Carbonio 14

di Gelidha Oleron
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***



Capitolo 1
*** I ***


L'avevo detto, che ci saremmo risentiti Emoji ma quanti preamboli devo fare su questa storia! D:
Allora: partiamo dal presupposto che sto provando a scriverla dall'anno scorso (!!!), aggiungiamoci pure che il documento a cui mi sono ispirata l'ho avuto quattro anni fa (!!!) e finiamo col dire che pensavo non avrebbe mai visto la luce, data la mia scarsa permanenza su Efp negli ultimi tempi.
Il documento di cui sto parlando è un estratto di "Preghiera per Cernobyl" di Svetlana Aleksievic in cui un testimone diretto della tragedia nucleare dell'86 (Nikolaj Fornir Kalugin) parla in prima persona della sua esperienza (non so se potete trovarlo sul web, ma se ci riuscite vi consiglio vivamente di leggerlo perché dopo quattro anni io ancora non riesco a dimenticarlo).
Volevo scrivere una storia introspettiva su un OC inserendo tutti i medici presenti in One Piece (da Trafalgar Law e Chopper a Hiluluk) e, per fare ciò, mi sono documentata sul disastro nucleare di Cernobyl ma ho deciso di ambientare la vicenda in Inghilterra.
Contemporaneamente, ho preso spunto anche dalla saga di Punk Hazard e dai pasticci che combina Ceasar nel suo laboratorio! Così, tra realtà e finzione (anche per non renderla troppo pesante) spero vi piaccia : )
Ovviamente è un AU, molto diversa dalle cose che sono abituata a scrivere di solito, ma spero ugualmente che possiate apprezzare!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
"Stai vivendo... da uomo qualsiasi. Piccolo.
Come tutti gli altri, vai al lavoro e ritorni dal lavoro. Ricevi una retribuzione media.
Una volta l'anno vai in ferie. Un uomo normale!
E di punto in bianco, un giorno ti trasformi in un uomo di Cernobyl.
In un fenomeno da baraccone! In qualcosa che incuriosisce tutti
e che nessuno sa cosa sia. Tu vorresti essere come tutti, ma non puoi.
Non ti è più possibile. Ti guardano con occhi diversi.
Ti fanno domande: hai avuto paura laggiù?
Hai visto bruciare la centrale? Com'era? Cos'hai visto?
E, in generale, puoi avere dei figli? Tua moglie non t'ha lasciato?
All'inizio siamo diventati dei fenomeni ambulanti... tuttora la parola "cernobyliano"
è come un segnale acustico... si voltano tutti a guardarti... viene da laggiù!"
 
 
(Preghiera per Cernobyl, S. Aleksievic)
 
 
 
 
CARBONIO 14
 
 
 
 
"...e così, la pioggia del 31 agosto si portò via il sole, le risate, il caldo e la spensieratezza tipica delle giornate estive, lasciando spazio alle gocce incessanti, ai sospiri rassegnati e ad un grigiore angoscioso nel cielo che proprio non si addiceva al ridente villaggio della Cornovaglia in cui stiamo per viaggiare..."
 
 
 
Ecco, così sembrerebbe un inizio perfetto, abbastanza tenebroso, il misto giusto di lugubre e sereno: il momento in cui lo scrittore posa la sua penna sul foglio, soddisfatto del suo lavoro, e i suoi lettori sono curiosi di cosa andranno a scoprire; oppure questa semplice e nuda premessa che compare su un grande schermo del cinema e gli spettatori, impazienti, non vedono l'ora che cominci il film e iniziano a sussurarsi a vicenda le proprie aspettative.
Il problema dei massmedia è proprio questo: possono dare agli spettatori una versione "di parte" di ciò che andranno a trasmettere; non sarà mai come se fossero lì di persona a guardare con i propri occhi la Savana dei documentari, non potranno mai provare davvero il significato delle grandi opere letterarie se non attraverso un tramandare passivo che è proprio degli autori, non saranno mai toccati a fondo da ciò che qualcun altro ha visto o ha scritto per loro, non sarà mai paragonabile ad una sana esperienza diretta.
Chi non ha vissuto St. Paul, non può capire di cosa si sta parlando. Non basta documentarsi su internet, non basta leggere gli articoli di giornale per capire la rabbia e la disperazione delle persone che morirono in quell'orribile incidente; non basta nemmeno ascoltare un testimone diretto come, in questo caso, la sottoscritta: per sperare di comprendere una tragedia, bisogna viverla.
È ridicola persino la pretesa di voler letteraturizzare ad ogni costo la sofferenza, di volerne fare uno show, un fenomeno da baraccone, una sorta di "Guardatemi, sono una vittima" agli spettatori incuriositi.
La verità è che nessuno di noi sembrava pensarla in questo modo prima di tutto ciò, nessuno avrebbe mai osato credere che tale catastrofe potesse abbattersi su di noi. Nessuno avrebbe potuto considerarsi neanche lontanamente pronto ad affrontare ciò che stava per succedere...
Molti anni prima che io nascessi, mi raccontavano i miei genitori, quando il nostro piccolo paese viveva ancora di materie prime, agricoltura e allevamento di bestiame, quelle grandi torri che sputavano fumo non c'erano: erano state costruite di recente, con il passare del tempo e del progresso, con l'avanzata dell'industrializzazione, con la corsa alla modernità che, come tutti gli altri luoghi limitrofi, anche l'Inghilterra si era decisa ad intraprendere.
St. Paul era un piccolo villaggio della Cornovaglia che non contava chissà quanti abitanti, chiunque voleva sperare in un futuro migliore, ricco di cultura semmai, avrebbe fatto meglio a trasferirsi a Londra o, comunque sia, in qualche grande metropoli che non fosse il sudovest della Gran Bretagna.
Personalmente, posso dire di essere sempre stata incoraggiata da parenti e amici a fare lo stesso, nonostante io fossi restia ad abbandonare la mia famiglia e il mio luogo natio. D'altra parte, mio padre era un semplice agricoltore e aveva tanto risparmiato durante gli anni per permettermi di frequentare l'università, sogno che non potevo proprio permettermi di fargli a pezzi. Inoltre, studiare era anche una mia ambizione: ero cresciuta con il mito di Londra, con le letture di Shakespeare, di Dickens, di Hardy.
La lettura come mezzo di evasione, come porta dei sogni, come chiave di accesso all'immaginazione, un giorno potevo essere la disperata ed infelice Juliet Capulet e un altro la fantasiosa e schietta Elisabeth Bennet, mi crogiolavo nell'Inghilterra seicentesca e viaggiavo attraverso paesi stranieri che, probabilmente, non avrei mai visitato in vita mia.
Insomma, ero impaziente di partire e non vedevo l'ora di poter immergermi ancora di più in quella che era la mia passione. Fato volle che alla vigilia della mia partenza per Londra, accadde ciò che accadde: mi trovavo in strada con mio padre per sbrigare le ultime commissioni quando, improvvisamente, luci incandescenti apparvero nel cielo, una più abbagliante dell'altra, parevano fuori d'artificio, stelle filanti a cui, tutti i passanti, alzavano gli occhi sorpresi.
"Guarda, papà!" esclamò innocentemente una bambina dietro di noi stringendo le mani dei suoi genitori, come se quelle girandole di stelle enormi che si accendevano e poi si spegnevano fossero l'omaggio finale di una grande festa.
Preannuncio della tragedia, ultimo sospiro felice di un popolo ingenuo, la devastazione, il disastro.
"Alison, cosa..." provò invece a chiedermi confuse spiegazioni mio padre, ma prima che potesse terminare la frase, ecco seguire alle luci una scia di fumo infuocato e dei rumori assordanti simili a vere e proprie esplosioni.
Un vociare spaventato cominciò a levarsi dai presenti, qualcuno iniziò a darsela a gambe.
"Papà, io credo che..." esordii, incerta, notando solo in quel momento che sia le luci che i rumori sembravano provenire dalla centrale nucleare di Punk Hazard "...Ceasar probabilmente starà combinando qualcosa"
Purtroppo, come a conferma delle mie avventate supposizioni, le scintille che avevamo visto poco prima presero a caderci addosso, come lame infuocate, al che tutti gli abitanti di St. Paul scapparono via in preda al panico.
"FUGGITE!" tuonavano "PERICOLO MORTALE! PERICOLO MORTALE!"
"Ma cosa succede?" chiedevano le donne, prendendo in braccio i bambini in lacrime e correndo senza meta "Qualcuno si degna di spiegarci cosa diavolo sta succedendo?"
Terrorizzata, cercai di portare mio padre al riparo prima che una di quelle scintille ci colpisse, ma eravamo entrambi troppo confusi per dire qualcosa.
Ci coprimmo al di sotto di un capannone inferriato che poteva ospitare una decina di persone impaurite, tutte a domandarsi istericamente se qualcuno ne sapeva più dell'altro, e ci restammo per una mezz'ora buona.
Avrei voluto tranquillizzare mio padre, ma non riuscivo a non stare in silenzio: ero silenziosa perché, pur avendo un piccolo sentore di ciò che probabilmente stava accadendo, non ne avevo del tutto la certezza, e allora mi tormentavo i pensieri, facevo congetture, mi mordevo il labbro inferiore, il tutto condito con una massiccia dose di puro terrore.
La pioggia di scintille bianche infernali... chi potrà mai più dimenticarla... le lame fattesi sempre più fitte, le urla, la follia, il fuoco adesso, i rumori dell'esplosione, il fuoco sul riparo, il fuoco su di noi, mio padre brucia, il sangue nei miei occhi, la morte, la morte, solo la morte, la morte e il buio, il buio e la morte.
"Mamma..." un sospiro dimenticato.
Cercai di far riprendere mio padre, ma con scarsi risultati e allora presi a piangere, in preda alla disperazione, confusa sul da farsi e nel bel mezzo della folla spaventata più di me.
Provai ad uscire fuori dal riparo, avrei voluto correre da mia madre, ma lì fuori era peggio che dentro: allora mi tormentai, le mani nei capelli, le dita sporche di sangue, la consapevolezza di una vera e propria catastrofe che mano a mano cominciava a farsi spazio nell'immaginazione di tutti i presenti.
La pioggia divenne più fitta e violenta e allora l'aria fu irrespirabile, priva di ossigeno, soffocante e deleteria. Molte persone caddero a terra prive di sensi e tra queste anch'io, incapace di muovere un dito, immobilizzata, inerme.
E intanto l'agitazione e il sonno perenne, la confusione generale e la paura regnante mi fecero sprofondare nell'abisso più profondo, facendomi credere di essere morta.
Tremendi i sogni durante l'agonia, sognai i miei genitori che si allontanavano da me come immersi in un buco nero, un ponte che da St. Paul mi collegava a Londra spezzato in due e irrimediabilmente in fiamme.
Nell'inferno, le mie membra contorcersi, la mia voce fuori di me urlare, ma tutto veniva da un altro mondo, non apparteneva al presente, era come ovattato e dimenticato nel tempo...
"Signorina, si calmi..."
I libri che speravo di studiare al rogo, le aspirazioni bruciate, vaporizzate, attorniate da una nube tossica che mi era ormai entrata dentro e mi dilaniava l'anima...
"Si rilassi, stia tranquilla..."
Le fiamme e i loro volti, le scintille e il disastro, la morte, l'esplosione, la tragedia, il sudore...
"CEASAR!" urlai alzandomi di scatto e aprendo gli occhi violentemente.
Seguì un attimo di incessante silenzio in cui mi accorsi di essere di fronte ad un perfetto sconosciuto, un diavolo magari, che pesava con gli occhi ogni mio ansante e disperato respiro.
Silenzio. Aria. Affanno. Un nuovo luogo. Passare del tempo. Come se mi svegliassi nel bel mezzo della mia agonia.
L'uomo che mi guardava sembrava un angelo della morte senza ali nere: i suoi occhi erano profondi e grigi, i suoi capelli corvini e la sua espressione di indecifrabile professionalità.
Lo trovai immediatamente bellissimo. Di una bellezza decadente, di una bellezza maledetta ma salvifica.
Non so per quale strano motivo per me allora incomprensibile, ma non appena lo vidi mi sentii subito al sicuro e, dopo aver smesso di agitarmi, chiusi gli occhi e mi addormentai beatamente con quest'infusione di serenità. ©
 
 

 
Dunque, il nome "St. Paul" è chiaramente inventato, non mi andava di scegliere una località reale.
Mi sono molto informata anche sul Carbonio 14 e, dai pochi rudimenti di chimica che mi restano, so per certo che è un elemento radiattivo xD anche se non sono sicura fino in fondo che sia usato nelle centrali nucleari (più che altro è utilizzato per la datazione dei fossili), però in questo caso vi chiedo di lavorare un po' di fantasia: non studiando più chimica, non sono molto ferrata sull'argomento e dalle ricerche che ho potuto fare su internet ho trovato che nelle nubi tossiche sprigionate dalle centrali nucleari tra gli elementi più abbondanti ci sono il Cesio 137, lo Stronzio 90 e lo Iodio 129.
Tuttavia, ho deciso d'inserire il Carbonio 14 e d'intitolare la storia in questo modo proprio perché è uno dei pochi elementi che conosco meglio ma, nonostante ciò, lo userò in modo "fantasioso", cioè inventerò deliberatamente i suoi effetti (ve lo dico in anticipo così se c'è qualche studente/essa di chimica chiedo venia e, per favore, non bacchettatemi T_T).
Anche il processo vero e proprio di "esplosione" della centrale nucleare è molto romanzato: in verità, gli abitanti di Cernobyl dovettero aspettare un paio di giorni prima che fosse loro comunicata la natura dell'incidente e fossero evacuati, mentre qui io ho scritto tutto di fretta e furia come l'eruzione di un vulcano (!).
Spero che il tutto non risulti troppo "pesante" ma nemmeno trattato con troppa leggerezza! Fatemi sapere cosa ne pensate Emoji 
 

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Capitolo 2
*** II ***


"A differenza delle altre malattie, la vita è sempre mortale.
Non sopporta cure.
[...]
Sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni
prospereranno malattie e ammalati.
Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni, ritorneremo alla salute.
Quando i gas velenosi non basteranno più,
un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo,
inventerà un esplosivo incomparabile,
in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti
saranno considerati quali innocui giocattoli."
 
(La coscienza di Zeno - I. Svevo)




 
Il cinguettio degli uccellini mi fece aprire gli occhi: luce accecante. Li strinsi, reprimendo l'impulso di richiuderli immediatamente.
"Oh, ben svegliata, signorina!" una voce amichevole mi accolse "Dormito bene?"
Mi sforzai per cercare di mettere a fuoco l'enorme sagoma sfocata che mi stava di fronte e, finalmente, dopo una manciata di secondi riuscii a riconoscere il volto di un giovane ragazzotto robusto con un camice bianco e un buffo cappello rosa.
"Oh, mi perdoni" si scusò, arrossendo, notando probabilmente l'espressione confusa sul mio viso "Io sono il dottor Chopper"
Sbattei più volte le palpebre e mi guardai intorno, rendendomi conto di trovarmi in una sorta di stanza d'ospedale sterilizzata con solo il mio letto al centro e svariati macchinari intorno. Le pareti erano di un azzurro pallido molto grazioso e le tende bianche davano su una finestra di cui, purtroppo, stesa com'ero non riuscivo a vedere l'esterno.
Feci per alzarmi, ma il ragazzotto me lo impedì "No, no, no, deve stare a riposo ancora per un po'... " spiegò, cercando di risuonare il più gentile possibile "Posso aprirle le tende, se vuole"
Feci segno di sì con la testa con veemenza, ancora troppo confusa per aprire bocca. Il dottor Chopper sorrise, dopodiché si avvicinò alla finestra e tirò via i veli bianchi, togliendomi quel poco di fiato che ancora mi restava: mare.
Meraviglioso mare azzurro, ancora di libertà, vita colorata che sprizzava davanti ai miei occhi e attraverso i vetri, violenta macchia cobalta a dispetto dei miei pensieri dapprima rossi ed infuocati, poi lugubri e neri.
Mi voltai in direzione del dottore con aria interrogativa, al che mi rispose semplicemente "Bristol"
"Come... " riuscii finalmente ad articolare qualche parola, con grande sorpresa mia ma anche del mio interlocutore "...come ci sono finita a Bristol?"
Cercai un momento di riordinare le mie idee, eppure in quell'istante nella mia mente non aleggiava altro che il vuoto totale, semplice risveglio da una dormita verosimilmente lunga.
Il dottore ignorò la mia domanda e, di rimando, mi chiese "Come si chiama, signorina?"
Riflettei per un attimo poi, come proveniente da un'altra dimensione, risposi con un filo di voce "Alison. Il mio nome è Alison Smith"
Si aprì in un largo sorriso "Molto bene. Le mando un'infermiera a prendersi cura di lei, avrà fame, vorrà lavarsi..." disse con ovvietà e, dopo un istante, ecco entrare una ragazza dai capelli rossi con un camice corto rosa "Dottor Chopper, mi ha chiamata?" s'intromise senza mezze misure, prima che l'altro avesse terminato la frase.
"Non ancora" sospirò il medico, spazientito ma anche divertito.
"Oh, ciao!" la donna si accorse che ero sveglia "Io sono Nami, piacere di conoscerti! Posso andare a prenderti qualcosa da mangiare?"
Riflettei un momento, poi decisi che sarebbe stato fantastico mettere qualcosa nello stomaco "Sì, per favore"
"Grandioso!" esultò l'infermiera che, subito dopo aggiunse "Dio, ha gli stessi occhi del dottor Law! È vero, Chopper?"
"Sì" confermò il giovane medico "L'avevo notato anch'io"
"Comunque" cambiò repentinamente discorso, puntando un dito minaccioso contro il ragazzotto col cappello rosa "Con lei dobbiamo ancora discutere sulla questione degli straordinari a causa dell'incidente di St. Paul! Crede che me ne sia dimenticata? Quanti extra non pagati sono stata costretta a fare!"
"Non è mica colpa mia!" parve allarmarsi inizialmente lui, ma liquidò il tutto con un semplice "Comunque, ne riparleremo più tardi. A dopo, signorina Alison" e sparirono entrambi oltre la porta.
Quando fui sola, dopo aver dato un'altra occhiata alla stanza, decisi di ritentare l'esperimento di alzarmi dal letto: lentamente e con la massima attenzione, cominciai col mettermi seduta e toccare il pavimento con le punte dei piedi: mi girò la testa.
Mi portai istintivamente una mano sulla fronte e mi accorsi dei tubicini che entravano nel mio braccio sinistro che erano collegati ad una flebo che mi andava dritta nelle vene.
Solo confusione, dimenticanza, bianco: nulla nella mia testa che poteva rimandarmi indietro nel tempo, non un indizio, non un minimo ricordo.
Chiusi gli occhi e feci un profondo respiro, dopodiché trovai la forza per alzarmi in piedi e, malgrado le vertigini iniziali, dopo un istante mi sentii più che bene.
Con la mano destra afferrai il bastone di metallo che reggeva la flebo, portandolo con me vicino alla finestra e aguzzando la vista. Ciò che vidi mi fece credere davvero di essere ascesa al paradiso terrestre: ampie vallate si estendevano in lontananza, facendo spazio al meraviglioso mare che sembrava arrivare fino al piano terra della struttura ospedaliera in cui mi trovavo, una clinica, come avrei saputo dopo.
Eccolo, l'Eden tanto agognato, desiderato, sognato; piccola, piccolissima umanità sognatrice che rischia di spezzarsi per sollevare troppe volte lo sguardo al cielo, con ambizione lo ammira e lo invidia, con devastanti e pericolosi effetti cerca d'ingegnarsi terrenamente.
Camminai circolarmente per tutta la stanza, facendo piccoli passi e cercando di abituarmici, poi improvvisamente notai dei giornali sulla superficie di un tavolo posto alla sinistra della porta d'ingresso.
Con un po' di esitazione, ne afferrai uno e lessi, con mio grande sgomento:
 
 
"DISASTRO ALLA CENTRALE NUCLEARE DI ST. PAUL, CORNOVAGLIA:
Tutti gli abitanti evacuati dal paese del sudovest dell'Inghilterra a causa dell'incidente manifestatosi il giorno 31 agosto, verso mezzodì, dapprima con l'apparizione di luci incandescenti nel cielo, successivamente con esplosioni e pioggia di materiale radiattivo.
"Non c'è di che preoccuparsi" annuncia il sovrano Donquijote Doflamingo "Soltanto una piccola avaria che verrà sistemata in pochi giorni grazie al contributo del fido scienziato Ceasar Clown" (responsabile della Centrale Nucleare della zona di Punk Hazard, ndr).
Più di cento le vittime della tragedia, c'è chi ha addirittura perso la vita e chi ha inalato sostanze tossiche dalla mastodontica nube di gas, formatasi in seguito all'esplosione, che minaccia di avvicinarsi ai cieli dei paesi limitrofi.
I medici dei complessi ospedalieri della zona sono immediatamente accorsi a prestare aiuto alla popolazione colpita, di cui la maggior parte è stata trasferita in ospedali o cliniche vicine per far sì che l'area sia evacuata completamente.
Sono trascorsi solo tre giorni dall'accaduto, eppure si parla già di conseguenze genetiche che si protrarranno negli anni.
In qualunque caso, c'è chi sostiene che Ceasar debba abbandonare il suo posto a Punk Hazard e chi invece continua a riporre le sue speranze in lui, come lo stesso sovrano. In attesa di ulteriori chiarimenti, attendiamo maggiori informazioni da entrambi."
 
 
Immediatamente, tutto tornò con violenza: le luci, i rumori, il terrore e il sangue.
I miei pensieri tornarono ai miei genitori, alla mia partenza stroncata sul nascere, a mio padre agonizzante nel tumulto, alle urla, a mia madre ad aspettarci in casa, alla disperazione, alla folla e alla morte.
Mai più li avrei rivisti, se le parole appena lette fossero state veritiere, mai più o forse un'ultima volta...
Non riuscii a riprendermi subito dallo shock, mi ci volle qualche secondo per riattivare i neuroni e calmarmi dal tremolio. Se tutto quello che c'era scritto sul giornale era vero, ero decisa a chiedere subito ai medici di quella clinica se potevo trovare mia madre nella stessa struttura oppure se era stata ricoverata da qualche altra parte.
La speranza di ritrovarla viva era in me più forte che mai... mai avrei potuto dimenticare gli occhi vuoti di mio padre sotto la pioggia incandescente: se da lui eravamo ormai state abbandonate, almeno avremmo continuato ad andare avanti da sole.
Così, con il volto rigato dalle lacrime e con le mani tremanti, provai a correre fuori dalla stanza, agitata, in preda al panico, preoccupata "Dottore! Dottore, la prego, mi dica dov'è mia madre!"
"Alison!" esclamò una Nami particolarmente sorpresa alla mia vista "Che cosa ci fa in piedi? Torni nella sua stanza, sto arrivando!"
"Dottore!" continuavo a piangere, senza più un lume di ragione "Mi dica dov'è mia madre, altrimenti morirò..."
"Alison, si calmi, per favore" l'infermiera sembrava più preoccupata di me "Va tutto bene, adesso chiamo il dottor Chopper e le faccio spiegare tutto con calma, d'accordo?"
Mi portai le mani sul volto, singhiozzando come mai avevo fatto prima di allora "Mia madre... mia madre..."
"Che cosa succede?" il dottore arrivò prima di quanto mi aspettassi "Oh, signorina Alison, non si sente bene?" si avvicinò a me con modi premurosi "Deve rientrare subito in stanza, per favore, poi potrà chiedermi tutto quello che vuole"
Feci come aveva detto e notai che fuori dalla mia porta c'era un cartello con su scritto "PAZIENTE IN ISOLAMENTO", parole che in quel momento mi misero i brividi ma alle quali non diedi troppa importanza a causa di questioni primarie.
Dopo che mi fui rimessa a letto e calmata un po', sia il medico che l'infermiera si sedettero accanto a me e Chopper incalzò "So cosa vuole chiedermi" abbassò lo sguardo e sospirò "Abbiamo cercato nei registri dell'anagrafe proprio adesso, non appena ci ha detto il suo nome, siamo riusciti ad individuare il domicilio di sua madre, ma purtroppo... sono desolato di dirle che lei non ce l'ha fatta"
Il peso del mondo cadermi addosso, lo sento, lo riconosco: è un mondo crudele, fatto in bianco e nero, è una girandola infernale in cui vige la legge del contrappasso, è una selva oscura, pericolosa, tenebrosa in cui accadono cose terribili, è giusto la bocca di un vulcano pronta ad inghiottire famelica le sue vittime.
Mamma, Papà, cos'ho fatto per meritare ciò? Forse sono stata troppo ambiziosa, ho puntato troppo in alto, mi è stato tutto improvvisamente derubato, tolto per sempre, mi hanno strappato i vestiti di dosso con così tanta violenza da lasciarmi ferite sanguinanti e ora mugolo, mugolo nel freddo e nel buio come un'orfana senza casa che attende solo di raggiungervi...©
 
 
 
Eccoci arrivati al secondo capitolo : )
Ho deciso di cominciare con l'emblematico finale de "La coscienza di Zeno" perché davvero ogni volta che lo leggo mi fa venire i brividi! Sono stata contenta anche di poter inserire un piccolo riferimento a Dante nell'ultima parte *W*
L'atmosfera volutamente confusionaria serve a dare un'idea della disperazione iniziale di una protagonista che ha praticamente perso tutto, ma vedrete che già dal prossimo capitolo le acque si calmeranno un po'.
Se avete dubbi, perplessità, sarò ben felice di rispondere! Anzi, spero veramente che possiate apprezzare questa storia e che non mi stia cimentando in qualcosa di troppo complicato e problematico xD
Datemi un vostro parere : ) alla prossima!!!

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Capitolo 3
*** III ***


"Splendi su splendi, o Natura, e riconforta le cure dei mortali.
Tu non risplenderai più per me.
Ho già sentito tutta la tua bellezza, e t'ho adorata, e mi sono alimentato della tua gioia;
e finché io ti vedeva bella e benefica tu mi dicevi con una voce divina: vivi."
 
(Le ultime lettere di Jacopo Ortis - U. Foscolo)
 


 
Dopo aver ricevuto informazioni sul decesso di entrambi i miei genitori dal dottor Chopper, mi decisi a fargli ricercare alcuni nomi dei miei cugini e di alcuni conoscenti, con la speranza di non essere rimasta del tutto sola al mondo.
Mi promise che avrebbe fatto tutte le ricerche e le annotazioni del caso e si congedò, augurandomi una buona permanenza in clinica e assicurandosi che fossi più tranquilla.
"Coraggio, cara, cerchi di mangiare qualcosa" l'infermiera Nami mi porse un vassoio contente della pasta e del pesce arrostito "Abbiamo la miglior mensa di tutto l'apparato ospedaliero inglese, può fidarsi" mi fece un occhiolino "Il nostro cuoco si chiama Sanji e, se ha qualche richiesta in particolare, sono sicura che sarà ben felice di accontentarla! Ha un debole per le belle ragazze!" aggiunse poi con un tono di rassegnazione nella voce.
Ringraziai e divorai il cibo in quattro e quattr'otto: in base ai veloci calcoli che feci mentalmente dopo aver letto l'articolo di giornale, ero rimasta priva di sensi per diversi giorni, di conseguenza i bisogni dell'appetito si stavano facendo sentire più forti che mai.
Nami mi guardò intenerita e, non appena ebbi finito, uscì anche lei dalla stanza con un sentito "Mi dispiace per i tuoi genitori, Alison" iniziando a darmi deliberatamente del tu.
Il pomeriggio volò velocemente, tra un pensiero confuso e l'altro, ma la mia notte fu segnata ancora una volta dagli incubi, mi dimenavo nel sonno e percepivo chiaramente le gocce di sudore colarmi lungo la fronte, quei volti che proprio non la smettevano di apparirmi continuamente, la pioggia bianca, il ghigno malevolo di Ceasar Clown.
Mi svegliai di soprassalto, agitata, decisa a commettere chissà quale crimine, a fare non so cosa, a compiere chissà quale follia, mi buttai letteralmente giù dal letto, strappando inevitabilmente i tubi che mi tenevano legata ai macchinari.
Non la voglio questa vita in solitudine, non voglio che i miei giorni trascorrano come le onde del mare, solo perché devono andare avanti, ma andare avanti perché? Preferirei che un fulmine mi cadesse addosso, vorrei essere stata anch'io una vittima della pioggia bianca e avrei voluto sparire dal mondo bianco e nero, andarmene con loro, per sempre, via...
I macchinari presero ad emettere strani allarmi, ma io non mi diedi per vinta: la paura e l'agitazione mi scorrevano nelle vene ma io ero più veloce di loro, iniziai a correre, a correre come una forsennata incurante dell'eventualità di poter svegliare gli altri pazienti, corsi via come se non ci fosse un domani, corsi via nonostante le tracce di sangue che lasciavano le mie braccia segnate dagli aghi.
Le lacrime provarono ad impedire la mia corsa verso la morte, ma nulla, nulla, ormai avrebbe potuto più fermarmi: mi appropinquavo inesorabilmente al mio destino, volevo toccare con mano le tragiche ferite di chi era stato ucciso nell'incidente nucleare... nucleare, nucleare, nucleare: ad ogni passo, questa parola mi metteva sempre più i brividi.
Arrancai fino all'uscita con la fortuna di non incontrare nessuno nei corridoi, fino a quando, improvvisamente, non mi ritrovai in una sorta di radura.
Mi fermai all'istante. Era come se fossi fuori, eppure mi trovavo ancora dentro, era una specie di giardino interno: recava archi di pietra, un santuario e fiori, meravigliosi fiori lilla che ricoprivano tutte le mura circostanti.
Provai a fare qualche incerto passo in avanti, ma tutt'a un tratto delle farfalle colorate si alzarono in volo e scapparono oltre il giardino, su verso il tetto aperto e nella direzione del cielo stellato.
Ne rimasi estasiata: ancora una volta, ebbi l'impressione di essere finita nell'Eden.
Alzai le braccia per toccare i fiori ma, proprio in quel momento, mi accorsi della pozza di sangue che si era creata a causa dei tubi che mi ero strappata poco prima. Mi girò la testa.
Che sia davvero questa la mia ultima e desiderata meta fatale? È come un sogno agognato e agonizzante, mi sento una ninfa dei boschi, la regina dei fiori, la dea delle farfalle, eppure il pensiero m'inchioda lì, nel passato: la sofferenza che non si cancella, il sangue che mi chiama verso il basso quando ora vorrei salire verso l'alto, mentre un unico, lugubre tormento si fa spazio tra i miei pensieri sotto shock: suicidio del corpo e della mente, anestesia per il dolore, buio totale e mai più risveglio.
Indebolita dalla perdita del sangue, caddi in ginocchio e ricominciai a piangere: non avrei dimenticato mai più quei giorni, il dolore, la sensazione di non meritare la vita e la voglia irrefrenabile di porre fine ad essa.
Ma poi, d'improvviso, ecco che tornò a farmi visita l'angelo della morte...
 
 


 
"Non ci ripensi a bucarsi di nuovo. Non le ricucirò le vene un'altra volta"
Stordita dal tono di voce soave, aprii gli occhi con curiosità ed eccolo, lì di fronte a me: era lui, il demone dalle ali nere, colui che mi era già apparso una volta durante le mie folli agonie e che ora, probabilmente, mi dava il benvenuto definitivo all'inferno. 
Violenta bellezza maledetta, che sia tu a trascinarmi con la forza nel ventre delle fiamme, che sia tu a traghettarmi per lo Stige fino alla meta conclusiva, dimmi che non lo merito, non lo merito, dimmelo più volte...
Ora potevo vederlo meglio dell'ultima volta: indossava anche lui un camice bianco, sulle braccia scoperte dalle maniche tirate su figuravano svariati tatuaggi neri, i capelli folti e scompigliati davanti agli occhi e un meraviglioso, disarmante sguardo grigio.
Ora riuscivo a capire l'allusione dell'infermiera Nami e del dottor Chopper: anche i miei occhi erano grigi, forse più chiari e meno intensi dei suoi, ma in qualunque caso capii di trovarmi di fronte al famigerato dottor Law.
"Sto morendo..." commentai con un filo di voce, la mia era un'affermazione più che una domanda, ma consideravo improbabile l'ipotesi che giusto ogni volta che perdevo i sensi, ci fosse sempre lui.
"Se è questo che desidera, non sarò certo io ad impedirglielo" scrollò le spalle come se nulla fosse, adagiando degli strumenti metallici su un tavolo di quella che sembrava una sala operatoria "Ma, per favore, non se lo faccia venire in mente oggi. Ho lavorato tutta la notte per metterle a posto le flebo e farle le dovute trasfusioni"
La sua affermazione spazientita mi mise inizialmente a disagio, ma poi mi mostrai riconoscente "Grazie. Non dev'essere stato semplice"
Mi guardò con aria incuriosita, alzò il mento e si passò la lingua sulle labbra. Rabbrividii.
"Incredibile quanto poco tempo ci voglia per togliere di mezzo una vita e quanto ce ne voglia per farla rinsavire, vero?" mi disse con tono quasi minaccioso, facendomi la predica "Un suicidio è veloce, facile, economico. È tutto il resto che è dispendioso: richiede energie, tempo, dedizione" fece una pausa in cui m'inchiodò con lo sguardo "E, come vede, tutto ciò non è sempre richiesto. Perciò, se mai lei dovesse decidere di riprovarci, io non la fermerò"
Quelle parole taglienti mi trapassarono l'anima, come se il sangue perso mi fosse fluito improvvisamente tutto nei sensi di colpa, incapace di parlare, muta di fronte a tanta sincerità e sfrontatezza, i miei occhi si specchiarono nei suoi come se il metallo presente in essi si fondesse a temperature incandescenti.
"Non lo rifarò" conclusi, decisa "Grazie per avermi salvato la vita, dottor Law" gli fui immediatamente grata per i suoi gesti e le sue parole.
Lui, per tutta risposta, si limitò a sospirare e a passarsi una mano dietro al collo con fare stanco "Le manderò un'infermiera ad accompagnarla in stanza" uscì dalla sala operatoria senza aggiungere altro, portando con sé la mia confusione e la mia, già guadagnata da un po', profonda stima.©



La disperazione di Alison si fa sentire di nuovo anche se, nonostante tutto, la ragazza sembra già più calma rispetto ai capitoli precedenti.
Comincio anche questa volta con un autore italiano, scegliendo una delle frasi a mio parere più belle delle lettere di Ortis che, secondo me, si addiceva alla perfezione a questo capitolo: infatti, malgrado la sofferenza e il tentato suicidio, Alison si ritrova improvvisamente in un luogo magico, in una sorta di limbo dove per un momento le sue "cattive" intenzioni sembrano vacillare di fronte a tanta bellezza naturale.
È un luogo che io ho visto veramente: si tratta del giardino interno del castello aragonese di Ischia.

È un luogo molto suggestivo, che mi ha immediatamente trasmesso qualcosa e, inutile dirlo, è stato un piacere cercare di riversare questo qualcosa in questa fan fiction, attraverso le emozioni della protagonista.
Che dire... spero che questa volta il seguito sia maggiore (!!!) : ) se ci siete, battete un colpo!
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** IV ***


 
 
 
 
 "Non mai il senso della vita è soave come dopo l'angoscia del male;
e non mai l'anima umana più incline alla bontà e alla fede come dopo aver guardato
negli abissi della morte. Comprende l'uomo,nel guarire,
che il pensiero, il desiderio, la volontà, la coscienza della vita non sono la vita.
Qualche cosa in lui è più vigile del pensiero, più continua del desiderio,
più potente della volontà, più profonda anche della coscienza;
ed è la sostanza, la natura dell'essere suo.
Comprende egli che la sua vita reale è quella, dirò così, non vissuta da lui;

è il complesso delle sensazioni involontarie, spontanee, incoscienti, istintive;
è l'attività armoniosa e misteriosa della vegetazione animale;
è l'impercettibile sviluppo di tutte le metamorfosi e di tutte le rinnovellazioni.
Quella vita appunto in lui compie i miracoli della convalescenza:
richiude le piaghe, ripara le perdite,
riallaccia le trame infrante, rammenda i tessuti lacerati,
ristaura i congegni degli organi, rinfonde nelle vene la ricchezza del sangue
,
riannoda sugli occhi la benda dell'amore,
rintreccia d'intorno al capo la corona dei sogni, riaccende nel cuore la fiamma della speranza,
riapre le ali alle chimere della fantasia."

(Il Piacere - G. D'Annunzio)



 
La clinica Rogers era praticamente immersa nel verde e dava giusto sulla baia di Bristol, una sorta di posizione strategica per risollevare gli animi dei pazienti almeno con un bel panorama. 
Contava tre piani, ognuno dei quali dedito ad una particolare tipologia di malattia: io ero ricoverata al primo, in una sorta di reparto speciale che avevano installato in quei giorni solamente per l'emergenza di St. Paul. 
Noi vittime ci trovavamo in isolamento dagli altri pazienti perché avevamo inalato forti gas tossici e, nonostante molte raccomandazioni di indossare mascherine e non girovagare troppo nella struttura, io proprio non riuscivo a stare ferma.
Inoltre, nessuno dei medici curanti prendeva particolari precauzioni con noi: in fin dei conti, le vittime che avevano riportato ferite più gravi erano state mandate negli ospedali più importanti di Londra, qui erano presenti solo coloro con danni relativamente deboli.
I medici erano molto vaghi con me, non mi dissero chiaramente a quali conseguenze avrebbe portato quest'inalazione perché, fino in fondo, non lo sapevano nemmeno loro; per di più mi parve di captare una certa disputa tra i dottori stessi sulle misure da adottare per far sì che mi riprendessi del tutto.
Combattendo il dolore e, successivamente la rassegnazione, mi convinsi ad infondere speranza ai miei giorni lì dentro: una speranza che ormai non avevo più, una vita che avevo perso, un'identità che non mi apparteneva.
Era come se sentissi la fine della mia esistenza ma, al contempo, la rinascita: un nuovo inizio.
Nei giorni successivi al mio tentato suicidio, accompagnata talvolta dall'infermiera Nami, talvolta da sola, avevo deciso di cercare di risollevarmi dalla mia sofferenza e darmi una mossa: innanzitutto, mi alzai dal letto con le dovute accortenze ed iniziai ad esplorare il luogo in cui mi trovavo.
Ogni giorno scoprivo un angolo nuovo della struttura: dopo quella notte, ero tornata svariate volte nel giardino interno coperto dai fiori lilla, era diventato come una sorta di pensatoio, un posto appartato dove potermi rilassare e riflettere in pace, accompagnata dal cinguettio degli uccelli.
Anche il personale si era accorto della mia particolare preferenza verso quel piccolo paradiso, infatti mi sorridevano e mi lasciavano da sola con me stessa.
Piccola conca dove la mia vita quasi giunse al limite, ricordavo la sua immagine come una visione paradisiaca nel bel mezzo del dolore e del sangue, divina apparizione delle farfalle come fate, tentativo di ascendere ma pessima ricaduta verso gli abissi: ora tutto aveva più senso, più colorati i fiori, con più forma gli archi di pietra, più intensi i profumi; tutto dopo il dolore acquisiva un aspetto migliore, più meritevole, da vivere.
Quel pomeriggio conobbi una nuova infermiera, Nico Robin, che come me aveva la passione per la letteratura.
"Mi piacerebbe poter avere dei classici da leggere" le confessai, sperando che in qualche modo potesse farmeli avere.
Mi sorrise affabilmente "Vedrò cosa posso fare" promise "Intanto, posso prestarle questo" mi porse un libro che portava con sé che aveva terminato di leggere giusto il giorno prima: si trattava delle poesie d'amore di Paul Verlaine.
"Oh, grazie" ne fu immediatamente felice e, a giudicare dalla sua espressione, avrei detto che lei fosse più felice di me.
Donare e ricevere non hanno sempre lo stesso prezzo: il ricevente talvolta è irriconoscente, superficiale oppure troppo timido per esprimere a pieno a la sua gratitudine; colui che dona lo fa senza interessi, animato solo dalla meravigliosa, rara voglia di veder nascere un sorriso sul volto altrui.





 
Fissai la mia immagine allo specchio: ero diventata più pallida, più magra, i segni della sofferenza ben visibili sul mio volto maturato. Il carré biondo era sempre lì, gli occhi grigi pure, le labbra sottili ed eccolo lì, un primo, debole accenno di sorriso ritrovato su quel viso malinconico e piangente.
Dopo quell'episodio notturno, non avevo più rivisto il dottor Law: i medici alternavano i loro turni continuamente e, fino ad allora, colui che avevo visto più spesso era stato il dottor Chopper.
Grande rammarico nel mio cuore speranzoso, cos'aveva quell'uomo di tanto benefico per me? Non facevo altro che rievocare la sua immagine ai miei occhi stanchi, venne a farmi visita nel sonno svariate volte, era meraviglioso, sincero, sprezzante.
Era come se avessi un bisogno fisiologico di averlo accanto, mi faceva sentire meglio, con le sue osservazioni taglienti m'insegnava a riflettere sulla vita: ah, desiderio smanioso di passare del tempo con chi conosciamo appena!
Non si avverte, ossessiva, la voglia crescente di parlare con la persona desiderata? D'incontrarla, anche solo per caso, per riempirsi l'anima della sua presenza? 
Quella sera andai a letto sospirando, ripromettendomi di gironzolare ancora di più per la clinica l'indomani. Una parte di me sperava anche di rivedere il dottore dagli occhi grigi ma, sfortunatamente, ebbi una brutta sorpresa.
"Che cosa fa, signorina, sogna ad occhi aperti?" mi sgridò una voce femminile, anziana, severa "Fili nella sua stanza e dorma, in questo reparto i pazienti devono stare in isolamento, non sa leggere?"
Mi voltai lentamente in direzione della donna e, con mia grande sorpresa, incontrai con lo sguardo una signora che sembrava avesse superato da un bel po' la mezz'età ma che, nonostante ciò, si rifiutava d'indossare il camice bianco ed era vestita proprio come una teenager.
"Beh, cos'ha da guardare?" si sistemò gli occhiali da vista "Vede forse qualcosa che le interessa?"
"Domando scusa, dottoressa" mi affrettai a replicare "È che..."
"Kureha" fece qualche passo verso me "Dottoressa Kureha. Oppure Doctrine" mi squadrò da capo a piedi "Lei dev'essere Alison Smith. L'infermiera Nami le manda questi" mi porse una busta morbida piena di vestiti.
"Oh, perché?" esclamai, piacevolmente sorpresa ma allo stesso tempo dispiaciuta che Nami dovesse disturbarsi per me.
"Per non farla restare tutto il tempo con quello straccetto sporco di polvere" alzò il mento in direzione del mio vestito azzurro, ormai ridotto male "Coraggio, non faccia tante cerimonie, li accetti e basta"
"La ringrazio, davvero" le sorrisi di cuore, impaziente di provare quegli abiti che l'infermiera Nami aveva deciso di regalarmi con tanta premura. 
Quella notte mi addormentai quasi subito ma, improvvisamente,
fui svegliata da una presunta discussione che pareva avvenire appena oltre la porta della mia stanza.
Alzai la testa dal cuscino e mi sforzai per cercare di sentire meglio: sembrava che la dottoressa Kureha stesse rimproverando un anziano signore.
"Non dovresti essere qui, per giunta a quest'ora!"
"Fatti da parte, Kureha, i pazienti hanno bisogno di me!"
"Nessuno ha bisogno di te, vecchiaccio ubriacone e sognatore!" gli rispose a tono la donna "Soprattutto nelle tue condizioni! Cosa credi di poter fare, eh? Di parlare a tutti dei tuoi stupidi ciliegi?"
Udii un affanno da parte dell'uomo "In effetti è proprio quello che farò. Se vuoi farti da parte, io..."
"Non ti lascerò passare, Hiluluk. Non questa volta" la voce della Doctrine parve di nuovo autoritaria e decisa "Queste persone hanno perso praticamente tutto, la salute di alcune di loro è gravemente compromessa dall'inalazione di potenti gas tossici, stanno soffrendo fisicamente ed emotivamente" il suo tono si fece più docile, avrei osato definirlo quasi supplichevole "Non riempir loro la testa delle tue fandonie. Fammi un favore e tornatene a casa"
Hiluluk sbuffò "Possibile che tu non capisca? Fino a qualche mese fa lavoravo regolarmente in questa clinica, diavolo!" sbottò in modo esasperato "Proprio perché alcuni hanno perso le speranze, io sento che hanno bisogno di me perché gliele restituisca!"
"Hiluluk, se hai voglia di..."
"No, ti prego, ascoltami: ho fatto questo lavoro per tanti, troppi anni, come te. Ora sono un vecchio malato che trova conforto solo nel calore dell'alcool però, dannazione, lascia che io faccia un ultimo, meraviglioso gesto verso chi soffre. Lascia che io dia loro un'ultima speranza. Lascia che io racconti loro dei ciliegi..."
...e con quell'ultima, rosea parola, chiusi gli occhi vinta dal sonno e mi addormentai definitivamente. ©




 Oh, oggi si comincia col mio adorato D'Annunzio *_* ho rimpicciolito la dimensione del testo perché la citazione era davvero mooolto lunga xDD
Bene, allora, ho alcune cose da precisare: innanzitutto, voglio comunicare che i miei aggiornamenti credo saranno più lenti rispetto agli anni passati perché ora sono una donna universitaria (!!!).
Poi voglio ringraziare le persone che hanno recensito finora: magicaemy, namirami e Soke07! Grazie anche a chi ha inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite!
Penso di aver detto tutto... se avete dubbi, chiedete! Alla prossima!

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Capitolo 5
*** V ***


"Cento volte ho desiderato di uccidermi, ma continuavo ad amare la vita.
Questa debolezza ridicola è forse una delle nostre inclinazioni più funeste:
v'è nulla, infatti, di più stolto che continuare a portare un fardello che si vorrebbe sempre gettare a terra?
Che avere il proprio essere in orrore e tenere al proprio essere?
Che accarezzare il serpente che ci divora, insomma,
fino a quando non ci abbia mangiato il cuore?"
 
(Il Candido - Voltaire)



 
Indossato uno dei bellissimi vestiti che mi aveva regalato Nami, mi misi a leggere Verlaine stesa sul prato accanto all'ingresso: sopra di me un meraviglioso cielo azzurro e, accarezzandomi la pelle, una leggera brezza di fine estate.
Adoravo il modo di scrivere dei poeti maledetti francesi, la loro maniera così profonda e personale d'immedesimarsi nelle cose, viverle e farle vivere così intensamente.

Quasi potevo sentire il loro sangue scorrere nelle parole, i loro affanni graffiarmi nei versi erotici, la sofferenza e il richiamo nelle poesie d'amore: tutto, nel leggerli, mi faceva sentire più viva e più innamorata della vita che mai.
Erano ormai trascorse quasi tre settimane dal mio arrivo a Bristol e mai, nemmeno una volta, avevo smesso di pensare alla calamità caduta su St.Paul, agli intrighi di Doflamingo e Ceasar e alle vittime tra la gente: eppure c'era qualcosa, in quella clinica, qualcosa che mi dava la forza di andare avanti e innamorarmi del mondo ogni giorno, nonostante tutto.

Che fosse lui, la calamita che mi teneva inchiodata a questa vita? Mio salvatore dalle tenebre, soffio di speranza tra i vetri infranti?
Sospirai tra i fili d'erba, chiudendo gli occhi e lasciando che il pallido sole di settebre mi sfiorasse le palpebre assopite.
Ma, tutt'a un tratto, ecco arrivare ai miei timpani deliziati la sua voce "Paul Verlaine era decisamente troppo romantico, non trova?"
Il mio cuore sobbalzò "Dottor Law!" mi misi seduta e sorrisi, arrossendo e ammirando estasiata la sua perfetta fisionomia: quel giorno indossava una camicia a quadroni rossi e dei jeans che gli cadevano elegantemente sui fianchi. Probabilmente avrebbe dovuto cominciare il turno di lì a poco, data la presenza di una piccola valigetta nera stretta nella mano sinistra.
Non l'avevo mai visto senza camice, era a dir poco stupendo "Non si scomodi" ci tenne immediatamente a precisare, dopodiché fu lui a stendersi sul prato accanto a me.
Deglutii "È da un po' che non la vedo... mi chiedevo..." non riuscii a terminare la frase, nervosa.
Sospirò, prima sollevando gli occhi verso le nuvole bianche, poi chiudendoli delicatamente "Lei non ha una vita, signorina Smith?"
"Beh..." la sua domanda, come sempre, mi mandò in tilt "Credo di averne appena cominciata una nuova"
Grazie a lei, avrei voluto aggiungere, ma mi sforzai per non essere troppo precipitosa.
I tratti del suo viso si fecero duri, ma non si voltò a guardarmi "Vorrei tanto poter dire lo stesso" disse, enigmatico, ignorando il suo cellulare che aveva appena cominciato a squillare.

Tante, troppe le domande che le sue affermazioni criptiche generavano in me, incontenibile la curiosità che non vedevo l'ora di appagare, eppure mi piaceva anche stare semplicemente ad ammirarlo così, bello e misterioso: uno sconosciuto di passaggio nella mia vita, restare in quel momento in cui si è inconsapevoli dell'importanza che avrà o non avrà qualcuno nel nostro percorso, il periodo dell'interesse incontrollabile, della smania di voler sapere, sapere e ancora sapere.
Quando la suoneria cessò, senza che nessuno dei due dicesse qualcosa, improvvisamente egli mi domandò "Le piace la musica?"
Finalmente si girò nella mia direzione e così feci anch'io, facendo sì che i nostri occhi s'incontrassero e si scontrassero "Sì, molto"
Per tutta risposta, tirò fuori dalla tasca dei jeans con un movimento fluido un ipod grigio metallico "È in grado di capire questo?"
M'infilò una cuffia in un orecchio e per un istante le sue dita toccarono la mia pelle: il sangue tornò a dare colore alle mie guance.
Le note presero a suonare e la mia anima ad esplodere "Chopin" dissi subito, abbozzando un sorriso.
Lui increspò le labbra di rimando in segno d'approvazione: era la prima volta che vedevo un accenno di sorriso sul suo volto.
Era il notturno in do diesis minore, uno dei miei preferiti: mi venne da chiudere gli occhi e godermelo tutto, fino all'ultima nota, era struggente, malinconico,
bellissimo.
Quando la canzone fu terminata, li riaprii e vidi il modo in cui il dottor Law mi stava guardando: sembrava concentrato, attento, come se stesse studiando le mie reazioni, come se fosse perso in me almeno quanto io lo fossi in Chopin.
Ma fu questione di un secondo: immediatamente, si ridestò e si alzò, dicendo "Può tenere il mio ipod. Ho l'impressione che serva più a lei che a me"
E, senza darmi il tempo di ringraziarlo, si fiondò verso l'entrata della clinica a passo spedito.
 
 
 
 
 
Inutile dire che trascorsi buona parte della settimana successiva ad ascoltare le canzoni dell'ipod del dottor Law: notai, con mio grande piacere, che molte di esse erano anche le mie preferite e fui immensamente contenta di potermi immergere nella musica che, a quanto pareva, piaceva ad entrambi.
Su di giri com'ero, la domenica mattina quasi non mi accorsi di urtare un paziente che stava uscendo dalla clinica "La musica talvolta isola anche me, yohoho!"
"Oh, si è fatto male?" ci tenni a scusarmi immediatamente, desolata.
Il magro signore sospirò, con una nota di amarezza ma anche un minuscolo, quasi impossibile da cogliere, scintillio "Non posso più farmi male dopo St. Paul, ormai" e, prima che potessi aggiungere altro, proseguì per la sua strada canticchiando un motivetto che, da qualche parte nella mia memoria, dovevo conoscere anch'io.
Quell'affermazione mi lasciò pensierosa: durante quelle settimane, non avevo fatto altro che restarmene per conto mio oppure conversare con dottori e infermieri, mai una volta mi era passato per la mente di andare a conoscere le altre persone presenti nel reparto che, come me, avevano assistito all'incidente nucleare.
Probabilmente avrei anche potuto incontrare qualcuno che conoscesse la mia famiglia, qualche parente alla lontana... purtroppo fino ad allora le ricerche del dottor Chopper si erano rivelate completamente vane.
Ed è proprio la speranza intrinseca nelle vene, o semplicemente la necessità di condividere l'incubo vissuto con qualcuno che ha provato le stesse paure sulla propria pelle, ad avvicinarci.
Ci conosciamo, ci esploriamo, talvolta solo per sentirci raccontare l'uno le tragedie dell'altro: ma è vero che grazie al modo di risollevarsi di qualcun altro posso imparare a risollevarmi anch'io?
Decisi di parlare col signore che avevo urtato: scoprii che si chiamava Brook ed era un musicista, suonava il piano e adorava ascoltare musica, proprio come me e il dottor Law, di cui mi disse poi "Ha gli occhi uguali ai suoi, sa?"
Non potei fare a meno di sorridere piacevolmente "Sì, lo so"
"È come se fossi morto" si ombrò poi nel parlare, come se vividi ricordi del disastro venissero ad oscurargli il viso smunto, magro, quasi scheletrico "Prima avevo una vita, da pianista, a St. Paul e ora ne sto cominciando una nuova che non so ancora dove mi porterà. A dirla tutta, non sono nemmeno certo di quali effetti ci saranno dopo quest'inalazione... magari diventerò tutt'ossa, yohohoho!"
Cercai di sorridere alla sua battuta, nonostante non avessi afferrato con precisione cosa intendesse, ma poi mi ritrovai in pieno nelle sue parole "È la stessa identica sensazione che ho io!" esclamai, portandomi una mano sul petto "Mi sento come se fossi rinata, non ho più nessuno, non ho più una casa, all'inizio credevo di non avere più nemmeno me stessa..." esitai per un istante, poi guardai Brook assorto nel mio discorso "E invece eccomi qui, a conversare con lei... ho l'impressione di non dover essere in nessun altro posto in nessun altro momento e ciò mi fa sentire fortunata"
Il pianista mi sorrise "Lei, signorina, credo abbia appena scoperto l'unicità, l'inafferrabilità, ma soprattutto l'immensità della vita, yohoho!" la sua risata fece scuotere la sua chioma riccia e nera "Non crede sia meraviglioso? Se ci pensa, è come un suono: un suono che parte leggero, impercettibile, inudibile all'orecchio umano e poi si espande, pian piano, diventa armonioso, ci riempie e ci circonda... troppe persone, a mio parere, si sono ormai abituate ad ascoltare quel suono, lo danno per scontato. Ma ecco la magia: io e lei ora abbiamo imparato a riascoltarlo nella sua fase primordiale" scoppiò a ridere nuovamente "Ed è una musica bellissima, non trova? Yohoho!"
In effetti Brook aveva ragione: una nuova melodia accompagnava le nostre giornate nella clinica, nonostante le perdite, gli accertamenti vari e l'essere soli, avevamo scoperto una nuova forza.
Come se l'istinto della vita si curasse da solo, dopo la disperazione, e curasse i nostri mali a sua volta: potevo ancora vivere, potevo ancora innamorarmi, potevo ancora conoscere persone e visitare luoghi.
La vita, la vita, nient'altro che la vita.
E, con quest'infusione di positività, mi avviai ad un altro controllo con un animo più ottimista, con un cielo più rischiarato e la mente libera dalle nuvole.©


 
Allora, premettendo che lo scorso capitolo ha ricevuto pochissimo seguito, io faccio un altro tentativo con questo qui sperando che possiate apprezzare... nonostante io abbia l'impressione che la storia non piaccia <.< tematiche troppo pesanti?
Se avete consigli, vi prego di scrivermeli e sarò ben felice di accettarli!
Detto ciò, passiamo al capitolo: questa volta comincio con un autore francese, Voltaire, e col suo "Candide" con una frase che mi sembrava molto appropriata per le vicende della protagonista.
Poi c'è l'apparizione di Law (*__*), con il suo solito atteggiamento da "bad boy" xD e qui vi metto il link del notturno di Chopin che vi consiglio vivamente di ascoltare (si tratta della colonna sonora del film "Il Pianista") http://www.youtube.com/watch?v=z0pVRrAKTN4
Nella seconda parte ho deciso d'inserire il personaggio di Brook, personaggio che adoro, che secondo me ha un'emotività molto profonda: infatti la sua storia, tra tutte, credo sia una di quelle che mi ha emozionata di più.
Qui cerco di renderlo con fattezze non scheletriche ovviamente (o quasi!), e tento di immedesimarmi in ciò che prova, sperando di riuscire a cogliere le sue vere emozioni e trasmetterle anche a voi xD ditemi sempre cosa ne pensate!
Alla prossima!!!

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Capitolo 6
*** VI ***


"Voglio passeggiare sulla neve senza giacca, sentire il freddo pungente:
io che mi sono sempre coperta tanto bene, per paura di raffreddarmi.
E poi, dottor Igor, voglio che la pioggia mi sferzi il viso.
Voglio sorridere agli uomini che mi interessano.
Voglio accettare tutti i caffè che mi offrono.
Voglio baciare mia madre, dirle che la amo, piangere nel suo grembo, senza vergognarmi di
mostrare i miei veri sentimenti, che sono sempre esistiti,
anche se io li ho nascosti.
Forse entrerò in una chiesa, guarderò quelle immagini che non mi hanno mai detto niente,
ma che certamente adesso mi diranno qualcosa.
Se un uomo interessante m'inviterà in un locale, accetterò e ballerò per tutta la notte,
fino a quando sarò esausta.
Poi andrò a letto con lui, ma non nel modo in cui l'ho fatto con altri,
ora tentando di mantenere il controllo, ora fingendo cose che non sentivo.
Voglio concedermi a un uomo, alla città, alla vita e, infine, alla morte."
 
(Veronika decide di morire - P. Coelho)



 
Entrando in infermeria, non potei fare a meno di notare il dottor Law e il dottor Hiluluk che discutevano animatamente: il primo sembrava lamentarsi della testardaggine di Hiluluk e il secondo della giovane età di Trafalgar Law.
"...dico semplicemente, e me lo faccia presente qualora non dovessi essere chiaro, che ad una certa età non si è più idonei per svolgere determinati mestieri e lo dovrebbe riconoscere anche lei, soprattutto alla luce dei suoi problemi di salute"
"Cosa ne vuoi sapere tu, del mio mestiere, ragazzino? Quando ti sei laureato, l'altro ieri? È proprio in momenti critici come questo che il nostro ambiente ha bisogno di persone con più esperienza!"
"Salve" interruppi il loro battibecco, sperando che la smettessero di punzecchiarsi a vicenda. Non appena parlai, entrambi si voltarono verso me con sorpresa, come se avessero completamente dimenticato della mia visita e non ricordassero nemmeno in che luogo fossero.
"Buongiorno, signorina Smith" mi salutò freddamente, come sempre, il dottor Law "Prego, si accomodi dentro"
"Salve" ricambiò il mio saluto l'altro, sorridendomi affabilmente e provando ad accennare qualche parola, forse avrebbe voluto presentarsi, ma il medico dagli occhi grigi non glielo permise: immediatamente, mi fece entrare e chiuse la porta alle sue spalle.
"Perché pensa che il dottor Hiluluk non sia più idoneo ad esercitare?" gli chiesi senza mezze misure, non riuscendo a contenere la mia curiosità.
Senza degnarmi di un minimo sguardo, Law prese ad esaminare la mia cartella clinica con la professionalità esemplare che sempre lo distingueva "Non credo la riguardi" rispose senza scomporsi, sfogliando i fogli e leggendo attentamente.
Lo guardai, lo osservai, quasi lo mangiai con gli occhi: terribile attrazione, agitata pulsione, perché la tentazione?
"Molto bene" chiuse la cartella con uno scatto repentino, facendomi sussultare e inchiodandomi con lo sguardo "Si stenda, faremo un prelievo"
Feci come aveva detto e, con la delicatezza di un petalo che tocca terra, Law mi fece le analisi.
"Può dirmi qualcosa sul mio stato di salute, dottore?" azzardai, sapendo che di lui più di tutti potevo fidarmi.
Trasferì il mio sangue in una provetta con molta attenzione, dopodiché mi venne incontro "Lei come si sente?"
Quegli occhi, quel camice, quel viso, tutto mi mandò in confusione per un istante, ma mi ripresi in men che non si dica "Non ho notato nessun cambiamento" affermai, sinceramente, deglutendo.
Si sedette sulla barella accanto a me e sospirò "Ha mai sentito parlare di Carbonio 14?
Sgranai gli occhi, solo a sentirlo mi venivano i brividi, si trattava sicuramente di qualcosa di orribile "No"
Chiuse gli occhi e si passò una mano tra i capelli con fare stanco, ma poi tornò all'attacco "I medici di questa clinica non le hanno spiegato proprio niente? E nemmeno lei si è interessata?" mi rimproverò.
Mi sentii in colpa: in effetti era stato come se avessi trascurato le mie reali condizioni e mi fossi preoccupata semplicemente delle lesioni psicologiche.
Abbassai lo sguardo, ferita, ma poi dissi "Sarei molto felice di sentirmelo spiegare da lei"
Non commentò la mia affermazione, ma si limitò a spiegare "Il Carbonio 14 è una sostanza che ognuno di noi ha nel proprio corpo, responsabile delle disintegrazioni radiattive" si prese una piccola pausa, poi continuò "Il problema è che se ne viene inalata una dose massiccia, come molti casi dell'incidente nucleare di St. Paul, può portare difficoltà respiratorie molto gravi, se non malattie serie"
Rabbrividii, e istintivamente strinsi i pugni "Ma è terribile... come... cosa si può fare?" stavo cominciando a sudare freddo.
Il dottor Law invece ne parlava impassibile "Quasi sempre, nulla. Molte delle persone ricoverate in questo reparto hanno subito dei danni troppo gravi per sperare di rimettersi. Ma nel suo caso... " abbassò lo sguardo, cercando di dissimulare la sua incredulità con scarso successo "Beh, il suo caso è alquanto bizzarro: nonostante tutto il materiale tossico che ha inalato, per la stragrande maggioranza Carbonio 14, per l'appunto, lei non sembra aver riportato alcun danno"
Mi feci dubbiosa "Come crede sia possibile? Ne è sicuro?"
Quasi mi fulminò quando feci l'ultima domanda, al che arrossii, imbarazzata "La stiamo monitorando proprio per questo: tenerle sotto controllo tutte le attività vitali, in particolar modo i polmoni, ci aiuterà a capire se gli effetti si manifesteranno a lungo termine oppure no. Per ora, non ci resta altro che aspettare"
I miei occhi nei suoi, la preoccupazione crescente nei miei e, seppur celata, una sorta di sicurezza nei suoi: come se tutti i dubbi si sciogliessero nella sua, sottilissima rassicurazione che percepivo nei miei confronti.
"So di essere in buone mani" conclusi, cercando di essere ottimista.
Lui si alzò "Le migliori" mi corresse, dopodiché mi aprì la porta "Le farò avere i risultati delle analisi il prima possibile. Per il momento, stia a riposo"
"Grazie mille, dottor Law" gli dissi quasi con le lacrime agli occhi, ma purtroppo come risposta ricevetti solo uno sguardo corrucciato.
Non c'era più ombra di Hiluluk in quel corridoio, così mi avviai verso la mia stanza senza incontrare nessuno.
 
 
 
 
 
 
"Alison, ti voglio presentare il cuoco della mensa della clinica Rogers!" annunciò un'entusiasta Nami, entrando nella mia stanza con un ragazzo biondo e alto al seguito.
"Ciao, dolcezza, piacere di conoscerti: io sono Sanji!" mi sorrise, carismatico, il cuoco.
Posai sul letto il libro che stavo leggendo e gli sorrisi anch'io "Io mi chiamo Alison. Cucini davvero bene" mi complimentai subito.
Sanji si diede a mille moine "Grazie, sei molto gentile! Dimmi cosa vuoi che ti prepari e te lo farò avere per pranzo, qualunque cosa desideri, sarò ben felice di cucinarlo per una bella ragazza come te!"
L'infermiera Nami gli tirò un orecchio "Smettila di fare il cascamorto con le pazienti carine, se vuoi che stasera usciamo insieme!"
"Oh, perdonami, mia dolce Nami" implorò in tono teatrale il ragazzo, in un modo così divertente che mi fece ridere "Adesso torno in cucina, mi metterò subito all'opera per voi" ci fece un occhiolino.
"Ecco, bravo" scosse la testa la rossa, mentre Sanji si allontanava "Perché mi piacciono i cascamorti?" chiese più a se stessa che a me.
Risi ancora "Beh, sembra un bravo ragazzo. Dove andrete, stasera?"
"Credo che mi porterà a cena fuori" rispose lei, sedendosi sul mio letto e dandosi a confidenze personali "In verità, me lo chiede già da un po', però non gli ho mai detto di sì... questa volta ho deciso di dargli una possibilità, dopotutto la cena è pagata da lui" scoppiò a ridere anche lei.
"Scommetto che sarà una bella serata" esclamai, stiracchiandomi tra le coperte e riprendendo il libro.
Seguì una minima pausa, dopodiché Nami incalzò "Tu, Alison, eri fidanzata prima di arrivare qui?" domandò con un po' di coraggio.
Mi fece arrossire "Beh, no... cioè, voglio dire, niente di importante... solo..."
"Ho capito, ho capito!" mi fece una linguaccia.
"Ma no, cos'hai capito?" arrossii ancora di più, portandomi il libro sul volto.
Lei, per tutta risposta, mi lanciò uno sguardo malizioso "E che mi dici del dottor Law? È bello, vero?"
Sgranai gli occhi: perché aveva nominato proprio il dottor Law? Che la mia infatuazione nei suoi confronti fosse troppo evidente? Avrei dovuto contenermi?
"È molto professionale" furono le uniche parole sensate che uscirono dalla mia bocca.
Nami si alzò e fece per andarsene con un sorrisetto furbo "Tranquilla, amica mia. Con me il tuo segreto è al sicuro" lasciò la mia stanza canticchiando, come se avesse appena avuto la conferma di qualcosa su cui congetturava da tempo.
Nonostante tutto, il tempo trascorso alla clinica non faceva altro che farmi bene: trascorrevano giorni, settimane, mesi e la quotidianità con il personale e con qualcuno degli altri pazienti mi faceva sentire viva, parte di qualcosa, come se stessi riscoprendo una nuova, grande famiglia.
Il rapporto con Nami si andava intensificando, anche se preferivo di gran lunga confidarmi con Nico Robin: mi veniva più naturale, la sentivo più incline alla mia personalità, più riservata e composta come me.
Le avevo restituito il libro di Verlaine e lei, in cambio, me ne aveva portato uno di Kafka: altre ore, immense, infinite, ad inebriarmi della lettura e a lasciare che il sole pomeridiano mi accarezzasse il viso come se fosse l'ultima volta che potesse farlo...
La abbracciai. ©
 
 
 
Capitolo che comincia con Paulo Coelho, autore brasiliano che mi piace molto, con la citazione del suo libro che preferisco: "Veronika decide di morire".
Sarei ipocrita se dicessi che tutta la storia, almeno in parte, non mi sia stata suggerita anche da questo libro.
Allora, finalmente ci sono più chiarimenti sulla questione "Carbonio 14" (anche se, come vi avevo scritto nel primo capitolo, i suoi effetti sono del tutto inventati perché non sono un'esperta in materia).
Ho deciso di inserire anche Sanji (e ipotizzare un'uscita con Nami : P ) perché mi fa sempre piacere provare a mettere quanti più Mugiwara riesco a far entrare xD poi se serve per "alleggerire" un po' l'atmosfera della storia, tanto meglio.
Infine, altra cosa che avevo già scritto ma sono pignola e la ripeto, mi scuso in anticipo per gli eventuali ritardi di pubblicazione, dovuti alla sessione estiva. 
Alla prossima!!!
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** VII ***


 
"Chi non lo capisce, questo, non capisce nulla.
Perché dove la vita brucia davvero la morte è un niente.
Non c'è null'altro contro la morte, solo quello,
far bruciare la vita davvero"
 
(Castelli di Rabbia - A. Baricco)



 
Il guaio dell'essere sensibili è che prima o poi l'emozione ti trova. Ti cerca instancabilmente, come se fosse un parassita, ti cattura, ti riempie, può durare una frazione di secondo oppure ore intere: è così quando le persone sensibili guardano un tramonto, è così quando vedono cadere una foglia o semplicemente alzano gli occhi verso le nuvole.
È un momento, una specie di trance che gli altri non potranno mai capire: il punto è che noi viaggiamo con l'immaginazione, ci ostiniamo a sognare e, talvolta, il mondo ci tocca ancora delle corde che credevamo assopite da molto tempo...
Ho sempre pensato che la lettura mi aiutasse molto in questo: dai personaggi dei classici avevo imparato tantissimo, erano ormai tutti così insiti in me che, quando mi capitava di vivere qualcosa di particolare, mi tornavano alla mente le parole lette, il capitolo di un certo libro e, in questo modo, l'emozione si raddoppiava.
Era esattamente questo che sentivo quel giorno di inizio novembre, dopo essere stati abbandonati dall'ultima brezza fresca e aver fatto spazio al rigido inverno inglese.
Dappertutto, attorno a me, gelo. Dappertutto, dentro me, ghiaccio sciolto, sole, estate che faceva da contrasto alla candida neve che cominciava ad accumularsi silenziosa, in punta di piedi, sui tetti spioventi della clinica.
Inutile dire che avevo quasi consumato l'ipod del dottor Law a furia di ascoltare le sue canzoni, ormai quasi ci dormivo assieme: stupido, infantile da parte mia, eppure in un certo qual modo me lo faceva sentire accanto.
Provavo ad immaginarmelo lì, nel letto accanto a me, a guardarmi con quegli occhi che sembrava avermi rubato, a parlarmi con il suo tono vellutato ma freddo.
"Questa clinica cadrà nel caos più totale non appena se ne andrà Law!" esclamò un giorno Brook, il pianista, che era venuto a pranzare con me nella mia stanza.
"Se ne andrà?" domandai cadendo dalle nuvole, lasciando il cucchiaio a mezz'aria, colmo di squisita pasta al sugo cucinata da Sanji.
"Yohoho, pensavo te l'avesse detto, fanciulla" rispose lui, come se nulla fosse, continuando a mangiare seduto sul mio letto "Tra qualche giorno partirà per la sua città natale e non si sa quando tornerà"
"E quale sarebbe la sua città natale?" chiesi ancora, allarmata.
"Manchester, ovviamente"
Seguì un momento di puro silenzio e riflessione, in cui mi balenarono nella mente troppe domande, il tutto scandito dai rumorosi modi di pranzare del mio amico. Abbassai lo sguardo e posai il mio pranzo sul letto "Mi è passato l'appetito"
 
 
 
 
 
 
 
Stavo leggendo Jane Austen. Mi ero coperta con uno scialle di lana prestatomi da Nami e mi godevo la pace del mio angolino di tranquillità, nel giardino interno.
Tutt'a un tratto, sentivo come se l'estate dentro me avesse subito un rallentamento: non sentivo più sbocciare i fiori, e dov'era finita quella sensazione di gaiezza infinita? Che l'inverno avesse deciso di gelare anche il mio cuore, assieme al mare che si vedeva dalla mia finestra? Oh, compagna finestra, luogo dove per troppo tempo avevo riposto i miei sogni, vetri su cui ancora giacciono i miei sospiri, venti delle mie speranze e sbiadite ombre di un amore che, soltanto in quel momento, capivo essere più forte che mai.
"Oh, scommetto che anche lei è una delle tante vittime del fascino del Signor Darcy" improvvisamente, la sua voce.
Mi alzai di scatto ed eccolo lì, eccolo apparire di fronte a me per l'ultima volta con il suo camice bianco e, nello sguardo, una nota d'amarezza.
"È venuto a dirmi addio?" feci qualche passo verso lui, chiudendo bruscamente il libro, occhi bassi, tono ferito.
Trafalgar Law, per tutta risposta, si limitò a guardarsi attorno: lo vidi godersi la bellezza dei fiori viola che, nonostante le tracce di neve fresca, continuavano a vivere imperterriti; lo vidi ascoltare deliziato il canto degli uccelli, in quell'angolo celestiale dove la primavera sembrava non avere mai fine.
"Ci siamo visti qui, la prima volta, ricorda?" mormorò sovrappensiero, continuando a guardarsi intorno "No, non può ricordarselo, era..."
"...quasi morta" gli completai la frase, sprezzante "E lei mi ha salvato la vita. Per la seconda volta"
Silenzio. Ci guardavamo, adesso. I nostri occhi si stavano comunicando qualcosa.
"Lei si è salvata da sola, signorina Smith" concluse, serio "Questo non può negarlo"
Avrei voluto gridargli che non era vero, che se ero riuscita a riprendermi e a ritrovare un senso per andare avanti era stato soltanto grazie alla sua presenza, che in questi mesi mi aveva insegnato tanto e mi aveva dato la sicurezza e la forza per affrontare ciò che sarebbe stato... ma tutto ciò che riuscii a dire fu un singhiozzato, tremolante "...tornerà, vero?"
Law si avvicinò a me, cercò d'infondermi ancora una volta sicurezza col suo sguardo e rispose, impassibile "Tornerò"
Oh, aulenti fate che avete dimora nel piccolo paradiso, venite a farmi socchiudere gli occhi solo grazie ad un suo sospiro, quasi riesco a sentire il calore del suo respiro sulla mia pelle, vorrei avvicinarmi al fuoco, non importa se brucerò: un desiderato, aspettato da troppo tempo, sperato bacio d'addio...
Avvicinai le mie labbra alle sue, la sua vicinanza m'inebriò e chiusi gli occhi. Ma avrei dovuto immaginare di essere respinta, perché il dottor Law non fece altro che sussurrarmi suadente "Abbia cura di lei", facendomi svegliare bruscamente dal sogno che ero intenzionata a trasformare in realtà, aggiungendo velenoso "E non legga troppi libri. Potrebbe essere controproducente"
Lo guardai allontanarsi delusa, quasi arrabbiata, e mi rimisi seduta a leggere il libro che aveva tanto disprezzato.
E se ne andò davvero, lasciando un grande vuoto dentro me, facendomi sentire, pungente, la sua mancanza nei giorni freddi, facendomi tornare a quel momento di quasi contatto ogni volta che ne avevo bisogno, ma nella mia immaginazione la scena cambiava: Law non si ritraeva, bensì mi stringeva a sé e ci baciavamo con passione, come se entrambi avessimo bisogno di sentire l'uno il calore dell'altra e non soltanto io.
"Non disperare, tornerà" cercò di consolarmi un giorno Nico Robin "Ha soltanto delle questioni urgenti da risolvere"
"Che tipo di questioni? Perché tutti sembrate saperne più di me?" proruppi, quasi piangendo, avviandomi all'ennesimo controllo in infermeria.
"Ti consiglierei di stare tranquilla, è solo..."
"Signorina Smith!" ci interruppe bruscamente il medico di turno, con mia grande sorpresa il dottor Hiluluk "Alison, vero?"
"Sì" risposi, un po' confusa "Lei cosa...?"
Fece un gesto svogliato con la mano e una smorfia con la bocca "Si rilassi, non sono più in servizio da un bel po', ormai! L'ho fatta portare qui semplicemente perché volevo chiacchierare un po' con lei"
Il mio sguardo si spostò in quello della mia amica, che mi rivolse un sorriso complice "Ti troverai molto bene con lui. Ci vediamo dopo"
"Grazie" la salutai debolmente, insicura ma allo stesso tempo anche terribilmente curiosa.
"Accomodati, piccola, gradisci qualcosa da bere?" mi fece strada l'anziano signore.
"Credevo fossimo in infermeria, non nel suo salotto" gli risposi con una punta di cattiveria.
Hiluluk scoppiò a ridere "Ah, quindi non hai soltanto gli occhi del dottor Law, eh? Anche questo sarcasmo tagliente non mi è nuovo!" commentò, passandosi una mano sotto la barba ispida e osservandomi compiaciuto.
Decisi di non fidarmi ancora "Come mai l'hanno lasciata a piede libero? So che di solito la Doctrine non le dà tregua"
Mi sorrise "Niente Doctrine, niente Law... e il dottor Chopper mi lascia passare più tempo qui" spiegò, semplicemente "Sai, soprattutto voi vittime di St.Paul avete bisogno di me"
"Davvero? Come mai?"
"Beh, ragazzina, io l'ho visto. Io ho visto la guarigione e, se permetti, ho più esperienza di te in merito"
Sospirai "Intravede qualche speranza?"
"C'è sempre speranza" si aprì in un largo sorriso "Sai, Alison, la gente che viene qui spesso vuole solo essere confortata. Possono essere affetti dalla malattia più grave del mondo, ma ti basterà prendergli una mano e sussurrargli che va tutto bene e loro saranno felici.
Buffa la natura umana, vero? Perennemente in cerca di illusioni, possono tirare a campare anni interi dietro quelle che sembrano promesse di salvezza, nonostante abbiano la morte davanti agli occhi.
Il fatto è che diventano ciechi. Non riescono più a distinguere la realtà. E allora sperano, sperano di guarire anche quando sono spacciati, vorrebbero farcela anche quando hanno già esalato l'ultimo respiro, anche quando ormai gli effetti del disastro nucleare di St. Paul sono ormai intrinsechi nel loro DNA.
Ma sai che ti dico, piccola? Io sono uno di loro. Pur essendo un medico e conoscendo le conseguenze di certi tragici avvenimenti, anch'io spero che un giorno tutte le vittime delle calamità, tutti gli ammalati e i sofferenti, per tutti loro possa esserci un bellissimo e roseo miracolo dei ciliegi"
Il suo discorso mi colpì profondamente, e allora incalzai "Lei è stato salvato dai ciliegi?"
"Precisamente" si sedette sulla barella e fece cenno di sedermi come lui, cosa che questa volta feci senza obiettare "Ho sempre sofferto al cuore, proprio non ha mai voluto funzionarmi" ridacchiò "...però, un giorno, proprio quando credevo di essere spacciato, mi sono arrampicato su una montagna. Sì, esatto, speravo di fuggire alla morte semplicemente scalando una stupida vetta e, anche se non ho trovato quello che mi aspettavo, devo dire che gli effetti sono stati più o meno quelli sperati: ho fregato la morte che mi correva dietro.
L'ho ingannata, ho scoperto la primavera: un rigoglioso ciliegio fiorito si stagliava davanti a me e ha lasciato stupefatto"
"Incantevole" non potei trattenermi dal commentare, estasiata, catturata dal suo racconto.
"Da quel giorno, piccola... beh, da quel giorno la mia malattia sembrò scomparire del tutto. Non avevo più nulla, come se non ci fossero mai stati problemi"
"Poi è riapparsa?"
"Beh, durante gli anni ho preso dei vizi, ho sviluppato cattive abitudini e quindi la vita ha voluto punirmi... ma francamente non importa, sono vecchio, non mi resta molto da vivere"
"E quindi ora lei vorrebbe mostrare il ciliegio agli ammalati?"
"Il vero punto è, Alison, che la morte è un fardello. La morte brucia, ti rincorre, cerca di catturarti: ma la vita deve essere più veloce, deve gettare acqua sulla morte e deve, almeno per un po', vincerla"
Alla fine di tutto, gli sorrisi anch'io "È davvero una bella persona, dottor Hiluluk. Sono tanto contenta che abbia voluto conoscermi"
E, a giudicare dai suoi occhi lucidi, anche lui doveva essere contento di aver appena conosciuto me.©
 
 
 
 

 
 
 
 
Arrivo in ritardissimo con questo capitolo (sessione estiva, è tutta tua la colpa!) ma spero che possiate apprezzarlo nonostante sia stato scritto in questo periodo un po' "turbolento"!
Comincio con il mio scrittore preferito ( <3 ), Baricco, con una citazione di uno dei suoi libri migliori, "Castelli di rabbia".
Ho parlato di sensibilità, di amore e, lo confesso, in questa storia mi sto lasciando proprio prendere la mano: in alcuni tratti sono davvero personale, mi sembra di scrivere di me stessa... ma non è del tutto una cosa negativa, riesco ad esprimere di più quello che prova la protagonista : )
Tentato bacio tra Law ed Alison ma no, vi farò aspettare ancora un po' perché sono sadica (Muahahah) no, perché ho in mente qualcosa di meglio per tutti e due! ; )
E infine dialogo con Hiluluk che riprende le parole dell'introduzione della storia, che mi piacciono tantissimo.
Spero piaccia anche a voi, fatemi sapere cosa ne pensate! A presto!

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Capitolo 8
*** VIII ***


L’amore dei rozzi amanti sublunari
(la cui anima sono i sensi) non ammette
l’assenza, poiché essa sottrae
quelle cose che ne erano gli elementi.
 
Ma noi, per un amore così affinato
da non saper noi stessi cosa sia,
in reciproca certezza delle anime,
meno ci curiamo che occhi, labbra, mani manchino.
 
Le nostre due anime, perciò, che sono una,
benché io debba andare, non subiscono
una frattura, ma un’espansione,
come oro battuto ad aurea sottigliezza.
 
Se esse sono due, sono due come
le rigide gambe gemelle del compasso sono due:
la tua anima, il piede fisso, non mostra
di muoversi, ma lo fa, se l’altra lo fa;
e anche se nel centro siede,
quando l’altra va lontano errando,
si piega e a quella tende l’orecchio,
e torna eretta, quando l’altra rincasa.
 
Tale sarai tu per me, che devo,
come l’altro piede, correre inclinato:
la tua fermezza fa il mio cerchio esatto
e mi fa finire dove avevo cominciato.

(A Valediction: forbidding mourning - J. Donne)



 
Era ormai trascorso un mese: un lungo mese di assenza, di sospiri e di incontenibile, straziante mancanza; un mese durante il quale mi fu particolarmente difficile andare avanti, nonostante l'appoggio di persone ormai care.
Perché la verità è che la sofferenza si affronta da soli, volenti o nolenti: ci si può ritrovare amici, parenti, sconosciuti, ma la battaglia contro il dolore avviene dentro noi stessi e ahimè, se non fortifichiamo le nostre pareti, usciremo sconfitti dalla guerra. Persino voi, uccelli azzurri del mio angolo di paradiso, non riuscite più ad alleviare il vuoto che mi ha causato la sua partenza, né più confortanti sono i meravigliosi fiori lilla che sembrano intristiti più di me.
Nell'ultima settimana, tra l'altro, alcuni pazienti ricoverati da molto tempo come me, anche loro vittime del disastro nucleare di St. Paul, erano passati a miglior vita, con molta tristezza e sconforto da parte di tutti noi.
A quel punto, il governo aveva deciso d'intervenire: quel giorno sarebbero arrivati a Bristol, mandati direttamente da Doflamingo, alcuni agenti ad interrogarci sull'accaduto di quattro mesi prima, accompagnati da un medico sperimentale che avrebbe dovuto fare degli accertamenti sulle nostre condizioni.
"Che enorme sciocchezza!" si era lamentato Hiluluk "Arrivano a farvi domande dopo tutti questi mesi, dopo che Doflamingo ha avuto tutto il tempo di organizzare il suo alibi e di sistemare anche Ceasar!"
"Non farò avvicinare nessuno ai miei pazienti!" aveva ringhiato Kureha "Siamo qui da molto tempo a fare il nostro meglio, purtroppo la medicina non può compiere miracoli!" si era alzata le maniche, come se non vedesse l'ora di picchiarli a sangue.
"Sono proprio curioso di vedere cosa diranno" aveva commentato infine il dottor Chopper "Non siamo del tutto negativi, magari questo medico userà dei metodi che potrebbero esserci d'aiuto"
Sospirai, stanca, rivolgendo gli occhi alla finestra della mia stanza. Quanto, in quel momento, mi sarebbe piaciuto che ci fosse Law a darmi coraggio!
"Salve" arrivarono dopo circa un'oretta di brusio e di supposizioni i diretti interessati "Siamo gli agenti speciali della CP9" si presentò un tipo ombroso e dai capelli neri "Mi chiamo Lucci. E loro sono i miei colleghi Kaku e Califa"
"Buongiorno" salutarono gentilmente gli altri due.
"E io sono il dottor Hogback!" spuntò improvvisamente un piccolo uomo con gli occhiali dietro di loro, facendo una risatina maliziosa che non prometteva nulla di buono.
"Il Dottor Hogback, ha detto?" gli occhi di Chopper s'illuminarono immediatamente "Ma è famosissimo! Dottore, sarà un vero piacere lavorare con lei!" subito gli strinse la mano con calore.
Il primo ad essere visitato fu Brook, mentre Lucci e Kaku interrogavano me "Allora, signorina, so quanto possa essere difficile per lei tornare con la mente a quel giorno... " incalzò l'ultimo, sorridendomi affabilmente "...ma è proprio necessaria la sua testimonianza"
"Non c'è problema" risposi, forzandomi di essere razionale anche se, in cuor mio, sapevo che sarebbe stato devastante.
"Si ricorda dov'era il giorno dell'accaduto?" chiese Kaku, prendendo carta e penna.
"Sì... " sospirai "Ero in giro con mio padre per preparare le ultime commissioni prima di trasferirmi a Londra a studiare"
Appuntò "Molto bene... cos'ha visto e sentito, di preciso?"
Isolazione dalla moltitudine, suoni ovattati, improvviso buio davanti a me e terribile ricordo persistente: sembrava passata un'eternità, eppure la ferita era lì che bruciava.
"Stelle filanti... " dissi, sovrappensiero "Stelle filanti che si alzavano e brillavano nel cielo, dopodiché delle esplosioni assordanti. E poi una pioggia di scaglie bianche eppure infuocate"
L'agente Kaku simulò una risata "Beh, non vorrei contraddirla, signorina, ma tutto ciò è praticamente impossibile... non avrà battuto la testa o qualcosa di simile?"
M'inasprii "Mi sta dando della bugiarda?"
"No, dico semplicemente che... " cercò di spiegarsi, ma fu prontamente interrotto dal suo collega dai tratti severi.
"Signorina Smith, lei deve capire che non siamo qui per farci prendere in giro e quindi ci aspettiamo anzi, esigiamo, la massima serietà anche da parte vostra"
"Ma vi ho detto la verità!" esclamai con veemenza, non riuscendo a far valere le mie ragioni "Anche tutte le altre persone l'hanno visto, chiedete anche agli altri!"
Lucci storse il naso "Forse non mi sono spiegato bene: Doflamingo tiene molto a tutta questa storia e, dato che ha previsto per voi l'assistenza addirittura dei migliori ospedali di tutto il sud dell'Inghilterra, non vorrebbe che la verità fosse macchiata da stupide menzogne che hanno come unico obiettivo quello d'infangare il suo illustre nome!"
Non potei non portarmi le mani alla bocca per la sorpresa "Come osate voi e come osa il vostro re trattarci in questo modo e pretendere che tacciamo su una cosa simile? Ha idea di quanti civili hanno perso la vita e di quanti si trovino in condizioni gravissime?"
Kaku abbassò lo sguardo, adagiò sul letto il foglio con la penna e sospirò "Rob, andiamocene. Lasciamola in pace"
Ma io continuai la mia arringa "Voi siete suoi sottoposti, siete sotto la sua ala protettiva, vero?" mi alterai, alzandomi dal letto e puntandogli il dito contro "Beh, io ho perso la mia famiglia in quell'incidente e sapete perché? Per gli esperimenti loschi di Ceasar Clown!"
"Ceasar Clown non c'entra niente con tutto ciò" ribatté ancora Lucci "Essere responsabili delle centrali nucleari nella zona di Punk Hazard fa di lui un uomo con un'enorme responsabilità, ma non per questo motivo è da biasimare a priori"
Strinsi i pugni, offesa, proprio non riuscivo a sopportare di non essere creduta "Lei parla in questo modo perché vi ha mandati lui, vero? Vi ha chiesto di coprire la verità, di scrivere bugie, soltanto perché le persone qui cominciano a morire?"
"Rob, sul serio, lasciamola stare" cercò di calmare le acque ancora una volta Kaku, forse intenerito dalle mie parole "Questa ragazza ha già sofferto abbastanza, non ti ci mettere anche tu"
Lucci aprì bocca per aggiungere ancora qualcosa, ma dopo la richiuse e sbuffò sonoramente, abbandonando la stanza e scuotendo la testa con foga.
Il suo collega, invece, ancora nella mia stanza, si limitò ad togliersi il cappello e salutarmi di nuovo "Arrivederla, signorina Smith, ci scusi se l'abbiamo infastidita con quest'interrogatorio dopo quattro mesi dall'accaduto"
Non riuscii a trattenere le lacrime "Almeno lei, Signor Kaku, faccia in modo che questo disastro abbia giustizia, d'accordo?" gli rivolsi uno sguardo supplichevole ma anche colmo di rabbia.
Lui mi guardò compassionevole, quasi con gli occhi lucidi "Farò quello che potrò, glielo prometto"
Battiti intermittenti del mio cuore inquieto, troppo sentita è la necessità di giustizia per i miei genitori, per la povera gente, che con quest'alito di vitalità rimastavi desiderate in maniera così forte...
"Yohoho, Alison!" entrò improvvisamente Brook "Il dottor Hogback è un gran simpaticone, vedrai che ti piacerà! Ti sta aspettando in infermeria"
"Vado subito. Grazie, Brook" gli sorrisi "Lui è Kaku, deve... "
"Oh, no" si affrettò ad uscire l'agente della CP9, sempre sorridente "Io non devo fare proprio niente. Ho finito qui, buona giornata"
 
 
 
 
 
Il dottor Hogback si era laureato a pieni voti all'università di Cambridge e ora esercitava la sua professione liberamente, spostandosi da una città all'altra, ora chiamato a Londra, ora chiamato ad Edinburgo: il suo nome era famoso tra i medici della sua generazione e non, a causa delle sue tecniche sperimentali, molte volte anche discusse pesantemente.
Si vociferava che, una volta, avesse addirittura tentato di riportare in vita un defunto, motivo per cui dagli amici era soprannominato scherzosamente "Dottor Frankestein".
Tutto ciò mi era stato raccontato da un entusiasmato dottor Chopper mentre attendevo pazientemente che il suddetto mi esaminasse.
"Oh, certo, il caso Smith!" proruppe in moine non appena vide la mia cartella clinica "Sei diventata famosa, ragazza mia! Nel nostro ambito ormai tutti ti conoscono!"
"Davvero?" chiesi, confusa.
"Ma certo!" mi fece cenno di sedermi sulla barella "Mai nessuno aveva risposto così bene al Carbonio 14 prima di te! È un vero prodigio!"
"Una volta il dottor Law mi ha detto... " incalzai, ma fui interrotta.
"Oh, caro piccolo Trafalguccio! Non voleva che io ti vedessi, sai? Eppure sono qui!" rise sguaiatamente.
"E perché mai?" mi chiesi se l'uomo che mi stava di fronte rappresentasse un pericolo oppure no, forse avrei dovuto stare in guardia.
"Beh... " sospirò, prendendo degli attrezzi metallici dalle sue tasche "Diciamo pure che molte delle mie pratiche da lui non sono approvate, ecco. Ma nulla di allarmante, tesoro, puoi stare tranquilla!"
Impallidii "Che cosa vuole farmi con quegli oggetti metallici?" sgranai gli occhi, osservando prima quelli, poi lui.
"Niente di preoccupante, signorina, te l'ho già detto" ci tenne immediatamente a precisare "Voglio solo controllare alcune cosucce di poco conto. Per me è un vero onore tagliarti, sai?"
"Lei è matto!" gridai, urlando non appena si avvicinò a me "Chopper! Kureha!"
"Non urlare!" provò a tapparmi la bocca, adirato, ma ormai i due medici erano già entrati, correndo, in infermeria.
"Che cosa succede qui?" Chopper si portò le mani alla bocca, sconvolto "Oh no, dottor Hogback! Non può operare senza anestesia!"
"Che diavolo sta facendo alla mia paziente senza la mia autorizzazione?" la Doctrine gli mollò un sonoro ceffone "Se ne vada subito da questa clinica! FUORI!"
Chopper mi prese in braccio "Lei è un ciarlatano! Non provi mai più ad avvicinarsi ad Alison, capito?" s'infuriò così tanto che gli divennero gli zigomi scarlatti, dopodiché subito mi trasportò al sicuro nella mia stanza.
"Voi non sapete con chi avete a che fare! Sono considerato un genio in medicina sperimentale! Volevo solo prelevare una provetta di Carbonio dal corpo della ragazza!"
"Era considerato tale anche da me e oggi invece ho avuto una grande delusione!"
"Se ne vada immediatamente!"
Mi tappai le orecchie e provai ad isolare le loro voci. Troppe menzogne erano state dette quel giorno, troppa rabbia era stata accesa nel mio cuore già sofferente della sua assenza, troppi tentativi di infangare la verità da parte di Doflamingo.
Mi addormentai, sperando che prima o poi l'avrebbero fatta pagare a tutti coloro che cercavano di nascondere come stavano veramente le cose.
 
 
 
 
 
"This is the last time... that i will say these words... i remember the first time... "
Suonavano i Keane nell'ipod di Trafalgar Law, nostalgici anche loro, accompagnando il mio sguardo fuori dalla finestra, una di quelle sere di dicembre in cui l'atmosfera natalizia rende fin troppo malinconici.
Sospirai, guardando la neve cadere sul lago ghiacciato e i parenti di alcuni pazienti all'ingresso della clinica ridere di gusto. Probabilmente arrivavano da un'altra città, si erano fermati qui solo per portare i regali o per salutare i loro cari.
Io invece ero sempre lì. Sola ed imprigionata.
Ma davvero il luogo liberatorio, dove avevo ricominciato a vivere, ad amare, a respirare, era da considerarsi come una prigionia? Eppure c'erano così tante cose che mi sarebbe piaciuto fare, che una sola vita non mi sarebbe bastata. Mi sentivo insofferente, angosciata, incapace di raggiungere ciò che veramente desideravo.
E così, piansi. Esatto, piansi. Piansi per tutte le terre che non avrei mai visitato e le persone che non avrei mai incontrato, i sorrisi che non avrei mai fatto e le parole che non avrei mai detto, le situazioni e le esperienze che non avrei mai affrontato...
forse irriconoscente da parte mia, ma le ragioni che facevano stare bene gli altri, facevano piangere me.
O, molto più semplicemente, mi mancava troppo Law. E tutte le altre motivazioni non erano altro che un contorno molto sbiadito al mio dolore originario.
"Alison" si avvicinò Chopper "Hanno regalato un violino a Brook, sta suonando per noi, vieni a vedere" provò ad invitarmi, ma con poca convinzione.
Continuai a fissare i fiocchi di neve che, come me, si abbandonavano alla loro inevitabile caduta e, troppo deboli per proseguire tutti interi, si scioglievano, diventando acqua che ben presto sarebbe stata asciugata.
"Alison... " incalzò di nuovo il ragazzo "Lo so che ti manca Law. Anzi, qui in clinica lo sappiamo tutti"
Silenzio.
"Ma sai, dovresti cercare di capire, sua madre è malata... e se lui si trattiene a Manchester per più tempo, c'è sicuramente una ragione importante"
Finalmente riuscì a destare la mia attenzione: mi voltai verso lui, perplessa, chiedendogli "Cos'ha sua madre?"
Chopper sospirò "Ha disturbi mentali. È così da molto tempo, ormai, e Law è l'unica famiglia che le resta"
Abbassai lo sguardo, riflettendo "Capisco. Quindi non è la prima volta che si allontana per così tanto?"
Fece cenno di no con la testa "Persino quando è qui lo chiama continuamente. Non dev'essere una vita facile, la sua"
Strinsi i pugni, autoinfliggendomi ancora più tristezza di quanta non ne avessi prima "Mi dispiace"
"Già, anche a me... " ma poi cambiò discorso, cercando con tutte le sue forze di farmi tornare il buonumore "Coraggio, non la senti questa musica pazzesca? Dai, andiamo a ballare!"
Gli sorrisi "Non sono molto brava"
"Che importa, nemmeno io" mi prese le mani "Vediamo cosa riusciamo a fare" prima che potessi ribattere ancora, mi fece volteggiare accanto al mio letto.
"Chopper!" scoppiai a ridere "Questo si chiama valzer!"
"E che valzer sia!" esclamò lui, contento, facendomi continuare a ballare e ridere per quasi tutta la notte.
Trafalgar, amore mio, tu tornerai molto presto, vero? ©



Terribilmente in ritardo, lo so!  Vi chiedo scusa, sono stata impegnatissima con gli esami! Prima che me ne dimentichi, vorrei ringraziare tutte le persone che hanno recensito finora: Namirami, Soke07, magicaemy, Gipa, e tutti coloro che hanno inserito la storia nelle seguite/ricordate/preferite! Se vi va, scrivetemi il vostro parere : )
Allora, questo capitolo l'ho cominciato con una poesia di J. Donne scritta per sua moglie a causa di un lungo viaggio che egli doveva intraprendere: sono rimasta molto colpita dalla similitudine del compasso. In pratica, paragona sua moglie alla gamba fissa del compasso ed egli si ritiene quella errante, di modo che anche se lontani, restino sempre legati e, tornino ad essere perfetti, soltanto quando anche la gamba errante "rincasa", per l'appunto.
Ho deciso di riprendere la questione "Ceasar-Doflamingo", dato che non se n'era più parlato e ho approfittato di questo capitolo di assenza di Law per farlo (non allarmatevi, nel prossimo tornerà <3), ne ho approfittato anche per inserire Lucci e Kaku (chi mi segue da più tempo, sa bene che ho un debole per quest'ultimo *-*) e il Dottor Hogback.
La terza e ultima parte si apre con le parole di una canzone dei Keane, "The last time"  (<-- sarò riuscita a fare questo collegamento? XD) e ha delle note un po' malinconiche, dopotutto ci stavano... ho inserito, ancora una volta, qualcosa di molto personale: avendo io trascorso molto tempo in ospedale, soprattutto da bambina, ricordo che, come Alison, potevo trascorrere intere giornate a guardare dalla finestra della mia stanza le persone passeggiare e, anche se col tempo ci si rende conto che in realtà è una cosa molto triste, a me all'epoca piaceva, era quasi come se indirettamente stessi partecipando a ciò che vedevo *momento confessioni tristi terminato, tranquilli xD*
Infine, provo a fare un altro collegamento perché ci tengo che ascoltiate la canzone su cui ballano Chopper ed Alison: "La valse des vieux os" di Yann Tiersen (se non funziona, cercatela su youtube e non ve ne pentirete!)
BUONE VACANZE : D
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** IX ***


 
 

"Il sole può tramontare e tornare;
ma noi quando cala la breve luce della vita,
dobbiamo dormire una sola interminabile notte"

(Poesie, V, Catullo)

 
 
 
Da piccola, adoravo il Natale. Mi piaceva quel calore familiare che ci avvolgeva attorno al camino e l'impaziente attesa della mezzanotte per scartare i regali.
Essendo figlia unica, i miei genitori erano tutti per me e, nonostante le scarse possibilità economiche, cercavano sempre di accontentarmi in tutti i modi possibili.
Quello era il mio primo anno da orfana. La tristezza si faceva sentire, in svariate forme, ma la famiglia della Rogers, ancora una volta, aveva provato a riempire il vuoto facendomi dei bellissimi regali: da Brook avevo ricevuto una compilation di canzoni suonate da lui, da Nami un bellissimo vestito rosa confetto, da Robin un libro di Orwell e, infine, i medici ci avevano offerto una cena fantastica.
Insomma, anche se in modo diverso, in un certo senso ero riuscita a sentirmi come a casa. Mancava soltanto lui per alleviare completamente il mio dolore.
Guardo il suo volto nei sogni, non posso toccarlo, è etere che svanisce non appena lo si modella alla realtà...
Andai a dormire molto presto, non prima che Robin mi attaccasse due lavaggi e non prima di aver letto almeno il primo capitolo del libro che mi aveva regalato.
Affondai la testa nel cuscino e mi addormentai quasi subito, sperando di sognare per l'ennesima volta il volto tranquillizzante di Trafalgar Law, eppure, nel bel mezzo della notte, udii la porta della mia stanza aprirsi lentamente...
Il cigolio mi fece aprire gli occhi e sbattere le palpebre assonnate più volte "Dottor Law?" non riuscivo a credere ai miei occhi "È davvero lei?"
Improvvisamente, riuscii a distinguere la sua fisionomia alla luce fioca di una candela dalla fiamma tremolante che teneva in mano: eccoli, i suoi jeans attillati, eccola la sua camicia azzurra che lasciava intravedere parte del suo petto, ecco il suo volto, la sua barba, i suoi capelli, ma soprattutto i suoi occhi.
E nell'esatto istante in cui il sogno diventa realtà che pensiamo di aver perso la ragione, o quantomeno di non aver lasciato del tutto la dimensione del sonno...
"Io credevo che... " mi misi seduta sul letto e lo osservai meglio "Che ci fa qui? Credevo fosse a Manchester" balbettai, cercando d'ignorare il mio cuore che aveva preso a battere all'impazzata e, soprattutto, cercando d'ignorare la tentazione di pizzicarmi il braccio per assicurarmi che non stessi sognando.
Ma egli, per tutta risposta, dopo aver adagiato la candela sul tavolo, si sedette velocemente sul mio letto e, senza darmi il tempo di realizzarlo pienamente, mi prese il volto tra le mani e mi baciò.
Caldo, avvolgente bacio rimasto in cantiere per troppo tempo, sei tu l'ancora benefica che mi tiene legata a questa vita, e per te potrei vivere un'eternità, mi sento infinita: un'eternità solo per aspettare questo fugace, delicato, meraviglioso momento di una lunga vita ombrosa.
I pensieri mi si azzerarono, le mie guance presero calore, temevo che il cuore a momenti mi esplodesse fuori dal petto: aveva un sapore freddo ma dolce, amaro ma caldo.
Le nostre labbra si separarono quasi affannate, ancora vogliose, avvertivo i miei battiti dappertutto, nelle orecchie, nella testa.
Il dottor Law, dopo un attimo di incessante silenzio, si decise a parlare "Mi rincresce che abbia dovuto conoscere il dottor Hogback, signorina Smith. Le prometto che non si verificherà mai più un episodio del genere, non ora che ci sono io"
Lo guardai intensamente, ancora provata dal bacio appassionato di poco prima "È tornato per assicurarsi che stessi bene, dottore?" osai, desiderosa di comprendere i misteri più reconditi di quell'uomo bellissimo.
Seguì ancora un altro momento di silenzio, dopodiché si limitò semplicemente ad ammettere "Sì"
Fu il mio turno di baciarlo: riempita da quella gioia immensa di sapere che il mio amore era ricambiato, non esitai a posare di nuovo le mie labbra sulle sue, avevo aspettato che uscisse allo scoperto per troppo tempo, avevo troppo sofferto d'incertezze.
Trafalgar Law leccò il mio labbro inferiore e posò le sue mani sulla mia vita, facendomi socchiudere gli occhi e rendendomi impaziente di approfondire quel contatto fisico.
Sorpresa notturna, piacevole incontro, prego Dio che non sia solo frutto della mia immaginazione sofferente e del suo eco mancante: oh Luna, per favore, dimenticati di cedere il posto al sole, questa notte è infinita e io non voglio più svegliarmi.
Mi fece stendere sul letto e lui si stese lentamente su di me, non smettendo nemmeno un attimo d'inchiodarmi con quello sguardo argentato; con delicatezza mi prese le braccia legate ai lavaggi e me le posizionò con cura sulla testa, di modo che fossero immobili.
Non parlavamo. Semplicemente, ci fissavamo carichi di reciproca aspettativa e sentivamo, liquida, scorrerci nelle vene un'adrenalina tale che ebbi paura di bruciare il mio corpo della sola eccitazione emanata dal suo.
Il dottor Law mi abbassò piano i pantaloni del pigiama azzurro che indossavo, dopodiché, sfiorandomi la forma delle gambe con i polpastrelli, me li sfilò con impazienza.
Dottore, ma è vero che l'amore può guarire da qualunque malattia? È vero che può riportarci in vita, anche solo per un attimo, persino quando siamo davvero spacciati?
Avrei dovuto credere di più al dottor Hiluluk, perché per un suo bacio, caro dottor Law, io sono morta e rinata assieme.
Ci baciammo ancora, io lottando contro la tentazione di toccarlo, di liberarmi le mani, di posare le dita sul suo corpo perfetto, cosa che riuscì immediatamente a capire: Trafalgar Law si sbottonò la camicia, rivelando il suo torace tatuato e facendomi inebriare gli occhi della sua bellezza.
Riuscii a spostargli le mie labbra addosso, assaggiai la sua pelle, gli baciai il volto, mentre lui mi sbottonava il restante pigiama e prendeva tra le grandi mani tatuate, come coppe, i miei seni.
Reclinai la testa all'indietro ed emisi un leggero gemito, mi sentivo bagnata d'eccitazione e non vedevo l'ora che le sue dita scendessero verso il basso; invece con i pollici cominciò a stuzzicarmi i capezzoli e tardò un'infinità ad arrivare dove avrei voluto.
Nella mia mente gemevo, ansimavo, quasi gridavo il suo nome; accanto a lui tacevo, sognavo, semplicemente gli sospiravo addosso...
Il dottor Law prese ad accarezzarmi nell'intimo con le dita, facendomi sussultare e poi morire; infine, come a lasciarsi per ultimo il pasto più prelibato, abbassò la lampo dei suoi jeans e si toccò in modo sensuale.
Lo guardavo, lo mangiavo con gli occhi e gemevo, gemevo senza ritegno solo ad ubriacarmi di quella vista meravigliosa, fino a quando, finalmente, non entrò dentro di me.
...e lì fu estasi, lì fu paradiso, lì fu unione e benedizione, lì furono gemiti e sospiri, lì furono mani e piedi e gambe e corpi, lì fu Trafalgar Law sotto le lenzuola all'ombra di una fioca fiamma di candela, la notte di Natale, a dare vita e felicità ad Alison Smith, che stava rinascendo, stava rinascendo pian piano ad ogni vigorosa spinta...



 
 
 
 
"Qualcuno è stato molto contento del ritorno del dottor Law" mi fece un occhiolino Nami in infermeria, la mattina seguente "Non è così?"
Arrossii, ma non potei evitare di sorridere: dovevo sprizzare buonumore da tutti i pori "Sì"
L'infermiera dai capelli rossi s'intenerì, alla mia risposta "Sono tanto contenta per te"
"Ti ringrazio" le dissi, sinceramente "Anch'io sono contenta che tu e Sanji continuiate a vedervi"
Le scappò una risatina nervosa: proprio non voleva ammetterlo "Beh, diciamo che paga sempre per me e cucina dei piatti veramente deliziosi!"
Scossi la testa, probabilmente non sarebbe mai cambiata, ma in fondo era meglio così: non avrei cambiato una sola virgola delle persone lì in clinica, tutte mi piacevano così com'erano e non le avrei amate se non avessero avuto quei difetti che le caratterizzavano e che facevano di loro anzi, di noi, un'unica, grande, variegata famiglia. ©



 
Eccoci qui! Ritorno dalle vacanze abbastanza soddisfacente, mi sono letteralmente innamorata del Salento e spero che anche le vostre vacanze stiano andando bene Emoji
Subito mi sono rimessa a scrivere (e dobbiamo dirlo? Anche a studiare!) e spero vi sia piaciuto questo capitolo in cui (finalmente!) Law ed Alison combinano qualcosa (mi sono trattenuta causa rating arancione, ma avrei scritto molto di più... tuttavia, come già avevo detto, per una storia del genere non mi sembrava il caso di eccedere in particolari sconci).
Comincio con Catullo, mi è sempre piaciuta molto quella frase e mi sembrava pertinente al contenuto del capitolo e, infine, termino con Nami e Sanji che continuano ad uscire insieme (so che ci tenevate, soprattutto namirami! : P).
Questo capitolo è breve, lo so, e ho anche l'impressione che il ritmo sia troppo veloce nella descrizione di sesso: la velocità nella narrazione è una cosa su cui cerco di lavorare da anni ormai, purtroppo non sempre ci riesco perché, è più forte di me, in descrizioni del genere divento impaziente anch'io (!!!) e non rispondo più della mia penna xDD spero comunque che la lettura non risulti troppo sgradevole!
Penso che per ora sia tutto. Se avete dubbi, non esitate a chiedere e se volete commentare, sappiate che mi farete felice! : )
A presto!


EDIT: ho appena letto, nelle pagine di alcuni autori, dell'iniziativa "Voglio farti una domanda", in cui si possono fare domande all'autore/autrice in questione sia personali che riguardanti le sue storie. Di solito non partecipo a cose simili, però questa qui mi piace: sarebbe carino ricevere qualche domanda : )
non sapevo dove scriverlo (anche perché penso sia molto più in vista qui che nelle note personali sulla mia pagina) quindi eccolo qua:
AUTORE PARTECIPANTE AL "VOGLIO FARTI UNA DOMANDA"
Con questo Bann, dai la possibilità a chiunque voglia di porti una domanda personale -come autore sulle tue storie o sulla tua persona- a cui risponderai con assoluta sincerità, ripostando domanda e l'utente che te l'ha posta, e la risposta, sulle tue Bio
L'oppurtunità è valida dal 15-04-14 al 31-08-14
Se come autore vuoi partecipare, copia-incolla questo Bann nelle tue Note Personali, non sono ammesse domande che violano il dirittto alla Privacy

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Capitolo 10
*** X ***


"... ma è difficile restare arrabbiati quando c'è tanta bellezza nel mondo.
A volte è come se la vedessi tutta insieme, ed è troppa.
Il cuore mi si riempie come un palloncino che sta per scoppiare.
E poi mi ricordo di rilassarmi, e smetto di cercare di tenermela stretta.
E dopo scorre attraverso me come pioggia,
e io non posso provare altro che gratitudine,
 per ogni singolo momento della mia stupida, piccola, vita."

(American Beauty, 1999)
 
 
 
 
 
 
 
Piena. Mi sentivo piena, satolla di vita immensa che tutto il mondo può offrire, in pace con me stessa, finalmente rilassata e tranquilla.
Quanto possono cambiare la serenità di un'anima, i piccoli gesti: semplicemente, la consapevolezza di un amore ricambiato, quell'amore forte, meraviglioso, che supera le distanze.
Le mie giornate ora avevano un sapore diverso, più saziabile, e tutti, attorno a me, lo notavano con piacere "Buongiorno, Alison" mi salutò un giorno Nico Robin "Ti sei svegliata più tardi stamattina, eh?"
Mi sgranchii "Sono riuscita a dormire di più"
Mi sorrise "Ti ho portato la colazione" disse, offrendomi un vassoio colmo di croissants e latte fresco "E un nuovo libro" porse, tra le mie mani, "Ulisse" di Joyce, strizzandomi l'occhio "Questo è una bella sfida: mi ci è voluto un po' per intenderlo a fondo e completarlo, ma so che per divoratrici di classici come me e te, non è altro che pane per i nostri denti"
"Oh, ti ringrazio" osservai la copertina e sfogliai le prime pagine "Ho sempre desiderato cimentarmi con la lettura di Joyce!"
"Sono contenta che ti faccia piacere" si allontanò felice, lasciandomi mangiare e leggere in tranquillità.
Fui talmente presa dalla lettura, che il pomeriggio quasi non mi accorsi delle prime gocce di pioggia, lì, nel giardino interno divenuto ormai il mio posto preferito.
Lasciai che mi scorressero sul volto, che mi bagnassero i capelli... io che volevo vivere una vita immensa e sentire l'infinità di ogni momento in ogni singola goccia: m'identificai con quella pioggia esile, sottile, quasi invisibile, eppure la sentivo imperversare dentro me con una tale forza da ridurmi in ginocchio...
È questo, il nostro amore, Trafalgar? Una leggera pioggia delicata per chi ci guarda, ma un temporale devastante nei nostri cuori?
Sembrava quasi che fossi andata a letto con un altro.
I suoi sguardi mi facevano stare male, mi tagliavano a metà: avrei voluto poterlo baciare ancora, potergli chiedere il perché di questo gelo tra noi, ma mi mancò il coraggio.
Sola, sotto le coperte del mio letto, pensavo a quando le aveva riscaldate assieme a me. Provai a parlarne con Robin e anche lei fu d'accordo con me sul fatto che l'atteggiamento del dottor Law nei miei confronti, dopo quella notte di passione, sembrava essere tornato esattamente al punto di partenza: era freddo, professionale, di poche parole.
Mi chiesi se avessi fatto o detto qualcosa di sbagliato...
"Non stare troppo a preoccuparti, Alison" mi consolò il mio amico Chopper "È fatto così, vedrai che tra un po' gli passerà"
"Yohoho, è lunatico!" rise Brook "Forse gli ci vorrebbe una bella canzone per sciogliergli quel cuore di ghiaccio!"
Ghiaccio molto più resistente e restio di quanto pensassi, a quanto pareva... credevi davvero di poterlo distruggere semplicemente con un raggio di sole? Iceburgs simili avrebbero avuto bisogno di molto più tempo.
Uno spiraglio di luce, almeno, nelle tue creste fredde e appuntite, sono riuscita a crearlo?
Trascorsi nell'incertezza la settimana successiva, quando venne a lavoro di rado. Dopodiché, un giorno, si presentò nella mia stanza di primo mattino con la mia cartella clinica e una penna "Buongiorno, signorina Smith"
"Buongiorno" gli risposi freddamente, adattando le mie maniere alle sue, risentita.
"Come si sente, oggi?" mi chiese senza nemmeno guardarmi, limitandosi a scrivere su quella maledetta cartella, il volto incorniciato da un paio di occhiali da vista che rendevano i suoi tratti semplicemente deliziosi.
"Come sempre"
"Perfetto" terminò la scrittura, al che alzò gli occhi verso me e mi fulminò con quello sguardo magnetico che faceva ancora più stragi dietro quei vetri "Mi dica, è mai stata a Londra?"
La sua domanda mi confuse "No, perché?"
Per tutta risposta, si tolse gli occhiali con gesto sexy e annunciò "Le consiglio di cominciare a fare le valigie. Domani mattina si parte"
"Cosa?" sgranai gli occhi per la sorpresa "Ma come? Per quale motivo?"
Ripose la penna nel taschino del camice bianco "C'è un medico importante che si è interessato al suo caso e vorrebbe visitarla. Lei se la sente di affrontare il viaggio, no?"
Improvvisamente, il mio cuore volò: volò con così tanta forza, che dovetti premermi una mano sul petto e sorridere senza freni "Ma certo, io... io ho sempre sognato di andare a Londra, avrei dovuto trasferirmi lì, ma poi... "
"Molto bene. Dirò all'infermiera Nami di aiutarla con i preparativi, allora" si allontanò, simulando indifferenza, ma avrei giurato di vedere un'ombra di allegria anche sul suo volto mascherato dalla freddezza.
 
 
 
 
L'indomani, salutai a dovere tutti i miei amici e, finalmente, partii da sola con l'uomo che amavo per la città che amavo, pur non essendoci mai stata.
Salutai dall'ingresso della clinica Rogers, con una piccola valigia tra le mani, Brook e Chopper che mi guardavano da una finestra al primo piano.
Finalmente, ero fuori: ero io quella che veniva guardata, con sospiri, dalle finestre; ero io che mettevo piede fuori dalla tana e mi avventuravo verso la grande città e, magari, i pazienti mi osservavano dall'interno con invidia...
Londra era nei miei sogni fin da bambina: amare un luogo pur non avendolo mai visitato, amore infantile, sogno troppo a lungo alimentato, l'avevo ingigantito, colmato, desiderato fin troppo veementemente.
Un taxi ci portò alla stazione di Bristol e, da lì, prendemmo un treno che in poche ore ci avrebbe portati a destinazione.
Uscire dalla Rogers, per me, fu una gran sorpresa: ero regredita allo stato in cui ci si sorprende per ogni minima cosa, che sia una bolla di sapone fatta da un bambino per strada, o un automobilista impaziente che suona il clacson per farsi largo.
Non mi accorsi nemmeno di Trafalgar Law che, dopo avermi osservata compiaciuto per un paio di minuti, mi disse "È liberatorio acquistare la libertà dopo quasi cinque mesi di reclusione, vero?"
Caddi dalle nuvole: mi voltai a guardarlo, ancora in taxi, come se fossi in una specie di trance. Lo guardai, ma non lo vidi: poco a poco, mi resi conto del suo volto gentile, dei suoi occhi già non più freddi, dei suoi capelli corvini scompigliati e della camicia viola che aveva indossato per la partenza.
Dopo un istante che parve interminabile, riuscii a fare di sì con la testa, gesto che lo fece sorridere quasi umanamente.
Il viaggio in treno non durò molto: io continuai ad osservare entusiasmata il panorama che scorreva veloce dal finestrino, mentre il dottor Law prese a leggere un quotidiano, fingendo d'ignorarmi.
Posai la mano sul vetro: tutta quella vita che sfrecciava sotto i miei occhi, ne era così tanta che non ero sicura che sarei riuscita a reggerla, è soltanto la prova inconfutabile che il mondo va avanti, nonostante tutto; nonostante le tragedie più orribili della storia, il mondo si è rialzato; nonostante i flagelli, i disastri, gli omicidi, le brutture del caso e i difetti vari, il mondo trova sempre il modo di rinnovarsi: c'è chi non dimentica... eppure, alla fine, anche se non è la stessa, la vita trionfa sempre.
Il treno arrivò in città alle dodici in punto: il dottor Law mi aiutò a trasportare i bagagli e, dopo aver osservato meravigliata anche King's Cross, prendemmo un altro taxi.
Le strade della capitale erano mozzafiato: stracolme di folla, adornate a festa, tutto creava un'atmosfera assolutamente magica.
Arrivammo al nostro albergo puntualissimi, al che Trafalgar Law diede il proprio nome alla reception e mi consegnò le chiavi della mia stanza.
"Grazie" gli dissi, un po' delusa. Stupidamente, mi ero illusa che fossimo in camera assieme.
Lui non badò alla mia reazione e, con le valigie alla mano, cominciò a salire al piano superiore. Io rimasi per un momento ad ammirare estasiata il lusso di quell'hotel: recava piante e fiori in ogni angolo, tende rosse e dorate, dava quasi l'impressione di un vecchio teatro.
Ma poi, stanca di tutto quel sorprendermi, decisi di andare anch'io nella mia stanza e riposare un po': la giornata sarebbe stata lunga e io avevo tante cose da chiedere al bel dottore dagli occhi grigi. ©
 
 
 
 
 
Decimo capitolo di "Carbonio 14" e vi annuncio che siamo quasi agli sgoccioli della storia! Spero che vi sia piaciuta e che continui a piacervi fino alla fine!
Questa volta comincio con la citazione di un film molto bello, "American Beauty" che, confesso, non avevo mai visto fino a qualche settimana fa: mi è piaciuto così tanto che ho pensato d'inserirlo anche qui.
Quello della "vita che passa" è un argomento su cui si può riflettere molto, spero che almeno un po' ciò che ho scritto vi possa portare a pensarci.
Infine, Londra: come il sogno della protagonista era quello di andarci, il "mio sogno" era quello di portarcela! E in compagnia di Law, poi, chi non vorrebbe essere al suo posto?
Mi piace scrivere di posti reali in cui sono stata: ho visitato Londra tre anni fa e quindi posso dire di conoscerla abbastanza bene : )
Credo che per ora sia tutto... scrivetemi, per qualunque cosa! A presto!
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** XI ***


"Dietro ogni cosa squisita vi è una cosa tragica.
I mondi debbono penare perché possa sbocciare un fiore."
 
(O. Wilde)
 
 
 
 
 
Dopo aver sistemato le valigie, il dottor Law mi disse di farmi trovare in sala conferenze alle dodici in punto e così fu: dopo aver dato un'occhiata alla mia stanza di un beige chiaro e rilassante ed essermi cambiata il vestito, scesi al piano terra e, davanti ad una porta di legno, vi trovai Trafalgar Law in giacca e camicia.
Era una visione spettacolare. Eppure, sembrava alquanto alterato: non si accorse nemmeno del vestito azzurro pallido che mi aveva regalato Nami.
"Va tutto bene, dottor Law?" azzardai, preoccupata.
Il medico dagli occhi stupendi sbuffò, passandosi una mano tra i capelli neri con fare nervoso "Non vogliono farla entrare" ammise, con rabbia "Ho cercato di dirgli che è un'assurdità parlare del suo caso senza la sua presenza, ma... "
"Chi vuole parlare del mio caso?" caddi dalle nuvole, accigliata: ero partita con lui come ipnotizzata dall'amore cieco che provavo nei suoi confronti, senza nemmeno essermi preoccupata di cosa saremmo andati a fare.
Law m'inchiodò con lo sguardo e, freddo come sempre, cominciò a spiegarmi "Il dottor Crocus è il medico più importante di tutta l'Inghilterra: anche lui, come noi, ha accolto le vittime del disastro nucleare di St. Paul anzi, si è occupato dei casi più gravi" fece una pausa, abbassò lo sguardo, e poi riprese "Si è interessato al suo caso, così come il dottor Hogback... ma intende operarla"
"Operarmi?" sgranai gli occhi, incurante delle persone che cominciavano a raccogliersi nella hall dell'albergo "Perché?
Disperazione nei suoi occhi, sentivo quel grigio farsi liquido e poi urlare, trovava un corrisposto nei miei così simili ai suoi: cosa c'era di così terribile che quell'uomo misterioso stava cercando di dirmi?
Silenzio.
"Dottor Law, la prego, così mi uccide... " incalzai, allarmata "C'entra qualcosa con il dottor Hogback?"
Sospirò "Hogback e Crocus hanno avanzato la proposta di operarla e trapiantarle gli organi: considerano impossibile la probabilità di sopravvivenza immune, dopo un'inalazione così possente di carbonio 14, come nel suo caso, che ha fatto parlare tutti i migliori medici della Gran Bretagna"
Mi portai le mani alla bocca per lo sgomento, le lacrime agli occhi.
"Ma io sono contrario" un'altra fitta al cuore, a causa di quello sguardo "Penso che il suo sia un caso fuori dal comune, esente da qualsiasi tipo di lesione. Operarla sarebbe inutile, vive già bene così"
"Dottore, la prego, io... " tremai, abbassando la voce, cercando di avvicinarmi il più possibile a lui.
Udimmo un campanello e, improvvisamente, tutto il brusio della folla circostante si attenuò.
"La conferenza sta per cominciare, signori, si prega di entrare nella sala apposita" annunciò un anziano signore dall'aria severa.
"Devo andare" sibilò in un sussurro Trafalgar Law.
Il mio cuore sussultò, ma poi mi rilassai "Sono sicura che farà tutto il possibile, dottore. La mia vita è nelle sue mani" tutt'a un tratto, come spinta dal sentimento irrefrenabile, le mani gliele presi per davvero: fu un momento bellissimo.
La morbidezza di quest'epidermide che brucia, il pallore di questi polpastrelli incerti che bramano un contatto col suo corpo, scarica elettrica che attraversa il corpo di entrambi.
Ma non durò che un istante: il dottor Law guardò le mie esili dita bianche nelle sue tatuate, come se fosse ancora sovrappensiero, dopodiché si ricompose e le sciolse, voltandosi ed entrando nella sala con le altre persone.
Fu un'attesa interminabile: presi a camminare su e giù per l'atrio, tormentandomi le dita, arricciando la piega del vestito, nervosa. Proprio non riuscivo a credere che non mi avessero fatta entrare!
Dopo qualche ora che il receptionist mi osservava, curioso ma comprensivo, decise di avvicinarsi a me, porgendomi un giornale "Forse le farà piacere distrarsi con la lettura del quotidiano, signorina"
"La ringrazio" provai a sorridergli, probabilmente con scarsi risultati.
Mi accomodai su una poltrona rossa e cominciai a sfogliare le pagine svogliatamente, senza intendere le parole su carta finché, improvvisamente, non m'imbattei in un titolo che destò immediatamente la mia attenzione:
 
 
 
 
DONQUIJOTE DOFLAMINGO E CEASAR CLOWN ACCUSATI DEL DISASTRO NUCLEARE DI ST. PAUL.
 
Sembra ufficiale la notizia arrivata solo ieri dal governo: pare che il re Doflamingo e lo scienzato sperimentale Ceasar Clown (addetto al controllo della centrale nucleare esplosa lo scorso agosto a St. Paul, in Cornovaglia, ndr) questa volta non ce l'abbiano fatta: a causa dei ferrei controlli delle forze dell'ordine e delle intercettazioni, il maggiore Sengoku questa mattina ha affermato: "Siamo molto contenti di avere finalmente delle prove inconfutabili a nostra disposizione. Non è altro che una conferma di ciò che tutti noi segretamente sospettavamo. Le nostre indagini sono andate avanti per quasi sei mesi e, a questo punto, grazie all'apporto del nostro prezioso membro Kaku, possiamo affermare con sicurezza che l'esplosione di quella centrale è stata tutta un progetto architettato tra i due sopracitati: pare che, all'insaputa di tutto il regno, stessero utilizzando materiali radioattivi per creare un'arma di distruzione di massa e, nel momento in cui stavamo cominciando a sospettare qualcosa, è stato deciso di farlo saltare in aria: nulla di più semplice."
Non è arrivata tardi la dichiarazione di Doflamingo: "Cosa volete che vi dica? Sì, ammanettatemi, sbattetemi in prigione! Il mio obiettivo era solo quello di elargire il prestigio e il dominio di questo paese! Ma se i miei sudditi non desiderano ciò, vi giuro che un giorno se ne pentiranno!", queste le sue parole mentre veniva trascinato presso la stazione di polizia.
Ora non ci resta che sperare che, dopo esserci ritrovati senza sovrano né erede al trono, possiamo convogliare ad elezioni pubbliche e dare una smossa alla nostra madrepatria.
 
 
 
 
Restai impressionata, ma anche soddisfatta da quella lettura: finalmente, chi ci aveva fatto del male, avrebbe pagato!
Sì, era decisamente ciò che meritavano entrambi: due pazzi, due persone orribili che erano state capaci di tanto male, che probabilmente una sola vita non sarebbe loro bastata per provarne altrettanto... il coraggio di uccidere tutti quegli innocenti e di causare danni permanenti a chi non c'entrava niente... era a dir poco disumano.
"Mamma, papà, giustizia per le vostre anime... " sospirai, chiudendo gli occhi.
Eppure, non riuscii a non rallegrarmi nel vedere citato il nome dell'agente Kaku: era vero che non tutte le persone erano malvagie, mi sentivo estremamente felice nel constatare che le mie parole avevano fatto scattare qualcosa in lui. Si era comportato da vero eroe.
Così, senza rendermi conto del tempo che passava, d'improvviso vidi uscire le persone dalla sala conferenze, tutte a conversare animatamente tra loro e ad osservarmi di sottecchi.
Mi alzai dalla poltrona di scatto, facendo cadere il quotidiano, quando finalmente vidi lui: si era allentato la cravatta, sembrava sudato, e ora veniva verso me a passo spedito.
Come un messaggero d'amore o di morte, si avvicina questa benevola sensazione e mi sento riempire: le vene, i polmoni, il cuore... di cos'ero malata, se non di lui? Cos'altro avrebbero potuto asportarmi, se non lui?
"Dottor Law... come si sente?" gli chiesi, preoccupata.
Sospirò, poi ignorando la mia domanda, disse "Dopo pranzo dovremo andare allo studio del dottor Crocus a farle delle radiografie"
Abbassai lo sguardo "Quindi, non è stato deciso ancora nulla"
"No, per il momento. Ma sono sicuro di riuscire a convincerli della mia posizione" affermò con una tale sicurezza che mi rassicurò quasi del tutto.
A quel punto, andammo a pranzo al ristorante dell'albergo: quanto mi mancavano le pietanze di Sanji!
Per un istante pensai agli altri, a Bristol, alla clinica Rogers e a quanto sentissi la mancanza di tutti. Probabilmente, anche loro stavano sentendo la mia.
Ma ero a Londra ed ero con Trafalgar Law, di questo non mi sarei mai pentita... e, affondando il cucchiaio nella minestra, incrociai il suo sguardo d'argento e capii che quelli sarebbero stati i giorni più belli della mia vita. ©
 
 
 
 
Ciao a tutti Emoji terribilmente in ritardo, lo so! Vi chiedo scusa e spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento.
Come vedete, le cose pian piano stanno cominciando a rimettersi in ordine: l'arresto di Doflamingo e Ceasar ne è la prima prova (perdonate il mio elogiare sempre Kaku, ma che ci posso fare, lo adoro troppo! *-*).
Comincio con un gigante della letteratura inglese, con una sua citazione che mi ha colpita tantissimo: penso che abbia ragione al 100%, quando afferma che tutto ciò che c'è di bello nel mondo spesso nasce da una sofferenza molto profonda (chiaramente io volevo riferirmi all'amore tra Alison e Law, nato in circostanze poco piacevoli).
Che dire... penso sia tutto, se avete dubbi, chiedete pure! Spero di riuscire ad aggiornare al più presto, alla prossima!

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Capitolo 12
*** XII ***


"Vedendo Londra, ho visto tutta la vita che il mondo può presentare."
 
(S. Johnson)
 
 
 
La metropolitana era un'invenzione strabiliante: non l'avevo mai vista prima di allora, era veloce, rumorosa, ma efficiente e soprattutto coloratissima: le stazioni erano piene di graffiti, manifesti e persino musica!
Mi guardavo attorno, per l'ennesima volta, estasiata "Wow... " mi lasciai sfuggire, incantata.
Trafalgar Law si era liberato della giacca fin troppo elegante e ora entrava assieme a me, nel treno della stazione di South Kensington, soltanto in camicia bianca e pantaloni neri, raffinato ma sexy come sempre.
"Si sieda, signorina Smith" m'invitò accanto a lui nel vagone abbastanza affollato, invito che accettai immediatamente, nonostante fossi ancora un po' confusa da tutte quelle novità insieme.
"Ha ancora il mio ipod con sé?" mi sussurrò all'orecchio, mentre il treno partiva.
"Sì" annuii subito, cercandolo nella mia borsa "Ecco" glielo porsi.
Non me n'ero mai staccata: per me era presenza incessante, conforto costante, come se nelle note della sua musica preferita fossero nascoste le dolci parole che, nei miei sogni ovattati, venivano sussurrate alle mie orecchie per consolarmi.
"Ci servirà" mormorò, accendendolo e porgendomi una cuffia "Ci aspettano un bel po' di fermate"
Feci per afferrare la cuffia, ma improvvisamente il dottor Law cambiò idea e fu proprio lui ad infilarla nel mio orecchio, ennesimo contatto minimo che mi fece sussultare.
Tutt'a un tratto, un meraviglioso pezzo al pianoforte mi deliziò l'udito... era struggente, malinconico, stupendamente in stile dottor Law.
Cominciai a guardare le persone sedute in metropolitana: tutte sembravano affaccendate, annoiate, ansiose di arrivare a destinazione. Rividi me stessa, se fossi riuscita a trasferirmi in quella città a studiare.
Tutto sarebbe stato diverso, forse migliore, chissà... intanto le note mi riempivano l'anima, me le sentivo dentro, erano immense e bellissime.
Mi ritrovai a scavalcare le nuvole, quanto più la canzone saliva di tono, la mia salvezza era la libertà, finalmente potevo viverla e respirare a pieni polmoni la mia nuova vita, che mi avrebbe portato cose belle o cose brutte non importava: anche nei momenti peggiori c'era qualcosa da apprezzare perché anche quelli facevano parte della nostra breve, ma ricchissima vita.
Mi venne da pensare a Brook: anche lui diceva di andare in estasi con un pezzo suonato bene al pianoforte e così, probabilmente, si estraniava come me dal mondo esterno per concentrarsi soltanto sulla voce del proprio spirito.
Diedi un ultimo sguardo alle persone che, pur dovendo arrivare in altre destinazioni e prendere vie diverse dalle mie, in quel momento si trovavano sulla mia stessa strada: quante persone e quante esperienze meravigliose, in questo modo, si perdeva l'umanità! Destini di gente incrociata per caso sulla stessa via ma che per uno strano gioco del fato non dobbiamo conoscere, vite di sconosciuti incontrati per caso in metropolitana che possiamo soltanto immaginare! E così, se mai ci dovesse essere qualcuno che potremmo amare, non siamo destinati a scoprirlo...
Chiusi gli occhi e poggiai la testa sulla spalla del dottor Law: ma cos'altro avrei voluto scoprire? Tutto ciò che volevo era lì accanto a me, non dovevo fare altro che prenderlo.
Questa smania immensa di voler conoscere le persone, di voler fare esperienze, insomma di vivere la mia vita, era una voglia che passava immediatamente in secondo piano nell'istante stesso in cui mi soffermavo a contemplare i sentimenti che provavo nei suoi confronti.
La musica andava avanti... e così, spinta dalle mie riflessioni e contemporaneamente dall'abbandono della mia mente, lo baciai lì, all'improvviso, davanti a tutti.
Trafalgar Law ricambiò il bacio, ma non gradì: lo sentivo sulle sue labbra, quel gesto pubblico ed istintivo lo aveva infastidito non poco, persona talmente fredda da non concedersi completamente nemmeno nel privato.
Ma arrivò ben presto la nostra fermata e né io né lui aprimmo bocca...
 
 
 
 
Una volta scesi a Westminster, una folata di vento freddo mi fece tossire "Forse sarebbe meglio andare subito dal dottor Crocus" mormorò preoccupato il dottor Law.
"Oh, no" ci tenni subito a minimizzare "Sto bene, davvero. Ci terrei tanto a vedere il parlamento... ho sempre sognato di visitare Londra!" quasi lo supplicai, posando di nuovo il suo ipod nella mia borsa.
Dopotutto, ero soltanto una ragazzina della Cornovaglia che non era mai stata in città e, oltretutto, il mio futuro era talmente incerto... insomma, quante altre occasioni mi sarebbero capitate?
"Questo non è un viaggio turistico, signorina Smith" mi rimproverò, stizzito "Siamo qui per necessità"
"Lo so" feci spallucce "Ma dev'essere proprio qui vicino, lo sento... magari è di strada!" insistetti ancora, quasi con le lacrime agli occhi.
Il dottor Law sbuffò, estraendo il cellulare dalla tasca e allontanandosi per telefonare, al che io cominciai a camminare, sperando che mi avrebbe seguita, infilandomi di nuovo le cuffie nelle orecchie.
London calling to the faraway towns... now war is declared and battle come down...
I Clash suonavano nella mia testa, mentre proseguivo voltandomi a destra e a manca, affascinata dalle strade addobbate, dagli autobus rossi fiammanti, persino dai passanti!
"Tutto questo avrebbe potuto essere mio" pensavo con rammarico, ma ora anche con gioia, mentre l'aria fredda del mese di gennaio mi sferzava la pelle.
The ice age is coming, the sun is zooming in, engines stop running and the wheat is growing thin, a nuclear error but i have no fear 'cause London is drowning and I... i live by the river...
La strofa sull' "errore nucleare" non poté che farmi sorridere amaramente e, prima che me ne rendessi conto, mi ritrovai nel bel mezzo di Trafalgar Square.
L'immensa piazza inglese si stagliava di fronte a me: grande, affollata, imponente. Era proprio come l'avevo sempre vista in foto: c'erano due enormi fontane ai lati, in fondo la National Gallery e al centro un'altissima statua dell'ammiraglio Nelson.
Mi tolsi lentamente le cuffie e restai a bocca aperta: tutta quella bellezza non poteva essere vera! E pensare che avrei potuto...
"Finalmente!" mi sentii afferrare per un braccio "Rischiavo di perderla di vista! Ma si può sapere cosa le è preso?" il dottor Law era agitato e, ovviamente, arrabbiatissimo "Non lo faccia mai più o alla conferenza di stasera non mi presenterò e la farò operare da quel macellaio del dottor Hogback!"
Parole che mi avrebbero fatta tremare solitamente, adesso venivano recepite dalle mie orecchie come soavi minacce "È meraviglioso, dottor Law... " fu l'unica frase sensata che riuscii ad articolare "È tutto ciò che ho sempre sognato... "
Mi guardò in cagnesco, aveva l'affanno: probabilmente mi aveva corso dietro per non so quanto tempo "Le devo ricordare che si tratta di un viaggio professionale?"
Dolci i suoi rimproveri nel vento di gennaio, il mio angelo della morte sapeva bene cosa stessi provando e, mascherandosi di autorità ed impassibilità non faceva altro che assecondarmi: così facendo, mi avrebbe permesso di vedere il mio sogno, anche solo per un attimo, a prezzo di ascoltare le sue ramanzine.
Dopo un momento di distratto silenzio, come se fossi in un'altra dimensione, dissi la cosa più banale che si potesse dire in una simile circostanza "Trafalgar Law è a Trafalgar Square"
Lui, per tutta risposta, si portò una mano sulla fronte "Oh Cristo, è proprio andata... " ma avrei giurato di aver visto spuntare un malizioso sorriso nascosto tra le dita che gli coprivano il volto.
Sorrisi, al settimo cielo "Guardi, dottore: da qui si vede il Big Ben!" indicai giusto di fronte a me, contenta e ricca di speranze, trovando persino il coraggio di prenderlo per mano e farlo correre assieme a me verso il parlamento di Westminster.
Per la prima volta, l'angelo non si oppose: non fece resistenza all'invito della mia mano, semplicemente si lasciò guidare, coinvolto dalla mia straripante gioia, pur continuando a mascherare la sua dietro un cipiglio austero ed impenetrabile.
Soltanto io, soltanto io potevo affondare le unghie affilate della felicità e del sole all'interno del suo cuore tetro e freddo! Soltanto lui, soltanto lui era stato capace di penetrare la mia anima nera e riportarla alla vita con misteriose insinuazioni ed involontario amore!
Arrivammo al Tamigi ridendo, entrambi. Ma non appena si accorse che me n'ero accorta, cancellò immediatamente l'espressione di gaiezza dal suo volto.
I timidi raggi del sole illuminavano The Houses of Parliament in modo suggestivo e facevano sì che si rispecchiassero con scintillii rossastri nel Tamigi: ormai era quasi il tramonto.
Ah, Londra! Se tu potessi svegliarti, anche solo per un attimo, e cingere con le tue braccia questa coppia di amanti che finge di non essere tale! Se potessi immedesimarti nei loro sguardi innamorati e chiederti per quale razza di motivo si costringono a mentire, scommetto che immoleresti te stessa per vederli finalmente felici!
...e non stai forse già dando il meglio di te, con i tuoi aromi, le tue luci e la tua insuperabile atmosfera?
Mi sporsi oltre il ponte per osservare le increspature del fiume e, perdendo l'equilibrio per un istante, afferrai la mano del dottor Law.
Ci guardammo a lungo... Ti amo, ti amo, ti amo, gridavano i miei occhi. Dichiarazione forse troppo esplicita, pur essendo muta, per essere ricevuta da lui.
I suoi occhi, invece, per un estraneo probabilmente sarebbero risultati inespressivi ma per me, che ormai avevo imparato a conoscerlo, avevano significati molto più profondi e nascosti di quanto potessero dare a vedere.
Avrei tanto voluto baciarlo lì, in quelle condizioni, ma lui ruppe il momento dicendo "Si sta facendo tardi. Dovremmo andare"
"Oh... va bene... "
 
 
 
 
 
"Queste radiografie sono perfette, signorina Smith" mi tese la mano il dottor Crocus "È stato un piacere conoscerla e le auguro ogni bene. Sappia che noi stiamo facendo del nostro meglio per risolvere il suo caso e soprattutto questo qui" si rivolse al dottor Law "Ci vediamo alla conferenza di stasera"
Si strinsero la mano, in modo estremamente freddo e professionale "A stasera, dottor Crocus" mormorò Trafalgar Law, glaciale "Grazie di tutto"
Un'altra, terribile, lunga e disperata attesa mi aspettava quella sera per l'ultima conferenza sul "caso Smith", che avrebbe portato alla decisione definitiva sul mio destino: quel magico pomeriggio ero riuscita a dimenticare tutto, non avevo più niente di niente, ero perfettamente sana e di resistente salute.
Ma quella sera, improvvisamente, tornò tutto: l'incidente, la morte dei miei genitori, il carbonio 14 e la possibilità del trapianto di organi.
Sospirai e sprofondai nella stessa poltrona di quella mattina: almeno Doflamingo e Ceasar erano stati catturati©




 
Undicesimo capitolo e gita a Londra! Spero vi sia piaciuta, ci tenevo tanto ad inserirla! La cosa che m'interessava di più era dare l'impressione di essere veramente lì e, almeno per quanto riguarda me, posso dire che mi è sembrato veramente di tornarci! *-*
Ho fatto -di nuovo- l'errore (oppure no?) d'inserire qualcosa di molto privato e personale: in prima persona mi sono ritrovata a "gridare" un ti amo con gli occhi e qui ho cercato, almeno in parte, di descrivere cosa si prova.
Infine, concedetemi la battuta "Trafalgar Law a Trafalgar Square", anche se squallidissima, perché non potevo non inserirla! XD
Qui vi metto il link di "London Calling" dei Clash e della canzone al pianoforte che Alison e Law ascoltano in metro "Bella's lullaby" di C. Burwell (a quattordici anni mi piaceva "Twilight", ora l'unica cosa che mi piace è questo pezzo al piano!).
Momento confessione, pericolo SPOILER: Ora che Oda sta rivelando, poco a poco, il passato di Trafalgar Law ho quasi paura che non mi piaccia... ho provato così tante volte ad immaginarmelo, nelle tante (troppe?) storie che ho scritto su di lui, che ora che ci avviciniamo a scoprire davvero la verità sul suo conto, è come se una parte di me non volesse saperlo...  non so, probabilmente è soltanto un mio limite mentale! Voi cosa ne pensate? : )
Vi lascio con delle immagini di Londra (nella prima la visuale del Big Ben da Trafalgar Square, cosa che mi ha emozionato tantissimo quando ho visitato la città)! Alla prossima!







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Capitolo 13
*** XIII ***



 
"Volevo fare tante cose..."
"Le farai... solo che le farai con me"

(Amore e altri rimedi, 2011)
 


"Brillante discorso, dottor Law!" si complimentò Crocus, una volta usciti dalla conferenza "Siamo rimasti tutti strabiliati... beh, forse tutti meno Hogback!" fece spallucce.
Law gli strinse la mano "Grazie per tutto l'aiuto che mi ha dato, dottor Crocus. Ma credo che una persona in particolare le sarà molto riconoscente... " si avvicinarono a me.
"Allora?" chiesi, nervosa, scrutando in viso entrambi.
Law si aprì in un largo sorriso "Non si fa"
"Non si fa?" sgranai gli occhi, incredula.
"Non si fa!" scoppiò a ridere Crocus, mettendomi una mano sulla spalla "Strano a dirsi, ma lei è sana come un pesce, signorina Smith! Il suo caso non smetterà mai di sorprenderci!"
Mi portai le mani alla bocca, emozionata "Non è possibile..."
"Beh, sì, invece!" esclamò ancora il dottore più importante di Londra "Se ne torni a casa, lei non ha più nulla da spartire qui! E soprattutto, ringrazi questo dottore che ha i suoi stessi occhi!" lanciò un'altra occhiata affettuosa a Trafalgar Law, occhiata che egli rivolse a me, carica di gioia, e fu come se il tempo si fosse fermato.
Non seppi dire quante persone furono contente della decisione finale, ma avrei giurato di vedere molti visi compiaciuti, all'uscita della sala, persino il receptionist mi strinse la mano, felice.
"Devo chiamare subito gli altri, alla clinica!" dissi, entusiasta, ma Law mi precedette.
"L'ho già fatto io. Sanno che sta bene e non vedono l'ora di riabbracciarla"
I miei occhi si fecero lucidi: avrei voluto stringerlo, in quell'istante, baciarlo, abbracciarlo, mostrargli a pieno la mia gratitudine: per l'ennesima volta, Trafalgar Law mi aveva salvato la vita.
Lui era per me la vita, la salvezza: speranza di un futuro che avevo temuto di non poter conoscere, il mezzo con il quale avrei affrontato l'avvenire, non già perché lo supponevo ricco della sua presenza, ma semplicemente perché aveva fatto in modo che ne esistesse uno.
Quella sera ci fu offerta una grande cena, bevemmo e ci divertimmo, dopodiché salutammo tutti gli illustri medici presenti, augurandoci di rivederli al più presto, e salimmo nelle nostre rispettive camere.
"Allora... buonanotte" sussurrai, sull'uscio della mia stanza "E grazie di tutto"
"Buonanotte a lei, signorina Smith" mi fece un occhiolino malizioso il dottor Law "Ci vediamo domattina"
Mi richiusi la porta alle spalle e mi accasciai sul pavimento: ancora una volta, lacrime di gioia; era salata, quella riconoscenza, era fortuna, quella di poter provare emozioni, di poter toccare quel pavimento e poter guardarmi allo specchio, felice, rinata, senza più dovermi contare i giorni.
Ah, Brook, quanto avevi ragione! L'essere umano resta perpetuamente insoddisfatto della sua vita per tanti, troppi anni, poi improvvisamente accade qualcosa che lo cambia totalmente: si apre una finestra, entrano i raggi del sole, e allora niente, assolutamente niente diventa meraviglioso come il dono della vita stessa, che continua, continua inesorabile e ogni giorno, ogni minuto, si trasformano in un'entità miracolosa.

E miracolosi erano i miei pensieri ancora vividi quando, passata qualche ora, non riuscivo ancora a prendere sonno. M'infilai una vestaglia e decisi di uscire a prendere una boccata d'aria, erano le due di notte ormai.
Ma non appena in corridoio, non potei evitare di indugiare di fronte alla porta della camera di Trafalgar Law. Accostai l'orecchio, in ascolto di qualche segno, ma regnava il silenzio più assoluto.
Alzai la mano per bussare, ma la ritirai immediatamente, gesto troppo sconsiderato. Allora decisi di fare dietrofront, camminando in punta di piedi e cercando di non fare troppo rumore.
Ma, improvvisamente, udii quella porta aprirsi "Ancora sveglia a quest'ora, signorina Smith?" m'inchiodò con lo sguardo, appoggiando il braccio destro contro il pilastro: era ancora perfettamente vestito "C'è qualche problema?" era, ovviamente, serissimo.
"Ecco... io... " farfugliai, riavvicinandomi. Ma non riuscii ad aggiungere altro, abbassando lo sguardo.
Poi alzai gli occhi verso lui, come al solito i nostri sguardi così simili, ed osai accarezzargli il volto: probabilmente  se l'aspettava, perché un sorrisetto furbo gli increspò le labbra, labbra che baciai delicatamente.
Non fu pronunciata una parola da nessuno dei due. Semplicemente, il dottor Law si spostò dall'uscio della porta e mi lasciò entrare, non interrompendo il contatto visivo.
Mi chiedevo cosa sarebbe successo ma, in un istante, mi ritrovai distesa sul suo letto in diagonale, lui sopra di me, ansante, senza darmi il tempo nemmeno di sentirmi fortunata per quell'accondiscendenza che non mi aveva mai più mostrato così apertamente.
I nostri occhi sprigionavano energia e desiderio, eravamo entrambi visibilmente felici ed eccitati.
Il dottor Law, sempre silenzioso, cominciò a farsi strada con le labbra lungo il mio collo fino ad arrivare a baciarmi il lobo dell'orecchio; io, d'altra parte, questa volta avevo le mani libere e potevo spogliarlo come non avevo fatto la volta precedente.
Così, lo liberai del tutto della camicia: aveva un torace tatuato e muscoloso, la sua carnagione così scura faceva da contrasto ai suoi occhi d'argento.
Attraversai i suoi tatuaggi con le dita: strani vocaboli in spagnolo, immagini di cuori e motivi curvi adornavano il suo petto, sentivo il suo respiro addosso.
Questa è vita ancora più potente, è energia allo stato puro, creazione, modellamento, sudore: mai il ciclo umano si realizza pienamente come nell'unione carnale, questa passione che ci scorre dentro e che trova la sua compiutezza nell'amore che non è eterno, ma che eternizza ogni momento fugace.
Trafalgar Law mi liberò della vestaglia, sotto cui ero completamente nuda, e si passò la lingua sulle labbra quando ammirò il mio corpo; per tutta risposta lo attirai a me, lo strinsi e lo baciai con foga "Mi baci dappertutto... mi baci dappertutto... " ripetevo, convulsamente.
Sentii le sue labbra morbide ancora sul mio collo, poi le sentii spostarsi in basso e inumidirmi un capezzolo, dopodiché arrivò all'interno delle mie gambe e, da lì, presi a gemere più che mai.
Trafalgar Law era bellissimo: adesso era nudo, sudato, aveva i capelli corvini incollati alla fronte e ansimava ma, soprattutto, era mio.
Riuscii a dare me stessa molto più della volta precedente, dopotutto non avevo tubi che mi entravano nelle vene e ci trovavamo su un letto d'albergo e non d'ospedale, così mi posizionai sopra di lui e gememmo entrambi, all'apice del piacere: vedere espressioni d'estasi sul suo volto tremendamente bello mi eccitava non poco, eccitazione che raddoppiava anche la sua.
Fu una notte meravigliosa: ci addormentammo insieme, abbracciati, nel calore delle coperte e nel freddo londinese.
Una notte che nessuno di noi due avrebbe mai dimenticato.





"Alison!" mi accolse la grande famiglia della clinica Rogers, nel giardino interno che tanto mi piaceva addobbato a festa solo per il mio ritorno "Oddio, sei ancora più bella!" mi abbracciò forte Nami.
"Bentornata, amica mia" mi salutò calorosamente Nico Robin "Come stai?"
"Yohoho, è tornata la nostra vincitrice!" mi corse incontro Brook "Abbiamo fatto il tifo per te fino alla fine e siamo molto contenti che tu ce l'abbia fatta!"
"Sei stata molto coraggiosa, Alison!" si avvicinò anche il dottor Chopper "Ti ammiro molto per questo!"
"Vi ringrazio, ragazzi" arrossii, lusingata "Ma io non ho fatto proprio niente. Sarebbe stato tutto inutile, se non ci fosse stato il dottor Law"
"Ah, quel ragazzino presuntuoso!" storse il naso Hiluluk.
"E tu sei un vecchiaccio ubriacone!" lo riprese prontamente Kureha "Ma dicci, piccola... ora cosa farai?"
"Già, cosa farai?" le fece eco Chopper.
Mille occhi puntati su di me. La domanda della Doctrine mi gettò nel panico "Beh, veramente... non ci avevo ancora pensato, io... "
"Che ne diresti di restare qui?" sbucò improvvisamente Sanji, unendo le mani e pregandomi quasi "Ti cucinerei i miei manicaretti tutti i giorni!"
Nami gli tirò un orecchio "Se Alison decidesse di restare, di certo non lo farebbe per te!"
"Non sarebbe una cattiva idea, in effetti... " m'illuminai, tutt'a un tratto "Potrei leggere per i malati o qualcosa del genere... "
"Non sarebbe niente male" mi sorrise Robin.
"Yohoho e scommetto che vorranno ascoltare tutti, una bella ragazza come te! Peccato che il dottor Law se ne debba andare!"
Tutti smisero di ridere. Silenzio.
"Che cosa?" balbettai, ancora una volta infastidita di aver saputo sue notizie da Brook.
Il musicista si portò le mani alla bocca "Ops! Perdonami, forse avrebbe voluto dirtelo lui stesso!"
Mi guardai attorno: tutti abbassarono lo sguardo, sapevano, e fulminarono Brook con lo sguardo.
"E va bene, diciamoglielo, no?" sbottò Kureha.
"Neanche per sogno!" cercò di fermarla Hiluluk "E se lui volesse comunicarglielo di persona?"
"Oh, andiamo, smettetela di fare i misteriosi!" si arrabbiò Nami "Il dottor Law ha ottenuto un posto in un ospedale importante in Irlanda!"
"In Irlanda?" ripetei, confusa, ma sempre più indignata.
Strinsi i pugni, furibonda, avviandomi verso l'uscita per gridargli quanto l'amavo e quanto lui continuava a respingermi "Alison!" cercarono di fermarmi i miei amici "Alison, aspetta!"
"Magari te l'avrebbe detto questa sera!" cercò di giustificarlo Nami, sentivo la sua voce dietro di me.
"Non arrabbiarti con lui, ha fatto tanto per te!" si mise anche Chopper.
Scesi le scale velocissimamente, corsi all'ingresso della clinica, non lo trovai, uscii fuori, andai sul prato, cominciavo ad avere l'affanno quando, d'improvviso, eccolo lì di fronte a me: Trafalgar Law sembrava tranquillo, quasi divertito ad osservarmi, con le braccia conserte e la sua classica espressione che sembrava dire "Ne so una più di te".
Che anche questa volta avesse previsto tutto?
Mi avvicinai a lui a passi svelti, arrabbiata, delusa e in cerca di spiegazioni. Ma lui fu più veloce di me "Spero che Dublino ti piaccia più di Londra, Alison" mi diede per la prima volta del tu.
Lì per lì, non capii "Cosa?" sgranai gli occhi, fermandomi di colpo, ma mi bastò un altro suo sorriso per farmi intendere perfettamente le sue parole "Cosa?" sbottai ancora, ma questa volta con sorpresa e gioia.
"Se per te non è un problema, gradirei fare prima tappa a Manchester per presentarti mia madre" mi spiegò, senza scomporsi "Poi potremo stabilirci in Irlanda, c'è una bella facoltà di letteratura, lì... se lo vuoi, ovviamente"
"Io... " il cuore mi batteva all'impazzata "Io... ma certo che lo voglio, Trafalgar!" gli saltai tra le braccia, baciandolo appassionatamente sotto gli occhi dei nostri amici accorsi per calmarmi.
Ancora una volta, mi sentivo piena di Trafalgar Law: non era Carbonio 14, non era eredità di St. Paul, ero malata soltanto di lui, solo la sua presenza era in me più forte che mai, era lui a riempirmi i polmoni, a scorrermi nelle vene e a farmi da linfa vitale.
Trafalgar Law era il Carbonio 14 dentro me: era un carbonio con una pessima reputazione, provocava morte agli altri pazienti, eppure con me era stato terribilmente diverso. Ero un caso su mille, un'eccezione. Malgrado la perdita dei miei genitori, malgrado l'intenzione di trasferirmi a Londra, malgrado questi repentini cambi di programma e di ostacoli che la vita metteva sul mio cammino, io mi sentivo, accanto a lui, felice.

Così, salutati i ragazzi della Rogers, partimmo quella sera stessa per quella che sarebbe stata la nostra nuova vita: questa volta, però, il viaggio l'avremmo affrontato insieme. ©




Fine di "Carbonio 14" e grande dispiacere per me, che mi ci ero affezionata :') spero che il finale vi sia piaciuto e tutta la storia in generale!
Come sempre, faccio le solite precisazioni: ho cominciato con una citazione di un film che mi è sempre sembrato stupido all'apparenza, ma che in verità ha un significato molto bello, "Amore e altri rimedi" (se non l'avete ancora visto, guardatelo, innanzitutto perché c'è Jake Gyllenhaal (!) e poi perché si tratta di una storia d'amore travagliata molto toccante, a causa della malattia di lei).
Poi preciso che ho notato alcune incongruenze nei capitoli precedenti perché ho riletto tutta la storia: tipo una volta dico che il vestito che Nami regala ad Alison è azzurro e un'altra volta dico che è rosa (?) et similia; sono errori piccoli dovuti alla mancanza di tempo per la revisione e che, purtroppo, non posso correggere a causa dei codici html che diventano sempre più difficili per me (!!!).
Infine, la domanda che vi starete facendo tutti: perché Dublino e non Londra? Eheh... per quanto io possa adorare Londra, devo dire che Dublino mi è rimasta nel cuore ancora di più: è una città meravigliosa, abitata da persone meravigliose e in cui ho trascorso dei momenti meravigliosi! Posso sembrarvi eccessivamente romantica, ma mi sono anche innamorata a Dublino *arrossisce*, motivo in più per far trasferire i due protagonisti lì piuttosto che a Londra.
Penso di aver detto tutto... quindi passiamo ai ringraziamenti: grazie a namirami, ThatOneEyedFlamingo, Gipa, Soke, magicaemy! E ovviamente a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite o anche a chi ha semplicemente letto!
Spero di risentirvi tutti al più presto Emoji

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