= BOARDWALK VAMPIRE = di Ambaraba (/viewuser.php?uid=219272)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontri che cambiano la vita ***
Capitolo 2: *** Così facile, così difficile ***
Capitolo 1 *** Incontri che cambiano la vita ***
BOARDWALK EMPIRE
Capitolo 1
Incontri che cambiano la vita
Settembre 1932.
Caldo.
Faceva estremamente caldo nella spaziosa e lucida sala ricevimenti di
Don Ciro, situata al piano terra della splendida villa fuori
città che aveva intitolato al padre - morto di malattia ad una
veneranda età diversi mesi prima e passato a miglior vita con un
funerale faraonico.
Un giovane dai capelli neri, di statura media, si muoveva con
disinvoltura tra gli invitati. A pochi passi di distanza, fedele come
un'ombra, un altro uomo, alto e con i capelli chiari, lo seguiva. Non
aveva l'espressione aggressiva e scaltra del primo, anzi: sembrava
piuttosto a disagio, in mezzo a tutta quella gente che non conosceva e
che trasudava potere. Il ragazzo dai capelli neri era il suo unico
punto di riferimento, in mezzo a quella folla. Damon era affascinato
dai giochi di potere, dalle strategie sotterranee che muovevano gli
uomini e le loro pulsioni; ma, soprattutto, gli piaceva collocarsi al
di sopra di essi per muoverne i fili, cosa per cui invece Alaric non
era assolutamente portato: e infatti si limitava ad assistere.
Quella serata segnava il loro ingresso, a tutti gli effetti, nella
società potente di Chicago. Per Damon non era stato difficile
ottenere l'invito, dopo aver sbaragliato con una semplicità
incredibile i nemici di Don Ciro, che qualche settimana dopo aveva
chiesto di riceverli. Erano facce nuove, e quella piccola strage aveva
aperto loro le porte nel giro come un biglietto da visita
sbrilluccicante.
Damon si era fregato le mani, quando un ragazzino dalla faccia sporca
si era presentato sulla porta della loro pulciosa stanza di motel e
aveva riferito il messaggio.
- Il tempo degli stenti sta per finire, - aveva detto, sbottonandosi la
camicia e rivolgendo ad Alaric un sorriso carico di aspettative.
L'altro era arrossito e aveva abbassato lo sguardo. Avevano passato
tutta la notte a fare l'amore - si conoscevano così poco, poteva definire così quello che facevano? - e
il giorno dopo si erano svegliati decisamente di buonumore. Damon aveva
placato le incertezze di Alaric con una scrollata di spalle.
- Andrà tutto bene. Sono umani. Possiamo fargli fare tutto ciò che vogliamo. Stai tranquillo, Rick.
Era sempre così sicuro di sé, Damon.
Sicuro di sé, come quando Don Ciro li intercettò tra gli
altri e si avvicinò per scambiare due chiacchiere con loro.
- Allora... - aveva porto a entrambi un bicchiere di whisky. Una
rarità, con i tempi che correvano. - ... Da quanto siete a
Chicago?
Damon, sistemandosi con una mano il vestito di ottimo taglio - quasi un
gesto automatico, - aveva sfoderato uno dei suoi sorrisi migliori.
Abbagliante e affilato come un'arma. - Meno di due settimane. Abbiamo
viaggiato a lungo negli Stati Uniti senza trovare nulla che facesse al
caso nostro, - spiegò, con un leggero movimento di spalle verso
la fine, come se quello che aveva appena detto non avesse alcuna
importanza.
Don Ciro sembrò meditare, per un po'. Aggrottò le sopracciglia folte e ingrigite dagli anni.
- E cos'è che fa al caso vostro? - chiese, lo sguardo acuto di
chi ha puntato un potenziale alleato. L'impresa che i due avevano
compiuto - e di cui un paio dei suoi uomini erano stati testimoni - li
aveva prepotentemente posti sotto la sua attenzione. Erano poche le
persone veramente in gamba su cui potesse contare, e due così
gli avrebbero fatto decisamente comodo.
Damon fissò il vecchio patriarca dritto negli occhi. Alaric lo
studiò mentre si inclinava leggermente in avanti per dimostrare
con il linguaggio non verbale il proprio interesse. - ... Qualcosa del genere potrebbe fare al caso nostro, - buttò lì, con disinvoltura.
Don Ciro cambiò argomento. Prese mentalmente nota che i due ragazzi erano dotati di una certa ambizione.
- Siete parenti? - chiese, per stimolare la conversazione.
Fu la prima volta in cui Alaric prese parola.
- Fratelli, - disse frettolosamente, prima di chiudersi di nuovo nel
silenzio. Si teneva appena dietro Damon, come se togliersi dalla scia
dei suoi passi potesse portarlo a commettere qualche errore. Don Ciro
mosse lievemente il capo, soppesandoli con lo sguardo.
- Non lo sembrate affatto, - commentò. Damon bevve un sorso e
stavolta scelse un sorriso aperto, cordiale, da uomo di mondo.
- Stesso padre, madri diverse, - spiegò. - Nostro padre era un
uomo a cui piaceva divertirsi, - disse, con un lieve sottofondo di
malizia che provocò uno scoppio di ilarità nel vecchio.
- Sono le femmine che ci rovinano! - disse, quando ebbe terminato la
risata densa e catarrosa da fumatore di lungo corso. Damon sapeva di
aver rotto il ghiaccio. Bastavano due battute al momento giusto, e poi
era piuttosto facile accaparrarsi la simpatia di quel tipo di gente.
Erano menti semplici, facili da raggirare, a discapito dell'apparenza
indurita dalle difficoltà e della spietatezza. Nonostante gli
abiti puliti e stirati, le mani callose rivelavano quello che erano
stati: contadini. Del tutto estranei alle tattiche raffinate, alle
manipolazioni sottili che a Damon piaceva escogitare.
Alaric, dietro di lui, si mosse a disagio, sistemandosi la camicia. Non
era abituato, non si trovava bene lì, ma non voleva che Damon
andasse da solo - anche se sapeva che era perfettamente in grado di
badare a sé stesso. Gli doveva la vita.
Sarebbe morto da un pezzo, se non fosse stato per lui.
<< Cinque mesi prima >>
Un rumore secco, uno schiocco. Il suono molle e denso di sangue rappreso che veniva sputato a terra.
- Parla! Lo sappiamo che li hai venduti tu...
- Non so niente... Io non ho tradito nessuno!
Erano chiaramente i rumori di una zuffa, quelli che erano giunti alle
orecchie tese di Damon. La fame lo stava accecando, non riusciva quasi
più a camminare. Si trascinò lungo i muri della zona
industriale, deserta e buia, popolata solo di cenciose anime in pena
addormentate negli angoli nascosti. Quelle voci erano l'unica presenza
umana che aveva incontrato nel raggio di chilometri, e sentì il
prurito devastante e fastidioso dei canini che si allungavano, e il
formicolio delle vene intorno agli occhi che si scurivano, tracciando
un reticolo notturno sulla sua pelle chiara.
Fame. Fame.
I proiettili lo avevano colpito qualche ora prima, e il suo organismo
li aveva espulsi autonomamente dopo un po'. Non aveva potuto fermarsi
per occuparsene, aveva solo continuato a correre fino a trovarsi fuori
dalla portata della polizia. Lo avevano visto assalire e sbranare una
donna in un vicolo, e avevano cominciato a sparargli contro a raffica.
Si sentiva male. Aveva bisogno di altro sangue, per guarire
completamente, e quel regolamento di conti in cui era incappato
era un banchetto delizioso, ai suoi occhi.
Si era avvicinato con circospezione.
C'era un uomo legato a un pilone. Altri tre, intorno, ci stavano dando
dentro con calci e pugni. Quello che aveva parlato prima gli
sollevò il volto afferrandolo per i capelli.
- Ancora non parli? - chiese, quasi ringhiando.
L'uomo legato quasi sospirò. I suoi occhi color nocciola erano stretti in una smorfia di sofferenza.
- Vi ho già detto che non ho tradito nessuno...
Sapeva già che non sarebbe uscito vivo da lì.
Perché era l'ultima ruota del carro, e questo lo rendeva
comodamente sacrificabile. L'uomo che lo fronteggiava si esibì
in un ghigno storto. Una lunga cicatrice gli attraversava
orizzontalmente la fronte, quasi come il segno di una lobotomia
riuscita male.
- Come vuoi, infame! - esclamò, e la cicatrice in mezzo alla fronte divenne una ruga profondissima.
Si era ritrovato con il collo squarciato prima ancora di poter estrarre
il pugnale dalla cintura. I due che erano con lui avevano provato a
metter mano alle pistole, ma avevano fatto la stessa fine.
L'uomo legato aveva assistito impotente a tutta la scena, pietrificato.
Non aveva nemmeno capito, non fino in fondo, almeno, cosa fosse
successo. Cercò di liberarsi, terrorizzato, ma non ci
riuscì. Restò ad osservare i cadaveri dilaniati che
giacevano a terra, davanti a lui, e si concentrò sulla sagoma
dell'estraneo che li aveva uccisi e che ora gli dava le spalle. Era
chino sul collo di uno dei banditi, e produceva un rumore...
Come se stesse... Succhiando dal
collo. Un rivolo di sudore freddo gli attraversò la schiena.
Sussultò, quando l'estraneo dai capelli neri si alzò,
pulendosi sommariamente la bocca con la manica della giacca sgualcita.
Era ferito e sanguinava, ma ora camminava normalmente e sembrava non
provasse alcun dolore per i fori di proiettile che si notavano sul suo
stomaco e dietro la schiena.
Si avvicinò a passi lenti all'uomo legato, e poi si
fermò, parzialmente coperto dall'oscurità. Solo la luce
della luna, filtrando da una finestra rotta, permise all'uomo legato di
cogliere alcuni particolari del tipo che aveva compiuto quel massacro
in modo tanto rapido ed efficace... E animale.
Aveva occhi azzurri freddi, freddissimi, come immaginava fosse freddo
l'Oceano d'inverno, e le labbra ancora macchiate di sangue.
- Non uccidermi... Ti prego...
Fu tutto quello che riuscì a sussurrare, poi chiuse gli occhi. Se doveva succedere, sperava almeno che fosse indolore.
E invece non accadde nulla. Sentì lo sconosciuto posargli due
dita sotto il mento, due dita ghiacciate come i suoi occhi, e
percepì un brivido fulminarlo ancora, dentro la colonna
vertebrale, come una scossa.
- Apri gli occhi.
L'uomo legato obbedì. Non appena incontrò gli occhi
dell'altro, non provò più paura né terrore.
Cominciò a rilassarsi, concentrandosi sulle sue iridi
chiarissime, e sprofondò in un intorpidimento simile al
dormiveglia, ma restò sveglio.
Mi ha drogato?, fu il suo ultimo pensiero lucido.
- Rispondimi la verità, - disse l'estraneo, fissandolo con i
suoi occhi di ghiaccio. L'uomo legato si sentì cedere le gambe e
troncare il respiro. I suoi pensieri si annebbiarono.
- S-sì... - Si accorse di parlare indipendentemente dalla
propria volontà, come se le parole uscissero spontaneamente
dalle sue labbra, attratte da una forza invisibile. Si sentiva
così confuso, e stordito...
- Sei un traditore? - chiese l'estraneo, con voce calma e ferma. Non mosse i suoi occhi da quelli dell'ostaggio.
L'uomo legato sentì la propria voce rispondere, come un'eco lontana: - Non sono un traditore.
- Hai mai tradito un segreto?
- Non ho mai tradito nessun segreto...
L'uomo che misteriosamente era comparso e gli aveva salvato la vita tacque per un attimo. Poi disse solo:
- Dormi.
E tutto divenne buio.
Si era svegliato con il rumore del traffico mattutino di Chicago nelle
orecchie e, prima ancora di guardarsi attorno, aveva capito di non
essere nella vecchia pensione in periferia dove alloggiava di solito.
Guardò fuori dalla finestra e realizzò di essere al terzo
piano di un qualche palazzo abbastanza centrale, se c'era tutto quel
chiasso di prima mattina.
La stanza in cui si trovava era immersa nella penombra. Ne fu
sollevato, perché aveva un mal di testa lancinante che lo fece
gemere, quando provò a mettersi a sedere. Gli faceva male tutto.
Doveva essere coperto di lividi, pensò, e si augurò di
non avere niente di rotto.
Stava per fare uno sforzo di memoria per ricordare cosa fosse accaduto,
e soprattutto come fosse arrivato lì, quando una voce
attirò la sua attenzione e lo riportò bruscamente alla
realtà.
- Buongiorno.
Sussultò, voltandosi in direzione del saluto. Non l'aveva visto,
inizialmente, e non l'aveva notato muoversi né sentito
respirare. Si rammaricò di non avere nemmeno un'arma con
sé, anche se aveva visto con i propri occhi che non servivano a
niente, contro di lui. Era lì, l'uomo che gli aveva salvato la
vita - sbranando a morsi altre tre persone, - con le spalle appoggiate
alla porta e le braccia conserte, un sorriso rilassato sul volto e
l'aria tranquilla, forse appena un po' divertita dalla situazione.
- Come stai? - chiese ancora lo sconosciuto, sbattendo le ciglia folte
e nere. Ora, alla luce del giorno, Alaric poteva distinguere
chiaramente i suoi lineamenti, e si sorprese di non trovare traccia
della furia animale che vi aveva letto la sera prima, anzi; dovette
lottare contro sé stesso per ammettere che-- Be', era proprio bello. In un modo particolare, perfetto e poco rassicurante, che lo circondava di fascino.
- Non ti avvicinare, - fu l'unico messaggio coerente che il suo
cervello riuscì a elaborare. Abbastanza stupido, riconobbe, non
appena lo ebbe detto. Ma era già tanto che non fosse morto sul
colpo dalla paura, realizzando chi si trovasse nella stanza assieme a
lui.
Anche lo sconosciuto sembrò trovare la cosa abbastanza
divertente, perché una risata sottile e lieve gli attraverso le
labbra.
- Rilassati. Non voglio ucciderti.
Ad ogni minuto che passava, Alaric si rendeva conto
dell'assurdità della situazione. Cercò di controllare il
respiro, di non far capire quanto fosse spaventato, anche se
probabilmente l'altro lo aveva capito benissimo.
- C... Cosa sei?
Aveva dovuto faticare per dire quelle due parole. Si era istintivamente
ritratto contro il muro, quando l'altro aveva fatto un passo avanti.
- Ti ho detto che non voglio farti del male, - ripeté, rivolgendogli i palmi aperti in un gesto di distensione.
Alaric deglutì.
- Sono solo quello che ti ha salvato la vita, per il momento. Che ne diresti di un bel "grazie", tanto per cominciare? - aveva aggiunto lo sconosciuto, accorciando ulteriormente le distanze.
Gli porse una mano che Alaric non afferrò.
- Damon Salvatore, piacere. Il tuo nome?
La mano era rimasta a mezz'aria davanti a lui. Alaric spostò lo
sguardo da quella allo sguardo dell'uomo, e viceversa. Aveva dei begli
occhi azzurri...
Damon alzò gli occhi al cielo, sbuffando.
- Come vuoi. Non sei uno amichevole, a quanto vedo, - commentò,
stringendosi nelle spalle. La camicia nera metteva in risalto una
muscolatura nervosa e allungata, da gatto. - Peccato. Pensavo ti
avrebbe fatto comodo avere quel genere di amico che, sai... Be', non ti
lega a una colonna per gonfiarti di botte, - disse, raccogliendo una
giacca posata sulla spalliera di una sedia, accanto a lui. La
infilò, se la sistemò addosso.
- Devo andare, adesso. Ma prima che vada, - si voltò di nuovo
verso di lui, si inginocchiò sul bordo del letto. Era
così vicino, così vicino... Che Alaric si perse di nuovo
nei suoi occhi. Nessuna perdita di conoscenza, però, stavolta.
Solo pura ammirazione. - Voglio che tu rifletta bene sulla
possibilità che il destino, nella sua infinita clemenza, ti ha
concesso. Ieri sera saresti morto se non fosse stato per me, lo sai,
vero? - Pausa. Sbatté le palpebre, guardandolo. Non che si
aspettasse una vera risposta, Damon. Aveva capito quanto il suo ospite
fosse ancora sconvolto. Lasciarlo libero di decidere era una mossa
rischiosa, ma cos'altro poteva fare? - Dunque ora voglio che ti fermi a
considerare la possibilità di cogliere quest'occasione che ti si
è presentata, cioè... Io.
Alaric annuì leggermente. Non sapeva cosa dire. Non era sicuro di essere in grado di parlare, comunque.
- Sono qualcosa che non hai mai visto prima. Un prodigio, un monstrum, nel
senso latino del termine. Ma soffro di solitudine, come tutte le
persone speciali. Perciò, valuta bene quest'offerta. Puoi
continuare la tua vita come se ieri non si fosse mai interrotta,
continuare a vivere di stenti e fare lavoretti umilianti per poi farti
picchiare e uccidere dai tuoi datori di lavoro delinquenti, oppure
morire in età giovane per i dispiaceri e per una cirrosi epatica
galoppante... - Cercò di afferrare la mano dell'uomo che aveva
salvato, e questi si ritrasse per un attimo, sorpreso, ma poi lo
lasciò fare e lo guardò quasi con curiosità. - ...
Oppure puoi venire con me. Puoi scoprire com'è davvero il mondo
là fuori, e le creature che lo popolano. Puoi scoprire un mondo
che non credevi possibile, e lasciarti alle spalle lo squallore
ordinario di questo tugurio di città. Puoi prenderti quello che
vuoi, fama, soldi, amore... L'eternità. Essere per sempre
giovane e girare il mondo. Ottenere tutto quello che vuoi, quando vuoi.
Prenderti una rivincita con quelli che dicevano che non saresti stato
niente...
Poteva sentire il tum-tum del cuore dell'umano che accelerava. Era
quasi invitante... Ma non l'aveva portato lì per ucciderlo.
- Ti basterà essere ancora qui quando tornerò. Se per
allora troverò la stanza vuota, capirò che hai declinato
l'offerta. Mossa stupida, ma sei sconvolto, - concluse, scrollando le
spalle. Lasciò le dita del biondo, che nel frattempo aveva
abbassato lo sguardo sulla coperta.
- Rifletti, - fu l'ultimo monito che Damon gli rivolse, prima di avviarsi verso la porta.
Non ci fu bisogno di aspettare.
- A-Alaric... Alaric Saltzman, - disse finalmente l'umano. - È il mio nome...
Damon si bloccò per un attimo sulla soglia. Non sapeva se
sospirare di sollievo o se sorridere di compiacimento per essere
riuscito a convincerlo senza ricorrere alla persuasione.
- Piacere, Alaric. Credo che noi due andremo d'accordo.
Si guardarono per un secondo più del necessario.
Furono queste, le prime battute di un'avventura.
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Capitolo 2 *** Così facile, così difficile ***
BOARDWALK VAMPIRE 2
Capitolo 2
Così facile, così difficile
Ora.
- E così, siete due cani sciolti? Non siete di nessuna famiglia?
La domanda che Don Ciro aveva rivolto loro era delicata. Un'eccessiva
indipendenza poteva essere colta positivamente, e mostrarli ai suoi
occhi come giovani capaci e intraprendenti che volevano dimostrare di
sapersi gestire da soli, o negativamente, come sintomo di
inaffidabilità, avidità e opportunismo.
Damon valutò la risposta più diplomatica, e si compiacque
di sé stesso per la facilità con cui la trovò.
- Sì e no. Noi non siamo di nessuna famiglia... Noi due siamo la Famiglia.
Aveva calato il suo asso con grande stile, e si rese conto di aver
detto la cosa giusta quando intercettò un lampo di ammirazione
negli occhi del vecchio.
Preso, pensò, sorridendo ancora. Era fatta.
Verso fine serata, si ritirarono in un'ala più appartata della
villa per discutere il primo incarico. Una cosa semplice: scoprire le
mosse della concorrenza, scovare nomi, capire come muovevano la rete
del contrabbando... Mentre Don Ciro spiegava, Damon dovette trattenersi
per non scoppiargli a ridere in faccia. Il capomafia non aveva idea di
quanto sarebbe stato semplice, per loro, ottenere quelle informazioni.
Stava concedendo ad entrambi un'ulteriore occasione di fare il botto,
procurandogli molto più di quanto avesse richiesto.
Quando ritornarono all'albergo, e si furono chiusi la porta alle
spalle, Alaric lo aveva visto saltare di gioia e poi tirare fuori una
bottiglia di liquore che aveva nascosto sotto al letto.
- Per le occasioni speciali, - declamò. - Regalo di don Ciro. Anche se lui non se lo ricorda, ovviamente.
Anche Alaric, messe da parte le perplessità, si era lasciato
sfuggire un mezzo sorriso, prudentemente. Giocare sul tavolo dei grandi
lo metteva leggermente in ansia, ma con Damon nulla poteva
andare storto. Sempre meglio che tornare nel suo misero paesino con la
coda tra le gambe, da una famiglia che non lo voleva... Scacciò
il pensiero, anche perché il vampiro lo aveva spinto sul divano.
E improvvisamente ricordò qual era la vera ragione per cui si
era lasciato coinvolgere in tutto questo. Perché non poteva fare
a meno di quegli occhi, di quel nero, di quella risata tagliente. Non
poteva fare a meno di lui.
Damon gli aveva stravolto la vita, e ormai Alaric non poteva più neanche immaginare di trascorrerla lontano da lui.
- Fattela una risata, ogni tanto, - commentò il moro,
attirandolo a sé per baciarlo. Era seduto a cavalcioni su di
lui; con una mano reggeva la bottiglia e con l'altra lo accarezzava. -
Si può sapere che hai?
Alaric si strinse nelle spalle. Evitò di guardarlo direttamente
negli occhi, come se temesse che l'altro potesse scoprire cosa provava
per lui...
- Niente. Spero solo che vada tutto bene, - disse, passando pigramente
le mani sulla sua schiena. Sentì i muscoli tesi rilassarsi al
contatto, e chiuse gli occhi quando Damon cominciò a baciarlo
sul collo quasi con fame. Sesso, la cura ad ogni male, aveva detto una
volta il vampiro, ridendo, prima di una scopata epica che Alaric
ricordava ancora benissimo.
Dimenticò ogni domanda, quando lo rovesciò e si sistemò tra le sue gambe.
---
<< Un altro tempo, un altro luogo >>
Si rifiutava di credere a quello che aveva sentito.
- Lei è viva, Damon, ed è libera. Sapeva dov'eri, ma non
è mai venuta a cercarti. Katherine non ti ama... Mi dispiace.
In poche parole, quasi centocinquant'anni della sua vita avevano perso significato.
Si era dannato come un pazzo, girando il mondo alla ricerca di streghe,
libri, leggende, qualunque cosa potesse tirar fuori Katherine dalla
cripta in cui credeva fosse rinchiusa.
E invece.
E invece non solo aveva perso tempo, ma ora doveva anche sopportare il
compatimento di una vecchia stronza - che avrebbe dovuto inginocchiarsi
e baciare la terra su cui passava lui, perché altrimenti non
sarebbe mai uscita da là sotto.
Katherine, Katherine, Katherine. Per settimane aveva continuato a tormentarsi. Aveva
distrutto tutto quello che aveva in casa, aveva ucciso gente innocente
per un semplice capriccio d'ira, si era ubriacato fino a perdere i
sensi e aveva contemplato seriamente l'ipotesi di sfilarsi l'anello e
dissolversi alla luce del sole, in un attimo di annebbiamento. Possibile che fosse vero? Poteva essere così stronza?
La risposta che si diede, in tutta onestà, era affermativa.
Perciò raccolse i propri pezzi e dimenticò tutto.
Se Katherine lo aveva abbandonato, era una puttana insensibile.
E allora
non meritava né la sua rabbia, né il suo dolore.
---
Damon scrutò fuori dalla finestra. L'autunno in arrivo lo riempiva di malinconia.
C'erano un sacco di cose che non aveva raccontato ad Alaric. Cose della
sua vita passata, cose che lo avevano rovinato. Cose che lo avevano
segnato.
Cose, cose, cose: un mucchio di cose.
Aveva sempre odiato quel termine, così generico e sgraziato, ma
non sapeva come altro definire alcuni dei fatti della sua vita. Erano
come oggetti polverosi che aveva chiuso in una scatola e confinato in
uno sgabuzzino in cui non aveva voglia di guardare. Erano dolorosi e
ammuffiti. Erano affari personali. Ma prima o poi avrebbe dovuto
parlare con lui.
Si era accorto già da un po' che Alaric si stava affezionando...
Per usare un eufemismo. Pendeva dalle sue labbra, e più di una
volta lo aveva beccato a rivolgergli sguardi adoranti. Come equivocare?
Era umano, e Damon poteva sentire il suo cuore battere più forte quando erano insieme. Non c'era spazio per i dubbi.
Si versò un bicchiere di whisky, continuando a guardare fuori
senza vedere veramente nulla. E lui, cosa provava per Alaric?
Bevve tutto d'un fiato. Non sapeva cosa fare. Non riusciva a
sbilanciarsi, non riusciva a prendere una decisione, ma non voleva
neanche usarlo e poi abbandonarlo. Non voleva voltargli le spalle. Non
voleva fare ad Alaric quello che gli altri avevano fatto a lui. Eppure
era così difficile dire quelle parole. Era così difficile
lasciarsi andare, dopo essersi scottato così tanto...
- Non torni a letto...?
Damon si voltò. Vide Alaric, assonnato e accartocciato tra le
coperte, nel mezzo di uno dei suoi sorrisi comodi e rassicuranti.
Esitò.
Mosse alcuni passi rapidi verso il letto, sotto lo sguardo ipnotizzato
dell'altro, e posò il bicchiere vuoto sul comodino prima di
tornare sul materasso. Si sedette su di lui, gli prese le mani
bloccandole sul cuscino, lo guardò negli occhi. Alaric lo
lasciò fare, continuava a guardarlo con uno sguardo che
traboccava affetto. Era quasi irritante la dolcezza che traspariva da
alcuni suoi atteggiamenti, a volte, ma era anche qualcosa di cui Damon
aveva bisogno. Ecco, più che altro ciò che lo
irritava era ammettere che ne aveva bisogno.
- Ti stai innamorando?
Glielo chiese a bruciapelo, e vide lo stupore e l'imbarazzo riversarsi
sul volto di Alaric nel giro di una frazione di secondo. Voleva saperlo, voleva delle certezze. Ripeté
la domanda.
- Ti stai innamorando di me? Ho bisogno di saperlo. Non ti sto
controllando mentalmente, voglio che tu risponda da solo. Ti stai
innamorando?
Strinse la presa sui suoi polsi senza nemmeno rendersene conto.
Allentò quando Alaric cercò di sfilare una mano, con una
smorfia di dolore. Era tutto così assurdo... Non avrebbe voluto affrontare
quel genere di discorsi, ma come potevano andare avanti altrimenti?
Lo sguardo smarrito di Alaric vagò sul suo viso per qualche
secondo, in cerca delle parole giuste. Non riuscì a trovarle.
- ... Sì, - disse soltanto, e se ne pentì subito dopo.
Avrebbe potuto mentire - sapeva che Damon non lo stava controllando sul
serio, era un patto che avevano fatto tempo prima - ma non se la
sentì. Preferì dire la verità, anche se temeva di
spezzare qualcosa. Non voleva spaventarlo e farlo andar via; era il
motivo per cui aveva preferito tenersi per sé la verità.
Damon restò su di lui, lo scrutò come cercando nel
suo viso una conferma, qualcosa che gli dicesse che quelle due lettere
che aveva pronunciato, quel sì, erano
vere e non frutto della sua immaginazione. Poi, senza dire altro, si
chinò su di lui e lo baciò. Lo sentì rilassarsi, e
capì quanto dovesse essere teso di fronte a una domanda del
genere, e si sentì uno stronzo per avergliela posta con
così poca delicatezza.
Quando si separarono, Damon restò esattamente dov'era prima.
Lasciò andare una mano di Alaric per fargli una carezza. Aveva
un'espressione seria come ne aveva raramente, anche se un po'... Persa.
- Va tutto bene, - lo rassicurò, in un sussurro. Si
maledì per il modo rozzo e troppo diretto con cui trattava i
sentimenti, e poi gli fece un'altra domanda. Assolutamente pertinente,
vista la risposta che aveva ottenuto.
- Perché non me l'hai detto prima?
Alaric abbassò lo sguardo.
- Io... Pensavo che saresti andato via, se te l'avessi detto... - confessò, e fu liberatorio.
Sono così stronzo, agli occhi degli altri? si
chiese Damon, ma non lo disse a voce alta. - Ti va di restare con me
per sempre? - chiese invece. Si rese conto di cosa provava quando si
ritrovò a pregare, tra sé e sé:
Dimmi di sì. Dimmi che lo vuoi. Dimmi che resterai.
Alaric soffiò fuori l'aria che aveva trattenuto fino a
quel momento e lo guardò, illuminato, come se non avesse mai
desiderato altro.
- Sì... - mormorò, e poi, più convinto: - Sì che mi va!
Avrebbe voluto aggiungere di più,
avrebbe voluto dirgli che lo aveva sognato dal primo momento in cui
aveva capito di amarlo, avrebbe voluto dirgli che voleva vivere per
sempre al suo fianco, ma d'istinto soffocò tutte le parole. Non
era il momento, intuì.
- Perché ti amo, - sussurrò soltanto, accarezzandogli una
guancia. Era così freddo, così distante. Ma ce l'avrebbe
fatta a scioglierlo, prima o poi.
Ci sarebbe stato tempo. Tempo per perdersi in quegli occhi, tempo per
parlare. Tempo per dirgli che incontrarlo era stata la cosa migliore
che potesse capitargli. Tutto il tempo del mondo.
Damon lo baciò di nuovo.
Non disse niente. Non sapeva di quanto tempo avrebbe avuto bisogno per
riuscire a dire di nuovo quelle parole, e smettere di rispondere con il
silenzio all'amore di Alaric. Non voleva farlo soffrire, ma non era
facile confrontarsi con qualcosa del genere. Non era facile ammettere
di amare e accettare di poter star male di nuovo come un cane, forse.
Non era facile essere sé stesso, non era facile essere
spontaneo, non era facile nulla nella sua vita... Se non uccidere.
Si sottrasse alla carezza di Alaric con un vago senso di colpa.
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