Il Bambino Voodoo

di Belinda Nero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***



Capitolo 1
*** 1 ***




IL BAMBINO VOODOO





C'era una volta una palude.
Ed un bambino veggente.
Nel villaggio sorto poco distante le acque torbide, erano molte le storie fantastiche che lo riguardavano. Circolavano di bocca in bocca, da padre a figlio, da nonno a nipote.
Si narrava che la madre, la potente strega Queen Merleen, l'avesse concepito nel giacere con un alligatore della palude.
Una variante del racconto descriveva il modo in cui la donna era riuscita ad estrapolare il seme dall'animale per inserirlo infine nel proprio ventre materno.
Il parto era avvenuto una notte di luna nuova: durante il travaglio la donna aveva urlato tanto forte da essere udita fino al villaggio. Le sue grida lancinanti avevano riempito l'aria e trasportate dal vento, erano risuonate come cupi echi provenienti dalla terra dei morti.
Ogni abitante del villaggio si era sentito gelare il sangue nelle vene e nessuno quella sera aveva osato avventurarsi oltre il proprio uscio: chiuse le porte, sigillate le finestre, nelle loro dimore uomini e donne avevano acceso proprio le candele bianche acquistate da Queen con lo scopo del tenere lontani i tormentati spiriti dei defunti, quelli che la donna aveva richiamato intorno a sé nel dare alla luce, o meglio al buio, il suo primogenito.
Al settimo mese, completamente sola, Queen Merleen aveva partorito un bambino prematuro, sottopeso e innaturalmente freddo che, tuttavia, era riuscito a sopravvivere.
Espulso dal proprio ventre ed inciso il cordone ombelicale che fino a quel momento l'aveva legata indissolubilmente alla sua creatura, la donna aveva preso fra le mani il suo neonato umido di sangue ed umori materni e lo aveva alzato al cielo, consacrandolo alla notte con una risata ed un mormorio agghiacciante.
Queen Merleen aveva deciso di chiamare suo figlio Vanth, il nome della dea alata della morte e Janas in onore alle fate custodi dei defunti.
Gli occhi liquidi e vispi del bambino, di un verde simile all'acqua melmosa della palude, possedevano una pupilla sottile e verticale come quella dei rettili: il segno di una natura misteriosa che accrebbe la fama del bambino-rettile, o come più tardi venne chiamato nel villaggio, il bambino voodoo.
Queen Merleen era una potente strega veggente.
Con quarantadue anni e tre dolorosi aborti alle spalle era ancora una donna affascinante, con scuri, lunghi capelli ricci ed occhi neri, imperscrutabili. Sulla sua carnagione caramellata spiccavano i tatuaggi azzurri, simboli arcaici e frasi scritte in una lingua dimenticata da molto tempo.
Possedeva un corpo sensuale, con seni e fianchi prosperosi e lunghe gambe sinuose ad intravedersi negli spacchi delle sue lunghe gonne strappate e rattoppate solo in alcuni punti.
Tuttavia il suo viso era solcato da profonde rughe d'espressione, la sua schiena ingobbita nascondeva la forma del pesante seno carico di latte e il ventre gonfio del recente parto non si sarebbe più ridotto col tempo. Le labbra piene e carnose nascondevano una dentatura guasta mentre le mani erano diventate scheletriche, simili a spogli rami d'albero.
Per compensare lo sfiorire della bellezza, aveva aumentato il numero di preziosi monili che era sempre stata abituata ad indossare al collo, nelle braccia, intorno ai polsi; ed aveva smesso di lasciare i capelli sciolti, preferendo legarli in una treccia che brillava ormai di ciocche argentate.
Fu evidente fin da subito che Vanth Janas era molto diverso dalla madre.
I suoi occhi erano chiari ma lo erano anche i capelli biondi, lisci e setosi. La carnagione era lattea quanto la luna e il suo corpo era a sangue freddo, come quello dei rettili.
Per celebrare la nascita dell'unico figlio vivo, la donna aveva sacrificato un serpente e mischiato il suo veleno al latte offerto a Vanth.
Quella fu solo la prima di una lunga serie di pozioni che preparò al bambino che crebbe lì, nella casa materna, una casupola impiantata su una palizzata in mezzo alla palude dalle acque verdastre; per accedervi, coloro che si rivolgevano alla donna per farsi predire il futuro, preparare misture o garantirsi un patto con gli inferi, utilizzavano una barchetta sempre disponibile sulla vicina spiaggia come fortuito mezzo di galleggiamento.

L'acqua non era troppo fonda ma era torbida e il pericolo maggiore era costituito dagli alligatori che vi nuotavano dentro. Eppure chi decideva di rivolgersi alla veggente aveva già superato il concetto di paura.
Un cartello a forma di freccia, impalato nel terreno umido della spiaggia ed orientato in un punto non ben definito al centro della palude, forniva una vaga indicazione ai viaggiatori.
Queen Merleen. Veggente e strega. Per di là.

Nonostante i termini “veggente” e “strega” rappresentassero un'inquietante minaccia, da tempo nessuno aveva più tentato di uccidere la potente Queen. In passato qualcuno era stato tanto coraggioso ed ebbro di sé da provarci: la fine era stata sempre la stessa, per tutti.
Le ossa ritrovate sulla spiaggia, sparpagliate. Nessuna traccia del cranio, conservato invece dalla strega come agghiacciante tazza per i propri intrugli magici. La famiglia del malcapitato sterminata da sconosciute malattie letali.
Tutti al villaggio poco distante la palude ed ancora, nei territori adiacenti, conoscevano la strega e ne temevano i sortilegi, ma avevano presto compreso che era preferibile servirsi dei suoi poteri piuttosto che tentare di eliminarla.
Erano molti i clienti della strega veggente, così le maledizioni rimbalzavano da un uomo ad un altro, in una sorta di gioco malefico. Chi veniva colpito da un malocchio, rispondeva al nemico con la stessa moneta.
Al sicuro nella sua casa, protetta dalla propria magia nera e dalla fama che si era cucita addosso, Queen Merleen si occupava indisturbata dell'istruzione magica di suo figlio, da cui sembrava ossessionata.
Insegnò a Vanth Janas la lingua arcaica dei malefici, come preparare correttamente una bambola voodoo, che ingredienti utilizzare per ottenere la pozione desiderata, i rituali corretti da effettuare per accogliere gli spiriti nel mondo terreno.
Gli spiriti, come il bambino apprese, erano volubili ed egoisti. Coloro che erano morti con sentimenti quali odio, dolore, vendetta nel cuore, camminavano in un limbo tetro, incapaci di trovare la pace sufficiente a scordarsi della vita terrena per passare oltre: ecco perché era semplice richiamarli sulla terra umana e servirsi di loro.
Tutto ciò però aveva un prezzo: sacrifici. Animali. Umani. E nel peggiore dei casi, gli spiriti potevano prendere il sopravvento sul veggente ed ottenerne il controllo.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Ad appena sei anni Vanth poteva già vedere i morti.
Il primo spettro gli apparve un pomeriggio autunnale.
Queen Marleen aveva accolto in casa un noto cliente piuttosto facoltoso che aveva ottenuto denaro sufficiente a mantenere due mogli e svariati figli: i soldi li aveva ottenuti grazie alla magia nera operata dalla donna.
La strega era una donna senza alcuna morale: fin tanto che i suoi clienti le offrivano quanto lei chiedeva, era disposta a servirsi dei propri poteri per qualsiasi fine.
Era rea di svariati omicidi, di arricchimento, di malocchio, di malattie, così come di matrimoni e gravidanze.
Il piccolo Vanth era stato mandato a raccogliere erbe intorno alla torbida palude e, prestando attenzione ai movimenti degli alligatori, il bambino aveva raggiunto un punto dove i piedini toccavano il fondo melmoso ed incontravano con le dita animali che non si potevano intravedere dallo strato superficiale di acqua verdastra. L'odore era pungente ma Vanth vi era cresciuto dentro tanto a lungo da considerarlo assolutamente normale. I mortali insetti che gli ronzavano vicino erano tenuti a bada dal repellente unguento che si era spalmato addosso, sul corpo nudo.
Non indossava mai troppi abiti. L'afa e l'umidità del luogo contribuivano a rendere calda e pesante l'aria. Solo i capelli lunghi fin le spalle erano stati legati in treccine avvolte in strisce di tessuto colorato.
Attraversata la palude sopra quella che sembrava una cassa da morto, Vanth era avanzato fra canne ed elofite e aveva raggiunto infine una porzione precisa dell'umida spiaggia adiacente, dove sapeva crescevano le erbe di cui Queen Merleen avrebbe avuto bisogno la notte stessa.
Nel raccogliere le lunghe, sottili foglie di una pianta paludosa, cadde in trance e raggiunse un grado di concentrazione a cui non era mai arrivato prima.
Il corpo scivolò a terra, privo di forza. Le iridi si schiarirono progressivamente, mutando da verdi in bianche. Un processo inquietante di cui non era consapevole, mentre la sua pupilla da rettile si allargava e diventava l'unica nota di colore nel suo sguardo vacuo ed assente.
Davanti ai suoi occhi si materializzò una ragazza avvolta in una vestaglia da notte lercia di sangue rappreso lungo il petto. Le mani strette intorno al cuore, i rossi capelli ispidi e sporchi lasciati sciolti sul viso spettrale.

Chi sei?” domandò flebilmente Vanth, rivolgendosi alla figura femminile che avanzava verso di lui senza che i piedi affondassero nel terreno divenuto lattiginoso.
Riesci già a vedermi” replicò lei, sorridendo: ma aveva una guancia sfregiata in putrefazione, così riuscì solo ad inclinare gli angoli delle labbra in un ghigno spaventoso.
Sono morta” aggiunse con la voce femminile, metallica “hai paura?”.
No, Vanth non provava paura. Era stato cresciuto nella simile prospettiva che un giorno anche lui avrebbe visto e parlato ai morti. Così scosse la testa.

Sono felice di non averti spaventato” concluse lei, dissolvendosi lentamente insieme alla fredda nebbia che si era levata dal terreno fangoso.
Tornato in sé, con gli occhi che riprendevano colore e le gambe che tornavano nuovamente salde, Vanth si era alzato in piedi. Il cuore gli batteva forte, il respiro era irregolare, ma non corse da sua madre a riportarle la notizia: sapeva che non poteva disturbarla, non in quel momento. La sentiva urlare, invocare e pregare, laggiù, nella palafitta che intravedeva all'orizzonte in quell'aranciato tardo pomeriggio; e poi doveva finire di raccogliere le erbe.
Più tardi Vanth tornò da Queen.
La madre era stanca e spossata. Aveva borse bluastre sotto gli occhi ed i capelli più unti del solito.

Hai trovato le mie erbe?” gli chiese nervosa, ottenendo da lui un silenzioso cenno d'assenso.
La donna allora soffermò più attentamente lo sguardo sul suo bambino sporco da capo a piedi di fango essiccato. Fra i capelli chiari aveva bava di ragno, fili traslucidi di una ragnatela attraversata.
Percepiva qualcosa di diverso in lui. Un'aura nuova. Ed ebbe una rivelazione.
Sgranò gli occhi, inclinò le labbra in un ghigno mostrando i denti cariati. Sollevato il figlio a sé, lo avvolse in un abbraccio stretto ed urlò: “mio figlio, mio figlio ha visto un morto oggi!”.
Era orgogliosa di lui. Aveva atteso quel giorno da che lui era nato, la prova che il suo bambino era davvero sangue del suo sangue: uno stregone come lei.
Tuttavia un'ombra di angoscia le attraversò gli occhi, l'istante dopo. Venne colta da frenesia: doveva impartirgli una lezione, la più importante di tutte; e lo doveva fare subito.
Lo appoggiò a terra ma non gli diede il tempo di fare altro che seguirla, poiché gli aveva preso il polso e lo trascinava dietro sé di alcuni passi verso la stanza della divinazione, un rudimentale ambiente arredato da una libreria ricolma di manuali, una rozza poltrona intagliata in un tronco circondata da candele sempre accese, bambole voodoo ricoperte di spilli gettate per terra o al contrario, disposte con cura sopra il lettino di Vanth, rilegato ad un angolo.
Recuperato un lungo coltello, Queen Merleen costrinse il figlio ad appoggiare la mano su un tavolino; sopra vi appoggiò la propria sinistra.
Con un gesto rapido lacerò la carne di entrambi, la lama del coltello che inchiodava entrambi oltrepassando pelle, tendini, ossa fino a sfiorare il legno sotto la manina di Vanth. Urlarono entrambi, di dolore il primo, di eccitazione la seconda. Lui cercò di divincolarsi, ma la lama affondava meglio ed aumentava la sofferenza.

Non muoverti o peggiora!” esclamò la donna, ridendogli in faccia.
Le lacrime scendevano copiose lungo le guance del bambino.

Non frignare!” lo rimproverò lei con un tono severo “senti il mio sangue che sgorga sulla tua ferita?” gli chiese “lo senti?!” lo incalzò più forte.
Lui annuì con la testa, mentre la fitta della carne lacerata superava la soglia della sua sopportazione: sentiva la testa girare e i sensi abbandonarlo.

Non lasciarti sopraffare dal dolore, figlio mio! Da adesso in poi dovrai farci i conti ogni giorno! Se permetti a
loro di approfittarne, non sopravviverai!” spiegava sua madre, ma Vanth percepiva la sua voce lontana, flebile.
Stai con me, Vanth Janas! Stai con me!”.
Con la mano libera, Queen Merleen afferrò il mento del bambino; gli alzò il viso, perché la potesse guardare con lo sguardo vacuo. Il sangue usciva copioso da entrambe le mani.

Guardami Vanth” gli urlò contro e lui recuperò parziale coscienza.
Mamma..” piagnucolò sconsolato, mentre il dolore era tanto acuto da annullarsi. Sentiva solo quello, ma la mente era tanto sconvolta da una simile sensazione da non riuscire a percepirlo neppure più. Come se la lama non avesse troncato solo la mano, ma anche i nervi fino al cervello.
Ecco.. sì, così tesoro mio.. così, lo senti? Sta passando. Io e te ora siamo insieme. E non sentiamo il dolore. Lo stiamo superando insieme. Sei uno stregone Vanth Janas! E ora sai cos'è il dolore e sai che non puoi permettergli di comandarti”.
Disse questo e finalmente estrasse la lama da entrambi i palmi. A quel punto Vanth perse i sensi.
Al suo risveglio si ritrovò nel suo lettino, la mano medicata e fasciata e sua madre seduta alla poltrona di legno, con gli occhi spalancati e la bocca aperta, come se si fosse addormentata in quella posizione. In realtà, non era più in sé. Uno spirito era entrato in lei, ma Vanth percepiva che sua madre aveva il controllo della situazione.
Qualche decina di minuti dopo, le candele accese si spensero ad una folata di vento impercepibile. E si riaccesero l'attimo dopo. Sua madre era di nuovo Queen Merleen.
Spostò lo sguardo scuro fino ad incontrare il suo. Gli sorrise.

Stai bene Vanth?”.
Lui annuì ma sopportava a fatica il dolore.

Vieni qui” lo spronò Queen, battendosi le mani sulle proprie ginocchia. Vanth notò che sua madre non si era fasciata il palmo ferito, ma il suo sangue aveva smesso da solo di fluire. Un miracolo o piuttosto opera della magia nera.
Vanth la raggiunse. Si sedette in braccio a lei.

Descrivimi lo spettro che hai visto” lo esortò la madre con sguardo inquisitorio.
Era una ragazza.. piccola.. bianca, con del sangue sul petto” rispose lui “e mi sorrideva”.
Mh” mugugnò criptica Queen “e ti ha detto qualcosa?”.
Che era felice di non avermi spaventato”.
Queen Merleen annuì e socchiuse gli occhi “sembra uno spirito gentile” rifletté “ma stai in guardia” aggiunse mentre gli passava le mani fra le treccine. Aveva paura per suo figlio.

Lei ti apparirà ancora” spiegò “e sarà la tua guida nel mondo dei morti”.
Il bambino parve perplesso. Sua madre non gli aveva mai parlato di cose simili. Cos'era una guida? La osservò curioso, con gli occhietti lucidi per il bruciore della ferita. Aveva le gote rosse, i capillari evidenti sulla carnagione chiara.
Nonostante ciò Vanth si sforzò di prestare attenzione alle parole della madre che gli spiegavano il nuovo mistero.
Ogni veggente possedeva una
guida nel limbo: null'altro che uno spirito tormentato quanto gli altri ma per qualche ragione più consapevole e potente.
Per tante ragioni ad un veggente era richiesto di addentrarsi nel limbo dei morti: per riuscire a parlare con un defunto, per cercare un'anima da sacrificare in un rito, per richiamare un parente trapassato al cospetto di un famigliare vivo.
Raggiungere il triste limbo dei lamenti non era cosa semplice: attraverso uno stato di divinazione l'anima del veggente era costretta a scindersi dal corpo.
Da quel momento, la vita era a rischio. L'anima, collegata al corpo attraverso un “filo rosso”, aveva un tempo limitato oltre il quale il legame si sarebbe dissolto per sempre, impedendo così al veggente di percorrere il tragitto a ritroso.
La
guida aveva il compito di preservare il legame fra l'anima e il corpo del veggente, muovendosi come una sorta di suo intermediario nel limbo.
Gli spiriti del limbo erano infatti rancorosi ed invidiosi. Anime affamate e crudeli con l'unico obbiettivo di vendicarsi dei torti sofferti in vita.
Uno spettro consumava la propria vendetta se riusciva ad approfittare dei poteri del veggente oppure lo privava della vita; la guida impediva che ciò accadesse.

Ora ti racconterò una storia” disse allora Queen ed iniziò a narrare la vicenda di un'altra veggente, vissuta secoli prima.
La donna, tale Lane Eusten, era dotata di impressionanti abilità, ma peccava di curiosità e narcisismo.
Un giorno le apparve la sua guida personale, ma lei incominciò a rifiutare costantemente i servigi dello spettro poiché era certa di non aver bisogno della sua protezione.
Incominciò ad avventurarsi da sola nel limbo. Distaccava l'anima dal corpo e percorreva la spiaggia lattiginosa della terra dei morti dove le onde di un oceano bianco le lambivano i piedi.
Ed ecco il giorno fatale: nella coltre nebbiosa si delineò ancora una volta la sagoma dello spettro, la sua guida.

Chi cerchi, veggente?” le domandò lo spettro che avrebbe potuto avventurarsi nel limbo al suo posto per convocare il defunto che lei cercava, salvandola così dal destino che l'attendeva.
Lei avrebbe potuto accettare il suo aiuto e tornare salva nel proprio corpo; ma come detto in precedenza, lei era certa di sapersela cavare in ogni situazione. Anche nella terra dei morti da cui era ossessionata.
Così continuò a camminare. Ignorò la domanda della sua guida che si fece da parte ancora una volta. Lei si spinse oltre; intorno a lei apparve un'altra sagoma. Un'altra. Ed un'altra ancora. Ben presto fu avvolta da spiriti nutrenti livore.
Lei perse la rotta. Si ricordava un nome, colui che stava cercando, ma non riuscì a proseguire; le voci degli spettri intorno a lei erano insistenti e soffocanti. Lamenti e preghiere, invocazioni e minacce.
Il vociare straziante distrusse la sua coscienza e lei perse memoria di sé stessa; non fu più in grado di tornare indietro.
Il tempo a sua disposizione finì e il corpo di Lane Eusten perse il soffio vitale che lo animava. Il filo rosso si spezzò e la carne morì, le membra poi marcirono. La donna rimase intrappolata per l'eternità fra le anime angosciate, completamente dimentica della sua identità.

Vedi Vanth” proseguì Queen Merleen dopo aver concluso il triste racconto “sopravvivere nel limbo senza guida non è certo consigliabile! Verresti presto circondato da spettri, come accaduto a Lane Eusten e la loro tristezza ti soffocherebbe l'anima”.
In un'ampolla, su uno scaffale, c'era un fiore mantenuto florido dalla magia. La veggente allungò la mano e lentamente ruotò le dita in senso antiorario. Vanth vide i petali del fiore blu sfiorire, ingiallire, infine marcire mentre il gambo si ripiegava su sé stesso.

Mi accadrebbe quello?” domandò timidamente il bambino in direzione della madre e lei annuì con cenno greve.
La tua guida è forte abbastanza da impedire ad altri spettri di avvicinarsi a te e potente a sufficienza da cercare un defunto nel limbo al tuo posto. Non devi far altro che servirti di lei”.
Lei allora mi aiuterà?”.
Gli occhi scuri della donna erano imperscrutabili, come pozzi scuri senza uscita. Era impossibile decifrare il suo sguardo.

Lo farà.. ma in cambio vorrà qualcosa da te. Ti farà una sola, unica richiesta in tutta la tua vita. Qualcosa di preciso che scoprirai presto e ascoltami bene Vanth Janas! Dovrai accontentarla
qualsiasi cosa ti chieda, andasse anche oltre la tua volontà. Non rischiare di deludere la tua guida nella terra dei defunti, perché potresti finirci tu stesso dentro e non trovare pace per l'eternità”.
Vanth Janas ebbe un tremito e si strinse alla madre, cercando rassicurazioni. Era uno stregone, un futuro veggente, ma per il momento era un bambino qualsiasi, puro ed innocente.
La donna sapeva quanta preoccupazione gli scuoteva l'animo; lei stessa ne aveva provata in seguito alla sua prima divinazione, quando le era apparsa la sua guida personale, lo spirito dell'uomo che da anni le stava affianco. Uno spettro tuttavia crudele con cui aveva dovuto imparare presto a fare i conti.
Vanth nascose il viso contro il suo seno e piagnucolò un poco. Queen lo strinse e lo cullò per qualche minuto, cantilenando la vecchia filastrocca di sempre, quella che narrava la triste storia di un uomo consumato da un amore non corrisposto, costretto a vagare nella terra dei morti alla ricerca del suo cuore spezzato e putrefatto.

Andava Jack Jack
nel limbo dei morti|
vagava affranto
sommesso era il pianto|
cercava il suo cuore
putrefatto d'amore|
eterno era il viaggio
in quel freddo paesaggio

Quando le rime finirono, Vanth era già più calmo: si scostò dal petto della madre, sospirò. Il suo sguardo si concentrò nuovamente sulla mano ferita di Queen. La prese fra le sue più piccole, le baciò il dorso insanguinato.
E a te mamma.. fa male?” le domandò tirando su col naso.
No” replicò lei.
Rimasero abbracciati ancora qualche istante; poi sua madre lo strinse e, inaspettatamente, pianse anche lei lacrime amare. Gocce chiare e salate le scivolarono sugli zigomi, sulle guance, infine morirono fra i capelli di Vanth.
Il bambino credette fosse per il dolore alla ferita che la madre provava, nonostante l'avesse negato; ma non era quella la ragione.
Queen Merleen guardò il suo bambino negli occhi. E improvvisamente esclamò: “promettimi, promettimi che sopravviverai bambino mio! Lo farai vero? Perché la vita è quanto di più importante abbiamo noi tutti”.
Spaventato, Vanth rimase in silenzio e la donna sospirò desolata.
Gli permise allora di scendere dalle sue ginocchia e lo esortò a completare una bambola voodoo che il bambino aveva iniziato il giorno precedente.
Creare fantocci ad immagine delle persone su cui si sarebbe scatenato il malocchio era il passatempo preferito di suo figlio.
Vanth si sedette a terra. Incrociò le gambe e fissò il suo lavoro incompleto: a quella bambola mancavano ancora i capelli e la faccia che avrebbe dipinto con qualche difficoltà ora che aveva una mano tagliata.
La concentrazione sul suo “gioco” gli permise di distrarsi e dimenticarsi, per il momento, delle parole materne.
Dall'altra parte della stanza Queen Merleen lo osservava, fiera.
E poi percepì un alito caldo. La sensazione nota di avere qualcuno accanto.
Metallica una voce le sussurrò all'orecchio “tuo figlio diventerà potente”.
Lei chiuse gli occhi.

Spero abbastanza” aggiunse laconica.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Vanth Janas sedeva sulla poltrona della madre, le gambe oltre il bordo della seduta lignea ma i suoi piedi non giungevano a toccare il pavimento.
La poltrona era ancora molto grande per il suo corpo esile che sprofondava fra luride coperte: era cresciuto d'età, ma il resto era rimasto piccolo e gracile.
Con le spalle ben appoggiate allo schienale, Vanth sembrava fissare intensamente un punto lontano, lo screpolato legno dall'altra parte della stanza.
L'umidità e le tarme lo avevano lacerato nel profondo. Tutta la palafitta sembrava sul punto di implodere su sé stessa ed emetteva continuamente sinistri rumori; era curioso non fosse stata ancora risucchiata dalle acque della palude.
Il giorno in cui Queen Merleen l'aveva fatta costruire molti anni prima, nessuno avrebbe potuto immaginare che un simile, folle progetto sarebbe sopravvissuto tanto bene alle intemperie del tempo.
La dimora sopra la palude e nella palude, era una palafitta composta da due stanze attigue. Tramite una vecchia, robusta scala ben impiantata nel terreno melmoso, si poteva raggiungere l'ingresso dell'abitazione ed accedere al primo ambiente: nient'altro che un'anticamera spoglia ad eccezione di qualche sedia traballante, di un tavolino con sopra un teschio umano e di alcuni scaffali di legno sopra i quali erano state disposte ampolle e boccette contenenti resti di inquietante natura.
Occorreva superare l'anticamera e scostare i lunghi drappi di pesante velluto verde, ormai consumato, per accedere alla sala della divinazione ed ottenere un'udienza esoterica. Naturalmente nessuno si azzardava ad entrare senza consenso.
C'era una sorta di campanello che permetteva ai clienti di segnalare la loro presenza alla veggente: consisteva in un spesso e lungo spago che, tirato verso il basso, consentiva ad un mucchio di ossa cave, svuotate dal midollo e legate al soffitto, di sbattere le une contro le altre.
Normalmente non c'era bisogno di farle tintinnare. Queen Merleen sapeva esattamente chi e quando sarebbe arrivato. Così all'arrivo diceva semplicemente “vieni avanti”.
Anche suo figlio possedeva lo stesso talento, purché ancora acerbo.
Diversamente dalla madre che percepiva nella mente le immagini nitide dei suoi visitatori, prima ancora che questi decidessero di imbarcarsi verso la palafitta di Queen Merleen, Vanth non coglieva che frammenti, pensieri, idee, la maggior parte del tutto sconnessi gli uni dagli altri, seppur abbastanza chiari da farsi un quadro approssimativo.
Le sue doti mediatiche promettevano di superare quelle materne, ma per il momento erano ancora nel pieno dello sviluppo: così si trattava di comporre un puzzle mentale.
A lampi gli arrivavano alla mente immagini circa la linea delle sopracciglia dei futuri avventori, il profilo degli zigomi, la lunghezza del naso, la forma della dentatura, la carnagione.
La stessa mancanza di precisione dei suoi poteri influenzava anche la confezione delle bambole voodoo: per crearne di efficaci, aveva sempre bisogno di una descrizione molto accurata della vittima, oltre che di alcuni altri ingredienti fondamentali.
Lentamente gli occhi di Vanth cominciarono a schiarirsi. Il verde divenne sempre più pallido, fino a mutare in bianco.
Stava entrando in uno stato di divinazione.
Accadeva ormai spesso, ma Vanth non era ancora in grado di controllare appieno il processo. A volte era trascinato nel limbo senza desiderarlo, poiché era la sua guida a volerlo incontrare. Quello era il caso.
Davanti allo sguardo chiaro di Vanth si materializzò Taja.
Era una bella ragazza e doveva esser stata giovane al decesso. Gli occhi scuri erano soddisfatti poiché Vanth aveva già provveduto a soddisfare la sua unica e sola richiesta, così come Queen Merleen una volta gli aveva detto di fare.
Anche il suo aspetto era più florido rispetto ad un tempo. Era ancora avvolta dalla vestaglia sporca di sangue, ma i capelli erano ora puliti, la corporatura più aggraziata e la guancia non mostrava segni di putrefazione.
Quel giorno tuttavia, Taja era nervosa. Il suo sguardo saettava da un punto all'altro, ma i suoi occhi erano ciechi. Non possedeva sensi definibili umani. Il collegamento con il veggente avveniva attraverso le loro anime, nonostante lei fosse avvolta dalla coltre grigia del limbo ed emettesse a sua volta pulsazioni grigie.
Lo spettro era preoccupato. Si contorceva mossa da spasmi. Vanth la osservava digrignare i denti e incurvare la schiena in una postura che un essere umano non avrebbe potuto assumere.

Cosa succede Taja?” le domandò.
C'è agitazione” rispose lei “qualcosa di grave sta succedendo”.
Era insolitamente vaga. Normalmente sapeva rispondere in dettaglio ai suoi interrogativi. Ora era confusa.

Riesci a spiegarmi?”.
Lei scosse la testa.
Qualcosa che andava oltre la consapevolezza di uno spirito. Qualcosa che nemmeno uno spettro sapeva intravedere. Qualcosa di grave era realmente successo.

Fai di tutto.. fai di tutto per scoprirne la causa” ordinò la ragazza; e poi scomparve di colpo, lasciando dietro di sé un acre odore di morte.
Gli occhi di Vanth tornarono verdi.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Stava arrivando un uomo.
Lo sentiva.
Lo stava aspettando da giorni.
Le immagini si alternavano senza una sequenza logica.
Di corporatura media. Capelli castani. Ventinove anni. Già padre.
Apparentemente un uomo come tanti.
Eppure c'era qualcosa in lui di singolare che suscitava il suo interesse.
Da tempo non percepiva un'aura tanto inquieta.
Si era sforzato di captare maggiori informazioni su di lui, testando il limite massimo delle proprie capacità.
Aveva infine compreso che non poteva sapere più di quanto avesse già intuito.
Certo, i suoi poteri non erano ancora pienamente spiegati, ma c'era dell'altro: era come se quell'uomo avesse costruito intorno a sé un muro che la mente di un veggente non poteva oltrepassare.
Non riusciva ad interrogare il passato, né a prevedere il futuro. Taja non era d'aiuto, da tempo irraggiungibile, persa chissà dove. Doveva esserle capitato qualcosa di tremendo. Dunque per il momento aveva rinunciato ad avventurarsi nel limbo.
L'uomo era arrivato fino alla spiaggia verso le sei di sera. Con la mente annebbiata, Vanth lo osservò leggere la freccia che ancora, dopo anni, indirizzava verso Queen Merleen al centro della palude.
Attese estenuanti minuti prima che l'uomo trovasse abbastanza coraggio da salire sulla barchetta messa a disposizione per “i viaggi nell'oltretomba”, definiti ironicamente tali dagli abitanti del villaggio vicino.
L'uomo non era del luogo, giungeva da molto lontano. Vanth non avrebbe saputo dire quanto lontano.
Infine, l'uomo spinse la barchetta sull'acqua fetida della palude e vi saltò dentro. Remò lentamente seguendo l'indicazione della vecchia freccia.
Vanth perse il contatto ma non importava, perché presto lui sarebbe arrivato.
Il veggente uscì dalla porta d'ingresso e si sporse dalla balaustra di legno umido, interrotta in un solo punto da una scala a pioli che consentiva l'accesso alla palafitta.
Un alligatore placido nuotava intorno ai pali infissi verticalmente, a sostegno del tavolato orizzontale che reggeva l'abitazione. Vanth lo conosceva: era Mr. Jambo.
Il bambino voodoo conosceva molte cose sugli alligatori, animali estremamente attivi, carnivori e pericolosi. Nella libreria erano numerosi i volumi a loro dedicati. Essere informato su flora e fauna della palude era semplicemente fondamentale se si viveva in una palafitta immersa in quell'ambiente.
Aveva visto Mr. Jambo nascere dal suo uovo: si ricordava ancora le crepe del guscio, un occhio chiaro che lo fissava e le zampette unghiate che lottavano per aprirsi un varco verso l'esterno. Vanth non l'aveva aiutato come avrebbe fatto la madre premurosa, se fosse sopravvissuta alla trappola umana che l'aveva uccisa: era rimasto a fissarlo nella schiusa, finché il piccolo si era riuscito a liberare da solo e svelto era scivolato fino all'acqua per immergervisi.
Mr. Jambo era un caimano dagli occhiali e il primo alligatore che Vanth aveva visto venire al mondo: l'animale aveva ora poco più di tre anni, ma aveva già raggiunto i due metri di lunghezza.
Era un alligatore solitario: aveva sovvertito la struttura sociale del gruppo e ad essa aveva preferito un atteggiamento fortemente territoriale.
La sua area era intorno a quei pali e più di una volta l'aveva difesa in modo estremamente aggressivo da altri alligatori, sfociando infine in un comportamento cannibalesco.
Vanth ammirava il giovane caimano, tanto forte ed indipendente. Il bambino lo avrebbe riconosciuto fra mille. Percepiva una forte affinità con Mr. Jambo ed era convinto che anche l'animale l'avvertisse con lui.
C'era in effetti un tacito accordo fra loro.
Vanth permetteva all'alligatore di indugiare intorno alla sua casa, mentre l'animale evitava di scegliere lui e i suoi clienti come preda del giorno.
La voce che quel ragazzo fosse effettivamente figlio di un alligatore si era rinforzata da quando nel villaggio era giunta voce che Vanth Janas avesse un simile rettile come guardiano alla casa.

Sta arrivando un uomo” sussurrò Vanth in direzione di Mr. Jambo “permettigli il passaggio”.
Come se avesse intuito le parole umane, il caimano diede un vigoroso colpo di coda e si spostò di lato.
Ancora lontano, dall'altra parte della palude, l'uomo non smise di remare, seppur lentamente poiché non voleva attirare l'attenzione su di sé.
Evitò accuratamente di passare troppo vicino a quelli che erano alligatori galleggianti a filo d'acqua. Fece attenzione a non incuneare la barchetta in un canneto o in mezzo alle spesse radici acquatiche delle piante paludose.
Quando scorse finalmente la casa di Queen Merleen, sospirò di sollievo. Almeno fino a quando notò un altro alligatore nuotarvi intorno; ma rimaneva laterale rispetto alla scala. Così, ingoiando saliva a vuoto, decise che giunto fino a quel punto non poteva tornare indietro senza un nulla di fatto. Si avvicinò alla scala. L'alligatore rimase immobile. L'uomo gettò la piccola ancora oltre l'acqua e salì i pioli instabili.
Salì sul tavolato e oltrepassata l'inusuale soglia, si ritrovò in un luogo avvolto dalla penombra. Un tanfo di putrefazione ed erbe lo costrinse a portare una mano davanti al naso.
Le uniche fonti di luce erano le candele e i pallidi raggi solari che attraversavano l'ingresso alle sue spalle.
Sugli scaffali, i vasetti contenenti resti animali, le ceramiche, i teschi umani luccicavano di un brillio inquietante; così l'uomo fu sul punto di voltarsi e scappare.
Vanth percepì la sua paura e ridacchiò; l'uomo allora sobbalzò in direzione dei drappi verdi che impedivano al suo sguardo di vedere altro: ora sapeva con certezza che la casa era abitata come sperava, ma non riusciva a scorgere chi avesse riso di lui.. la donna? Non era sicuro.
"Benvenuto” esclamò Vanth “avvicinati per favore" aggiunse il veggente con la vocina acuta ed allegra, così in contrasto con l'ambiente.
L'uomo scoprì di essere rimasto paralizzato dalla suggestione.
"Per favore,
Dassen" lo incoraggiò Vanth con più enfasi, rivelandogli così che sapeva il suo nome. Il suo tono era dolce, leggermente infantile "voglio vedere come sei fatto" disse.
Dassen costrinse ogni fibra del suo essere ad avanzare. Vi riuscì dopo qualche istante. Mosse solo tre, quattro passi, sufficienti a scostare i drappi e a vedere in volto il giovane ragazzo che sedeva composto sulla scomoda poltrona.
Doveva avere sui dodici anni. I capelli biondi erano legati in lunghe treccine appoggiate sulle spalle. In testa indossava una bandana azzurra, ma il suo corpo era fasciato da una tunica marrone. Alle caviglie nude c'erano preziose cavigliere d'oro.
Ciò che destò maggiormente il suo stupore fu però lo sguardo del fanciullo. Era di un verde spento quanto le acque che aveva attraversato; eppure animato di una scintilla unica, brillante.

Tu cerchi Queen Merleen, ma lei non abita più in questa casa” esclamò all'improvviso Vanth e Dassen sussultò “ora lei abita nel mondo dei morti” concluse il bambino.
La luce tremolante delle candele tracciava giochi d'ombra sul suo viso minuto, facendolo apparire innaturalmente scheletrico. L'espressione di Dassen divenne funerea e sbiancò in volto.
Pochi cercavano ancora Queen Merleen.
La notizia della sua morte era volata come trasportata da ali e si era diffusa in poco tempo.
La potente strega era stata trovata sulla spiaggia, poco distante dal cartello che lei stessa aveva impiantato nel terreno fangoso. La salma mostrava lacerazioni in più punti e al corpo mancava un braccio, una parte di busto e l'intera gamba sinistra. Sul petto i segni della dentatura degli alligatori.
Queen Merleen era morta in modo misterioso e il suo cadavere era stato un succulento banchetto per la fauna del luogo, prima che qualcuno del villaggio avesse diffuso la notizia del suo decesso.
Nessuno aveva osato toccare la salma della potente strega, per il timore di incappare in una maledizione postuma. In seguito, era stato organizzato per lei un rude funerale e, chiusa in una bara di legno pregiato, era stata seppellita in una buca: non occuparsi del cadavere avrebbe potuto significare avere a che fare con il suo spirito rabbioso per l'eternità. Ed era anche peggio.

Avevi bisogno di parlarle” continuò il bambino “ma ora so con certezza che non conosci la ragione che ti ha spinto a cercarla” decretò, cogliendo il dubbio nella mente di Dassen.
L'uomo si ritrovò la gola secca: come poteva quel bambino saperlo? Forse era evidente: chiunque andava lì per parlare con Queen Merleen. Eppure era vero, non sapeva il motivo che l'aveva spinto ad attraversare la palude pur di farlo, quasi un incantesimo ipnotizzante.

Vieni più vicino” lo esortò Vanth e l'uomo obbedì, succube.
La luce delle candele intorno alla poltrona, finalmente, permise al bambino voodoo di scrutare i lineamenti di quel viso che nella sua testa era rimasto sgranato per molto tempo.
Dassen aveva il viso quadrato, una fronte ampia, due sopracciglia scure e cespugliose, sotto le quali si intravedevano gli occhi azzurri. Il naso era lungo e sottile, la bocca piccola e serica. La carnagione sarebbe stata naturalmente chiara, ma il sole aveva baciato il suo viso abbronzato. Profumava di fiori e vestiva all'orientale, come quei mercanti del sud est che raramente aveva incontrato.
Si ricordava di Kiir, cliente di sua madre, vecchio uomo con baffi neri e bava alla bocca. Dopo la scomparsa di Queen Merleen, non aveva più fatto visita.

Sai chi sono?” domandò Vanth. L'uomo scosse la testa.
Mi chiamo Vanth Janas” si presentò il bambino “e sono il figlio di Queen Merleen”.
L'uomo recepì la notizia ma era decisamente paralizzato per reagire.

Dammi le tue mani” lo esortò Vanth “mostrami il loro palmo”.
Se non riusciva a leggere più di così la sua mente, avrebbe letto le sue mani.
Dassen porse le mani al veggente che le afferrò con le proprie. Sotto la luce tremolante delle candele, il bambino studiò le mani dell'uomo e confronto la loro diversità. Era essenziale osservarle entrambe: nella destra intravedeva le modifiche del carattere operate tramite la volontà, nella sinistra le caratteristiche innate.
Le scrutò per qualche minuto.
Dassen era un uomo comune con una vita comune di media lunghezza.
Non possedeva talenti spiccati. Una predisposizione per il pragmatismo e il raziocinio. Paura di lasciarsi andare in amore, contrapposta alla celata dolcezza d'animo. Scarso accenno al lato mistico ed esoterico della vita. Due figli.
La linea della vita era interrotta da brevi trattini, trascurabili, ad eccezione di uno.

Vedo una disgrazia, molto recente” disse con voce tetra “che interrompe la linea della tua vita”. Questo lo lasciò sbalordito; il bambino non capiva: una simile nefasta linea non poteva che esser simbolo di recente decesso: eppure l'uomo era vivo davanti a lui! Dassen era scampato alla Manan, la morte. Come vi era riuscito?!
Dassen mostrò un'espressione perplessa.

Disgrazia recente?” domandò incerto.
Vanth era sicuro che ciò che aveva visto nelle mani dell'uomo avesse avuto ripercussioni nella memoria, procurandogli l'evidente amnesia.
Più trascorreva il tempo in compagnia di quell'uomo, più si accorgeva che c'era qualcosa di inquietante in lui. Non comprendeva cosa e in quale misura. Era una sensazione pulsante che per esperienza sapeva di dover tenere in considerazione, ed era certo avesse a che fare con quanto Taja gli aveva riferito.
Come poteva del resto un semplice uomo ergere una barriera simile a protezione dei propri ricordi? Normalmente Vanth avrebbe potuto leggerli con discreta semplicità nonostante lui li avesse apparentemente rimossi; non ci riusciva, come se in effetti Dassen non possedesse affatto memoria.

Raccontami chi sei” lo esortò “hai famiglia?”.
Era curioso che un veggente ponesse una simile domanda. Eppure il muro intorno alla mente del visitatore aveva impedito a Vanth di sondarla.
Come un antico eco, emersero nella testa del bambino parole materne.
"Se accadrà qualcosa che non saprai prevedere od intuire allora, figlio mio, quello è semplicemente il tuo destino a cui non potrai opporti in alcun modo".

Quell'uomo faceva parte del suo destino?

Io..ho una moglie” replicò Dassen “e due figlie”.
Qual'è il tuo mestiere?”.
Non era un mercante e Vanth già lo sapeva. Aveva le mani callose, un uomo abituato a mestieri più rudi.

Non lo so” esclamò infine l'uomo “davvero, io non lo so”.
Il suo sguardo vagava inquieto per la stanza. Cominciò a focalizzarsi sui vasetti che contenevano occhi umani immersi in liquidi giallognoli. Cosa ci faceva in un posto simile? E perché non riusciva a ricordare la propria vita? Sentì il terrore paralizzarlo una seconda volta.
Vanth sorrise. Non di compassione, ma di eccitazione. Aveva uno strano enigma davanti agli occhi e avrebbe dovuto risolverlo da solo. Senza Queen Merleen ad aiutarlo, senza Taja.
Alla mente si riaffacciarono le ultime frasi della sua guida:
“c'è agitazione, qualcosa di grave sta succedendo; fai di tutto.. fai di tutto per scoprirne la causa”.
Se vuoi ricordarti tutto, io posso aiutarti” esclamò Vanth Janas.
L'uomo riportò l'attenzione sul bambino.

Puoi farlo davvero?” chiese e il veggente annuì.
Preparerò una pozione. Ma avrò bisogno di alcuni ingredienti che solo tu puoi procurarmi”.

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Capitolo 5
*** 5 ***


Dassen impiantò la pala nel duro terreno.
Aveva scelto la notte per scavare. La buca adesso era molto fonda e le narici erano impregnate dell'odore della terra umida e smossa.
La sua fronte era imperlata di sudore, così si passò il dorso di una mano sopra al viso, per arginare le gocce salate.
Sentiva i battiti del cuore rimbombargli nella cassa toracica e l'eco risuonare in un cupo rumore fino alle orecchie. La testa gli martellava forte.
Non era stato semplice trovare la tomba del padre, perché non ricordava di averne avuto uno.
In effetti una mattina si era svegliato prendendo atto di avere anche una moglie.
Si era ritrovato davanti agli occhi una donna in sovrappeso con la vista miope, il grembiule sempre infarinato e l'abitudine di mettergli le mani addosso in continue carezze ed abbracci: lo irritavano.
Le sue figlie, giovani donne sgraziate, erano in età da marito ma nessun uomo aveva avanzato nei loro confronti proposta di matrimonio, così le ragazze vivevano ancora nella casa natia.
Non ricordava nulla di loro.
Si era sentito lo stomaco bruciare e la testa vorticare. Un mostro a divorargli il cuore.
Così era scappato, sapendo che in qualche modo doveva raggiungere
la terra della veggente.
Un solo nome nella testa e non quello della moglie, ma
Queen Merleen.
Aveva bisogno di incontrare quella donna e parlarle. Sentiva che solo lei sarebbe stata in grado di dare una risposta a tutto.
Aveva usato quella consapevolezza come una bussola, percorrendo la propria strada in lungo ed in largo, alla ricerca di qualcuno che gli indicasse la via.
L'aveva trovata, rimanendo tuttavia deluso. La donna apparteneva all'aldilà, ormai.
Al suo posto il figlio di Queen Merleen. Nient'altro che un bambino. Che gli aveva domandato di procurarsi l'osso di un morto. Di un famigliare per la precisione, meglio se il padre.
Così era tornato indietro, nella terra che non sentiva propria, nella patria in cui sua moglie lo aveva atteso angosciata per la sua scomparsa, ma speranzosa di rivederlo.

Oh sia lodato il cielo, sei tornato!” aveva esclamato, per poi aggiungere “cosa? il nome di tuo padre? Oh povero Dassen, possibile che non ricordi neppure questo?”.
Voglio sapere anche dove è seppellito” aveva aggiunto l'uomo “per portargli dei fiori..”.
Non era vero, una menzogna.
La notte stessa si era avventurato fra lapidi di legno scuro, fino a trovare quella desiderata su cui era inciso “Paull Hartmen”.
Si era inginocchiato. Con gli occhi fissi al terreno, aveva appoggiato la pala affianco le proprie ginocchia.

Salve padre” lo aveva salutato parlandogli, come potesse sentirlo da là sotto “ti ricordi di me? Perdonami perché io invece non ricordo te; ma trafugherò ugualmente la tua bara”.
Agli occhi di un figlio grato, quel gesto sarebbe sembrato empio e sacrilego; ma suo padre non era che un semplice estraneo per lui, ora: quindi perché avrebbe dovuto farsi tanti scrupoli a strappargli dallo scheletro l'ulna o il femore?
Si umettò le labbra e, alla luce di una fiaccola, osservò il baratro che aveva creato: là in fondo, marcito, il legno che conservava il corpo del padre formicolava di vermi e altre disgustose creature. Si calò nella buca, avendo cura di non crepare ulteriormente la cassa con il proprio peso. Alzò il coperchio e scoprì liquame ed ossa più che sufficienti ad un incantesimo maledetto.
Avrebbe condannato il padre ad un limbo eterno? No, il veggente gli aveva giurato che quella pratica non avrebbe intaccato il suo sonno, se non per un breve momento: certo, sempre che l'osso fosse stato rimesso al suo posto, una volta ultimato il rito. Dassen non era certo si sarebbe preso un tale disturbo.
Chiuse il coperchio e, mormorando una preghiera per la pace dell'anima sua piuttosto che del morto, ricoprì della terra accumulata la cassa, fino a ricompattarcela sopra.
Qualcuno avrebbe potuto sospettare qualcosa, il giorno dopo, alla luce del sole; ma chi sarebbe mai andato a controllare la tomba di un uomo morto almeno dieci anni prima?
Dassen infilò l'ulna del padre in un sacco e se ne andò veloce.

Qualche giorno più tardi incontrava Vanth Janas.
Aveva portato con sé tutto l'occorrente: l'osso del morto, un proprio vestito e un'offerta per gli spiriti, la capretta che ora belava spaventata e che aveva faticosamente trasportato in bilico sull'imbarcazione, attraverso la palude.
L'aveva infine issata sulle spalle per salire la scaletta e raggiungere così la palafitta del veggente.
Vanth lo invitò ad avanzare e Dassen ebbe un tuffò al cuore al scorgere gli occhi bianchi dello stregone: senza anima, senza vita, ma lui sembrava presente. O quantomeno, fisicamente. Era spaventoso.

Taja” invocava “Taja”. Vanth non la scorgeva nel limbo dei morti. Tornò indietro, nel proprio corpo. In tempo per vedere che la capretta era riuscita a liberarsi dalla presa dell'uomo, scalciando furiosa.
Dassen aveva un'espressione truce e confusa a tempo stesso sul volto.

Taja?” ripetè l'uomo fra sé e sè. Conosceva quel nome.. ma a chi, a chi apparteneva? E perché percepiva un legame?
Il cuore gli batteva molto forte e non aveva tempo di badare alla capretta che zompettava in giro, sopra il legno consunto della palafitta: inavvertitamente l'animale rovesciò il contenuto di ampolle e flaconi, oltre a sgabelli, libri.
Belò forte, triste, ma Dassen non provò alcun moto di compassione: no, non l'avrebbe salvata dal crudele destino che l'attendeva.
Nella vita precedente che non gli apparteneva più, aveva avuto molta cura degli animali. Non era stato altro che un mite pastore. Con le proprie mani aveva aiutato molte pecore a partorire e salvato decine di agnelli. Aveva permesso al suo gregge di prosperare. Si era nutrito di latte e formaggio, aveva mantenuto la propria famiglia con la lana.
Ora avrebbe sacrificato una capretta a sangue freddo: era questo ciò che gli chiedeva Vanth Janas e non si sarebbe tirato indietro.
Afferrò la testa della capretta con la mano sinistra e con la destra la sgozzò sopra al pavimento stesso.
Il rito aveva inizio.
Le gambe dell'animale cedettero quasi all'istante e il corpo si accasciò su sé stesso.
Con le mani imbrattate di sangue animale, l'uomo prese l'osso del padre e lo gettò nel liquido scuro; in seguitò si taglio il palmo della mano e gettò sopra anche il proprio di sangue. Prese il vestito, gli diede fuoco e gettò anche quest'ultimo incrediente sul legno del pavimento che non bruciò insieme al tessuto.
Aveva obbedito ad ogni ordine di Vanth Janas che ora cadeva in stato di divinazione, gli occhi che diventavano bianchi.
Un fumo acre si era levato in aria. Non alimentate, le fiamme delle candele attorno crebbero da sole, guizzando in aria come lingue rapaci. Calò un freddo innaturale sulla pelle di Dassen che ebbe la percezione di udire voci tutt'intorno.. solo una sensazione?
Scosso da tremiti, Vanth Janas cominciò a fremere sulla poltrona. I movimenti divennero più forti, il suo corpo si agitò finché le sue membra sembrarono scosse da mani invisibili. Era una scena agghiacciante.
Dassen mosse qualche passo indietro, ma la voce del bambino lo raggiunse, intrappolandolo.

Non puoi più andare via” decretò il veggente “ti inseguirebbero!” ed erano parole che sapevano di maledizione. Il suo viso fine, elegante di fanciullo, ora era deformato dal ghigno sulle sue labbra.
Il suo corpo prese a scomporsi sulla poltrona.
Le finestre chiuse si spalancarono all'istante e il vento impetuoso soffiò dentro all'ambiente in cui il sangue del capretto aveva già cominciato a scomparire, assorbito dall'assetato legno del pavimento.
La casa era viva. O lo erano gli spiriti, in quel momento.
Vanth Janas si ritrovò catapultato sulla spiaggia del limbo. Al sottile confine fra vita e morte. Di nuovo e da solo.
Scrutò l'orizzonte bianco, fumoso e lattiginoso. Intravide sagome grige chiaro, muoversi al di là della barriera che lo separava dal non ritorno.
Il suo corpo era sulla poltrona. Ma lui era altrove. Il suo spirito si era levato e aveva raggiunto la dimensione dove normalmente Taja lo attendeva. Ma lei non c'era.
Tutti, lì intorno, erano in agitazione almeno quanto aveva visto lei l'ultima volta.
Sua madre l'aveva messo in guardia: rischioso muoversi nel limbo senza guida. Avrebbe dovuto obbedirle, ancora una volta; eppure sentiva un forte richiamo. Il suo destino, ne era certo, lo stava spingendo in quella direzione: a sfidare i moniti materni.
Doveva proseguire, quella era la sua strada. Avrebbe osato avventurarsi fra i morti, questa volta. Come un tempo aveva fatto Lane Eusten.
Uno spettro gli si avvicinò. Non distinse le fattezze, ma l'odore sì. In qualche modo.. famigliare..?

Dov'è la tua guida, veggente?”
Era un'anima tormentata, molto pericolosa.

Non è qui” replicò Vanth, raccogliendo la concentrazione sufficiente a mascherare l'agitazione.
E chi cerchi nel limbo, ragazzo?
Noi possiamo aiutarti”.
Il plurale non lo confuse: non era insolito che uno spettro ne facesse uso per indicare se stesso. Nell'aldilà la consapevolezza di essere stato un tutt'uno svaniva e lasciava spazio ad una pluralità di coscienze; e a volte accadeva che diverse anime si fondessero in una sola. Il principio era quello di rafforzarsi e completarsi. Quello era il caso.
Vanth Janas sapeva che doveva servirsi di quell'essere: in mancanza di Taja, poteva approfittare di un altro spettro desideroso di compiacerlo.. ma a quale prezzo? Del resto era ormai fatuo domandarselo.
Anche fosse tornato indietro, quello spirito lo avrebbe inseguito e perseguitato. Si erano fiutati a vicenda e Vanth aveva percepito una grande aura intorno allo spettro: abbastanza forte da potersi imporre come una guida per un giovane veggente.
Non c'era tempo per riflettere molto: intorno a loro si stava già radunando un coro di voci imploranti. Sentiva il collegamento con il proprio corpo farsi labile ogni minuto di più. O tornava indietro rischiando l'ira dello spettro o sarebbe presto trapassato.

Paull Hartmen”.
So dove trovarlo. Lo condurrò a te” decretò lo spettro. Non camminava. Si spostava da un punto all'altro con continue apparizioni.
In una di quelle apparizioni, Vanth fu certo di aver visto lo spettro dividersi in tre parti, prima di ricompattarsi come una goccia di mercurio. Era dunque un essere piuttosto giovane poiché faticava a rimanere perfettamente unito nelle sue triplici anime.

Quale offerta ripagherebbe la tua gentilezza?” domandò Vanth. Il bambino sapeva ormai bene che nessun spettro offriva servigi senza ottenere nulla in cambio.
A quella domanda, intorno a lui vorticarono tre emozioni contrastanti. Era lo spettro a provarle: rancore, invidia e.. compassione.

Il tuo destino” pretese il triplice essere “che sta per compiersi".
La presenza scomparve con una risata spettrale.
Vanth fu ricacciato a forza nel proprio corpo. La sensazione era quella già provata, la stessa di sempre, ma ugualmente violenta e dolorosa. I movimenti frenetici delle sue membra contorte si arrestarono. Tornò in sé.
Riaprì gli occhi che erano stati chiusi fino a quel momento, lentamente. Con la vista bianca focalizzò l'uomo che era rimasto tutto quel tempo fermo, in silenzio, la gola secca.
Qualche secondo e il bambino ebbe la percezione di un'altra anima nella stanza.

Tuo padre è fra noi, Dassen” sussurrò debolmente.
Paull Hartmen apparì nel fumo grigio che si era levato dal tessuto bruciato. Non era lontano ad assomigliare all'uomo che era stato in vita. La sua anima aveva trovato la pace del sonno eterno, non turbato più da alcun sentimento.. almeno fino a quel momento.
Paull Hartmen era stato un uomo mingherlino, dai grossi baffi neri, con occhi benevolenti e portamento fiero. Ora era circondato da un alone dorato.
Non vedeva, come del resto nessun spirito riusciva a fare. Ma sentiva. E sembrava disorientato, come da prassi. Tutti gli spiriti, se richiamati sulla terra, si sentivano spiazzati, persi.

Perdonami, gloriosa anima” si rivolse a lui Vanth Janas attraverso la propria mente. Aveva gli occhi fissi su un punto imprecisato della stanza, nonostante lo spettro fosse davanti a lui, visibile nella nube grigia.
Il veggente stregone Vanth Janas ti ha richiamato a sé. Intende interrogarti e ti prega di rispondere al suo umile appello”.
L'anima di Paull Hartmen si dimenò nella sua gabbia di fumo. “Ti ascolto” replicò ella, semplicemente.

Percepisci l'uomo qui, vicino a me? E' tuo figlio. Una disgrazia l'ha colpito e rammenta ben poco di sé stesso. E io non sono in grado di scorgere il suo passato o il suo futuro”.
Lo spettro si innervosì.

Quello non è mio figlio” replicò secco.
La sua voce, tombale, era salda e sicura: ma la udiva solo Vanth Janas. Le sue sopracciglia saettarono verso l'alto, nella fronte. Cosa? Non era suo figlio?

Non hai generato tu questo uomo?” insistette Vanth Janas.
La sua carne è carne della mia” rispose l'anima di Paull “ma chi abita il suo corpo non è mio erede”.
A quel punto, Vanth si sentì spiazzato. Perse sicurezza; ma Queen Merleen l'aveva messo in guardia abbastanza bene da sapere cosa fare. Continuare ad interrogare, scoprire in fretta e reagire.

Sai intravedere chi occupa il corpo di tuo figlio?” domandò ancora Vanth e Paull annuì.
Egli è uno spettro antico e rancoroso. Eliminalo o ti porterà alla rovina”.
Scomparve. Il fumo si dissolse. La testa di Vanth ricadde in avanti, il mento contro lo sterno nel petto. Le candele tornarono a bruciare lentamente. Il vento lasciò spazio ad una piacevole brezza. Il tessuto smise di bruciare. Tutto si arrestò.
Passò qualche istante. Immobile, Dassen aveva gli occhi sbarrati e il fiato corto. La cute pallida e il sudore ghiacciato nella schiena. Aveva.. sentito. Sì, aveva udito un morto parlare! La voce di un padre che non era il suo: “e
gli è uno spettro antico e rancoroso. Eliminalo o ti porterà alla rovina”.
Vanth riaprì gli occhi e sollevò la testa. Era intontito ma sufficientemente lucido da alzarsi in piedi, barcollando.
Ora capiva tutto. Non aveva potuto leggere la mente di quell'uomo perché non era definibile tale. Non aveva scorto ricordi, perché non ne aveva di umani. E il futuro di uno spettro in un corpo umano era precluso ai suoi acerbi poteri. L'anima originale di Dassen? Distrutta.
Era senz'altro ciò da cui Taja aveva tentato di metterlo in guardia. La fonte della grave agitazione nel limbo. Uno spettro reincarnato: era davanti a lui.
Alzò di scatto la mano destra, quella che tanti anni prima era stata tagliata dalla madre e che ora si era rimarginata in una cicatrice spessa e bianca.
Aprì le dita a ventaglio, in direzione di quell'uomo che celava in sé uno spettro dalla natura misteriosa. Mormorò parole in lingua arcaica, sconosciuta, nera.
Non abbastanza velocemente.

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Capitolo 6
*** 6 ***


Dassen ridacchiò. “Ora ricordo” esclamò calmo e serafico.
Intorno a lui si materializzò una barriera traslucida rossa, uno scudo. Il suo sguardo si fece crudele e vendicativo.

Ingenuo marmocchio” esclamò mentre Vanth si accorgeva con orrore che lo spettro incontrato nel limbo aveva intaccato i suoi poteri e ciò gli impediva di scagliare un malocchio sufficiente a distruggere lo spettro reincarnato.
Aveva aiutato un'anima dannata a ricordarsi di sé stessa e si era indebolito. Un errore tremendo che sua madre non avrebbe mai commesso. L'uomo annuì. Aveva letto quel pensiero nella mente del veggente.

Già, Queen Merleen non l'avrebbe mai commesso” confermò Dassen “piccolo crudele assassino. Hai goduto nell'uccidere tua madre?”.
Vanth sgranò gli occhi, le pupille da rettile dilatate “chi sei?” osò domandare mentre si trascinava in avanti, lentamente. Come sapeva di sua madre.. di lui?
Dassen portò una mano al petto “io? Sono colui che per anni ha protetto Queen Merleen nella terra dei morti”.
Il veggente conosceva bene il suo nome e non l'aveva dimenticato. Nelle orecchie ancora la voce della madre e la litania crescente d'invocazione..
Selander.. Selander..”. La guida di Queen Merleen.
Selander”.
L'uomo sorrise. L'odore che emanava in quel momento era terribile. Più del sangue rappreso. Più di un corpo in putrefazione. Vanth fu costretto a stringere gli occhi perché bruciavano. Si sentì soffocare.

Cosa voglio?” esclamò Selander, leggendo fra i pensieri di Vanth “te” rispose.
Il bambino perse l'equilibrio e cadde in ginocchio; a nulla gli valse tentare di reggersi ad uno scaffale di legno. Nella caduta ruppe un prezioso cimelio, ricordo della madre.

Queste membra sono deboli” specificò Selander toccando il corpo che una volta era stato Dassen, un uomo che mai più avrebbe trovato il conforto dell'aldilà.
La lurida puttana di tua madre ha tentato di proteggerti fino alla fine; ma il tuo corpo appartiene a me, da sempre” commentò lo spettro.
Selander schioccò le dita e gli arti di Vanth si contorsero fino a spezzarsi; non era un'illusione. Il bambino gridò. Dagli occhi sgorgarono le lacrime ma si ricordò che non poteva cedere al dolore, la vecchia lezione di sua madre. Si ribellò. Fece appello ad ogni stilla di potere, scoprendo che era dannatamente poca.. lo spettro.. lo spettro nel limbo lo aveva privato della forza necessaria persino a sopravvivere.. Vulnerabile, si sentì perso. Ed infine morì.
Quella notte l'anima di Vanth Janas abbandonò la materia e si rifugiò nel limbo, diventando come gli spettri che per anni aveva consultato, insoddisfatti e dannati.
Era una notte buia di luna nuova.
Il corpo di Vanth era ancora caldo quando Selander se ne impossessò. Riverso a terra, il nuovo Vanth Janas riaprì gli occhi verdi melma. Si alzò in piedi, le ossa frantumate e le articolazioni slogate; ci fu un
cric netto a cui ne seguì un altro ed un altro ancora, mentre il corpo si ricomponeva e Selander tastava il piacere di avere una nuova casa da abitare. Qualche attimo e gli arti furono ricomposti.
Accasciato a terra il corpo di Dassen ormai vuoto, come il guscio spezzato di un mollusco. Era stato un uomo che si era semplicemente trovato al posto giusto nel momento giusto: una
disgrazia inevitabile.
Per festeggiare la propria vittoria, Selander afferrò per le braccia il corpo. Lo trascinò lungo il pavimento, lo alzò di peso ed infine lo gettò oltre la balaustra, nella torbida acqua della palude.
Un caimano nelle vicinanze si mosse placido, colpi di coda ben assestati, fino a raggiungere il cadavere che galleggiava. Aprì le fauci e le richiuse sopra al corpo, trascinandolo con i denti fino alla spiaggetta vicina dove lo avrebbe divorato con calma.

Sì, amico rettile, sì. Sbrana, divora!” esultò Selander con la vocina di Vanth.
Chiuse le finestre e si sedette sulla poltrona di Queen Merleen. Ah che soddisfazione possedere quanto lei aveva posseduto! Iniziava la sua nuova vita, ma non sarebbe stato solo.
Osservò le proprie nuove mani e le strinse a pugno: fra le dita sentì fluire una forte energia vitale, ancora acerba ed in qualche modo.. indebolita? Era certo fosse questione di attimi. Presto avrebbe preso totale controllo di ogni fibra di quel corpo ed allora avrebbe compiuto il primo rito.
Anni prima era stato lui a sussurrare a Queen Merleen che il
loro figlio avrebbe sviluppato grandi poteri.. essenziali per potersi di nuovo impiantare nel mondo materiale con fattezze umane.
Sì, Queen Merleen aveva partorito nient'altro che un nuovo contenitore umano per la propria guida spettrale.
Una vecchia lezione riecheggiava nell'aria. Una lezione sulle guide nell'aldilà.

.. ascoltami bene Vanth Janas! Dovrai accontentarla qualsiasi cosa ti chieda, andasse anche oltre la tua volontà. Non rischiare di deludere la tua guida nella terra dei defunti, perché potresti finirci tu stesso dentro e non trovare pace per l'eternità”.
La donna era stata una strega prima ancora che una madre. Una veggente votata all'occulto e alla sopravvivenza.
Quando la sua guida gli aveva domandato un nuovo corpo in cambio dei suoi servigi nel limbo, lei non aveva neppure tentato di opporsi. In fondo la natura non l'aveva creata per procreare ed avere bambini.
Gli aborti spontanei erano stati il segno della sua inadeguatezza a crescere un feto e la prova più tangibile che non fosse destinata ad esser madre.
Quindi Vanth Janas era figlio di Selander prima che suo. Un bambino contenitore generato davvero da un rettile, poiché Selander aveva posseduto Queen Merleen proprio con le fattezze di un enorme alligatore.
Eppure, nel crescere quel bambino la donna vi si era affezionata. E se non poteva rivelargli il suo destino poiché nessun veggente può mostrare il percorso ad un altro, lo avrebbe istruito il più possibile in previsione del giorno in cui il padre avrebbe preteso il frutto del proprio seme.
Ma Vanth Janas le aveva squarciato il ventre: lo stesso utero che lo aveva partorito e condannato al suo maledetto futuro. L'aveva infine gettata nella palude, un banchetto squisito per gli alligatori.. ed era stata Taja a costringerlo all'empio gesto.
Era stata quella la demoniaca richiesta.
“Uccidi Queen Merleen”.
Taja che ora appariva davanti a Selander mostrando un sorriso amaro. “Sei stata brava” decretò il vecchio spettro nel corpo del fanciullo.
Lei sembrò sospirare d'orgoglio, un lieve alito di vento che accarezzò le labbra di Vanth, ora di Salander. Lui e la sua antica sposa erano stati complici in quell'oscuro progetto.

Aiutami ad impossessarmi di Vanth Janas e torna in vita con me, di nuovo insieme, per sempre”.
Lei era pronta a resuscitare. Sarebbe rinata nel corpo di una neonata. Una madre stava partorendo nel villaggio vicino. Tutto era pronto per essere compiuto e il rito poteva avere inizio.
Ma poi gridò con orrore “fai in fretta amore.. perché sta arrivando!”.
Improvvisamente Taja fu avvolta da fiamme azzurre, affamate. La sua anima prese fuoco e bruciò. Pezzo dopo pezzo si incenerì velocemente.
Nel suo nuovo corpo umano, Salander non poté frapporsi e salvarla. Urlò di rabbia mentre ebbe la rivelazione che qualcuno, anzi
qualcosa, aveva privato temporaneamente il corpo di Vanth dai poteri sufficienti a contrastare ciò che accadeva davanti ai suoi occhi. Ecco perché impossessarsi di Vanth era stato tanto semplice!
Le fiamme guizzarono in tre grosse lingue brucianti. L'anima di Taja si ridusse completamente in polvere e il fuoco azzurro ingoiò la sua cenere spettrale, rafforzandosi notevolmente.
A nulla le era valso nascondersi tutto quel tempo. L'Essere l'aveva seguita ed infine trovata.
La sposa era stata divorata.
Dopo anni d'attesa, il triplice spettro ebbe potere sufficiente a comparire con lineamenti vagamente umani, nel fumo del sacrificio compiuto.
Il volto triangolare possedeva due larghi occhi ovali ed un mento aguzzo. Privo di orecchie e narici emetteva un ronzio sinistro dalle labbra sottili e seriche. Lo spettro aveva l'aspetto di un feto, ma tre erano le anime che vi abitavano dentro.
I figli abortiti di Queen Merleen. La
vera minaccia che aveva sconvolto il limbo. Poiché se reincarnati i dannati figli della veggente erano un pericolo ben più grave del vecchio spettro.
I feti desideravano quanto Salander aveva già ottenuto: il corpo di Vanth, loro fratello. La possibilità di esistere, finalmente.

Grida si levarono nella fetida aria notturna. La terra sotto la palude vibrò. La palafitta crollò su se stessa.

Più lontano, nella spiaggetta di terra fangosa, Mr. Jambo lacerava il cadavere dell'uomo di nome Dassen.
I suoi occhi gialli si inumidirono nello sforzo di inghiottire, ma ciò non gli impedì di tenere lo sguardo fisso sulla sua vecchia dimora fatiscente, quando era stato l'unica vera padrona della palafitta, la potente e temibile Queen Merleen.
Era tornata. Fecondata da un rettile, ora era lei stessa un alligatore. Nata in uovo, sotto gli occhi del suo bambino ormai morto.
Impotente, mentre osservava i figli mai nati consumare il loro rito in una notte di luna nuova.

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