscole lentiggini. 
Ero sempre stato possessivo, ma io e Zayn non avevamo mai avuto problemi del genere, problemi di coordinazione, s’intende. Eravamo una bella squadra, mi ripetevo sempre. Lui però era fatto così, a volte non badava a me, a volte si scordava chi era quello con più esperienza, e si lasciava prendere la mano nel modo sbagliato. Già quando era venuto al camper, tre giorni dopo la festa, ne avevamo parlato a lungo, e lui sapeva benissimo cosa sarebbe accaduto, cosa doveva accadere. Ma no, non se n’era preoccupato, certo che avrebbe trovato una soluzione prima dello scadere del tempo. Di soluzione ce n’era solo una, glielo avevo detto come se non lo sapesse già da anni, ed era un rimedio drastico, che non avrebbe mai avuto il coraggio di prendere.
E così era lì, magari con Juliet fra le braccia, mentre le mentiva spudoratamente. Anch’io avevo sempre mentito, ma non potevo pensare che questa menzogna fosse a fin di bene. Finivano solo per farsi del male entrambi.
E lei, oh, Juliet.
Solo guardandola avevo capito che si aspettava qualcosa sotto, che non credeva a ogni bugia le si dicesse in faccia. Ma al tempo stesso ero riuscito a comprendere che si sentiva troppo piccola, troppo piccola per una cosa così grande che non aveva coraggio di affrontare. Non senza sapere la verità.
E così pensai, pensai a quella sera in discoteca, ancora una volta. Zayn mi aveva detto che aveva parlato a Jade e Niall, i migliori amici di Juliet, del concetto di Protezione. Ora che anche loro erano a conoscenza del nostro segreto, aveva pensato di Proteggerli. E come possiamo proteggere qualcuno, noi parassiti? O, meglio ancora, perché mai dovremmo farlo? Per uccidere, è questa l’unica risposta. Per vivere.
La Protezione si usava una volta, specialmente tempo fa, quando si agiva in gruppi numerosi, per scegliere una vittima e far capire agli altri che era tua, e saresti stato tu e soltanto tu a prendere la sua energia vitale. Chi primo arriva, meglio alloggia. Gli altri parassiti, come se avessero un sesto senso, capivano che quella era la tua preda, e non potevano avvicinarsi ad essa, o in casi estremi non potevano sottrarle grandi quantitativi di energia, in modo che dovessi essere tu a dare il colpo finale. Come se la propria preda fosse circondata da un’aura, un campo di forza che solo il parassita che l’aveva creato poteva abbattere.
Zayn aveva pensato di Proteggere Jade e Niall, ed era l’unica cosa che poteva fare, anche se dopo, ovviamente, non aveva intenzione di attaccarli. Mi aveva detto che al discorso era presente anche Juliet, e allora un barlume di speranza si era fatto strada nella mia testa, supplicando che lei avesse capito. Poi il ragazzo era venuto da me, e dopo qualche secondo lui aveva capito cos’era successo, aveva capito perché le cose non erano andate come voleva lui, e aveva allestito questa grande messinscena. Era vero che Juliet aveva bisogno di Zayn, della parte di energia che risiedeva in lui, perché era ancora viva, perché nessuno le aveva dato il 'colpo di grazia'.
Ma c’erano due cose che la rossa non sapeva, ed erano le più importanti.
Importanti come la sua vita, se c’era ancora qualcuno che teneva ad essa.
Che teneva a lei.
Qualcuno come me, che l’aveva trovata al primo istante.
Mi alzai dal prato dirigendomi giù, sulla scogliera, che scintillava sotto l’ultimo spicchio di sole. Dovevo darmi pace.
Scalai le ultime rocce, fino ad arrivare al livello del mare, dove mi sedetti su uno scoglio piatto, immergendo le dita nello specchio d’acqua. 
Era sempre tutto così difficile.
Mi sdraiai, lasciando che la luce rossastra lasciasse posto a un cielo scuro, ricco di stelle splendenti. E finalmente mi abbandonai, e pensai a Juliet. Pensai che quel 13 settembre, dal primo momento in cui l’avevo vista, appoggiata al bancone del bar, avevo deciso cosa avrei dovuto fare. L’avevo Protetta, come d’abitudine.
Non riuscivo a trovare Zayn e mi ero fatto strada fra la folla, dall’altra parte della pista. Mi scontrai proprio con lei, ma per qualche motivo non riuscii ad attrarla, a chiamarla nella mia direzione, e nonostante avessi provato a cercarla in lungo e in largo non la rividi più. Così, infuriato per il mio errore, morsi due ragazze, nei bagni del locale. Sarebbe andato tutto bene se Zayn non avesse trovato Juliet, uccidendola. O, giustamente, cercando di ucciderla, perché la Protezione che avevo applicato su di lei non glielo permise.
Poi era arrivato a casa, e mi aveva detto tutto quello che era successo.Ma no, aveva deciso, non le avrebbe svelato nulla. Non le avrebbe mai detto che aveva infranto un mio limite, e si era impossessato di qualcosa che non gli apparteneva.
 
Puntai gli occhi all’orizzonte, sentendo le onde infrangersi, e pensai che la giornata dopo sarebbe stata una battuta di caccia. Avevo bisogno di sfogarmi.





















 

Oh My Josh.
{{ Ri-Spiegazione semplice semplice in poche parole?: alcune domande ve le anticipo!) 1) Cos'è la Protezione? 2) Cosa cavolo ha fatto Louis? risposte 1) La Protezione é una specie di aura, una bolla con cui i parassiti circondano le loro vittime prima di ucciderle. E' invisibile, nulla di tangibile o concreto, percepibile solo dagli altri parassiti, che così sanno quali vittime sono già state scelte dagli altri. 2) Louis aveva applicato la Protezione su Juliet, alla festa di Niall, quindi le sarebbe "spettata" di diritto. L'ha persa di vista e Zayn ha cercato di ucciderla, ma siccome c'era la Protezione di Louis su di lei... }}
**
Anyway, BUON NATALE FANCIULLE! BUONE VACANZE! *sparge fiocchi di neve*
Ci si sente presto, spero! Fatemi sapere, as usual, cosa ne pensate.

Joanne




 
  
 

 
Lui sbuffò, poi parlò: “Sai giocare a scacchi?” 
“Me la cavo.” risposi, in effetti ci giocavo spesso con Sean in boutique, quando non c’era ombra di clienti.
Lui era formidabile, mi batteva sempre, ma ormai avevo imparato qualche trucchetto del mestiere. 
“Allora ti sfido.” rise sotto i baffi. “Interessante. E cosa mettiamo in palio?” domandai.

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Capitolo 14
*** {XIV} Checkmate ***




You're just like poison
 
-Juliet-


“Zayn, ho dormito tutto il tempo da Louis, non ne ho bisogno…” eravamo appena arrivati a casa e Zayn mi voleva già spedire a letto. Non avevo più sonno, anche se tutto ciò che desideravo veramente era sdraiarmi sul divano, da sola, con l’ipod e una coperta, possibilmente il plaid rosso.
“Vuoi che ti prepari qualcosa? Io-”
“No, non devi fare nulla. Senti, non è colpa tua, capito? Smettila di comportarti come se avessi potuto evitarlo.” se c’era una cosa che non volevo era tornare sull’argomento per l’ennesima volta. Ma d'altronde, come lasciarselo alle spalle? Non capitava tutti i mesi di incappare nella vita di una specie di ibrido parassita e vedere il suo amico uccidere il tuo ex-fidanzato violento, dopo che...
“Ti avrei dovuto accompagnare a casa, ieri. Non sarebbe successo nulla. E i-io non l’avrei ucciso. Non si sarebbe avvicinato a te.” la serietà nella sua voce mi faceva venire i brividi.
“Va bene, ma cosa posso farci, diamine?! E’ morto. E a posto di dirmi che ‘non avresti voluto che fosse andata così’, potresti anche lasciarmi in pace! Posso piangere quanto voglio ma tanto non cambierà nulla! Nulla!” all'improvviso, scoppiai. 
Le labbra mi tremavano. Aprii bocca per l’ennesima volta, ma non ne uscii nulla. Non una parola, non un insulto, non un grido. Pigiai i denti sulle labbra per fermare il tremore, quando sentii due braccia avvolgermi. Sprofondai la testa nella maglietta di Zayn, che passava una mano sulla mia schiena con delicatezza. Mi opposi.
“Scusa.” sussurrò con una naturalezza tale che mi arrestai sul colpo. Sciolsi tutti i nervi, spalancando gli occhi per la sorpresa.
“Ti avevo promesso che ti avrei protetto, e non ce l’ho fatta già una volta che avevi bisogno di me. E… è che… che tengo a te, Juliet. Sul serio.” continuò deglutendo, e mi accorsi che nel suo tono c’era qualcosa di nervoso. La sua presa si allentò, e quando alzai lo sguardo, alcuni lunghissimi secondi dopo, un sorriso increspava le sue labbra rosate.
“Allora, ti va un panino?” disse quasi ridendo.
Annuii, senza riuscire ad evitare di sollevare gli angoli delle labbra.
“E che panino sia.” mi prese per mano, dirigendosi verso la cucina.

“Davvero non ti piace la maionese?” domandai, divorando l’ultimo boccone del mio sandwich. Un delizioso panino con insalata, pomodori e mozzarella, preceduto da uno altrettanto buono, prosciutto e formaggio. Zayn era un cuoco eccellente, sapeva rendere gustosi anche due banalissimi panini imbottiti, a mia differenza.
“No, non mi piace per niente, come non mi piacciono le uova.” si appoggiò al bancone.
“Wow. Pensavo fossi un tipo da uova.” buttai giù.
“Un tipo da uova?” inarcò un sopracciglio.
“Sì, uno che mangia di tutto, insomma.”
“Interessante.” 
“No, per la verità non è interessante, ma non sapevo cosa dire.” mi trattenni ancora un secondo, scoppiando poi a ridere.
“Cosa c’è…” cercò di domandare.
“Mi fa piacere notare il tuo interessamento – continuai, tornando seria – E ora che ci penso, non so praticamente niente di te. Dei tuoi gusti, intendo. Devo saperlo se una sera voglio cucinare uova e speck.” 
“Lo speck mi piace. E penso sia quasi normale, insomma, ci conosceremo sì e no… da un mese, vero? E’ il 22 Ottobre oggi.” controllò la data sullo smartphone.
Anche se a me sembra di conoscerti da una vita, pensai.
“Eh?” domandò.
“Nulla, nulla - lo liquidai con un gesto della mano. Dovevo finirla di riflettere ad alta voce. – Ti va di fare una specie di quiz?”
“Cioè?”
“Cioè un questionario, io ti faccio delle domande e tu mi devi rispondere in tutta sincerità. Poi tu ne fai una a me. Per conoscerci meglio.” sorrisi.
“Direi che si potrebbe fare. Andiamo in salotto?” propose. Ci accomodammo sul divano, uno di fronte all’altro, e incrociai le gambe.
“Inizio io. – proferii – Colore preferito?”
“Non ho un colore preferito. Credo… credo il blu però. Mi ricorda il cielo, il mare, l’aria.” rispose.
“Tocca a te.” sorrisi, pensando che era un gioco da bambini, ma che allo stesso tempo mi sembrava fondamentale per conoscere meglio Zayn.
“Cosa studi?” domandò, dopo aver riflettuto un attimo.
“Psicologia. Anche se non ho idea di cosa potrei fare dopo… non ancora. Mi affascina la mente umana, la psiche, i comportamenti che adottiamo nelle diverse situazioni, come ragioniamo. E’ una cosa sottovalutata. – Zayn annuì, pensieroso – Ora tocca di nuovo a me. Allora… quale stagione preferisci?”
“L’autunno.” rispose senza alcuna esitazione.
“Come mai?” feci sorpresa, era raro che qualcuno preferisse l’autunno a estate, inverno o primavera. 
“Perché… perché l’autunno è strano. L’autunno per molti simboleggia la caduta prima della morte, cioè l’inverno, dove tutto si tinge di bianco, bianco che però è anche immagine della rinascita, quindi si tende ad amare l’Inverno e odiare l’Autunno. I bambini tornano a scuola, tante persone riprendono a lavorare, il tempo è grigio, arriva la nebbia. Ma l’autunno è fondamentale. La vita nei boschi è in fermento, il terreno si prepara al gelo. I colori sono splendenti, ma la gente li sottovaluta. Meglio il verde della primavera, dicono. Mi piace l’autunno perché… per certi versi, mi rappresenta.”
Rimasi colpita dalle sue parole. Sembrava che ci avesse riflettuto delle ore, invece erano uscite spontanee dalle sue labbra. Una voce mi riscosse.
“Cosa?” dissi.
“Ho chiesto, e la tua stagione preferita qual è?” 
“Ehm… non so, l’Inverno credo. Mi piace stare sotto le coperte e vedere i fiocchi scendere, mi piace cucinare con Jade e passare con lei il Natale. L’inverno mi è familiare, mi accoglie.” cercai di esporre al meglio i miei pensieri, perché dopo la riflessione di Zayn non sapevo cosa dire.
“Oh, sì, sì, tocca a me. – spazzai via dalla mente le domande che mi premevano, domande sulla sua famiglia, sulle sue origini. – Che sport ti piacciono?” buttai giù il quesito più semplice che riuscissi a trovare.
“Non so… Non mi dedico molto agli sport. Palestra, qualche volta Snowboard o Tennis, Pallavolo…”
“Non ti piace nuotare?” lo interruppi. Io amavo nuotare. 
Si immobilizzò: “A essere sincero, Juliet… io riesco a nuotare solo per merito dell’energia vitale. Anche se non mi dispiace andare in spiaggia.” dovetti trattenermi dal ridere.
“Mi stai dicendo che non sai nuotare?” domandai con un filo d’ironia nella voce. Quanti anni aveva vissuto? Da noi i bambini imparavano a sguazzare e a stare a galla già a cinque anni.
“No. O meglio, se utilizzo energia vitale sì-“ mi sfuggii una risata.
“Scusa, è che mi sembra impossibile. Comunque vai, tocca a te fare una domanda.” feci un cenno veloce con la mano. 
Lui sbuffò, poi parlò: “Sai giocare a scacchi?” 
“Me la cavo.” risposi: In effetti ci giocavo spesso con Sean in boutique, quando non c’era ombra di clienti. Lui era formidabile, mi batteva sempre, ma ormai avevo imparato qualche trucchetto del mestiere.
Allora ti sfido.” rise sotto i baffi. I suoi occhi avevano una sfumatura diversa dal solito, un'aria divertita.
“Interessante. E cosa mettiamo in palio?” domandai.
Sembrò rifletterci: “Se vinco io, cucinerai tu per i prossimi due giorni. Se vinci tu, cucinerò io.” 
“Ma così non vale! Cucini quasi sempre tu!” protestai.
“Allora facciamo che se vinci tu, cucinerò quello che vuoi per tre giorni.” alzò la posta in gioco. Doveva essere molto sicuro delle sue capacità.
“Accetto. – gli tesi la mano – E sappi che ti conviene perdere.” 
“Vedremo.” la strinse.
“Propongo di giocare adesso, hai una scacchiera?” domandai, ma lui s’era già alzato e stava aprendo un cassetto sotto la televisione. Tornò sul divano con una vecchia scacchiera, graffiata ma ancora in ottime condizioni.
“Era di mia madre. – sussurrò – Allora, bianchi o neri?” alzò lo sguardo.
“Bianchi.” risposi senza esitazione. Sean usava sempre i bianchi. 
Zayn dispose i pezzi sulla scacchiera, e mi meravigliai dell’enorme quantità di dettagli che adornava ogni pedina. Erano davvero bellissime. Senza dubbio erano state intagliate a mano molto tempo prima. Di sua madre, aveva detto...
“La prima mossa sta a te.” mi fece notare.
“Lo so, lo so. Preparati al peggio, Malik.” lo minacciai, compiendo la prima mossa. 
Me contro Zayn. Bianchi contro neri.


Esitai un attimo, accorgendomi che potevo finalmente spostare la torre e fregarlo. Giocare contro di lui era stata un'impresa, ma potevo riuscire a batterlo.
Scacco matto.” sussurrai, e appoggiai la torre sulla scacchiera.
Ero in netto svantaggio numerico, ma ero riuscita a prendergli la regina, e ora anche il re, grazie alle mie amate torri e a qualche trucchetto con i cavalli. Il bianco aveva vinto sul nero.
“Direi che mi toccherà cucinare.” rise.
“Uh, direi di sì. Partirei con una deliziosa pasta al sugo, fatto in casa ovviamente, per il pranzo di domani, e alla sera mi piacerebbe trovare qualcosa a base di carne, ben cotto e aromatizzato. Ah, quasi dimenticavo, per la colazione andrebbero bene dei pancake con frutti di bosco, visto che ci siamo. Amo i pancake.” feci pensierosa, portando un dito alle labbra.
“Altre richieste?”
“No, direi che per ora può bastare questo, le farò sapere se il mio stomaco desidera altro. Accetti la clamorosa sconfitta, signor Malik.” sorrisi e mi alzai dal divano, stiracchiandomi. L’orologio segnava le otto, ma ero davvero troppo stanca per guardare un film o leggere qualcosa.
“Penso che sì, ora andrò a farmi un pisolino.” annunciai, mentre Zayn richiudeva la scacchiera nel cassetto.
“Buona dormita.” sorrise.
“Grazie.” feci per andarmene, quando improvvisamente mi ricordai di una cosa. Una persona. Jade.
“Zayn! Jade sarà preoccupatissima. Non sono andata a lezione, oggi.” lo richiamai, portandomi una mano in fronte.
Non poteva ancora sapere di Liam, non ce l’avrebbe fatta ad accettarlo, lei non l’aveva mai conosciuto bene come avevo fatto io e un’altra volta, ancora, non volevo farla preoccupare per me.
“L’ho chiamata stamattina, le ho detto che non eri stata tanto bene perché mi ero assentato la notte, e così sei rimasta a casa a dormire.” 
“Oddio… grazie sul serio. L-lei non lo deve sapere, d’accordo?” domandai.
“D’accordo. E ora va a riposarti.” fece, prendendo delle coperte da una cassettiera
Mi avvicinai a lui e gli lasciai un piccolo bacio all’altezza della tempia, poi me ne andai in punta di piedi. 
Chiusi la porta della camera, indossai la maglietta del pigiama e mi stesi sul letto, avvolgendomi nel grande plaid.
Le tende erano semitrasparenti, e lasciavano entrare gli ultimi raggi di luce, mentre il cielo assumeva una strana sfumatura rossastra, che raramente si scorgeva in quel periodo, ancora di più alle otto passate. Le nuvole si spostavano leggere, spinte da chissà quale vento, ricordandomi quando ero bambina e giocavo a indovinarne le forme. Pensai che mi sarebbe piaciuto essere una nuvola: leggera, candida, senza pensieri.
Pensai anche che il mattino dopo mi attendevano dei deliziosi pancake, e che avevo battuto Zayn.

Afferrai l’ipod dal comodino e mi infilai gli auricolari, addormentandomi con la voce di Christina Aguilera nelle orecchie, isolandomi da tutto ciò che mi circondava e cercava di insinuarsi nella mia mente.




















 
Oh My Josh.
Vorrei come sempre ringraziarvi per le recensioni, le varie preferite/seguite/ricordate e le semplici letture, vi fate sempre sentire e non sapete quanto ne sia felice. Velocissimo disclaimer: questo capitolo si svolge in contemporanea del passato, quindi mentre Louis é a Dover, Zayn e Juliet giocano a scacchi.
Domanda seriacosa pensate del personaggio di Juliet? Intendo proprio il personaggio, come vi sembra. 
Domanda stupidasu chi scommettevate a scacchi? lol
Il capitolo é di passaggio, sì, ma fidatevi, prima dei prossimi serve un po' di pausa.
Joanne


 



"Sorpresa" una voce fin troppo familiare mi arrivò alle orecchie. "E’… è…" inarcai le sopracciglia. Perché?
"Ho pensato che oggi è Halloween, e mi sembrava giusto dover festeggiare questi mesi… sovrannaturali. E poi mi sembra che tu stia migliorando notevolmente. Senza togliere che si trova sempre un motivo per festeggiare, no?" sorrise. 

[altri spoiler in pagina]

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Capitolo 15
*** {XV} Halloween's Eve ***



 
My affliction, I'm addicted, I can't lie
 
-Juliet-

 
 
Il giorno dopo la famosa partita a scacchi fu un completo disastro.
I professori continuavano a chiedermi se avessi qualcosa che non andava, io che di solito ero così attenta – o fingevo di esserlo -, mi trovavano con la testa fra le nuvole, un po’ stordita, confusa. Mi avevano perfino detto che, in caso non lo sapessi già, c’era la psicologa della scuola a disposizione degli studenti. Una psicologa che analizzava studenti di psicologia, che facevano di tutto tranne darle ascolto nella maggior parte dei casi. Per chi mi avevano preso?
Anche se, lo ammetto, sarebbe stato bello andare da lei e dire qualcosa del genere: “La mia vita è stata trasformata in un romanzo gotico, ci sono degli strani parassiti succhia energia vitale in giro e io al momento sto vivendo con uno di loro, che tra l’altro ho baciato più volte. Ho appena ricevuto un tentativo di stupro dal mio ex-fidanzato, cosa che la mia migliore amica non sa, la gente mi mente, e io mento a loro. Ah e il suddetto è stato ucciso e buttato chissà dove da un altro ibrido. Non so cosa dire, non so cosa fare. Pensa che correre urlando per un prato in aperta campagna mi aiuterebbe a superare tutto più velocemente?”, con le sopracciglia aggrottate e un tono spensierato nella voce. La soluzione migliore, senza dubbio.
Chissà per quale oscuro motivo, cestinai questa opzione e andai avanti con la mia vita, come sempre. Sentivo che il rapporto fra me e Jade non era più lo stesso, e non vedevo l’ora di passare una serata con lei, mangiando biscotti e addormentandoci una accanto all’altra sul divano. Ora che la bionda viveva con un’altra persona e aveva trovato lavoro, poi, nel pub all’angolo, le occasioni di incontrarci erano ancora più rare. Aveva bisogno di più soldi per poter fare più shopping, e visto che come bar-woman se la cavava, si era sistemata per qualche sera alla settimana. Ero andata un paio di volte nel locale, ma non era il mio genere. Troppo buio, gente che beveva a mezzogiorno e barcollava per la sala in cerca dei propri occhiali.

Dato che tanto peggio non poteva andare, le cose sembrarono sollevarsi, e una decina di giorni dopo mi sentivo stranamente tranquilla. Ero in pace con il mondo. Con il tempo, avevo riflettuto, anche le cose riuscivano a sistemarsi, o almeno a formare quell’attimo di pace indispensabile prima della tempesta.
Ah, e il cibo perfettamente cotto e aromatizzato del mio coinquilino aveva fatto la sua parte. Un lusso rispetto a quello che mi preparavo solitamente. Avevo paura che il bipolarismo di Zayn avesse colpito anche me, invece stavo solo meglio di salute, e resistetti ben tredici ore, tra scuola e Boutique, senza la presenza di Zayn e senza sentire il minimo dolore.
Da una parte aspettavo con ansia la fine di tutto, dall’altra temevo cosa sarebbe successo dopo.
Anche Niall e Jade iniziavano a sembrare i soliti, nonostante a volte li vedessi un po’ diffidenti, come se non mi credessero, se vedessero in me qualcun altro. Forse, però, si erano già abituati a tutto questo. All’irlandese, poi, piacevano i fantasy.
Quindi, in conclusione, quando tornai a casa la sera del trentuno ottobre, mi sentivo stranamente sollevata, e per una volta non avevo niente con cui torturarmi la mente, perché il pensiero che mi opprimeva, mentre guardavo le decorazioni nere e arancioni sulle case, era come una buca in cui non dovevo non potevo e non volevo cadere. Le vetrine dei negozi erano addobbate per Halloween, ed ero passata al noleggio a prendere un paio di film Horror, giusto per movimentare la serata: The Others, una delle mie pellicole preferite in assoluto, qualche saga dell’orrore e una specie di splatter-horror-thriller appena uscito, del genere sangue, budella e accette, gente con maschere da coniglio e case in campagna. Il bello era che ora pensare al sangue non mi turbava più di tanto, mentre quattordici giorni prima sarei andata nel panico più totale aspettando un altro conato di vomito.
 
“Sono a casa!” annunciai, sbattendo la porta dietro di me.
La luce in salotto era spenta e l’unica illuminazione proveniva da alcune candele che diffondevano appena un lieve bagliore qua e là, dov’erano posate su centrini di pizzo nero. La cera era rossa, e sentii un leggero retrogusto di ciliegia nell’aria. Se non sbagliavo, Zayn quel giorno non era andato né a caccia né a svolgere qualsiasi tipo di lavoro.  Quando entrai nella sala, la borsa a tracolla mi cadde di mano, e in viso mi comparì l’espressione più sbalordita che il mio volto fosse in grado di elaborare. Con il cappello di lana calato fino alle sopracciglia e la bocca e gli occhi spalancati, lasciai vagare il mio sguardo su ciò che Zayn aveva preparato.
Un tavolo quadrato, preso non so dove e non so come, occupava lo spazio libero fra il divano e il balcone. Piccole tovagliette nere, cucite e ricamate, erano sovrastate da piatti scuri, due piccole zucche di legno e dei larghi calici. Il profumo di sugo si diffondeva dolcemente nell’aria, e le pietanze posate sui piatti fumavano, formando piccoli sbuffi chiari su sfondo scuro.
“Sorpresa.” una voce fin troppo familiare mi arrivò alle orecchie.
“E’… è…” inarcai le sopracciglia. Perché?
“Ho pensato che oggi è Halloween, e mi sembrava giusto festeggiare questi mesi… sovrannaturali. E poi mi sembra che tu stia migliorando notevolmente. Senza togliere che si trova sempre un motivo per festeggiare, no?” sorrise.
“Grazie” sorrisi anch’io, incredula, senza trovare alternativa migliore. Mi sembrava un gesto così gentile, quasi fossi ritornata bambina e i miei amici mi avessero invitato alla loro super festa di Halloween, con lei vestita da zucca e… “Allora, si può cenare, signor Malik?” abbandonai il cappotto sul divano e mi avvicinai al tavolo, trepidante. La carne era arrotolata in involtini, posati in un piccolo laghetto di sugo, e chissà quali spezie spiccavano dal piatto. Non me ne intendevo.
Mi sedetti, e le mie labbra non riuscirono a smettere di sorridere. Se non fosse stato per il tavolo, avrei abbracciato Zayn con la stessa intensità. Tagliai la mia portata e la portai alla bocca. Si scioglieva teneramente, ed era impregnata dei più diversi sapori. Rosmarino, salvia… porcini?
“Sei un cuoco eccellente. Dovresti seriamente pensare a lavorare in un ristorante professionista, altro che barman.” proferii, finendo l’ultimo boccone.
“Grazie- sorrise, e per una volta non ebbe nulla da aggiungere –ora vado a prendere il gran finale.” mi fece l’occhiolino, scomparendo in cucina con i due piatti fra le mani. Lo aspettai dondolandomi sulla sedia, rigirando la piccola zucca fra le mani. La zucca. Mi era sempre piaciuta la zucca.
“Eccoci qui” lo sentii sussurrare, mentre tornava con due piatti trasparenti, decorati da piccole foglie e rami che si intrecciavano fra loro, terminando in una fitta ragnatela al centro del piatto.
Non avrei confuso quel profumo con nulla al mondo.
“Pancakes.” sussurrai, inspirando. Zayn sapeva quanto amavo quei dolci e le crepes più diverse, specialmente se erano cucinate bene come sapeva fare lui.
“Pancakes a cioccolato e frutti di bosco, con tanto di panna e gocce di fondente. Il tuo preferito, no?” posò delicatamente il piatto davanti a me: ora una deliziosa pila di quattro pancakes si ergeva sulla tavola. Pensai che per fortuna la portata principale era stata contenuta: una piccola montagna di frutti di bosco era impilata sopra l’ultima crepe, le decorazioni di cioccolato, abbondanti, sembravano studiate nei minimi dettagli e non ne volevo lasciare alcune traccia nel piatto. Quello per me era più di un festeggiamento; era come la cena di compleanno più buona che avessi mai assaggiato. Peccato che il mio compleanno fosse a giugno. E Zayn, ci sarebbe stato, a giugno? Mi avrebbe cucinato un piatto delizioso come quello? 
Sollevai una fragola, e ne rimirai la forma perfetta. Adoravo le fragole.
“Sai? Mi dispiace quasi mangiarla, è così bella.” ammisi, ed era la verità.
“Beh, posso sempre prepararle a colazione.” osservò.
“Sì, ma…” non era la stessa cosa. Quelle erano molto più... speicali, avrei voluto dire. 
Stampai l’immagine del dolce nella mia mente, e poi mi decisi a prendere un’ abbondante forchettata. Il cioccolato scendeva dalla cima, denso. I diversi sapori si mischiavano sul palato, sposandosi con il vicino. In qualche minuto avevo addentato l’ultimo boccone, e Zayn sembrava compiaciuto.
“Direi che ti sono piaciute, bene.” rise, posando il tovagliolo.
“Più che bene! Grazie… non mi aspettavo nulla del genere.” mai stata più sincera di così. Mi alzai da tavola e lo aiutai a portare di là i piatti sporchi. Tornata in salotto, mi stiracchiai, e tirai fuori dalla borsa i DVD.
“Be’, non saranno la stessa cosa, ma anche io avevo pensato a qualcosa per la serata…” gli mostrai i film.
“Ti piacciono gli horror?” domandò, alzando un sopracciglio.
“Dipende, gli splatter riesco a reggerli solo ad Halloween. Non che a San Valentino riesca a sopportare le telenovelas. Però gli horror ben fatti sono notevoli.” risposi con entusiasmo.
“Certo. Be’, scegli te, per me non fa differenza.”
“Hai mai visto Scream?” domandai.
“No, mai.”
“Perfetto, allora possiamo guardare questo- appoggiai gli altri cofanetti sul divano, e infilai il DVD nel registratore. Avevo già visto quel film e i suoi sequel qualcosa come quattro volte, ma non mi sentivo in grado di sopportare emozioni troppo forti, quindi andava benissimo – Ah, e spegni qualche candela.”
Feci un salto in camera per prendere una coperta – nonostante l’aria fredda non mi era mai piaciuto chiudere tutte le finestre, infilai un paio di pantaloni di tuta, afferrai una bottiglia d’acqua e tornai di là. Zayn aveva spento metà delle candele in sala, e il film stava cominciando. Mi sedetti sul divano vicino a lui, stendendo la coperta. Fremevo dalla voglia di raccontare ogni singolo dettaglio, commentare tutto e fermarmi prima di dire il nome degli assassini. Jade diceva che era impossibile guardare
 un film in mia compagnia. Ero insopportabile. E aveva anche ragione, ma non ci potevo fare nulla.
Fui presa da un improvviso senso di stanchezza e appoggiai la testa sulla spalla di Zayn, che se ne stava tranquillo, gli occhi puntati sullo schermo. Quando li riaprii, Sidney aveva appena ucciso Billy e Stu, e il film era al termine.
Mi stropicciai gli occhi: avevo
davvero dormito per tutta la durata del film, per di più mentre Zayn restava sveglio per seguirlo? Alzai lo sguardo su di lui, e notai che mi stava osservando, le labbra incurvate in un leggero sorriso.
Strizzai un attimo gli occhi, rimettendomi a sedere.
“Mi dispiace… mi dev’essere venuto un attacco di sonno. E fidati, è meglio così, avrei potuto svelarti il finale del film. Non riesco a trattenermi.” sussurrai, quasi ridendo, anche se un po’ in imbarazzo.
“Vuol dire che la prossima volta sceglierò un thriller pieno di sparatoie, rigorosamente a massimo volume.” stiracchiò anche lui le braccia, ridendo. A essere sincera, in quel preciso momento non mi sentivo per niente stanca.
L’ultima scena terminò, seguita dai titoli di coda, coronati come sempre da una musica lenta in netto contrasto con il film, che man mano andò affievolendosi sullo schermo. Mi girai verso Zayn, trovandomi ad osservarlo nella penombra. La luce che filtrava dalla finestra segnava il suo profilo, illuminandogli la fronte ampia, il naso e le labbra, fino alla linea della mascella e al collo. Improvvisamente non fui più in grado di scorgerlo, perché si era girato verso di me e le sue labbra si erano posate sulle mie, portandomi a chiudere gli occhi e lasciarmi andare alle sensazioni che quel contatto trasmetteva. Una sua mano andò a posarsi appena sotto il mio mento, e mi meravigliai di quanto potesse essere sempre calda e rassicurante. Sentivo la pelle fredda, e il suo tocco scottava come se mi fosse venuta la febbre.
Appoggiai entrambe le mani sulle sue spalle per portarmi più in alto, quasi senza accorgermene, e finii a cavalcioni su di lui. Le nostre labbra si scontravano, i capelli mi ricadevano fastidiosi sulla fronte e sentivo qualcosa dentro che non sono tutt'ora in grado di spiegare.
Accarezzai il contorno del suo viso, dai capelli alla barba appena accennata, e mi sentii sollevare, le sue mani sul mio bacino. Nonostante la mia mente fosse annebbiata, non ero così confusa da non capire. Lo aiutai a sfilarmi la maglia, diventata soltanto d’impiccio, e feci lo stesso con la sua.
Sorrise, e non potei fare a meno di lasciarmi scappare una risata dalle labbra. I miei occhi vagarono sulle sue braccia, che ora più che mai riuscivo a scorgere, contornate di tatuaggi principalmente neri.
“Cosa significa questo?” sussurrai. La mia attenzione era stata catturata da una specie di filo che si aggrovigliava sul lato del torace. Era composto da tantissimi nomi: Martin, Cara, James, Richard, Ferdinand, Chuck, Stefani, Kathleen…
“Una volta uccidevo bambini, quando decisi di smettere di mangiare animali e passare solo alle prede umane. Questi sono i nomi dei venti bambini che ho ucciso in un solo… mese, prima di imparare a controllarmi. Non li voglio dimenticare.” sussurrò a testa bassa, la voce roca, nonostante priva di alcuna nota di risentimento. Sfiorai il tatuaggio percorrendolo con l’indice, prima di posarvi venti piccoli baci. Tutti quei segni, posti tra le braccia e le clavicole, gli conferivano qualcosa di affascinante e, agli occhi di chi ignorava la sua storia, anche misterioso.
Il torace era ben definito, e la mia mano tracciò tutte le linee che andavano dalla schiena al petto, dall’alto in basso. Era strano pensarla così, ma per una volta sentivo di avere un po’ di… di… di potere forse, su Zayn. Aveva gli occhi socchiusi e i muscoli leggermente tesi, e mi persi un attimo nei miei pensieri quando arrivai alla fascia elastica dei boxer, che usciva dal bordo dei jeans. Era come quando resti con lo sguardo fisso su un punto per un po’ di tempo, senza sentire quello che la gente intorno a te dice. Quando mi risvegliai da questo stato di trance, non mi accorsi che i suoi pantaloni erano caduti a terra, e probabilmente ero stata io a sfilarglieli. Avevo le labbra secche, cosa che in quel genere di situazioni non mi era mai successa. Neanche la prima volta, andiamo. La mia mano si infilò nei suoi boxer e dalle labbra di Zayn uscì un gemito. Di piacere? Forse ero stata troppo veloce.
Calmati, Juliet, calmati.
Riacquistai il controllo della situazione e aumentai i movimenti di polso, cercando di ritrovare me stessa. Sapevo a cosa stava portando tutto questo, e mentre pochi minuti dopo mi liberavo della tuta e Zayn si stendeva sopra di me sul divano, ebbi un attimo di esitazione. Che non passò inosservato, ovviamente.
“Ehi, va tutto bene?” sussurrò, accarezzandomi una guancia.
“Sì, Zayn, solo che io…” Liam. Solo che mi era tornato in mente Liam.
Non ti obbligherò a fare nulla che tu non voglia, lo sai.” non avevo mai visto Zayn così serio. Nei suoi occhi c’era qualcosa di deciso, una piccola fiamma che continuava a bruciare senza spegnersi, mentre aspettava che io aprissi bocca.
“E’ proprio per questo che mi fido di te.” risposi, allacciando le gambe sulla sua schiena e le mani sulle sue guance, baciandolo. Le sue dita arrivarono al gancetto del mio reggiseno, che finì a terra insieme ai nostri vestiti.
Scivolarono poi giù, tracciando una linea immaginaria sui miei fianchi, arrivando agli slip, che seguirono i compagni sul tappeto.
La finestra che dava sul balcone non era del tutto chiusa, e tirava un po’ di vento quella sera, quindi avrei dovuto sentire freddo. Invece no. C’era Zayn, accanto a me, che mi copriva con il suo corpo, e c’ero io, protetta dalla sua barriera, che respingeva tutti i brutti pensieri come le montagne custodiscono le valli dai venti di alta quota. Ed io ero lì, al centro della valle, mentre la sua coperta di calore si posava sulle mie spalle, mi avvolgeva.
E poco dopo non c’era più Zayn. Non c’ero più io.
C’erano Zayn e Juliet, al centro del prato, come una cosa sola, mentre lui si muoveva dentro di me lentamente, continuando il suo compito, che era quello di proteggermi. E incrociando i suoi occhi vidi le mie iridi azzurre, ma non capii se ero dentro il corpo di Zayn, o se il suo sguardo era così profondo che mi ci stavo specchiando dentro. Come quella volta a casa mia, la stessa identica situazione. Le stesse poche parole per descriverlo, ma adesso sapevo perché. Mi sembrava di poterlo comprendere. C’era parte di Zayn in me tanto quanto il contrario. Alla fine, decidendo di non lasciarmi soffrire ma prendendomi con sé, si era legato a me.
Mi sembrò di leggere gli stessi pensieri nei suoi occhi.
“Non scherzavo, quando ho detto che nessuno ti farà più del male, finché io sarò in grado di impedirlo.” sussurrò al mio orecchio, mentre le nostre dita si intrecciavano e le sue braccia mi stringevano.
Appoggiai la testa sul suo petto, e ascoltai i battiti veloci del suo cuore, che pompava incessantemente l’energia vitale nelle sue vene. Sarei stata lì tutta la notte, accoccolata contro il suo petto, mentre la città si spegneva, se i tatuaggi non avessero distolto nuovamente la mia attenzione. Zayn sembrava essersi addormentato. Tornai a osservare il filo che s’intrecciava, riprendendo da dove ero rimasta quell’ultima volta. 
Chuck, Stefani, Kathleen, Zoe…
Zoe.
 
Mi alzai tremando senza riuscire a controllarmi, traballando sui miei stessi piedi, come se un tunnel all’apparenza infinito avesse appena svoltato su un’uscita troppo luminosa. 
 




















 
 
Oh My Josh.
io l'avevo detto che serviva un po' di calma prima della tempesta.
La descrizione non é da rating rosso perchè 1 é rating arancione (capitan ovvio) 2 non ne sono in grado 3 è così e basta insomma.
Le lettrici che mi hanno scritto, nelle recensioni, di aver sclerato per il bacio avranno un po' da sclerare ahaha,
ma tranquille, tra questo e i prossimi avrete tutte da sclerare, pure io.
Colgo l'occasione per ringraziare tutte le lettrici che recensiscono e quelle silenziose, le 52 che hanno Poison fra le preferite, le 26 che la ricordano e  le 97 che la seguono. 

Buona settimana,
Joanne



 
 
 


Silenzio.
 
-Mamma?-
-Sì, cosa c’è?-
-La maestra la settimana scorsa era triste. Le ho chiesto perché. Ha detto che il suo papà non c’era più. Che era volato con gli angioletti nel cielo, che era felice e non poteva più scendere. Il papà della maestra non c’è più.- 
-Mi spiace, p-per la tua maestra.-

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Capitolo 16
*** {XVI} Pumpkin ***




Kiss me one more time before I die.
 

-Juliet-

 
La bambina girava su se stessa, sotto gli occhi spalancati di una compagna ancora più piccola. Indossava una grande gonna di tulle arancione, delle lunghe calze verdi a quadri neri e uno strano berretto a forma di rampicante. Le scarpe erano a punta, arricciate e piene di brillantini.
Appoggiò le mani sui fianchi con fare soddisfatto e si rimirò nelllo specchio, di cui occupava neanche la metà.
“Zoe… s-sei bellissima…” la piccola era seduta appena dietro di lei, le mani alla bocca. Guardava Zoe come ammirava i pasticcini glassati nelle vetrine delle pasticcerie.
“Lo so, è meraviglioso!” fece una piroetta su se stessa, orgogliosa del travestimento.
Si avvicinò subito alla sorellina, e le posò un bacio in fronte “So che sei triste perché non puoi venire, ma la mamma ha detto che dall'anno prossimo ti farà uscire, quando anche tu sarai grande” si sedette vicino a lei.
“Ma tu sei così bella…” sussurrò, girando furtivamente lo sguardo verso la grande gonna colorata. Ne desiderava anche lei una così. Voleva diventare grande.
“Ehi, guardami. L’anno prossimo cuciremo un costume anche per te, e sarà il più bellissimo di tutti” la guardò dritta negli occhi, lasciandosi scappare una risata.
“Ma io voglio essere una zucca, come te!” protestò la piccola.
“E allora sarai una zucca, la più splendente delle zucche e tutti guarderanno il tuo costume” la rincuorò Zoe. La bambina aprì ancora di più gli occhi, immaginando se stessa passare e suonare i campanelli, prendendo tutti i dolcetti, con una grande gonna arancione e un berretto verde con tanti, tantissimi lustrini. Sbatté le palpebre sopraffatta da cotanta bellezza.
“Ora devo andare, mamma mi chiama, o farò tardi a scuola e alla festa” si alzò dal letto, dirigendosi in salotto.
“Zoe!” la bambina si sentì richiamare.
“Cosa c’è?” domandò, ma prima che potesse ricevere una risposta, la sorellina la stava abbracciando, la fronte che non arrivava alle spalle della grande.
“Sarai la zucca più bella di tutte” e la strinse ancora a sé, prima di lasciarla uscire dalla porta.
E dalla sua vita.
Per sempre.
 
 
Mi trascinai fino al cancelletto di casa di Niall. Inciampai, caddi, mi rialzai, ma caddi di nuovo. Le lacrime mi rigavano il volto ed ero scossa da potenti brividi. Citofonai, appoggiandomi al muro di mattoni con tutte le mie speranze, premendo con l’indice freddo nel gelo della notte, fino a quando la voce familiare di Jade, impastata dal sonno, uscì metallica dall’altoparlante.
“S-sì…?”
“Jade, jade, j-jade” la mia voce era resa discontinua dai singhiozzi, la mia mano si stringeva nervosamente per fermare i brividi.
“Juliet?!- si animò – Che succede?”
“Jade… vieni… ti prego…” sussurrai, le labbra secche che si muovevano con difficoltà.
“Arrivo, non ti muovere di lì” riagganciò con forza, mentre mi rannicchiavo vicino al cancello e coprivo le ginocchia con le braccia. Volevo solo un attimo di pace, un secondo di tranquillità in cui nascondermi ma poi restare lì per sempre. Non poteva essere vero.
Doveva essere una coincidenza, uno strano caso di eventi sovrapposti, che il destino stava usando contro di me, come se non avessi già sofferto abbastanza.
 
 
“E allora sarai una zucca, la più splendente delle zucche, e tutti guarderanno il tuo costume.” un sorriso familiare.
 
 
Jade!” urlai rocamente al nulla, come se potessi farla venire da me più in fretta, come se potessi scacciare quelle immagini dalla mente. Avevo un disperato bisogno di lei.  Premetti le mani sulle tempie con forza, e strinsi i denti cercando di concentrarmi sul resto, ma avevo in mente solo Zoe, Zayn, divani, zucche, bambini e sangue. Un cigolio risuonò sopra la mia testa, ed eccola lì, la mia migliore amica, con un’espressione che andava dalla preoccupazione più leggera al turbamento più profondo. Il presente mi sconvolgeva, il futuro m’incuteva timore, e ora anche il passato era tornato a prendersi la sua rivincita, un’altra volta in poco meno di un mese.
“Juliet, che cosa succede? Stai male? Zayn dov'è? E' colpa sua?” si mise a carponi al mio fianco, tastandomi la fronte con il dorso della mano e controllando che non mi fosse successo nulla di grave. Se avesse saputo il vero perché della mia visita, mi avrebbe stretta in uno di quegli abbracci senza fine, cullandomi la testa contro la sua spalla e accarezzandomi i capelli. Come faceva sempre in quei casi, quando i ricordi riaffioravano.
“Jade!” la richiamai, sentendo lacrime salate bagnare la mia lingua.
S’immobilizzò, attendendo che continuassi a parlare, fissandomi con i suoi grandi occhi, ora segnati da due occhiaie scure.
“Jade…. é…- deglutii- é… é…”
Cercai un appiglio nel suo sguardo, e mi lasciai definitivamente andare, ammettendo le mie paure.
“….é stato Zayn ad uccidere Zoe”
 
 
Mamma e papà erano in cucina. Mi avevano mandato a dormire, dicendo che era tardi e sarei già dovuta essere a letto, quando in realtà erano appena le otto e mezza.
Non avevo fiatato; magari era in corso un litigio ed era meglio che la bambina di sei anni se ne stesse zitta in camera. Avevo chiuso lentamente la porta, ma abituata com’ero a dormire in compagnia della voce della mamma, non riuscivo a chiudere occhio.
Allora avevo camminato in punta di piedi in corridoio, per chiedere se almeno il papà poteva raccontarmi una storia, ma avevo sentito dei rumori strani, sempre più forti. Come se qualcuno stesse piangendo. Avevo accostato l’orecchio alla porta della cucina, sentendo chiaramente dei grandi singhiozzi.
“Mamma - avevo spalancato piano la porta -…ti sei ancora tagliata con il coltello?” era l’unica spiegazione logica che riuscivo a dare al suo pianto. Quando cucinava, a volte si faceva dei piccoli tagli, e gli occhi le si appannavano per il dolore. Una volta aveva pianto. Questo doveva essere un taglio bello e grande.
Lei si era girata verso di me, un'espressione terrrorizzata in volto, che non aveva fatto in tempo a nascondere per la sorpresa. Ma subito dopo mi aveva sorriso. Il volto era rigato dalle lacrime, i capelli arruffati. Aveva un’aria sconvolta, come se il mondo le potesse crollare addosso da un momento all’altro. Non l’avevo mai vista così, mai, e non potevo lontanamente capire come era possibile che la luce che le si accendeva negli occhi quando mi vedeva si fosse trasformata in dolore.
“Mamma sta bene- si era avvicinata a me, attaccata alla porta, e mi aveva sistemato una ciocca di capelli dietro l'orecchio –è stata un po’ maldestra, e ora si è fatta molto male. Torna a dormire amore, non stancarti” e mi aveva dato un bacio in fronte, che seppur lieve e umido, esprimeva molto più di quello che potevo comprendere.
Ero andata a letto, dandole ascolto, aspettando che Zoe tornasse per consolare la mamma. Magari lei sarebbe riuscita a curarle quella brutta ferita.
 
 
Ero arrivata in casa di Niall, non ricordo neanche come. Jade non aveva detto una parola, mi aveva aiutata a salire le scale in silenzio ma tenendo un passo sostenuto, concitato, e ora ero stesa sul divano, attorcigliando mani su mani, stringendole e torturandole. Qualcuno lasciò cadere una coperta sulle mie spalle, e un attimo dopo Niall era seduto sulla poltrona avanti a me. Il suo sguardo esprimeva tutta la preoccupazione che non aveva mai espresso in questi anni. Era strano vedere il suo viso senza che un sorriso vi fosse impresso.
“Zayn… Zayn ha ucciso Zoe, l’ha uccisa” singhiozzai buttando la faccia nei palmi delle mani, mentre sentivo un’altra sensazione ribollire dentro. La rabbia. Ardeva e cresceva incessantemente.
“Sei proprio sicura che sia stato lui? Juliet, non è un incubo?” era Jade, che si era seduta cauta, al mio fianco, posando una braccio intorno alle mie spalle e stringendomi a sè con prudenza. Il calore del suo corpo mi riscaldò, mentre strofinavo il dorso della mano destra sulla bocca, e bevevo nervosamente dalla tazza che mi aveva offerto.
“Ne sono più che sicura” affermai, mentre i miei occhi si perdevano in ulteriori flashback.
 
 
-Mamma, dov’è Zoe?-
-Mamma, perché Zoe non è ancora tornata?-
-Mamma, avevi detto che per le quattro sarebbe stata a casa.-
-Mamma, com'è che si è fermata di più da Kathleen?-
-Mamma, cosa vuol dire che Zoe non tornerà per un po’?-
-Mamma, perché in questi giorni sei così triste?-
-Mamma, avevi detto che però oggi tornava.-
-Mamma, posso almeno chiamarla?-
-Mamma, ho bisogno di sentire Zoe, posso?-
-Mamma, ma oggi non vai a lavorare?-
-Mamma, perché continuiamo a ricevere telefonate?-
-Mamma, perché piangi?-
-Mamma, Zoe è andata via?-
-Mamma, chi era quel signore che è venuto a parlarti?-
-Mamma, perché stasera non sei uscita con le tue amiche?-
-Mamma, cosa succede?-

 
-Mamma?-
-Sì, tesoro?-
-Zoe non tornerà, vero?-
Silenzio.
 
-Mamma?-
-Sì tesoro, cosa c’è?-
-La maestra la settimana scorsa era triste. Le ho chiesto perché. Ha detto che il suo papà non c’era più. Che era volato con gli angioletti nel cielo, che lui era felice ma non poteva più scendere, e così la maestra era triste. Il papà della maestra non c’è più.-
-Mi spiace per la tua maestra.-
 
-Mamma?-
-Sì?-
-Zoe non c’è più, vero?-
 
 
 
“Zayn ha un tatuaggio. Anni fa, mi ha detto, prima di imparare a controllarsi, uccise un gruppo di bambini, completamente difesi e innocenti. Si è marchiato con i loro nomi la pelle, per ricordarsi dei suoi errori e imparare a uccidere solo per sopravvivere e non per divertimento. Per controllarsi. Ho letto quei nomi. C’è Zoe, c’è Kathleen, ci sono dei loro amici. Quel pomeriggio Zayn li adescò e li uccise. Ho contato, l’anno era quellao. Jade, non ho alcun dubbio, lo capisci? E’ stato Zayn ad uccidere mia sorella.”





















 
Oh My Josh.
Eh-ehy, ma chi si vede!
Due brevi cose che potrebbero interessarvi: 1) ho ricevuto una critica di ripicca alla storia da una ragazza con doppio account con una specie di avversità per chi le lascia critiche o neutre per quanto fondate, ma io e altre ci siamo organizzate, ho segnalato e ora entrambi gli account sono stati bannati e le recensioni verranno cancellate; in caso sia capitato anche a voi e abbiate capito di chi parlo. 2) ho scoperto che ci sono gli Oscar EFPiani hahahah e (avrei voluto candidare Poison ma non é completa!) e ho candidato una mia OS Larry, "Heart By Heart", spero che la valutino e si vedrà! In caso vi interessi lontanamente o vogliate partecipare (le iscrizioni scadono il 23/2 e il verdetto uscirà il 2/3). 
Vi ricordo di 
askare askare askare cc:
Alla prossima, vi lascio con una piccola Juliet poco lentigginosa,
Joanne


 

 
 


“Al pub. Ho bisogno di stare lontana da tutti… da tutto questo casino. E tu, Niall, faresti bene a capire una cosa: la realtà è diversa da quella che ti raccontava la mamma da bambino, prima di metterti a letto. Nella vita reale ci sono degli avvenimenti straordinri, che siano belli o brutti, e tu devi affrontarli, non puoi pensare che passeranno se ti giri dall'altra parte. Chiedi a Juliet, magari, come si sente dopo che quel cazzo di maniaco del suo ex l’ha cercata di nuovo e dopo che ha scoperto che la persona con cui convive ha ucciso sua sorella. CHIEDIGLIELO!”
e chiusi la porta lasciandolo lì, confuso, facendo ben attenzione a sbatterla abbastanza forte.

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Capitolo 17
*** {XVII} Control ***



 
You ain't right, take me high Then that high, it subsides And my body flat lines

 
-Jade-

 
Eravamo riusciti ad addormentare Juliet, che dormiva beatamente sul divano. La tazza di camomilla con il miele era servita a calmarla, e l'avevo cullata fino a quando i suoi singhiozzi non erano diventati dei pesanti respiri, ma mi chiedevo in quale sofferenza sarebbe affogata una volta sveglia. Dentro di lei dovevano agitarsi gli incubi peggiori, ma così stesa, abbracciata al cuscino, gli occhi chiusi e il respiro regolare, sembrava che potesse permettersi una pausa da tutti i problemi che la tormentavano.
Entrai di soppiatto in cucina, evitando di far rumore. Niall era seduto davanti a me, una tazza di latte e un pacco di fette biscottate sul tavolo.
“Ehi.” sussurrai.
“Oh, ciao.” si accorse della mia presenza e prese un sorso di latte.
“Dorme ancora. Niall… io non me la sento di svegliarla.” ammisi, scivolando su una sedia e prendendo qualche biscotto da un barattolo di vetro.
“Senti, Jade, ne dobbiamo parlare- sembrava nervoso, ma non ci avevo fatto –Io non credo molto a questa storia.”
“Scusa?” aggrottai le sopracciglia.
“Non credo a… a tutto questo. Penso che a Juliet sia successo qualcosa di serio alla festa, ma che non possa spiegarsi semplicemente così. Questo Zayn non mi va a genio, dev’essere un satanista o qualcosa del genere. Fino ad adesso ho fatto buon viso a cattivo gioco ma… ma… Jade, non ti sembra troppo strano? Parassiti, energia vitale, Juliet che non può più misteriosamente vivere stando lontano da lui? Ora questa storia di sua sorella… io…” mi alzai istintivamente in piedi, appoggiando le mani sul ripiano freddo della cucina.
“Niall, stai dicendo che secondo te Juliet è andata fuori di testa?!”
“Abbassa la voce, sta ancora dormendo!”
“Niall! Stai dicendo che Juliet è andata fuori di testa?” ripetei.
“Non proprio. - si mise sulla difensiva - E’ che mi sembra strano, fin troppo… queste cose non esistono, lo sappiamo entrambi, e potevo accettarla fin quando sembrava un gioco, una metafora, ma adesso Juliet sta male e… pure Liam…” si morse improvvisamente le labbra, accorgendosi di quello che aveva appena detto.
“Liam? Cosa c’entra Liam con questa storia?” l’ex-fidanzato di Juliet, l’ultima persona che avrei pensato di coinvolgere in questa faccenda.
“No, dovevo stare zitto. Decisamente zitt-“
“Cosa è successo tra Liam e Juliet, Niall, dimmelo, ORA.” Il mio tono non ammetteva repliche. Se quel bastardo era tornato e non mi era stato detto nulla, ci doveva essere almeno un buonissimo motivo. Niall sbuffò, rassegnato.
“Liam è tornato e ha di nuovo... insomma, ha cercato di replicare il passato. Juliet me l’ha detto a scuola, una settimana fa, diceva di aver bisogno di sfogarsi con qualcuno e io ero lì. Mi ha pregato di non dirti una parola, non ce l'avrebbe fatta, e mi spiace tanto ma non volevo tradire la sua fiducia. Comunque, Liam non potrà più darle fastidio, perch-“
“Divertente, sai, Niall? Juliet si è confidata proprio con te, ti ha detto questa cosa che probabilmente le è costato una sofferenza attroce solo per ricordarlo, e tu non le credi. Mi hai appena detto che non credi a una sua sola parola di questa storia. Il sovrannaturale, i fantasmi, i vampiri, tutte queste… queste favole, non esistono solo fin quando non ci inciampi sopra anche tu!- stavo quasi urlando, ma non potevo credere che Niall, il mio Niall, il nostro migliore amico potesse essere così diffidente su un tema così delicato - Io me ne vado.” aggiunsi con tono perentorio. Raggiunsi il corridoio, afferrai giacca e borsa e aprii la porta di casa, decisa a non rientrare fino a sera tardi, oppure…
“Ma dove vai, Jade?” Niall aveva fatto capolino dalla cucina.
“Al pub. Ho bisogno di stare lontana da tutti… da tutto questo casino. E tu, Niall, faresti bene a capire una cosa: la realtà è diversa da quella che ti raccontava la mamma da bambino, prima di metterti a letto. Nella vita reale ci sono degli avvenimenti straordinari, meravigliosi, che siano belli o brutti, e tu devi affrontarli, non puoi pensare che passeranno e basta, se solo giri la testa dall'altra parte. Visto che sei un campione di sensibilità, chiedi a Juliet, magari, come si sente dopo che quel cazzo di maniaco del suo ex l’ha cercata di nuovo e ha scoperto che la persona con cui convive ha ucciso sua sorella. CHIEDIGLIELO!” e chiusi la porta lasciandolo lì, confuso, facendo attenzione a sbatterla abbastanza forte.
 
Ero in anticipo, ma poco importava. Il locale non avrebbe aperto prima delle due, quindi entrai dalla porta sul retro e iniziai a sistemare qua e là. Qualsiasi cosa pur di tenere impegnata la mia mente. La mia migliore amica non mi aveva detto di Liam, e chissà di quante altre cose, il mio fidanzato credeva che fossimo tutti impazziti e se ripensavo a quando la sera mi rassicurava, dicendo che Juliet sarebbe stata meglio, parlando dell’energia e della Protezione, se solo provavo a ripensarci, mi veniva da urlare i peggiori insulti a lui per essere stato un bugiardo e a me stessa, per aver creduto a tutto.
Certo, a meno che Niall non avesse ragione.
Ma no, non poteva essere.
Era solo diventato tutto fin troppo complicato.
Appoggiai con troppa violenza un bicchiere sul bancone, appena lucidato, e mi riscossi dai miei pensieri. Era già passata mezz’ora, tra non molto sarebbero arrivati gli altri e avrei avuto qualcuno con cui parlare. I barmen erano simpatici, mi trovavo bene a lavorare nel locale anche se il compenso non era molto alto, ma giusto abbastanza per non gravare troppo sui miei genitori.
Andai nello stanzino sul retro, indossai le divise – tutte rigorosamente scure, pratiche ma particolari – e navigai un po’ su Internet con il cellulare, ora sdraiandomi su un divano ora accendendo la grande TV al plasma fino a provare le luci per la pista da ballo, quando Luke e Jonathan arrivarono per aprire il locale. I primi clienti si accomodarono ai tavolini, e preparai qualche sporadica ordinazione. Mi resi conto di aver lasciato Juliet sola con Niall, e mi augurai di riuscire a tornare a casa prima che si svegliasse. Ma al tempo stesso, con quell'atteggiamento non avrei fatto altro che renderla ancora più tesa.
“Hei, Jade, tutto bene?” domandò Jonathan, mentre preparava un nuovo drink.
“No- risposi senza troppi giri di parole – Ma lascia stare, domani andrà già meglio.” be’, su questo non potevo essere molto sicura, ma già essere lì mi aiutava a distrarmi.
Le luci in sala si spensero per un attimo, e subito girai la testa verso l’entrata del pub. Il black out durò solamente qualche frazione di secondo, ma quando l’illuminazione si riattivò sembrava che qualcosa fosse cambiato. In fondo alla sala, su un divanetto di pelle blu scuro, c’era un ragazzo che mi sembrava di aver già notato, qualche volta, nel locale. Ma che non avevo visto lì appena prima che diventasse tutto buio.
 
“Io devo andare- annunciò Samantha, appoggiando il grembiule nero su uno sgabello. –Devo passare da mio fratello, oggi ha il saggio di recitazione a scuola e ha insistito perché la sua sorellona andasse a vederlo.” sciolse i lunghi capelli mori, mentre s’infilava il cappotto.
“Tranquilla Sam, ci sono poco clienti e il tuo turno è quasi finito. Penso che Jade possa sostituirti per un’oretta, vero?” mi girai sentendo chiamare il mio nome.
“Mh? Ah, sì, certo.” non ero decisamente fatta per essere una cameriera, ma per qualche manciata di minuti poteva andare. Non sapevo del saggio del fratello di Sam, e poi Luke era il capo. Mi allacciai il grembiule in vita, tirai i capelli in una coda alta e mi affrettai a servire i clienti.
Non era la prima volta che sostituivo qualche cameriera, ma lavorare davanti al bancone prevedeva un approccio diverso, che già di solito mi era difficile. Un tavolo servito, due, tre… senza accorgermene arrivai in fondo alla sala, dov’era seduto il ragazzo che avevo notato poco prima. Stranamente il suo tavolino era vuoto.
Era perso nei suoi pensieri, mentre mi avvicinavo e osservavo i suoi occhi puntarsi nei miei.
“Ciao, ti porto qualcosa?” la penna scattò veloce fra le mie mani, mentre il suo sguardo percorreva il mio corpo. Percepii una sorta di tremore, un brivido involontario.
“Una birra media e qualcosa da mangiare. Cosa mi consigli?” si leccò il labbro inferiore, senza staccarmi gli occhi di dosso.
“Vediamo…-sfogliai il taccuino del menù, avendo la costante sensazione di essere osservata da ogni parte – Abbiamo dei club sandwich con vari ripieni, oppure taglieri di salumi, formaggi, fish’n'chips, insalate...“
“Un tagliere misto.” m’interruppe, mentre sfogliavo le pagine.
“Un tagliere misto – la mia mano si mosse veloce – Altro?”
Ebbe un attimo di esitazione, gettando una rapida occhiata al locale.
“No, per adesso direi di no, grazie.” riposi la penna nella tasca posteriore dei jeans, mentre mi dirigevo al bancone con la stessa inquietante sensazione di avere decine di occhi puntati addosso.
 
Scoccarono le due, e parte dello staff cominciò ad andarsene, prima della chiusura pomeridiana. Luke e Jonathan mischiavano liquori dietro al bancone, ed io non avevo alcuna voglia di tornare a casa. Non volevo rivedere né Niall né Juliet ancora per un po’. Sapevo che non dovevo comportarmi così, specialmente con lei, ma era più forte di me. Non me la sentivo. Dovevo chiarirmi meglio le idee, e qualcosa mi diceva di restare al pub.
“Luke, non ti dispiace se sto qui ancora un po’, vero?” mi appoggiai al bancone, mentre la sala si colorava di tenui luci al neon, che per la sera sarebbero diventate fluorescenti.
“Affatto.” sorrise, gentile come sempre. Ricominciai il mio giro fra i tavoli, scoprendo che quel ragazzo era ancora seduto sullo stesso divano. Non sembrava essersi mosso. Qualche volta armeggiava distrattamente col cellulare, e per il resto del tempo non faceva nulla. N u l l a. Aveva giusto ordinato un caffè mezz’ora prima, e nessuno sembrava accorgersi delle ormai quattro ore che aveva passato seduto su quella sedia. Senza sembrare troppo invasiva, mi avvicinai.
“Posso portarti qualcos’altro? Se stai aspettando qualcuno e hai bisogno di una chiamata, abbiamo un telefono in magazzino.” era un’osservazione abbastanza stupida, lì con il suo smartphone appoggiato sul tavolo, ma non trovavo di meglio.
“No, grazie.” e il modo in cui mi guardò, risvegliò in me mille ricordi. Mille pensieri. Mi sembrava che la stessa, identica situazione, si fosse ripetuta per giorni e giorni, che io lo avessi sempre servito, pomeriggio dopo pomeriggio, sostituendo Samantha o qualche altro cameriere.
Ed era questo il problema, ora ne ero pienamente cosciente: io l’avevo veramente servito per tutti quei giorni, e me ne ero completamente dimenticata. Ma cosa stava succedend-
“Anzi, penso proprio che mi servirebbe un telefono. Dove hai detto che si trova?” scattò improvvisamente in piedi, sovrastandomi in altezza, e il verde delle sue iridi si fece più scuro.
“Nel magazzino, sul retro…”
“Ti dispiacerebbe accompagnarmi?” domandò.
Sì, non credo che sia una buona id-
“No, vieni.” mi girai, accennando un sorriso, senza riconoscere né le parole che avevo appena pronunciato né i miei piedi che si muovevano sicuri.
Appoggiai il vassoio sul bancone, e aprii la porta del retro sala. Non avevo bisogno di girarmi, perché anche se non sentivo i suoi passi sapevo che lui era lì. Varcai una porta, e poi un’altra ancora, fino a entrare nel magazzino. Quattro file di scaffali pieni di scatoloni impilati gli uni sugli altri erano al centro della sala, e percorsi con sicurezza la terza fino al telefono, saldamente agganciato al muro. Sentii la porta richiudersi con un tonfo sordo, e fu come se qualcuno mi avesse gettato un secchio d’acqua ghiacciata in faccia. Perché non gli avevo dato il mio cellulare? Di là, in sala, sotto lo sguardo di tutti? 
Feci qualche passo indietro quando il ragazzo si accostò all’apparecchio, e premette dei numeri con noncuranza. Il mio sesto senso mi disse di cercare un tubo, una mazza o anche un piatto rotto lì vicino, e di stringerlo saldamente. Mi ero accostata in silenzio a uno scaffale e le mie dita stringevano… un martello?
“Sembra che non risponda nessuno.” mise giù la cornetta.
“Già. Torniamo di là, puoi provare con il mio cellulare.” sorrisi, cercando di restare calma. Però, quando feci un passo verso la porta, mi scontrai contro il suo petto. Era stato veloce, parecchio veloce.
“Cosa c’è?” alzai lo sguardo su di lui. Il suo viso era dolce, incorniciato da tanti capelli castani, ma i suoi occhi erano un velo gettato su crudeltà pura, e ora quel velo era stato spazzato via.
Vuoi già andare via? C’è troppo casino, di là, non trovi?” sussurrò.
No. Andiamo. 
“S-sì, in effetti…” ammisi.
Che cosa avevo detto?! 
“Brava. Ero sicuro che avresti risposto così.” scoppiò a ridere, e quando fece un passo in avanti, verso di me, la mia mano destra scattò e il martello lo colpì a ridosso della schiena, mentre gli assestavo una ginocchiata dritta nello stomaco.
Rimase dannatamente immobile.
Interessante. E, dimmi, cosa speravi di fare?” corrugò le sopracciglia; la sua pelle era perfettamente liscia e pallida come la luna, non un accenno di dolore, non uno spasmo. Deglutii, indietreggiando di qualche passo.
Mi tuffai nel corridoio di sinistra, decisa a raggiungere la porta e uscire da quel magazzino. Quando ero circa a metà del percorso, una mano mi afferrò per il polso.
No, era decisamente troppo veloce.
“Ma che problemi hai?! Lasciami andare, cazzo!” sputai. Non era una me stessa che riconoscevo: così tante persone a cui urlare addosso in una sola giornata e troppi motivi per farlo.
“Non mi sono ancora presentato, sarei un maleducato ad andarmene così.” inclinò leggermente la testa, con una calma sovrumana, e uno scintillio illuminò i suoi occhi, mentre mi accorgevo che il polso cominciava a dolermi.
“Lasciami andare. Mi fai male.” sussurrai a denti stretti. Un bravo psichiatra, o un buon manicomio, a questo, non li toglieva nessuno.
“Tranquilla dolcezza, tra un po’ non sarà l’unica cosa che ti farà male.” avvertii un improvviso senso di stordimento e qualcosa pungere e pizzicare sempre di più lungo tutto il corpo. Improvvisamenteinconsciamente, mi sentii incredibilmente vicina a Juliet. Le ultime parole del ragazzo si persero nel buio, mentre chiudevo gli occhi contro la mia volontà.
“Uh, a proposito, piacere, Harry. Harry Styles.” 


























 
 


OH MY JOSH.
E' HARRYVATO HARRY. 
Cosa succederà adesso? Che fine farà Jade?! Perché faccio del male ai personaggi?!
Alcune di queste domande non avranno mai risposta!
Spero che la storia continui a piacervi!
alla prosssima,
Joanne

 
 
 
 
 
 



Il contatto dell'acqua con le bolle produsse un bruciore gelido lancinante mentre il prurito diventava insopportabile.
Morsi le labbra senza riuscire a contenere i tremiti e tenendo il getto ben puntato sulle zone infette fino a quando, vari minuti dopo, le bolle non scomparirono del tutto lasciando delle macchie rossastre che però non davano più fastidio. Mi ero morsa il labbro inferiore talmente forte da sentire il sapore dolciastro del sangue in bocca.

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Capitolo 18
*** {XVIII} Answers ***




Then you come to revive
Wait, wait, wait, I'm alive

 
 -Juliet-


Non saprei dire di preciso quando mi svegliai, perché fu come se una sensazione di torpore abbandonasse lentamente il mio corpo lasciando sempre più spazio ai sensi, uno per volta, ma in maniera tale che non ebbi subito coscienza di me. Dovevo aver dormito un giorno intero. Socchiusi piano gli occhi, lasciandomi il lusso di poterli abituare alla calda luce del tardo pomeriggio. Ricordavo di essermi addormentata sulla spalla della mia amica, ma lei al mio risveglio non era lì. Mi alzai incerta, guardandomi intorno.
“Niall?” sussurrai, credendo che il biondo fosse a risposare nella camera da letto, ma trovai un bigliettino appoggiato sul comò all'ingresso.
Sono andato a prenderti qualcosa da mangiare, a casa non c'è niente. Se ti sei svegliata non ti agitare, sarò di ritorno fra un attimo. Jade é al lavoro '
Mi complimentai con i miei migliori amici per la loro comprensione: mi lasciano a casa da sola in stato di shock sapendo che posso svegliarmi da un momento all'altro e avere un attacco di panico.
Tornai ad accartocciarmi sul divano, volendo solo essere più piccola di un microbo e sparire dal mondo, stringendo le ginocchia con le mani e conficcando le unghie nella pelle tanto da farmi male. Ero confusa, sola, arrabbiata e... e disperata. Era questo l'aggettivo che mi descriveva meglio: senza speranza. Sentivo costantemente la mancanza di Zoe, e anche se ormai avevo superato la sua perdita tanto da non piangere ogni sera sotto alle coperte, sapere che il suo assassino era quello che avrei definito il mio fidanzato aveva riaperto lo squarcio sigillato a fatica nel corso di anni di pratica. Avevo imparato a tenere Zoe con me, e trarre dalla sua presenza solo l'amore che mi aveva sempre dato, ma riaprire la ferita voleva dire riaprire il vaso del dolore. Ripensavo a quando lei era uscita da casa e con la mia mente componevo la scena dell'omicidio: una tentata fuga, un urlo di dolore, una piccola mano esangue cadere a terra priva di vita.
Bastò un secondo, e fu come se il dolore mentale lasciasse spazio a quello fisico. Non fui più capace di pensare a mia sorella perché mi ritrovai terrorizzata davanti allo specchio del bagno. Le mani e le gambe mi tremavano, e sentivo prudere caviglie e braccia. Sollevando pantaloni e maniche scoprii delle orribili chiazze rosse e delle bolle, simili a punture di zanzara ma qualvolta più grandi e decisamente più fitte, che si espandevano lentamente sulla mia pelle. Aprii il secondo cassetto del lavandino, e con le dita tremanti inghiottì tre pastiglie di Bentelan grazie a un sorso d'acqua. Sciocco pensare che potesse essere una reazione allergica, ma non avevo mai ottenuto sintomi simili diversamente. Senza esitare un secondo di più mi levai i vestiti e mi precipitai nella doccia, accendendo il getto alla massima intensità e girando la manopola dell'acqua fredda. Il contatto dell'acqua con le bolle produsse un bruciore gelido lancinante mentre il prurito diventava insopportabile. Morsi le labbra senza riuscire a contenere i tremiti e tenendo il getto ben puntato sulle zone infette fino a quando, vari minuti dopo, le bolle non scomparirono del tutto lasciando delle macchie rossastre che però non davano più fastidio. Mi ero stretta il labbro inferiore talmente forte da sentire il sapore dolciastro del sangue in bocca, ed ero paralizzata dalla paura di chiudere il getto e vedere le macchie riformarsi. Poteva essere tutto questo dovuto soltanto alla mancanza di Zayn? Ma ero riuscita a fermarlo da sola. Ero davvero malata e il morso mi aveva trasmesso qualche virus? Se con il tempo dovevo migliorare, allora perché questo attacco?
Uscii dalla doccia con poche forze, sentendomi estremamente debole ma incredibilmente determinata. Avevo aspettato più di un mese senza chiedere nulla, un mese di fiducia e di poche domande.
Era ora che qualcuno chiarisse tutti i miei dubbi, in gioco c'era la mia salute, fisica quanto mentale, e non avrei accettato un no come risposta.
 
L'aria era tiepida e le mie gambe acquistarono fiducia muovendo i primi passi per strada. Era tardo pomeriggio, come avevo pensato, e se Zayn non era venuto a cercarmi in tutto questo tempo doveva esserci un motivo serio. Chissà, magari aveva capito qualcosa anche lui. Quindi, dubitando di trovarlo a casa sua, mi diressi dall'unica persona che avrebbe potuto dirmi dove si trovava: Louis Tomlinson, il tanto caro e buon compare del mio fidanzato infanticida.
Svoltai angoli, attraversai larghi corsi e camminai in vicoli, sempre più sicura delle mie azioni, fino a trovarmi al campo dove lui abitava, senza fermarmi per un secondo fino a quando raggiunsi la sua porta. Era stata la memoria fotografica a guidarmi, al diavolo l'energia vitale e menate varie per una buona volta.
Toc Toc, é Juliet che vorrebbe delle risposte, Juliet che si è stancata di dare senza chiedere, quella Juliet che hai quasi ucciso, magari come atto di pietà per farle passare del tempo con sua sorella, tempo che non avrà mai indietro per quante menzogne tu le possa dire. Sostenere che fossi arrabbiata con Zayn per non avermi detto di mia sorella era sbagliato: ero sì infuriata perché aveva ucciso dei bambini, ma non poteva sapere che fossimo imparentate. Ero arrabbiata nera per tutte le cose che non mi aveva detto, per il passato che mi aveva tenuto nascosto e perché avevo appena capito che si stava prendendo gioco di me: lui sarebbe rimasto giovane per sempre, ed era evidente una volta finito di divertirsi con me mi avrebbe dato il colpo di grazia. Innamorato? Certo, con gli anni doveva aver raffinato le sue doti di attore.
Picchiai con più decisione alla porta, e Louis arrivò ad aprirmi dopo un attimo. In effetti non era ancora tarda sera, ero stata fortunata a trovarlo lì.
Giulietta?” domandò, abbastanza sorpreso.
“Non sono in vena di scherzi. Sai dirmi dove posso trovare quel bastardo del tuo amico?” le parole mi uscirono dalla bocca senza essere pensate, mentre l'espressione tranquilla e leggera che vagheggiava così spesso sul volto di Louis mutò all'improvviso, facendomi quasi paura.
“Zayn non é qui. Ho una vaga idea di dove sia, ma non ne sono sicuro. Quel ragazzo ha tante buone qualità, ma se posso essere d'accordo con te più che un bastardo lo definirei un'idiota. Fammi indovinare, stamattina hai avuto un attacco di qualcosa e sei venuta a cercarlo - trovò l’aspettata conferma nei miei occhi - Penso che sia abbastanza disperato e che tu debba parlare con lui, ma se non collabora sai dove trovarmi. Certo, a meno che lui... - si interruppe - Cercalo nella sua vecchia casa” finì, lasciandomi di sasso. Iniziai a correre in direzione del boschetto, che sapevo mi avrebbe condotta a destinazione.
L'edificio che cercavo era meno lontano di quanto ricordassi, e raggiunsi in un attimo la grande entrata sbarrata e recintata da metri su metri di nastro rosso e bianco. Notai un'apertura abbastanza grande nella rete vicino alla fiancata sinistra, e mi ci infilai senza troppi problemi. Cominciai a salire le scale, piano per piano, sentendo dei rumori provenire da alcuni piani: non tutti se ne erano andati con le minacce della polizia. Arrivai all'appartamento dove una volta viveva Zayn, ben attenta a non far rumore per evitare che si accorgesse di me e mi evitasse. La porta era semi aperta, e sgattaiolai in salotto guardandomi intorno. A destra, seduto sul davanzale della piccola finestra con il viso rivolto verso il cielo, c'era lui.
“Ti ho vista arrivare” sussurrò, girando la testa verso di me. Non piangeva, ma i suoi occhi brillavano e si capiva che doveva esser stato seduto lì per molto tempo.
 
“Tu ed io dobbiamo parlare, Zayn - cominciai - Dovresti raccontarmi un po' di cose, oppure risponderai alle mie domande. Sono sempre stata zitta e ho aspettato che tu mi dicessi quello che devo sapere perché mi fidavo di te nonostante tutto. Ma a quanto pare così non ha funzionato” finii, sentendo il peso delle parole che pronunciavo. Fiducia. Funzionare.
“Juliet, io...”
“E non dire che pensavi fosse meglio così: la verità viene sempre a galla e preferirei sapere tutto ciò che mi riguarda” mi avvicinai.
“Stavo giusto per dire che lo so. Io... oggi mi sono svegliato. E ho avuto un flashback, quando non ti ho trovato accanto a me. Ho capito che quella Zoe, quel nome su cui hai indugiato e su cui ho riflettuto, era tua sorella” proferì senza nessuna incertezza.
Raccontami. Raccontami come é andata quella sera - gli intimai - penso che tu mi debba almeno questo.”
Sembrò riflettere un secondo sulle parole adatte, poi iniziò a parlare, lentamente.
“Sono diventato un parassita circa quarantadue anni fa, quindi é successo quando ne avevo vissuti circa trenta della mia nuova... vita. Conoscevo già Louis da tempo e fu quando decidemmo di trasferirci nelle prossimità di Londra arrivando da qualche anno passato nelle campagne del centro Europa. Viaggiammo in condizioni che non ci permisero di nutrirci adeguatamente per gran parte del viaggio, visto l'alto rischio di essere scoperti, ed io ero sempre stato abituato a vivere solo di energia di soggetti poco raccomandabili - qualora ne avessero, certo. Per il resto vivevo di animali e simili. Ritrovarmi a Londra fu un grande problema: uccidere era più complicato, gli animali scarseggiavano e così iniziai a succhiare via l'energia vitale di altre persone, cercando di evitare bambini e madri di famiglia, cose di questo genere. Senza stare a spiegare i motivi ed addurre scuse, la vita cittadina mi fece semplicemente impazzire, e dopo un periodo di approvvigionamento troppo scarso e nessun animale particolarmente vivace di cui cibarmi diedi di matto, sentii come se avessi dovuto uccidere follemente o sarei morto, non riuscivo a controllarmi, mi sentivo oppresso, e in più fui costretto a uccidere una donna perché mi aveva visto nel... nel vivo dell'azione, e ne rimasi scioccato. Era come se stessi soffocando, annegando nell’oceano. Affamato e fuori di me feci una strage, e uccisi un gruppo di bambini che erano venuti a fare dolcetto o scherzetto da soli alla mia porta - i suoi occhi cercarono i miei, come a chiedermi se potesse continuare, ma io ero decisa a sentire ogni parola - Li invitai dentro, erano attratti dall'influenza che esercitavo su di loro e accettarono. Tranne una, che titubò. Tua sorella. Così entrarono, mentre lei rimase vicino alla porta, dicendo che aveva già abbastanza dolcetti. Ne uccisi uno in cucina, soffocandolo in modo che non urlasse e gli altri due in salotto, vicino alla parete. La loro energia mi dava una scarica di pura adrenalina. Era viva, semplice. Tornato alla porta, vidi che tua sorella non c'era più, ma riuscii a sentirla: tremava, era nascosta dietro al divanetto e si tappava la bocca con la mano. Avevo sentito i suoi amici chiamarla Zoe. Mi avvicinai a lei, che cercò di tirarmi un calcio e... non le riservai un trattamento diverso. Quel mese uccisi venti bambini. Furono tra i primi a cui mai sottrassi l'energia vitale, e di sicuro gli ultimi. Se cibarmi della loro vita mi rendeva euforico in un primo momento, poi mi distruggeva dentro. Solo a raccontarlo mi faccio schifo, e penso che dedicare la mia vita a quelle famiglie, uccidermi, costituirmi, niente potrebbe risolvere la cosa. Mangiando, bevendo e senza usare l'energia per particolari sforzi posso uccidere anche una volta ogni due mesi, se trovo una preda particolarmente idonea. Il tempo aiuta, ma di sicuro non ti ridarà tua sorella e io non posso scusarmi per questo, come non posso farlo per le altre persone che dovrò uccidere in futuro.” concluse, ma ero troppo impegnata a ripensare alle sue parole per accorgermene. Qualunque cosa provassi, decisi che non era il caso di espormi a lui in quel momento. Non gli avrei mostrato come mi sentivo.
Zayn, l'energia mi sta uccidendo, per caso? Avevi detto che col tempo tutto sarebbe andato bene e invece sto solo peggio.” mi resi conto che ogni piccola influenza, raffreddore o capogiro non poteva essere casuale.
“L'energia é finita, Juliet. Ieri o oggi, credo. Me ne sono accorto da poco, ma non sento più il legame dovuto all'energia vitale” finì con un'espressione che non riuscii a decifrare. Sgranai gli occhi. Era finita. Non sarei comunque stata più costretta ad avere a che fare con i parassiti. Era giunto il momento dei chiarimenti.
Sapevo di dover procedere con ordine, ma troppe domande facevano a gara per uscire dalle mie labbra.
“Cosa é successo alla festa?- scossi la testa - Anzi, la domanda é ancora quella: perché non sono morta? Finiscila con la storia degli occhi, avevi detto che c'erano due motivi” se Zayn si era follemente innamorato di me e aveva deciso di non darmi il colpo di grazia dopo che ci eravamo conosciuti era un conto, ma sapevo che quella sera c'era stato qualcosa di strano.
“Non ti ho potuto uccidere perché... perché Louis ti aveva Protetto. Louis ti aveva trovata per prima. Sono così abituato alla sua presenza che probabilmente non me ne sono accorto. É la prima volta che succede” e poi forse aggiunse qualcosa, ma stavo pensando ad altro. Era vero che se mi avesse trovata Louis per prima non sarei stata in grado di raccontarlo, ma era anche grazie a lui che ero ancora viva, in fin dei conti. Avrei dovuto odiarlo? 
Avevo ancora una domanda. Non volevo spingermi oltre nell’universo dei parassiti, di come vivevano, di come uccidevano non me ne importava niente; ma prima di lasciare la stanza e sentire la voce di Zayn per l'ultima volta avevo bisogno di sapere una cosa. Era un'ultima domanda che non potevo trattenere, e visto che il passato era passato ora sapere la risposta era la cosa più importante.
Zayn - attirai nuovamente la sua attenzione, cercando di mantenere una voce ferma, che però sentii vacillare mentre formulavo la fatidica domanda - tu mi vuoi uccidere?” 
Mi sarei aspettata, da sciocca qual ero, una risposta immediata. Un ‘No, Juliet, ma cosa dici, come te lo immagini, dal momento in cui ti ho vista eccetera eccetera’, giusto per tranquillizzarmi, per sapere che il dubbio che mi assillava, la domanda che premeva da un mese ma non riuscivo a formulare, era solo una paranoia. Mi fissò intensamente negli occhi, alzandosi sul cornicione prima di saltare giù. Nella sua voce c'era un'emozione che non riuscii a cogliere: paura, forse.
“Se posso chiederti un'ultima cosa, solo una, e prometto che sarà l’ultima, e darti la vera risposta che meriti, vieni domani a Harrison Road, 14, al tramonto”
 
























OH MY JOSHHHHH.
Eccoci qui! Ringrazio tutte quelle che hanno letto e/o recensito lo scorso e coloro che hanno appena cominciato la fan fiction, Per me significa davvero molto!
Okay, ora mi ucciderete perché speravate di scoprire di più su Harry....
ma per lui c'é tempo, oh, c'é ancora molto tempo.

Vi ricordo che se avete voglia di sapere qualcosa di più sui personaggi basta chiederlo.... a loro! Tramite i loro profili ask c:

 


Alla prossima :)
Joanne

 





Fece un risolino triste: "Non sono stato io a decidere. Mi hanno trasformato in un parassita" strabuzzai gli occhi. Da quando si poteva essere trasformati? Ma chi, poi, poteva fare una cosa del genere a un essere umano? Neanche ucciderlo, ma condannarlo a una vita dipendente dalla morte degli altri, dall'omicidio di quelli che una volta erano tuoi simili.

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Capitolo 19
*** {XIX} Promise ***




But how long will it last
 
-Juliet-
 
"Oh, eccoti qui. Mi chiedevo quando saresti arrivata" dopo che Zayn mi aveva abbandonato con presentimenti inquietanti, l'invito di Louis a capirci qualcosa mi era sembrato un'opportunità da cogliere. Volevo chiudere questa faccenda faccia a faccia con Zayn, ma anche se la sera dopo ci saremmo visti di sicuro – avevo deciso che l'avrei incontrato senza esitazioni, affrontando quello che sarebbe successo - volevo parlare con un'altra voce in capitolo. E poi, a pensarci, non sapevo dove andare. Non mi sembrava il caso di tornare a casa di Niall. I miei amici erano miei amici, cercavano di prendersi cura di me come chiunque avrebbe fatto, ma questa era una faccenda che dovevo affrontare da sola. 
"Posso entrare?" domandai, temendo che forse anche Louis avesse cambiato idea. Invece annuì, facendosi da parte. C'erano dei libri sparsi sul tavolo e un quaderno ad anelli e una bottiglia di birra vuota vicino al ripiano cottura, ma per il resto tutto era in perfetto ordine. 
"L'hai trovato, quindi?" mugugnai un sì in risposta, pensando a cosa avrei potuto dire adesso. Non sapevo se essere venuta a conoscenza della Protezione cambiasse qualcosa: potevo arrabbiarmi perché anche Louis mi aveva vista come preda, ma la cosa ormai non mi toccava minimamente. Ero stanca. 
"Non vorresti mai poter rifare tutto dal principio? Non vorresti non essere mai diventato ciò che sei? Ti guardi indietro, e vedi tutto quello che avresti potuto cambiare e... e ti senti impotente" stavo sfociando in un discorso completamente diverso. Come sarebbero andate le cose se piagnucolando avessi obbligato Zoe a restare con me, se fossi andata con lei, se avessi aiutato Liam ad uscire dal suo baratro, se fossi stata un sostegno più presente per la mia famiglia senza scappare appena ne ebbi l'occasino, se non fossi andata alla festa di Niall, se avessi lasciato perdere Zayn...
Louis fece un risolino triste: "Non sono stato io a decidere. Mi hanno trasformato in un parassita" strabuzzai gli occhi. Da quando si poteva essere trasformati? Ma chi, poi, poteva fare una cosa del genere a un essere umano? Neanche ucciderlo, ma condannarlo a una vita - a una sopravvivenza - basata sulla morte degli altri.
Prima che potessi articolare una frase, lui continuò: "Ormai non ci penso neanche più. Non ho avuto una scelta in quel momento, ma l'ho compiuta quando ho abbandonato il mio Creatore. Eravamo una specie di gruppo- spiegò, abbassando lo sguardo - e loro creavano altri esseri come... come loro, o come noi dovrei dire. Forse si sentivano soli, forse volevano dominare il mondo dall'alto della loro malvagità, ma fatto sta che reclutavano persone, per così dire. Osservavano, sceglievano, uccidevano rendendo parassiti. E poi via, e via." aggiunse.
"Non avrei dovuto chiederlo, scusami" nonostante lui ci scherzasse malinconicamente, se c'era un'ultima cosa che volevo fare era ferire qualcuno ricordando il passato. Louis scrollò le spalle.
"Parlarne non cambierà nulla: é andata così, e purtroppo non si può rimediare" ci eravamo seduti di fronte da un po', intorno al tavolino, e presi a osservare i titoli dei libri, cercando qualcosa con cui distrarmi, quando mi accorsi che il mio telefono squillava insistentemente. Era Niall. Louis si alzò per andare a prendere una lattina di qualcosa, e risposi sentendomi un po' in colpa per averlo fatto preoccupare: ormai erano le otto passate. Non riuscii ad articolare una parola, che la voce affannata di Niall mi arrivò all'orecchio.
"Juliet! Grazie al cielo hai risposto! Mi spiace per chiamarti, immagino tu abbia altro a cui pensare ma devi venire immediatamente, non so che fare. Jade e io stamattina abbiamo litigato e ah, che cretino, lei é andata a lavoro per stare da sola, la stavo cercando per mettere le cose a posto e non c'era, hanno detto che era restata per gli straordinari ma poco prima che arrivassi io é scomparsa nel nulla, tutte le sue cose sono lì e ho trovato il suo cellulare e dicono chiaramente che non é uscita e l'ho cercata in magazzino e ho trovato un... Un come si chiama... Un martello a terra e degli scatoloni e una piccola chiazza rossa e il braccialetto di Jade con la J e la porta sul retro era aperta e non vorrei ingigantire la cosa ma con questa faccenda dei parassiti non so cosa pensare e da venti minuti… Oddio, Juliet, quello era sangue. Cosa ho fatto, cosa ho-" man mano che il biondo parlava, sentivo il mio corpo tendersi dal timore e dalla rabbia: se qualcuno aveva osato torcere un solo capello alla mia migliore amica, non sarei stata ad aspettare un secondo di più. Louis doveva aver notato l'espressione sul mio volto, perché mi stava fissando con aria preoccupata.
"Resta al pub, non muoverti e aspettami. Sono lì fra un attimo, Niall, non andare nel panico e cerca di capire chi é l'ultima persona che l'ha vista" mi alzai e indossai di nuovo la felpa. 
"Cosa succede?" 
"Jade era a lavorare all’Old Irish, non si trova e sembra che sia successo qualcosa" aprii la porta del camper, accorgendomi che Louis era dietro di me.
"Vengo con te. Fidati" disse come se avesse esperienza nel campo. Scossi la testa, ma prima che potessi fare altro mi passò il braccio intorno alla vita e cominciò a correre talmente veloce che dubito qualcuno potesse perfino accorgersi del nostro passaggio. La città sfrecciava veloce ai nostri lati e i passanti diventavano ombre colorate e informi. Mentre arrivavamo al pub in una manciata di secondi, mi sembrò di sentire Louis dire qualcosa tra sé e sé, concentrato ad evitare macchine e girare alla traversa giusta. Ma eravamo troppo veloci e le sue parole si persero dietro di noi.
 
"Niall!" urlai, sentendo i piedi toccare saldamente terra mentre il mio amico usciva frettoloso dal locale. Il suo sguardo si fermò su Louis, dietro di me, mentre mi avvicinavo a lui. Sapevo che non si conoscevano, ma non mi sembrava il tempo delle presentazioni. 
"Lui sarebbe?" domandò.
"Louis- rispose l'interessato - posso leggere il dubbio nei tuoi occhi e capisco non crediate più a Zayn, ma penso di potervi essere d'aiuto."
"Andiamo semplicemente dentro a controllare cos'è successo." afferrai Niall per il braccio, cercando di trascinarlo nel locale. Ma lui oppose resistenza.
"Io non credo di poterlo fare, Juliet. Che ne so che non possa esser stato lui a... a rapirla?! Che ne so che non voglia uccidere me o te, una volta dentro! Juls, non posso fidarmi di lui" esplose, e non potevo dargli torto. Per quanto ne sapeva, Zayn non aveva portato che dolore nella mia vita e se Jade se n'era andata o... Sentii uno spostamento d'aria alle mie spalle: Louis era entrato. Mollai il polso di Niall e lo seguii all'interno. Nessuno sembrava particolarmente allarmato, i camerieri dovevano pensare che se ne fosse andata prima dimenticando le sue cose al locale e il mio amico non li aveva allarmati ulteriormente. Dovevamo stare attenti: Jade era imprevedibile quando si arrabbiava, e sarebbe stata capace di sparire dalla circolazione per qualche ora. Però avrebbe lasciato le sue cose al locale? Guardando Louis procedere sicuro fra le persone mi venne naturale pensare che ci fosse qualcosa di più in tutto questo. L'occhiata che mi scoccò, girandosi una volta sola mentre proseguiva, lasciava capire che lui aveva un presentimento. E che non era buono. Sperai con tutta me stessa che Niall ci avesse seguiti e avesse lasciato per un minuto il suo giustificato astio per i parassiti quando in ballo c'era la nostra Jade, e infatti lo vidi qualche metro dietro di me, sgusciare tra la folla. 
Eravamo arrivati al magazzino quando Louis si fermò di colpo, immobilizzandosi, così rapidamente che gli andai quasi a sbattere addosso. Mi spaventò. Feci appena in tempo a sbirciare i suoi occhi, che erano diventati quasi bianchi come quella volta nel bosco, e ad accorgermi che stava annusando un delicato profumo nell'aria prima che riprendesse a camminare velocemente. 
Mi inginocchiai a terra, riconoscendo il braccialetto gemello di Jade e notando una piccola chiazza rossa, come se più gocce di liquido fossero cadute nello stesso punto. E quel liquido era, indiscutibilmente, sangue. Ma i parassiti risucchiavano l'energia, e quindi non aveva alcun senso.
Louis si era chinato vicino a me, ora anche Niall ci aveva raggiunti. 
"Voi pensate che sia..." cominciò, ma il tono pacato di Louis lo interruppe.
"Cent'anni e usa ancora lo stesso profumo" sussurrò.
"Scusa?" domandai, certa di non aver capito bene.
"Poco fa ti ho detto che io sono stato Creato, Giulietta - il soprannome mi sfiorò, ma lasciai immediatamente stare - e sembra che il buon vecchio Harry non abbia mai smesso di cercare nuovi amici. Sapevo che era vicino a Londra, dannazione" 
"Cosa stai dicendo?" proruppe Niall, che sembrava improvvisamente prendere le parole di Louis come oro colato.
"Sto dicendo che qualcuno qui voleva un'altra amica da aggiungere al suo gruppo. Sto dicendo che ci conviene muoverci, perché - si rivolse a me - Harry, il mio Creatore, ha appena deciso che Jade é abbastanza degna di entrare nel suo gruppo di parassiti. E non sono buoni e ragionevoli, ti assicuro che non lo sono. Harry vuole trasformare Jade." aggiunse in tono grave. 
Mi aggrappai con una mano allo scaffale al mio fianco, e vi appoggiai la schiena: io ero solo stata in pericolo per via dell'energia per un paio di mesi, e ora Jade rischiava di... di morire ed essere condannata per sempre. Sarebbe successo lo stesso se io non avessi mai incontrato Zayn? Magari saremmo state insieme a casa quella sera, a guardare una commedia romantica e ridere sui cliché. Ancora una volta, tutto sembrava sempre e comunque colpa mia. Mi rialzai.
"Dobbiamo trovarla Louis, dobbiamo farlo- non avevo ancora idea di cosa gli stavo chiedendo: cercare questo Harry per lui non doveva essere piacevole, ma io volevo soltanto la mia amica e al momento non fui in grado di ragionare chiaramente, più tardi lo riconobbi. Chissà cosa le sarebbe potuto succedere se l'avessero presa nel gruppo. Doveva essere condannata anche lei? Dovevo perdere anche lei? - Per favore, sei l'unico che può aiutarci." supplicai. Non si fece attendere.
"Non sarà facile, ma farò tutto quello che posso per ritrovarla e salvarla, avete… hai la mia parola. – posò la mano destra sul petto, e mi sembrò di scorgervi una piccola scintilla - Anche voi dovete essere pronti, però, e fare tutto quello che vi dico" cercò i miei occhi, e annuii in risposta. 
Infine si rivolse a Niall, che stava stringendo i pugni ed era bianco in volto: "Qualunque cosa" rispose.
















 






 
 

OH MY JOSHY
TRA POCO ARRIVA L'AZIONE FUCK YEAH
ringrazio tutte le lettrici e le persone che hanno recensito gli ultimi capitoli! c:
In caso vogliate contattarmi sui social,
nelle icone vicino alla mia immagine nella pagina autore troverete tutto.
Alla prossima :)
Joanne
 

 
 

Grazie perché penso che ognuno nella sua vita o nella sua eternità debba provare un sentimento come quello che mi ha legato a te, una ragione per cui vivere senza pensare alla morte o a ciò che ti aspetta nel futuro, grazie per avermi fatto provare l'amore prima che cadessi senza speranze. Spero che il futuro ti riservi lo stesso, e per quanto possa mantenere la promessa, non ti dimenticherò mai.

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