Just a Matter of Time

di bloodred_rose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fallen Angel, tell me why? ***
Capitolo 2: *** One day he'll know the taste of freedom ***
Capitolo 3: *** Forgive me my sins ***
Capitolo 4: *** Could we start again, please? ***



Capitolo 1
*** Fallen Angel, tell me why? ***


FALLEN ANGEL

Desclaimer: ebbene no, i personaggi non mi appartengono nemmeno 'sta volta!

JUST A MATTER OF TIME

FALLEN ANGEL, TELL ME WHY?

 

 I am your Angel of Music…

Come to me, Angel of Music…

 Ferma tra la neve davanti alla cripta di suo padre, Christine aspettava, ancora sotto l’influsso ipnotico della voce del suo maestro. Inconsciamente, forse, era anche per quello che, all’alba e senza avvertire nessuno, si era fatta portare di nascosto al cimitero. Sapeva bene quello che il suo Angelo, o meglio, il suo Fantasma, era in grado di fare, ma sapeva altrettanto bene che mai e poi mai avrebbe alzato un dito su di lei con l’intenzione di farle del male. L’amava. Il temuto, misterioso Fantasma dell’Opera era innamorato di lei. Christine era riuscita a realizzarlo davvero solo dopo il ballo in maschera di quella notte, dopo aver visto i suoi magnifici occhi grigi carichi di desiderio e di nostalgia, di una profonda malinconia e di un amore forse ancora più profondo e certamente più dannato. Aveva visto quell’amore terribile anche nella sua rabbia, quando le aveva strappato dal collo la catenina con l’anello di Raoul. E ora aspettava che le si mostrasse di nuovo per dirgli… nemmeno lei sapeva esattamente cosa, ma doveva parlargli. Tra loro c’erano troppe cose in sospeso. Salì gli ultimi due gradini della scalinata guardandosi attorno per cercarlo.

«Non potrai mai liberarti di me, Christine!» Si voltò di scatto al suono della sua voce, trovandoselo di fronte e, istintivamente, arretrando di un passo.

«Che tu lo voglia o meno, Angelo,» proseguì, avanzando minacciosamente e costringendola, di conseguenza, ad arretrare fino a sfiorare il muro della cripta con le spalle «tu appartieni a me!» Sollevando il capo per fissarlo negli occhi, Christine si accorse con un accenno di panico della pochissima distanza tra di loro.

«Cosa ti fa credere che voglia liberarmi di te?» domandò con un filo di voce. Lui scosse il capo piegando le labbra in un sorriso amaro.

«Quanto sei ingenua, Christine! Credevo sapessi che in qualunque luogo, sia esso all’interno, sotto o sopra l’Opera Populaire, io sento e vedo tutto.» Lei spalancò gli occhi e iniziò a tremare, senza sapere se per il freddo all’esterno o se per quello che sentiva dentro. Li aveva sentiti, li aveva visti… il suo Angelo sapeva. Le prese il volto tra le mani costringendola a fissarlo, mentre la sua espressione lentamente cambiava in quella che sembrava disperazione.

«Perché?» le chiese «Ti ho dato tutto, la mia musica, la mia anima, per quanto nera possa essere…! Dimmi perché, Christine!» Lacrime silenziose cominciarono a rigarle il viso scendendo a bagnare anche le dita di lui. Chiuse gli occhi, senza il coraggio di guardarlo, mentre il suo corpo veniva scosso da violenti singhiozzi. Il suo Angelo aveva visto, il suo Angelo sapeva… il suo Angelo che, in realtà, tanto angelo non era.

«Forse dovrei essere io a chiederti il perché, Angelo…»

«Erik.» lo sentì sussurrare dopo un attimo di silenzio. Il significato di quel nome la colpì come un fulmine e riaprì gli occhi, sprofondando in quelli grigi e carichi di tristezza dell’uomo, niente di più, che le stava di fronte.

«Non sono un angelo, Christine, dovresti averlo capito ormai. Gli angeli non hanno bisogno di mentire per sentirsi amati. E, soprattutto, non devono nascondersi dietro una maschera.» La malinconia che impregnava le sue parole era tale che per un attimo, un attimo soltanto, Christine fu convinta di aver visto l’ombra di una lacrima scivolare silenziosa sotto la stoffa bianca che copriva la parte destra del suo volto. Eppure, per la prima volta nella sua giovane vita, il rancore prese il posto della compassione.

«Mi hai ingannata.»

«Ti ho ingannata.» ammise senza vergogna «E ti ho mentito. Mi chiedi il perché…» Lo sentì ridere, una risata completamente priva di allegria «Se ti avessi detto la verità fin dall’inizio saresti fuggita senza guardarti indietro. Per questo, solo per questo. Mi sono finto un angelo, pur sapendo che non sono altro se non il figlio del Diavolo, e ti ho insegnato a cantare. E ora tu mi ripaghi così…» La sua mano scese alla gola di lei, stringendo senza farle del male in una muta minaccia. Si avvicinò ancora, spingendola di più contro il muro, intrappolandola con il suo corpo. Chinò il capo sul suo viso, la distanza ormai solo una questione di centimetri, puntando gli occhi offuscati quasi da una nube di rabbia in quelli scuri e profondi di Christine.

«Io ti ho ingannata…» sibilò «ma tu mi hai tradito!» Strinse la presa sulla sua gola e istintivamente le mani di lei raggiunsero la sua nel tentativo di fermarlo. Christine cominciò ad ansimare, un po’ per la paura di quell’attacco che non si aspettava e un po’ per la stretta, mentre il suo viso perdeva il poco colore rimasto. Tremando, piangendo, ma senza mai distogliere lo sguardo da quello infuriato di lui, si ritrovò a pensare che forse si era sbagliata sul conto del suo Angelo maledetto: il Fantasma era perfettamente in grado di farle del male.

«Erik…» sussurrò, assaporando, nonostante la situazione, la sensazione del suo vero nome sulle proprie labbra. Lui sembrò fare lo stesso, rilassando la sua espressione e allentando la presa sulla sua gola. Con la punta delle dita sfiorò delicatamente i segni rossi che la sua stretta le aveva lasciato ai lati del collo. Vedendo la tristezza emergere dalla grigia tempesta degli occhi dell’uomo, Christine si chiese, con una punta di preoccupazione e una di paura, come potesse cambiare radicalmente umore in così poco tempo. L’istante successivo si rese conto che non le importava, perché, nonostante tutto, lui era ancora il suo Angelo, l’uomo che aveva messo le ali alla sua voce, l’uomo che l’amava… anche fino al delitto. Dolcemente gli strinse la mano tra le proprie, muovendo inconsciamente un passo per avvicinarsi di più a lui.

«Ti prego,» sussurrò tra le lacrime «cerca di capirmi. Per anni non sei stato altro che una voce. E poi, appena dopo aver scoperto che eri un uomo in carne ed ossa, un uomo che avrei potuto amare…» un singhiozzo spezzato interruppe la frase «Che altro avrei potuto fare? Ero terrorizzata! Avevi appena ucciso un uomo sotto ai miei occhi, temevo che potessi far del male anche a Raoul…» Al nome del visconte l’espressione di Erik si irrigidì, mentre lei continuava a stringergli convulsamente la mano senza smettere di piangere e di tremare. «Ho avuto paura, Erik. Tanta. E non avendo più il mio Angelo a proteggermi sono corsa dall’unica altra persona in grado di farlo.» Lo vide chiudere gli occhi e trarre un profondo sospiro, scuotendo ripetutamente il capo con aria colpevole. Dopo quella che le sembrò un’eternità, risollevò finalmente lo sguardo su di lei prendendole il viso tra le mani e cercando, per quanto possibile, di asciugarle le lacrime.

«Potrai mai perdonarmi, Christine?» domandò, la sua voce angelica atrocemente triste. Istintivamente, senza riflettere, lei gli gettò le braccia al collo, nascondendo il volto contro il suo petto, continuando a piangere. Dopo un primo attimo di esitazione ricambiò l’abbraccio, stringendola a sé tanto da arrivare quasi a farle male, seppellendo tra i suoi capelli quelle lacrime che ora, mentre lei non poteva vedere, scivolavano dai suoi occhi  libere e silenziose. Avrebbe potuto passare l’eternità così, avvolto nel suo dolce profumo, riscaldato dal calore che il suo corpo sottile emanava. Aspettò che smettesse di piangere, desiderando egoisticamente che non lo facesse mai per non essere costretto a lasciarla andare, poi, quando la sentì sospirare contro il suo collo e rilassarsi poggiando la testa alla sua spalla, le baciò i capelli, mormorando un debole «Perdonami…» tra la massa dei suoi ricci castani. Christine si limitò a stringerlo di più, lasciandosi cullare dal battito leggermente accelerato del suo cuore.

«Perdonami, amore mio, perdonami…» ripeté in un sussurro quasi disperato. Lentamente lei sollevò il capo tornando a fissarlo negli occhi, mentre posava dolcemente la sua mano sulla parte scoperta del suo viso. Senza riflettere, ignorando il buon senso che le gridava di tornare da Raoul prima che scoprisse che se n’era andata, si alzò sulle punte dei piedi e, sotto lo sguardo sorpreso di lui, gli accarezzò le labbra con le proprie. Erik si ritrasse appena, come ustionato da quel lieve contatto, mentre il suo cuore traditore sembrava pronto a scoppiargli nel petto. Poi, con esasperante lentezza, si chinò su di lei, sfiorandola con un bacio identico a quello di poco prima. Christine socchiuse gli occhi, soccombendo alla marea di sensazioni che, ora riusciva a rendersene pienamente conto, solo lui riusciva a farle provare. Si sentiva bruciare, come se stesse per prendere fuoco dall’interno, dal suo cuore, o dai punti in cui le labbra di Erik entravano in contatto con le sue. Aveva la sensazione di cadere, precipitare in un vuoto oscuro, oscuro come l’uomo che le stava davanti, lo stesso a cui si aggrappava come se fosse l’unica ancora di salvezza. Ironicamente, forse, non sarebbe potuta essere più lontana dalla verità, in quanto il suo Angelo, il suo Fantasma, era probabilmente l’uomo più pericoloso che avesse mai incontrato. Eppure, anche con quella consapevolezza, non riusciva a rompere il loro bacio, un’armonia di toccate e fuga in costante crescendo.

«Christine…» lo sentì mormorare contro le sue labbra, mentre una voce completamente diversa gridava in lontananza lo stesso nome. Ancora abbracciata a Erik si voltò, perdendo completamente ogni traccia di colore in volto quando la voce risuonò più vicina chiamandola di nuovo.

«Raoul…» sussurrò sconvolta, spalancando gli occhi per la sorpresa. Un basso ruggito felino la costrinse a spostare nuovamente la sua attenzione sull’uomo accanto a sé, metà del suo volto contratto in un’espressione di rabbia, l’altra metà nascosta dalla fredda e impassibile maschera bianca.

«Ti prego, non fare follie…!» L’occhiata che le lanciò la fece tornare a tremare: nemmeno la notte precedente, durante il ballo, le era sembrato così infuriato e terribilmente potente.

«Follie, mon ange?» chiese con voce pericolosamente calma «Cosa ti fa credere che io possa commettere delle follie?» Avrebbe potuto rispondergli che era il bagliore omicida nei suoi occhi a farla preoccupare, ma temeva che dicendolo avrebbe solo peggiorato la situazione. E Raoul era sempre più vicino…

«Erik, ti prego…» Sentì le lacrime soffocarle in gola qualsiasi altra supplica, mentre l’ira sul volto del suo Angelo si scioglieva in una profonda, dolorosa delusione.

«Verrà il giorno, Christine, in cui sarai costretta a fare una scelta. È solo una questione di tempo.» E se ne andò, lasciandola sola a fare i conti con l’altra metà del suo cuore… una metà che non batteva più come prima.

xXx

NdA: Ebbene sì, ladies and gentlemen, sono tornata! Suppongo di non esservi minimamente mancata... ma questo non mi ferma dal ricominciare con un'altra follia! Questa volta niente miscugli assurdi tra libri e film (anche nella speranza che qualcun altro si accorga della mia misera esistenza...), ma solo un po' di sana pazzia! In teoria questa cosa (mi rifiuto di definire ciò che scrivo una storia...) è nata come one-shot... non so esattamente come è diventata quello che è diventata, cioè un gran casino con un finale probabilmente ultra drammatico... D'altra parte è saltata fuori all'improvviso dalla mia immginazione folle e con il tempo, crescendo e assumendo una volontà propria, ha ottenuto il completo dominio sul mio povero cervellino bacato che non ha avuto la forza necessaria per resistere ad un attacco di simile intensità... mi dispiace... Ad ogni modo, spero che vi possa piacere e/o interessare e che qualcuno recensisca (speranza inutile?)... Vi avviso fin da ora che purtroppo temo che non sarò in grado di aggiornare con costanza, un po' per la scuola e un po' per l'ispirazione che fa i suoi porci comodi. Bene, per ora penso di aver detto anche troppo. 

I remain your humble servant, 

bloodred_rose  

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Capitolo 2
*** One day he'll know the taste of freedom ***


THE TASTE OF FREEDOM

JUST A MATTER OF TIME

ONE DAY HE’LL KNOW THE TASTE OF FREEDOM

 

Say you’ll share with me one love, one lifetime
Lead me, save me from my solitude
Say you want me with you here, beside you
Anywhere you go let me go too…

Le lacrime le scorrevano senza freni lungo le guance, un sorriso tristissimo le piegava appena le labbra, ma nulla di tutto questo le importava. L’unica cosa che riusciva a sentire in quel momento era terrore: Erik alla fine aveva fatto una follia. Tutti sapevano che si sarebbe presentato alla prima del suo Don Juan Triumphant, ma nessuno poteva immaginare che avrebbe preso il posto di Piangi sul palco. E ora a lei spettava il compito di porre rimedio al disastro imminente. Il suo Angelo le stava dichiarando il suo amore di fronte a tutto il pubblico, beatamente ignaro dei gendarmi che lo tenevano sotto tiro da quando aveva messo piede in scena, o forse semplicemente fiducioso delle sue arti illusorie. Sapeva bene che la polizia aveva ricevuto l’ordine di prendere finalmente il famigerato Fantasma dell’Opera, vivo o morto. E lei non poteva permettere che accadesse.

Christine, that’s all I ask of…

«Perdonami…» mormorò con le lacrime agli occhi prima di strappargli la maschera dal volto. Per un attimo fu convinto che il suo cuore si fosse fermato, mentre la fissava completamente incredulo. Tradito. Il suo Angelo lo aveva tradito di nuovo. Anche solo pensarlo gli faceva troppo male. Troppo male per rimanere lucido. Estrasse la spada e tagliò il cordone che reggeva l’enorme lampadario di cristallo prima che i gendarmi potessero riaversi dallo stupore e dall’orrore causato dal suo volto ormai senza più maschere. Afferrò Christine per la vita, sentendola aggrapparsi a lui come in un abbraccio mentre cadevano attraverso le botole che aveva aperto fino ad arrivare nel buio del suo regno.



Correva controcorrente per i corridoi affollati dell’Opera Populaire, incurante dell’incendio che stava divampando. Non aveva tempo di pensare alla sua vita o alla fuga, doveva prima trovare Christine! Avrebbe preferito morire piuttosto che lasciarla tra le mani di quel mostro, soprattutto dopo quanto era accaduto su quel palco. Si era reso conto troppo tardi di aver fatto un errore terribile costringendo la donna che amava a cantare nell’opera del Fantasma, ma al momento gli era sembrata la cosa migliore da fare per attirarlo nella trappola. A quanto pareva il suo piano aveva funzionato anche fin troppo, visto che quel maledetto non si era limitato ad assistere, ma era salito sul palco, seducendo la sua Christine e, allo stesso tempo, facendo in modo che la vicinanza di lei impedisse ai gendarmi di sparare. Raoul era rimasto confinato all’interno del palco n. 5 mentre quello che ormai considerava il suo peggior nemico cantava di desiderio e lussuria alla donna che, si era reso tristemente conto anche di questo, entrambi amavano. Sì, era assolutamente convinto che anche il Fantasma dell’Opera amasse Christine: non l’avesse amata non avrebbe nemmeno dato fuoco al suo stesso teatro. Ricordando con rabbia la reazione di lei al solo suono della sua voce, l’abbandono con cui aveva lasciato che quel mostro la toccasse, l’espressione di pura estasi dipinta sul suo volto alla fine del loro duetto, Raoul non poteva fare a meno di chiedersi sa anche lei lo amasse. Le rassicurazioni di Christine quella sera sul tetto dell’Opera lo avevano convinto, ma dopo tutto quello che era successo non poteva e non riusciva più ad essere sicuro di nulla. Eppure, nonostante le sue incertezze, correva alla disperata ricerca di madame Giry, l’unica che, ne era certo, sapeva dove e come trovare il Fantasma. La vide correre verso i dormitori, seguita da sua figlia Meg, e le si avvicinò, gridando per farsi sentire sopra il frastuono dell’incendio.
«Dove l’ha portata?» domandò con urgenza.

«Venite con me, monsieur, vi porterò da lui. Ma ricordate, tenete una mano al livello degli occhi!» e imitando il gesto lo guidò in direzione dei sotterranei.

 

Angel of Music, you deceived me…

Non poteva, non voleva credere a quello che stava succedendo. Dopo averla rapita dal palco, Erik l’aveva costretta a seguirlo per gli interminabili e bui sotterranei dell’Opera, accecato da una rabbia folle. Ancora scossa da quanto era accaduto in scena, Christine non era stata in grado di farlo ragionare e ora ne pagava le conseguenze: in qualche modo Raoul, aiutato da madame Giry, era riuscito ad arrivare vivo ai sotterranei, solo per ritrovarsi, un attimo dopo, legato all’enorme cancello di ferro che divideva le due parti del lago. Quello che al momento la terrorizzava di più, però, non era il cappio attorno al collo del suo fidanzato, ma la follia che brillava negli occhi del suo Angelo caduto. Lo stesso Angelo che un attimo prima dichiarava il suo amore per lei e che l’attimo dopo la costringeva ad una scelta che non era in grado di fare. Il suo ultimatum era stato estremamente chiaro: o lui o la morte di Raoul. Ma Christine non poteva scegliere, non così. Sentiva le lacrime scorrere calde lungo le sue guance mentre teneva lo sguardo fisso su Erik, senza il coraggio di spostarlo sul visconte.

«Io mi sono fidata ciecamente di te…» sussurrò sconvolta.

«Ti avevo avvertita, Christine. Ti avevo detto che un giorno avresti dovuto fare una scelta.» Spalancò gli occhi, incredula, tornando con la mente a quella mattina al cimitero e ricordando con un brivido lungo la schiena la sensazione di quei baci e la feroce delusione con cui le aveva sussurrato quelle ultime parole. Era vero, lui l’aveva avvertita, ma in quel momento non era riuscita a dare peso alla sua velata minaccia. Ora, dopo che l’avvertimento si era trasformato in realtà, era in grado di vedere come stavano le cose.

«Tu sapevi tutto… hai organizzato tutto questo fin dall’inizio…» Lui si limitò a sollevare un sopracciglio, fissandola.

«Dio, che ingenua sono stata!» Si passò le mani tra i capelli, ridendo di se stessa. «Io ti ho perdonato e intanto tu progettavi il modo migliore per rovinare tutto!»

«Potrei accusarti della stessa cosa, Christine. Non hai fatto altro che ingannarmi fin dall’inizio.» Un singolo applauso riecheggiò teatralmente nel buio dei sotterranei. «Brava, i miei complimenti! Non pensavo che fossi una così brava attrice anche fuori dal palco. Sei riuscita a convincermi della tua innocenza, mi hai illuso per poi tornare tra le sue braccia,» disse, accennando con il capo a Raoul, che osservava la scena immobile e senza parole. «mi hai tradito e mi hai umiliato di fronte a tutto il teatro!» gridò.

«Ti avrebbero ucciso! Possibile che tu non riesca a capirlo?»

«Dubito che ti sarebbe dispiaciuto liberarti finalmente di me.»

«Te l’ho già detto, Erik: non ho nessuna intenzione di liberarmi di te.»

«Strano, mi pareva di averti sentito dire il contrario quella notte sul tetto…» Raoul sussultò: allora li aveva visti! E, a quanto pareva, dopo aveva anche parlato con Christine, o lei non avrebbe avuto modo di sapere il suo nome. All’improvviso, come per volontà propria, gli si affacciò alla mente il ricordo dell’espressione stravolta di lei la mattina dopo il ballo in maschera, quando l’aveva trovata al cimitero. Era pallida, con gli occhi rossi di pianto, le tracce lasciate dalle lacrime lungo le guance e poi… i segni sul suo collo che aveva cercato disperatamente di coprire con la sciarpa.

«Bastardo…» mormorò. Il Fantasma lo sentì e diede uno strattone alla corda, stringendo ancora di più il cappio attorno alla sua gola.

«No!» In un attimo, Christine arrivò di fronte ad Erik, incurante dell’acqua che le inzuppava il vestito fino alla vita.

«Lascialo andare, lui non centra! È una questione tra noi due!» tentò con voce disperata. Lui rise, scuotendo il capo.

«E perché no? Così avresti modo di continuare a divertirti, dico bene?» lasciò che il sarcasmo scivolasse senza veli in ogni sua parola, poi tornò serio. «Scordatelo. Questo gioco è durato abbastanza, Christine. Fa’ la tua scelta.» Lacrime amare le rigavano il viso mentre continuava a fissarlo nella speranza che quel lume di follia si spegnesse.

«Perché devi essere così dannatamente egoista?» gli chiese.

«Egoista?» ripeté stupito. «Per dieci anni non ho fatto altro che prendermi cura di te. Ti ho insegnato a cantare, ti ho insegnato tutto quello che so, ti ho dato tutto, ho vegliato su di te come l’angelo che credevi che io fossi, ho messo l’intera città di Parigi ai tuoi piedi la sera della tua prima esibizione e quando finalmente, dopo dieci anni passati nell’ombra, mi sono mostrato nella speranza di un minimo di riconoscenza tu mi hai voltato le spalle, mi hai tradito, mi hai rinnegato! Egoista?» rise di nuovo senza allegria. «No, Christine, l’unica vera egoista qui sei tu!» Un attimo dopo si ritrovò con il capo voltato verso destra, mentre il suono dello schiaffo echeggiava nel silenzio improvviso e pesante. Sentì un dolore bruciante infiammargli la guancia e se non avesse visto la mano di lei ancora sollevata non avrebbe mai creduto possibile quello che era appena successo. Lentamente, respirando a fondo, riprese il controllo, mentre la nube che sembrava offuscare i suoi occhi si dissipava. Spostò lo sguardo su Christine, fissandola come se la vedesse per la prima volta e si rese conto dello stato in cui la sua follia li aveva ridotti. Sospirò, passandosi una mano tra i capelli in un gesto nervoso, poi, scuotendo ripetutamente la testa, diede loro le spalle e si diresse lentamente verso la riva.

«Andatevene prima che vi trovino qui.» mormorò senza voltarsi. Sparì tra le ombre della casa sul lago, mentre Christine correva a liberare Raoul dalle corde e, soprattutto, dal cappio. Si strinsero in un abbraccio disperato, lasciando che la paura scivolasse via all’ormai scampato pericolo, ma quando lo sentì cercarle le labbra per un bacio lei si tirò subito indietro.

«Comincia a preparare la barca.» sussurrò accarezzandogli una guancia. «Io… io arrivo subito.»

«Christine, non gli devi niente!» Non poteva lasciarla tornare da quel mostro, non dopo che li aveva lasciati liberi. Non voleva correre il rischio di perderla di nuovo.

«No… gli devo almeno un addio…» e, con le lacrime agli occhi, si voltò, lasciandolo solo in mezzo al lago. Trovò il suo Angelo seduto davanti all’organo, i gomiti appoggiati alle ginocchia e il capo chino a fissare l’anello dorato che teneva in mano, lo stesso che le aveva regalato e che lei credeva di aver perso quella notte sul tetto.

«Perché sei ancora qui, Christine?» domandò con voce stanca, conscio della sua presenza nonostante le stesse dando le spalle. Lei si limitò ad avvicinarglisi senza rispondere, certa che la sua voce avrebbe tremato se si fosse azzardata a parlare. Erik si alzò con un sospiro e si voltò per fronteggiarla, gli occhi carichi di tutta la tristezza del mondo. Incontrò il suo sguardo con un moto di rabbia verso se stesso per le lacrime che vedeva scorrere, chiedendosi il perché dell’accenno di sorriso che le increspava le labbra. Senza pronunciare una sola parola, Christine gli prese l’anello e, lentamente, lo fece scivolare come una fede nuziale al dito di lui.

«Cosa…?» non riuscì a terminare la domanda. Senza sapere esattamente come, si ritrovò la donna che amava tra le braccia, perso in un bacio che avrebbe potuto essere la sua stessa fine, con le dita di lei tra i capelli e il cuore che sembrava sprofondare in un abisso. La strinse a sé con disperazione, sentendola fare altrettanto, e si staccarono solo quando si resero conto di non riuscire più nemmeno a respirare.

«Erik, io…» L’azzittì subito, prima che dicesse qualcosa di cui si sarebbe potuta pentire, e riprese a baciarla, reclamando nuovamente le sue labbra come proprie. Si lasciarono sopraffare dalla passione, vicini come non mai al punto di non ritorno, quando il rumore della folla li richiamò dolorosamente alla realtà. Si allontanò da lei un secondo prima che Raoul si precipitasse nella stanza per cercare quella che, a tutti gli effetti, era la sua fidanzata, preoccupato, o meglio, terrorizzato dall’idea che potesse esserle successo qualcosa. La squadrò, accorgendosi con ben più di una punta di gelosia del suo respiro affannato e delle labbra gonfie, poi spostò la sua attenzione sul Fantasma e se gli sguardi fossero stati lame dei due non sarebbe rimasta che polvere. Voci sconosciute, fortunatamente ancora lontane, ruppero il silenzio, costringendo Erik a rinunciare una volta per tutte alla speranza di tenere Christine con sé.

«Non devono trovarvi qui.» disse rivolto ad entrambi, ma tenendo lo sguardo su di lei.

«Erik…»

«No.» la interruppe. Poi, parlando direttamente a Raoul per la prima volta, aggiunse:

«Portala via. Se le succede qualcosa, qualsiasi cosa, ne risponderai a me!» Il visconte non rispose, ma l’occhiata che gli lanciò mentre guidava una Christine disperatamente in lacrime fuori dalla stanza valeva da sola più di qualsiasi altra parola. Dopo un attimo perso nei suoi pensieri a scorrere la lista mentale di tutte le sue vie di fuga e a scegliere la più adatta, Erik li seguì, fermandosi sulla riva del lago ad osservare la barca che si allontanava. Credere a quel che aveva fatto gli riusciva difficile. La stava davvero lasciando andare. La stava lasciando andare nonostante l’amasse e nonostante sapesse che, seppur in minima parte, lei ricambiava. La stava lasciando andare perché l’amava e non poteva permettere che la donna per cui avrebbe venduto l’anima dovesse soffrire una vita nell’oscurità a causa sua. La stava lasciando andare perché, anche se lei fosse riuscita a farlo uscire alla luce del sole, metaforicamente e letteralmente, i suoi crimini l’avrebbero condannata ad una vita di fughe al fianco di un ricercato. E lui non poteva permettere che la sua Christine soffrisse tutto questo. La vide voltarsi nella sua direzione, cercare il suo sguardo con gli occhi carichi di dolore e di quella che sembrava essere paura. Paura per la sua sorte? Forse, a giudicare dal rumore della folla sempre più vicina. Stirò le labbra in un sorriso, facendole cenno col capo di guardare avanti e di dimenticarlo. Con il volto rigato di lacrime Christine Daaé obbedì all’ultimo ordine del suo maestro, aggrappandosi con tutte le sue forze all’immagine del suo sorriso. Erik si voltò e in un attimo sparì in uno di quei cunicoli che solo lui conosceva, lontano dalla folla che voleva vederlo appeso per il collo, lontano dalla sua anima e dal suo cuore, solo e per sempre nelle mani della sua Christine, lontano dall’unico luogo che aveva mai chiamato casa… lontano da tutta una vita, ma finalmente libero. Libero di una libertà costretta, una libertà precaria, che forse sarebbe durata un mero istante, ma che, allo stesso tempo, era carica di speranze. Uscì all’aria aperta lontano dall’Opera in fiamme, sotto lo sguardo di due lune, una alta nel cielo e l’altra riflessa nella Senna. Respirò a fondo e si concesse un altro sorriso prima di rimettersi in cammino verso l’unico altro luogo di Parigi che conoscesse. Avrebbe dovuto rispondere ad un bel po’ di domande, tenendo conto della curiosità del daroga e del suo ruolo auto imposto di sua coscienza, ma un po’ di aiuto non gli avrebbe fatto male: in fondo aveva una fuga da organizzare! E forse, un giorno, avrebbe anche conosciuto il sapore della libertà.

xXx

NdA: Allora, vi dico subito che questo capitolo non mi convince per niente. C'è sicuramente qualcosa che non va, ma non riesco a capire che cosa (e questo mi dà parecchio sui nervi)!!! Avevo anche pensato di finirla così e al diavolo tutte le idee assurde che ho per questa storia, però poi ho realizzato che ho promesso un finale tragico (almeno in parte) e questo non si avvicina nemmeno lontanamente a quello che ho in mente (e per il quale temo che qualcuno di voi mi ucciderà...). Comunque, immagino vi siate accorti che non sono riuscita nemmeno questa volta a estraniarmi completamente dal libro, ma non posso farci niente, è più forte di me ^^ e alcune cose proprio non le posso eliminare, mi piacciono troppo! Ok, passiamo ai ringraziamenti che forse è meglio...

A Elby: Tanto per cominciare ti dico che dopo aver letto la tua recensione ho deciso che a Natale mi farò regalare un nano da giardino, così quando l'ispirazione andrà in vacanza mi metterò fuori a guardarlo gongolare... Scherzi a parte, sono contenta che la storia (almeno per ora) ti piaccia e in effeti sì, le scene nei cimiteri mi vengono particolarmente bene ^^ (non ti preoccupare, mi hanno detto di peggio ^^). Adesso però mi hai incuriosita: quand'è che conti di pubblicare questa tua "what if"? Perché la pubblihi, VERO? Ad ogni modo, ti assicuro che anche qui ci sarà una buona dose di rosa, ma mi riscatterò con il finale... hihi, spero che non cambierai idea a proposito dopo che avrai scoperto come finirà questa storia... Ultima cosa: in realtà non so nemmeno io perché Erik mi si scioglie così, ma, come ho già detto, la storia si sta scrivendo da sola e io mi limito a battere a pc quello che lei stessa mi detta.... Sono pazza, lo so ^^.

A Lady Lucilla: Amore!!! Non mi aspettavo anche la tua recensione!! Quanto ai nosti cervellini bacati, domattina chiediamo alla Miry cosa capisce delle nostre conversazioni fantasmose e avremo una risposta sul nostro grado di follia ^^. E a proposito di follie, conti di scannerizzarlo quel disegno o speri che prima o poi io me ne dimentichi? (Informazione gratuita: la qui citata Lady Lucilla ha fatto un disegno fantastico sul bacio tra Erik e Christine in questo capitolo... computer permettendo spero di riuscire a metterlo da qualche parte in modo che lo possiate vedere, perché, fidatevi, ne vale la pena!!) Gaiuzza, tesoro, lo sai che quando voglio so essere pericolosamente rompipalle... Comunque ci vediamo domani.

A Inomuiro: Grazie per i complimenti!! Come vedi il seguito c'è, spero solo che ti piaccia, e sì, prima o poi Christine farà la sua scelta... ma temo di non poterti dire quale sarà ^^.

Grazie anche a chi legge e non recensisce (sì, dovrei odiarvi, ma fa sempre piacere sapere che comunque c'è qualcuno che si degna di aprire questa pagina) e a chi ha inserito la storia tra i preferiti. Per ora è tutto, spero di riuscire ad aggiornare il prima possibile.

I remain your humble and obedient servant,
bloodred_rose  

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Capitolo 3
*** Forgive me my sins ***


JUST A MATTER OF TIME

FORGIVE ME MY SINS
 

Era di nuovo nella casa sul lago, di nuovo tra le braccia di Erik, di nuovo persa nei suoi baci, ma questa volta né la folla né tantomeno Raoul si sarebbero intromessi. Sentiva le labbra di lui tracciare una scia confusa lungo la sua gola, mentre lei finiva alla cieca di sbottonargli la camicia per poi fargliela scivolare dalle spalle. In un secondo si ritrovò distesa sul letto, circondata dalle lenzuola di broccato rosso, con la sua bocca premuta contro il seno e le sue mani che correvano lungo tutto il suo corpo, facendola rabbrividire di un piacere proibito. Attraverso le palpebre socchiuse lo vide sollevarle la gonna, lo sentì accarezzarle l’interno delle cosce, vicino, sempre più vicino…

Christine si svegliò di soprassalto e si mise immediatamente a sedere con le lenzuola sudate attorcigliate attorno alle gambe e il respiro affannato, rendendosi conto di essere nella sua stanza alla villa dei de Chagny. Era passata una settimana da quella notte, una settimana scandita dagli sguardi e dai sussurri scandalizzati della servitù, dalle deboli rassicurazioni di Raoul e da quei sogni che le toglievano le forze. L’idea stessa del tramonto le era diventata insopportabile perché il calare del sole l’avrebbe condannata a rivedere ancora una volta ciò che non poteva avere. Si stava lasciando cadere in un abisso dal quale non aveva speranze di uscire e al cui fondo c’erano solo infelicità e apatia. Era vero, amava Raoul, su quello non aveva mai mentito, ma non era l’amore che lui meritava dalla donna che doveva diventare sua moglie, la stessa donna che aveva consegnato la sua anima, il suo cuore e, nei suoi sogni, il suo corpo ad un altro uomo. Erik, il suo Angelo della Musica. Si era resa conto di amarlo davvero solo quando lui li aveva lasciati liberi, quando l’aveva praticamente costretta ad andarsene, lasciandolo alla mercé della folla che lo voleva morto. Una parte di lei era certa che fosse riuscito a fuggire in tempo, ma l’altra era terrorizzata all’idea che si fosse consegnato ai suoi inseguitori per espiare peccati di cui era solo parzialmente colpevole. Forse era per questo che continuava a sognarlo, perché sapeva che, se fosse morto, la colpa, almeno dal suo punto di vista, sarebbe ricaduta su di lei. Perché, in questo caso, sarebbe morto senza sapere che lei lo amava. Con un gesto di stizza scostò le lenzuola e, aprendo appena una fessura tra le pesanti tende che oscuravano la stanza, si accorse con sollievo che era mattina, anche se da poco. Si vestì in fretta, grata di non aver bisogno di nessun aiuto, e scribacchiò un biglietto, che lasciò in ingresso, nel quale spiegava che aveva semplicemente sentito nostalgia di Parigi e che era andata a fare visita a madame Giry e a Meg. Dubitava che Raoul avrebbe creduto ad una simile scusa, ma con lui avrebbe fatto i conti una volta di ritorno… sempre che fosse tornata. Uscì, senza voltarsi indietro nemmeno per un istante, consapevole che si stava lasciando alle spalle non solo una vuota gabbia dorata, ma anche quella parte del suo cuore che sarebbe sempre appartenuta al suo primo amore.

 

 
L’alba si levava sulla città di Parigi addormentata, mentre una singola carrozza correva lungo rue Rivoli. Si fermò davanti a un portone, lasciando scendere un uomo di origine chiaramente straniera, spossato dal lungo viaggio e turbato dalle notizie che gli erano giunte fino in Italia. Aveva saputo un paio di mesi prima da informatori sufficientemente affidabili di un qualche scandalo all’Opera Populaire, ma allora non aveva pensato che quello scandalo potesse avere a che fare con Erik. Poi, appena una settimana prima, era venuto a sapere dell’incendio che aveva devastato il teatro e del contemporaneo rapimento di Christine Daaé da parte del Fantasma dell’Opera e si era dato dell’idiota per non aver capito. Erik aveva ignorato un’altra volta i suoi consigli e si era cacciato nei guai, fino a che punto ancora non lo sapeva. Sperava solo di non essere arrivato troppo tardi. Entrò in casa, trovando il fedele Darius ad aspettarlo con un'espressione preoccupata dipinta sul volto. Scambiarono qualche rapida parola in persiano, poi Nadir Khan, ex daroga di Persia, si diresse verso il suo studio ed entrò a passo di carica. Appoggiata al davanzale della finestra, dandogli le spalle mentre osservava il sorgere del sole, stava la figura scura di un uomo, un uomo che lui conosceva molto bene.
«Ah, daroga, finalmente!» mormorò e non fu il suo tono stanco a stupire Nadir, ma la maschera che indossava, non la solita, elegante stoffa bianca a cui si era abituato, ma quella di cuoio nero che era solito portare a Mazenderan.
«Dimmi che niente di quello che ho saputo è vero…» Erik sospirò pesantemente.
«Vorrei poterlo fare, ma non posso.»
«Maledizione, Erik!» scattò il daroga. «Sei impossibile! Ti lascio da solo due mesi e tu combini un disastro! Hai dato fuoco all’intero teatro, te ne rendi conto?» l’uomo si accasciò su una sedia, lasciando andare un altro sospiro.
«L’incendio è stato un incidente.» sussurrò. «Almeno di quello non accusarmi.»
«E Piangi? E il rapimento di Christine? Incidenti anche quelli?»
«D’accordo, daroga, hai vinto tu. Vuoi sentirmi dire che sono un mostro? Va bene!» Si alzò di scatto e, dopo avergli lanciato un’occhiata di fuoco, iniziò a misurare a grandi passi la stanza. «Ho ucciso quell’idiota di Piangi e non so nemmeno il perché, non ho idea di cosa mi abbia preso quella notte. So solo che si trovava tra me e Christine e mi è parso un motivo sufficiente per toglierlo di mezzo. No, non mi interrompere, dannazione!» scattò non appena lo vide aprir bocca. «Adesso starai a sentire tutta la maledetta storia fino alla fine! Ho rapito Christine e l’ho anche quasi costretta a sposarmi, minacciando di uccidere il suo visconte. Avrei fatto quello ed altro se lei non mi avesse fermato. Li ho lasciati andare… che altro avrei potuto fare?» scosse la testa, ridendo di se stesso. «Pensavo che così mi sarei sentito meno in colpa, che sarei riuscito a perdonarmi per i miei peccati… e l’unica cosa che ho ottenuto è stato perdere anche il poco che avevo!»
«Hai guadagnato la libertà…» la sua risata ironica si fece ancora più forte.
«La libertà? Io non sarò mai libero. Non mi libererò mai del suo ricordo, né del pensiero di lei tra le braccia di quel ragazzo, né tantomeno dei miei sensi di colpa. E in ogni caso sono un ricercato, ho tutti i gendarmi di Parigi sulle mie tracce ad aspettare solo che io faccia un passo falso. Libero? No, daroga, io non sono libero per niente.» E con questo tornò a voltarsi ostinatamente verso la finestra, fissando il sole già più alto nel cielo.
«Vieni con me.» ordinò dopo un attimo il persiano, rompendo il silenzio.
«Cosa? E dove?»
«Tu seguimi.» Si voltò e uscì dalla stanza, solo per girarsi nuovamente quando si accorse che Erik non si era mosso.
«Allora?» domandò spazientito «Guarda che non abbiamo tutto il tempo del mondo…»
«Tu sei pazzo, daroga…» Nadir ridacchiò.
«Andando con lo zoppo si impara a zoppicare… Forza, prima che cominci ad arrivare gente!»
«E uscire alla luce del sole?» domandò con uno sguardo misto tra il derisorio e l’incredulo. «Se proprio vuoi vedermi morto manda un biglietto ai gendarmi e di’ loro dove trovarmi, ma almeno abbi la pietà di risparmiarmi l’ennesima umiliazione pubblica!» L’altro sbuffò esasperato.
«Non fare il melodrammatico, sai benissimo che non ti voglio morto, o non avrei rischiato la vita per salvarti il collo in Persia. E adesso muoviti, non ho intenzione di aspettare i tuoi comodi in eterno!» A quell’ordine perentorio Erik lo seguì con riluttanza, uscendo per la prima volta dopo la terribile sera del Don Juan.

 

 
«Perdonatemi, padre, poiché ho peccato.» Inginocchiata in uno dei confessionali dell’immensa cattedrale di Notre Dame, Christine Daaé cercava un modo per riprendere le redini della propria vita, oltre che l’assoluzione per i propri peccati.
«Va’ avanti, figliola.» Chiuse gli occhi, respirando a fondo prima di rispondere.
«Ho peccato di vanità e, soprattutto, di ingenuità. Sono rimasta a guardare mentre due delle persone che più amo a questo mondo tentavano di uccidersi a vicenda… e poi ho tradito entrambi.» Le lacrime cominciarono a scorrere senza pietà lungo il suo viso.
«Ad una così giovane età un tradimento non può essere tanto grave…» mormorò il sacerdote, cercando di consolarla.
«Invece lo è, padre, dovreste saperlo! Tutta Parigi ne parla!»
«Io ascolto confessioni e preghiere, mia cara, non pettegolezzi.» ribatté bonariamente e Christine poté vedere con chiarezza il suo sorriso mentre le faceva cenno di continuare.
«Ho rinnegato il mio maestro, i suoi sentimenti… Mi amava. Mi amava tanto da arrivare ad uccidere per me. E io l’ho lasciato solo a morire…» scoppiò a piangere ricordando il suo ultimo sguardo.
«Spiegati meglio, figlia mia.»
«Fu il mio maestro per dieci anni e in tutto quel tempo io non lo vidi mai di persona. Poi, appena dopo il successo del mio debutto, appena dopo il ritorno di Raoul, un mio amico di infanzia che fino a poco fa credevo di amare, lui si presentò come un uomo in carne ed ossa e non più solo come una voce.» Si fermò, sopraffatta dai ricordi e dalle lacrime. «Immagino» riprese quando si fu calmata «che abbiate per lo meno sentito nominare il Fantasma dell’Opera.» Il sacerdote annuì. «Era lui il mio maestro. Lui che con la sua musica mi riportò alla vita quand’ero appena una bambina e che non ha esitato a diventare un assassino per me, sempre che non lo fosse già stato. Ha messo ai miei piedi un amore immenso e tragico, la sua anima nelle mie mani, mi ha dato la sua musica, tutta la sua vita… e io, traditrice, l’ho lasciato a morire per fuggire con Raoul.» Scoppiò di nuovo in singhiozzi, portandosi le mani al volto con disperazione, adirata con se stessa al ricordo di quanto aveva fatto.
«Questo perché ami Raoul.» mormorò il prete. Christine, suo malgrado, si ritrovò a ridere senza alcuna traccia di allegria.
«No, padre, o non chiederei perdono anche per un tradimento nei suoi confronti. Ero così ingenuamente felice di vivere una favola da non rendermi conto che in realtà non provavo niente più che un affetto fraterno per lui. Ero talmente terrorizzata dall’idea che il mio maestro, il mio… il mio Angelo fosse un assassino che nemmeno per un momento ho pensato di poterlo amare davvero. Credevo che fosse solo pietà. E invece mi sbagliavo.» Lasciò cadere il silenzio, rotto solo dai singhiozzi che non riusciva a trattenere, poi sentì il sacerdote sospirare.
«Io lo amo, padre.» sussurrò con vece disperata. «E non posso smettere di amarlo, nemmeno se è morto.»
«E sei certa che sia morto?»
«No. È per questo che mi sento in colpa, per questo continuo a sognare di tornare da lui…» Chiuse gli occhi, cercando di scacciare le immagini che rivedeva ogni notte, poco adatte al momento della confessione.
«Padre, vi prego, perdonatemi!» gemette. Il sacerdote lasciò andare un altro sospiro, osservando attraverso la grata del confessionale l’espressione disperata della giovane donna.
«Ego te absolvo, in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti…»

 

 
Magnifica, immensa, tanto da togliere il fiato. Lui la conosceva, l’aveva già vista ed era impossibile scordarla, scordare la Facciata occidentale, le sue guglie, le due torri, la Galleria dei Re… Eppure, in tanti anni, non era mai entrato, una mancanza che il suo animo di artista gli perdonava solo per quieto vivere. L’aveva studiata da lontano, o protetto dall’oscurità della notte, senza il coraggio di affrontarla alla luce del sole, di mischiarsi con i fedeli. Ma ora era là, di fronte al portale del Giudizio Universale, sotto lo sguardo severo e ammonitore di santi e di angeli degni di portare quel nome. Per la prima volta poteva vedere i rosoni illuminati risplendere dei loro colori e non riuscì a trattenere un sorriso, malgrado la situazione alquanto precaria in cui si trovava.
«Ah, vedi che ho fatto bene a portarti qui?» Spostò lo sguardo dalla cattedrale e si voltò continuando a sorridere, anche se solo vagamente.
«Non sapevo che fossi cristiano, daroga
«Infatti non lo sono. Credevo che lo fossi tu.» Erik scosse leggermente il capo.
«Hai intenzione di dirmi cosa ci facciamo qui o pensi di continuare a tenermi all’oscuro?»
«Che ne diresti di parlarne dentro?» Tornò a spostare lo sguardo sul portale come a chiedere conferma della possibilità per lui, un assassino, di entrare in una delle più belle cattedrali al mondo. Sentì la mano di Nadir sulla sua spalla e mosse un paio di passi in avanti, confortato, in un certo senso, dalla presenza del suo vecchio amico. Un altro lieve sorriso gli piegò le labbra mentre si chiedeva quando, esattamente, avesse iniziato a considerare il daroga un amico e non più una spina nel fianco. Forse quando lo aveva salvato dalla condanna a morte in Persia, aiutandolo a fuggire e pagando il tradimento con l’esilio. O forse semplicemente quando, nonostante tutti i litigi e tutti i suoi errori, Nadir gli era rimasto accanto, anche negli anni bui in cui si era convinto di essere un Fantasma sepolto nei sotterranei dell’Opera, gli anni prima di conoscere Christine. Il portone di legno massiccio si aprì sotto la sua spinta e ancora una volta si trovò immerso nell’oscurità, anche se diversa da quella a cui era abituato, appena illuminata dalle migliaia di candele che ardevano in ogni nicchia e dai colori che la luce del sole proiettava attraverso le vetrate. Lasciò scorrere lo sguardo sull’immensità della cattedrale, resa ancora più estrema dalla quasi completa assenza di fedeli. Seguì il daroga lungo la navata centrale, registrando con occhio critico ogni singolo dettaglio, oltrepassando i confessionali con i loro mormorii sommessi, fino a giungere in una delle cappelle laterali. Si ritrovò per un attimo senza fiato, perso nell’intensità di quello sguardo di pietra, nella profonda dolcezza di quegli occhi immobili e candidi. Cercò di riscuotersi, chiedendosi come una semplice statua potesse turbarlo a quel punto, prima di rendersi conto che quella non era solo una semplice statua. Lei era Notre Dame.
«È bellissima, vero?» mormorò la voce del daroga. Fu tentato dal rispondere: “no, molto di più”, ma in quel momento ogni parola gli sarebbe sembrata priva di significato, esperienza nuova per lui che aveva sempre una parola per tutto. Tornò a fissare il marmoreo splendore della statua, aspettandosi da un momento all’altro di vederla scendere dal suo piedistallo tanto la luce soffusa delle candele la rendeva viva. Mai in vita sua aveva visto qualcosa di così mistico e, allo stesso tempo, così profondamente reale, forse semplicemente perché in tutti i suoi viaggi non aveva mai messo piede in una chiesa. E questo lo metteva a disagio.
«Perché mi hai portato qui?» domandò senza distogliere lo sguardo da Notre Dame. Quando si accorse che non aveva ricevuto nessuna risposta si voltò, trovandosi completamente solo nella cappella. Sbuffò, ma sapeva che in fondo si sarebbe dovuto aspettare una cosa simile dal daroga: lasciare le discussioni a metà era da sempre una delle sue abitudini peggiori. La sua attenzione fu nuovamente catturata dallo sguardo senza tempo della statua e in qualche modo si trovò a ripensare per l’ennesima volta all’ultima notte dell’Opera. In quegli occhi gli sembrava di riuscire a vedere ancora il lampadario, le fiamme dell’incendio, le acque torbide del lago Averno, le lacrime di Christine, la luna riflessa nella Senna… Era un modo per farlo sentire ancora più in colpa? Se l’intenzione era quella di certo stava funzionando. Cercavano di convincerlo a confessarsi? Forse. Gli sfuggì una risata all’idea di quello che una sua confessione avrebbe potuto suscitare in un sacerdote. I suoi crimini erano troppi e troppo grandi perché potesse ottenere l’assoluzione. Aveva ucciso, sia consapevolmente che inconsciamente, ma non se n’era mai pentito. Non avrebbe avuto senso pentirsi: il passato era passato e non avrebbe potuto cambiarlo nemmeno volendo. E in ogni caso non era a quello che doveva pensare, ma al futuro. Christine lo aveva liberato da parte delle catene che lo tenevano imprigionato nella sua oscurità, ma ora, da solo, doveva trovare la forza di accettare quella libertà finché era possibile. Qualcosa che non poteva fare a Parigi, con tutti i gendarmi sulle sue tracce, né in Francia, dove ormai la voce sul Fantasma dell’Opera si era ampiamente sparsa. Ricordò il motivo che l’aveva spinto a cercare il daroga una settimana prima, la fuga, e sentì l’ennesimo sorriso salirgli alle labbra. Lanciò un ultimo sguardo alla statua e, di nuovo, gli sembrò di vederla prendere vita e annuire con un cenno del capo. Si voltò, lasciandosi alle spalle la cappella illuminata dalle candele per ripercorrere a ritroso la navata centrale, ancora completamente vuota, e raggiunse il portone dove, come sospettava, lo stava aspettando il daroga.
«Notre Dame è il luogo migliore per riflettere in pace, non trovi anche tu?» Lo guardò storto per un attimo e scelse di non rispondere alla leggera provocazione.
«Era proprio necessario trascinarmi fin qui?» Il Persiano sorrise con aria saccente.
«Se ti avessi lasciato chiuso in casa saresti uscito dal tuo pietoso stato di autocommiserazione?» La domanda non aveva bisogno di alcuna risposta, lo sapevano entrambi.
«Allora, cos’hai intenzione di fare?» chiese di nuovo il daroga rompendo il silenzio che si era creato. Erik sospirò, voltandosi appena in modo da mostrare solo la maschera, fissando un punto imprecisato tra le ombre della cattedrale.
«Devo chiederti un favore, Nadir. Aiutami ad uscire dalla Francia.» Il sorriso dell’altro si allargò, mentre estraeva da una tasca quelli che avevano tutta l’aria di essere visti e biglietti.
«Giusto per sapere…» Fece una piccola pausa per essere certo di ottenere la sua completa attenzione, poi riprese. «…ti ricordi ancora qualcosa di inglese?»


xXx

NdA: ... (bloodred_rose al momento è nascosta in un rifugio antitempesta nella speranza che lì possa essere al sicuro dalla collera dei lettori) Vi prego, non uccidetemi, sono troppo giovane per morire! Lo so che ci ho messo una vita e che sono tornata con un capitolo insulso in cui non succede niente, ma ho avuto a che fare con le forze combinate del blocco dello scrittore e della quinta ginnasio, per cui non è che mi sia esattamente divertita... Vi chiedo umilmente perdono... Accordatemi la grazia (anche perché se non lo fate non saprete mai come andrà a finire la storia...XD)! Ok, ora che ho strisciato come si deve passo ai ringraziamenti.

A Elby: Bhè, per lo meno questa volta non avrai bisogno della bombola d'ossigeno, dato che è un capitolo di calma piatta! Lietissima di trovare un'altra fan del daroga, spero che continui a piacerti anche ora che ho provato a caratterizzarlo un po' meglio. Per quanto riguarda i passaggi veloci... ehm... temo che per quello non potrò farci niente, io sinceramente non mi accorgo della velocità di ciò che scrivo, ma ammetto che nel capitolo scorso ho fatto un po' di casino ^^. 

A masked_lady: Sono felice che la storia per ora ti piaccia. Purtroppo non ho la più pallida idea di quando riuscirò ad aggiornare...spero solo più velocemente rispetto a questa volta! Riguardo a Erik e Chrsitine... eh, mi dispiace, ma non posso dirti niente, lo scoprirai solo leggendo!

Ringraziamenti speciali alla mitica Marty, che mi ha momentaneamente liberata dal blocco, e a Lady Lucilla, che mi controlla sempre tutto e si arrabbia da matti quando scopre che non scrivo ^^. 

Per ora, purtroppo, è tutto... non aspettatevi un aggiornamento rapido.

Your humble servant,

bloodred_rose

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Capitolo 4
*** Could we start again, please? ***


COULD WE START AGAIN, PLEASE?

JUST A MATTER OF TIME

COULD WE START AGAIN, PLEASE?

 

Je veux vivre cantava Giulietta nell’opera di Gounod. “Je veux vivre” cantava, con gli occhi di tutti puntati addosso, con il pubblico ai suoi piedi. Niente le dava più soddisfazione che sentirsi la regina incontrastata del teatro, che cantare e lasciare che la sua voce salisse fino a toccare gli angeli. La musica era sempre stata tutta la sua vita, fin da quando era bambina e ancora di più negli ultimi due anni, da quando l’Opera di Parigi era stata distrutta in quel maledetto incendio. Da allora per lei niente era più stato lo stesso. Forse la sua vita era cambiata in meglio, forse in peggio, ancora non lo sapeva con certezza. Però sapeva una cosa: era soddisfatta di quel che era diventata in quei due anni. Prima Donna alla Royal Opera House di Londra, Christine Daaé aveva raggiunto ancora una volta la vetta della sua carriera, senza misteriose presenze a spianarle la strada e a minacciare i direttori e senza ricchi corteggiatori pronti a sposarla. Una vita senza Erik e senza Raoul. Le mancavano entrambi come l’aria, ma era il prezzo che aveva dovuto pagare per la sua ingenuità. Aveva rotto il suo fidanzamento con Raoul una settimana dopo il rogo dell’Opera Populaire, dopo essere scappata dalla sua villa per tornare a Parigi. Aveva cercato madame Giry e le aveva confessato tutto, sperando quasi che la donna l’accusasse di essere una stupida. E invece l’aveva accolta a braccia aperte, come avrebbe fatto una madre. Ricordava vagamente di averle domandato se avesse avuto notizie di Erik, di essere scoppiata in lacrime alla sua risposta negativa, di averle chiesto di accompagnarla nei sotterranei per cercarlo e di aver ricevuto nuovamente un “no”, questa volta più deciso. Aveva passato un paio di mesi assieme a lei, ritrovando una sorta di tranquillità, interrotta solo dalle discussioni con Raoul, fermamente deciso a non lasciarla andare, né a rompere il fidanzamento. Christine aveva provato a spiegargli perché non poteva sposarlo, aveva cercato di fargli capire che la sua vita era, ed era sempre stata, in un teatro e che restando con lui avrebbe dovuto rinunciare alla musica, ma il visconte si era rifiutato di starla a sentire. Erano passati quasi due anni dal litigio che li aveva definitivamente divisi e in quasi due anni non si erano più visti, né avevano più avuto l’uno notizie dell’altra. Lei poteva solo sperare che, con tutto quello che era successo a Parigi in quegli anni, Raoul stesse bene e che magari avesse trovato una donna capace di dargli quello che lei non aveva potuto. Lo scroscio di applausi dalla platea la risvegliò dai suoi pensieri. Persa com’era nelle sue riflessioni non si era nemmeno resa conto che la sua aria era terminata, ma non era la prima volta che le capitava: da quando era arrivata a Londra aveva imparato a distaccarsi mentre cantava, una cosa che avrebbe fatto infuriare Erik, se solo fosse stato lì per vederla. Il risultato che otteneva era molto simile a quello della Carlotta dei tempi d’oro: una voce stupenda e nessuna emozione. Si inchinò, mentre dai palchi e dalle file più vicine piovevano fiori lanciati dagli ammiratori. Attese con il sorriso sulle labbra che il sipario si chiudesse, poi si diresse verso il suo camerino per cambiarsi e prepararsi alla lunga serata che, ne era certa, la aspettava.

 

 
La malinconia nei suoi occhi grigi al sentire nuovamente il suono di quella voce, la voce del suo Angelo… fu come risvegliarsi da un incubo durato due anni. Sul palco, nel ruolo di Giulietta, Christine Daaé cantava come non l’aveva mai sentita fare prima. E dire che lui era stato il suo maestro per tanti anni… Sembravano essere passati secoli dall’ultima volta in cui l’aveva vista, la terribile notte della sua disfatta, la notte in cui lei se n’era andata, la notte in cui lui l’aveva lasciata andare con il suo fidanzato. La sua doveva essere una maledizione: scappare da lei e dal suo ricordo solo per ritrovarla di nuovo nell’ultimo luogo in cui si sarebbe aspettato di vederla. Quello che non riusciva a spiegarsi era come, dopo averla lasciata a Raoul de Chagny, fosse riuscito a trovarla sul palco di uno dei maggiori teatri di Londra. L’unica spiegazione che gli sembrava plausibile era che, alla fine, Christine avesse capito che non valeva la pena sacrificare la sua musica per sposare un visconte. E a quel punto gli sorgeva spontanea una domanda: perché? Perché, se poteva evitarlo, aveva lasciato che lo scandalo dell’Opera Populaire avvenisse? Perché, se sapeva di non amare nessuno dei due, aveva lasciato che cercassero di uccidersi a vicenda, ingannando entrambi? Ma soprattutto, perché continuava a tormentarlo? In quei due anni aveva fatto tutto il possibile per dimenticarla e per lasciarsi alle spalle il suo passato: era fuggito dalla Francia, accogliendo al volo la proposta del daroga di rifugiarsi in Inghilterra, ed era arrivato fino in Scozia, dove il Persiano aveva uno dei suoi tanti agganci. Si era rifatto una vita, una vita che scorreva quasi irrealmente tra i vari lavori che lo tenevano occupato. Continuava a comporre, anche volendo non avrebbe potuto smettere, non ne era capace, e aveva rispolverato la sua vecchia passione per l’architettura, che aveva sepolto dopo le ore rosa di Mazenderan. Sembrava che tutti i suoi problemi fossero scomparsi, assorbiti dalle terre verdi delle Highlands. O almeno, così aveva creduto fino a quando i suoi vari affari e l’insistenza di Nadir non lo avevano portato a Londra… e alla Royal Opera House. Aveva il fortissimo sospetto che il maledetto daroga avesse organizzato tutto di proposito. Gli aveva chiesto innocentemente di incontrarlo quella sera all’Opera per discutere di alcune faccende, qualcosa riguardo una villa o un palazzo, non lo sapeva, Nadir era stato molto vago. La verità era che gli aveva lanciato un'esca… e lui aveva abboccato come un idiota. E ora pativa le pene dell’Inferno in anticipo, mentre il suo lato peggiore gli sussurrava all’orecchio i metodi migliori per liberarsi di quel dannatissimo Persiano una volta per tutte. Si alzò di scatto, ignorando lo sguardo interrogativo del daroga, uscì dal palco e si lanciò verso la prima finestra che trovò nel corridoio appena illuminato. Inspirò a fondo e l’aria fredda dell’autunno londinese gli rischiarò la mente. Doveva parlare con Christine. Non le avrebbe permesso di entrare nuovamente nella sua vita senza sapere come e perché. Doveva parlarle… perché, sebbene avesse passato quegli ultimi due anni a cercare di dimenticarla, non era mai davvero riuscito a smettere di amarla.

 

 
L’aria nel foyer cominciava a farsi pesante e a Christine girava la testa. Si sentiva osservata e non le piaceva per niente. Era nel bel mezzo della festa che seguiva sempre le prime, circondata da colleghi e ammiratori e immersa in una piacevole conversazione con Sonja, la Prima Ballerina. Eppure continuava a provare quella sensazione di disagio, come se una presenza incorporea tenesse il suo sguardo di fuoco puntato sulla sua schiena. Si era voltata cercando di scovare tra i presenti chi la stesse osservando con tanta intensità, ma aveva colto solo qualche occhiata sfuggevole, niente fuori dal normale. Un pensiero improvviso le attraversò la mente e la fece rabbrividire. Era come essere inseguita dagli occhi di un fantasma… Sospirò. Aveva pensato molto a Erik in quei due anni, ma non l’aveva mai ricordato come il Fantasma dell’Opera. Per lei era sempre stato il suo Angelo, o il suo maestro. O il suo amante, anche se solo nei suoi sogni. Scosse la testa e, salutando Sonja e pochi altri, si diresse verso l’uscita, alla ricerca di aria fresca e di uno spazio fisico dove lasciar correre i suoi pensieri. Infilò un ampio corridoio, lasciato in penombra e completamente deserto, dove le voci del foyer arrivavano soffocate creando un’atmosfera quasi piacevole. Camminava lentamente e di tanto in tanto sospirava, cercando di rilassarsi. Poi, di punto in bianco, si fermò. Qualcuno la stava osservando. Non era più solo una sensazione, era una certezza. Si voltò di scatto e il suo cuore smise per un attimo di battere. Mai, nemmeno se avesse potuto vivere mille anni, sarebbe stata in grado di dimenticare i suoi occhi. Riconobbe quelli ancor prima che la mezza maschera bianca, ancor prima che i lineamenti del suo viso. Erik. Era vivo, era tornato. Lacrime calde iniziarono a scorrerle lungo le guance mentre lui si avvicinava lentamente. La squadrò per un minuto buono, poi piegò le labbra in un sorriso amaro.
«Esibizione mediocre, madame.» mormorò, accennando un inchino ironico col capo «Una volta cantavate con l’anima.» E il suo tono, a metà tra il rimprovero e lo scherno, infiammò il sangue di Christine. Non era abituata ad arrabbiarsi, non lo era mai stata. Da bambina aveva sempre fatto tutto quello che le veniva chiesto e crescendo aveva proseguito per la stessa strada, fino a perdere completamente il controllo sulla sua vita. L’impotenza era stata sua compagna costante in quegli anni, ma non era mai arrivata alla vera rabbia, la rabbia che invece stava provando in quel momento.
«Una volta avevo un’anima con cui cantare.» ribatté con voce ferma nonostante quelle lacrime che non poteva evitare. Faticava a credere che fosse davvero lì, di fronte a lei, nella semi oscurità di quel corridoio. In quei due anni si era talmente convinta della sua morte che rivederlo non le sembrava reale e anzi, aveva quasi paura di svegliarsi all’improvviso nel suo appartamento e scoprire che era stato tutto un sogno. E forse, in fondo, sarebbe stato meglio così.
«E ora dov’è quell’anima, Christine?» la sua voce fredda le penetrò fin nell’anima. Si avvicinò, costringendola ad alzare il volto per continuare a fissarlo negli occhi, ora gelidi. Nuove lacrime cominciarono a formarlesi agli angoli degli occhi mentre il respiro iniziava a farsi più affannato.
«Va’ all’Inferno, Erik!» sibilò con il poco fiato che la gola stretta dal pianto le lasciava. Un sorriso storto piegò le labbra di lui.
«Già fatto, mon ange. Ho vissuto all’Inferno per tutta una vita.» Si avvicinò ancora, costringendola ad arretrare finché si trovò con le spalle al muro. Poi, chinandosi su di lei, con gli occhi illuminati dal fuoco dell’ira, sussurrò: «Un Inferno in cui tu non hai mai smesso di torturarmi.» Lei continuò a fissarlo, i lineamenti contratti dalla rabbia, mentre le lacrime non sembravano voler smettere di scorrere.
«E credi che per me sia stato tanto diverso?» gridò «Credi che io abbia vissuto il lieto fine di una favola? Tu non hai la più pallida idea di quello che ho passato in questi due anni! Mi sono dovuta rifare una vita tormentata dagli incubi del passato, tormentata dal peso della tua morte sulla mia coscienza!» Erik indietreggiò, sbalordito, e per un attimo gli sembrò che il tempo fosse tornato a due anni prima. Gli sembrò di sentire ancora sulla pelle la forza di quello schiaffo che aveva ricevuto nei sotterranei del suo teatro. Solo che questa volta lei non l’aveva toccato. A corto di parole, si limitò a fissarla, senza riuscire a riconoscere nella donna che aveva davanti la ragazza ingenua e spaventata dell’Opera Populaire, mentre la domanda che non riusciva a farle aleggiava nell’aria. A quel suo improvviso mutismo Christine sembrò calmarsi.
«In due anni non ho più avuto notizie.» riprese, la sua voce poco più che un sussurro «Mai una lettera, mai un messaggio. Non sapevo dov’eri, non sapevo se eri ancora vivo…» si avvicinò e gli sfiorò il viso con mano tremante, la sua rabbia svanita nel nulla, nonostante tutto. Erik serrò gli occhi e trattenne il respiro, combattuto tra il cedere e il resistere.
«Perché non mi hai mai fatto sapere nulla?» Spalancò immediatamente gli occhi e fece un altro passo indietro, come se avesse paura di restare così vicino a lei anche solo un secondo di più.
«Perché avrei dovuto?» chiese a sua volta, la voce bassa per mascherare l’emozione che l’alterava. Si rifiutava di credere che lei potesse aver sentito la sua mancanza, o che potesse provare qualcosa nei suoi confronti, come la luce nei suoi occhi scuri sembrava sostenere. Si era già fidato di lei una volta e ricordava fin troppo bene com’era andata a finire. E soprattutto ricordava bene il perché.
«Lui dov’è?» domandò dopo un attimo di esitazione, con la voce sempre più bassa. Non aveva bisogno di pronunciare nessun nome, Christine sapeva benissimo a chi si stava riferendo.
«Come?» sussurrò lei, stupita, anche se in fondo si aspettava quella domanda.
«Dov’è, Christine?» chiese di nuovo con una vena di minaccia nel suo tono impaziente.
«Non lo so.» rispose senza mai distogliere lo sguardo dal suo. Cercava di mostrarsi il più sincero possibile, ma sapeva che lui non le avrebbe mai creduto, sebbene stesse dicendo la verità. Come aveva immaginato lo vide avvicinarsi, gli occhi grigi resi tempestosi dalla luce del sospetto e da quella, nascosta più in profondità, della gelosia.
«Non mentirmi, Christine…» la voce gli uscì come un basso ruggito, un avvertimento di come il fantasma che era stato non fosse mai realmente morto, ma solo assopito.
«Non credermi se vuoi, ma non sto mentendo.» ribatté la donna in un tono molto simile «Non so niente di lui: che sia ancora a Parigi o che sia all’Inferno non fa differenza, Raoul de Chagny non è più affar mio da tempo.» E lo disse con tale freddezza che per un momento, un momento soltanto, Erik le credette. L’istante successivo la domanda di lei lo sprofondò di nuovo nell’abisso del sospetto.
«Perché ti importa?»
«Sai benissimo perché.» rispose gelido. Si era reso conto, durante quell’incontro, che non poteva impedirsi di essere geloso, non era in grado di farlo… forse per il semplice fatto che non era mai stato in grado di smettere di amarla. Nonostante tutti i suoi tentativi, nonostante quei due anni passati lontani da Parigi e dai ricordi che la città risvegliava, nonostante tutta la rabbia e il rancore… semplicemente non poteva fare a meno di lei. Tornò ad avvicinarsi, intrappolandola contro il muro per non lasciarla andar via senza avergli prima dato la risposta che aspettava.
«Dimmi dov’è…» non era più una domanda, ma un ordine.
«Non lo so.» rispose di nuovo, sempre con la sua sicurezza acquisita, ma con un tono più cauto, turbata da quell’improvvisa vicinanza. Esattamente come due anni prima si ritrovò con la gola stretta dalle sue dita, l’avvertimento che il poco autocontrollo del suo Angelo era andato perso.
«Allora» sussurrò lui, la voce pericolosamente calma «comincia con il dirmi perché dovrei crederti.» Christine si limitò a fissarlo negli occhi per un interminabile attimo, poi, con un filo di voce, rispose:
«Perché ti amo…» la mano si strinse ancora di più attorno alla sua gola, lasciandola senza fiato.
«Dimmi di nuovo, Christine,» la voce gli uscì come un sibilo mentre pronunciava quelle parole all’orecchio di lei «perché doveri crederti…» E di nuovo, nonostante la stretta, la donna rispose:
«Perché ti amo.» Senza una parola di più Erik allentò la presa e le diede le spalle prima che lei potesse leggergli negli occhi la confusione di emozioni che stava provando. Fece per andarsene, ma la sua voce irata lo fermò.
«Non osare lasciarmi così!» gridò nella vana speranza che lui si voltasse. «Se te ne vai adesso, Erik, giuro su Dio che non mi rivedrai mai più!» A quelle parole tornò a fissarla, una maschera di indifferenza accanto a quella nera che già indossava.
«Troppo tardi…» si limitò a dire, prima di sparire tra le ombre del corridoio.

xXx

NdA: Chiedo umilmente perdono per l'enorme ritardo, ma sappiate che non ho passato questi ultimi sei mesi a divertirmi! Purtroppo ho avuto un sacco di problemi con la scuola e quindi il capitolo è andato mooooooooooolto a rilento...spero solo che per lo meno sia leggibile. Anyway, da settimana prossima dovrei avere più tempo per cui spero di riuscire ad aggiornare prima...debiti permettendo. E adesso passiamo ai ringraziamenti^^

A uchiha_girl: Grazie mille per i complimenti, ma non esagerare, non sono mica così brava!^^ Comunque sono molto contenta che la soria per ora ti piaccia e spero che continui a piacerti.

A Elby: Oook, forse hai ragione, lo scorso capitolo poteva essere più calmo XD... Felicissima di sapere che la confessione di Christine non è stato un fiasco totale (è la parte che mi ha dato più problemi...) e che il daroga ha riscosso così tanto successo ^^ ... Nel prossimo capitolo lo vedremo all'opera nel suo ruolo di coscienza... e con questo ho detto tutto.

A Amy Foster: So che alcuni passaggi sembrano troppo rapidi, però purtroppo scrivendo non me ne accorgo e quindi non riesco a farci molto... cercherò di provvedere con i prossimi capitoli. Per il resto, mi fa piacere che i personaggi siano riusciti e per quanto riguarda Erik... bhè, dipende da cosa intendi con cattivo XD. 

Come sempre grazie anche a tutti quelli che leggono e non recensiscono. Per ora è tutto, a presto, spero.

Your obedient servant,

bloodred_rose 

 

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