Branwen

di HildaGreen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La figlia de ***
Capitolo 2: *** Il nuovo cavaliere ***



Capitolo 1
*** La figlia de ***



C'era una volta un villaggio su cui discese la morte in una sola notte.
Alcuni affermano di aver visto da lontano migliaia di ali oscurare il cielo
Si pensa fosse una punizione per i peccati commessi dalla gente del villaggio ma, d'altronde, non esiste uomo privo di peccato...

La regina del villaggio morto era una donna sterile, quel guscio vuoto con cui si mostrava, non era altro che lei. Guardare più in profondità era impossibile, poiché non vi era niente. 
Era nata con la corona in testa, non aveva mai combattuto per nulla, non aveva alcuno scopo, se non mantenere la sua posizione. 
Era una solida pietra, grigia e levigata ma che, se veniva rotta, era ruvida e frammentata, ma sempre del medesimo colore, esattamente uguale.
Il principio di tutto, fu proprio l'inizio dello sgretolamento di quella pietra.
L'unico essere umano a cui teneva, poteva essere paragonato alla calda sabbia di una spiaggia, su cui la pietra era distesa adagio e mutava con essa.
Quell'uomo era il re, ed era ancora nel fiore dell'età, quando la sua malattia lo colse e lo costrinse a letto per lunghi anni.
Lui e la regina si erano uniti in un matrimonio combinato, ma non ne soffrirono, si conoscevano fin da bambini, quando giocavano insieme, per cui la donna non aveva mai accettato il malessere del marito.
Aveva convocato a corte tutti i medici dei regni vicini, ma nessuno era riuscito anche solo a trovare una spiegazione al male che affliggeva il re ed ogni volta la pietra si sgretolava poco a poco e questo la portò ad una decisione sofferta.
Dopo l'ultima delusione, si accasciò accanto al letto su cui giaceva il re, e gli afferrò la mano fredda con le sue, lunghe ed esili e se la portò alla guancia, su cui scendevano rivoli di lacrime.
-Mio signore, il medico che vi ha visitato oggi era il trecentunesimo, neanche egli è riuscito a curare la vostra malattia, che posso fare?
L'uomo ricambiò con un debole sorriso sulle labbra e la guardava con occhi stanchi e languidi.
-Chiama... lei- disse con voce roca e il respirò affaticato accelerò.
Gli occhi della donna si spalancarono. -Intendete proprio... lei? La... la...
La presa sulla mano dell'uomo divenne più fiacca ma poi la strinse con ancor più vigore. -La strega?
-Non credo di avere molte alternative a questo punto- il suo sguardo si spostò verso la finestra, sul plumbeo cielo autunnale. -Sento la vita affievolirsi in me. Lo farai?

Sul sentiero che conduceva alla solitaria casa nel bosco, vi erano delle donne, due semplici e bisbetiche donne di villaggio, accasate molto tempo prima con uomini che lavorano dall'alba al tramonto nei campi.
-Non mandare me avanti!- sbottò una inchiodando le punte dei piedi a terra. -Sei tu che devi chiederle un rimedio per la febbre di tuo figlio.
-Stammi vicina...- mormorò l'altra che le stava dietro e la teneva per la manica dell'abito.
La prima sbuffò.
-Non devi mai guardarla negli occhi! Dicono che potrebbe risucchiare la tua giovinezza!- la ammonì la seconda. -Per questo appare come una donna giovane, ma in realtà ha più di cent'anni!
In risposta, l'altra tirò il braccio, togliendole dalle dita la manica del suo vestito con lo sguardo di traverso.
Qualche passo ancora e giunsero alla piccola casa dalle pareti costituite da pietre di varia dimensione, dall'aspetto molto grazioso. Era circondata da una staccionata di legno, che delimitava un giardino ben curato e sempre fiorito, anche nei giorni più freddi dell'anno, con varie specie di piante, in particolare spiccavano degli alti girasoli, che si ergevano su dei folti cespugli.
Già a qualche passo di distanza si sentiva quel profumo intenso di basilico, rosmarino e rose.
Superato il cancelletto di legno, si avvicinarono alla porta e, fatto ciò che dovevano, uscirono dall'abitazione molto velocemente.
-G...grazie- biascicò la donna col figlio malato. -Però... devo aver perso le monete che avevo portato mentre giungevo qui.
-Ho capito- disse la giovane donna sull'uscio della porta. -Potete portarli la prossima volta.
La donna annuì e senza salutare, andarono verso il cancelletto.
-Avevi ragione, nasconde sicuramente la sua vera estetica!- bisbigliò una. -Com'è falsa! Io non nasconderei mai il mio vero aspetto.
-Buona giornata.
Si girarono e videro una giovane ragazza che stava annaffiando delle umili violette ai suoi piedi.
Le due si ammutolirono per un momento. -B...buongiorno.
E si affrettarono a lasciare quel posto, ma, dopo qualche passo, si voltarono ancora a guardare la ragazza che le osservò sparire tra gli alberi.
Una mano si posò sulla sua spalla. -Non far caso alle loro parole, Branwen.
-Quelle due non torneranno mai più- affermò lei con sguardo assente e poi si voltò a guardare la madre. -Perché lasci che ti trattino così?
-Scagliare una maledizione su di loro non cambierebbe la situazione, darei loro solo un reale motivo per ricevere le loro cattiverie. Anche fossi un contadino che lavora i campi, o la regina del mondo o, la strega quale sono, le persone parlerebbero sempre male di me. Tu sii sempre cordiale e rispettosa e non potrai che raccoglierne i frutti, la gratitudine di persone oneste ha sempre un buon profumo, non farti influenzare dagli altri.
-Ma non è affatto vero! Tu sei stata gentile con quelle donne, ma non cambierà nulla, ti tratteranno sempre male!
-Quelle persone, hanno solamente paura di ciò che non conoscono e non sono io a doverle giudicare. Prima o poi le loro azioni avranno una reazione, ma non sarà per mano mia.
Branwen distolse lo sguardo, non aveva nulla con cui controbattere ed il fragore improvviso di zoccoli irruppe fra i suoi pensieri e la terra tremò sotto i suoi piedi.
Passando dal cancelletto lasciato aperto dalle due signore, un uomo a cavallo entrò con impeto nella loro proprietà.
-Oh, un cavaliere della regina!- esclamò la donna.
Era un uomo robusto, dal portamento rigido, in sella ad un purosangue e portava con sé anche un vecchio mulo dagli occhi velati.
Branwen, invece, era intenta a guardare le sue povere viole calpestate dagli zoccoli del cavallo.
L'uomo, nella sua lucente armatura, iniziò a parlare con tono di superiorità. -Per ordine di sua maestà siete convocata al castello immediatamente, vi scorterò io stesso, in caso si opponga, ho l'ordine di attaccarvi.
-Buon uomo, prima di fare una qualsiasi richiesta, anche se della regina, sarebbero gradite delle  scuse per aver distrutto le viole che mia figlia ha piantato, ed in seguito risarcire il danno.
-Una donna del vostro calibro non dovrebbe avere alcuna pretesa. E ora mi segua.
-Vengo solo perché ho anche io delle scuse lasciate in sospeso.
La strega si volse verso sua figlia e le prese il viso tra le mani per baciarne la fronte.
-Bada alla casa finché non torno.
Branwen annuì, passando le dita il punto in cui l'avevano toccata le labbra della madre che salì in groppa al mulo e quello sembrò rinvigorire d'improvviso ed il suo manto divenne di un candido bianco.

Due guardie portarono la strega al cospetto della regina, seduta sul suo trono di morbido velluto a guardare gli altri dall'alto.
-Salve maestà!- la strega prese per prima la parola, sollevando in alto i polsi legati. -Siete così gentile da spiegarmi il motivo di queste corde? Mi avete fatta venire qui per arrestarmi? E' forse la mia arte un reato? 
Una guardia la spinse da dietro, costringendola a mettersi in ginocchio e, con una mano le premette la testa contro il pavimento gelido. 
La regina si alzò in piedi con un movimento solenne e scese i gradini, fino ad arrivare quasi a sfiorare con la punta delle scarpe il volto della strega.
-Avrei evitato volentieri di rivederti, ti ho fatta portare qui per una volontà superiore alla mia, il re desidera averti al suo capezzale.
La regina, seguita dalla strega e le due guardie, percorse gli eleganti corridoi del castello fino a giungere alla stanza del re.
Davanti alla sontuosa porta, vi era un'altra guardia che, al cenno della regina, aprì la porta.
-Mio signore, come richiesto, la strega è qui- disse con tono di sdegno, come provasse avversione per quella stessa parola, "strega".
-Falla entrare.
Con uno sguardo truce, la regina fece segno alla strega di andare e le guardie la spinsero all'interno.
La donna raddrizzò la schiena, cercando di essere disinvolta anche con le corde che le segavano i polsi. La regina era appena dietro di me.
-Per favore, lasciateci soli- affermò il re.
-Ma...
Il re sollevò la mano e la regina non poté che accettare sconcertata la sua volontà, ed uscì dalla stanza.
Appena il rumore di passi si allontanò, sul viso della strega apparve un sorriso e sembrò più rilassata di quanto non fosse in precedenza.
-Cosa vi è successo? Stento a riconoscervi.
-Ricorda a chi ti stai rivolgendo, potrei farti tagliare la gola per questo.
Lei sollevò le spalle con i palmi rivolti verso l'alto e le corde si ridussero in polvere.  -Sempre che tu ci riesca.
L'uomo sospirò. -Sono passati sedici anni, eppure non ti trovo affatto cambiata.
La donna si mise seduta sul bordo del letto, vicino a lui e gli mise una mano sul petto.
-Voi siete già a conoscenza che il vostro male è incurabile?- domandò lei. -Quale pena vi ha ridotto in queste condizioni?
-Io non vi ho mai dimenticata, neanche per un solo giorno e questo ha fatto si che un demone attecchisse al mio fragile cuore d'essere umano.  
-Neanche l'avervi reso incapace di procreare vi è stato di lezione?- sospirò la strega. -Mi avete fatta venire qui solo per vedermi?
-Adesso potreste rivelare l'esistenza di mia figlia, Branwen. Potrebbe succedermi e vivrete entrambe una vita migliore.
-Per vivere rinchiusa in questa prigione? Se avessi aspirato al potere, avrei usato i miei incantesimi su di voi molto tempo fa. Né la vostra infatuazione verso di me, né la mia verso di voi è mai stata opera di magia, ma di una forza più grande che è l'amore.
L'uomo sorrise e portò la mano tremante sulla sua guancia. -Portate con voi il mio ultimo respiro.

Branwen, con le mani nel terriccio umido, cercava di sistemare le viole che si erano salvate e riappianò la terra.
Quando ebbe finito, si alzò, si spostò il ciuffo dal viso e nel farlo si sporcò la guancia.
-Tua madre non è in casa?
La ragazza s'irrigidì al suono di quella voce e, voltandosi di scatto, trovò dietro di sé un ragazzo che doveva avere all'incirca uno o due anni più di lei. Era alto e aveva capelli dorati come spighe di grano al tramonto, era snello e le sue spalle non erano ancora molto ampie mentre la sua pelle aveva una tonalità scura e ambrata.
-Allora? Hai capito o no?
Branwen annuì con la testa ma la scosse subito dopo, con il viso in fiamme. -Mia madre non c'è. Però ci sono io...
Il ragazzo la fissava senza dirle nulla e lei abbassò lo sguardo di scatto. -Vado a...
Non fece neanche un passo che inciampò nel secchio con cui aveva annaffiato le piante. Si alzò subito dopo, ma aveva il vestito bagnato e sporco di terra.
-Non è nulla, davvero- affermò con un sorriso nervoso. -Torno subito.
Qualche minuto dopo si presentò di nuovo di fronte a lui, porgendogli la pomata per il mal di schiena di suo padre.
Senza una parola di ringraziamento, il ragazzo s'infilò la boccetta nel sacchetto di tela che portava al fianco.
Branwen deglutì. -Non è che...
Sussurrò e con le dita strinse il pesante tessuto della gonna. -Ti andrebbe di andare alla cascata qui vicino... insieme. Io ci vado tutti i giorni è davvero un bel posto e...
-Finché non mi fai pagare, posso accettare di essere amato dalla figlia una strega che non sa neanche chi sia suo padre, ma non farti strane idee, ti ridicolizzi solo ancor di più.
E con quelle parole di sprezzo se ne andò.

La regina, nonostante le fosse stato proibito, si trovava ancora dietro la porta della camera del re, ma non riusciva a capire nulla della conversazione che stava avvenendo all'interno.
Poi, all'improvviso, il silenzio assoluto.
Si accorse che stava battendo il piede a terra e si fermò all'istante per non essere sentita. Voleva sapere cosa stava accadendo oltre quella porta e non averebbe resistito ancora.
Appoggiò la mano esile sulla maniglia, l'abbassò piano per non farsi sentire e sbirciò all'interno.
Spalancò la porta, irrompendo all'interno della stanza. -Cosa gli stai facendo?
La strega staccò delicatamente le sue labbra da quelle immobili dell'uomo e si alzò in piedi.
La regina si lanciò verso il suo amato e gli prese il viso tra le mani.
-Non c'è stato nulla che abbia potuto fare per salvarlo, ma ora la sua anima è serena- dichiarò la strega voltando le spalle. -Il mio compito si è esaurito. Col vostro permesso, torno ai miei doveri.
-Non fare un altro passo!- gridò la regina.
La sua voce era rotta e le lacrime avevano inondato il suo viso come un fiume in piena. Con la mano tremante, teneva uno stiletto puntato alle spalle della donna.
-Tu... tu strega! Lo hai ucciso tu! Perché sedici anni fa non sei riuscita a farlo diventare tuo! E ora vuoi far soffrire anche me!
Il pugnale si ruppe in frantumi prima che riuscisse anche solo a sfiorarla.
-Per quanto ci provi, una pietra non può scalfire una montagna. Vi chiedo scusa.
Con quelle parole, la strega se ne andò e la regina scivolò in ginocchio tra le schegge del suo pugnale, continuando a versar lacrime amare.

Branwen, presa una manciata di mangime dal sacco, lo lanciò a terra e le galline si accalcarono per beccarlo e, dietro di lei, comparve sua madre.
-Oggi sei silenziosa- affermò la donna. -è forse successo qualcosa?
-No, nulla.
Rimasero qualche istante in silenzio e poi la madre parlò ancora.
-Lascia fare a me qui, vai in camera tua.
La ragazza si voltò a guardarla con espressione interrogativa. -Non è successo davvero nulla.
-Non discutere. Vai a studiare.
Branwen lasciò il sacco a terra e rientrò in casa, nella sua piccola stanza, anch'essa intrisa dal profumo di erbe, tanto forte da far girare la testa a chiunque non vi fosse abituato.
C'era un letto imbottito di paglia con sopra una leggera coperta e una piccola scrivania che seguiva l'andamento del tronco da cui era stata intagliata. 
Lì sopra vi erano vari fogli, penne d'oca ed un grosso e polveroso libro con la copertina rilegata in pelle grezza, che era appartenuto a sua madre, quando a sua volta era apprendista di sua madre.
Nonostante Branwen avesse superato la metà della pagine, non si ricordava che qualche incantesimo, come ravvivare il fuoco, far crescere una pianta rigogliosa ed impedire che la pioggia cadesse su di sé, erano i più semplici e di uso quotidiano.
Sua madre le ripeteva sempre: "utilizza la magia nel rispetto degli altri e della natura e mai per fini personali. Come la pioggia, così com'è necessaria, quand'è troppa causa danni, sia a chi l'ha subita, sia chi a l'ha utilizzata. La magia è come una qualsiasi altra arte, chi ne fa un uso improprio la infanga."
Aprì il libro su pagine causali e tolse i fiori che vi aveva lasciato a seccare per poi sparpagliarli sulla scrivania.
Passò lo sguardo su qualche riga del libro ma non era concentrata a sufficienza e si sporse dalla finestra, attraverso la quale non si vedevano che alberi a perdita d'occhio.
In giardino vi era sua madre con una delle tante signore del villaggio, venuta a chiedere qualcosa in cambio di un misero pagamento.
Stette un po' a guardarle e, quando sua madre voltò leggermente la testa, ebbe l'impressione che sapesse che lei la stava osservando anziché studiare, così si ritrasse nuovamente nella solitudine della sua stanza sopra il libro di magia e passò così il pomeriggio.
Sua madre non l'aveva mai forzata a studiare, trovava degli stratagemmi per cui avesse bisogno di farlo e ora non capiva perchè le aveva addirittura detto di non uscire da quella stanza.
Quando iniziarono a calare le tenebre della notte, Branwen era già distesa sul suo letto a fissare il soffitto e ripensava al modo in cui era stata respinta ieri dal ragazzo che le piaceva da quasi due anni. 
Non era un caso raro che le rispondesse in quel modo, tutti lo facevano, ma credeva che col tempo sarebbe riuscita a modificare il suo atteggiamento.
Non era affatto vero quel che diceva sua madre, che bisogna sempre essere gentili e rispettosi, le persone ignoranti persevereranno nel loro stato di chiusura come serrature senza apertura di scrigni vuoti.
Aveva sempre vissuto sola con sua madre in quella casa nel bosco, senza mai conoscere l'identità di suo padre e avendo solo contatti con le persone che andavano fin là a chiedere incantesimi, ma non aveva alcun rapporto con loro.
Conosceva il canto dell'usignolo, dell'assiuolo e della civetta, distingueva le orme di volpe da quelle di faina e, senza alzare gli occhi al cielo, sapeva sempre dire in che fase si trovasse la luna.
Quella notte, la luna si era tolta quasi completamente il suo velo da vedova per mostrare la sua pelle candida come una giovane fanciulla.
Nella gelida luce argentea, un corvo compì il suo volo e si andò a posare proprio sul davanzale della finestra aperta di Branwen.
La ragazza era scivolata in un sonno quieto in apparenza, ma i pensieri di poco prima erano filtrati nei suoi sogni e continuavano a tormentarla, mentre il corvo la fissava con i suoi piccoli occhi lucidi che possedevano tetro un riflesso sanguigno.

 

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Capitolo 2
*** Il nuovo cavaliere ***


Quella che vi ho narrato fin qui, potremo definirla un'introduzione, gli eventi che hanno portato la regina a fare la sua scelta di mettersi contro un nemico troppo grande per lei. Un ruolo più elevato nella società non faceva della regina una persona potente, al di là delle leggi umane, secondo le regole della natura, il suo ruolo da nobile, non era che una parola, un suono. Era un lombrico al cospetto di un corvo affamato. Il seme della vendetta si era insediato in lei fin dal momento in cui la strega aveva lasciato la sua dimora, aveva trovato terreno fertile e stava germogliando in lei rigoglioso. Non vi erano altri pensieri in lei neanche mentre il prete recitava la messa al funerale del suo amato. Manteneva la sua rigida compostezza, anche se era solo uno specchio in cui avevano iniziato a comparire minuscole crepe. Passò giorni mantenendo quel rigore, ma in segreto versava sempre delle lacrime, lacrime di rabbia anche contro il suo signore che, sul suo viso senza vita aveva un'espressione serena, come lei non l'aveva mai vista. Rabbia per non essersi mai resa conto di non aver ricevuto un amore sincero. Era vero che lei aveva dei doveri, che il suo era un matrimonio combinato, ma non le era mai pesato, sapendo che l'avrebbe fatto con qualcuno che amava più di chiunque altro. I suoi desideri erano repressi da troppo tempo, da quando il re si era ammalato, ora non sentiva alcun vincolo, non doveva più mantenere il suo voto di fedeltà ad un cadavere. Così, una mattina si recò nelle stalle, ove vi era un giovane che si prendeva cura dei cavalli. -Voi siete il nuovo stalliere?- domandò con un sorriso sulle labbra e tono sottile. -Avevo piacere di incontrarvi di persona. Non appena il ragazzo si accorse di lei, si inginocchiò in fretta a capo chino, ma la regina lo invitò a rimettersi in piedi. Era più giovane di lei di una decina di anni ed era da poco al castello, ma le avevano riferito che era molto affidabile e ligio al dovere come pochi oltre ad essere abile a cavallo e con la spada, tuttavia, non era ancora stato nominato cavaliere Aveva un fisico asciutto, capelli corvini e l'apparenza di un nobile anche in abiti comuni e la paglia addosso in una stalla che odorava di sterco di cavallo. -Mi fareste l'onore di conoscere il vostro nome? -Harold, mia signora. -Harold, ho un favore da chiedervi, non avete ancora il titolo di cavaliere, ma provvederò presto- disse e avvicinò le labbra al suo orecchio. -Questa notte venite nella mia stanza. La ragazza era ancora lì, alla sua finestra a fissare la gente che andava e veniva dalla sua casa, sua madre era diventata ancoa più rigida e non la faceva mai uscire dalla sua stanza, non verificava più neanche se avesse studiato o meno. Passava i suoi pomeriggi nella noia e solitudine totale. Qualche volta le facevano visita nella stanza dei ragni che prendeva in mano e, come un bambino che vuol capire il significato di un oggetto con gusto sadico, staccava loro le otto zampe una ad una. Dopo aver concluso, restava distesa sul letto a fissare il soffitto, ancora una volta sola. Un pomeriggio tornò ancora il ragazzo che le piaceva e che, nonostante tutto continuava a piacerle. Non capiva bene a cosa fosse dovuto il suo interesse, interesse che non provava per nessun altro, voleva già molto bene a sua madre, che bisogno aveva di qualcun altro? Che cosa si fa con un ragazzo per cui si sente attrazione? Quel naturale interesse che sentiva di non provare per sua madre e la faceva agitare... -Ecco qua- disse la strega, consegnando l'ampolla nelle mani del giovane. -Mi devi trenta monete. -Non ne costava due? -Le altre dieci sono per quelle che non hai pagato fin'ora, il resto per aver ferito mia figlia, è anche molto meno di quel che mi dovresti realmente. Il ragazzo lanciò due monete per terra e si voltò. -Non è nobile chi ne ha il titolo, ma chi è di buon cuore. Lui esitò quache secondo e riprese a camminare per la sua strada mentre alle spalle della strega apparve sua figlia. -Branwen... Che ci fai qui? La ragazza abbassò lo sguardo. -Volvevo solo... salutarlo. La madre sispirò. -Ora torna dentro. Branwen si voltò ma dopo qualche passo si fermò. -No. La donna stava per tornare alle sue faccende ma si bloccò. -Branwen... La ragazza strinse i pungi e si voltò. -No! Io... non so quanti anni io abbia, ma è tutta la vita che sono costretta a stare qui! Io voglio vedere cosa c'è oltre il bosco, voglio conoscere altre persone e trovare questo "Amore" di cui mi parli! Solo a seguito delle sue parole si rese conto di stare piangendo, non capiva perchè non era riuscita a trattenersi. In lei si era rotto qualcosa e non era un osso, qualcosa d'interno ma non capiva in che parte del suo corpo, nonostante avesse sempre pensato di conoscerlo, ora si sentiva un'estranea al suo interno. -Io non ti faccio allontanare per proteggerti. -Cosa ho io di diverso dagli altri per dover essere protetta? Il mondo è così pericoloso? è tenendomi lontano da esso che speri di proteggermi? Spiegami il perchè? Tantovale morire, così saresti sicura che io non corra pericolo... Sua madre la interruppe colpendola in viso con uno schiaffo. Branwen si toccò la guancia con la mano, era la prima volta che sua madre la trattava così... -Ora non farmelo ripetere ancora, entra in casa!- era anche la prima volta che gridava a quel modo e ora le teneva stretto il polso. -Sai di non potermi tenere chiusa qui per sempre... -Non costringermi ad usare la magia. Vide gli occhi di sua figlia divenire rossi per qualche istante e le lasciò il polso e, in quel momento, Branwen si allontanò da lei correndo aldilà del cancelletto, sulla via che portava al villaggio. La donna cadde in ginocchio, sopra le monete che il ragazzo aveva lanciato. Dopo la lunga camminata nel bosco, Branwen giunse in vista del villaggio. Era la prima volta nella sua vita che lo vedeva, era immenso, pur non essendo che uno sputo in tutto il mondo, e pieno di gente, anche se quella che vedeva erano solo poche centinaia di umani, non più importanti di cento alberi in un bosco, ma sicuramente più nocivi e meno utili. Tutto ciò che vedeva la lasciava senza parole, non aveva mai visto una così vasta area priva di alberi e mai così tante case. Non vi era molta gente per cui non vi erano molti rumori molesti, era un posto tranquillo, anche se da morto lo era sicuramente di più. A quell'ora gli uomini lavoravano nei campi e le donne stavano in casa a badare ai figli o a tessere la lana. Altri invece erano al mercato, non così ricco e ben fornito, il villaggio viveva soprattutto di sussistenza, c'erano pochissimi scambi con il resto del mondo, solo di tanto in tanto, tra i mercanti c'era qualche visto nuovo. Tra le merci vi erano uova, carne, bestiame, vari legumi, frutta, lana, pelli e raramente qualche spezia. Oltre agli ordinari beni acquistabili, vi erano anche delle donne che vendevano il loro corpo che si spostavano di villaggio in villaggio. Branwen sentì gridare proprio una di quelle donne mentre passava davanti a quel gruppo, vide un uomo che con una frusta la puniva colpendole la schiena nuda mentre era legata. La gente si era radunata per osservare più da vicino la scena, ma nessuno interveniva per fermare tanta atrocità. -Questa donna mi ha derubato del mio denaro e ha provato a fuggire, dopo che l'ho accolta e sfamata!- gridava l'uomo ma, ad un certo punto, la frusta divenne una sinuosa vipera che si ritorse contro la mano che la impugnava e la morse. L'uomo lasciò cadere la frusta a terra, tenendosi la mano su cui non vi era alcun segno ma aveva un'espressione di reale terrore. La gente intorno lo guardava attonito, senza capire a cos'era dovuta quella reazione. -Lo avete visto anche voi? Quella frusta era diventata un serpe!- affermò e vi volse di nuovo verso la donna. -Era senza dubbio stregoneria! Tu, maledetta! Stava per scagliarsi contro di lei a mani nude ma dei viticci crebbero dalla terra e avvolsero i suoi piedi. Allora tutti tra il pubblico si fecero indietro e si volsero verso Branwen, palesemente colpevole, dati i gli arbusti che partivano dei suoi piedi. Aveva fatto tutto senza pensare e non capiva neanche il perchè di quell'empatia verso una donna che non conosceva. Adesso non sapeva come doveva affrontare la situazione, non era come sua madre che sapeva sempre cosa dire in ogni occasione, ma oramai era troppo tardi per tornare indietro. L'uomo sollevò il piede i strappò i rami che lo trattenevano e si avvicinò a Branwen e tutti fra il pubblico avevano iniziato a bisbigliare: "è una strega!" Tra gli spettatori, vi era anche il ragazzo amato da Branwen. La ragazza non riuscì a muoversi e rimase immobile, tentò all'ultimo di allontanarsi ma l'uomo le aveva afferrato i polsi e aveva incitato altri uomini ad aiutarlo a bloccarla. La bloccarono a terra e le misero un braccio disteso su cui incombeva la lama di un'ascia. -Senza le braccia una strega è impotente, no? -Lasciatemi!- gridò lei, tentando di dimenarsi. I suoi occhi divennero ancora una volta rossi e, mentre l'ascia si abbassava su di lei, una voce fermò il braccio che la maneggiava. -Che sta succedendo qui? La gente si diramò per far passare in cavaliere in groppa al suo destriero. -Costei è una strega- gli dissero. Il giovane uomo dai capelli corvini osservò Branwen e la donna che era stata punita e poi si rivolse ai presenti. -Non sta a voi giudicare un crimine, ma alla regina- affermò distaccato e poi si rivolse al padrone della schiava. -Io, in quanto rappresentante di sua maestà, le intimo di lasciare il villaggio, non desideriamo più i vosti servizi. In quanto alla strega... Rivolse un secondo sguardo a Branwen che abbassò il suo e, sceso da cavallo, le si avvicinò. -La prenderò io in custodia- disse legandole i polsi e gli uomini la lasciarono alzare. Senza opporre alcuna resistenza, si fece aiutare dal cavaliere a salire a cavallo, mentre lui rimase a terra tenendone le redini. Branwen osservò la corda stretta cttorno ai polsi, era in grado di spazzarla facilmente, ma preferì non mostrare ancora la sua arte; contrariamente a quel che pensava la gente, una strega utilizzava la forza delle parole e della mente, le mani sono solo uno strumento. Era stata docile seguendo il cavaliere, ma si rendeva conto della situazione in cui si trovava e rimpiangeva di aver mostrato in pubblico la sua arte. Il cavaliere la osservava dal basso e aveva la giusta intiuzione che fosse una ragazza troppo ingenua, ma la regina lo aveva informato sul potere di una strega e del fatto che potesse anche mutare il suo aspetto, e quell'ingenuità poteva essere solo una copertura. -Ragazzina... -Mi chiamo Branwen. -La prossima volta faresti meglio a lasciar perdere le questioni da adulti. -Ma nessun adulto ha fatto nulla. -Lo avrei fatto io. Ci fu un lungo silenzio in cui la ragazza fissò il giovane senza mai distogliere lo sguardo. -Come ti chiami? -Harold. -Ti piacciono i fiori? -Non paricolarmente. -E le orchidee? -Sono sempre fiori. Il cavaliere la guardò di rimando senza dire nulla e l'uomo distolse lo sguardo per primo. -Dove abiti? Ti riporto a casa. -Non ne ho voglia- disse lei. -Sono uscita solo poco fa. -Io devo lavorare, non ho tempo da perdere con te. -Perchè non mi lasci qui? -Se ti lasciassi qui, non so che altro potresti combinare. Dopo un breve silenzio, Branwen sospirò. -Ho capito. In seguito, il cavaliere montò anch'egli a cavallo e lei gli indicò la strada che conduceva al bosco. L'uomo non era mai stato alla dimora della strega, ma sapeva all'incirca dove si collocava ed ora lei lo stava conducendo lì e comprendeva ancor meno quali fossero le sue reali intenzioni, tuttavia aveva idea che si stesse divertendo molto. Il luogo in cui giunsero, non era la casa della strega, bensì una cascata. -Ragazzina, perchè mi hai portato qui? -Perchè oggi ho veduto per la prima volta il villaggio degli uomini e preferisco quello degli alberi. Il cavaliere, scese da cavallo e aiutò Branwen a fare lo stesso. La ragazza si diresse subito verso la sponda del bacino d'acqua, al cavaliere bastò distogliere di qualche secondo lo sguardo, per ritrovarla qualche secondo dopo completamente nuda. -Ragazzina, non dovresti spogliarti di fronte ad un uomo. -Non posso fare il bagno con i vestiti addosso. Vieni anche tu? -Io devo lavorare. Harold stava per montare di nuovo in sella, ma si voltò ancora verso la schiena bianca della giovane; quella non poteva che essere una semplice ragazza dallo spirito cristallino e trasparente come l'acqua il cui unico obiettivo era quello di trovare modi per intrattenersi, ma se anche era una strega, non era lei quella che cercava. Tuttavia, poteva trarne dei vantaggi nell'ossevare l'adoperare di una strega, non si era accorto neanche di quand'è che si era tolta la corda dai polsi. Fece un lungo respiro e si distese sotto un albero e si appisolò all'ombra della sua chioma, cullato dal dolce suono dell'acqua che scorre. Si ridestò nel tardo pomeriggio, le luci erano calate e dalla cascata sembravano staccarsi scintille dorate e la ragazza era ancora lì, nel prato a cogliere fiori selvatici. Poco dopo si avvicinò a lui e gli mise al collo una collana di fiori. -Ti avevo detto che non mi piacciono i fiori. -Dovrebbero piacerti, così sei più carino. -Non puoi definire "carino" un cavaliere, non sono mica un coniglietto... lei lo guarda con insistenza e si arrese, prese con la mano la collana e se la portò fino al naso e chiuse gli occhi, profumava molto. Riaperti gli occhi si rivolse alla giovane. -Sei figlia della strega che vive nel bosco? Lei annuì, non credeva avrebbe risposto così facilmente, se lo avesse saputo prima, glielo avrebbe chiesto in precedenza. -Molti cavalieri sono venuti a casa nostra, ma non ti ho mai visto- disse lei successivamente toccandosi i lunghi capelli castani. -Io non penso tornerò ancora al villaggio, ora che ho saziato la mia fame di conoscenza, sono tronta per tornare a casa. Verrai a trovarmi qualche volta? Harold si alzò e le rivolse la schiena. -Devo lavorare. Branwen apparve un pò delusa. -Dici sempre questa frase... la dicono sempre gli adulti, così spesso che si dimenticano della loro stessa vita. Lui salì a cavallo e non posò più gli occhi su di lei. -Lo capirai quando crescerai. Se ne andò lasciandola lì, a chiedersi in che modo gli aveva recato offesa. Harold si diresse alla sua reale meta, la casa della strega, ma ora era a piedi, senza scarpe e in abiti civili, ma nascondeva un pugnale nella manica. Aveva lasciato il suo cavallo nel bosco, in modo tale da celare alla strega la sua reale identità. La regina aveva affidato proprio a lui quel compito perchè la strega non aveva mai visto il suo volto prima e non conosceva la sua vera identità. Superò il cancelletto e bussò alla porta, dietro alla quale gli giunse una risposta. -Andate via, oggi non sono in vena di lavorare. -Vi prego, è urgente, mia madre è in punto di morte. Ci fu un lungo silenzio, poi udì dei passi sulle assi di legno e il chiavistello che veniva tolto dalla porta. Gli apparve di fronte una donna dagli abiti sgargianti, ma che male si abbinavano alla sua espressione infelice, aveva gli occhi arrossati e lucidi. Assomigliava molto alla ragazza che aveva incontrato, aveva solo qualche ruga in più che le solcava il viso era più alta ed i suoi capelli, meno lunghi e vigorosi, erano dello stesso colore del pelo di un visone. -Sa che non posso ridare la vita ai morti?- gli chiese lei. -Volevo solo che aleviasse un pò la sua sofferenza. La strega aprì totalmente la porta e lo lasciò entrare, dopodiché si mise a trafficare fra i suoi scaffali e barattoli di vetro, mentre il ragazzo era rimasto alle sue spalle. La sentiva ogni tanto aspirare col naso e la vedeva portarsi la mano alle guancie e si sentiva confuso. La regina le aveva detto che era una persona priva di sentimenti e dall'animo malvagio, ma vederla sotto quella luce, non cambiava gli ordini che doveva eseguire. Senza far rumore, si avvicinò alle sue spalle. -Che cosa ho sbagliato?- domandò la strega e lui si fermò. -Volevo solo proteggere mia figlia... Poco dopo, la donna gli consegnò tra le mani un'erba con le lacrime che le sgorgavano dagli occhi. -Datela a vostra madre e lei scivolerà nel sonno, sempre che questo sia il motivo per cui siete qui. Lui deglutì e sentì la fredda lama del pugnale contro il palmo. -Come lo avete capito? -Nessun incantesimo, hai fatot tutto da solo con questa domanda.- rispose stringendosi nelle spalle -E ora se ne vada signor cavaliere, non voglio alcun pagamento. Il dolore della regina non sarà alleviato con la mia morte. Il cavaliere abbassò lo sguardo. -Non preoccupatevi, vostra figlia sta bene. -Non per molto...- disse abbassando lo sguardo e le labbra tirate, ma il suo viso si contorse in un'espressione di dolore e si ripiegò su se stessa, sputando sangue. Il cavaliere ritrasse il pugnale e la donna cadde a terra ai suoi piedi con le mani sul ventre. Il sangue defluiva dalla ferita e s'infilava tra le fessure della pavimentazione che seguisse dei canali e sui suoi vestiti si estendeva una macchia rossa. -Non avevo nulla contro di voi, ma dovevo eseguire degli ordini- disse il cavaliere. -Chiedervi perdono sarebbe inutile. Così come il liquido rosso, anche la vita defluiva via dal suo corpo velocemente e infine, l'abbandonò completamente, ora era solo un contenitore vuoto, nulla più di un pezzo di carne dagli occhi velati. Tuttavia, dopo pochi istanti, qualcosa iniziò a muoversi sotto quelle vesti, un piccolo bozzo che a poco a poco aumentava di massa e, infine, trovando la scollatura sul seno vi uscì fuori. Era un gatto nero. Il felino miagolò piano, si volse verso l'uomo e soffiò con i peli irti sul dorso per poi correre verso la porta aperta e sparire da qualche parte nel bosco.

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