Phoenix Delirium

di Itsakira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Angelo e lupo ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Preda e Predatore ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Freddo e Paura ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Antidoto e Veleno ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





PROLOGO
E’ incredibile come in un attimo la tua vita possa cambiare. Spesso ti perdi nei minuti lenti di una giornata noiosa e spesso in una notte speciale cerchi di acchiappare ogni singolo secondo che sfugge veloce alla tua presa. Il tempo è relativo, strano, irreversibile.
“Cos’è il tempo?” mi chiedevo. Ma il buio attorno a me sembrava non conoscere la risposta.
L’ultimo ricordo che avevo prima di vedere solamente il nero è quell’auto blu metallizzata che viaggiava, veloce, verso di me; un urlo – il mio - e poi una luce accecante. Per qualche istante avevo avvertito l’asfalto sotto la mia pelle, come fossi disteso sul fianco destro, ma ora non riuscivo a trovare nemmeno le labbra, per parlare, urlare, o trovare le braccia per dimenarmi o per avvertire dolore, se c’era. Ero morto?
L’aldilà era un eterno buio, senza angoli, ne spiragli di luce, solo nero infinito e pensieri?
No, risposte qualcuno. La voce rauca ma perfetta sembrava dentro e fuori la mia testa, ovunque in quello spazio spento infinito, come se provenisse da delle casse poste in tutti i lati di una stanza, e fosse a volume altissimo, ma senza dar fastidio alle orecchie.
In realtà, continuò, ti aspetta il paradiso. Non te ne sei accorto, ma sei già un angelo. Sei giovane e sei senza peccato, e ho cambiato idea, sto riscrivendo il tuo destino.
Chi sei? Gridai con tutta la forza dei miei pensieri, ma la voce ignorò la mia domanda.
Tu farai grandi cose, la tua vita sarà un capolavoro. No, non può finire qui. Per la prima volta, ho cambiato idea.
Il tuo destino è riscritto.
Puoi tornare indietro.
Ma farlo non è semplice: tu non ricordi, ma hai fatto un lungo, veloce viaggio fino ad arrivare qui. Ripercorrerlo a ritroso è difficile, ma non impossibile: imporrò una condizione.
Nel tuo nuovo destino c’è una donna, che adesso è una ragazza.
La incontrerai, ma sta a te capire se è lei che sta scritto che devi incontrare.
Devi baciare le sue labbra. Devi farlo nel minuto esatto della mezzanotte che separa il 9 Aprile dal 10, il tuo compleanno.
Se fallisci, ti unirai agli altri angeli. Se riuscirai nell’impresa, ritornerai a vivere.
Grazie, pensai, certo che la voce potesse ascoltarmi, senza altre parole.
Da qualche parte, quel qualcuno sorrise, e per qualche strano motivo, lo avvertii.
Ora vai.
Sentii le vertigini e poi la sensazione, terrificante, di cadere. Appena la luce accecante che avevo visto nel momento dell’incidente tornò, persi coscienza, e quasi sentii di non esistere.
Poi aprii gli occhi.


ANGOLO DELL'AUTRICE Questo romanzo nasce da più sogni fatti nel corso di due anni, tutti con lo stesso tema, uno il seguito dell'altro, tutti con gli stessi protagonisti. Oserei dire che questa storia è inventata dal mio subconscio (?) e dalla mia mente contorta! (Ahahaha). Comunque, tengo tantissimo a questa storia perchè sono convinta che il tutto nasce dal modo in cui mi sentivo con una determinata persona, cioè protetta, calma e tranquilla, proprio come farebbe la vicinanza con una creatura angelica; persona che però non osava dirmi che mi amava ma solo me lo faceva capire, e quando gli chiedevo espressamente cosa provasse per me mi rispondeva qualcosa tipo "non posso dirtelo, ho un segreto, è complicato", e proprio una di quelle sere ho sognato che il suo segreto era proprio quello di essere un angelo. Questa persona, fin da allora (scrivo questa storia da quattro anni) segue Phoenix Delirium e mi sostiene quando gli dico che il mio sogno è pubblicare un libro, che sia questa storia o altro. E' una delle persone più straordinarie che ho mai incontrato.
Spero, quindi, che apprezzerete questa storia folle e vi affezionerete a Liz, a Edwyn e agli altri protagonisti della storia. Ci tengo anche alle vostre recensioni.
Bye :)

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Angelo e lupo ***





Capitolo 1 - Angelo e Lupo
Camminavo sul marciapiede diretta alla scuola superiore di Portsmouth nello stato di Virginia, tutt’altro che impaziente di raggiungerla.
« Ciao Liz! » un mio vecchio amico mi salutò, agitando la mano, sorridendo. Io mi chiedevo perché fossero tutti così contenti di tornare a scuola dopo il weekend della seconda settimana di ottobre, l’ultimo che si diceva, fosse soleggiato prima dell’inverno. Risposi con un cenno.
Ero totalmente annoiata, scocciata, nervosa, irritata e chi ha più ne metta: la mia auto non aveva voluto saperne di partire e io, già in ritardo, ero stata costretta a raggiungere la scuola – dove già non mi andava di andare – a piedi.
Mi chiamo Elizabeth, ma preferivo esser chiamata Liz. Non amavo andare a scuola, ne studiare, ne fare sport, ne impegnarmi in qualcosa di particolare. La mia massima aspirazione era rilassarmi il più possibile davanti alla tv, o uscire con i miei amici e fare acrobazie con il mio skate board.
Odiavo gli sguardi curiosi della gente, quando vedevano una ragazzina altissima dai capelli castano scuro –quasi nero- lunghissimi e liscissimi e dagli occhi grandi e color ghiaccio. Avevo il viso da brava ragazza, ma sapevo di non esserlo.
Ho sempre amato tutto ciò che è strano e proibito.
Annoiata, percorsi il viale davanti scuola più lenta possibile. Raggiunsi l’aula fingendo di ascoltare i discorsi della mia amica che camminava accanto a me. La verità è che dovevo ancora svegliarmi del tutto e collegarmi con la realtà.
Mi accomodai, nell’aula di inglese, al mio solito posto accanto a Marie. La mia compagna di banco aveva i capelli biondo cenere e gli occhi castani, e mi seguiva in ogni corso. Non ci lasciavamo mai sole.
Dall’ultimo banco mi sporsi per scorgere cosa succedeva alla cattedra, dove tutti gli occhi dei presenti stavano guardando. Un ragazzo altissimo – probabilmente quanto me, o più – stava in piedi accanto alla scrivania del professore, che si affrettava a presentarlo.
« Ragazzi, questo è Edwyn Swift. Si è appena trasferito a Portsmouth, viene dal Texas. Spero lo accogliate meglio possibile in questo corso. »
Il nuovo arrivato si affrettò, con passo fluido, ad accomodarsi occupando l’unico posto libero, proprio davanti alla cattedra. Aveva i capelli castani, il cui ciuffo restava retto, ma senza gel; e indossava una t-shirt blu con una stampa davanti e un paio di jeans chiari. Per tutta la lezione, non vidi che le sue spalle ampie. Ma Edwyn non mi interessava, a differenza del resto della classe, compresa Marie, che lo considerava come la nuova attrazione della città, il giocattolo nuovo. Appena la lezione finì con qualche minuto d’anticipo, i ragazzi vicini a Edwyn lo accerchiarono, presentandosi e facendogli qualche domanda. Io raccolsi le mie cose in silenzio, annoiata, aspettando che la campanella suonasse per scappare via e procedere con il prossimo corso, impaziente della fine della mattinata. Accesi il cellulare e scrissi parole apparentemente senza un senso nel memo: 15 Ottobre, Edwyn Swift, come la cantante. Poi la campanella suonò e chiusi l’applicazione aperta del cellulare di fretta, il quale salvò velocemente i dati acquisiti.
Lasciai passare prima Marie, che raggiunse presto la porta. Mentre percorrevo svelta il corridoio centrare nell’aula tra le due file di banchi, lo sconosciuto, in piedi, mi fissava, ormai solo. Mi fermai, incerta sul da farsi. Voleva che mi presentassi?
I suoi occhi dal taglio molto maschile, ma elegante, blu oceano mi guardavano senza preoccuparsi del mio giudizio. Senza vergogna. Una parte di me ne era lusingata, ma un’altra si offese. Dopotutto, era lui l’ultimo arrivato, toccava a lui presentarsi. Mi toccai i capelli, poi la maglietta nera extralarge di Marilyn Manson. Avevo qualcosa che non andava, qualcosa fuori posto?
Decisi che qualunque cosa gli fosse passato per la testa non era importante, anzi, mi avrebbe sicuramente irritata, come quelle occhiate. Distolsi lo sguardo da Edwyn e, con disinvoltura e fare da dura, raggiunsi la porta senza accennare alcun saluto.
Marie mi aspettava a metà corridoio.
« Hai fatto amicizia con lo Swift? » mi chiese.
Pronunciato così, il nome di Edwyn sembrava la marca di qualche panno particolare per spolverare, come quelli nelle pubblicità. Pensando allo spolverare, mi ricordai della casa e, di conseguenza, della cucina. Aprii la stessa pagina di memo che poco prima avevo iniziato a scrivere e aggiunsi Crostata al cioccolato. Dovevo assolutamente imparare a fare quella deliziosa crostata che avevo assaggiato qualche giorno prima a casa di Marie.
Mi ricordai della domanda che quest’ultima mi aveva posto.
« No » risposi « Anzi, mi sta antipatico fin da subito. »
« Chissà perché si è trasferito qui. » si chiese la mia amica.
« Non lo so, e non mi interessa sinceramente. » annunciai.
Intanto, eravamo arrivate all’aula di matematica. Ci accomodammo ai nostri posti e seguimmo –o,almeno,fingemmo di seguire- la lezione.
Arrivammo leggermente in ritardo al corso successivo, quello di disegno geometrico. Io e la mia amica ci sedemmo al solito posto.
« Ehi, Liz! Di nuovo in ritardo? Chissà dov’eri, eh? » ridacchiò una ragazza di nome Kate.
Ero sempre stata sotto il mirino di Kate, ma non avevo mai trovato una spiegazione precisa. Io, obiettivamente, non avevo nulla più di lei, che era bellissima e popolare.
Probabilmente si divertiva con le altre sue amiche civettuole a prendere in giro chi non aveva il suo grado di popolarità e stima.
In molte imitavano il suo modo di vestire e di comportarsi e atteggiarsi, cercando di racimolare qualche briciolo di ammirazione. Persino Marie, a volte, vestiva come lei, e questo mi faceva parecchio incazzare. Io non vestivo assolutamente come le altre studentesse del mio liceo, a borsette costose e raffinate preferivo le tasche dei miei jeans strappati e ai top di marca preferivo le mie magliette di qualche taglia più grande, o le felpe o le t-shirt delle mie band preferite.
Mi girai verso di lei rivolgendole uno sguardo gelido. « Non oggi, Kate. Non sono proprio in vena, sappilo. »
Mentre Kate ridacchiava, immaginai che uno dei bidelli entrasse in classe e annunciasse due, quattro giorni, una settimana, un mese di vacanza. Scoraggiata, scacciai quel pensiero surreale che mi dava sollievo e, allo stesso tempo, mi innervosiva. Quei mesi che mi separavano dalle vacanze primaverili non sarebbero passate tanto in fretta con Kate nello stesso corso. Sennonché …
« Poverina, starà piangendo » diceva lei, ridendo. « Anzi, no. Non credo che i satanisti come quell’orrendo cantante piangano sul serio. »
Mi alzai dalla sedia, raccogliendo in fretta le mie cose.
« Scusami » dissi a Marie, che mi guardava perplessa. « Davvero non le sopporto più »
Il professore mi guardò, torvo. « Breeze, cosa stai facendo? »
« Me ne vado, prof. » Mi girai verso Kate, e le sorrisi. « Proprio non ce la faccio a dividere l’ossigeno della stanza con certa gente. »
Il prof disse qualcosa, arrabbiato, a cui non badai.
« Scappi, Liz? » ghignò Kate.
Senza pensarci, afferrai il pennarello della lavagna e lo lanciai con precisione verso il viso di Kate. La presi in fronte. Avrebbe dovuto colpire un occhio.
Il professore cominciò a urlare. « Breeze, in presidenza! » ma lo ignorai completamente.
Dopo aver posato i miei libri nell’armadietto, feci per raggiungere la segreteria, ma qualcuno mi investii e caddi a terra.
« Ehi, attento a dove vai! » gridai mentre mi rialzavo, guardandomi intorno sperando che nessuno abbia assistito alla scena della mia caduta.
Il ragazzo con cui mi ero scontrata si stava rialzando, ma intanto mi fissava cauto con uno sguardo che interpretai curioso con i suoi occhi blu. Restai a guardare questi ultimi perdendomi nell’oceano profondo, senza abbandonare la mia espressione ostile. Dovevo mantenere una certa credibilità!
« Scusami » disse Edwyn. L’avevo riconosciuto, tanto mi era rimasto impresso. Mi guardava, come qualche ora prima in aula. Quell’occhiata era quasi intima, come se volesse entrare prepotentemente nella mia vita o leggere attentamente i miei pensieri.
Girai i tacchi e feci per andarmene.
« Tu sei Elizabeth Breeze, giusto? » chiese, gentile. « Ti ho riconosciuta, sei nel mio stesso corso di inglese. »
Mi girai. « Non eri di corsa? » lo guardai in cagnesco.
« Sì, stavo andando nell’aula di disegno artistico. Per caso sai dov’è? Credo di essermi perso, e sono in ritardo. Tu non hai lezione? »
Sembrava che non avesse notato il mio tono di voce irritato e nervoso, perché era calmo e gentile. Possibile che un novellino dovesse farmi perdere tempo?
« Non ho lezione. » Ammisi infine. « Seguimi »
Lo condussi fino all’aula di disegno artistico, che aveva la porta aperta. Lui entrò, con le spalle curve come per chiudersi a riccio e nascondersi dall’imbarazzo.
« Salve » mormorò.
L’insegnante, altissimo ma molto magro, quasi ossuto, sulla sessantina, alzò il volto chino su di un foglio sulla cattedra. « Tu devi essere Edwyn Swift. » concluse. « Sei in ritardo, ma non importa. Siediti pure in quel banco vuoto. »
Il suo tono era umile, quasi bonaccione, ma serio. Appena Edwyn si spostò per avviarsi verso il banco a lui destinato, il professore mi notò nella mia posizione, in piedi, a fissarlo, a poche spanne dalla porta.
« E tu, signorina? Non hai lezione? »
Mi avvicinai all’uscio. « No, io volevo cambiare corso ma … »
« Allora accomodati in aula »
Non capii subito. « Cosa? »
« C’è un posto libero in questo corso » sorrise.
« Ma non so se è adatto a me » replicai.
« Okey, hai ragione. Partecipa alla lezione, così provi. »
Entrai cauta nell’aula.
« Il tuo posto è accanto a Edwyn. Tieni » disse porgendomi un foglio rigido A3. « Disegna qualcosa che ti rappresenti. Voglio vedere cosa sai fare. Lo stesso vale per te, Swift. »
Lo afferrai e raggiunsi il mio banco, sedendomi dove il professore mi aveva indicato. Dopo aver chiesto una matita e una gomma iniziai, dopo qualche minuto di esitazione, a disegnare.
Terminai prima che me ne rendessi conto. In bianco e nero, un enorme lupo, per tutta la sua lunghezza, mi fissava stampato sul foglio.
Abbandonai le braccia sul banco, con le dita che facevano male. Disegnando il lupo, mi ero sfogata e il mio umore risultava calmo e tranquillo, a differenza di prima. E mi ero, quindi, dimenticata della furia e di Kate.
Edwyn fissò il mio lupo. « E’ bellissimo » mormorò. « Sei bravissima »
Per tutta risposta sorrisi appena. « Anche il tuo disegno è bellissimo »
Davanti a Edwyn, un angelo con le ali aperte dominava il foglio bianco. Non era ancora finito del tutto, ma qualcosa, nei tratti dell’angelo, mi ricordava l’autore. Non riuscivo a trovare l’origine di quella assurda sensazione, infondo l’angelo aveva il viso basso, come sfinito, e il ciuffo ricadeva coprendo alcuni tratti del viso; ma le ali, grandi e possenti, erano dritte e forti, come se fossero in gran parte loro a reggere il resto del corpo. Osservai ancora il disegno: era di una bellezza straordinaria. Niente a che vedere con il mio lupo.
Edwyn sorrise, e mi fissò ancora. L’irritazione delle ore precedenti cedette il posto esclusivo all’essere lusingata.
Nell’istante in cui aprii bocca per chiedergli perché mi fissasse, il professore raggiunse il nostro banco. Guardò attentamente il lupo e l’angelo, poi il suo sguardo si posò su noi due. In particolare, si fermò su di me.
Possibile che mi fissino così intensamente tutti? Devo aver sicuramente qualcosa fuori posto oggi, pensai.
« Considerati iscritta a questo corso » disse, con il sorriso compiaciuto di chi ha fatto un grande affare.
La campanella suonò.
Nel memo del cellulare, aggiunsi la scritta Angelo e Lupo.
Un gesto semplice, fatto ingenuamente rispetto a quello che sarebbe successo di lì a poco.

ANGOLO DELL'AUTRICE E rieccomi a commentare il primo capitolo! Le cose si evolvono lentamente, è vero, ma penso che questo rispecchi quello che succederebbe nella realtà. Non amo le storie 'frettolose'.
Qui si inizia a conoscere Liz, un personaggio che amo. Un po' dark, un po' punk, un po'..."a modo suo", sì, probabilmente è così che è il suo stile e il suo pensiero.
Edwyn diventa, al contrario di Liz che non lo è mai stata, subito popolare. Infondo, non ditemi che la faccia da bravo ragazzo non attrae quanto quella da stronzo che tutte amiamo. Forse è questo quello che differenzia Edwyn da tutti i protagonisti maschili dei romanzi recenti: non è il classico bastardo, misterioso e cattivo ragazzo. Forse, questi ultimi due aggettivi vanno attribuiti a Liz.
Comunque, non vi anticipo nulla! Spero leggerete il seguito.
Recensite, recensite, recensite!
Bye :)

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Preda e Predatore ***



Capitolo 2 - Preda e Predatore
« Non capisco perché ti sia spostata di corso. » diceva Marie, masticando una fetta della crostata al cioccolato.
« Non ne potevo più di Kate » risposi. « Ho bisogno di una “pausa” dalle sue battute idiote. Non credo di essere paziente abbastanza per sopportarla. Potrei lanciargli addosso qualcosa di più letale la prossima volta, e ucciderla. Sarei nei guai. Contenta, ma nei guai. » feci spallucce.
« Non posso darti torto. » mormorò, cercando un bicchiere per versarci il succo di frutta alla pesca.
« Mi ha dato della satanista! » alzai la voce, mentre il mio stomaco s’annodava per la furia. Mi imposi di prendere il controllo su me stessa e riuscii a schiacciare quella sensazione allo stomaco, divorando un’altra fetta della crostata.
« Non farci troppo caso, così le stai solo dando importanza. »
Mentre Marie sorseggiava il succo di frutta, pensai che aveva ragione. Le avevo dato troppo importanza, anche cambiando il corso. Sospirai, convincendomi che, però, mi sarei sentita molto meglio senza il suo sguardo addosso e la sua risata prepotente quasi ogni mattina.

Raggiunsi l’aula di disegno artistico, sedendomi come il giorno precedente accanto a Edwyn.
« Buon giorno! » mi disse sorridendo, e per attimo persi la percezione della realtà.
« Giorno. » risposi scossa dalla mia precedente sensazione.
Qualcosa, in lui, era diverso da tutto il resto delle persone. Oppure aveva un sorriso troppo bello per i miei gusti. Feci una smorfia, disgustata: non avevo bisogno di un ragazzo nella mia vita. Non mi piacevano le rose, i cioccolatini, le lettere romantiche. Stare alla larga da Edwyn doveva diventare una priorità. L’amore non è tutto rose e fiori, si sa. Con la fortuna che avevo io quando si trattava di sentimenti, non ci avrebbe messo molto a spezzarmi il cuore.
E poi, mi ricordai, Edwyn fino a 24 ore fa mi stava piuttosto antipatico.
Probabilmente era la lontananza da Kate che mi rendeva così poco scontrosa e nervosa del normale.
Scacciai quegli strani pensieri dalla testa, concentrandomi sulla lezione. O meglio, cercando di concentrarmi sulla lezione, perché il mio compagno di banco scarabocchiava su un foglio a quadretti, e io ero quasi ansiosa di indovinare quale fosse il soggetto del suo prossimo disegno.
L’irritazione nei suoi confronti era scomparsa in modo repentino, così com’era apparsa.
Edwyn aveva l’aria concentrata sul foglio e io ero tanto assorta nell’osservarlo che mi accorsi appena di quando mi rivolse la parola.
« Tutto apposto? » chiese, senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro.
« Si. » risposi, e invece di rivolgere la domanda a chi l’aveva posto come le persone normali, chiesi « Perché? »
Edwyn mi guardò, arrestandosi di disegnare. « Perché non sembri molto a tuo agio. »
« Cosa te lo fa pensare? »
Senza Marie, ero persa. Senza la sua presenza, non sapevo come muovermi senza sembrare un’idiota asociale, o una ribelle/cattiva ragazza che non sa mantenere il controllo. Ma sapevo anche che ci avrei fatto l’abitudine e che prima o poi sarebbe stato inevitabile, perciò avevo imparato a mascherare il tutto con una dose abbondante di sicurezza e scontrosità. Persino quando Marie mi era vicina, pareva che fosse lei a seguirmi e non il contrario. Anche se fino ad allora qualsiasi azione la facevamo assieme, la prima a eseguirla ero sempre stata io, mostrando un’espressione rilassata, di chi è superiore.
Possibile che lui lo abbia notato lo stesso?
Edwyn non rispose, anzi si concentrò di nuovo sul disegno.
« Non è difficile leggere cosa provi » disse d’un tratto.
Questa affermazione fu come uno schiaffo. Ero vulnerabile, e tutti lo vedevano. Volevo scappare. Mostrare di essere forte, per me, era più importante di esserlo. I miei occhi color ghiaccio non avevano mai “fulminato” nessuno, come speravo accadesse per ogni persona che incontravo. Come i predatori, avevo colori sgargianti sul mio corpo, strani e attraenti; ma non ero un predatore, ero una comune preda che cerca di intimorire le altre prede, fingendo di essere pericolosa. No, non lo ero e non lo sembravo.
Che stupida! Avevo fatto un mucchio di errori, l’ultimo dei quali cambiare corso. Aveva ragione Marie. Kate e le altre ragazze avrebbero riso di me a vita. Ero all’ultimo posto nella scala sociale dell’istituto. Una piccola parte di me teneva a queste cose futili.
La mia attenzione, circa mezz’ora dopo, fu catturata da un ragazzo anche lui molto alto, un po’ più magro di Edwyn, ma non per questo meno muscoloso. Mi dava le spalle, ma girando la testa mi fissava, attraverso dei ciuffi di capelli color caramello e occhi verde bottiglia. Prima che me ne rendessi conto, iniziai a fissarlo intensamente anch’io, ad atteggiarmi, a misurare ogni mia movenza.
La campanella suonò, e mi affrettai a ordinare tutto e raccogliere ciò che dovevo portare al mio armadietto. Mentre richiudevo l’anta di quest’ultimo e giravo la chiave del lucchetto, notai una sagoma ferma, dall’altro lato del corridoio, rivolta verso me. Con la coda dell’occhio lo guardai meglio e lo riconobbi: era lo stesso ragazzo che mi fissava l’ora precedente. Il suo sguardo era duro, spavaldo, come se fossi la sua preda. Io, che ero stata smascherata da Edwyn – può una innocua frase scatenarmi un uragano dentro?! -, faticavo a continuare a fingere di essere una predatrice, ma ci provai. Con un gesto disinvolto e semplice accarezzai i miei capelli scuri, spostandoli dalla schiena alla mia spalla destra. Mentre mi allontanavo con mento alto e posizione eretta e –apparentemente- sicura di sé, cercando Marie, gli rivolgevo sguardi intermittenti, sperando che lo facessero impazzire, come le mie precedenti prede.
Camminai cinque minuti, poi mi arresi. Dov’era Marie? Raggiunsi l’aula di botanica, sapendo di trovarla lì. Appena scorsi i suoi capelli biondo cenere tra i miei compagni, la raggiunsi con passo veloce.
« Liz! » mi salutò.
« Ehi, Marie, sai per caso chi è quel tipo … » mi bloccai, dopo aver assunto la consapevolezza che non sapevo niente di lui. Provai a spiegarmi, gesticolando animatamente. « Alto, con i capelli quasi biondi, dall’aria piuttosto inquietante? »
Marie mi guardò perplessa. « Non ho capito chi intendi. Da quando in qua trovi qualcosa inquietante? »
Come sempre, aveva intuito che era successo qualcosa nella mia testa. O forse era solo una mia impressione. Ma ero certa che detti ad alta voce i miei pensieri non sarebbero stati altro che idiozie e paranoie, quindi optai per l’evitare a rispondere apertamente e fingere che non sia cambiato nulla. Sul primo foglio del mio block notes per gli appunti, scrissi con la mia grafia disordinata e rotonda Inquietante = attraente e glie lo mostrai, sapendo che fino a quel mattino, non sarebbe stata una bugia. Adoravo, oltre al proibito e al paranormale, anche l’horror.
La campanella suonò, ma io ero ancora assorta nei miei pensieri. Qualcosa mi diceva che avrei dovuto cercare Edwyn, per sperimentare le sensazioni che mi imprimeva nella testa. Con un sorriso e una parola era riuscito a scatenarmi un terremoto dentro.
Qualcosa si era smosso.
Sì, ma cosa?
Il mio stomaco brontolò e risi dei miei pensieri. E’ la mia fame che s’è smossa, pensai.
Marie mi seguiva in silenzio mentre camminavo verso la mensa. Con aria menefreghista afferrai il vassoio e lo riempii di cibo, poi mi sedetti a tavola con la mia amica e alcuni compagni del corso di matematica. Tutti parlavano tra di loro, raccontandosi le ultime novità e ridendo parecchio. Io mi sentivo vulnerabile, a disagio. Sensazioni del tutto nuove e molto, molto fastidiose per i miei gusti. Mangiai lenta alcune cose, poi, d’istinto, mi girai verso sinistra e una nuova sensazione cancellò la fame rimasta.
Il predatore mi fissava, sfacciato, nonostante fosse notevolmente lontano. Ricambiai gli sguardi, apparentemente sicura di me, mentre cercavo di reprimere la nausea improvvisa, senza riuscirci. Con un gesto, appoggiai la mela che prima stringevo in mano sul vassoio e, a passi grandi, camminai diretta verso i bagni, seguita da Marie, che aveva notato che qualcosa mi aveva turbata.
Mi appoggiai al muro ricoperto di piastrelle blu.
« Che cosa ti prende? » mi chiedeva Marie, ma io non le davo ascolto.
Nervosa e impaurita, tenevo le braccia conserte cercando di convincermi che quegli sguardi erano solo un caso. Pensavo di piacergli, e di piacergli troppo. Non l’avevo mai detto, ma avevo paura dei tipi così. Avevo l’impressione che potessero stuprarmi in qualsiasi momento lo volessero. In un qualsiasi altro giorno, avrei usato il mio atteggiamento per fargli credere che punto molto più in alto, nei ragazzi, rispetto al soggetto in questione. Ma il mio improvviso essere impacciata non mi aiutava. Scossa da un brutto presentimento, non riuscivo ad aprire bocca e spiegare tutto alla mia amica.
« Niente. » dissi infine. « Ho la nausea. »
« Si, come no! Si vede lontano un miglio che non è così. »
Le sue ultime parole mi colpirono come un pugno. Avevo la nausea sul serio, ma aveva intuito che non era casuale. Mi conosceva meglio di chiunque altro. Mi girai e sporsi il mio viso verso il lavandino, cercando di controllare un conato di vomito.
« Per favore, Marie. » cercavo di dire. « Non fare così. Aiutami. »
La mia amica allora chiuse la porta con un calcio e dolcemente mi fece sedere sul pavimento, consigliandomi di avvicinare i ginocchi al petto piegando le gambe, e nascondere il viso tra di esse. Obbedii, e la nausea, sconfitta, dopo qualche finta si ritirò a poco a poco.
Il predatore aveva intimorito la sua presa.
Sapeva di essere spacciata.

Il libro chiuso mi fissava soddisfatto dalla mia scrivania in legno bianco. Avevo studiato tutto ed ero riuscita a non pensare a quella mattina. Finché non mi ero resa conto che non ci avevo pensato. Così ci pensai.
Dopo averlo chiuso ed essermi tolta un peso, lo riposi nello stipo dove stavano ammassati tutti gli altri libri scolastici. Poi afferrai gli auricolari del cellulare, le collegai a quest’ultimo e mi tuffai nel mio morbido letto ricoperto da una trapunta blu mentre, tramite il touch screen, facevo partire My medicine dei The Pretty Reckless. La vociona di Taylor Momsen inebriò la mia mente che quasi dimenticai il resto, e mi concentrai solo sulle schitarrate della band. Forse cantai assieme a Taylor quale volta, ma non me accorsi. Ero nel mio mondo.
La fine della canzone arrivò troppo presto. Desiderosa ti ritrovare quella sensazione di perdersi totalmente nella musica cercai velocemente un’altra canzone dei The Pretty Reckless, mentre, a contatto con il silenzio, le parole di Edwyn e gli sguardi del biondino mi ritornavano alla mente e minacciavano di compromettere la mia tranquillità. Just Tonight partì, ma i miei pensieri scorrevano come un fiume in piena nella mia mente, quasi nulla fosse.
Chi è lui? Era la domanda che avevo in testa.
Una parte di me, quella razionale, mi suggeriva che la domanda fosse rivolta al ragazzo biondo che mi fissava quel mattino, e che dovevo avere paura.
L’altra, non so bene quale parte di me, ma era forte ed era ovunque e soffocava la razionalità, mi diceva che la domanda non era rivolta allo sconosciuto.
Ma ad Edwyn.
Con gesti, sguardi e poche parole mi aveva sconvolto.
Non ero più la stessa.
In un lampo, capii la vera domanda che dovevo pormi.
Chi sono io?
Non lo sapevo più.
Quella volta sì, ebbi paura.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Freddo e Paura ***



Capitolo tre - Freddo e Paura

Indossai la maschera che, ormai da qualche giorno, usavo per coprire la mia vera me, sconosciuta e vulnerabile. Con passo deciso affrontai il corridoio scolastico badando a non incrociare lo sguardo di nessuno in particolare. Mi fermai davanti al distributore di merendine e inserii quel tanto che bastava per comprarne una al cioccolato. La afferrai e con apparente disinvoltura la infilai velocemente nello zaino. Marie doveva essere lì, da qualche parte, ma per qualche motivo non riuscivo a trovarla. Richiusi la cerniera della tasca dello zaino con uno zip veloce e mi voltai per riprendere una posizione eretta. Un’ondata di nausea mi invase.
Il ragazzo biondo, così vicino che, se avessi allungato un bravo lo avrei sicuramente toccato, stava appoggiato al distributore e mi fissava, con uno strano sorrisetto. Mi convinsi che doveva sentirsi attraente. Lo fissai. Sì, lo era, dopotutto.
Dopo qualche secondo lasciai trapelare l’irritazione per quegli sguardi. « Beh? Non hai nient’altro da fare? » dissi.
« Qualcosa di diverso da osservare la mia prossima conquista? No, direi di no. »
Girai i tacchi e feci per andarmene senza nemmeno salutare. Volevo sputare un “Addio” acido ma la parola mi morì in gola. Il ragazzo mi raggiunse prima che potessi fare più di due passi e mi bloccò la strada.
« Ehi, permettimi almeno di presentarmi » diceva. Da vicino, notai la sua imponente statura. Io ero più alta della norma, ma lui mi superava di almeno dieci centimetri buoni. « Mi chiamo Adam e faccio il quarto anno »
Lo guardai sperando che la mia espressione risultasse scocciata. « Ora che lo so mi sento più che realizzata, pensa un po’ » dissi sarcastica e lo superai diretta verso l’aula della mia prima lezione.
« Buona giornata Elisabeth Breeze » urlò Adam.
Mi bloccai. Conosceva il mio nome. Lo conosceva per intero. Un brivido mi percorse la schiena, un presentimento, forse. Un brutto presentimento. Decisi di ignorarlo e proseguii.
Durante la mattina, una delle mie lezioni si svolgeva nell’aula di disegno artistico. Appena sistemai le mie cose e mi sedetti, Edwyn si accomodò come sempre al mio fianco, ma mantenne per qualche minuto una posizione strana, come ‘tesa’.
« Ti ho visto parlare con Adam Gustin prima » disse tutt’a un tratto Edwyn rompendo il silenzio niente a fatto sgradevole tra di noi. « Non dovresti farlo » concluse.
Lo guardai, quasi divertita.
« Perché? » sorrisi.
« Perché ho sentito dire parecchie cose piuttosto … brutte su di lui. E poi non ha una buona reputazione. »
Alla prima parte della sua risposta il mio sorriso era svanito, ma non abbandonai il tono divertito. « Nessuno ha una bella reputazione qui. Tutti inventano pettegolezzi su tutti. Stai tranquillo. »
Nemmeno io avevo una bella reputazione. Non una come me che si veste e si trucca di nero e usa borchie ovunque.
« Dico sul serio, Liz. » la sua voce ferma e preoccupata mi colsero quasi di sorpresa. « Stagli lontano. »
Ero lusingata dalle sue parole, ma mi convinsi che non c’era da preoccuparsi. Ero al terzo anno e se qualcuno avesse mai accennato qualcosa su un certo Adam Gustin, lo avrei sicuramente saputo. Anche i miei presentimenti in sua presenza probabilmente erano infondati. Dopotutto, in che modo mi avrebbe potuto nuocere il parlare con Adam? Poi pensai che tutte queste preoccupazioni non fossero che una scusa per nascondere gelosia. Mi stava solamente dicendo di stare lontano da lui, perché era geloso. Questo, in un certo senso, mi piacque. Quando Edwyn mi rivolgeva la parola provavo un certo nodo allo stomaco. Se mi aveva rivolto la parola dopo giorni di silenzio per una cosa del genere, perché non continuare a fare il modo che accada?
La parte irrazionale di me si alleò con quella razionale.
Dovevo assolutamente trovare Adam Gustin.
Appena la campanella suonò sfrecciai fuori dall’aula setacciando i corridoi con lo sguardo per trovare chi cercavo. Con passo veloce ripercorsi il corridoio dove l’avevo incontrato, guardando anche dentro le aule. Una mano, mentre camminavo, mi toccò la schiena. Al contatto, avvertii una fitta di dolore e rimasi – o me l’ero inventata? -, per mezzo secondo, paralizzata. Il tempo che bastava per fermarmi. E avere paura.
« Mi stavi cercando? » mi chiese una voce dal tono divertito ma ostile.
Mi girai, lentamente, cercando di non pensare alla paura che mi aveva offuscato la vista un istante prima. Adam aspettava una risposta, con quel sorriso furbo stampato in viso tutto il tempo.
Riaccolsi le mie forze per tornare la Liz spavalda e temeraria che ero un tempo.
« Mi segui, Gustin? » dissi acida.
« Quindi sai anche il mio cognome, devi esserti informata. » Adam cominciò a girare intorno a me come se stesse osservando la prossima vittima di chissà quale serie di omicidi. Per un attimo, pensai che non dovevo assolutamente mai stare da sola con lui in una stanza.
« Non ho tempo da perdere. » ringhiai.
Adam si avvicinò pericolosamente a me e fu allora che notai la bellezza del suo viso. I suoi tratti erano spigolosi, imprecisi; i suoi occhi grigi avevano un taglio molto maschile e quasi rozzo ma non per questo meno belli delle labbra, sottili ma perfette. Mi arrabbiai con me stessa quando provai attrazione verso di lui. Era quel tipo di ragazzo che tutte vorrebbero. E stava guardando me.
Con l’indice e il pollice prese il mio mento tra le mani e lo sollevò leggermente. Increspai le labbra.
« Io ne ho tanto invece » diceva. « ma lo trascorro giù al marciapiede sul lungo mare a est, alle 22. »
Si allontanò mentre parlava. « Ti aspetto, Liz. Porta anche la tua amichetta. »
Imbambolata, lo fissavo andarsene. Non riuscivo a spiccicare parola. Non riuscivo a formulare una frase per rifiutare l’invito. Nemmeno nella mia testa riuscivo a pensare a un NO deciso. Ogni particella del mio corpo era paralizzata e ad attratta da quel ragazzo inquietante.
Mi accorsi solo dopo un pezzo che Marie mi stava strattonando chiamandomi per nome.
La guardai, ancora un po’ stordita. « Liz, per la misera! Cosa ti prende? »
Il mio sguardo tornò nel punto in cui Adam era sparito dietro l’angolo. Già, cosa mi prende? Mi chiedevo.
« Stanotte, alle dieci. » mormorai, come in trance. « Sul lungo mare, dobbiamo andarci. »
 
Marie farfugliava tra sé e sé parole sconnesse e nervose. Non riuscivo ad ascoltarla, immersa com’ero nei miei pensieri. Non riuscivo a concentrarmi su un concetto, una frase, un argomento nella mia testa: quando ci provavo, perdevo all’istante la voglia di farlo e lo sforzo si dimostrava inutile. Perciò guardavo i miei piedi susseguirsi e camminare verso il lungo mare di Portsmouth, a est, doveva Adam mi aveva indicato. Un passo dopo l’altro, Adam sembrava l’unica immagine che la mia mente potesse concepire.
« … Quando vorrai ascoltarmi, Liz, dovrai spiegarmi dove stiamo andando e soprattutto perché. Fa freddo e se non mi fossi venuta a prendere direttamente a casa sarei rimasta nella mia stanza, al calduccio ... » le parole di Marie per un attimo arrivarono forti e chiare alla mia mente.
Una parola catturò la mia attenzione: freddo. Non mi ero accorta del freddo e delle mie mani gelide, come non fossero parte di me. Come fosse un argomento superfluo su cui soffermarsi. D’istinto, stinsi al collo la sciarpa che mia madre mi aveva obbligato a mettere e i brividi di freddo che avevo ma a cui non avevo fatto tanto caso si attenuarono.
Qualcosa mi faceva camminare verso una precisa direzione. Come una falena attratta dalla luce.
Di colpo, l’attrazione s’arrestò e i miei piedi si fermarono. Marie mi girò intorno e, confusa, studiò la mia espressione.
« Liz? » mi chiamava. « Dove siamo? Perché ti sei fermata? »
Le parole della mia amica risultavano inutili e superflue, per questo distanti dalla mia zona d’ascolto, ma riuscii a capire qualcuna delle sue parole.
« Liz, ho visto un’ombra, la dietro … era veloce. »
« Liz tu pensi che sia il vento ma io sento come il ritmo di un respiro, e non è il mio né il tuo! … »
Non badai a lei.
Girai il viso verso la luce, falena ch’ero.
Adam spuntò da un vicolo buio con due ragazzi, muscolosi e alti. Avevano tatuaggi sulle braccia nude.
Freddo.
Fa freddo. Pensavo.
Perché loro non lo sentono?
Il ragazzo che aspettavo si avvicinò a me con quel sorriso spavaldo della mattina.
« Ti aspettavo » disse.
In un battito di palpebre l’ambiente sfocò e io e Marie ci ritrovammo in una vecchia casa abbandonata. La luce fioca della luna entrava da due finestre semiaperte e rifletteva negli specchi posti in alcune parti della stanza. Uno di questi era rotto. I tre ragazzi ci fissavano, sorridenti. Marie si guardava intorno confusa e spaventata, io restai seria, senza tradire alcuna emozione. O, forse, perché non riuscivo a provarne alcuna, come fossi bloccata.
Adam si avvicinò, mentre, con una mano, accese la fiamma di un accendino. La stanza s’illuminò, mostrando carta da parati verde e divani di stoffa rossa, impolverati. Un tavolo, poco distante da noi, sembrava pieno di ragnatele.
« Ti voglio » tuonò.
Le gambe, a quelle parole, minacciarono di cedere. Il mio cuore iniziò a battere veloce, e la paura riaccese la mia mente.
Dov’ero? Come ci ero arrivata? Cosa voleva da me, Adam?
« Non devi avere paura » diceva, ma qualcosa mi suggeriva che dovevo averne.
« Liz? » piagnucolò Marie, dall’altro lato della stanza, accerchiata dai ragazzi che stavano con Adam. Non riuscivo, però, a vederli bene, non in viso. Tutto quello che avvertivo erano ombre scure.
« Vieni con noi » sussurrò Adam. « e potrai fare tutto quello che vuoi, anche l’impossibile. Non dovrai preoccuparti delle regole, delle leggi morali e quelle dello stato. Seguirai l’istinto, e niente sarà sbagliato. »
Deglutii. La proposta di Adam, per quanto assurda, suonava attraente. La verità era che volevo accettare.
Scappa! Risuonò nella mia testa la voce di Edwyn, e istintivamente rievocai la sua espressione spaventata, quella mattina, al pensiero che avessi parlato con Adam.
La paura e forse anche il buonsenso ebbero la meglio e con scatto fulmineo mi girai e corsi nella direzione opposta alla mia. Dopo aver osservato la casa, mi ero resa conto che l’uscita doveva essere per forza dietro di me. Sentii passi veloci come i miei, probabilmente di Marie, ma quando raggiunsi la porta, ci sbattei sopra come se qualcuno mi avesse spinta prima che potessi aprirla. Ordinavo alla mia mano di far scattare la serratura del portone, ma non faceva che tremare, quasi fosse in preda a convulsioni. L’unica cosa che riuscivo a fare era grattare il legno della porta rompendo le unghie e provocandomi piccole ferite. Alla vista del sangue, capii che era tutto reale e spaventoso. Impotente, il panico mi assaliva.
Con la coda dell’occhio, Adam mi guardava minaccioso.
Fu questa l’ultima cosa che vidi, prima del buio, prima di chiudere gli occhi.
« Mio Dio, Liz! » la voce di Marie.
Sopraffatta dalla paura, raccolsi tutto l’ossigeno e meno di mezzo secondo dopo stavo urlando, così forte che per qualche istante temetti per le mie corde vocali.
Riaprii gli occhi.
Ero sdraiata.
Nel mio letto, nella mia stanza.
La sveglia sul mio comodino segnava l’una di notte.
« Liz, che succede?! » urlava mia madre Cristie che con passi pesanti veniva verso la mia stanza.
Respiravo a fatica, veloce, godendomi la sensazione di aria nuova nei polmoni, mite e non fredda come quella di poco prima. Gettai la schiena indietro, sdraiandomi e fissando il soffitto, boccheggiando.
Non ricordavo il modo in cui ero tornata a casa, e a dire il vero nemmeno il momento in cui mi ero addormentata. Doveva esser stato tutto un incubo. Un incubo molto reale.
Fissai le mie mani, e mi raggelai.
Le unghie erano spezzate, le ferite a causa di esse ancora fresche.

ANGOLO DELL'AUTRICE
Qualcosa inizia ad accadere, qualcosa di serio, di concreto, nella vita di Liz, qualcosa che la sconvolge fin da subito.
Spero che siate curiosi di conoscere il seguito della storia, di quello che succederà in futuro. Niente sarà più lo stesso.
Recensite, recensite, recensite!
A presto!
Itsakira.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Antidoto e Veleno ***



Capitolo quattro – Antidoto e veleno

Vedevo i corridoi scolastici, ma camminavo lenta come uno zombie. Avevo dormito solo due ore. Due fottutissime ore. E, come se non bastasse, quelle due ore erano state frutto di un orrendo incubo. Sono qualcosa di strano, gli incubi, frutto della tua immaginazione ma molto reali e quando ti svegli la paura e l’angoscia continua ad abitare dentro di te come se avessi davvero vissuto quello che hai sognato. La tua mente sa che, razionalmente, è solo immaginazione.
Irrazionalmente, la paura di Adam Gustin non era cessata.
« Ehi, Liz. » mi salutò Marie. Sopraffatta com’ero dal sonno, non mi ero accorta che si era avvicinata e camminava con me. « Anche tu hai un’aria stanca. Io non ho dormito stanotte. »
Un campanello d’allarme mi fece scattare. Mi girai verso di lei con tutta la forza che avevo. Non aveva occhiaie come le mie –probabilmente le aveva coperte con del correttore- ma la conoscevo e potevo facilmente intuire che era stanca. Ma non era questo quello che avevo notato nelle sue parole. Avevo un sospetto. Un terribile sospetto.
« Perché? » chiesi.
« Ti ho sognata, Liz. Ho fatto un incubo pazzesco. E dopo che mi sono svegliata non sono più riuscita ad addormentarmi. »
Deglutii, mentre le gambe mi tremavano. « Raccontamelo. »
Mentre Marie cercava di ricordare l’incubo, ebbe un fremito. Poi parlò, lenta.
« Eravamo andate a trovare Adam Gustin, per non so quale motivo. Di colpo ci siamo ritrovate in una casa disabitata, e lui si era avvicinato a te. Diceva di volerti nel suo gruppo, ma aveva un tono di voce inquietante, uno sguardo strano. Come se volesse stuprarti, o peggio, ucciderti. Tu avevi paura, e sei scappata, ma non hai aperto la porta, ci hai sbattuto sopra. Volevo aiutarti, aprire la porta e scappare, ma due amici di Adam mi bloccavano le braccia, non riuscivo a muovermi … Mi sono svegliata con le tue urla … »
Il viso di Marie era segnato dal terrore.
E anche il mio.
Mi ricomposi, ma la mia amica aveva già notato quell’espressione prima che la cancellassi.
« Che succede, Liz? » domandò.
« Niente » risposi subito. « Io non ho dormito per semplice insonnia. »
Ma il mio tono di voce non convinse nemmeno me. A Marie bastò, per quel momento, e non aggiunse nulla.
Mi accompagnò fino all’aula di disegno artistico. Camminai stanca verso il mi banco, e mentre mi sedetti notai l’espressione infuriata di Edwyn. Incredibile. Aveva veramente saputo che ero stata con Adam?
Un momento.
Ci ero stata sul serio?
Al primo pensiero sorrisi tra me e me, compiaciuta; poi, alla mia domanda silenziosa, trasalii.
Edwyn si mosse, teso, come se cercasse di contenere rabbia e preoccupazione e di non esplodere e urlare “Te l’avevo detto!”.
« Ciao » disse, tutto d’un fiato.
« Ciao Edwyn » lo salutai.
Per quanto potesse mostrarsi teso e arrabbiato, irradiava tranquillità e buon umore. Sedermi accanto a lui non era poi così male, anzi, si era rivelato utile. Era come un amuleto personale, qualcosa che, quando ti è vicino, schiarisce la mente e distende gli animi. Avrei giurato che potesse calmare una rissa con una parola, o forse con la sua sola presenza.
Non ricordavo più la stanchezza di qualche momento prima, non m’importava più dell’incubo di quella notte. Era sgradevole e superfluo.
« Dobbiamo parlare. » disse dopo qualche istante di silenzio, mentre il professore iniziava la lezione.
« Dimmi. »
« Non qui » fece una smorfia. « Fuori dalla scuola. »
Fremevo dalla voglia di parlare con lui, la sua voce era così bella, calda, perfetta. Entrava nelle vene e sconvolgeva i flussi sanguigni, li rilassava e li accelerava allo stesso tempo. Ma il battito frenetico del mio cuore era quasi piacevole. Non era paura, era impazienza di stargli vicino. Non volevo sprecare un secondo di più in silenzio.
E, soprattutto, quel giorno la scuola mi appariva irreparabilmente troppo stretta.
Feci l’occhiolino. « Lascia fare a me »
Mi alzai e avanzai lenta verso il professore, ricordandomi improvvisamente della stanchezza. Come se l’influenza benefica di Edwyn fosse svanita con la sua lontananza.
Cavolo, ne avevo bisogno.
La stanchezza, però, giocava a mio vantaggio.
« Professore, non mi sento molto bene. Ho la nausea. Posso andare in infermeria? » Finsi di avere una vertigine. « Ah! »
Il prof mi studiò per qualche secondo. « Fatti accompagnare da qualcuno, signorina Breeze. »
« L’unico che conosco è Edwyn » piagnucolai.
« Swift, per te va bene? »
Di spalle non vidi la sua reazione, ma lo immaginai mentre annuiva.
Il professore riprese a spiegare non appena Edwyn mi raggiunse e cercò di aiutarmi a camminare cingendomi la vita con un braccio. Io abbandonai il mio braccio al suo collo caldo e accogliente.
Dopo aver percorso qualche metro, camminai come se nulla fosse e lasciai libero il suo collo. Lui non smise di cingermi la vita con il braccio –quasi volesse proteggermi da qualcosa- e questo, stranamente, non mi infastidiva. Non appena mi si era avvicinato, la stanchezza fisica e mentale era scomparsa di nuovo.
« Seguimi » gli dissi e aumentai la velocità dei miei passi.
I corridoi erano vuoti, l’ora di lezione era appena iniziata. Ma per noi non sarebbe stato lo stesso.
Mi fermai, e mi arrampicai veloce sulla finestra.
Edwyn mi guardò con aria allarmata. « Cosa stai facendo? Se ci vedessero … »
« Chiudi il becco e salta, Ed » risi.
Non sapeva quante volte ero scappata da quella finestra.
Obbedì e fuggimmo dalla struttura bianca prima che qualcuno potesse vederci e denunciare la nostra assenza.
L’erba del cortile scrosciava leggera sotto i passi veloci dei miei piedi. L’aria rigava il mio volto e spazzava via incubi e paure. Le mie labbra erano distese in un sorriso ampio e sereno. Il mio cuore era grande, e io ero libera.
Era una sensazione spettacolare.
E poi c’era lui.
Correva accanto a me e sentivo il suo sguardo addosso, le sue risate sommesse, che non coprivano le mie, anzi, le aspettavano, le studiavano. Ero concentrata su me stessa, ma ora in me stessa c’era qualcosa che, in qualche modo, riguardava lui. Perciò, non mi dispiaceva che mi fosse accanto.
Corremmo fino al parco, dove ci addentrammo fino a quando le nostre gambe non chiesero pietà.
Mi sedetti su una panchina, mentre Edwyn restava in piedi, silenzioso. Probabilmente stava preparando il discorso da farmi.
« E’ nuvoloso » osservai, storcendo il naso. Odiavo le nuvole che coprivano il sole e non regalavano pioggia. Seduta vicino a un grosso Cedro, poi, la luce scarseggiava. Quanto avrei voluto una giornata soleggiata.
Edwyn aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito. Sembrava indeciso o incerto su come iniziare.
Risi. « Avanti, dimmi tutto. Non mordo »
Edwyn si sedette a gambe incrociate sull’erba umida.
« Sei stata con Adam » disse. Non era una domanda, era un’affermazione, forte, sicura e grave. Non risposi, sperando che lo considerasse un sì senza che dovessi confermarlo ad alta voce. Una fitta lontana di paura mi annodò lo stomaco: si riferiva sicuramente alla nostra breve conversazione dopo le lezioni, il giorno precedente. Giusto?
« Non devi mai più uscire con lui » ordinò.
Quindi sapeva.
Quindi non era stato un incubo.
Non capivo.
Com’era possibile?
Un’altra ondata di paura mi invase lo stomaco.
Il solo pensiero che Adam mi abbia sfiorata con un accendino in mano e offerto di entrare nel suo ‘gruppo di amicizie’ mi faceva trasalire. A questo s’aggiungeva il non sapere come fossi arrivata dal lungo mare alla casa abbandonata, dalla casa alla mia stanza, nel mio letto. Il fatto che Edwyn sapesse anche se non era presente e anche se le uniche due persone ad averlo vissuto, oltre a Adam e ai suoi amici eravamo io e Marie era la ciliegina sulla torta del panico che mi assaliva.
Non riuscii a dire cosa mi passava per la testa, ne a descrivere le mie paure. Ma Edwyn aspettava una risposta e il mio silenzio, di certo, non era gradevole.
Deglutii. « Perché? » riuscii a dire, ma non rispose alla mia domanda.
« Ti prego, raccontami cosa è successo. »
Parte del panico svanì. Non sapeva nulla, quindi, solo che ero uscita con lui. Edwyn chiedeva di sapere, il suo volto svelata impazienza e preoccupazione.
Un fiume di parole sgorgò dalla mia bocca senza fare alcuna pausa. Dopo aver descritto la serata inspirai violentemente. Edwyn non sembrava stupito dei miei racconti, nemmeno del fatto che mi fossi ritrovata in un posto senza ricordarmi di esserci arrivata.
Lui analizzò a mente tutte le parole, durante una breve pausa di silenzio. Poi, con la mano, mi indicò di sedermi accanto a lui. Obbedii, e tutte le paure e i nodi allo stomaco scomparvero all’istante. Di quelle sensazioni avvertivo solo un’eco sordo lontano, poco importante.
« Perché è pericoloso » sussurrò, rispondendo alla mia precedente domanda.
Di nuovo serena, sorrisi. « Qualsiasi cosa è pericolosa. Camminare lo è, per esempio, potresti inciampare e sbucciarti i ginocchi e strappare i jeans. Anche innamorarti, anche in quel caso potresti farti male. Magari anche tu potresti essere pericoloso. »
Sorrise anche lui, e qualcos’altro, diverso dalla paura di qualche istante prima, mi sconvolse lo stomaco. « Beh, sì, io lo sono. Potresti entrare nella mia vita e non uscirne più. »
« E’ una minaccia? »
Alzò le spalle. « Non so se ti andrebbe di sopportarmi sempre »
« Forse resisterei alla tortura »
Il suo sguardo, che nel frattempo si era posato altrove, tornò su di me. « Sul serio? »
« Ho detto “forse”. » Ridacchiai. « “Sempre” è un periodo lungo. Adesso verrebbe da chiedersi se tu mi sopporteresti tanto. »
« Non avrei problemi »
« Ah,no? »
Edwyn esitò, tornando serio. Mi guardò intensamente, che quasi credetti potesse spostare i filamenti ghiacciati dei miei occhi chiari e toccare la mia anima. « No »
Appoggiai la schiena al tronco dell’albero e lui fece lo stesso, accanto a me. Quasi istintivamente abbandonai la testa sulla spalla di Edwyn, che si spostò e mi fece cadere sulle sue gambe.
Avevamo parlato poche volte e di matite e disegni, mentre quel discorso aveva preso una piega inaspettata. La sua vicinanza era calma e tempesta allo stesso tempo. Antidoto e veleno.
Tremavo, e non era a causa del freddo. Il motivo era qualcosa di sconosciuto, che si sforzata di venir fuori e di restare dentro di me allo stesso tempo.
La mia mente era un accumulo di contraddizioni, sinestesie, ossimori. Non riuscivo a pensare ad altro, ma non rischiavo di scoppiare, anzi. Ne volevo ancora.
Edwyn prese ad accarezzarmi i capelli.
« Non hai paura? » chiese, cauto.
« Di cosa? »
Un tuono in lontananza si fece sentire, come se chiedesse il permesso.
« Del futuro »
La domanda mi colse di sorpresa. Riflettei, senza fretta.
« No » ed era la verità. In quel momento non avevo paura, nulla sembrava così minaccioso da irrompere la mia determinazione, la mia quiete, la mia forza.
Una parte di me suggerii che non avrei mai avuto paura, se lui sarebbe rimasto accanto a me sempre. Continuava a irradiare sensazioni benevole, allontanando tutte quelle che non lo erano. Persino i dubbi e le indecisioni si schiarivano in sua presenza. Era una cosa che avevo notato da un po’, ma la differenza tra ‘paura’ e ‘sollievo’ quando mi era lontano e quando, invece, mi era vicino non era mai stata così abissale.
Mi sentivo coraggiosa, ma non ero abbastanza temeraria da aggiungere altro.
« Nemmeno di Adam? » chiese.
Anche quella domanda mi sorprese. Ricordavo la paura, ma non la ragione. Adam era lontano dai miei pensieri, ma a causa di quella domanda fu costretto a tornare. Questa costrizione mi provocò un breve e leggero mal di testa.
Prima che potessi formulare una risposta, Edwyn riprese a parlare.
« Dicevo sul serio, prima. E’ pericoloso. Non immagini quanto. Potrebbe farti del male »
« Tu come lo sai? »
Esitò prima di rispondere, chiuse gli occhi come per concentrarsi, scegliere e dosare le parole.
« Fidati di me »
« Prima che mi ritrovassi nella mia camera ho sentito la tua voce » confessai, rendendomi conto all’istante dell’assurdità delle mie parole. « Mi gridavi di scappare, e ho obbedito. »
Fissai le mie unghie distrutte, aspettando che rispondesse.
« Non mi stupisco » rispose, sorridendo. « Sono la tua coscienza. »
Ridacchiai. « Beh, grazie coscienza »
La sua capacità di distrarmi dal vero problema e di farmi ritornare il buon umore era molto forte.
Ma non mi importava.
Per chissà quanti secondi, minuti, ore, restai a nuotare in quegli occhi blu oceano e a farmi accarezzare i capelli dalle sue mani.
Chi se ne importa se il tempo passava, con lui aspiravo all’eterno.

ANGOLO DELL'AUTRICE
Da quando ho cominciato a scrivere di Liz ed Edwyn, mi sono innamorata di loro due. Anyway, spero che gli strani fatti che capitano ai protagonisti vi incuriosiscono, perchè al posto vostro io ne sarei stata ossessionata.
Sarebbe carino, un giorno, vedere un po' chi shippa Edwyn e Liz e chi Adam e Liz, e magari trovare un nome per le coppie. Tipo Ediz/Liwyn, Adiz/Liam o giù di lì. Io shippo Liwyn. E voi?
Recensite, recensite, recensite.
Itsakira.

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