Happily ever after

di pandamito
(/viewuser.php?uid=96719)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non sono bravo in queste cose ***
Capitolo 2: *** Non si esce lì fuori, pive ***
Capitolo 3: *** Newt non lo sta dicendo ***
Capitolo 4: *** E'... vivo? ***
Capitolo 5: *** Credo che il peggio sia passato ***
Capitolo 6: *** Mi dispiace un corno ***



Capitolo 1
*** Non sono bravo in queste cose ***


 

 

01
 
«Amico» disse Alby, poi si passò le mani tra i capelli corti, facendo un sospiro rumoroso. «Non sono bravo in queste cose… sei il primo Fagiolino da quando Nick è stato ucciso.»
 
Al suono di quelle parole, Newt capì che doveva intervenire immediatamente. Erano piene di dolore e sconforto; anche se Alby cercava sempre di mostrarsi forte e non far vedere quanto in realtà avesse paura, Newt sapeva sempre cosa si celava dietro ogni sua parola.
Nick era uno dei primi Radurai, era stato al comando fino al mese prima e quando all’Adunanza avevano eletto Alby come capo dei Radurai, dopo la sua morte, si era sentito addossare sulle spalle il peso di tutti. Mantenere l’ordine in tutta quella situazione di sploff faceva veramente schifo, lo sapeva. Newt forse più di tutti.
Ricordò come, dopo l’Adunanza, Alby si era afflosciato sul letto della loro stanza nel Casolare, la testa fra le mani, i gomiti puntati sulle gambe, e gli aveva chiesto aiuto.
Newt aveva poggiato la fronte sulla testa del maggiore e gli aveva accarezzato i corti capelli scuri.
Alby aveva alzato lo sguardo, i suoi occhi erano lucidi e velati. «Sii il mio secondo in comando, ti prego» l’aveva implorato. «Ne ho bisogno. Non ce la faccio da solo.»
Newt sospirò e alla fine accettò, sapendo di non poter fare altrimenti. Odiava dover pensare a salvare tutti gli altri pive quando lui stesso odiava essere in quel posto, ma non poteva neanche abbandonare Alby, non l’avrebbe mai fatto. Avrebbe dovuto combattere un po’ all’Adunanza, ma alla fine anche gli altri avrebbero accettato. Di certo Alby era più sicuro, tutti in lui riconoscevano la figura di un vero capo, ma nessuno avrebbe voluto fare i conti con lui se qualcuno l’avesse fatto arrabbiare; per questo avere la figura di Newt lì a portata di mano rassicurava un po’ tutti. Era l’unica persona a cui Alby desse veramente ascolto.
 
Con l’andatura un po’ zoppicante si fece largo fra la folla per raggiungere Alby e il nuovo Fagio seduti lì vicino.
Era preoccupato per cosa potesse dire l’amico, aveva paura che potesse crollare da un momento all’altro.
Mascherando i suoi timori, si sforzò di mettere in scena un sorriso quasi divertito. Si avvicinò con calma e diede uno schiaffo scherzoso sulla testa del moro.
«Aspetta il cacchio di Tour, Alby. Gli viene un cavolo di infarto, a ‘sto qua, non ne sa ancora niente.» Si chinò, tenendo la mano al nuovo arrivato. «Io sono Newt, Fagio, e saremmo tutti di buonumore se perdonassi questo nostro nuovo capo testa di sploff qui.»
«Ma fottiti, faccia di sploff» sbottò Alby con un grugnito, dandogli uno strattone e tirandolo a sedere accanto a lui. «Almeno le mie parole le capisce a metà.»
Newt sapeva che si stava fingendo offeso di fronte agli altri, ma da come l’aveva attirato accanto a sé sapeva che aveva bisogno di lui, che silenziosamente lo ringraziava per essere intervenuto.
E così Newt gli rimase vicino.
Anche quando si alzò e tirò Thomas per la maglietta, furioso, Newt scattò in piedi e bloccò Alby per le spalle, col timore che potesse fare qualcosa di avventato. Alby non era tipo da non pensare, ma la rabbia prendeva spesso il sopravvento su di lui dopo mesi – anni – passati lì dentro.
Lo ascoltò, quando Newt lo pregò di lasciarlo stare. I muscoli di Alby si rilassarono e lasciò andare la presa su Thomas, cercando di aprirgli gli occhi sulla sua nuova vita, stroncandogli la speranza di non poter aver indietro quella vecchia.
«Ci arrivi?» domandò Alby, il respiro pesante.
Il Fagiolino guardò Newt, come a cercare una via di uscita da quella situazione e il biondo si fece avanti, volendo metter fine alla discussione, per cercare di convincere Thomas a lasciar stare tutta quella storia di sploff.
«Ci arrivi, vero, Fagio?» ripeté, con più calma.
E quando Thomas annuì, Newt diede un sospiro di sollievo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

PANDA B I T C H.
Bao a tutti.
Ne avrete la nausea di me and the worst is yet to come.
Finalmente ho pubblicato la prima one-shot di questa raccolta, che non so quanti capitoli avrà di preciso, ma comunque un numero limitato, perché scriverò sempre momenti presenti nel libro, o comunque momenti che magari sono accaduti perché poi ne siamo venuti a conoscenza ma che effettivamente non abbiamo letto. Tipo Alby che chiede a Newt di svegliare Thomas, Newt che convince Alby ad andare con loro e cose così, insomma.
Il primo capitolo, cioè questo, effettivamente penso sarà il più corto e via via si allungheranno sempre un po', o almeno così ho notato, ma cerco di non superare qualche pagina perché alla fine sono momenti, non ho voluto creare chissà quale storia attorno a ogni singolo momento, volevo semplicemente evidenziare il rapporto fra questi due personaggi che ho amato.
Per qualsiasi chiarimento, potete farmi domande e potete contattarmi mettendo mi piace alla pagina facebook Come una bestemmia. o seguendo @pandamito su twitter, o andando sul mio profilo efp dove ci sono tutti i link dei social network su cui sono reperibile. (?)
Uhm, altro da dire? Non so, boh, magari mi verrà in mente alla prossima, che tanto i primi capitoli già ce li ho scritti.
Baci e panda, Mito.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Non si esce lì fuori, pive ***


 

 

02
 
 
«Non si esce lì fuori, pive» sentenziò duramente Alby, puntando un dito contro il petto di Thomas.
Il nuovo arrivato fece una smorfia contrariata. «Perché no?»
Alby lo fulminò con lo sguardo. Odiava quel ruolo, fare il Tour e tutta la sploff che ne seguiva. Quei cacchio di novellini sembravano avere una cena intera di Frypan in testa piuttosto che il cervello.
«Pensi che ti abbia mandato Newt prima della sveglia così, per divertimento?» sbottò. «Mostriciattolo, questa è la Regola numero uno, l’unica che non ti sarà mai perdonata, se la infrangi.»
 
L’unica nota positiva di essere fra i primi Radurai forse era che almeno all’inizio tutti avevano almeno un letto e se l’erano potuto scegliere; già dopo qualche mese si erano dovuti iniziare a stringere, fino a quando non ci fu più posto per tutti dentro il Casolare e la maggior parte dei Radurai aveva preferito dormire all’aperto, dove almeno c’era tutto lo spazio che si voleva. Era quasi un sollievo che il clima e il tempo nella Radura fossero sempre perfetti; se avessero dovuto combattere anche contro quelli, non sapeva proprio come sarebbero riusciti a tirare avanti.
Immaginò la pioggia infliggersi sui campi e distruggerli, ostacolare il percorso dei Velocisti, magari renderli prede più facili per i Dolenti, non riuscire a stare tutti stretti dentro al Casolare, dormire ammucchiati con la paura di dare un calcio in faccia a qualcuno se solo provavi a rigirarti nel sonno. No, decisamente una bella sploff.
Ma quella poteva chiamarsi veramente fortuna? Essere arrivati per primi e avere un letto come ricompensa? No, certo che no. Faceva schifo uguale. Non sapeva neanche come erano riusciti a non impazzire, a riprendersi, a far funzionare tutto lì dentro, ad essere forti per quei pive lì fuori che li vedevano come una sorta di guida essenziale.
Si rabbuiò, come se già non lo fosse. In realtà erano impazziti, solo che non potevano darlo a vedere per il bene degli altri.
 
«Il nuovo Fagio, Thomas o quel che è» sentenziò Alby.
Lui e Newt condividevano lo stesso letto, forse si stava un po’ stretti, ma aveva bisogno di una stanza propria per mettere ordine a fine giornata di tutto quello che accadeva nella Radura. Era abbastanza forte e tosto da non avere problemi e non lamentarsi di dormire anche sulla fredda e nuda pietra, ma se poteva avere un minimo di comodità durante la notte, dopo essersi ammazzato a gridare dietro ai pive rincaspiati, allora di certo non voleva privarsene.
Newt era sdraiato su un lato, rivolto verso di lui, con un braccio teso che gli accarezzava i corti capelli scuri, come a volerlo fare addormentare. Quella sensazione gli dava un barlume di ricordo della sua vita passata. La sensazione di calore come quella dell’amore di una madre. Ma lui neanche se lo ricordava cos’era – o com’era avere – una madre.
Lo sguardo di Alby puntava dritto sul soffitto, la testa poggiata sopra al braccio di Newt, il silenzio della notte che li circondava, interrotto solo dal respiro del biondo e dalle sue parole.
Newt mugugnò, spronandolo a continuare. Alby non lo guardava, continuava a mantenere gli occhi fissi sul soffitto, ma percepiva che quelli dell’altro erano chiusi. Voleva dormire, ma anche così gli andava bene, aspettava che parlasse e Alby sapeva che non si sarebbe addormentato fino a quando non sarebbe andato tutto a posto; anche lui in fondo avrebbe fatto lo stesso. Ma sarebbe mai andato tutto bene?
«Fa troppe domande, quel pive» continuò. Newt mugugnò un’altra volta per darli ragione, ma poi per un attimo il suo respiro si arrestò e Alby voltò il capo per guardarlo in viso. Newt aprì gli occhi scuri, stava aspettando che Alby gli dicesse cosa voleva fare, perché c’era sicuramente qualche compito di sploff che gli avrebbe assegnato e che non gli sarebbe andato a genio per niente, lo conosceva fin troppo bene. «Ho paura di cosa possa mettersi in testa. Per me quello è capace che si alza e va dentro al Labirinto di notte, a farsi una bella cenetta coi Dolenti.»
«Pive, smettila di dire sploffate» lo ammutolì il biondo, richiudendo gli occhi e continuando ad accarezzargli i capelli. «Ti rendi conto di quello che dici? Come farebbe ad aprire le Porte di notte, eh?»
Alby roteò gli occhi, sebbene non fosse sicuro che nell’oscurità l’altro potesse vederlo così bene. «Hai capito quel che intendo, faccia di caspio.»
Newt sospirò, rassegnato. «E quindi?»
Alby esitò, prendendosi qualche attimo per riflettere. «Vorrei che facessi capire a quel Fagio perché non gli conviene entrare nel Labirinto.»
Newt riaprì gli occhi scuri e vide quelli di Alby che lo fissavano intensamente, seri, in attesa di una sua risposta. Il minore si rigirò, stavolta era lui a fissare il soffitto e sentì Alby spostarsi su un fianco per farsi  più vicino, ansioso di sentire cosa ne pensava. E che cosa pensavA? Che era una bella e ingrata sploffata quel compito. Ma cos’altro poteva fare?
I polpastrelli di Alby si tesero a sfiorare le vene evidenti sulle braccia muscolose del biondo, percorrendole, accarezzandole.
«Che caspio, Alby!» sbottò Newt dopo un po’. Non ne aveva per niente voglia, ma sapeva che tanto avrebbe ceduto.
«Sta un po’ zitto! T’avranno sentito pure i Dolenti là fuori» borbottò il maggiore.
Il biondo fece una smorfia, mormorando qualcosa tipo: «Magari diventiamo amici e andiamo a mangiare da Frypan» per schernirsi. Poi sospirò rumorosamente, rassegnandosi. «Tanto sapevo che me l’avresti chiesto.» Alby ridacchiò vittorioso, ma Newt lanciò un’occhiata all’orologio sul suo polso. Mancava qualche ora prima dell’alba. «Però ora fammi dormire un altro po’, faccia di caspio» disse, rigirandosi nel letto.
Si fecero più vicini, come in un abbraccio, e poi si addormentarono fino all’ora prestabilita.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

PANDA B I T C H.
Bao a tutti.
Come promesso ho aggiornato, ma presto solo perché avevo il capitolo pronto. Dopo un po' purtroppo non sarà sempre così, mi scuso in anticipo.
Questa volta ho voluto descrivere un momento nascosto da Dashner, ovvero quando Alby chiede a Newt di svegliare Thomas per fargli vedere i Dolenti.
Ora facciamo una precisazione: sì, shippo Nalby, è praticamente la mia otp suprema di questa trilogia e sinceramente non mi interessano i vostri pareri sulle coppie, lolle. Quindi mi dispiace se non vi piacciono come coppia e vi dico anche che siete delle cattive persone, però in fondo questa è la mia visione dei fatti. Inoltre secondo la mia logica, specialmente i primi Radurai - a parte Minho che al massimo è bisessuale, ma sennò ha dimostrato che gli piace la passera, yo - sono diventati gay perché praticamente sono anni che convivono solo con maschi e sono tutti repressi e infelici e frustrati. Non dico che sono tutti gay, perché non lo sono, Minho ne è la prova, come vi ho detto, per non parlare che per me non lo sono neanche i Radurai più recenti, tipo Chuck o Thomas, perchè appunto hanno passato troppo poco tempo nella Radura. Però... però sì, gay ce ne sono e questo genera la mia idea della Nalby canon. Addio. Non so neanche se l'ho già detto, ma era per precisarlo e quindi non lo dirò più.
Per qualsiasi chiarimento, potete farmi domande e potete contattarmi mettendo mi piace alla pagina facebook Come una bestemmia. o seguendo @pandamito su twitter, o andando sul mio profilo efp dove ci sono tutti i link dei social network su cui sono reperibile. (?) #copiaincollaistheway
Ah, che cos'è lo studio, scusate? Non penso di avercelo ben presente. Se è gnocco però fatemelo conoscere, eh.
Baci e panda, Mito.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Newt non lo sta dicendo ***


 

 

03
 
 
Non aveva per niente fame. La realtà era che se ne stava seduto in disparte mentre tutti mangiavano da Frypan per controllare la situazione e assicurarsi che non succedessero altre sploffate. Ma non badava praticamente a nessuno, in quel momento non gli interessava di nulla se non vedere i suoi due migliori amici varcare una delle Porte.
Si sentiva tutta la stanchezza di quel giorno come un cerchio che gli si stringeva in testa, facendola scoppiare. Aveva voglia di piangere, ma si vergognava, aveva già le palpebre pesanti e gli occhi che gli pizzicavano per il nervoso che gli stava salendo, a causa della sua totale incapacità di fare qualcosa.
Lanciò un’occhiata all’orologio al polso. Non sapeva neanche se sarebbe tornato in tempo se fosse andato a cercare in quell’istante quei due nel Labirinto. Ma, se li avesse trovati, sicuro Alby se la sarebbe presa con lui, dandogli della testa di caspio e chissà quanti altri insulti. Odiava aver dovuto fare quel giuramento, seppur necessario. Odiava soprattutto aver dovuto fare quella promessa a lui dopo l’incidente. La verità era che odiava quel posto e sarebbe partito subito a cercarli se solo non avesse avuto paura di abbandonare i Radurai o di quello che gli avrebbe detto Alby. Che situazione del cacchio. Con la gamba che si ritrovava, sarebbe sicuramente morto, ma non era quello che lo spaventava di più.
Era successo qualcosa, se lo sentiva. Minho conosceva il Labirinto a memoria, non poteva perdersi, sarebbero dovuti già essere di ritorno, era sicuramente successo qualcosa…
Che caspio! Doveva smettere di pensare, ma sembrava impossibile. Si era mangiato le unghie fino a farsi uscire il sangue per il nervoso e il suo sguardo era perennemente assente, era tutto il giorno che aveva la testa altrove. Al Labirinto. Ad Alby e Minho.
 
«Ho sentito ogni vostra cacchio di parola» gridò d’un tratto, esasperato dal continuo chiacchiericcio di Chuckie e Tommy. «Non c’è da sorprendersi se la gente odia dormire vicino a voi due pive.» Cosa c’era che non andava? Sospirò, afflitto, confessando: «Non va neanche una singola cosa in tutto l’universo.»
Continuò a mordicchiarsi le unghie, mentre gli altri due lo fissavano curiosi. Aveva paura, tremendamente paura, di quelle che non provava da quel giorno. Era quasi disperazione, ecco. Ma non era pronto, non era pronto ad ammetterlo di fronte a qualcuno, così inventò qualche sploff da rifilare a quei due pive, finché il discorso non gli sembrò tanto assurdo che smise di crederci anche lui.
Fece un lungo sospiro. «Vaffancaspio, però. Non è questo quel che mi sta davvero tirando scemo.»
«E cosa, allora?» domandò Chuckie.
«Alby e Minho» mormorò il biondo, lanciando un’occhiata verso le Porte. «Sarebbero dovuti rientrare ore fa.»
Chuckie provò a rassicurarlo dicendo che magari erano andati a divertirsi in giro per il Labirinto, ma ottenne l’effetto contrario. Divertirsi? Forse quel pive voleva semplicemente tirargli un po’ su il molare, ma gli aveva semplicemente fatto salire la rabbia. Lo fulminò con lo sguardo, puntando i suoi occhi scuri in quelli del minore basso e cicciottello. Newt avrebbe tanto voluto prenderlo a pugni così come lui si era sentito preso per il culo dopo quella frase, ma si trattenne perché sapeva che non era intenzione di Chuckie offenderlo, così serrò i pugni così stretti lungo i fianchi che le nocche sbiancarono per evitare di avventarsi su di lui e fare qualche sciocchezza imprudente.
In quel momento odiava tutto e tutti, avrebbe voluto essere lasciato in pace, invece tutti quei pive gli si avvicinavano continuamente per fargli delle domande a cui lui non aveva la benché minima voglia di rispondere.
Non toccò neanche la cena quando arrivò la sera. I suoi occhi andavano continuamente dall’orologio alle Porte, ora senza neanche cercare di nascondere l’evidente agitazione che provava.
«Ma dove sono?» si lasciò sfuggire in un sussurro, gli occhi pieni di tristezza, quando vide Tommy e Chuckie avvicinarsi.
Non voleva ascoltare nessuno, però avrebbe tanto voluto qualcuno che lo rassicurasse in quel momento o che gli dicesse cosa doveva fare. E dire che di solito era lui quello che doveva motivare i Radurai.
Odiava il fatto che Tommy cercasse di spronarlo ad andare nel Labirinto a cercare Alby e Minho. Newt avrebbe voluto davvero farlo, ma non poteva per quello stupido giuramento, quella stupida promessa, gli stupidi Intendenti che l’avevano preceduto, gli stupidi Dolenti a zonzo nel Labirinto, gli stupidi Creatori e anche quel pive testa di puzzone di Alby. Se solo l’amico non avesse tenuto così tanto a lui, si sarebbe di certo preoccupato di meno se avesse fatto una cosa così avventata; certo, gli avrebbe urlato lo stesso contro, ma di meno se non fosse stato per quel giorno. Oh, ma stava davvero pensando una cosa del genere? Certo che l’ansia l’aveva proprio rincaspiato. Per non parlare che Tommy non faceva che insistere, facendogli ribollire la rabbia.
«Chiudi quel buco, Fagio!» strillò alla fine, non potendolo più sopportare. «Non è neanche una cacchio di settimana che sei qui! Pensi che non rischierei la mia vita all’istante per salvare quei tizi?»
L’ultimo arrivato – beh, forse era meglio dire penultimo – chinò il capo, sentendosi in colpa, e mormorando qualche parola di scusa.
Newt cercò di rilassarsi e cacciare via quella rabbia improvvisa, seppur faticosamente, addolcendo un po’ il viso. Se l’era presa con Tommy senza motivo quando era consapevole che lui era fra gli ultimi arrivati e non poteva capire, ma in quel momento si sentiva sottopressione.
«Non ci sei ancora arrivato, Tommy» provò a spiegare, più calmo. «Uscire là fuori di notte è come supplicare di essere ammazzati. Vorrebbe solo dire buttare via altre vite. E se quei pive non riescono a tornare…» le parole gli morirono in gola e sviò il discorso per non voler ammettere ciò che stava realmente pensando, così spiegò a Tommy del giuramento, mettendo in chiaro che non si doveva violare la regola numero uno per nessun motivo.
«Newt non lo sta dicendo» disse Chuckie, rivolgendosi all’amico, «quindi lo farò io. Se non tornano, significa che sono morti. Minho è troppo in gamba per perdersi. E’ impossibile. Sono morti.»
Newt sentì gli occhi pizzicargli di nuovo. Faceva ancora più male sentirsi sbattere la verità in faccia così ad alta voce, ma doveva dare ragione a quel pive. Morti. Quella parola rimbombava nella sua testa e faceva male come mille punture di Dolente. Anche se lui non era mai stato punto, effettivamente.
Eppure aspettò, aspettò fino a che il suo orologio segnò che mancavano due minuti alla chiusura delle Porte. Poi si alzò e silenziosamente si diresse verso il Casolare, a testa bassa.
E ora cos’avrebbe fatto? Stava a lui portare avanti i Radurai? Sì, ma come? Come avrebbe retto tutto quel peso senza nessuno a sostenerlo, a dargli consigli, a essere sempre presente per lui? Voleva andare nella sua stanza e scoppiare a piangere su quel letto che ora sarebbe stato tremendamente vuoto, o rimpiazzato immediatamente da qualcun altro in ordine di anzianità. Ma lui non voleva, tantomeno condividere quel letto con qualcun altro. Sarebbe andato a dormire all’aperto come tutti gli altri, piuttosto.
Improvvisamente sentì chiamare il suo nome. S’irrigidì e senza pensarci, prese a correre – seppur zoppicante – verso la Porta Occidentale. Ripensò ai tempi in cui era un Velocista, ma questo non gli faceva affatto bene, però se ne infischiò. Oltre Tommy, oltre le Porte del Labirinto, vide Minho esausto che trasportava il corpo di Alby, completamente abbandonato a se stesso, malconcio; poi gli sfuggì dalla presa, Alby scivolò a terra e Newt cercò di correre ancora più veloce, maledicendo se stesso e la sua gamba. Era se stesso che odiava veramente, ecco.
Le maledette Porte erano praticamente a qualche secondo dalla chiusura. Il pensiero che non ce l’avrebbero fatta si insinuò nella mente di Newt, ma lui lo scacciò, non voleva pensarci, non poteva, doveva solo correre come non aveva mai fatto prima, neanche quando era nel Labirinto.
Poi vide Thomas scattare in avanti e oltrepassare le Porte e si odiava ancora una volta, perché ci sarebbe dovuto essere lui al posto suo.
«Non farlo, Tommy! Non farlo, cacchio!» gridò, ma le Porte si chiusero e Thomas scomparve dietro di esse, assieme agli altri.
Newt crollò a terra, esausto, sconfitto, incredulo di ciò che era davvero accaduto. Poi tornò al Casolare, nella sua stanza, ancora sconvolto, si accasciò sul letto e, sì, pianse.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

PANDA B I T C H.
Bao a tutti.
"Mito, ma tu non dovresti studiare tipo fisica che domani ti interroga? O magari storia dell'arte che oltre all'interrogazione hai anche il compito? O magari, che ne so, fate matematica? Iniziare a studiare filosofia? Italiano? No? Nulla? Bene così."
Ah, ci sarebero un sacco di cose che dovrei fare. "Dopo lo faccio" è il motto della mia vita. Non diventate mai pigri, è una brutta bestia. Inoltre fa freddo. Inoltre piove. Inoltre il letto è caldo. Ok, la finisco qui.
Per qualsiasi chiarimento, potete farmi domande e potete contattarmi mettendo mi piace alla pagina facebook Come una bestemmia. o seguendo @pandamito su twitter, o andando sul mio profilo efp dove ci sono tutti i link dei social network su cui sono reperibile. (?) #copiaincollaistheway
Baci e panda, Mito.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** E'... vivo? ***


 

 

04
 
 
All’apertura delle Porte, lui era lì, di fronte quella Occidentale. Una parte di lui sperava davvero che fossero vivi, che non si sa come ce l’avessero fatta, ma la sua parte razionale lo riportava sempre coi piedi per terra, rammentandogli che era impossibile, che nessuno ce l’aveva mai fatta, anche se erano persone toste e in gamba come Minho e Alby.
Alby. Che cosa gli era successo? Perché Minho lo stava trasportando? Dov’era il Dolente? Nella sua mente vorticavano domande all’impazzata, a cui forse non avrebbe ricevuto neanche delle risposte.
Era stanco, aveva dormito malissimo, ma tristemente voleva essere lui il primo ad entrare nel Labirinto, a ritrovare… i loro resti, sì. Represse le lacrime e tirò un respiro profondo.
Non attese neanche che la Porta Occidentale fosse completamente aperta per gettarsi lì dentro – nel Labirinto, dopo mesi in cui aveva fatto di tutto per stargli lontano – intento a cercare i tre compagni. In lontananza, però, due figure svoltarono l’angolo. Il suo cuore perse un battito: erano Minho e Thomas.
Senza Alby.
Non c’era. Era morto.
Newt dovette chiamare ammenda tutte le sue forze per continuare a camminare a passo svelto senza avere un mancamento di lì a momenti. Accelerò il passo per andare loro incontro, seppur sempre zoppicante, e sentiva la rabbia montargli ancora una volta. Non ci capiva più nulla. Erano vivi, certo, erano i primi sopravvissuti non si sa come a un’intera notte lì dentro! Doveva essere felice, invece non riusciva a non pensare che Alby invece non ce l’aveva fatta. Già la sera prima, quando le Porte si erano chiuse, era malconcio; non aveva speranze e questo lo fece star ancora più male, perché vedere Minho e Thomas gli aveva fatto recuperare un briciolo di speranza che la sua razionalità aveva cercato di reprimere, ma ovviamente era stata soppressa all’istante, ricordandogli di non vivere nei sogni.
«Che è successo?» domandò, non riuscendo a trattenere la rabbia nella propria voce. E un po’ si odiava per questo. «Come diavolo…»
«Te lo diciamo dopo» lo interruppe Thomas. «Dobbiamo salvare Alby.»
Gli occhi del biondo si spalancarono all’improvviso, si sentì incredibilmente debole, probabilmente era impallidito e non sapeva neanche se il cuore gli batteva ancora nel petto. «Che vuoi dire? E’ vivo?»
«Vieni qui.» Thomas gli fece cenno di seguirlo e Newt non se lo fece ripetere due volte, svoltando a destra dietro di lui. Il Fagio alzò il braccio, puntando il dito in alto. Lì su, avvolto nell’edera rampicante sopra la parete del Labirinto, sorretto per braccia e gambe, c’era Alby, ancora svenuto, ancora apparentemente privo di vita.
Eppure la speranza si riaccese di nuovo in Newt.
Fa che non sia morto, fa che non sia morto, fa che non sia morto…
Era troppo chiedere un piccolo desiderio in mezzo a tutto quel cacchio di casino che stava succedendo?
«E’… vivo?» la voce gli tremava per lo stupore e forse anche per qualcos’altro.
Ti prego, fa che lo sia, fa che lo sia, fa che lo sia…
«Non lo so. Lo era quando l’ho lasciato lì» rispose Thomas.
Newt si sentì mancare un’altra volta. Era palesemente sconvolto, doveva assolutamente farsi spiegare cosa cacchio era successo lì dentro quella notte, ma prima doveva tirare giù Alby.
«Quando l’hai lasciato…» Scosse la testa, interrompendosi. Poi i suoi occhi scuri si fecero un po’ più duri, riacquistando l’autorità che gli spettava. «Tu e Minho. Portate le chiappe dentro, fatevi visitare dai Medicali. Avete un aspetto orrendo, cacchio. Quando avranno finito e sarete risposati voglio tutta la storia.»
Fortuna che Minho costrinse Thomas a seguirlo. Newt voleva, sì, sentire tutta la storia, ma aveva anche bisogno di riprendersi, perché c’era mancato poco che gli prendesse un cacchio di infarto e con tutte le domande che Thomas era abituato a fare, sapeva che gli si sarebbe rincaspiato il cervello.
Lanciò un’occhiata preoccupata al corpo ancora sospeso di Alby prima di iniziare a impartire gli ordini agli altri Radurai che l’avevano seguito. «Tiratelo giù! Tagliate quelle corde. Ma fate piano. Fate piano, cacchio!» gridò, agitato che qualche movimento brusco avrebbe potuto causare veramente la morte dell’amico.
Tirarono giù il corpo e poi, prendendolo per gli arti, lo trasportarono fino al Casolare, il più in fretta possibile. Lo sistemarono in uno dei letti e Newt gridò ai Medicali di fare presto. Osservava il suo volto imperlato di sudore, i Medicali gli controllarono il battito e dissero che era ancora vivo, ma non c’era un minimo cenno di coscienza in lui, sembrava morto e Newt trovò a chiedersi se mai avrebbe davvero visto l’amico privo di vita un giorno, o magari viceversa. Scacciò quel pensiero, dicendosi che non sarebbe stato quello il giorno.
I Medicali iniettarono il DoloSiero nel braccio di Alby e tutti aspettarono attorno a lui. Non si muoveva ancora. Newt era sull’orlo di una crisi: e se fosse stato troppo tardi? Non avevano mai aspettato così tanto per iniettare il DoloSiero, forse… No. Scosse di nuovo la testa, ma non riusciva ad allontanare quei pensieri.
Poi, improvvisamente, gli occhi di Alby si sgranarono, rivelando quanto fossero arrossati e stanchi; il nero inspirò rumorosamente l’aria, come se non respirasse da anni e poi urlò.
Alcuni Radurai urlarono a loro volta, spaventati, altri sobbalzarono indietro per lo spavento. Newt stesso si era dovuto reggere al letto per non cadere all’indietro, ma subito dopo era scattato in avanti, prendendo una mano dell’amico e tentando di farlo stare fermo mentre iniziava a muoversi convulsivamente. Continuava a gridare e il punto del braccio in cui era perforata la siringa stava iniziando a ricoprirsi di venature sporgenti.
«E’ iniziata la Mutazione…» mormorò fra sé, ma gli altri Radurai erano riusciti a sentirlo e si erano voltati verso di lui, sbigottiti, come se fosse impossibile che proprio ad Alby fosse toccato un destino del genere. Il volto del biondo si fece più teso, strinse di più la mano all’amico e poi parlò con voce dura: «Fuori. Fuori!»
Gli altri si spaventarono e poi uscirono da quella stanza, alcuni titubanti, altri velocemente perché non volevano assistere alla Mutazione. I Medicali si scambiarono sguardi incerti, non sapendo se l’ordine fosse rivolto anche a loro, ma poi uscirono lo stesso, chiudendosi la porta alle spalle.
Newt cadde sulle ginocchia lì accanto al letto, non lasciando mai andare la presa sulla mano dell’amico. Le grida di Alby erano forti e gli perforavano le orecchie. Chiuse gli occhi per qualche istante, credendo di impazzire, ma poi gli riaprì e vide il maggiore continuare a contorcersi, ma allo stesso tempo combattere per resistere a quegli impulsi.
Newt si chiese che cosa sarebbe accaduto in seguito, ma per il momento si limitò a stargli accanto fino a quando non si sarebbe ripreso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

PANDA B I T C H.
Bao a tutti.
Faccio delle note lampo perché dovrei andare a docciarmi... Che brutto destino. Il bagno è pure okkupato con due cappa. Kappa. Cuppa. Ok, basta, la smetto.
Ma chi me lo fa fare. Ma perché non studio? Eh, ci sarebbero tante domande che dovrei pormi.
Comunque volevo semplicemente dirvi che probabilmente i prossimi capitoli verranno aggiornati più lentamente perché questo fine settimana sono a Lucca, poi la settimana prossima sono piena di impegni e poi in un mese dovrò scrivere tre capitoli di una storia per concluderla entro una scadenza.
Per qualsiasi chiarimento, potete farmi domande e potete contattarmi mettendo mi piace alla pagina facebook Come una bestemmia. o seguendo @pandamito su twitter, o andando sul mio profilo efp dove ci sono tutti i link dei social network su cui sono reperibile. (?) #copiaincollaistheway
Baci e panda, Mito.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Credo che il peggio sia passato ***


 

 

05
 
 
Newt sembrava un morto che camminava. Si sedette per terra davanti a Thomas e Chuck, con l’aria più triste e preoccupata che si potesse immaginare.
«Credo che il peggio sia passato» disse. «Lo stronzo adesso dovrebbe dormire per qualche giorno e poi svegliarsi a posto. Magari ogni tanto si metterà a strillare.»
 
Aveva la testa che gli scoppiava, per ore non aveva sentito altro che le grida di Alby che gli perforavano i timpani, ma cercò di non dargli peso, perché comunque non avrebbe fatto diversamente in ogni caso.
Aveva visto il corpo di Alby mutare, riempirsi di vene verdi e sporgenti, grosse e orribili bolle di pus che poi erano scomparse col tempo e le varie ferite curate dai Medicali. E Newt non aveva mai distolto lo sguardo. Un po’ perché oramai aveva visto tutti quelli che avevano subito la Mutazione essendoci da più tempo degli altri, un po’ perché voleva affrontare il dolore che Alby stava patendo assieme a lui, consapevole però di non poter fare niente per alleviarlo. La Mutazione era una battaglia contro se stessi e chissà che cacchio succedeva.
 
Era così che si era sentito Alby quando sul lettino invece c’era stato lui? Pallido, ferito e morente. Immaginò Alby al suo posto, costantemente vicino al letto, che gli teneva stretta la mano, in ansia, preoccupato che potesse morire.
E magari Alby si era chiesto perché l’avesse fatto, perché si era buttato da quel muro.
Non ce la faceva più.
E invece eccolo lì, sentendosi coinvolto pienamente in una battaglia nella quale invece non poteva intervenire, spronando il migliore amico a resistere, a ricordargli che era il più tosto di tutto, non sapendo neanche se lui lo riuscisse davvero a sentire.
Si sentiva in colpa, perché ora sapeva cosa aveva dovuto provare l’amico e non voleva farlo più preoccupare, non voleva rivederlo di nuovo su quel letto o magari sveglio accanto a lui che non aspettava altro che il suo risveglio.
Newt non poteva accettare la possibilità della sua morte, non era concepibile secondo lui. Non voleva stare in quel posto senza Alby. Si sentiva come perso, incapace di andare avanti.
 
Quando le convulsioni di Alby si erano placate e con esse anche le sue grida, Newt aveva chiamato Clint e Jeff, che erano subito accorsi per controllarlo.
Ce l’aveva fatta e Newt tirò un sospiro di sollievo.
Sapeva che Alby era forte, lui più di chiunque altro, ma per una volta pensò seriamente che avrebbe potuto abbandonarlo lì, da solo, in quella Radura del cacchio.
Aveva stretto così forte la mano dell’amico in quelle ore di pura ansia e preoccupazione che ad un tratto pensò che avrebbero potuto incolpare lui se fosse davvero morto.
Ma ora era vivo, era sopravvissuto. Sì, ma chissà se sarebbe stato un bene.
E se fosse cambiato? E se fosse diventato come quei pive musoni che giravano per la Radura?
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dalle parole di Jeff.
«Newt, dovresti andare a riposarti anche tu. Te lo dico da Medicale e da amico. Stai da schifo.»
Il biondo grugnì, ma non gli diede retta. «E chi pensi che tirerà avanti sto cacchio di posto?»
E con ciò diede un ultimo sguardo ad Alby, che ora dormiva apparentemente tranquillo, e si alzò, scendendo al piano di sotto e uscendo dal Casolare, trascinandosi come se l’avesse dovuta subire lui la Mutazione, con gli occhi arrossati e la mente per niente lucida.
Le urla dell’amico gli rimbombavano ancora nella testa e le immagini del suo corpo che si contorceva sembravano non volerlo abbandonare. Non sarebbe mai riuscito a dimenticare e il peggio era che invece Alby stava per ricordare qualcosa di più.
 
Oramai la voce di Tommy che gli parlava gli sembrava distante e ovattata, quasi impossibile da raggiungere. Chiedeva della Mutazione, eppure Newt stesso non aveva voglia di affrontare quell’argomento.
Il biondo rimase a fissarlo per un istante, poi distolse lo sguardo. Sembrava perso nei suoi pensieri. No, lo era proprio. «I pive che hanno subito la Mutazione non ne parlano mai, a dire il vero. Diventano… diversi. Sgradevoli. Ce n’è qualcuno, nella Radura, ma io non li sopporto.» La sua voce era lontana, gli occhi si erano persi in un punto indefinito tra i boschi. Stava pensando al fatto che magari Alby non sarebbe mai più tornato lo stesso.
Era stato il suo punto fisso da quando i Medicali gli avevano iniettato il DoloSiero e ora si era fatto ancor più strada fra le sue preoccupazioni da quando l’amico non era più in pericolo di morte.
Magari si sarebbe ricordato di lui, di com’era prima, di cosa era successo. Ma erano sempre stati così legati? E lui, Newt, era sempre stato così o magari prima era… cattivo? Era arrivato coi primi Radurai, magari loro avevano fatto qualcosa di più grave rispetto agli altri. Ma cos’avevano fatto? E se…
Uno strano dubbio si insinuò in lui, portandolo a mangiarsi nuovamente le unghie, come quando era stato in ansia perché Minho ed Alby non uscivano dal Labirinto.
E se la loro relazione fosse cambiata? Se Alby avesse iniziato ad odiarlo? Se si fosse irrimediabilmente allontanato da lui?
Aveva paura di cosa sarebbe potuto succedere, di cosa avrebbe ricordato, di cosa avrebbe ricordato su di lui.
Non voleva trovarlo sveglio e notare uno sguardo differente negli occhi dell’amico, non voleva che diventasse come gli altri pive che avevano subito quella Mutazione del cacchio.
Non voleva che ricordasse, aveva paura di cos’era accaduto prima.
Aveva paura di rimanere lì, nella Radura, circondato dal Labirinto.
Aveva paura di tutto e chissà se Alby avrebbe continuato a consolarlo, una volta sveglio.
Scosse la testa, cacciando via quei pensieri.
Doveva indurre un’Adunanza. All’istante.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

PANDA B I T C H.
Ebbene ve l'avevo detto che i capitoli sarebbero arrivati a rilento e ancor di più d'ora in poi perché non ho più capitoli già scritti, né tempo per scrivere, più una storia da finire entro una scadenza, più interrogazioni varie.
E quindi... niente, io ho gli headcanons secondo cui Glenn di The Walking Dead in realtà è il padre di Minho, quindi addio. Ah, voglio pure scrivere una Modern AU sui Radurai. Bao.
Per qualsiasi chiarimento, potete farmi domande e potete contattarmi mettendo mi piace alla pagina facebook Come una bestemmia. o seguendo @pandamito su twitter, o andando sul mio profilo efp dove ci sono tutti i link dei social network su cui sono reperibile. (?) #copiaincollaistheway
Baci e panda, Mito.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Mi dispiace un corno ***


 

 

06
 
 
Sembrava che da quando era arrivato Tommy non esistesse più un solo momento di pace. Si era appena conclusa l’Adunanza e l’avevano nominato Velocista, ma Chuck era già sulla soglia dell’entrata pronto a scocciare. Ma sul suo volto c’era un’espressione che non gli aveva mai visto: puro terrore.
Si alzò di scatto dalla sedia, preoccupato, assottigliando lo sguardo. «Che succede?» domandò.
Chuckie si contorse le mani e Newt diventava più impaziente. «Mi mandano i Medicali» ammise.
«Perché?» insistette il biondo con tono duro.
«Mi sa che Alby sta sbatacchiando qua e là e che sta facendo il pazzo. Dice che deve parlare con qualcuno.»
Il secondo in comando ebbe un tuffo al cuore. Notizie di Alby. E voleva parlargli. Non sapeva se essere felice perché l’amico si era svegliato o preoccupato per cosa gli avrebbe detto. E se i suoi timori si sarebbero confermati? Se l’avrebbe iniziato ad odiare? Una morsa invisibile gli strinse il petto. In quell’arco di tempo in cui non era stato al suo fianco era stato in pensiero ogni singolo secondo che era passato. In fondo che importava di ciò che avrebbe pensato Alby? L’importante era che ce l’aveva fatta: era sopravvissuto.
Non era vero. Importava eccome. A lui, perlomeno.
Magari Alby aveva pensato la stessa cosa quando l’aveva trovato nel Labirinto e l’aveva salvato.
Non perse neanche un istante e si avviò verso la porta, ma Chuck alzò una mano. «Ehm… non vuole te.»
Newt strinse i pugni e contrasse la mascella, fulminandolo. «Che intendi?»
Chuck indicò Thomas. «Continua a chiedere di lui.»
L’ex-Velocista spostò lo sguardo di fuoco sul novellino, non riuscendo a trattenere la frustrazione che lo percorreva. Ma che diavolo aveva quel pive da attirare così tanti guai? Da quando era arrivato lui non ne andava bene una giusta.
Newt cercò di mettere da parte i suoi dubbi: ora non erano importanti. Sebbene fosse strano che Alby volesse vedere proprio l’ultimo – beh, non proprio, meglio dire penultimo – arrivato, ora non poteva ribattere e doveva precipitarsi da lui.
Ma la morsa nel petto si fece ancora più stretta. Si sentiva… ferito. Perché Tommy? Perché non lui, invece? Cosa c’era di così tanto urgente da dire a quel Fagio che non poteva dire a lui?
Affondò le unghie nei palmi delle mani. «Be’, muoviamoci» disse, ma il suo tono gli uscì più duro di quanto volesse. «Non esiste che non venga con te.»
 
Precedeva Tommy, impaziente da arrivare da Alby, ma si fermò comunque ad aspettarlo quando quello rimase indietro. Sapeva di rivolgergli occhiate ingiuste e accusatorie, ma ora non gli importava, non riusciva a non far vedere quanto fosse contrariato.
Ma tutto svanì quando si ritrovò di fronte alla porta dove riposava l’amico. Sembrava che fosse tutto in silenzio, ma sentì le gambe farsi improvvisamente molli e le sue mani tremare.
Dietro quella porta c’era la verità.
Tutta la rabbia e la frustrazione scivolarono via, lontano da lui, facendo posto di nuovo alla preoccupazione per l’amico. Bussò piano, quasi premuroso, immaginando magari che Alby non avrebbe gradito il rumore, non gli avrebbe fatto bene per la sua guarigione. Ricevette un gemito in risposta e Newt sussultò, sentendosi lui stesso male per le sofferenze dell’amico. Aprì piano la porte, esitante; desiderava entrare e vederlo, ma continuare ad avere paura di ciò che sarebbe successo.
Fece cenno a Tommy di seguirlo e vide Alby disteso sul letto, le palpebre chiuse e il viso segnato dal dolore.
«Sta dormendo?» bisbigliò l’altro.
«Non lo so» rispose piano il biondo, sistemandosi sulla sedia accanto al letto. «Alby» sussurrò piano, sfiorandogli una mano. Nessuna risposta. Il cuore prese a battergli precipitosamente, impaurito da un’idea che Newt continuava a scacciar via ripetutamente sin da quando non aveva visto Minho e Alby tornare in tempo dal Labirinto. «Alby» ripeté, poco più forte. «Chuck ha detto che volevi parlare con Tommy.»
Le palpebre di Alby si aprirono tremanti e gli occhi rossi si posarono su Newt. Il ragazzo ne aveva già visti di ragazzi punti, era abituato, ma sussultò comunque; poi, però, distese le labbra in un sorriso incerto, per rassicurare l’amico.
Lo sguardo di Alby si spostò su Thomas e poi tentò di tirarsi a sedere faticosamente e il biondo prontamente l’aiutò ad appoggiarsi alla testiera del letto.
«Già» brontolò il nero.
Newt si chinò in avanti, premuroso, continuando a parlare piano. «Chuck ha detto che ti dimenavi tutto e che facevi il matto. Che c’è che non va? Stai ancora male?» Le ultime parole uscirono con un tono più dolce del solito e il ragazzo continuò comunque a sfiorargli la mano, forse per rassicurare più se stesso che l’altro.
Poi il maggiore farfugliò qualcosa prima di sprofondare di nuovo nel letto, chiudendo gli occhi affaticati. «Non mi sento tanto bene» ammise.
Newt di quelle parole confuse riuscì a scorgere solo i nomi di Thomas e la ragazza e qualcosa come «… Li ho visti…»
«Che intendi dire, che hai visto…» cominciò, ma fu bruscamente interrotto.
«Volevo Thomas!» sbraitò Alby con rabbia improvvisa. «Non ho chiesto di te, Newt! Thomas! Ho chiesto di Thomas, cacchio!»
Le continue preoccupazioni e premure di Newt lo stavano facendo uscire matto. Ciò che doveva dire… ciò che aveva visto… era urgente e non poteva perdere tempo con lui.
Non voleva veramente trattarlo male, ma Alby era fatto così, si accendeva con un attimo; se ne sarebbe pentito sicuramente dopo e avrebbe dovuto affrontarlo, ma prima doveva parlare con Thomas ed era dannatamente importante.
Quelle parole fecero male più di qualsiasi altra cosa, più della sua gamba andata. Newt si irrigidì e ora sentiva il petto stringersi così tanto da fargli credere di non riuscire a respirare. Si voltò lentamente verso Thomas e alzò le sopracciglia, come a pretendere delle spiegazioni.
«Va bene, brontolone di un caspio che non sei altro» disse, cercando di essere comprensivo e di mettere da parte tutti i suoi sentimenti per qualche istante, non potendo però celare una nota di risentimento nella voce. «È proprio qui. Parlagli.»
Alby esitò, prese un bel respiro, ma poi ordinò: «Vattene.»
«Non esiste» controbatté l’altro, prendendo posizione. «Voglio sentire.»
Entrambi sembravano due bambini testardi.
Ma Alby non voleva che sentisse delle cose orribili che aveva visto. Doveva solo convincere Thomas a non uscire da quel Labirinto, a non spingerlo verso una morte certa.
«Newt» la sua voce era solenne, di chi era abituato a dare ordini ai pive. «Vattene. Ora.»
«Ma…» tentò di protestare ancora il biondo.
Basta. «Fuori!»  strillò l’altro, non potendolo più sopportare, con voce rotta dallo sforzo. «Esci!»
Forse se l’avrebbe trattato male se ne sarebbe andato, almeno per l’offesa, così Alby non avrebbe dovuto ammettere di fronte a lui la dura verità.
Ma Newt rimase immobile a fissarlo, non vi era rabbia nel suo volto, ma Alby poté vedere quanto si sentisse ferito e per qualche istante vacillò, sentendosi in colpa, seppur consapevole di star facendo tutto quello per un motivo ben preciso.
Per qualche istante pensò che Newt sarebbe seriamente rimasto lì, ma lo conosceva troppo bene, purtroppo, e sapeva come colpire le sue debolezze. Di fatti si alzò tranquillamente dalla sedia e si fermò solamente quando aprì la porta.
Non si voltò, le sue parole furono dure, ma non il tono, il che avrebbe gelato chiunque, ma non Alby. «Non aspettarti che ti baci il culo quando verrai a dirmi che ti dispiace.»
«Chiudi la porta!» urlò il nero e quello ubbidì, sbattendola.
Alby tirò un sospiro, cercando di liberarsi di tutto quel peso causato dalla tensione, seppur invano. Avrebbe dovuto affrontarlo dopo e non sarebbe stato affatto piacevole. Di solito non gli urlava mai contro, non a lui e mai in quel modo. Ma avrebbe trovato un modo per far pace, come sempre.
 
Chiusa la porta alle sue spalle, Newt non si mosse di un altro passo. Rimase lì, immobile e in silenzio, cercando di scorgere le parole che i due si stavano scambiando nella stanza.
Il petto si alzava e si abbassava per la rabbia. Avrebbe voluto lasciarsi andare e gridare, mostrare quanto si sentisse ferito, ma rimase dov’era.
Poteva urlargli tutto quello che voleva, ma non avrebbe lasciato mai Alby.
Di fatti spalancò la porta e si precipitò nella stanza appena sentì le grida, Thomas non ebbe neanche il tempo di finire di urlare il suo nome.
Agì d’istinto, gli fu addosso, bloccandolo e cercando di allontanare le mani dalla sua gola.
«Molla! Ti stai ammazzando, cacchio!» gridò, agitato, con l’adrenalina che andava a mille, mossa dalla paura.
Lo immobilizzò con un ginocchio puntato sulle spalle, Tommy gli teneva ferme le gambe e lui le mani, lontane dalla sua gola. Non si rilassò neanche quando le convulsioni dell’amico cessarono, ma si allontanò lentamente, permettendogli di respirare.
Alby aprì faticosamente le palpebre pesanti, era stanco, eppure gli rivolse uno sguardo. «Mi dispiace, Newt!» sussurrò e a quelle parole il chiamato in causa ebbe un sussultò. «Non so cosa sia successo. È stato come se… qualcosa stesse controllando il mio corpo. Mi dispiace…» continuò a ripetere. Ed era vero. Newt gli aveva detto che non avrebbe accettato le sue scuse, eppure Alby non poteva farne a meno. Era spaventato da ciò che era appena accaduto, il suo corpo si era mosso da solo, contro la sua volontà.
«Mi dispiace un corno» ribatté Newt. Le parole della litigata riecheggiavano ancora nella sua mente, ma la sua non era proprio rabbia, era paura e capì perché Alby si era così tanto arrabbiato con lui quando si era buttato. «Stavi cercando di ucciderti, cacchio.»
«Non sono stato io, lo giuro» mormorò l’altro.
Buttò in aria le mani. «Che vorrebbe dire che non sei stato tu?» domandò.
«Non lo so… Non… non ero io» disse, ma sembrava addirittura più confuso dello sguardo interrogativo che gli altri due gli stavano lanciando.
Il biondo si lasciò sfuggire un sospiro. La verità? Non gli importava. Alby stava bene – be’, più o meno – e questo era ciò che contava; aveva bisogno solo di riposo. Così afferrò le coperte e le rassettò sopra il corpo dell’amico, come una madre. Era davvero così che facevano le madri? Non ricordava.
«Porta le chiappe a dormire, ne parleremo dopo» lo rassicurò, sforzando di rivolgergli un sorriso. Gli diede un colpetto sulla testa e poi aggiunse: «Stai proprio fuori, pive.»
E ancora gli scivolò tutto addosso e ora in lui c’era solo premura e dolcezza, mentre Alby annuì piano e chiuse gli occhi, terribilmente stanco.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

PANDA B I T C H.
Sono la persona più brutta che possa esistere nell'universo e sì, lo so, dispiace anche a me. #feellikeAlby Solo che diciamo mi sono dedicata molto alla mia pagina su The Maze Runner (the maze runner; «be careful. don't die.») e.. e... e poi i compiti e... e... Ok, la verità è che er- sono ancora tuttora in depressione per il mid-season finale di TWD, quindi compatitemi se piango tipo ogni giorno dalle ultime due settimane. Io confido nelle vacanze di Natale, visto che dovrei aggiornare anche Can you see me? e lì mi mancano solo tre capitoli, mentre qui... effettivamente non mi aspettavo che sarebbero usciti tanti capitoli, invece mi sono accorta che nel libro ci sono molte più scene Nalby di quanto mi ricordassi e io voglio riportarle tutte e concentrare l'attenzione sulle emozioni dei due personaggi.
Per qualsiasi chiarimento, potete farmi domande e potete contattarmi mettendo mi piace alla pagina facebook Come una bestemmia. o seguendo @pandamito su twitter, o andando sul mio profilo efp dove ci sono tutti i link dei social network su cui sono reperibile. (?) #copiaincollaistheway Sono pandamito pure su tumblr, pandamito everywhere, anche se lì in realtà ho due blog, ma.... va be', andate sul mio profilo, va.
Baci e panda, Mito.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2873230