Adesso lo sai

di Lex
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Masahiko ***
Capitolo 2: *** Shion ***
Capitolo 3: *** Adesso lo sai ***



Capitolo 1
*** Masahiko ***


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ADESSO LO SAI


MASAHIKO


Aprì la portafinestra ed uscì sul terrazzo. Subito si agganciò i bottoni dell’immancabile camicia a quadri e infilò le mani in tasca. In città l’aria della sera era ancora fresca.
Si sentiva stranamente stanco. La mente come vuota.
Si avvicinò al balcone, sfilò la mano sinistra dalla tasca dei jeans e la poggiò sul corrimano. Il contatto con il metallo fresco sembrò risvegliarlo dal torpore per un attimo. Fermò lo sguardo sull’ombra del suo busto proiettata sull’erba del giardino sottostante. I capelli mossi da una brezza leggera.
Rimase così qualche momento, immobile.
Un lieve sorriso piegò poi le sue labbra. Aveva fatto la scelta giusta. Lo sentiva. Si voltò, si appoggiò con la schiena al balcone e, intrecciando le braccia dietro di sé, posò entrambe le mani sul freddo corrimano. Guardò la finestra della camera di Shion.
I battenti chiusi, la luce accesa.
Stava sicuramente disfacendo i bagagli. E, a giudicare dal numero delle valige di Shion e Yukari, sarebbe stata un’operazione lunga. Istintivamente si chiese perché mai le donne avessero bisogno di portarsi dietro vestiario sufficiente per mesi di lontananza pur sapendo di tornare a casa soltanto dopo una settimana.
Un piccolo sorriso lo colse quasi di sorpresa e sembrò restituirgli una lieve sensazione di serenità e leggerezza.
Le donne?
Guardò l’interno della propria stanza, vi entrò per un momento e ne riuscì spegnendo la luce. Chiuse la finestra e, aiutandosi con le braccia, saltò sul tetto.
Seduto sul bordo osservò per un momento le luci della città e poi si stese incrociando le mani dietro la testa.
La piccola Haruka aveva già compiuto un anno. L’aveva trovata quasi commovente nel suo abitino da festa, davanti a quell’enorme torta di compleanno.
Un sorriso tinto di malinconia si fece faticosamente strada sul suo volto.
Era stato davvero facile abituarsi alle torte ed alle feste di compleanno, come alle vigilie di Natale o alle gite di famiglia. In casa Wakanae aveva trovato un calore che non avrebbe più dimenticato.
Già. Amava tutto di quella casa. Yukari, le sue attenzioni e la dolcezza del suo sorriso. Sora, la sua sicurezza, la sua gentilezza, perfino le sue scadenze. I battibecchi e le solite liti con Kaoru. Quelle insolenti delle Assi.
Amava sentirsi amato. E sentire di essere parte di qualcosa.
Chiuse gli occhi e vide ancora l’immagine della piccola Haruka nel suo abitino da festa ormai tutto imbrattato di torta. Sentì il suono delle voci di tutti che intonavano buon compleanno, le voci di Sora e del nonno che litigavano, le voci di Shion e Yukari che volevano prendere in braccio la bambina, la voce di Kaoru che insisteva per riprenderle con la telecamera.
Sorrise, con gli occhi chiusi. E rivide ancora Shion. Alla festa, con il viso sporco di panna e canditi. Nel fiume, con il cappello e le calosce da pescatore. In spiaggia, nel suo bikini rosso. A sera, nel suo elegante kimono tradizionale.
Il suo sorriso. Quanto amava il suo sorriso.
Una settimana a Kochi era davvero volata. Domani sarebbe tornato alla solita routine. L’università, gli imminenti esami finali, il club cinofilo.
E lei sarebbe stata di nuovo Shioya.
Aprì gli occhi e si sollevò mettendosi seduto. Appoggiò le mani sul bordo del tetto e lasciò che le gambe dondolassero nel vuoto. Rimase lì, immobile, gli occhi fissi sulla punta dei piedi.
Shioya. Shion e Shioya.
Anche Shioya faceva parte della sua vita ormai.
C’era stato un momento in cui Shioya era solo Shion travestito da maschio. Ma poi Shioya era cresciuto, maturato. Nella mente di Shion e anche nella sua. Era diventato una persona diversa da Shion. Con atteggiamenti diversi. Idee diverse. Gusti diversi. Amici diversi.
Si morse istintivamente il labbro inferiore. In fin dei conti, a niente era servito dichiararle i propri sentimenti. Shioya era sempre lì. E niente tra loro era cambiato.
Alzò lo sguardo e rise di sé. Stirò le braccia in aria prima di stendersi nuovamente sul tetto intrecciando le mani dietro la testa.
Non era vero. In realtà molto era cambiato.
Dopo la breve vacanza a Kochi dell’anno precedente il loro rapporto era cambiato. Shion era cambiata. Era difficile esprimerlo a parole, ma sarebbe stato corretto dire che gli aveva aperto uno spiraglio, offrendogli una visuale di sé del tutto inedita. Certo, alla fine non gli aveva ancora rivelato quale fosse il suo vero sesso, ma la promessa che gli aveva fatto quel giorno sulla spiaggia l’aveva mantenuta ugualmente. Non c’era nessuno che conoscesse meglio di lui la sua vera natura.
Lo sapeva. Lo sentiva.
Le voci di Shion e Yukari lo riportarono improvvisamente alla realtà. Si sollevò e si girò su sé stesso. Le vide entrambe affacciate alla finestra e le sentì mentre lo prendevano in giro chiedendosi in che mondo di fantasia si fosse perso stavolta.
Yukari non rientrò senza prima averlo ammonito circa le insidie della stagione ed averlo quindi invitato a coprirsi meglio. Shion la seguì con la coda dell’occhio finché non fu sicura che si fosse allontanata dalla finestra e poi si voltò nuovamente verso di lui. Accomodò il viso nel palmo delle mani poggiando entrambi i gomiti sul davanzale. Rimase un attimo in silenzio, socchiudendo gli occhi nel sentire l’aria della sera accarezzarle il viso ed intrufolarsi tra i capelli.
Riaprì gli occhi su di lui. La guardava. Seduto sotto la sua finestra, i capelli scompigliati dal vento. Il corpo immobile, lo sguardo su di lei, fermo e caldo.
Le piaceva quello sguardo.
Era stato difficile ammetterlo, ma le piaceva.
E le piaceva anche che lui lo sapesse.
Spostò il peso della testa sul solo palmo destro e lasciò scivolare il braccio sinistro lungo il davanzale. Quando parlò le sue labbra si piegarono in un sorriso gentile.
"Ho quasi finito. Mi aspetti? ".
Non ci fu nemmeno bisogno di risponderle. Le sorrise e la vide scomparire di nuovo in casa.
Era lì per lei. E lo sapevano entrambi.
Si stese nuovamente sul tetto.
Il cambiamento di Shion era stato lento, graduale ed era iniziato proprio quel giorno sulla spiaggia. Il primo periodo non fu facile, in realtà. Sentiva di aver finalmente fatto chiarezza dentro di sé, si era fatto coraggio e le aveva parlato francamente, mettendo da parte timori più che comprensibili.
Ma la sua risposta era stata terribilmente contraddittoria. Aveva detto di considerarlo solo un amico, ma lo aveva invitato a farle vedere che era l’uomo giusto per lei. Avrebbe dovuto finalmente rivelargli quale fosse il suo vero sesso, ma poi aveva lasciato che la cosa scivolasse via senza un chiarimento definitivo. L’unica cosa certa era che Shion non lo avrebbe mai invitato a corteggiarla se non avesse avuto alcun interesse per lui. Ogni ragazzo o ragazza che l’avesse avvicinata fino a quel momento era stato gentilmente ma fermamente allontanato. Inoltre era stata lei a spingerlo a far chiarezza dentro di sé. E probabilmente già sapeva cosa lui provasse nei suoi confronti.
Ma Shioya era sempre lì. E questo gli creava grande confusione. E poi, in che modo poi doveva comportarsi un “amico con delle speranze”? Sempre che le avesse davvero, beninteso.
Incredibilmente fu proprio Shioya ad indicargli la strada, quando lui e Shion, ai suoi occhi, tornarono ad essere la stessa persona.
Già. Fu quando un paio di mesi dopo la vacanza a Kochi, camminando verso la Musashino, le mostrò il sorriso di Shion sul volto di Shioya. E inaspettatamente si accorse che nella sua mente, e forse non soltanto nella sua, Shioya era tornato ad essere solamente Shion vestita da maschio.
Fu in quel momento che percepì come lei fosse cambiata nei suoi confronti. Concesso che fosse sempre la solita impicciona, dispettosa, impertinente, saccente, prepotente, attaccabrighe e, soprattutto, la stessa incredibile testarda, gli apparve finalmente chiaro che la sua guardia era abbassata e la parte di lei che teneva ostinatamente in ombra era allo scoperto. Non davanti agli altri, certo. Ma con lui lo era.
E questo non soltanto per la sua doppia identità, ma anche e soprattutto per la sua natura segretamente gentile, dolce e generosa.
E così, quella sera di primo autunno l’aveva aspettata sotto la sua finestra passando in rassegna quegli ultimi mesi trascorsi insieme alla ricerca di una conferma di quell’idea tanto ambiziosa. E così si trovò a riflettere sul cortese ma fermo allontanamento di Asagi, sul moltiplicarsi delle occasioni in cui erano usciti insieme o avevano fatto le ore piccole sul tetto e soprattutto su quel sorriso gentile che le vedeva soltanto quando erano da soli. Ma fu soltanto quello con cui lo salutò a convincerlo che non fosse poi tanto negletta.
Un sorriso onesto, sincero, indifeso. E così capì. Capì che non c’era niente dietro quel sorriso, se non lei. Niente dietro il suo sguardo, se non il suo cuore. Niente dietro le sue parole, se non i suoi pensieri. Che gli stava offrendo di conoscere Shion Wakanae. Chiunque lei fosse.
Senza trucchi, né difese.
C’era sempre quel rischio, Masahiko lo sapeva. Ma stavolta non pensò nemmeno per un attimo di non correrlo e si butto a capofitto in quell’avventura. Giorno dopo giorno, il suo viaggio dentro Shion.
Lo divertiva vedere come cambiava il suo atteggiamento davanti agli altri. Era come vedere due, anzi, tre persone diverse nello stesso corpo. Tutti gli altri potevano vedere una o, al più, due Shion, ma era come se solo a lui venisse concesso il privilegio di vedere l’originale. All’università era Shioya. A casa era quasi sempre Shion. Con lui era entrambi e nessuno dei due. Lui poteva vedere una Shion che gli altri non conoscevano e questo lo faceva sentire bene.
In ogni caso, imparò presto che anche davanti agli altri ciò che cambiava era soltanto il vestiario, l’atteggiamento, la postura. Quando non potevano vedere, Shioya era capace di diventare in un attimo Shion e viceversa. Non cambiandosi i vestiti, ma cambiando pelle. Poteva saltare dall’uno all’altra senza alcuna difficoltà e per tutti gli altri, come per Masahiko stesso fino a poco prima, sembrava fare un’enorme differenza.
Ma alla fine, sottopelle, c’era sempre lei. E Masahiko lo capì quando si accorse di dover fare attenzione al genere degli aggettivi e dei sostantivi, perché aveva cominciato a guardare Shion e Shioya nello stesso modo. A parlarci nello stesso modo. Non c’era più niente da fare, ormai, ai suoi occhi era sempre lei, indipendentemente dal vestito che indossasse.
E così capì anche perché Shioya non poteva andarsene. Semplicemente perché parte di lei. Anche se adesso, stranamente, la cosa non sembrava più avere grande importanza.
"Hei! Stai dormendo? ".
Si voltò con un piccolo sussulto. Si sollevò e, guardandola accovacciarsi e sedersi alla sua destra, le rispose mettendo il broncio e passandosi istintivamente una mano sulla nuca. "Sempre silenziosa come un gatto, eh? Prima o poi mi farai venire un colpo se non la smetti di apparirmi alle spalle all’improvviso ".
Si era cambiata d’abito ed indossava jeans smacchiati, maglietta di cotone leggero e una giacca beige appoggiata sulle spalle. Un sorriso ironico stampato sul viso seguito da uno sguardo fintamente risentito. "Hei, non ti sono apparsa alle spalle all’improvviso! Sapevi che sarei scesa… o aspettavi forse qualcun altro? ". Poi, notando che indossava soltanto la camicia a quadri su una maglietta a maniche corte, "Non hai freddo? Forse non ti sei accorto che siamo tornati a Tokyo ".
Sviò lo sguardo e le rispose con tono polemico e volutamente forzato "Ah! Ah! Me ne sono accorto, ma non ho freddo stasera. E no, non aspettavo nessun altro. Contenta? ".
La spiò con la coda dell’occhio, vide un sorriso birichino tingerle il volto mentre si avvicinava le gambe al petto e appoggiava i gomiti sulle ginocchia sorreggendosi il viso tra le mani.
Restò per qualche attimo in silenzio, mentre il vento le entrava tra i capelli accarezzandoli delicatamente. Poi abbassò le mani sulle spalle si girò lievemente verso di lui, facendo scivolare la guancia destra sulle braccia incrociate tra il volto e le ginocchia. Mantenne lo sguardo dritto avanti a sé, socchiuse appena la labbra e infatti le parole ne uscirono un po’ impastate, "Questa settimana è volata, non è vero? ".
La sua versatilità lo stupiva sempre. Ma gli piaceva osservare quella luce che andava e veniva nei suoi occhi e scoprire sempre nuove espressioni del suo viso.
Le rispose con un sorriso e lei sembrò sentirlo sulla pelle, perché girò gli occhi verso di lui per vederlo. E ricambiarlo. Era così caldo quel suo sorriso.
E quel calore le entrava dentro attraverso la pelle, lo sguardo, il respiro. E non aveva alcuna intenzione di impedirlo. Aveva imparato ad abbassare difese e ponte levatoio con Masahiko. E incredibilmente le piaceva. Non lo avrebbe mai creduto possibile, ma le piaceva lasciare il forte sguarnito, permettergli di entrare e di vedere attraverso le solide mura il re buono e il re cattivo.
Volse gli occhi al cielo e stese le braccia dietro la schiena per sostenersi. "Si, lo è. E domani tutto daccapo ". Voltò appena la testa verso di lei e le parlò con tono volutamente ironico in un sorriso appena accennato. "Hai già preparato i vestiti di Shioya? ".
"Certo. Perché, vuoi che ti presti qualcosa? ".
"No, grazie. Non mi piace il tuo look. Troppo appariscente per i miei gusti ".
"Appariscente? E sentiamo, quale sarebbe il tuo look? Quello delle camice a quadri? ".
Si sentì colto in fragrante e si voltò di nuovo verso di lei pronto ad incassare il suo solito sorriso strafottente. E infatti lei sorrideva, ma in tutt’altro modo. Era un sorriso intrigante ma non malizioso. Se fosse stato completamente lucido lo avrebbe definito intimo, forse complice. Ma non era del tutto lucido. Non lo era quasi mai di fronte a lei.
E quindi rimase in silenzio, tentando inutilmente di togliersi quell’espressione idiota dal viso. Non c’era niente da fare, in un modo o nell’altro, Shion aveva sempre la meglio. Ma fu proprio lei stavolta a sviare lo sguardo e, dopo un attimo, gli parlò senza guardarlo in viso. "Non dirmi che non ne hai sentito la mancanza ".
"Di cosa? ".
"Di Shioya, no? ".
Rimase un attimo interdetto. Studiò l’espressione del suo viso sperando di scoprirvi il tono di quella domanda a bruciapelo. Poi distese la fronte, incrociò le dita sotto il mento, poggiando i gomiti sulle ginocchia e le rispose in tono dubbioso, "E’ una domanda strana, sai? ".
Shion si voltò per vedere l’espressione del suo viso. Ma appena e lentamente, in attesa che continuasse.
"Non posso dire che Shioya mi sia mancato. In fin dei conti siamo pur sempre stati insieme tutta la settimana, non è così? ". Sul suo viso apparve un piccolo sorriso dolce amaro. "E so bene che dei semplici vestiti e un elastico per capelli non possono certo cambiare quello che sei, quello che fai o che pensi. E tantomeno il tempo che passiamo insieme. ". Abbassò lo sguardo e continuò, "Ma se tu fossi Shioya per una settimana intera … non lo so…, non sarei onesto dicendoti che non mi mancheresti ". Rimase un attimo in silenzio, poi continuò, quasi con vergogna. "Non lo so. Forse sono ancora troppo legato al tuo aspetto esteriore. Forse più di quanto penso ". Riuscì finalmente a voltarsi verso di lei, con occhi incerti, quasi lucidi, "Anche se .. in realtà, non è sempre così ".
Sembrò sul punto di continuare, ma rimase in silenzio, come se i suoi pensieri non riuscissero ad articolarsi in parole.
La guardava. E come la guardava. Diamine, ma quando aveva cominciato a guardarla così? Uno sguardo così diretto ed intenso. Non era da lui, o almeno non lo sarebbe stato fino a poco tempo prima. Il Masahiko che aveva conosciuto il giorno del suo sedicesimo compleanno avrebbe abbassato gli occhi e avrebbe cambiato discorso. Ma ora era lì, davanti a lei, con occhi da bambino. Un bambino incapace di spiegarle fino in fondo ciò che sentiva, ma che sosteneva comunque il suo sguardo.
V Era cresciuto, il suo Masahiko.
E se ne sentì felice.
Le sorrise, e per un attimo sembrò aver rinunciato all’idea di tradurre quei pensieri in parole. Se ne sentì dispiaciuta, ma apprezzò comunque quel suo sorriso sincero e caldo come sempre. E improvvisamente ricordò il momento in cui aveva cominciato a guardarla in quel modo.
Era Gennaio e all’uscita della rassegna cinematografica erano stati sorpresi da una pioggia fitta e gelida. Avevano deciso di aspettare che spiovesse sotto la tettoia del cinema, ma dopo venti minuti di pioggia inesorabile, furono costretti a tentare l’avventura. Si era ben imbacuccata in guanti e sciarpa ed aveva chiuso i capelli nel cappotto. Fatto un passo verso il marciapiedi si era sentita prendere un braccio da lui, che nel frattempo aveva tolto il giubbotto impermeabile. Un attimo dopo le aveva passato il braccio dietro la spalla ed erano entrambi avvolti, alla meglio, nel suo giaccone.
Avevano camminato così fino alla stazione, in silenzio e nemmeno troppo di fretta. Avevano preso un treno affollato e si erano guadagnati un posto in piedi all’estremità del vagone. Lui l’aveva messa nell’angolo proteggendola dalle spinte degli altri passeggeri con le braccia puntellate alle pareti.
Rivolta al finestrino sentiva di tanto in tanto il contatto contro il corpo di lui per gli scossoni del treno. Non riusciva a fare a meno di spiare la sua immagine riflessa nel vetro. Di sentire la sua presenza intorno a sé.
Si scoprì a pensare di spingersi indietro e rendere reale quel contatto casuale. Poggiare la testa sulla sua spalla. Forse addirittura voltarsi. Per cosa? Si era chiesta più tardi. Non lo sapeva, ma le era piaciuta quella sensazione di calore.
In prossimità della loro fermata le aveva inaspettatamente preso la mano e si era fatto strada tra i passeggeri fino all’uscita. Le sembrò di sentire ancora la sua stretta forte ma gentile. L’immagine delle sue spalle tra la folla dei viaggiatori si stagliava ancora nei suoi ricordi.
Una volta giù dal treno l’aveva stupita ancor di più non lasciandole la mano. Camminava un passo aventi a lei, sfuggendone lo sguardo. La mano stretta intorno alla sua, mentre con pochi rapidi passi avevano raggiunto i cancelletti di uscita. Si era fermato sotto la soglia della tettoia, per gettare una rapida occhiata al cielo scuro, e lì aveva finalmente potuto vederlo in viso. La sua espressione era forzatamente indifferente, palesemente imbarazzata, quasi corrucciata. Aveva i capelli completamente bagnati per averle prestato la parte di giubbotto dotata di cappuccio durante il tragitto dal cinema alla stazione.
Ricordò di aver avuto voglia di sorridere, di aver stretto le dita della mano intorno alla sua e di averlo visto ricominciare a respirare. Cosa che smise di fare di nuovo quando lei allentò un momento la stretta per poter intrecciare le dita intorno alle sue. E in quel momento non era riuscita ad impedirsi di sorridere davvero.
Si. Quello era il giorno in cui il suo sguardo era cambiato.
Avevano camminato così fin quasi sotto casa, quando aveva scorto Kaoru dietro un angolo di strada e non era riuscita ad impedirsi di lasciargli la mano. Aveva avuto paura. Lui lo sapeva, ma non le aveva chiesto alcuna spiegazione. Né allora, né in altre occasioni. E questa era la cosa che amava di più. Non aver paura di mostrargli le proprie debolezze e non essere obbligata a dare spiegazioni. Ma soprattutto non aver paura di fargli capire che nemmeno lei sapeva chi era e quello che voleva. E che, nonostante questo, desiderava che lui continuasse ad amarla.
Si stupì di aver formulato, anche solo mentalmente, quell’ultimo pensiero. Era una cosa che trovava difficile ammettere, anche solo con sé stessa.
Doveva essere rimasta a lungo a guardarlo in silenzio, perché le sembrò che un’ombra fosse scomparsa dal suo viso. Ma quando lui parlò la voce uscì chiara e decisa, senza necessità di schiarimenti.
"Devo dirti una cosa ". Voltò lentamente gli occhi avanti a sé e posò di nuovo i gomiti sulle ginocchia. "Ho preso una decisione importante ". Il suo sguardo era sereno, tranquillo, ma parlò con tono forzatamente indifferente, mentre il vento aveva ripreso a muovergli i capelli. "Dopo gli esami finali andrò via da casa ".
Quelle parole aprirono una voragine nel suo petto, il sangue le salì alle guance e mosse istintivamente le braccia sciogliendo le gambe dalla loro presa. Articolò a fatica pochi suoni.
"..via .. da casa? ".
La guardò per un istante con la coda dell’occhio e tornò rapidamente a controllare la volta celeste. "Ho intenzione di trovarmi un appartamento, o una stanza, ancora non lo so. Molto dipenderà dal lavoro che riuscirò a trovare ".
Il tono sereno e lo sguardo rilassato contrastavano vivamente con la gravità delle sue parole. Sentì che la voce le sarebbe tremata e che la sua domanda sarebbe stata sciocca, ma parlò ugualmente poggiandogli istintivamente una mano sul braccio. "Ehi, ma cosa stai dicendo, è uno scherzo, non è vero? ".
Si voltò lentamente reagendo al contatto della sua mano. Incontrò il suo sguardo e ne osservò per un lungo momento luce ed ombra, quasi lusingato dell’ansia che vi leggeva. Si girò del tutto verso di lei e poggiò la mano destra sul tetto per sorreggersi. Le sorrise e fece cenno di no con la testa.
Sentì un’ombra fuggevole passarle negli occhi e strinse inconsapevolmente le mani sulle gambe. Le parole le uscirono da sole. "Masahiko... perché? ".
Schiuse le labbra per risponderle, ma d’improvviso sentì la bocca asciutta. Lesse nei suoi occhi che l’atteggiamento distaccato che gli era costato tanta fatica si era d’un tratto volatilizzato. Ma non riusciva a distogliere lo sguardo da lei. Dal suo viso, dalla sua bocca, dal suo collo. Resistette eroicamente all’istinto di passarle un braccio dietro le spalle e stringerla a sé. Anche se in quel momento gli sembrava di non aver mai desiderato altro in vita sua. Riuscì a muovere le labbra, impercettibilmente, con fatica, ma finì col rimanere in silenzio, come se avesse dimenticato cosa dire.
Lo vide strapparsi quasi con violenza da quei pensieri e riuscire a distogliere finalmente lo sguardo. Quello stesso sguardo che fino ad un attimo prima sembrava voler entrare dentro di lei. Quello sguardo che l’aveva inconsciamente rassicurata.
Si passò una mano tra i capelli e cercò di ritrovare un atteggiamento più maturo, "Beh, è normale che sia così, no? Dopo l’università i piccoli si avventurano nella grande, cinica città, si trovano un lavoro e lasciano il nido ".
Reagì con stupore quasi indignato a quella ridicola spiegazione e le sue parole assunsero un tono paternalistico "Ma non hai bisogno di andartene da casa. Puoi comunque cercarti un lavoro e rimanere qui fino a che non avrai la possibilità di mantenerti da solo ".
Rimase in silenzio, per niente stupito dal tono della sua risposta. Sfuggì il suo sguardo e intrecciò le mani davanti alle ginocchia su cui poggiava ancora i gomiti. Le rispose con tono calmo ma fermo.
"No. E’ arrivato il momento che tolga il disturbo. Non posso permettere che i tuoi continuino a prendersi cura di me per sempre. Non sono più un bambino ".
Si fece in avanti per cercare il suo sguardo senza tuttavia riuscirvi e gli rispose in tono concitato "Continuo a non capire. Sai bene che non è un obbligo per loro. Non sei mai stato un ospite in questa casa ".
Attese un attimo in silenzio, poi un piccolo, lieve sorriso piegò le sue labbra senza apparentemente incontrare resistenza. Respirò più profondamente e stese le braccia in aria stirandole, "Lo so ". Poi si spinse indietro e si stese sul tetto sorreggendosi sulle braccia ripiegate dietro la schiena. "A te proprio non posso farla, eh? ".
La guardò di sfuggita e cercò nuovamente con gli occhi le luci della città in lontananza.
Le sembrò intento a raccogliere le idee ma quando parlò la sua voce si fece d’improvviso inaspettatamente profonda e sicura. "La verità è che adesso so cosa voglio. Cosa voglio davvero, voglio dire. E per ottenerlo ho bisogno di trovare la mia strada. Ho bisogno di imparare a prendere le mie decisioni. Grandi e piccole che siano ".
Anche i suoi occhi si fecero seri e profondi, creando uno strano contrasto con il sorriso leggero e sereno che gli illuminava il viso. Lo disse con sicurezza, quasi con rassegnazione.
"Voglio te, Shion. E non posso rimanere rintanato per sempre in casa Wakanae se voglio sperare di averti davvero ". Percepì il suo cuore perdere un battito, per riprendere poi il suo ritmo di soppiatto, quasi avesse timore di farsi sentire da lui. E infatti Masahiko parve non accorgersene. Lo vide socchiudere gli occhi, come se cercasse di concentrarsi, forse per trovare il coraggio di voltarsi e guardarla per pronunciare quelle ultime parole. E così fece. La guardò e dopo un attimo di smarrimento le sorrise.
"Voglio diventare un uomo in grado di offrirti qualcosa, Shion ".
Rimase lì, immobile. Gli occhi, immobili. Il cuore, immobile. Desiderò parlare, ma la sua mente era a zero giri.
Lui si voltò nuovamente, smarrendo ancora lo sguardo tra i tetti della città. Parlò a voce bassa, più a sé stesso che a lei "E non posso farlo restando qui ". Poi parve risvegliarsi da quello strano torpore e si voltò di nuovo, mostrandole un sorriso sorprendentemente energico. "E poi, pensaci bene, così avrò la possibilità di chiederti di uscire ".
Stavolta non riuscì ad impedirsi di guardarlo stupita "Ma, Masahiko, noi usciamo sempre insieme… ".
"Si, è vero. Ma non ti ho mai chiesto un vero appuntamento. Sarebbe sembrato sciocco, non credi? ". Rise e alzò il dito indice davanti al suo viso "Dove sarei venuto a prenderti e, più che altro, dove ti avrei riaccompagnata, davanti alla porta di camera tua? ".
Lo guardò con fare malizioso. "Beh, mi sembra che tu lo abbia sempre fatto ".
Cercò di non fare troppo caso a quello sguardo per non imbambolarsi ancora. Le rispose abbassando istintivamente gli occhi e portandosi una mano sulla nuca. "Lo so, ma non sarebbe la stessa cosa… A dire la verità, ecco … alcune volte mi sono chiesto se saresti uscita così spesso con me se non abitassimo insieme. Se non ci fossero legami di famiglia tra noi, voglio dire ". Riuscì a rialzare gli occhi, ma non poté guardarla in viso "Ti sembrerà sciocco, davvero molto sciocco, da parte mia. E forse anche immaturo. Ma vorrei sapere che non è un caso se passiamo tanto tempo insieme ". Attese un momento e poi alzò lo sguardo dandole l’impressione di aver chiamato a raccolta tutto il suo coraggio "Io non mi stancherò di venire da te. E credo che tu adesso non abbia ancora le idee chiare in merito, ma vorrei … si, vorrei che un giorno tu capissi che cosa vuoi davvero da me ".
Sorrise. Un sorriso sereno, pulito. Il vento spazzò i suoi capelli.
"E penso che per me sia arrivato il momento di correre il rischio. E di lottare per averti ".
Si cullò per un attimo nel calore delle sue parole, nella bellezza di quel sorriso, prima di aprire bocca per rispondere, senza sapere ancora cosa. Ma lui la precedette stupendola ancora una volta.
"E poi c’è un’altra cosa ". La guardò e pronunciò quelle parole come se fosse la cosa più semplice del mondo. "Voglio stare con te. Voglio fare l’amore con te, Shion ". Guardò il suo viso, cercando inutilmente di interpretarne l’espressione. "Ma non qui. Non in casa dei tuoi genitori, non nella casa in cui sono stato accolto come un figlio ".
Le sorrise e continuò, "E poi voglio un posto in cui non doversi preoccupare che qualcuno apra improvvisamente una porta o si affacci ad una finestra ". Si voltò piano come se avesse sentito per la prima volta il peso delle sue parole. Sentì una corrente d’aria più fresca sulla pelle e continuò con voce più lieve, "Non è molto, ma penso sia la minima cosa che un uomo abbia il dovere di offrire alla sua donna ".
Dopo un attimo di silenzio la spiò con la coda dell’occhio. Lo guardava. Si girò del tutto e lei sostenne il suo sguardo, ma i suoi occhi svelavano la confusione che quelle parole avevano creato in lei.
Poi parve risvegliarsi improvvisamente. I suoi occhi riacquistarono luminosità e subito dopo furbizia. Parlò con tono allegro, canzonatorio. "Sempre che io sia una donna, giusto? ".
La sua prima reazione fu di sgomento e subito dopo di grave indignazione. Riuscì però a contenere il tono della risposta che risultò comunque fortemente polemico. "Okay, okay, ho capito. Scacco matto ". Le voltò le spalle, si spinse in avanti e fece scivolare le gambe giù dal tetto. Si puntellò con le braccia e rimase in silenzio.
Sorrise, anche se lui non poteva vederla. "Ehi! Non te la sarai presa, vero? ". Lui grugnì qualcosa e rimase di schiena. Si avvicinò, gli poggiò una mano su di una spalla e continuò con tono confidenziale, "Avanti Masahiko, perdonami, non sapevo cosa risponderti ". Fece scivolare la mano lungo il braccio e abbassando lo sguardo lo tirò leggermente verso di sé. "Ti prego, girati, non essere arrabbiato con me ".
Quella tiepida, complice pressione sul braccio gli scaldò il cuore in un momento. Non c’era niente da fare. Non riusciva, non riusciva proprio a dirle di no. E si sentì anche un po’ stupido, perché in cuor suo dovette ammettere di essersi sentito vagamente felice del fatto che non avesse avuto timore di confessargli di essere confusa.
E così lo fece. Si arrese, sollevò di nuovo le gambe sul tetto e si voltò avvicinandosi a lei. Il suo sorriso era così bello. Lei lo era.
Così vicino. Forse troppo. Gli sembrava di sentire il calore della sua pelle. Il suo odore. Desiderò tirarla a sé e affondare il viso nei suoi capelli, sentire il suo profumo fino a consumarlo tutto. Ma si limitò ad avvicinare il viso al suo e a risponderle sottovoce in tono complice, "Strega ".
Con le dita le spostò una ciocca di capelli dietro la schiena sfiorandole il collo e la nuca. Un piccolo brivido gli passò lungo il braccio e lei parve essersene accorta, perché gli sorrise, quasi divertita.
"Sempre che tu sia una donna? Già, chissà cosa succederebbe se tu non lo fossi ".
Lo guardò stupita. Quasi più di prima. E anche lui si stupì di aver pronunciato quelle parole. Ebbe l’istinto di tirarsi indietro, ma poi i suoi occhi si fecero di nuovo profondi e scuri. Esitò a lungo prima di rispondersi e infine lo fece con voce incolore, "Non lo so ".
Rimase in silenzio per un lungo attimo e poi le sorrise. "Davvero. Non lo so ".
Si allontanò da lei con fatica e si sdraiò nuovamente sul tetto concedendosi un profondo respiro liberatorio. Rivolse lo sguardo al cielo e continuò. "Sarebbe dura per me, suppongo. Per un motivo molto semplice ". Si girò su di un lato e le dette le spalle, ma il suo tono di voce rimase comunque udibile. "Perché non potrei mai averti ".
Attese ancora a lungo prima di proseguire, "Devo confessarti di aver pensato spesso a questa possibilità, ma vedi, non credo che potrei mai … si, insomma, stare con un uomo ".
Stava per rispondergli ma lui la precedette ancora, rivolgendole parole miste ad una leggera risata, "E sarebbe davvero difficile per me, perché vedi… ho paura che questi sentimenti non se andrebbero via comunque ".
Quelle parole riempirono la sua mente. E sembrarono scaldarle l’anima.
Allungò un braccio, gli posò la mano sulla sua spalla e si piegò leggermente su di lui. Ma Masahiko si girò velocemente e si sollevò andando ad incontrare di nuovo i suoi occhi. Quanto erano belli. Avrebbe potuto perdersi in quegli occhi. Avrebbe voluto farlo. Ma si limitò a parlarle ancora, piano, con voce un pò impastata.
"No. Non devi dirmi niente. Non stasera. Oggi era il mio turno di parlare ".
Le prese una mano e se la portò al petto. Non riuscì ad impedirsi di passarle un braccio dietro la schiena e avvicinarla a sé. Era così vicina. Così calda.
"Dio … ", la sua bocca si mosse ma non ne uscirono suoni. Le sorrise e riprovò. "Adesso… me ne vado a letto ".
Le dispiacque. La sua espressione la tradì e lui ne fu felice.
Si allontanò piano da lei, facendo scivolare la mano lungo la schiena e la vita, senza lasciarle la mano finché non fu inevitabile. Calò le gambe giù dal tetto e fece forza sulle braccia per scendere.
Guardò il profilo della sua schiena, le sue spalle. Si stupì per come si fossero fatte grandi. Lo richiamò appena prima che si desse lo slancio.
"Masahiko, quando intendi dirlo a mamma e papà? ".
La guardò da sopra la spalla e rispose con tono fresco. "L’ho già fatto ".
Se ne sentì davvero sorpresa, inaspettatamente gelosa. Continuò con voce incerta, "E quando.. ? E cosa hai detto loro di preciso? ".
Masahiko rivolse lo sguardo al cielo, fingendo di forzarsi di ricordare. "Beh, la verità ".
Rimase sgomenta. "Ma… la verità in che senso? ".
Rise divertito della sua reazione e riprese con tono più sicuro "Ho parlato con loro oggi pomeriggio, mentre eravamo ancora a casa dei nonni ". Le sorrise, "E ho detto loro le stesse cose che ho detto a te ".
"Le stesse? ".
"Si. Le stesse ".
Si concesse di rimanere ancora un attimo a godersi quell’espressione di stupore sul suo viso, poi si dette lo slancio e atterrò sul terrazzo. Fece fatica a mantenere l’equilibrio e non cadde solo perché riuscì ad aggrapparsi alla balaustra. Tirò un sospiro di sollievo e si girò pronto alla frecciatina. Ma lei non lo aveva neppure visto. O meglio, l’aveva visto ma sembrava non averlo mentalmente registrato, perché continuava a guardarlo con aria stupefatta. La fissò ancora per un attimo e poi si incamminò verso la finestra augurandole la buonanotte.
La sentì pronunciare il suo nome con voce calda e complice. Alzò gli occhi e la vide sporgersi oltre il tetto. Gli regalò un sorriso straordinario, un sorriso che poche altre volte le aveva visto. "Mi mancherà non averti tutte le sere sotto la mia finestra ". Socchiuse gli occhi e continuò, "Grazie, per le cose che hai detto stasera ".
Poi rialzò la testa e sfoderò un sorriso strafottente. "Ah, Masahiko, a proposito… davvero un bell’atterraggio! ". Gli fece l’occhiolino e si allontanò ridacchiando.
"Strega! ".
Sorrise e chiuse la portafinestra dietro di sé.

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Capitolo 2
*** Shion ***


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SHION


Sentì un tuono in lontananza e si rigirò nel letto coprendosi il viso con la coperta.
Si sentiva agitata, confusa. Nella sua mente apparivano e sparivano mille parole, ricordi, immagini, pezzi di un puzzle scomposto. Ma l’immagine più ricorrente era quella delle sue spalle. Le spalle di Masahiko che le fa strada sul treno affollato, Masahiko che scende dal tetto, Masahiko che la porta in bicicletta. Le sembrava di averle davanti agli occhi, di poter allungare una mano per toccarle, per sentirne robustezza e calore.
Sorrise tra sé stringendosi sotto le coperte e si stupì ancora una volta di quanto si fossero fatte grandi.
Un altro tuono la distrasse per un attimo, spingendola a far capolino dalla coperta per osservare la luce del lampo invadere la stanza da letto.
Nuovamente al buio tornò l’immagine di Masahiko. Quante cose erano cambiate tra loro. Ci pensò bene e si rispose sinceramente: tutto e niente. Si. Tutto e niente.
Si girò su sé stessa e rivolse lo sguardo al soffitto.
Masahiko. Chi era Masahiko, cosa rappresentava nella sua vita?
Le piaceva soffermarsi a pensare a lui. Si, anche se solo di rado se lo consentiva, perché in cuor suo le sembrava davvero troppo sdolcinato.
Ma ora aveva anche una scusa per farlo. D’altra parte avrebbe dovuto pur rispondergli prima o poi. Lui era stato sincero e gli doveva altrettanta sincerità.
Una lieve sensazione di disagio la colse di nuovo, ma cercò di respingerla con forza. In realtà il problema era proprio quello, anche lei era stata sincera. Davvero non aveva saputo cosa rispondergli. Ma stavolta doveva sforzarsi di farlo, doveva cercare dentro di sé una risposta. Già, non sarebbe stato corretto rimandare ancora, pensare solo a sé stessa concedendosi di continuare a trovare degli alibi.
Si girò di scatto su un fianco sbuffando appena e corrucciando il viso. Un attimo dopo rise di sé. Sembrava proprio una lezione di training autogeno.
Fece scivolare le braccia sotto il cuscino e si stirò la schiena rilassando le spalle. Affondò il viso nel guanciale e socchiuse gli occhi. Per un attimo le sembrò di sentire il contatto del braccio di Masahiko sulla schiena.
Esitò per un attimo, poi decise di godersi ancora quell’emozione. Così chiuse gli occhi e sentì chiaramente la pressione del suo avambraccio lungo i dorsali, la mano sul costato. Un piccolo, lieve sorriso le sfuggì dalle labbra. Sentì la propria mano stretta di nuovo nella sua. Così calda, sicura, poggiata sul suo petto. Si sentì spinta verso di lui, così vicina, solo un filo d’aria tra loro. E quanto le piaceva quell’intimità, quanto la faceva sentire bene e quanto le faceva paura. Anche quella sera ne aveva avuta, e nemmeno poca, ma le era piaciuto lo stesso. Come tutte le altre volte. E quindi desiderò ancora che non si fosse allontanato, che l’avesse stretta ancor di più fino a far sparire anche quel filo d’aria.
Riaprì lentamente gli occhi che si velarono di timida tristezza. Avrebbe desiderato far scivolare l’altro braccio dietro la sua schiena e stringersi a lui. Forse l’avrebbe fatto se non si fosse allontanato. Forse.
Sgranò improvvisamente gli occhi e si alzò di scatto mettendosi seduta sul letto. Ma perché forse? Perché mai non avrebbe dovuto farlo se lo desiderava? Cosa diavolo la fermava?
La luce di un altro lampo penetrò attraverso le tende di lino chiaro. Osservò distrattamente le ombre sul muro e si lasciò cadere di nuovo sul letto. Gli occhi e i palmi delle mani rivolti al soffitto, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Non era proprio da lei. No davvero.
Si voltò faticosamente su di un fianco, cercando con una mano la coperta che le era rimasta piegata in grembo. La tirò su coprendosi nuovamente gran parte del viso.
Se avesse agito d’istinto lo avrebbe fatto. Si. Se non l’avesse lasciata pensare, se si fosse trovata d’improvviso tra le sue braccia non se ne sarebbe allontanata e anzi si sarebbe stretta a lui. E si sarebbe lasciata baciare. Si. Come la sera precedente.
Si rannicchiò sotto le coperte facendo salire inconsapevolmente le ginocchia verso il busto.
Come la sera precedente.
Era il loro ultimo giorno a Kochi e la nonna aveva insistito perché indossasse uno dei kimono di famiglia. Fantasia blu, gialla e bianca, con la manica a metà lunghezza del braccio impreziosita da una coda tra il gomito e la spalla che si allungava quasi sino a terra. Un modello fresco e giovanile tradizionalmente adatto ad una giovane non ancora coniugata.
Sora aveva acquistato dei fuochi d’artificio con la scusa di festeggiare ancora il compleanno della nipotina e, quindi, dopo cena tutti erano usciti in giardino per farli esplodere. Inutile dire che i quattro maschiacci di famiglia, Sora, Kaoru, Shion e Masahiko, si erano spartiti quelli più appariscenti ed inutile dire anche che Masahiko, con la complicità di Kaoru, aveva combinato un altro pasticcio e si era quasi ucciso facendosene scoppiare uno in viso.
Ridacchiò sotto le coperte ricordandone il grido di spavento ed il viso tutto sporco di nero. Come mai avrebbe potuto cavarsela il suo Masahiko vivendo tutto da solo?
Una volta rimaste le sole stelle filanti i quattro si erano tirati in disparte lasciando finalmente divertire anche gli altri. Aveva distribuito i bastoncini da incendiare e aveva raggiunto sul portico Masahiko portandogli un fazzoletto datole dalla nonna, la quale, peraltro, si era dimostrata più preoccupata della sorte del kimono messo a dura prova dai fuochi che di quella del nipote.
L’aveva aiutato a ripulirsi senza però risparmiarsi qualche frecciatina gratuita e godendosi le sue espressioni fintamente imbronciate. Poi si era voltata per ridiscendere in giardino ma lui le aveva preso una mano e l’aveva tirata gentilmente indietro, portandola vicino a sé.
Da quella parte del portico si poteva vedere tutto il giardino ma, essendo parzialmente in ombra, gli altri non avrebbero potuto vederli distintamente. Erano rimasti così a lungo, spalle al muro, fianco a fianco. Con la mano stretta nella sua, sentiva il contatto della spalla e del braccio contro il suo corpo. Non le aveva detto una parola e non si era nemmeno mai voltato, ma le piacevano l’espressione serena del suo viso e la stretta sicura della sua mano. La facevano sentire stranamente calma e rilassata. Ricordò di aver sorriso.
Poi, d’un tratto, con la coda dell’occhio lo aveva visto scomparire nella parte ancor più in ombra del portico e subito dopo si era sentita tirare nella sua direzione. Un attimo dopo era tra le sue braccia. Non l’aveva lasciata pensare e l’aveva baciata. Un bacio a fior di labbra, certo, ma dopo un attimo di smarrimento lei lo aveva ricambiato. E aveva ricambiato anche il secondo, dopo aver visto balenare per un attimo i suoi occhi nella penombra. E avrebbe ricambiato anche il terzo se non avesse sentito arrivare qualcuno. Si era allontanata di scatto e un attimo dopo il nonno era apparso alle loro spalle senza per fortuna dar segno di averli visti.
Il rumore di una pioggia prima leggera e poi insistente invase la stanza. Rimase ad ascoltarlo per un momento pensando a quanto fosse piacevole starsene sotto le coperte mentre fuori pioveva. Si accomodò meglio nel tepore del letto facendo scivolare di nuovo la testa sotto la coperta e la sua mente tornò alla sera precedente.
Si morse istintivamente il labbro inferiore nel ricordare quanto gentile ed intenso fosse stato il contatto con le sue labbra. Quanto forte fosse stata la stretta delle sue braccia dietro la schiena. Quanto leggera fosse stata la sua mano nell’insinuarlesi tra i capelli.
L’arrivo del nonno era stato come se qualcuno l’avesse violentemente strappata dal sonno, era riuscita a far finta di niente, ma la sensazione che aveva provato era quella di essersi buttata da un treno in corsa.
Masahiko era rimasto immobile ed in silenzio. L’espressione del suo viso era stata per una volta indecifrabile. Poi, mentre il nonno la conduceva in giardino sottobraccio, era rimasto nell’ombra del portico. Era riuscita a rivolgergli un ultimo rapido sguardo da sopra la spalla, ma non aveva potuto vedergli il viso.
Era rimasta in giardino con gli altri. Aveva chiacchierato, riso e scherzato, ma non si sentiva bene. Sentiva di averlo fatto soffrire. Ma d’altro canto come avrebbe dovuto comportarsi? Avrebbe forse dovuto lasciare che il nonno li vedesse?
Una volta liberatasi di lui aveva desiderato tornare indietro, ma aveva avuto paura di non ritrovarlo ancora lì. O forse del contrario. Cosa avrebbe fatto o detto? Non lo sapeva. Davvero non lo sapeva.
Si girò di scatto su sé stessa e si adagiò sull’altro fianco.
Lui non le aveva detto più niente, neppure quella sera. Non una parola su quanto era successo. Però, a giudicare da come le aveva parlato poche ore prima, non era certo arrabbiato con lei. Inoltre, a quanto pare, aveva parlato a mamma e papà e aveva detto loro… aveva detto loro che se ne sarebbe andato da casa perché… si beh, perché… che cosa diavolo aveva detto loro di preciso? Davvero le stesse cose che aveva detto a lei? Forse no. Sperò di no. Almeno non la parte del voler fare l’amore con lei.
Si voltò di nuovo e si mise supina.
Fare l’amore con Masahiko.
Si alzò di scatto e si trovò di nuovo seduta sul letto. Il corpo teso, i nervi a fior di pelle. Rimase un attimo immobile sentendo il ritmo del cuore tornare alla normalità e l’agitazione che smontava lentamente. Cercò di rilassarsi e mise in ordine la giacca del pigiama che le si era attorcigliata intorno al busto.
Si lasciò cadere di nuovo sul letto con lo sguardo ancora una volta rivolto al soffitto.
Fare l’amore con lui.
La desiderava. Era vero, lo sapeva. Forse l’aveva saputo addirittura prima di lui. E lo aveva capito da come, col tempo, il suo starle vicino era cambiato. Da quel giorno sul treno Masahiko era diventato più consapevole e sicuro. Forse non intraprendente, ma certamente più deciso.
Si voltò ancora una volta su di un fianco e portò istintivamente il pollice alla bocca mentre cercava una parola che descrivesse meglio il suo atteggiamento. Si mordicchiò l’unghia e sorrise. Più intimo. Si, più intimo, sempre di più, fino a quando si rese conto che tutto di lui le diceva quanto la desiderasse.
Quando erano da soli lo sguardo, il sorriso, il tono della sua voce erano diversi. I suoi occhi e le sue mani la cercavano sempre e anche quando litigavano quella luce non se andava mai dai suoi occhi. In ogni suo gesto poteva cogliere un misto di affetto, amore, desiderio.
E le piaceva quell’intimità. Le piaceva essere guardata in quel modo, le piaceva essere presa per mano e sentire quel tono confidenziale nella sua voce. Le era piaciuto essere baciata. E le era piaciuto anche che le avesse detto a parole quanto la voleva.
Ma fino a quel momento aveva sempre pensato che il non mostrare quei sentimenti davanti agli altri fosse una sua scelta. E quella sera, invece, fu costretta a rendersi conto che non era mai stato così. Che, invece, era sempre dipeso da lei, dal fatto che lei non voleva che gli altri sapessero cosa stava succedendo tra loro. E lui aveva soltanto rispettato quella sua scelta.
Ma adesso qualcosa era cambiato. Masahiko non le avrebbe più consentito di comportarsi come la sera precedente. Era stata scorretta. Lo aveva baciato, si, nell’ombra del portico era rimasta tra le sue braccia e lo aveva baciato. E poi era fuggita. Non da lui, ma dal rischio che qualcuno potesse vederli.
Aveva pensato di averlo ferito con la sua vigliaccheria, ma non era del tutto vero. Masahiko si era reso conto semplicemente che non era possibile andare avanti così. Lei aveva dimostrato di non essere in grado di superare l’empasse e quindi era stato lui a prendere una decisione.
E quella sera, sul tetto, le aveva aperto il suo cuore ancora una volta, ancora di più.
Sapeva cosa voleva e aveva bisogno di sapere cosa lei voleva da lui. Cosa voleva davvero. Avrebbe potuto baciarla e lei glielo avrebbe consentito. Ma non l’aveva fatto, non si sarebbe più accontentato delle reazioni istintive. Voleva di più.
Fece scivolare le braccia sotto il cuscino e sorrise nel buio.
Un anno prima era stata lei a spingere Masahiko a far chiarezza dentro di sé e ora i ruoli le sembrarono essersi invertiti. Era stata brutale con lui ed aveva funzionato, ma lui non era stato da meno. Non aveva alzato la voce, certo, del resto non avrebbe funzionato con lei, ma aveva trovato comunque il modo di costringerla a guardare dentro di sé.
La conosceva davvero bene il suo Masahiko.

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Capitolo 3
*** Adesso lo sai ***


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ADESSO LO SAI


Salutò Sora e Yukari ed uscì di casa.
Non era una giornata fredda per essere fine Dicembre. Aveva indossato un cappotto marrone chiaro su un maglione bianco a collo alto ed un paio di jeans scuri. Infilò la borsa a tracolla, oltrepassò il cancello e si incamminò verso la ferrovia canticchiando sottovoce.
L’appartamento di Masahiko era a soli tre isolati da casa Wakanae. Era stata Yukari a trovarlo spargendo la voce tra i vicini.
Da quando Masahiko aveva annunciato di voler andare a vivere da solo Yukari si era data un gran da fare per trovargli un appartamento, tanto che Shion una sera si era addirittura risentita di tanta fretta di farlo andar via da casa. In famiglia tutti si erano già resi conto di come non riuscisse a vedere la cosa con la consueta lucidità, ma Yukari, Sora e Kaoru accolsero il suo sfogo con una risata che l’aveva lasciata di stucco.
Le sfuggì un piccolo sorriso ricordando il tono paternalistico di Sora nello spiegarle che l’intenzione di Yukari non era altra che quella di trovare un appartamento per Masahiko che non fosse troppo lontano da casa, di modo che avesse la sua indipendenza e che fosse comunque sempre possibile raggiungersi a vicenda con facilità. Si portò istintivamente una mano sulla guancia ricordando come si fosse poi colpevolmente messa sulla difensiva quando Sora l’aveva presa sottobraccio ed aveva alluso alla probabile frequenza delle sue visite a Masahiko.
Si scrollò di dosso quel lieve imbarazzo e proseguì aumentando il passo.
L’appartamento di Masahiko era un monolocale abbastanza ampio al secondo piano di una piccola palazzina che i proprietari avevano ristrutturato per loro figlio, il quale, una volta sposato, si era trasferito in un appartamento più grande. Vi si accedeva tramite una rampa di scale esterna al fabbricato ed aveva il pregio di due piccoli terrazzi sul lato cucina e sul lato notte che davano rispettivamente sulla strada e sul giardino dei proprietari che abitavano ai piani inferiori.
L’interno era composto di una confortevole zona giorno con angolo cottura e di una zona notte che, una volta riposto il futon, fungeva anche da zona studio. La stanza da bagno dava invece sul retro dell’edificio. L’arredamento era ancora un po’ scarno, ma Shion sentiva l’ambiente comunque caldo ed accogliente. Familiare, avrebbe detto.
La sistemazione non era certo paragonabile a casa Wakanae ma Masahiko era orgoglioso di poterselo permettere grazie soprattutto al lavoretto part time che aveva trovato presso una casa editrice. Non era ancora un impiego definitivo, certo, ma doveva convenire che come inizio non era niente male.
La prima impressione che Shion aveva avuto di quell’appartamento non era stata positiva. Quando Masahiko vi si era trasferito non si era mostrata particolarmente ansiosa di fargli visita, in parte perché non era ancora convinta della sua scelta di andarsene di casa e in parte per non darla vinta a Sora. Ma le cose erano rapidamente cambiate. Masahiko era stato molto astuto nel chiederle aiuto per arredarlo, così da fare in modo che lo sentisse in parte anche suo, ed inoltre aveva cominciato ad apprezzarne i pregi.
Presto, infatti, dovette ammettere che starsene lì con Masahiko era diverso da stare insieme a casa Wakanae. Quel posto le dava una sensazione diversa circa la natura del loro rapporto. Non aveva niente a che fare con i legami di famiglia, con gli Wakanae e con gli Yanagiba, era qualcosa di nuovo, che riguardava loro soltanto. Era emozionante e la faceva sentire bene.
Trovava difficoltà a tradurre quella sensazione in parole, la stessa che Masahiko aveva incontrato la sera in cui le annunciò di voler andare via da casa. Ma adesso finalmente sentiva la differenza e ne capiva il motivo. Stare insieme non era più scontato e vederlo ogni giorno era solo una sua scelta. E presto si rese conto anche del fatto che andare da lui non la faceva sentire come se andasse a trovare un cugino, né tanto meno un amico. E lo faceva spesso, quasi ogni giorno. E se non lo faceva lei era Masahiko ad andare a casa Wakanae.
No. Non era un caso se trascorrevano tanto tempo insieme. Almeno a quella domanda adesso avrebbe saputo rispondergli.
Quasi sotto casa sua alzò lo sguardo e lo vide sul terrazzino. Aveva le braccia incrociate sulla ringhiera e si sporgeva leggermente in avanti con il busto. Lo salutò con un sorriso ed un rapido gesto della mano.
L’aveva scorta in lontananza ed era rimasto ad osservarla mentre si avvicinava. Il suo passo era deciso ma leggero. Il viso spensierato. Il colore del maglione e della sua pelle creavano un vivo contrasto con quello dei capelli e degli occhi. Era così bella, lo era sempre di più, e quell’espressione serena del suo viso era divenuta piacevolmente familiare.
Più tardi avrebbero ripercorso insieme quella strada fino a casa Wakanae. Riaccompagnarla a casa era diventata una piacevole abitudine serale. Se non era troppo tardi entrava in casa a salutare Sora e Yukari, altrimenti la salutava al cancello e vi rimaneva fino a che non fosse entrata in casa. Ma quella era una serata diversa, era la vigilia di Natale e l’avrebbero trascorsa con il resto della famiglia a casa Wakanae.
Pensò con nostalgia agli anni trascorsi in famiglia. Gli mancava non vederla al mattino, non sentire la sua voce per casa, non chiacchierare fino a tarda ora sul tetto, ma vederla ogni giorno salire le scale di casa sua lo faceva sentire bene.
Non gli mancava Shioya. Lui no davvero. Shioya frequentava l’università ma a quell’ora, lavorando, lui non poteva vederlo. E lei, comunque, non ne parlava quasi mai.
Finalmente incrociò il suo sguardo e si riempì gli occhi del suo sorriso. La osservò varcare il cancello e prendere le scale, quindi entrò in casa e le aprì la porta.
" Ciao ".
La sua voce era gentile ed allegra, le sue guance leggermente arrossate dall’aria frizzante. Entrò richiudendosi la porta dietro le spalle e lo salutò con un caldo bacio sulla guancia. Si sfilò le scarpe, indossò un paio di ciabatte e gli mostrò una busta di plastica che posò sul tavolo di cucina.
" Queste cose te le manda mamma ".
La seguì con gli occhi portandosi automaticamente una mano sulla guancia su cui lo aveva baciato. Anche se le espressioni fisiche erano diventate più familiari quello non era un gesto da tutti i giorni.
Pensò istintivamente che era dalla sera dei fuochi d’artificio a Kochi che non l’aveva più baciata. Erano state mille le occasioni in cui avrebbe voluto farlo e da quando abitava da solo si erano addirittura moltiplicate, ma aveva deciso di tener duro. C’era un motivo preciso per il quale aveva scelto di lasciare casa Wakanae e quindi doveva imporsi di essere coerente e lasciarle il tempo per chiarirsi le idee. E la cosa migliore da fare era non farle pressioni.
Era rimasta voltata di schiena tentando di mascherare la sua incredulità. Che cosa diamine aveva fatto? Era davvero incredibile come riuscisse sempre a mettersi nei guai. Fino ad un momento prima camminava serena e tranquilla per strada e un momento dopo si era lanciata baciandolo senza nemmeno dargli il tempo di dirle ciao. Come gli era venuto in mente, poi?
E questo silenzio. Cavoli, che cosa stava facendo?
Lo guardò da sopra la spalla e vide la sua espressione di sorpresa mentre si reggeva ancora la guancia. Le venne voglia di ridere.
" Masahiko? ".
Lo vide tornare alla realtà e far sparire la mano fuggiasca dal viso.
" Ah, si. Che cosa hai detto? ".
Si voltò e gli sorrise. " Che queste cose te le manda mamma ".
Le rispose avvicinandosi al tavolo ostentando indifferenza. " E che cosa sono? ".
" Cose da mangiare, no? Lo sai che la mamma ha paura che tu ti deperisca ".
Osservò il suo viso fintamente interessato al contenuto della busta e si morse il labbro inferiore mal trattenendosi dal ridere.
La guardò con la coda dell’occhio e tornò alla busta. Poi le parlò sorridendo sornione. " Che cosa hai da ridere? ".
Gli rispose facendo di no con la testa senza lasciare libero il labbro, ma quando la fissò negli occhi mettendosi le mani sui fianchi non riuscì più a trattenersi.
Rise ripiegandosi leggermente su sé stessa e abbassando lo sguardo. Posò le mani e la fronte sul suo petto. Lo sentì ridere e sentì le sue mani prenderle le spalle.
Parlò a stento, trovando difficoltà nel mettere a tacere le risa. " Io non so… non so nemmeno… si insomma non… non avevo pensato di farlo ". Riuscì finalmente a calmarsi e proseguì nascondendo ancora il viso nel suo petto. " Mi è scappato ".
Sentì le sue braccia incrociarsi e circondarle la schiena.
" Scappato? Oh, non pensare di mettermi in difficoltà per così poco. Sono pieno di donne che mi baciano continuamente senza lasciarmi il tempo di aprire bocca! ".
Se la rise tra le sue braccia senza avere ancora il coraggio di farsi vedere in viso.
" Bugiardo. Ti ho visto, sei rimasto di stucco. Forse le donne che ti baciano non sono belle quanto me ".
" Si, a guardarti bene non sei affatto male, un tipo direi ".
Sollevò finalmente il viso ed incontrò i suoi occhi. E il suo sorriso. Il suo sorriso. Cos’era quel sorriso. Le entrava dentro come una folata di vento nell’erba.
Rimase lì a godersi la sua espressione, incapace di allentarle la stretta dietro la schiena. Quasi con fatica riuscì finalmente a rompere il silenzio. " Non sono ancora pronto. Sono rientrato da cinque minuti e devo farmi ancora la doccia. Mi aspetti, vero? ".
Gli sorrise con malizia e gli fece scivolare lentamente gli indici sul petto. " La doccia? Hai forse bisogno di qualcuno che ti lavi la schiena? ".
Quel leggero contatto delle dita gli provocò una strana sensazione nel ventre, tanto da spingerlo ad incurvarsi impercettibilmente, ma riuscì a rispondere senza darlo troppo a vedere. " No, grazie. Sarei in imbarazzo se tu vedessi i segni dei graffi che queste donne mi lasciano nei momenti di passione ".
Si sciolse dal suo abbraccio e si allontanò di qualche passo mettendo su un finto broncio. " Oh, se le cose stanno così, ti aspetterò qui ". Si lasciò cadere sulla poltrona vicino alla finestra e gli sorrise.
" Cinque minuti ". Le fece l’occhiolino e si chiuse nella stanza da bagno dopo aver preso dall’armadio i vestiti di ricambio.
Appoggiò la testa lungo lo schienale e si guardò intorno.
Un libro aperto a metà era in bilico a cavallo di un bracciolo della poltrona e sull’altro era stato abbandonato un plaid verde e rosso. Si alzò lentamente, prese un segnalibro dalla scrivania e lo infilò tra le pagine appoggiando il libro sul tavolino vicino alla finestra. Ripiegò il plaid e lo appoggiò sullo schienale della poltrona prima di mettervisi di nuovo seduta.
Sentì scorrere l’acqua della doccia e si fece cullare da quel rumore rilassante.
L’atmosfera di quella casa le era ormai familiare. Ne conosceva la luce, l’ombra l’odore. Conosceva la disposizione dei mobili, degli utensili, perfino delle utenze. Conosceva le abitudini di Masahiko e sapeva che gli piaceva avere lì plaid, a portata di mano, e che si sarebbe rammaricato se lo avesse riposto nell’armadio.
Si voltò verso la cucina e la osservò per un lungo momento, poi un piccolo, lieve sorriso si affacciò sul suo viso. Tutte quelle cose che vedeva le avevano comprate insieme. Le avevano cercate e scelte insieme. Ed anche usate. Era anche per questo che lì si sentiva a casa sua.
Vicino alla porta d’ingresso incrociò con lo sguardo la piccola stufa che avevano acquistato d’occasione l’estate precedente da un rivenditore dell’usato. La prima giornata di freddo autunnale avevano quasi mandato a fuoco l’intero edificio prima di imparare ad accenderla. Si passò le dita sulle labbra e ridacchiò. Era stato divertente, però.
Sentì spengere l’acqua della doccia e si girò verso la porta del bagno.
Attraverso lo spiraglio tra le ante dell’armadio intravide i vestiti poco ordinati di Masahiko ed il futon che invece riponeva con precisione quasi maniacale. Non aveva voluto acquistare un letto all’occidentale per timore che la zona studio rimanesse troppo sacrificata ed in fin dei conti aveva avuto ragione. Il suo futon, poi, era comunque molto comodo.
Aveva avuto modo di constatarlo in un paio di occasioni. Una prima volta vi si era addormentata dopo una memorabile bisboccia con le Assi e una seconda volta vi aveva trascorso ben tre notti consecutive quando Masahiko si era ammalato ed era rimasta con lui finché la febbre non era scesa del tutto.
In quelle occasioni Masahiko si era comportato con estrema correttezza, anche se, in realtà, l’ultima mattina, quando la febbre era già molto calata, si era risvegliata abbastanza vicina a lui da poter accertare con sicurezza l’avvenuta guarigione.
La colse un leggero imbarazzo e si alzò per andare a sistemare in dispensa le cibarie inviate da Yukari.
Un attimo dopo Masahiko uscì dal bagno e la raggiunse aiutandola con i pacchetti.
" Yukari non ha proprio fiducia nelle mie qualità culinarie, vero? ".
" Già…", gli rispose con tono ironico, " …chissà poi per quale motivo ".
Spiò di sottecchi la sua occhiataccia e continuò ridacchiando, " Mio caro, nessuno mette in dubbio che tu abbia molte buone qualità, ma in cucina sei proprio un pesce fuor d’acqua ".
Lo ascoltò grugnire qualcosa di incomprensibile e cambiò argomento. " Ho visto che hai iniziato un nuovo libro. Se fossi crudele come mi dipingi penserei che tu non riesca a prendere sonno la sera ". Si volse di spalle e continuò mal celando un sorriso perfido e divertito, " E con quel plaid sulle ginocchia, a volte mi ricordi un po’ il nonno, sai? ".
Per risponderle a tono sfoderò il migliore dei suoi sguardi truci. " Ah, ah! Non sei così crudele come ti dipingo, ma molto di più, carina, molto di più ".
Si voltò di nuovo e finalmente gli sorrise con gentilezza. " Di cosa parla questo? ".
Ci pensò su un attimo prima di risponderle, " Ehm, triste direi. Lui ama lei e lei non ama lui ".
Rivolse lo sguardo al soffitto e parlò con fatalismo. " Ah, solita vecchia storia ".
Chiuse lo sportello della dispensa e la precedette verso la porta. " Molto più crudele, cara mia. Molto più di quanto ti dipingo ". Indossò il cappotto e continuò, " Andiamo, strega? ".
" Certo ", si vestì a sua volta e lo seguì fuori.
Chiuse il cancello alle loro spalle e la affiancò prendendole la mano. La strinse appena per poi divaricarne gentilmente le dita ed intrecciarle alle sue.
Lo faceva sempre, ogni sera, riaccompagnandola a casa. E le piaceva. Qualche volta le passava un braccio dietro la schiena per cingerle le spalle o la vita. E questo le piaceva ancor di più. Non le aveva mai fatto pressioni, ma non perdeva nemmeno occasione per ricordarle quello che provava per lei. E anche questo le piaceva.
Le chiese se avesse avuto freddo, ma lei stava bene. Stava bene vicina a lui. E forse avrebbe desiderato essergli ancora più vicina. Forse più del lecito.
Camminò tranquilla verso casa, riflettendo sul fatto che non le importava che qualcuno potesse vederli. Adesso non più. I padroni di casa di Masahiko la vedevano andare e venire in continuazione, ma non le importava cosa potessero pensare. Non le importava neppure che potesse vederli qualcuno nelle vicinanze di casa.
Si costrinse però ad abbassare la cresta e ad ammettere con rammarico che non era del tutto vero. Con i familiari, in particolare, era diverso. Kaoru li aveva beccati almeno in un paio di occasioni. La prima volta mentre erano fermi davanti ad una vetrina vicino la stazione. Sorrise lievemente ricordando come, vedendo l’immagine di Kaoru riflessa nel vetro intenta ad osservare con curiosità quell’atteggiamento tanto confidenziale, aveva lasciato la mano di Masahiko con tale foga da farli trasalire entrambi. Le venne quasi da ridere ripensando alla loro espressione. Poi Kaoru si era presa gioco di lei per un bel po’ rinfacciandole quell’atteggiamento tanto infantile, ma in fin dei conti se lo era proprio meritato.
Ma la seconda volta si era comportata diversamente. Era successo soltanto poche settimane prima, quando Kaoru li aveva aspettati sotto casa di Masahiko. Arrivati al cancello, l’avevano vista seduta sull’ultimo gradino della rampa con un ghigno malefico stampato sul viso. Sebbene fossero stati presi ancora una volta in castagna non lasciò la mano di Masahiko, anche se, a dirla tutta, non fu in grado di impedirsi di sviare lo sguardo e, temette, di arrossire almeno un po’.
Non era mai successo di incontrare mamma o papà, ma in cuor suo temeva seriamente di non essere in grado di avere una reazione istintiva molto matura.
Passarono davanti ad un negozio di fiori e Masahiko entrò per comprare qualcosa da portare a Yukari per gli auguri di Natale. Shion rimase inizialmente ad osservare la vetrina ma poi, notando l’atteggiamento particolarmente amichevole della commessa nei riguardi di Masahiko, decise di entrare per aiutarlo a scegliere.
Lui non si azzardò certo a farne parola, consapevole che avrebbe sicuramente sminuito o addirittura negato il fatto, ma provò una leggera sensazione di piacere per quella velata presa di possesso.
Così camminarono lentamente fino a casa e quando arrivarono era già buio.
Sora e Yukari li accolsero con Kaoru e le Assi che avevano già iniziato a festeggiare armeggiando intorno agli alcolici.
Le Assi si erano presentate a casa Wakanae indossando dei kimono tradizionali ed avevano insistito perché Yukari ne indossasse uno dei suoi.
" Ne ho preparato uno anche per te, Shion. L’ho steso sul tuo letto. Sarebbe molto carino se noi tutte ne indossassimo una stasera ".
Fu inizialmente incerta se accettare, ma poi cedette alle insistenze di Sora e si avviò per le scale. " Okay, okay, lo indosserò. Però ho bisogno di aiuto per la fascia, mamma ".
" Adesso non posso proprio, Shion. Non ho finito in cucina. Fatti aiutare da qualcun’altro ".
Shion si fermò sul primo scalino ed esitò un momento. Le Assi si offrirono contemporaneamente e raggiunsero la scala prima che Masahiko potesse bloccarle, ma Shion le cacciò per poi, una volta averle viste scomparire mogie mogie in cucina, rivolgersi a Masahiko, " Dammi il tempo di indossarlo e poi raggiungimi ".
La vide sparire su per le scale e attese qualche minuto prima di cominciare a salire a sua volta. Mentre percorreva il corridoio del primo piano cercando di ricordare il modo in cui si annoda la fascia del kimono in occasione di una festa informale in famiglia, non riuscì ad impedirsi di ridere ripensando alle Assi ed a Yukari in kimono ed alle strane regole di casa Wakanae. Rabbrividì appena ricordando la prima volta in cui ebbe occasione di imbattersi in un tipico spogliarello delle Assi.
Si affacciò alla rampa di scale in fondo al corridoio e prima di salire le chiese se fosse pronta. Il kimono scelto da Yukari era bianco con pochi ricami rossi che lo disegnavano in senso verticale. Vide Shion stringerselo in vita con una mano e con l’altra porgergli la fascia anch’essa bianca.
Il contrasto con il colore dei suoi capelli e del suoi occhi era stupefacente. Masahiko rimase lì, immobile, quasi abbagliato, e Shion fu costretta a richiamarlo più di una volta prima che si decidesse a prenderle la fascia di mano.
Poi gli dette le spalle, lasciò che le passasse più volte la fascia intorno alla vita tenendo in tensione il tessuto e infine gli suggerì come stringere il nodo sulla schiena.
Il risultato non fu male. Shion si specchiò di schiena per verificare e ne convenne. Poi si avvicinò nuovamente a Masahiko chiedendogli di stringere il fiocco in un punto dove il tessuto non era sufficientemente teso e gli dette le spalle appoggiandosi con entrambe le mani alla balaustra delle scale.
Gli parlò osservandolo con la coda dell’occhio mentre armeggiava con cura intorno al nodo. " Per cosa stavi ridendo prima, da solo, mentre salivi le scale? ".
" Prima? ".
" Ah, ah ".
" Veramente non mi ricordo.. ah, si, ridevo pensando… ". Si pentì subito di aver ricordato o quantomeno di essersi lasciato scappare quel prologo. Pensò istintivamente a come cavarsela a buon mercato, ma si rese subito conto che ormai era troppo tardi. Aveva esitato troppo, Shion aveva sicuramente sentito puzza di bruciato e non avrebbe mollato l’osso facilmente. Si rassegnò quindi a proseguire. In fin dei conti, poi, non aveva pensato niente di male, anche se in cuor suo sapeva fin troppo bene che quelle discussioni non portavano mai niente di buono.
Sollevò lo sguardo e vide che Shion infatti lo osservava da sopra la spalla con occhi indagatori. Quindi cercò di assumere un atteggiamento disinvolto e proseguì, " …si, stavo pensando che le uniche due donne biologiche presenti al piano di sotto sono le uniche che non indossano il kimono ".
" Ah ", si girò in avanti riflettendo stupita, " Hai ragione ".
Si girò di nuovo e Masahiko sentì nelle ossa la tempesta in arrivo. " E perché mai ti sei sentito tanto colpevole di aver pensato una cosa come questa? ".
Diamine. Non c’era modo di nasconderle niente, eh? Ma ormai la frittata era fatta e tanto valeva affrontare la cosa con dignità. Esitò ancora un momento. Sentì il suo respiro ed osservò i movimenti ritmici del suo dorso. Tirò leggermente il fiocco un’ultima volta e poggiò entrambe le mani sulla fascia che le avvolgeva il costato. Cercò inutilmente di convincersi che non doveva sentirsi colpevole.
La sua voce risuonò profonda e sincera. " Mi sono chiesto se tu saresti stata l’eccezione o la conferma della regola di casa Wakanae ".
Gli sembrò che una ventata di stupore avesse attraversato i suoi occhi animandoli per un breve momento, per poi lasciarli bui e spenti. La guardò, ma lei rimase in silenzio, con un’espressione indecifrabile sul viso.
Fece scivolare le mani giù dal costato fino alla vita e poi si allontanò di un passo.
" Ora è perfetto ".
Attese un momento, poi girò su se stesso e si mise al suo fianco poggiando la schiena alla balaustra. Shion fissava il muro dall’altra parte delle scale con sguardo incolore.
Gli sembrò esser passata un’ora quando finalmente la vide voltarsi lasciando entrambe le mani sul corrimano.
" Davvero hai bisogno di sentirtelo dire? ".
Il suo sguardo era diretto, il tono di rimprovero. Masahiko rimase in silenzio.
Staccò la mano vicina a lui dal corrimano voltandosi in maniera più decisa, abbassò appena lo sguardo e continuò con tono meno duro.
" Credevo di aver già risposto alla tua domanda ".
Sollevò ancora lo sguardo, e stavolta i suoi occhi apparvero intrisi di una luce intensa, quasi furente, ma quando incrociò i suoi le parole le morirono in gola. Il suo sguardo era limpido, sincero e mortificato. Non le disse nulla, ma rispose a tutte le sue domande e la lasciò così, a metà respiro.
Lentamente la luce nei suoi occhi si placò, il respiro tornò regolare, le parole le scivolarono via calde, quasi roche.
" E’ davvero colpa mia? Oppure tua? Oppure … ".
Rifletté per un momento cercando invano le parole giuste per spiegare efficacemente il concetto. Quindi gli sorrise, sollevò una mano e gli accarezzò lentamente una guancia con il dorso delle dita. Aprì la mano e la passò piano tra i suoi capelli seguendone i movimenti con lo sguardo. La fece scivolare dietro la nuca e tornò a guardare i suoi occhi. " Ne hai davvero bisogno? ".
Restò in silenzio desiderando disperatamente di dirle no, ma i suoi occhi non le mentirono mostrandole tutta la sua debolezza. Se ne accorse ed ebbe paura, ma subito dopo la vide sorridere e scoprì un’inaspettata luce brillare nei suoi occhi.
Sentì la sua mano scivolargli dalla nuca sulla spalla, lungo il braccio fino alla propria mano. La sentì afferrarla con decisione e portarla giù. Con un rapido gesto la fece passare attraverso la fenditura del kimono e se la posò sulla coscia, a metà strada tra il ginocchio e l’inguine.
Gli occhi di Masahiko si sformarono in due larghe pozze bianche. La pupilla sembrava sparita, il cuore volergli uscire dal petto, le tempie rimbombargli in testa come tamburi. La sua prima reazione fu di strappare via la mano come se fosse stata posata su carboni ardenti, ma lei lo strinse a sé facendo pressione con l’altra mano dietro la schiena e trattenne la sua con forza non permettendogli di lasciarle la gamba.
La guardò stupefatto. Il suo sguardo era di fuoco, il tono della sua voce irremovibile. " Hai bisogno di sapere, no? ". Tacque per un momento e continuò con tono appena più lieve, " E allora avanti, Tommaso ".
La guardò in silenzio per un lungo momento. I suoi occhi tornarono quasi normali, il battito cardiaco su ritmi non pericolosi, ma gli sembrava di non essere in grado di parlare, né di pensare. Sentiva la parte interna della sua coscia nel palmo della mano. Con le quattro dita ed il pollice ne sentiva la parte posteriore e quella anteriore, fino quasi a tenerla tutta nella sua mano. Sentiva il calore della sua pelle. Si, quella era l’unica cosa che riusciva a focalizzare.
Quando vide riapparire la pupilla nei suoi occhi allentò lentamente la pressione sulla sua mano e sulla schiena. Quando fu sicura che non avrebbe più resistito la lasciò piano e la fece scivolare sul polso, sul braccio, sulla spalla e la fece girare sulla scapola esercitandovi una leggera pressione. Sentiva la sua presa ormai sicura diventare sempre più delicata. E vide i suoi occhi caldi ed impauriti.
Gli sorrise e gli parlò con infinita dolcezza e sicurezza, " Avanti ".
Il tono della sua voce sciolse i suoi pensieri. Lasciò l’altro braccio scivolarle dietro la schiena separandola dalla balaustra. Dovette concentrarsi per allentare la presa della mano e, così facendo, riuscì a farla scivolare lungo la coscia. Piano. Sentiva i lembi del kimono sfiorargli delicatamente il braccio. La mano gli tremava per la paura e l’emozione. E via via che saliva sentiva il ritmo cardiaco tornare ad accelerare pericolosamente. Il rumore dei battiti era talmente forte che sembrava venire dall’esterno. Quando arrivò quasi alla curva dell’inguine il respiro gli si bloccò ed ebbe paura. Davvero. Molta paura. La mano era talmente insensibile da sembrargli fredda come pietra.
Poi vide i suoi occhi. Fino ad un attimo prima erano stati fermi, decisi, sicuri. E ora si erano fatti incerti, quasi umidi. Amò quegli occhi come mai prima di allora.
Tutta la sua tensione si sciolse in un momento e arrivò a destinazione.
Shion si sporse in avanti e nascose il viso nel suo collo. Non riuscì ad evitare di mordersi il labbro inferiore. Il contatto con la sua pelle la stupì. Bruciava, sembrava avere la febbre. Lo sentì respirare e d’improvviso si rese conto che aveva smesso di farlo. Sorrise istintivamente e si appoggiò a lui.
Parlò così sottovoce che fu appena in grado di sentirla. " Adesso lo sai ".
Lo baciò sul collo, appena sotto l’orecchio, si sciolse dalle sue braccia e prese le scale.
Rimase lì da solo per un momento, istupidito, e poi si gettò giù per le scale. La raggiunse in un lampo in fondo alla rampa. La prese per le spalle e strinse la sua schiena al proprio petto.
Sentì qualcuno girare la chiave della stanza da bagno e d’istinto la fece scivolare nella sua vecchia stanza. La spinse contro la porta e rimase in attesa. Sentì qualcuno richiudere la porta del bagno, percorrere il corridoio e scendere le scale.
Era buio, ma non abbastanza da non potersi vedere in viso.
Non disse una parola. Si strinse a lei incrociando le braccia dietro la sua schiena. Le baciò una guancia, un orecchio, il collo e tornò a guardarle il viso. Sentì le sue braccia che gli avevano cinto le spalle ed una delle sue mani che gli si era infilata tra i capelli. Le sorrise e le chiese il permesso di baciarla. Rimase in silenzio ed attese la risposta. Lei si spostò appena e lentamente verso di lui, ma Masahiko la bloccò per le spalle stupendola.
" Niente da fare, Shion. Oggi non mi accontenterò né di una reazione istintiva né di una mezza risposta. Voglio sentire la tua voce. Voglio sentirti rispondere si ".
Nella penombra vide lo stupore trasformarsi in sorriso. Gli piacque e continuò, " Rispondimi si, ti prego ".
E lei lo fece.
Il suo bacio fu intenso e gentile. Poi più intimo, poi profondo. Sempre di più.
Lo sentiva leggermente incurvato su di sé, sentiva una delle sue mani spingerle con decisione la base della schiena, appena sopra i lombi, contro il suo corpo. Si perse completamente in quella stretta così calda, desiderando di perdercisi ancora di più.
La voce di Yukari risuonò lungo il corridoio e li fece trasalire.
Sentirono i suoi passi e attesero in silenzio. La sentirono pronunciare i loro nomi ai piedi della rampa e le sentirono chiedere il permesso di salire.
Appena si accorsero che aveva girato la curva delle scale sgattaiolarono via ridacchiando al piano di sotto e si unirono agli altri in sala.
La serata passò allegramente, anche se nessuno riuscì ad arrivare sobrio alla mezzanotte. Le Assi si produssero in una danza del ventre da ricordare e Kaoru non fu da meno interpretando le canzoni tradizionali del teatro kabuki.
Shion svegliò Masahiko scotendogli leggermente una spalla. Aprì gli occhi e intravide nella penombra le Assi mezze svestite e addormentate sul divano.
" Avanti Masahiko, non puoi passare qui tutta la notte ".
Strizzò gli occhi con forza e si passò una mano sul viso e tra i capelli. " No, no. Adesso mi alzo ".
" Ti gira la testa? ".
" No. Va tutto bene ".
Si alzò con cautela facendosi aiutare da lei e si stiracchiò la schiena. Cercò di rimettersi in ordine i capelli e la camicia e le sorrise. " Adesso va meglio ". Prese un bel respiro e continuò, " Il peggio è passato ormai. E poi non ho bevuto gran che, in realtà ".
" Questo è vero ", lo guardò con superiorità e continuò, " crolli sempre per primo. Si vede che non hai la stoffa degli Wakanae ".
" Ah, ah! Tu invece sei stata allevata a latte e sakè e il tuo sarcasmo non va mai a dormire, strega ".
Gli sorrise divertita e gli parlò con tono più gentile. " Hai ragione, ma parla più piano o sveglierai le Assi. Comunque ora è meglio se te ne vai a dormire ".
Le rispose sottovoce. " Si. E poi un po’ d’aria mi rimetterà del tutto in sesto ".
" Ehi, ma io dicevo in camera tua, al piano di sopra ".
" No. Preferisco tornare a casa ".
" Ma dai, per una volta che sarà mai, puoi rimanere qui, no? ".
La guardò dubbioso e poi le sorrise di nuovo, " Preferisco tornare a casa ".
Lo guardò in silenzio, dispiaciuta, e poi parlò con tono rassegnato " Come vuoi ".
Fece cenno di voltarsi, ma Masahiko le prese una mano e l’avvicinò di nuovo a sé. Dette un rapido sguardo alle Assi per sincerarsi che dormissero ancora e le parlò sottovoce. " Vieni con me ".
Rimase in silenzio, stupita, e istintivamente dette a sua volta un’occhiata alle Assi.
Le sorrise e le parlò ancora. " Vieni con me. Resta con me stanotte ".
" Masahiko.. ".
" Dimmi di si ".
" Io… ".
Le passò un braccio dietro la schiena e la spinse appena contro di sé. " Ti prego, dimmi di si ".
Restò in silenzio, tra le sue braccia. Erano così calde e confortevoli. Guardò la sua bocca, il suo sorriso. Non resistette all’istinto di sfiorargli le labbra con le dita. Guardò i suoi occhi. Erano quelli di un bambino. E di un uomo. Le ricordarono lo sguardo di quella sera sul tetto e gli sorrise.
" Immagino che non ti comporterai da galantuomo stasera ".
Rimase un attimo stupito, poi, per una volta, fu lui a sorriderle con malizia. " No, affatto. Sei avvertita, non appena in casa il mio primo obiettivo sarà il nodo del tuo kimono. L’ho fatto io e so come si scioglie ".
Lo guardò con finto stupore e ribatté con altrettanta malizia, " Addirittura! Non ti facevo così aggressivo, Masahiko ".
Ridacchiarono sottovoce al buio, poi si strinse a lui, gli passò una mano tra i capelli, dall’orecchio alla nuca e si allungò per un lieve, lunghissimo bacio.
Si sciolse gentilmente dalle sue braccia e gli prese una mano. Fece per voltarsi tirandolo con sé, ma lui la trattenne scoprendo ancora una volta la sorpresa nei suoi occhi. Le sorrise e le parlò, " Non mi hai ancora risposto ". Aspettò in silenzio, si godette il suo sorriso e continuò " Dimmi di si. Oggi è il tuo turno di parlare ".
E lei lo fece di nuovo.
La voce di Yukari provenne dalla cucina. Shion sobbalzò appena e si girò in quella direzione. Rimase un momento in silenzio, poi si voltò nuovamente verso Masahiko rivolgendogli uno sguardo serio e tranquillo. " Aspettami un attimo, per favore ".
La vide scomparire in cucina lasciando la porta aperta e rimase in silenzio, nella penombra del salotto. Si voltò di nuovo, le Assi dormivano ancora.
Sentì madre e figlia parlare tra loro a bassa voce.
" Mamma... ".
" Si, Shion. Kaoru è finalmente andata a dormire e sono riuscita a portare a letto anche tuo padre ". La sentì sbuffare per lo sforzo e continuare, " Ho portato delle coperte per le Assi, hai svegliato Masahiko? ".
" Si ".
" Bene, riesce a camminare fino a camera sua? ".
" Si, sta bene, ma ha detto di voler tornare a casa sua ".
" A casa sua? A quest’ora? ".
" Si ".
Yukari rimase in silenzio per un attimo e poi proseguì. " Ho capito ".
Sentì rumore di piatti e stoviglie, poi Shion parlò di nuovo.
" Mamma… ".
" Si? ".
La sua voce sembrò calma e tranquilla e Masahiko immaginò l’espressione del suo viso. " Io vado con lui ".
Madre e figlia rimasero in silenzio per un lungo momento, poi Yukari finalmente rispose. " Ho capito ".
Il tono della sua voce era altrettanto calmo e sereno.
Sentì i passi di Shion dirigersi verso la porta da cui era entrata e, inattesa, nuovamente la voce di Yukari. " Shion, copritevi bene, mi raccomando. E’ molto freddo stasera ". Masahiko non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma ebbe l’impressione che Yukari avesse sorriso. " Si, mamma. Buonanotte ", ma il tono di voce di Shion tradì il suo stato d’animo e Masahiko ne ebbe la certezza.
" Buonanotte ".
Indossarono i cappotti ed uscirono in silenzio. Le cinse le spalle con un braccio e percorsero lentamente le strade illuminate e silenziose. Passarono oltre il negozio di fiori e la ferrovia.
" La prima volta che ti ho vista eri dall’altra parte di questi binari ".
Shion si voltò pregustando il tono della conversazione ma tacque vedendo il suo viso inaspettatamente serio.
" Mi dicesti subito che se fossi andato a vivere a casa Wakanae avrei dovuto cambiare radicalmente il mio modo di pensare ". Un piccolo sorriso apparve e scomparve dal suo viso.
" E infatti è molto cambiato. Ma c’è una cosa in particolare che ho imparato bene. Molto bene e a mie spese ".
Pensò che finalmente l’avrebbe guardata, ma parlò più a se stesso che a lei.
" Che ciò che si può amare veramente nelle persone non lo si può vedere ad occhio nudo ". Rimase in silenzio per un lungo momento e poi continuò. " E’ un concetto strano, tutti lo dicono e tutti lo pensano, ma sono rare le persone che lo sanno davvero. Anche io ero convinto di sapere cosa significasse, ma mi sono dovuto ricredere, perché l’ho compreso soltanto da poco, quando mi sono reso conto di guardare te e Shioya nello stesso modo, di amare anche lui come te e che non avrei potuto far niente per cambiare questa realtà ".
Tacque un istante e riprese senza smettere di guardare avanti a sé. " Sembra strano a dirsi stasera, tutto mi sembra diverso stasera, anche se in realtà non è cambiato niente rispetto a ieri o a l’altro ieri. Tu sei sempre la stessa persona, mattino, pomeriggio o sera. Con i capelli sciolti o legati, con il cappello o senza. Lo sei sempre stata, ero io a non essere sempre in grado di comprenderlo ".
Abbassò lo sguardo e sorrise in maniera dolce e amara " Però devo ammettere che è stato difficile accettare che quello che provo per te non ha niente a che vedere con la biologia ". Sospirò appena e continuò, " E lo è tuttora ".
Alzò di nuovo lo sguardo e finalmente il suo sorriso si illuminò. " In fondo la morale è semplice. Non dar retta ai tuoi occhi, e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono solo ciò che è limitato. Guarda col tuo intelletto, e scopri quello che conosci già, allora imparerai come si vola ".
La guardò di sottecchi e confessò. " Me l’ha detto un gabbiano[1] ".
" Ah, bravo. Allora li leggi veramente tutti quei libri che trovo in giro ".
" Già, ma questa lezione l’ho imparata meglio in pratica che in teoria ".
La vide stringersi il colletto del cappotto e si preoccupò. " Hai freddo? C’è un distributore automatico più avanti, possiamo prendere qualcosa di caldo, se vuoi ".
Gli rispose offesa e maliziosa, " No, grazie. Credevo che tu avessi ormai imparato che ci sono cose che scaldano più di una bevanda. E poi siamo quasi a casa ".
Proseguirono con passo più spedito e in pochi minuti giunsero sotto casa. Lo precedette salendo rapida le scale. Masahiko chiuse il cancello dietro di sé e la seguì. A metà rampa si fermò e restò immobile per un momento fissando il gradino successivo. Poi rialzò gli occhi, lentamente, e ricominciò a salire.
Una volta in cima estrasse la chiave dalla tasca e la girò nella serratura. La porta si socchiuse e Shion fece cenno di entrare.
" Dimmi la verità, Shion ".
Il tono della sua voce la fermò e la indusse a voltarsi. Lo guardò con sguardo interrogativo e attese che proseguisse.
" Tu ricordi perfettamente quanto accadde la nostra prima vigilia di Natale, vero? La verità stavolta ".
Rimase in silenzio, spalle al muro, i suoi occhi erano quelli di un bambino colto con le mani sporche di marmellata.
" Lo sapevo. Lo hai sempre ricordato ".
Le venne da ridere, ma si trattenne e per togliersi d’impaccio sfoderò il più accattivante dei suoi sorrisi.
" Non dirmi che ne avevi veramente dubitato, Masahiko ".
Studiò per un momento la sua espressione e sorrise divertita dal suo stupore. Poi scomparve in casa, dopo avergli dedicato un ultimo fugace sguardo da sopra la spalla.
Rimase incredulo per un momento, con lo sguardo fisso sulla scura linea d’aria tra la porta e l’interno dell’appartamento. Poi scosse la testa e sorrise.
" Strega ".
Entrò in casa e chiuse la porta dietro di sé.



24 Aprile 2003.



[1]“Il gabbiano Jonathan Livingston”, Richard Bach, 1973, 1993.




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