Filo Rosso

di LyraB
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***
Capitolo 4: *** Quattro. ***
Capitolo 5: *** Cinque. ***
Capitolo 6: *** Sei. ***
Capitolo 7: *** Sette. ***
Capitolo 8: *** Otto. ***
Capitolo 9: *** Nove. ***
Capitolo 10: *** Dieci. ***
Capitolo 11: *** Undici. ***
Capitolo 12: *** Dodici. ***
Capitolo 13: *** Tredici. ***



Capitolo 1
*** Uno ***


Filo Rosso




La mattina era calda e soleggiata, a Sacramento: il sole splendeva caldo e vivace nel cielo turchese e gli studenti attraversavano la strada schiamazzando, lieti per l'avvicinarsi delle vacanze estive.
Patrick era sdraiato sul divano dell'open space con le braccia incrociate e gli occhi chiusi. Sembrava addormentato, ma chi lo conosceva sapeva che era sveglissimo e perfettamente consapevole di quello che stava succedendo attorno a lui: Grace era seduta alla sua scrivania e civettava con Wayne mentre lui toglieva dal tabellone i documenti del caso chiuso il giorno precedente, Kimball sarebbe arrivato a momenti… e i passi che si avvicinavano sul linoleum erano inconfondibili.
- Buongiorno, Lisbon. - Disse il consulente, rimanendo immobile sul divano.
Teresa, comparsa in quel momento nell'open space, rimase per un istante incredula davanti alla capacità del suo collega di riconoscerla perfino con gli occhi chiusi, ma si stupì del suo stesso stupore: dopo dieci anni in sua compagnia non c'era più niente di sorprendente nella sua capacità di sapere sempre di più di quello che dimostrava.
- Buongiorno, Jane. - Rispose - Rigsby, Van Pelt. -
- Buongiorno capo. -
- Ci sono novità? - Domandò Teresa.
- Ancora nessuna chiamata, oggi. - Disse Grace allegramente. - Possiamo goderci la bella giornata. -
- Meglio non parlare troppo forte. - Replicò una voce maschile.
"Ed ecco Cho." Pensò Patrick con un sorrisetto trionfante.
Si mise seduto e guardò la scena davanti a lui, sorridendo al pensiero di averla immaginata proprio in quel modo: Grace alla scrivania, Wayne in piedi, Teresa con ancora giacca e borsa sulla porta e Kimball con un bicchiere di caffè in mano già intento ad accendere il suo pc.
Fu solo quando Teresa si allontanò per raggiungere il suo ufficio che Patrick si alzò.
- Avanti, dimmi. - Disse Teresa con un sospiro quando si accorse di essere stata seguita. - Lo so che stai per farmi una domanda a cui non mi piacerà rispondere. -
- Hai già deciso dove andare con Dorothy in vacanza? -
Teresa sollevò le sopracciglia, stupita dal sentirsi fare quella domanda.
Lei e Dorothy vivevano insieme da quasi sei mesi, ormai, e non si stupiva dell'interesse che Patrick nutriva per quella bambina: forse gli ricordava la figlia che aveva perso, forse era il piacere di avere intorno una persona infantile quanto lui… o forse era solo perchè Dorothy era una di quelle persone che era impossibile non amare. Anche se sapeva quanto bene Patrick volesse a Dorothy, però, proprio non si aspettava di sentirsi fare quella domanda.
- Davvero, hai già deciso dove andrete? - Insistette Patrick.
- Ho cercato una pensione al mare, qui vicino. - Fu la risposta di Teresa, mentre si dedicava a sistemare le sue cose sulla scrivania per evitare lo sguardo inquisitore del suo consulente.
- Al mare? L'ultima volta mi ha detto che l'avresti portata a Disneyworld. - Replicò Patrick.
Teresa alzò lo sguardo verso di lui punta sul vivo: quella di Disneyworld era una proposta che Dorothy le faceva a giorni alterni, mettendo a dura prova la sua pazienza.
- Non le ho mai detto di sì e lo sai benissimo anche tu. -
- Oh, avanti, Lisbon. Ogni bambino sogna di andarci, una volta nella vita. E scommetto che piacerebbe moltissimo anche a te. - Disse con uno dei suoi migliori sorrisi sornioni.
- Non vedo perchè dovrei andare a stressarmi nella calca di un parco divertimenti quando con gli stessi soldi posso pagarmi tre giorni in più di relax e di salutare vita da spiaggia. Stare un po' all'aria aperta farà bene a entrambe. -
- Il tuo discorso è molto logico, certo, ma prova a guardare la faccenda dal punto di vista di Dorothy… -
- Non pensavo che avrei mai sperato di sentirti fare una domanda su John il Rosso. - Lo interruppe Teresa.
Per tutta risposta, Patrick sorrise divertito. Non fece in tempo a replicare, però, perchè la porta si aprì e Kimball si affacciò con aria più seria del solito.
- Capo, abbiamo una chiamata. Un cadavere a Monterey. -
- Monterey? Come mai chiamano noi? -
- È uno dei nostri. -
Senza dire altro Teresa recuperò il distintivo e il cellulare, li infilò nelle tasche della giacca e fece per uscire. Quando si accorse che Patrick non l'aveva seguita si voltò verso di lui.
- Non vieni? - Domandò.
- Sì. Sì, certo. - Fu la risposta, pronunciata come se in realtà il consulente stesse in realtà pensando ad altro. Mentre si chiudeva la porta alle spalle, infatti, continuò: - Comunque, se tu tornassi per un solo momento con la mente a quando avevi sei anni… -
- Chiudi il becco. - Fu la secca risposta.












Bene. Sono contenta di essere finalmente riuscita a concludere questa storia,
così potrò finalmente vedere la puntata in cui Patrick scopre chi è John il Rosso.
Nel caso ve lo stiate chiedendo no, non l'ho ancora vista.
Non volevo essere distratta mentre scrivevo questa storia, non volevo essere influenzata.
Onde per cui vi chiedo per cortesia di non farmi spoiler nè su John nè sulla storia dopo di lui. Grazie.
Naturalmente spero che anche questo racconto sia lineare e avvincente...
se trovate delle discrepanze o cose che non funzionano fatemelo sapere,
perchè è per questo che faccio leggere ad altri le mie storie: per migliorarmi sempre di più.

Una piccola nota: se state leggendo questa fanfiction e non avete letto Pastelli Rossi e Scarpette Rosse
vi consiglio di andarle a leggere, così questa storia acquisterà più senso.
Le trovate qui, nella mia raccolta chiamata Al di là del rosso dell'arcobaleno.


Grazie in anticipo per essere arrivati fin qui e per aver letto il primo capitolo di questo terzo e ultimo racconto.

Flora

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Capitolo 2
*** Due. ***





Il giardino pubblico di Monterey aveva visto di certo giorni migliori, vista l'erbaccia incolta e i vecchi giochi per bambini cadenti e coperti di scritte. L'albero sotto cui avevano trovato il corpo sorgeva proprio al centro del giardino pubblico e stendeva i suoi rami carichi di foglie a punta sull'area giochi dove sparuti passanti rallentavano appena per curiosare un momento prima di tirare dritto. Teresa si diresse verso la scena del crimine senza guardarsi troppo attorno, trascinandosi dietro un Patrick che camminava con la sua consueta aria svagata, quella che tirava fuori ogni volta che voleva memorizzare ogni dettaglio senza che nessuno se ne potesse rendere conto.
Una mezza dozzina di uomini in divisa si stava affaccendando attorno al cadavere e lo sceriffo si avvicinò a Teresa non appena la vide.
Si presentò toccandosi la falda del cappello in segno di saluto:
- Sceriffo Cross. -
- Agente Lisbon, Patrick Jane. - Disse Teresa. - Sappiamo chi è? -
Lo sceriffo aprì la bocca per rispondere, ma Patrick lo anticipò:
- Warren Doyle. - Disse. - Lavorava al CBI, ma non viene al quartier generale da tre mesi. -
- Esatto. È tutto quello che sappiamo di lui anche noi. - Disse lo sceriffo, stupito. - Ma come ha fatto? -
- Ho buona memoria. - Disse Patrick evasivo, avvicinandosi al corpo per guardarlo meglio.
Warren Doyle era un uomo robusto sulla sessantina, alto e quasi calvo, con piccole rughe d'espressione attorno agli occhi che accentuavano lo sguardo - fermo nell'immobilità della morte - dei suoi occhi grigi ormai spenti. La camicia bianca sotto la giacca scura era macchiata di sangue sul ventre, dove c'era il segno di un unico taglio netto. Disteso supino, con gli arti composti, guardava le foglie dell'albero sopra la sua testa senza vederle.
Mentre il consulente si dedicava ad osservare la scena, Teresa si fece raccontare quello che lo sceriffo aveva saputo dal coroner:
- Una sola coltellata allo stomaco ha reciso l'aorta addominale: è morto dissanguato in pochi minuti. Verosimilmente è morto qui: l'erba è coperta di sangue. -
- Impronte? - Domandò Teresa.
- Non piove da molto e la terra è troppo dura per mantenere le impronte delle scarpe. Sul corpo non abbiamo trovato indizi e manca anche l'arma del delitto. - Rispose lo sceriffo, voltandosi per dare un'occhiata al cadavere. - Comunque stiamo ultimando i rilievi. -
Tornò a rivolgersi a Teresa e poi si voltò di nuovo, bruscamente, per essere certo di aver visto bene: il viso del consulente del CBI era vicinissimo al volto del morto.
- Ma che sta facendo? - Domandò all'agente.
Teresa si strinse nelle spalle.
- Lui lavora così. -
Patrick si sollevò, scrollò i calzoni e le mani per spazzare via le ultime tracce di terra e fissò con aria mogia il corpo.
- Era una persona molto sola. - Sentenziò - Una persona che non aveva altro che il suo lavoro. -
Un istante di silenzio seguì le sue parole, rotto poi dalla voce dello sceriffo:
- Mi hanno detto che è uno dei vostri. Mi dispiace. -
- Grazie. - Rispose Teresa meccanicamente. - La prima cosa che faremo sarà scoprire dov'è stato Doyle in questi mesi di assenza dal CBI. -
- Credo di poterti rispondere io. - Sentenziò una voce alle loro spalle.
Teresa ci mise meno di un attimo a riconoscere la sensazione di disagio che le provocava la presenza di Ray Haffner. Lo salutò cercando di suonare il più disinvolta possibile:
- Ray. -
- Ciao, Teresa. - Disse lui con calore, avvicinandosi per salutarla un po' più di quanto sarebbe stato normale per un collega. - È bello poter lavorare di nuovo con te. -
Teresa si limitò a fare un passo indietro, sorridendo nervosa. Ray ammiccò divertito alla sua ritrosia e poi si voltò verso Patrick, salutandolo con uno sguardo velatamente ostile.
- Jane. -
- Hai detto di sapere dov'è stato Doyle in questi due mesi. - Disse Teresa, impedendo al suo consulente di dire qualcosa di maleducato a cui avrebbe dovuto rimediare.
- Certamente. Lavorava per me. - Rispose Ray.
- Per te? -
- Nella mia agenzia privata. Aveva chiesto il prepensionamento al CBI e faceva qualche lavoretto per me. -
- E come mai non lo sapeva nessuno? -
- Per lavorare da me avrebbe dovuto rinunciare agli ultimi mesi di stipendio. Non molto corretto, forse, ma comprensibile. Coi tempi che corrono i soldi non bastano mai. - Rispose Ray stringendosi nelle spalle. Poi si rivolse allo sceriffo: - Avete già quale sospetto? -
- Nessuno, per ora. - Rispose l'uomo.
- Chi ha trovato il corpo? - Domandò Teresa.
- Abbiamo ricevuto una chiamata anonima che ci segnalava la presenza di un corpo ai giardini pubblici, senza però specificare dove. Abbiamo dovuto girare per un'ora prima di scoprire a quali giardini pubblici si stessero riferendo. -
- Eppure è strano. - Esordì Patrick.
- Cosa è strano? - Chiese lo sceriffo.
- Che lascino il corpo qui, in bella vista, nel luogo più centrale di un posto frequentato. Potevano scaricarlo nel canale appena fuori dal parco, oppure nasconderlo tra i cespugli… è come se avessero voluto farvelo trovare. - Disse Patrick.
- E perchè? - Domandò lo sceriffo.
Patrick si strinse nelle spalle:
- Non lo so. Siete voi i detective. - Rispose.
- Chiamo VanPelt e le dico di controllare il mittente della telefonata arrivata alla vostra centrale. - Disse Teresa tirando fuori il telefonino.
- Non serve, abbiamo già controllato. La chiamata è arrivata da una scheda prepagata, il telefonino risulta spento e non siamo riusciti a localizzarlo. - Disse lo sceriffo.
- Doyle aveva parenti in vita? - Chiese Teresa.
Si era rivolta allo sceriffo, ma fu Ray a rispondere:
- No, non che io sappia. Ma conosco il suo indirizzo, possiamo andare a dare un'occhiata al suo appartamento. Magari scopriamo qualcosa di più sulle sue frequentazioni. -
- Forse sarebbe utile sapere anche su quali casi stava lavorando. Per quanto ne sappiamo potrebbero averlo scoperto a investigare e averlo colpito perchè non potesse dire cos'aveva visto. - Propose Teresa.
Ray capì subito a cosa si stava riferendo:
- Non posso darti i fascicoli dei suoi casi, Teresa. -
- È un'indagine di omicidio, Ray, sai come funziona. Faccio una telefonata, ottengo un mandato e tutti sapranno che stiamo frugando nei vostri archivi. - Rispose l'agente, senza farsi intenerire dall'occhiata conciliante del collega.
Ray sospirò, nascondendo un sorriso divertito dietro un tono vagamente dispiaciuto.
- D'accordo, ho capito. Te li farò avere nel pomeriggio. Vogliamo andare ora? Abbiamo una casa dove fare un sopralluogo. -
- Ci tenga informati sugli sviluppi, sceriffo Cross. - Disse Teresa, stringendogli la mano. - Jane, andiamo. -
- Va' pure, Lisbon. Io rimango qui a dare un'occhiata. - Disse il consulente, stiracchiandosi e guardandosi attorno.
- Jane. -
- Davvero, vai tranquilla. È una bella giornata, fare due passi mi schiarirà le idee. Mi farò dare un passaggio al CBI più tardi. -
Teresa gli scoccò uno sguardo a metà tra la preoccupazione e il rimprovero, ma poi seguì Ray Haffner fuori dal parco pubblico, dirigendosi verso la sua Chevrolet parcheggiata poco lontano.
- Oh, andiamo. Non vorrai andare per conto tuo. - Fu il commento di Ray, accennando alla propria auto sportiva, nera e lucente, posteggiata proprio davanti a loro.
- Preferisco essere autonoma. Mandami l'indirizzo sul cellulare, ci vediamo lì. - Replicò Teresa, allontanandosi senza dargli tempo di replicare.












Secondo capitolo. Spero di essere riuscita a descrivere a dovere la scena del crimine
e di aver riportato il personaggio di Haffner così com'è...
anche se le mie opinioni personali su di lui di sicuro me l'avranno impedito (:

Come sempre, grazie di aver letto e grazie in anticipo se vorrete commentare.
Bacibaci!

Flora

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Capitolo 3
*** Tre. ***





La casa di Warren Doyle era una villa in quartiere residenziale nella campagna che circondava Sacramento, molto lontano dal CBI e ancora più lontano da Monterey. Era arredata in modo semplice e antiquato, con foto sbiadite in cornici impolverate e pochissimi altri oggetti d'arredo. Un solo spazzolino in bagno, una sola tazzina nel lavandino e il letto sfatto da un solo lato, con un piccolo flacone di sonniferi posato sul comodino, lasciavano intuire che non ci fosse nessun altro a vivere in quella casa.
"Era davvero una persona molto sola" pensò Teresa, posando una mano sullo schienale dell'unica poltrona davanti alla televisione "nessuno verrà a chiedere di lui".
Si sentiva toccata da vicino da quella situazione: solo qualche mese prima la sua vita era stata altrettanto solitaria, altrettanto aggrappata al lavoro; anche lei si sarebbe cercata un altro impiego, se fosse stata a un passo dalla pensione... l'idea di rimanere a casa senza niente da fare la faceva impazzire. Ora però si ritrovava a giostrarsi tra tutti i suoi impegni e tutti quelli di Dorothy e non aveva più problemi a prendere sonno: il solo toccare il cuscino la faceva crollare addormentata per la stanchezza.
- Tutto bene? -
La voce di Ray interruppe il filo dei suoi pensieri e Teresa trasalì:
- Certo. Scoperto qualcosa? - rispose.
Ray scrollò le spalle.
- Niente. Ma era una persona così anonima, mi aspettavo di non trovare granché - sorrise all'espressione dipinta sul viso di Teresa e continuò: - lo so a cosa stai pensando. -
- Io non credo. -
- Stai pensando a quanto la vita che avevi ti sembra vuota, adesso. -
Teresa lo guardò sbattendo le ciglia, chiedendosi come facesse ad aver letto davvero i suoi pensieri, ma Ray rispose subito alla sua muta domanda.
- Sono rimasto in contatto con molte persone, al CBI… e la solitaria e razionale agente Lisbon in compagna di una bambina non passa esattamente inosservata - disse con dolcezza - quanti anni ha? -
- Ne ha compiuti sei a maggio. -
Un attimo di silenzio seguì le sue parole, poi Ray commentò a bassa voce:
- È bello sapere che non sei sola, Teresa. -
I suoi occhi incontrarono quelli di lei e lo sguardo che le rivolse mise Teresa così a disagio da spingerla a troncare la conversazione a metà.
- Torniamo al CBI. Vediamo se ci sono novità - disse, avviandosi verso la porta.
Ray la afferrò per un braccio.
- Aspetta. -
Spaventata, Teresa non si permise nemmeno il tempo di un pensiero: si divincolò prima che Ray potesse fare qualunque cosa e uscì dall'abitazione senza voltarsi indietro neanche una volta. Fu solo quando fu nella sua auto, ferma ad un semaforo e diretta al CBI, che si concesse di respirare di nuovo profondamente: non capiva perchè Haffner dovesse sempre impegnarsi per metterla tanto a disagio, e soprattutto non capiva perché lei si concedesse di essere così nervosa in sua presenza.
Il semaforo diventò verde e Teresa fu felice di aver deciso di spostarsi con la propria macchina: per quanto la sua vita ora non fosse più vuota e solitaria, trovava ancora confortante stare ogni tanto per conto proprio, senza avere intorno colleghi tutti allusioni e occhiatine. Sfogò la sua frustrazione sul cambio, ingranando la prima così bruscamente da grattare, e imboccò la via del quartier generale.

Appena Teresa rientrò CBI, Grace le si avvicinò:
- Ehi, capo. -
- Novità? -
- L'agenzia di Haffner ci ha mandato tutti i fascicoli dei casi seguiti da Doyle: non sono molti. Io e Rigsby ce li siamo divisi, ci stiamo lavorando. -
- C'è qualcosa di interessante? -
- Purtroppo no. Sono tutti casi secondari, più che altro frodi e indagini private per cause di divorzio. Nessuno dei coinvolti è schedato, in più nessuno abita dalle parti di Monterey. -
Teresa sospirò.
- Continuate a cercare e convocate chiunque vi sembri un possibile colpevole. -
- D'accordo. -
- Hai visto Jane? -
- È arrivato mezz'ora fa, ma poi è sparito di nuovo. -
- D'accordo. Avvertimi se ci sono sviluppi. -
- Sicuro. -
Seduta nel suo ufficio davanti a un toast, Teresa pensò che non avrebbe fatto in tempo a staccare per le cinque: Grace e Wayne avevano ancora da contattare una mezza dozzina di persone e c'erano già due sospettati in sala interrogatori, pronti a rispondere alle loro domande. Sospirando decise che era arrivato il momento di telefonare alla baby sitter per chiederle di andare a prendere Dorothy a scuola.
La sedicenne baby sitter di Dorothy rispose dopo solo uno squillo.
- Juliet, ciao. -
- Agente Lisbon, buongiorno. Che posso fare per lei? -
- Non riesco ad andare a prendere Dorothy a scuola, oggi. Potresti pensarci tu? -
- Ma certo, non ci sono problemi. -
- Perfetto. Dovrei essere indietro per cena. -
"O almeno spero", aggiunse mentalmente.
Aveva appena riattaccato quando la testa bionda di Patrick comparve nel suo ufficio.
- Oh, ciao. Ti sei degnato di farti vivo, finalmente. Che hai scoperto? - gli disse.
- Scoperto? Niente, perchè? Avrei dovuto scoprire qualcosa? -
- Sei stato in giro tutto il giorno e speravo almeno che saresti tornato con qualche indizio, qualche sospetto, qualcosa di utile! -
Patrick si sitrinse nelle spalle:
- Sono rimasto in giro perchè è una bella giornata. Sulla strada del ritorno ho mangiato in una tavola calda dove fanno dei waffles deliziosi: te ne ho portati un po' - disse lanciandole un sacchettino di carta.
Teresa lo afferrò al volo, ma invece di lasciarsi addolcire dal pensiero del suo consulente, spostò il sacchetto di lato e si alzò irritata.
- Non li assaggi? - domandò Patrick deluso.
- Vorrei essere a casa il prima possibile e abbiamo due sospetti da interrogare: non abbiamo proprio il tempo di fare merenda - gli intimò, fulminandolo con gli occhi prima di uscire.
- Possiamo mangiarli mentre seguiamo gli interrogatori? - propose Patrick recuperando il sacchetto e seguendola fuori.


La prima dei due sospettati convocati al CBI era Lisa Stan, una donna sulla cinquantina che aveva chiesto all'agenza di Haffner di seguire il marito.
- Ho chiesto un investigatore privato perchè credo che Anton abbia un'amante. Sicuramente è una delle duecento squinzie adolescenti che fanno le segretarie nel suo ufficio di assicurazioni. E, giusto perchè lo sappiate, ho deciso di non incontrare mai di persona l'investigatore che seguiva la pratica: non volevo che mio marito pensasse che sospettavo qualcosa, altrimenti addio effetto sorpresa e addio alimenti. -
Giocherellando con il ciondolo della collana, osservava Kimball da sotto ciglia scure appesantite da molti strati di mascara.
- Mi dispiace per quest'uomo, ma io non ho niente a che fare con lui. Non lo conoscevo nemmeno - si giustificò.
- Dove si trovava stamattina tra le sei e le otto? - domandò Kimball.
- Sospettate di me? - esclamò la donna con orrore.
- È la prassi, signora Stan. Risponda, per favore. -
La donna alzò gli occhi al cielo, fulminò Kimball con uno sguardo feroce e poi rispose:
- Ero a casa mia, ancora a letto. Non mi alzo mai così presto. -
- C'è qualcuno che può confermarlo? Suo marito, magari? -
- No, Anton è a Philadelphia per lavoro. Ero da sola. -
Teresa, nascosta dal vetro a specchio della sala degli interrogatori, si voltò verso Patrick:
- Che ne pensi? -
- Secondo me è sincera - disse Patrick distratto, sbirciando nel sacchettino di waffles con l'aria di un bambino che vorrebbe arrivare al dolce senza mangiare la minestra.
Teresa gli strappò il sacchetto dalle mani e lo fissò con aria seria per obbligarlo a rispondere.
- E da cosa lo deduci? -
- Solo gli innocenti non si preoccupano di avere un alibi - disse Patrick.
- Tutto qui? -
- Tutto qui - replicò il consulente, approfittando della guardia abbassata di Teresa per sfilarle di mano il sacchetto di dolci e addentare una cialda prima che lei potesse dire o fare qualunque cosa.

Un'ora più tardi nella sala degli interrogatori c'era il secondo sospettato: Gregory Mendelev.
- Come mai la sua officina ha aperto a metà giornata, oggi, signor Mendelev? - chiese Wayne sbirciando il suo taccuino degli appunti.
- Dovevo fare l'inventario. - Disse l'uomo, pronunciando le parole con una spiccata cadenza dell'europa orientale.
- Non aveva avvertito i suoi clienti, però. È strano che una persona decida di punto in bianco di tenere chiuso il negozio, non le pare? I guadagni diminuiscono. -
- Gli orari del mio negozio e i miei guadagni non la riguardano, agente. - Disse l'uomo.
I suoi occhi grigi erano persi in un reticolo di rughe che si spandevano lungo il suo viso dalla carnagione chiara. Le unghie sporche di grasso per motori e la salopette da lavoro grigio scuro gli davano proprio l'aria del meccanico di officina.
- In che rapporti era con Warren Doyle? - Domandò Wayne, rendendosi conto che l'uomo non era particolarmente incline alla collaborazione.
- Mai sentito. -
- Eppure Doyle faceva delle indagini per lei. -
- Non sapevo che se ne occupasse lui. Ho pagato l'agenzia perchè scoprisse chi ruba attrezzi e materiali nella mia officina. - Scocciato, Gregory Mendelev si allungò sulla sedia, avvicinandosi a Wayne con aria irritata. - Senta, agente, non mi piace perdere tempo. Mi dica perchè mi ha convocato e facciamola finita. -
- D'accordo. Dove si trovava tra le sei e le otto di stamattina? -
- Nella mia officina. - Disse. - Facevo l'inventario, appunto. -
- Era da solo? -
- No. -
Wayne aprì il blocco degli appunti e iniziò a scrivere.
- Può dirmi con chi era? -
- Con Wilson. -
Wayne si appuntò il nome, interessato.
- E sarebbe? -
- Il mio cane. - Sbottò l'uomo, sogghignando.
Wayne sospirò, chiudendo il blocco.
- Ora posso andare? - Domandò il meccanico.
- Sì, certo. Si tenga a disposizione. -
Gregory Mendelev uscì dalla stanza borbottando qualcosa sul sistema sovietico che era entrato in vigore negli Stati Uniti negli ultimi anni e Wayne si stiracchiò, facendo scrocchiare le ossa del collo e allungando le gambe sotto il tavolo.
Teresa aprì la porta della sala interrogatori.
- Rigsby, vieni di là. Haffner ci vuole parlare. - Disse.













In questo capitolo abbiamo conosciuto i sospettati... avete già un'idea su chi sia stato?

Come sempre, grazie di aver letto e grazie in anticipo se vorrete anche lasciare un commentino.
A mercoledì per il prossimo capitolo. Bacibaci!

Flora

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Capitolo 4
*** Quattro. ***





La lavagna nell'open space era di nuovo piena di appunti, schede e fotografie.
Gli agenti, Ray compreso, erano seduti tutti attorno al tavolo mentre Patrick sorseggiava il suo tè guardando i volti delle persone ritratte nelle fotografie.
Dopo una giornata di indagini erano ad un punto morto: la scientifica non aveva trovato niente di utile nè sulla scena del crimine nè sul corpo di Doyle, l'arma del delitto non era ancora saltata fuori e non avevano nemmeno uno straccio di pista; pur dopo tutte le indagini sulla vita (privata e non) della vittima non avevano in mano niente di interessante, fatta eccezione per Lisa Stan e Gregory Mendelev.
- Nè la Stan nè Mendelev hanno un alibi per stamattina. - Disse Teresa. - Ma non abbiamo nessun elemento che li colleghi direttamente a Doyle o che provi che siano stati a Monterey. -
- E tutti gli altri che avevano un qualche collegamento con Doyle erano troppo lontani o con alibi confermati. - Continuò Rigsby.
- Dev'esserci sfuggito qualcosa. - Disse Ray.
Teresa si voltò a guardare la lavagna ma i suoi occhi sfuggirono involontariamente verso l'orologio appeso al muro: erano quasi le nove. Forse il buio completo in cui si trovavano a brancolare derivava dalla loro stanchezza, oltre che dall'effettiva confusione del caso. Come sempre, quando si ritrovava a non sapere che pesci prendere si rivolse al suo consulente.
- Jane. - Lo chiamò - Idee? -
- Secondo me non è nessuno di loro. - Rispose Patrick.
- Che vuol dire nessuno di loro? - domandò Wayne, vagamente irritato all'idea di aver perso l'intero pomeriggio a interrogare inutilmente degli innocenti.
- Chi ha ucciso Warren era qualcuno che lo voleva morto. Qualcuno che l'ha convocato in un posto preciso con la precisa intenzione di ucciderlo. Perchè farlo fuori in un posto così in vista, altrimenti? E perchè ucciderlo in una città così lontana dalla sua abitazione e dal suo posto di lavoro? -
- Belle domande. Magari però hai anche qualche bella risposta. Sai, ci sarebbero un tantino più utili. - Replicò Ray.
- Purtroppo no. Non ancora. Ma sono certo che nessuno di loro è l'assassino. -
- Ah, sei certo. Ma davvero. - Replicò Ray.
- Non proprio certo... diciamo al 75%. - Replicò Patrick.
- Ma la sua opinione è davvero utile, nei casi? - Domandò Ray, voltandosi verso la squadra di agenti ancora seduta al tavolo.
- Va bene, per oggi basta così. - Intervenne Teresa, troncando la discussione sul nascere. - Continueremo domani. VanPelt, chiama la squadra tecnica e dì loro di tenere sotto controllo i movimenti della Stan e di Mendelev. Rigsby, tu e Cho domani andate a fare un giro nel quartiere di Doyle, magari scoprite qualcosa. -
- Ottimo lavoro, Teresa. - Commentò Ray con un sorriso.
Teresa ricambiò con un sorriso imbarazzato e poi si alzò dal tavolo, affrettandosi verso il suo ufficio.
- Lisbon. -
- Dimmi, Jane. - Disse Teresa infilando la giacca e prendendo la borsa.
- C'è qualcosa che non mi convince, in questo caso. -
- Spiegati meglio. -
- Haffner. -
- Haffner è un bravo detective, ha lavorato per il CBI e conosceva Doyle, per questo è qui. - Disse Teresa. Poi si lasciò andare ad un sorrisetto. - Non sarai mica geloso. -
Patrick non rispose, limitandosi a guardarla con intensità.
I suoi occhi azzurri erano così attenti che il sorrisetto malizioso sulle labbra di Teresa si spense e l'agente si sentì improvvisamente in imbarazzo.
- Va' a riposarti, Jane. Ci vediamo domani. -

Teresa parcheggiò come al solito appena fuori dall'isolato e si avviò verso casa, felice di aver concluso quella giornata e avvertendo la stanchezza molto più dei morsi della fame. Mentre recuperava le chiavi dalla borsa, si rese conto con rammarico che la luce non filtrava dalle tende del salotto.
"Juliet avrà già messo Dorothy a letto." Pensò con disappunto. Le dispiaceva non essere riempita di parole dalla sua bambina, quando tornava a casa.
Fece per infilare la chiave nella toppa ma la sua mano scivolò sulla serratura e la porta girò sui cardini per qualche centimetro. Era aperta.
Con il respiro corto, Teresa posò una mano sull'uscio e lo spinse delicatamente. La luce dei lampioni della strada disegnava una lama pallida sulla moquette dell'ingresso e sui mobili al di là della porta, facendoli risaltare nel buio. Non c'era nessuna luce, nell'appartamento: nè la piccola luce da notte che teneva accesa in salotto per Dorothy nè quelle della cucina o del corridoio. Il buio era rotto solo dalla fioca di luce dei lampioni che disegnava sul pavimento un riquadro argentato su cui si stagliava il profilo della sua ombra.
Istintivamente la mano di Teresa scivolò sulla fondina della pistola. C'era troppo buio e troppo silenzio: qualcosa non andava.
Con la sensazione rassicurante dell'arma tra le dita della mano destra, allungò la sinistra verso il muro e cercò a tentoni l'interruttore. Quando scattò e la luce invase la stanza, Teresa notò immediatamente la mancanza di Dorothy: il divano letto era chiuso e ordinato così come l'aveva lasciato quella mattina.
- Dorothy! - Chiamò, sperando di sentire i suoi passi provenire dal corridoio. - Juliet! -
Nessuna risposta.
Con la pistola stretta in pugno e il cuore che batteva talmente forte da impedirle di pensare lucidamente, Teresa percorse il corridoio gettando uno sguardo in bagno e in cucina: il buio e il silenzio le facevano capire che era tutto come l'aveva lasciato.
Arrivata in camera accese la luce, sperando di trovare Dorothy e Juliet addormentate sul letto con un libro ancora in mano. Quando non le vide, il suo cuore mancò un battito.
Alla luce fioca della lampada posata sul cassettone, però, notò un foglio posato sul proprio cuscino. Si avvicinò e sorrise, riconoscendo uno dei bellissimi disegni di Dorothy: la bambina si era ritratta con il consueto abbinamento di codini, abito azzurro e ballerine di vernice rossa davanti a un castello rosa e blu che era inconfodibilmente quello di Disneyworld. Teresa sorrise, scuotendo la testa, e voltò il foglio per vedere se le avessero lasciato un messaggio: magari erano solo andate a mangiare un hamburger… oppure si erano fermate a casa di Juliet per cena e lei si stava preoccupando inutilmente.
Quello che vide, però, la raggelò al punto tale da farla rimanere immobile, così spaventata da non riuscire nemmeno a gridare.














Ok. Devo dire che ho scelto un momento un po' infelice per il mio "hiatus" estivo.
Ma abbiate fede, la storia continuerà prima del previsto!
Conto di farci stare un aggiornamento verso il 10 di agosto, se tutto va bene.
Ma se questo non dovesse avvenire, niente paura: la storia continuerà a settembre,
detesto i racconti incompiuti
!
(Nel mentre ho deciso che mi metterò in pari e guarderò finalmente la sesta stagione)

Buona estate a tutti!!!

Flora

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Capitolo 5
*** Cinque. ***





L'unica cosa che le faceva capire di essere ancora viva era la voce di Patrick, che rompeva con il suo timbro morbido il silenzio ovattato della cucina.
Quando il suo consulente l'aveva raggiunta, Teresa tremava al punto tale che lui aveva dovuto stringerle le mani sulle spalle e obbligarla a guardarlo negli occhi per permettergli di far rallentare un po' i battiti del cuore. Un po' accompagnandola e un po' trascinandola l'aveva costretta poi a sedersi alla penisola della cucina e nel più completo silenzio le aveva preparato un tè. Ora era seduto davanti a lei e mentre Teresa tentava di respirare e mandare giù qualche sorso di tè al miele, lui continuava a ripeterle che avrebbero risolto tutto.
- Andrà tutto bene, Lisbon. Fidati di me. -
Teresa annuì, ma all'improvviso la paura la riassalì e dovette appoggiare la tazza sul tavolo per evitare di farla cadere, passandosi poi le mani tremanti sul viso per impedirsi di scoppiare disperatamente in lacrime. Patrick doveva avere notato tutti gli stati d'animo che si facevano guerra dentro di lei, perchè quando fece per prendere di nuovo in mano la sua tazza la mano calda del consulente si strinse attorno alle sue dita gelate.
- La riporteremo a casa. - Le disse in un sussurro.
Teresa strinse le labbra, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Il disegno di Dorothy era posato sulla penisola accanto a loro e la bambina disegnata li guardava con il suo sorriso allegro e spensierato. Nulla, in quel disegno, faceva intuire lo smile disegnato sul retro. E anche se non era fatto con il sangue ma con un pennarello, poco importava: era l'inconfondibile firma di John il Rosso.
- Dobbiamo denunciare la scomparsa. - Disse Teresa con un filo di voce. - Dobbiamo dirlo al CBI, avvertire i federali, iniziare le indagini. -
- Meglio di no. -
- Jane, non abbiamo tempo per i giochetti! -
- No, certo che no. Ma avere altra gente intorno ci renderebbe solo le cose più difficili: se lo dici al capo o all'FBI ci toglieranno il caso e non solo dovrai passare le giornate a sfuggire a curiosi e giornalisti, ma in più non saranno in grado di fare niente di utile. Se esistono delle persone in grado di riportare a casa Dorothy, Lisbon, sono quelle in questa stanza. -
Un attimo di silenzio seguì le sue parole, poi fu Teresa a parlare.
- Non me la sento di affrontare questo caso. -
Si alzò, posò la tazza vuota nel lavandino e si passò una mano sul viso.
- Devo dormire un po'. - Disse.
- D'accordo. -
Teresa lo accompagnò alla porta e un attimo prima che Patrick uscisse alzò timidamente gli occhi verso di lui.
- Grazie per essere venuto. - Mormorò.
- Qualunque cosa per te, Lisbon. - Replicò lui con un sorriso.
Teresa chiuse la porta, appoggiandosi al battente e chiudendo gli occhi. Era stata una serata così assurda che non aveva idea nemmeno di che ore fossero, così lanciò uno sguardo al display del lettore dvd sotto la televisione: segnava l’una e quarantacinque.
Sicura che non avrebbe chiuso occhio nemmeno un istante, Teresa si diresse verso la poltrona, rannicchiandosi tra i cuscini e cercando di accantonare per qualche ora la sensazione di disperazione che le aveva lasciato addosso la firma di John dietro al disegno di Dorothy.



Sdraiato sul divano dell'open space, Patrick attendeva i passi di Teresa sul linoleum da almeno un'ora: Grace e Wayne erano arrivati da un pezzo, ma di lei nessuna traccia.
Si mise seduto e guardò i suoi colleghi chiacchierare serenamente, seduti alle loro scrivanie con i loro caffè in mano, sentendosi esentati dal dover iniziare a lavorare vista la mancanza del loro capo; Grace si sentì osservata e gli scoccò un sorriso imbarazzato.
- Posso fare qualcosa per te, Jane? - Gli domandò poi.
Per tutta risposta Patrick si alzò, diretto all'ufficio di Teresa: senza neanche bussare spalancò la porta sperando di vederla seduta alla scrivania… ma lei non c'era.
Aggrottando le sopracciglia, tornò nell'open space.
- Avete visto Lisbon? - Domandò.
Grace e Wayne si scambiarono un'occhiata.
- Non è ancora arrivata. - Disse la ragazza.
- È strano. - Sentenziò Kimball, avvicinandosi alla sua scrivania con un caffè fumante in mano. - Non è da lei essere in ritardo. -
- No, in effetti no. - Disse Rigbsy.
- Provo a chiamarla. - Propose Grace, prendendo il telefono.
- Meglio di no. - Intervenne Patrick. Davanti alle occhiate interrogative degli altri, il consulente minimizzò: - Come avete detto voi, non è da Lisbon fare tardi. Avrà degli impegni, o magari è già arrivata ed è dal capo. E poi voi avrete di sicuro molte cose da fare: vado io a cercarla di persona. -
Grace, Wayne e Kimball si scambiarono occhiate eloquenti, poi fu Kimball a prendere in mano la situazione:
- D'accordo. - Disse. - Mettiamoci al lavoro. Avvisaci se la trovi. - Disse poi, rivolto a Patrick.
- Contaci. - Patrick recuperò il telefono e la giacca dal divano e fece per uscire.
Invece di allontanarsi, però, salì le scale diretto al sottotetto dove si era accampato. Si avvicinò alla vetrata impolverata e avviò con aria preoccupata una chiamata verso il cellulare di Teresa.
La voce registrata della segreteria telefonica lo fece riattaccare  e rimase a fissare il display del cellulare per lunghissimi minuti, prima di prendere le chiavi dell'auto e uscire.
Trascorse la mattina in giro per Sacramento, passando continuamente davanti a casa di Teresa e  attaccandosi al campanello per mezz'ora ogni volta che decideva di fermarsi. Fece un giro ai grandi magazzini, al parco pubblico, arrivò perfino alla periferia di Sacramento, nel quartiere dove avevano trovato Dorothy l'anno precedente.
Rientrò al CBI all'ora di pranzo con aria afflitta e determinata insieme. Evitando Wayne, Grace e Kimball si preparò un tè e andò a sedersi sul divano dell'ufficio di Teresa per pensare.











Ecco qui, piccolo aggiornamento prima di ripartire per le vacanze!
Grazie a chi si è fermato a leggere e soprattutto a chi ha commentato,
grazie, grazie di cuore! Mi sento sempre superesaltata quando leggo le vostre parole!

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare intorno al 24 agosto,
ma vi anticipo già che conterrà una delle mie scene preferite, perciò: stay tuned!

Di nuovo buona estate a tutti!!!

Flora

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Capitolo 6
*** Sei. ***



Questo capitolo è dedicato a Daenerys. Quando lo leggerai, capirai il perchè.



Quando Teresa aprì la porta del suo ufficio, trovò Patrick immobile sul divano, con lo sguardo fisso nel vuoto e una tazza di tè ferma tra le mani. Doveva essere fermo lì da molto tempo, perchè il tè aveva l'aria di essere freddo.
Rimase ferma sulla soglia a guardarlo e dopo qualche secondo il consulente si accorse di lei, salutandola con uno sguardo intenso e silenzioso.
- Non ce la facevo più a rimanere a casa. - Disse Teresa, entrando e chiudendosi la porta alle spalle.
Si voltò per guardare Patrick, ma il suo consulente non sembrava più perso nei suoi pensieri: la guardava come per cercare la risposta ad una domanda che non aveva il coraggio di fare ad alta voce.
Teresa ricambiò per un momento il suo sguardo ma poi distolse gli occhi, imbarazzata. Guardò per un istante gli agenti andare e venire al di là delle veneziane, intenti ai loro soliti compiti, poi si voltò verso Patrick, fissandolo con intensità.
- Dobbiamo salvarla. - Disse in un sussurro. - Dobbiamo impedire a quel bastardo di metterle le mani addosso. Non deve farle del male: lei non c'entra. Non c'entra niente con il CBI, con me, con te o con la nostra crociata contro di lui. - Si fermò per un istante, con gli occhi verdi che scintillavano di determinazione. Quando continuò la sua voce era più alta e più ferma:
- Non voglio che le faccia del male e non voglio che nessun altro si senta come mi sento io adesso, come si sono sentite le famiglie di tutte le altre persone che ha preso... come ti senti tu ogni giorno della tua vita. Dobbiamo fermarlo. Dobbiamo farlo per salvare Dorothy, ma anche per dare pace a tutte quelli che ha ucciso e per dare giustizia alle loro famiglie… non mi importa cosa dice la legge, quali sarebbero le procedure o i protocolli: dobbiamo prenderlo, costi quel che costi. E ho capito la cosa giusta da fare in questo caso è smettere di autocommiserarsi e iniziare a combattere. -
Si fermò un istante, guardando Patrick con uno sguardo che diceva molto più di quanto lei non fosse in grado di dire a parole: fino a quel momento non si era resa conto di quanto coraggio ci volesse per reagire a una situazione come quella. E lei aveva ancora una speranza di riabbracciare Dorothy.
Fece un passo verso di lui e gli sfilò il tè dalle mani, facendo tintinnare tazza e piattino mentre li appoggiava sul tavolinetto.
- Perciò adesso ti alzi da quel divano e andiamo a riprenderci la nostra bambina. -
Nell'istante che seguì Patrick si alzò e colmò la distanza che li divideva. Le prese il viso tra le mani e le posò un bacio sulle labbra. Poi, senza allontanare le mani dalle sue guance la guardò intensamente negli occhi.
- Vado a prendere Juliet. - Disse.
Uscì dall'ufficio lasciandosi alle spalle una Teresa confusa, emozionata e senza parole.
Non era ancora riuscita a riprendersi del tutto quando la porta si aprì bruscamente e la figura alta ed elegante di Ray Haffner fece il suo ingresso nell'ufficio.
- Buongiorno, Teresa. Speravo proprio tu fossi arrivata, i ragazzi mi hanno detto che non ti avevano ancora vista. - Disse con un gran sorriso.
Teresa lo guardò per un istante sbattendo le ciglia, ancora troppo scossa da quello che era successo per capire chi fosse o cosa volesse l'agente sulla porta.
- Ti senti bene? - Domandò ridacchiando Ray, vedendola così confusa.
- Sì. Sì, certamente. Hai bisogno di me? -
- Mi chiedevo se ci fossero delle novità sul caso. -
L'ansia assalì Teresa come un'onda anomala: come faceva Ray a sapere già dell'indagine?
- In-indagine? -
- La morte di Warren, Teresa. - Ray chinò un po' il capo per poter avere gli occhi alla stessa altezza di quelli della collega. - Sei sicura di sentirti bene? Ti vedo un po' distratta. -
- Sto benissimo. - Rispose Teresa, piccata. - E no, non ci sono novità. Se ci fossero, te le avremmo comunicate. -
- D'accordo, d'accordo! Chiedevo solamente! Non è necessario essere così scontrosi! - Esclamò Ray ridendo.
- L'indagine è sotto la nostra giurisdizione, comunque, perciò non sono tenuta ad aggiornarti. -
- Ed è qui che ti sbagli. - Replicò Ray. - Sono passato un attimo fa dal capo e gli ho chiesto di poter collaborare. Conoscevo bene Doyle e conosco le procedure del CBI: il mio aiuto potrebbe farvi comodo. -
L'idea di dover sopportare Ray Haffner per l'intera durata del caso fece venire a Teresa l'improvvisa voglia di chiudere la questione nel minore tempo possibile. Si sforzò di sorridere nel modo più naturale che le riuscì e disse:
- Bene. In questo caso sono… sono contenta di averti a bordo. Ci sarai d'aiuto. Se vieni di là, i ragazzi ti aggiorneranno sul caso. -
- Con molto piacere. -
Mezz'ora più tardi la squadra stava riassumendo a Ray e Teresa gli ultimi movimenti dei sospetti:
- La signora Stan è rimasta in casa tutto il giorno, Mendelev è stato visto lavorare alla sua officina. - Disse Grace. - Non hanno fatto niente di sospetto, nè telefonate nè incontri fuori dal comune. -
- Io e Rigsby siamo andati a parlare con i vicini di casa di Doyle. - Intervenne Kimball. - E ci hanno detto che non vedevano mai nessuno a casa sua: usciva alla mattina presto e rientrava a metà pomeriggio, sempre da solo. Conduceva una vita molto ritirata. -
- Nel pomeriggio andiamo a parlare con la vicina di casa che gli dava una mano con le faccende domestiche. - Concluse Wayne. - Ma non c'è molto su cui lavorare. -
In quel momento Teresa vide Patrick comparire in corridoio assieme a una ragazza dai capelli neri e ondulati. Al consulente bastò uno sguardo per dirle che l'avrebbe aspettata nel suo ufficio assieme alla babysitter di Dorothy.
- Devo andare. - Disse Teresa alzandosi.
Il gesto improvviso fece voltare tutti verso di lei: nei loro sguardi c'erano sopresa e perplessità e Teresa si ritrovò costretta ad abbozzare una giustificazione.
- Devo sbrigare delle cose piuttosto urgenti. - Disse. Poi si rivolse a Ray con il migliore dei suoi sorrisi. - E poi siete in ottime mani, potete fare a meno di me per un'ora. -
- Sapete che vi dico? Teresa ha ragione. - Disse Ray. - Possiamo sbrigarcela anche da soli: io vado a fare visita alla villa di Lisa Stan, forse qualcuno dei suoi maggiordomi sa qualcosa. -
- È una buona idea. - Convenne Teresa. - VanPelt, va' con lui: magari la singora Stan sarà più espansiva con una donna. -
Soddisfatta per essersi liberata dalla situazione scomoda senza troppi problemi Teresa si affrettò nel suo ufficio, entrando e chiudendo le veneziane.
Juliet era seduta sul divano accanto a Patrick e pareva molto nervosa: si guardava attorno con occhi saettanti pieni di ansia e non faceva altro che arrotolarsi una ciocca di capelli attorno alle dita.
- Ciao, Juliet. - La salutò Teresa.
- Agente Lisbon. Sono... sono così confusa, cosa ci faccio qui? Il suo collega mi ha fatto salire in macchina mentre tornavo a casa da scuola e non mi ha spiegato niente. Si staranno preoccupando tutti, le mie amiche penseranno che sono stata rapita! - Guardò Teresa, poi Patrick, poi di nuovo Teresa. La sua voce tremava appena quando chiese: - È successo… È successo qualcosa a Dorothy? -
- È buffo che tu me lo chieda, visto che ieri pomeriggio sei stata tu l'ultima a vederla. - Fu la risposta di Teresa.
- Io non vedo Dorothy da una settimana! - Esclamò Juliet.
- Da una settimana? Non sei andata a prenderla a scuola, ieri? Ti avevo telefonato e mi avevi detto che te ne saresti occupata tu! -
- Sono andata a scuola. - Disse Juliet, stringendo nervosamente le mani l'una nell'altra ma trovando il coraggio di guardare Teresa dritto negli occhi - Ma Dorothy era già uscita. -
- Non avrebbero mai fatto uscire una bambina da sola. - Intervenne Patrick.
- No, ovviamente no. Quando non l'ho vista uscire sono entrata, sono arrivata fino alla classe e lì la maestra mi ha detto che l'aveva consegnata al padre, mezz'ora prima della fine delle lezioni. -
Il gelo scese sulla stanza.
- Al padre? -
- Io lo so che lei non ha un compagno, agente Lisbon. - Disse Juliet. - Cioè, io… magari mi sbaglio, è solo che penso… pensavo che Dorothy non avesse un padre. -
Teresa e Patrick si scambiarono uno sguardo e Juliet si girò verso Patrick alla ricerca di una risposta alla sua affermazione.
- Il padre di Dorothy è in prigione. - Rispose il consulente.
- O almeno è dove pensiamo che sia. - Intervenne Teresa. - Quindi tu dici che Dorothy è con suo padre? -
- Così mi ha detto la signora Scheer. -
- Forse è il caso di controllare se McDale è ancora dietro le sbarre. - Disse Patrick.
- Credo sia una buona idea. - Rispose Teresa.
- Io intanto riaccompagno Juliet a casa. Credo non le dispiacerà un'altro giro sulla mia auto. - Replicò Patrick con un sorrisetto, prendendo le chiavi dell'auto dalla tasca della giacca e osservando gli occhi di Juliet luccicare di entusiasmo.
La ragazza si alzò e fece per seguire Patrick fuori dalla porta, ma proprio all'ultimo momento si girò e tornò da Teresa. I suoi occhi scuri erano di nuovo colmi di preoccupazione mentre parlava:
- La prego, agente Lisbon… mi avverta quando la trovate. -
- Te lo prometto. - Disse con un sorriso tirato.
- Grazie. - Disse Juliet con un sospiro. - Dorothy è una bambina sveglia, comunque. Sono sicura che sta bene. -
Teresa ebbe un istante di esitazione, prima di rispondere con voce incerta:
- Ma sì, certo. -












Rieccomi a casa!
Ho passato un bellissimo mese di vacanza, tra montagna, campagna e Sarajevo!
La vacanza con i miei amici dell'oratorio è stata tremila volte più bella di come mi immaginavo
e consiglio a chiunque di andare in Bosnia, se può: mai un viaggio è stato tanto sorprendente e intenso
!

Tornando alla nostra storia, spero che abbiate trovato i personaggi abbastanza IC...
spero che il gesto di Jane non vi abbia scioccate troppo, io ce lo vedevo e alla fine l'ho scritto.

Grazie infinite per aver letto e seguito la storia fin qui
e grazie il doppio a chi lascia anche un commento! Grazie di cuore, davvero!

Flora

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Capitolo 7
*** Sette. ***






Patrick parcheggiò la sua Citroën azzurra davanti alla scuola elementare di Dorothy e scese guardandosi intorno con aria curiosa prima di avvicinarsi all'ingresso: il portone era aperto e gli bastò spingerlo appena per ritrovarsi in un atrio quadrato decorato da molti cartelloni colorati pieni di disegni e scritte infantili. Il linoleum attutiva il rumore dei suoi passi e mentre si avviava verso il corridoio Patrick si guardava attorno incuriosito: era sempre affascinato dai luoghi dove i bambini "normali" trascorrevano la loro infanzia.
- Mi scusi, lei sarebbe? - La voce di una inserviente corpulenta interuppe il filo dei suoi pensieri.
- Patrick Jane, CBI. Cerco la signora Scheer. - Rispose l'uomo, mostrando il tesserino senza scomporsi.
- Nessun esterno può entrare durante l'orario delle lezioni. - Sbottò la donna, incrociando le braccia sul petto per sembrare più temibile.
- Si tratta di un'indagine di polizia e ho urgentemente bisogno di parlarle: potrebbero esserci degli innocenti in pericolo. -
La donna lo guardò di sbieco, poi gli fece cenno di seguirla.
- Per di qua. La classe della signora Scheer è quella in fondo al corridoio. Ma sta ancora facendo lezione. -
Lungo il corridoio si sentivano il vociare dei bambini e i richiami delle insegnanti, musica di flauti stonati e il rumore di passi, di sedie e banchi trascinati. La classe della signora Scheer aveva un enorme cartellone con un albero dalla chioma rossa appeso alla porta e dall'interno venivano i suoni di bambini che ridevano e parlavano. L'inserviente fece fermare Patrick appena al di là del raggio di visuale della porta ed entrò nell'aula per parlare con la maestra.
Il consulente, però, non riuscì a trattenersi e fece un passo avanti, sbucando con la testa al di là dell'uscio e attirando l'attenzione di una bambina bionda in prima fila.
- Ciao. Io sono Patrick. - Disse.
La bambina sollevò le sopracciglia con aria incredula e poi tornò a colorare il suo disegno.
Patrick fece per entrare nell'aula ma una donna alta ed elegante sulla cinquantina lo fermò prima che potesse continuare col suo piano, afferrandolo per un braccio.
- Agente Jane, possiamo parlare fuori. - Disse.
- Non sono un'agente. E parliamo dove preferisce, basta che mi lascia andare. - Rispose Patrick divincolandosi.
L'inserviente rimase nell'aula a tenere a bada i bambini mentre la signora Scheer e Patrick parlavano nel corridoio.
- A cosa devo questa visita? - Disse la donna.
- Si tratta di Dorothy McDale. - Disse Patrick.
Immediatamente l'espressione della donna divenne preoccupata.
- Dorothy? Stamattina era assente… le è forse successo qualcosa? -
- Lei è stata l'ultima persona a vederla, ieri pomeriggio. -
- Sì, ha fatto le ultime ore di lezione con me, ma è uscita con suo padre mezz'ora prima del suono dell'ultima campanella e non l'ho più vista. -
- Suo padre è in prigione, signora Scheer. Sono certo che lei ne era al corrente. -
- In… in prigione. Ma certo. Pensavo che avesse… che avesse scontato la pena… - La voce della maestra si affievoliva sempre di più mentre capiva di aver fatto un grosso sbaglio. - Ma dovevo immaginare che la signorina Lisbon me l'avrebbe detto, se fosse stato così. Dio, come sono stata sciocca. -
Sentendosi improvvisamente mancare le forze, la signora Scheer si appoggiò all'albero appeso alla porta alle sue spalle.
- È molto importante che lei mi dica tutto quello che ricorda dell'uomo che è venuto a prendere Dorothy. -
- Io… io non ricordo molto. -
- La prego. - Ribadì Patrick, prendendole una mano tra le sue. - Ci vorranno solo cinque minuti e per Dorothy potrebbe fare davvero la differenza. -
La donna sospirò e posò gli occhi su Patrick, poi iniziò a parlare lentamente, guardando il linoleum sotto le sue scarpe.
- La lezione era finita e stavamo riordinando l'aula, c'era molta confusione. Hanno bussato alla porta, sono andata ad aprire e c'era un uomo sulla trentina, alto e con le spalle larghe, con indosso una camicia chiara e una giacca nera di pelle. Mi ha detto di essere il padre di Dorothy e che se ne sarebbe occupato lui quel pomeriggio. Io ho chiamato Dorothy, lei si è avvicinata, lui l'ha presa in braccio, mi ha stretto la mano augurandomi buon pomeriggo ed è uscito. -
Patrick rimase immobile, scrutando il volto della donna per un attimo.
- Non ricorda altro di lui? -
- No, ma… ma l'avevo già visto. All'ora di pranzo. - Disse la signora Scheer, illuminandosi - Non so perchè io non ci abbia pensato prima ma sì: all'intervallo era fermo dietro la cancellata del cortile della scuola e guardava i bambini giocare in compagnia di un'altra persona. È strano, perchè la cancellata dà su una via chiusa in cui non passa nessuno. -
- Saprebbe descriverlo? - Domandò Patrick, sentendo di essere vicino a qualcosa di importante.
La signora Scheer però lo deluse, scuotendo la testa.
- No. Mi dispiace, ma non ricordo nulla del suo viso. L'ho visto per troppo poco tempo. -
Patrick rimase in silenzio per un istante, poi strinse ancora la mano della signora Scheer tra le proprie per farle un'ultima domanda:
- Dorothy voleva andare con suo padre? -
- Cosa, scusi? -
- Ha capito bene: Dorothy voleva andare con suo padre o è stata portata via con la forza? -
- Non… non è stata costretta. Era in braccio a suo padre quando mi ha stretto la mano. -
- Ne è certa? -
- Assolutamente. Non avrei mai fatto andare via Dorothy se non fossi stata certa che sarebbe stata bene. -
- D'accordo. - Patrick lasciò andare la mano della maestra - Grazie del suo aiuto. -
- Avrei voluto poter fare di più. -
- Ci è stata molto utile, signora Scheer, mi creda. - Disse Patrick, allontanandosi.
- Signor Jane! - La voce dell'inserviente lo raggiunse quando era già a metà corridoio. - Devo accompagnarla! -
- Conosco la strada! - Esclamò Patrick agitando una mano in segno di saluto e continuando a camminare senza fermarsi.
 
Quando rientrò al CBI, fu fermato da Wayne:
- Dove sei stato? Lisbon è furibonda, non rispondevi al cellulare! -
- Avevo delle cose da fare. -
- Ti conviene andare da lei. -
- Jane! - La voce di Teresa li interruppe e l'agente raggiunse Patrick a grandi passi. - Dove diavolo ti sei cacciato? Sono due ore che ti cerco! -
Wayne guardò rapidamente il suo capo e il suo collega, poi se la svignò senza che nè l'uno nè l'altra si rendessero conto della sua improvvisa assenza.
- Ho accompagnato Juliet a scuola e ho fatto una piccola deviazione sulla via del ritorno. - Fu la giustificazione di Patrick, raccontata con un sorriso leggero.
- Deviazione? -
Patrick le fece un cenno con la mano, come a dirle che non era importante.
- Jane. Dove sei stato? -
- Da nessuna parte. -
- Che di solito vuol dire che sei stato in un posto in cui non ti avrei dato il permesso di andare. -
- Invece di cercare sottintesi alle mie parole potresti dirmi se hai scoperto qualcosa. -
- Non ho potuto: il caso Doyle ha la precedenza. - Rispose Teresa, ma davanti all'occhiata allibita di Patrick aggiunse. - Ufficialmente, almeno. Comunque stavo andando al carcere della contea. Vieni con me? -
- Come mai andate al carcere? - Domandò Ray, comparendo alle spalle di Teresa.
- Indagini, ovviamente. - Disse Patrick.
- Non mi pare che nessuno dei sospettati sia in carcere. - Replicò Ray, sollevando un sopracciglio.
- Nessuno dei vostri sospettati. Andiamo, Lisbon? - Rispose Patrick.
- Avete altri sospettati e non mi avete detto niente? - Ora Ray non era più ammicante o stupito: sembrava solo molto irritato.
Teresa spostò rapidamente lo sguardo da lui a Patrick, sperando di riuscire ad imbastire una bugia credibile.
- Non abbiamo ancora niente di serio, pensavo di battere questa pista e poi metterti al corrente se si rivelava fondata. - Disse poi.
- Non state cercando di risolvermi il caso sotto il naso a mia insaputa, vero? -
- Assolutamente no. - Fu la risposta di Teresa.
- Sai, non sarebbe la prima volta. - Sbottò lui, lanciando a Patrick un'occhiata ostile.
- Non preoccuparti. Appena torneremo dal carcere ti faremo sapere tutto. - Replicò Teresa con un mezzo sorriso.
- O forse no. - Sentenziò Patrick.
Teresa si voltò di scatto verso di lui e non ebbe bisogno di parlare: i suoi occhi lo fulminarono in modo più eloquente di qualunque rimprovero. Patrick alzò le mani in segno di resa.
- Sei tu il capo. -
- Appunto, e si fa come dico io. -













Innanzitutto voglio ringraziare ufficialmente Live In Love e ILoveBooks
per la sua fedeltà nelle recensioni:
grazie, grazie di cuore!
Poi voglio ovviamente dedicare un grazie anche a tutti quelli che leggono la storia in silenzio
e a chi si ferma ad aprirla anche solo per curiosità!

Portare avanti due indagini parallele, in questa storia, è stato difficilissimo...
spero di riuscire a far incastrare tutti i pezzi a dovere in modo da permettervi di risolvere il caso!

Flora

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Capitolo 8
*** Otto. ***






La macchina sfrecciava lungo la superstrada che collegava Sacramento al carcere dove era detenuto McDale. Il silenzio aleggiava nella macchina, ma non era la semplice mancanza di parole: Patrick e Teresa erano entrambi immersi nei loro pensieri.
- C'è una cosa che non capisco. - Esordì Teresa ad un certo punto. - Qual è il legame tra Frank McDale e John il Rosso? -
Un istante di silenzio seguì le sue parole, poi Patrick parlò in un sussurro.
- Dorothy. -
- Scusa? -
- L'unica cosa che li lega è Dorothy: Frank perchè rivuole sua figlia e John perchè l'ha presa. -
- Sì, ma perchè John avrebbe dovuto prendere una bambina? Non ha fatto niente di male! Avrebbe dovuto prendere me al suo posto! -
Teresa si voltò verso Patrick e lui non le rispose, guardandola in silenzio.
- Scusami. - Disse, consapevole di cosa le stava dicendo il suo consulente con gli occhi.
Teresa era consapevole che John il Rosso era un grande conoscitore dell'animo umano: sapeva bene che colpire una persona vicina al proprio nemico era molto peggio che colpire lui direttamente; la dimostrazione dell'efficacia quel ragionamento era lì, seduta accanto a lei, con occhi tristi che non riuscivano mai a sorridere davvero.
- Ma se fosse tutto un depistaggio? - Propose Teresa. - Se Frank McDale avesse rapito Dorothy e avesse inscenato il rapimento da parte di John il Rosso solo per spaventarmi e farmi passare la voglia di cercarla? Forse lanciarci così a capofitto in un caso su John era il suo piano fin dall'inizio… -
- E come avrebbe fatto ad arrivare a casa tua e a lasciare il disegno con lo smile sul tuo letto? No, Frank McDale sarà anche determinato, ma troppo sciocco e disorganizzato per fare una cosa del genere. E poi, per quello che ne sappiamo noi, non si è mai mosso dal carcere. Senza contare che se voglio fuggire con la bambina di un agente di polizia l'ultima cosa che farei è fingermi un serial killer ricercato dall'FBI: avrei troppi occhi addosso, mi starebbe dietro troppa gente. Sono certo che ci sia davvero John il Rosso dietro tutto questo: solo lui poteva aver interesse nel dirci di avere con sè Dorothy, perchè pensava che dicendocelo ci avrebbe fatto paura e che ci avrebbe tenuto in pugno. - Sorrise appena, prima di aggiungere. - Ma non ha saputo prevedere la reazione che avresti avuto. Hai stupito perfino me! -
Teresa colse lo scintillio negli occhi del suo consulente e fu costretta ad abbassare lo sguardo, sorridendo imbarazzata al pensiero di come Patrick aveva reagito alla sua presa di posizione contro il serial killer.
L'automobile rallentò nel parcheggio del carcere e Teresa spense il motore. Patrick aveva già aperto la portiera ed era uscito, coprendo a grandi passi la distanza che lo separava dall'ingresso. Mentre scalpitava sulla porta, Teresa capì il perchè della sua irrequietezza.
- John è troppo furbo per essersi lasciato dietro delle tracce, Patrick. - Gli disse con dolcezza. - Non sperarci troppo. -
- Non sto sperando. Sto facendo il mio lavoro: scoprire il colpevole, arrestarlo e restituire una bambina alla sua famiglia. -
Teresa lo guardò seria.
- Non sperarci troppo comunque. -
Il portone di metallo si aprì e i due agenti entrarono nel cortile. Nonostante fosse pomeriggio inoltrato il sole splendeva impietoso in un cielo di un turchese intenso, riflettendosi sulle finestre sigillate e sulle spesse porte di acciaio della prigione. Un secondino accaldato li raggiunse e chiese loro di cosa avessero bisogno: a Teresa bastò mostrare il tesserino del CBI per essere portata dal direttore del carcere senza altre domande.
Il direttore era un omino basso e con il cranio lucido di nome August Max. Indossava un paio di pantaloni di velluto a coste tenuti su da un paio di logore bretelle e una camicia a righine.
- Buongiorno, agente Lisbon. A cosa devo? -
- Siamo qui per chiederle informazioni su uno dei vostri detenuti. -
- Ma certo. Di chi si tratta? - Disse August, aprendo il grosso faldone che conteneva i fascicoli delle persone presenti in carcere.
- Frank McDale. -
Il direttore si prese qualche minuto per sfogliare i suoi documenti.
- Ah, sì, certo. Quarantotto anni, vedovo, una figlia di sei anni. Era nella cella 61/b assieme a Roger Hoover. -
- Era detenuto? Non è più qui? -
- No, ha avuto un permesso di quattro giorni, è uscito due giorni fa. Ha l'obbligo di firma ogni giorno alle 10 e alle 18 al commissariato centrale di Sacramento ed è piantonato da due agenti all'ingresso del condominio. -
Teresa si voltò verso Patrick, lanciandogli un'occhiata sgomenta. Patrick sembrava ancora più confuso e scioccato di lei da quella notizia.
- McDale ha ucciso due persone, ha venduto sua figlia e adesso esce in permesso? - Domandò Teresa al direttore.
- Sa, agente Lisbon, io di detenuti ne ho visti tanti… ma nessuno è stato trasformato dalla detenzione quanto Frank McDale. Quando è arrivato era un uomo distrutto, disperato e arrabbiato col mondo. Risse, tentativi di evasione, minacce… comportamenti inaccettabili sotto ogni aspetto: la cella di isolamento era diventata la sua cella abituale. - Disse il direttore, sedendosi più comodo sulla sua sedia e guardando Teresa con serietà. - Ma poi, lentamente, ha iniziato a ravvedersi. Si è calmato, ha iniziato ad essere conciliante, a ragionare… a diventare perfino una guida per i detenuti più chiassosi e rissosi. Riusciva ad aver ragione anche delle persone peggiori e aveva iniziato a intrattenere fitte corrispondenze con molte persone al di fuori del carcere. Quattro giorni fa abbiamo avuto la richiesta di permesso per una testimonianza e l'abbiamo accolta, non c'era motivo di negarla. Se lo vedesse, agente, concorderebbe con me sul suo cambiamento. -
- Di che testimonianza si trattava? - domandò Teresa.
- Aveva un incontro con alcuni studenti a proposito delle possibilità di ravvedersi dopo il carcere. Un incontro importante e istruttivo, era importante che i ragazzi potessero avere una prova concreta della possibilità di un uomo di rifarsi una vita. -
- L'uomo che avete lasciato in libertà è pericoloso. Incontro o no, l'avete messo in condizioni di fare ancora del male. - Disse Teresa, gelida.
- Lei è credente, agente Lisbon? - Domandò il direttore. - Forse non ci viene insegnato che con il pentimento e la conversione non possiamo trasformarci da peccatori a persone in cerca di luce e portatrici di luce? -
A quelle parole Patrick smise di gironzolare per la stanza guardando i quadri e si avvicinò al tavolo.
- Come ha detto, scusi? -
- Ho detto che con il pentimento e la conversione… -
- Ha detto "portatrici di luce", vero? -
- Sì, è quello che ho detto, signor Jane. Come mai tutto questo interesse? -
- Niente, niente. Lisbon, vieni, andiamo. - Disse Patrick all'improvviso, affrettandosi verso la porta e spalancandola sotto gli occhi esterrefatti dell'agente e del direttore del carcere.
- Jane. -
- Abbiamo finito, qui. Andiamo. Abbiamo molte cose da fare. -
- Jane, ti ho già spiegato che… -
- Mi puoi sgridare anche in macchina. Forza. - Disse precedendola nel corridoio.
Senza capire perchè lo stesse assecondando per l'ennesima volta, Teresa si alzò.
- Grazie per il suo aiuto. - disse, stringendo la mano al direttore - Ci è stato molto utile. -
- È sempre un piacere aiutare dei colleghi. - Fu la risposta. - Se avete bisogno, sapete dove trovarmi. -
Scesero precipitosamente le scale e mentre Teresa faticava a tenere il passo di marcia del suo consulente, Patrick non sembrava intenzionato a rallentare. Quando arrivarono alla macchina, però, Teresa si mise tra lui e la portiera.
- Non ci muoviamo da qui se non mi dici cosa sta succedendo. -
- Non c'è tempo. Dobbiamo tornare a Sacramento e trovare McDale. -
- Jane, esigo una risposta. Adesso. -
Patrick sospirò.
- Quell'allusione alla luce. - Spiegò. - Il direttore del carcere è un membro della Visualize. E dalle sue parole credo che anche Frank McDale lo sia, adesso. E dobbiamo tornare indietro perchè, se è come penso, il direttore starà già chiamando il suo contatto a Sacramento in modo da far sapere a McDale che siamo sulle sue tracce. Così potrà scappare, facendo sparire qualunque pista. -
Teresa rimase un istante immobile a immagazzinare quelle informazioni, poi si riscosse e si affrettò dal lato del guidatore, mettendo in moto in fretta e sgommando mentre ripartiva alla volta di Sacramento.
Avevano fatto non più di due chilometri verso la base quando il telefono nella tasca di Teresa iniziò a suonare.
- Lisbon. - Rispose Teresa, sperando che fosse una telefonata breve.
- Capo, la polizia di Sacramento ha mandato un fax. -  La voce di Grace dall'altra parte era turbata, scioccata e incredula insieme. - È stato trovato un cadavere alla periferia della città. -
- Dì loro che abbiamo già un caso e che… -
- Capo. - La interruppe Grace, con voce grave. - È Frank McDale. È il padre di Dorothy. -
Teresa si voltò verso Patrick, guardandolo sgomenta.













Lo so che i capitoli sono  molto corti, ma è la suspance a obbligarmi a dividerli!
Comunque ho deciso che aggiornerò un paio di volte alla settimana, in modo da non trascinare troppo a lungo questa storia
...
Nel frattempo vi comunico che ho scoperto chi è John Il Rosso... e devo dire che la mia versione della storia mi piace molto ma molto di più.
Presto inizierò gli episodi del post Red-John, che spero non mi deluderanno (anche se ho ricevuto spoiler molto Jisboniosi ^^)
L'università sta per ricominciare, il mio oratorio è in fermento per la festa annuale e mi sto appassionando a Bones e Chicago Fire:
il tempo per The Mentalist si riduce a vista d'occhio!

Grazie a chiunque si sia fermato a leggere... e soprattutto a chi lascia un commento!
Naturalmente sono curiosa di sentire le vostre teorie a proposito di entrambi i casi! ;)

Il prossimo aggiornamento sarà il
17 settembre... e andremo sulla scena del crimine di McDale.

Flora

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Capitolo 9
*** Nove. ***






Il vicolo cieco era sporco e buio, nonostante il pomeriggio fosse pieno di sole. Non c'erano lampioni e l'unica cosa che riempiva il piccolo spazio tra i due condomini vicini era una scala antincendio di alluminio e una serie di cassonetti per l'immondizia che riempivano l'aria di odore acidulo e riversavano rivoletti di unto sull'asfalto. In sottofondo lo sferragliare dei treni rivelava le vicinanze di una ferrovia.
Un nastro giallo e nero chiudeva l'ingresso al vicolo e due volanti della polizia di Sacramento erano posteggiate appena fuori; un gran via vai di agenti si affaccendava per tenere i curiosi lontani ed effettuare i primi rilievi.
Teresa e Patrick lasciarono la macchina in doppia fila e si precipitarono nel vicolo, incuranti del nastro e della polizia.
- Ehi, voi due, dove credete di andare? - Esclamò un agente, acciuffando Patrick per un braccio.
- Siamo agenti del CBI. Beh, per la verità lei è un'agente del CBI. - Disse indicando Teresa, già arrivata a metà del vicolo - Io sono solo un consulente, ma… -
Non gli servì finire la frase, perchè il poliziotto lo lasciò andare e Patrick potè raggiungere Teresa, la quale stava battibeccando con il comandante della pattuglia per potersi avvicinare di più.
- Il caso non è del CBI, agente Lisbon, mi dispiace. -
- McDale è una nostra vecchia conoscenza: vorremmo solo dare un'occhiata, non interferiremo nelle indagini, glielo assicuro. -
Patrick li raggiunse e li superò con aria disinvolta senza degnarli nemmeno di uno sguardo.
- Ehi! Non può andare oltre! - Esclamò il comandante.
Patrick aveva deciso però che c'erano cose ben più importanti da fare che non ascoltare qualcuno che voleva dargli ordini.
Si fermò a un passo dal corpo di McDale, chinandosi per osservarlo meglio: era steso a terra con gli arti scomposti, l'asfalto intriso di sangue sotto il suo corpo, gli occhi sbarrati rivolti al cielo e il viso contratto in una smorfia di dolore.
- Jane, non potevi passare! - Esclamò Teresa, più per dovere che per vero rimprovero.
- Sempre meglio chiedere il perdono che il permesso, Lisbon. - Sentenziò lui.
Alle spalle di Teresa l'agente in comando stava brontolando al telefono e Teresa disse:
- Abbiamo cinque minuti prima che il capo mi chiami per dirmi di lasciare questo posto a chi è di competenza. Dobbiamo muoverci. -
Senza farselo ripetere due volte, Patrick alzò gli occhi per capire da dove era precipitato.
- Allora? - Lo incalzò Teresa.
- Non è stato un incidente. -
- E lo dici perchè… -
- Perchè incidente significa sporgersi troppo e sporgersi troppo implica finire proni, non supini. Lui è indietreggiato, indietreggiato fino a precipitare. Lo dice anche lo sguardo di terrore nei suoi occhi. -
- Che non può essere causato semplicemente dal fatto di stare precipitando? - Domandò Teresa polemica, alzando un sopracciglio.
- Non ha avuto il tempo di realizzarlo. È caduto dal secondo piano. - Rispose Patrick.
Stavolta Teresa lo guardò sbattendo le ciglia, sinceramente ammirata.
- E questo come lo sai? -
- Perchè è l'unica finestra da cui si stanno affacciando degli agenti. - Disse Patrick con un sorrisetto, indicando il palazzo alle spalle della sua collega e i due ragazzi in divisa che si sporgevano da una finestra per guardare nel vicolo.
Teresa ebbe appena il tempo di alzare gli occhi al cielo prima di sentire il telefonino vibrare.
- Lisbon. - Rispose a malincuore.
La voce irata del capo la costrinse a scostare il telefono dall'orecchio e a fare cenno a Patrick di seguirla. Gli sguardi degli agenti della polizia di Sacramento li seguirono con lo sguardo mentre si allontanavano, ascoltando compiaciuti Teresa che si scusava ripetutamente al telefono per essere andata oltre le proprie competenze.

La sera era scesa su Sacramento e il cielo era indaco e turchese. Le prime stelle si accendevano ad est e il traffico si stava intensificando, mentre la gente si affrettava verso casa.
Anche la palazzina del CBI si era svuotata, solo la luce nell'ufficio di Teresa era ancora accesa: Patrick le aveva rifilato metà dei fascicoli sui dipendenti della Visualize per scoprire dove si nascondeva John il Rosso e insistere sul fatto che avevano sfogliato inutilmente quei file migliaia di volte era stato come parlare al vento.
- Un'ultima occhiata, Lisbon. Solo un'ultima occhiata. - Le aveva detto con quei suoi intensi occhi azzurri.
E come le capitava spesso, Teresa si era ritrovata a sospirare e accettare. Seduta alla sua scrivania con una enorme tazza di caffè davanti, aprì il primo file e si mise a rileggere i dati su uno dei giovani membri della Visualize. Bevve un sorso di caffè dando un'occhiata all'orologio: erano solo le nove, ci sarebbe voluta tutta la notte.
Grace entrò nell'ufficio del suo capo con un sorriso gentile.
- Capo, io e Rigsby siamo di turno per tenere sotto controllo i telefoni della Stan e di Mendelev. - Disse con dolcezza. - Se vuoi possiamo sbrigare un po' di lavoro per te, così puoi andare a casa. -
Teresa la guardò colpita e Grace si accorse dello stupore nei suoi occhi.
- Pensavamo che forse ti piacerebbe passare più tempo a casa, adesso. - Spiegò con un sorriso.
- È un pensiero gentile, Grace, ma preferisco pensarci io. - Disse Teresa, suonando molto più fredda di quanto avesse voluto per non permettere alla voce di incrinarsi al pensiero della casa vuota che l'aspettava al suo rientro.
Grace rimase un attimo in silenzio, spiazzata da quella reazione, poi si sforzò di sorridere.
- Se cambi idea siamo di là. -

Teresa rimase seduta alla scrivania quasi un'ora, sfogliando file su file senza leggerli con troppa attenzione. Era molto stanca, la sera prima non aveva dormito quasi per niente e la giornata si era rivelata molto più faticosa del previsto. Si sorprese a guardare sempre più spesso l'orologio e a valutare seriamente la proposta di Grace.
Certo, non sapeva come spiegare loro quell'improvviso interesse per la Visualize e John il Rosso… ma dopotutto poteva inventare qualunque cosa e Wayne e Grace non avrebbero fatto domande: non era la prima volta che si buttavano in una ricerca non autorizzata. E poi, a ben guardare, quella ricerca non era neanche un suo dovere: era solo per fare contento quell'insopportabile consulente che riusciva sempre a fare il bello e il cattivo tempo nella sua vita. Poteva benissimo lasciarla a metà.
Nonostante il timore del silenzio che regnava a casa, Teresa pensò che con la mente riposata sarebbe riuscita a trovare qualche nuovo indizio con più facilità; qualche minuto più tardi comparve nell'open space con la giacca in mano e la borsa a tracolla.
- Credo che andrò a casa, ho bisogno di riposarmi un po'. - Disse. - Se volete sulla mia scrivania ci sono dei fascicoli da guardare. Stiamo cercando nuove connessioni tra John il Rosso e la Visualize. -
Grace e Wayne si scambiarono uno sguardo e poi guardarono Teresa, ma non chiesero spiegazioni.
- D'accordo. Faremo del nostro meglio. - Disse Grace con un sorriso. - Buonanotte, capo. -
- Grazie, ragazzi. Buonanotte. - Rispose Teresa.
Quando uscì dall'edificio del CBI per dirigersi a casa si rese conto di aver inconsciamente tirato un sospiro di sollievo.

Wayne sfogliava svogliatamente le pagine del fascicolo che aveva davanti mentre aspettava che Grace tornasse con i due caffè doppi che aveva promesso. Il rumore di passi affrettati sul linoleum lo fece trasalire: si mise composto e si sfregò gli occhi, cercando di non sembrare troppo assonnato.
- Jane. - Disse quando vide il consulente apparire sulla porta dell'open space.
Nonostante fosse notte fonda Patrick non sembrava nè stanco nè insonnolito, anzi: pareva in agitazione.
- Lisbon. Dov'è Lisbon? -
- È andata a casa. - Disse Grace comparendo alle sue spalle con una tazza di caffè in ogni mano. - Era stanca e ha lasciato a noi il suo lavoro. -
- A casa? - Domandò Patrick, la voce alterata.
- Sì. - Disse Grace, scioccata da quella reazione. - Ma che succede? -
- Con tutto il lavoro da fare che le ho lasciato è andata a casa? - Domandò ancora Patrick.
- Ci siamo offerti di aiutarla e… - Tentò Grace, ma fu subito interrotta:
- Quanto tempo fa è andata via? - Domandò Patrick.
- Verso le nove. - Intervenne Wayne. Ora anche lui era preoccupato. - Jane, è tutto a posto? C'è qualcosa che dobbiamo sapere? -
Jane si voltò e si diresse verso l'ascensore senza rispondere a nessuna domanda.

Mentre la sua Citroën azzurra sfrecciava nel buio di Sacramento superando di gran lunga ogni limite di velocità Patrick teneva una mano sul volante e una sul cellulare, richiamando Teresa ogni volta che il telefono si ostinava a dirgli che "il numero da lei chiamato è spento o non raggiungibile".
- Rispondi, Lisbon, accidenti. -
L'auto inchiodò davanti all'ingresso del complesso residenziale dove abitava Teresa e Patrick scese in fretta. Non si curò nemmeno di spegnere i fari o di chiudere la macchina: raggiunse la porta e si lanciò verso il campanello, sperando di svegliare la proprietaria e di ricevere i suoi insulti. Dopo cinque minuti di insistente scampanellio, però, dovette ammettere che in casa non c'era nessuno. Nessuno che potesse rispondere, per lo meno.
Prese il cellulare provando a telefonare ancora, sperando di sentirsi dire da Teresa che non era tornata subito a casa e che era altrove, ma proprio mentre stava per avviare l'ennesima chiamata i suoi occhi acuti notarnono uno scintillio vicino allo zerbino.
Riattaccando bruscamente, si chinò e sfiorò con le dita il piccolo oggetto che rifletteva la luce fioca dei lampioni, sollevandolo per guardarlo meglio.
Era un piccolo crocefisso d'argento con l'anellino spezzato. Le sottili decorazioni d'argento e i minuscoli zirconi che lo decoravano erano incofondibili: era il crocefisso preferito di Teresa, quello che aveva ereditato da sua madre. Lo portava raramente, solo nei momenti in cui sentiva di avere più bisogno di forza; come quando decidi di tornare al lavoro dopo aver scoperto che la tua bambina è stata rapita da un serial killer, per esempio.
Patrick strinse il ciondolo nel pugno, pensando che non poteva essere caduto da solo: Teresa non se ne sarebbe mai separata. Le punte del crocefisso affondarono nel suo palmo quando capì cosa voleva dirgli: non si era allontanata di sua spontanea volontà.














Due capitoli in uno, stavolta!
Prendetelo come un... doppio episodio!

(Tra l'altro stasera c'è The Mentalist su Rete4... ho deciso che guarderò il resto degli episodi in tv)

Ringrazio chiunque si fermi a leggere e a chi troverà il tempo per un piccolo commento.

Il prossimo aggiornamento sarà il
20 settembre (prima della festa dell'oratorio che mi prenderà molto tempo)
... e le indagini saranno costrette a prendere un ritmo più serrato.
Il tempo stringe.

Flora

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Capitolo 10
*** Dieci. ***






Il sole non era ancora sorto su Sacramento, quando Patrick suonò il campanello della guardiola del carcere. Il secondino del turno di notte andò ad aprire con gli occhi stanchi e la barba non fatta.
- Non è orario di visite. -
- Mi faccia entrare. Devo parlare coi detenuti. -
- Ripassi ad un'ora decente. - Sbottò la guardia, chiudendo lo spioncino della guardiola.
Per tutta risposta Patrick tornò ad attaccarsi al campanello.
- Le ho detto di ripassare più tardi! -
- Devo parlarci adesso. Ci sono delle persone in pericolo. È importante. -
- Non ho nessuna intenzione... -
- Senta, mi rendo conto che è stanco e che le tocca fare il turno di notte perchè temono che se ha a che fare con qualcuno gli metterebbe le mani addosso a causa di tutta quella rabbia repressa difficile da controllare. Ma nessuno capisce che lei ha ragione, che dopotutto arrivare alla sua età senza aver avuto nessuna possibilità di carriera è dura. Dimostri loro che sbagliano, che sa avere a che fare con le persone. Mi lasci entrare. -
Il secondino lo guardò con gli occhi sbarrati per un secondo, sbattè le ciglia e poi sparì dallo spioncino. La porta si aprì grattando e Patrick entrò.
- Lei è un sensitivo? - Domandò la guarda, tra l'incredulo e l'ammirato.
- No. Ma lei è gentile. Grazie. - Fu la risposta del consulente, che si affrettò a coprire la distanza tra il cancello e l'edificio prima di venire fermato da altre domande.
Si intrufolò nell'edificio e riuscì ad incantare la guardia al cancello con il tesserino del CBI e qualche parola delicata, facendosi accompagnare senza troppi problemi dall'ultimo compagno di cella di Frank McDale. Il galeotto - Roger Hoover - era un ragazzo sui trenta, con lunghi capelli unticci e le braccia coperte di tatuaggi e cicatrici. Quando fu svegliato dal rumore della cella che si apriva non sembrava particolarmente felice di quella visita inaspettata.
- Ciao. - lo salutò amichevolmente Patrick.
L'uomo grugnì, sfregandosi gli occhi.
- Tu conosci Frank McDale, giusto? -
- Dipende perchè lo vuoi sapere. -
Fu il secondino a rispondere:
- È morto. -
Patrick gli lanciò un'occhiata di disapprovazione:
- Certe notizie vanno date con tatto. - Lo riprese. Poi si avvicinò al ragazzo e si accovacciò di fronte a lui per guardarlo negli occhi. - Ascoltami bene, Roger. Frank è stato ucciso e io voglio scoprire chi è stato, ma per farlo devo sapere chi incontrava qui in carcere. -
- Gente. -
- Che tipo di gente? -
- Gente tirata. Scarpe lucide, capelli in ordine, camicia bianca. Uno di 'sti figli di papà con la puzza sotto il naso che si vedono nei notiziari. -
- Era uno della tv? -
- Era per dire. - Sbottò Roger - Una "faccia da notiziario". -
Patrick rimase un secondo in silenzio, riflettendo.
- A te non piaceva, vero? -
- Quelli vengono per tutti noi. I tipi tirati, intendo. Vengono, ti parlano... si sentono Gesù Cristo che converte i peccatori. Tutti coi loro bla bla bla, che possiamo avere e fare ed essere... le chiacchiere di chi non sa cosa vuol dire prendersi un coltello nella pancia. Gente tirata. Gente bene, di quella che con i bigliettoni da cento euro ci si pulisce quando va al cesso. -
- Che diritto ha gente così di venirvi a dire cosa dovete fare? - Domandò Patrick.
- Nessuna! - Sbottò Roger, gli occhi accesi dall'entusiasmo. - Nessuna, dico io. Di solito vengono tre, quattro volte… alla quinta se ne vanno col naso rotto o un braccio lussato e non tornano più. -
- Ma Frank li ha ascoltati. -
- Non subito. Il primo a venire è stato un ragazzetto che non sapeva di niente. Frank non lo voleva nemmeno ascoltare e lo insultava tutte le volte. Più di una volta ha tentato di mettergli le mani addosso... ma poi è arrivato 'sto fotomodello. E allora lì Frank si è messo in testa idee strane. E ha smesso di piacermi. -
- È cambiato? -
- È diventato un'altra persona! Tutto con 'sti discorsi filosofici sul redimersi, sull'avere un'altra occasione, una nuova vita… sull'immaginare un "te migliore per un futuro migliore". -
- Ti ha mai detto come si chiamava? L'altro, intendo. -
Roger scosse la testa.
- Quanto attaccava con quelle frottole lo minacciavo di spaccargli tutti i denti. Di solito taceva, ma durava due giorni al massimo. Poi ricominciava. - Rispose. - Diceva sempre che 'sta religione a cui si era votato l'avrebbe portato fuori di qui. Non ci ho creduto finchè non l'ho visto uscire davvero, con la sua valigetta e tutto… e prima del tempo! -
- Prima del tempo? -
- Sì. Mi aveva detto che stava organizzando di andare fuori in autunno. Ma poi è arrivata 'sta chiamata e lui era terribilmente gasato. Negli ultimi giorni non parlava d'altro. Non di uscire, eh. Di parlare con quattro mocciosi del fatto che "puoi davvero cambiare te stesso". Come se fosse davvero possibile. - Disse Roger sconfortato.
In quel momento il suono del campanello che svegliava i detenuti fece riscuotere il secondino dal mezzo stato di trance con cui Patrick l'aveva convinto ad accompagnarlo alla cella.
- Bene, la visita è finita. - Sbottò, afferrando Patrick per un braccio.
- Ok, ok, non mi trascini. Cammino da solo. - Disse l'uomo.
Appena prima di andarsene, però, Roger disse:
- È stato lui ad uccidere Frank. Il tizio ben tirato. -
- Come lo sai? -
- Io sono cresciuto per strada. Voi saprete tanto di indagini e di leggi, ma io riconosco subito un assassino, quando lo vedo. -
Lo scambio di sguardi che seguì durò meno di un secondo, ma fu molto più intenso di una stretta di mano.

Mentre guidava verso Sacramento, Patrick non guardava veramente la strada. I suoi pensieri erano così densi nella sua mente che stava perfino rispettando i limiti di velocità, viaggiando a velocità di crociera sulla corsia di destra e lasciandosi superare da chiunque.
All'improvviso inchiodò, ritrovandosi il conducente della Jeep alle sue spalle praticamente nel cofano della macchina. Il suono di un clacson anticipò il rumore di una portiera che si apriva e si chiudeva sbattendo, ma Patrick non aspettò di vedere il conducente per rimettere in moto.
Alzando una mano per scusarsi, fuggì sgasando lungo la strada, spostandosi rapidamente a sinistra per imboccare la prima uscita utile in direzione di Monterey.
Ripercorrendo tutte le tappe della sua indagine si era soffermato sulla visita alla scuola di Dorothy, sulla sua maestra e sul dialogo che avevano avuto fuori dalla porta.
E lì si era reso conto di una cosa, di una piccola coincidenza - se le coincidenze esistevano davvero - che gli aveva richiamato alla mente il cadavere di Warren Doyle. Era solo un piccolo,  ininfluente dettaglio. Una di quelle piccole cose che però rientravano perfettamente nello stile di John: il suo amore per i dettagli, la scelta di location, luci e momenti appropriati per tutto… lui non lasciava mai niente al caso.
Niente, nemmeno il luogo dove lasciare un cadavere perchè venisse ritrovato.













Con qualche ora di ritardo, ecco il nuovo capitolo!
L'indagine procede, ora dovreste avere in mano tutti gli elementi necessari a svelare il colpevole...
riuscire ad arrivare alla soluzione del caso prima di Jane è una delle cose che mi gasa di più, a voi no?


Grazie ad
I Love Books e alle sue bellissime e costanti recensioni e a tutti quelli che leggono anche senza commentare!
il prossimo capitolo vedrà un sopralluogo su una scena del crimine e dovrei pubblicarlo verso il
24 settembre!
Ormai la storia si avvia (ahimè) alla sua conclusione.

Flora

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Capitolo 11
*** Undici. ***






Quando Patrick rientrò al CBI era pomeriggio inoltrato.
- Dove sei stato? - Domandò Wayne quando lo vide entrare nell'open space.
Per tutta risposta Patrick gettò la giacca su un bracciolo del divano e si distese, stiracchiandosi con aria compiaciuta.
- A fare un giretto. È una giornata così bella! - Rispose.
- Lisbon era con te? - Chiese Grace.
Patrick li guardò fingendo sorpresa.
- No, perchè dovrebbe essere stata con me? - Domandò con falsa innocenza.
- Non si è vista per tutto il giorno. - Replicò Kimball, alzando per un attimo lo sguardo dal suo pc e dimostrando così anche lui una certa preoccupazione.
- Conoscete Lisbon. Non si assenta mai senza una buona ragione. - Minimizzò Patrick. - Anche l'ultima volta eravamo tutti preoccupati e poi è arrivata solo un po' in ritardo. -
- Nessuno l'ha vista nè sentita da ieri sera, quando è uscita dal CBI verso le nove. - Iniziò Grace.
- E tu sei corso dietro di lei preoccupato come non mai. Che succede, Jane? - Concluse Wayne.
- Non ero preoccupato. -
- È inutile che tenti di negare: la tua faccia parlava da sola. - Intervenne Grace.
- Chi è che parlava da solo? - Ray comparve in quel momento nell'open space con una tazza di caffè in mano e la giacca nell'altra.
- Lisbon non si vede da stamattina. Siamo preoccupati. - Disse Kimball, asciutto.
Ray li guardò tutti, uno dopo l'altro, con aria scioccata. Poi si lasciò andare ad una risata.
- È un'altro dei tuoi giochetti, vero Jane? Ma stavolta non me la farai sotto al naso: l'ultima volta ho fatto talmente tanto la figura del cretino che non mi giocherai un'altro brutto scherzo! - Disse cercando di fingere allegria.
- Hai ragione. - Replicò Patrick con un mezzo sorriso. - Almeno sul fatto che l'altra volta hai fatto proprio la figura del cretino. -
I tre membri della squadra si aspettavano una reazione, ma Ray dimostrò un notevole autocontrollo, incassando il colpo e limitandosi a lanciargli un'occhiata tagliente. Poi si diresse con disinvoltura verso la scrivania di Wayne e gli chiese il resoconto della nottata di indagini.
Patrick si stese sul divano, pronto ad un po' di riposo fisico mentre metteva a punto il suo piano, ma ad un certo punto Ray disse una frase che lo fece saltare subito in piedi, dimentico dei suoi progetti di pisolino.
- Rigsby, VanPelt: andate all'appartamento che Doyle usava come appoggio qui a Sacramento e vedete se c'è qualcosa di utile. È sulla North Bridge. Cho, a te il prossimo turno di controlli telefonici sulla Stan e Mendelev. -
Wayne e Grace si guardarono con occhi stanchi: dopo una notte quasi insonne e solo una manciata di ore di riposo durante la mattina non erano proprio pronti a fare un sopralluogo.
- Grace, rimani. - Disse Patrick affabile. - Vado io con Rigsby. -
Ray aprì la bocca per parlare, ma Patrick lo anticipò:
- Loro hanno fatto una notte in piedi, io mi sono presentato al lavoro solo ora. Non ti sembra giusto che almeno lei possa riposare? -
- E sia. Ma se succede qualcosa, Rigbsy, farò rapporto al capo. Tienilo d'occhio in ogni istante. -
- Come sempre. - Rispose Wayne, lanciando un'occhiata di traverso a Patrick prima di anticiparlo fuori. Patrick lo seguì con un malcelato sorriso di vittoria dipinto sul volto.

Mentre scendeva dalla macchina, Wayne si guardò intorno.
- Sei sicuro che sia il posto giusto? - Domandò, scrutando i vicoli e i palazzi di periferia.
Quella non sembrava proprio la North Bridge: pareva uno di quegli squallidi sobborghi cresciuti disordinatamente vicino alla ferrovia.
- Ma certo, ricordo perfettamente l'indirizzo, era questo. - Disse Patrick, scendendo ed evitando che delle pozze di liquido non meglio identificato provenienti dai cassonetti dell'immondizia poco lontano gli macchiassero l'orlo dei pantaloni.
Wayne, ancora dubbioso, tentennava vicino all'automobile.
- Io penso ancora che faremmo meglio a controllare col GPS. - Disse, tirando fuori il cellulare.
- Dubiti della mia memoria? - Domandò Patrick, scandalizzato.
Wayne sorrise, imbarazzato.
- No, ovviamente no, ma… -
- E allora forza, seguimi. Non abbiamo tempo da perdere: prima chiudiamo questo caso prima Haffner si leva dai piedi. -
Patrick si avviò tra i cassonetti e gli idranti ammaccati fino all'ingresso di un palazzo alto, con la facciata di piastrelle marrone scuro. Il portone d'ingresso aveva i vetri incrinati da colpi di sassi e la moquette dell'atrio aveva un forte odore di polvere e muffa.
- Se abitava in un posto come questo ci credo che avesse bisogno di due lavori. -
- Era solo il suo appoggio quando aveva turni consecutivi al CBI. Abitava fuori città. - Rispose vago Patrick, aprendo una porta e sparendo nella penombra del vano scale.
Wayne entrò subito dopo di lui, ma non abbastanza in fretta: uno sbadiglio di troppo e si ritrovò da solo, su un pianerottolo spoglio con la sola compagnia di tre porte sbarrate e di una, divelta, chiusa solo dal nastro giallo della polizia. Di Patrick nessuna traccia.
- Jane! - Chiamò.
Non ricevendo risposta, tentò di affacciarsi dal vano delle scale, per vedere se per caso fosse salito di un altro piano a sua insaputa. La testa bionda del consulente però non si vedeva nè più in alto nè più in basso e l'agente sospirò, guardandosi intorno con l'aria di chi non aveva nessuna voglia di giocare a nascondino con un bambino troppo cresciuto.
Alla fine si avvicinò alla porta chiusa dal nastro della polizia, lo scavalcò con circospezione e si fece strada nel minuscolo monolocale con la moquette grigia e una scialba carta da parati a righine. Un vecchio televisore, una poltrona reclinabile e una brandina in un angolo erano tutto l'arredamento della stanza, fatta eccezione per la vecchia cucina a gas con i fornelli incrostati di caffè: più che un appartamento era un rifugio di fortuna.
Fu con sollievo che Wayne scorse Patrick: era fermo accanto al letto nella stanza buia e stava scorrendo con lo sguardo i libri posati vicino sul comodino con aria più pensosa che mai. Il sollievo di Wayne durò ben poco, però, perchè una voce scocciata irruppe nel silenzio alle sue spalle:
- Oh, finalmente è qui. Mi mostri il mandato. -
Wayne si voltò e guardò un po' stupito il poliziotto dai grossi baffi neri fermo a un passo da lui:
- Prego? -
- Il mandato. Il suo collega mi ha detto che l'aveva lei. - Disse, indicando Patrick e tenendo una mano aperta verso di lui mentre lo fissava con i suoi occhietti porcini senza battere ciglio.
- Jane. - Sbottò Wayne, sperando di attirare la sua attenzione e farsi cavare dagli impicci.
- Il mandato. - Insistette l'uomo.
L'agente tentò un'ultima occhiata disperata a Patrick, ma lui era girato dall'altra parte: che non volesse aiutarlo o non si fosse accorto di lui, non poteva essergli utile.
- Non abbiamo nessun mandato. - Sbottò alla fine.
- Come nessun mandato? Mi avete preso in giro? - Sbottò. Le sue guance tonde diventarono paonazze in un minuto e i suoi grossi baffi iniziarono a fremere.
- Stia tranquillo, agente, ce ne stiamo andando. - Disse Patrick con un sorrisetto, avvicinandosi allegramente come se invece che infrangere una mezza dozzina di regolamenti avesse appena bevuto un bicchiere di latte. - E scommetto che la nostra visita qui sarà così insignificante, nella sua lunga giornata, che non si ricorderà affatto di noi. -
Si chinò, mettendo i suoi occhi all'altezza di quelli del poliziotto, e sorrise suadente. Gli posò una mano sul braccio, stringendo con delicatezza mentre diceva:
- Non si ricorderà proprio niente. -
- Proprio… proprio niente. - Rispose il poliziotto, confuso.
- Benissimo. Le auguriamo una buona giornata! Rigsby, andiamo. Avevi ragione, ho sbagliato indirizzo: la casa di Doyle è dalla parte opposta della città. Ci conviene sbrigarci, Haffner non gradirà sapere che ci siamo persi in chiacchiere invece di lavorare. -
Lasciandosi alle spalle un agente della polizia locale più confuso che mai, Wayne gli sorrise in modo molto formale e poi seguì Patrick fuori, cercando di trattenersi dall'inutile desiderio di chiedergli qualche spiegazione.


Teresa si svegliò con un gran mal di testa. Era gettata su un pavimento umido e freddo, la testa le pulsava e il buio l'avvolgeva completamente. Si mosse lentamente sperando di abituarsi in fretta all'oscurità per capire dov'era e si rese conto di essere rinchiusa in un piccolissimo spazio dove poteva a malapena stendere le gambe: sembrava uno sgabuzzino o qualcosa del genere. Si allungò per capire di quanto spazio poteva disporre e all'improvviso le sue dita si posarono su quella che era senza ombra di dubbio una mano umana. Una piccola mano umana, fredda come il ghiaccio.
Teresa deglutì, temendo di scoprire qualcosa che non voleva sapere.
Le sue dita seguirono la mano e poi il braccio, raggiungendo il collo della persona rinchiusa con lei. Era senza ombra di dubbio una bambina, accoccolata contro la parete opposta alla sua, con indosso solo un paio di pantaloncini e una maglietta a maniche corte. La sua pelle era gelida, ma la bambina era viva. Teresa allungò il braccio per tirarla contro di sè e posò una guancia sui suoi capelli, respirando il profumo dello shampoo all'albicocca e ringraziando il Cielo con tutto il suo cuore. Era Dorothy. Era Dorothy ed era ancora viva.
La bambina si mosse, stringendosi a lei e rifugiando le mani gelide sotto la giacca della donna, alla ricerca di un po' di calore.
- Mamma? - Mormorò Dorothy.
- Dorothy. Sono io, Teresa. -
Dorothy tirò su rumorosamente col naso, mentre la abbracciava più stretta.
- Io non volevo andare con quell'uomo! - Esordì - Io non volevo, ma lui mi ha detto che era uno del CBI, mi ha fatto vedere il suo distintivo, era come il tuo… e mi ha detto che mi avrebbe accompagnata al lavoro da te perchè eri occupata. Non gli dovevo credere, mamma, mi dispiace tanto tanto… - Disse con la voce spezzata dalle lacrime.
- Non è colpa tua, Dorothy. - Disse Teresa. L'ultima cosa che voleva era sentire la sua bambina darsi la colpa di tutta quella situazione.
- Ho provato a tornare a casa un sacco di volte, sai? Ma mi sa che la magia funziona solo con le scarpette rosse, non con queste da ginnastica… - Disse Dorothy con la voce impastata dalla stanchezza e dalla paura.
- Sta' tranquilla. Adesso siamo insieme. - Le disse, sfiorandole i capelli con una carezza. Con un filo di voce, le fece la domanda che teneva per sè da quando non l'aveva trovata a casa:
- Ti ha fatto del male? -
Dorothy scosse la testa
- No. Ma ho tanto freddo e tanta fame. -
Teresa sospirò di sollievo.
- Cerca di dormire. - Rispose. - Presto staremo fuori di qui. -
Dorothy si rannicchiò contro di lei come facevano quando decidevano di leggere assieme un libro e Teresa chiuse gli occhi per impedirsi di versare anche solo una piccola lacrima: agitarsi non sarebbe servito a niente e dimostrare a Dorothy quanto era spaventata era la cosa peggiore che poteva fare. Doveva rimanere forte, dimostrare che se la sarebbero cavata.
In quel momento passi pesanti echeggiarono fuori dalla loro prigione: era il rumore di scarpe sul metallo, ritmiche, sempre più vicine.
Istintivamente Teresa strinse Dorothy a sè con un braccio e la mano destra corse alla fondina… ma si rese conto di essere senza pistola. Avrebbe dovuto immaginarlo.
Consapevole di essere disarmata, sentì rapidamente il panico farsi strada in lei.
I passi all'esterno nel frattempo si erano fermati e nessun rumore rompeva il denso silenzio del piccolo spazio buio.
Teresa contò fino a trenta e quando nulla accadde, si concesse di tirare il fiato.
Appoggiò la testa contro il muro e chiuse gli occhi, obbligandosi a respirare con calma per un momento e concedendosi il tempo di una preghiera. Istintivamente le sue dita corsero al crocifisso, incontrando però solo il suo collo nudo.
Come in risposta alla sua preghiera, Dorothy ruppe di nuovo il silenzio:
- Mamma? -
Teresa non ebbe il cuore di correggerla.
- Dimmi, tesoro. -
- Patrick verrà a salvarci, vero? - Disse in un sussurro. - Io sono sicura che verrà. -
A Teresa bastò un attimo di silenzio per sciogliere il nodo che le impediva di parlare. E quando lo fece, la sua voce sorrideva.
- Sì, ne sono sicura anch’io. -

Il ticchettio dell'orologio sulla scrivania di Teresa scandiva i pensieri di Patrick.
Sdraiato sul divano dell'ufficio del suo capo il consulente sfogliava distrattamente il libro che aveva preso dal comodino della casa di Frank McDale sotto gli occhi dell'agente di sorveglianza. Era una raccolta di favole e leggende, niente di particolarmente interessante… ma era un libro molto usurato che indicava la predilezione del proprietario verso alcune storie piuttosto che altre.
Fece scorrere rapidamente le pagine tra le dita, sconfortato al pensiero di aver letto tre quarti di quel libro senza aver avuto la minima rivelazione. All'improvviso un commento a margine del foglio lo fece fermare. Cercò di nuovo la pagina, si mise seduto e avvicinò il libro alla lampada per guardare meglio la riga scarabocchiata a matita che riportava una citazione:
"I falliti si dividono in due categorie: coloro che hanno agito senza pensare e coloro che hanno pensato senza agire. - John Charles Salak."
La frase era senza dubbio interessante, ma ancora di più lo era la scrittura in cui era tracciata: sebbene quella sul libro fosse la scrittura di un adolescente, Patrick conosceva qualcuno che scriveva esattamente in quel modo, con le lettere alte, sottili e inclinate.
Senza contare il nome dell'autore della frase, che poteva sembrare casuale ma che messo insieme a tutti gli altri piccoli suggerimenti diventava l'ennesimo indizo.
Appoggiò il libro sul divano, fermandosi per un istante con lo sguardo fisso nel vuoto mentre la storia si ricostruiva piano nella sua mente, componendo un puzzle fatto di fienili, seminari alla Visualize, visi di donna e firme maschili.
Si alzò e si diresse verso la porta, ma all'ultimo istante tornò indietro, afferrò il libro e lo nascose nella tasca interna della giacca prima di uscire di nuovo nell'open space deserto.
Nonostante fosse notte fonda si precipitò verso gli ascensori e scese direttamente nel parcheggio del quartier generale. Si avvicinò alla guardia e la salutò con un sorriso.
- Buonasera Henry. -
- Buonasera signor Jane. Devo aprirle il cancello? -
- No, devo solo andare a recuperare una cosa nella mia automobile. - Disse lui.
Patrick si diresse in fretta verso la sua Citroen, ma la superò senza nemmeno considerarla: percorse ad una ad una tutte le corsie del parcheggio, osservando con metodo tutte le automobili parcheggiate finchè non ne vide una.
Era nera, lucente, dal modello sportivo. Ed era lì, ferma, proprio dove l'aveva vista il mattino precedente… e quello prima ancora.
Patrick la fissò con un malcelato sorriso di trionfo dipinto sul volto, sentendo la sua vittoria farsi sempre più vicina.














Gli aggiornamenti sono un pochino in ritardo, ma è colpa della festa dell'oratorio, sono sempre fuori!

Doppio episodio anche stavolta... ho pensato che avreste gradito!

Due capitoli al termine. Ormai, come avrete capito, Jane ha in pugno il suo John il Rosso.
La vera domanda è se riuscirà a salvare Dorothy e Teresa.

Flora

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Capitolo 12
*** Dodici. ***






Il mattino successivo Grace, Wayne e Kimball trovarono Patrick disteso sul divano, con le braccia incrociate dietro la testa e gli occhi chiusi. Il suo respiro lento e regolare poteva sembrare quello di una persona addormentata, ma il consulente era sveglio, sveglio ed attento a quello che lo circondava: Grace che faceva una relazione al pc, ticchettando rapida sui tasti; Wayne che sbadigliava sonoramente, convinto che nessuno potesse notarlo, e Kimball che sistemava le sue cose sulla scrivania, riordinandola metodicamente come ogni mattina.
A quei rumori così familiari si aggiunse il suono di costose scarpe sul linoleum, la cui cadenza era inconfondibile: Ray Haffner.
- Buongiorno a tutti. - Salutò, avvicinandosi.
- Buongiorno. - Grace fu la sola a replicare. Wayne e Kimball si limitarono ad alzare gli occhi dai loro computer.
- Ho due annunci da fare. - Disse poi, appoggiando la giacca e la ventiquattrore sul tavolo.
Al vedere che Patrick non dava nemmeno segno di averlo sentito, si avvicinò al divano.
- Jane. Sto parlando anche con te. Alzati. -
Patrick rimase fermo e in silenzio.
- Jane! - Sbottò Ray, dando un colpo al divano con un piede.
Patrick non si mosse, limitandosi a rispondere con tono piatto:
- Sto dormendo. Non ti sembra che io stia dormendo? Non è educato pretendere che io risponda. -
- Adesso basta con i giochetti, Jane. So cos'hai fatto. -
- Davvero? Spiegamelo, perchè credo di non saperlo io. - Rispose Patrick, rimanendo immobile sul divano senza nemmeno aprire gli occhi.
- Sei andato a fare un sopralluogo in una scena del crimine che non è di nostra competenza! -
- Non so di cosa tu stia parlando. -
- Non prendermi in giro! Sono stato chiamato dal capo di Vaughn, il poliziotto della territoriale che stazionava a casa di quel morto fuori città. Ha detto che siete andati a fargli visita. Tu e quell'idiota senza spina dorsale di Rigsby. - Si voltò verso Wayne e lo indicò con fare minaccioso. - Ti avevo detto di tenerlo d'occhio e non ne sei stato capace. Non credere che non ci saranno conseguenze! -
Wayne lo guardò aprendo e chiudendo la bocca un paio di volte, incerto se arrabbiarsi o spaventarsi davanti a quell'intimazione. Ray però aveva già perso interesse per lui ed era tornato a rivolgersi a Patrick:
- Ieri sera sono stato dal capo e ho ottenuto il permesso di buttarti fuori dalla squadra per insubordinazione e ripetuta infrazione delle regole. Sei fuori dal caso. - Disse fissandolo con occhi gelidi. - Inizia a fare le valigie, Jane, perchè entro stasera sarai fuori anche dal CBI. -
Patrick si mise seduto molto lentamente e altrettanto lentamente si alzò in piedi. Fissò Ray negli occhi per un lungo momento, poi sorrise divertito.
- Sai una cosa, Ray? Non sei il mio capo, non mi puoi cacciare. Solo Lisbon può farlo. -
- E qui arriva il secondo annuncio. Lisbon si è presa un periodo di aspettativa, il capo ha messo me a capo della squadra fino a nuovo ordine. -
- Un periodo di aspettativa? - Domandò Grace incredula. - Non l'avrebbe mai fatto senza avvisarci. -
- Jane, tu ne sapevi qualcosa? - Intervenne Wayne.
- Non vedo perchè lui debba saperne qualcosa. - Disse Ray. - Gli affari di Teresa sono fatti suoi, non deve spiegazioni a nessuno. Soprattutto non a Jane. -
- Jane? - Lo incalzò Kimball.
Patrick non distolse lo sguardo da Ray, ancora in piedi davanti a lui, e rispose in tono piatto:
- No, Cho. Non ne sapevo niente. -
- Tutto questo non è da Lisbon. - Sentenziò Grace cupamente. - Non mi piace questa storia. -
- Stare con Jane vi ha reso paranoici quanto lui, ritenetevi fortunati se non vi sbatto fuori tutti insieme. Lisbon non c'è e io sono in capo alla squadra al suo posto, fine della storia. E adesso tornate al lavoro, il caso di Warren Doyle è ancora aperto. -
Afferrando giacca e borsa uscì dall'open space a lunghi passi, sparendo in direzione dell'ufficio di Teresa.
Intanto, nell'open space, Grace fissava gli altri agenti con gli occhi preoccupati.
- Anche a me questa storia non convince. - Disse Wayne, in risposta alla sua aria dubbiosa.
- Dobbiamo scoprire dov'è Lisbon. - Replicò Kimball.
Patrick si avvicinò alla scrivania di Wayne e li guardò tutti e tre con un'aria insolitamente seria e determinata negli occhi azzurri. In mano aveva il libro che aveva sfogliato tutta la notte.
- La troverò io. - Disse, serio.
- E come pensi di fare? - Domandò Wayne.
- Seguirò un filo rosso. - Disse Patrick, sibillino.
Appoggiò il libro sulla scrivania e poi sparì fuori dalla porta. Wayne si sporse per leggerne il titolo - Leggende e racconti dall'oriente - senza però ottenere le risposte che cercava.


Il rumore di una porta che sbatteva in lontananza svegliò Teresa.
Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando si era concessa un po' di riposo, ma i suoi muscoli intorpiditi le dicevano che era ferma da troppo tempo nella stessa posizione; mentre cercava di riattivare la circolazione nelle gambe indolenzite le parve di udire dei passi.
Tese l'orecchio per ascoltare meglio quello che accadeva fuori da quel ripostiglio buio, ma l'unico suono che lo riempiva era il battito violento del suo cuore.
Il pensiero di essere ad un passo dall'incontrare di persona John il Rosso le fece rizzare i capelli sulla nuca.
Non avrebbe dovuto addormentarsi, avrebbe dovuto rimanere sveglia e escogitare un piano.
Gentilmente svegliò Dorothy, scostandole i capelli dal viso.
- Dorothy. Dorothy, sveglia. -
- Ancora cinque minuti. - Mormorò la bambina.
- Tesoro, ascoltami bene: dobbiamo essere sveglie. Se qualcuno scende qui non possiamo farci trovare addormentate. -
- Hai sentito qualcuno aprire la porta? -
- Sì, ma… -
- È Patrick che viene a prenderci? -
- Non lo so. - Sussurrò Teresa, posandole un dito sulla bocca per impedirle di parlare ancora a voce così alta. - Se la porta si aprirà dovrai fare esattamente quello che ti dico: dovrai scappare e correre finchè puoi, il più lontano possibile da qui. Ci penserò io a fermarlo, se cercherà di inseguirti. -
- Non voglio andare via da sola. - Rispose la bambina. - Quell'uomo fa tanta paura. Lui ha… ha spinto giù dalla finestra il mio vero papà. Eravamo in quella stanza, loro gridavano, lui lo ha spinto forte e poi… -
La voce di Dorothy si spense in un sussurro e la bambina tirò su col naso.
Teresa le prese il viso tra le mani e le accarezzò le guance, posando la propria fronte contro quella di lei.
- Devi essere forte, Dorothy, devi essere coraggiosa: sarà facile come sconfiggere la Malvagia Strega dell'Ovest. -
Dorothy si limitò a tirare su col naso.
- Ci riuscirai? Mi prometti che sarai coraggiosa e correrai, se la porta si apre? -
- Te lo prometto. - Mormorò Dorothy. - Ma tu vieni con me, vero? -
- Ma certo. - Disse Teresa, cercando di suonare più sicura di quanto non fosse in realtà. - Verrò dietro di te, sta' tranquilla. -
Si alzò in piedi lentamente, riprendendo il controllo delle sue gambe intorpidite, e strinse la mano di Dorothy nella propria.
In quel momento il rimbombo di passi pesanti spezzò il silenzio.
Era lo stesso rumore che aveva avvertito prima di addormentarsi, un suono lontano di passi su gradini metallici, un rumore che riecheggiava in stanze vuote, moltiplicato dal silenzio che fino a quel momento aveva riempito il posto dove si trovavano.
Dorothy gridò nascondendo il viso contro le ginocchia di Teresa, proprio come aveva fatto la prima volta che si erano incontrate.
- È lui, mamma. - Disse con la voce rotta. - Li conosco i suoi passi. -
- Sta' tranquilla. Ce la caveremo. Devi solo essere pronta a scappare. - Mormorò Teresa, appoggiando una mano sul capo della bambina, con tutti i sensi all'erta e pronta a reagire davanti a qualunque evenienza.
I passi si fermarono a pochi centimetri da loro e qualcuno prese ad armeggiare con un lucchetto e delle serrature, facendole scattare meccanicamente una dopo l'altra. Chiunque fosse pareva avere molta fretta, perchè faceva sbattere l'alluminio e l'acciaio tra loro incuranti del suono che emettevano.
All'improvviso una parete si aprì, con un forte stridore di metallo che girava su cardini arrugginiti.
Un'ondata di luce dorata e accecante inondò il ripostiglio, schermata solo dal profilo di un uomo dalle spalle larghe fermo appena al di là dell'uscio.
La luce si rifletteva sulla lama del lungo coltello che teneva in mano, scintillando minaccioso nell'ombra. La sua sola presenza metteva la pelle d'oca. Il suo respiro pesante e la sensazione di paura e follia che la sua figura emanava bloccarono Teresa in preda al panico, con Dorothy ancora aggrappata ai suoi jeans.
- In ginocchio. -
La voce dell'uomo era poco più che un sussurro, strozzata e sibilante.
- Ti troveranno. - Disse Teresa con quel po' di coraggio che ancora le rimaneva. - Ti troveranno e allora pagherai per tutto il male che hai fatto. -
- In ginocchio. Ora. - Ripetè la voce, atona e irriconoscibile come un momento prima. Il coltello era alzato di fronte a lui e luccicava minaccioso.
Teresa si schermò gli occhi con una mano e tentò di scorgere il volto della figura alta di fronte a lei: era un uomo dalla corporatura slanciata, ma non riusciva a distinguere niente di più; i suoi occhi erano troppo abituati al buio per mettere a fuoco i suoi lineamenti, tanto più che alle spalle di John il Rosso una piccola finestra sulla parete opposta della stanza faceva piovere la luce dorata del sole direttamente nei suoi occhi, lasciando la figura in controluce.
L'uomo tese un braccio e afferrò Dorothy per i capelli, strappandola alla stretta di Teresa e bloccandola contro le proprie gambe. La bambina gridò e scoppiò a piangere, ma John le tappò la bocca con una mano, mentre con l'altra teneva il coltello fermo contro la sua maglietta.
- In ginocchio, Teresa. - Ripetè.
Tenendo gli occhi fissi su di lui, Teresa si inginocchiò lentamente sul pavimento umido, tremante di rabbia e impotente.
Dorothy singhiozzava piano, terrorizzata, rompendo con la sua piccola voce il silenzio che regnava nel seminterrato.
- Non avrei voluto che finisse così. - Disse l'uomo in un sussurro, con una voce che non era più folle e fredda.
Pareva quasi umana. Pareva quasi… familiare.
John alzò il braccio con il coltello. Dorothy gridò, divincolandosi. Teresa fece per mettersi tra il coltello e la bambina prima che John potesse colpirla, ma in quell'istante il suono di uno sparo echeggiò nel seminterrato.
Per qualche istante tutto rimase immobile, poi il tintinnio del coltello sul pavimento anticipò il rumore del corpo di John il Rosso che crollava sul pavimento.
Dorothy, tremante, si rifugiò tra le braccia di Teresa, piangendo disperatamente con il viso nascosto contro la sua spalla.
Lì dove un attimo prima c'era il profilo spaventoso di John il Rosso ora c'era Patrick, con il sole che si rifletteva sui capelli biondi, una pistola fumante in mano e un'espressione seria negli occhi azzurri.
Fece un passo avanti e lasciò cadere la pistola accanto al cadavere di John il Rosso, fissando la donna e la bambina rannicchiate nel buio davanti a lui, baciate dalla luce d'oro del mattino. Nella penombra della stanza gli erano sembrate Angela e Charlotte, ma era stato solo per il tempo di un battito di ciglia: un attimo dopo aveva riconosciuto i capelli bruni di Dorothy e gli occhi verdi di Teresa.
Rimase immobile, in piedi davanti a loro, guardandole senza aver ancora realizzato cosa fosse successo; Teresa lo guardava senza parlare, stringendo Dorothy tra le braccia. Ad un certo punto la bambina si voltò, gli occhi ancora pieni di lacrime, e quando lo vide tese una mano tremante verso di lui.
Patrick scavalcò il corpo senza vita di Ray Haffner e prima ancora di rendersene si ritrovò anche lui a terra, stretto a loro in un abbraccio incredulo e disperato.














Ed eccolo. Il finale.
Ve lo aspettavate? Spero di sì, perchè vuol dire che siete stati attenti e che io ho disseminato bene le mie prove...
ma se vi ho sorpreso sono stata contenta comunque.

Solo una piccola postilla per dire che non sono affatto felice di come è finita la storia di John nel telefilm,
mi ha lasciato amareggiata e insoddisfatta... non so, mi aspettavo qualcosa di più.
E poi sinceramente speravo in un assassino più motivato, non solo una "pedina" nel gioco della Blake Association...
quindi ecco qui, il mio John il Rosso era Ray Haffner.
L'ho sempre detestato, quindi quale fine migliore potevo fargli fare?
E ha i suoi buoni motivi per fare quello che ha fatto... il prossimo capitolo - l'ultimo - vi chiarirà ogni cosa.

Grazie a chi legge e ancor di più a chi recensisce.
Alla prossima.

Flora

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Capitolo 13
*** Tredici. ***







Una settimana dopo



Quando Teresa comparve nell'open space, il primo a vederla fu Kimball.
- Ehi, capo. - Le disse, salutandola con un cenno della testa.
Wayne e Grace alzarono gli occhi dalle loro scrivanie e sorrisero al vedere Teresa, ferma sulla porta, con Dorothy per mano. Con un po' di imbarazzo Teresa ricambiò l'abbraccio di Grace e sorrise a Wayne, dicendo loro che sì, stava bene, e che aveva bisogno di qualche minuto in ufficio per riordinare le sue cose prima di prendersi una vacanza.
- Per qualunque cosa noi siamo qui. - Disse Grace, solerte.
- Lo so. - Replicò Teresa con un sorriso. - Dov’è Jane? - Domandò, rendendosi conto un attimo dopo che il suo consulente non era in ufficio.
Wayne si strinse nelle spalle.
- Era qui un minuto fa. Sarà in giro come al solito. -
Un quarto d'ora più tardi, mentre la squadra riordinava i documenti del caso Doyle e Dorothy disegnava sdraiata a pancia in giù sul pavimento del suo ufficio, Teresa stava cercando di aver ragione della montagna di lavoro arretrato che si era arenato sulla sua scrivania. In quel momento la porta si aprì all'improvviso, facendole perdere per l'ennesima volta la concentrazione. Alzò gli occhi per vedere chi era entranto, ma la sua bambina fu più veloce: si precipitò verso la porta esclamando con gioia il nome del consulente del CBI e facendosi prendere in braccio per stampare a Patrick un bacio sulla guancia.
- Ciao, Dorothy. - Replicò Patrick con un sorriso.
Senza metterla giù, si avvicinò alla scrivania di Teresa con un sorriso.
- È bello vederti di nuovo qui. - Disse.
Anche Teresa sorrise.
- È bello essere tornata. -
- Speravo di poterti parlare. - Disse Patrick.
Alle sue parole seguì un attimo di silenzio, ma Teresa riuscì a cogliere quello che l'uomo le voleva dire senza bisogno di altre spiegazioni.
- Dorothy, aspettami un minuto di là. - Disse.
Dorothy mise il broncio, ma Teresa la guardò con uno sguardo che non ametteva repliche.
- Sono sicura che Grace e Wayne ti racconteranno una bella favola, se glielo chiedi. - Aggiunse con un sorriso.
Dorothy sbuffò, ma prese i suoi fogli e i suoi colori e si avviò verso la porta. Si fermò un solo momento per guardarsi indietro, ma quando i due adulti rimasero a fissarla senza parlare capì che non c'era molto da negoziare, così uscì di corsa, diretta all'open space.
Quando Dorothy fu uscita, Teresa si alzò per andare a chiudere la porta. Poi si sedette sul divano, accavallando le gambe e appoggiandosi allo schienale.
- Come l'hai capito? -
Patrick non rispose, limitandosi a guardarla.
- Come hai capito che era Haffner? -
- Ho seguito un filo rosso. - Replicò Patrick con un sorriso.
Teresa rimase per un momento in silenzio, cercando inutilmente un senso a quelle parole.
Patrick colse il dubbio nei suoi occhi e le fece cenno di non fare caso alla sua risposta. Si sedette accanto a lei e iniziò a raccontare.
- È stato l'albero sulla porta della classe di Dorothy: è stato quello che mi ha fatto pensare. Era un acero rosso… e le sue foglie avevano la stessa forma di quelle dell'albero sotto cui avevamo trovato Doyle. Immagina un cadavere sotto un albero coperto di foglie rosse: è la scenografia perfetta per un delitto alla John il Rosso. -
- Ma non c'era il suo simbolo. E non è autunno, l'albero era pieno di foglie verdi. -
- Questo è vero. Ma se John avesse dovuto affrettare le cose? Se il suo piano perfetto avesse dovuto essere anticipato? Di rosso rimaneva almeno il nome dell'albero... e d'altronde è difficile trovare un albero rosso in piena estate, non trovi? -
Teresa alzò un sopracciglio, scettica, ma Patrick continuò imperterrito il suo racconto:
- Quando ho avuto questa intuizione sono tornato al carcere e ho parlato con il compagno di cella di McDale, che mi ha confidato che McDale non sarebbe dovuto uscire adesso, ma in autunno. In autunno, capisci? John era entrato in contatto con lui in carcere mediante la Visualize e aveva predisposto il tutto per l'autunno. Ma poi McDale è stato mandato a casa prima, lui si è ritrovato spiazzato e ha dovuto anticipare. -
- Quindi il fatto che Doyle è stato ucciso da John il Rosso… -
- Mi ha fatto pensare che Haffner doveva essere un pezzo della storia: la morte di Doyle era solo il pretesto per farlo tornare al CBI. -
- Tutto qui? Hai ucciso l'uomo che tormentava i tuoi incubi solo grazie a un cartellone di una classe di prima elementare? - Domandò Teresa incredula. - O sei molto furbo o molto fortunato. -
- Non è tutto qui. Quella dell'albero era solo un'intuizione, io avevo bisogno di certezze. - Rispose Patrick. - Quando sono andato a casa di McDale con Rigsby ho notato che sul comodino c'era un vecchio libro. Mi sembrava interessante, così l'ho preso… e su una pagina c'era una frase. Una frase di John Charles Salak. Il nome mi ha fatto pensare, così mi sono fermato a guardare meglio... e ho notato che la frase era stata scritta dalla mano di un adolescente dalla calligrafia alta e obliqua. -
Patrick si fermò un momento, dando a Teresa il tempo necessario per abbinare quel tipo di scrittura alla firma sottile ed elegante di Ray Haffner.
- Ma cosa ci faceva un libro di Haffner a casa di McDale? -
- Ottima domanda, Lisbon. Ottima domanda. - Replicò Patrick. - All'inizio ho pensato che si fossero semplicemente visti in carcere, dopotutto il "tipo tirato" di cui mi aveva parlato il compagno di cella del padre di Dorothy si sposava perfettamente con Ray e sapevamo già dei suoi legami con la Visualize... ma poi mi è venuta in mente una cosa che ha detto la signora Scheer: ti ricordi quanta paura aveva Dorothy di suo padre? -
- Certo. -
- Non sarebbe mai andata con lui di sua volontà. E per di più la signora Scheer mi ha detto di aver visto il padre di Dorothy fuori dal cortile della scuola insieme ad un altro uomo: se Dorothy avesse visto Frank non si sarebbe mai mossa, quindi ho pensato che doveva essere stato Haffner ad andare a prendere Dorothy in classe, portandosi dietro Frank McDale perchè la riconoscesse tra le sue compagne. Chissà, forse gli aveva detto che l'avrebbe potuta portare via per ricominciare una vita assieme... non dimenticare che McDale era cambiato. -
- Ma Dorothy non avrebbe mai voluto ricominciare una vita con suo padre. - Mormorò Teresa, ripensando alla voce spaventata di Dorothy quando le diceva che non voleva andare con il "signore col distintivo". Come aveva fatto a non pensarci? Forse le sembrava troppo assurdo che Ray, quello stesso Ray Haffner con cui aveva lavorato, parlato e discusso fosse uno spietato serial killer senza scrupoli.
- Lo penso anche io. E penso che la morte di Frank sia stato un incidente: forse quando si è reso conto che non si sarebbe mai potuto redimere agli occhi della figlia, che Dorothy sarebbe stata più felice senza di lui, ha deciso che voleva riportarla alla sua vita... e allora Haffner, John il Rosso, ha deciso di farlo fuori. -
Patrick diede a Teresa il tempo di metabolizzare la notizia e poi continuò:
- Quando mi sono accorto che Haffner andava e veniva dall'ufficio ma la sua automobile non si muoveva dal parcheggio ho pensato che doveva avere una base da qualche parte, un posto in cui andare quando diceva di "andare a casa". E quale posto migliore di una centrale di polizia per nascondere due persone? Ma è stato quando i ragazzi gli hanno detto che rivolevano te che mi sono reso conto che lui sapeva tutto, era così arrabbiato e infastidito dalla mancanza di rispetto che gli stavano dimostrando che ha perso per un momento il controllo e ho capito. Ho capito che nascondeva qualcosa, che non era il rispettabile agente che tutti conoscevano. Allora ho deciso che non potevo più aspettare e l'ho seguito nel seminterrato. -
Il resto non c'era bisogno di raccontarlo, così Patrick tacque.
Teresa non aveva mai smesso di guardarlo per tutta la durata del suo racconto e ci mise un momento per rompere il silenzio.
- Patrick, io... - Iniziò Teresa, con la voce che tremava.
- Ti ho portato una cosa. - La interruppe Patrick, sfilando dalla tasca interna della giacca una grossa busta. - Stiles mi ha fatto avere il fascicolo su Haffner della Visualize. Non possiamo usarlo tra le prove, ma credo che dovresti leggerlo. -
Teresa lo prese meccanicamente, appoggiandolo sulle ginocchia e poi alzando gli occhi. Aprì la bocca per dire qualcosa ma Patrick alzò un dito, bloccandola.
- Leggilo. -
Si alzò e uscì prima che Teresa potesse dire qualsiasi cosa per fermarlo.
L'agente sospirò e decise di aprire il fascicolo.
La foto di un giovanissimo Ray Haffner, appena adolescente, era pinzata in cima a un modulo riempito di dati anagrafici. Orfano di entrambi i genitori, si era ritrovato tra le file della Visualize ancora ragazzino, mentre lavorava in un fienile di proprietà dell'associazione. Era stato lì che, per gioco, aveva dipinto per la prima volta uno smile dagli occhi tristi sulla parete: quel simbolo era diventato la sua firma. La firma di un uomo che faceva buon viso a cattivo gioco, che nascondeva la sua paura di rimanere solo dietro alla facciata di chi sapeva essere allegro e professionale.
Il fascicolo era ricco di relazioni e trascrizioni di colloqui e Teresa le lesse sbirciando una frase qua e una là fino ad arrivare ai documenti che risalivano a dieci anni prima, dove trovò - tra le relazioni dei medici della Visualize - anche alcune lettere, tutte scritte a mano da Haffner (la scrittura, sottile e obliqua, era inconfondibile). In quelle lettere l'uomo raccontava la rabbia e la frustrazione di chi non riesce ad emergere, di chi non riesce a dimostrare al mondo quanto vale. Aveva tentato di utilizzare le sue capacità carismatiche e intellettive per diventare qualcuno, aveva tentato di sfondare nel mondo dello spettacolo e del paranormale, ma nessuno l'aveva preso sul serio. Nonostante le sue indubbie capacità e il tanto lavoro, non era riuscito a diventare famoso, non era riuscito a costruirsi una famiglia… e non riusciva nemmeno a tenersi una donna. Amava Rosalyn Parker, la pianista cieca conosciuta per caso molti anni prima, ma non riusciva a pensare di trascorrere la vita con lei. Non era abbastanza.
Non si rendeva nemmeno conto di essere arrivato ad uccidere. Teresa ricordava bene i nomi delle sue prime dieci vittime e le ritrovò tra quelle righe: racconti di storie d’amore finite, di rimproveri sul lavoro e di insulti finiti nel sangue. Chiunque insultasse la sua intelligenza o il suo carisma veniva eliminato con metodo, precisione e freddezza.
Scorse rapidamente le ultime relazioni, fermandosi sull'ultima pagina.
In una breve lettera scritta in modo impeccabile su un foglio color ocra Ray riportava la rabbia, feroce e divoratrice, che provava per quell'uomo che era tutto quello che lui non era riuscito ad essere: quel Patrick Jane che non era bravo nemmeno la metà di lui con la mente delle persone ma che era famoso, era importante, era amato e aveva perfino una famiglia. E che aveva avuto il coraggio di affrontarlo in diretta televisiva.
Era stato in quel momento che si era reso conto che quell'uomo non meritava di morire, no. Meritava di venire punito per la sua arroganza, meritava di capire che non era nessuno, in confronto a lui. In confronto al poliziotto diventato serial killer, a Ray Haffner diventato John il Rosso.
Con un groppo in gola Teresa lesse la descrizione, accurata e compiaciuta, di come Ray aveva tolto la vita a una donna e a una bambina, sorprendendole nel sonno, vittime innocenti di un gioco di potere di cui non erano nemmeno a conoscenza.
Chiuse il fascicolo e fece per rimetterlo nella busta, quando si accorse che al suo interno era rimasta una busta più piccola, con la linguetta strappata.
Incuriosita, la prese per guardarne il contenuto. Il cuore le si fermò quando vide che conteneva una singola fotografia scattata davanti all'ingresso del CBI: ritraeva Patrick con Dorothy in braccio e lei ferma acanto a loro. Lui doveva aver appena detto qualcosa di irriverente, perché Dorothy stava ridendo e lei lo guardava con aria di divertito rimprovero.
Quella foto doveva essere stata la scintilla che aveva infiammato l'animo di John il Rosso, che gli aveva fatto capire che il suo rivale era riuscito di nuovo a farsi una vita. Teresa sorrise istintivamente nel guardare quella foto, stupita da come le trasmettesse serenità. Sembravano proprio una famiglia.
Chiuse il fascicolo con un gesto brusco, facendo sparire tutto nella busta, e tenendola in mano raggiunse a passo di marcia l'open space.
Dorothy disegnava seduta alla piccola scrivania di Patrick, in fondo alla sala: dondolava le gambe a ritmo e sembrava veramente molto presa dai suoi colori. Gli altri della squadra erano seduti alle loro scrivanie e lavoravano tranquillamente.
Teresa si voltò e senza far rumore si avviò verso le scale che portavano al sottotetto.


La porta di alluminio era aperta e il sole dell'estate filtrava attraverso i vetri polverosi disegnando riquadri dorati sulle assi del pavimento. Patrick era in piedi vicino alla finestra; stava guardando fuori, ma si voltò non appena riconobbe i passi di Teresa sull'impiantito.
- Lisbon. - Disse solamente.
Teresa abbandonò la busta su un ripiano impolverato e si avvicinò a lui.
- Grazie. Grazie per averci salvate. - Disse.
- Sei tu che hai salvato me. - Disse Patrick a bassa voce, guardando fuori dalla finestra. - Mi hai salvato dandomi un motivo per alzarmi dal letto ogni mattina. Un motivo per ritrovare l'equilibrio, per ricominciare a pettinarmi e a mangiare. Mi hai ridato la forza di svegliarmi e affrontare la giornata, consapevole che potevo ancora fare la differenza nel mondo. - Si voltò a guardarla con gli occhi azzurri che splendevano della luce riflessa dalle finestre. - Mi hai dato un motivo per andare avanti diverso dalla vendetta. Un motivo che mi fa alzare ancora dal letto anche adesso, ora che l'obiettivo a cui ho dato la caccia per dieci anni è stato raggiunto. Sei stata tu a salvare me, Teresa. -
Teresa abbassò gli occhi, arrosendo, e Patrick fece un passo verso di lei, fermandosi al suo fianco e guardandola intensamente mentre lei si sforzava di guardare altrove.
Le loro mani erano così vicine che ad ogni respiro si sfioravano, finchè le dita di Patrick si allungarono timidamente verso quelle di lei: era un tocco timido, gentile, a cui lei avrebbe potuto ritrarsi senza creare troppo imbarazzo.
Continuando a fissare i tetti, Teresa cedette al proprio istinto e fece scivolare le proprie dita tra quelle di lui, stringendo la sua mano nella propria. Non aveva voce nè parole per rispondergli: sperava che quella stretta gli sarebbe bastata per capire.
Patrick ricambiò la sua stretta con la stessa intensità e non appena Teresa trovò il coraggio di alzare gli occhi verso di lui, sorridendo timidamente, una voce alle loro spalle li fece trasalire:
- Eccomi! - Gridò Dorothy, fermandosi sulla porta con i capelli in disordine e le guance rosse.
- Dorothy! Cosa ci fai qui? - Esclamò Teresa.
- Ti ho visto che uscivi e che andavi via senza di me, ma io lo sapevo che venivi qui, quindi sono venuta anche io. - Rispose Dorothy allegramente, avvicinandosi a loro. Li guardò per un momento con aria critica e poi si rivolse a Teresa, domandando in tono serio: - Glielo hai detto? -
Teresa avvampò, sciogliendo immediatamente la mano dalla stretta di Patrick.
- Dorothy, non mi sembra il caso. -
- Allora posso io? - Fu la reazione della bambina, illuminandosi tutta.
- Dorothy... - Tentò debolmente Teresa, interrotta immediatamente da Patrick.
Il consulente infatti scoccò a Teresa un'occhiata divertita e poi si rivolse a Dorothy, accovacciandosi per avere gli occhi all'altezza di quelli della bambina:
- Dirmi cosa? -
- La mamma ha prenotato a Disneyworld. Per tutti e tre! - Disse con gioia.
Patrick si alzò, così colpito da quella rivelazione da non crederci ancora del tutto. Si rivolse a Teresa per avere una conferma, e la donna lo guardò con aria colpevole.
- Non devi sentirti obbligato. - Fu il suo commento.
Patrick la guardò senza parlare, ma i suoi occhi dicevano la gratitudine e l'emozione che quella proposta gli aveva fatto provare.
- Vero che vieni? - lo incalzò Dorothy, scrollandolo per una manica.
Patrick le posò una mano sui capelli, sorridendo commosso.
- Ma certo. Certo che verrò. -
- Grande! Sarà bellissimissimo! - Esclamò Dorothy, raggiante.
- E per festeggiare ho già in mente dove potremmo andare. - Le disse Patrick con un sorrisetto. - Ma solo se hai voglia di muffin alla banana. -
Dorothy non se lo fece dire due volte. Giunse le mani e si rivolse a Teresa con gli occhi che brillavano di emozione:
- Oh, sì! Possiamo, mamma? Possiamo? Tipregotipregotiprego. -
Teresa sospirò sorridendo.
- D'accordo. Andiamo. -
- Evvai! - Con un saltello Dorothy si voltò, correndo felice fuori dalla stanza.
Patrick si voltò verso Teresa e le sorrise.
- Ti ricordi cosa mi hai detto quando ci siamo conosciuti? -
Teresa lo guardò senza capire.
- Mi hai detto che dalla mia caccia a John il Rosso non sarebbe mai venuto niente di buono. - Le sorrise con occhi più sereni e luminosi che mai. - Ti sbagliavi. -
Si chinò verso di lei e la baciò con tenerezza sulle labbra.


Cinque minuti più tardi Dorothy camminava allegramente sul selciato della strada principale di Sacramento tenendo Patrick e Teresa per mano. Il sole baciava le mattonelle del marciapiede inondandole con una luce dorata così intensa da darle l'illusione che la strada fosse fatta di mattoni gialli.
















(NDA lunghissime stavolta. Chiedo venia)

Sono quasi commossa, nel mettere la parola fine a questa storia.
Adoro Patrick e Teresa e ho scoperto di amare Dorothy quasi quanto loro... mi mancheranno.
Dpero che il finale abbia chiarito i vostri dubbi e che sia stato non troppo intricato!
Mi auguro anche che vi abbia soddisfatto più del finale vero,
in cui John Il Rosso è solo una pedina e non ha una vera motivazione per fare quello che fa.
La frase che Patrick dice a Teresa alla fine è ripresa dall'episodio "Alba Rossa"... ho pensato che era perfetta per questo finale!
Le ultime due righe invece ricalcano il disegno che Dorothy lascia a Patrick e Teresa alla fine della prima storia,
volevo che fosse un po' come un cerchio che si chiude!

Per chi non la conosce, il "filo rosso" a cui Patrick allude due volte, prima con Rigsby e poi con Teresa,
è quello di una leggenda giapponese: due anime gemelle sono legate da un filo rosso invisibile
che le farà sempre rincontrare, qualunque cosa accada.
Mi piaceva l'idea che fosse un po' così anche per Jane e Lisbon, perciò l'ho usata nella storia...
mi sembrava romantica (e rossa!) al punto giusto!

Spero di avervi donato qualche momento Mentalistico all'altezza.
Vi ringrazio per aver letto e recensito.
Grazie, grazie davvero, di cuore.

Alla prossima storia.

Flora

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