Un anno allo Shohoku - New Release di Seiya112 (/viewuser.php?uid=169802)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno strano incontro ***
Capitolo 2: *** Vecchi amici e vecchi nemici ***
Capitolo 3: *** Incontri e scontri ***
Capitolo 4: *** Sogno o son desto? ***
Capitolo 5: *** Una serata con il club - prima parte ***
Capitolo 6: *** Una serata con il club - seconda parte ***
Capitolo 7: *** Lezioni ***
Capitolo 8: *** Rissa!!! ***
Capitolo 9: *** Ranmaru ***
Capitolo 10: *** I sogni son desideri... ***
Capitolo 11: *** The e me ***
Capitolo 12: *** Passo dopo passo ***
Capitolo 13: *** Buona Befana! ***
Capitolo 14: *** Seconde possibilità ***
Capitolo 1 *** Uno strano incontro ***
Salve a tutti. Questa storia era stata creata una decina di anni fa. Purtroppo il sito che la ospitava non esiste più, e per problemi con il computer (leggisi doppio crash del sistema e della memoria esterna) ho perso i capitoli finali, e non ricordo neppure pienamente come proseguisse. Ho quindi deciso di riprenderla in mano, e correggere quelli che erano stati i miei errori ai tempi nello scrivere la prima fan fiction. O almeno spero di riuscirci e che vi possa piacere.
Prefazione:
Il campionato nazionale in cui lo Shohoku è stato sconfitto dall'Aiwa è ormai passato. I ragazzi hanno proseguito con i loro studi. Ora Miyagi frequenta la 3a, ed è ancora compagno di classe di Ayako; il rosso, Haruko, Rukawa, e l'armata Sakuragi sono in 2a, mentre tutti gli studenti anziani si sono diplomati con buoni voti. O meglio, tutti tranne Mitsui che è rimasto bocciato.
(Certo che non capisci proprio niente... NdSary; Capirai tutto tu! NdMitchi; Sempre più di te knock!!!!!!!!!!!!! Ops, forse l'ho colpito un po' troppo forte. Mitchi, sei ancora vivo? Mi servi per la storia!!!!!!!!!!!!! NdSary; Grazie per l'interesse -__-' NdMitchi). Scusate, dov'ero rimasta? Ah, si. Cercate di essere comprensivi. Aspetto commenti, anche negativi. Mi aiuteranno a migliorare.
I personaggi appartengono a Takehiko Inoue, e io non ricavo nulla dal loro utilizzo.
Capitolo I
Uno strano incontro
Era una mattinata di aprile, la mattina di inizio anno scolastico. Le strade del quartiere residenziale erano completamente deserte, fatto salvo per i garzoni che depositavano il giornale nelle cassette delle lettere o li infilavano nei fori rotondi praticati nei muri di cinta delle ville monofamiliari di stampo occidentale. Dalla villetta bianco d'angolo, un edificio semplice che si affacciava su un piccolo giardino verde ben tenuto, allo scoccare delle 7:15 precise, uscì un ragazzo con un una divisa scolastica blu, la giacca completamente allacciata sebbene cominciasse a fare caldo e un berretto calcato sugli occhi, in apparenza rosso, ma troppo malconcio per essere sicuri che quello fosse il suo colore originale. Chiuso il cancello dietro di sé si avviò pattinando con calma per le strade. Si diresse quindi verso la scuola che avrebbe frequentato per l'anno. Da una settimana viveva in Giappone. Era sempre stato il suo sogno poterci andare ad abitare anche solo se per poco e per questo aveva deciso di trascorrere un anno di studi all'estero. Sicuramente un'esperienza che avrebbe portato cambiamenti e che avrebbe tenuto nel cuore per tutta la vita, ma che sarebbe trascorso lontano dalla sua terra e dalla sua famiglia. Indubbiamente sapeva che sarebbe stata questa la prova più dura, non potere vedere per così tanto tempo le persone cui voleva bene, ma ne sarebbe valsa la pena poiché al ritorno in Italia avrebbe avuto un bagaglio di ricordi, e il diploma di scuola superiore acquisito all'estero. Nonostante ciò aveva ferma intenzione di terminare gli studi italiani una volta a casa. La fine dell'anno scolastico giapponese era previsto per marzo, e al ritorno in Italia avrebbe studiato duramente. Sperava di potersi rimettere alla pari con le lezioni dando un esame a Pasqua, come già aveva concordato con i professori, e poi sostenere l'esame di maturità con i vecchi compagni.
Immerso nei suoi pensieri non si accorse di aver accelerato l'andatura, e di aver percorso il chilometro che separava la casa in cui era ospite e la scuola. Nel momento in cui riconobbe l'edificio scolastico, parzialmente nascosto dietro un muretto basso di mattoni rossi. il cuore cominciò a battere a mille. La scelta del liceo non era stata casuale, quanto dovuta al desiderio di incontrare nuovamente alcuni vecchi amici.
Avanzò rasente il muro, quindi fece una curva stretta con i pattini in linea, imboccando il viale che conduceva all'edificio scolastico principale. Nel proseguire colse con la coda dell'occhio un frammento di una scena, che certo non si aspettava e lo fece rallentare. Sotto un grosso olmo, a dieci metri circa dalla posizione in cui si trovava, tre ragazzi con indosso la sua stessa divisa accerchiavano una ragazza che doveva avere all'incirca la medesima età. Era una ragazza carina, con i capelli a caschetto castani e indossava una divisa azzurro tenue, con un fiocco rosso a chiudere la giacca blu acceso. Mentre osservava la scena la vide arretrare di un passo verso la pianta, e stringere con la mano libera dalla borsa scolastica l'orlo della gonna. Teneva il volto basso, cercando di non guardare nessuno di loro, e per un attimo incrociò il suo sguardo. Si riscosse quando notò che lo sguardo veniva ricambiato.
Il nuovo studente scosse la testa lentamente. Non era la prima volta che aveva a che fare con gente prepotente, ma non trovava più tanto divertente picchiare degli stupidi esaltati. Certo non poteva lasciarli fare, qualunque cosa avessero in mente. Come si faceva a sopportare chi se la prendeva con i più deboli? Tanto più con una ragazza che sembrava del tutto indifesa.
"Ehi voi! Si dico a voi quattro! Lasciate stare quella ragazzina oppure dovrete vedervela con me!"
Un po' melodrammatico, lo so, ma è la prima cosa che mi è venuta in mente. I ragazzi si girarono verso la voce che aveva parlato. Uno dei tre, distinguibile dagli altri facilmente grazie ai lunghi capelli legati a coda, presumibilmente la testa del gruppo, atteggiò il volto ad un ghigno e latrò:
"Tu che vuoi? Vatti a fare un giro se non vuoi prenderle. Smamma!" detto questo si rivoltò afferrando un braccio alla ragazza e dandole una spinta abbastanza forte da farla rovinare a terra contro l'albero. Qualcosa nella sua testa scattò. Si rimbocco la manica sinistra della giacca, e appoggiò la cartella a terra.
"Io vi avevo avvisato..."
Con un movimento rapido fu loro addosso, assestando una ginocchiata nello stomaco al più vicino. Vide arrivare un calcio al retro del ginocchio, che parò con l'esterno del polso destro. Poi assestò un pugno nello stomaco ad un membro del gruppo non meglio identificato. Al terzo fece semplicemente uno sgambetto. Come aveva immaginato, erano degli incapaci senza un minimo di forza, o che perlomeno non si aspettavano qualcuno che reagisse a quell'ora del mattino. Erano bastati un paio di calci per mandarli al tappeto, dopo di che se la diedero a gambe levate.
La ragazza era ancora a terra e fissava il suo salvatore con gli occhi sgranati. Non era riuscita a capire cosa fosse successo attorno a sé.
"E' tutto a posto?" chiese lui in un giapponese incerto, porgendole la mano. La aiutò ad alzarsi.
"S-si, g-grazie." Balbettò leggermente. Ora che lo guardava bene, la superava di appena qualche centimetro di altezza. Che fosse un kohai? Non lo aveva mai visto prima, o almeno così sembrava, visto che il berretto compriva il volto dal naso in su, tenendo completamente coperti gli occhi e la fronte. Ciò che notò maggiormente fu la mano che continuava a stringere con la sua, piccola, forse persino più della sua, che già veniva presa in giro dalle compagne fin dalle medie per avere le mani come quelle di una bambina. E morbida.
"Bene, la prossima volta cerca di stare più attenta. Si può sapere cosa volevano quelli da te?"
"Niente" Esitò. "Cercavano un mio amico... Quando ho detto loro che non sapevo dove fosse non mi hanno creduto e non mi lasciavano andare in classe"
"Frequenti il liceo? Non andrai mica allo Shohoku?" Ovvio, trovandosi lì. Strano però, l'aveva scambiata per una ragazza delle medie. Doveva ancora perfezionarsi nell'attribuire l'età ad una orientale.
"Si. Anche tu?" Non colse lo stupore con cui le erano state rivolte le domande.
"Mi iscrivo stamattina, sono in terza. In effetti devo andare in presidenza e non so bene come arrivarci."
"Io frequento la seconda. Oh, che sbadata, non mi sono ancora presentata. Io sono Haruko Akagi. Tu come ti chiami? Non sei giapponese, vero? Però lo parli bene"
"Grazie del complimento. Infatti vengo dall'Italia. Mi chiamo....."
La conversazione fu interrotta da un ragazzo che correva all'impazzata verso di loro. Aveva i capelli rossi rasati e continuava ad urlare: "Harukinaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!!!!!!!!!" Dietro di lui venivano altri quattro ragazzi. Due erano alti quasi quanto come lui, l'uno biondo e l'altro moro. Erano seguiti da un ragazzo con gli occhiali decisamente obeso. L'ultimo si avvicinò con fare rilassato, tenendo le mani in tasca. Aveva la tipica pettinatura del teppista, con i capelli tirati indietro con il gel. Però non dava la stessa impressione dei teppisti di poco prima. Aveva un'aria che faceva presagire solo grandi risate e prese in giro.
"Haruko cara, cos'è successo?" La faccia da ebete che aveva assunto si smaterializzò immediatamente quando notò la mano che ancora stringeva quella della ragazza. "E questo chi è?"
"Aspetta Hanamichi..." Haruko pronunciò quelle due parole troppo tardi. Il rosso aveva già stretto la mano sul bavero della giacca e sollevato la persona che aveva di fronte. Facendo mollare la presa alla mano della sua adorata.
"Come ti sei permesso di toccare la mia Haruko? Io ti distruggo!"
Haruko si aggrappò al braccio di Hanamichi, mettendosi tra i due e guardando il ragazzo alto negli occhi, e la voce questa volta uscì più convincente dalla sua bocca. "Hanamichi calmati, mi ha salvato. Mi avevano aggredita e lui mi stava aiutando ad alzarmi!"
"Ah, se è così l'hai scampata!" Continuò con tono spavaldo. "Grazie per aver salvato la mia Harukina. Ma non azzardarti più a prenderle la mano, intesi?" Lo mise giù.
"Scuse accettate." Si risistemò la divisa. "Comunque prima di agire è meglio se ti informi sui fatti. Per di più potevi anche muoverti, come si fa a lasciare la propria ragazza in balia di tipacci e poi aggredire chi l'ha salvata!" Rispose adirato.
Hanamichi non prese bene la provocazione, e rosso in viso un po' per l'ira, un po' per l'imbarazzo di sentirsi preso in giro davanti ai suoi amici e ad Haruko, fece quello che usava fare per risolvere la situazione a suo favore. Gli tirò una testata. O almeno ci provò... schivandolo, e finendo a terra quando un colpo inferto con la mano di piatto lo colpì alla nuca scoperta.
"Tu...." Si rialzò immediatamente, fermato prontamente, e a stento, dai suoi amici.
"Fermo Hanamichi!" "E' caduto come un sacco di patate!" "Dovresti provarla come nuova tecnica in campo!"
Sakuragi si fermò. Non perchè avesse ascoltato le parole degli amici, ma per ciò che aveva di fronte. Nell'ultimo movimento il salvatore di Haruko aveva perso il berretto che teneva calcato in fronte, e da esso si erano liberati davanti ai presenti dei lunghi capelli rossi legati in una coda alta cavallo e due bellissimi occhi verdi. Okusu, Noma, Takamiya e Mito non poterono credere ai propri occhi. Ad atterrare il loro capo e a far scappare a gambe levate quattro dei più pericolosi teppisti della scuola era...era sta una ragazza?! La piccola Akagi si stupì un po' meno degli altri, in effetti si sentiva in qualche modo rincuorata. Finalmente cominciava a sviluppare un po' di intuito. Hanamichi invece si fece una risata, e subito cambiò atteggiamento, dandole una sonora pacca sulla spalla in segno di approvazione. "Non male per una femmina!" Femmina che dal canto suo si rilassò a quel segno di cameratismo, rispondendo allo stesso modo.
"Non ti ho fatto male vero? Sembri robusto"
"Il genio del basket non può farsi male. Sono un duro io" (Caliamo un velo pietoso, conosciamo tutti l'egocentrismo di Hanamichi -__-' NdSary; Non sono egocentrico, io sono il futuro capitano! NdHana; Si certo, come no! Quando la volpe frigida sarà morta! NdSary -_- Cosa? NdRukawa)
"Ehi non guardatemi con quelle facce, sembra abbiate visto un mostro!" Sotto sotto sorrise divertita.
Il primo a riprendersi dallo stupore fu il ragazzo con la pettinatura da teppista, decisamente il più carino della compagnia. Fece un passo avanti disse con un gran sorriso: "Siamo solo sorpresi perche sei una ragazza, tutto qua. Ti credavamo un maschio, vista la divisa." "Ah, giusto. Non avevo pensato alla divisa, per me è normale. Non mi piace vestirmi da femmina" disse la ragazza fingendo noncuranza, ma pensando tra sè che non avrebbe rinunciato ad un paio di pantaloni che le coprissero per bene le gambe per nulla al mondo. Il commento passo del tutto inosservato.
"Beh, io sono Yohei Mito e questi sono i miei amici Nozomi Takamiya, Yuji Okusu, Chuichiro Noma e Hanamichi Sakuragi. Siamo del secondo anno, classe 2A." Il ragazzo, Yohei, indicò in ordine il panzone, il ragazzo biondo e l'altro moro, oltre al già dichiarato rosso. Il primo sembrava la mente, l'ultimo l'elemento da tenere perennemente sotto controllo. Suo malgrado sorrise. Le erano in qualche modo istintivamente simpatici.
"Credo sia giunto il momento anche per me di presentarmi. Allora, dov'ero rimasta? Ah, si. Sono italiana, 17 anni, sono iscritta al terzo anno e mi chiamo Sara Cortesi, piacere."
(Ah, ah, non ve lo aspettavate vero questo colpo di scena! NdSary; guarda che era scontato -__-' NdMitchi; vuoi un'altro pugno? NdSary; No, no, dopo aver visto come sei violenta! ^^' NdMitchi; Meglio per te! NdSary)
"Piacere nostro!" risposero in coro. "Hai detto terzo anno? Non sembravi..." "...una sempai? Immagino me lo diranno in molti. Troppo bassa, vero?" sorrise. Mito ebbe la prontezza di togliere gli altri maschi dall'imbarazzo di una risposta. "Ma no, assolutamente! E' che le occidentali sembrano sempre molto più giovani!" "Si, giovani prugnette!" "Zitta, scrofa!" La ragazza temette di non aver capito il commento di quello che le era stato presentato come Nozomi Takamiya. O peggio ancora di averlo capito perfettamente. Al commento seguì uno scambio di insulti vari tra quattro dei ragazzi, mentre quello che le appariva sempre più come l'unico con un cervello, Mito, si teneva in disparte. "Sei già passata in presidenza?" "Volevo andarci ora." "Vieni, ti accompagno" E dicendo questo le fece strada, lasciando gli amici a continuare il loro tafferuglio. Non appena li videro allontanarsi tutti gli studenti che affollavano il cortile poterono sentire una serie di insulti rivolti al numero due della Sakuragi Gundan, che incurante proseguì la sua strada al fianco della nuova venuta. Seguito a ruota dagli altri. (Chi sarebbero gli altri! NdGli altri; Basta! NdTaka-Oku-Noma). Fu assegnata alla sezione L e poi trascinata letteralmente sul palco della palestra di quello che scoprì essere il club di basket per la presentazione dei nuovi iscritti, dove il preside stava concludendo il suo discorso:
"Infine Cortesi-san proviene dall'Italia, ed ha deciso di trascorrere nel nostro Istituto un anno di studi. Spero che la tratterete come un'amica e la accoglierete tra di voi, facendola sentire come a casa." Un po' imbarazzata dagli sguardi che la fissavano, prese la parola.
"Spero di diventare amica di tutti e che riusciate ad accettarmi." per poi inchinarsi davanti la platea.
Ci fu l'applauso degli studenti, seguito dal comiato del preside con l'augurio di un buon anno scolastico. Sara fu presto circondata da studenti e studentesse dei tre anni, che la ricoprirono di domande di rito, senza lasciarle quasi il tempo di rispondere. Fortunatamente, vide avvicinarsi qualcuno che sperava l'avrebbe salvata da quell'orda. "Largo, largo, lasciatela passare! Cosa c'è, non avete altro da fare, branco di gatte morte!" urlò Hanamichi seguito dalla sempre presente armata.
Tutti fecero ala ai cinque, impauriti dalla voce del rosso. Si sapeva cosa succedeva a farli innervosire, soprattutto dopo la vicenda di Mistui in palestra, la stessa palestra da cui uscirono chiacchierando. Le lezioni stavano per cominciare. Haruko le presentò le sue amiche (Ve le ricordate vero? Matsui e Fuji. NdSary), che avrebbero frequentato con lei la 2F. Al secondo piano si salutarono, dopodiché si diressero tutti verso le rispettive classi, promettendosi di trovarsi per il pranzo in terrazza.
Speriamo di conoscere qualche compagno simpatico. In fondo dopo solo un'ora in questa scuola ho conosciuto quei cinque ragazzi e Haruko, pensò mentre proseguiva su dalle scale verso il terzo piano, dove sapeva trovarsi le classi terze.
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Capitolo 2 *** Vecchi amici e vecchi nemici ***
Capitolo II
Vecchi amici e vecchi nemici
La ragazza si fermò sotto la semplice targhetta di metallo che riportava il numero della propria classe. Fissò la scritta: 3 – L. Terzo piano, classi terze. Logico in effetti. Allungò la mano verso la maniglia, incassata nella porta scorrevole. Prendere la decisione di trasferirsi in Giappone per un anno di studio era stato ironicamente più semplice. Aveva preso una decisione, e una volta deciso cosa voleva fare si era fatta trascinare dagli eventi: aveva contattato un'agenzia che aiutava gli studenti a intraprendere periodi di studio all'estero. Ricordava tutto il seguito come un rapido turbinio di eventi, tra carte da firmare e i documenti da preparare. Aveva riempito così tanto le sue giornate da non lasciarsi il tempo di pensare. E adesso si ritrovava in una nuova scuola, ad un passo dall'entrare in quella che sarebbe stata la sua classe per un anno, e si ritrovava ad aver paura. Cos'avrebbe fatto lì da sola, completamente sola? Se non fosse andata bene? Se non fosse riuscita ad adattarsi a quella vita?
Scosse la testa, rendendosi conto di essere rimasta a fissare una crepa nel legno, ingombrando l'accesso alla classe. In fin dei conti non serviva a niente agitarsi in quel momento. Era ormai troppo tardi per cambiare idea. Come sempre le succedeva, veniva colta dai dubbi solo ad un passo dalla meta. Sarebbe stato meglio non avere dubbi affatto, o farseli venire prima. Si diede della stupida tra sè. Meglio fare un bel respiro ed entrare. Toccò la porta, quando riconobbe una voce alle sue spalle.
"Finalmente hai mantenuto la promessa! Sei tornata a trovarmi." La voce proveniva da un bel ragazzo con capelli castani corti e ricci. Un orecchino a punto luce gli brillava al lobo sinistro. "Ma non mi aspettavo certo che volessi iscriverti al mio stesso liceo!" Proseguì. Senza pensarci un momento la ragazza gli gettò le braccia al collo, posandogli un bacio sulla guancia.
"Ryochan, che bello vederti, non sai quanto mi sei mancato!" Ryota Miyagi, guardia dello Shohoku e capitano, ricambiò l'abbraccio.
"Ehi, non dirmi che sei anche tu nella L, carotina." Esclamò poi, dandole un buffetto scherzoso alla guancia e chiamandola con il soprannome che sapeva farla imbarazzare. Lei rispose sbuffando.
"E invece si, mio caro, dovrai abituarti ad avermi attorno."
"Sopravviverà, non preoccuparti." La voce femminile che udirono replicare apparteneva ad una bella morettina con i capelli ricci, lasciati cadere sciolti sulla schiena. Ayako, manager della squadra di basket dello Shohoku, era sopraggiunta alle loro spalle, e le voci dei due avevano coperto il suono dei suoi passi. Non appena le due ragazze si videro tesero le braccia l'una verso l'altra in maniera quasi automatica e si abbracciarono. L'italiana era al settimo cielo per la fortuna che aveva avuto. Era riuscita a ritrovare i suoi due amici senza neppure dover andare a cercarli per tutta la scuola. Si era iscritta a quel liceo appositamente per poter frequentare quell'anno scolastico con loro, ma non riusciva a capacitarsi della propria fortuna. Avrebbe trascorso l'anno in classe con i due.
"Bene! Siamo nella stessa classe! Ora che ne direste di entrare?" propose la manager con il suo abituale piglio autoritario, scuotendo i ricci castani e aprendo la porta. Prima di attraversare l'ingresso Sara si avvicinò all'amico, sussurrandogli nell'orecchio.
"Sarai contento, sei in classe con la tua Ayakuccia"
Il ragazzo arrossì senza poter dire niente. Al loro ingresso alcuni sguardi si rivolsero verso di loro. Ignorandoli, i tre amici si diressero in fondo all'aula, dove alcuni banchi singoli non erano occupati. Erano rimasti vuoti solo quattro posti, in due file affiancate sul lato destro dell'aula. Ne occuparono tre. Ayako si sedette nel posto esterno destro, nella fila davanti, con Ryota subito dietro di lei. Sara si accomodò nel banco vuoto al fianco del playmaker. Cercò di ignorare gli altri studenti, mentre Ayako parlava a ruota libera di cosa aveva fatto da quando si erano sentite l'ultima volta tramite Skype. Tutti gli occhi erano puntati verso l'occidentale. Lei si sentiva un po' a disagio, non le era mai piaciuto essere al centro dell'attenzione in quel modo. Aveva la sensazione di essere un animale in una gabbia di zoo, con un sacco di turisti che lo guardavano incuriositi. Provò a fissarli di rimando, ma notò che tutti quando si vedevano scoperti a fissarla giravano la testa e fingevano di parlare con il compagno più vicino.
"Non farci caso, si abitueranno presto alla tua presenza, ma per ora sei una bestia rara." La manager le sorrise. "Comunque cosa fai a pranzo? Mangi con me?"
"Non so, ho già promesso a dei ragazzi che ho conosciuto stamani di mangiare con loro."
"Chi, chi? Erano carini?" Si illuminò Ayako, facendosi improvvisamente più vicina a lei. (Certo che è proprio curiosa questa ragazza! NdSary)
"Un paio si." Rispose riflettendo. "Sono di seconda. Mi hanno detto di chiamarsi l'armata Sakuragi. E con loro c'era anche una ragazza. Di nome Haruko Akagi."
Intervenne Ryota: "Allora erano quegli scemi di Mito e gli altri. Il rosso è un megalomane, gioca a basket credendosi un dio e Haruko è la sorella di Takenori Akagi, ex capitano dello Shohoku." disse tutto d'un fiato. "Devi sapere che vengono ad assistere a tutti gli allenamenti, e fanno più chiasso di quelle galline del Rukawa Shitenai!" Dopo questo commento l'espressione infastidita si espanse anche al volto della manager.
"Quella è la sorella del gorilla?" E cosa sarebbe uno Shitenai? Boh!
"Esatto."
"Non gli somiglia per niente."
Il neo capitano non ribattè ulteriormente, perchè la porta scorrevole si aprì per l'ennesima volta e fece il suo ingresso un uomo in completo ecrù, che doveva aver superato da poco la quarantina, sebbene i capelli cominciassero già ad essere brizzolati in prossimità delle tempie. Raggiunse la cattedra e vi appoggiò sopra un libro di testo. Da quella distanza non fu semplice leggere la copertina.
"Silenzio, incomincia la lezione!"
Presentò brevemente la ragazza alla classe, che comunque era tutta presente alla cerimonia di ammissione, per passare rapidamente alla prima ora di lezione: Matematica. Per fortuna, sospirò Sara. Non era così convinta di aver parlato bene in giapponese. Sicuramente non l'avevano corretta negli errori che aveva fatto per cortesia. In fondo non lo studiava da tanto e aveva paura che le potessero venire a mancare le parole o dirne di altre lingue (infatti frequento uno scientifico bilingue e oltre a italiano e a capire il latino parlo inglese e tedesco. Come vorrei saper parlare così bene anche giapponese ç___ç NdSary; Su non ti abbattere così. NdHana; Grazie, sei un'amico snif! NdSary). Almeno in matematica se la cavava e doveva parlare il linguaggio dei numeri.
Il professore cominciò a scrivere alla lavagna un esercizio, quando la porta della classe si aprì e andò a sbattere contro lo stipite interno. Il rumore attirò l'attenzione di tutti gli studenti, che rivolsero le teste in quella direzione. Entrò un ragazzo alto più di 1 metro e 80. Aveva i capelli tagliati molto corti, neri e arruffati. La camicia a maniche corte, portata con i primi due bottoni slacciati e senza giacca, appariva aderente alle spalle e in corrispondenza dei bicipiti. Dai muscoli doveva essere un atleta. (L'avete già riconosciuto vero? NdSary).
Il professore puntò il gesso verso il ragazzo, e lo bloccò appena entrato in classe, prima che potesse andare ad occupare l'ultimo posto vuoto senza essere visto.
"Mitsui, ti sembra questa l'ora di arrivare? Invece di bighellonare dovresti cercare di arrivare almeno puntuale alle lezioni, soprattutto visto che sei stato bocciato! Ora vai a sederti nel posto davanti alla nuova studentessa. Per oggi non ti punirò, ma che non succeda mai più."
"Va bene professore" disse il moro svogliato, stortando la bocca in una smorfia. Guardando la classe notò l'unico banco libero, e senza degnare di attenzione i nuovi compagni andò a sedersi al suo posto.
Cavolo, è così alto che non riesco neppure a vedere la lavagna. Sara dovette scansarsi un po' di lato per riprendere la visuale. Mentre gli occhi erano concentrati altrove, le orecchie erano ben tese a cogliere i bisbigli dell'amico, che all'arrivo del nuovo compagno si era sporto a dargli una pacca sulla spalla, presto seguito da un colpo inflitto dalla manager con il proprio quaderno, diretto alla nuca del ragazzo che le sedeva accanto.
"Bell'entrata in scena Mitsui, neanche dopo un'ora di scuola, già ti fai richiamare dai professori?!" disse Ryota al nuovo arrivato, fingendosi severo per la nuova posizione acquisita. In realtà stava ridendo sotto i baffi.
"Che ci vuoi fare, mi sono addormentato in cortile." rispose il moro, scrollando le spalle e dando un'occhiata dietro di sè con la coda dell'occhio. L'italiana dal canto suo sorrise tra sè, tornando a copiare l'esercizio. Magari è un giocatore del club di pallacanestro. Sarebbe una spiegazione plausibile.
La lezione proseguì senza altre interruzioni. Dopo qualche minuto Sara rialzò gli occhi, e notò il presunto compagno di squadra di Ryota girato verso di lei che le fissava i capelli. Incrociò il suo sguardo. Lui non sciolse subito il contatto visivo, e lasciò passare alcuni momenti prima di girarsi. Lei rimase a fissare la sua nuca, confusa. Quegli occhi le avevano trasmesso una strana sensazione. E aveva notato anche una leggera cicatrice sul mento del ragazzo, con tre o quattro punti ormai completamente rimarginati. Non sapeva spiegarselo, ma dopo averlo guardato non si sentiva tranquilla. C'era qualcosa in quel ragazzo di familiare. Era solo una sensazione, come un fastidio, un pizzichio lungo la schiena. L'aveva già visto da qualche parte, ma dove? All'inizio non riuscì a pescare quel ricordo dalla sua memoria. Poi cominciò a delinearsi nella sua mente la figura di un ragazzo. Capelli lunghi neri, riflessi talmente scuri sotto la luce intensa di una giornata di estate da sembrare blu elettrico. Un sorriso arrogante, divertito dalla situazione. Una cicatrice sul mento. No, non può essere proprio lui! Non nella mia stessa classe. Mi sbaglio. Cercò di allontanare quel pensiero, e concentrarsi nuovamente sulla lezione. Il professore aveva continuato a scrivere gli esercizi da fare per compito. Quanto tempo era rimasta distratta? Sarebbe stato meglio stare più attenta e non dilungarsi in altri pensieri. Col tempo avrebbe chiarito le idee.
Le ore passarono, senza che si concedesse più l'occasione di distrarsi. Di contro lui non si era più voltato verso di lei. Durante le pause si era sempre rivolto ad Ayako, raccogliendo un paio di sguardi omicidi da parte di Ryota Miyagi. Finalmente la campanella che decretava la pausa pranzo squillò. Non ce la faceva più. Gli argomenti svolti non erano difficili, ma dopo la lezione di matematica c'era stata quella di storia giapponese e non ci aveva capito quasi niente. Al massimo avrebbe potuto farsi aiutare dagli amici ma non voleva dipendere da loro e poi puntava al riuscirci da sola, magari usando il libro e un buon dizionario sarebbe riuscita a capire quasi tutto. In fin dei conti non era una stupida. Aveva sempre avuto buoni risultati scolastici.
"A cosa stai pensando Sarachan?" chiese l'amica facendola scendere dalle nuvole su cui era salita.
"Niente niente. Pensavo solo che dovrò impegnarmi per capire tutto."
"Ti capisco. Io non ci capisco niente nè di matematica nè di storia!" disse Miyagi sconsolato.
"Questa non è una novità.", lo derise lei.
"Che fai, sfotti?"
"Come potrei, ci ha già pensato Madre Natura!" e le due ragazze scoppiarono a ridere (Libera citazione di Aldo, Giovanni e Giacomo, i miei comici preferiti! NdSary). La manager riprese il controllo della conversazione:
"Allora mangi con me? Non è un problema unirsi a Sakuragi e agli altri." Intanto si alzò dalla sedia e raccolse il cestino del pranzo, avvolto in un fazzoletto azzurro con cherubini volanti che svolazzavano sulla stoffa.
"Per me va bene. Andate avanti, io intanto sistemo gli appunti e vi raggiungo in terrazza."
"Ok. Ci vediamo dopo" e dicendo questo Ayako e Ryota uscirono dalla classe.
Finì di scrivere una frase sul quaderno, diede una rapida occhiata al contenuto del libro e chiuse entrambi, riponendoli nella cartella appesa a lato del banco. Oramai tutti erano usciti per andare a mangiare, notò. Cercò il suo obento nella cartella, sperando di non averlo rovesciato. Lo estrasse, e stava per alzarsi ed andare a raggiungere gli amici quando ebbe la brutta sensazione di essere osservata. Non era da sola in classe. Ancora seduto davati a lei c'era il ritardatario, che la stava fissando con uno sguardo serio e intenso. Non avevo notato che i suoi occhi fossero blu scuro.
Sara allontanò subito quello strano pensiero. Non sopportava quello sguardo e per risposta lo fulminò con gli occhi. Guardandolo ora ne era sicura. Anche se i capelli erano molto più corti quello sguardo era identico, non poteva sbagliarsi. E come lo aveva chiamato il professore? Mitsui? Si, anche il nome corrispondeva. Era proprio lui.
Non ci sono dubbi, è proprio lei, pensò il ragazzo. La osservò ancora un istante. I capelli non erano più corti fino alle orecchie, come li ricordava. E non indossava il cappellino con visiera rosso con cui l'aveva vista la prima volta. Ma lo sguardo intenso e infiammato era uguale. Era decisamente lei.
Fu lui il primo a prendere la parola, apostrofandola aspramente:
"Ma guarda un po' chi si vede? Che ci fai qui, ragazzina?" Le rivolse un sorriso sgembo, carico di scherno. Sara notò quel sorriso falso, e si infiammò di conseguenza. Come osa chiamarmi ragazzina! Maledetto!!! Glielo farò rimangiare!
"Potrei farti anche io la stessa domanda? Ah, no, scusami, la risposta la so già. Ti hanno stangato e così sei costretto a stare in classe con una ragazzina come me!" Gli riservò poi lo stesso identico sorriso che lui le aveva rivolto poco prima, gongolando di essere riuscita a ribattergli. A Mitsui cominciò a montare la rabbia.
"Bene, vedo che la tua linguaccia non la riesci ancora a tenere a freno. Non hai ancora capito che devi avere rispetto per quelli più vecchi di te!" Il suo tono si abbassò, scendendo ad un brontolio rabbioso sulle ultime parole. Allo stesso tempo si era girato completamente verso di lei, e aveva sbattutto i palmi delle mani sul banco della ragazza. Lei sobbalzò al gesto, cancellando però rapidamente dai suoi occhi l'ombra di spavento che vi era passata. Ora anche lei si stava decisamente arrabbiando.
"Per quelli più vecchi di me? Chi intendi? Tu e quegli incapaci che ti tiravi dietro un anno fa? Non posso provare certo rispetto per un branco di teppistelli!"
"Se non sei finita in ospedale è solo perchè sei una donna!"
"Ma davvero?! Tu guarda! Se non sbaglio i tuoi amichetti erano già culo a terra prima che voi vi accorgeste che fossi una femmina!" Gli sorrise, sfottendolo. La seconda guardia strinse le mani ai lati del banco, fino a rendere le nocche bianche. Poi avvicinò il viso al suo. Se la tattica intimidatoria non funzionava con lei, meglio provare in altro modo a farla star zitta.
"Quelli erano degli incapaci. Se non ti avessi risparmiato, io ti avrei fatto molto male!" Le parole gli uscirono dalle labbra con un tono ingannevolmente dolce. Inaspettatamente per lei allungò un mano verso la sua guancia, accarezzandola. Colse il rossore che le vide propagarsi in viso, e che interpretò come una reazione alla sua vicinanza. Alcune ragazze reagivano così. A quel punto le rivolse un sorriso di scherno, lasciando il palmo a coprire la sua guancia. Lei stava bruciando di rabbia. Gli schiaffeggiò la mano.
"Toccami un'altra volta e te la stacco! E comunque ricordati che ad andarci, in ospedale, sei stato tu! Cosa ti avevo fatto con quel pugno? Ti avevo rotto la mascella? O solo mandata fuori posto?"
"Niente di tutto questo!", rispose lui piccato
"Peccato!" Ora anche lei si era alzata dalla sedia, su cui era rimasta seduta per tutta la discussione e gli si era fatta più vicina, desiderando con tutte le forze che le desse l'occasione di mollargli una sberla. Ricominciarono a litigare, e forse sarebbe passata alle mani, se non fosse entrato Sakuragi, interrompendoli. Si allontanarono di scatto l'uno dall'altra.
Mitsui si mise le mani in tasca e fissò il compagno di squadra, cercando di capire che cosa ci facesse nella sua classe. Lo vide squadrare la ragazza dai capelli rossi, e rivolgersi a lei.
"Ti stavamo aspettando per mangiare! Non vieni?"
A quel punto Hanamichi notò il tiratore da tre, che non sapeva neppure trovarsi in quella sezione. Squadrandoli si rese conto di aver interrotto qualcosa. Ciascuno evitava lo sguardo dell'altro. Sara aveva stretto le braccia attorno al corpo, e cercava di fingere interesse per il muro divisorio, mentre il giocatore stringeva a pugno la mano schiaffeggiata, concentrandosi sulla finestra dall'altra parte della stanza. Naturalmente, Hanamichi non capì nulla.
"Ah scusa Sarachan, eri in dolce compagnia." Il suo sorriso si allargò.
"Dolce non è la parola giusta" rispose lei furibonda. Ci mancherebbe solo questo!
Hanamichi non capì il tono della voce, quindi continuò ridendo.
"Forza Mitchi, vieni a mangiare con noi! Sempre che tu non abbia altri progetti in mente..." Il suo si allargò ulteriormente, passando lo sguardo dal ragazzo moro alla nuova arrivata. "Però questo non è il posto migliore per pomiciare. Love love". Il tutto avvenne in pochi secondi. Il ragazzo moro assestò al compagno di squadra un tremendo pugno sulla testa (gorilla punch), appena prima che Sara gli mollasse un testata in fronte e lo atterrasse del tutto. Hanamichi si rialzò dopo pochi secondi, sfregandosi la testa e piagnucolando. "Che permalosi che siete! Solo perchè vi ho interrotti! Me tapino!"
"Non hai capito niente!" "Non hai capito una sega!"
Hanamichi continuò a sfegarsi la testa "Allora non vieni Mitchi?"
Quella proposta arrivò come una frecciata per entrambi. Non bastava avere questo poco di buono in classe, pensò lei. Adesso doveva pure mangiare con lui, visto che sembrava conoscere i suoi nuovi e vecchi amici. Una giornata che era cominciata benissimo stava proseguendo in maniera atroce. Almeno avesse rifiutato.
"No Hanamichi, non ho voglia, penso che andrò un po' in cortile a prendere una boccata d'aria" esclamò il giocatore cercando inutilmente di mantenere la voce calma. Grazie, pensò tra sè la ragazza.
"Una boccata d'aria la puoi prendere anche in terrazza, anzi lì starai con amici. Andiamo." dichiarò perentorio Hanamichi, quindi prese uno per un braccio e l'altra per l'altro li trascinò letteralmente in terrazza. I due non riuscirono a reagire.
In terrazza Sara fu subito sommersa di domande e in breve tempo seppero tutti della sua amicizia con Aya e Ryota, che aveva conosciuto un paio d'anni prima, quando aveva visitato la prefettura di Kanagawa. Ma non seppero nulla del primo incontro con Mitsui. Hanamichi disse a tutti con fare pettegolo che li aveva trovati insieme, da soli in classe, e prossimi a baciarsi, e cominciò a fare congetture su cosa sarebbe successo se il grande eroe Hanamichi Sakuragi non fosse intervenuto a salvare la situazione. (Che idiota che sei Hana.. NdA; Perchè ce l'avete tutti con me? ç_ç NdHana) Nessuno gli diede retta, tanto più che i due diretti interessati si sedettero il più lontano possibile l'uno dall'altra, e non si rivolsero una parola. < br /> Finita la pausa pranzo tutti tornarono in classe per le lezioni pomeridiane, e finite queste si trovarono per le attività extrascolastiche. Come al solito Mito & company non avrebbero partecipato a nessuna attività di club. Hanamichi, Ryota e Ayako avevano il loro bel da fare con il basket e Haruko, appena diventata seconda manager della squadra, si attaccò alla prima manager. < br /> Mitsui non disse più nulla, e finite le lezioni scappò letteralmente dalla classe. Meglio così. La ragazza sapeva che era una cosa stupida, ma si era resa conto di essersi arrabbiata fuori misura per un semplice tocco sulla guancia. Cosa mi è preso? Ho fatto il suo gioco.
"A che club hai intenzione di isciverti?" chiese Okusu riscuotendola dai suoi pensieri.
"Non so ancora. C'è un club di calcio in questa scuola?"
"Certo, ma è soltanto maschile." rispose Noma, non capendo il senso della domanda.
"C'è un regolamento che vieta a una ragazza di farne parte?" Chiese la rossa con fare distratto (Sta ancora pensando a Mitsui! NdSary)
"Che io sappia no." disse Fuji un po' interdetta dalla domanda.
"Allora vado subito ad iscrivermi. Ciao, ci vediamo dopo alla palestra di basket."
"Ma non sai neanche dov'è!" le urlò dietro Mito.
"La troverò" rispose quella correndo via.
Si iscrisse al club, non senza lasciare di stucco gli addetti alla segreteria. Sapendo che per quel giorno gli allenamenti non ci sarebbero stati, ma che sarebbero cominciati l'indomani si avviò verso la palestra del club di basket. La trovò praticamente subito e fuori dalle porte vide un sacco di ragazzine intente ad urlare. Davanti a queste si trovavano Haruko e le amiche, la prima con indosso una maglietta dei Lakers lunga e un paio di pantaloncini sportivi. Assieme a loro vide l'armata Sakuragi. Li raggiunse facendosi largo, e nel frastuono che copriva gli altri suoni, chiese chi fossero le ragazze urlanti. Rispose la seconda manager:
"Queste galline sono le fan del più bel giocatore di basket mai esistito. Oh, Rukawa." e alla piccola Akagi e i suoi occhi cominciarono a brillare, assumendo una strana forma a cuore, mentre un rivolo di bava le colava dalla bocca.
"Ma è scema?" si lasciò scappare Sara prima di potersi trattenere, guardando le amiche della ragazza.
"No, solo innamorata persa di Rukawa. Guardalo, eccolo là, il numero 11.", disse Matsui indicando un ragazzo dai capelli neri con una frangia che quasi gli copriva gli occhi. Sara lo guardò appena.
"Ma Haruko non è la ragazza di Hanamichi?" Si stupì. Forse Hanamichi non era il solo a non avere capito la situazione quel giorno.
"No, non si accorge neanche di lui, ha occhi solo per Rukawa." disse Mito squotendo la testa.
I ragazzi stavano correndo lungo il perimetro della palestra. Riconobbe Ryochan, rapidissimo nella corsa. Era davvero veloce. Accanto a lui stava Hanamichi, che faticava a stare al passo con il neo capitano. La rossa si mise a ridere. Come cavolo correva? Poi il suo sguardo si posò su un ragazzo che li aveva appena raggiunti. No, non era possibile, anche lì doveva trovarselo quel, quel, non sapeva neanche a che bestia pensare perchè le amava tutte e facendo un paragone con loro le avrebbe offese. Optò per un insulto più semplice, che stupì lei stessa. Maniaco.
"Vedo che continui a fissare il nostro numero 14, allora Hanamichi aveva ragione." disse Mito con un sorriso malizioso. La ragazza avrebbe forse colto una nota stonata nella sua voce, un po' delusa, se solo non fosse stata impegnata a maledire sè stessa per essere rimasta a fissarlo.
"Ti sbagli, mi chiedevo solo come fa un teppistello da quattro soldi come quello a far parte della squadra di basket." disse con aria schifata.
"Beh, quel teppistello da quattro soldi come dici tu era stato nominato alle medie MVP (Most Valuable Player, per i non esperti! NdSary), e dopo aver chiesto perdono all'allenatore Anzai è stato riammesso in squadra. Ora non è più un teppista, è diventato un bravo ragazzo." Mito si sentì in dovere di difenderlo. L'anno prima proprio non lo sopportava, ma era da mesi che lo frequentava, e aveva cominciato a piacergli come persona. E il tono di sufficienza nella voce della rossa lo aveva tranquillizzato non poco.
"Io ho i miei dubbi." Scosse la testa. "Scusate, ora vado a casa, sono stanca. Salutate voi tutti. Ciao!" Se ne andò via senza attendere risposta, e costringendosi a non voltarsi indietro.
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Capitolo 3 *** Incontri e scontri ***
I
personaggi sono sempre di Inoue, anche se gli ho chiesto di
vendermeli. Per ora purtroppo è solo disposto a prestarmeli,
sigh
ç___ç. Se la storia vi piace commentate. Se non
vi piace, per piacere commentate: posso solo migliorare ^_^
Capitolo
III
Incontri e
scontri
Fece
la strada di ritorno il più
rapidamente possibile, pattinando alla velocità massima che
le fosse
consentita evitando di schiantarsi contro un'automobile. Arrivata
alla villetta saltò letteralmente i gradini che portavano al
piano
superiore e si ritirò in camera sua, dove si
spogliò, gettando in
malo modo la divisa scolastica sul letto all'occidentale. La casa di
cui era ospite apparteneva ai suoi zii, che gliel'avevano lasciata
volentieri per quell'anno. Non che fossero veri zii, naturalmente. Si
trattava di una famiglia giapponese, vecchi amici dei genitori della
ragazza. Si erano conosciuti vent'anni prima, durante un viaggio
organizzato in Spagna, e da allora si erano tenuti sempre in
contatto.
A
distanza di qualche anno la coppia aveva avuto un figlio,
Genzo, ed essendo i due ragazzi nati nello stesso anno le famiglie
avevano fatto in modo di mantenere i rapporti. Così Genzo e
Sara si
erano conosciuti ed erano diventati ottimi amici fin da piccoli. Si
trattava di un rapporto strano, quasi esclusivamente estivo, quando i
genitori dei due decidevano di partire per una destinazione esotica
e trascorrere le vacanze assieme. Questo almeno era avvenuto fino a
che le due coppie erano giovani. Poi, con il passare del tempo si
erano visti sempre più di rado. Fino a due anni prima,
quando lei
aveva pensato di fare una vacanza studio. E quale posto migliore da
scegliere se non il Giappone, dove non era mai stata e che voleva da
sempre visitare? Così aveva passato un'estate a
Kanagawa.
Più
che
un amico Genzo per lei era un fratello. Si erano sempre confidati
tutto, si conoscevano come nessun'altro, ma ora anche lui era lontano
con la famiglia, in Germania, perchè voleva diventare un
calciatore
professionista. Era anche per questo che amava tanto il gioco del
calcio. Era lo stesso sport che il suo migliore amico praticava, e
poco alla volta si era abituata, giocando con lui. Il basket invece
non le piaceva granchè, non che lo odiasse, ma certo
preferiva il
calcio. Aveva provato a guardare qualche partita di pallacanestro in
televisione, e le erano piaciute, questo sì, e avrebbe
sicuramente
fatto il tifo per lo Shohoku al campionato nazionale andando a vedere
tutte le partite e gli allenamenti. Si, avrebbe.
Non ne era
più molto sicura di voler avere a che fare con il club di
basket
dello Shohoku. E il suo problema aveva un nome: Mitsui!
Cavoli!
Perchè deve tornarmi in mente
adesso quell'odioso, e rovinare tutto! Lo odio! E se ripenso a
stamattina... E
cominciò a ripensare. Da quando il ragazzo aveva fatto la
sua
apparizione sbattendo la porta,
lei si era ritrovata a fissarlo, con interesse. Per un secondo aveva
pensato Ecco un altro impulsivo come me.
E aveva continuato a guardarlo anche dopo, quando si era seduto di
fronte a lei. Aveva sorriso tra sè per come aveva risposto
al
professore. Anche lei avrebbe fatto lo stesso. E anche in palestra
aveva continuato a fissarlo mentre giocava a basket. Non aveva mai
visto qualcuno giocare dal vivo, e doveva ammettere che era bravo, ed
elegante. L'aveva guardato negli occhi anche quando... Maledetto
Stronzo! E io cosa faccio? Arrossisco pure... anche adesso!
Penserà
di aver fatto colpo quel donnaiolo, invece ero solo furente! E
sorrideva pure! Non succederà più che mi faccia
prendere alla
sprovvista!
Inspirò ed
espirò
lentamente, cercando di calmarsi. Le era montata la rabbia di nuovo.
Le faceva un pessimo effetto quel ragazzo. E soprattutto arrabbiarsi
non serviva a nulla, se non a farla sentire male. Solo
pensare
a lui le aveva provocato un dolore al petto e il fiato le si era
fatto corto. Come faceva a farla arrabbiare così tanto?
Doveva
affrontarlo. Alcune cose non si potevano cambiare. Non voleva certo
rinunciare a vedere gli allenamenti di pallacanestro di Ryota, ma
almeno doveva pensare a come stare nella stessa classe con
quell'idiota di Mitsui senza farsi venire una crisi di nervi ogni
volta che se lo trovava davanti. Probabilmente l'unica cosa che
potesse fare era ignorarlo. Però se prova di nuovo
a toccarmi...
Si dette
nuovamente della
stupida. Stava continuando a pensare a quel gesto. Sicuramente si era
voluto prendere gioco di lei. Come se qualcuno per lei potesse
provare interesse.
Sempre maledicendosi indossò la tuta da
ginnastica lunga e afferrò il pallone da calcio, che aveva
lasciato
vicino al letto. Uscì di nuovo di casa per andare a fare una
corsa
palla al piede. Aveva decisamente bisogno di correre fino a che non
si fosse sfogata. Corse a lungo, girando per il quartiere dove
abitava. Chissà che senza pensarci avrebbe trovato la
soluzione dei
suoi guai.
Il
sole stava ormai tramontando quando vide davanti a sè
la spiaggia. Si ritrovò a fissare il mare, bellissimo, con
le onde
che si infrangevano impetuosamente sul bagnasciuga. I gabbiani
volavano bassi sul filo dell'acqua, tuffandosi in acqua in picchiata
per poi ricomparire alla vista, a volte, con un pesce nel becco.
Guardare il mare grosso la stava in qualche modo coinvolgendo e
trasmettendole la sua energia. Decise di provare qualche tiro in
porta, giusto per riscaldarsi e verificare un'ultima volta di essere
in forma per ciò che l'aspettava il giorno seguente.
Sicuramente i
compagni di squadra l'avrebbero presa sotto gamba solo
perchè era
una ragazza, e quindi doveva dimostrare da subito il suo valore, il
fatto che non era inferiore. Quello stesso giorno, per due volte,
l'avevano chiamata ragazza con quel tono che ben conosceva, quasi di
compatimento. Non le importava il giudizio degli altri, il fatto che
pensassero che una ragazza non fosse adatta. Voleva poter fare
ciò
che le piaceva. Punto. Non aveva mai sopportato le costrizioni, in
nessun campo.
Scese
sulla sabbia con la palla. Era
deserta. Sollevò il pallone di punta, e calciò
verso il nulla
davanti a sè. Corse quindi a riprendere la palla, e
ripetè il
gesto. All'infinito. Si fermò solo quando, andando a
riprendere il
pallone per l'ennesima volta, fece fatica a vederlo. Il sole stava
tramontando. Ed il suo stomaco cominciava a brontolare in maniera
sempre più rumorosa. Corse quindi verso casa rapida, non
volendo
arrivare nella completa oscurità.
Svoltando
nella strada dove
abitava, si trovò improvvisamente disorientata da una forte
luce e
andò a sbattere contro qualcosa, finendo a terra.
Restò stordita
alcuni attimi cercando di capire contro cosa avesse sbattuto mentre
aspettava che il formicolio della caduta scemasse dalle mani e dal
fondoschiena. Davanti a lei stava un ragazzo in sella ad una
bicicletta scura, o almeno pareva scura alla luce del lampione, che
le puntava direttamente negli occhi. Sentì una voce maschile
chiederle atona:
"Hn?
Tutto a posto?" Aveva di fronte il
ragazzo del club di basket, quel Rukawa di cui tutte le ragazzine
della scuola sembravano innamorate. Il ragazzo non accennò
ad
aiutarla ad alzarsi.
"Credo
di sì." Si puntellò da
sola sulle ginocchia, e si rialzò in piedi spolverandosi la
tuta.
"La
prossima volta guarda dove corri." Aggiunse
Rukawa con lo stesso tono distaccato. Sarebbe colpa mia
quindi?,
si chiese la ragazza. Gli inveì contro.
"Io dovrei stare
attenta? E tu cosa facevi su quella bici? Dormivi?"
Lui
la
fissò qualche secondo, come se avesse di fronte un'aliena,
quindi se
ne andò senza aggiungere altro. Che tipo. Ce
n'è di gente strana
in questo posto! E non capisco perchè tutte gli vadano
dietro. Un
po' troppo freddino, tipo igloo. (Chi sarebbe l'igloo? NdRu;
Preferisci blocco di ghiaccio? NdSary) Beh, meglio andare a
casa
adesso, si sta facendo davvero tardi.
La
mattina dopo si svegliò molto più
tardi del previsto. Non era abituata a dover usare una sveglia;
normalmente a casa la buttavano letteralmente giù dal letto.
Era
così tardi che dovette saltare la colazione e corse fuori in
fretta
e furia. Riuscì comunque ad arrivare a scuola 5 minuti prima
dell'inizio delle lezioni e a raggiungere la classe appena in tempo.
Non riuscì però a toccare la maniglia dell'aula
che la mano di un
ragazzo le passò accanto e premette sullo stipite della
porta,
sbarrandole l'ingresso. D'istinto lei indietreggiò di un
passo,
urtandolo con un braccio, e sentì alle sue spalle una voce
ben nota
darle il suo sarcastico buongiorno quotidiano:
"Buongiorno
Principessina! Vedo che anche le persone perfette
arrivano in ritardo come i comuni mortali. Credevo fossi già
qui da
ore, anzi che dormissi addirittura a scuola per far vedere a tutti
quanto sei diligente. E' bello essere al centro dell'attenzione,
vero?" Sara si voltò. Il numero 14 dello Shohoku troneggiava
su
di lei. Bene! Già mi sono alzata con il piede
sbagliato arriva
anche 'sto rompicoglioni!
"Uno:
Se non ti levi dai piedi
sarò in ritardo! Due: Non sono io ad
addormentarmi in cortile
come un vagabondo! E tre: Essere al centro della tua
attenzione mi preoccupa abbastanza! Sto male al solo pensiero!"
Un ghigno le si delineò sul viso, poi tirò la
maniglia
costringendolo a spostarsi per non cadere, e la porta finì
con lo
sbattere.
Entrata
in classe trovò i compagni ammutoliti, che li
fissavano. Forse avevano alzato un po' la voce. Ayako e Ryota si
alzarono e fecero per andarle incontro, intenzionati a scoprire cosa
stesse succedendo. Li ignorò, anche perchè dietro
di lei entrò
subito il ragazzo, urlandole contro incurante degli sguardi curiosi
dei compagni:
"Sai
cosa mi interessa di una mocciosa come te!
Se sei tu quella che mi sta sempre trai piedi! Vedi di non consumare
il mio ossigeno!" Invece di dirigersi al suo posto marciò
attraverso la classe, andando a sedersi sul cornicione della
finestra, stringendo convulsamente i pugni. Sara avrebbe voluto
ribattere, ma venne prontamente bloccata dai due amici.
"Cosa
diavolo prende a tutti e due?"
Ayako restò perplessa. Conosceva l'amica da un paio d'anni,
ma non
l'aveva mai vista reagire così con nessuno. Era davvero
stupita.
Neppure le volte, non rare in effetti, in cui Sara perdeva le staffe,
non era mai successo che reagisse con tanto astio. Ripensandoci anche
il giorno prima era improvvisamente cambiata da quando... Ayako si
illuminò. Era stata normale fino a che non erano finite le
lezioni
mattutine, e tutti erano andati a pranzo. Che il sempai Mitsui le
avesse davvero fatto qualcosa durante la pausa? Non lo credeva
possibile. Per quanto l'anno prima le facesse paura, ora lo conosceva
e sapeva di aver di fronte un bravo ragazzo, anche se un po' tanto
cazzone. O forse si sbagliava? Mentre rifletteva Sara non aveva
repplicato e si era diretta al suo banco stizzita, sbattendo la borsa
scolastica a terra in malo modo.
"Si
può sapere cosa ti ha
fatto?" continuò Ayako, abbassando il tono di voce. La
compagna
la ignorò. Mentre cercava di ottenere spiegazioni, ogni
ulteriore
tentativo venne interrotto dal suono della campanella.
All'ingresso
della professoressa di inglese
Mitsui tornò a sedersi al suo posto nero di rabbia. Non
aveva
rivolto uno sguardo alla rossa passandole davanti, ma l'aveva sentita
chiaramente sbuffare quando si era seduto coprendole la visuale della
lavagna. Sogghignò. I compagni di classe lo stavano
guardando con la
coda dell'occhio, timorosi. Che si impiccassero anche loro.
Ignorò
anche Miyagi, che cercava di attirare la sua attenzione.
Maledetta
mocciosa. Si
costrinse a non
girarsi verso si lei e continuare il battibecco. Fosse
un
maschio le avrei già fatto passare quel sorrisetto
strafottente. Di
tutte le scuole del Giappone proprio in questa doveva venire a
trasferirsi!? Non poteva starsene al suo paese? Italia, giusto? Per
fortuna che gli italiani dovrebbero essere persone solari! Questa
è
solo lunatica. Maledetta. Hisashi
Mitsui si
sfregò istintivamente
la cicatrice sul mento, memoria di una stupida rissa dell'anno
precedente. Si grattò sstrattamente la guancia sinistra,
dove la
barba stava cominciando a crescere di nuovo, nonostante si fosse
rasato il giorno precedente. Era la stessa guancia dove lei l'aveva
colpito ormai due anni prima. Al pensiero allontanò la mano.
Quella
mattina la ragazza aveva trovato un nuovo modo per farlo infuriare.
Io volevo solo stuzzicarla, e lei mi ha parlato
con quel
tono accondiscendente che non sopporto.
Come se fossi un cretino e un pervertito. E le
facessi
ribrezzo. Glielo farò rimangiare quel commento. Tornando
a concentrarsi sulla lezione fu colto da un pensiero fugace.
E' un vero peccato che sia una strega, perchè ha degli occhi
così
belli. Scosse
la testa, dandosi
dello stupido per quel pensiero.
Il
capitano e la manager del club di
basket capirono subito che non sarebbe stato intelligente mangiare
tutti insieme per quel giorno, vedendo come certezza nel proprio
futuro una nuova litigata trai due. Di mutuo accordo decisero di
dividersi i due litiganti, e di mangiare lei con Sara e lui con
Hisashi per scoprire qualcosa. Alla fine delle lezioni li
approcciarono separatemente.
Ryota
Miyagi si appoggiò mollemente sul
banco di fronte al suo vicecapitano. Sbirciò il quaderno
rimasto
aperto sul banco del compagno. Inglese. La materia che avevano avuto
4 ore prima. Si chiedeva come fosse possibile per lui non seguire le
lezioni e non essere richiamato neppure una volta dai professori. La
sua fama di teppista a quanto pare funzionava ancora. La pagina
bianca era coperta di spirali e altri disegni stilizzati. Qua e
là
emergevano alcuni ideogrammi. Li lesse di sfuggita. "Italia"
"Rosso" e poi, quasi nascosti sotto da una tratto di penna
premuto con forza per cancellarli dal foglio "Occhi" e
"Verde". Interessante....
"Hey
Mitchi!" Per un momento il
compagno alzò gli occhi blu, riservandogli uno sguardo
furente.
Ryota deglutì. Se lo ricordava bene quello sguardo. La sua
amica
doveva aver fatto dei danni seri per riportare indietro lo sguardo
omicida del teppista. Comunque continuò. "Ho bisogno del tuo
consiglio su come gestire le matricole, mangi con me e ne parliamo,
ok?" Lo sguardo truce di Mitsui non cambiò, ma almeno gli
rivolse la parola.
"Perchè,
oggi pomeriggio non è lo
stesso?" "No." Mitsui fece per andarsene. Il playmaker
lo tallonò. Anche se il ripetente cercava di distanziarlo,
il
capitano non gli permise di lasciarlo indietro, e alla fine il primo
rallentò il passo. Ryota seguì il compagno in
silenzio fino alla
mensa della scuola, e prese un panino imitato dall'altro ragazzo. Poi
costrinse il tiratore da tre punti a seguirlo dietro la palestra di
basket. Si lasciò quindi cadere mollemente sull'erba al
sole, mentre
l'amico si metteva con la schiena contro un albero, all'ombra.
Miyagi scartò il panino, e cominciò ad
addentarlo. Mitsui lo fissò
per qualche secondo, poi fece lo stesso. Passarono i minuti senza che
il capitano proferisse parola. Il suo vice finì il panino
per
ultimo, appallottolò la carta e la lanciò nel
cestino più vicino.
Canestro. Lo stesso fece Miyagi, rivolgendogli un sorriso sgembo.
"Che
problemi hai con le matricole, si
può sapere? O era solo una scusa per appartarti con me?"gli
disse strafottente l'ex MVP. Miyagi lo guardò serio, non
reagendo
alla frecciata.
"Mi
chiedo piuttosto tu che problemi
abbia con la mia amica." L'altro lo fulminò.
"Non
sono affari tuoi." Miyagi
esitò un attimo, guardandosi la punta delle scarpe, poi
fissò
profondamente il moro.
"Si
che lo sono. Tu sei mio amico, e
anche lei lo è. E non mi piace sentirvi urlare uno contro
l'altra.
Qualunque cosa sia successo. Sara in fondo è una brava
ragazza."
Mitsui divenne livido di rabbia.
"Non
la reggo, è così difficile da
capire?" gli urlò contro.
"Un
giorno di scuola e la odi? Persino
a me hai concesso più tempo prima di volermi pestare in
terrazza."
"Si,
non la sopporto! E' strafottente e
arrogante."
"Non
più di quanto sia tu."
"Miyagi,
guarda mi sto incazzando."
Il capitano lo ignorò.
"So
che a volte è troppo irruenta, ma
è buona. Ti chiedo di perdonarla se si è
comportata impulsivamente
con te. Prova a parlare con lei, vedrai che ti piacerà."
Mitsui
fece per andarsene. "Non me ne
frega niente di lei! E sai dove puoi metterteli i tuoi consigli?"
Ryota
rise beffardo. "E tu sai che te
la stia prendendo un po' troppo per una di cui non te ne frega
niente?" Il ragazzo se ne andò ancora più
arrabbiato, mentre
l'altro restava seduto a terra facendogli ciao ciao con la mano.
Anche
Ayako, andata con Sara a pranzare in
terrazza, cercò di cavare il proverbiale ragno dal buco, con
un po'
più di successo. All'inizio i risultati furono scarsi, anzi
assenti.
Però, dopo aver tampinato l'amica per una mezzora, e averla
esasperata con continue domande, la rossa sputò il rospo,
seppure in
maniera criptica.
"L'avevo
già incontrato due anni fa."
La ragazza prese una pausa, cercando le parole. "Era con dei
teppisti come lui. E... diciamo che mi hanno dato fastidio."
Strinse la mano a pugno.
Ayako
era curiosa di sapere qualcosa in più,
ma vedendo come l'amica si era rabbuiata capì che non fosse
il caso
di chiedere altro. Le appoggiò una mano sulla guancia
invece,
facendole alzare gli occhi verdi nei suoi, e vi vide uno sguardo
ferito, che non comprese. Le sorrise. Non aveva capito esattamente
cosa fosse successo, ma non importava. Forse non si poteva proprio
fare niente per farli diventare amici. Se dopo un giorno che si
vedevano erano quasi già andati a botte, come farli andare
d'accordo? Sarebbe stato impossibile. O forse no? Su questo
rifletteva Ayako dirigendosi in palestra
Quel pomeriggio iniziarono gli
allenamenti del club di calcio. Sara andò al campetto, con
il
berretto rosso ben calcato sulla testa. Come previsto, gli addetti
alla segreteria avevano dovuto accettare la sua iscrizione, non
potendo trovare alcun punto del regolamento per supportare la propria
obiezione. La ragazza aveva chiesto all'allenatore di non far sapere
subito ai compagni di essere una femmina. Prima voleva mostrar loro
il suo gioco. Si sedette sull'erba al bordo del campo, e tolse dalla
borsa gli scarpini. Per sicurezza fece un doppio nodo alle stringhe,
come era solita fare.
Quell'anno
non erano stati molti i nuovi
iscritti. In tutto, tra anziani e novizi, erano però
riusciti a
formare un gruppo abbastanza numeroso: 22 giocatori, di cui solo uno
portiere, il titolare. L'allenatore guardò i giocatori,
quindi
decise di mettere alla prova le matricole con una breve partita di
allenamento. L'unico reale problema, come annunciò
l'allenatore,
sarebbe stato trovare un portiere per la squadra in cui erano stati
inseriti i nuovi arrivati. Tra matricole e sempai nessuno parve
disposto a cambiare ruolo, poichè tutti legati al proprio
ruolo in
campo e senza alcuna esperienza nel gioco in porta. Lei invece
sì,
aveva provato a giocare in porta per capire quali fossero i tiri
più
difficili da parare, e quindi si offerse volontaria. La partita
cominciò. Sarebbe durata solo 15 minuti, giusto per vedere
la
capacità dei nuovi arrivati e cercare di capire quelli che
non
sarebbe scoppiati al primo allenamento duro.
Fu
presto chiaro come il gioco dei veterani
fosse troppo superiore. Erano inarrestabili. Si vedeva che il loro
era un gioco più organizzato e con pochi passaggi riuscivano
ad
arrivare in area di tiro. Sara dava indicazioni per la disposizione
in campo ma non servivano. Riuscirono regolarmente a sfondare le fila
avversarie e a tirare. Purtroppo per loro l'italiana non si face
trovar impreparata tanto facilmente, e in dieci minuti di gioco non
erano riusciti a segnare nemmeno un volta. Mentre organizzava per
l'ennesima volta la difesa comprese quanto fosse importante avere un
buon portiere in squadra. Il gol dipendeva più dall'estremo
difensore che dall'attaccante avversario. Sorrise al pensiero del suo
migliore amico, nettamente più bravo di lei, che doveva
giocare
sempre in quel ruolo. Lei non ci sarebbe mai riuscita. Stava
già
scalpitando.
Dopo
15 minuti la partita non si era ancora sbloccata.
Doveva fare qualcosa. Non poteva bastare il non aver preso gol.
L'ultima azione del bomber avversario finì facilmente tra le
sue
braccia, e lo ripasso ai suoi. Niente da fare,
pensò
sconfortata. Se l'erano fatta fregare di nuovo. No,
una delle
matricole, quello che aveva cercato per tutto il tempo di andare a
rete ma non aveva avuto un buon sostegno dai compagni si era
impadronito in scivolata del pallone. Mancava pochissimo alla fine
dell'incontro. Le balenò alla mente un'idea. Urlò
a tutte la
matricole di fare catenaccio davanti alla porta e si mise lei a
correre verso il compagno col pallone che stava cercando di evitare i
veterani. Questi ultimi non si accorsero di nulla. Il ragazzo la vide
arrivare e capì al volo cosa voleva fare (Per lo meno uno
che ha un
cervello c'è! NdSary): in due si aveva più
possibilità di segnare
e il catenaccio avrebbe bloccato un eventuale contropiede dando il
tempo al portiere di tornare trai pali.
Le
passò la palla e si
liberò dei marcatori. Con una triangolazione erano arrivati
davanti
al portiere. Il ragazzo stava per tirare e il portiere era saltato
nella sua direzione ma era una finta, un passaggio che Sara
intercettò colpendo di testa e insaccando la palla alle
spalle del
portiere. La partita si concluse sull'1-0 per le matricole. Tutti i
compagni furono loro addosso, con l'aggiunta dei compagni anziani.
Trai complimenti fatti ai due ragazzi, Sara si tolse il berretto
piegando un angolo della bocca verso l'alto in un sorrisetto.
Ammutolirono. Ormai dopo quell'azione non potevano più dire
niente
sulla sua entrata in squadra. Ce l'ho fatta,
pensò felice.
Gli allenamenti durarono ancora per un
paio d'ore. I più giovani erano spompati ad eccezione di due
(Le
solite eccezioni! ^__^ NdSary) L'allenatore li congedò,
dando
appuntamento era per il giorno dopo alle 15. Sara uscì dagli
spogliatoi per ultima, incrociando il compagno che le aveva fatto
l'assist in area. Lo squadrò: 1 e 70, capelli castano
chiaro, occhi
neri. Un sorriso allegro e uno sguardo intelligente. Le porse
inaspettatamente la mano.
"Bel
gol! Io sono Yukifune Kenji,
piacere!"
"Io
sono Sara, piacere mio! Non male neanche
il tuo passaggio." Strinse la sua mano con forza, volendo dare
un'ennesima prova del non essere inferiore ad un maschio. Cosa
inutile in effetti, perchè il ragazzo che aveva di fronte
non
sembrava avesse bisogno di conferma alcuna.
"Allora
sei tu la studentessa
europea... dovevo immaginarlo sapessi giocare a calcio."
"Non
è così tanto diffuso tra le
ragazze come credi."
"Sempre
più che qui."
Continuando
a parlare si avviarono. Solo quando furono arrivati davanti alla
palestra di basket capirono di avere la stessa destinazione. La
ragazza scorse le amiche di Haruko intente a chiacchierare guardando
i giocatori e prendendo in giro la terza. Quando li scorsero la
più
alta delle due, Fuji, si diresse verso il ragazzo.
"Ciao
fratellino, come è andato l'allenamento?" "Tutto
bene."
Assistettero
agli allenamenti fino alla fine, cioè
per 20 minuti circa. Nonostante cercasse di evitarlo, si
ritrovò a
fissare di nuovo Mitsui. Le tornarono in mente le parole di Mito del
giorno prima. Effettivamente poteva credere che fosse stato nominato
MVP, ma che ora fosse un ragazzo tranquillo, questo no. Appena
arrivata in classe l'aveva aggredita e la situazione non si decideva
a cambiare. Era così immersa nei suoi pensieri che non si
accorse
neanche di ostruire l'entrata della palestra all'allenatore Anzai.
"Mi
scusi signorina, dovrei entrare in palestra.",
disse l'uomo con i baffetti bianchi alla ragazza.
Svegliatasi
dal
suo torpore la ragazza si fece da parte scusandosi. Era così
presa a
fissare il gioco di Mitsui per trovarci qualche difetto che non aveva
sentito neanche gli strattoni di Kenji.
Appena
entrato il vecchio
allenatore fu circondato dai componenti della squadra. Mitsui fu il
primo ad andare verso di lui salutandolo cordialmente e chiedendo
come stesse.
Certo
che si interessa, pensò la ragazza, sta
facendo il leccapiedi per non farsi buttare fuori di nuovo.
(Certo che sono cattiva a volte! NdSary)
All'ingresso
dell'allenatore l'allenamento terminò, e i ragazzi andarono
a farsi
la doccia.
Prendendo
la stessa decisione del
giorno prima Sarachan andò a correre. Le faceva bene stare
all'aria
aperta. Avevano sempre cercato di insegnarle ad uscire un po', ma
difficilmente aveva ascoltato. In realtà era molto pigra. Il
calcio
era l'unica attività che riuscisse a praticare fuori casa.
Normalmente restava in casa tutto il giorno china sui libri a
studiare e studiare, da sola. Non usciva molto, e non vedeva altri
che la sua migliore amica, la sua sorellina. Tranne quei pomeriggi
allegri a scherzare, le sue giornate trascorrevano tra studio e
riposo. Le uniche cose che riuscivano a fare compagnia erano i manga
e il caro vecchio pallone (Per la serie Boru wa tomodachi, il pallone
è il mio migliore amico! NdSary) Ora però era in
un paese
straniero, e doveva cercare di vivere l'esperienza al meglio,
divertirsi e dimenticarsi dei problemi.
Al
ritorno la scena della
sera precedente si ripetè. Di nuovo quel Rukawa l'aveva
sbattuta per
terra, questa volta a piedi, e si stava allontanando senza chiedere
neanche scusa. La ragazza lo superò di corsa, e gli si
parò
davanti.
"Ehi
tu, potresti anche essere più educato. Non
crederti superiore agli altri solo perchè sei corteggiato da
tutta
la scuola."
Il moro
la fissò, inespressivo.
"Tu
mi sei venuta addosso. E poi
quelle mi disturbano e basta." e se ne andò.
Sara
lo
rincorse.
"Se
ti disturbano mandale via! Sai che non sei per
niente educato? Non capisco come si faccia ad innamorarsi di uno come
te. Cosa ti credi, un dio?"
Lui
si voltò verso di lei, e
socchiuse gli occhi con stizza.
"Non
ho chiesto io di averle
attorno. Comunque se ti sto così antipatico
perchè mi segui?"
"Io
non ti seguo, sto andando a casa"
Kaede
Rukawa fece spallucce
a quella risposta e accese il walkman. Lei continuava a camminargli
di fianco. Cominciò a canticchiare una canzone, la stessa
che
sentiva provenire dalla cuffie.
"Stai
ascoltando gli Oasis?
Ti piacciono?"
"Si."
Rispose snervato in
ragazzo.
"Anche
a me. Qual'è la tua canzone preferita?"
"All
around the world."
"Non
è possibile, è anche la mia!"
strillò lei eccitata. "Puoi porgermi un auricolare, tanto
facciamo la stessa strada."
"Non
ti ero antipatico?"
Rukawa sollevo un sopracciglio. Non risciva a capire i cambi d'umore.
Gli ricordava Sakuragi.
"Io
non l'ho mai detto. Mi sembravi
solo troppo distaccato."
Lui
le porse l'auricolare.
Mentre
ascoltavano la musica continuavano a camminare.
Ad un certo punto
Kaede si fermò.
"Io
sono arrivato." viveva in una casa
con un bel giardino che la circondava, con due piante di ciliegio e
un laghetto (Avete presente casa Tendo in Ranma ½? Beh,
stessa
tettoia con laghetto. NdSary)
"Allora
ciao. Ci vediamo domani
a scuola.", disse la ragazza allontanandosi. Lui le rispose
semplicemente con un cenno della mano.
Era
riuscita a strappare un
paio di parole al tenebroso dello Shohoku. In fondo non era
così
spiacevole stare con lui. Doveva essere uno di quei tipi che stanno
bene da soli e che non si riescono a sentire parte di un gruppo.
Magari si sentiva solo solo, ed era per questo che reagiva con tanta
freddezza. Chissa!
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Note
dell'autrice:
Volevo
ringraziare in queste note Zakurio e Snow_Flake , che hanno commentato
questa fan fiction. Mi ha fatto davvero molto piacere. Spero tanto che
questo capitolo e i prossimi vi piacciano. Cercherò di
postare più spesso. Fatemi sapere cosa ne pensate.
Arigatou
gozaimasu
|
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Capitolo 4 *** Sogno o son desto? ***
Chiedo
scusa per il ritardo nella pubblicazione del capitolo. Ho dovuto
rifletterci parecchio e riscriverlo non so più quante volte.
Ripetiamo di nuovo: i personaggi non mi appartengono, sono di Inoue
sensei.
Capitolo
IV
Sogno
o son desto
Sara
si svegliò di soprassalto, alzandosi seduta sul letto. Aveva
gettato
indietro le lenzuola sottili in cui si era avvolta durante la notte,
per ripararsi dal gelo notturno che ancora tornava a infastidirla,
per quanto fosse metà aprile. Le pulsava leggermente la
testa,
sicuramente un brutto strascico del brusco risveglio. Si
concentrò
meglio sulla stanza, che riconobbe essere quella degli ospiti, nella
casa dell'amico. In un primo momento, guardandosi attorno, aveva
avuto la pessima impressione che Genzo le avesse lanciato qualcosa
addosso per svegliarla. Come sua pessima abitudine. Ma lui non
c'era.
I
ricordi poco alla volta tornarono. La prima settimana in Giappone
era trascorsa, ma continuava ad avere la strana sensazione di
trovarsi nel posto sbagliato, per quanto tutti facessero in modo da
farla sentire a suo agio. E quando i ricordi tornarono del tutto non
riuscì a non pensare che in fin dei conti non era proprio
gradita a
tutti, in quella città. Sbuffò spazientita a quel
pensiero. Poteva
impiccarsi per quanto la riguardava. Però allo stesso tempo,
lì da
sola nel letto, ammise che un po' le dispiaceva non riuscire ad
andarci d'accordo. Nonostante tutto. Nonostante
tutto!? Richiuse
gli occhi
e si sdraiò di nuovo, coprendosi il viso con una mano. Devo
essere impazzita. Mi sto ammorbidendo troppo a stare qui. E la
solitudine gioca brutti scherzi. Infatti
si sentiva tremendamente sola. Non le piaceva stare in quella casa,
non senza la sua famiglia. Se anche solo Genzo fosse stato
lì
sarebbe andato tutto meglio. Invece no. Doveva partire per la
Germania proprio l'anno in cui lei andava in Giappone! Si
sentì
subito in colpa per quel pensiero. Era giusto che facesse la sua vita
e realizzasse il suo sogno. Anche lei voleva riuscire nei suoi
intenti, ma non sapeva quanto sarebbe riuscita a rinunciare alla sua
vita in Italia per questi. Proprio non lo sapeva. Alternava momenti
di fiducia assoluta nelle sue capacità con altri in cui
avrebbe
rinunciato a tutto pur di poter essere a casa. Ed era solo per un
periodo di un anno. Figurarsi se fosse durato di più...
La
sua attenzione era stata completamente rapita da questi pensieri,
quando un rumore secco, come di qualcosa che cadesse a terra, la
riscosse. Voltò la testa di scatto. Il cestino della carta,
posizionato nell'angolo più angusto della camera da letto,
proprio a
lato della scrivania di legno di pino, era rovesciato a terra, con il
fondo verso l'interno della stanza.
Che
strano... Non mi ero accorta che fosse caduto ieri sera.
Sentì un altro
rumore, come di qualcosa che grattasse all'interno
del secchio rovesciato. A quel punto scese lentamente dal letto,
corrucciando le sopracciglia, e cominciò ad avvicinarsi pian
piano
al tavolo, incuriosita. Ad un metro di distanza sentì il
rumore
interrompersi. Sbirciò in avanti, facendo un altro passo, e
quasi le
venne da ridere quando vide un grosso batuffolo di pelo agitarsi a
destra e sinistra freneticamente. Non riuscì a trattenere un
sorriso. Si abbassò e tirò il cestino verso di
sé, liberando
quello che sapeva essere il fautore del rumore improvviso.
Si trovò
davanti un micione beige, con una singola macchia nera che gli
sovrastava l'occhio sinistro. Aveva il pelo tutto arruffato, e il
muso sporco di segatura fine del pastello rosso che aveva temperato
la sera precedente. Per qualche strano motivo le ricordò un
attore
mascherato del teatro Kabuki. Uno di quelli che interpretavano i
ruoli femminili, come in "Una ragazza alla moda"*. La stava
guardando male. Lei scoppiò a ridere pensando a
quell'espressione da
donna stizzita sul muso del gatto. E l'espressione dell'animale, come
se avesse capito che stava ridendo di lui, si fece ancora
più
cattiva.
"Scusa
micetto! Ma sei troppo buffo!" Si sedette a terra bruscamente,
continuando a ridere di gusto. Il gatto si pulì il muso con
la
zampa, dopo di che le girò attorno tenendo le distanze,
saltò sul
letto e da lì sul davanzale della finestra, che la ragazza
aveva
dimenticato socchiusa la notte precedente. Ecco
cosa mi ha svegliata. Continuò
a ridere come una stupida, sul pavimento di legno della camera,
sfogando un po' la tristezza che l'aveva assalita.
Quella
mattina arrivò a scuola con calma, ripassando mentalmente
gli schemi
provati durante gli allenamenti. Si era ambientata benissimo nella
squadra, e in classe e nei corridoi non veniva più additata,
fortunatamente. Sgonfiato l'interesse iniziale tutti erano tornati
alla loro routine quotidiana. Il club di calcio si stava preparando
per il campionato nazionale e con il passare dei giorni l'allenatore
aveva intensificato gli allenamenti, all'inizio molto blandi. Come
conseguenza, molti dei nuovi iscritti se ne erano andati. Tra i pochi
rimasti c'erano lei e Kenji, che pian piano si erano integrati nella
squadra. Aveva temuto ci sarebbe voluto più tempo, ma al
contrario i
compagni l'avevano ben accettata. Kenji era realmente bravo. Se si
fosse impegnato sarebbe diventato davvero bravo, magari anche un
campione.
Anche
alla squadra di basket andava tutto bene. Gli allenamenti in vista
delle eliminatorie proseguivano, e poco alla volta aveva imparato a
conoscere tutta la squadra, passando molto tempo in palestra con
Mito e gli altri. Era riuscita ad instaurare un rapporto anche con
Rukawa, con cui aveva cominciato a fare jogging alla sera prima di
cena. Delle corse molto silenziose a dire la verità. In
classe Ayako
continuava a rimproverare il povero Ryota, discussioni che
continuavano anche in palestra perchè il ragazzo sembrava
non avere
abbastanza polso con le matricole. (Non che non se lo meriti, ma a
volte lei esagera! Povero Ryochan! NdSary) Sara avrebbe voluto fare
qualcosa per lui, ma non era ancora riuscita a capire cosa l'amica
provasse, quindi non interferiva, per quanto cercasse di convincere
Miyagi a dichiararsi alla manager. Purtroppo tutto fiato sprecato.
Era veramente troppo timido.
Lei
e Mitsui invece cercavano di prestare attenzione l'una all'altro. Per
quanto possibile. Durante le lezioni e in palestra risultava
abbastanza semplice, cercando di concentrare la propria attenzione su
Ayako o su Kenji, che la seguiva ad ogni allenamento del club di
basket. Per evitare nuovi contrasti con il teppista, lei face in modo
di non arrivare più in ritardo, cosa che lui sembrava fare
apposta,
non si capiva bene se per abitudine o per evitarla. Al suo ingresso
andava direttamente a sedersi, facendo attenzione a non guardarla
nemmeno con la coda dell'occhio, come indossasse dei paraocchi.
Quella
mattina, la pace (apparente) della loro convivenza forzata fu
però minata da un annuncio, quello delle coppie per la
pulizia delle
classi.
"Kobayashi
e Miyagi."
"Kuroshigi
e Sorawi."
"Mitsui
e Cortesi."
Sara
sbuffò esasperata. Naturale: la
fortuna è cieca ma la
sfiga ci vede benissimo. Si era aspettata la stessa reazione
anche dal ragazzo di fronte a lei, invece l'annuncio era stato
accolto dal gelo più assoluto. Solo alla fine delle lezioni
Mitsui
si era avvicinato alla capoclasse, una ragazza alta, con i capelli
lunghi neri raccolti in una treccia, e una frangia corta.
Sara
continuò a parlare con Ayako come se nulla fosse, stando
però ben
attenta ad ascoltare la conversazione. La manager, curiosa, fece
altrettanto.
"Devo
per forza farci copia? Non potrebbe fare tutto lei? Sai bene che non
verrò ai turni di pulizia!" Il ragazzo parlò con
voce seccata
alla capoclasse. La ragazza, dal canto suo, gli rispose sottovoce, ma
con un inflessione gelida che lasciava pochi dubbi:
"Se
non ti presenti, lo farò presente ai dirigenti scolastici. E
sai
quanto un'altra nota negativa influirebbe sulla tua promozione."
Poi aggiunse, sorridendogli malevola:
"Lavorare
vi permetterà di superare i contrasti. Sarete
perfetti
assieme."
L'espressione
trucida che Sara rivolse alla capoclasse fece scoppiare Ayako in una
fragorosa risata. E passato neppure un minuto da quando si
era
alzato, il cestista tornò al suo posto, afferrò
qualcosa dalla
cartella, e rivolse alla straniera uno sguardo arrabbiato,
affrettandosi fuori dall'aula senza ribattere. Lei si voltò
verso
l'amica.
"Cos'ho
fatto questa volta?" La manager ridacchiò tra sè.
Sara
decise che non gli aveva più rivolto la parola. Non ammise
con Ayako
però il reale motivo: l'aveva ferita sapere che la
disprezzasse così
tanto da non poter stare neppure una mezz'ora con lei. Non che la stupisse, ma le faceva male. In fondo è naturale, dovevo aspettarmelo. E non capisco perchè mi dispiaccia.
"Rukawa!"
Il professore di inglese del secondo anno, ormai sul'orlo di una
crisi di nervi, lanciò il cancellino contro il ragazzo dai
capelli
scuri, che anche dopo il terzo richiamo aveva continuato a dormire
con la testa appoggiata sul banco. Il giocatore sollevò la
testa,
fissando assonnato davanti a lui, senza veder niente. Lentamente si
stropicciò gli occhi e di guardò attorno.
Capì di essere in
classe, e vide il professore. Quindi si rimise a sonnecchiare.
"Teppista!
Svegliati subito! Ti boccio quest'anno, mi hai sentito?"
Il
suono della campanella trovò l'algido numero 11 ancora
sonnecchiante. Aprì un occhio, sincerandosi che le lezioni
fossero
finite. Si stiracchiò per bene, aprendo la bocca in uno
sbadiglio.
Scostò poi la sedia dal banco e prese dalla cartella gli
spiccioli
per il pranzo, avviandosi alla porta. Sentì una mano
tirargli la
camicia, inizialmente piano, poi con più forza. Si
girò.
"Hn?"
Davanti a lui un ragazza, con il caschetto nero e un evidente
rossore, aveva rapidamente ritratto la mano che l'aveva tirato. Lo
fissò per un decimo di secondo, quindi abbassò lo
sguardo. Dietro
di lei due amiche la spinserò leggermente, incoraggiandola.
"Scusami
Rukawa....", cominciò con una voce timida.
"Hn!"
I suoi occhi non abbandonarono quelli della ragazza che gli aveva
rivolto la parola. La quale resse il contatto visivo per altri brevi
istanti, per poi trovare molto più interessante la punta
delle
proprie scarpe. Continuò senza rialzare lo sguardo.
"Mi
chiedevo se...cioè, per quello che ha detto il
professore...Volevo
dirti che visto che sono la capoclasse potrei aiutarti io a
rimetterti in pari con inglese."
"Una
capoclasse di prima non può aiutarmi." E si girò
per
andarsene, ignorando i balbettii della ragazza, che era in classe con
lui dall'anno precedente.
"Però
è vero, dovrei trovare qualcuno delle mia classe che mi
insegni."
Mentre
Sara scendeva le scale del primo piano per dirigersi in cortile, si
trovò la strada sbarrata da uno strano Rukawa, che la
guardava con
uno sguardo molto più sveglio e attento del solito.
"Ciao
Kaede!!!", gli disse allegra.
"Ciao.",
rispose lui con la sua abituale espressione seria. "Devo
parlarti."
La
ragazza rimase interdetta. Era la prima volta
che si rivolgeva a lei in maniera diretta. Normalmente rispondeva
solo se interrogato. E a monosillabi. Lui, senzaa aggiungere altro,
si voltò cominciando a scendere le scale. Curiosa di
indagare il
motivo della novità lo seguì.
La
condusse attraverso il cortile della scuola, fino a sedersi su una
panchina discosta dalle altre, proprio dietro l'edificio scolastico
principale. Lei gli si sedette accanto, accavallando le gambe e
poggiando un gomito sul proprio ginocchio. Rukawa creò il
silenzio
attorno a sè. Per poi iniziare a parlare inatteso.
"So che
tu sei brava a scuola."
La
fissò quasi senza sbattere le
ciglia. Lei mantenne lo sguardo su di lui, chiedendosi dove volesse
andare a parare.
"Si,
me la cavo, se è questo che intendi. Perchè?"
"Io
no." Mmmmh. Fin qui c'ero anche io. Sapendo quanto dormi...
Sospirò.
Negli ultimi giorni
aveva dovuto imparare a condurre una conversazione che sembrava molto
più un monologo.
"Quindi?
Vuoi una mano?" Il ragazzo annuì. Con lei aveva bisogno di
poche parole. E questo lo apprezzava.
"Inglese."
La ragazza alzò le spalle, ad indicare che per lei faceva lo
stesso.
"Per
me va bene." Fu Rukawa di contro che si sentì in dover
aggiungere particolari.
"Non
deve venirlo a sapere nessuno. Intesi?"
"Perchè?
Niente Maccheficcomicificco?", chiese lei alzando un
sopracciglio e lanciandogli uno sorriso di scherno, all'orrendo
ricordo delle ragazzine urlanti che si affollavano a vedere gli
allenamenti del club maschile. Lui la fulminò.
"Non
voglio che quelle stupide ragazzine ci disturbino. Non voglio
essere bocciato.", tagliò corto lui.
"Ok!
Quando cominciamo?"
"Ne
parliamo dopo gli allenamenti." Non aspettò risposta prima
di
andarsene. La ragazza scrollò le spalle, rassegnata alla
lunaticità
del vicino.
Voltando
la testa verso le classi avvistò facilmente una
testa rossa che faceva capolino tra la folla. Rukawa gli era passato
di fianco, urtandolo e quasi sbattendolo per terra. Secondo
me lo
fa apposta per provocarlo, non può non averlo visto,
pensò Sara tra sè. Hanamichi la stava aspettando,
quindi affrettò
il passo. Sicuramente li aveva visti insieme e aveva
cominciato ad augurare al compagno di squadra ogni sfortuna.
"Muori
Rukawa!!!" Repentinamente come aveva iniziato, cambiò
espressione nel rivolgersi a lei, assumendo un professionale fare
investigativo. (Aveva tirato fuori da chissà dove una pipa e
un
cappello con paraorecchie. NdSary; Che idiota! NdRu)
"Non
è che anche a te piace quell'idiota, vero!?"
"Non
dire stupidate. Siamo solo amici."
"Solo
amici, eh? Cosa avevate da dirvi così di nascosto?"
"Questi
non sono affari tuoi! Ma qui in Giappone siete fissati? Non si
può
parlare con uno senza che stiate assieme?" Si scaldò, e
detto
questo la ragazza si allontanò verso gli altri che stavano
già
mangiando, lasciando Hanamichi a chiedersi cosa avesse detto di male.
L'azzurro
del cielo risplendeva sfocato, per la troppa luminosità del
sole di
agosto. Un chiarore così accecante risultava del tutto
irreale,
anche per la più afosa delle estati. Mi schermai gli occhi
con le
dita, guardando in alto. Un aereo stava lasciando una scia quasi
invisibile in quel cielo bianco. Scia che andò a mescolarsi
con la
mia ultima boccata di fumo. Gettai la cicca e terra, e spensi la
sigaretta con la punta delle scarpe di scuola. Chisse ne frega se si
rovinavano, tanto ero in vacanza, e anche se non lo fossi stato, a
scuola ero segnato assente per malattia. Eppoi, al diavolo tutti. Che
si impiaccassero loro, la loro fottutissima scuola. E quel club di
mezzeseghe. Tirai un calcio ad un bidone, mandandolo a rovesciarsi
nel vicolo. Ne uscì un gatto obeso, marrone chiaro, con una
macchia
nera sull'occhio. Mi sembra di averlo già visto.
Allontanai
il pensiero. Mi stava guardando male. "Cosa diavolo hai da
guardare?!" Gli lanciai dietro una lattina, e quello schizzò
via*. Mi misi a ridere sguaiatamante. Questa si che
è vita. Altro
che farmi il mazzo con gli allentamenti. Posso fare quel che mi pare
e nessuno che mi rompa.
Mi
avviai con flemma. Come in un sogno non sentivo alcun rumore di
passanti, per quanto le strade fossero invase di persone. Tutti i
suoni mi arrivavano ovattati mentre mi dirigevo dai miei nuovi amici
della banda al Mykey, il fastfood dove ci incontravamo abitualmente,
e dove potevi farti servire una birra senza che ti facessero storie.
Arrivato di fronte all'entrata li riconobbi subito: Nori Hatta,
brutto come la morte, che mi aveva fatto entrare nella banda; Masami
Ebo, che si ostinava ad acconciare i capelli castani in una ridicola
banana; e Tsukasa Nagano, con i capelli rasati ed un brutto paio di
occhiali. Tutti stravaccati sulle poltroncine a guardare in cagnesco
i ragazzini e far apprezzamenti sulle ragazze che affollavano il
locale a quell'ora. "Tutti cagasotto. Non ti rispondono neppure,
corrono via con la coda tra le gambe. Le ragazze poi sono anche
peggio. Ridono tra di loro ai commenti che le facciamo, si fingono
indignate ma in realtà sono lusingate delle attenzioni."
Così
mi aveva detto Tetsuo la prima volta che eravamo usciti alla sera. Mi
piace il nostro capo, è uno tosto, un ragazzo più
grande, sulla
ventina, con i capelli lunghi,
i
piercing e sicuramente qualche tatuaggio. A me invece bastavano i
capelli lunghi per farmi sembrare più cattivo.
Osservando
la vetrina ebbi un dejavu: un ragazzo dalla figura esile, con i
capelli di un rosso violento, cortissimi e tenuti in piedi con il
gel, stava attraversando il salone con un vassoio in mano. Che
strano, pensai, non è giapponese.
Eppure avevo la strana
sensazione di conoscerlo, e che il cibo su quel vassoio avrebbe fatto
una brutta fine.
Entrai
nel bar, e raggiunsi i miei compagni. Notai subito che Nori aveva la
faccia scura. Nagano stava in piedi di fronte ad una ragazza mora con
i ricci, seduta da sola ad un tavolino. Carina, peccato che
Tsukasa l'abbia presa di mira.
"Ecco
uno che cerca guai. Adesso vedrai come si trattano quelli
così."
Nori mi indicò la scena che già stavo osservando,
e solo allora mi
accorsi dell'occidentale che avevo visto da fuori, in piedi in mezzo
ai due. Stava guardando con sufficienza Nagano.
"Torna
più tardi, è meglio ragazzino."
"Bell'idea.
Prima le signore." Vdendo quell'attimo di esitazione, il
rgazzino lo incalzò sbuffando. "Intendevo: VATTENE. Forse
non
sai cos'è il sarcasmo."
"Lo
sai con chi stai parlando? Sei fortunato che oggi sia si buon umore."
"Si,
si, reietto, tornatene da dove sei venuto. Stai appestando l'aria."
Un
sorriso spavaldo si dipinse sulle labbra del ragazzino, e quando una
mano stava per afferrarlo al colletto della T-shirt, questi
sollevò
il vassoio, facendolo finire in faccia a Nagano.
"Ops,
mi è scivolato." Disse in un tono non troppo convinto.
L'altro
si pulì il viso. Poi scattò in avanti con un
pugno... a vuoto. Il
ragazzino si era fatto di lato e aveva allungato una gamba a fargli
lo sgambetto.
"E'
meglio che la finiamo qui e torni dai tuoi amici."
Il
mio compagno si rialzò, lo guardò truce e
tornò veloce da noi,
probabilmente perchè sapeva di non poterla spuntare
lì e in
quell'occasione.
Mentre mi svaccavo sul divanetto di pelle, sbirciai
il tavolo del rosso e della sua amica. Vidi arrivare un altro
ragazzo, giapponese, con i capelli corti castano chiaro, che
salutò
la ragazza riccia con un bacio sulla guancia e prese posto accanto a
lei. Da quella distanza non sentii bene, ma sembrava si stesse
presentando allo straniero. Mi sembrò familiare, per quanto
sospettassi fosse molto più giovane di me. Cercai di fare
maggiore
attenzione alla loro conversazione. Il ragazzo dichiarò di
essere un
giocatore di calcio. Ragazzino insulso, mi venne da
pensare.
D'altro canto il gaijin** non sembrò avergli prestato alcuna
attenzione, dopo i saluti di rito. Per un momento mi sembrò
che si
girasse a guardarmi, ma poi distolse lo sguardo e tornò a
parlottare
con i due. Intanto al mio tavolo...
"Ti
sei fatto prendere in giro da un Gaijin."
"Sei
un cretino! Che figure ci fai fare?"
"Non
gliela faccio passare liscia!"
"Tiriamolo
fuori da qui!"
"No,
aspettiamo che esca con le sue gambe, finchè ce le
avrà ancora."
"Ci
sto."
Stavano
progettando di picchiarlo tutti assieme? L'idea mi dette un po' la
nausea, ma sorvolai. Non mi interessava quello che facevano. Intanto
continuai ad ascoltare la conversazione all'altro tavolo.
Il
tempo volò, come se qualcuno avesse premuto il pulsante
avanti
veloce di un videoregistratore. Ero da solo. Mi accesi un'altra
sigaretta e la fumai nervoso, mollemente appoggiato ad un muretto. E'
la prima volta che partecipo ad una rissa. Cosa si aspettano che
faccia, esattamente? Mi hanno chiesto di distrarlo, ma posso starmene
in disparte o lo devo colpire anche io? Ok, quel ragazzino ha offeso
uno della banda, e per onore dovrei difenderli. Ma in quattro contro
uno non è corretto. Il signor Anzai non approverebbe.
Scacciai
subito il pensiero, disprezzandomi in quel momento. Dovevo smetterla
di pensare al passato.
Frattanto
il rosso uscì da un negozio di articoli sportivi con un
pallone da
calcio. Da solo. Sbaglio o era entrato con la ragazza?
Mi
riscossi dubbioso. No, la ragazza mora non era più con lui,
se n'era
andata una decina di minuti prima con il giapponese che li aveva
raggiunti. Strano, pensavo fosse ancora con lui. Comunque meglio
così. Il mio obiettivo era lei... cioè lui.
Perchè ho pensato
"lei"? E soprattutto lei chi? Mah, la nicotina mi fa uno
strano effetto.
Dal
punto in cui mi trovavo potevo vederlo chiaramente camminare con
lentezza, dando ogni tanto un calcio al pallone per farlo procedere
con sé. Gioca a calcio, pensai
tra me, con una strana consapevolezza. Non che importasse
in
quel momento. Non, sapendo quello che stava per succedergli.
Aspettai
che il ragazzino mi passasse davanti, senza notarmi, immerso com'era
in chissà quali pensieri. Quindi gli sbarrai la strada. In
quel
momento, chissà come mai, come per fare il figo mi passai
una mano
tra i capelli per allontanarli dalla fronte. Lo vidi bloccarsi sul
posto e spalancare gli occhi, sorpreso. Un paio di begli occhi verde
scuro, sinceri. Mi fissò qualche istante, come interdetto.
Le parole
che disse mi colsero alla sorpresa, come se fossi rimasto a bloccato
a fissarlo per un tempo indefinito.
"Scusa,
mi stai bloccando la strada."
Lo
disse con una gentilezza che mi lasciò scombussolato. Cercai
delle
parole da dire, ma non mi venne nulla. Quando vidi che, non ricevendo
risposta, cercava di scansarmi risposi senza pensare.
"Non
andartene." L'intensità delle mie parole colse me stesso e
lo
straniero impreparato. E poi ricominciò a fissarmi, con
un'intensità
tale da farmi abbassare lo sguardo. Deglutii, ritrovandomi
improvvisamente a corto di saliva, e dandomi del cretino per aver
abbassato gli occhi (anche se poi non lo avrei mai ammesso).
Soprattutto perchè non mi pareva normale essere fissato con
quello
sguardo imbambolato da un altro maschio.
Proprio
in quel momento vidi i miei compagni comparire alle sue spalle. Lo
afferrarono per le braccia, impedendogli qualunque movimento.
"Complimenti,
ottimo diversivo, Mitsui."
Il
suo sguardo si fece confuso, e sul viso si susseguirono tante
emozioni, poi arrivò la fredda consapevolezza. E mi trafisse
con uno
sguardo gelido. Mi ritrovai a sussurrare delle parole, come un'eco di
qualcosa già detto.
"Scusa..."
La
lotta che ne seguì si svolse come a rallentatore. Vidi il
suo piede
proiettato in avanti, e caricato per colpire con il tallone lo stinco
di Ebo, che teneva ben saldo il suo braccio destro fino a poco prima,
la testa rossa scattare di lato, e un gomito alzarsi e colpirlo allo
zigomo. E'
cintura marrone di
judo. La consapevolezza di quel ricordo fu straniante. Vidi
la
rotazione in senso antiorario che fece, e come falciò Hatta
colpendolo al collo del piede, tirandolo allo stesso tempo verso di
sé per sbilanciarlo. Non vide il terzo assalitore, Nagano,
che
riuscì a sferrargli un pugno in faccia e farlo finire a
sbattere la
testa contro un muro. Rotolò di lato, schivando il calcio
che stava
per ricevere all'addome e rialzandosi frastornato. Una strana
sensazione mi assalì, come a spingermi ad intervenire, ma
non per
aiutare il mio compagno, anzi, per atterrarlo prima che un suo altro
pugno andasse a segno. Non fecì però nulla,
mentre vedevo il più
giovane dare un colpo di punta al pallone che giaceva abbandonato ad
un passo a sè, sollevarlo a trenta centimetri da terra e
caricare un
destro potentissimo, colpendo in pieno lo stomaco di Nagano, e
facendolo stramazzare al suolo.
Mi
vidi avanzare di tre passi, come se il mio corpo seguisse un percorso
indipendente da ciò che la mente gli ordinava, e afferrargli
la
maglietta con la mano sinistra, in modo da tenerlo bloccato il tempo
necessario a sferrargli un pugno in faccia. Ricordo il suo viso, con
il sangue che colava dal labbro, e stranamente, ricordo con dovizia
di particolari la maglietta, con la scritta "Black Sabbath",
i caratteri gotici nero anticato su sfondo purpureo. E soprattutto
ciò che mi spiazzò più di ogni altra
cosa di quel pomeriggio:
inaspettatamente tra il palmo e le dita sentii la pelle morbida
riadattarsi secondo la forma della mia mano. Ricordo bene la
consapevolezza di toccare un corpo femminile, la sensazione di quel
seno incredibilmente morbido nella mia mano, di come sollevai lo
sguardo e, guardandone gli occhi per un secondo smarriti e le sue
guance farsi sempre più rosse, mi resi conto di aver appena
palpato
la ragazza che avevo di fronte. Perchè di una femmina si
trattava.
La sentii irrigidirsi. Ritirai la mano, non troppo velocemente, lo
ammettò, arrosendo.
Questo
un secondo prima che mi tirasse il pugno che mi avrebbe fatto perdere
conoscenza. Fu con l'immagine di quegli occhi verde scuro, che mi
fissavano carichi di rancore, come se volessero incenerirmi sul
posto, che mi svegliai, proprio mentre lei avvicinava il volto al
mio, e dalla sue labbra fuorisciva un furente:
"Meoooooooow!"
Aprii
gli occhi sconcertato, sicuro che non avesse affatto detto quello.
Sopra di me, appallottolato sul mio petto in cui stava affondando le
unghie, un gatto gigantesco, con il pelo marrone chiaro e una macchia
nera sul muso mi guardava trucemente dai suoi occhi verdi.
"Ma
cosa...?"
Lo
guardai male. E quel gattaccio, di risposta, sollevò una
zampa. Le
unghie erano già estratte. Lo guardai truce. Lui mi
guardò
restituendomi lo stesso sguardo. Poi con deliberata lentezza
abbassò
la zampa.
Non
oserà... ZACK!
"Botolo
di merda! Se ti piglio ti uccido!" Me lo scrollai di dosso
alzandomi dal letto e facendolo cadere sl pavimento. Quello mi
fissò.
Dopo di chè mi dette le spalle. E mentre pensavo se ne
stesse per
andare, lo vidi saltare sulla mia divisa scolastica, strofinandocisi
contro, e lasciancosi il pelo. Prima che lo acciuffassi
saltò fuori
dalla finestra, inseguito dai miei insulti.
Bastardo,
ha marcato il territorio.
Pensando
a come togliere i peli dalla giacca, mi
buttai sotto la doccia, ancora scombussolato per lo strano risveglio
e per il ricordo del sogno della notte precedente, in cui avevo
rivissuto gli eventi di due anni prima. Come se già non
fossi
abbastanza agitato. Al mio risveglio dopo la perdita di conoscenza,
non l'avevo più trovata. E dopo tutto quel tempo l'avevo
ritrovata
nel banco dietro al mio. E' un peccato non
l'abbia più
vista con quello sguardo trasognato, era così bello. Magari
sapessi
tenere a freno la lingua per rivederlo. E
dovetti ammettere che anche il seno non era male.
*Al tempo non potevo sospettare
quanto caro avrei pagato quel gesto.... (NdMitchi)
** Straniero (NdA)
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.
Grazie per aver letto questo
capitolo.
Per piacere commentate, voglio
sapere il vostro parere. Mi scuso nuovamente per il ritardo nella
pubblicazione, ma non mi convinceva la prima scrittura e l'ho ripreso
in mano completamente.
oOo
Arimi oOo Purtroppo
l'aggiornamento non è stato a breve... Sorry.
Snow_Flake
Anche
io adoro Rukawa. Sarà che Ivo De Palma riesce a farmi amare
qualunque personaggio, ma il nostro volpino è troppo
divertente, con le sue battute al vetriolo.
Al
prossimo capitolo! (Spero a breve)
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