Tempo e pratica

di Silen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tempo e pratica ***
Capitolo 2: *** Tempo e pratica ***
Capitolo 3: *** Tempo, pratica e… risultati ***



Capitolo 1
*** Tempo e pratica ***


CT OneShot

Questa breve storia partecipa alla pannolino!exchange

Rivela alcuni legami di parentela non ancora raccontati in Inseguire un sogno, afferrare il destino


Tempo e pratica

Tōkyō 1967

Il pianto di neonato fece sollevare il suo sguardo dal bilancio; si alzò e osservò un attimo il fagottino che si agitava nella culla e sospirò. Poi sorrise: Niki era proprio un amore di frugolino; i suoi occhietti vispi erano inequivocabilmente a mandorla, ma il ciuffetto di capelli sulla testolina rotonda era chiaro.

– Non ha un interruttore “on, off”. Se si lamenta c’è un motivo… – sua moglie era apparsa nel vano della porta dello studio.

Prese in braccio il nipotino, che si calmò immediatamente. – I motivi sono limitati a fame, sete, pipì e pupù, e direi che dal suo odorino l’opzione sia l’ultima. –

La donna sorrise – E allora cambialo. –

Sospirò osservando le carte sulla scrivania e ne spostò alcune.

Suo cognato e la tedesca avevano molto bisogno di una serata da soli, e loro due si erano offerti subito per il posto di babysitter. Dopotutto, volevano avere dei figli propri al più presto, e Niki era il miglior modo per fare ‘pratica’.

Studiò tutto l’armamentario contenuto nella borsa e appoggiò delicatamente il bebè sul fasciatoio improvvisato con un telo da bagno sul legno di noce scura.

– Oh, lascia stare Yū! Se devi fare un grafico per cambiare un dannato pannolino… – intervenne lei spostandolo dalla sua posizione contemplativa.

Lo svestì, pulì e riempì di talco e coccole, con gesti istintivamente precisi, come se non avesse mai fatto altro prima d’ora, mentre il cucciolo si agitava felice e gorgogliava, e lui osservava. Era piuttosto interessante vedere Mitzi nel ruolo di mamma.

Niki tornò a sonnecchiare nella culla, e loro due rimasero a guardarlo rapiti per un po'. Prese la mano di sua moglie e ammiccò – C’è sempre tempo per le scartoffie: se vogliamo allargare la famiglia Wakabayashi… –



Dedicata a tutti i detrattori del cattivissimo Wakabayashi-sama.

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Capitolo 2
*** Tempo e pratica ***


CT OneShot

I pannolini c’entrano solo marginalmente, ma, visto che i protagonisti sono di nuovo gli stessi, e, comunque, questa piccola storia può essere considerata una sua evoluzione, ho preferito inserirla non a se stante ma come una specie di "secondo capitolo".

Qualche anno dopo, ma sempre nel passato di Inseguire un sogno, afferrare il destino


Tempo e pratica

Tōkyō 1974

– Ma che diamine hai oggi, Genzō? – Non faceva che piangere strillando con tutto il fiato in gola, ed era veramente tanto, considerando che era ancora così piccolo.

Fame? No: aveva mangiato giusto un’ora fa. Pannolino? No: nessun odore rivelatore aveva solleticato il suo fine olfatto di lupo.

E il bastardino, quasi a farlo apposta, si calmava immediatamente quando lo prendeva in braccio, per poi ricominciare non appena lo rimetteva nella culla.

Eppure con i neonati aveva sempre avuto dimestichezza, dopotutto era il maggiore di tre fratelli, e di ‘pratica’ con il piccolo Niki ne avevano fatta parecchia, negli anni.

Dannazione! Se continuava così, avrebbe terminato quella consulenza quando suo figlio sarebbe già stato in grado di camminare da solo con le sue gambette… E Mitzi lo aveva mollato proprio oggi, per tornare a lavorare mezza giornata in ufficio. Lei non ci riusciva proprio a stare chiusa in casa, piuttosto si portava dietro tutto l’occorrente per il bambino e usciva, anche solo per andare a passeggiare; sosteneva che così Genzō avrebbe avuto molti più stimoli e sarebbe cresciuto sveglio e intelligente.

Beh, intanto, furbetto, lo era già. E mentre lui da cinque minuti passeggiava cercando di farlo riaddormentare, il bastardino gli stava succhiando la cravatta, che ora in fondo era tutta sbavata e stropicciata. In quel momento sentiva proprio il bisogno di una sigaretta urgente, ma, no, non poteva: sua moglie lo aveva minacciato di togliergli la possibilità di generare altri figli se lo avesse beccato a fumare in casa.

Ovvio, con il moccioso (ora ovviamente non più urlante) in giro, ogni cosa diventava complicata. – Sei così piccolo e già così fastidioso, lo sai Genzō? – che adesso si stava dedicando con molto impegno a mordicchiare il bottone del suo polsino. Lo solleticò sotto il mento, e lui mostrò le gengive ancora vuote in una specie di sorriso.

La consapevolezza giunse fulminea: i denti! Ecco cosa stava tormentando il cucciolo!

La mente reattiva si mise in movimento, e si guardò attorno cercando qualcosa che facesse al caso suo. Il giochino di plastica pareva adeguatamente masticabile, così, una volta di nuovo nella culla, Genzō ritornò ai suoi pensieri di bebè.

E ora poteva finalmente dedicarsi alle scartoffie. Invece no. Non appena fu seduto alla scrivania, suo figlio aveva ripreso a strillare; si passò brevemente le mani nei capelli e sospirò. Poi si rialzò e andò a vedere che cosa diavolo avesse… di nuovo.

Il bastardino non aveva, però, il minimo segno di pianto vero in faccia, anzi, di nuovo quell’arietta ancora inconsapevolmente furba. – Di' un po': hai soltanto voglia di far diventare pazzo papà, vero? – Fece un altro sorriso sdentato. – Oppure ti senti solo, qui dentro, in questa specie di gabbia imbottita? – sospirò – Hai vinto tu. –

* * *

Avendo tenuto il bastardino tutto il tempo sulle ginocchia, alla fine le sue carte erano sbavate e stropicciate come la cravatta, e avrebbe dovuto riscriverle daccapo, ma almeno quel lavoro era concluso e il cucciolo non si era più lamentato una sola volta.

Sollevò lo sguardo sentendosi osservato – Da quanto te ne stai lì, a sbirciare, con quel ghigno sulle labbra? – Mitsuki si avvicinò alla scrivania per prendere Genzō dalle sue braccia e ridacchiò – Da abbastanza tempo per capire, dall’odore che emana, che non ti sei nemmeno accorto che tuo figlio ha bisogno di essere cambiato, Yūta! –



Siccome il giorno che l’ho scritta era capitato a me, di dover sopportare un moccioso urlante,
mi sono vendicata su Wakabayashi-sama.

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Capitolo 3
*** Tempo, pratica e… risultati ***


CT OneShot

Questo "terzo capitolo" di questa piccola raccolta di shots su mamma e papà Wakabayashi può essere considerata una specie di epilogo del concetto di 'tempo' e 'pratica' applicati al cambio del pannolino, e il cui 'frutto' si fa già ampiamente notare…

Poco dopo, torniamo di nuovo nel passato di Inseguire un sogno, afferrare il destino


Tempo, pratica e… risultati

Tōkyō 1974

Mitsuki prese il suo bambino dalle braccia del marito e si tappò il naso. – E meno male che lo “svanito” è Tatsuo! – commentò con un sorrisetto beffardo, – Come minimo, sarà ormai da mezz’ora che Genzō doveva essere cambiato, ma tu… –

– Ero concentrato sulle scartoffie! – si giustificò Yūta interrompendola accigliato, – E, comunque, tu potevi anche avvertire di aver fatto quella grossa… – protestò sbuffando e puntando con il dito indice il moccioso, che lo fissava con quell’arietta da furbo. Sua moglie rivolse lo sguardo di pece al soffitto – Non sa ancora parlare… –

– Ma, quando gli comoda, il bastardino, ti assicuro che sa, tirare fuori voce e grinta! – la interruppe di nuovo, facendo spallucce e incrociando le braccia al petto. – Già, – ammiccò sua moglie, – chissà perché, mi ricorda vagamente qualcuno… – Yūta si alzò dalla scrivania e la strinse tra le braccia, sussurrando all’orecchio – Chi? –

Genzō, nel frattempo, aveva preso a mordicchiarsi un pugnetto, poi guardò sua madre e si mise a frignare un po', giusto per richiamare l’attenzione, che ottenne, e Mitzi lo allontanò. – Prima lasciami andare a cambiarlo, Yū, abbiamo tempo anche dopo… –

Uscì dallo studio per andare in bagno e fare ritornare il suo piccolo campione di pupù a profumare di bebè. Dopo averlo sistemato sul fasciatoio, sciolse il nodo del pannolino di stoffa e lo mise subito a lavare; all’emporio aveva visto quelli usa e getta di plastica, ma li aveva lasciati sullo scaffale. Anche se ormai non erano più con l’acqua alla gola, come appena arrivati da Odawara, da soli, ancora troppo giovani e senza un soldo, la forza dell’abitudine a non sprecare era dura a morire per entrambi.

Con gesti sicuri e rapidi, lo spogliò completamente della tutina, lo prese in braccio e si assicurò che il bagnetto fosse alla temperatura ottimale, mentre lui giocherellava con i suoi capelli, tirandoli leggermente. Immerse delicatamente il suo cucciolotto nell’acqua tiepida, solleticandogli il pancino, e lui apprezzò mostrando le gengive vuote, per poi mettersi a sgambettare felice, spargendo spruzzi e gocce ovunque.

Alla fine, bello e pulito, lo avvolse in un telo, cosparse di talco il sederino e annodò un nuovo triangolo di stoffa, mentre Genzō, per tutto il tempo, aveva gorgogliato, nel suo modo ancora incomprensibile, di approvazione, come a dire: – Il pannolino, lo cambia meglio la mia mamma! – Lo prese in braccio, cullandolo dolcemente, e annusando la sua testolina morbida e profumata, per poi sfiorarla con le labbra.

La mano si posò sul fianco, il braccio le circondò la vita, mentre l’aroma di dopobarba maschile solleticava le sue narici. – Direi che è arrivata l’ora di mettere il moccioso a dormire… – sussurrò la bocca appena accostata al lobo del suo orecchio.

Si voltò con aria studiatamente impassibile, reggendo il bimbo nell’incavo del gomito; ma furono imprigionati entrambi in una stretta risoluta, niente affatto scoraggiata dal piccolo intruso che era stato messo in mezzo all’intento di ampliamento familiare.

Con la mano libera, Mitsuki sfiorò la cravatta stropicciata e sbavata, poi arricciò il naso, disgustata – Puzza di rigurgito! – Suo marito ammiccò e sogghignò – Allora toglila! – Lei iniziò ad allentare il nodo – Facciamo così: io vado a farmi un bel bagno rilassante, mentre tu addormenti il campione… – propose, – Chi finisce prima, raggiunge l’altro. –

Poi, la mano libera di sua moglie si dedicò ai primi due bottoni della camicia, tanto per dargli un incentivo, seppur non necessario; Yūta si chinò per prendersi un anticipo sul compenso, ma il bastardino si intromise piazzando la manina sulla sua faccia, mentre emetteva una specie di borbottio di incomprensibile ma evidente disapprovazione.

Lui sbuffò, rassegnato, staccandosi riluttante dall’abbraccio e prendendo Genzō. – Sei petulante, fastidioso, e vuoi essere sempre al centro dell’attenzione! – Lei ridacchiò e fece roteare le iridi nere – Noto una certa vaga somiglianza… –

* * *

La stanza era immersa nel buio.

Il completo di sartoria nero era stato appeso con cura sull’ometto, lo yukata, invece, giaceva sul pavimento; mentre il disturbatore tascabile dormiva beatamente, come un angioletto, nella culla accanto al letto matrimoniale.

Poi, il pianto di neonato ruppe il silenzio.

– Che tempismo! – sibilò incrociando le mani dietro la nuca, – Sta mettendo i dentini, Yū… – che socchiuse le palpebre, – Io sono convinto che lo faccia apposta! –

– Magari è soltanto geloso e possessivo, proprio come qualcuno di mia conoscenza… – lo stuzzicò mentre accendeva la lampada sul comodino; poi si alzò, prese il bambino, che si calmò immediatamente, e lo portò nel lettone in mezzo a loro.

Di nuovo tra i piedi.

– Ma guardalo: se la ride pure il bastardino! – Yūta passò il braccio sotto le spalle di sua moglie, attirando entrambi a sé; il moccioso sfoggiava uno dei suoi sorrisi ancora vuoti, ma in cui un piccolo chicco di riso candido era appena spuntato.

Mitsuki osservò prima il figlio, poi il marito.

– Il mini ghigno sbieco di Genzō è già tale e quale al tuo! –



Yukata: kimono informale di cotone, spesso usato dopo il bagno.

* * *

Dedicata a eos75 e agatha, perché siete bifide, e a causa vostra ho partorito quest’ennesima scemenza!
Ma, naturalmente, anche a chi si vorrebbe sposare Wakabayashi-sama.

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