Non è un altro Josei Manga

di Ellie_x3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tankōbon 1. Normalità ***
Capitolo 2: *** Tankobon 2. Kyoubei ***
Capitolo 3: *** Tankōbon 3. Follia ***
Capitolo 4: *** Tankōbon 4. Mirai ***
Capitolo 5: *** Tankōbon 5. Riiko ***
Capitolo 6: *** Tankōbon 6. Errori ***



Capitolo 1
*** Tankōbon 1. Normalità ***




I


 

Il fatto è che non mi è mai piaciuto non sapere qualcosa.”
-Yuu


 

Normalità, per Tomoyui Aya, era sedersi sul divano con una tazza di tè fumante.
Era attendere la pioggia serale con il sorriso sulle labbra ogni estate, poiché tutto ciò che si ripeteva ciclicamente le dava pace. Era accoccolarsi insieme a Ringo, il suo Bombay troppo piccolo per essere un gatto e troppo grande per essere un topo, sotto le coperte e sintonizzarsi su Fuji TV.
Quella sera non fece eccezione.

Rientrò in casa, si chiuse la porta alle spalle togliendosi al contempo le scarpe -un giochetto d'abilità che aveva imparato subito dopo l'università, quando si era trasferita nel minuscolo monolocale che da anni chiamava 'casa'- e gettò le chiavi sul mobiletto d'ingresso. Il parquet era bollente, scaldato dal forte sole di Luglio.
Normalità era anche maledirsi per essersi nuovamente scordata di abbassare le persiane, ma ormai era andata così.
“Sono a casa,” salutò, senza aspettarsi altro benvenuto che il miagolio di Ringo. Non tardò, naturalmente: era un gatto affettuoso, il suo, e anche discretamente affamato.
Aya sospirò, guardandosi attorno e sentendo, per la prima volta, un certo senso di disagio; stress, l'avrebbe chiamat qualcuno.
Nulla era cambiato rispetto alla mattina quando era uscita, eppure il suo mondo si era riempito di risposte che non avrebbe voluto sentire e domande che ancora non era pronta a porsi. Forse per questo, quando andò a sistemare la borsa vicino al divanetto, non se la sentì di posare anche la cartella medica che teneva tra le mani.

Accese la tv prima di spostarsi nel cucinotto, con la voce di Tomohisa Yamashita che improvvisamente riempiva l'appartamento: era martedì e, come ogni settimana, davano le repliche di Proposal Daisakusen.
Se fosse stato un giorno qualsiasi, Aya si sarebbe affrettata a riempire la ciotola del gatto che le si strusciava tra le caviglie e a preparare un bollitore, e senza dubbio avrebbe cercato di perdere il meno possibile di uno dei suoi serial preferiti.
Tuttavia, quella sera si mosse con estrema lentezza, facendo attenzione che la cartella di plastica che teneva in mano non si sgualcisse quando la posò sul tavolo da pranzo e accarezzando distrattamente Ringo quando questi saltò sul ripiano della cucina, mentre lei metteva l'acqua sul fuoco.
La cosa buffa, però, era che quella non era affatto una giornata normale.
Nella sua testa frullavano pensieri che mai, prima di allora, avevano trovato il coraggio di esprimersi -perchè lei era una pavida per natura, e negava la verità quando le si presentava l'occasione.

Maledizione, Aya si disse, con una grande voglia di urlare possibile che non te ne sia mai accorta?
Bugia. Se n'era accorta eccome.
Proprio per via di quei sospetti si era rivolta al miglior specialista che le sue modeste finanze di impiegata le permettevano, cercando una soluzione ad un problema che sperava non avere. Le avevano detto di rivolgersi a quell'uomo che non era esattamente né un consulente né uno psicologo ma che, certamente, avrebbe trovato una risposta per lei e per il suo continuo senso di solitudine; per le risposte che non riusciva a dare ai propri genitori e per il senso di inadeguatezza che seguiva ogni riunione di vecchi compagni di scuola.
Voleva solo sentirsi dire che era normale.
Eppure, per la prima volta nella sua vita, tutta quella normalità la soffocava.

Quando le avevano detto che non era esattamente affetta da alcuna patologia, Aya non aveva potuto che sorridere di gioia, con un peso in meno sul cuore; sorriso che era presto svanito, però, insieme alla seguente precisazione di quell'uomo pingue e verdognolo che l'aveva presa in cura.
“Lei non è affatto malata, signorina Tomoyui.” Le aveva detto il medico, sistemandosi gli occhialetti sul naso “Temo che sia stressata, e molto. Ma questo...peso che lei sente è perfettamente naturale. Dalle rispose che mi ha dato preferirei che tornasse per delle sedute di accertamento, ma posso certamente dirle che non è per niente anormale che lei non provi certi sentimenti. Non siamo tutti uguali, non crede anche lei?”
Certo.
Al chè, Aya non aveva potuto far altro che annuire: era un po' come dirle che era per tre quarti robot e pretendere che lei prendesse bene la notizia. Si era sforzata di mantenersi composta, improvvisamente cosciente di quanto ridicola fosse la sua espressione felice come se avesse avuto una paralisi proprio nell'atto di sorridere.
“Quindi cosa sono, dottore?”
Il suo tono, terribilmente bisognoso, doveva aver commosso il dottore: questi, sbattendo le palpebre, liberò un gran sospiro e prese in mano le carte che aveva tenuto fino a quel momento da una parte.
“L'affettività e le reazioni umane sono uno spettro, signorina, non una definizione clinica. Mi permetta di precisare che questa non è affatto una definizione medica e io non sono uno psicologo, quindi le sto parlando in maniera puramente informale, ma le suggerirei alcuni siti web su cui può informarsi.”
Aya sentì che stava per svenire.
Che diavolo voleva dire? Che non era malata, era solo diversamente funzionante?
“Mi scusi.” lo interruppe, con una certa urgenza. “Ma non la seguo.”
“Mi ha detto di non essere mai riuscita ad avere una relazione, corretto?"

Mordendosi le labbra, la ragazza annuì. Sentirlo dire dal dottore le fece correre il sangue alle guance.
"In altre parole, il suo carattere le rende difficile stabilire relazioni amorose.” Il medico sorrise, debolmente "Posso prescriverle dei calmanti leggeri, ma mi creda: non c'è nulla di sbagliato in lei."
Aya torse il bordo della camicetta tra lei dita, stringendo la stoffa con un misto di rabbia e incredulità: la relazione con l'ultimo uomo che aveva conosciuto non era neanche mai cominciata. Si erano sentiti per qualche mese, si erano visti, ma quando l'aveva baciata lei si era tirata indietro provando unicamente disgusto, nonostante lui fosse tutto quello che poteva desiderare, e di più.
Non si sentiva nel posto giusto, non si sentiva coinvolta.
Eppure non ricordava di essersi mai sentita bene: solo sbagliata. E infreddolita.
“Oh.” aveva detto, senza sapere che altro aggiungere.
Le sembrava una condanna, quando in realtà non era niente che non sapesse già.
Se lo stava solo sentendo dire ad alta voce, ecco tutto.
“Quindi, signorina Tomoyui, si rilassi” le aveva consigliato il dottore, porgendole la cartella clinica con un gran sorriso “Proseguiremo con un trattamento per l'ansia, naturalmente, ed è la benvenuta a parlare dei suoi progressi in campo sentimentale quando vuole, se la fa stare meglio. Ma si fidi, non è niente per cui valga la pena preoccuparsi. Ricordi: non tutti funzioniamo nello stesso modo.”

Alla fine, dopotutto, Aya si era davvero seduta sul divano con Ringo acciambellato sulle gambe. Anche quella sera aveva piovuto e lei aveva gustato il suo solito copione Fuji Tv-tè-dorama con uno spirito diverso.
Non tutti funzioniamo allo stesso modo.
Quella sera stessa, lo scrisse su un bel foglio di carta che attaccò sulla parete della cucina.

 


 

Lasciamo ora la cronaca per parlare dell'evento che sta mandando in delirio le giovani in tutto il Giappone. Con la fine del loro secondo Tour nazionale la band Visual Goth più in voga del momento è tornata a Tokyo, e fuori dagli uffici della Star Tower c'è già la fila-”
Yuu stava studiando le fototessere che gli aveva lasciato l'agenzia quando il servizio attirò la sua attenzione: bastò la menzione al tour appena concluso per fargli scordare il viso che stava guardando fino ad un secondo fa -una risibile giovane donna con i tratti ancora infantili, gli occhi scuri e un taglio fuorimoda.
Si chiese se anche Rei e gli altri, dovunque fossero andati a festeggiare, stessero guardando quello stesso servizio al telegiornale.
Lanciò un'occhiata alla tv, dove i due conduttori del tg del mattino si scambiavano risate e battute. Seduti comodamente sulle loro poltroncine bianche, in quello che era il solito ambiente asettico degli studi dei notiziari della NHK, avevano la pretesa di informare Tokyo su tutto.
Beh...tutto ciò che faceva notizia, almeno.
Erano trent'anni che Yuu vedeva quell'aggeggio nero come una finestra sul mondo e, per la prima volta, desiderava solo spegnerlo.
Parlavano di lui, ma non voleva sentirli.
“Okazama-san, non ha detto il nome della band.” fece notare la donna, con un gran sorriso rivolto alla telecamera.
Che squallore.
Sembrava una televendita anni ottanta e la gente aveva davvero il coraggio di chiamarlo notiziario? Bella fregatura davvero.
Anche se era solo uno dei tanti contro dell'essere tornato a respirare aria di casa, supponeva.
“E che importa?” rispose l'altro, prontamente. Neanche si capiva che tutto era già stato scritto e provato più volte, eh. “I To Bara non hanno certo bisogno di presentazioni.”
“E' proprio vero. Quindi ascoltiamo un'anteprima del singolo in uscita e, subito dopo, il servizio.”
Yuu ringhiò un'imprecazione.
Ora come ora, la sua stessa voce lo faceva impazzire -non avrebbe ascoltato quell'orribile canzone. Non di nuovo.
Era stanco di essere costretto a sentire a ripetizione parole che non comprendeva affatto.


Hai ricevuto un nuovo messaggio da @Yuu_Official.

Aya rimase a fissare lo schermo del proprio smartphone, incapace di distogliere lo sguardo da quell'unica notifica. Doveva esserci un errore.
Doveva.
Pur essendo una grande fan di Ryosotsukoi Yuu, il frontman della band che da ormai un anno occupava il primo posto nelle classifiche, non aveva mai trovato il coraggio di twittargli niente.
I To Bara erano l'esponente per antonomasia di quel genere gotico, sensuale e visivamente impattante che lei aveva scansato per tutta la vita, ma è difficile ignorare qualcosa quando il mondo ne è praticamente ossessionato. I quattro componenti della band, uno più ipnotico dell'altro, l'avevano intrappolata.
Le ci erano voluti giorni per iscriversi alla loro pagina Facebook, tremendamente imbarazzata dall'idea di cosa avrebbe pensato la gente: non aveva più l'età. A ventotto anni una pensa solo ad avere una carriera, a trovarsi un marito e a mettere su famiglia prima che i genitori si stanchino di aspettare e si rivolgano ad un nakodo di paese.
Tokyo non era una città facile, anche se ormai Aya ci aveva fatto l'abitudine, e non ti regalava nulla...men che meno un miracolo.
I miracoli, proprio come i tweet, erano cose da ragazzine.
Eppure, tremando appena, premette il display del telefono e il messaggio si aprì con un trillo, disintegrando ancora una volta la sua normalità lavorativa.
Con il cuore che galoppava furiosamente sentì lo stomaco annodarsi, ricordando quel giorno di tre anni prima quando la sua vita era cambiata ed aveva trovato una nuova strada su cui plasmarsi.
Da allora era stato tutto tranquillo, ma avrebbe dovuto immaginarlo che il fato raramente giace addormentato per troppo tempo.

Incontriamoci da Kyubei, domani, alle dodici.
Per favore, potresti essere davvero la mia unica speranza.

Un altro messaggio privato era stato inviato qualche secondo dopo, come se @Yuu_Official avesse letto nella sua mente. Era più lungo, questa volta, e l'uso frequente dei kana dava l'impressione che il messaggio fosse stato scritto di fretta.
Anche questa volta Aya lesse con attenzione febbrile, più volte, cercando la chiave per smascherare uno scherzo ben architettato.
Certe cose accadevano solo nei manga, no? E lei era un'impiegata qualsiasi, con un monolocale angusto e una vita noiosa.
Non aveva la stoffa dell'eroina drammatica, ma quel messaggio diceva il contrario.

Senti...non è uno scherzo, anche se lo penserai.
Ti spiegherò tutto di persona. Non far leggere a nessuno questo messaggio e vieni da sola. Per favore.
Prometto che non ti farò niente, perché so che penserai anche questo.
Prenoterò a mio nome.
Per favore, non parlarne con nessuno. E' importante.
A
ou re voir






@Note:

Ah, grazie per essere arrivati fin qui! 
Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto ♥ 
Aggiornerò con cadenza settimanale, di sabato, ad eccezione della prossima settimana che sarà Venerdì (se riesco). 


Credo si possa capire il perchè delle 'tematiche delicate': ritengo che i sentimenti trattati siano abbastanza rischiosi da meritare l'avviso.
Ora, so che quelle indicate non sono affatto patologie -sono modi di essere, sarebbe ipocrita da parte mia definire un'inclinazione sentimentale/sessuale come "patologia". E ingiusto. Per questo ho deciso di spedire Aya da una figura che è un po' una via di mezzo e -ci tengo a sottolineare, sebbene nel testo sia citato- che non si azzarda a dare una definizione clinica.
Magari c'è anche una risposta medica, non ne ho idea, ma sinceramente non sarei d'accordo con un tale approccio. 
Mi sono presa un po' di libertà, mi scuso se ciò ha offeso qualcuno.

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Capitolo 2
*** Tankobon 2. Kyoubei ***


                 

 

II

 

 

Yuu-sama? Ah, no. -risata- No, si sbaglia.
Il mio preferito è sempre stato Rei.”

-Aya



Kyoubei era uno dei ristoranti di cucina tradizionale più famosi di Ginza e Aya, da buona cittadina, ne conosceva più o meno l'ubicazione senza ricorrere a Google: se era pur vero che la metropolitana di Tokyo era un inferno, non si poteva certo dire che mancasse di portarla.
Dopotutto, Aya non aveva certo i soldi per prendere il taxi ogni giorno.
Si chiedeva ancora perché avesse deciso di presentarsi a quell'appuntamento al limite del surreale, senza un filo di trucco e con ancora addosso il tailleur in nero e bianco che indossava per il lavoro. L'unico tocco di colore erano le unghie a gel, nei toni sgargianti del rosa, che sfoggiava con riluttanza e che reputava imbarazzanti e fuori posto; era stato un momento di pazzia fomentato da Mirai, ma non aveva considerato che avrebbe dovuto convivere con delle unghie praticamente fosforescenti per almeno un mese.
Comunque, pronta o meno, era davanti alla porta d'ingresso.
Qualcosa le diceva che avrebbe rimpianto anche d'essersi presentata al Kyoubei, ma oramai era fatta.

 


A dispetto della propria indole positiva, e indubbiamente propositiva quando si trattava di risolvere una situazione spiacevole, Yuu non pensava che quella ragazza sarebbe venuta davvero.
A dirla tutta, non sapeva neanche come identificarla: dalle fototessere gli era sembrata piccola piccola, come una bambina, e già la immaginava seguire il direttore di sala con aria spaesata.
Insomma...chi non sarebbe stato terribilmente teso nel sentirsi invitare a pranzo così, come nei migliori film romantici, da una personalità del suo calibro?
Intere schiere di ragazze avrebbero ucciso per essere al posto di quella fortunata giovane che su Twitter aveva l'ideogramma di Amore su sfondo verde al posto della propria foto.
Secondo le generalità che aveva assegnato al profilo e ai documenti dell'agenzia, Tomoyui Aya era un inno vivente alla noia: impiegata, giovane, profilo Facebook arido, pochi tweet e tutti riguardanti la cronaca mondiale.
L'unica nota positiva? Professava di credere nell'amore.
Rei l'aveva preso in giro, sostenendo che da una ragazza del genere non aveva modo di aiutarlo nel suo piccolo problema. Yuu, ghignando, aveva ricordato all'amico quante altre volte l'avesse sfidato -non vincendo mai, per l'altro, perché Rei era tutto fuorché oculato nelle scommesse.
Da parte sua, lui era l'esatto contrario: non lasciava nulla al caso ed era per questo che finiva per avere sempre ciò che voleva. Se ne convinse una volta di più quando il direttore di sala apparve da dietro la shoji, facendola scorrere, e presentandosi nella saletta privata con un inchino.
“La signorina Tomoyui, signore.”
Leccandosi le labbra, Yuu annuì.

 

La prima impressione che ebbe di Tomoyui Aya fu quantomeno deludente, a dirla tutta.
Pensava che fosse carina, perché tutte le ragazze con un minimo di cervello riescono ad esserlo nell'era del trucco e delle ciglia finte, invece Aya era esattamente come ogni altra impiegata sulla soglia dei trenta: triste. Tirata. Deprimente.
Tutto ciò che lui si era sempre sforzato di non diventare era esattamente lì davanti ai suoi occhi, in un tailleur di media fattura, con l'aria bastonata di chi non sa come fingere d'essere a proprio agio.
Avrebbe anche potuto perdonare una tale mancanza di coscienza di sé, se Aya avesse avuto brutti lineamenti; invece, quando il cameriere la lasciò entrare e la ragazza entrò senza impedimenti nella sua visuale, Yuu si accorse con stupore che sarebbe potuta essere una bella donna.
Magari non una modella, complici le ossa sporgenti e le gambe secche e convergenti verso l'interno, ma più che passabile.
Certo, questo andava a suo vantaggio, tuttavia si sentiva ugualmente deluso.
Avevano forse scelto per lui una donna negligente?
Nel frattempo, intanto, Aya si era avvicinata.
“Ehm- buongiorno.” salutò.
Yuu si appoggiò al tavolo con il gomito, scoccandole un sorriso che la fece arrossire ed irrigidire sul posto. Se prima era a disagio, sicuramente ora avrebbe voluto fuggire.
Ops.
Buongiorno, Tomoyui-san.” ricambiò, con un altro sorriso appena meno...beh, minaccioso. Forse era così che li vedevano le persone comuni: terribili stelle troppo splendenti. Si sarebbe dovuto regolare. “Prego, si sieda. Spero abbia trovato facilmente il ristorante.”
“Sì...sì, non ho avuto problemi.”
Yuu annuì, andando a prendere posto sul cuscino color antracite di fronte a lui. Sarebbe stato più indicato un kimono per quel luogo tradizionale, di classe, e insieme sembravano due pesci fuor d'acqua: lui in un completo di pantaloni di pelle nera e una maglietta hardcore, lei negli abiti che presumibilmente doveva portare al lavoro.
Sovrappensiero, seguendo i movimenti di Aya, Yuu si disse che forse avrebbe dovuto scegliere uno Starbucks qualsiasi.
La ragazza aveva tenuto per tutto il tempo gli occhi bassi, ben attenta a non incrociare mai il suo sguardo, e aveva nascosto le mani sotto il tavolo. Probabilmente stava giocherellando.
Di questo passo avrebbe finito per innervosire persino lui.
“Mi scuso per il messaggio di ieri. Mi rendo conto che potesse essere un po' losco, ma sono contento di vederla.”
“Io-” per la prima volta Aya osò provare a guardarlo, ma non ci riuscì. C'era lo spettro delle lacrime, in quegli occhi castani; raccontavano, con quella matita passata maldestramente e il mascara raggrumato, la storia di una ragazza che viveva di piccole quotidianità. “Io non so cosa dirle, Ryosotsukoi-sama.”
Ah, già.
Sentire il proprio nome accanto all'onorifico lo riscosse con la potenza di una scarica elettrica, improvvisa e inaspettata, che lo pervase da capo a piedi.
“Scusa, sono uno stupido.” borbottò, passandosi una mano fra i capelli.
“Cosa?”
“Ti prego, non usare onorifici. E diamoci del tu, va bene? Io ti ho disturbato e, per questo, ti prego di trattarmi come una persona comune.” le lanciò uno sguardo da sotto in su, cercando di catturare l'attenzione della ragazza. “Tanto per cominciare puoi guardarmi: non mordo mica.”

Improvvisamente, come se avesse spezzato un incantesimo, si vide puntare contro lo sguardo più terrorizzato che avesse mai visto; un coniglio in autostrada, a confronto, sarebbe sembrato un indomito cavaliere senza paura.
Si rendeva conto di aver letteralmente trascinato quella ragazza fuori dalla sua sfera di normalità ma, che diamine, c'erano milioni di persone là fuori pronte a mostrare un po' di carattere in una situazione come quella.
Per non contare le fan sfegatate, che sarebbero potute andare in modalità murder-happy nei confronti delle rivali.
A ben pensarci, quelle sarebbero state una maledizione.
“Ah.” sussurrò Aya, sfiorandosi le labbra con la punta delle dita. Era buffa, ma ogni suo movimento era affettato, pensate come un macigno, e Yuu pensò che un cadavere in pieno rigor mortis sarebbe stato capace di più reattività. “Allora non so cosa dirle...scusa, è imbarazzante.”
Il suo tono impacciato lo fece sorridere -quel sorriso da gatto, sornione, e allo stesso tempo famelico che gli era valso più e più copertine fra le riviste di
genere.

Non era solo un musicista, anche se gli piaceva definirsi tale.
“Non ti senti a tuo agio?” le chiese, nonostante la risposta fosse ovvia. Anche lei lo sapeva, perché sollevò un sopracciglio e, per la prima volta, gli lanciò uno sguardo che sembrava chiedere: ma sei serio?
“Non vedo come potrei.”
“Beh, prima di tutto rilassati e pensa a cosa ordinare. Naturalmente è a mie spese e ti parlerò di ciò che mi serve solo a stomaco pieno. Nel frattempo, mi piacerebbe davvero sapere qualcosa di te.” fece una piccola pausa, prendendo uno dei due menu dalla copertina laccata e porgendolo alla propria ospite. Aveva le mani chiare, lei, e molto piccole; nell'accettare l'oggetto, con una certa, buffa reverenza, parve più che mai come un fiore destinato a non sbocciare mai. “Dimmi chi sei, Aya.”

 

 

Dopotutto, Aya aveva davvero finito per raccontargli la sua vita: di come lavorava per una grande ditta e delle ore passate dietro una scrivania. Di quanto aveva sperato in qualcosa di più emozionate, quando si era trasferita a Tokyo dalla provincia insieme a Riiko e Mirai, ma rese conto anche degli avvisi più pragmatici dei suoi genitori e di sua sorella maggiore.
Rivelò, non senza imbarazzo, che a Tokyo aveva iniziato a schiarirsi i capelli per evadere un po' e di come ben presto quel castano era diventato l'ennesimo rituale immancabile, come coccolare Ringo, guardare Dorama e bere tè verde.
La faceva sentire a posto.
Yuu aveva avuto la compiacenza di mostrarsi interessato, deliziandola con un sorriso che avrebbe oscurato il sole e interrompendola di tanto in tanto per fare una battuta.
Per sciocco che fosse, dato che quell'uomo era ancora uno sconosciuto, Aya cominciava a sentire l'ansia scivolare via. Parlava con più scioltezza, di più cose, aprendosi nei limiti di quanto avrebbe fatto una persona saggia con un estraneo.

Il primo piatto di nigiri, con la zuppa di miso in graziose ciotoline di ceramica, era arrivato e andato alla velocità della luce -con gran sorpresa di Aya, che non pensava che Yuu mangiasse tanto.
In realtà pensava che le celebrità non mangiassero affatto.

Lui aveva riso di quel pensiero, mettendola nuovamente a disagio.
“Ah, già. Che ingenua” mormorò fra sé e sé, quando lui ancora rideva “certi pensieri devono sembrare sciocchi.”
Yuu scosse la testa, prendendo un sorso di vino.
“No, affatto. Molte persone ci trovano...quasi irreali. Figure in due dimensioni.”
Lei gli lanciò uno sguardo, inclinando il capo di lato: poteva essere davvero risentimento quello che percepiva nella sua voce? O se l'era immaginato?
Decise di non chiedere nulla a riguardo, per delicatezza, ma non avrebbe certo lasciato cadere così l'argomento.
“E non è fastidioso?”
Lui annuì.
“Molto, ma non ci si può fare niente. Ed è qui che, se non ti dispiace, subentra il motivo per cui ti ho chiamata.”
“Mi sembra giusto” asserì lei, sistemandosi meglio e scostandosi una ciocca di capelli che le era caduta sul viso “Me lo sono chiesta milioni di volte, dopotutto, nelle ultime dodici ore.”
“Ecco, ho un problema. Non riesco ad innamorarmi.”
Oh.
Aya si mordicchiò l'interno della guancia, voltando istintivamente lo sguardo.
“Beh, mi spiace davvero molto” borbottò, più fredda di quanto non avesse voluto.
Capiva quella sensazione...che diamine, la capiva sin troppo bene. Eppure non riusciva a spiegarsi una reazione tanto glaciale.
A considerare da come la guardava, al contrario, Yuu se l'era aspettata eccome.
“Anche a me, credimi. Tuttavia è più complicato di così; le donne non mi dispiacciono. Al contrario, me ne piacciono più di quante mi senta di ammettere. Ma nessuna di loro è vera. É come bussare ad una porta chiusa a chiave.
Le ci volle qualche secondo per assimilare quell'informazione: Yuu era come lei ma anche il suo contrario. Era bellissimo, ricco, con due occhi color del cielo in tempesta, eppure era problematico quanto lei.
Non amava. Però, a differenza sua, provava desiderio.
Assumendo di colpo un'accesa tonalità di rosso, Aya si indicò.
“Anche...”
Yuu, con sulle labbra la sua espressione felina, accennò un sì col capo.
“Anche te, sì. Ma prometto che non ti salterò addosso.”
“Perfetto.” asserì Aya, per niente offesa dalla sincerità del frontman. Un'avance sessuale era l'ultima cosa che le serviva, l'unica certezza se un uomo voleva farla scappare.
La cosa carina, la cosa divertente, era che Yuu si stava sforzando davvero molto per farla restare; e quella sì che era una bella novità.
“Il fatto è, Aya, che per aiutarmi il mio manager mi ha suggerito una Love Calc di ultima generazione. Sai, quelle idiozie che si usano per facilitare la scelta dei partner...inserisci i dati e una fototessera e loro fanno il resto. Io non ci credo, ma nel mio caso una scrematura era indispensabile.”
“Beh, io mi ero iscritta per scherzo.”
“Sei stata sincera? ”
Di fronte a quella domanda, così repentina e così semplice, Aya cadde ammutolita. Sì, avrebbe dovuto rispondere, sì.
Non voleva ammettere di aver sperato di trovare una soluzione a tutti i suoi problemi, di aver affidato tutto ad una macchina e di essersene pentita quando il telefono aveva solo riportato messaggi deludenti di uomini sbagliati.
Però Yuu aveva fatto come lei, anche se con esiti più fortunati, e tutto tornava ad avere un senso: non era destino, quello, ma il frutto di un logaritmo. 
“Io-”
“Aya, in quella stupidaggine di modulo hai scritto la verità?”
Di nuovo, lei esitò un momento. Poi prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi.
Le piaceva il suono che il suo nome assumeva sulle labbra di Yuu: aveva un che di melodioso.
“Sì.”
“Allora sappi che hai davanti un uomo con un disperato bisogno di capire l'amore. Credimi, non posso più cantarlo ignorando cosa significhi, è qualcosa che mi spezza. Ma le donne si accorgono velocemente di non essere altro che sesso. A loro va bene, ma a lungo andare si stancano. Trovano qualcuno che le ami davvero e scappano.”
“Credo sia comprensibile” commentò Aya, prendendo un boccone di salmone e intingendolo distrattamente nella salsa di soia.
Capiva quelle donne, in teoria, ma la voce di Yuu non si preoccupava di mascherare il rammarico.
“Anche io; non posso certo giudicare.”
“Ok, ma cosa posso fare io?”
Anche se da quando aveva nominato la macchina per coppie il risultato della discussione era abbastanza ovvio, Aya non ci teneva ad avere sorprese.
Voleva sentirselo dire oppure non ci avrebbe creduto.
Allora successe di nuovo quello che mai avrebbe creduto possibile: la voce più feroce del Giappone, che con il suo look visual e total leather aveva portato alla follia schiere di ammiratrici, alzò su di lei uno sguardo da ragazzino lasciato sotto la pioggia.
Non più un trentenne con il mondo ai propri piedi, ma un ribelle con troppe cicatrici sottopelle.
“Considera questo pranzo come un primo appuntamento. Vorresti uscire con me?”






@Note:

Hi, bestioline <3 
Grazie per essere arrivati ancora una volta in fondo al capitolo! 
Stasera partirò per Parigi, quindi non risponderò-recensirò-ringrazierò in tempo reale, ma prometto che una volta tornata mi riprenderò in pari con tutto. Intanto grazie a tutte le belle persone che hanno messo la fic tra le seguite/preferite/ricordate, e ancora una volta grazie a quelle povere anime pazienti che hanno recensito o recensiranno. 
Spero che il capitolo vi possa piacere, that's it. 

Ja na :3

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Capitolo 3
*** Tankōbon 3. Follia ***


                 

 

III

 

 

'Per i To Bara farei di tutto. 
Rapinare una banca, trasferirmi al Polo...nominate la più pazza delle follie
e guardatemi compierla per la mia Band.'

-Yuu

 

Fu Yuu a convincere Aya a prendere un taxi, insistendo per offrirle la corsa.
A dirla tutta, quando avevano finito e lui aveva inforcato un paio di spessi occhiali da sole, si era praticamente trasformato in una carta di credito vivente: aveva pagato il pranzo senza lasciarle il tempo di replicare, salutando poi il cameriere con una mancia da far girare la testa, e si era lanciato sulla strada per fermare un taxi prima ancora che Aya potesse dire 'metro'.
Le aveva aperto la portella con non-chalance, sorridendo appena mentre lei si accomodava sul sedile posteriore, e aveva allungato una banconota al tassista.
“Porti la signorina dovunque le dica e faccia in fretta” si rivolse poi a lei, con un braccio puntellato sul tetto dell'auto “Allora, ho qualche speranza?”
Da lì Aya poteva vederlo perfettamente -non solo il viso spigoloso dalla carnagione incredibilmente chiara, i capelli scuri che gli cadevano in ciocche scomposte sulla fronte, le labbra sottili, gli wayfarer che gli oscuravano gli occhi e coprivano gli zigomi alti, ma anche la fisionomia flessibile.
Sembrava un quadro moderno in bianco e nero, un poster di Sid Vicious, eppure Aya aveva una buona sensazione a riguardo.
Ricambiò il sorriso e annuì con vigore.
“Sì.” rispose. Dopotutto, cercavano la stessa cosa. “Potremmo cavarne qualcosa di buono.”
Yuu aggrottò la fronte, sfiorandosi le labbra con il dorso della mano. Portava un grosso anello in argento all'indice, di quelli a due falangi.
“Non hai neanche idea di quanto io stia rischiando.”
Aya lo squadrò, indecisa se offendersi o meno; poteva indovinare le paure di una persona famosa, pur non essendolo mai stata, ma era assurdo che si tirasse indietro proprio adesso.
Si sistemò la cintura, lanciando un'occhiata al tassista e pensando che probabilmente Yuu l'aveva pagato tanto proprio per assicurarsi il suo silenzio.
“Credi che io possa vendere la notizia a qualcuno?” chiese, senza nascondere la stizza. Certi esempi di mancata fiducia erano assurdi, dopo che lei gli aveva raccontato la sua vita.
Con tutti i suoi soldi, Yuu poteva trascinarla in una causa legale da milioni di yen senza battere ciglio...e si preoccupava davvero che lei violasse la sua privacy?
“Non è un'ipotesi da escludere. Molti lo farebbero. Ti posso offrire solo grandi fastidi, Aya, ma posso sperare che ne valga la pena per entrambi.”
“Sono una tua fan, ne varrà sempre la pena.” commentò lei, con leggerezza, e sentì un gran sollievo nel vederlo aprirsi in un sorriso a quelle parole.
“Di questo passo, Aya, diventeremo grandi amici.”
“Beh, diciamo che è un obiettivo.”
“Allora posso mandare una macchina a prenderti, domani, quando finisci di lavorare? Dammi il tuo indirizzo e-mail, ti scrivo stasera appena mi libero.”
Aya si chinò per prendere dalla borsa uno dei biglietti da visita che teneva a portata di mano, nel caso fossero serviti, e glielo porse. Era formale, piatto, ma Yuu non fece commenti a riguardo: al contrario, lo prese con grande cura e lesse le poche informazioni che vi erano stampate come se l'interessassero davvero.
Un bell'esempio di educazione, pensò la ragazza.
“Guarda che ora me lo puoi dire se non sei davvero quel Yuu-sama.” lo punzecchiò, scoccandogli un sorrisetto “Non mi offendo.”
Yuu le scoccò un'occhiata stupita, come se non si aspettasse alcun tipo di battuta da parte di una 'noiosa impiegata senza vita sociale', come chiunque l'avrebbe etichettata. Subito dopo, però, si aprì in un sogghigno.
“Macchè, magari. Se non lo fossi mi eviterei un sacco di problemi, ma mi è andata male.”
Aya rise, a sentire il tono improvvisamente stanco che lui aveva adottato, terminando la frase con un sospiro teatrale.
Quante persone arrivano a conoscere davvero i loro idoli? Beh, Aya non se l'era mai chiesta, ma men che meno avrebbe pensato di entrare a far parte di quel mondo.
“Potresti presentarmi Go-sama, sai?” scherzò, dimentica di dov'era. Probabilmente il tassametro stava già correndo, ma per una qualche ragione lei non se ne voleva andare. “Adoro il suo accento!”
Yuu sbattè le palpebre, perplesso, con una finta 'o' di stupore dipinta sulle labbra.
“Accento? Ma se sembra uno yakuza!”
“Appunto!”
Yuu sollevò un sopracciglio con fare esagerato, caricaturale, e replicò: “Signorina Tomoyui, non sarà mica una fan di Ichi the killer, vero?”
Lei scosse la testa, ridacchiando, e alzò le mani come per dire 'chissà'.
“Senti, dovrei andare.” mormorò, invece, cambiando argomento. Incontrò l'occhiata incuriosita del tassista, un uomo baffuto di mezza età, e gli indirizzò un sorrisetto. “Farò tardi e al lavoro mi stanno aspettando. Scusi, mi può portare a Chiyoda? Secondo distretto, blocco uno.”
Il tassista, che ancora ochieggiava lo specchietto, annuì.
“Ma certo, signorina.”
“Però, lavori in centro E chi l'avrebbe mai detto.” commentò Yuu, non senza una certa nota sorpresa che divertì Aya. Non si aspettava certo un'impiegata centrale, in grande frontman, no: era sicura che si fosse immaginato una stupidotta di provincia -cosa che, beh, era ancora...ma non doveva certo saperlo, lui. Le piaceva notare che la considerasse un po' meglio, vendendo dove lavorava. “Beh, comunque sia, ormai è fatta. Prenderò una macchina dopo di te, per arginare il danno. Ti chiamo stasera?”
“Certo. Grazie il pranzo-” esitò, sentendo il sangue andarle alle guance “Yuu.”

La prima volta che l'aveva chiamato per nome era in un taxi, a Ginza, rischiando di far tardi al lavoro e dopo aver evitato accuratamente di pronunciare quelle parole che tanto la imbarazzavano.
Non le riusciva facile stringere amicizia e per questo era impacciata, timida, maldestra. Si imbarazzava nel pronunciare il nome di chi le aveva esplicitamente chiesto di farlo.
Dopotutto, non poteva mica chiamarlo Yuu-sama per sempre, no?


 

“Allora, te la sei fatta?”
Yuu scoccò uno sguardo tetro a Hiro, lasciandosi cadere stancamente sulla prima sedia a disposizione. Erano tutti in quella che il loro manager -quella santa della loro manager- chiamava “la stanza dei giocattoli”. In altre parole era quel luogo sacro dove i membri dei To Bara potevano lasciar andare la loro vera natura di allegri idioti.
C'erano gli strumenti, una pila di riviste di genere, lo Shonen Jump di Hiro rigorosamente aggiornato e la Xbox che utilizzavano a turno per scaricare la tensione.
Per questo Yuu era felice di aver trovato tutto il gruppo intento a rilassarsi, mentre aspettavano che la sala di registrazione B si liberasse: la presenza della sua band al completo lo rasserenava.
Certo, anche se le domande di Hiro erano a dir poco idiote.
Yuu si passò una mano sul volto, stancamente.
“Ma hai capito qualcosa di quello che sono andato a fare?” sbottò.
Come al solito, Hiro scosse le spalle e riprese a giocare con il sintetizzatore.
Go, disteso sul divanetto in pelle sotto la finestra, si stiracchiò e lanciò uno sguardo interrogativo ai compagni.
“Senti, Hiro, che fanno i bellissimi membri di una band nel tempo libero?” domandò, con voce impastata. Noia o i postumi dell'ennesima sbronza, Yuu non avrebbe saputo dirlo.
Hiro sorrise, quel suo sorriso trasognato che lo faceva sembrare un ragazzino.
“Hm...giocano a ma jong?” rispose, allegramente, facendo la 'v' di vittoria con le dita.
Tale risposta gli costò una gran pacca da parte di Rei, insofferente a tutto ciò che poteva essere classificato come 'cultura pop'.
“E smettila di leggere manga, imbecille!”
“Ma Recchan-”
“Non fa bene all'immagine del gruppo” continuò lui, senza abbassare il tono di voce. Anzi, il piagnucolare di Hiro, per quanto scherzoso, sembrava averlo urtato anche di più. “E non rompere il sintetizzatore, che costa!”
“Sì, mamma.”
“E poi la nonna si arrabbia con noi.” fece eco Go, soavemente.
Anche se era poco più vecchia di loro, Sawako-san era un'ottima manager e un surrogato di madre per tutti loro: provvedeva a tutto, più come una baby sitter, e aveva più volte aiutato a sistemare i casini causati da Hiro.
Yuu sorrise fra sé e sé, pensando che -dopotutto- assomigliavano davvero tanto ad un manga.
Un po' di NANA, un po' di Mongolian Chop Squad...ecco, andava tutto bene finché non rientravano nella categoria Macross Frontier.
Le guerre galattiche non facevano per lui.
Come poteva cantare nell'universo? Era tremendamente grande, così tanto da disperdere il suono e dare l'impressione di muovere le labbra ma non far uscire alcuna nota. Un silenzio forzato e pesante nel bel mezzo del nulla, dove la materia era talmente vasta da diventare insignificante.
Quello era stato il suo cuore per trent'anni: colmato da una musica che amava, ma non capiva.
Come una donna sfuggente, un'amante morta prima di poterla conoscere, una nuvola nel cielo -l'amore era lì, sentiva gli altri parlarne ma non l'aveva mai conosciuto.
Sperava che Aya fosse davvero in grado di aiutarlo: non poteva sempre scrivere canzoni sul relazioni passeggere, ma non sapeva cantare le parole affezionate scritte da Go.
Non le capiva.
Tanto sarebbe valso cantare in tedesco senza prendersi neanche la briga di tradurre e adattare il testo.

“Yuu.”
“Sì, mamma Rei?” mormorò, aprendo uno spiraglio fra anulare e mignolo, in modo da poter vedere l'amico fra le dita “Vuoi fare la paternale anche a me?”
Il ragazzo scosse la testa, scostandosi i capelli dal viso. Erano bianchi e vinaccia, con un orribile effetto latte-e-vino che lo faceva sembrare ancora più pallido e sanguigno, ma i tratti delicati e le lenti a contatto nere lo salvavano da una misera figura.
“No, no. Volevo sapere com'è andata.”
Yuu esitò, prima di concedersi un ghigno.
“Vuoi sapere anche tu se me la sono fatta?” domandò, sapendo che l'amico avrebbe colto la provocazione.
“Sono più interessato alle donne che non ti fai, visto che sono merce ben più rara. Ormai dovresti saperlo.”
Ah, spiritoso. No, comunque, non me la sono fatta- se ricordi, miss impiegata normale non è esattamente il mio tipo.”
Go fischiò d'ammirazione, tendendosi verso Yuu.
Yucchin che manca il colpo?” fischiò di nuovo, con gli occhioni spalancati dalla sorpresa. “Sono sorpreso. Questa sì che è una novità.”
Yuu, stizzito, fece un gesto come per allontanare il discorso.
“Non ho mancato il colpo...l'ho fatto di proposito.”
“Sì, ora si dice così.” commentò Rei, appoggiandosi alla parete di fronte a Yuu e Go e incrociando le braccia al petto. Era una stanza mediamente piccola, la loro, ma anche confortevole: vivevano tutti in appartamenti solitari e troppo grandi, messi per lo più a disposizione dall'agenzia, e stare stretti di tanto in tanto non dispiaceva a nessuno.
Go, soprattutto, amava i luoghi stretti.
In total leather, con un grosso dilatatore nero all'orecchio e i piercing collegati da catenelle d'argento, sembrava più grande dei suoi trent'anni -poi, se uno si prendeva la briga di guardare davvero nei suoi occhi scuri, troppo grandi, si rendeva conto di potervi sfogliare le pagine della storia d'un uomo che dalla vita aveva avuto tutto senza mai dire grazie a nessuno. L'anima condivisa dai geni, dai dannati, dagli egoisti.
Yuu si era chiesto più volte se Leonardo o Picasso o Kurt Cobain avessero avuto gli stessi occhi grandi di Go, traboccanti di cose non dette.
“Sentite, stronzetti, lasciatemi aria.” replicò il frontman, divertito, mettendosi a sedere composto “La ragazza ha il mio stesso problema, ok? Non posso mica fare la bestia.”
Arrr.” lo prese in giro Hiro, e stavolta fu Yuu a sollevare un sopracciglio nella sua direzione.
“Ok, Hiro, tu devi davvero smetterla di leggere manga.”
A quell'ennesimo riferimento al suo hobby preferito -che, ultimamente, stava diventando più uno stile di vita- Hiro ritenne saggio mandarli a quel paese con un gestaccio e rimettersi ad alzare le levette del sintetizzatore con tutta l'attenzione possibile.
In realtà, probabilmente, avrebbe seguito tutto il discorso in silenzio.
“Insomma, l'importante è che tu te la senta.”
“Lo so, Rei, e non voglio spingermi più in là di quanto sia necessario. Davvero. Ma-” si interruppe, Yuu, lasciandosi sfuggire un sospiro “Ma per ora sono convinto di quello che faccio. E' per la band.”
E' per la band.
Quelle semplici quattro parole riverberarono nella stanza, riempiendo tutto ciò che c'era ancora da aggiungere.
Fu Go il primo a muoversi, andando a prendere una lattina di birra dal frigo-bar nell'angolo, e Yuu non potè fare a meno di seguire ogni suo movimento: come si voltò verso di loro, alzando la lattina in religioso silenzio, con la più seria delle espressioni sul viso.
“Ai To Bara.” disse, e ancora una volta quella frase normale apparve a tutti incredibilmente pesante. Enorme.
Le dimensioni di un sogno sono grandiose, ma la parola rimane una sola.
Uno alla volta, a mezza voce, ripeterono tutti quella che, con gli anni, era diventata una vera e propria preghiera. Alle volte era scaramanzia, altre disperazione; ancora, c'erano stati momenti in cui non avevano creduto affatto e altri in cui si sentivano pieni di rabbia e di gioia inspiegabili.
Ma loro c'erano sempre.
Ed erano sempre un'unica entità divisa in più persone.
“Ai To Bara.” sussurrò Yuu, a mezza voce.
Rei gli sorrise, allungando verso di lui il pugno chiuso; anche sporgendosi Yuu non ci sarebbe mai arrivato, da quella distanza, ma andava bene così. In qualche modo si raggiungevano sempre, loro.
“Che tu possa trovare le risposte che cerchi, amico.”

Che sia per te stesso o per noi, non cambia poi molto.

 

 

“Ehy, Aya.”
Aya sbattè le palpebre, incapace di riconoscere la voce dall'altra parte della cornetta. La risata che seguì, però, era inconfondibile. Quante volte l'aveva sentita alla radio o in tv? Bassa, fredda come una mattina d'inverno.
“Yuu!” riconobbe, prima ancora di pensare di nascondere la propria sorpresa “Non ti aspettavo così presto. E' successo qualcosa?”
“Volevo passarti Go. Dice che se ti piacciono gli yakuza può essere tuo tre giorni la settimana, dalle tre alle sette.” seguì una pausa, con alcuni rumori e voci in sottofondo che Aya non riuscì a distinguere. Voci, forse, e una chitarra? Ma magari se lo stava immaginando. Quando riprese a parlare, Yuu aveva lo spettro di una risata nella voce “Sai, ha un'agenda impegnata.”
“Non fatico ad immaginarlo” asserì lei, mordendosi le labbra.
“E anche io, temo. Ricordi che ti avevo detto che ti avrei fatta venire a prendere? Ecco, temo proprio di non farcela. Non domani. Hanno fissato una riunione all'ultimo momento, in studio c'è un casino, e dovrei chiederti di rimandare.”
Sovrappensiero, Aya annuì.
“Sì, ti capisco.”
“Però voglio vederti lo stesso. Non voglio che pensi che ti stia dando buca per evitarti, perchè non è così: mi sono divertito molto, oggi.”
Anche io, sarebbe stata la risposta più semplice. Un qualcosa di educato, formale, come recapitare un biglietto con scritto 'grazie del pranzo'...sì, nessun coinvolgimento.
Ma Aya aveva un problema con sé stessa, prima di tutto, dimostrando al mondo di non essere affatto definita da quel cuore dispettoso che le batteva nel petto. Non aveva mai mandato un biglietto in vita sua: telefonava. Non lasciava solo nessuno.
Si sforzava, si piegava per gli altri, e si compiaceva dei ringraziamenti altrui.
Spaventata da quella parte di sè che nessuno avrebbe mai compreso, non riusciva a rispondere ad un commento semplice come 'mi sono divertito'. Le sembrava di dover qualcosa a Yuu, di sforzare un'implicazione che non c'era.
Non voleva dare l'impressione di mentirgli...ma erano solo nella sua testa, queste cose, giusto?
Si riscosse solo quando Yuu la chiamò chiedendole se fosse stata rapita.
“N-no.” la voce le tremava. Perchè diavolo ora tremava? “Sono qui.”
“Mi sento un idiota a dover già cancellare un appuntamento, ma domani non credo di farcela. Mi dispiace, non è un buon modo di iniziare, non lo è per niente. E non posso nemmeno promettere che non accadrà più, però-”
“Yuu.” lo richiamò Aya, con gentilezza. “Smettila. Non usciamo nemmeno insieme, credi davvero che potrei farti problemi?”
Un lungo silenzio, dall'altra parte, le fece intuire che lui stesse prendendo molto sul serio la questione.
Quante donne, prima di lei, si erano stancate di appuntamenti cancellati? Quante porte in faccia gli erano state chiuse?
Però Aya, diversamente da altre, aveva un'idea tutta sua di come dovessero funzionare le relazioni: si era sempre aspettata poco, perchè poco era pronta a dare, e credeva nella correttezza da ambo le parti.
“Dammi una data, quando sei libero, e se non puoi non fa niente.” insistette, sentendolo esitare.
“Avresti tutti i diritti di piantarmi giù il telefono, davvero.”
“Ma non lo farò.” gli assicurò “Non sono così infantile.”
“Grazie. Dopodomani è giovedì, potrebbe andar bene? Finisco di discutere l'adattamento del nuovo singolo con Takako e poi ti faccio venire a prendere alle otto.”
Aya, in silenzio, soppesò le parole del ragazzo.
Non le sarebbe dispiaciuto vedere Yuu, che come persona non era male. Che diavolo, era uno dei suoi idoli, un uomo bello e famoso: poteva avere quello che voleva, ogni genere di regalo, con uno schiocco di dita. Il fatto era che, se ci pensava, non le veniva in mente nulla che volesse ottenere da lui.
In quel momento, Yuu era qualcuno che le aveva chiesto aiuto; e lei proprio non se la sentiva di fargliene una colpa.
“Giovedì a cena?”
“Sì, se non è un problema.”
Lei esitò, spostando il telefono da una mano all'altra.
“Dovrei vedere Mirai.” disse, ricordando una delle sue più care amiche. Non si vedevano spesso, ed i momenti passati insieme le stavano a cuore proprio perchè rari, combattuti, cercati da entrambe le parti. Mirai, insieme a Riika, era ciò che sostituiva quell'amore che Aya non aveva mai conquistato.“Siamo già accordate per cenare insieme.”
Una nuova pausa, dall'altra parte, ed ebbe come la sensazione di averlo ferito.
“Non puoi trovare un altro giorno?” lo sentì chiedere e, in realtà, Aya si rese conto che non era affatto una domanda.
“Io-”
“Per me è importante, Aya. Potremmo vederci dopo cena, se ci tieni a vedere...”
“Mirai. E' un'amica, non un ragazzo.” proseguì, subito, per lui. Non sapeva perchè si affannava così, proprio per una persona che poi neanche conosceva. Solo perchè era famoso? Se le cose stavano davvero così, si disse lei, doveva proprio rivedere le priorità nella sua vita. Un idolo a caso soppiantava davvero un'amica? No, certo che no. Allora perchè stava per mandare a monte tutto. “Ma lo immaginerai, visto come sono. Non ho spesso appuntamenti romantici.”
“No, neanche io.”
Le si strinse il cuore per il modo in cui lo disse.
Yuu era davvero un ragazzo dolce.
“Senti, parlerò con Mirai. Io e lei possiamo vederci venerdì, salterò un turno al lavoro, così andremo a cena. Va bene?”
Dall'altra parte della cornetta, per un momento, cadde nuovamente il silenzio. Un ronzio ovattato, coperto dalle voci che ora inequivocabilmente si sentivano in sottofondo, come una sorta di muro fatto di suoni di strumenti e risate e rumori, ma nulla da Yuu.
Ma non era un silenzio sterile. Era quel rapido, rapidissimo momento in cui si sorride perchè non se ne può fare a meno, vittoriosi, e non si riesce a parlare per la soddisfazione di sé.
“Sei un tesoro” rispose, grondando autocompiacimento.
Aya si sentì stupida oltre ogni dire, ma ormai la frittata era fatta.
Altro che dolce.
Yuu era davvero un manipolatore.





@Note:


Non so per quale motivo, oggi l'html mi odia. Se ci sono spazi strani fra una riga e l'altra, segnalatemelo e domani, con l'altro pc, sistemerò la formattazione. Oggi mi odia e ho solo il portatile ;_; Sorry, y'all!

Hola, bestioline!
Innanzitutto, grazie per essere arrivati qui! Il capitolo è un po' di transizione, per presentare i vari membri della band, che avranno ciascuno il loro ruolo nella storia. Non so ancora come, ma l'avranno.
Non posso mica lasciare da parte il mio piccolo Hiro, posso? Ovvio che no. 
Ringrazio tutte le belle persone che leggono, recensiscono e mettono fra le preferite/seguite/ricordate questo piccolo lavoro.
Siete fantastici!

Ellie

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Capitolo 4
*** Tankōbon 4. Mirai ***


                 

 

IV

 

A Tokyo non fa mai davvero freddo.
E' come vivere costantemente nelle viscere di un vulcano: 
ribolle di lava anche negli inverni più bianchi.
Mi piace pensare di essere una creatura a sangue freddo, come le lucertole,
e per questo non sono ancora bruciata.”

-Aya

 

 

Mirai aveva detto 'ci credo' troppe volte.
Vedeva in rosa, alle volte, ed altre in nero -mai senza filtri, però, perché la sua quotidianità si nutriva di emozioni da romanzo. Distribuiva seconde possibilità a tutti, anche ai casi patologici e agli amanti infedeli, anche se finiva sempre per pentirsene.
Amava con forza, odiava raramente.
Sapendo che tipo fosse la sua migliore amica, Aya non aveva dubbi che avrebbero spostato il loro appuntamento senza troppi problemi. Anzi, forse Mirai sarebbe stata addirittura contenta di sapere che, per incastrare gli impegni presi con lei, Aya era disposta a saltare il lavoro.
Questa sì che è una novità!” avrebbe detto.
Perchè Mirai era innamorata della vita e per questo Aya la invidiava da impazzire.

Il Perla era uno degli Hostess Club più in voga dell'ambiente di Minato, un piccolo centro di grandi possibilità, di grandi sogni, di grandi somme. A tema parigino, l'intera sala circolare a gradoni risplendeva di vernice bianca e oro vivo: in un ambiente patinato che ricordava Las Vegas più che Parigi, gli avventori si lasciavano la realtà alle spalle.
Era il posto giusto per Mirai, si era sempre detta Aya. Cos'altro puoi vendere se non l'amore, quando in corpo ne hai troppo? Mirai veniva pagata dalle sette a mezzanotte per essere gentile ed offrire da bere, cosa che le usciva sin troppo bene.
Se poi ci si aggiungeva Riiko, che passava tutto il suo tempo a incollare retini e inchiostrare tavole...beh, erano un trio particolare.
Forse, un giorno, Aya ne avrebbe parlato anche a Yuu.
Gli avrebbe raccontato dei sogni che avevano al liceo, dell'inferno dell'università, della disperazione provata quando si erano rese conto di essere cadute negli standard che volevano evitare da sempre: come la caslinga, l'attrice e la scienziata erano morte per lasciare il posto a Mirai l'hostess, Aya la segretaria e Riiko la mangaka.
Gli avrebbe spiegato che erano state tre donne che si erano promesse di non cambiare mai e che invece avevano mutato pelle come i serpenti a primavera.
Forse lui, che cantava di libertà, avrebbe capito.
Ma per adesso erano ancora sconosciuti l'uno con l'email dell'altra, ed era tutto ciò che li legava.

Quando la telecamera si accese, lasciando intravedere un angolo del salotto di Mirai e l'amica in pigiama e fascetta per capelli, Aya non potè fare a meno di ringraziare mentalmente chiunque avesse inventato le webcam.
“Ciao, celebrità.” la salutò, con un gesto della mano. Dall'altra parte Mirai batté le mani, con un sorriso sul volto struccato.
“Ayacchin! La stellina più brillante del firmamento delle scartoffie...indovina indovina? La tua Mirai ha un nuovo abituè.”
A sentire un saluto così entusiasta, Aya rise forte.
I clienti abituali' di Mirai andavano e venivano con regolarità, richiedendola per gli ottimi cocktail e la conversazione divertente, ed erano sicuramente più stabili degli ultimi uomini che aveva frequentato fuori dal Perla.
Aya sapeva che Mirai li considerava come amici e che non sarebbe mai uscita con loro fuori dal lavoro. Non li avrebbe mai toccati.
Ma essere carina con loro era un giochetto, per lei che era così dolce.
“Ah sì? Mi fa piacere.”
“Si chiama Myeong Sun, ed è carino. Più del solito. Sai, non è solo un colletto bianco...lavorava a Seul e si è trasferito da poco.” Mirai sospirò, volgendo lo sguardo fuori dal quadro della telecamera. “Ho una bella sensazione, potrebbe piacermi davvero.”
Aya storse il naso.
“Un coreano? Mirai!”
“Che c'è? Non è mica un criminale.” replicò lei, offesa “Questi pregiudizi sono da campagnoli, Ayacchin.”
“Sì, va' a dirlo a tua madre nel Kanto. Le verrà un colpo se frequenterai un ragazzo del genere.”
“Se ne farà una ragione, anche se dovessi uscire con un americano!”
“Ah, quello la renderebbe felice: com'è che ci diceva? I gaijin portano soldi anche se sono sporchi e rumorosi.”
Mirai le lanciò un'occhiataccia, sollevando un sopracciglio.
“Parli come una vecchia, Aya. Non ti facevo così giudicona.”
Aya scosse la testa, togliendosi una ciocca di capelli dal viso e lanciando uno sguardo distratto a Ringo che, con un rumore ovattato, era atterrato sul tavolo dalla mensola della cucina. Gatto suicida.
“Sono quello che mi hanno insegnato ad essere, tesoro.” replicò, con semplicità “E so che frequentare un coreano ti darà non pochi problemi, quindi...dammi retta, va bene? Lascia perdere.”
“E se mi innamorassi?”
Ah.
Quello sarebbe stato un bel problema...e lo diceva proprio a lei, poi, che se lo chiedeva da trent'anni.
“Non dirlo come se fosse una possibiltà, Mirai. Non sai neanche se chiederà ancora di te.”
Mirai, di nuovo, le scoccò un'occhiata severa.
Nel suo appartamento tutto era quieto, mentre in quello di Aya l'ombra di Ringo continuava ad apparire ingigantita sulla parete color crema. Come doveva essere bello vivere a Minato, in mezzo ad un isolotto di gente interessante sempre illuminato a giorno, vicine al paradiso ma non troppo.
Lei, sull'orlo della periferia, vedeva sin troppe ombre.
“Non tutti gli uomini sono bugiardi, Ayacchin.” sbottò Mirai, incrociando le braccia al petto.
“Lo so.”
“E non sono disposta a giudicare qualcuno perché non è inserito in questa stupida società bigotta.” proseguì, più gentilmente ma senza perdere quel piglio serio che faceva intuire quanto ritenesse importante il discorso. “Siamo nel ventunesimo secolo.”
“Voglio davvero vedere come farai quando il mondo ti guarderà storto per colpa di una scelta fatta col cuore.”
“Che si fotta, il mondo. Ci farò l'abitudine.”
Aya annuì, in parte d'accordo con le parole di Mirai: continuavano ad avercela con gli altri in quel modo passivo aggressivo che aveva già causato troppi problemi, ma la società non faceva proprio niente per rendere le cose più facili.
Prese un respiro, per calmarsi, e scrollò le spalle come se potesse togliersi tutto il peso di dosso.
“Hai ragione, scusami. Parlavo come mamma.”
“Mi chiedo come tu faccia ad essere così fredda, Ayacchin.” mormorò Mirai, con una nota di preoccupazione nella voce “Ti voglio bene, ma tutta questa razionalità non ti aiuterà di certo.”
Aya scosse la testa, di nuovo, incapace di trovare una risposta.
Valutava i pro ed i contro, ma non prendeva mai una decisione.
“Lo so.”
“Se vuoi, giovedì ti mostrerò le foto che ho scattato con Sun-dono. Magari cambierai idea su di lui.”
Lei lo sperava davvero, perchè aveva fiducia nella sua amica, ma non poteva fare a meno di chiedersi come potesse assumersi il rischio di far arrabbiare i suoi genitori per amore.
Era come lasciare il porto sicuro per andarsene a largo su una barchetta perchè si è scorto lo spettro dell'arcobaleno in lontanaza: non si sa mai davvero dove si finisce, né quando e in che modo orribile si affonderà.
“Senti, parlando di questo-” esitò “Giovedì ho un impegno di lavoro. Ti dispiacerebbe tanto se spostassimo la nostra cena a Venerdì?”
Mirai si morse il labbro, pensandoci su; lanciava occhiate alla telecamera come per controllare il proprio aspetto, piuttosto che guardare l'amica dall'altra parte, e continuava a scompigliarsi i capelli.
Era nervosa, ma Aya non capiva per cosa.
L'aveva forse offesa, con la storia della relazione?
“Hm. Devo lavorare dopo le undici, venerdì.” le comunicò, ancora assorta.
“Possiamo mangiare e poi ti accompagno in macchina al club, se ti va.”
Ringo, santo animale, scelse giusto quel momento per far cadere una lampada.
Aya, per come si stava evolvendo il discorso, non fu mai tanto felice di liberarsi dall'imbarazzo e di salutare Mirai: non poteva fare a meno di chiedersi perché non aveva neanche lontanamente accennato a Yuu.


Erano le nove di sera e Aya non riusciva a non darsi dell'idiota.
Inizialmente si era messa un vestito occidentale, leggero, che però aveva scartato: ricordava di aver letto su una rivista che Yuu amava la cucina giapponese e gli ambienti tradizionali, il che spiegava perfettamente la scelta di Kyoubei, quindi aveva optato per un kimono.
L'aveva fatto per essere gentile, ma lui aveva riso.
“Di solito non ci si presenta ben vestite, alle cene?” domandò Aya, aggrottando la fronte.
Non che lei lo sapesse, visto che Riiko non usciva praticamente mai e Mirai era di certo un esempio un po' troppo estremo, quindi era andata a sentimento.
Yuu, che l'attendeva sotto casa tenendole aperta la portella di un grosso fuoristrada nero, diede in un'altra risata.
“Beh, sì.” asserì “Ma solitamente va benissimo un vestitino.”
“Ho pensato che fosse più indicato il kimono, visto il ristorante dell'altra volta.” rispose lei, fermandosi a pochi passi dal frontman. Mentre al lavoro indossava tacchi, ora che aveva le infradito percepiva tutta la differenza d'altezza che intercorreva tra loro.
Le si strinse lo stomaco per l'ansia e l'imbarazzo, chiedendosi cosa mai ci facesse lì: Yuu aveva proprio riposto fiducia nella persona sbagliata, no? Una che non riusciva neanche a vestirsi a dovere.
“Naturalmente.” replicò lui, dopo averci pensato su un momento. “Forse hai avuto più coscienza di me, in effetti.”
Yuu indossava un completo in grigio e bianco, a righe verticali, che ricordava sin troppo quello di Jack Skellington in quel film degli anni novanta, Nightmare before Christmas; proprio come il protagonista di un film in stop motion, Yuu era qualcosa di raro e bizzarro.
Aveva cambiato lenti a contatto, che questa volta erano d'un verde penetrante, ma l'anello che portava alla mano destra era sempre quello- nero, grande e metallico.
E lei era stata così idiota da uscire in kimono!
“Posso salire a cambiarmi.” si offrì Aya, accennando ad avviarsi vverso il portone d'ingresso “Non ci metterò molto.”
Tuttavia Yuu era davvero in grado di stupirla, prendendole la mano nella propria e spingendola delicatamente verso di sé. In questo modo Aya si voltò a guardarlo, con le labbra dischiuse per la sorpresa.
“No. Stai benissimo.”
“Ma-”
Lui le sorrise.
“Passiamo in sartoria, se non hai troppa fame.” decise, con quella sua voce fredda e roca, come se venisse direttamente da un altro mondo. “Voglio un kimono anch'io.”

 

“Sinceramente, trovo che Mirai si fidi troppo." sbottò Aya una volta che furono seduti sui cuscini damascati d'un elegante ristorante tradizionale, ben introdotti in una conversazione piacevole in cui la ragazza si era sfogata riguardo le intenzioni dell'amica.
Si sentiva una bambina, in balia di reazioni stupide che mai aveva avuto prima, ma Yuu pareva divertirsi ad assecondarla.
E poi, di certo, senza la sua gaffe sui kimono non avrebbe mai scoperto quanto fascino avessero gli hakama addosso a Yuu. Così, almeno, esorcizzava l'imbarazzo provato solo qualche ora prima.
“Credo che invece tua madre sarebbe fiera di te.” replicò lui, portandosi alla bocca un pezzo di tagliata “Anche la mia era molto tradizionalista.”
No, ok.
Aya non ce la vedeva proprio, una donna tradizionalista con un figlio...beh, del genere.
“Eppure sei, beh, molto...molto particolare.” lo riprese, perplessa “Come ha accettato?”
Yuu scosse le spalle, tracciando uno svolazzo in aria con le bacchette.
“Non l'ha fatto.”
“Come? E come-”
“Parliamo poco e lei non fa mai domande. Fine del discorso.” tagliò corto lui, lanciandole un'occhiata di sottecchi. Qualcosa sembrava voler davvero dire piantala, è una cosa di cui non parlo. Aya, che voleva essere tutto meno che invadente, ritenne saggio riempirsi la bocca di vino rosso ed evitare domande.
Piuttosto, poteva essere una buona idea aprirsi per prima.
“Io e mia madre siamo molto unite.” buttò lì, casualmente “è una di quelle donne che piangono tantissimo e per stupidaggini, come nei film, ma stiamo bene. Mio padre, invece, non mi parla da anni.”
Yuu inarcò il sopracciglio, alzando gli occhi dalla tagliata.
“Non ti parla?”
“Da anni, ormai.” asserì lei, serena “E' strano, vero? Con tutte quelle storie sulle principessine di papà...beh, naturalmente il mio patrigno mi ha viziata un po', per quel che poteva. E non farmi quell'occhiata.” lo redarguì, notando il suo sguardo sfuggente.
Era un misto di sincera curiosità e di finta noncuranza, che nei più tradiva una certa paura nell'affrontare una questione delicata. Se solo avessero saputo quanta poca importanza rivestiva per lei suo padre, probabilmente molti si sarebbero risparmiati quel giochetto di delicatezze e sarebbero passati a farsi raccontare tutta la storia.
Yuu, non diverso da molti altri, le stava rifilando proprio quell'occhiata da chiedo-non-chiedo che Aya detestava; naturalmente finse di non capire. Ma, ancora una volta, in molti usavano quella tecnica.
Oramai Aya vantava una certa esperienza in discorsi di divorzio, suo malgrado.
“I miei genitori si sono separati e, ecco, credo capiti ormai in molte famiglie. Ero in sesta elementare, se ci tieni ai dettagli, e a guardarmi indietro credo di aver sempre sospettato che mamma avesse un altro uomo. Se non altro, era abbastanza chiaro che lei e mio padre non si amassero.”
Con uno timido cenno del capo, Yuu annuì.
“So cosa vuoi dire. Per quel che ne so dei miei genitori, è chiaro che il tempo aveva logorato il loro rapporto.” mormorò, prima di lasciarsi sfuggire una risata “Se non altro, sicuramente ha azzerato i rapporti con mia madre.”
Aya chinò il capo, lanciando uno sguardo distratto al tavolo ma non vedendolo davvero. Pensava a sua madre e a suo marito nella loro villetta di periferia, al loro idilliaco paradiso di quotidianità e scherzetti e baci. Erano meravigliosi da vedere, anche se un po' soffocanti.
Tuttavia quella non era la sua famiglia, non al cento percento; un angolo nero, una chiazza di sporco e ricordi distorti, rimaneva sempre.
Ascoltando le parole di Yuu le venne in mente sua madre.
'Non ho mai amato papà, piccola. Mi spiace.' Le aveva detto un giorno che, in effetti, non era più così piccola da non capire le sue parole. Era l'estate della seconda superiore e sua madre, risposandosi, aveva creduto doveroso spiegarle le motivazioni di quella decisione.
Chissà perché, poi: Aya vedeva il patrigno come un padre naturale. Non si sarebbe mai sognata di chiedere nulla.
Eppure le risposte vengono se non cercate, non richieste.
Né tuo padre ha mai amato me.
Ora si ritrovava a domandarsi se non fosse una bugia, quella: se non si fossero amati una volta e quel sentimento fosse sfumato.
“Il tempo rovina molte cose, se ci pensi, no?”
“Altre le preserva.” osservò Yuu, cautamente, e lei si chiese se per caso non si stesse riferendo ai To Bara. Sapeva che erano insieme dalle superiori, ma non molto era stato divulgato sulla loro carriera di cover band.
“Già.”
La tensione era palpabile, ma fortunatamente Yuu non era il tipo da farsi scoraggiare: riempì il bicchiere di Aya col vino e le rivolse un sorriso allegro.
“Ma parliamo del presente: frequenti qualcuno, al momento?”
Per poco la ragazza non sputò il sushi che aveva appena mangiato, divenendo rossa in viso per l'imbarazzo.
“Ma che domande sono?” chiese, con la voce resa stridula dalla sorpresa “Proprio a me lo chiedi, poi! E adesso!
“Beh, non si può mai sapere.”
Aya sospirò, posandosi una mano sul cuore. Batteva all'impazzata.
Andavano bene le domande personali, ok...ma quella non se la sarebbe mai aspettata.
“No, ovviamente.” rispose, prendendosi il suo tempo per calmarsi. Ne aveva decisamente bisogno.
“Bene.”
Bene? E ora tutto quello che diceva era bene?
Gli lanciò un'occhiata da segugio, di quelle che aveva imparato da Riiko e che la facevano assomigliare di più ad un cane antidroga che ad una ragazza.
“E tu?”
“Io?”
“Sì, tu. Ce l'hai la ragazza, signor Domande Avventate?”
Yuu scrollò le spalle, sereno: la domanda non l'aveva minimamente toccato.
“No.” rispose. “Aspetta, no, bugia: non ho nessuna ragazza ufficiale. Ma frequento molte donne diverse.”
Aya aggrottò la fronte: non le piaceva indagare in argomenti a lei estranei, ma la curiosità era troppa. Stava ottenendo gossip direttamente dalla fonte, davanti ad un'ottima cena, e qualcosa le diceva che fosse un'occasione più unica che rara.
“Scopamiche?” indagò, cercando di non farlo sembrare un'accusa.
Certo, non che approvasse, ma non erano affari suoi.
Yuu, di nuovo, sembrava felice di poter rispondere a qulle domande, come se fosse tutto un grande giocare a “io non ho mai...”. Una volta preso il passo, qualcosa nel suo sguardo le diceva che sarebbe stato inarrestabile.
“Scopacolleghe.” la corresse “Non sono proprio amiche.”
“Famose?”
“Non sempre...non posso fare nomi ma- oh, al diavolo. Hime delle AkB48, è nel team B, e sono certo che basti a farti capire il genere.”
Per poco, di nuovo, Aya non si strozzò. Questa volta con la sua stessa saliva.
Hime. Hime! Era fra le più carine delle innumerevoli AKB48 girls e di certo fra le popolari. 
Da quel poco che ne leggeva, nelle riviste di gossip, la ragazza stava cercando di sfondare come solista senza l'aiuto delle 'sorelle'.
“Oh mio Dio! No!”
Yuu le rispose con un sorriso radioso e lei non sapeva se prenderla come una sfida a fargli rivelare altre donne, magari altrettanto famose, o una semplice dichiarazione di vittoria.
Ayu allora scelse di cambiare domanda, giusto per non dargli la soddisfazione di fargli stilare la lista delle sue conquiste.
“E la stampa?”
“Ah, copriamo gli scandali.”
Ora Aya era completamente attenta.
“E come?” chiese, affascinata, senza rendersi nemmeno conto di pendere dalle labbra di Yuu. Tra le altre cose, non aveva mai trovato la sua voce bella come in quel momento: a cantare era meraviglioso, ma sentirlo parlare era tutt'altra cosa. In modi diversi, quei due Yuu che -non- conosceva le piacevano molto.
Lui le fece l'occhiolino.
“Rei ne causa più di me, quindi beccano sempre lui.” spiegò, tutto cospiratorio ma terminando con la più bella delle risate.
Era rilassato, ora, e Aya percepiva la differenza come un balsamo.
Pensò che, magari, quando si scioglieva il grande frontman diventava un bambino. Giocava, scherzava, si apriva.
In qualche strano modo ciò portava anche lei a sorridere più apertamente, senza nessuna paura.
“Non ci credo, Rei-Sama ha l'aria così compassata!”
Yuu, suo malgrado, si trovò costretto ad annuire: chissà come appariva serio e posato un tipo come Rei, agli occhi di chi lo vedeva su un palco e non gli aveva mai tenuto la testa mentre dava di stomaco dopo aver bevuto troppo. Nessuna fan avrebbe voluto vederlo arrabbiato, perchè potevano volare sberle e parole pesanti, né si sarebbe mai aspettata di sentirlo fare una delle sue orribili battute. Non sapeva scherzare e reggeva poco l'alcool.
Però, se visto da fuori, era assolutamente un personaggio serio.
“Beh, lo chiamiamo Mamma e ci mette tutti in riga, ma ti assicuro che è tutto fuorché un santo.” sospirò “Fortunatamente, sistema i casini di tutti dimenticando di rattoppare i propri.”
“Credevo che fossero i manager ad occuparsi di questo genere di cose...”
“Non sempre. La nostra assistente personale, Shizuo, si trova praticamente ogni mattina a dover contrattare con Rei un modo per tenere lontane le zampe dei tabloid dal suo casino giornaliero.” spiegò Yuu, prendendo un sorso di vino.
Cominciava a girargli un po' la testa perché, nonostante prendesse tanto in giro i suoi amici, nemmeno lui reggeva poi così bene gli alcolici. Si era sempre difeso che era nella natura di un giapponese non poter bere, che non era certo una novità, ma la realtà era che non riusciva mai a regolarsi. “Anche se il livello della band non sarà sempre così elevato, per adesso ci consigliano di tenere un basso profilo e cercare di non accelerare l'inevitabile.”
Aya sbatté le palpebre, confusa.
“Inevitabile?” gli fece eco, senza capire cosa mai ci potesse essere di così fatale e tragico nell'essere un gruppo famoso. Insomma, a vederla così non sembrava poi tanto male.
“Il declino degli ascolti; non tutti siamo come i Sex Pistols.”
Ma voi avete fatto la storia, avrebbe voluto replicare lei, piccata. Non le piaceva che Yuu parlasse così, come se fosse tutto un sogno destinato a finire in un battito di ciglia, perché era del loro sogno che stavano parlando. Dei To Bara, sì, ma anche di milioni di fan.
Si sentì come se Yuu stesse sgualcendo quella meravigliosa illusione che lui stesso aveva creato per loro e la sensazione fu tutto fuorché piacevole.
Allora, istintivamente, Aya si immusonì e sbottò in un:
“Beh, allora è il caso che vi impegnate a non farlo finire troppo presto. C'è gente là fuori che conta su di voi.”

Un mondo senza gli aggiornamenti dei suoi cantanti preferiti, senza nuove emozioni, sarebbe stato davvero triste. Non voleva pensare ad una realtà dove la voce di Yuu sarebbe stata dimenticata, calpestata da innumerevoli altre note.
Forse, si disse, devo trovarmi un altro hobby.
Il fatto era, e non ci aveva mai pensato prima, che la musica era parte integrante di quella normalità a cui teneva così tanto: faceva da colonna sonora ed era ovunque. Che avesse preso vita in quel ragazzo che parlava con tanta disinvoltura dello spezzarsi di qualcosa di bello, beh, aveva davvero poca importanza.

“Senti, Aya, ti va di andare da qualche parte dopo la cena?”
Ok. Ok. Questa non se l'aspettava.
Cos'era, una specie di proposta velata? Eppure credeva di essere stata chiara.
A disagio, scosse le spalle e decise che prenderla larga era la scelta più saggia: dopotutto non le aveva ancora chiesto nulla, no? Anche se era ovvio. Gli uomini erano sempre ovvi.
“Tipo?” replicò, il più vagamente possibile.
Yuu ridacchiò e qualcosa, nel fondo dei suoi occhi verdi, lo fece sembrare incredibilmente giovane -un ragazzino, poco più, che ancora si compiaceva di scherzetti infantili e spacconate.
“Beh, io in realtà pensavo al karaoke.”

All'epoca, Aya non aveva ancora capito: quella persona amava cantare più di ogni altra cosa.




@Note

Ah, ritardo! 
Beh, il capitolo è tipo infinito quindi spero di essermi fatta perdonare (hahaha!) e che mi vogliate ancora bene! 
Vorrei solo precisare che le AkB48 sono un vero, enorme, gruppo diviso in team. Non mi pare esista nessuna Hime nel Team B, ho preferito evitare di coinvolgere veri personaggi famosi mantenendo, però, un contesto quanto più realistico possibile. 
Indi per cui, Aya non incontrerà mai Johnny Depp. Peeeeeeccato. 
Tenetemi d'occhio Mye Sun, che  non è stato solo un pretesto per inserire un po' di vecchia frizione raziale made in Tokugawa (anche qui, i pensieri di Aya sono la classica mentalità giapponese, dove i coreani sono ancora molto discriminati, ma io come autrice non sono d'accordo. Amo la corea e i coreani, ma ignorare alcune cose sarebbe come dire che Hitler non ha mai invaso la Polonia). 

E dopo tutte queste note me la filo, ho un sacco di cose arretrate e /aaah/ sono in ritardo.
Ja na <3
Ellie

 

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Capitolo 5
*** Tankōbon 5. Riiko ***


 

V

Una volta, io e Yuu siamo andati al Karaoke.
Credo che se lo ricordi anche lui, anche se sono passati davvero tanti anni:

io, comunque, non ho aperto bocca.
Ho detto che mi vergognavo, ma la realtà è che non vedevo
l'ora di sentirlo cantare qualcosa per me.”

-Aya

 

 

“Riiko!”
Aya era scesa al modesto konbini di quartiere per una rifornita d'emergenza al frigo, che languiva vuoto a causa di tutto il tempo che la ragazza aveva passato con Yuu nell'ultimo periodo, ma non si sarebbe mai aspettata di vedere una certa persona ferma alle casse. Per la precisione, non si sarebbe aspettata di vedere l'amica da nessuna parte: era periodo di consegne per la giovane donna, il che significava reclusione, stress e lavoro incessante per almeno una settimana.
Riiko si voltò con uno scatto, come se fosse abitata ad essere chiamata solo in caso di rimproveri, ma si aprì in un sorriso un po' stralunato quando notò da dove provenisse il saluto.
Una volta di più, non vedendola oramai da quasi un mese a causa del lavoro, Aya si stupì di quanto l'amica potesse spiccare tra la folla di casalinghe emaciate e mamme drago: bassa e un po' tondetta, con lo stesso viso delicato di una bambina, portava i capelli in un caschetto ordinato e del color della pece.
Anche se solitamente era elegante, quel giorno indossava vestiti logori e spaiati.
Aya le sorrise, sventolando una mano ed andandole incontro.
"Oh, tu guarda. Che sorpresa." mormorò Riiko, priva di qualsiasi entusiasmo con una strana luce negli occhi. Aveva le pupille dilatate e la mano che sosteneva il cestino tremava leggermente.
Non serviva certo un genio per rendersi conto di quanto la donna fosse esausta.
"Stavo per dirti la stessa cosa."
Aya notò che stava pagando solo una vaschetta di gelato al rum e una confezione famiglia di marmellata di azuki super compatta e non potè fare a meno di rimanerne colpita: i racconti della non-vita di Riiko sotto scadenze erano leggenda, ma vederli personificati in cibo spazzatura, sindrome da carenza di caffeina e occhiaie era tutt'altra cosa.
“Compri solo questa roba?” le domandò, sollevando un sopracciglio.
"Ed è anche tanto, credimi” fu la risposta, accompagnata da una scrollata di spalle "Sono uscita per necessità perchè avevo solo mezzo limone, in frigo, ma mi scombina la tabella di marcia."
Ecco, appunto.
"E mangeresti solo...quello?" fu l'inevitabile domanda successiva, accompagnata dall'inarcarsi di un sopracciglio in direzione di quella misera spesa.
Riiko scosse le spalle.
"Non ho tempo di mangiare".
Aya non tentò neanche di convincerla del contrario, poichè probabilmente era la pura verità.
"Chiama un corriere, o'baka. È per gente reclusa come te che li hanno inventati."
"Non credere che non l'abbia fatto." rispose lei, con aria lugubre "ma oggi non effettuano consegne e rivolgersi ad un altro supermarket sarebbe troppo caro. Senza contare che-”
Riiko esitò, come se si vergognasse, ma subito dopo si sciolse in un sorriso trasognato.
Un sorriso che Aya, suo malgrado, conosceva sin troppo bene: era quell'aria da eroina romantica che aveva fatto di Riiko, insieme ad una buona mano e tanto esercizio, una delle promesse del panorama fumettistico tokyota. Le si poteva rimproverare tutto, ma lei per prima si innamorava di quei principi e re che disegnava, riempiendoli d'attenzione e cura.
“Che?” la incalzò, incuriosita da tutto quel mistero.
“E' che volevo anche comprare il poster di Yuu-sama."
Aya si sentì gelare.
“Oh.” mormorò, senza sapere cos'altro dire e dolorosamente consapevole d'essere impallidita.
Riiko era la prima ad aver ascoltato i To Bara; andava ai concerti, comprava le magliette, twittava e seguiva ciascuno di loro e registrava i programmi.
Mentre Mirai scaricava la musica, Riiko aveva un'intera mensola per la discografia che, però, rimaneva da collezione: solitamente usava Spotify per non rimanere mai priva di quella che chiamava la sua 'linfa vitale'. Non badava a spese, senza prestare ascolto a chi le rimproverava una certa ossessione.
Oltretutto, Riiko professava da sempre di essere innamorata di Yuu.
Aya sin dal primo momento aveva lasciato all'amica il frontman e aveva rivolto le proprie preferenze a Rei senza pensarci troppo su perchè, dopotutto, stavano solo parlando di cantanti; era come mettersi a litigare per un vestito che nessuna si sarebbe mai potuta permettere, stupido e un po' infantile.
Ma ora che si trovava ad uscire proprio con quella persona che aveva lasciato a Riiko, quasi per paura di invadere quello che aveva sempre visto come un sogno altrui, Aya si sentiva una traditrice.
Naturalmente, capiva anche da sola che sentirsi male non aveva alcun senso.
Yuu era simpatico e disponibile, ben diverso dall'idea fantasma che si erano fatte di lui le ammiratrici, e poi Riiko non era affatto innamorata di lui.
Non aveva motivo di sentirsi in colpa nei confronti di Riiko; anzi, con un po' di fortuna le avrebbe anche potuto presentare il suo idolo e, magari, la sua amica ne sarebbe stata felice.
Certo, nel caso fosse riuscita a farle dimenticare che le aveva mentito.

Con un orribile peso sullo stomaco Aya deglutí a fatica, sentendosi la gola riarsa.
"Aya?”
"Ah, scusami. Il poster...l'hai trovato?"
"Stai bene?" domandò Riiko, scoccandole un'occhiata preoccupata.
Lei scosse la testa, ancora frastornata.
"Sì. Sì, un colpo di caldo."
"Ma c'è l'aria condizionata-"
"Insomma, Riiko, ti ho detto che sto bene! L'hai trovato o no?"
La ragazza indietreggiò come se l'altra l'avesse schiaffeggiata; Aya non ricordava neanche l'ultima volta che era sbottata così con qualcuno e, di certo, mai l'aveva fatto con una delle sue amiche.
La fila alla cassa si era ristretta e ormai era quasi il loro turno, ma nessuna delle due ci voleva far caso: una si manghiucchiava le unghie, l'altra la fissava senza spiegarsi una tale reazione.
"Sì..." bisbigliò Riiko, con gli occhi spalancati. Era chiaro che volesse indagare, ma non si azzardò a chiedere nulla e, dopotutto, pensò che fosse saggio soprassedere. "È nella borsa. Volevo quello promozionale del tour dell'anno scorso, ma alla fine ho preso quello dell'album."
Aya annuì, facendo attenzione ad evitare i gesti bruschi; si sentiva tremendamente sotto pressione.
"È bello, scommetto."
"È di Yuu-sama che parliamo, no?" le rispose Riiko, senza esitazioni "Ovviamente è bello."
Aya si morse le labbra e si impose di non fare commenti a riguardo.
Perché lei aveva sempre pensato che Rei fosse più bello, ma aveva cominciato a cambiare idea.

 

Ripensandoci, Aya si era sentita talmente in colpa per aver urlato contro Riiko da decidere di chiamare Yuu.
Aveva bisogno di un consiglio e doveva sentire il suo parere. Non ricordava quando aveva cominciato a chiamare lui per avere un consiglio, piuttosto che Mirai, ma dopotutto era anche colpa di quello scemo di un frontman se doveva nascondere le novità alle sue migliori amiche.
Poteva anche aiutarla, per una volta.

"Vorresti presentarmi alle tue amiche?" le rispose lui, dopo un lungo silenzio, e dalla voce era palese che non stesse prendo sul serio la cosa. Aya non capiva se le stesse ridendo dietro perché la trovava fastidiosa oppure carina ma, in fondo, le importava davvero poco. "E il prossimo passo quale sarà? Diventare ufficiali su Facebook?"
Aya sbuffò sonoramente, ancora innervosita dall'incontro.
"Idiota."
"Perdonami, cara." scherzò l'altro. In sottofondo c'erano rumori che, ancora una volta, Aya non riusciva a carpire con precisione: si chiese se Yuu fosse sempre costretto a stare in luoghi affollati, in quanto celebrità, o se non si curasse di appartarsi per parlarle.Ma davvero credo che non dovremmo affrettare le cose, in questo momento."
Aya si concesse un lungo sospiro.
Capiva benissimo il motivo di quel rifiuto, tanto che quasi se lo aspettava, ma non poteva dire di non averci sperato.
"Sì, capisco..."
Pausa, per un secondo.
"Ma magari quando la situazione si sarà stabilizzata potremmo... sì, potresti decidere di volermi presentare a chi vuoi." allora sì che lei se lo immaginò in piedi, magari appoggiato alla stecca della microfono, con quel sorrisetto di sfida che gli si dipingeva in viso prima di sparare qualche spacconata. Sempre il solito, pensò. "Se ti fidi"
"Perché non dovrei?"
"Perché, ci sei?, sono una celebrità."
Aya si lasciò sfuggire uno sbuffo stizzito, gesticolando come per scacciare un oggetto fastidioso. Se solo avesse potuto vederla, Yuu si sarebbe convinto di quello che già il tono lasciava trapelare.
"Solo perché Riiko si tappezza la camera di poster con la tua faccia? Su, Yuu, ho una maggior considerazione delle mie amiche. Fidati."
"Alle volte la fama è più forte della fiducia."
Ok, verissimo, ma Aya si aspettava un certo tipo di reazione dalle persone che si era scelta come amiche: mandare a monte più d'un decennio insieme per gelosia non era fra le cose che si sarebbe aspettata. Certo, per amore forse. Ma per la fama non ne valeva la pena.
Aveva paura di ferire Mirai e Riiko, non che loro le rubassero il palcoscenico.
Yuu forse non lo vedeva perché era accecato da tutte quelle fan adoranti, ma prima o poi si sarebbe certo accorto di non poter avere tutto fischiando: neanche per lui era così semplice.
"Oh, nemmeno fossi un superuomo. Capirai."
"Insomma, Aya!" ora sembrava un bimbo stizzito, dispiaciuto "Non ti capisco: all'inizio eri timida, poi hai preso la rincorsa e non mi tratti come...beh, come Yuu-Sama."
Lei si morse le labbra, accarezzando distrattamente Ringo, ben felice che non potesse vederla mentre soppesava in silenzio quelle parole infantili, ma incapace di capire come doveva comportarsi.
Incapace di capire Yuu, per quanto si sforzasse.
Non era stato lui a voler abbattare le barriere formali? Non aveva detto che sarebbe stata una tragedia se lei si fosse rivelata una di quella fan reverenti e tutte attenzioni?
Non capiva proprio cosa diavolo volesse adesso da lei.
Alla fine, quando fu sicura che il frontman si era chiuso nel più ostinato dei silenzi perchè si aspettava una risposta, prese coraggio.
"Ed è un male?"
Ci volle un po' per la risposta, che fu tutto fuorché sicura.
“Non lo so” disse, ed ogni sillaba era pronunciata con la stessa attenzione di un passo su un lago ghiacciato. “Credo sia una bella novità, nonostante tutto.”
Aya sospirò, sollevata.
Era ovvio anche alla più ingenua delle ragazze che Yuu fosse arrogante e viziato, ma non aveva ancora perso del tutto di vista le persone attorno a sè; quelle formiche che gli si affannavano attorno, ballando ad ogni schiocco delle sue dita, avevano ancora significato per lui.
Aya si chiese se non fosse quella la differenza tra uscire con una celebrità e con un coglione egocentrico.
"Vedi di abituartici." replicò lei, giocherellando con una penna. Era nervosa. "Tra le altre cose, stavo pensando al Karaoke. Ti ricordi quando ci siamo andati, no?
“Beh, non è che sia successo tre secoli fa, Aya. Certo che me lo ricordo.”
“Quindi, signor saccente, sono arrivata alla conclusione che mi è piaciuto. Possiamo andarci di nuovo."
Yuu annuì al telefono.
"E ti ci sono volute due settimane per realizzarlo? Allora posso sperare che prenderai in mano il microfono tra un paio d'anni."
"Hm...non credo proprio. Sei bravo a sufficienza per entrambi, puoi risparmiarmi la figuraccia. E poi sei carino quando imiti Plum e Melody: se ti va male così puoi fare la Idol."
Ok, avrebbe voluto ritirare quelle parole nell'esatto momento in cui la sua stupida bocca le aveva pronunciate: non era certa che Yuu, così fiero della propria carriera, non si potesse offendere davanti ad una tale allusione.
La carriera di idol, simile a una meteora nel firmamento musicale, non era esattamente la massima aspirazione di una band Visual. Sarebbe stata una fortuna se Yuu non se la fosse presa sul personale e per questo Aya accolse la risposta con un altro, tacito, sospiro di sollievo:
"Sì, sarei pieno di soldi."
"Perché ora naturalmente sei povero, vero?"
Una risata, dall'altra parte della cornetta, e ancora una volta le diede i brividi.
"Talmente povero che mando Go a esibirsi in Maji 1000% Love agli angoli delle strade." scherzò Yuu, per tutta risposta. Lei si vide bene dal confessargli che l'avrebbe trovato un bello spettacolo, più che altro perchè era sicura che Yuu si sarebbe precipitato ad esibirsi in Cosplay ad Harajuku, giusto per avere un po' d'adorazione dalle folle e per provare che era meglio di Go anche nelle canzoni da anime. Al pensiero, un sorriso le sfiorò inevitabilmente le labbra. "Quando ti vedrò?"
Aya ci pensò su un momento.
"Sabato?" propose, conteggiando gli impegni e ricordando a se stessa che quel giorno era mercoledì.
Yuu esitò.
"Solo a cena, allora." mormorò, come se ci avesse ragionato a lungo. Sembrava si volesse scusare d'essere impegnato, mentre Aya si disse che era un'altra delle cose che avrebbe dovuto prevedere: non stava certo parlando con un impiegato che passava il weekend in un solitario limbo di manga porno a basso costo e ramen precotto. "A mezzanotte abbiamo un party e ti porterei, davvero, ma quegli squali dei miei manager si fionderebbero, per non parlare dei giornalisti..."
"Yuu, va bene. Davvero. Abbiamo appena deciso di tenere un basso profilo, no?"
"Si, ma ci sono giorni più vicini. Potremmo uscire prima di sabato e vederci per più tempo."
Aya scosse la testa, sinceramente dispiaciuta.
"Ho degli impegni, mi dispiace." si scusò. Erano già troppe le cose che aveva trascurato negli ultimi giorni in favore di Yuu, ma sentiva di non poter lasciare la presa sulla propria vita in favore di quella cosa che non sapeva nemmeno se chiamare relazione.
Sarebbe stato ingiusto.
Sapeva che Yuu avrebbe compreso e, quando lo sentì mormorare un 'hm-hm' di comprensione, tirò un tacito sospiro di sollievo.
"Allora va bene, ti passo a prendere per cena? Direi otto?"
La ragazza sentì d'essere davvero fortunata, ma pensarlo per la prima volta le diede una strana sensazione di calore. Stava conoscendo Yuu e non poté non chiedersi se non fosse la proverbiale 'buona volta'; magari il per sempre felici e contenti esisteva anche per lei, da qualche parte, e il segreto era solo lasciarsi andare.
"Ti aspetto" assicurò.
Stava già rimpiangendo di non aver mandato a monte tutti gli impegni e scelto una data più vicina.

 

 

“Va tutto bene?”
“Non potrei volere di meglio.”
Mirai inarcò la schiena, sognante, dando l'impressione di essere una gatta più che un essere umano. Recuperò le lenzuola di seta blu prima che scivolassero giù dal letto, ma non fece in tempo a muoversi che già una mano dal tocco caldo, familiare, la trattenne.
Mye, con i suoi occhi neri profondi come pozzi, la guardava e sembrava che la vedesse per la prima volta. Le piaceva quel suo modo di studiarla come se non fosse mai sazio, con l'atteggiamento reverente di un pittore che scopre la propria musa; se non fosse stata ormai troppo grande per certe cose, Mirai avrebbe parlato di amore.

“Sai, ancora non mi sembra vero. Tutto è così diverso, qui a Tokyo. Tu sei diversa.”
La ragazza sorrise, soffocando uno sbadiglio ma senza essere realmente stanca. Soddisfatta, sì. Stanca...no, non ancora.
Avrebbe potuto essere sveglia per sempre, in notti come quella.
Entrambi avevano lo sguardo annebbiato dalla soddisfazione e le membra pesanti, ma Mirai non si era mai sentita al sicuro come in quel letto.
Sapeva di non doverci cascare, ma più se lo ripeteva più si rendeva conto di esserci già cascata.
Ed una sera, dopo il turno all'hostess club dove lavorare, era stato semplicemente naturale accettare un drink per chiudere la sera: per natura si fidava troppo degli uomini, ma sapeva distinguere una brava persona da chi si voleva solo approfittare di lei.
Myeong Sun, per quanto ne dicesse Aya, era dolce e gentile: la chiamava e le faceva recapitare dei fiori al club e a casa. Pareva le volesse bene, eppure la conosceva da appena qualche settimana.
“Il Giappone è un bel posto dove scegliere di vivere, honey.” commentò, con sincerità “E Tokyo è nella mia lista di città da sogno. Sembra che tutto sia possibile, qui.”
“Concordo.” le sussurrò lui, baciandole la tempia “Se vuoi saperlo, oggi avevo una riunione molto importante per entrare nel vivo della città dei sogni.”
Mirai, sinceramente interessata, si rigirò nell'abbraccio dell'uomo.
“Ah sì?” domandò, guardandolo in viso per cercare indizi su cosa facesse. Avevano parlato di tutto, dallo sport ai libri preferiti, ma mai di lavoro. Ed era assurdo che lei sapesse che Mye amava la letteratura rivoluzionaria, da Keruak e Allen Ginsberg a Wang Shuo, ma non cosa facesse nella vita.
Prima dall'ora non era mai sembrato importante e anche adesso lui le sorrideva, pronto a far luce anche su quella piccola parte della sua realtà che ancora le era oscura.
“Eh, sì.”
“E com'è andato?”
“Meravigliosamente.” di nuovo, si chinò per baciarla. La punta del naso, questa volta, e la fronte. Con delicatezza, come se troppa pressione potesse rompere quella che era poco più di una ragazza, con il viso a cuore e le labbra sottili, quasi invisibili. “Era una specie di compendio per i dipendenti storici dell'Avex Group. Sai, personale specializzato. Nel mio caso si trattava di pubblicità, ma non voglio annoiarti-”
“No! No, continua. Mi fa piacere.”
Mye, sfiorandole la fronte con la propria, ridacchiò appena. Il suo tocco era leggero e profumava di sapone al mughetto, dopo la doccia che avevano condiviso. Anche le lenzuola pulite avevano addosso lo spettro del profumo usato da Mye, lo stesso che ormai caratterizzava i suoi vestiti.
“Ma guardati, sei arrossita.”
“Beh, io...”
“Sei così carina, Mirai-chan. Sei sicura che non ti annoio, parlando di lavoro?”
Lei, per tutta risposta, scosse la testa.
“Vorrei sapere tutto di te.” rispose con sincerità, ma sentendosi ugualmente un po' ridicola per il tono serio che aveva usato. Era sempre così: se riteneva che qualcosa fosse importante, importante davvero, finiva per esagerare. A lungo andare la gente se ne stancava e le rimproverava d'essere strana e infantile, senza capire mai perchè lei trattasse con tanta serietà discussioni stupide.
Ma, per Mye, era ancora presto e la trovava carina.
“Ecco, suppongo che tu conosca i To Bara, no? E' un gruppo abbastanza famoso.”
Mirai annuì, senza poter fare a meno di sorridere.
“Ovviamente. Beh, a Riiko in particolare, ma a me e alle mie amiche piacciono tantissimo. Ti ho parlato di Riiko, no?”
Mye, con una risata, asserì.
“La tua amica mangaka?”
“Sì, proprio lei. Ecco, lei ha la camera tappezzata di poster. Insomma, li adora. E, dicevi? Non volevo interromperti. Continua pure.”
“Vedi, ho iniziato a collaborare per l'Avex quando ancora cercava nuovi addetti stampa e pubblicitari in specifico per l'attuale band di punta. Io ho avuto la fortuna di lavorare, in passato, per l'ambiente pop coreano e quindi mi hanno chiesto di gestire i contatti per il tour nazionale.”
Mirai sbattè le palpebre, inclinando il viso leggermente di lato.
“E' fantastico, Mye. Davvero.” mormorò, stringendogli le braccia attorno ai fianchi. Esile com'era, e considerato il fisico ben piantato di Mye, non avrebbe potuto fargli male neanche volendo. “Ma tour nazionale? Non sapevo ne programmassero uno.”
“Beh, sai tenere un segreto?” domandò lui, facendo l'occhiolino. “Dopo questa rivelazione, sarò costretto a ucciderti. O tu a frequentarmi per sempre.”
“Non mi dispiacerebbe.” confessò Mirai, con tutta la sincerità del mondo. Lui le piaceva troppo per lasciarselo scappare, segreto o non segreto.
Non era facile, nel suo lavoro, trovare uomini così gentili -e il modo in cui le sue guance avevano assunto una tonalità ciliegia alle parole della ragazza, beh, era adorabile. "Ma qual è questo segreto di stato? Sono curiosa."
“Ah, ecco. Sì. E' un tour a sorpresa, con tappe ancora da definire. E' già deciso, sebbene non sia ancora ufficiale, che passeranno alla Sony. Sai, il grande salto per il successo mondiale.” Mye scosse le spalle, chiudendo gli occhi. Improvvisamente sembrava stanco, molto stanco. “Forse vogliono dire arrivederci prima di trasferirsi in America, non lo so. Fatto sta che abbiamo un lavoro stimolante e questo è bene.”
Mirai annuì, elettrizzata dalla notizia.
Un nuovo tour a così poco tempo dal precedente significava concerto, e concerto al Tokyo Dome voleva dire festa tra ragazze: un party d'addio per lei, Aya e Riiko, perchè è di dovere festeggiare insieme i successi dei propri idoli.
Appoggiò la testa sul petto dell'uomo, sorridendo fra sé e sé.
“Meraviglioso. Sono felice per te.”
“Grazie. E ora, la tua scelta? Morire o stare con me? Scegli bene, tesoro, potresti pentirtene.”
La ragazza, ridendo di cuore, lo abbracciò senza dir nulla.

Dormire per l'ennesima notte di fila in quel letto, fra quelle bracia, doveva per forza essere la tacita riposta alla loro domanda da un milione di dollari.




@Note

Bonsoir, mie care creaturine! 
Questo ritardo non è stato voluto, purtroppo, ma la settimana scorsa mi sono trovata ad affrontare un lutto che non mi aspettavo affatto e capirete bene perchè non avevo alcuna voglia di mettermi al pc e revisionare. Se stare su Facebook e recensire vuol dire svagarsi e non pensare, per me scrivere è come liberare tutti quei pensieri che non so come smaltire altrimenti. Capite perchè, insomma, sono stata per un po' lontana dalla tastiera. 
Questo, ovviamente, non è un buon motivo per giustificare la qualità (a mio parere bassa) del capitolo. L'ho riscritto due o tre volte, ma non vuole venir fuori come lo vorrei. A fine storia lo sistemerò, probabilmente. 
Detto questo, per chi non seguisse Uta No Prince-Sama, Maji 1000% Love è una (lollosissima e imbarazzante come poche cose) opening e vi lascio il link qui nel caso vi interessasse. Fidatevi che potevo fare di peggio, potevo far cantare Yuu vestito da donna -sì, il mondo degli anime è grande e pericoloso xD
Con l'inizio degli esami spero di essere più puntuale, non temete!
Vi voglio bene!

Ellie

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Capitolo 6
*** Tankōbon 6. Errori ***


                 

 

VI

 


Mi chiedo cosa mi abbia spinta a compilare quel modulo,
sul cui apice capeggiava la pretenziosa promessa: 'troverai il partner perfetto'.

Ancora oggi lo reputo una stupidaggine.”
-Aya

 

Con sua somma sorpresa, Aya aveva scoperto che la macchina mandata da Yuu non l'avrebbe portata in un ristorante tradizionale, ma in un locale stellato che serviva anche un hotel di lusso.
Niente atmosfera intima, niente salette e luci soffuse.
Un bel cambiamento, pensò.
Sorridendo all'autista, la ragazza mascherò la leggera delusione: aveva dato quasi per scontato, sapendo dell'amore del cantante per la cucina giapponese, che si sarebbero rivolti ai locali che lei stessa aveva imparato ad amare. In realtà -errore- non si era fatta troppi problemi a fantasticare su tutti i tipi di pesce e crostacei che avrebbe potuto mangiare. Quasi quasi sperava nel manzo di Kobe, questa volta, e se lo vedeva sfumare fra le dita come un sogno dal brusco risveglio.
Comunque, fu contenta di aver scelto (grazie all'aiuto di Google e di una Riiko sull'orlo di una crisi di nervi, convinta che dovesse uscire con delle colleghe) un vestitino color salmone dal taglio che ricordava un Cheongsam: si era rivelata una scelta sicura e confortevole, anche se un magari poco patriottica.
Per la prima volta in molto, molto tempo si sentiva carina.
Sapeva che, con il suo leggero varismo e l'odiatissima corporatura a manico di scopa, un vestito corto avrebbe messo in risalto la totale assenza di curve e l'asimmetria delle gambe secche, con le ginocchia tonde e sporgenti. Non aveva un bel fisico proporzionato come Mirai, quindi doveva selezionare gli abiti con cura per minimizzare i difetti.
Difetti che, a ben pensarci, erano davvero tanti.
Aya non era mai stata particolarmente bene con le persone, ma troppo debole per mandarle via; non sapeva dire di no, a meno che non si trattasse di rapporti intimi, e quando si spaventava spingeva via la gentilezza altrui. Diventava mordace, se spaventata.
Era secca secca e con le ossa così in rilievo da far paventare l'anoressia e si stancava molto facilmente.
Non portava i tacchi se non per lavoro.
Passò il viaggio in auto a chiedersi come mai proprio lei fosse stata scelta da quella Love Calc, ma pur pensandoci a fondo non trovò la risposta.

 


 

“Ah, ma quello è il video di Plum-chan!” esclamò Aya, sussultando appena. Era arrivata da poco, giusto il tempo di farsi accompagnare al tavolo, salutare Yuu con un inchino ed arrossire furiosamente quando lui si era alzato per darle, invece, due baci sulle guance.
Alla maniera europea, aveva detto lui, con un sogghigno -la stava prendendo in giro, e Aya non seppe se ridere con lui della propria reazione esageratamente timida o tirargli uno schiaffo. Nel dubbio, non fece nulla.
Non senza fatica, si scosse di dosso la sensazione di gelo che l'aveva attanagliata sentendo il proprio spazio vitale minacciato e prese posto aiutata da un cameriere in giacca e cravatta.
Ecco, ci mancavano pure i testimoni, aveva pensato, che figuraccia. Per fortuna, però, con Yuu non c'era davvero tempo per crogiolarsi nell'imbarazzo.
Tra le altre cose, complice la buona compagnia e la frenesia dei saluti, la ragazza non aveva affatto notato la musica proveniente dalla televisione prima di quel momento.
“Ti piace?” domandò Yuu, sollevando un sopracciglio.
“Un sacco: è colorato, sembra una specie di mondo delle caramelle...mi fa venir voglia di mangiare dolci ogni volta che lo vedo.”
“Sinceramente, lo trovo orribile.” commentò lui e Aya, quando alzò gli occhi, si accorse che si era voltato un po' per osservare il maxi schermo dove una ragazzina in costume da fata volteggiava in un mare di note e marshmallow e dolciumi dai colori pastello.
Cantava bene, Plum-chan, ma non era certo destinata a lasciare il segno: nessuna Idol lo faceva mai.
“Io la trovo carina.” replicò Aya, quieta, piluccando dal cocktail di gamberi che si era trovata sul tavolo. Quello, e il bicchiere pieno di vino bianco: ad un lusso del genere avrebbe anche potuto abituarsi. “La canzone non è male.”
“Infatti è orecchiabile, ma il montaggio è un disastro. Mi chiedo cos'abbia in testa il suo produttore...ah, lei sarà su tutte le furie.”
Aya sbattè le palpebre, posando la forchetta.
“La conosci?” domandò, non senza sorprendersi ancora una volta.
Yuu le scoccò un sorriso beffardo, arricciando appena gli angoli della bocca.
“Ovviamente. Il mondo dello spettacolo è piccolo, dovresti saperlo anche tu.”
Aya scrollò le spalle, guardando altrove.
“E come? A parte quello che leggo nelle riviste, dici?” domandò, con voce piatta. Non sapeva perchè, ma quel commento l'aveva stizzita: lì per lì lo attribuì alla mancanza di delicatezza con cui Yuu la comprendeva in un ambiente che le era in realtà estraneo, ma la realtà era che lei stessa lo percepiva come una mancanza.
Erano diversi, loro due. Vivevano in modo diverso, a partire dal caffè sino al momento in cui andavano a dormire. Eppure Yuu aveva sorriso e insistito.
Naturalmente, sì, perchè lui era un principino del Goth con quella sua corona da Re delle Zucche, lui poteva forzare la mano senza essere rimesso al proprio posto da un vecchio capo ufficio con la voce da rottweiler.

“Ma no, o'baka. Voglio dire, ormai saprai qualcosa dell'impresa dello spettacolo, no?”
Eh, ovvio.
E per cosa, per osmosi? Pensò Aya, ancora più infastidita Ma chi si crede di essere?
“No, non lo so.” sbottò, incupita. La rattristava ammetterlo, ma del mondo in generale sapeva davvero poco. “Sei tu che ci lavori, noi comuni mortali siamo tagliati fuori.”
“Tu non più.”
Quelle parole, con tutta la pesantezza di macigni, le crollarono addosso. Sentiva lo sguardo di Yuu su di sé, che studiava la sua reazione, forse aspettandosi una scenata isterica o magari un 'grazie'. Grazie per avermi strappato alla normalità, Yuu.
Grazie, Santo Yuu delle cause perse.
Ti sarò riconoscente a vita.
Ma non gliel'avrebbe mai detto, in fondo, perché lei amava la sua normalità e la sua ignoranza riguardo tutto ciò che era famoso e complicato. Stava bene nella sua scatola, lei, e quando aveva compreso che l'amore richiedeva uno sforzo ulteriore aveva chiuso fuori anche quello.
Così era semplice.
Era indolore.

“No, Yuu.” lo corresse, senza guardarlo. Non voleva essere sgarbata, ma davvero non trovava un altro modo, né un'altra scappatoia per fargli capire che non avrebbe desistito, ma nemmeno si sarebbe lasciata trascinare da quella marea che lui aveva portato con sè. “Io sarò sempre una comune mortale.”
Aya era preparata a qualsiasi risposta.
Qualsiasi.
A parte, naturalmente, quella che ricevette.

Non si sarebbe mai aspettata il silenzio, né Yuu che si tendeva verso di lei da sopra il tavolo, rovesciando il proprio bicchiere nell'atto. Non si sarebbe mai aspettata il gesto brusco, frettoloso, con cui le prese il polso e la avvicinò a sé per quanto possibile.
Non si sarebbe mai aspettata quel bacio, proprio davanti al ristorante intero.

 

Yuu non riusciva a spiegarsi quel gesto. Era accaduto tutto troppo in fretta, sfidando la prudenza e il buon senso , e prima di potersene accorgere si era ritrovato con n un bicchiere in frantumi e un enorme rischio tra le mani.
Se gli avessero chiesto perché, non avrebbe saputo rispondere.
Improvvisamente, quando Aya aveva risposto alla sua provocazione con tutta la sincerità di una ragazza i cui sogni erano stati disattesi, Yuu aveva sentito una fitta allo stomaco.
Lei sarebbe stata sempre diversa da lui, aveva detto.
Senza un motivo aveva solo voluto provarle che aveva torto, che le favole da tabloid potevano diventare realtà e che i sogni si realizzavano.
Era impossibile tenere sotto controllo il bisogno di sentire quella pelle sotto i propri polpastrelli, impensabile accontentarsi di immaginare il fantasma di Aya come nessuno l'aveva mai vista, con lo sguardo annebbiato e la fronte imperlata di sudore, a metà fra la penombra di una camera da letto e la luce del ristorante.
Ma quello era solo una parte. La solita parte, a dirla tutta, quella con cui conviveva da anni e che allineava le donne che aveva conosciuto come dei trofei, come figurine da collezione tutte uguali, quasi sempre mediocri.
Di solito la controllava, in realtà: non era un bambino, Yuu, non lo era da molto tempo.
Aya invece sì; lei era innocente ma ferita da una quotidianità implacabile, schiacciata a trent'anni dall'etichetta di normalità che le era stata cucita addosso.
C'era qualcosa di terribilmente ingiusto in quella stupida, semplice frase: 'sarò per sempre una persona comune'.
Suonava come una resa, una sconfitta così terribile da spezzare il cuore, tanto che Yuu si vergognò un po' nel riscoprirsi attirato da tutto quel dolore. Era carina, Aya, disillusa e più bella che mai. 
Era coraggiosa nel suo credere in niente, perché le illusioni erano il cibo preferito di Yuu e non aveva idea di come fare a vivere senza.

Quando la tirò a sé e decise in un battito di ciglia che baciarla fosse la cosa giusta, lo fece perché le parole di Aya l'avevano scosso più di ogni altra cosa al mondo.
Non la capiva, la compativa, l'ammirava, la voleva.
La baciò come se potesse rubarle tutta la rassegnazione che aveva in corpo, per aiutarla a far spazio nell'animo per qualcos'altro di meglio. La baciò come se lo volesse anche lei, senza chiedersi nulla, senza pensare, fidandosi di quella stretta allo stomaco che gli diceva fallo e basta.
Non era un bacio diverso da quelli che aveva dato ad altre, ma questa volta la lussuria era tutto fuorché l'unico motore del suo gesto.
Era stordito e lucido insieme, con una vaga sensazione d'urgenza che non si sapeva spiegare. Era sul ciglio di un burrone, doveva scappare, doveva scrivere quelle parole che gli ronzavano in testa e doveva affrettarsi a uscire di lì e portare Aya in un posto dove potesse vedere il mondo come lo vedeva lui.
Tutto questo l'aveva pensato in una manciata di secondi, tempo per un bicchiere di rotolare oltre il bordo del tavolo e di infrangersi a terra.
Un istante dopo, lei già non c'era più.

Non ci poteva credere.

Eppure era successo, con la rapidità di un tornado, ed un momento dopo Aya era scappata fuori dalla sala e dal ristorante. Era saltata sul primo taxi, ben cosciente della voce che la chiamava, chiedendole di tornare, di perdonare. Anche se non c'era niente da perdonare, dopotutto.
Aya non riusciva a permettersi d'innamorarsi, per quanto potesse provarci e sforzarsi e dirsi che non sarebbe stato poi così male
Cercò di dirsi che quel bacio non era significato niente solo perché era stato improvviso, inaspettato, e che aveva lasciato un segno, da qualche parte, magari troppo a fondo perché lei stessa se ne accorgesse ora che era sconvolta.
Si sfiorò le labbra con la punta delle dita, sconvolta e con un nodo alla gola.
Non era stato un contatto delicato, ma impulsivo e bizzarro come ogni altro gesto di quell'uomo che pareva uscito da una macabra favola moderna. Le labbra di Yuu erano tiepide, ma ruvide e screpolate. Eppure, non poteva fare a meno di pensare a se stessa, lei che ancora una volta non aveva risposto né opposto resistenza, rimanendo come una bambola di legno.
Nulla.
Non aveva sentito nulla.
Anche volendo, ora sapeva, ciò che avevano tentato di fare era davvero impossibile.



@Note:

Hollaaaa <3 Capitolo che è pronto da seeecoli, BUM, ma ho preferito finire la fic prima di postarlo. In caso, y'know, questa scena avesse creato problemi alla trama -cosa che invece no and I'm so happy <3 Abbiamo qualcosa come 15 capitoli to go, ancora, e in realtà ero stata totalmente assorbita da un'altra OTP -ma questa è una storia a parte- ma non ho dimenticato questa long. Affatto.
Niente, ecco, Yuu piccino ha fatto la stupidaggine. Era solo questione di tempo, lo sapete tutti, ma descrivere la reazione di Aya mi ha intrigata lo stesso moltissimo. E niente, è tutto qui. <3
Thanks, y'all.  
Xx

 

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