Come fossi niente, come fossi acqua dentro acqua.

di Raya_Cap_Fee
(/viewuser.php?uid=92448)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** XVIII ***
Capitolo 19: *** XIX ***
Capitolo 20: *** XX ***
Capitolo 21: *** XXI ***
Capitolo 22: *** XXII ***
Capitolo 23: *** XXIII ***
Capitolo 24: *** XXIV ***
Capitolo 25: *** XXV ***
Capitolo 26: *** XXVI ***
Capitolo 27: *** XXVII ***
Capitolo 28: *** XXVIII ***
Capitolo 29: *** XXIX ***
Capitolo 30: *** XXX ***
Capitolo 31: *** XXXI ***
Capitolo 32: *** XXXII ***
Capitolo 33: *** XXXIII ***
Capitolo 34: *** XXXIV ***
Capitolo 35: *** XXXV ***
Capitolo 36: *** XXXVI ***
Capitolo 37: *** XXXVII ***
Capitolo 38: *** XXXVIII ***
Capitolo 39: *** XXXIX ***
Capitolo 40: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** I ***



COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA



 
Dedico questa storia a Killuale94, te lo devo :)

 

Seduta su una panchina, al parco giochi dei bambini, guardai ancora una volta il foglio bianco davanti a me con una smorfia.

Possibile che nella città di Caldwell non morisse nessuno da quattro giorni? Sentii qualcuno avvicinarsi ma dall’aurea che emanava non avevo bisogno di guardarlo per capire chi fosse “Gabriele…” salutai il ragazzo che venne a sedersi al mio fianco

“Sarah Jane” replicò lui con la solita calma.

Alzai gli occhi grigi dal foglio per guardare l’angelo. Nel vero senso della parola, non perché fosse bello da impazzire.

Stirai le labbra in un sorriso forzato e gli agitai davanti al viso il foglio “Deve esserci qualche guasto al tuo foglio magico” scherzai, senza ridere.
Non ridevo spesso. Quasi mai in realtà. Con chi potevo ridere se nessuno, a parte Gabriele e i miei colleghi potevano vedermi?

“Non c’è nessun guasto al foglio, Sarah Jane” sorrise Gabriele scostandosi con un soffio una ciocca dei capelli biondi sulla fronte.

Inarcai le sopracciglia “Allora avete deciso che non dovrà più morire nessuno? Avete ripristinato l’eternità e non mi hai informato?”

L’angelo mi guardò paziente, era abituato al mio tono saccente e alle mie continue battute sarcastiche.

Scosse la testa “Mi sto occupando io delle tue anime, Sarah Jane”

Perché doveva chiamarmi sempre per intero? Sarah bastava.

“Non capisco. Mi hai licenziata?” piegai il foglio e lo riposi nella tasca della tunica nera che indossavo. Originale no? Abito nero per la Morte.

“C’è un altro compito qui a Caldwell per te e si chiama Daniel Duroy”

Fissai in silenzio quegli occhi celesti, nel tentativo di capire se stesse dicendo sul serio.

“Sarà il tuo successore, Sarah Jane”.

Si alzò in piedi e mi prese una mano. Se fossi stata umana mi sarei senz’altro sentita attratta da quel ragazzo.
Ma purtroppo nessuno dei due lo era, nè umano e nè attratto intendo.

“Vuoi dire che dovrò prendere la sua anima e poi sarò libera?” non riuscii a trattenere una nota di speranza e impazienza nel tono.

Erano trentatré anni che aspettavo quel momento.

Gabriele mi guardò e scosse la testa “Non così in fretta. Daniel prima di diventare uno di noi deve cambiare. Così come è non va bene”

Incassai la testa nelle spalle, rassegnata “Perché non va bene?” chiesi. Maledizione.

“Questo lo capirai da te quando lo incontrerai. Nel frattempo mi occuperò io delle tue anime” sorrise ancora e mi strinse appena la mano.

Non c’era nulla di romantico nel gesto. Gabriele era così con tutti.

“Lui non può vedermi se non è morto, Gabriele” replicai appena con sarcasmo. Era più facile accettare di essere la Morte quando ci si limitava a compiere il proprio dovere.

Lui chinò leggermente il capo di lato e sorrise paziente “Questo lo so Sarah Jane. Ed è per questo che tornerai ad essere visibile agli altri”

Sgranai gli occhi e deglutii “Cazzo…”

L’angelo mi guardò ammonitivo “Il linguaggio, Sarah Jane”

“Scusa” farfugliai “Insomma mi stai dicendo che dovrò tornare umana per incontrare il mio successore... però non posso prendere la sua anima subito perché così come è non va bene?” feci il riassunto e lui annuì.

“Non sarai proprio umana, rimani comunque morta cara” mi corresse appena “ Questa è una prova anche per te, Sarah Jane” continuò fissandomi.

Sospirai appena e poi annuii. Se quello di trovare e cambiare Daniel Duroy era l’unico modo per essere libera me ne sarei occupata con la massima cura.

“Ora devo andare. Il dovere mi chiama” disse Gabriele chinandosi  a baciarmi una guancia “Buona fortuna, Sarah Jane. Se hai bisogno d’aiuto sai cosa fare”.
Io annuii e lui scomparve davanti ai miei occhi.

Incrociai le braccia al petto e borbottai qualcosa sottovoce mentre camminavo per il sentiero guardandomi i piedi.
Possibile che non potessi avere un po’ di pace?
Se questo Daniel non andava bene perché non sceglierne un altro più adatto?
Sbuffai poi però mi accorsi di qualcosa di diverso.
Erano delle Converse bianche quelle ai miei piedi? Mi fermai di scatto.

Eh sì. Erano proprio delle Converse, dei jeans e una camicia a scacchi rossi e neri quelli che indossavo.

Mi guardai intorno e incrociai lo sguardo di un ragazzino sull’altalena. Mi stava guardando, mi stava vedendo.

Mi allontai in fretta e mi rifugiai dietro un albero in preda al panico.
Era da molto che non avevo contatti con gli umani.
Li avevo visti mutare sotto i miei occhi. Cambiare moda, modi di fare, capelli, gusti musicali.
Li avevo visti diventare sempre più meschini, malati, schiavi della tecnologia e avevo desiderato non avere più nulla a che fare con loro. Già ai miei tempi non amavo la compagnia.

“Questa è una prova anche per te, Sarah Jane”

 Che voleva dire?

Odiai Daniel Duroy già prima di vedere che faccia avesse.

Note d'autrice
Ciaoooo! Beh questo capitolo è un pò cortino ma per per introdurre il personaggio un bel pò peperino di Sarah Jane! Il prossimo sarà più lungo promesso! Il prestavolto di Daniel sarà Colton Haynes (Teen Wolf e Arrow) mentre quella di Sarah Jane mi è sconosciuta (se qualcuno sa chi è me lo dica per favore xD) A presto,

RayaFee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA



 

I was never welcome here
We don't have a choice to stay
We'd rather die than do it your way

 
Imagine Dragons-Ready,Aim,Fire.
 




 
Alla fine ritrovai, con un grosso sospiro, il coraggio di uscire dal mio nascondiglio e affrontare la mia nuova condizione. Non avevo intenzione di fare la femminuccia.
Gabriele non mi aveva dato nessuna informazione su dove trovare questo Daniel, perciò sospettavo che avrei dovuto fare tutto da sola. Sbuffai appena e mi fermai sul marciapiede fuori dal parco appena in tempo per non essere  investita da una macchina in transito. Già, ora non ero invisibile e incorporea.

Mi assicurai che non giungesse più nessuno che potesse attentare alla mia “vita” e attraversai in fretta. Quanto tempo era che non attraversavo come normale essere umano? Mi venne da sorridere.

“Bel casino, Sarah” mormorai sottovoce poi, sollevai lo sguardo verso la vetrina del negozio vicino al quale stavo passando e nuovamente mi bloccai cogliendo il mio riflesso.

Ero esattamente come trentatré anni prima.

I capelli rossi, eredità del mio padre irlandese, mi incorniciavano il volto piccolo e pallidissimo e scendevano lisci oltre le spalle esili.
Gli occhi grigi erano grandi e ora, leggermente sbarrati per la sorpresa. Mi avvicinai ancora di più alla vetrina e sollevai la mano destra per darmi un buffetto sulla guancia sotto, sentii la pelle liscia e morbida.
Non ero umana ma ci andavo molto vicino.

Quando scorsi che qualcuno, dall’interno del negozio, mi stava fissando feci di scatto un passo indietro “Smettila di sembrare un’idiota e cammina” sospirai e proseguii oltre.

La mano sinistra era coperta  da un guanto di pelle nera. D’altronde era necessario se Gabriele non voleva che uccidessi per caso chiunque toccassi.
E’ così che io mi occupavo delle anime.
Bastava toccarli e puff. Libertà.

Mi guardai intorno incrociando le braccia al petto. Caldwell non era una cittadina molto grande, circa settemila persone, ma dubitai che trovare Daniel sarebbe stato facile senza almeno un indizio. Tra l’altro era quasi il tramonto.

“Gabriele?” chiamai sottovoce sicura che potesse comunque sentirmi “Ti spiacerebbe darmi qualche indizio? Non vorrai che vada a zonzo per questo posto maledetto...” continuai con una nota di ironia.

Vi fu un leggero soffio di vento e un foglietto bianco svolazzò vicino ai miei piedi. Mi chinai a raccoglierlo e lo aprii.


 
Hai ragione, vai al campo da football accanto al liceo. Lì troverai Daniel.
E questo è il tuo indirizzo: Light Street, 10. Non pensavi mica ti avrei fatto dormire sotto un ponte vero, Sarah Jane?
 
Ps: Caldwell non è  maledetto.
PPS: Ti prego fai attenzione al linguaggio, Sarah Jane.
G.

 
 
Alzai gli occhi al cielo.  Mi prendeva per il culo? Light Street.

Piegai il foglio dalla  e svoltai a sinistra lungo il marciapiede. Ero lì da una settimana ma avevo già appreso la posizione degli edifici più comuni. Come il liceo.

Odiavo il liceo.
Odiavo molte cose ed era probabilmente per questo che ero stata trattenuta tanto tempo sulla Terra, anche dopo la mia morte.

Il profilo del “Caldwell High School” mi si parò davanti agli occhi e mi grattai la testa dirigendomi verso il campo da football. Probabilmente questo Duroy era un giocatore.
Di male in peggio. Odiavo anche quelli.

Mi tornò in mente Scott, un mio compagno di liceo che non faceva che rompermi le scatole sui miei capelli e la mia statura.

Un metro e sessanta era un’altezza di degno rispetto!

Entrai nel campo e andai verso gli spalti. Non ero l’unica seduta. C’era qualche ragazza a sbavare di fianco a me e alcuni ragazzi bevevano una birra guardando chi si allenava in campo.

Grugnii sottovoce, erano tutti coperti dal casco.

Un tonfo al mio fianco mi fece sobbalzare e feci scattare lo sguardo dietro di me. Perché cazzo avevano lanciato una bottiglia

“Ehi. Non sono mica il tuo bersaglio”.

Incrociai lo sguardo del ragazzo colpevole. Sorrideva pure come un imbecille.

“Non l’ho fatto apposta. Scusami tanto” rispose ironico e rise seguito dai due suoi compari.

Dio, avevo dimenticato quanto fossero stronzi.

“Non ti ho mai visto da queste parti”

Ecco che cercava di attaccare bottone. Col cavolo. Però poteva essermi d’aiuto, magari lui sapeva chi fosse Daniel. Sempre che non fosse Lui.

“Sono venuta a trovare mio cugino. Vengo da San Francisco”

Beh, che venivo da San Francisco era vero.

Quello si alzò in piedi e scese un paio di gradoni, per poco non inciampò a causa di uno spintone dei suoi amici.

Forse non sapevano quante anime avevo raccolto per quei tipi di stupidi scherzetti.

“Cazzo Scott! Smettila!” sbottò il ragazzo guardando male il biondino abbronzato colpevole. Si sedette al mio fianco poggiando i gomiti sul gradone dietro “Ho un debole per le rosse sai?”

Tornai a guardare i giocatori in campo, impegnati a correre avanti e indietro “Mi fa piacere” mormorai senza interesse. Si avvicinò ancora di più a me
“Davvero?”
“No”
Il ragazzo rise e mi porse una mano “Mi chiamo Jack”

Grazie al cielo.

Guardai la sua mano, poi la sua faccia. Aveva i capelli neri e gli occhi castani “Ciao” salutai

“Le buone maniere vorrebbero che ti presentassi”

“Non uso le buone maniere io” rimbeccai inarcando un sopracciglio mentre i giocatori erano d’un tratto l’uno sopra l’altro

“Allora chi è tuo cugino?”

Gli lanciai ancora un’occhiata “Conosci Daniel Duroy?”

Lui sbattè le palpebre e contrasse la mascella “Quello stronzo è tuo cugino?”

“Potrebbe essere anche tuo cugino sai?”

Chissà se aveva capito la battuta. Dallo sguardo che mi lanciò, no.

“Mi ha detto di venire a vederlo durante gli allenamenti. Solo che non so che numero sia…” sfruttai ancora Jack.

Sembrava essersi incazzato “Duroy è il quindici” indicò con il capo uno di quelli fermi a bordo campo.
Perfetto.

Accennai un sorriso finto “Sarah Jane” mi presentai. Lui accennò un sorriso poi si alzò in piedi “Ora devo andare” fece cenno ai due compari che si avviarono verso l’uscita “Spero di vederti presto SJ” disse allontanandosi.

“Ho detto Sarah Jane! Non SJ!” urlai.

Quanto odiavo quel diminutivo.

Qualche testa si era voltata nella mia direzione ma non mi importava. Puntai lo sguardo sul numero quindici.

“Dispiacere di conoscerti Daniel Duroy” mormorai, tetra.


Note d'Autrice
Ciaooo :) Ecco il secondo capitolo, è arrivato presto eh? Gli aggiornamenti saranno piuttosto frequenti :) Grazie a chi ha letto la storia, a Drachen che l'ha messa tre le seguite e a Killuale94 e Abbeyna che l'hanno messa tra le preferite :)
A presto,

RayaFee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III ***


 
COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA

 

Come death
she said
come easeful future
death how I long
for your nurture
breathe in to me
come death only friend
nothing is born of this pain
take this gift upon thy self
house of pain
this body is too small a chamber
breathe in to me
my true lover is with me
what ever is true is with me

Eivør- True Love

 



 
Seguii con pazienza gli allenamenti fino alla fine e un brivido mi percorse la schiena quando l’ultimo raggio di  sole sparì all'orizzonte lasciando così spazio alla sera di Caldwell.
Avevo freddo.
Mi strinsi nella camicia e continuai a fissare i giocatori che cominciavano a togliersi i caschi.

Continuavo a stupirmi per quelle sensazioni umane che da tempo non mi appartenevano. Io non appartenevo più a quel mondo da anni e lo testimoniava il silenzio della mia cassa toracica, anche il quel momento.

Presi un respiro e mi alzai in piedi per guardare meglio il numero quindici che si stava togliendo il casco, dandomi le spalle. 
Vidi così i capelli castani tagliati corti sulla nuca e appena più lunghi sul davanti. Scesi tutti i gradoni e giunsi a bordo campo mentre Duroy lanciava il casco al numero nove, un ragazzo piuttosto magro dai capelli ramati e ricci.

Il leggero venticello mi permise di sentire l’eco di qualche parola.

“Un altro placcaggio così e mi mettevi fuori uso Ross. Stai attento a quello che faii” udii la voce di Duroy che scherzava.

Era un po’ roca ma piacevole.

Camminai a bordo campo per aggirarlo e poterlo guardare in faccia. Bisognava che lo riconoscessi se dovevo avvicinarlo in futuro.

E così lo vidi in volto.

Inarcai verso l’alto le sopracciglia. Senz’altro le anime sarebbero state felici di vedere una Morte come quella andare a prenderle anziché vedere una come me.

Era senz’altro bello e per un momento pensai con dispiacere che, se doveva essere il mio successore, sarebbe dovuto morto.

“Devi essere professionale Sarah, non sentimentale. Non è da te” parlai sottovoce, ferma e a braccia incrociate. Notai che qualcuno mi stava guardando.

Lui mi stava guardando con una certa sufficienza affiancato dal numero nove che mormorava qualcosa. Incrociai i suoi occhi azzurri e capii che molte cose si celavano dietro quello sguardo e che purtroppo, sarebbe toccato scoprirle tutte a me.

Mi schiarii la voce e mi mossi verso di loro.
Non ero mai stata una ragazza timida, solo apertamente ostile con tutti. Famiglia compresa.

Non mi importava delle opionioni di chi mi circondava, solo della mia.

Stirai le labbra in un sorriso forzato “Qualcuno di voi due può darmi una mano?” chiesi cercando di controllare la voce affinchè non si sentisse la mia solita nota acida.

Numero Nove mi sorrise “Anche due, dove vuoi che te le metta?”

Patetico.

Mi trattenni dal fare una smorfia di disgusto e mi limitai a guardare Ross per un attimo.

Puntai lo sguardo su Daniel, alto quasi venti centimetri più me, decisa a tastare il terreno con lui

 “Dipende da cosa vuoi” rispose con tono distaccato mentre recuperava il casco dalle mani di Ross e scambiava con lui un’occhiata infastidita

“Sono nuova di qui e mi domandavo se ci fosse qualche posto dove bere qualcosa. Dove si può vedere qualcuno al di sotto dei trent’anni” inventai sul momento quella scusa. Patetica.

Daniel continuò a fissarmi e poi d’un tratto, sorrise divertito “Perché hai già l’età per bere? Non mi sembra”

“Sono più grande di quello che pensi” risposi.

Avevo vent’ anni con l’aspetto di una di quindici  e che in realtà ne aveva cinquantatre. Chi meglio di me?

Era lui il ragazzino lì.

Lui si strinse e nelle spalle e si voltò per andarsene insieme agli altri negli spogliatoi. Cosa?

Assottigliai le labbra “C’è il Fire Cracker, di solito noi ci riuniamo lì” sentii la voce del numero Nove, ancora davanti a me.

Gli feci un cenno con il capo “E’ all’angolo tra Marvel Street e la Mary Avenue” continuò lui con un sorriso.

Un' ora e già due che ci provavano come me. Era un record

“Ross! Non perdere tempo e vieni a cambiarti! Tanto nemmeno lei te la darà, non farti illusioni” gridò Daniel.

COSA?

“Ma come si per…” feci per dire ma Ross mi interruppe ridacchiando “Lascia stare Duroy. Se volevi parlare con qualcuno hai scelto la persona sbagliata.” Indicò con il pollice il compagno di squadra.

Sentii la mancina guantata bollente.

“Ci si vede da quelle parti allora” mormorai tra i denti prima di voltarmi per andarmene.




 
Nota d’Autrice:
Salve! :) Ecco un nuovo capitolo, piuttosto breve lo so. Spero vi piaccia comunque. Per il nome “Fire Cracker” ho tratto ispirazione dal telefilm spettacolare “The Black Donnellys” :3 Ringrazio Cristina Maurich 55, cattivamela che hanno messo la storia tra le seguite, recensite, sarebbe piacere potervi rispondere ^_^ A presto,
RayaFee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV ***


 
COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA

 


 
Something is said,
it sits in my head.
It's been there too long,
it's killing me slow.
It's rolling around,
it's pushing me down.
It's keeping the good part of me closed
.

Joshua Radin- When you found me

 
Quando entrai nel mio appartamento di Light Street, poco dopo il mio incontro con Daniel, quasi svenni per la sorpresa.
Era ENORME.

Non avevo mai avuto tanto spazio a disposizione in vita mia.
 Alla mia sinistra c’era un salotto con un divano di pelle nera, una TV di quelle sottili che vedevo in giro da qualche anno, un tavolino basso di vetro con in mezzo un vaso di ceramica nera e una portafinestra che dava su una piccola terrazza arredata.
Mi avvicinai al divano lentamente, ancora incredula che Gabriele mi avesse piazzato in un posto del genere. Non era lui quello che predicava  quanto fosse inutile circondarsi di oggetti inutili e sfarzosi?

Accarezzai con la mano destra il divano e un sorriso mi sfuggì dalle labbra.
Corsi ad esplorare il resto dell’appartamento.

La cucina era più piccola rispetto al salotto, con la tipica isola che faceva anche da tavolo
.
Entrai nella camera da letto, inarcai le sopracciglia. Le pareti erano dipinte di nero, il letto al centro della stanza invece aveva lenzuola e coperte lillà. Sul comodino la sveglia segnava le 20.55 e forse dovevo sbrigarmi se volevo uscire.

Sospirai guardando le pareti della stanza

“Quale è il tuo colore preferito Sarah Jane?” mi aveva chiesto una volta l’angelo
“Il nero” avevo risposto
“Perché?”
“Perché dal nero non puoi aspettarti niente. E’ solo nero”

Nell’appartamento c’era parecchio nero: nei mobili e nei suppellettili. Solo il pavimento, in tutte le stanze, era di bianco quasi accecante.
Non sapevo definire se Gabriele avesse avuto buon gusto perché in fatto di arredamento non ne capivo nulla però mi piaceva. Avevo anche una cabina armadio!
 
Tra le decine di capi che erano disposti ordinatamente sulle stampelle scelsi un paio di jeans neri, una maglietta semplice viola e un gilet nero. Per un posto che si chiamava “Fire Cracker” sarebbe andato più che bene. Mi fermai per un attimo a pensare. Non avvertivo bisogni fisiologici ma dubitavo che una doccia mi avrebbe fatto male così andai in bagno. Avevo anche la scelta: Doccia o vasca?
Optai infine per la doccia, perché mi sembrava di essere in ritardo.
 
Mezz’ora dopo ero già nuovamente fuori dall’appartamento. Mi domandai, visto la quantità di vestiti e altro, quanto tempo ci avrei messo a portare a termine quel compito. Scesi le scale dal quarto piano e uscii in strada.
 
All’angolo tra la Marvel Street e Mary Avenue”  aveva detto Ross.
Avevo un ottima memoria per cui, ricordai la posizione  di Marvel Street, dove ero passata qualche giorno prima e perciò cominciai a camminare. Non era molto lontano. Qualche isolato forse.
 
Durante il tragitto, tra varie svolte e marciapiedi, mi concessi di pensare alla situazione di Daniel Duroy.
Che cosa avevo scoperto? Che era un giocatore di football e che sembrava uno di quei stronzi che ti avvelenano la giornata. Non era sufficiente.
Io stessa non ero una dolce fanciulla eppure Gabriele non aveva mandato nessuno nella mia vita per cambiarmi prima di diventare una Morte. Questo Daniel doveva avere proprio qualche serio problema, con sé stesso o con gli altri?
Sospirai sommessamente. Era un drogato?
 
“Ehy! SJ!” sentii una voce chiamarmi dalla mia sinistra e mi voltai a guardare la macchina. Contrassi appena la mascella ignorando deliberamente il nome con il quale mi aveva chiamato Jack.
“Ciao” borbottai in risposta avvicinandomi alla macchina accostata al marciapiede.  Contai quattro ragazzi oltre Jack al posto del passeggero, stipati in una BMW bianca. La macchina avanzava piano al mio fianco. Potevo sempre liberare la mia mano “magica”.
“Cosa vuoi?”
“Dove stai andando?”
“Non credo siano affari che ti riguardino”
Sentii delle risatine sommesse dai suoi amici. Tra tanta gente che c’era in quella città doveva proprio infastidire me?
“Va bene, SJ. Non essere scontrosa” si finse offeso e l’amico alla guida accellerò d’un tratto lasciandomi di nuovo sola.
Grazie.
 
Arrivai all’incrocio tra Marvel Street e la Mary Avenue e scorsi l’insegna verde del “Fire Cracker”. Entrai senza rimuginare oltre e rimasi spiazzata. Sembrava un covo  di attaccabrighe.

L’interno era tutto di legno, la luce fioca appesa al soffitto rischiarava a malapena tutto l’ambiente. Al centro della sala c’erano alcuni tavolini e di fianco, vi erano due tavoli da biliardo. Qualche sguardo si posò di me per un breve momento poi ognuno tornò alle proprie occupazioni. Bere, giocare a carte, chiaccherare. Era davvero quello il posto in cui si riunivano i liceali di Caldwell?

“Ma guarda!”

Oddio, ma mi seguiva? Sbuffai scorgendo Jack che si avvicinava “Potevi dirlo che venivi qui, ti avremmo dato un passaggio” mi sorrise e io scrollai le spalle. Non avevo voglia di battibeccare oltre con lui.

“Vieni” mi afferrò per la mancina guantata e io trasalii aspettandomi di vederlo cadere al suolo. Invece non successe nulla.
“Perché hai un guanto?”

“Un incidente, la mia mano ha qualche problema” mi guardò interrogativo. Faceva un sacco di domande ma fortunatamente non indagò oltre, forse intuendo il mio disagio.

Mi trascinò oltre una porta al lato del bancone e allora li vidi. I liceali di Caldwell o almeno una parte molto ristretta di loro, una ventina in tutto.

 La sala era larga il doppio di quella all’entrata ed era più illuminata. C’erano dei videogiochi, dei tavoli da poker e altri tavoli da biliardo.

Sembrava il classico luogo dove prendere un’anima a sera.

“Ehy, Duroy! “ esclamò Jack al mio fianco facendo alzare gli occhi del mio successore dal tavolo da poker.
Gioco d’azzardo.
Se avessi avuto un cuore probabilmente mi sarebbe sbalzato fuori dal petto.

Tirai il braccio di Jack ma era troppo tardi “Ho ripescato tua cugina dall’ingresso”

Cavolo.
Trattenni il fiato e mi staccai di scatto da Jack.

C’era qualche ragazza che mi guardava incuriosita, chi invidiosa di avere un cugino così.

“Io non l’ho mai vista in vita mia quella” rispose di ghiaccio, il giovane. Come non mi aveva mai vista?

Jack mi guardò e io feci una smorfia “Chiudi quella cazzo di bocca, Jack” mormorai sottovoce.

Stare a contatto con degli idioti di simile specie mi faceva diventare maleducata.

Il linguaggio Sarah Jane.Quasi potevo sentire la voce di Gabriele nella mia testa.

 Daniel tornò alla partita

“Non è tuo cugino?”
“No”
“E perché mi hai detto….” Cominciò lui a mo' di protesta


“Lo cercavo ecco tutto. E ora mi hai fatto fare una figura del cavolo, Jack”

Cercai di evitare di sguardi sedendomi di spalle alla folla. Scott, l’amico biondino di Jack, ci raggiunse al tavolo con una birra anche per me.
“Insomma Jack ti metti sempre in mezzo ad affari che non ti riguardano” mi porse la birra che accettai e lo guardai accomodarsi.

“Beh, Duroy non sembra fregarsene in realtà. Sei una delle sue ammiratrici?” mormorò con disprezzo Jack poggiandosi allo schienale della sedia

Sorrisi divertita “Non direi”

Vi fu silenzio per qualche secondo poi Jack riprese “E quindi tu vieni da San Francisco….”
“Ti prego fallo stare un po’ zitto” dissi verso Scott bevendo un sorso dalla mia birra.

Ma quanto parlava!

Ross entrò dalla porta e quando mi vide accennò un sorriso “Benvenuta nel mio locale!” mi strizzò l’occhio

“Il locale del tuo sporco fratellone irlandese vorrai dire” sentii la voce di Duroy molto vicina. Inaspettatamente vicina. Doveva essersi alzato.
“E’ lo stesso” ribattè Ross per poi accogliere tra le sue braccia una biondina urlante.

Bevvi un altro sorso dalla mia birra, restando di spalle a Daniel “Ehy Daniel, fuori c’è una visita per te” aggiunse poi Ross, staccandosi dalla bocca della Biondina “Forse dovresti andare a parlarci. Mi sembra piuttosto agitato stasera”

Scambiai un’occhiata con Scott che sembrava essere a conoscenza di chi si trattasse.
 
“Ma perché non se ne resta a casa maledizione” imprecò tra i denti Duroy. Lo vidi passare di fianco al mio tavolo, con una maglietta bianca e dei jeans scuri.

Capii che quello era uno dei problemi di Duroy. “ Chi lo cerca?” domandai a Scott

“Suo nonno. Viene qui quasi ogni sera cercando di trascinarlo a casa.”

“Perché?”

Fece spallucce, Daniel non parla mai di sé. So solo che ha qualche problema in famiglia da quando i suoi genitori sono morti”

Smisi di bere “Devo andare in bagno”dissi alzandomi.

Lasciai la birra sul tavolo e varcai la porta. Nell’altra sala non c’erano per cui dovevano essere fuori.
Incrociai lo sguardo del barista, doveva essere lo sporco fratellone irlandese. Gli rivolsi un cenno del capo e uscii all’aperto.

“Torna a casa, Daniel”

“Perché insisti sempre. Torna tu a casa maledizione!”

Sentii le voci provenire dal vicolo di fianco a mi avvicinai per ascoltare.

“Maddie chiede di te e tu non ci sei mai. Lei ha bisogno di te e anche io. Ormai sono vecchio per occuparmi di una bambina così piccola” parlò una voce anziana. Il tono non era duro, al contrario di quello del nipote.

“Tornerò quando ne avrò voglia”

“ E quando ne avrai voglia? E' una settimana che non rincasi. Non ho mai idea di dove tu sia, con chi tu stia e dove dormi. Hai vent’anni Daniel. Non sei più un bambino, smettila di essere capriccioso e vieni a casa con me, stasera”

“Vattene ho detto”

Trasalii quando udii un tonfo seguito da un lamento e la figura di Duroy mi si parò di fronte, uscendo dal vicolo. Incrociai i suoi occhi chiari ma passò oltre rientrando. Mi affacciai nel vicolo e vidi il nonno di Duroy cercare di rialzarsi da terra.

Mi avvicinai in fretta “Va tutto bene signore?” domandai chinandomi per aiutarlo. Somigliava un po’ al nipote con quegli occhi azzurri e la mascella definita.

Ma sembrò così fragile quando presi il suo braccio “Emh sì..sono inciampato” mormorò aggrappandosi al me. Quando fu in piedi si portò una mano alla schiena.

Che razza di animale era suo nipote?

“L’ostacolo era suo nipote?” chiesi  guardandolo seria. Provai un’ insolita pietà per quell’uomo.

Mi guardò brevemente poi distolse lo sguardo “L’accompagno a casa” dissi “ Si appoggi a me se non ce la fa a camminare o ha la macchina?”

Mi guardò nuovamente, stupito. Forse cercava di capire se potessi rappresentare un pericolo per lui.
Non ero un pericolo in quel frangente “ No, sono a piedi. La mia macchina ce l’ha Daniel.”

Zoppicava già di suo e senz’altro il contraccolpo contro il muro di mattoni non era stato un toccasana. Gli passai un braccio dietro la schiena e sospirai.

“Lo conosci mio nipote?” mi chiese il nonno mentre uscivamo dal vicolo.

Sospettavo che quell'uomo mi sarebbe stato d’aiuto “Non molto bene. L’ho incontrato solo oggi”

Lui annuii “Perché l’ha spinta?” chiesi

“Daniel è un ragazzo pieno di problemi che non vuole affrontare” rispose.


 
Note d’Autrice
Salve! Siete giunte con fatica alla fine del capitolo IV? Ci tengo a fare delle anticipazioni del carattere di Daniel prima di farlo incontrare con Sarah Jane, senza nessun Jack, Scott o Ross di turno ^^ Detto questo, ringrazio chi ha recensito e ringrazio cino nero per aver inserito la storia tra le seguite ^^ L’invito a recensire è sempre valido per tutti voi lettori, mi farebbe davvero piacere. Un bacio,
 
RayaFee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA

 


I feel something so right
Doing the wrong thing
I feel something so wrong
Doing the right thing
I could lie, couldn’t I, could lie
Everything that kills me makes me feel alive

 
One Republic-Counting Stars
 
 
 
Daniel's POV


 Non riuscii più a concentrarmi sulla partita dopo aver incontrato il nonno. Forse si era fatto male ed era ancora nel vicolo. Sollevai lo sguardo verso Jimmy che con un sorriso strafottente mi annunciò di aver vinto. Feci una smorfia contrariata, avevo appena perso duecento dollari.

“Io ho finito” dissi alzandomi. La faccia del nonno continuava a rimbalzarmi nella testa. Non era colpa mia se gli avevo fatto male, poteva starsene a casa invece di venire a cercarmi come al solito.

Recuperai il giubbotto di pelle dalla sedia e salutai con un cenno del capo Ross, nel pieno di una partita di biliardo “Te ne stai andando?” mi chiese, un po’ sorpeso. Di solito chiudevo il locale con loro. Annuii “Ci vediamo domani….”

“A scuola?”

Riuscii a farmi sorridere “Non dire stronzate, Ross. Ci vediamo agli allenamenti”

Uscii e salutai con un cenno Tommy, il barista e il proprietario del Fire Cracker.

Attraversai la porta d’ingresso e andai subito verso il vicolo. Non c’era nessuno. Questo voleva dire che il nonno se ne era andato sui suoi piedi. Non riuscii a trattenere un sospiro di sollievo. Forse l’aveva aiutato il Folletto Rosso che avevo incrociato per la terza volta in una giornata. Come è che aveva detto Jack?
Mia cugina. Come no.
Doveva essere un’altra di quelle fanatiche che mi sbavavano dietro proprio come quella che stava uscendo dal Fire Cracker guardandosi intorno.

Sorrise quando incrociò il mio sguardo “Hai intenzione di tornartene già a casa, Daniel? “ domandò avvicinandosi.

Era una mia compagna di classe, Chelsea Rewood. Mi ero divertito con lei più di qualche volta. Indossai il giubbotto avvicinandomi alla macchina “Perché, hai qualche proposta migliore, Chelsea?” alzai appena le sopracciglia e la guardai.
Chelsea si passò una mano tra il caschetto nero e sorrise “In verità sì. Casa mia è libera... ti va?”
Avevo già aperto lo sportello della macchina. D’altronde il nonno stava bene…di cos’altro doveva importarmi?

“Maddie” sussurrò una voce nella mia testa che non tardai a scacciare. Sorrisi in direzione di Chelsea  “Andiamo”. Lei fece una specie di urletto entusiasta e si infilò al lato del passeggero.
Sospirai sommessamente, fortunatamente non avevo bisogno del suo cervello
.

 
Sarah Jane's POV


Accompagnai sull’uscio di casa il Signor Duroy e socchiusi per un attimo gli occhi. Beh, se non altro avevo bisogno di dormire, ero un po’ più umana.

“Ti ringrazio, Sarah Jane” disse il vecchio con un mezzo sorriso da sotto la veranda. Avevo avuto modo di parlare un po’ con il nonno di Daniel e inoltre avevo scoperto dove abitava.
Sorrisi di rimando, quasi sincera. Era mezzanotte e non vedevo l’ora di infilarmi nel mio letto in Light Street “Tu vai al liceo?” mi chiese poi, all’improvviso.

Al liceo? Anche no.

Scossi la testa “Sono già diplomata. Potrò non dimostrarli ma ho vent’anni”

Potrò non dimostrarli ma ho ne cinquantré di anni.

“Come Daniel. Ci sto provando a farlo diplomare ma a quanto pare non ha voglia di studiare. E’ stato già bocciato due volte…” sospirò.

Quell’uomo provava uno smisurato amore per quell’ingrato di suo nipote. Nuovamente, provai pietà.

“Nonnoooo!”sentii la voce di una bambina provenire dal corridoio d’ingresso un attimo prima che si aprisse la porta. Vidi uno scricciolo dalla pelle chiarissima uscire fuori e fiondarsi in braccio a Henry Duroy.

“Henry, sei tornato” un’altra donna uscì dalla casa e guardò prima il vecchio dolorante poi me con sorpresa “Non è con voi?”

Henry scosse la testa mentre cercava di calmare la più che sveglia bambina.

Doveva avere intorno ai cinque o sei anni. Doveva essere la sorella di Daniel.

“Non è venuto? Perché nonno?” chiese Maddie, gli occhi blu improvvisamente pieni di lacrimoni.

Henry mentì “Stava lavorando, Maddie. Vedrai che domani verrà a casa”

Oh sì che si sarebbe tornato. L’avrei portato lì a forza di calci in culo.

Guardai la bambina fare una smorfia “Forse non gli piaccio più senza capelli…” si passò una mano sulla testa rasata.

“Maddie sta male” aveva detto Henry durante il loro tragitto.


 
Tornai nel mio appartamento e la sveglia sul comodino segnava l’una di notte. Crollai sul letto così come’ero vestita e mi portai le mani tra i capelli.

“E’ un compito difficile Gabriele” sussurrai. Presi dalla tasca dei jeans e controllai il foglio. Ancora totalmente bianco.

Sospirai e chiusi gli occhi.
 
Ti ho detto di portare fuori la spazzatura Sarah! Perché non fai mai quello che ti dico!” aveva sbottato mia madre, in piedi dietro al divano. Mi ero voltata appena masticando dei pop corn “Non c’è bisogno di urlare” avevo risposto con una smorfia. Era sabato sera ed io ero a casa anziché in giro...così mi trattava?
Avevo guardato mio fratello, dall’altro capo del divano “Vai a portare fuori la spazzatura. Non vedi che la mamma parla con te, Jamie?”
Lui aveva riso e scosso la testa senza distogliere l’attenzione dalla tv.
Avevo sbuffato alzandomi dal divano e trovandomi così di fronte mia madre. L’unica cosa che avevamo in comune era l’altezza, per il resto lei era bionda e dagli occhi scuri così come il mio fratellino di dieci anni.
“Dammi la spazzatura” avevo borbottato. Perché non ci andava lei in strada alle nove di sera?
“Non fare così Sarah Jane!Guarda che lo dico a tuo padre quando torna eh!”
Per non ascoltarla oltre ero andata io stessa in cucina a recuperare il sacco nero d’immondizia, borbottando “E non borbottare!” aveva gridato la mamma.
Sbuffai ancora “Posso respirare almeno?!” ero uscita di casa trascinando il sacco sul marciapiede di fronte. A quanto pare il bidone davanti casa nostra era già pieno. Uno stridìo di gomme improvviso mi aveva distratto.
Mi ero voltata appena in tempo per essere accecata dai fari di un’ auto che veniva nella mia direzione, sul marciapiede. Ero rimasta immobilizzata e a quel punto fu un attimo. Mi ero sentita sbalzare  verso la strada per poi impattare dolorosamente contro l’asfalto. Non riuscivo a capire più nulla, sentivo solo dolore e perciò avevo chiuso gli occhi.
Quando li avevo riaperti mi ero ritrovata a fissare il mio corpo riverso a terra, in una pozza di sangue e in mezzo alla strada. Le gambe erano in una posizione innaturale. Ero rimasta ad osservare l' uomo barcollare fuori dalla macchina biascicando qualcosa e a udire l’urlo provenire dalla porta di casa mia. Mi ero guardata intorno mentre visi facevano capolino dalle finestre e qualcuno si riversava in strada urlando.
Avevo aggrottato la fronte, poi avevo sentito una mano posarsi sulla mia spalla. Incrociai così, per la prima volta, gli occhi azzurri di un ragazzo biondo in tunica bianca.
“Sono morta?” avevo domandato in un soffio incapace di rendermi conto dell’assurdità di quelle parole
“Sì, Sarah Jane”. Ero trasalita. Come conosceva il mio nome?

Scattai a sedere sul letto tremando. Mi portai una mano alla fronte madida di sudore, avevo il respiro accelerato dal ricordo e dall’incubo.
L’incubo che era stato la mia morte.
 



Note d’Autrice
Salve! Ecco la fine del capitolo V, che ne pensate? Ho voluto fare un piccolo Daniel Pov. Beh, sul fatto di tornare a casa ha cambiato subito idea non trovate? Per quanto riguarda il Sarah Jane Pov, la protagonista ha visto forse, quale è il problema di Daniel. Maddie. Che non voglia affrontare un dolore così forte? Per quanto riguarda l’ultima parte, ho descritto la morte di Sarah Jane, investita davanti casa da un ubriaco. Ringrazio voi lettori e chi di voi ha recensito. Ringrazio inoltre Rinie che ha inserito la storia tra le seguite e rinnovo l’invito a recensire per avere dei pareri. Un bacio,
 
RayaFee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** VI ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA



 

 
I came in like a wrecking ball
I never hit so hard in love
All I wanted was to break your walls
All you ever did was wreck me
Yeah, you wreck me 


 
Miley Cyrus- Wrecking Ball


 
Dopo quel sogno…quel ricordo, non riuscivo  più a prendere sonno.
Erano anni che non ripercorrevo con la mente l’episodio della mia morte. Non era perché non ricordassi di essere morta ma perché per tanto tempo avevo trovato così assurdo, morire in quel modo intendo, che mi era sembrato inutile stare lì rigirare il coltello nella piaga.

 Durante i primi anni della mia non-vita mi ero spesso chiesta cosa fosse successo se, invece di perdere tempo a discutere con mia madre avessi preso subito quel sacco. Magari avrei evitato quella macchina. Oppure a volte mi ero sentita sollevata perché Jamie, troppo impegnato a guardare la tv, non aveva dato ascolto alle mie parole ed era rimasto sul divano.

Meglio io che lui avevo pensato.

Incrociai le gambe sul letto e mi presi la testa tra le mani mentre i primi raggi di luce cominciavano a rischiarare l’orizzonte. Sentii solo allora la presenza di Gabriele e sollevai gli occhi grigi. Era lì, sull’uscio della mia camera da letto con la solita aria pacata e tranquilla.

Era l’unico dei Piani Alti con cui avessi mai avuto a che fare.

Mi sorrise “Ciao, Sarah Jane” mormorò.

Socchiusi per un attimo gli occhi, quasi consolata dal suo tono di voce “Ciao, Gabriele” risposi appena più tranquilla. Si avvicinò al bordo del letto e colsi una muta domanda nel suo sguardo “Puoi sederti. Non temo che  tu possa farmi qualcosa di sconveniente sai?” risposi cercando di ritrovare me stessa quindi  lui si accomodò accennando un sorriso.

“Come è andato il tuo primo giorno?” mi chiese e gli raccontai brevemente quello che era successo, evitando con cura le parolacce.

“E’ così? Il problema di Daniel è Madison?” chiesi infine e l’Angelo incassò appena la testa tra le spalle “Non è l’unico problema. Forse sua sorella, è solo il più grande”.

Mi passai una mano tra i capelli “Sono orfani” aggiunsi e lui annuii “Da tre anni, a causa di un incidente stradale”

Probabilmente Daniel non l’aveva mai superato o aveva qualche serio problema nel farlo.

“Sei scossa. Che cos’hai?” mi chiese d’un tratto Gabriele con la fronte aggrottata e io risposi raccontandogli del mio incubo.

Allungò un braccio nella mia direzione, quasi invitandomi ad affiancarmi a lui. E io lo feci.

Non ero un’amante dei contatti fisici ma chissà, forse perché ero più umana e non riuscivo a scrollarmi di dosso l’inquietudine del sogno mi rifugiai nel mezzo abbraccio di Gabriele in cerca di conforto, rannicchiandomi contro il suo fianco.
 

Quando,  qualche ora più tardi aprii gli occhi mi accorsi che mi ero nuovamente addormentata, rassicurata dalla presenza di Gabriele. Guardai il soffitto e sospirai prima di accorgermi del profumo di cibo che proveniva dalla cucina. Inspirai un paio di volte e a gattoni rotolai fuori dalle coperte, i vestiti della sera precedente tutti sgualiciti. Mi alzai in piedi e corsi in cucina. Quello era odore di bacon e uova.

Spalancai gli occhi grigi davanti al Gabriele indaffarato ai fornelli.
“Cosa stai facendo?” mi venne spontaneo da chiedere cercando di passarmi una mano nei capelli annodati
Lui sorrise “Ti preparo la colazione. Fa presto a prepararti, oggi avrai molto da fare”
 
 
 
E così, quando uscii di casa un’ora più tardi ero lavata, pettinata, vestita nuovamente in modo decente e per di più avevo lo stomaco piacevolmente pieno.

Ero quasi di buonumore. Quasi.

Il mio obiettivo principale era quello di avvicinarmi alla famiglia Duroy il più possibile perciò, come prima cosa, ritornai a casa di Henry, il nonno di Daniel.
Attraversai il piccolo giardino davanti casa e suonai il campanello.

La porta si spalancò subito dopo e mi ritrovai di fronte l’anziano Duroy.

Stirai le labbra in un sorriso “Salve signore”.
Lui mi guardò stupito, forse si domandava cosa ci facessi lì “Sarah Jane…” mormorò confuso il mio nome

“Sono venuta a controllare che stesse bene…dopo ieri sera”

Lui accennò un sorriso “Ah, sto bene. Ti ringrazio.” Si fece da parte e mi invitò ad entrare.

L’entrata non era altro che uno stretto corridoio di legno dove da un lato e dall’altro c’erano due porte e in fondo  delle scale salivano al piano superiore.
“Sei gentile” disse il vecchio facendomi segno di seguirlo. Beh, poche persone mi avevano definito gentile in tutta la mia vita.
Accennai un sorriso e lo seguii in cucina. Il vecchio Duroy aveva il passo malfermo “Daniel è tornato a casa?” chiesi, nel tono più innocente che potessi sfoggiare ma Henry scosse la testa facendo appena una smorfia. Ci sedemmo al tavolo rotondo, al centro della cucina “Come pensa di fare per farlo tornare?” domandai ancora, seria. Lui scosse la testa “Sto provando a fargli capire quanto la sorella abbia bisogno del suo sostegno”

“Dove è ora Madison?”

“Hannah l’ha accompagnata dal dottore, stanotte ha avuto un po’ di febbre” sospirò e guardò una foto appesa alla parete. Seguii il suo sguardo.
La foto ritraeva la famiglia Duroy. C’era Henry, Daniel qualche anno più giovane, Madison appena nata in braccio ad una donna dai capelli scuri e quello che doveva essere il padre di Daniel.

“Quelli sono i genitori?”

Osservai Henry, sembrava invecchiato di molti anni rispetto a quella foto che lo ritraeva sorridente. Lui annuì “Vedrà che tornerà da lei” dissi quasi per rincuorarlo.

In realtà stavo mentendo perché Daniel non sarebbe ritornato per molto in quella famiglia. D’un tratto realizzai che lui doveva morire e mi sentii meschina.
Avrebbe comunque lasciato tutti loro.
Deglutii “Ora devo andare via” mormorai turbata e mi alzai “Di già?”
“Ho da trovare un po’ di lavoro per cui…sarà meglio che mi sbrighi” allungai la mano destra verso Henry e sorrisi “ A presto”.
 
 
Mi appoggiai al bancone del Fire Cracker e guardai il fratello di Ross servire uno scotch ad un tizio già ubriaco “Posso darti qualcosa?” mi chiese dopo che si fu accorto del fatto che lo fissavo

“Ho bisogno di lavorare”
Quale posto migliore del Fire Cracker per avvicinare Duroy? Lo sporco fratellone irlandese rise “Ma davvero?”

Annuii tranquilla.
Si appoggiò al bancone, con le braccia incrociate, di fronte a me “E vieni a cercarlo qui?” gli mancavano un paio di denti, probabilmente risultato di qualche rissa. Misi una mano nella tasca dei jeans e gli porsi il documento d’identità che mi aveva fornito Gabriele.

“Sarah Jane Donough” lesse “Ventuno anni il mese prossimo eh?”
Feci spallucce, come se la cosa non mi toccasse. E in effetti non mi provocava nessuna emozione.
“Sembra un cognome irlandese”

“Mio padre era di Cork.” Afferrai una ciocca dei miei capelli rosso-arancio “Avrebbero dovuto far nascere il sospetto già questi, non trovi?”

Mi porse la mano “Tommy O’Neill”

“Questo equivale ad un’assunzione?”

Tommy sospirò “Senti, proprio qualche giorno fa ho perso il mio unico cameriere.E solitamente, o meglio mai, ho assunto una ragazza in questo posto. Tu però mi sembri un tipo tosto, sei irlandese cazzo!” esclamò con orgoglio.

Sorrisi, bastava così poco?

“Allora mi assumi O’Neill?”

“Sei in prova Donough e cominci ora. Comincia a preparare i sandwich, tra poco arriveranno per il pranzo” ribattè.
 
DANIEL POV

Parcheggiai la macchina fuori dal Fire Cracker e inveendo contro Chelsea Rewood entrai senza guardarmi intorno. Quella stronza mi aveva scaraventato fuori dal letto di primo mattino senza farmi fare una doccia. Mi ero fatto qualche ora di sonno in macchina poi avevo deciso di andare da Ross.

“Dove credi di andare?” la voce di Tommy mi raggiunse dal bancone mentre mi dirigevo verso la porta che conduceva al suo appartamento, al piano superiore.

“Ho bisogno di una doccia”

“Mi pare di ricordare che tu una casa ce l’hai sai?”

Mi voltai a guardarlo indifferente, e soltanto allora notai qualcuno al suo fianco. Gli arrivava a malapena alle spalle ed era intenta, con un espressione tutt’altro che felice a spalmare maionese su un toast. Quella non era il Folletto del vicolo?
Inarcai un sopracciglio e in quel momento lei sollevò gli occhi grigi per fissarmi, incazzata nera. Mi venne da ridere e mi trattenni a stento.

“Vado a farmi una doccia ,Tommy. Se non ti sta bene ne riparliamo dopo” dissi ancora spostando nuovamente l’attenzione verso l’irlandese e sparii dietro la porta incurante degli insulti.


Angolo Autrice
Salve! Innanzitutto scusate il ritardo per questo capitolo ma non ho avuto tempo di scrivere ^_^ Spero che comunque, il risultato di oggi pomeriggio vi piaccia :D Ringrazio Navy per le recensioni ai capitoli precedenti e lillila09 che ha inserito la storia tra le preferite. Vi adoro!
Vi invito a lasciare una recensione a presto,

RayaFee

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VII ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA




 
Chi l'ha detto che abbracciarsi fa male, che fermarsi non è continuare,
Quando il cuore ti dice, sei sola? Sei sola.
Chi l'ha detto che isolarsi fa male?

Tiziano Ferro ft. Baby K- Sei sola





 
Poggiai il piatto contenente il sandwich con una certa malagrazia sul tavolo dove si era seduto Duroy dopo la doccia.
Indossava una maglietta a maniche lunghe blu e dei pantaloni da ginnastica scuri.

Nonostante la sola vista di Daniel provocasse una reazione allergica al mio sistema nervoso non potei fare a meno, ancora una volta, di pensare che fosse carino…beh forse un po’ più che carino.

Lui intanto non alzò lo sguardo dal piatto e io approfittai della distrazione di Tommy e del locale vuoto per avere un faccia a faccia quello che doveva essere il mio successore.

Spostai la sedia che gli stava di fronte e mi accomodai “ Sono cinque dollari” dissi tranquilla.
Il sandwich si fermò a mezz’aria e Daniel mi guardò vagamente confuso. E restammo così per alcuni momenti.

Il mio grigio che sfidava il suo azzurro.

Il ragazzo addentò il panino, sembrava non essere intenzionato a rivolgermi la parola ma io volevo insistere, dovevo insistere. D’altronde essere estremamente petulante era una delle mie caratteristiche migliori “Allora, paghi o no begli occhioni?” lo apostrofai evidentemente sarcastica.

Lui mi fissò un istante ancora “E tu chi cazzo saresti per chiedermi dei soldi qui?”

Beh, la gentilezza non era il suo forte e glielo feci notare. Lui sorrise ancora una volta, privo di divertimento.

 “E poi? Cinque dollari? Sei impazzita?”

“Ovviamente includevo la mia mancia. Non lavoro gratis io”

Tecnicamente non ero ancora assunta ma era un dettaglio.

“Sparisci”.

Sospirai, non sapeva quanto desiderassi essere invisibile in quel momento. Liberare la mia mano, toccarlo e farla finita con tutta quell’assurdità.

“Ho accompagnato tuo nonno a casa ieri sera. Dopo il tuo nobile gesto faticava a camminare” cambiai argomento, preferendo concentrarmi sulla sua famiglia ancora una volta.

Se non altro non mi insultò ancora e rimase zitto. Riuscii forse a cogliere un lampo di sollievo nella sua espressione ma non ne ero affatto sicura.

Incrociai le braccia sul tavolo e mi sporsi  a guardarlo “E stamattina sono andata a controllare che stesse bene, a quanto pare, al contrario di te Daniel”

Sollevò lo sguardo su di me mentre masticava l’ultimo boccone e decisi di insistere “E mi ha detto che stanotte Madison aveva la febbre e una certa Hannah ha dovuto portarla da un dottore stamattina”

La mascella del ragazzo di contrasse leggermente “Mi stai facendo la predica Folletto?” replicò strafottente

Soffocai un moto di stizza o almeno tentai. Affilai lo sguardo “ Sei proprio un metro e ottanta tutta merda, lo sai?”

Ci sfidammo nuovamente con lo sguardo e sembrò che i suoi occhi avessero assunto una tonalità più scura “Io non so chi  tu sia” sottolineò ancora una volta, quasi ringhiando “Non ti conosco, non ho mai visto questa tua assurda faccia prima di ieri e di certo non ti permetto di insultarmi come se mi conoscessi da una vita. Fatti gli affari tuoi .Un metro e sessanta tutta stronza”

Si alzò in piedi di scatto e uscì fuori dal locale senza pagare.

Se avessi potuto sbuffare fumo dalle orecchie, come si vedeva nei cartoni animati, l’avrei fatto.
Strinsi forte le mani a pugno e quando le unghie premettero a fondo sulla mia mancina guantata avvertii una lieve scossa.

“Jane! Vieni qui a pulire la sala invece di startene seduta. Devo assumerti o no?” Tommy si affacciò dall’altra sala. Chinai la testa e socchiusi gli occhi per ritrovare la calma.

“Ti senti bene?” mi sentii chiedere.

“Certo” mormorai in risposta e mi alzai.



 
 
Più tardi O’Neill mi diede qualche ora di riposo prima del turno serale e appena arrivata a casa mi fiondai in bagno. Mi tolsi di scatto il guanto di pelle nera, che lasciava scoperte metà delle dita e osservai il palmo.

 
                                                                                                                            


Dopo la mia “chiaccherata” con Duroy non aveva più smesso di bruciare e infatti, i colori che circondavano il simbolo erano più vividi del solito. Mi appoggiai con la schiena alla porta e reclinai il capo all’indietro.

La prima regola della Morte era quella di non abusare del proprio potere.

Molti avrebbero pensato di possedere un potere immenso con un palmo della mano capace di uccidere chiunque ma era proprio quella la più grande responsabilità.
Con Daniel avevo provato il desiderio di abusare del mio potere e ciò non era un bene.
Non riuscivo nemmeno ad immaginare quali potessero essere le conseguenze del caso con Gabriele.

Presi dei profondi respiri e forse riuscii a calmarmi un po’.

 
Daniel quella sera non si presentò al Fire Cracker e forse, provai anche un certo sollievo a non dover vedere la sua faccia. In compenso però, ci pensò Jack o J come voleva che cominciassi a chiamarlo in confidenza, a rovinare la mia serata.

“J e SJ” disse passandomi un braccio intorno alle spalle mentre sparecchiavo un tavolo “Suona benem non trovi?”.
Sospirai sommessamente e mi liberai da quella presa con calma

“Suona malissimo invece. Mettiti a sedere e spero per te che tu non debba guidare”

“Ti preoccupi per me, SJ?”

Ormai sarebbe stata la centesima volta che gli chiedevo di non chiamarmi così e decisi che forse, era meglio rinunciare. Lo guardai male e gli tolsi la birra che aveva tra le mani.

Teoricamente lì dentro erano tutti minorenni a parte Tommy e “me”. Non dovevano nemmeno avere il permesso di bere.

“Mi preoccupo di quello che potrebbe succedere. Scott!” vidi passare il biondino “Riprenditelo!”

I liceali di Caldwell avevo senz’altro qualche problema psichico. Era sabato sera e si rintanavano in locale buio, come delle talpe.

A fine serata chiusi il locale con Tommy e Ross, piacevolmente sorpreso che suo fratello avesse avuto la brillante idea di assumermi lì “Sei a piedi?” mi chiese il fratello maggiore e io annuì. “Vuoi che ti accompagni?”

“Tu abiti qui Tommy, dovresti prendere la macchina per me?”

Lui fece spallucce “E’ tardi, e sarai anche irlandese ma sei piccoletta”

Tanto non potevo morire di nuovo. Sorrisi e allungai una mano per dargli una pacca sulla schiena.

Che mi stava succedendo?

“Tranquillo O’Neill. Dovevi ancora nascere quando ho imparato a badare a me stessa”.


 
DANIEL POV

 Subito dopo aver lasciato il Fire Cracker non andai agli allenamenti della squadra.
La piccola stronzetta dai capelli arancioni aveva detto che Maddie aveva avuto la febbre.

Nonostante il suo tono mi avesse  provocato un giramento di cosidette non avevo potuto restare indifferente. Sospirai e parcheggiai la macchina nel vialetto di casa. Subito le tendine della cucina si spostarono e intravidi la faccia affilata  della vicina, Hannah.

Ma non stava mai a casa sua quella?

“Finalmente, Daniel” pronunciò in tono saccente la donna quando entrai in cucina.
La guardai per un breve momento e ignorai le labbra arricciate e l’espressione severa “Dov’è Maddie?” chiesi

“Al piano di sopra. Sta riposando e vorrei che tu non la disturbassi Daniel”

“E’ vero che ha avuto la febbre questa notte?”

Parve sorpresa “Sì”.

Incurante dei suoi ordini, perché proprio quella lì ordini non poteva darmene, andai al piano superiore verso la camera di Madison.

Era una settimana che non dormivo una notte in quella casa e quando la guardai nel suo lettino trattenni il respiro per un attimo. Era tanto pallida.

Mi avvicinai al letto e mi sedetti sul bordo “Maddie” sussurrai.

Due occhi blu si schiusero piano, aprì leggermente la bocca in un piccolo sbadiglio, poi mi vide.

In un attimo mi ritrovai il collo circondato da quelle braccine sottili “Dan” mi sussurrò all’orecchio “Sei davvero qui?
Quasi ritenni assurdo che mi facesse una domanda del genere.
“Ti sembro forse un fantasma?” mormorai in risposta guardandola in faccia e lei ridacchiò, facendomi sorridere in risposta.



 
Note d’Autrice
Salve ancora! Ecco il nuovo capitolo :) e il primo di una lunga serie di faccia a faccia  tra Sarah Jane e Daniel. Comunque, come vi è sembrato? Ho deciso di mettere un altro Daniel POV, e credo che lo farò spesso d’ora in poi ^^ Alla fine, pur litigando con SJ un certo rimorso c’è stato da parte di Daniel e infatti è tornato a casa. Ma per quanto tempo? Ringrazio chi ha recensito il capitolo precende e ringrazio nanettaportasfiga, Xyle e Shiho93 per aver inserito la storia tra le seguite (<3) e con l’invito a lasciare un piccolo parere…ci sentiamo nel prossimo capitolo! Un bacio,
 
RayaFee
 
 



 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VIII ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA


 
                
 



 
 Staring at the ceiling in the dark
Same old empty feeling in your heart
 
Passenger- Let her go

 
 
 
 
DANIEL POV
 
Sospirai per l’ennesima volta e mi sdraiai supino alzando lo sguardo sul soffitto buio della mia stanza.
La sveglia sul comodino segnava le due del mattino ed io non avevo ancora chiuso occhio.
Da quando ero tornato a casa, due giorni prima, faticavo a prendere sonno come sempre. Al contrario di quando ero a spasso con gli amici o a casa di qualche ragazza, nel buio della mia stanza sentivo la mia testa esplodere di pensieri, di domande a cui non avevo mai una risposta.

Volsi la testa verso la finestra che si affacciava sulla strada e sentii una strana sensazione. Scivolai fuori dal letto cigolante e mi avvicinai cauto alla finestra facendo attenzione a non fare altri rumori.
Scostai appena la tendina bianca e aggrottai la fronte nello scorgere una figura ferma al centro del piccolo giardino. Era illuminata appena dal lampione in strada e con la testa rivolta verso la mia finestra. Strinsi la mascella nel riconoscere i lunghi capelli quasi arancioni.
Cos’era? Una stalker? Feci per aprire la finestra e urlarle qualcosa contro quando una vocetta alle mie spalle mi fece trasalire.
 
“Dan?”
 
Mi voltai di scatto verso Maddie. Era appena ad un passo da me, il pigiamino bianco che spiccava nella poca luce che filtrava dalla finestra. In una mano stringeva per le trecce la bambolina di pezza con cui solitamente dormiva. Sbirciai nel giardino ma non c’era più nessuno. Forse  me l’ero immaginata. Non ne ero sicuro.
 
“Non riesci ancora a dormire?” mi sentii rivolgere e mi avvicinai a  Maddie.
 
“Lo sai che non dovresti camminare a piedi scalzi?” cambiai argomento e la sollevai da terra facendola sedere sul mio letto che, al contrario di quando mi ci sedevo io non fece rumore.  Accesi la piccola lampada sul comodino “E tu cosa ci fai sveglia a quest’ora umh?” .
 
Si strinse nelle spalle e mi porse Clara, la bambola “Mi ha svegliato il rumore del tuo letto. Non fai che agitarti. Clara può aiutarti a dormire”

Per una bambina della sua età Madison era molto intuitiva.

Presi tra le mani Clara. Dubitavo che quella bambola di pezza mi avrebbe fatto dormire “Emh…" non sapevo cosa dire e ci pensò Maddie a riempire subito dopo il silenzio “Oppure posso stare io qui con te. Posso vero?”
Mi guardò speranzosa. Negli ultimi giorni mi stava sempre intorno.
 
 Esasperato annuii e lei gattonò sotto le mie coperte al caldo.
 
Non avrei retto ancora a lungo.
 
 
SARAH JANE POV
 
I ritmi sfiancanti della vita da umana mi stavano distruggendo perciò, quando Tommy mi lasciò libera per il giorno successivo sospirai di sollievo. Finalmente.
Erano un paio di giorni che non incontravo Daniel Duroy in giro per il Fire Cracker ed ero anche riuscita a fare una capatina agli allenamenti della squadra solo per scoprire che anche lì non c’era traccia di lui.
 
Avevo perciò deciso di verificare che non fosse scappato chissà dove. Lunedì sera finito il mio turno al lavoro, andai a casa Duroy. Una macchina era parcheggiata nel vialetto. Era quella di Henry Duroy e quindi, quella che usava Daniel?
 
Non sapevo esattamente dove fosse ubicata la stanza del mio successore ma colsi del movimento dietro una delle tende del piano superiore. Mi avevano senz’altro visto perciò mi affrettai a nascondermi nell’ombra. Dopo un po’ la stanza dalle tendine bianche si illuminò di una fioca luce, probabilmente quella di una lampada, e compresi che qualcuno era sveglio lì.
 
Feci una leggera smorfia.
 
Il mattino successivo venni nuovamente svegliata dalla voce familiare di Gabriele, in giro per casa mia. Non me lo ero mai ritrovato così intorno negli ultimi trentatre anni.
Sbuffai appena da sotto le coperte quando mi sentii chiamare “Sarah Jane?”
 
Per la miseria.
 
“Cosa c’è?” sbottai mettendomi a sedere. Era lì in mezzo alla stanza, con le braccia incrociate all’altezza del petto e mi guardava, come spesso faceva, con fare ammonitivo.
 
Colsi l’antifona  e mi alzai in piedi “Sei peggio di mia madre lo sai?”
“Hai del lavoro da fare”
 
Mentre gli davo le spalle imitai silenziosamente le sue parole con una smorfia.
 
 
“Non mi piace avere a che fare con quello lì. Non potevi scegliere qualcuno altro?”
 
“Siete più simili di quanto credi tu e Daniel. Tuttavia, oggi non è di Duroy che dovrai occuparti”
Sollevai improvvisamente interessata, lo sguardo dai cereali in cucina “Cioè?” domandai cauta.
 
Magari era qualcosa di peggio.
 
Gabriele mi porse un foglio bianco piegato a metà. Era un foglio che conoscevo bene quello.
 
“Oggi tornerai per qualche ora alla tua vecchia occupazione. Io ho dei problemi da risolvere altrove”
 
Presi il foglio e lo aprii:
 
 
Charlie Edward Duhnam
Camarate Street, 33. Caldwell.
Ore 1.23 pm.
 
Sorrisi.
 
“Non dovresti sorridere quando leggi che qualcuno dovrà morire sai?”
 
Sollevai gli occhi grigi dal foglio e incrociai quelli azzurri dell’Angelo senza smettere di sorridere.
 
Un’altra giornata senza Duroy.



 
 
Quando, poco prima dell’orario stabilito ero davanti al numero trentatre di Camarate Street mi sentivo molto meglio. Le persone che avevo incrociato camminando per Caldwell non mi avevano visto. Era bello tornare ad essere invisibile.
 
Attraversai senza alcun problema la porta d’ingresso della villetta a schiera e mi guardai intorno. Charlie Edward Duhnam stava in piedi su un piccolo sgabello ed era intento a cambiare una lampadina nel proprio salotto. Era molto anziano a giudicare dalla quantità di pelle raggrinzita sul collo.
 
Mi fermai a guardare. Probabilmente sarebbe caduto e avrebbe sbattuto la testa sul tavolino, oppure, avrebbe preso la scossa. Erano anni che assistevo alla morte delle persone.
 
Si avverò la prima ipotesi.
 Quando cadde mi avvicinai a lui e mi chinai a prendergli una mano con la mia. Era così che finiva.
 
Ero io a decretare la loro fine dopotutto.
 
Al mio fianco apparve un Charlie Edward incosistente “Sono morto?”
 
Non era poi tanto strana come domanda, quando ti ritrovi a fissare il tuo corpo dall’esterno. Avevo perso il conto delle persone che me l’avevano chiesto. Incrociai gli occhi nocciola dell’anziano. Lo tenevo per mano “Mi dispiace, Signor Dunhnam” mormorai.
 
Ed era così. Dopotutto mi dispiaceva.
 
Un attimo prima erano esseri vivi e pensanti nel mondo, un attimo dopo erano inconsistenti. Forse dall’altra parte era meglio. Non potevo ancora saperlo.
 
Sorrisi al signor Duhnam “Vuole andare?”
 
Lui annuii. Diventavano così arrendevoli da morti, tutti quanti.
 
E così, lo lasciai andare.
 
 
 
Quando tornai in strada, nuovamente nelle mie vesti da umana,  camminavo a passo svelto verso casa. Avevo una voglia matta di rintanarmi di nuovo nel mio lettone sebbene fosse appena primo pomeriggio.
Una macchina mi passò accanto mentre avanzavo sul marciapiede e inchiodò subito dopo.
 Alzai la testa in tempo per scorgere Daniel venirne fuori.
 
Inarcai le sopracciglia verso l’alto mentre si avvicinava a falcate verso di me con aria poco rassicurante.
 
Oh,oh.
 
“Cosa ci facevi sotto casa mia?” esordì in mia direzione, minaccioso.
 
Era fermo a mezzo passo da me e per guardarlo in faccia fui costretta ad alzare appena la testa “Come scusa?” giocai la carta della finta tonta.
 
Allungò una mano per afferrarmi un braccio ma io mi sottrassi in tempo muovendo un passo indietro “Mi stai seguendo? Stammi lontana”
 
Quanto avrei voluto.

“Non so di cosa tu stia parlando”.

Feci per passare oltre la lui si posizionò di nuovo davanti a me e al mio naso giunse il suo profumo che non riuscii a distinguere “Togliti, Duroy”
 
“Chi sei?”
 
Tanto prima o poi avrei dovuto presentarmi.
 
“Sarah Jane Donough”
 
“Sei di Caldwell?”
 
“Mi stai facendo un interrogatorio?”
 
“Perché ti sei spacciata per mia cugina? Perché eri agli allenamenti? Perché eri al Fire Cracker? Perché eri a casa mia?”
 
Okay, c’erano decisamente troppi perché “Daniel…”

Non sapevo come comportarmi a quel punto. Gabriele mi aveva lasciato carta bianca. Non mi aveva spiegato esattamente come sarei dovuta intervenire nella vita di Duroy. Nelle mie vere vesti o fingendomi una normale buona ragazza?
 
Sospirai “Ho sentito parlare di te e poi, le parole di tuo nonno mentre lo riaccompagnavo a casa…Ho pensato che dovevo farti ritornare a casa da tua sorella. Che dovevo intervenire”
 
Ci stavamo guardando negli occhi

 “Non credi, che la mia vita sia un affare che non ti riguarda?” mi chiese ancora
 
“No”
 
 



Note d’Autrice
Saaalve lettori!!!! Ecco a voi il capitolo otto! Vi è piaciuto? Abbiamo visto Sarah Jane all’opera, abbiamo visto Daniel in versione fratello maggiore che sta crollando nuovamente e li abbiamo visti tutti e due scontrarsi in questa ultima parte di capitolo?
Ringrazio chi ha recensito il capitolo sette (siete adorabili!) Fatemi pensare cosa ne pensate di questo mi raccomando :*
Ah, finalmente dopo tante ricerche (nulla può riuscire a rimanere un mistero per me u.u) ho scoperto che la prestavolto di Sarah Jane è una certa attrice Molly C. Quinn :):) Per Gabriele, mi è venuto in mente inizialmente l’attore di Casper (il fantasma) solo che per interpretare l’angelo era piuttosto ragazzino così come era nel ’95 per cui…spero non vi dispiaccia Leonardo Di Caprio ai tempi di Titanic :P
Alla prossima!
RayaFee


 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** IX ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA






 
I’m friends with the monster
That’s under my bed
Get along with the voices inside of my head
You’re trying to save me
Stop holding your breath
And you think I’m crazy
Yeah, you think I’m crazy.
Eminem feat Rihanna- Monsters






 
“No?” ripetè Daniel di fronte a me inarcando le sopracciglia scure.

Feci spallucce, senza distogliere, lo sguardo da lui “No. Le tue scelte ricadono anche sulle persone che vivono al tuo fianco, Daniel”.

Okay, sembravo veramente mia madre in una delle sue prediche. Far ragionare le persone non era il mio forte e infatti Duroy sorrise ancora una volta  con quell’aria che mi faceva venire tanta voglia di rifilargli un calcio nello stomaco.
“Cosa sei, l’aiutante di Babbo Natale? Vuoi convertire tutti i bambini cattivi del mondo?”

Strinsi la mascella per la battuta disgustosa e tentai di rincalare la dose “Lo sai anche tu che ho ragione. Fare finta che tua sorella non abbia bisogno di te è da irresponsabile nonché da grandissimo stronzo. Tuo nonno Henry ha bisogno di te e anche Madison. Fare finta di non avere problemi non è risolverli” sottolineai.

L’aria saccente dal volto di Daniel Duroy sparì di colpo. Sbaglio o aveva anche perso una colorazione in faccia?

Le nuvole sulle nostre teste erano sempre più incombenti e probabilmente a breve sarebbe venuto giù il diluvio.

“Non sprecare il tempo che hai, Daniel. Non lo riavrai indietro” aggiunsi in un improvviso moto di compassione per quel ragazzo. Sembrava aver perso l’uso della parola così feci per aggirarlo e tornare sui miei passi, verso casa mia, quando la sua voce giunse di nuovo alle mie orecchie “Io non volevo spingerlo in quel vicolo. Non volevo fargli male” mormorò.

Mi fermai dandogli le spalle, sorpresa. Si riferiva a qualche sera fa, quando suo nonno era andato al Fire Cracker nel tentativo di riportarlo a casa e lui l'aveva fatto cadere a terra.

Sospirai sommessamente “Non è a me che devi dirlo”.

“Sei tu quella che vuole farmi da psicologa. Sinceramente non capisco nemmeno perché sto ancora qui a parlarti”

“Non lo so. Probabilmente non pensi più che sia una pazza che ti sta perseguitando”

“Ma tu mi stai perseguitando. Ti ritrovo dappertutto”

Sorrisi tra me “Beh, allora ci vediamo presto Duroy” dissi per poi riprendere a camminare.

 
DANIEL'S POV

La guardai allontanarsi e mi diedi dello stupido. Davvero avevo creduto che quella lì potesse essere in grado di aiutarmi?
C’era qualcosa di strano in lei. Lo avvertivo.

Il mondo in cui mi fronteggiava, nessuna ragazza mi aveva mai parlato in quel modo né tantomeno mi aveva sfidato così apertamente.
Tornai alla macchina mentre le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere giù dai nuvoloni.
Sentii squillare il cellulare e risposi senza guardare il numero sul display.
 

 
“Che fine hai fatto ragazzino?” esordì la profonda voce maschile dall’altro lato.
Trattenni il respiro “Huey…” soffiai
“Tu e il tuo amichetto O’Neill mi dovete ancora dei soldi”
Che? Li avevo dati a Ross.
“Li stiamo racimolando, Huey” mentii. Supposi che quell’idiota di irlandese avesse combinato qualcosa.
“Lo spero bene ragazzino perché altrimenti sarà costretto a fare qualcosa che potrebbe non piacerti”

 
Detto questo Huey interruppe la conversazione.
 
Mi appoggiai con le braccia al volante e composi il numero di Ross stando bene attento a contenere la rabbia. Al terzo squillo rispose “Daniel…”
Non gli diedi il tempo di continuare “Hai consegnato  i soldi a Huey il mese scorso vero?”

“Ecco….diciamo che…”

“Cazzo, Ross!” gridai sbattendo una mano sul volante.

Fanculo pure lui maledizione.
Chiusi la conversazione e mi portai una mano agli occhi, a massaggiare le palpebre.

Almeno una cosa nella mia vita poteva andare per il verso il giusto?
Sospirai forte e misi in moto.

“No, niente” mi risposi da solo.
 
 
 
Le gomme stridettero quando frenai di colpo davanti al Fire Cracker. Era martedì sera di chiusura. Bussai lo stesso alla porta e venne ad aprirmi proprio Ross che subito alzò le mani in segno di resa “Ascoltami amico…”
 
“Ascoltami un cazzo, Ross! Duemila dollari! Che fine gli hai fatto fare?” urlai.

Tommy sbucò dallo scantinato “Ehy…calma” mormorò  pacato asciugandosi le mani con uno straccio “Che succede?” chiese.

Spinsi da parte Ross ed entrai “Succede che hai un fratello coglione, Tommy. Uno di quelli che più di così non si può”

“Ehy...” fece per protestare Ross.

“Questo lo sapevo, Duroy. Non c’è bisogno che mi spacchi i timpani” rispose Tommy.
 
“Dovevamo duemila dollari a Huey per le scommesse del mese scorso. Li ho racimolati io anche per salvare il culo di tuo fratello e chi mi chiama poco fa? Huey che mi dice che non ha avuto ancora i soldi! Perché?” lanciai un’occhiata a Ross per chiedere spiegazioni.
 
Era sotto lo sguardo infuocato mio e di Tommy e Ross non era uno che reggeva molto la tensione “Mi avevano suggerito di fare una piccola scommessa con e corse di cavalli. Era certo che dovesse vincere Baelfire!”

Sentii Tommy imprecare mentre io rimasi spiazzato “Hai scommesso di nuovo i soldi che ci servivano a saldare il debito con Huey?”

Lui mi guardò agitato “Le quotazioni erano buone. Avremmo raddoppiato e così non avremmo perso niente!”
Mi misi a sedere ad un tavolo sicuro di stare per svenire “Ross…” avevo perso le parole. Non capivo perché non me l’avesse nemmeno detto, eravamo amici fin da piccoli ed era solo un anno più piccolo di me.
 
“Huey eh?” esordì nuovamente la voce di Tommy dietro al bancone.
“Mhm” risposi con un grugnito e lo sentii ridacchiare “Certo che siete proprio degli imbecilli voi due”
 
 
 
SARAH JANE'S POV

 Sprofondai nel divano dopo la doccia indossando già il fedele pigiamone e guardai lo schermo nero ed ultrapiatto della tv.
In quanto a tecnologia avevo cercato di tenermi aggiornata ma ormai, specialmente negli ultimi dieci anni, seguire i progressi era diventato molto difficile viste le diavolerie che venivano messe sul mercato ogni giorno.
Trovai il telecomando sul tavolino davanti ai miei piedi.

“Dovrebbe essere questo no?” premetti un tasto colorato in alto ma non successe nulla. Aggrottai la fronte e solo al terzo tentativo nel mio salotto esplosero le voci della tecnologia del terzo millennio.

Sobbalzai appena e dopo un po’ mi alzai in piedi per avvicinarmi allo schermo. Le immagini di un documentario sulla foresta amazzonica erano molto vivide.
I colori non avevano nulla a che fare con quelli dei tv show che avevo visto io negli anni ’70.
Inclinai leggermente la testa nell’osservare una ripresa dal basso di una chioma d’albero. Non avevo voglia di ricercare il tasto per cambiare canale così rimasi a guardare il documentario.

Dalla foresta si passò poi alla savana africana e lì mi ritrovai a inginocchiarmi davanti alla tv, rapita dalla perfezione dei dettagli e dei colori.

Sì, dopotutto il progresso qualcosa di buono aveva portato.
Allungai, solo a documentario finito, la mano nuovamente sul divano alla ricerca del telecomando.
E così cambiai canale stranamente euforica.


Angolo Autrice

Ciau! :) Ecco a voi il capitolo nove e....che ve ne pare? Insomma, non so perché ma non ne sono molto convinta :/
Abbiamo il continuo, seppur breve, della conversaione tra Sarah Jane e Daniel del capitolo 8. E ovviamente, ormai mi è impossibile non farlo, ho fatto un Daniel Pov xD Vi piacciono i Daniel pov? Povero Ross u.u
Comunque ringrazio little_bird e aki_penn che hanno inserito la storia tra le preferite (<3) e ringrazio FamousLastWords e Kaxandra per aver inserito la storia tra le seguite. Grazie mille, davvero!
Un bacione,

RayaFee


 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** X ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA


 

 
Entra nella mia testa
mare in tempesta
facce finte di cartapesta
carne fresca, l'amo e l'esca
l'orrido, un uomo che ti insegue
in un corridoio, pagine sfoglio
ricordi come foto nel portafoglio, il vento che ti sbatte contro lo scoglio, nemici
che ti stringono intorno al collo cantano in coro,
in giro senti le urla
il mercato è costipato, non esce
nulla, intorno trasformazioni
soldi diventano debiti, i sogni
incubi gli amici diventano acrobati che saltano via, è un
altro giorno di ordinaria follia nella testa mia, a un passo dalla pazzia dentro casa parole
a caso mancano pezzi in questo puzzle.
Neffa feat Fabri Fibra- Panico



 
Mi svegliai di soprassalto al suono di un clacson in strada e feci una smorfia mentre mi mettevo seduta, ancora in salotto. Mi lamentai sentendomi la parte della destra della faccia completamente intorpidita dal contatto prolungato con il marmo freddo del pavimento.
 Avevo dormito lì?
Guardai confusa le immagini della tv ancora accesa e poi lo sguardo cercò il cielo oltre la portafinestra. C’era troppa luce. Decisamente troppa luce per essere le otto del mattino.
 
“Merda” imprecai. L’assenza di Gabriele era palese.
 Da quando ero lì in vesti “umane” tutte le mattine si era presentato a svegliarmi con la precisione di un orologio svizzero.
Mi fiondai in camera la letto e la sveglia sul comodino segnava  le undici del mattino.
“Tommy, Tommy, Tommy….” cominciai a balbettare correndo in bagno per una doccia.
Senza nessuno a farmi da sveglia ero sempre stata così.

Certo, per un lunghissimo periodo di tempo non avevo provato l’ebbrezza di essere in ritardo non avendo alcun bisogno fisiologico. Ero morta.



 
 
Dopo essermi vestita in tutta fretta con un paio di pantaloni chiari, un largo maglione beige  e degli anfibi neri; corsi letteralmente verso il Fire Cracker.
Quel posto era importante. Era il covo di tutte le questioni che riguardavano Daniel Duroy e io non potevo e non dovevo trascurare quello che era il mio compito.
Sebbene non ci avessi pensato molto prima di allora, quello di Duroy era uno dei miei ultimi compiti se non l’ultimo, prima di poter assaggiare la libertà.

 O qualunque cosa mi aspettasse dall’altro lato insomma.

Spalancai la porta del locale “Ciao” salutai a stento totalmente in assenza di fiato.
Tommy dal canto suo si limitò a lanciarmi un’occhiata incuriosita mentre ripuliva i bicchieri con uno strofinaccio.
A parte noi due non c’era nessuno.
“Ore piccole, Donough?” mi chiese con una vena di malizia e un sorrisetto che non mi sfuggirono.

Alzai gli occhi al cielo “Ho dormito più del previsto, O’Neill”.

“Mhm..mhm..” rispose lui con l’aria di chi la sa lunga. Il mio occhio ebbe uno spasmo involontario di nervosismo “Comunque….meglio tardi che mai. Ora mettiti al lavoro signorina” disse lanciandomi uno strofinaccio “Pulisci il tavolo tre”.

Borbottai qualcosa sottovoce mentre mi riprendevo ancora dalla corsa che mi ero fatta. Rimasi sconcertata quando, avvicinandomi al tavolo scorsi una sostanza conosciuta e ormai rinsecchita in gocce, sul tavolo “Questo è sangue?” chiesi voltandomi di scatto verso il proprietario. Lui scrollò le spalle, indifferente “Ho avuto un battibecco con mio fratello”.
Sgranai gli occhi avvicinandomi al bancone “Hai picchiato Ross?” scandii bene le parole. Incrociai lo sguardo di Tommy “E allora? E’ mio fratello ed è mio dovere fargli capire quando le cose che fa sono proprio delle colossali stronzate”

“Ma…”
“E poi non l’ho picchiato!” sbuffò. Non sembrava affatto dispiaciuto “ E’ stato solo un pugnetto”.

Inarcai un sopracciglio e lui mi si avvicinò, aggirando il bancone “A cosa stai pensando?” mi chiese vedendomi palesemente confusa.

“Penso che in questa città siate parecchio fuori di testa...”
Lui sorrise “Io voglio bene a mio fratello. Non lo picchio perché sono pazzo” fece spallucce.

“Certo che hai metodi particolari per dimostrarlo…” borbottai e lui ridacchiò “Pulisci il tavolo e dopo vai nello scantinato. Ci sono le casse di birra da sistemare”.
 
Sembrava che tutti, quel mercoledì, si tenessero lontano dal Fire Cracker. Al posto della solita clientela all’ora di pranzo non vi furono che quattro o cinque persone. In compenso però, verso le due, arrivarono chiaccherando a bassa voce Daniel e Ross.
Seduta dietro al bancone seguii i loro movimenti fin quando non si accorsero di me. Ross accennò un sorriso “Sarah!”

Bene, ognuno mi chiamava in un modo.

Feci un cenno del capo e notai sul volto del giovane fratello irlandese un taglietto e un livido all’altezza del sopracciglio. Probabilmente era il risultato di Tommy “Ciao, ragazzi” inclusi nel saluto anche Duroy.
Daniel mormorò qualcosa che non riuscii a capire.

“Dov’è mio fratello?”

“Non lo so. Spero sinceramente che sia rotolato giù per le scale dello scantinato” borbottai. Mi aveva tenuto a trascinare casse di birra per due ore e adesso non si faceva vedere.

Ross ridacchiò e notai appena le labbra di Daniel piegarsi all’insù.

 Feci finta di non accorgemene “Avete fame? Vi preparo qualcosa”.

All’improvviso non capii tutta quella gentilezza da dove era uscita.
 Non ero una mamma orsa io.

Sibilai qualcosa mentre preparavo i panini e sentivo le chiacchere sussurrate tra i due.
Quando finii portai al tavolo tre, ripulito e disinfettato, i panini.

“Ecco” poggiai davanti a Ross un piatto e poi poggiai l’altro, appena in un tocco più violento, all’indirizzo di Daniel. Incrociai i suoi occhi chiari per un attimo prima che Ross si rivolgesse a me "Come te la passi qui?”
“Oh, bene. Mi diverto a ripulire il sangue che tuo fratello lascia schizzare sui tavoli mentre ti sfascia la faccia”
Lui rise scuotendo la testa “Sei forte, lo sai?”
 
“Ne sono consapevole”. Ebbene sì, non ero nemmeno molto modesta.

Udii uno sbuffo accennato e mi voltai verso Daniel “Se volete vi lascio da soli. Così potete divertirvi” borbottò “Ti ricordo che dobbiamo discutere di quella cosa…” era un chiaro invito per me ad andarmene.
Stirai le labbra in un sorriso forzato. Che questione?
Mi accomodai ad una delle sedie vuote, al loro tavolo, e colsi l’espressione di fastidio sul volto di Duroy.
 
 
DANIEL'S POV

Mi trattenni dallo sbuffare di nuovo nel vederla che si accomodava tranquillamente al tavolo. Ero sicuro che avesse capito il mio invito a sloggiare di pochi attimi fa e lei lo stava bellamente e deliberatamente ignorando.

Afferrai il mio panino e cominciai a mangiare. Non solo questa mattina Ross mi aveva trascinato a scuola a forza di insulti ma mi toccava di nuovo sopportare la presenza della stalker. Dovevo dire a Tommy di licenziarla.
Come diavolo gli era venuto in mente di assumere una del genere al Fire Cracker?

Certo, era una che sembrava sapere il fatto suo ma dio, era troppo una ficcanaso.

Borbottai qualcosa sottovoce mentre sentivo Ross e l’aiutante di Babbo Natale chiaccherare al mio tavolo.
Avrei voluto contribuire a sfasciare l’altro lato della faccia di Ross la sera prima.

Tommy si era avvicinato a sorpresa a Ross, durante una pausa silenziosa e aveva sferrato un pugno all’indirizzo del fratello. Ero rimasto lievemente scioccato ma poi avevo capito.

Il coglione non era solo Ross per non aver consegnato i soldi a Huey.
Il coglione ero anche io per essermi immischiato con Huey.

Al contrario di Ross però non avevo nessuno che alzasse una mano nei miei confronti. Mio nonno era incapace persino ad arrabbiarsi. Figurarsi alzarmi le mani addosso! Forse papà….
Deviai velocemente i pensieri e ritornai a guardare i due davanti a me. La ragazzina stava poggiando i talloni sulla sedia raggomitolandosi così sulla piccola superficie. Io non ci sarei riuscito. Ero decisamente più grande di lei.

Mi ritrovai a fissarla, o meglio, a fissare le sue gambe mentre continuavo a mangiare.
D’un tratto mi resi conto che mi stava guardando e distolsi in fretta lo sguardo puntandolo su Ross nell’esatto momento in cui dal piano superiore giunse il nome del mio amico.
Ross sbuffò e alzandosi in piedi, accennò un sorriso in direzione di Sarah “Fammi gli auguri!”
“Solo se vuole sfasciarti l’altra parte della faccia” mormorò lei.
 
Così rimanemmo, per l’ennesima volta in pochi giorni, da soli.
Lei si schiarì la voce mentre ritornava a far poggiare a terra i piedi “Sei andato a scuola oggi?” chiese
“Si, maestra” risposi sarcastico. Che le importava?
“Di solito, quando si ha vent’anni non si dovrebbe già essere diplomati?”

Mio nonno doveva imparare a tenere la bocca chiusa.

“Non sono affari che ti riguardano.Nemmeno questi”.

Quella ragazza aveva la tendenza ad immischiarsi troppo nei miei affari. Ripensai la giorno precedente, quando l’avevo vista camminare sul ciglio della strada e mi ero fermato. Lì era stata colpa mia.
Rimase in silenzio per un po’ poi sospirò inducendomi nuovamente a guardarla. Aveva sempre disegnata, sul volto piccolo, quell’espressione perennemente imbronciata o al massimo tollerante.
 
“Oggi non hai da farmi nessuna ramanzina, Babbina Natale?” la provocai. Sì, in effetti nonostante tutto era interessante battibeccare con lei.
Inarcò un sopracciglio sottile e dello stesso colore dei capelli, e volse lentamente il viso lentamente nella mia direzione. Evidentemente non aveva gradito l’appellativo.

I suoi grandi occhi grigi si fissarono nei miei “Fottiti, Duroy” scadì per bene.
Sollevai un angolo delle labbra in un sorriso “Sei davvero poco gentile. Non è modo di parlare per una ragazzina”
Ragazzina?” sottolineò lei, tra i denti “Ho la tua età”.

Scrollai le spalle a quella rivelazione “Non l’avrei mai detto”.

La sentii imprecare ancora mentre si alzava per tornare al bancone, dove due nuovi arrivati si stavano dirigendo e trattenni una risata a stento.
L’avrei ripagata della stessa moneta. Sarah Jane Donough.
 
 
Note d’Autrice
Visto come sono veloce? Ahahah semplicemente oggi pomeriggio avevo voglia di scrivere ancora di questi pazzi così….ne è uscito fuori il capitolo 10! Wow :) Che ne pensate?eh?eh?eh? Me lo lasciate un parere? *occhioni dolci* ahahah :P
Ringrazio Bruli,Hydra_Lee, Only_A_Dreamer e pheiyu per aver inserito la storia tra le seguite :3 Davvero, sono commossa che tutta questa gente stia seguendo questa storia <3
Un bacione, RayaFee

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** XI ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA 

 




 
“Tanti Auguri, Sarah Jane!” esclamò Tommy non appena misi piede nel locale il tredici novembre. Abbozzai un sorriso e scossi leggermente la testa, incredula “Non posso crederci che tu mi stia facendo davvero gli auguri! Sto invecchiando!” risposi.

Era classico che qualcuno non volesse diventare maggiorenne a tutti gli effetti. In realtà non m’importava.

“Ora puoi ufficialmente bere”
“Ma io bevo già” inarcai un sopracciglio mentre lo raggiungevo dietro al bancone.
 “Non  in modo ufficiale” rispose lui facendomi nuovamente scuotere la testa. Ormai ero stata assunta a pieno titolo all’interno del Fire Cracker, tra l’altro anche l’unico posto che frequentassi.
 
Ero assorbita dal compito Duroy da quasi un mese ormai ed era difficile venirne a capo. Non riuscivo a rapportarmi con lui in nessun modo pacifico. Certo, non me la sentivo di dare tutta la colpa a lui in merito a questo perché io non ero una compagnona.

Lanciai un’occhiata a Tommy. Al contrario, i due irlandesi che conoscevo mi trovavano uno “spasso”.

Daniel non mi considerava uno “spasso”.

Daniel non mi considerava.
Punto.
 
“Cosa farai stasera per festeggiare?” ruppe nuovamente il silenzio il maggiore dei fratelli O’Neill. Sollevai lo sguardo dalle bottiglie sul bancone senza sapere cosa dire.
“Emh…non saprei, O’Neill. Probabilmente lavorerò qui”
“Non se ne parla”
“Cosa?” lo guardai stupita “Compi ventun’anni. Devi festeggiare ragazzina brontolona che non sei altro”.

In quel momento mi sentii terribilmente noiosa. Ma non potevo farne a meno.

Accennai un sorriso imbarazzato e scossi la testa “Non mi va di festeggiare, davvero”.
Probabilmente il mio tono fu strano perché sentii Tormmy avvicinarsi a me “Nemmeno in famiglia?”
Scossi la testa “Sono lontani”.

Molto lontani. Dall’altra parte probabilmente.

Tommy incrociò le braccia sul bancone e si chinò in modo da potermi guardare in faccia “Sei scappata di casa per caso?”
Lo guardai. Come scusa poteva reggere.
Annuii. “Allora non ti farò altre domande Donough. E stasera sei libera di fare quello che vuoi. Anche venire a festeggiare qui. Offro io” fece l’occhiolino e io feci un cenno con il capo.
O i tempi erano cambiati oppure ero io a risultare più normale agli altri.

Durante la mia vita, quella vera, avevo sempre faticato qualcuno a trovare qualcuno con cui andare d’accordo. Qualcuno che capisse il mio orribile carattere.
Ero a Caldwell da poco tempo e sentivo che quelle persone mi erano più vicine di quanto non lo fossero state quelle a San Francisco. A casa mia.
 


DANIEL'S POV
Sbadigliai visibilmente durante la lezione di storia. Ancora non capivo perché stessi andando a scuola.

“Signor Duroy, la sto per caso annoiando?” la voce nasale della Signora Cole mi raggiunse.
Era piuttosto anziana. Dai capelli biondi e tinti, la pelle piena di rughe. Mi sistemai sulla sedia “Oh no…continui pure la prego” ribattei con un sorriso mesto.
Ci conoscevamo, io e la Signora Cole. Sapeva che della sua lezione non m’importava un fico secco.
Lei sospirò e mi guardò male.

Sentii su di me lo sguardo dei miei compagni di classe prima di ricevere un leggero colpo alla sedia “Vuoi stare attento un po’?” la voce di Ross, poco più che un bisbiglio, giunse da dietro. Mi voltai appena a guardarlo da sopra la spalla e inarcai un sopracciglio.
Ultimamente stava insistendo troppo per trascinarmi a scuola.
 
Quando la signora Cole si volse nuovamente verso la lavagna scivolai appena sulla sedia, per mettermi nuovamente comodo. Volsi il capo alla mia destra e incrociai lo sguardo di Chelsea. Le rivolsi un breve cenno del capo in segno di saluto e lei rispose accennando un sorriso civettuolo.
Tenersela buona poteva essere sempre utile.
“Signor Duroy!” stavolta la signora Cole mi perforò i timpani. Alzai gli occhi al cielo raddrizzandomi nuovamente “Prova a trascinarmi di nuovo in questo manicomio e ti metto sotto con la macchina, Ross” ringhiai voltandomi appena verso il ragazzo.
 
Quando finalmente la giornata scolastica volse al termine mi sentii libero. Un tempo non trovavo così difficile andare a scuola. Lo trovavo un obbligo che, malgrado tutto, poteva essere divertente.
 Da tre anni a quella parte però, le cose erano cambiate.

“Daniel!” mi sentii chiamare mentre, nel parcheggio, stavo per infilarmi in macchina “Cosa c’è, Chelsea?”. Cercai di non sorridere trionfante.
Lei mi raggiunse correndo “Devo chiederti una cosa”.

Di solite le cose di Chelsea finivano per riguardare il suo letto. Mi appoggiai alla macchina con le mani nelle tasche dei jeans, interessato. Incrociai i suoi occhi neri e lei sorrise “Mi stavo chiedendo se ti andasse di uscire... stasera”.

Aggrottai la fronte. Non aveva mai usato il termine uscire per delineare il tragitto per il suo letto.

“Siamo usciti la settimana scorsa, Chelsea” risposi reggendole il gioco.
Lei mi diede un pugnetto sulla spalla “Non intendevo in quel senso, cretino. Intendevo uscire sul serio”

“Un appuntamento?”mormorai disgustato.

Non avrei potuto contare nemmeno più su di lei.

Chelsea annuì “Uscire in un posto che non sia il Fire Cracker insomma”
“Che ha che non va il Fire Cracker?”
“Niente è solo che…” si interruppe. Aveva colto che la prospettiva di avere un avere un appuntamento con lei non mi attraeva affatto. Si morse un labbro e guardò altrove.

“Insomma….” mormorò ancora “Ti va o no?”.
“Ho da fare, Rewood” aprii lo sportello della macchina e mi infilai dentro. La testa di Chelsea fece capolino dal finestrino che avevo aperto “Domani?”
“No”.
Potevo leggere la delusione nei suoi occhi scuri.
“Okay, Daniel. Sarà per un’altra volta allora”.
 
Rientrai in casa per pranzo e la voce di Madison mi giunse forte e chiara dalla cucina “No! Non li voglio gli spinaci nonno!”.
Entrai in cucina incuriosito e lanciai un’ occhiata al nonno seduto di fronte a Maddie. Incrociai il suo sguardo.
“Dan!”
Accennai un sorriso in direzione di mia sorella e poi mi sedetti a tavola “Nonno” salutai, più freddo. Non aveva smesso di starmi con il fiato sul collo.
“Sei stato a scuola?” domandò.
Annuii distrattamente nel mentre che fissavo la brodaglia verde nel mio piatto.

Se possibile, i rapporti con mio nonno si erano fatti ancora più freddi.

Alzai lo sguardo verso la foto che Henry teneva in cucina. Quella in cui eravamo ancora una famiglia.

“Maddie mangia gli spinaci o me ne vado” ricattai mia sorella piuttosto bruscamente.
Odiavo quella foto.
Madison recuperò il cucchiaio nell’immediato e colsi l’occhiata di mio nonno. Se non altro le facevo passare i capricci.
 


Sarah Jane's POV

Nel mio appartamento, la sera, ero indecisa su cosa fare.
Guardai il foglio magico di Gabriele ma era bianco da due giorni.
Non avevo più rivisto Gabriele dopo il compito Dunham ed era capitato che in un altro paio di occasioni qualche nome aveva fatto la comparsa. Perché non quella sera?

Sospirai sommessamente e nonostante il mio desiderio fosse quello di rintanarmi sul divano a fissare quell’aggeggio di tv non potei fare a meno di vestirmi per uscire.
Sentivo che stavo sbagliando qualcosa in tutta quella situazione ma non capivo cosa.
Cosa stavo sbagliando?
 
Quella domanda mi balzò nella mente per tutto il tragitto verso il Fire. Indossavo una semplice felpa nera e dei pantaloni grigi.
Non era di certo una tenuta da ventunesimo compleanno.
Quando Tommy mi vide, sorrise e al suo fianco Ross osservò la scena “Mi sono perso qualcosa?” lo sentii mormorare al fratello “Oggi è il suo compleanno!” rispose O’Neill.

“Il compleanno di chi?” esordì una voce conosciuta che faceva il suo ingresso dall’altra sala.

Incrociai lo sguardo di Daniel Duroy ma la voce di Ross mi distrasse “Wow”.
D’un tratto, quasi rendermene conto, un paio di braccia mi stavano stringendo. Affondavo la faccia in pieno petto di Ross, tanto ero bassa.

Arrossii per tutto quel trambusto degli O’Neill e non tardai ad essere me stessa “Insomma volete smetterla. Giuro che vi rompo delle bottiglie in testa se non la smettete subito” borbottai liberandomi, con calma per non sembrare irritata, dalla presa di Ross.
I due fratelli risero.
Guardai Duroy fermo accanto al bancone. Non mi stava guardando.
“E comunque sono passata solo per un saluto” mormorai all’improvviso “Ho da fare” guardai verso Tommy che scrollò le spalle “Da oggi puoi bere quello che vuoi”.

Come se fosse quello a contare.
Sorrisi mestamente e ritornai sui miei passi.

Varcata la soglia mi appoggiai al muro di mattoni rossi e sospirai guardando il cielo nuvoloso.
Una nuvoletta di fiato condensato si sparse nell’aria.

Non avevo nessun compleanno da festeggiare visto che ero morta.
Per la prima volta sentii quella situazione pesarmi addosso. Chiusi gli occhi.

Che scherzo mi aveva giocato Gabriele piazzandomi nuovamente in mezzo ad esseri che non dovevano fingere di respirare?

La porta del Fire Cracker si aprii di nuovo ed io feci in fretta a staccarmi dalla parete come se nulla fosse.

Non guardai nemmeno chi fosse limitandomi a camminare sul marciapiede “Ehy, Folletto!”
Non poteva essere che Duroy. Mi voltai appena con sufficienza a guardarlo.

La luce del lampione gli illuminava appena il volto “Hai finito l’energia stasera?” disse avvicinandomi.

Da quando in qua Duroy si avvicinava volontariamente a me?

Inarcai verso l’alto le sopracciglia e poi lui fermò squadrandomi “Che hai da guardare idiota?” mugugnai.

Intravidi che teneva la fronte aggrottata “Perché stai piangendo, Folletto?”

Cosa?
Mi portai una mano al viso freddo e sentii sotto le dita della mano destra qualcosa di caldo e appiccicoso.
Che diamine…non ricordavo nemmeno l’ultima volta che una lacrima aveva solcato il mio viso ma di sicuro risaliva a molto tempo prima della mia morte.
Alzai lo sguardo verso Duroy palesemente turbato.

Di fronte al mio silenzio e alla mia sorpresa lo sentii nuovamente parlare “Ti senti bene?” il tono non era propriamente gentile ma già il fatto che me lo chiedesse era qualcosa.

“Non lo so” risposi stringendomi nelle spalle“Non mi sento bene da molto tempo, Daniel” aggiunsi infine, sincera.


 
Angolo Autrice
Ecco….questo capitolo mi sembra assolutamente…brutto. Sarah Jane è un po’ triste U.u
Secondo voi cosa sta sbagliando Sarah Jane? Volevo ringraziare Hi Dear e nike97 per aver inserito la storia tra le seguite. E tutti voi in generale! Un bacione,
RayaFee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** XII ***



COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA



 
Ci sono giorni che sono più forte, sai cosa intendo, quindi mi dico
“Manca qualcosa”
Qualsiasi cosa sia, sembra che stia ridendo di me attraverso il vetro di uno specchio doppio
Qualsiasi cosa sia, sta proprio seduto là a ridere di me
E io voglio solo urlare
E adesso cosa? Non riesco a capire
E adesso cosa? Credo che aspetterò che tutto questo sia finito
E adesso cosa? Ohhhh adesso cosa?


 
Traduzione Rihanna-What Now

 

Sarah Jane POV
 
Chiusi gli occhi, dalle ciglia ancora umide, e inspirai profondamente l’aria fredda di quella sera di Novembre. Seduto accanto a me sulla panchina del parco, la stessa su cui avevo parlato con Gabriele il mese precedente, c’era Daniel Duroy.

Esattamente, il motivo per cui mi aveva seguito fino a quel punto senza aprire bocca, rappresentava ancora un mistero. Si era limitato a camminare dietro di me e poi, a sedersi al mio fianco.

Riaprii gli occhi e girai appena la testa per guardarlo. Stava fissando con interesse lo zampillo dell’acqua nella fontanella di fronte a noi.
“Cosa intendevi dire prima, quando hai detto che non stai bene da molto tempo? Sei malata?”.
La voce del mio successore esordì nel silenzio intorno a noi, bassa e atona.

Se la morte era una malattia…

Lo guardai ma lui non incrociò il mio sguardo “Hai mai la sensazione di sentirti fuori posto?” chiesi a mia volta e lui stirò le labbra in un sorriso “Direi sempre, Folletto”.

Sorvolai sul soprannome che mi aveva affibbiato e per la prima volta mi sentii veramente vicina al ragazzo. Mi chinai in avanti e appoggiai le braccia alle cosce, imitando la sua posizione “Io mi sento fuori posto in tutto questo. Non ne faccio parte” mormorai.

Lui mosse appena il capo, annuendo “Cosa è successo ai tuoi genitori, Daniel?” domandai di punto in bianco. Il mio primo scontro pacifico con Duroy.

Mi guardò appena, indeciso. Passò qualche minuto e sospettai che non volesse parlarne poi, quando stavo per cambiare domanda sentii la sua voce “Eravamo di ritorno da una gita fuori città. Madison era rimasta a casa con il nonno perché aveva il raffredddore. Io avevo insistito perché andassimo lo stesso alla partita” si passò una mano tra i capelli e prese a guardare la punta delle sue scarpe “Sulla statale una macchina ci è venuta addosso, frontalmente”.

Trasalii ma non commentai. Daniel era presente all’incidente. Questo non mi era stato detto.

Non allungai una mano per consolarlo nonostante avessi colto il suo tono ancora turbato.
“Perché è successo?” sibilò d’un tratto stringendo la mano destra in un pugno.

“Perché no, Daniel?” replicai e la sua testa scattò nella mia direzione. Scrollai le spalle e tornai ad appoggiarmi alla panca.

“Che vorresti dire con perché no?”

Incassai appena la testa nelle spalle e sollevai lo sguardo verso il cielo “Vorresti che fosse accaduto a qualcun’ altro, quel giorno?”
“Si”

Mi morsi un labbro “Vorresti che qualcuno attraversasse quello che stai ancora passando tu?” chiesi, inarcando le sopracciglia verso l’alto.
Daniel si girò nella mia direzione, fissandomi duro.

Non stava capendo.

“Doveva accadere. Non è bene desiderare che al posto della vostra macchina ce ne fosse stata un’altra, Daniel.  Al mondo ogni giorno ci sono madri che perdono figli, figli che perdono genitori, nipoti che perdono nonni, fratelli che perdono sorelle e viceversa. Tu non sei diverso dagli altri.”
Sospirai “La morte fa parte della vita di ciascuno di noi. Quel giorno è toccato a te sperimentare cosa significasse perdere qualcuno. Il giorno successivo sarà toccato a qualcun altro e così via. A tutti toccherà sperimentare prima o poi, in un modo diverso. Sarebbe stupido considerarsi immuni dal dolore e dalla morte”.
 
Era quello che mi ero ripetuta spesso negli anni.
 
“Mi stai dicendo che dovrei essere contento di aver sperimentato?” mi chiese Duroy, lo sguardo acceso dalla rabbia covata.

“No” incrociai il suo sguardo “Dico solo che prima o poi sarebbe successo. A te è toccato prima di altri”.

Si doveva accettare la morte come un processo della vita.

Lui scosse la testa “Sei una di quelle che pensa che soffrire sia bello?” notai il tono di scherno e stirai le labbra in un sorriso forzato “Certo che no. Dico solo che accettare quello che è successo quel giorno, superarlo, potrebbe esserti utile. Sospetto che tu l’abbia mai affrontato”

“E tu credi che ora dovrei accettare la malattia di mia sorella? Mi vuoi forse dire che dovrebbe toccare di nuovo a me sperimentare la sofferenza?”

“Madison vuole averti accanto. Al momento è l’unica cosa che dovresti fare. C’è sempre speranza”

Daniel si alzò in piedi e mi guardò dall’alto “Lo sai cosa penso?” mi chiese chinandosi appena su di me. Non mi mossi e inarcai le sopracciglia in una muta domanda “Penso tu stia dicendo un mare di stronzate. Penso che tu abbia visto parecchi film o letto troppe tragedie” sibilò “Non venirmi a dire che quello che mi è successo e che mi sta succedendo è giusto. Non venirmi a dire che devo soffrire perché è così che va la vita.”

“Non ho detto che è giusto, Daniel” replicai calma.
Lui allargò le braccia e fece una risata amara “Perché sto parlando ancora con te? Non ha senso”.

Mi alzai in piedi, guardandolo negli occhi “Non lo so. Dimmelo tu”.

Era lui ad avermi seguito.
“Pensavo avessi bisogno di qualcuno con cui parlare”

“Oh, strano. Ross mi ha detto che non sei il tipo ideale con cui fare una chiaccherata e in effetti credo che abbia ragione”

“Tu dici sciocchezze, Folletto”

Feci spallucce “Non è facile accettare il dolore. Ho provato solo a farti capire che non sei l’unico a soffrire al mondo. Non puoi avere la prerogativa di essere incazzato con il mondo per quello che ti è successo, Duroy.”
 
Lui contrasse la mascella ed io continuai “Almeno prova a…” feci per dire ma lui mi interruppe con un occhiata.
“Va al diavolo, Donough”.

Sorrisi divertita  “Sinceramente spero proprio di no, Daniel. Non vorrei aver fatto questa fatica per non meritarmi almeno un premio come si deve” dissi.

Eh.

Il ragazzo mi guardò confuso ed io gli rifilai una pacca sulla schiena. Era la prima volta che lo toccavo.

“Pensaci su, Daniel. Dedicami cinque minuti dei tuoi pensieri o dei tuoi sogni…purché non siano sconci insomma” mormorai di buonumore.

La tempesta ormonale dell’ora prima sembrava un ricordo lontano per me.

Daniel si scostò facendo una smorfia “Per favore, Folletto. Non mi passerebbe nemmeno per la testa pensarti in quel senso..”

Aggrottai la fronte “Forse dovrei ritenermi offesa per questo….o no?” lo presi in giro per distrarlo.

Io avevo meditato anni sulla questione morte e nonostante avessi accettato da tempo il mio destino, a Daniel sarebbe servito ancora tempo.
Mi chiesi quale fosse il piano preciso di Gabriele per lui.

“Vedo che ti è tornata l’energia, Donough. Sei una batteria ricaricabile? A dimensioni ci siamo…” disse lui. Non era propriamente ironico ma ancora una volta sorvolai sull’insulto rivolto ai miei centimetri mancanti.
Gli puntai l’indice della mancina guantata contro “Chiudi quella boccaccia”. Sembrava essere molto più a suo agio a prendermi in giro che a parlare dei suoi problemi.

Ed era un altro problema.

“Lo sai che quel guanto non è di tendenza?Come rockettara non funzioni” mormorò ancora mentre stavamo uscendo dal parco.
“Ah. Ah. Io torno a casa” mormorai.
“Non ti seguirò se è quello che vuoi”. Ignorai le sue parole “Grazie” soffiai.
 
Daniel tornò serio, con le mani nelle tasche del giubbotto. Non replicò ed io mi limitai a cennarlo con il capo prima di attraversare la strada, da sola.
 
 
Daniel's Pov

Per quale motivo mi aveva ringraziato?
Con le mani al caldo, nel giubbotto, la guardai attraversare a passetti veloci la strada. Non aveva nemmeno guardato se arrivasse qualcuno.
I capelli arancioni sciolti sulla schiena erano un vero e proprio pugno in un occhio sulla felpa nera che aveva addosso.

Mi girai appena verso l’ingresso del parco e poi mi avviai di nuovo a piedi verso il Fire Cracker. Quando l’avevo vista all’entrata del locale e avevo sentito che era il suo compleanno avevo fatto quasi per prenderla in giro poi però Ryan, al tavolo da biliardo, mi aveva distratto chiedendomi di giocare.

Rifiutandomi, mi ero girato nuovamente lei era sparita e così per non perdermi il divertimento ero uscito fuori ad intercettarla. Era un buon passatempo, la Donough.

Quando l’avevo vista con le lacrime agli occhi un nodo mi si era formato nello stomaco.

Detestavo le ragazze frignone ma ero certo che il Folletto non faceva parte di quel gruppo. Doveva esserci un motivo sotto e così l’avevo avvicinata.

 
Sospirai sommessamente e mi tirai sulla testa il cappuccio. Quanto cavolo faceva freddo?

“Hai avuto i tuoi cinque minuti nei miei pensieri” borbottai.

Quella là doveva avere sicuramente qualcosa che non andava. Lei piangeva ed ero io quello che alla fine si era sorbito la predica sulla sofferenza.
Mica avevo capito perché stava frignando.

Quello che aveva detto era semplicemente ridicolo. Era ovvio che avessi desiderato, una marea di volte, che non fossimo andati a quella partita, che non avessi insistito tanto, che quella macchina non ci fosse venuta addosso e che al nostro posto ci fosse stato qualcun altro.

Non c’era nulla di sbagliato nel desiderare di avere ancora dei genitori. Era lei in torto. Sbuffai sentendomi inquieto.
Aveva avuto altri tre minuti dei miei pensieri. Stava decisamente occupando troppo spazio.


 
Angolo Autrice
Ok, eccomi qui con il capitolo 12. Mi ha creato qualche problema ma spero che sia riuscito come volevo che fosse. L’idea che ha Sarah Jane della morte è quasi…impersonale. Voglio dire che lei ora la considera come un semplice processo della vita e che quindi, deve essere accettata anche da coloro che rimangono e che soffrono. L’idea di Daniel è ovviamente, quella più comune. Detto questo, Sarah Jane si sente fuori posto perché è nuovamente tra i vivi mentre il suo unico desiderio è quello di essere libera.  Ringrazio Karen89 per aver inserito la storia tra le ricordate. Inoltre, ringrazio Inna e Rosyanne per aver inserito la storia tra le seguite :) Non avrei mai creduto di poter avere 57 recensioni per 11 capitoli. Vi ringrazio tantissimo <3
RayaFee

 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** XIII ***


COME FOSSI NIENTE,COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA





 



“Faresti bene a tornare a casa, prima che inizi di nuovo a nevicare seriamente” sentii mormorare Tommy O’Neill da dietro al bancone.
Erano quasi le undici di sera, più presto del solito, ma il locale ormai era vuoto.
Sollevai lo sguardo dal tavolo che stavo pulendo e poi, gettai un’occhiata fuori. I fiocchi avevano ricominciato a venire giù, più impietosi che mai.
Sospirai “Sì, credo sia meglio”. Mi portai dietro al bancone per recuperare giubbotto,cappello, guanti e sciarpa e lentamente cominciai ad infilarli.

Sentii una risata soffocata e lanciai un’occhiataccia all’indirizzo dell’irlandese quando mi calai il cappello di lana blu elettrico sulla testa  “Ridi pure ma lì fuori fa freddo!” esclamai risentita. Mi sentivo infagottata e ridicola, ma calda.

La porta del Fire si aprì all’improvviso e mi voltai a guardare. Mi immobilizai sul posto, accanto a Tommy.

I tre uomini  sulla soglia avevano dei fiocchi tra i capelli e sulle spalle, coperte da un lungo cappotto nero.
“Uh, che tempaccio!” esclamò quello in testa al gruppo, più vecchio. I radi capelli biondi erano pettinati all’indietro e gli occhi scuri quasi stonavano con la carnagione pallida dell’uomo “Tommy!” continuò poi , come accorgendosi di avere davanti a sé delle persone.

Deglutii, non sapevo perché ma sentii che c’era di guai. Lanciai un’occhiata al ragazzo al mio fianco, appena più rigido del solito.

“Huey…” salutò rivolgendo poi un’occhiata anche agli altri due.

Li guardai accomodarsi al bancone, incrociando le braccia sul legno.
“Cercavo tuo fratelllo.E’ qui?” sentii chiedere.

“Non c’è. Potevi scegliere un momento migliore per venire a trovarmi Huey. Non credi?”.

Notai che il tono del barista era teso “Tommy…” mormorai e lo sguardo di Huey si posò su di me “Questa è la tua ragazza?”

“No” rispose secco O’Neill per me. Mi si avvicinò e mettendomi una mano dietro la schiena mi fece muovere di qualche passo “Torna a casa” mormorò mentre il tipo seduto alla destra di Huey poggiava qualcosa sul bancone.

Sbarrai gli occhi grigi e li sollevai verso Tommy “Quella è una pistola…” feci per dire ma lui mi interruppe con un gesto “Vai”.
Mi sentii agitata inutilmente. Ero sicura che se fosse accaduto qualcosa a Tommy O’Neill sarei stata la prima a saperlo.
Questo però non voleva dire che ne ero entusiasta. Guardai i tre uomini al bancone, poi Tommy e annuii “Va bene” sussurrai.

 
Appena fuori dal locale cercai nella tasca del giubbotto il foglio “magico” di Gabriele e lo aprii.
Era bianco.

Mi voltai verso la porta del Fire. Da fuori non sentivo nulla di quello che veniva detto.

Perché  quel tizio cercava Ross? Ma soprattutto perché lo cercava armato?

Era meglio che il minore degli O’Neill  non scegliesse quel momento per rientrare a casa.

“Meglio trovarlo e avvertirlo” sussurrai tra me, stranamente partecipe.
Io non avevo però idea di dove potesse essere in quel momento, ma sperai che almeno chi poteva saperlo fosse a casa sua.
 
 
 
Il tragitto verso casa Duroy si sarebbe rivelato senz’altro mortale, se non fossi già morta si intende. I marciapiedi erano vere e proprie lastre di ghiaccio. Un paio di volte rischiai di cadere ed  alla fine quando mancavano solo pochi metri alla casa, scivolai si nuovo sulla neve già schiacciata da qualcuno in precendenza, rovinando a terra.

Imprecai mentre, a gattoni, tentai di rialzarmi. Perché dovevo preoccuparmi così degli umani quanto per un tempo così infinito non mi era importato nulla di loro?

Forse Ross era già tornato al locale. Forse Huey non era pericoloso.

Giunta sotto la veranda di casa Duroy bussai forte alla porta, incurante del fatto che era quasi mezzanotte e che ci fossero un anziano e una bambina a dormire.

“Daniel!” chiamai forte e non ci volle molto prima che una fioca luce illuminasse il corridoio d’entrata. Mi ritrovai di fronte la faccia sospetta e addormentata di Henry “Sarah Jane?”.

Accennai un sorriso dall’aria innocente “Salve signore” salutai composta nel mentre che dalle scale, intravidi una piccola figura in pigiama bianco sbirciarmi.
Avevo svegliato tutti. “Daniel è in casa?” domandai al nonno.

“Chi è?” sentii  grugnire al piano superiore. Vidi Daniel rassicurare sua sorella con uno sguardo e poi lui mi vide.

Riuscii a leggere tutto lo sconcerto dal vedermi ancora “Che ci fai qui?” mormorò infastidito.
Henry intanto alternava lo sguardo tra noi due, così come Maddie in cima alle scale.
“Ho bisogno del tuo aiuto” dissi
“Mi sembra un po’ tardino Folletto…”

“Riguarda Ross” ero cerca che mi sarei guadagnata la sua attenzione. Così fu.

Mi guardò circospetto. Indossava un pantalone da ginnastica e una maglia scura a maniche lunghe “Cosa c’entra Ross?”

“Al Fire Cracker c’è un certo Huey che è venuto a cercarlo”.

Dallo sguardo consapevole che mi lanciò il ragazzo capii che mi avrebbe seguito “Torno subito” mormorò a suo nonno che provò inutilmente, a capirci qualcosa “Daniel…”mormorò ma lui lo interruppe “Torna a dormire. Non è niente”.

Henry Duroy incrociò il mio sguardo e mi sentii in dovere di fargli un piccolo cenno del capo come per rassicurarlo. Daniel recuperò un giubbotto e degli scarponi che indossò dall’ingresso e richiuse in fretta la porta dietro di sé.

“Sono tutti lì?” mi chiese tirando su la cerniera. Si avviò a passo spedito lungo il marciapiede. Tentai di stargli dietro ma non era facile “C’è solo Tommy. Ross non c’è”. Daniel si arrestò improvvisamente e io gli sbattei contro.

“Ehi..”mugugnai ma lui mi ignorò afferrandomi per le spalle “Se Ross non c’è perché sei venuta a cercarmi?”

Si era chinato su di me quel tanto da permettergli di fissarmi bene negli occhi “Uno di quegli uomini aveva una pistola Daniel.Potrebbero rapirlo, fargli del male” ribattei con forza scrollando le spalle per liberarmi “Sono venuta qui per sapere da te dove potrebbe essere e impedirgli di tornare al locale. Tommy mi ha chiesto di farlo anche se non espressamente” aggiunsi.
 
Daniel mi fissava in silenzio. Sembrava stesse elaborando dei pensieri poi, voltandosi cominciò di nuovo a muoversi “Non c’è bisogna che tu venga. Puoi tornartene a casa Folletto”
“No”
“Fatti gli affari tuoi”
“Ross è anche mio….” amico? “Non voglio che gli accada qualcosa.Perché lo stanno cercando?” chiesi senza ottenere risposta.

Arrivammo dopo circa venti minuti di silenzio nel vialetto di una villetta a schiera, nella mia testa si erano susseguite immagini di Daniel. E in tutte finiva col morire per mano mia. Mi mancava di rispetto.

“E’ qui?” domandai acida, affiancandolo sulla soglia mentre suonava al campanello. L’aria era calma ed ero sicura che presto sarebbe tornata a venir giù neve.
“Con tutta probabilità…sì” rispose.
 
Venne ad aprire una ragazza bionda in accappatoio “Daniel?Che ci fai qui?” chiese sorpresa, per poi guardare me “Lei chi è?”.
 
Sembrava avere ventidue o forse ventitre anni. Daniel ignorò le sue domanda andando dritto al punto.

Se non altro era diretto “Ross è qui? Se sì va a recuperarlo e digli di portare il sedere qui.Subito.

Vidi la ragazza inarcare le sopracciglia verso l’alto “Okay mister simpatia. Vado a chiamarlo” fece l’occhiolino e ci sbattè la porta in faccia.

Poteva almeno lasciarci entrare. Ma dove avevano la gentilezza i cittadini di Caldwell? Sotto le scarpe?

Sbuffai e saltellai sul posto per riuscire a sentirmi nuovamente le gambe “Cosa stai facendo?” mi chiese  Daniel voltandosi a guardarmi con sufficienza. Non risposi.
 “Sei ridicola” aggiunse  poi e io stirai le labbra in un sorriso forzato “Allora non guardarmi”.


 
Angolo Autrice
Allooora innanzitutto scusate il ritardo per questo capitolo. Ho avuto vari blocchi e l’ho riscritto un paio di volte poi, ho avuto degli imprevisti.Comunque eccomi qui! I risultato vi piace?Ringrazio monicamonicamonica,Elybull,Karolina e theworldinyoureyes per aver inserito la storia tra le seguite e inoltre ringrazio Sorting Hat per aver inserito la storia tra le ricordate. Un mega bacione e a presto con il 14!
RayaFee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** XIV ***




COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA




 



Passò un altro quarto d’ora prima che Ross aprisse nuovamente la porta. Un quarto d’ora in cui nessuno, tra me e Daniel aveva detto una sola parola limitandoci a lanciarci occhiate.

“Finalmente principessina” sbottò Duroy guardando l’amico, visibilmente confuso “E voi? Che ci fate qui?” chiese.
Feci un passo avanti e anticipai Daniel “Un certo Huey con altri due uomini sono al Fire Cracker. Ti cercavano” dissi fissando il ragazzo che boccheggiò, lanciando occhiate a Daniel “Al Fire Cracker?” chiese poi guardandomi .

Annuii “Uno di loro era armato. Tommy mi ha mandata via ma ho pensato bene di venire ad avvertirti. Non era il caso che tornassi a casa ma mi pare di aver capito che ne avevate ancora per molto lì dentro…”inarcai le sopracciglia lanciando un’occhiata  alla porta “…potevo evitarmi questa camminata” aggiunsi amareggiata.

“Non è comunque il caso che tu rimanga qui Ross. Se devono venire a cercarti sanno benissimo che stai con Anne e verrebbero a cercarti qui” mormorò Duroy mentre ritornavamo, tutti e tre, sul marciapiede.

“Te l’avevo detto che sarebbe finita così Ross. Anzi credo che sia appena cominciata. Devo aspettarmi che vengano anche a casa mia?” sbottò poi lo stesso ragazzo fissando l’amico.

In mezzo ai due, spostai lo sguardo dall’uno all’altro per poi soffermarmi su Daniel “Perché dovrebbero venire a casa tua?” rabbrividivo al solo pensiero di quei due davanti a Henry Duroy o a Madison.

Daniel fece una smorfia e fece per commentare “Non sono affari miei lo so” borbottai e quindi mi voltai verso Ross “Perché dovrebbero andare anche a casa sua?”
Lui mi avrebbe dato spiegazioni senza problemi e infatti non si fece pregare.

Ascoltai la storia di Huey, una specie di mafioso di zona che si occupava del giro di scommesse clandestine e nel quale Ross e Daniel si erano imbattuti per caso qualche mese prima.
Capii anche perché, quella sera di qualche settimana prima, Ross si era beccato un pugno da parte di suo fratello dopo che questo avea ri-scommesso i soldi che Daniel aveva racimolato per poter pagare il debito.

Daniel non parlò ma evidendentemente non apprezzava il fatto che stessi venendo a conoscenza anche di quello.
“E se è successo qualcosa a Tommy?Devo tornare lì” mormorò poi il minore degli O’Neill rivolgendosi a Daniel.

Il ragazzo si fermò e tirò un sospiro “Vado a controllare io. Tu rimani con il Folletto” fece per scendere dal marciapiede ma lo afferrai per un braccio constringendolo a voltarsi “Eh no!” esclamai “A Tommy non è successo nulla e tu lì non ci vai…”.

Incrociai i suoi occhi e vi colsi un po’ di sorpresa “E nemmeno tu” dissi guardando Ross.

“Come fai a sapere che non l’abbiano fatto fuori?” mi chiese Ross “Lo so e basta.”
Cacciai nuovamente Daniel sul marciapiede e recuperai le chiavi del mio appartamenteo. Entrambi mi stavano guardando sopresi “Light Street. Numero 10. Quarto piano interno B. Andate lì” misi le chiavi in mano a Ross “Ma..” fece per protestare ma al posto suo, continuò Daniel “Non ci penso a lasciare mia sorella da sola a casa”.

Il suo tono era serio e mi voltai a guardarlo “Vado al Fire e controllo Tommy, dopo controllerò che nessuno si avvicini a casa Duroy”.

Davanti a me entrambi mi fissavano titubanti. Era comprensibile che nutrissero qualche dubbio sul fatto che potessi affrontare tipi come Huey “Non ci pens…” fece per dire Daniel ma lo interruppi alzando la mano “ Per una volta stammi a sentire e fidati di me ragazzino”.


 
DANIEL POV


Erano quasi le sette del mattino e della nanerottola non c’era ancora traccia. Sospirai seduto sul divano di pelle del suo appartamento e per l’ennesima volta mi guardai intorno.
Mi chiesi perché lavorava al Fire Cracker visto che poteva, a quanto pare, permettersi posti come quello. Dalla camera da letto giunse l’ennesimo russare di Ross e io mi passai una mano tra i capelli.
Beato lui che riusciva a dormire.
 
Mi alzai in piedi e andai alla porta finestra. Continuava a nevicare e ormai a terra c’era qualcosa come trenta centimetri. Sentii rumore alla porta e quindi, andai velocemente ad aprire. Sulla soglia c’era il Folletto coperta di neve  e con il naso arrossato sulla punta. Mi superò senza alcun problema  ed io richiusi la porta.

“Tommy sta bene. Quando sono tornata al Fire Cracker se ne erano già andati e l'ho avverito che Ross è qui” disse in fretta lei mentre si toglieva la sciarpa e il cappello “Dopodiché fino a dieci minuti fa sono stata sotto casa tua e anche lì è tutto tranquillo”.

Ero sorpreso “Sei stata per tutto questo tempo sotto la neve?”

Incrociai il suo sguardo duro “Ti ho detto che puoi fidarti di me Daniel” mormorò togliendosi il cappotto fradicio. Mugugnò qualcosa sottovoce e si avviò verso la camera da letto  “Che diamine ci fai a dormire nel mio letto?!?!? Scendi subito! Non ti ho dato il permesso di appropriarti nel MIO letto” la sentii inveire e mi scappò un sorriso nel sentire Ross mugugnare qualche scusa.
 
Sospirai di sollievo. Dovevano risolvere quella questione con Huey.

Fermo in corridoio guardai Sarah Jane buttare fuori dalla sua stanza a colpi di sciarpate il mio amico per poi sbattere la porta.
“Mi era parso di capire che ci avesse offerto ospitalità…”protestò l’irlandese sbadigliando. Scossi la testa divertito.

Dopo qualche minuto riemerse dalla sua camera il Folletto. Si era cambiata, notai, ed ora indossava un paio di pantaloni rossi a pois neri e una maglia della stessa stampa. Un pigiama?

Sollevai le sopracciglia perplesso. Di certo la Donough era un tipo curioso.

Lei sembrava distratta da un foglio che teneva tra le mani. Vidi la sua espressione mutare da arrabbiata a incazzata nera. Piegò malamente il foglio e lo gettò dentro la stanza per poi chiudere la porta.

Che cos’era?

Ross si era sdraito sul divano e aveva già ripreso a dormire sul divano. D’altronde era domenica mattina.
Sarah Jane guardò male Ross ma non urlò altro soffermandosi a guardarmi “Hai fame?” sbottò.

Accennai un sorriso “Se lo dici così sembra quasi che tu voglia mangiarmi”. La seguii in cucina e mi accomodai su uno degli sgabellli mentre lei recuperava due tazze “Così, tu vivi qui?” domandai incuriosito e lei annuii.

Rimasi in silenzio finché non arrivò sotto al mio naso una tazza piena di cereali e latte. Lei cominciò a mangiare in silenzio guardando fuori dalla finestra i fiocchi che venivano giù “Grazie” soffiai e lei interruppe il suo moto. Con la coda dell’occhio vidi che mi stava fissando, il busto mezzo girato nella mia direzione evidentamente colta alla sprovvista.

Era stata quasi sei ore davanti casa. A controllare la mia casa. Non potevo non ringraziarla. Temetti che ci desse giù con una delle sue frecciatine e invece mi sorprese “Di niente, Daniel”.

La guardai e nuovamente i nostri occhi si incrociarono. Ci stavamo scrutando a vicenda come a voler cogliere tutte le sfumature dell’altro.
“Mangiate senza di me?” irruppe la voce di Ross in cucina mettendo fine a quel momento di reciproco studio. Sarah Jane si voltò a guardarlo “Preparati la colazione se hai fame. Non sono mica la tua schiavetta O’Neill”.


 
Note d’Autrice
Eh beh…son tornata presto visto che ho aggiornato solo ieri! xD In realtà su questo capitolo non ho molto da dire a parte che è un pò più cortino del solito... perciò lascio a voi le opionioni! Ringrazio Dark_Angel_Sofy per aver inserito questa storia tra le preferite. Un bacione,
 
RayaFee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** XV ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA






 



Una volta finito di far cozzare il cucchiaio nella tazza dei cereali mi concessi di sollevare lo sguardo verso i miei due ospiti. Silenziosi, Ross rigirava i fiocchi d’avena nel latte e ormai aveva ridotto tutto ad una poltiglia dall’aspetto simile al vomito e Daniel, dall’altro lato fissava il fondo della tazza con le braccia incrociate sul bancone.
Sospirai rumorosamente e sbattei le mani sulla superficie “Ehy!Sveglia ragazzi!” sbottai attirando su di me l’attenzione.

Per quanto la situazione cominciasse seriamente a scocciarmi non potevo fare a meno di immischiarmi “Qualcuno mi dice quanto dovete a Huey?E come la facciamo finita?” chiesi alternando lo sguardo.
Avevo il pienone di anime nel pomeriggio. Ma quando tornava Gabriele?
Sorprendentemente fu Daniel a rispondermi “All’inizio erano mille dollari, con lo scadere del termine son raddoppiati a duemila” guardò male Ross “E probabilmente a quest’ora sono tremila grazie a te…”.
 
Inarcai le sopracciglia. Tremila dollari  “Okay. Quanto siete riusciti a mettere da parte dopo il gesto di Ross?”
“All’incirca millecinquecento” rispose Ross. Sgranai gli occhi ne mancavano altrettanti ma non era un problema…
“Il resto ve lo darò io” mormorai facendo spallucce. Tanto ero morta e quando me ne sarei andata da Caldwell per sempre a chi sarebbero rimasti i soldi che avevo guadagnato al Fire e quelli che Gabriele mi aveva dato per vivere?
 
“Cosa?” domandarono all’unisono i due, sorpresi. Mi alzai in piedi e mi sistemai la maglia del pigiama a pois che indossavo “Ho detto che ve li do io. Non è un problema basta che mettiate fine a questa cosa” puntai lo sguardo su Daniel “ Mi riferisco soprattutto a te. Hai una sorella piccola e un uomo anziano e se quella è gente pericolosa faresti meglio a startene lontano da loro”
In quel momento squillò il cellulare di Daniel “E’ Huey” disse. Mi avvicinai a lui “Rispondi e metti in vivavoce”
“Huey…” rispose il ragazzo, con  tono calmo. Mi chinai a guardare lo schermo del telefono quasi aspettandomi di vedere Huey muoversi in quel quadrato nero e senza tasti.
“E’ molto carino, il vestitino viola della tua sorellina Daniel. Dove vanno di bello?”
Trattenni il respiro nel riconoscere quella voce profonda e per nulla rassicurante. E’ più terribile fu sentirlo riferirsi a Madison. Accanto a me Daniel sbiancò e scattò in piedi rovesciando lo sgabello “ Se le fai del male giuro che ti ammazzo”
Ross mi guardava stralunato mentre Huey ridacchiò “Ti ho avvertito Daniel. Il tuo amichetto non si fa mai trovare e non mi va di prendermela con Tommy O’Neill”
“Stai lontano da mia sorella”
 
Mi immaginai quegli uomini in macchina, davanti casa di Daniel mentre Henry e Madison uscivano di casa. Lasciai in fretta la cucina e in camera da letto recuperai il foglio bianco appallottolato e lo lessi. Non c’era traccia di nessun Duroy. Ripiegai il foglio con cura e mentre dalla cucina udivo le voci concitate mi cambiai in fretta indossando un paio di jeans e un maglione chiaro.
Ritornai correndo in cucina mentre Daniel attaccava il telefono e lo stringeva tra le mani. Vidi la mascella contratta e gli occhi serrati poi, scattò verso la porta “No!” esclamai “Che cos’è successo?” chiesi bloccando con il mio corpo la porta.

“Vuole i soldi ora” ringhiò Daniel. Sapere quell’uomo a così poca distanza da sua sorella sembrava averlo mandato fuori di testa.
“E glieli daremo. Dammi un minuto” alzai una mano e parlai con calma, cercando a ia volta di tranquillizzarlo. Daniel chiuse ancora una volta gli occhi “Aspettatemi qui”.


Effettivamente impiegai meno di un minuto per recuperai i soldi dalla mia camera e  uscire dall’appartamento insieme a quei due.
Andammo prima a casa Duroy per recuperare il resto dei contanti. Non c’era nessuno ma Huey aveva assicurato solo un’altra ora di tempo.
“Sono uno stupido” mormorò d’un tratto Ross mentre attraversavamo la strada. Mi voltai a guardarlo poi, osservai Daniel.
“Sì lo sei” rispose semplicemente lui. Non sembrava veramente arrabbiato con il suo amico, d’altronde chi meglio di loro stessi si conosceva?
Daniel ci guidò verso un edificio in mattoni, come molte case di Caldwell, appena fuori mano e con qualche finestra rotta. Sembrava più una fabbrica dismessa a dire la verità.
“E’ qui l’appuntamento?” domandai inclinando leggermente la testa per guardare l’edificio. Daniel annuì e si avviò “Forse dovresti tornartene a casa” si rivolse a me, con la mano già pronta a spingere una porta di ferro. Stirai le labbra in un sorriso “Non ci penso proprio” risposi.
 
 
 
All’interno vecchi macchinari, dismessi da anni e pieni di ruggine occupavano gran parte del lato destro dell’edificio. Il pavimento, semplice cemento era ricoperto di polvere e vari rifiuti . Era un luogo insolito per scambiarsi dei  soldi.O forse no?
D’altronde non avevo mai avuto bisogno di dare dei soldi a qualcuno per delle scommesse.
Qualcuno tossì e mi distrasse dal guardarmi intorno. Davanti a noi tre persone erano ferme vicine ad un pilastro di cemento.
Erano esattamente vestiti come la sera precedente  e tra loro riconobbi Huey. Sorrise beffardo, nel vederci arrivare e si voltò a guardare con aria soddisfatta, prima l’uno e poi l’altro scagnozzo al suo fianco.
“E così…è questo che funziona per farvi comparire. La minaccia. Potevo pensarci prima invece di pazientare tre mesi” sentii mormorare l’uomo ai suoi uomini. Daniel al mio fianco soffiò dal naso.
 
Eravamo distanti all’incirca dieci passi quando ci fermammo.
“Buongiorno Signori e…signore” salutò Huey come se si fosse accorto di me solo in quel momento.
Sorrisi paziente poi senza altri preamboli, Daniel lasciò scivolare lo zainetto in cui avevamo messo i soldi in direzione dei tre. Quello alla destra di Huey si avvicinò a prenderlo e lo aprì per controllare.
Vidi Huey lanciare un’occhiata all’interno e poi annuire, soddisfatto “Bene. Vedo che non sei di molte parole Daniel ma non preoccuparti. Quando ho avuto i miei soldi è come se ci conoscessimo per la prima volta.” Lanciò uno sguardo anche a Ross “Nessun rancore” continuò.
Si voltò “Non ti avvicinare più a lei, capito?” sentii Daniel e osservai il suo profilo “ Se noi due avessimo qualche problema…spara a me. Lei non c’entra nulla”.
 
Compresi la preoccupazione di Daniel per sua sorella e sospirai piano nel mentre che Huey si voltò a guardarlo da sopra la spalla “ Come ti ho detto Daniel. Nessun rancore. Né con te né con Ross O’Neill” ripetè. Se stava mentendo lo stava facendo bene.
Non mi sarei stupita.
 
Appena i tre uscirono dall’edificio mi passai una mano tra i capelli “Devo essere costretto a ringraziarti di nuovo Folletto” udii Daniel e sollevai gli occhi grigi dal cemento “ Non mi servivano quei soldi”. Lanciai un’occhiata ad un Ross chiaramente mortificato “Non è stato un problema”.
Sostenni il suo sguardo per alcuni secondi poi, stranamente turbata dai suoi occhi rivolsi la mia attenzione a Ross e gli sorrisi “Avanti Ross. Hai imparato a non riscommettere i soldi”scherzai.
 
 
Quando verso mezzogiorno ritornai da sola nel mio appartamento, mi stesi sul divano decisa a farmi qualche oretta di sonno prima di occuparmi delle mie cinque anime pomeridiane. Chiusi gli occhi ma dopo qualche minuto sentii un’ odore dolce solleticarmi le narici. Inspirai un paio di volte e poi aprii un calma un occhio.
Il mio sguardo catturò un’iride celeste appena sopra di me che rifletteva perfettamente la mia ed io urlai balzando in  piedi.
Misi a fuoco la figura di Gabriele che con tutta calma, si concedeva di ridacchiare. “Sei pazzo?” chiesi stizzita “Posso ancora spaventarmi lo sai?”
Gabriele sorrise e poi allargò le braccia “Ciao, Sarah Jane” disse tutta calma.
Sospirai avvilita dalla semplicità con cui ignorava i miei atteggiamenti rabbiosi. Mi avvicinai a lui e mi abbracciò. L’odore dolce, simile a quello della vaniglia, si insinuò nuovamente nel mio naso “Ciao a te mago da quattro soldi” mormorai.
Lui ridacchiò e mi scostò indietro per osservarmi  “Io non sono un mago Sarah Jane” rispose in tono ovvio.
“Sisi..”lasciai cadere il discorso e tornai a sedermi sul divano.
“Sei tornato ad occuparti delle tue anime?” chiesi
“Delle TUE anime vorrai dire” mi corresse “Comunque, sì. Il problema è stato risolto”
A stento, trattenni un sospiro di sollievo. Evvai!
“E’ inutile la natura del problema?”
Lui annuii ed io feci spallucce. Non mi aspettavo certo di essere la sua confidente.
 
“Quanto durerà ancora tutto questo Gabriele?” domandai dopo qualche minuto di silenzio.
Lui sospirò e si appoggiò allo schienale del divano incrociando le braccia dietro la testa “Non posso dirtelo”.
Chusi gli occhi per un attimo “Non c’è un tempo predefinito Sarah Jane. Non ancora”.


 
Angolo Autrice
Eccomi! Scusatemi per l’attesa. Volevo comunicarvi che d’ora in poi la storia sarà aggiornata ogni mercoledì (ma se capita anche prima) così ho il tempo per decicarmi ad un altro paio di progetti che ho nella mia testolina (spero non siano ridicoli ahaahah). Comunque spero che questo capitolo vi sia piaciuto anche se a mio parere con è granchè. Ringrazio _Navy per aver inserito la storIa tra le preferite e Sammy_ che l’ha inserita tra le seguite :3 Vi ringrazio immensamente, non sapete quanto sia importante!
 
RayaFee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** XVI ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA




 La risposta di Gabriele alla mia domanda mi aveva lasciato ancora perplessa. Oltre ad aver risolto un problema a Daniel Duroy che cosa era successo in quei due mesi? Non mi sembrava fosse cambiato, forse appena migliorato nei miei confronti ma nient’altro.
Temevo che Gabriele non mi avesse detto che ero io quella che stava sbagliando, che non si stava sforzando. All’inizio aveva detto che era un prova anche per me e non avevo capito. Forse intendeva dire che anche io dovevo cambiare?

Socchiusi gli occhi e mi lasciai accarezzare dal leggero soffio di aria gelida sulla terrazza. Era il giorno del Rigraziamento, Tommy e Ross sarebbero stati fuori città per una settimana e quindi il Fire Cracker era chiuso. Poco male, un po’ di vacanza anche per me. Sentii le chiacchere provenire dal piano superiore e provai a ricordare i giorni del Rigraziamento che avevo passato in vita.
Trenta persone tra irlandesi e americani incastrati in tutti gli angoli della mia casa a San Francisco. Schiamazzi, chiacchere e puntualmente, un rumore di stoviglie fracassate. Era una specie di tradizione della famiglia Donough. Sorrisi al pensiero e mi chiesi cosa stesse facendo il mio fratellino ora.
Ormai doveva essere un uomo.

Mi ero rifiutata di assistere al mio funerale, e l’ultima volta che avevo visto i membri della mia famiglia ero ancora viva. Provai il desiderio di andare a trovare Jamie, di vederlo da lontano. Ero sicura che avrei potuto chiedere a Gabriele quel favore prima di andarmene.
Il suono del campanello mi distrasse da quei pensieri e subito tornai dentro per andare ad aprire. Avevo ordinato una pizza. Quando aprii tuttavia non era il fattorino quello che mi ritrovai di fronte.

Daniel stirò le labbra in un sorriso quasi forzato e io inarcai le sopracciglia verso l’alto appoggiandomi con una spalla allo stipite “Non mi sembra di averti dato il mio indirizzo affinché tu tornassi a darmi fastidio” dissi ironica.
“Sono qui perché mi ci hanno mandato Folletto?”
“Mi chiamerai mai per nome Daniel?” sottolineai il suo fingendomi offesa. Lui scosse lievemente la testa e andò al punto “Mio nonno vuole che tu venga a cena da noi”.

Non potei fare a meno di mostrarmi sorpresa “Perché Henry dovrebbe volermi a cena a casa tua?” chiesi stranita. Okay, l’avevo aiutato un po’ di tempo fa e mi ero presentata un paio di volte alla sua porta ma era tutto.
Daniel sospirò e cominciò a tamburellare un piede per terra, mi accorsi che non l’avevo nemmeno invitato ad entrare ma non me ne curai preferendo a quel punto che se ne stesse lì.

“Quando Ross è venuto a salutarmi l’altro giorno ha accennato al fatto che saresti rimastà in città per il ringraziamento e ha anche aggiunto che è probabilmente perché non sei in buoni rapporti con la tua famiglia.” Il suo sguardo andò oltre le mie spalle “Anche se non si direbbe. Insomma mi ha detto che te ne saresti stata da sola e mio nonno che ha ascoltato tutto…”
“…ha pensato bene che mi sarebbe piaciuto stare da voi” conclusi. Henry Duroy era decisamente un tipo curioso “ E se io avessi altri piani?” aggiunsi.
“Quali altri piani avresti con un pigiama addosso Folletto?” replicò lui ironico, fissandomi da capo a piedi.

Improvvisamente imbarazzata per essere stata colta sul fatto sospirai. Daniel mi guardò ancora per un attimo “Allora vieni o no? Anche Maddie vuoe vederti. E’ curiosa di conoscere la pazza che bussa a casa delle persone a mezzanotte.”
Sollevai gli occhi al cielo e aprii di più la porta per lasciarlo entrare “Mi preparo genio.Accomodati pure” mormorai.
Mi sembrava una situazione assurda ma dopotutto quello era il giorno del Ringraziamento. Mi piaceva il tacchino.

 
Indossai un vestito semplice e nero lungo appena sopra al ginocchio, stretto sul busto e che si allarava appena in una gonna all’altezza dei fianchi. Per i capelli non sapevo che fare. Li avevo lavati e acconciati in un treccia perciò era tutti ondulati. Di fare una coda non se ne parlava perciò li pettinai alla bell’ e meglio e li lasciai sciolti.

 Dal salotto sentivo il vociare della tv. “La mia fantastica tv” sussurrai.

Ero brava a prepararmi all’ultimo minuto per cui, nel giro di un quarto d’ora fui pronta. Arrivai in salotto mentre mi sistemavo ai piedi i tacchi di velluto nero senza strappare le calze con le unghie “ Senti Duroy…” borbottai mentre, appoggiata con una spalla all’arco del salotto infilavo la scarpa “…siamo in macchina vero? Perché giuro di non essere più abituata a camminare con i tacchi nemmeno dalla mia camera a qui”
Mi misi in equilibrio allargando appena le braccia poi soddisfatta mi raddrizzai. Avevo dimenticato la sensazione, una volta tanto di sentirsi alti.

Quando puntai lo sguardo su Daniel lo trovai a fissarmi quasi sbalordito. “Mbeh? Che cos’è quella faccia? Ho delle gambe anch’io che ti credi?” sbottai leggermente acida. Camminai verso il tavolino e afferrando il telecomando spensi la mia splendida tecnologia al led, o quello che era insomma.
Quasi ero alla stessa altezza di Daniel. Era una soddisfazione. Sorrisi sfrontata e lui se ne accorse “ Rimani comunque più bassa anche se più carina” disse con un pizzico d’ironia.

“Io sono molto più che carina”.

No, non ero mai stata nemmeno modesta.
Lui sorrise brevemente poi finalmente, riuscimmo ad uscire dall’appartamento. Abbottonai la giacca nera, lunga quanto il vestito mentre scendevamo le scale.

“E tu sei contento di avermi a cena Daniel?” chiesi mentre aprivo la portiera del passeggero e mi infilavo in macchina dove lui era già seduto.
“Non ti ho invitato io”

Che risposta era?

Rinunciai a parlare oltre e scrollai le spalle. Pazienza, almeno sarebbe stata una serata diversa.
“Tu non hai una macchina?” chiese lui d’un tratto.
Ah, la mia cara Mustang rossa.
“Non più” dissi.
“E come sei arrivata qui a Caldwell?”
“Teletrasportandomi”.
Probabilmente lo trovò divertente perché accennò un sorriso ma era la verità. Probabilmente credeva che ogni mia parola fosse uno scherzo. Poco male per lui.
 
Arrivammo a casa Duroy poco dopo. La neve si era sciola e il vialetto senz’altro era più sicuro per i miei piedi armati di tacchi.
“Ho visto dinosauri camminare meglio” mi provocò ancora una volta Daniel sotto la veranda. Mi morsi la lingua per non rispondere qualcosa di molto, molto scortese.

All’interno della casa non c’era nessuno schiamazzo né chiacchere se non un lieve parlottare dalla cucina.
“Maddie! E’ arrivata Cenerentola” gridò Daniel dal corridoio.
“Eh?” domandai confusa. Cenerentola a chi?
 
Dalla cucina sbucò la figura piccola e sorridente di Madison Duroy. Il corpo sottile era fasciato da un vestitino blu scuro, come i suoi enormi occhi e sulla testa portava un cappello di morbida lana turchese.
Ci guardammo per un lungo istante. Io imbarazzata, lei incuriosita. “Non dovevi chiamarla così. L’hai messa a disagio non vedi?” sussurrò poi lei diretta al fratello.
Parlava molto bene per un bambina della sua età.

Si nascose uovamente in cucina mentre io rimasi impalata sulla porta “Perché mi hai dato della Cenerentola?” domandai sottovoce al ragazzo mentre mi toglievo la giacca. Lui ridacchiò e ancora una volta dovetti placare il mio sistema nervoso.

“Quando sono tornato a casa dopo la questione di Huey mi ha chiesto chi era la ragazza che aveva bussato alla porta a mezzanotte e ha cominciato a chiamarti così.”
“Ma Cenerentola torna a casa a mezzanotte…”ribattei confusa.
“Beh, non devi chiederlo a me questo”.
 
In cucina Henry Duroy aveva apparecchiato e imbandito il tavolo per quattro persone. Non mi ero aspettata un Ringraziamento in grande stile ma possibile che non vi fosse qualche altro parente tanto da invitare me, una semi-sconosciuta?

Henry sembrava più tranquillo rispetto a qualche settimana prima “Salve signore” esordii porgendogli la mano.

Sperai che non mi chiedesse di aiutarlo in cucina perché io non ero affatto una grande cuoca. Per mia fortuna non lo fece. Daniel piuttosto affiancò il nonno sul piano lavoro mentre io ero seduta al tavolo di fronte a Madison, intente a fissarci l’un l’altra.

“Cenerentola era bionda” disse d’un tratto e sentii i due Duroy alle mie spalle ridacchiare sommessamente. Quante volte avevano parlato di me in quella casa?
“Allora non posso essere Cenerentola” risposi nel modo più affabile che avevo in repertorio.

“Però vai in giro di notte” ribattè prontamente lei. Perché collegava proprio Cenerentola a me?

Feci spallucce. Avevo visto Maddie due volte e tutte e due in serata tardi.

“Cenerentola a mezzanotte torna a casa” risposi ancora una volta. Madison fece labbruccio, come accortasi dell’errore.

“Potrei essere una befana più che una Cenerentola” continuai sicura a quel punto di farla ridere. Così fu.

Scorsi una finestrella aperta sugli incisivi bianchi della bambina “La befana è vecchia”.

“Oh lo sono anche io” sorrisi incrociando le braccia sul tavolo di legno. “Madison lei si chiama Sarah Jane, non è Cenerentola e nemmeno la befana” disse nonno Duroy, con calma e quasi divertito mentre metteva in tavola il tacchino.

 
“Mi piace Sarah Jane, lui ti chiama sempre Folletto” indicò suo fratello che prese posto alla mia destra al tavolo rotondo.
Lanciai un’occhiata  a Daniel inarcando le sopracciglia “Non sapevo di essere motivo di tante chiacchere qui” dissi incuriosita.

Sciolsi l’incrocio delle braccia quando Henry mi porse una mano. Tesi mancina che come sempre tenevo al sicuro in un guanto a mezze dita di pelle mentre la destra andò verso Daniel.
Chiudemmo un cerchio con le mani e Henry parlò “Ti ringraziamo per questa giornata e il cibo di cui ci hai fatto dono questa sera e della compagnia” cennò a me con un leggero sorriso “Ti chiediamo di prenderti cura di noi.Amen”

Lanciai un’occhiata a Daniel nel mentre che tutti ribattevamo un “Amen”.

Prima di cominciare a mangiare lo sguardo mi cadde appena sulla foto appesa alla parete. Sentii la gola chiudersi ancora una volta.
Il prossimo Ringraziamento sarebbe mancato anche Daniel?



Angolo Autrice
Eccomi qui con un giorno d'anticipo :) Non so se domani potrò connettermi perciò ho deciso di postare oggi ^^ Spero vi piaccia questo capitolo! Ringrazio Chey che ha inserito la storia tra le seguite! Un bacione a tutti voi lettori e...fatemi sapere cosa ne pensate è ancora importante per me! :)

RayaFee

  

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** XVII ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA

 

Daniel POV

Osservai Maddie disegnare sul volto del Folletto, un paio di baffoni da gatto. Esattamente, come l’avesse convinta a farsi torturare da quei trucchi era un mistero. Alla tv,  davano una partita della NFL ma nessuno la stavo seguendo. Sia io che il nonno fissavamo Madison divertirsi. Era sempre stata una bambina allegra, ma negli ultimi periodi si era notevolmente intristita.

 Feci una smorfia nel pensare che probabilmente, la mia assenza non le aveva giovato.

“Sarò un bel gatto vero?” chiese Sarah Jane, con gli occhi ancora chiusi. Trattenni una risata a stento e mi sistemai meglio sul divano scambiando un’occhiata con mio nonno. Probabilmente quello era stato il Ringraziamento più divertente degli ultimi anni.
Ed era merito di quella strana ragazza dopotutto.

Era piombata dal nulla, un giorno, durante gli allenamenti di football e ora era a cena a casa mia. Invitata da mio nonno. Non era mai accaduto niente di simile.

“Madison? Sarò un gatto vero?” chiese di nuovo la ragazza preoccupata dal silenzio. Alzò appena un palpebra e riuscii a scorgere il grigio del suo occhio.

“Chiudi gli occhi Sarah Jane!” trillò Madison dandole addirittura un buffetto sulla guancia. Ripensai alle espressioni del Folletto e alle sue frasi acide. Proprio non mi era possibile concepirla così inerme nelle mani di mia sorella. “Ho quasi fatto. Manca il nasino” sussurrò Madison concentrata.

 
“Ora puoi guardarti” disse Madison porgendo verso la ragazza uno specchio piccolo e ovale. Trattenni ancora un sorriso  nel vederla sgranare gli occhi davanti alla sua immagine riflessa. Era un gattino piuttosto riuscito, sebbene con qualche sbavatura di troppo. Mi alzai dalla poltrona e andai a posizionarmi al fianco del Folletto invadendo parte del suo riflesso “Sei proprio un bel gattino.Vuoi che ti chiamo Gattina d’ora in poi?” la provocai, sicuro che mi rispondesse a tono. Si voltò a guardarmi nel mentre che posava delicatamente lo specchio sulle ginocchia. Stirò appena le labbra in un sorriso pericoloso “Madison? Perché non dipingi anche Daniel?”

“Cosa?” sbottai, preso alla sprovvista. Incrociai lo sguardo di mia sorella e successivamente udii la risata sommessa di Henry.

“Non ci penso proprio a farmi impiastricciare la faccia” borbottai facendo per alzarmi. Sentii Sarah Jane tirarmi nuovamente a sedere con uno strattone al maglione. “Siediti” bisbigliò minacciosa al mio orecchio.

“Che animale vuoi essere?” chiese Madison, non propriamente convinta. La mia insoddisfazione, per quel capovolgimento di ruoli era palpabile. Sospirai, davanti all’espressione di mia sorella e mi sistemai contro lo schienale del divano.

“Va bene, Maddie. Impiastricciami pure tutta la faccia” lanciai un’occhiata verso mio nonno e gli puntai un dito contro “Non credere di scamparla dopo, eh”.
 
E così, un’ora dopo io ero topo, mio nonno un altro micio e mia sorella, con l’aiuto di Sarah Jane, era diventata una piccola volpe. Inutile a dire che il trucco più riuscito fu proprio quello di Madison.

Era ormai le undici passate e la serata sembrava conclusa.

“Beh, credo che sia ora di andare per me” sentii mormorare il Folletto a mio nonno già leggermente assopito. Lei sorrise davanti all’espressione confusa di Henry e per la prima volta notai le fossette che le si erano formate sul volto.
Sorrideva davvero poco la Donough.

“Daniel…” farfugliò il nonno ma lo anticipai “La accompagno io”.

“Non serve” rispose lei guardandomi. Il contorno occhi allungato dal trucco di Madison la rendevano un micio curioso.

“Ho visto come cammini con quelle scarpe. A chi vuoi darla a bere?” sorrisi, recuperando le chiavi dell’auto e lei alzò gli occhi al cielo.

La osservai mentre, accoccolata davanti al divano, salutò con un bacio sulla guancia Madison che, senza alcun ritegno le  gettò le braccia al collo “Torna a trovarmi” mormorò la bambina in una chiara richiesta.
Sarah Jane sembrò irrigidirsi e intervenni con calma “Madison, lascia andare il Folletto. Deve tornare a casa” .
 
Nel tragitto fino al palazzo dove abitava la ragazza lei sembrò assente o meglio, turbata.
Spensi il motore quando parcheggiai davanti casa sua.
“Non sei affatto obbligata a dare ascolto a Madison.Non devi venirla a trovare se non vuoi” mormorai nel silenzio. Con la cosa dell’occhio la vidi voltarsi verso di me “Tende ad attaccarsi alle persone” continuai guardando davanti a me. Io ero suo fratello, potevo sopportarlo ma la ragazza al mio fianco non sembrava il tipo.
“No, non è un problema” mormorò lei dopo alcuni secondi “E’ una bambina a posto” sorrise “Verrò a trovarla. Sono sicura che il suo trucco migliorerà” disse per poi sospirare.

“Era da un po’ che non festeggiavo il Ringraziamento” continuò e mi voltai a guardarla.
“Era da un po’ che non ci divertivamo così in quella casa. E devo ammettere che il merito è anche tuo” risposi.
Lei inclinò leggermente la testa di lato “Mi stai dicendo che hai apprezzato la mia compagnia?”.

Ci fissammo in silenzio per qualche secondo. Avevo apprezzato la sua compagnia? Sì, dovevo ammetterlo. E non era il solito concetto di apprezzare la compagnia di una ragazza per me, non quando non c’era di mezzo un letto e il loro silenzio.

“Non credi di esagerare ora?”

Lei accennò una risata e si strinse addosso il cappotto “Beh, allora buonanotte Daniel” disse, sgusciando fuori dall’auto. Mi chinai in avanti “ Domani ho una partita, se ti va puoi venire.” Mi uscii dalle labbra prima che riuscissi a fermarlo.

Avevo appena dato una sorta di appuntamento?
La testa rossa del Folletto fece capolino nell’abitacolo, la portiera ancora aperta e l’espressione sorpresa “Umh…” mormorò e potei notare una cera confusione.

“Lascia perdere” sbottai d’un  tratto, deciso a ritirare quella assurda proposta. Misi in moto ma lei ancora era ferma accanto all’auto, con la testa chinata all’interno per guardarmi “Dove?” mi chiese.
“Ti ho detto di lasciar perdere” picchiettai le dita sul volante, impaziente che sparisse dalla mia vista. Udii un sospiro infastidito “Ti ho detto dove, Daniel?” ripetè quasi sibilando.

“E’ una partita scolastica, quindi al campo dietro la scuola. Comincia alle sei” risposi in tono piatto. Lei sbattè la portiera e si allontanò verso il suo portone.

Sgranai gli occhi. E quella? Era una risposta?

Provai un moto di fastidio e resistetti alla tentazione di scendere dall’auto per dirle qualcosa di sconveniente in merito al suo atteggiamento.
“Non dire stronzate” mormorai tra me “Il primo che non sa come comportarsi con le persone sei proprio tu.Hai fatto solo la figura dell’imbecille”.


 
Sarah Jane POV

 
La sera successiva, alle sette di sera mi introfulai sugli spalti del campo da footbal della scuola e mi guardai intorno. Non amavo quello sport dai tempi del mio liceo e di Scott, il mio compagno di scuola perciò era giunta appositamente a qualche minuto dalla fine.
Aveva anche meditato l’opzione di non andarci affatto ma nonostante tutto Daniel me l’aveva chiesto. Il fatto è che non era sembrato convinto nemmeno lui.

“SJ!” sentii. Un brivido mi percorse la schiena e mi voltai verso l’unica persone che mi chiamava in quel modo. Seduto qualche spalto dietro di me notai Jack.
Come aveva fatto a riconoscermi?
Tornai a guardare il campo e in quel momento vidi i giocatori togliersi i caschi. Probabilmente era finita.

“Una sconfitta bruciante, non trovi?” sentii un sussurro nel mio orecchio e mi voltai di scatto.

“Togliti di dosso Jack” borbottai allontanando con una scrollata le sue mani dalle mie spalle. Lui rise e si sedette al mio fianco.

 “E’ un po’ che non ci si vede” esordì lui fissandomi. “Già, un vero peccato” risposi alzandomi in piedi. Jack mi guardò stupito e allargò appena le braccia sconcertato “Dove vai?”

“Devo incontrare una persona”

“E chi sarebbe?”

“Jack, dov’è Scott?” domandai, solitamente era lui a togliermelo di torno al Fire Cracker.
Jack mi affiancò “Ti accompagno”

“No” mi trattenni dall’aggiungere qualche insulto. Detestavo essere importunata, da sempre.

 
Andai nel parcheggio e cercai con lo sguardo la macchina di Duroy, prima di individuarla nell’angolo più lontano. L’avrei aspettato lì perché l’ambiente studentesco non faceva per me.
Mi appoggiai al cofano anteriore e incrociai le gambe fasciate da un paio di jeans.
Feci per andarmene quando, passata quasi un’ora di Daniel non c’era traccia. Sospirai e mi tolsi dal viso le ciocche rosse trasportate dal vento davanti alla mia faccia. Con un sommesso borbottìo mi staccai dal veicolo, pronta ad andarmene, quando udii una voce.

La sua voce. Ma non stava parlando con me.
Una ragazza dai capelli a caschetto, neri e magra quasi da impressionarmi camminava ancheggiando appena davanti a Daniel Duroy. Sentii una risatina da parte di lei mentre si dirigevano verso di me.
Fu la ragazza, la prima a notarmi, e inarcò visibilmente le sottili sopracciglia verso l’alto,sorpresa.
Ci osservammo a vicenda per qualche attimo prima che Daniel, alzando gli occhi dal sedere della tipa, notasse anche me. Mi guardò stupito ed io incrociai le braccia al petto.

“Forse non dovevo venire, eh?” chiesi, improvvisamente infastidita dalla presenza di quella ragazza al fianco del mio successore.


 
Angolo autrice
Ciaoooo! Eccomi qui con un nuovo capitolo, come promesso, il mercoledì! :) Non sono sicura che mi sia riuscito come volevo che fosse...a voi le impressioni :) Non ho molto, da dire se non ringraziarvi ancora una volta e avvertirvi che mercoledì prossimo sarà Natale, quindi probabilmente aggionerò nuovamente durante il corso di questa settimana :)
Un bacione,

RayaFee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** XVIII ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA






 
Stirai appena le labbra, in un sorriso rivolto alla ragazza che accompagnava Daniel.

“Sarah Jane” mi presentai, mantenendo un tono calmo mentre lei mi fissava come a voler constatare se potessi essere una minaccia. Evidentemente no, dal successivo sorriso che si fece largo sul viso pallido e contornato dai capelli neri tagliati a caschetto.

“Chelsea Rewood.E’ una tua amica Daniel?” chiese verso il giocatore che alternava lo sguardo tra me e Chelsea.

“Emh…sì. Non credevo venissi” si rivolse poi a me e io feci spallucce. Non mi sembrava di avergli detto di no. Probabilmente aveva interpretato a modo suo il silenzio e la portiera sbattuta. Colpa mia.
Duroy sembrava confuso da qualcosa e scuotendo appena il capo si avvicinò alla sua macchina, seguito da Chelsea.

“Dove stai andando?” sentii la voce di Daniel e mi voltai a guardare il ragazzo che si rivolgeva all’altra.
Chelsea sembrò interdetta, una mano già posata sulla maniglia “Avevi detto che volevi stare con me stasera”.

“Non l’ho mai detto” rispose lui gettando sui sedili posteriori il borsone che aveva in spalla. Si appoggiò con entrambe le mani al tettuccio e guardò Chelsea dall’altro lato. Mi sentii di troppo ma avevo voglia di vedere Daniel discutere con qualcuno che non fossi io prima di tornarmene a casa, irritata per essere uscita.
“Sì che l’hai detto Daniel” sibilò lei lanciandomi un’occhiataccia, come se fossi io la causa di quel cambiamento. Inarcai se sopracciglia e accennai un sorrisetto.
“Chelsea…”

“Lo sai che ti dico Daniel? Vaffanculo!” aprì la portiera della macchina solo per sbatterla con forza.

“Ehy..”protestò il ragazzo ma lei lo interruppe “Sono stanca di correrti dietro per poi essere accantonata ogni volta per qualche ragazza diversa te la fa vedere” gridò.

Inarcai le sopracciglia verso l’alto, perplessa e lanciai un’occhiata a Daniel che pareva, più che sconvolto, scocciato “Noi non stiamo insieme Chelsea” borbottò.
Sospettai che quelle parole non sarebbero piaciute a Chelsea.
“Ah già dimenticavo,io apro solo le gambe. Stronzo!” gridò ancora prima di allontanarsi sui tacchi. Beata lei che sapeva correrci addirittura sopra.

Sospirai sommessamente. Era stato uno scontro duro ma intenso. Soddisfacente.

Feci per voltarmi nuovamente ma la voce di Daniel mi bloccò “Dove stai andando?” chiese nuovamente, stavolta rivolto a me. Lo guardai da sopra una spalla “A casa?” domandai. Dove altro sarei dovuta andare?

“Vieni con me?” mi chiese. Mi voltai verso di lui, le mani infilate nella tasche dei jeans “Non credo sia una buona idea. Se vuoi intraprendere un certo tipo di serata era meglio che non ti inimicassi la ragazza” risposi tranquilla.
Non avrei sostituito Rewood.

Daniel sbuffò infastidito “Sali in macchina Sarah Jane” borbottò lui entrando nel veicolo. Sbattei le palpebre un paio di volte, sorpresa che mi avesse chiamata per la prima volta con il mio nome. Niente Folletto, niente Gattina, niente aiutante di Babbo Natale. Sarah Jane.

“Voglio ricordarti Duroy…” dissi avvicinandomi in fretta alla macchina e prendendo posto all’interno lato passeggero “….che mi hai appena chiamato per nome” continuai voltandomi a guardarlo.
Lui sembrò rendersene conto solo in quel momento e sembrò agitarsi.

“Non dovresti trattare così le tue ragazze sai?” cambiai discorso nel notare quanto Duroy sembrasse a disagio. Appoggiai i piedi sul cruscotto e mi misi comoda mentre lui partiva.

“Non la sopporto è un idiota” risposta lui riferito probabilmente a Chelsea.

“Sembra un virus comune in questa città. Qualcosa infesta l’aria per caso?” mormorai, pungente “Hai appena rinunciato ad una serata piccante per caricare me in macchina. Che piani hai Duroy?” continuai sospettosa osservando il suo profilo.
Non sembrava intenzionato a rispondere ed io mi arressi all’ennesimo silenzio irritante di Daniel Duroy.
 
E così rimasi in silenzio anch’io. Non aveva idea non chi avesse a che fare il ragazzo.
 
Quando parcheggiò di fronte ad una pizzeria, poco lontana dal parco mi limitai ad inarcare le sopracciglia mentre lui scendeva dalla macchina. Vedendo che non accennavo a muovermi si decise a spiccicare parola “Scendi?”

“Dipende per fare cosa” ribattei mettendo giù i piedi.

“A mangiare Folletto”.

Ero ritornata Folletto.
Sbuffai appena e guardai oltre il finestrino. Uscii dalla macchina sbattendo la portiera “Si può sapere perché ve la prendete con la macchina?” mugugnò stizzito Daniel.

All’interno il locale era semivuoto ma carino. Il pavimento bianco e i tavoli di acciaio rettangolari sistemati lungo la vestrata in righe ordinate.
Mi sentii improvvisamente agitata per quella situazione, qualcosa si smosse nel mio stomaco e io lanciai un’occhiata a Daniel. Mi stava portando a mangiare fuori. Mi aveva invitato a vedere una sua partita. Si stava comportando come…

Rantolai “Forse è meglio che torni a casa” dissi in fretta.
“Cosa?”
“Non mi sento bene” mentii portandomi una mano alla fronte “Voglio tornare a casa”.
 
Non potevo piacergli. No. Io avrei dovuto condannarlo a girovagare per il mondo a prelevare anime.

 
Mi voltai verso la porta d’ingresso e corsi fuori sotto lo sguardo allibito di una cameriera. Non ero mai stata un tipo atletico. Non ero mai stata molte cose in vita mia ma ora, scappare, era l’unica cosa che volessi.
 
“Ma che hai? Ti accompagno a casa se non ti senti bene!” sentii ancora la voce di Daniel, probabilmente mi stava dietro e probabilmente mi avrebbe raggiunto. Mi sentii afferrare per un braccio prima che mi buttassi in strada e una macchina in arrivo mi venisse addosso.

“Sei impazzita? Che cavolo stai facendo?” disse Daniel, il respiro appena accellerato dalla corsa di appena cento metri. Mi voltai e sollevai lo sguardo verso di lui.

“Perché mi hai invitato a cena?” chiesi. Lui mi guardò stupito “E voglio una risposta sincera Duroy.Ora” continuai. Non avrei ascoltato altri silenzi da parte sua. Per quanto mi riguardava poteva finire anche lì. Addio gli ordini di Gabriele.

“Volevo solo essere gentile.Dici sempre che sono uno stronzo con tutti” si giustificò lui guardandomi.
“Io non voglio esserti amica.Io…no” scossi la testa e deci per slacciare il guanto che tenevo a coprire la mancina.
L’avrei fatto lì.
 
Lui mi fermò le mani prima che potessi sfilare il guanto. Senza dubbio non sapeva cosa stessi facendo ma si  stava involontariamente salvando la vita.
“Sarah Jane…”
“Non chiamarmi per nome!” gridai. Un passante volse la testa nella mia direzione mentre aspettava di attraversare. Sembrava interdetto se intervenire o meno.
“Perché stai urlando?” mi chiese lui stringendomi piano i polsi.

“Ho detto che non avrai un bel niente da me Duroy. Io non sono Chelsea né nessuna ragazza di questa città.”

“Lo so…” rispose. Ma stava interpretando male. Non volevo dire di essere unica. Volevo dirgli che ero morta. Volevo dirgli che ero la Morte.
Mi attirò a sé e successe.
La mia fine.
 
Le sue labbra sfiorarono le mie, calde, prima di posarsi con decisione sulla mia bocca chiusa.

Che cosa stava facendo?

Scostai il volto “Daniel…”sussurrai, ormai nuovamente soli in strada. Duroy approfittò nuovamente delle mie labbra, stavolta semiaperte nel tentativo di parlare e mi baciò di nuovo portando una sua mano al lato del mio collo per farmi alzare la testa.
“Daniel…”provai nuovamente a protestare, senza convizione mentre Duroy si chinava per la terza volta a baciarmi sicuro che avrei ceduto.
E infatti, mi arresi.


 
Note D’autrice: E vabbè….siete giunti a questo capitolo….xD spero vi sia piaciuto *.* Ringrazio Bring me the moon, minjeehy e mama98 che hanno inserito la storia tra le seguite. Per me siete un numero spropositato…ancora non ci credo ahahah :) Un bacione!  

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** XIX ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA





 
Daniel POV

Percepii all’istante quando la rossa si arrese Al bacio. Al diavolo, nessuna ragazza mi avrebbe mai rifiutato.

Le lasciai anche il polso sinistro, sicuro che a questo punto non sarebbe più scappata  da me e appoggiai le mani ad entrambi i lati del suo collo percependo così il suo calore. Si appiattì contro di me e io sorrisi tra me. Era capitolata, esattamente come tutte le altre anche se, lei non era come le altre. Intrappolai una mano in quei capelli rossi e lunghi e lasciai che la mia lingua andasse a cercare l’altra. Fu a quel punto che lei poggiò le mani sul mio petto e fui lì da staccarmi per chiederle di continuare altrove ma lei mi precedette. Mi spinse letteralmente indietro ed ero talmente rilassato che riuscì anche a spostarmi di un passo. Mi ero portato dietro, senza volerlo, due o tre dei suoi capelli.

Incrociai i suoi occhi grigi  che alla fioca luce del lampione sembravano parecchio minacciosi. Feci per  parlare, già con il sorriso sulle labbra quando lei mi precedette ancora. Mi colpì con un ceffone in pieno viso con la mano destra e subito la pelle iniziò a bruciare.
Strabuzzai, incredulo, gli occhi e tornai a fissarla più che meravigliato dalla forza che ci aveva messo.

“Non osare mai più Duroy” la sentii mormorare a stento. Al contrario delle sue mani, il tono era debole. Ebbene sì, mi stava rifiutando.
Sentii la pelle tirare e bruciare sulla guancia sinistra ma resistetti alla tentazione di posarvi la mia mano per alleviare il dolore.
 
 
Sarah Jane mi fissava, le mascelle contratte e le mani serrate in piccoli pugnetti “Tu non puoi farmi questo” continuò lei. A quelle parole aggrottai la fronte e feci una smorfia “Perché?” chiesi, come se fosse la cosa più ovvia.
Lei sembrò sul punto di dire qualcosa poi scosse semplicemente la testa e chiuse gli occhi “Voglio andare a casa” mormorò ancora e si voltò verso la strada. D’istinto mi feci avanti per afferrarle un braccio “Ti accompagno”. Di sicuro non era quella la conseguenza che mi sarei aspettato ma ero disposto a far finta di dimenticare quel piccolo affronto al mio orgoglio.

Lei strattonò il braccio e io la lasciai andare “E’ già tutto così difficile per me Daniel. Ti prego, n-non farlo” disse semplicemente, prima di avviarsi a piedi. Probabilmente verso casa sua.


I nostri incontri finivano spesso in quel modo. Lei che si allontanava e io che mi ritrovavo a guardare la sua schiena. Tornai indietro verso la macchina e una volta all’interno feci un sospiro.
Cosa era difficile per Sarah Jane?

Presi il cellulare e composi il numero di Chelsea. Rispose al terzo squillo “Cosa vuoi?” disse con sufficienza. Quasi riattaccai. Che stronza.

“Dove sei?”

“A casa” rispose, piatta. Era arrabbiata certo,  per il momento.

“Arrivo tra dieci minuti” mormorai. Chelsea rimase in silenzio per qualche secondo “Okay, ti aspetto” e mise giù.
Quella ragazza era completamente andata. Non importava quante volte l’avessi insultata o mi avesse visto con altre o l’avessi scaricata all’improvviso come appena un’ora prima. Chelsea Rewood perdonava, o meglio ,le faceva comodo farlo.
 E faceva comodo anche a me dopotutto.

 
Mi fermai davanti casa sua e suonai il campanello. Il portone si aprì appena e una gamba, pallida e nuda fece capolino allungandosi appena in avanti e io alzai gli occhi al cielo scuro sopra la mia  testa. Quante cerimonie.
“Ti sbrighi ad aprire Chelsea? Dopo vorrei cenare…” sentii ridacchiare e mi permise di entrare. Appena entrato mi si buttò contro, schiacciandomi contro il legno del portone. 
“Solitamente apri nuda a tutti?” chiesi dopo il suo primo assalto alle mie labbra.
“Certo che no..” rispose a bassa voce, le mani che stringevano la felpa ai lati del mio collo. Dubitai del fatto che mi stesse dicendo la verità ma non mi importava dopotutto. Accennai un sorriso e invertii le nostre posizioni.
“Perché andare di sopra?Me ne andrò più velocemente di qui” le sussurrai baciandole il collo.
“Tutto quello che vuoi” rispose lei con un mezzo sorriso.

Tutto quello che volevo non era lei.
 


Sarah Jane POV

Gabriele mi trovò rannicchiata sul divano,le ginocchia al petto e le dita a stringermi i capelli. Avvertii la sua presenza ma non mi mossi. Avrei voluto gridargli contro ma non lo feci.
“Perché?” domandai soltanto nel silenzio assordante del mio appartamento “Perché,Gabriele?” ripetei.

“Non credere che sia tutto programmato Sarah Jane”.

Lui sapeva. Lui sapeva sempre tutto.
Sospirai sommessamente “Trova qualcun altro per questo compito. Io sono stanca, voglio andarmene di qui. Voglio essere libera Gabriele. E’ tanto sbagliato desiderare di essere libera come tutte le anime che raccolgo?” chiesi, alzando il capo per incrociare quei sereni occhi azzurri.
Lui allungò un braccio per stringermi a sé e io lo lasciai fare.
“Lo so che è difficile ma è il tuo compito” disse.
“Ho desiderato mettervi termine questa sera. Non l’ho fatto solo perché Daniel mi ha involontariamente f ermato” alzai appena il capo per guardarlo in viso, ora leggermente cupo. Mai abusare del proprio potere.

“Sarah Jane..”

“No. Ho desiderato farlo e lo avrei fatto. Non è un bene tenermi sulla strada di quel ragazzo. Mi sono avvicinata a lui ma ho sempre cercato, in qualche modo, di tenerlo a distanza di sicurezza. Perché non ci sono riuscita, Gabriele? Perché?” inspirai il suo lieve odore di vaniglia.
Mi passò una mano tra i capelli ed emise un flebile sospiro “Non hai idea, di quello che puoi scatenare Sarah Jane. Ti ostini, ti sei sempre ostinata a pensare che la gente non ti accetti per via del tuo carattere particolare. Hai mai pensato che invece, è proprio quello che può attrarre? Sei intelligente, sei bella…”

“Io sono morta Gabriele!” alzai la voce.
Tornai in piedi “Io non dovrei essere qui. Io non voglio essere qui.Ti prego, ti prego portami via”.
Ecco. Lo stavo implorando. Ero scesa ai livelli più bassi.
Lui sospirò e scosse la testa. Chiusi gli occhi e lasciai fuoriuscire l’aria dai polmoni “Vattene via per favore” sussurrai senza avere il coraggio di guardare oltre, l’Angelo.

 
Per due giorni rimasi riunchiusa in casa. Sperai almeno che Gabriele mi mandasse qualche anima da prelevare perché non avrei resistito ancora per molto a non fare nulla. Dicembre era quasi alle porte e l’aria era sempre più fredda sulla terrazza del mio appartamento.
Tommy sarebbe ritornato tra qualche giorno ma io non volevo ritornare nemmeno al Fire Cracker se questo significava rivedere Daniel Duroy. Il mio nuovo incubo.
Sperai almeno che non fosse una cosa seria. Sperai che dimenticasse l’accaduto. Una volta mi disse che non avrebbe mai pensato a me in certi sensi. Brutto bugiardo.

Il campanello suonò all’ingresso ed ebbi quasi un flashback del Giorno del Ringraziamento. Mi avvicinai al portone e prima di aprire sbirciai dallo spioncino. Era lì, di nuovo. Davanti alla mia porta. Le mani nelle tasche dei jeans, la testa incassata tra le spalle mentre si spostava da un piede all’altro, come a voler mantenere attiva la circolazione visto il freddo di fuori. Sospirai sommessamente e lo vidi fissare lo spioncino.  Suonò di nuovo il campanello. Non avevo intenzione di nascondermi e non volevo sembrare una codarda, a quel punto. Spalancai la porta all’improvviso, riuscendo quasi a spaventare Daniel.

“Che vuoi?” sbottai con il mio solito pigiama a pois addosso. Lui mi guardò un momento, da capo a piedi “Volevo solo accertarmi che stessi bene” rispose.

Gentile? No. Dal tono che aveva usato sembrava quasi che gli dispiacesse trovarmi ancora in posizione eretta.

“Mi inviti ad entrare?”
“No”
“Okay” ribattè lui scontroso. Si avviò giù per le scale e io rimasi sull’uscio, indecisa.

Infine, sbuffai e mi affacciai sulle scale “Daniel! Torna qui!” quasi gridai. Senz’altro gli altri inquilini non avrebbero gradito.
Incrociai i suoi occhi azzurri e scrollando appena le spalle cominciò nuovamente a salire. Giunto davanti al mio uscio mi ignorò ed entrò direttamente nel mio appartamento “Ehy…Non ti ho detto che potevi entrare!” sbottai seguendolo.

“Voglio sapere perché hai fatto così l’altra sera” disse, già comodamente seduto sul mio divano “E perché ti comporti così ora. Quasi ti avessi fatto chissà cosa” continuò, fissandomi.

Che cosa dovevo dirgli? La verità? Mi era permesso rivelare la mia vera identità?

Feci un lungo sospiro e andai a sedermi al suo fianco, sul divano. Non volevo sembrare una ragazzina turbata da un bacio, non era per quello che mi ero arrabbiata così tanto.
“Io non voglio che tu mi baci, okay? Tra noi non può esserci niente se non un legame d’amicizia” mormorai guardandolo. Daniel Duroy mi stava studiando, i suoi occhi azzurri percorrevano il mio volto, come in cerca di qualcosa.
“Non ho mai detto di volere un legame” rispose e avvertii che non era poi così sincero. Stirai le labbra in un sorriso “Non mi aspettavo il tuo bacio. Io ero arrabbiata e sconvolta. Non pensavo davvero quello che ho detto”.
 
Mio malgrado, il mio compito con Daniel non era finito. Il ragazzo sospirò e incrociò le mani dietro la nuca “Va bene. Giustificati pure Sarah Jane”. Mi chiamava per nome. “Non tentare più di baciarmi Duroy o giuro che finisce male” aggiunsi minacciosa, puntandogli un dito contro. Il suo scatto fu repentino. Mi afferrò il polso e mi spinse verso di sé.

Mi ritrovai per la seconda volta ad un allarmante poca distanza dalla bocca del mio successore.Maledizione.
Lui sorrise “Ammetti che ti è piaciuto Donough e dimenticherò il tuo rifiuto”. Forse credeva che avrei ceduto nuovamente. Forse credeva che mi sarei avventata nuovamente sulle sue labbra.  Feci un sorriso, quasi un ghigno in realtà. Se mi era piaciuto? Sì.
Se intendevo rifarlo? No.

“Mi dispiace Daniel ma a quanto pare, quello che non sa resistere sembri essere tu. Non io. Vuoi sapere se il tuo bacio mi è piaciuto? Ho avuto esperienze migliori ma andava bene comunque se proprio ci tieni”. Liberai la mia mano e tornai in piedi, sotto il suo sguardo vagamente sopreso e irritato.
“Torna a casa” dissi scostandomi una ciocca di capelli dal viso. Sembrava punto nell’orgoglio ma d’altronde gli avevo detto la verità. Avevo avute esperienze migliori, nella mia vita vera, proprio con quello Scott che detestavo al liceo ma per cui mi ero presa una sbandata colossale e vergognosa nel primo anno di università.  D’altronde ero umana e sbagliare fa parte della vita.
Daniel Duroy tornò in piedi “Come vuoi” rispose.
Fece per avviarsi verso la porta “Daniel?”.
“Si?”
“Stai bene?” chiesi di getto. Udii la sua risata e io inarcai le sopracciglia verso l’alto “Credi forse che mi dispiaccia così tanto del fatto che non vuoi baciarmi Donough.Ti facevo più intelligente.”
Lo guardai male “Non intendevo questo” sbuffai “Conta pure se di me, se hai qualche problema. Se hai voglia di parlare di qualcosa” aggiunsi poi. Duroy, già per metà fuori dal mio appartamento, tornò a guardarmi. Restammo in silenzio per qualche secondo e vidi qualcosa attraversare il suo sguardo che non seppi decifrare. Fece un cenno del capo, come ad indicarmi di aver capito poi sparì oltre l’uscio.


 
Note d’Autrice
Eccomi subito dopo le feste con un nuovo capitolo! :) spero vi sia piaciuto. Non vi aspettavate mica che Sarah Jane crollasse davvero così in fretta? :) Adesso comincia la parte più difficile eheh. Ringrazio  ScucciottolaTua_12 e Eat_Sleep_Swift per aver iserito la storia tra le preferite e ringrazio biboswag99 che ha inserito la storia tra le seguite. Un bacione! RayaFee



 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** XX ***


 
COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA


 
“Assurdo….” borbottai sottovoce nel mentre che raggiungevo, a piedi, il Fire Cracker. L’assenza di Tommy O’Neill e del suo fratello minore si era prolungata di un’altra settimana e senz’altro se Daniel Duroy non mi avesse informata del ritardo avrei creduto che qualche altro mio collega li avesse portati all’altro mondo.
Il non possedere un cellulare aveva i suoi svantaggi. Chissà perché Gabriele non aveva provveduto.  Con le mani affondate nelle tasche del giubbotto imbottito e metà della faccia coperta da una sciarpa affrontavo l’autunno inoltrato di Caldwell. L’insegna verde del pub comparve,illuminata, pochi metri più avanti e tirai un sospiro di sollievo. Non che mi fosse mancato preparare sandwich e pulire tavoli ma se non altro non avevo fatto quella camminata mattutina inutilmente.

Aprii la porta e feci il mio ingresso senza tante cerimonie e incrociai subito lo sguardo di Tommy.Mi limitai a scuotere la testa e fare una smorfia.
“Che hai? Il gatto ti ha mangiato la lingua, Sarah Jane?” provocò lui con un sorrisetto e un tono divertito. “Potevi avvertirmi che avreste tardato. Se tu mi dici di tornare martedì e martedì non ci sei potrei anche preoccuparmi sai?” sbottai da dietro il bancone, al suo fianco. Lui sorrise e mi diede una pacca sulla spalla, fortunatamente attutita dal mio giubbotto.

“Vedo che ti sei inacidita ancora di più Donough.Sarà stata la mia mancanza?”

“Cosa ti fa credere di avere questa pregorativa O’Neill? Dovevi nascere ed io ero già a questi livelli”. Tommy si lasciò andare in una risata divertita “E comunque…” aggiunsi poi lanciandogli un’occhiata di traverso “…bentornati”.
Mi ero svegliata con il piede storto, il che non era una novità dopotutto. La porta del Fire si aprì e una figura fin troppo fastidiosamente familiare fece il suo ingresso tranquilla “E tu? Non dovresti essere a scuola?” mi rivolsi a Duroy lanciandogli un’occhiataccia mentre mi liberavo dei miei accessori invernali da passeggiata.

Daniel inarcò le sopracciglia e mi guardò come se fossi pazza “Conosco un modo per allentare le tensioni Donough. Dovresti provarlo ogni tanto, sai?” ribattè lui tranquillo. Abbracciò brevemente Tommy, ma non in uno di quegli abbracci femminili tutto mi sei mancato terribilmente ma uno di quelli brevi  con qualche pacca dietro la schiena.

“Lasciala stare. E’ di malumore” quasi mi difese il maggiore degli O’Neill con un mezzo sorriso “ Ross è di sopra che dorme puoi andare pure a svegliarlo se vuoi”. Daniel annuì e mi rivolse un’occhiata prima di allontanarsi verso le scale. Dopo la sua ultima visita al mio appartamento, il giorno seguente al suo bacio, l’avevo visto solo una volta, nuovamente davanti al mio portone per annunciarmi il ritardo degli O’Neill. Era stato un incontro breve e coinciso. Non era nemmeno entrato. Probabilmente il suo ego era stato ferito più di quanto non avesse lasciato intendere e ciò non era propriamente un bene per il mio compito.
Gabriele non si era più fatto vedere dopo che gli avevo detto di andare via ma sapevo che comunque era ancora lui ad occuparsi delle mie anime. Momentaneamente ero sola. Non era una novità negli ultimi trentatre anni.
Al piano di sopra si udirono un paio di tonfi e delle imprecazioni e non potei fare a meno di accennare un sorriso divertito. Povero Ross.


 
“Allora, ti è successo qualcosa di interessante in questi giorni?” chiese l’irlandese al mio fianco e io feci spallucce “Non direi. Immagino che per te, a Las Vegas, sia stata tutta un’altra storia eh?”.

“Oh sì…” rispose lui in tono eloquente. Smisi di fare domande e mi voltai a guardare un pallidissimo Ross scendere le scale sospinto da Daniel Duroy “Ehy Ross! Ti trovo in gran forma…” lo presi in giro. Aveva una pessima cera in realtà, di quelle che lasciano intendere lunghe nottate insonni.
“Sarah J” sbadigliò in segno di saluto e riuscii a non irritarmi per quell’abbreviazione del mio nome. “Dammi.Mangiare” continuò il ragazzo sedendosi e prendendosi la testa tra le mani. Probabilmente quel risveglio traumatico se lo sarebbe portato dietro per tutta la giornata. D’altro canto un Duroy stranamente più gioviale del solito si accomodò al fianco del suo amico e mi lanciò un’occhiata divertita al quale involontariamente, risposi.

“Johnse è ancora di sopra?” chiese Tommy al fratello minore che annuì “Dorme beatamente, al mio contrario” rispose quello lanciando un’occhiataccia al suo amico e io inarcai un sopracciglio “Johnse?” domandai. Il nome non mi era nuovo. Gli O’Neill mi guardarono “L’abbiamo incontrato sulla via del ritorno ed era diretto qui, in autostop. Così l’abbiamo caricato insieme a noi”rispose Tommy.

Mi fermai appena in tempo da lanciare un’occhiata al cielo e chiedere: “Perché?”. Sospirai sommessamente “Mhm..così caricate anche sconosciuti in macchina e li fate dormire nel vostro appartamento.Intelligente” mugugnai soltanto poggiando sandwich e burro d’arachidi di fronte a Ross.
“Vado a sistemare di là…” annunciai. In realtà, visto che il locale era rimasto come quando era stato chiuso non c’era nulla da sistemare ma Tommy non disse niente. Entrai nell’altra stanza e strabuzzai gli occhi “Ma che…?”. Quattro sedie erano rovesciate a terra e un tavolo era capovolto sull’altro. Dei bicchieri vuoti erano disseminati un po’ dappertutto. C’era stata una festa? Quando?

La porta dietro di me si aprì e feci per sbottare qualcosa contro Tommy, prima o poi mi avrebbe licenziato invece, mi ritrovai di fronte Daniel. Si guardò intorno piuttosto incuriosito “Immagino che tu ne sappia quanto me a vedere la tua espressione” mormorai e lui fece spallucce “A volte accade”. Ah sì, certo, giustifichiamo pure.

Sospirai e mi passai una mano tra i capelli  studiando il da farsi“Posso dirti due parole?” interruppe i miei pensieri la voce di Daniel “Emh…certo” risposi sollevando lo sguardo verso di lui, incrociando così i suoi occhi chiari “Madison vorrebbe vederti. Sono due giorni che non fa che nominarti” era evidentemente a disagio. Rimasi in silenzio, un silenzio che lui interpretò male perché aggiunse “Ma fa finta di niente. Non sei obbligata insomma.” Guardò uno delle sedie rovesciate “Direi che hai già fatto inspiegabilmente tanto per me” disse e fece per voltarsi. “Daniel” lo afferrai per un braccio e lui tornò a guardarmi, l’espressione indecifrabile “ Va bene, passerò oggi pomeriggio a casa tua”.

“Non sei obbligata”.

“Non me lo avresti chiesto che Maddie non avesse insistito davvero così tanto. Non so sinceramente perché mi trovi così divertente ma non è un problema.Davvero” accennai un sorriso e lui annuì sospirando “Grazie”.


 
Il Fire Cracker non era esattamente il locale più affollato della città…non era affollato e basta in realtà. Verso sera, gli unici ospiti era due vecchietti intenti a bere scotch a uno dei tavoli all’ingresso. La solita compagnia di liceali non si era fatta vedere “Mi spieghi come fai a mandare avanti un posto del genere se non viene mai nessuno?” domandai a Tommy comodamente seduta allo sgabello dietro la cassa. Tommy O’Neill sorrise e scosse la testa “ Nessuno? Quelli sono clienti” rispose indicando con un cenno della testa i due anziani. “Se lo dici tu…” mormorai scettica.
Come detto a Daniel ero passata a casa sua salvo per trovarla vuota. Mi ero sorpresa e, a dire la verità, anche un po’ scocciata.

Non credevo che Daniel mi potesse prendermi in giro quando si parlava di Madison perciò aspettavo di vederlo comparire da un momento all’altro sulla soglia del locale con qualche spiegazione. Iniziai a tamburellare le mani sul legno del bancone, impaziente “Potrei anche prendermi la serata libera…” azzardai e lanciai un’occhiata al mio capo. Lui mi guardò “Non sei affatto la dipendente del mese Donough”.
“E tu non sei il capo dell’anno O’Neill” ribattei divertita balzando giù dallo sgabello per prendere il giubbotto. Sarei tornata a casa Duroy. Qualcosa evidentemente non andava.

Mentre infilavo il piumino un rumore di passi provenne dal fondo della sala e sollevai lo sguardo verso le scale dalle quali apparve una figura alta. Fermai la chiusura del giubbotto a metà, immobilizzata. “Ben risvegliato principessa” rise Tommy verso il nuovo giunto. La luce del locale illuminò la figura di Johnse e io sbattei le palpebre più volte nel tentativo di riprendermi dallo stupore. Johnse sorrise all’indirizzo del nuovo amico e poi, gli occhi scuri si soffermarono su di me, divertiti.
“Oh…” mi scappò dalle labbra quando notai alla sua mano sinistra, un guanto “Oh no…” sospirai ancora sottovoce.

“Sarah Jane, ti presento Johnse Fields. Johnse, ti presento Sarah Jane Donough. La mia dipendente” ci presentò Tommy.

Soffermai lo sguardo su Johnse. Era qualche anno che non lo vedevo in circolazione ma lo conoscevo, e per motivi tutt’altro che buoni. I capelli scuri tagliati corti, il volto pallido e le labbra sottili, le spalle ampie e una perfetta e invidiabile forma fisica.

Quando avevo sentito il suo nome mi era sembrato familiare ma non avrei mai potuto immaginare di ritrovarmi di fronte, l’unico collega che avessi mai avuto.
 
Ero, all’incirca dieci anni prima al lavoro sulle strade di New York.



Ferma sul marciapiede di una strada affollata mi ero guardata intorno con aria spazientita. Nelle grandi città la mole di lavoro era sempre alta. D’un tratto qualcuno si era fermato al mio fianco oscurandomi quasi alla luce del lampione. Certo, nessuno poteva vedermi. Con la coda dell’occhio avevo notato che mi stava fissando e perciò mi ero voltata di scatto e incrociando gli occhi scuri di un ragazzo di qualche anno più grande di me, almeno visivamente. Nessuno poteva vedermi a parte…
“Ciao”  aveva esordito lui tendendomi una mano. Una Morte. Era il primo collega che avessi mai visto, a parte la figura superiore di Gabriele.
“Ciao” avevo risposto tenendo le mie mani al loro posto. Non ero un tipo da contatti, tantomeno con gli sconosciuti.Tantomeno con gli sconosciuti morti.
Lui  aveva sorriso e ritirato senza alcun problema la mano, riponendola n una delle tasche della veste nera “Johnse” si era presentato guardando la strada trafficata.
“Sarah Jane” avevo ribattuto intono piatto presentandomi a mia volta. “Mi ha mandato Ezechiele, le metropoli sono un grande lavoro per una persona sola.Gabriele dovrebbe saperlo” aggiunse lui ed ero tornata a guardare il suo profilo. Ezechiele. E io che avevo creduto che Gabriele fosse il boss.
“Io lavoro da sola” avevo rispotoi “E infatti non ne sembri entusiasta” disse lui.
“E’ un espressione che mi si addice” avevo mormorato e riprendendo a camminare. Evitavo accuratamente di entrare in contatto con gli esseri umani attraversandoli ma a volte capitava che qualcuno di loro si spostasse all’improvviso e io lo trapassavo provocandogli un brivido che lo scuoteva per qualche attimo. Nel tentativo di allontanarmi da Johnse avevo attraversato parecchi umani.
“Non sei un tipo amichevole eh?”aveva  chiesto l’altra Morte che mi stava appena un passo indietro. Certo, non era difficile per lui visto che un suo passo era all’incirca due dei miei. “No,  infatti. Tu sei genio, vero?”. Lui non aveva risposto. “Lavoro spesso in coppia. Non mi reputano abbastanza anziano per stare da solo…”. A quel punto mi fermai “Questa mi è nuova”. Sin dal primo giorno non ero mai stata affidata a nessuna altra Morte, sola, sotto la guida dell’Angelo.
Johnse si era stretto nelle spalle ampie e aveva accennato un sorriso con le labbra sottili “Troppo giovane o troppo….ribelle”.
Avevo alzato le sopracciglia verso l’alto “Bene, ora capisco”. La baby-sitter ecco cosa dovevo fare. Avevo squadrato dall’alto in basso la figura del mio collega e avevo sospirato.
Il mio primo incontro con Johnse, il primo di una convivenza forzata di sei mesi.
 
Schiusi appena le labbra e fissai la figura della Morte. Perché era lì?
“Johnse, è un piacere conoscerti” finsi un improvviso entusiasmo, forse troppo per i miei standard poiché anche Tommy mi lanciò un’occhiata incuriosita. Caldwell non era una metropoli. Porsi la mano verso Johnse e lui si chinò in avanti per stringerla. Un sorriso si fece spazio all’angolo della sua bocca.

“Cosa ti porta qui in città, Johnse?” domandai trattenendo a stento la rabbia. “Affari” rispose lui sistemandosi seduto ad uno sgabello e scostandosi dalla fronte una ciocca di capelli come faceva sempre quando mentiva. Non poteva tuttavia mentire a me. Stirai le labbra in un sorriso “Sai, Tommy? Credo che resterò un altro po’”. Tornai a togliere il giubbotto sotto lo sguardo sorpreso dell’irlandese e mi misi a sedere nuovamente sullo sgabello occupato fino a qualche minuto prima e fissai lo sguardo grigio su Johnse in attesa.
 
Dovetti attendere pazientemente più di mezz’ora prima che Johnse di decidesse ad annunciare di voler “fare un giro in città”.
“Ti accompagno io volentieri” proposi, con fini tutt’altro che gentili. Tommy mi guardò sorpreso  poi sorrise malizioso. Pensasse quello che voleva. Accennai un sorriso di risposta e mi infilai in fretta il giubbotto.
Appena usciti dal locale spinsi, con una certa difficoltà, Johnse nel vicolo dove Daniel aveva fatto cadere suo nonno e mi parai di fronte a lui.
“Che ci fai qui? Di che affari si tratta Johnse?”. Era un caso che casa Duroy fosse vuota? Un terribile sospetto….
Johnse alzò le mani e sorrise “Ehi Sarah Jane. Mi aspettavo un benvenuto più caloroso da parte tua sai?”.
“Non mi importa di quello che ti aspettavi. Dimmi che ci fai qui”
“Mi ha mandato…”
“Ezechiele sì, perché?” conclusi per lui. Johnse mi guardò e si sistemò la giacca verde scura, con calma. “Sono qui per le anime, per quale altro motivo se no?”.
“Johnse…”minacciai. Mi superava di ben venti centimetri ma fortunatamente per lui non me lo faceva pesare. Guardò in direzione della strada e sospirò sommessamente. “Sono qui per le tue anime. Gabriele ha chiesto ad Ezechiele di mandarmi qui”
“Perché in questa forma?” gli toccai un braccio e lui fece spallucce “Non lo so. Non faccio troppe domande io, lo sai”. Sbuffai. Non mi piaceva la situazione.Per niente.

“Spero per te che tu non sia più un ribelle Johnse. Gli O’Neill non si toccano né i Duroy” cercai nel suo sguardo qualcosa di colpevole ma non trovai nulla se non indifferenza “Duroy?” chiese lui per poi aggiungere “E tu Sarah Jane? Perché tu sei qui in questa forma?” allungò una mano per prendere una ciocca dei miei capelli. “E’ una storia che ti racconterò più tardi questa. Vieni, prima parla tu”.
Avevo bisogno di sapere cosa stesse succedendo prima di occuparmi di Daniel. Se Johnse non se ne era occupato e Gabriele non c’era vuol dire che era tutto al suo posto. Johnse mi prese una mano e io sollevai brevemente gli occhi al cielo buio “Sei più sexy di quanto ricordassi” disse. Liberai la mia mano dalla sua presa e accennai una bassa risata “Avanti, Johnse, quei tempi sono finiti”.




 
Angolo Autrice
Innanzitutto SCUSATEMI  per l’enorme ritardo. Linciatemi pure, vi do il permesso. Il fatto è che ho avuto qualche problemino…ancora non risolto che mi ha portato via tempo e voglia di scrivere. So che ad alcune di voi avevo detto di pubblicare Lunedì o Giovedì scorso e, come sempre, quando programmo…succede qualcosa che mi impedisce di mantenere l’impegno. Comunque scusandomi un’altra volta spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che il nuovo personaggio, Johnse, nato all’improvviso e non programmato vi piaccia. Ringrazio tantissimo Bloodwriter98 che ha inserito la storia tra le preferite e rigrazio Aurorageco e giuggiolamid99 che hanno inserito la storia tra le seguite. Vi adoro! Spero di risolvere presto e nel migliore dei modi la mia faccenda e tornare così a pubblicare assiduamente. Aggiungo una cosa. Stasera sintonizzatevi su rete quattro alle 21.15 c’è Hatfields & McCoys <3 oltre ad esserci quel gran bravo ragazzo di Matt Barr sembra una storia interessante (tratto da una vera faida tra famiglie). Ora vi lascio và ahaha. Un bacione!!!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** XXI ***



COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA







 
“Posso notare che Gabriele ti tratta meglio di come Ezechiele tratta me” disse Johnse non appena messo piede nel mio appartamento a Caldwell. Richiusi il portone dietro di me ed emisi un flebile sorriso “Sarà che io non combino guai non credi?” mormorai in risposta affiancandolo sulla soglia del salone, le braccia incrociate al petto. Con la coda dell’occhio vidi Johnse sorridere e strofinarsi il naso con una mano.
“Sarà” commentò lui stringendosi appena nelle spalle.
Si accomodò sul divano e appoggiò comodamente i piedi sul tavolino, in una posa fastidiosamente rilassante “Qui si sta sicuramente meglio”. Mi avvicinai al divano e con una ginocchiata gli feci riportare i piedi al loro posto, cioè saldamente attaccati al pavimento “Andiamo Sarah!” protestò e io lo minacciai puntandogli contro l’indice “Giù le zampe Johnse. Sei in casa mia”.

Se ero felice di rivederlo? Dovevo ancora stabilirlo.

Mi accomodai sul divano al suo fianco, dopo essermi liberata del giubbotto e della sciarpa “Allora, mi dici cosa ci fai qui?” chiesi, distaccata. Incrociai gli occhi scuri della Morte e lui mi fissò qualche attimo prima di rispondere “Non mi ha detto molto” disse, riferendosi all’Angelo Ezechiele “Mi ha riferito soltanto che Gabriele aveva qualche problema qui, ad occuparsi delle anime, e quindi gli ha chiesto di inviare me ad assolvere quello che è comunque il mio compito” parlò con calma tenendo le mani incrociate sull’addome, la testa poggiata allo schienale del divano.

Gabriele aveva problemi ad occuparsi delle anime,qui? Sospettai che le mie parole l’avessero ferito in qualche modo ma non ero sicura. Gabriele sapeva bene chi fossi e sapeva quanto per me lui fosse importante.
Sospirai sommessamente “In realtà non capisco ancora bene il motivo. Voglio dire, ci sei tu. A cosa servo io? Non siamo a New York o a Los Angeles. Le anime sono poche” sentii dire da Johnse, il capo rivolto nella mia direzione e lo sguardo curioso “A meno che, non ci sia qualcosa di più importante sotto” aggiunse fissando il guanto sulla mia mano sinistra. Mi domandai se qualcuno si fosse accorto di quello strano particolare di me e Johnse.

“E’ stato un caso che tu sia giunto qui con gli O’Neill?” chiesi e lui annuì “Mi sono ritrovato sul ciglio della strada e un foglietto con scritto il posto in cui dovevo recarmi”.
“Sapevi già che c’ero io qui?” e lui nuovamente annuì “Ne sono stato felice”. Stirai le labbra in un sorriso ironico “Ovvio”commentai.

“E tu? Perché sei qui Sarah? E perché non ti stai occupando delle anime?” mi chiese sporgendosi appena verso di me, quasi preoccupato che il motivo potesse essere grave. Gli raccontai del mio incontro con Gabriele, nel parco di Caldwell, e che in quella città si trovava il mio successore e che dovevo occuparmi di lui. Non mi persi nei dettagli della complicata personalità di Daniel Duroy ma ero comunque sicura che Johnse capisse.

“Quindi, vuol dire che presto sarai libera?” mormorò lui poi ed io annuì “Libera” sospirai. Johnse incrociò le mani dietro la nuca e alzò lo sguardo verso il soffitto bianco “Sarà un peccato ma ti sei sempre comportata piuttosto bene, nonostante i tuoi modi un po’ rudi. Te lo meriti”. Inarcai un sopracciglio “I miei modi rudi?” ripetei e non riuscii a trattenere una nota d’astio nel tono. Modi rudi? Io?

Lui sorrise poi d’un tratto tornò serio “Lo trovo strano sai? Essere nuovamente…” si interruppe in cerca della parola giusta. Vivo? No. Visibile? No.
 “…così simile a come si era prima. Dopo un po’ ci fa l’abitudine ad essere morti eh?” continuai per lui e lui annuì concorde “Non è poi così terribile. Insomma, credo che dovrei approfittarne per tornare a vivere, almeno per un po’. Come ai vecchi tempi”.

Tornare a vivere.

“Tu sei morto, Johnse” affermai con tono ovvio e lui sorrise e allungò una mano per darmi un colpetto sulla fronte “Lo so, sciocchina. Almeno però sono un morto che può fare ancora cose da vivo. Non dirmi che non hai pensato di approfittarne un po’?” mi chiese, le sopracciglia lievemente inarcate.
Potevo dire di aver fatto nuove esperienze? Potevo dire di essermi goduta quegli ultimi mesi di vita? No, non potevo proprio dirlo.
Johnse mi fissò per un po’ “No, eh?”.
Il suo tono saccente mi irritò e tornai in piedi muovendomi su e giù per il salotto “Ho altro a cui pensare al momento. Non mi interessa vivere una vita finta” mormorai fermandomi al centro della stanza, le braccia lungo i fianchi e lo sguardo rivolto al pavimento immacolato.
Vivere un’illusione poteva essere ancora peggio.
 Intravidi gli scarponi di Johnse a pochi centimentri dalla punta dei miei piedi. Una mano bianca mi sollevò il viso e mi ritrovai a fissare il viso del mio collega a poca distanza dal mio “Sei molto più debole di quanto tu non voglia far credere Sarah. Lo ammetterai prima o poi?” mormorò lui e ricordai che quella stessa frase era già stata pronunciata da lui, tempo prima.

 
Stavamo assistendo ad una delle situazioni più difficili da affrontare, anche per le Morti. Un omicidio. Fianco al fianco in un angusto e fatiscente appartamento del Bronx, io e Johnse stavamo assistendo al deprorevole  spettacolo di un uomo ubriaco che picchiava una donna accovacciata sul pavimento. Juno Heads. Di fronte a quei tipi di scene nessuno di noi poteva restare impassibile. Lo stesso Johnse che in quei due mesi avevo imparato a conoscere, teneva le mani serrate a pugno lungo i fianchi. “Bastardo” mormorava sottovoce ad ogni nuovo pugno o calcio che l’uomo sferrava alla donna. Io stessa, detestavo quei tipi di prelievi.
Le morti violente. Non incidenti, ma vite andate perdute a causa dell’ignobile mente umana. Avevo sospirato all’ennesimo flebile grido della donna e avevo lanciato un’occhiata al foglio indicando a Johnse di muoversi. Lui si era avvicinato alla vittima e chinandosi su di lei aveva preso la mano sinistra tra le proprie. Il risultato era stato l’immediato rilassamento dei muscoli di Juno Heads segno della sua morte.
L’anima della donna era comparsa al fianco di Johnse, spaventata e confusa. Gli occhi chiari si spostavano da me a Johnse poi, come se avesse capito, si era voltata verso il proprio corpo rivolto a terra e ancora martoriato “Sapevo che sarebbe finita così. Sapevo che mi avrebbe uccisa” aveva singhiozzato Juno scostandosi dal volto i lunghi capelli castani. Mi ero avvicinata a lei “Questo, questo vuol dire che c’è davvero qualcosa dall’altra parte?” aveva chiesto ancora la vittima fissandomi. “Questo vuol dire che non è finita qui, Juno” avevo risposto soltanto. Johnse mi aveva guardato poi aveva attirato su di sé l’attenzione “Vuoi andare a vedere?” aveva chiesto in tono tranquillo e Juno aveva annuito poco convinta. Johnse le aveva riservato un sorriso rassicurante poi aveva lasciato la presa sull’anima, che scomparve.

L’uomo aveva finalmente smesso di picchiare Juno Heads, ormai morta da più di mezz’ora quando Johnse si era avvicinato pericolosamente a lui. Mi ero allungata per afferrargli un braccio sinistro “No, Johnse”.
“E’ un bastardo che merita di morire”.
“Non sta a noi deciderlo” avevo mormorato poco convinta. La verità è che avrei voluto farla pagare a quell’uomo.
“Non stava a lui nemmeno decidere della vita di Juno” aveva risposto Johnse, fissandomi. Mi stava avvelenando con le sue chiacchere anti-conformiste sui ruoli della Morte.
“Sei molto più debole di quanto tu non voglia far credere Sarah. Lo ammetterai prima o poi?” aveva detto avvicinandosi a me fino a sfiorarmi il petto con il suo torace. L’avevo guardato male poiché nessuno mi aveva mai dato della debole ma prima che potessi rispondergli mi aveva interrotto nuovamente “Io almeno ho avuto la forza di ribellarmi a tutto questo qualche volta ma tu? Tu ci hai mai provato?”.
L’avevo guardato per un lungo momento poi avevo replicato “Il tuo non è coraggio, la tua è insubordinazione, idiota”.

 
 
Perciò lo guardai male ancora una volta. Era nel mio salotto a dirmi che ero una debole. Ancora.
“Smettila, Johnse. Il debole sei tu a non rassegnarti del fatto che  sei morto da vent’anni” replicai e lui sorrise “Pensaci ,Sarah” disse avvicinandosi ancora di più a me, proprio come aveva fatto quel giorno.


 
“Insubordinazione?” aveva replicato, sorpreso. Mi ero stretta nelle spalle guardando altrove “Consideri anche questo insubordinazione?” aveva detto e io mi ero voltata di scatto, confusa dalle sue parole. Le labbra di Johnse si erano posate sulle mie, stranamente calde e decise. Più reali di quanto avrei potuto immaginare. Più piacevoli di quanto avrei potuto immaginare.
“Johnse, che stai facendo?” avevo chiesto, staccandomi appena “Mi sembra chiaro” aveva risposto baciandomi di nuovo. L’avevo trovato sbagliato, l’avevo trovato innaturale, ma solo per un attimo. Avevo preso quell’affronto sul personale e avrei dimostrato a Johnse Fields che si sbagliava, che anche io ero capace di andare contro le regole qualche volta. Mi ero avvinghiata a lui, stretta tra le sue braccia possenti. Gli avevo morso delicatamente il labbro inferiore continuando a baciarlo, affondando una mano tra i suoi capelli scuri e attirandolo a me nel mentre che ci trovavamo ancora nell’appartamento del Bronx. Tra Juno Heads e l’uomo che ora impugnava una pistola tra le mani.
“Non sapevo cosa mi stessi perdendo” aveva mormorato Johnse staccandosi dalle mie labbra solo per scendere a lambire con leggeri baci il mio collo.
“Sì, non potevi saperlo come non potevo io”. Il suono secco di uno sparo era risuonato all’interno dell’appartamento all’improvviso e sangue scuro insieme ad alcuni pezzi di materia cerebrale era schizzato contro il muro. L’uomo era andato, si era ammazzato dopo avere ammazzato. Sangue al sangue.
Johnse era ritornato improvvisamente a guardarsi intorno, gli occhi neri fissi sull’uomo ubriaco “Almeno, si è reso conto” aveva detto stringendo tra le dita una ciocca dei miei capelli. Il momento del gioco, della sfida tra noi due era già finito. Avevamo guardato il corpo dell’uomo per qualche attimo “Andiamo via da qui?” avevo detto poi e la Morte al mio fianco aveva annuito stringendomi una mano. Non era compito nostro occuparci delle anime suicide. Era una morte che dipendeva dalla propria volontà. Non dovevamo occuparcene noi.
 

Guardai il ragazzo di fronte a me e scossi appena la testa, infastidita. Mi allontanai di qualche passo e andai verso la portafinestra che dava sulla piccola terrazza. “Non credo che possano avere nulla da rimproverarci dopo quello che abbiamo fatto in questi anni, al destino che ci è toccato” mi giunse ancora all’orecchio la voce di Johnse. Non aveva tutti i torti infine.
Ero stata strappata dalla mia vita a soli vent’anni. Avevo passato più tempo da morta che da viva. Mi voltai appena verso l’altra Morte e lui colse nel mio sguardo che forse, in quel frangente, potevo essere appena d’accordo con lui. Accennò un lieve sorriso e io sospirai nuovamente “Avresti avuto una grande carriera come venditore lo sai?” dissi trattenendo un sorriso. Johnse mi si avvicinò nuovamente, l’espressione divertita, e mi scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio “Ho un compito da svolgere qui” mormorai e lui si strinse nelle spalle “Anch’io” e tirò fuori dalla tasca dei Jeans un foglietto ripiegato “E sembra che debba essere impegnato proprio tra mezz’ora quindi dovrei andare” continuò leggendo il contenuto. Lanciai una sbirciatina al foglio ma non riuscii a leggere bene.
“Allora ci vediamo dopo” dissi guardandolo già consapevole di quello che stava per fare. Johnse si chinò su di me e mi sfiorò le labbra con le sue. Non mi ritrassi per il semplice fatto che Johnse mi conosceva fin troppo bene.

 
I suoi occhi scuri si spostarono verso i miei, in una muta domanda “E’ questo il modo in cui hai intenzione di divertirti, Johnse?” chiesi inarcando le sopracciglia verso l’alto e scoccandogli un’occhiata divertita.
 Lui rise “Perché no, Sarah?”.
In quel momento il campanello di casa emise un trillo ed entrambi soffermammo lo sguardo in direzione del portone. “Visite?” domandò Johnse recuperando il suo giaccone dal divano per indossarlo. Andai verso le porte guardai nello spioncino. Daniel Duroy.

Socchiusi per un attimo gli occhi mentre alle mie spalle sentii la presenza di Johnse.

“Non apri?” chiese a voce alta e io mi voltai di scatto per guardarlo male “Sta’ zitto” bisbigliai per poi aprire il portone. Incrociai immediatamente gli occhi azzurri del mio successore che si soffermarono prima sul mio viso e subito dopo alle mie spalle, verso Johnse.
“Folletto…” esordì in mia direzione, rigido. Teneva le mani nelle tasche dei jeans in una posa rilassata sebbene il suo aspetto un po’ trasandato facesse pensare il contrario. Aggrottai appena la fronte ma non feci in tempo a ribattere che vidi una mano di Johnse, quella destra, sporgersi verso Daniel “Johnse Fields” si presentò e io mi voltai a guardarlo incredula più per il fatto che la sua mano mancina si era ancorata al mio fianco.  Notai lo sguardo di Daniel farsi più cupo “Daniel Duroy” si presentò al mio collega senza stringergli la mano e limitandosi ad un cenno del capo.

“Beh, io vado Sarah. A dopo” disse e mi passò al fianco per dirigersi verso le scale “A dopo?” chiesi sorpresa.

“Te lo spiegherò più tardi!” disse l’altro scomparendo alla vista. Sbattei un paio di volte le palpebre e poi guardai verso Daniel. Mi stava fissando, le labbra atteggiate in una linea dritta.
“Entra” dissi soltanto scostandomi per lasciarlo passare.


 
Angolo Autrice
Ebbene sì. Sono stata addirittura un po’ in anticipo stavolta, per farmi perdonare :-) Al capitolo ventuno non so più che dirvi sinceramente. Spero vi sia piaciuto e spero non prendiate in antipatia Johnse ahahah. Ringrazio: delena4ever, Vanellope Von Schweets e _I LOVE BOOKS_ per aver inserito la storia tra le preferite. E come sempre ringrazio anche i nuovi lettori che hanno inserito la storia tra le seguite: His Dimples, in un giorno di pioggia e nuovamente Vanellope Von Schweets e _I LOVE BOOKS_. Siete rispettivamente 16 che preferiscono, tre che ricordano e 29 che seguono. Un numero spropostitato <3  ma che mi rende felice. Un bacione!

RayaFee
 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** XXII ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA





 
Seguii Daniel in salotto, l’espressione sorpresa per il suo non aver commentato la presenza di Johnse. Era fermo di spalle al centro del salotto, le spalle rigide “Daniel…”mormorai “Che hai?”.

“Maddie vuole vederti” rispose lui ancora rigido. Sospirai sommessamente “Senti, io oggi pomeriggio sono passata a casa tua ma non c’era nessuno. Verrò domani a trovarla”.

“Dovrò accompagnarti io” disse lui all’improvviso, cupo. Sentii qualcosa attanargliarmi lo stomaco. Ansia, paura forse.

“Che vuoi dire?” chiesi e Daniel si voltò a guardarmi. I suoi occhi sembrarono più azzurri del solito, forse perché erano lucidi.
Ci fissammo per un interminabile istante poi, mi mossi verso di lui. Daniel Duroy, lo stronzo che doveva essere il mio successore, quello che si divertiva ad illudere le ragazze, quello che se ne fregava del suo futuro marinando la scuola, aveva gli occhi lucidi ed io sentii che il perché riguardava Madison.

Allungai una mano per sfiorargli un braccio e lui distolse lo sguardo dal mio per posarlo sullo schermo della tv spenta. “Cos’è successo Daniel?”  sussurrai.
Avevano portato Maddie in ospedale, ecco perché quando ero passata a casa loro, quel pomeriggio, non c’erano. Aveva la febbre alta, di nuovo. D’un tratto mi sentii in colpa per non aver guardato meglio il foglio di Johnse. Daniel continuava a non guardarmi, ad evitare il mio sguardo nonostante io cercassi di intercettarlo. La sua voce era ferma, come al solito, ma io capii che dentro, lui, si stava spezzando.

“Vuoi chiedermi di accettare anche questo, Folletto? Vuoi chiedermi di accettare di perdere anche mia sorella?” mi chiese all’improvviso. Scossi lentamente la testa e poi lo attirai a me. Ero più bassa di lui ma riuscii in qualche modo ad abbracciarlo ponendomi sulla punta dei piedi.
Volevo chiedergli perdono per quello che avrei dovuto fare. Inaspettatamente, Duroy mi strinse contro di sé. Potevo sentire la sua fronte contro l’incavo del mio collo.
“Si risolverà tutto Daniel”
“Queste sono le solite frasi da dire Sarah Jane. Non mi servono le frasi già fatte, non da te”.



 
Mandai a dormire Daniel nella mia stanza e mi sedetti in salotto in attesa di Johnse. Ormai era quasi mezzanotte ed era uscito più di tre ore fa. Il campanello suonò in quel momento ed io aprii la porta trovandomi di fronte il ragazzo. Se si fosse trattato di Madison a quel punto Daniel l’avrebbe già saputo.

Johnse mi sorrise brevemente poi entrò in casa.
“C’è qualcuno in casa? Ho disturbato qualcosa?” domandò lui, gli occhi scuri fissi sulla porta della mia camera socchiusa e il giubbotto di Daniel appeso all’ingresso. Trascinai Johnse fuori, in terrazza, e sospirai “Questa situazione mi sta uccidendo” dissi. Il ragazzo di fronte a me mi guardò dubbioso “Quale situazione?”.

“Tutto. Preferirei essere la morte in eternità piuttosto che assistere questa famiglia che si disgrega pezzo per pezzo. Non è giusto, Johnse.”
Johnse ascoltò il breve riassunto che gli feci in merito a Maddie e annuì “Hai sempre detto che non sta a noi decidere Sarah Jane e dopo un po’…sei riuscita a convincere anche me. Non possiamo fare nulla.” mormorò lui nel momento esatto in sui Daniel entrava in salotto, probabilmente svegliato dal campanello. Rientrai al caldo, seguita dalla Morte e il ragazzo ci guardò entrambi.

“Così, voi due avete già fatto conoscenza eh?” chiese Daniel. Mi guardò brevemente e colsi una punta di fastidio nel suo atteggiamento.
“In realtà io e Sarah Jane ci conosciamo già da un po’. E’ stato un caso che mi trovassi qui a Caldwell” rispose Johnse. La Morte si sistemò sdraiato sul divano, le braccia incrociate dietro la nuca.

“Amici di vecchia data” dissi. Vecchissima data.

Daniel mormorò qualcosa che non riuscii a capire poi sparì in cucina. Avvicinai Johnse “Che stai facendo?” borbottai.
“Cerco di dormire. E’ tardi”
“Beh, vai a dormire da un’altra parte” dissi. Johnse sospirò e si girò su un fianco dandomi le spalle “Andiamo, Sarah. Non mi va di cercarmi una stanza a quest’ora. Non farò alcun rumore, così non vi disturberò”.

Che?

Sbuffai. In casa mia e non avevo un posto dove dormire. Andai in cucina e vi  trovai Daniel seduto su uno sgabello intento a guardarsi intorno.
“Non credo che tre ore siano da considerarsii di sonno, Daniel. Torna a dormire” dissi. Mi sarei arrangiata. Non potevo mica morire di sonno no?
“E tu?” chiese d’un tratto lui fissandomi. Feci spallucce bevendo dal rubinetto un sorso d’acqua.

Avrebbe potuto dire di voler tornare a casa, di voler dormire per terra, di prendere il posto di Johnse in salotto ma non lo fece.

“Puoi sempre dormire con me” disse. Lo fissai, le sopracciglia inarcate verso l’alto.
“Innanzitutto, non sarei io a dormire con te ma il contrario, visto che il letto è mio. E poi direi che non è il caso che tu e io…”
“Non sono in vena di provarci con te Sarah Jane, o saresti in quella camera già da tre ore”.
A quel punto non potei fare a meno di arrossire. Uscii dalla cucina senza nemmeno voltarmi. Ecco ritornato lo stronzo.
 


Aspettai in bagno fin quando non sentii Daniel ritornare in  camera e approfittai di quel lasso di tempo per indossare il mio pigiamone rosso con un grosso orsacchiotto disegnato sul petto. Quando uscii in corridoio sentii provenire dal salotto il ronfare di Johnse e pregai che Daniel non russasse. Andai in punta di piedi verso il letto, decisa a non svegliarlo.Mi accorsi che aveva addirittura occupato il mio lato del letto ma non ebbi il coraggio di disturbarlo.

“Dovrei avere un premio per la pazienza” sussurrai infilandomi sotto la trapunta invernale. Diedi le spalle a Daniel e incastrai la coperta dietro di me in modo da non entrare in contatto.
Sospirai e sbuffai un paio di volte prima di ritrovare la calma necessaria per addormentarmi ma non durò a lungo.


 
In sonno sentii qualcosa che mi avvolgeva la vita. Mi svegliai di scatto proprio mentre Daniel mi stava sussurrando qualcosa “Hai gli incubi, Folletto?”.
La sveglia segnava le tre del mattino e il mio tentativo di non entrare in contatto con Duroy era miseramente fallito. Potevo benissimo sentire il suo petto contro la mia schiena e avrei potuto giurare che fosse solo il mutande. Mi immobilizzai mentre cercavo di capire a cosa si stesse riferendo.
Avevo sognato nuovamente la mia morte ed era probabile che mi fossi lamentata.

“Perché mi stai appiccicato, Duroy?” dissi invece, acida. Un suo braccio  mi circondava la vita e mi spingeva contro di sé.

“Mi era sembrato che volessi sentire qualcuno vicino, Donough” rispose lui a voce bassa. Una voce fin troppo bassa. Fin troppo sensuale per i miei gusti. Afferrai il suo braccio e lo gettai indietro.

“Non ti togli il guanto nemmeno per dormire? Certo che la tua è una fissazione” ridacchiò Daniel. Mi voltai a guardarlo da sopra le spalla e mi accorsi di aver avuto ragione. Dalla luce che irradiava dalla finestra potei capire che era senza magliette dalle spalle nude.

“Non vorrai fare il maniaco a casa mia vero?” borbottai. Aveva detto che non era in vena, tre ore fa.

“Io non faccio il maniaco” ribattè lui passandosi una mano tra i capelli e sistemandosi un gomito per guardarmi. Diamine se non era bello.
Sbuffai per l’assurdità dei miei pensieri e mi sdraiai a pancia in su. Nel silenzio che ne seguì potei sentire Johnse in saluto girarsi sul divano. Maledetto, lui avrei potuto gestirlo.

“Sei mezzo nudo nel mio letto, per me è un comportamento da maniaco. Specie se il tuo abbigliamento non è stato esplicitamente richiesto” dissi.
Daniel sorrise “Nessuna si è mai lamentata del fatto che fossi mezzo nudo in un letto. Anzi, direi quasi di essere ancora fin troppo vestito per i miei standard”.

“Diamine Sarah Jane smetti di parlare di queste cose che è peggio” pensai.

Mi voltai verso Daniel e lo guardai male.
“Non nel mio letto” dissi seria e lui sorrise nuovamente. Si sdraiò, ancora troppo vicino a me da permettermi di sentire improvvisamente caldo.
“Allora vorrà dire che rimarrò così. Fin quando sarai tu a volerlo” sussurrò. Mi stava provocando. Daniel Duroy mi stava sfidando. Assottigliai le palpebre e arricciai le labbra. Era una sfida però che non potevo accettare quella.

Tuttavia, non fui io a fare la prima mossa. Ancora una volta.D’un tratto Daniel mi aveva girata verso di sé e aveva poggiato le labbra sulle mie.Quel ragazzo era decisamenta pazzo, fuori di testa.

Mi staccai appena da lui e sentii il suo respiro caldo sulle mie labbra  socchiuse“Ti avevo detto che non volevo mi baciassi” sussurrai, le braccia bloccate contro il suo petto “Non so se hai capito, Sarah ma non sto molto a sentire quello che mi dicono” disse lui sfiorandomi con le labbra la punta del naso.

La luce fioca della finestra illuminava a malapena i contorni del suo viso ma riuscii lo stesso a distinguere il contorno delle sue labbra. Sotto i polpastrelli riuscivo a sentire la pelle calda del suo petto e il battere ritmico del mio cuore. Chissà se avrebbe fatto caso al mio di cuore, che non batteva da trent’anni.

Se possibile, quella situazione era ancora peggiore dell’ultima volta in cui mi aveva baciato. Non era nel mio letto, non era mezzo nudo, non era sconvolto e io non volevo baciarlo.
“Che cosa stai valutando mhm?” mi chiese sottovoce tenendo la mano sinistra premuta al centro della mia schiena. Deglutii “I pro e i contro” risposi. Lui sorrise e si sporse nuovamente a un nulla dalle mie labbra “Con me esistono solo pro”.

Nel dirlo le sue labbra avevano sfiorato le mie e nonostante i miei tentativi di dare un senso a quella situazione mi ritrovai ben presto a premere le mie labbra contro quelle di Daniel. Forse era quella che voleva lui, o forse quello volevo io. Non mi sembrava di essere mai stata stupida quanto in quel momento.
Daniel fu sopra di me continuando a baciarmi lentamente, la lingua che si infrangeva contro  la mia e i respiri che si fondevano. Sentì le sue mani infilarsi sotto la maglietta del pigiama e si staccò appena dalle mie labbra per ridacchiare “Non sei per niente sexy non questo pigiama sai? Avevi proprio paura che andasse così, non è vero?”.

Stirai le labbra in un sorriso forzato, non contenta che si stesse prendendo gioco di me. Prima che potessi ribattere era già sceso a baciarmi il collo.
 



Daniel's POV

Si era coperta bene la Donough. Sotto la maglia del pigiama indossava addirittura la canottiera. Sentii le sue mani risalirmi la schiena nuda quando mi chinai a baciarle il collo, il tessuto del guanto che faceva attrito contro la pelle. Riuscii ad insinuare una mano sotto la canottiera e vi trovai la pelle tiepida dell’addome “Daniel…” sussurrò lei. Eccola che ricominciava con la sua storia. Mi affrettai ad azzittirla tornando a baciarle le labbra e nuovamente tornò a rilassarsi. Ad adattare le sue labbra alle mie. La sua pelle odorava di bagnoschiuma ai mirtilli e respirai forte quel profumo nell’incavo del suo collo.

Riuscii a toglierle  la maglia del pigiamone con l’orsacchiotto, scoprendo così la linea delle sue spalle e il suo busto minuto ma lei non azzardava a fare altro.

 Forse non aveva capito dove volessi andare a parare eppure mi sembrava intelligente. Le baciai il mento, poi scesi a baciarle l’incavo della spalla mentre lei mi passava mano nei capelli soffermandosi sulla nuca. Scesi con una mano ad accarezzarle una coscia e nell’entrare in contatto con il mio bacino la sentii chiaramente irrigidirsi  sotto di me. Forse era inesperta. Poco male, avrei pensato a tutto io.

Incrociai gli occhi grigi della Donough, illuminati appena dalla luce naturale e d’un tratto mi spinse via. Balzò fuori dalle coperte rischiando di rovinare a terra e si rifugiò accanto alla finestra, in piedi. Inarcai verso l’alto le sopracciglia “Ma che problema hai?” sbottai allargando le braccia, indispettito.

Sarah Jane mi stava fissando, il petto minuto che si alzava e si abbassava ad un ritmo allarmante. Le labbra leggermente dischiuse e un lembo della canotta a scoprirle l’addome.
“Sei tu il mio problema” rispose, sistemandosi. Io ero il problema di molti. La guardai torturarsi il labbro inferiore con gli incisivi, un piede che batteva nervosamente a terra.

Alzai gli occhi al cielo e con un sospiro tornai a sdraiarmi sulla schiena. Portai le dita a massaggiarmi le palpebre. Quanta resistenza che opponeva! Un’idea mi balenò nella testa e mi voltai di scatto a guardarla “Non sarai micavergine, Donough” chiesi, incurante del fatto che il tizio in salotto potesse svegliarsi e sentirmi.

“Solo perché non voglio venire a letto con te non significa che sia vergine, idiota” sbottò lei.

“Noi due non possiamo, punto. Ed è inutile che mi tenti mettendoti a dormire mezzo nudo nel mio letto con il tuo corpo da Adone e le tue labbra tentatrici” continuò.

Non potei fare a meno di accennare una risata “C’è una legge che te lo vieta per caso?”
“In un certo senso” rispose lei. Inarcai un sopracciglio e mi misi a sedere sul bordo del letto, le braccia poggiate sulle ginocchia e i piedi a terra. Ero abituato ad avere quello che volevo, specie e soprattutto dalle ragazze.

“Se io voglio stare con te, ed evidentemente a te piace farti baciare da me, mi spieghi qual è il problema?” domandai. Non avevo mai discusso tanto con una ragazza.

La suoneria del mio cellulare irruppe nella camera e io fissai i jeans abbandonati a terra con un misto di terrore e ansia. Era tardi, il cuore della notte.
 “Rispondi” dissi a Sarah Jane.
“Cosa?” chiese lei, giustamente.
“Rispondi al telefono ho detto”.
La sentii sospirare poi fece quanto le avevo detto.

Venne a sedersi accanto a me, in modo che potessi ascoltare. “Pronto?” rispose.
“Emh…cercavo Daniel”. Era la voce di mio nonno. Mi avvicinai di più al viso di Sarah Jane che mi lanciò un’occhiata interrogativa. Le feci segno di continuare, il cuore che mi batteva forte “Sono Sarah Jane, è qui a casa mia che riposa” disse.
Sentii un sospiro di sollievo “Sei tu Sarah…beh, quando si sveglia Daniel puoi dirgli di venire qui in ospedale?”
Il tono si voce era stanco e…strano.

Ci sono delle cose che devo dirgli” continuò. Cose che avevano tutte l’aria di non essere belle. Che stavo facendo? Perché stavo a battibeccare con una ragazza mentre mia sorella era lì?
“Certo, signor Duroy” rispose Sarah e chiuse la chiamata.

Ripose il cellulare sul comodino e poi si voltò a guardarmi. Lei aveva intuito come me. Lei era più intelligente di me. Nascosi il viso tra le mani e sospirai sommessamente.
“Torna a dormire” sussurrò lei. Era nuovamente gentile e non capivo perché si ostinasse ad esserlo con me. Io che mi prendevo gioco di lei. Scossi la testa. Non sarei riuscito più a dormire.
Sentii qualcosa di morbido e caldo appoggiarsi contro il mio braccio e mi voltai appena a guardare. Sarah Jane aveva appoggiato la testa contro la mia spalla, i capelli rossi e sciolti che mi solleticavano un fianco. Non sarebbe successo altro e mi accorsi, di non aver bisogno di nient’altro.
 


Angolo Autrice
Ebbene sì….u.u Che ne pensate? Il capitolo è più lunghetto del solito perché non volevo interrompere una scena così (anche se è Sarah Jane la guastafeste) u.u Spero che il capitolo vi sia piaciuto comunque sebbene  faccia piuttosto schifo a mio parere ahahaah xD Un ringraziamento osotogari e xHoneYx che hanno inserito la storia tra le seguite e un altro a _HeartDrum_, Elena xD e bibi_cristallnight che hanno inserito la storia tra  le preferite. Siete tantissimi per me *_* fatemi sapere che ne pensate anche voi.
Inoltre, se vi fa piacere, volevo informarvi del fatto che ho pubblicato un’altra originale “Untouchable”. Se vi va di passare sarebbe bello!
Un bacione!
Raya_Cap_Fee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** XXIII ***



COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA




 
Affiancai Daniel non appena le porte scorrevoli del Great Hospital ci lasciarono passare. Nessuno aveva più parlato dopo la chiamata di Henry Duroy. Non io e Daniel almeno. Con Johnse avevo avuto modo di scambiare qualche battuta in merito al suo sonno troppo pesante.
Gli ospedali non mi erano mai piaciuto ma ero sicura che Daniel volesse qualcun altro con sé. Mi sorpresi appena a scorgere la figura di Ross seduta all’angolo bar all’ingresso. Non appena ci vide il ragazzo, ancora visibilmente assonnato ci si fece incontro. Quando l’aveva chiamato Daniel?

“Ciao” salutò lui, tranquillo, lanciandomi una breve occhiata per poi concentrarsi sul suo amico. Era evidente che i due si conoscessero da molto tempo prima del mio arrivo a Caldwell, ed era evidente che Ross poteva  essere più utile di me a calmare Daniel.

Non che Duroy mostrasse qualche sintomo da crisi di panico. Si era limitato a starsene in silenzio, lo sguardo fisso sul pavimento della mia camera , fin quando non avevo detto che era ora di andare e si era rivestito. Lanciai un’occhiata al ragazzo al mio fianco. Era pallido e teneva la mascella contratta. Tutto il viso sembrava essere contratto in un espressione, finta, da duro.

“Vado a…” feci per dire non sapendo bene come lasciarli qualche minuto da soli “…prendermi qualcosa da mangiare. Torno subito” continuai poi. Mi allontanai verso il bar lanciando ogni tanto un’occhiata ai due. Stavano parlando tra loro e Ross teneva una mano sulla spalla dell’amico. Sospirai, afflitta.

“Signorina? Signorina?” sentii pronunciare da qualcuno. Ero arrivata al bancone del bar, le mani appoggiate sul marmo freddo. Incrociai gli occhi scuri del ragazzo barista, che mi aveva richiamata al presente e stirai forzatamente le labbra in un sorriso.
“Una ciambella e un cappuccino da portare grazie” ordinai e solo in quel momento mi venne in mente di aver completamente dimenticato di avvisare Tommy della mia assenza al Fire. Mi ero fatta assumere al Fire per avvicinarmi a Duroy e direi, specie dopo la notte appena passata, di essermi avvicinata fin troppo a lui. Non mi serviva più la copertura al Fire Cracker, forse era ora di licenziarmi.

Pagai l’ordinazione e mi avvicinai nuovamente ai due ragazzi “Tieni” allungai verso Daniel il bicchiere contenente il cappuccino e spezzai in due la ciambellina allo zucchero per mangiarne una parte. Daniel mi lanciò un’occhiata e mi fece un cenno, probabilmente di ringraziamento.


 
Dopo quelle che mi sembrarono ore anziché pochi minuti ci ritrovammo a camminare tutti e tre lungo i corridoi e non ci mettemmo molto a trovare Henry Duroy. Sentii una morsa nello stomaco e lasciai che Ross e Daniel gli andassero incontro. Non era da me essere codarda ma in quella situazione mi sentivo troppo fuori posto, mi sentivo colpevole.

Salutai brevemente l’anziano e poi mi appoggiai con la schiena al muro azzurro del corridoio. Erano fermi accanto una porta le cui tendine era chiuse ma dietro alle quali percepivo la presenza mi Madison. Nonno e nipote si allontanarono di qualche passo e Ross venne ad affiancarsi a me.
“Non ho avvertito Tommy che sarei mancata, puoi scusarti con lui?” dico rivolta al ragazzo. Lui annuì e chinò appena lo sguardo per guardarmi. Forse si stava chiedendo perché fossi lì.

“E’ bello che qualcuno gli stia accanto” disse Ross, confermando i miei sospetti. Si riferiva a Daniel probabilmente.

“Lui tende ad allontanarle le persone, e se non si fidasse di tenon ti avrebbe mai lasciato venire qui” continuò il minore degli O’Neill. Daniel aveva fiducia in me. Oh, Daniel.

Chiusi gli occhi e abbandonai il capo verso il muro dietro di me “Come sta Maddie?” chiesi. Il silenzio troppo prolungato fu quasi eloquente ma non aprii gli occhi per guardare Ross e ricevere conferma dal suo sguardo.

“Non bene” sentii quindi dire. Quelle due parole bastarono a spiegare la situazione. La vita a volte era crudele con alcune persone. La famiglia Duroy sembrava destinata a sgretolarsi un pezzo dopo l’altro.


 

Tornai a casa nel pomeriggio inoltrato, da sola poiché Daniel aveva deciso di restare in ospedale, al fianco della sorellina.
“Grazie” aveva detto prima che me ne andassi in un tono, per la prima volta, veramente grato. Mi ero limitata a guardarlo e annuire appena con il capo. Se sapesse, non mi ringrazierebbe.

Sentii dei rumori provenire dalla cucina e prima che potessi entrare e verificare che non fossero ladri sentii dall’ingresso  la voce di Johnse “Bentornata Sarah!”.
Misi piede in cucina con un’espressione incuriosita. Il bancone era apparecchiato per due e sentivo l’odore di cibo nell’aria “Che stai facendo?” chiesi, sospettosa. Johnse sorrise e mi si avvicinò “Ti preparo la cena. Non ti ho mai detto di essere un ottimo cuoco?” disse.
Allungò le mani a togliermi il giubbotto e lo lasciai fare. Jhonse era sempre stato il più allegro tra i due. E dopo la giornata che avevo appena passato ne avevo bisogno.
Accennai un sorriso “Se stai cercando di avvelenarmi non credo possa succedere” mormorai incrociando gli occhi scuri. Lui sorrise e mi invitò a sedermi sullo sgabello. Una domanda mi aleggiava nella testa. Era lui a prelevare le anime, era lui a sapere chi e quando.
 
“Johnse…” feci per dire ma lui mi interruppe. Da dietro, poggiò il mento sulla mia spalla “Non fare domande Sarah Jane” disse soltanto. E seppi che c’era qualcosa che lui sapeva.

 
Mezz’ora dopo ero stata rimpinzata di gateau di patate e chele di granchio a volontà. Mi misi una mano sullo stomaco e protestai “Vuoi uccidermi…” dissi, accennando una risata.

“Naa” disse lui “Sei già morta” concluse. “Tu sì che sai come far sentire meglio le persone, Johnse” aggiunsi sarcastica.

Lui si chinò verso di me “Solitamente sei tu quella che rovina sempre tutto. Ti senti detronizzata?”

“Sai articolare parole così complesse?” lo presi in giro e lui rise.  La situazione di Daniel piombò nuovamente all’improvviso nella mia testa e sospirai grattandomi il capo. In cucina calò il silenzio. Sentivo il respiro di Johnse “C’è una cosa che devi vedere Sarah Jane” disse. Alzai gli occhi verso di lui trovandolo tremendamente serio.

Osservai i suoi movimenti, la mano che cercava qualcosa nella tasca posteriore dei jeans. No, non qualcosa. Il foglio.
Chiusi gli occhi  per un attimo e scossi la testa sentendo qualcosa chiudermi la gola. Johnse mi porse il foglio  piegato e io lo presi. La Morte non disse nulla, ma non c’è n’era bisogno.
Dispiegai il foglio e un verso strozzato mi uscì dalla gola.

 
Madison Margaret Duroy
Great  Hospital 109, Caldwell
Ore 3.39 am

 
Mi portai una mano alla bocca e rilasciai di scatto il foglio che cadde a terra. Sentii qualcosa di caldo pungermi gli occhi e bagnarmi le ciglia. “Come può succedere anche questo?” chiesi.
Maddie.Daniel.

Cominciai a singhiozzare senza rendermene conto e fu solo grazie alla presenza di Johnse che riuscii, minuti dopo, a calmarmi “Lascia che me ne occupi io” dissi, con la fronte contro la sua spalla. Lui mi fece indietro per guarmi in viso “Sarah Jane…” fece per protestare ma stavolta fui io a interromperlo “Lascia che me ne occupi io, Johnse” dissi soltanto.


Angolo Autrice
Ebbene sì. Il capitolo è cortino ma direi che basta così vista la notizia. I sospetti di molti voi erano fondati...purtroppo :/
Ringrazio Iezzy e queenbee per aver inserito la storia tra le seguite <3 Non so se la settimana prossima riuscirò ad aggiornare poichè in settimana (molto probabilmente) dovrò fare un piccolo intervento ma se tutto va per il verso giusto martedì dovrei essere a casa e quindi aggiornare. Fatemi un in bocca al lupo...c'ho un'ansia addosso ^_^"

Raya_Cap_Fee

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** XXIV ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA



 

Seduta al fianco di Johnse, in salotto, rimasi per parecchi minuti in silenzio prima di rendermi davvero conto di quello che dovevo fare. Del nome che era scritto sul foglio ancora a terra in cucina. Sentivo su di me lo sguardo dell’altra Morte, come se stesse cercando  di studiarmi, di capire perché fossi così tanto turbata da quella notizia.

“Sarah…” disse Johnse inducendomi a voltare il capo nella sua direzione. Incrociai quegli occhi scuri, che nei sei mesi in cui eravamo stati colleghi avevo imparato a conoscere e sospirai sommessamente.
“Sei proprio sicura di volertene occupare? Mi sembri sconvolta” continuò la Morte, squadrandomi.
Sì, ero sconvolta ma non avevo intenzione di lasciarlo fare a Johnse.

Annuii e lui si alzò in piedi, mettendomi le mani sulle spalle “Vuoi che venga con te?” mormorò poi al mio orecchio. Era stranamente comprensivo, stranamente dolce e confortante avere qualcuno al proprio fianco. Mi ritrovai ad annuire senza rendermene conto e poggiai la mano destra su’ quella di Johnse, in certa di contatto.


 
 Mancavano ancora molte ore eppure, nel mio stato di confusione quando guardai l’orologio scoprii che erano le 3.00 del mattino. Raggomitolata sul divano, con Johnse che faceva avanti e indietro nel mio appartamento, parlai per la prima volta dopo ore.
“E’ ora di andare” dissi e Johnse si fermò a guardarmi. Tornai in piedi e lasciai cadere a terra il guanto che mi ricopriva la mano mancina. Tanto valeva essere invisibile sin da subito.
I contorni della stanza intorno a me cambiarono lievemente. Tutto sembrava appena più sfocato, come se fossi in un universo parallelo, in una stanza parallela. Johnse al mio fianco era nuovamente ben visibile, la mano mancina che emetteva un bagliore sinistro come la mia e la tunica nera che copriva entrambi.
Tornare nel mio elemento era mai stato faticoso.
 


Quando ci materializzammo davanti alla struttura ospedaliera della città avvertii una morsa allo stomaco. C’era qualcuno fermo nel cortile, qualcuno che passava la notte in ospedale e che ogni tanto usciva a prendere una boccata d’aria fresca. Johnse al mio fianco non disse nulla quando restai ferma a guardare l’edificio per dieci minuti buoni.

“Sarah…”

“Ce la faccio” ribattei immediatamente, appena irritata. Cominciai a camminare, con l’altra Morte che mi seguiva senz’altro più calmo di me. Conoscevo la posizione della stanza di Madison, eppure, girovagai a vuoto per un po’ nel tentativo di ritrovare una professionalità che sentivo perduta. Infine, giunsi nel corridoio dove quella mattina aveva visto Henry Duroy e fissai il numero della stanza. Di nuovo, le tendine erano chiuse.
Erano le 3.25.

Chiusi gli occhi e inspirai un po’ d’aria. Stavolta Johnse non intervenne, lo vidi appoggiarsi con le spalle al muro del corridoio e incrociare le braccia al petto, tranquillo.
Mi presi il mio tempo e infine trovai il coraggio di varcare la soglia della camera. Il mio compito non mi era mai sembrato così meschino, tutte le convizioni che mi ero messa in testa sulla morte come processo della vita andarono a farsi benedire non appena guardai Madison Duroy sdraiata su quel lettino.
Sembrava ancora più piccola, più pallida, ancora meno viva.

Rabbrividii nello scorgere Daniel seduto sulla poltrona nell’angolo. Lo sguardo angosciato rivolto verso la sorellina che lo fissava in silenzio. Di Henry Duroy non c’era traccia,  probabilmente suo nipote aveva preso il suo posto per un po’. Mi morsi appena il labbro inferiore con gli incisivi. Johnse non mi aveva seguita e gliene fui grata per un momento. Sospirai e mi sorpresi quando Madison voltò il capo nella mia direzione. Gli occhi blu fissi nei miei quel tanto da farmi credere che mi stava vedendo. A volte mi era capitato.

Qualcuno appena più sensibile o come Maddie, più piccolo riuscivano a vedermi al mio arrivo. In quel momento però era l’ultima cosa di cui avevo bisogno.

Madison stirò le labbra secche in un sorriso “C’è Sarah Jane” disse, la vocina arrochita. Trattenni una smorfia di dolore e mi sforzai di tendere un sorriso in direzione di Madison Duroy.

“Come?” disse Daniel piegandosi sulla sorella, per poterla ascoltare meglio.

Madison alzò un dito e lo puntò verso di me “Lì c’è Sarah Jane , non la vedi?” chiese. Daniel sollevò lo sguardo verso la direzione indicata dalla sorella, per un attimo incrociò i miei occhi ma sapevo che lui non mi avrebbe visto.
Mi avvicinai al letto, le 3.35.

“Ciao, Madison” salutai la piccola. Lei sembrò turbata per un attimo dal fatto che Daniel non la vedesse poi si rilassò.

La piccola Duroy si volse verso il fratello “Mi passi Clara?” disse e Daniel le porse una bambola di pezza abbandonata sul tavolino. Madison accennò un sorriso più debole e poi fece un respiro sconnesso.
Quello fu solo l’inizio. Quando Daniel suonò il campanello d’urgenza per far accorrere gli infermieri la situazione era precipitata in modo irreversibile.
Osservai la scena cercando di estraniarmi ma non potevo fare a meno di stringere gli occhi per non guardare fin quando non arrivò il momento.

Mi avvicinai a Madison e in fretta le presi la mano sinistra.
Il suono del monitor che segnava l’andare dei battiti cardiaci risuonò nella stanza, piatto.

“Cos…che succede?” sentii gridare Daniel nel momento esatto in cui mi ritrovai a stringere per una mano la figura incorporea di Madison Duroy.
Eravamo in un angolo della stanza affollata e mi chinai per essere alla stessa altezza della piccola. Si guardava intorno con aria incuriosita, come se si stesse chiedendo come aveva fatto ad alzarsi senza rendersene conto e perché suo fratello veniva portato a forza fuori dalla stanza.

Gli occhi blu poi si fissarono su di me e restò in silenzio per qualche attimo, prima di rendersi conto “L’avevo detto a Daniel, che eri diversa. Speciale”  disse Maddie inclinando il capo. Stavo grattando il suolo del mio autocontrollo per non crollare.

“Avevi ragione, Madison” dissi accennando un sorriso. Le storse appena le labbra poi accennò un sorriso. La guidai in corridoio e lei si accorse di Johnse “E’ un tuo amico?” chiese Madison fissandolo. L’altra Morte fissò prima me e poi la piccola, strirò le labbra in un sorriso. I singhiozzi sommessi di qualcuno  mi distrassero e io voltai il capo.

Daniel era seduto lungo il corridoio, la schiena poggiata contro il muro e le mani sul viso. Deglutii per ricacciare indietro le lacrime e il senso di colpa ma non bastò. Madison se ne accorse.
“Non voglio che Dan stia male” mormorò. Quelle parole mi pesarono come un macigno sulla testa, sul cuore che non batteva e sul cervello.

Johnse si accorse che stavo per crollare si chinò all’altezza di Madison, rassicurante “Ci occuperemo di lui. Ora ti va di andare in un bel posto?” chiese.

Io ero ancora lì, a fissare Daniel con le mani nei capelli quasi a volerseli strappare.

“Potrò rivedere mamma e papà?”

“Tutto quello che vorrai” mormorò Johnse “Sarah Jane?” disse il ragazzo richiamandomi alla piccola Duroy.
Incrociai gli occhi blu di Madison “Starai accanto a Daniel, vero?” disse.

Come faceva a chiedermi di stare accanto a suo fratello?

Annuii “Ora ti lascio andare, Madison. Va bene?” domandai. Lei annuì lanciando uno sguardo a suo fratello.
“Prometti che non lo far…” la sua ultima frase si dissolse nell’aria quando le lasciai la mano.


 
Mi smaterializzai subito dopo, non potevo sopportare quel dolore ed ero stata una stupida a chiedere a Daniel di farlo, nel giorno del mio compleanno.
Le mura del salotto a Light Street  mi accolsero e io mi affrettai a riprendere la forma umana. La sensazione di dolore fu quasi amplificata e a quel punto crollai nel mezzo della stanza, in ginocchio. Johnse mi raggiunse dopo pochi minuti, lo sentii fermarsi al mio fianco mentre le lacrime mi solcavano il viso. Sentii una sua mano accarezzarmi la schiena e poi, quandi si sedette a terra e mi attirò contro di sé per abbracciarmi lo lasciai fare, soffocando il dolore contro il suo petto.

Alla fine fu Johnse a scostarmi da sé e a guardarmi in viso “Sarah, devi calmarti” disse.

“Non posso, io…”

“Non hai mai avuto problemi con le altre anime. Abbiamo preso decine di bambini e centinaia di altre anime. Perché ora…perché ora ti comporti così?” chiese.

“Non è la stessa cosa Johnse, io la conoscevo. Io…non lo meritava. Quella famiglia non lo merita”

Johnse fece un sospiro “Che ha fatto Gabriele? Non doveva mandarti qui…”

“Non ho intenzione di prendere anche Daniel, Johnse. Non lo farò” mormorai. L’espressione di Johnse mutò appena, mi guardò stranito “Così metterai a repentaglio tutta la sofferenza di questi anni, Sarah Jane. E’ solo un umano”

“Non lo farò”

“Lo farà qualcun altro al posto tuo. Magari verrà Gabriele o incaricheranno me di farlo”

Strinsi tre le dita la maglietta di Johnse “Promettimi che non lo farai. Prometti che se quel nome comparirà sulla lista tu non lo prenderai”. Gli stavo chiedendo molto, moltissimo, troppo.

“Mi stai chiedendo di dannarmi, Sarah? Di disobbedire ancora? Ricordi cosa ti dissi, dell’ordine di Ezechiele?” mormorò lui, la fronte aggrottata. Lo ricordavo sì.

“Se non lo fai tu, lo farà qualcun altro e allora per te sarà tutto perduto, Sarah Jane”

Mi umettai le labbra e presi a guardare il tappeto sul quale eravamo seduti “Promettimelo, Johnse” sussurrai.

Il ragazzo sospirò “E’ davvero quello che vuoi, Sarah Jane? Salvare Daniel Duroy e condannarci? Lo vuoi davvero?” mi chiese. Non mi stava accusando, non l’avrebbe mai fatto.

“Sì”. Era libero di rifiutarsi, avrei trovato il modo anche da sola.

Johnse mi sollevò la testa, un dito sotto il mento per potermi guardare “Allora te lo prometto”.



 
Angolo Autrice
Okay, questo capitolo è stato un parto trigemellare. Non sono sicura di come sia riuscito, spero bene. So che molte di voi hanno sperato per Madison e la sua salvezza ma il fatto è che sin dall’inizio questo era stato il suo destino programmato. E’ dispiaciuto tantissimo anche a me, credetemi. Per quanto riguarda Johnse, so che alcune di voi l’hanno preso in simpatia e altre meno e negli ultimi capitoli ha occupato spazio ma personalmente, io lo adoro ahahaah xD Non quanto Daniel però. Credetemi, Daniel si ricorderà bene chi ha visto sua sorella in camera. Per quanto riguarda me, se vi interessa, non ho ancora fatto l’intervento. Aspetto ancora notizie dall’ospedale .-. che angoscia. Comunque, state ancora crescendo di numero e io ormai sono entusiasta. Ringrazio Orchidea_99, Portuguese_D_Ace e Clouds_Jas per aver inserito la storia tra le seguite e
backyRrJ1999 che ha inserito la storia tra le preferite.
Mi scuso se c’è qualche errore di grammatica provvederò a correggere tutti i capitoli non appena possibile. Un bacione,
 
Raya_Cap_Fee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** XXV ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA




 
Sospirai sommessamente al fianco di Johnse. Eravamo in fondo al gruppo di persone sparse intorno al pastore che stava celebrando la dipartita della piccola Duroy. Non avevo avuto il coraggio di avvicinarmi ai membri restanti di quella famiglia ma avevo deciso di non poter mancare all’ultimo saluto terreno della piccola Madison. Mi sentivo appena rincuorata dalla promessa fattami da Johnse nonostante lui non avesse più accennato nulla al riguardo.

Le parole del pastore si dispersero nell’aria fredda di inizio dicembre e mi chiesi come fosse stato il mio funerale.

“Tu hai assistito al tuo funerale, Johnse?” chiesi a bassa voce, poco più che un sussurro che lui uguale riuscì a cogliere.

“Per un po’….poi avevo dei compiti da svolgere” rispose tranquillo stringendosi il bavero del giaccone intorno al collo. Johnse era stato accoltellato in un vicolo all’uscita di un pub, così mi aveva raccontato.

 
Quando la gente cominciò a diradarsi alla conclusione della cerimonia riuscii a vedere, per la prima volta dopo l’ospedale, Daniel Duroy e suo nonno. Entrambi erano ancora fermi davanti al terreno smosso, entrambi tenevano ancora il capo chino. Al fianco di Daniel si era fermato Ross che sembrava parlargli sottovoce. Daniel scosse la testa.

“Madison mi ha visto, nella stanza, prima di morire” confessai a Johnse che si voltò a guardarmi.

“Ha detto a suo fratello che mi vedeva nella stanza” continuai affondando le mani nelle tasche del lungo giaccone nero.

“Credi che possa sospettare qualcosa?”

Scossi la testa “No, non credo. Sono decisa a non rivelargli la mia vera identità. Dopo questo episodio l’unica cosa che potrebbe scaturirne è odio” mormorai. Restammo ancora indietro mentre le ultime persone se ne andavano così da rimanere in sei: i Duroy, gli O’Neill poi io e Johnse.
“Io non voglio che mi odi” aggiunsi sottovoce ritrovandomi a fissare la nuca di Daniel. Mi sentivo in colpa, dannatamente in colpa e dannatamente confusa dai miei sentimenti verso il mio probabile futuro successore.

“Andiamo via?” proposi a Johnse facendo per voltarmi quando una voce alla mia destra mi raggiunse “Sarah Jane”. Il solo pronunciare del mio nome mi aveva congelato lo stomaco. Mi volsi a guardare Daniel e deglutii. Si stava avvicinando a me lentamente, la mascella contratta e gli occhi arrossati dalle lacrime versate in precedenza. Johnse mosse un passo nella mia direzione, affiancandomi ancora di più, come se temesse un attacco ai miei danni.

“Daniel” dissi e nonostante avessi cercato di tenere ferma la voce quella tremò leggermente. Spostai lo sguardo verso Henry Duroy sostenuto da Tommy O’Neill.
Daniel si pose davanti a me, a pochi passi e io fui costretta a guardarlo di nuovo.
“Mi dispiace” soffiai, appena udibile chinando il capo.

“Lei…lei ti ha nominato in quella stanza prima…prima che succedesse”
Smisi di respirare in cerca di una nota d’accusa o di sospetto.

“Era come si ti vedesse davvero lì” aggiunse perplesso ed eccolo lì, il sospetto. Avevo pensato di scamparla ma evidentemente non era così.
“Daniel” intervenne Henry “Andiamo a casa?”. Daniel smise di guardarmi per voltarsi verso suo nonno “Io non ce l’ho una casa” rispose in tono freddo.  Mi rivolse una breve occhiata e poi si allontanò seguito da Ross e lasciando indietro un Henry Duroy sconfitto ancora una volta.

 
“Tu credi davvero che possa valere la nostra dannazione, Sarah?” mi chiese Johnse non appena mettemmo piede nel mio appartamento venti minuti dopo. Il suo tono pareva lievemente scocciato ora che aveva colto il comportamento di Daniel nei confronti di Henry. Sospirai ancora una volta e togliendomi le scarpe mi sdraiai sul divano incrociando le mani sullo stomaco.

“Me l’hai promesso, Johnse” borbottai con gli occhi chiusi.

“Non sto ritrattando, Sarah. Ti ho chiesto se credi davvero che ne valga la pena” ribattè lui, in piedi.

“Credo che ne valga la pena, sì”

“Sarah…” fece per protestare. Mi misi a sedere e fissai quegli occhi scuri “Perché all’improvviso sei diventanto così polemico? Hai detto che…”

“Ho l’impressione che tu lo stia facendo per il motivo sbagliato” mi precedette lui, l’espressione interrogativa. Sbattei le palpebre un paio di volte, confusa.
Johnse si sedette al mio fianco “Sei sicura che il motivo non sia più…umano?”

“Che cavolo intendi dire?” sbottai

“Sarah io non sono un cretino. Tu non vuoi salvare Daniel perché trovi che sia ingiusto portare via anche lui. Tu vuoi salvare Daniel perché temo che ti piaccia… sai cosa intendo vero?”
Rimasi in silenzio e pensai a quanto era successo con Daniel pochi giorni prima nella mia camera. Arrossii inconsapevolmente e la cosa non sfuggì affatto allo sguardo dell’altra Morte.
“Allora? Ho ragione?” chiese, appena divertito.

“Che importanza ha, Johnse? Io rimango morta. E’ una storia che non avrebbe alcun senso” dissi, sincera. Lui annuì “Se vuoi davvero salvarlo, dammi un motivo valido per farlo. Perché l’amore, tra i miei motivi validi, non figura affatto” aggiunse il ragazzo moro alzandosi in piedi.
Lo seguii con lo sguardo. Forse aveva ragione.

“Non sarai mica geloso, Johnse?” aggiunsi poi con tono divertito. Non avevo avuto modo di scherzare troppo con lui da quando lo avevo rivisto e io, in un certo senso, amavo punzecchiarlo. Lui stirò le labbra sottili in un sorriso “Geloso di te, Sarah Jane? Puoi starne certa” rispose divertito strizzandomi un occhio.
“Ora, se permetti, andrei a cercarmi una sistemazione decente per il mio soggiorno da queste parti. Non voglio scocciarti oltre e disturbare i tuoi amoreggiamenti notturni”

Dischiusi le labbra “Amoreg….” feci per ripetere, sconvolta, ma lui mi interruppe ridendo “Dai, Sarah Jane! Te l’ho detto che non sono un cretino”.
Aggrottai la fronte e lo guardai in cagnesco “Fuori!” borbottai lanciandogli dietro un cuscino.


 
Daniel’s PoV

Niente. Non mi era rimasto niente. Strinsi forte le palpebre per evitare che altre lacrime facessero capolino sul mio volto. Sedevo in macchina, parcheggiato a qualche miglio fuori città e sul sedile del passeggero, abbandonata in una posizione scomposta c’era Clara. La bambola di pezza appartenuta a mia sorella.
“Maddie…” sussurrai serrando la presa sul volante. C’era qualcosa che non andava nella mia vita. Perché c’era tutto quel dolore? Tutte quelle perdite…

Prima i miei genitori poi mia sorella, quanto sarebbe durato Henry Duroy prima di lasciarmi completamente solo? L’avevo trattato male al cimitero, davanti agli altri e un po’ mi  sentii in colpa. Non volevo tornare in quella casa, non volevo sedermi in cucina e guardare la foto appesa al muro di quella famiglia sgretolata. Sospirai e mi passai una mano sul volto. L’unica cosa di cui avevo bisogno era una bella sbronza, una colossale. Per dimenticare almeno per una sera, che vita di merda mi ritrovavo.
 

Sarah Jane’s PoV

Un tonfo sordo disturbò il mio sogno. Sollevai appena una palpebra e il mio sguardo ricadde sui numeri della sveglia. Erano quasi le quattro del mattino chi era a fare quel baccano? Mi sollevai su un gomito e tesi un orecchio.  Qualcuno stava bussando insistentemente ad una porta, alla mia porta.
Scostai da un lato le coperte e a piedi nudi mi avvicinai allo spioncino. Il respiro mi di mozzò in gola. Perché Daniel era davanti alla mia porta? Stava per alzare nuovamente il pugno e bussare e prima che qualcuno uscisse sul pianerottolo a protestare, aprii il portone. I miei occhi incrociarono subito quelli di Daniel.

“Che cosa stai facendo?” chiesi quasi sussurrando. Intuii, dal suo sguardo poco lucido che fosse ubriaco.

“Tu…” mi puntò contro un indice “Tu hai qualcosa di strano” disse con voce impastata. Lo feci entrare tirandolo per la maglietta e chiusi la porta.

“Che stai dicendo, Daniel? Perché non sei a casa?” chiesi spazientita mentre lo facevo accomodare in salotto.

“Madison dice di averti vista nella stanza” ripetè e io lo fissai sentendo qualcosa smuoversi nel moi stomaco. Era pallido ed emanciato. Non aveva l’aria di aver dormito molto.

“Daniel…”

“Tu sei stata gentile con lei. Ti aveva preso in simpatia, specie dopo la cena del Ringraziamento. Dopo che ti ho accompagnata qui ho dovuto pregarla di lavarsi la faccia perché non voleva rovinarsi il trucco…” la voce gli morì in gola e io repressi le lacrime mordendomi l’interno della guancia.
“E sei gentile anche con me. Non me lo spiego. Non ti ho mai vista in giro, se non al Fire Cracker e non hai mai cercato di avvicinare qualcuno a parte Tommy e Ross. Sembra quasi che tu voglia starmi appiccicata…ma non mi dispiace dopotutto…baci bene” aggiunse Daniel.

“Riposati qui, parleremo domani mattina” mormorai ma lui mi bloccò il polso sinistro prima che riuscissi ad allontanarmi.

“Daniel…” mormorai spaventata, con uno scatto mi aveva slacciato il guanto e feci appena in tempo a ritrarmi prima che potesse sfilarlo.

“Non mi hai mai detto perché lo indossi, Sarah Jane” mormorò lui. Ci fissammo per un lungo istante, io in preda all’ansia e lui perplesso. Fortunatamente, prima che potesse tentare nuovamente di capire il mio segreto si alzò in fretta per andare in bagno a vomitare.


 
Angolo Autrice
Tadàn! Puntuale come al solito mie care! Danie si farà sempre più sospettoso d’ora in poi ahahah xD e rivedremo presto anche Huey ma non dico null’altro xD Spero che il capitolo 25 (che record) vi sia piaciuto. Come sempre ho da ringraziare chi ha inserito la storia tra le preferite ( ice_Shadow e Kerkira2000) e chi tra le seguite (Kerkira2000 di nuovo, Shattered_Girl e Whonach) siete sempre di più *_*
Un bacione grandissimo! E proprio ieri mi hanno chiamato per l’intervento…sabato mattina! Speriamo in bene!
Raya_Cap_Fee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** XXVI ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA


 
Aiutai Daniel a rimettersi in sesto dopo la sbronza. Era messo male emotivamente ma almeno non aveva più provato a slacciarmi un guanto o a dirmi che la mia gentilezza fosse strana. Ringraziai mentalmente per il fatto che Johnse non ci fosse o il comportamento di Daniel Duroy non sarebbe stato un altro punto a suo vantaggio.
Emisi un sospiro e, ferma sulla soglia della mia camera con una spalla appoggiata allo stipite e le braccia incrociate, fissai la figura del ragazzo che per la seconda volta in pochi giorni era nuovamente nel mio letto.

Mi umettai le labbra e accoccolata sul divano con un braccio ripiegato dietro la testa guardavo la tv. Ogni giorno trascorso a vivere come un’umana sembrava più sfiancante. Non era solo stanchezza fisica ma anche emotiva. Guardai fuori dalla terrazza.
Come avrei potuto impedire a Daniel di morire? Per quanto ne sapeva era impossibile. Cosa avrebbe impedito a Gabriele o qualunque altro Angelo di portare a termine il suo compito rendendo vano il tutto? Non avrei potuto impedirlo a meno che…non avessi offerto qualcosa in cambio. Le prime luci dell’alba rischiaravano il cielo invernale e io non riuscii a trovare cosa potesse valere così tanto.

Tesi l’orecchio quando sentii Daniel girarsi nel mio letto con il timore che stesse per alzarsi ma non accadde. Daniel Duroy era diventato il mio problema. Ripensai alle parole di Johnse. Potevo essermi innamorata di Daniel?
Potevo essere stata così umana da innamorarmi?

 
Quando sentii Daniel alzarsi dal letto, qualche ora dopo, ero ancora lì a rimuginare sui miei sentimenti. Sollevai di scatto lo sguardo sulla soglia del salotto e incrociai gli occhi azzurri di Duroy “Sei sveglio” dissi calma mettendomi seduta. Daniel mi guardò per un attimo poi annuì passandosi una mano tra i capelli corti e scuri. Mi alzai in piedi e lo avvicinai cauta. Sentivo una strana sensazione allo stomaco “Avrai sicuramente un terribile mal di testa umh? In bagno dovrebbero esserci delle aspirine. Io ti preparo qualcosa da mangiare” mormorai toccandogli appena un braccio. Lui non disse nulla ma andò verso il bagno.

Preparai delle uova strapazzate e un po’ di pancetta fritta e poi misi tutto nel piatto. Quando, passato un quarto d’ora di resi conto che Daniel non era tornato bussai alla porta del bagno “Daniel?” chiamai. Sentii un singhiozzo e mi morsi un labbro. Aprii piano la porta e trovai il ragazzo seduto contro la parete della vasca. Sospirai sommessamente e mi avvicinai cauta. Era facile comprendere il dolore che provava.

Mi inginocchiai al suo fianco e gli scostai il braccio con il quale si nascondeva il viso “Daniel?” sussurrai. Le sue spalle furono scosse da un altro singhiozzo e io aggrottai la fronte. Senza rendermene conto mi ritrovai ad abbracciarlo, la guancia appoggiata alla sua tempia. Ero stata io a portargli via Madison e se lui l’avesse saputo, di certo non si sarebbe aggrappato alla mia schiena “Alzati, ti ho preparato la colazione” sussurrai sfiorandogli la tempia con le labbra. Ero l’ultima persona che aveva il diritto di consolarlo. Riuscii a portarlo in cucina ma anche lì, Daniel rimase in silenzio mangiando il contenuto del suo piatto.

“Dovrei tornare a casa” disse lui all’improvviso parecchi minuti dopo. Lo guardai dall’altra parte del bancone “Sì, dovresti” risposi concorde. Daniel sollevò lo sguardo dal piatto vuoto e incrociò il mio. Non c’era traccia dello stronzo in lui.
“Grazie” aggiunse poi lui e io scossi la testa “Non ringraziarmi questo non è niente rispetto a quello che avrei potuto fare” risposi. Daniel si alzò in piedi “Ti dispiace se uso la tua doccia?”
“No, fa pure. Come dicono gli spagnoli? Mi casa es tu casa” risposi  incerta riuscendo a farlo sorridere appena.

 
Quando sentii rumore dietro di me, ancora in cucina, capii che Daniel aveva terminato “Vuoi che passi da casa tua più tardi? Posso preparare qualcosa per tuo nonno…non sono una grande cuoca ma…” in interruppi quando voltandomi scorsi Daniel vestito dei soli jeans neri dietro di me. Sentii un improvviso e inopportuno calore invadermi le guancie.
Una cosa era intravedere il suo corpo alla luce fioca della finestra e un’altra era ritrovarselo in cucina in pieno giorno “…posso essere utile comunque” faticai ad aggiungere. Incrociai i suoi occhi e lui mi sorrise appena “Immagino che tu non abbia una maglia della mia taglia,vero?” domandò lui. A quella domanda i miei occhi scesero involontariamente a guardargli il torace nudo. Aveva un fisico asciutto ma definito. Mi sentii una ragazzina pronta a sbavare sul poster di un modello Armani.

“Emh…non credo” risposi indugiando più del dovuto sul triangolo di pelle tra il collo e la spalla. D’un tratto desiderai poggiarvi le labbra…

Scossi la testa vigorosamente, probabilmente facendogli credere di essere meno normale del dovuto, e lo scartai per andare in corridoio “Vorrà dire che metterò quella di ieri, nessun problema” sentii la sua voce dalla punta lievemente ironica.
Tornai a guardarlo solo quando fu completamente rivestito e in procinto di tornare a casa “Mi sembra di essere arrivato qui a piedi…dovrò cercare di ricordare dove ho mollato la macchina” disse Daniel indossando il giubotto di pelle che aveva avuto anche al funerale.

“Il tuo amico se n’è andato?” mi chiese poi affiancadomi all’ingresso, il portone ancora chiuso.

“E’ ancora in città ma ha un altro alloggio” risposi tranquilla. Gli importava dove fosse Johnse?

“Allora ci vediamo dopo…” disse lui con una mano sulla maniglia. Io annuì “ A dopo” lo guardai. Restammo a guardarci qualche secondo poi, per l’ennesima volta fu lui a colmare la distanza tra noi due. Le sue labbra si poggiarono sulle mie, delicate mentre entrambe le sue mani erano appoggiate sui miei fianchi per avvicinarmi a lui. Mi sembrò di entrare in una specie di oblio dove io ero il niente e che terminò solo quando Daniel staccò le sue labbra dalle mie “Scusa” sussurrò al mio orecchio e prima di rendermene conto era già uscito chiudendosi la porta alle spalle.


 
Verso mezzogiorno passai dal Fire Cracker. Era qualche giorno che non mi presentavo al lavoro ma dubitavo che Tommy fosse arrabbiato infatti, quando mi vide, accennò un sorriso divertito “Non sei affatto la dipendente del mese, Donough”. Sorrisi di rimando  e presi posto sullo sgabello a sedere di fronte al bancone “Scusami” dissi stringendomi nelle spalle esili. Lui scrollò le sue e poi si chinò verso di me “Come stai?” mi chiese. La domanda mi sorprese e incrociai gli occhi chiari di Tommy O’Neill.

“Bene” risposi non troppo convinta “Volevo dirti che…avevo intenzione di licenziarmi. Sai, credo di non aver più bisogno di lavorare”.

Mi ero fatta assumere al Fire Cracker perché Daniel lo frequentava ma non c’era più bisogno di mantenere quella copertura. Tommy fece una smorfia dispiaciuta ma poi annuì “Come vuoi, Sarah Jane, ma ti voglio sempre qui nei dintorni eh” sorrise per poi tornare serio “Hai visto Daniel oggi?” domandò.

Annuì tranquilla ma l’espressione di Tommy O’Neill era cupa “Ieri sera si è cacciato nei guai, sai?”

Il respiro mi si mozzò in gola. Perché? Perché Daniel si complicava la vita?

“Che intendi dire?” chiesi

“Intendo dire che è andato a sbronzarsi nel locale di Huey e se n’è andato sgattaiolando via dalla finestra del bagno senza pagare”

“Cosa? Huey?”

Ricordavo bene la figura inquietante dell’uomo e ricordavo bene anche i miei millecinquecento dollari “E’ pazzo? Ma come fa ad essere così stupido maledizione!” sbottai passandomi una mano nei capelli rossi. Tommy mi guardò comprensivo “Mio fratello e Daniel hanno già avuto a che fare con lui e mi stupisco che continuino a provocarlo…Almeno Ross stavolta non c’era.”

Sospirai sommessamente “Credi che Huey andrà a far visita a Daniel?Di nuovo?”

“No, non lo credo. Ne sono sicuro”.


 
Angolo autrice
Salve! Eccomi qui, viva e vegeta dopo l’intervento! :) A parte il fastidio dei punti sto benone. Scusate se il capitolo è corto ma ho appena finito di scriverlo e non volevo farvi aspettare ancora qualche giorno ahah :P Ringrazio Angys e chiara_od che hanno inserito la storia tra le seguite e Clouds_Jas e alwaysinmyheart per aver inserito la storia tra le preferite! <3 sperando che questo capitolo vi sia almeno piaciuto un po’ vi do appuntamento alla prossima settimana! Un bacione!
Raya_Cap_Fee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** XXVII ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA



 
Avrei voluto strozzare personalmente Daniel Duroy una volta uscita dal Fire Cracker ma purtroppo, mi ero ripromessa di cercare di salvarlo.

“Che stupido coglione ingrato….” borbottai per tutto il tragitto, a passo di marcia, verso casa Duroy. Tommy mi aveva detto dove trovare il locale di Huey ed io ero fermamente convinta che ci avrei trascinato Daniel. Bussai alla porta d’ingresso e attesi che qualcuno venisse ad aprirmi.  Mi ritrovai davanti proprio Daniel “Hai dei neuroni che ancora ti funzionano?” sbottai acida. Lui sollevò appena le sopracciglia scure, sorpreso. Ci eravamo lasciati, appena poche ore prima, con un bacio sulla soglia del mio appartamento. Un bacio che mi era piaciuto molto, troppo. Un bacio che me ne aveva fatti desiderare altri mille.
“Che?” chiese infatti Daniel, una smorfia andò a increspargli le labbra.

“Huey ti dice niente?”

Lo sguardo di Daniel divenne d’un tratto consapevole. Si guardò alle spalle per assicurarsi che suo nonno non fosse in ascolto poi, uscì sotto il porticato. Si era cambiato, indossava un paio di jeans scuri e una maglietta a maniche lunghe grigia. Era abbastanza vicino da cominciare a sentirmi a disagio.
“Come lo sai?” domandò lui a voce bassa. Incrociai i suoi occhi azzurri sforzandomi di rimanere impassibile e soprattutto incazzata “Me l’ha detto Tommy. E se lo sa lui vuol dire che lo sanno praticamente già tutti. Dimmi che non è vero e che non sei fuggito dal bagno”

“Io ero ubriaco” si giustificò lui

“Essere ubriach…” mi interruppi quando mi accorsi di aver alzato troppo la voce. Lanciai un’occhiata verso la porta poi, tornai a guardare Daniel “Essere ubriachi non è scusa, Daniel. Mi spieghi perché hai questa mania di cacciarti nei casini? Con Huey poi! Vorrei ricordarti che al Fire Cracker aveva una pistola!” dissi, concitata. Daniel guardò in direzione del vialetto, le mascelle contratte.

Sospirai e mi passai una mano tra i capelli sciolti e abbandonati disordinatamente sulle spalle “Devi andare lì e risolvere la faccenda” dissi, piano “Non c’è altro modo. Non puoi permetterti di perdere nient’altro nella vita. Hai detto anche tu di essere stanco” continuai allungando una mano nella sua direzione. Gli sfiorai il gomito e lui si riscosse tornando a guardarmi.

“Posso aiutarti” dissi. Potevo aiutarlo, dovevo aiutarlo.

Lui sollevò un angolo della bocca in un sorriso “Perché dovresti?”
Perché sono stati quelli come me a cambiare la tua vita. Perché sono stati quelli come a portarti via tutto.

“Perché posso” risposi semplicemente “Andremo insieme, questa sera. Tu parlerai con Huey e non tornerai  mai più il quel locale e né tu e né Ross avrete mai più a che fare con lui. Siamo intesi?”

“Non sono un bambino a cui devi insegnare a…”

“Invece sì”

“Invece no”

“Sì”

“No”

“Daniel…” minacciai al limite dal desiderio di tirargli uno schiaffo. Lui mi guardò ancora, strafottente. Era quello dei primi giorni, quello dei nostri primi incontri “Sono sopravvissuto vent’anni senza di te…” disse con una smorfia. Non apprezzava le intromissioni nei suoi spazi, quello l’avevo capito.

“Già…e guarda che risultati” dissi sprezzante. Gli occhi di Daniel scattarono verso i miei inchiodandomi sul posto. L’avevo detto senza pensare, solo per provocarlo e me ne pentii all'istante.
“Vattene” disse stringendo i pugni. Chiusi per un attimo gli occhi dandomi della stupida “Non volevo…”

“Invece volevi. E’ quello che fai, no? Mi avvicini e mi offri il tuo aiuto e le cose invece che migliorare peggiorano sempre di più. Ti comporti come se potessi salvare il mondo, come se fossi l’unica in grado di aiutare. Tu non sei nessuno, Sarah Jane. Nessuno!” gridò lui ad un nulla della mia faccia.
Serrai le labbra e strinsi i pugni contro i fianchi. Sentì la mano mancina più calda, come succedeva sempre prima di perdere il controllo.  Sotto il porticato calò il silenzio. Daniel era fermo di fronte a me, fuoribondo.

“Sarah Jane?” la voce di Henry Duroy irruppe improvvisamente in quella bolla di tensione e spostai gli occhi grigi dal nipote al nonno. Se possibile in quei due giorni era invecchiato ancora di più.
“Signor Duroy” salutai cercando di calmarmi. Sentivo su di me lo sguardo di Daniel ma non mi voltai a verificare. Henry lanciò un’occhiata a suo nipote che gli dava le spalle, poi tornò a guardare me, preoccupato “Ti va di entrare?” chiese.
Daniel mi anticipò “Sarah Jane se ne stava andando”. Schiusi appena le labbra e cacciai fuori l’aria dai polmoni. Non volevo litigare con Daniel Duroy. I tempi dei litigi dovevano terminare.
“Daniel ha ragione” dissi. Scansai il nipote per avvicinarmi al nonno e gli presi una mano “Mi spiace tanto per Madison, signore” sussurrai prima di allontanarmi.


 
Raggiunsi il mio appartamento con una strana sensazione ad attanagliarmi lo stomaco “Buh!” esclamò una voce conosciuta. Sobbalzai nel notare Johnse, fermo davanti al mio portone. Non c’era un attimo di pace per me.

“Tutto bene?” chiese aggrottando la fronte. Grugnii qualcosa come un cenno d’assenso ed entrai. Johnse mi seguì “Ho trovato alloggio al Redneck Motel…peggio del tuo appartamento ma comodo” mi informò il ragazzo tuffandosi sul mio divano, le mani incrociate dietro la nuca. “Sei qui per dirmi qualcosa?” domandai ferma sulla soglia del salotto, le braccia incrociate al petto.

“Emh…no” disse lui scuotendo il capo.

“Allora perché sei qui?”
Possibile che nella mia giornata non avessi un momento libero per me stessa?

“Non potevo venire a trovarti?

“No”
Johnse sospirò e si mise a sedere “Avanti, dimmi cosa è successo con Daniel”  disse con l’aria di uno che la sa lunga. Sollevai le sopracciglia “Da quando sei il mio psicologo, Johnse?”
Lui rise e si alzò per avvicinarmi “Avanti, Sarah. Io ti conosco da più tempo di lui”

“Tu non sei convito quanto me a salvargli la vita. Se io ti dicessi qualcosa e a te non piacesse….”

La Morte inclinò appena la testa da un lato “Quindi ti ha detto qualcosa che non vorrei sentire” costatò “Te l’ho già detto, Sarah. Ti ho fatto una promessa e non ho intenzione di rimangiarmela”

“Ma non ne sei convinto”

“No”

“Eppure hai promesso lo stesso, perché?”

Lui accennò un sorriso “Perché io ti voglio bene, Sarah Jane. E per quanto tu non voglia sentirtelo dire so che provi qualcosa per quel ragazzo. Ora mi dici cosa è successo per favore?”

Era migliorato rispetto a dieci anni prima.

“Farò in modo di prendermi tutta la colpa, Johnse. Non meriti la dannazione perché mi vuoi bene. Non è un motivo valido” dissi guardandolo negli occhi scuri. Lui sorrise ancora una volta e allungò una mano per accarezzarmi con un dito il profilo del mento “Come ti ho già detto, Sarah Jane, ho la mia idea riguardo a motivi validi e non”.


 
Daniel’s PoV

Avevo sbagliato a urlare contro Sarah Jane. Dopotutto era stata lei ad aiutarmi l’ultima volta con Huey dandomi millecinquecento dollari senza chiederli indietro. Sdraito supino in camera mia, lo sguardo rivolto al soffito, mi morsi un labbro e poi chiusi gli occhi.

“Daniel?” sentii la voce di Henry Duroy dall’altra parte della porta e controvoglia mi costrinsi ad alzarmi. Aprii la porta della camera e incrociai gli occhi azzurri di mio nonno. Sembrava invecchiato di colpo.
“Si?” dissi visto che non accennava a dire altro.

“Volevo assicurarmi che fossi ancora a casa…” aggiunse con calma. Emise un sospiro e fece per procedere lungo il corridoio, probabilmente puntava alla sua camera “Nonno?” chiamai appoggiandomi allo stipite.

Henry si volse. Era raro che mi fermassi a parlare con lui. Il nostro filo conduttore era Madison, era solo per lei che ogni tanto tornavo a casa. I miei rapporti con Henry Duroy, specie dopo l’incidente dei miei genitori erano diventati quasi nulla eppure…eppure prima passavo ore con lui.

“Ti va un po’ di tè?” domandai grattandomi la nuca. Henry sembrò sorpreso poi, lentamente annuì. Lo seguii giù per le scale e andammo in cucina. Appena tornato a casa avevo provveduto  a nascondere in uno scaffale in salotto la foto che prima era appesa sulla parete gialla. La foto che era lì a ricordarmi che tre membri della famiglia non c’erano più. Se non si contava che la nonna era morta dieci anni prima.
Henry prese posto al tavolo e io misi a bollire l’acqua sui fornelli.

“Tu e Sarah Jane state insieme?” sentii d’un tratto quella strana domanda. Erano almeno otto anni che mio nonno non mi chiedeva nulla sulle ragazze. Meglio così d’altronde.

Gli davo le spalle “Non direi” risposi. Non stavo e non ero stato con Sarah Jane in nessun senso e probabilmente, non saremmo mai andati d’accordo abbastanza a lungo nemmeno per il tempo necessario  a scopare.

“Sembra una brava ragazza”

“Invece è una stronza” replicai versando il contenuto delle bustine di tè all’interno di due tazze “Con un po’ di limone, come piace a te?” domandai poi sviando il discorso. Non mi andava di parlare ancora di Sarah Jane. Mi sembrava ancora di sentire Maddie nominarla tutto il giorno in giro per la casa.
“Grazie” disse Henry quando gli poggiai la tazza davanti. Presi posto davanti a lui.

“Però non urlarle contro così. Non può aver fatto nulla di così grave da meritarselo” continuò lui bevendo un sorso. Presi un respiro profondo e poi annuì “Cercherò di scusarmi” dissi. Rimanemmo in silenzio parecchi minuti, non eravamo più abituati a parlare tra noi.

“Penso che…penso che dovrei tornare a occuparmi della scuola” confessai poi con lo sguardo fisso all’interno della tazza “Insomma andrò a parlare con la preside e vedrò se…può aiutarmi a non perdere l’anno..dovrei essere ancora in tempo” aggiunsi.

Henry Duroy non disse nulla e io a quel punto alzai gli occhi dalla tazza vuota per guardare mio nonno. Incrociai quegli occhi così simili ai miei da potermici riconoscere e costatai che erano lucidi “Però non metterti a piangere per favore” mi affrettai a dire “Ne abbiamoversate abbastanza di lacrime, in questi anni” aggiunsi “Abbastanza per una vita intera”.

 
Calata la sera decisi di risolvere il mio problema con Huey. Quella di sgattaiolare via dal suo locale sperando  che non mi vedesse era stata una mossa stupida….proprio da me. Dissi al nonno che sarei tornato presto e poi uscii di casa. Mi avviai a piedi, era piuttosto lontano da casa mia ecco perché la sera precedente mi ero ritrovato a casa di Sarah Jane. Molto più vicina.

Avevo sentito Ross nel pomeriggio e aveva insistito nel voler venire. Non glielo avevo permesso. Stavolta lui non c’entrava nulla e io avrei risolto la questione da solo.

Raggiunsi l’ insegna rossa del “Dark Heaven” e presi un respiro profondo. La struttura era di mattoni rossi e non c’erano finestre che davano idea di cosa o chi ci fosse dentro. Aprii la porta del locale e strizzai appena gli occhi per abituarmi alla luce soffusa. In sottofondo c’era una musica che proveniva dalla sala sul retro, quella dove c’erano le ballerine. L’ingresso invece era un semplice bancone di legno scuro, un paio di tavoli rotondi  e un televisore spento nell’angolo. Incrociai subito con lo sguardo tre figure sedute al tavolo nell’angolo.

“Mhm…questa sì che è una novita vero, Charlie? Il nostro amico Daniel che si presenta qui senza prima essere minacciato” disse Huey, gli occhi neri fissi nei miei e un sorriso mellifluo agli angoli della bocca.

“Non c’è bisogno di tante cerimonie, Huey. Sono qui per saldare e andarmene”

Mi avvicinai al tavolo e le due guardie del corpo di alzarono. Erano un po’ più alti di me ma certamente erano armati. Alzai le mani mentre Charlie, il più vicino si avvicinò di più per perquisirmi “Attento a dove metti le mani, Charlie” lo avvertii guardando Huey “Credevi davvero fossi armato?” domandai una volta conclusa l’ispezione dello scagnozzo.

“Non si sa mai” rispose Huey “Allora, mio caro Daniel? Ti sei liberato anche di quell’impiastro malaticcio eh?”


 
Angolo Autrice
Yuppie! Ahahaha ebbene sì, avete visto come faccio concludere i capitoli? :P Allora, innanzitutto mi scuso per i pensieri un po’ trogloditi di Daniel verso Sarah Jane xD Ma lui così, portate pazienza!  Mi sono accorta che Daniel non ha mai interagito direttamente con suo nonno (se si esclude la scena del vicolo all’inizio) perciò ho creato tè che spero vi sia piaciuto :)  Il prossimo capitolo beh…non vi anticipo nulla *_* Volevo ringraziare kikka410, Rebs9Angel e Alexis Cage che hanno inserito la storia tra le seguite e inoltre vorrei ringraziare shadowhunterchiara e AuraNera_ che l’hanno inserita invece tra le preferite. Con la speranza che qualcun altro di voi voglia lasciare un’opinione alla storia (ci sarà un motivo  se l’avete inserita tra le preferite/ricordate/seguite no?) vi do appuntamento alla prossima settimana!
Ps: Sto revisionando i capitoli precedenti per correggere gli errori grammaticali,  non ci sarà alcuna aggiunta :)
 
Raya_Cap_Fee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** XXVIII ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA




 
 
Daniel’s PoV

“Allora, mio caro Daniel? Ti sei liberato anche di quell’impiastro malaticcio eh?”


Impiastro malaticcio. Impiastro. Malaticcio.

Sollevai di scatto lo sguardo verso Huey “Prova a ripeterlo e ti spacco la faccia” mormorai stringendo i pugni. Huey si limitò ad accennare un sorriso, i denti bianchi brillarono nella luce soffusa. Non ci fu bisogno che ripetesse le parole riferite a Madison.

Prima che Charlie potesse  pensare di fermarmi io mi ero già scagliato contro quell’irlandese del cazzo.

“Non provare a insultare mia sorella!” gridai sferrandogli un pugno alla cieca. Quelli erano guai grossi, lo sapevo. Un paio di braccia mi afferrarono da dietro e mi scagliarono lontano da Huey. Charlie si scagliò contro di me ma lo evitai per avvicinarmi di nuovo a un sanguinante Huey. L’altro scagnozzo mi si parò di fronte e venni atterrato con un solo, potente, pugno allo stomaco che fu capace di mozzarmi il respiro per lunghi momenti.

“Stronzetto…Dopo tutta la pazienza che ho portato nei tuoi confronti tu vieni qui a picchiarmi? Vieni qui a picchiare me?” gridò Huey. Io, a terra, tentai di rialzarmi ma un piede sul petto mi trattenne “A cuccia, Duroy” disse il secondo scagnozzo con un sorriso divertito stampato sulla faccia. Feci una smorfia e rivolsi lo sguardo verso Huey.

Chi sapeva che sarei andato da Huey? Ross e l’ultima che avrebbe voluto vedermi….Sarah Jane.


 
 
Johnse’s PoV

Sbadigliai, stiracchiandomi. Quella condizione da umano era davvero pessima. Quasi preferivo essere nature, cioè morto.

Sorrisi nel cogliere lo sguardo incuriosito di una ragazza a qualche sgabello da me. Era un locale al fianco del motel nel quale dormivo, magari quella notte non sarei stato da solo. Mi passai una mano tra i capelli e mi alzai per sedermi accanto alla ragazza bionda con il caschetto. Il viso era tondo e luminosi occhi neri, un sorrisetto le alleggiava sulle labbra carnose e rosse acceso.

“Ciao” disse lei portandosi una mano al mento.

“Ciao a te” risposi lasciando vagare lo sguardo anche sul suo corpo sinuoso “Come ti chiami?” domandai. Lei accentuò il sorriso e si grattò una guancia “E’ importante?”

“Direi di sì…”

“Allora mi chiamo Julie, e tu?”

“Johnse…” risposi tranquillo lanciando un’occhiata al barista divertito. “Un nome insolito..” commentò la ragazza.

“E’ il diminutivo di Johnson. Gli amici però mi chiamano Johnse”
Lei sorrise ancora e si voltò appena sullo sgabello in modo che le sue ginocchia, fasciate da un jeans chiaro, sfiorassero le mie.

“Allora sono tua amica?”

No.

“Sì” risposi “Alloggio proprio qui al Redneck Motel…” era un chiaro invito a passare un paio d’ore con me.

“Non sei di queste parti quindi?”

Ora faceva un sacco di domande per una che non volevo dirmi nemmeno il nome “No, sono qui per…lavoro”

“Di che tipo?”

“Un tipo che non fa per te. Vieni?” dissi alzandomi e porgendole una mano. Lei mi guardò brevemente poi, con un sorriso, prese la mia mano e insieme uscimmo dal piccolo bar di Caldwell. Julie si strinse al mio fianco mentre, insieme prendevamo la direzione verso il Redneck Motel.

“Mi piacciono i tipi come te, sai?Un po' misteriosi”
Dubitavo sapesse che tipo fossi. Mi limitai ad annuire quando sentii qualcosa nella tasca posteriore dei jeans. E non era nulla di appartenente a Julie. Mi fermai di scatto e mi allontanai di un passo per prendere il foglio dalla tasca. Il mio foglio mortuario, così lo chiamavo.

“Che c’è?” disse Julie e io aprii il foglio.

“Merda…” sussurrai.

 
Daniel Duroy
Dark Heaven, Marple Street. Caldwell
Ore 1.23 am
 

Merda. Merda. Merda.

“Che ore sono, Julie?”

“Cosa?” chiese lei seccata. Prese il cellulare dalla borsa con uno sbuffo “E’ l’una e diciotto”

“Merdaccia….” Imprecai. Che cavolo succedeva?

L’appartamento di Sarah Jane era troppo lontano ma lei doveva esserci “Scusa, Julie. Sarà per un’altra volta” sussurrai in fretta e prima che lei potesse dire qualcosa slacciai il guanto e in un attimo, per mia volontà tornai nella mia forma di Morte sparendo alla vista della ragazza che emise un urlo. D’un tratto fui davanti al portone di Sarah Jane, di nuovo umano.
Bussai forte alla porta, doveva essere a letto “Sarah Jane! Sarah Jane! Daniel è sulla lista!”

In men che non si dica la testa arruffata di Sarah Jane venne fuori dal portone “Cosa? Quando?”

“Tra tre minuti”

Sarah Jane spalancò gli occhi grigi “Togli il guanto. Al Dark Heaven” dissi.


 
Apparimmo sotto l’insegna del locale e tornammo visibili al mondo sebbene non ci fosse nessuno. Sarah Jane indossava un ridicolo pigiamone verde con una pecora pelosa sul petto “Com’è possibile che tu abbia visto il suo nome soltanto ora, Johnse? Che cavolo stavi combinando?” sbottò Sarah Jane passandosi una mano nei capelli.

“Non è colpa mia…il foglio era vuoto fino a pochi minuti prima. L’hanno fatto apposta. Forse vogliono prenderlo loro e ci hanno lasciato poco preavviso per…” smisi di parlare udendo, nel vicolo dietro al locale, delle voci concitate.

Un minuto.

“Sarah Jane…”

“Io non sento la presenza di nessun Angelo, Johnse”

“Vogliono che lo faccia io allora” mormorai. Incrociai gli occhi grigi di Sarah Jane “Ma non lo farò…vieni” continuai.

A passi veloci raggiungemmo il retro del locale e spiammo dall’angolo. Daniel era trattenuto per le braccia da un uomo molto alto e ben piazzato. Di fronte a lui c’erano altri due uomini e uno di loro, biondiccio con i capelli scompigliati e un labbro spaccato impugnava una pistola.
“Quello è Huey…”sussurrò Sarah Jane stringendomi un braccio. La guardai appena.

Venti secondi.

“Gli sparerà…” dissi guardando il ragazzo. Daniel fissava Huey con disprezzo.

“Che ne dici di raggiungere la tua sorellina  e il resto della famiglia umh? Pidocchioso di un ragazzo….osi venire qui a picchiarmi..” disse Huey.

Dieci secondi.

Le dita di Sarah Jane si contrassero contro il mio braccio “Johnse…”

Cinque secondi.
D’un tratto sentì la presa di Sarah Jane svanire e prima che potessi anche solo pensare di fermarla lei si fece avanti verso i quattro.

Tre secondi.

L’uomo al fianco di Huey si era appena accorto di lei, così come Daniel quando il colpo di pistola risuonò del vicolo dietro al Dark Heaven.
“Sarah!” gridai insieme a Duroy scattando in avanti quando la vidi accasciarsi al suolo. 




Angolo Autrice
 
 Sparatemi pure ahahaah xD Lo so che volete farlo u.u Comunque...so che stavolta non c'è nessun Sarah Jane's PoV ma spero che comunque, il primo Johnse's Pov vi sia piaciuto :D Ringrazio Anhya, F_alice e SparkleOn e Hermiuna che hanno inserito la storia tra le preferite; ringrazio inoltre Stella cadente, Ci_, MalinaM e Anhya che l'hanno inserita tra le seguite. Davvero non so più come ringraziarvi siete numerossime :)
Ho pubblicato una storia nel Fandom di Harry Potter "A Stone in the heart". Lo dico nel caso voleste passare e inoltre ho avuto un'altra idea per una soprannaturale...che comincerò a pubblicare una volta terminata ( a malicuore) questa ^_^

Un bacione,
Raya_Cap_Fee

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** XXIX ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA



 

Avvertii come un grande fastidio al centro del petto prima di cadere contro l’asfalto del vicolo dietro al Dark Heaven. Per un folle momento sentii il mio cuore battere.  Fu un unico colpo ed era semplicemente assurdo.

Il sangue cominciò ad imbrattarmi il ridicolo pigiama mentre, intorno a me qualcuno si mosse. Socchiusi gli occhi e feci una smorfia. Perché l’avevo fatto? Daniel non sarebbe comunque morto. O forse sì? La verità era che non potevo sapere quello che sarebbe successo alla sua anima. Meglio non rischiare, no?

“E’ la ragazza che era con te quel giorno alla fabbrica eh? Mi spiace ragazzino vorrà dire che ti farà compa….ehy e tu chi…”
 Tre tonfi e poi il silenzio.

L’atmosfera era rotta solo dal mio respiro mozzato “Sarah Jane?” sussurrò la voce di Daniel “Tu…che cosa gli hai fatto?” aggiunse poi rivolto probabilmente a Johnse. Che cosa aveva fatto?
Cercai di mettermi a sedere e qualcuno venne in mio soccorso “Sarah…” disse Johnse scostandomi i capelli dal volto per poi chinare lo sguardo verso il centro del mio petto umido e rosso.

“Bisogna chiamare un’ambulanza. Subito…”

Incrociai lo sguardo di Daniel che apparve chino al fianco di Johnse. Era pallido e preoccupato ma anche stranito. La macchia sul mio pigiama si allargava visibilmente all’altezza del cuore eppure ero lì seduta senza nemmeno lamentarmi. Voltai appena il capo e vidi Huey e gli altri due stesi a terra “Cos’hai fatto, Johnse?” soffiai spaventata.

“Nessuno ne sentirà la mancanza…” rispose la Morte lanciando un’occhiata a Daniel.

Ci guardava entrambi, una mano stretta intorno al cellulare “Ti hanno sparato al petto” disse guardandomi negli occhi “Ti hanno sparata al petto ma tu sei viva e ora hai anche smesso di sanguinare” continuò guardando Johnse “E tu hai toccato quei tre con la tua mano e loro sono caduti a terra stecchiti. Una mano guantata…come la sua…”.

Stava elaborando. La mente di Daniel stava elaborando una risposta razionale ai suoi dubbi ma non ci sarebbe riuscita.

“Che cavolo succede?” domandò infine Duroy guardandoci ancora. Si era allontanato di qualche passo.

“Aiutami a rimettermi in piedi, Johnse” dissi e lui lo fece. Era una strana sensazione…essere sparati essendo però già morti.

Mi appoggiai ad un braccio di Johnse e alzai gli occhi grigi su Daniel.  Ormai cosa potevo fare? Non mi rimaneva altra scelta.
“Ci sono alcune cose che devo dirti, Daniel, ma prima andiamo via di qui”

Qualcuno aveva sicuramente udito lo sparo e non era il caso che ci trovassero lì. Daniel mi guardò con la fronte aggrottata. Presto mi avrebbe odiato ma non avevo scelta. Era giunto il momento di sapere.


 
Tornammo tutti e tre a piedi nel mio appartamento a Light Street.  Io e Johnse avevamo deliberatamente interferito con il passaggio delle anime e supponevo che, molto presto, Gabriele ed Ezechiele sarebbero tornati a farci visita. Ci eravamo giocati la libertà. Mi ero giocata la libertà per Daniel.

Daniel rimase in piedi contro la parete del salotto quasi pronto ad andarsene, Johnse invece prese comodamente posto sul divano e io andai verso la portafinestra. Strinsi le braccia intorno al busto, fasciato dal giaccone dell’altra Morte.

“Allora, come fai ad essere ancora viva? Non credo che tu avessi un giubbotto antiproiettile…” esordì Daniel fissando per un breve momento in direzione del mio petto.

“Ti ricordi quando…” presi un profondo respiro e poi guardai Johnse “Puoi andare nell’altra stanza? Vorrei parlargli da sola”  mi rivolsi al ragazzo. Lui mi guardò titubante poi annuì scomparendo oltre la soglia della mia camera. Tornai a guardare verso Daniel “Ti ricordi quando, il giorno del mio compleanno,  abbiamo parlato  fuori dal Fire Cracker e poi al parco?” domandai e lui fece un cenno d’assenso con il capo, senza capire.

“Quella sera ti ho detto che mi sentivo fuori posto qui, che non appartenevo più a tutto questo…” feci cenno a quello che mi circondava “Anche tu mi hai detto che c’era qualcosa di strano in me e….beh, non avevi tutti i torti, Daniel”. Lui schiuse appena le labbra “Non credo di capire”.

Sospirai sommessamente e slacciai il guanto alla mia mano sinistra. Duroy mosse istintivamente un passo indietro “Non ti farò del male, Daniel. Non più” dissi alzando il palmo in modo che vi potesse vedere il simbolo impresso sopra “Questo ce l’ha anche Johnse. Lo hai visto prima nel vicolo non è così’?”
Daniel annuì di nuovo e potei intuire dal modo in cui i muscoli del viso di erano irrigiditi che si stava innervosendo.

“Mi chiamo Sarah Jane Donough e nell’Agosto del millenovecentoottanta sono morta in un incidente. Un ubriaco mi ha investito mentre portavo la spazzatura fuori di casa, di sera, a San Francisco.  Sono morta più di trent’anni fa, Daniel” fissai lo sguardo in quello di Duroy e inaspettatamente lui sorrise.

“Devi essere pazza…decisamente pazza…”

“Io sono un’anima morta che sotto ordine di un Agelo preleva altre anime di questo mondo per guidarle verso la luce…così come Johnse e così come centinaia di altre persone” continuai meccanicamente.

Mi avrebbe creduto? E quanto tempo ci sarebbe voluto prima che si ricordasse di Madison e di quello che aveva visto prima di morire?
Daniel si mosse, spazientito, e incrociò le braccia al petto lanciando un’occhiata verso la porta chiusa della mia camera “Ti aspetti che ti creda?” mi chiese quasi ironico.

“Tu, Daniel, questa sera dovevi morire. Io e Johnse lo abbiamo impedito ma ammetto che avrei preferito che tu non venissi mai a saperlo…” mossi un passo verso di lui “Il tuo nome era comparso sulla lista di Johnse. Tu dovevi prendere il mio posto. Tu dovevi rendermi libera ma io l’ho impedito”
C’era un solo modo per fargli comprendere che dicevo la verità.

“Madison….ti ricordi cos’ha detto in ospedale vero?” sussurrai stringendo le labbra. Daniel sgranò appena gli occhi azzurri e aprì la bocca per parlare “Non prenderti gioco di me, Sarah Jane. Non farlo…”.

“Madison mi ha visto nella camera dell’ospedale perché io ero lì, Daniel. Io ero lì per portarla via”

“Bugiarda…”

“No!” gridai muovendomi verso di lui “Stasera Huey ti avrebbe sparato e tu avresti preso il mio posto ma non ho voluto. Mi sono in messa in mezzo perché non sapevo cosa ti sarebbe successo. Non saresti morto o forse sì,  forse la tua anima sarebbe andata perduta….” dissi concitata ma lui si voltò per andarsene. Allungai la mano destra per afferrargli il braccio “Non sto mentendo, non sono pazza.”

Lui si liberò della presa e mi spinse contro la parete. Johnse apparve nell’immediato “No, Johnse” dissi rivolta alla Morte.

“Noi siamo invisibili agli occhi delle persone. Qualche mese fa, Gabriele, l’Angelo che si occupa di me, mi ha affidato un compito da svolgere. Eri tu il mio compito…” fissai Daniel mentre sentivo le lacrime pericolosamente vicine. Ero diventata una mammoletta.

“Lui mi ha chiesto di avvicinarti. Mi ha detto che avresti preso il mio posto ma per come eri non andavi bene…Non ho mai capito cosa intendesse ma…”

“Cos’è che sareste voi due? La Morte?” disse Daniel beffardo guardando male entrambi.

“Sì” rispose semplicemente Johnse fermo nel corridoio “Noi siamo le Morti che ti hanno salvato il culo” lanciò verso Daniel un foglio appallottolato che io riconobbi.

“C’è scritto il mio nome e dove mi trovavo e l’ora in cui…” lesse Daniel “Questo non vuol dire niente” aggiunse poi guardandomi.


Daniel’s PoV

Era semplicemente assurdo. A che razza di gioco stavano giocando? Che razza di psicopatici mi erano caduti tra i piedi? Fissai per un altro momento il foglio che mi aveva lanciato Johnse e poi lo feci cadere a terra con una smorfia “Io me ne vado” annunciai ma nuovamente la mano di Sarah Jane giunse a bloccarmi “Lasciami….” le intimai.

“Sto dicendo la verità, Daniel” sussurrò lei, gli occhi grigi lucidi. Avevo sempre pensato che non fosse normale. Dal modo in cui si comportava, dalle battute che faceva ogni tanto, dal fatto che non l’avessi mai vista prima e che praticamente non sapessi quasi nulla su di lei.

“Se quello che dici è vero, Folletto, vuol dire che sei stata tu a portarti via tutta la mia famiglia” mormorai.

Calò il silenzio e io spostai lo sguardo verso Sarah Jane. Lei deglutii “Non  sono stata io a prendere i tuoi genitori. Solo…solo Madiosn” sussurrò “E forse se potessi tornare indietro salverei anche lei…”.

Scossi la testa e mi liberai della sua presa sul braccio. Mi sentii tradito. Mi aveva mentito sin dall’inizio “Perché non ti sei presa anche la mia anima allora? Suppongo che non importi una famiglia distrutta . Suppongo che non importi di Henry,vero?”

“Noi non possiamo interferire. Io non avrei mai dovuto mettermi in mezzo questa sera. Tu eri il compito che mi avrebbe reso libera, Daniel, e invece….non so cosa ci accadrà adesso” disse Sarah Jane lanciando uno sguardo in direzione di Johnse fermo a pochi passi dietro di lei.

“Non m’importa” risposi “Se sei stata tu a portarmi via mia sorella, te lo meriti”

Lei chinò appena il capo, sospettavo stesse per piangere invece tornò a guardarmi “Io ti ho salvato la vita. A quest’ora tu saresti come noi, se non ti avessi salvato…”

“Non te l’ho chiesto…”

“Ne vale davvero la pena, Sarah Jane? Lui vale davvero la nostra dannazione? Possiamo ancora tirarci fuori dai guai” disse Johnse visibilmente irritata alla sua compagna Morte. Sarah Jane sembrò ignorarlo.

“Forse il tuo amico ha ragione. Tanto non ho più niente. Avanti!” allargai le braccia come ad invitarla a farsi avanti.

“No” rispose lei in tono fermo.

“Non ti sei fatta scrupoli in tutti questi anni, no? Perché io dovrei essere diverso?”

Lei che mi aveva parlato della morte come processo della vita. Lei che aveva portato via madri, padri, figli, nonni.
“Perché, Sarah Jane? Perché!” alzai la voce e lei ispirò profondamente stringendo le piccole mani a pugno lungo i fianchi. Mi guardò negli occhi  “Perché credo di essermi innamorata di te…” disse con voce rotta.

Sembrò che il tempo si fosse fermato. Ispiravo ed espiravo lentamente, tenendo lo sguardo fisso sul volto di Sarah Jane. Johnse scomparì di nuovo oltre la soglia della camera da letto sebbene  avesse un’aria non troppo entusiasta.
Mi vennero in mente le poche occasioni in cui l’avevo baciata, l’ultima proprio quella mattina.

“Tu sei morta…” mormorai poi, finalmente conscio di quanto avessi fatto. Lei sollevò appena le labbra in un sorriso breve “Tecnicamente sì, Daniel”.


 
Angolo Autrice
Yuppy yeah! Allora…premetto che non sono poi così tanto soddisfatta di questo capitolo eh…non so >.< ditemi voi. Ringrazio LauraOneD_99 che ha inserito la storia tra le preferite e ringrazio  ItsMary, Lady Yoru, Jo McKinley e Ki_ra  che l’hanno inserita tra le seguite. Mi stupite sempre di più! *_*
Curiosità: Il titolo della storia “Come fossi niente, come fossi acqua dentro acqua” è tratto da una frase della canzone “Senza fiato” dei Negramaro ft. Dolores O’Riordan. Meravigliosa <3
Comunque come vi avevo anticipato l’altra volta ho in mente una nuova soprannaturale, per adesso vi anticipo solo i nomi: Jack e Yvonne ^_^


Alla prossima settimana!
Raya_Cap_Fee

 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** XXX ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA


 
Daniel era letteralmente scappato via dall’appartamento e non potevo di certo biasimarlo dopo quanto gli avevo detto. Probabilmente avevo parlato fin troppo….più del necessario sicuramente.
Sospirai sommessamente fissando il portone chiuso e poi tornai a voltarmi nel corridoio d’ingresso. Johnse era appoggiato con una spalla al muro, gli occhi scurri fissi su di me.

“C’era proprio bisogno di metterlo al corrente di tutto, Sarah Jane?” chiese. Lo guardai brevemente e poi mi liberai del suo giaccone. Il sangue era secco sulla maglia del pigiama verde e la mia pelle non presentava più il segno del proiettile. Johnse seguiva i miei movimenti con lo sguardo e quando aprì bocca lo fece solo per porre un’altra domanda inutile “Perché l’hai fatto?”

“Tu perché cavolo hai ammazzato Huey e gli altri?” sbottai infelice sprofondando nel divano del salotto. Ero esausta.

“Non funziona così, Sarah. Io ti faccio una domanda e tu mi rispondi…”

“Anch’io ti ho fatto una domanda…”

Johnse fece un sospiro guardando con dispiacere il suo giaccone imbrattato di sangue “Siamo noi a occuparci della anime. Lui non sarebbe morto se non l’avessimo preso”

“Chi te lo assicura? Magari sarebbe morto lo stesso e la sua anima sarebbe finita insieme a quella dei suicidi…come fai a esserne certo, Johnse?” ribattei stizzita. Mi sentivo ferita, non nel vero senso della parola, da come Daniel era scappato.

“Beh…quel che è fatto è fatto ormai. Non si piange sul latte versato”

Johnse prese posto al mio fianco e allungò un braccio a circondarmi le spalle “Gli hai salvato la vita. E’ quanto più che un essere umano desideri, no? Tornerà” mormorò contro i miei capelli.

Avevo detto a Daniel di Madison. Avevo detto a Daniel di aver preso sua sorella.

“Sono diventata noiosa, Johnse, ma voglio che tutta questa storia termini una volta per tutte”

“Presto, Sarah Jane. Presto sarà tutto finito”.



 
 
 
Passarono invece giorni, il Natale era prossimo e noi non avevamo ancora ricevuto nessuna visita. Il foglio di Johnse, così come il mio prima del suo, aveva smesso di far apparire i nomi delle anime da prelevare.

“Perché questo silenzio?” chiesi quando l’ennesimo giorno giunse al termine senza ricevere nessuna visita da parte dei Superiori. Daniel sembrava scomparso o meglio, evitava accuratamente di incontrarmi quando andavo ad accertarmi che stesse bene.

“Ti aspettavi che sfondassero la porta, Sarah?” mormorò Johnse sbadigliando vistosamente per poi ridacchiare alla battuta della sit-com che stava guardando alla tv. Inspirai profondamente e guardai le luci serali di Caldwell oltre la portafinestra della terrazza. Nulla sembrava scalfire Johnse “Che senso ha tutto questo?” sussurrai tra me.

All’improvviso la luce dell’appartamento andò via, lasciandoci al buio completo. Trattenni il respiro e quando feci per avvertire Johnse delle presenze la luce era ritornata insieme a tre figure ferme al centro del salotto.
“Ah, ospiti finalmente!” esclamò Johnse alzandosi dal divano per avvicinarmi.

Incrociai gli occhi azzurri di Gabriele che mi fissava sconcertato. Erano giorni che non lo vedevo e mi morsi un labbro per il modo in cui l’avevo trattato.

“Buonasera, signori” mormorai.

“Sarah Jane…Johnse…” salutò l’Angelo, tranquillo, per poi voltare il capo verso le altre due figure.

L’Angelo al centro aveva i capelli ricci e neri che gli coprivano la fronte e incorniciavano il volto pallido. Era più alto di Gabriele e aveva le spalle più larghe. Gli occhi neri erano fissi su Johnse, la mascella pronunciata contratta e le labbra carnose atteggiate in una linea dritta.
“Ezechiele” salutò quindi Johnse. Così lui era l’Angelo che si occupava del mio collega.

L’altro Angelo era piuttosto magro e basso, i capelli rossi erano sparati in aria e gli occhi verdi si alternavano da me a Johnse quasi indifferenti.
“Così sono loro, i vostri sottoposti?” domandò proprio quest’ultimo. La voce, a dispetto dell’aria da ragazzino, era quella di un uomo.

“Sì” rispose Ezechiele, serio “Il ragazzo non è nuovo a questi tipi di avvertimenti, Uriele. E’ già stato punito in passato”

Uriele.

“Avete nulla da dire a vostra discolpa?” domandò quindi l’Angelo dai capelli rossi guardandosi intorno con interesse nonostante la domanda fosse chiaramente rivolta a noi.

“A proposito di cosa?”

Uriele fissò gli occhi verdi  nei miei e inclinò leggermente il capo da un lato. Le labbra si erano serrate appena. Chi era Uriele? Perché non si occupava Gabriele di me?

“Sarah Jane Donough, trentatre anni di carriera impeccabile. Non è così, Gabriele?”

L’Angelo in questione distolse lo sguardo da me e chinò leggermente il capo “Sì”
Nella stanza scese il silenzio. Un brivido di percorse la schiena.

“Johnse Fields, carriera travagliata la tua…Numerosi richiami per anime non richieste. Come quelle che hai preso nel vicolo qualche sera fa” continuò Uriele con voce bassa. Johnse fece per ribattere ma lui l’interruppe “Ora, Johnse, il tuo compito era quello di prendere Daniel Duroy. Devo supporre che tu non l'abbia volontariamente riconosciuto tra i presenti?”

“Sì”

Mi agitai e mi avvicinai al fianco di Johnse ancora di più. Uriele mi guardò brevemente “E tu, Sarah Jane? Non conoscevi forse l’aspetto di Daniel Duroy?”

“Sì” risposi.

Uriele incrociò le dita dietro la schiena e lanciò un’occhiata a Gabriele e Ezechiele immobili al suo fianco “E quindi qual è la spiegazione per cui Daniel Duroy è ancora vivo?”

Johnse fece per parlare ma gli afferrai un braccio e feci un passo avanti “Gli ho chiesto io di non eseguire il suo compito” dissi. Nello stesso istante in cui incrociai nuovamente lo sguardo di Uriele un nuovo brivido mi scosse da capo a piedi.

“Sarah Jane…”

“Silenzio, Gabriele” disse Uriele fissandomi “Daniel Duroy è stato designato come tuo successore, Sarah Jane? Non è così?”
Perché me lo chiedeva se evidentemente era già a conoscenza di tutto?

“Sì. Era destinato a essere il mio successore”

“Era?” sollevò un angolo delle labbra “Non sei tu a deciderlo”

Strinsi le labbra e lanciai un’occhiata a Gabriele “Perché mi avete affidato questo compito? Se era Daniel Duroy che volevate perché non ve lo siete preso subito?” sbottai.

Uriele lanciò un’occhiata a Gabriele come a invitarlo a parlare.

“Sono stato io a insistere”

Lo guardai interrogativa “Cosa?”

“Speravo che tu riuscissi a goderti dei mesi come se fossi viva, Sarah Jane”

“Ed evidentemente  non ha funzionato secondo le tue intenzioni, Gabriele. Te l’avevo detto che i Morti devono rimanere Morti…” Uriele mi fissò “Non ci si convince di essere vivi”

“Non l’ho fatto”

“Perché hai intaccato in questo modo la tua libertà, Sarah Jane?” domandò Gabriele quasi accorato.

“E io? Io perché sono qui in questa forma, Ezechiele?” domandò Johnse fissando l’Angelo. Ezechiele dischiuse appena le labbra e guardò Uriele “La tua è un’altra storia” disse, evasivo.

“Ho tutto il tempo per ascoltare. Sono già morto”

“Non ora” disse Uriele “Sarah Jane, cosa ti ha impedito di voler prelevare Daniel Duroy?”

Schiusi le labbra ma non uscì alcun suono. Presi un respiro profondo e riprovai “Io sono innamorata di Daniel Duroy”.

Le parole sembrarono aleggiare nella stanza per un tempo infinito. Più volte lo ripetevo a me stessa e agli altri e più mi rendevo conto di quanto fosse vero.
I tre Angeli mi fissarono. Uriele sembrava dubbioso “Innamorata” ripetè quasi sottovoce “L’amore è un sentimento da vivi, Sarah Jane”.

“Io non voglio che lui diventi come me. Non lo merita”

“Tu credi di meritare la tua condizione? Credi di meritare il modo in cui sei morta tanti anni fa? Credi di meritare il destino che ti è stato riservato? Sii sincera, Sarah Jane”

“No”

“E tu, Johnson, credi  di aver meritato di essere accoltellato in quel vicolo?”

“Sì” rispose lui. Uriele lo fissò per un momento “Sì, forse tu sì” mormorò poi. Mi voltai appena verso Johnse appena sorpresa. Del suo passato sapevo molto poco.
“Per Daniel Duroy non è una condanna. E’ semplicemente il destino”

“Un destino che non merita. Non dopo la morte e l’infelicità nella quale ha vissuto in questi anni” commentai fissando Uriele. Era evidente che era lui quello da convincere.

“Non tutti possono essere felici. Non dico che la vita di Daniel sia stata facile, per un ragazzo della sua età ma…”

Feci una leggera smorfia “Infatti”. Uriele fece un sospiro e mosse qualche passo per la stanza facendo frusciare la tunica bianca che indossava. L’unico dei tre a non vestire come un normale essere umano e doveva esserci un motivo.

“E’ comunque destino che muoia lo sai, Sarah Jane?”

“Tra molti anni, forse”

Uriele sorrise compassionevole “Lo sai che sarai punita, vero?” guardò Johnse “Lo sapete che sarete puniti vero?” si corresse.

“Io ho obbligato Johnse, lui non voleva”

“Sarah Jane….”

“No, Johnse. Sono stata io a obbligarti e tu l’hai fatto solo per me. Mi assumo tutte le responsabilità, Uriele”.

“Mi dispiace, Sarah Jane. Ma abbiamo dato una possibilità a Johnse di prendere Daniel dandogli poco preavviso e lui ha scelto comunque di venire da te” mosse un passo verso di noi “ Siete colpevoli entrambi”.


 
Angolo Autrice
Yuppy yeah! Capitolo trenta…è incredibile. Mai scritto nulla di così lungo al pc. Uriele è stata un ispirazione del momento. Proprio come Johnse non era previsto ma si sa…le idee non vanno accantonate xD Spero vi piaccia e che non lo consideriate troppo insensibile. Vorrei ringraziare cincinnatasgame e bluefly che hanno inserito la storia tra le seguite. Vi adoro!
Raya_Cap_Fee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** XXXI ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA





 
“Hai l’aria sconvolta, Daniel” disse mio nonno guardandomi con aria stranita dall’altra parte del tavolo. Alzai gli occhi dal giornale e mi schiarii la gola con un colpo di tosse inutile “Va tutto bene”. Henry Duroy mi guardò con aria sospettosa e lasciò che gli occhi azzurri vagassero un po’ sul mio viso dove comparivano un livido all’altezza dello zigomo e un labbro un po’ gonfio “Daniel…”.

 Era ovvio che non ne fosse convinto.

“Davvero, nonno. E’ tutto okay” mentii piegando il giornale per concentrarmi sulla mia tazza stracolma di cereali.
“Ho letto che hanno trovato morto Huey e alcuni suoi scagnozzi dietro al suo locale. Chi può essere stato così stupido?” Henry commentò la notizia in prima pagina e io masticai lentamente la prima cucchiaiata di cereali.

Johnse. Sarah Jane.

Un brivido mi percorse la schiena nel ricordare cos’era successo in quel vicolo la sera precedente e dopo, nell’appartamento di Sarah Jane. Le sue rivelazioni. Non potevo crederci, era tutto troppo assurdo eppure non trovavo un’altra spiegazione plausibile al fatto che un proiettile l’avesse colpita in pieno petto e lei non avesse quasi battuto ciglio. Come se nulla fosse successo.
Strinsi tra le dita il cucchiaio e lanciai un’occhiata fuori dalla finestra mentre masticavo.

Maddie.

Il mio cellulare nella tasca dei jeans prese a squillare. Era Ross O’Neill, il mio migliore amico.
Lanciai un’occhiata a mio nonno e poi mi alzai rispondendo alla chiamata una volta uscito fuori in veranda “Sì?”

“Dimmi che tu non centri nulla, Daniel. Per favore”

“Centrare con cosa?”

“Senti, tu ieri sera mi hai detto che andavi da Huey e stamattina Huey è morto. Che hai fatto?”

“Hai fiducia in me, eh, Ross?”

“E’ solo che ti conosco, Duroy”

“Non ci sono più andato” mentii “Non so cosa sia successo e non mi interessa”

Qualcuno all’interno del Dark Heaven mi aveva visto con Huey. La mossa di Johnse, forse, non era stata un colpo di genio. Mi guardai intorno, nervoso.

“Lo dici per dire o è la verità?”

“Senti, secondo te avrei mai potuto ammazzare quella specie di boss che era Huey? Avanti…”
Ross rimase un po’ in silenzio “Beh, allora è meglio così. Ci vediamo tra un po’ a scuola”.


 
 
Avevo deciso perlomeno di andare a scuola per far contento mio nonno e perciò terminai in fretta la colazione e, in macchina, andai verso il Caldwell High School. Era ora di finirla, la scuola, ma senz’altro avrei dovuto faticare parecchio per recuperare tutto quello che avevo brillantemente perso o deliberatamente non appreso.

Quando nel parcheggio avvistai una massa di capelli rossi sentii lo stomaco contrarsi ma, quando la ragazza si voltò per parlare con la sua amica vidi non si trattava di Sarah Jane. Ero scappato via ma ero sicuro che prima o poi l’avrei rivista. Se quello che mi aveva detto Johnse al riguardo del mio nome scritto su quello strano foglio corrispondeva al vero, ero certo che avrei ricevuto altre visite.

“Daniel!”

Ross richiamò la mia attenzione dalle scale di cemento che conducevano all’ingresso “Non pensavo di vederti davvero”.

“Non è che mi piaccia tanto frequentare questo tipo di posti, Ross, lo sai” commentai affiancandolo. Mi attendeva una lunga giornata.

“Lo sai che il coach sta pensando di sbatterti fuori dalla squadra? Visti i tuoi voti l’unica speranza che hai per andare al college è quella di una borsa di studio, Daniel. Non temere però, gli ho spiegato un po’ cos’è che hai passato nell’ultimo periodo insomma, ha capito”.

Ross aveva la capacità di stordirti di parole perciò mi limitai a grugnire qualcosa e a mormorare un “Okay” mentre mi guardavo intorno per il corridoio.


 
All’orario di uscita, nel primo pomeriggio, ero stranamente tranquillo. Il mio colloquio con la preside era andato benone e si era detta disposta ad affiancarmi un tutor per recuperare tutto quello perso nei primi mesi di scuola e inoltre ero riuscito a dimenticarmi di Sarah Jane per qualche ora. Meno pensavo a lei e più mi convincevo di aver sognato tutto. Quando mi avvicinai alla mia macchina però qualcuno vi era poggiato contro, proprio lei.

Incrociai il suo sguardo per un secondo e lei si scostò dal cofano della macchina mettendosi dritta.

“Perché credo di essermi innamorata di te…”

Così aveva detto nel suo appartamento. Credeva fosse una giustificazione tanto forte da poterla perdonare per essersi portata via mia sorella? Sarah Jane mi piaceva, o per meglio dire, mi era piaciuta.

Mi limitai a soffermare lo sguardo su di lei per un attimo per poi scansarla per infilarmi in macchina. Perché era venuta lì? Perché si faceva  vedere da me?
Guardai nello specchietto retrovisore ma era già sparita.

 
 
Nei giorni successivi successe spesso. Sarah Jane compariva ogni tanto, mi fissava in silenzio per poi andarsene. La cosa iniziava a rendermi piuttosto nervoso,  tutto quello che volevo era che mi lasciasse in pace e volevo gridarglielo ma ogni volta di fermavo appena in tempo.

Sarah Jane non mi guardava come se si aspettasse qualcosa da me, piuttosto sembrava preoccupata o alle volte, sollevata dal vedermi ancora in giro. Ricordavo bene di cosa aveva parlato Johnse: guai, dannazione. Cosa stava aspettando, Sarah Jane?


 
Sarah Jane’s PoV

Guardai Uriele per lunghi momenti. Ero certa che non sarebbe passato oltre l’ennesimo errore di Johnse, errore che gli avevo chiesto io di commettere.

“Sono certa che tu sappia, Uriele, il motivo per cui Johnse ha deciso di non tradire la mia fiducia” dissi lanciando un’occhiata ad Ezechiele. Possibile che assistesse così impassibile alla sorte del suo protetto? Incrociai gli occhi azzurri di Gabriele che mi fissava titubante.
“Sì, ma ciò non toglie…”

“Quindi non puoi punirlo” ribattei interrompendolo. Uriele si passò una mano tra i capelli rossi e guardò Johnse per un secondo “Che cosa stai cercando di fare, Sarah?” mormorò Johnse al mio orecchio tirandomi una manica del maglione blu che indossavo. Mi voltai verso Gabriele “Mi dispiace” dissi “Mi dispiace di essermi rivolta a te in quel modo quella sera. Ero sconvolta e non ho pensato al fatto che avresti potuto interpretare male le mie parole. Lo sai, Gabriele”.

L’Angelo mi guardò negli occhi e lo vidi sospirare sommessamente, quasi di sollievo. Stirò le labbra rosee in un sorriso appena accennato e mosse un passo nella mia direzione.

“Lei ha disubbidito. Loro hanno disubbidito, Gabriele” si intromise Ezechiele lanciandoci un’occhiata severa “Sapevano a cosa andavano incontro quando hanno deciso di non prendere l’anima di Daniel Duroy” continuò “Anzi, se tu non te ne fossi andato tutto questo non sarebbe accaduto”

“Non provarci, Ezechiele” mormorò Gabriele rivolgendo un’occhiata all’altro “Non è né il luogo e né il caso di litigare”

“Ha ragione Gabriele” si intromise Uriele lanciando un'occhiata quasi irritata a Ezechiele.

Io e Johnse osservavamo i tre in silenzio poi, Gabriele si avvicinò a me a allungò le mani per stringere le mie “Non sei più arrabbiata con me, Sarah Jane?” domandò l’Angelo e da dietro giunse il borbottìo sommesso di Ezechiele. Fissai Gabriele e scossi la testa “No, non sono più arrabbiata ma desidero che le cose si risolvano” mormorai. Gabriele annuì e poi rivolse un’occhiata a Johnse.

“Sono stato io a decidere questo tipo di condizione per Sarah Jane e, successivamente per Johnse. Non vorrei giustificarli, Uriele,  sanno anche loro di aver sbagliato ma ti prego di considerare qualche attenuante come i sentimenti. Nessuno di loro due viveva da tanto tempo e nonostante abbiano conservato le loro emozioni anche durante la Morte puoi certo concordare con me che in questa forma si siano rafforzate”.

Uriele fissò per un lungo momento l’Angelo e poi fece un cenno del capo “Sì” mormorò soltanto.

“Sarah Jane ha ammesso di provare qualcosa per Daniel Duroy. Sentimenti che noi appoggiamo da millenni, Uriele. E Johnse…” intervenne Gabriele anche per l’altra Morte visto che Ezechiele non sembrava interessato “…ha agito per amicizia. Non è pur sempre per amore?”

Uriele emise un sospiro e scambiò uno sguardo con Ezechiele “Devo pensare” disse, sorprendendomi. Forse teneva più in conto le parole di Gabriele di quanto mi aspettassi. Gabriele mi lasciò una mano, appena sollevato.

“Tornerò presto. Molto presto. Voglio parlare meglio con Gabriele e gli Altri per decidere cosa fare di Voi.” disse Uriele ma Ezechiele lo interruppe “Johnse viene con noi”. La Morte al mio fianco ispirò profondamente e io aggrottai la fronte “Cosa?” domandai.

Ezechiele mi fissò “Gabriele può dire tutto quello che vuole su di te ma Johnse è stato affidato a me e io non toll…”

Uriele alzò una mano pallida per zittirlo “Valuteremo la situazione di entrambi, Ezechiele” poi si rivolse a Johnse “Va con lui,  Johnson, se ti dice di farlo. Fin quando non avrò deciso non potrà dare nulla o rischierà anche lui qualcosa di molto prezioso.”

Voltai il capo verso Johnse e deglutii fissando il suo profilo “Johnse…” mormorai.

“Va tutto bene. Lo sai sentito, no?” stirò le labbra in un sorriso forzato e si chinò a baciarmi una guancia.

“Gabriele, vieni via con me. Devo parlarti” disse Uriele richiamando a sé l’altro Angelo.  Johnse lasciò la presa sul mio maglione e si diresse verso Ezechiele, Gabriele andò verso Uriele non prima di avermi rassicurato con un sorriso.

Guardai in direzione di Johnse incrociando i suoi occhi scuri e mi morsi un labbro.

 “A presto, Sarah Jane” disse Uriele prima di scomparire seguito da tutti gli altri. Il silenzio che risuonò nell’appartamento sembrò scavarmi dentro un vuoto.

Ero nuovamente sola e senza alcuna speranza di cavarmela come avrei voluto.
 



Angolo Autrice
Yuppy yeee! Che faticaccia questo capitolo D: L’ho appena finito di scrivere e spero che non vi abbia deluso troppo.  Vi ho lasciato di nuovo male, vero? xD Accidenti  a me. Questo capitolo inizia con Daniel dalla mattina successiva a quanto successo nel vicolo e prosegue nei giorni in cui Sarah Jane (nel XXX) dice di aver tenuto d'occhio Daniel. La parte di Sarah Jane riprende i momenti del capitolo trenta.
 Ringrazio AlbaTH, _Lith_ e Aeryn che hanno inserito la storia tra le seguite e inoltre ringrazio tutte le persone che hanno recensito lo scorso capitolo, stupendomi per l’ennesima volta. Vi adoro!
Alla prossima!
Ps: Scusate l'assenza di immagini, vedrò di rimediare domani opiù probabilmente nel prossimo capitolo xD

Raya_Cap_Fee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** XXXII ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA



 


Non avevo idea di quanto tempo sarebbe trascorso prima che Uriele e gli altri tornassero. Ero libera, per il momento, eppure mi sembrava di non essere mai stata tanto prigioniera.  Sedevo al parco, dove ormai mesi prima avevo incontrato Gabriele e avevo sentito per la prima volta il nome di Daniel Duroy. Molte cose sembravano essere cambiate, io stessa mi sentivo diversa.

Quando si passa tanto tempo al di fuori del mondo reale si ha difficoltà a ritornare alle vecchie abitudini, a tornare a vivere. Io non avevo realmente sfruttato quei mesi eppure avevo stravolto la mia vita, o la mia non-vita, per Daniel. Gli avevo detto di essere innamorata e lui era scappato e poi l’avevo ripetuto davanti a Uriele . Era davvero così?

Gabriele mi doveva ancora delle spiegazioni per la sua decisione di farmi prendere questa forma.

Mi passai una mano tra i capelli rossi e lanciai un’occhiata al cielo nuvoloso prima di darmi una leggera spinta con i piedi per muovere l’altalena. Indossavo dei jeans neri e un semplice maglione beige sotto al giaccone nero ma non avevo freddo. Sentii una morsa allo stomaco nel chiedermi cosa stesse succedendo a Johnse in quel momento. Ezechiele non sembrava essere molto contento.

Con la coda dell’occhio vidi qualcuno avvicinarsi e voltai il capo in quella direzione per vedere meglio chi fosse. Per poco non caddi dall’altalena.
Daniel si avvicinò nella mia direzione, gli occhi azzurri fissi nei miei e le labbra serrate. Presi un grosso respiro e poi lasciai andare piano l’aria prima di alzarmi. Gli scarponi neri affondarono appena nella sabbia intorno alla giostra e io cacciai in tasca entrambe le mani nel tentativo di darmi un contegno. Non avevo intenzione di mostrare a Daniel quanto la sua reazione mi avesse deluso sebbene in minima parte potevo ben capirlo.

Sostenni il suo sguardo fin quando non si fermò a pochi passi, le mani nelle tasche dei pantaloni e la testa leggermente incassata tra le spalle.
“Sei ancora qui” esordì lui. Strinsi appena le labbra e non mi domandai nemmeno come avesse fatto a trovarmi. Ero evidentemente prevedibile per lui. Conosceva tutti i posti che frequentavo a Caldwell e non erano molti.

“Sei venuto qui per controllare questo?” domandai in tono di voce basso osservandolo di sottecchi. Tornai a sedermi sull’altalena e allungai le gambe puntellandomi sui talloni per non scivolare.

“Può darsi” rispose lui dopo un po’. Sollevai un angolo delle labbra in un sorriso molto più simile ad una smorfia.

“E’ la verità, Sarah Jane? Quello che mi hai detto è la verità?” continuò poi lui. Aveva mosso un passo verso di me ma io continuai a fissarmi la punta delle scarpe.

“Pensi che avrei potuto mentirti ancora, Daniel? Credi per caso che quella pallottola fosse finta? Ti ho detto la verità. Forse avrei dovuto dirtelo prima ma non ero sicura di come l’avresti presa…”

“Se tu non ti fossi messa in mezzo che cosa sarebbe successo?” chiese lui. Era ancora evidentemente turbato e scontento. Feci spallucce “Non lo so. Forse saresti morto e la tua anima dannata o forse non sarebbe successo nulla. Non potevo saperlo con certezza e ho preferito salvarti”

“Spiegami cosa sei, Sarah Jane” aggiunse lui e io alzai gli occhi grigi ancora una volta per guardarlo. Era pallido e io sospirai nuovamente. Lo feci.
Gli raccontai come più di trent’anni prima fossi morta a pochi metri dall’ingresso di casa, gli raccontai dell’incontro con Gabriele e del foglio, gli raccontai di come prelevassi le anime da questo mondo. Gli raccontai quasi tutto nel silenzio quasi surreale in cui versava il parco e lui mi ascoltò in silenzio, ancora in piedi e nelle stessa posizione in cui era arrivato. Quando finii di dirgli ciò che era successo pochi giorni prima nel mio appartamento lui emise un sospiro.

“E dove l’hanno portato?” chiese riferendosi a Johnse. Scrollai le spalle e socchiusi gli occhi “Non credo che gli abbiano fatto qualcosa. Uriele ha detto che non sarebbe successo nulla fino a quando non avesse preso una decisione.

“Tu sei sua amica? Nulla di più?”

Quella domanda mi sorprese e involontariamente mi ritrovai a fissarlo interrogativa. La capacità di Daniel di mantenere la stessa espressione per un tempo interminabile cominciò a darmi sui nervi “Che t’importa” mormorai.

“Niente” ribattè lui immediatamente “Non me ne importa proprio niente”.

Mentiva. O almeno lo speravo.

“Vai via..” aggiunsi stringendo la presa sulle catene che pendevano ai lati del mio corpo.

“Lo farò. Prima però devo farti un’altra domanda”

Rimasi in silenzio, in attesa, e alla fine lui si decise a parlare “Non puoi riportarla indietro?”. Schiusi le labbra capendo a chi si stesse riferendo Daniel. Sentii un groppo chiudermi per un attimo la gola e scossi piano la testa “No, Daniel. Non c’è modo di riportarla indietro. Un giorno, forse….il giorno in cui ritorneranno tutti” mormorai piano sollevando lo sguardo verso di lui. I suoi occhi si erano velati di consapevolezza.

“Mi dispiace” ripetei ancora una volta “Sono stata un mostro a portartela via”

Mi alzai in piedi, pronta ad andarmene “Ma hai salvato me” disse Daniel mentre gli davo già le spalle “Alla fine, hai scelto di salvarmi. Ancora adesso scommetto che potresti uccidermi e a quel punto verresti forse perdonata. Tu hai scelto”.

Era vero. Avevo scelto per la prima volta di disubbidire alla regole.  Lo guardai da sopra la spalla “E’ vero?”

Lui aggrottò la fronte e io continuai “E’ vero che non t’importa niente di me?”

Daniel schiuse le labbra “Io…non lo so ancora. Tu mi piacevi insomma ma ora….”. Chinai appena la testa e trattenni un bassa risata dall’amarezza “Ti capisco. Ma non devi preoccuparti…non mi vedrai più non appena Uriele avrà preso la sua decisione, di questo ne sono certa. Fino a quel momento…fino a quel momento mi troverai a casa” mi sentii di aggiungere.


 
Daniel’s Pov

La guardai allontanarsi e per un momento fui tentato di andarle dietro, afferrarla per un braccio e attirarla a me. Ma non lo feci.  Ero ancora combattuto nei suoi confronti. Il mio orgoglio e il ricordo di Madison, ancora così vicino, non mi avevano permesso di dire a Sarah Jane tutto quello che pensavo. Per un momento avevo colto sul suo viso un’espressione infastidita.

Socchiusi gli occhi e poi andai verso il Fire Cracker. Quel pomeriggio si tenevano i funerali di Huey e dei suoi due scagnozzi e il giornale proprio quella mattina aveva riportato la notizia che nessuno dei tre recava ferite da fuoco o da taglio e che c’era da aspettare per gli esami prima di decretare quale fosse stata la causa della morte. Io sapevo che era merito di Johnse se quei tre erano morti  perciò gli esami non avrebbero rilevato tracce di overdose o magari avvelenamento. Eppure, non riuscivo a scrollarmi di dosso la sensazione che qualcuno al Dark Heaven mi avesse visto e che quindi presto avrei ricevuto visite indesiderate.
 
Tommy mi salutò con un cenno del capo quando entrai nel locale e con una breve occhiata scorsi, seduti al bancone,  Jake e Scott intenti a scolarsi una birra e a parlottare tra loro in merito a una quantità di soldi vinta “Tommy…” esordii. Jake alzò gli occhi nocciola dal suo amico e incrociò il mio sguardo facendo una smorfia. Sapevo di non essergli simpatico e sapevo anche che, di lui, non me ne fregava niente.

“Come te la passi umh?” domandò Tommy avvicinandosi verso lo sgabello dove mi ero accomodato, lontano dagli altri due. Scrollai le spalle in risposta e alzai gli occhi verso il maggiore degli O’Neill “La principessa dov’è? Sta facendo i compiti?”

Tommy sorrise “Prima o poi insegnerò a Ross come spaccarti il naso, Duroy”

“Spero tu abbia il buonsenso di non farlo mai allora”

Tommy ridacchiò ancora pulendo con uno strofinaccio dei boccali appena lavati “Comunque è di sopra, al telefono”.

Annuii con un cenno del capo e feci per avviarmi al piano superiore “Ah…hai notizie di Sarah Jane?” chiese Tommy. Mi fermai con una mano già sulla maniglia e mi voltai a guardarlo. Anche Jake e Scott mi stavano guardando e io inarcai le sopracciglia “L’ho vista poco fa. Credo che a breve andrà via….le dirò di venire a salutarti” risposi in tono piatto.

“Andare dove?” chiese Jake. Fissai lo sguardo su di lui “Non mi pare di averti incluso nel discorso” borbottai e prima che qualcun’altro aggiungesse qualcosa sparii dietro la porta.

 
 
Johnse’s Pov

Mi grattai la nuca e poi ripresi a tamburellare le dita sul legno del tavolino attorno al quale sedevo. Ezechiele mi dava le spalle, guardando oltre la finestra del motel nel quale mi aveva trascinato. Potevo intuire dalla sua posizione quanto fosse irritato e quanto il mio continuo rumoreggiare stesse per rompere il suo equilibrio. Non che la cosa mi importasse insomma.

Non mi aveva lasciato solo un attimo, da quando avevamo lasciato Caldwell, questo sì che mi infastidiva.

“Uriele non ha parlato di prigionia” sbottai grattando la sedia sul legno del pavimento per alzarmi in piedi. Ezechiele si volse a guardarmi da sopra la spalla “Uriele non ha detto nemmeno il contrario perciò sono libero di fare quello che voglio”.

Quelle parole riuscirono a farmi ad accennare un sorriso “Non direi proprio tutto quello che vuoi, Ezechiele. O io sarei già da qualche parte nell’altro mondo” provocai. Uriele gli aveva dato disposizione di non fare nulla fin quando non avesse deciso in merito alla mia sorte e a quella di Sarah Jane.

Sarah Jane. Buttai fuori l’aria in un sonoro sbuffo. Chissà come se la stava passando.

Presi a camminare per la stanza trascinando pesantemente i piedi e notai le spalle di Ezechiele irrigidirsi ancora di più “Non mi hai più detto come ha fatto Gabriele a convincerti di mandarmi in questa forma a Caldwell….” cominciai, interrogativo.

“E cosa ti fa credere che le voglia dire ora, Johnson?”

Feci spallucce sebbene lui non mi stesse guardando e presi posto sul letto facendo cigolare le vecchie molle sotto il mio peso “Nulla. Ma preferirei che me lo dicessi”

“Gabriele alle volte è troppo buono…non so cosa gli sia venuto in mente nell’insistere per darvi questa possibilità di vita, davvero”

“Non era questa la domanda…” commentai “Ti ho chiesto come ha fatto a convincere te”

Ezechiele si voltò e puntò gli occhi scuri nei miei assottigliandoli leggermente “L’hai capito, no?” domando beffardo e io stirai le labbra diverito. Incrociai le mani dietro la testa e sollevai lo sguardo verso il soffitto giallastro della camera “Che non sei nessuno? Oh sì….Io starei attento fossi in te, Ezechiele.  Lo sai che le mani di grandezza portano alla fossa o, per meglio dire, alla dannazione?”

L’Angelo divenne di un colorito rossastro e si voltò completamente nella mia direzione “Io non ho manie di grandezza”

“Almeno tra i tre tu sei quello che conta di meno…chissà quanti altri sono al di sopra di te lassù. Non dimostrerai a nessuno il tuo valore se insisti nel comportarti così, come fossi senza un cuore.”
 
 
Angolo Autrice
Et….yuppy yeah! Come da consuetudine! :D
Devo ammettere che questi capitoli mi stanno provocando davvero un gran mal di testa. Ho sempre la sensazione che non si capisca nulla di quello voglio far capire….sgrunt! Spero comunque che sia una mia impressione…nel caso fatemi notare i vostri dubbi :) Come vediamo all’inizio ho trovato il mio Uriele e il mio Ezechiele <3 Ditemi che ne pensate voi. Grazie a Killuale che mi ha salvato dall'esaurimento con tinypic <3
Vorrei ringraziare EndlessLoveeee che ha inserito la storia sia tra le preferite che tra le seguite <3 e poi vorrei ringraziare Jin Anderson e gingerfox che hanno inserito la storia tra le seguite.
Ps: Avevo intenzione di scrivere una one-shot su Johnse…che ne dite?
PPs:Non manca poi così tanto alla conclusione almeno per come voglio far svolgere il tutto *^*
A presto,
 
Raya_Cap_Fee

 

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** XXXIII ***





 
Essere morti aveva pur sempre i suoi vantaggi, di questo ero riuscita a convincermi con il tempo. Non ero obbligata a nessun tipo di contatto, non ero obbligata a fingere che le persone mi piacessero e nessuno poteva giudicare me a sua volta.
Era una situazione che non mi era mai dispiaciuta dopotutto.

La parte più difficile, se così potevo definirla, era stata la consapevolezza che la Morte fosse davvero tra gli essere umani, non era una semplice fantasia. 

Gabriele era stato al mio fianco quella sera del 1980 ma non gli avevo mai chiesto se fosse stato lui a prendermi o il perché fosse toccato proprio a me. Se si aspettava che piangessi si era sbagliato.

Era cominciata una nuova vita per me, una vita totalmente diversa ma pur sempre solitaria. A parte la compagnia di Gabriele di tanto in tanto e i sei mesi trascorsi con Johnse a New York, la mia esistenza di Morte era stata molto simile a quella della cara vecchia Sarah Jane.

Una vita e una morte solitaria prima di arrivare a Caldwell. Prima di incontrare Tommy, Ross, Henry, Madison e Daniel. Avevo conosciuto  bene così tante persone e loro avevano conosciuto me, apprezzandomi e questa era cosa nuova.


Seduta sul divano, mi guardai intorno nell’appartamento vuoto.
Erano passati tre giorni dall’ultimo incontro con Daniel e ormai avevo la sensazione che non volesse più avere a che fare con me. Non mi rimaneva molto da fare a Caldwell perciò, perché non andarsene?

Uscii fuori in terrazza e rivolsi uno sguardo alla strada.

Uriele mi aveva sospeso dai compiti e, in attesa della sua decisione,  mi rimaneva ben poco da fare se non…Mi ero ripromessa di rivederlo prima di andarmene per sempre e forse non ci sarebbe stata altra occasione.  Mi morsi un labbro e lanciai uno sguardo alla mano guantata.
Era il caso di salutare qualcuno a Caldwell? No, non lo era.  Avrebbero dimenticato in fretta dopotutto.

Rientrai nell’appartamento e decisi di lasciare solo un biglietto sul tavolino del salotto. Dopodiché slacciai il guanto e dopo un ultimo respiro lasciai Caldwell, forse, per sempre.


 
Daniel’s Pov

Ero combattuto. Le parole di Sarah Jane al parco mi avevano tolto ogni dubbio. Era tutto vero, e io ero ancora vivo solo per merito suo.
Almeno io, non Madison.

Le uniche domande che mi ronzavano nella testa erano: Cosa sarebbe successo ora al Folletto? Uriele, come l’aveva chiamato lei, quale pena le avrebbe inflitto per colpa mia? Quanto tempo sarebbe rimasta ancora a Caldwell?

“Daniel?” sbuffò Chelsea  seduta al mio fianco sul muretto davanti scuola.

“Umh?” grugnii in risposta volgendo appena gli occhi chiari nella sua direzione

“A che pensi?”

Non le risposi. Alzai il viso perso un pallido raggio di sole e chiusi gli occhi. Sospirai sommessamente aspettando che la maledetta campanella d’entrata suonasse.

“C’è ancora un po’ di tempo prima di entrare. Posso farti distrarre io” sussurrò nuovamente la ragazza contro il mio orecchio, sfiorandolo sapientamente con le labbra. Aprii gli occhi e le rivolsi uno sguardo “Quante volte te lo devo dire, Chelsea, prima che tu capisca che non mi interessi più?” dissi scostandomi appena “Ho altro a cui pensare” aggiunsi.

Chelsea si passò una mano tra il caschetto nero e mise il broncio “Che palle. Da quando fai il moralista? Non te ne mai importato di me d’altronde…” borbottò tamburellando le dita sul cemento.
Era vero anche quello.

“Non hai proprio una briciola di amor proprio, Chelsea?” sbottai e lei mi guardò sorpresa “Basta schioccare le dita e sei sempre lì, a disposizione, oppure sei tu stessa…Ti ho trattato come una merda in questi anni”

“Me ne sono accorta…”

“Trovati un ragazzo decente…”

Chelsea rise e scese giù dal muretto “Sei ubriaco stamattina? Non fare finta di preoccuparti per me, Daniel. Non c’è bisogno di fare tutte queste storie” disse lei guardandosi intorno nel cortile “Io sto benissimo così” aggiunse lei allungando una mano per darmi un buffetto dalla guancia. Sorrise, divertita “E’ solo che oggi non sei in vena. L’ho capito, sai?” mormorò prima di allontanarsi.

“Io dicevo sul serio, Chelsea!”

 
 
Volevo rivedere Sarah Jane. Occupava i miei pensieri molto più del dovuto e sapevo il perché.  Volevo offrirle il mio aiuto, forse avrei potuto intervenire in suo favore. Anche Johnse era nei guai ma di lui mi importava poco meno di niente, in verità.
Parcheggiai la macchina a Light Street e mi avviai all’interno del condominio accedendo alle scale che portavano direttamente ai piani. Avevo poco tempo prima di ripresentarmi agli allenamenti della squadra.

Bussai al portone del quarto piano interno B e attesi che la ragazza venisse ad aprirmi. Cacciai le mani nelle tasche dei jeans ma quando nessuno aprì la porta ritentai.
“Sarah Jane?” chiamai. E se fosse già successo?

Allungai una mano verso la maniglia e il portone si aprì lasciandomi per un momento spiazzato “Sarah Jane?” chiamai di nuovo appena più nervoso. Entrai e mi guardai intorno. C’era troppo silenzio, forse era uscita.

Guardai in cucina, in bagno, in camera da letto e in salotto. Nessuno, eppure tutto era come lo ricordavo. Non mancava niente.
Lanciai un’occhiata alla portafinestra che dava sulla terrazza e sospirai. Non poteva essersene andata così, senza nemmeno salutarmi.

Guardai sul tavolino e scorsi un foglio bianco piegato in due. Mi avvicinai e lo presi tra le mani, aprendolo.

 

 
Se lo stai leggendo significa che mi sono sbagliata per l’ennesima volta sul tuo conto, Daniel.
Uriele non ha ancora preso la sua decisione ma io ho deciso di andarmene.
Non ha più senso per me, restare a Caldwell. Voglio fare un’ultima cosa, un tuffo nel mio passato.
 
Ti ho dato un’altra possibilità. Non buttarla via inutilmente.
S.J.
 
Rilessi più volte quel biglietto inutile scorrendo lo sguardo sulla scrittura marcata e obliqua. Quello era un biglietto inutile, sì.
Non poteva essersene andata così.  Lei poteva anche aver finito con me ma io no.

 
 
“Vai a prendere Sarah Jane?”

“Umh umh…” risposi a mio nonno, fermo sulla soglia della mia camera, mentre buttavo qualche vestito in un borsone.

“E…perché dov’è andata?” chiese Henry Duroy sempre più sorpreso dalla notizia che mi smuovessi per una ragazza.

“Credo sia ritornata a San Francisco…almeno lo spero. Altrimenti non saprei proprio dove cercarla” mormorai in risposta chiudendo con uno scatto le cerniere.

“Tu non c’entri con questo, vero?”

“Non proprio” misi in spalla il borsone e guardai negli occhi l’unico membro della famiglia che mi era rimasto “Starò via qualche giorno…ti chiamerò” dissi avvicinandolo. Mi limitai a dargli qualche pacca rassicurante sulla schiena “Posso prendere la tua macchina, vero?” domandai.

Henry Duroy ridacchiò “E’ la prima volta che me lo chiedi”

“Scusa…”  mi grattai una guancia ma lui annuì “Vai e riportala qui. Mi piace quella ragazza”

Strinsi le labbra e annuii “Ci proverò” mentii. Sarah Jane non sarebbe mai tornata con me.


Uscii nel vialetto di casa Duroy nello stesso momento in cui due uomini si stavano avvicinando al portone. Mi tratteni dall’imprecare. I guai avevano sempre un tempismo perfetto quando si trattava di me e, guardando quei due non potevo che esserne certo.

 Lanciai un’occhiata al portone chiuso dietro di me e tirai un sospiro di sollievo “Daniel Duroy?” chiese quello più alto. Mi ricordava la scena di un film in cui poliziotti vanno a casa del criminale per arrestarlo solo che, quei due, non avevano l’aria di esserlo.

Ispirai profondamente e mi sistemai il borsone in spalla “Sì” risposi, piatto. Se erano davanti casa mia…

Guardai i due mentre mi avvicinavo alla macchina di Henry. Entrambi avevano i capelli corti e scuri e si somigliavano vagamente, probabilmente erano fratelli. Il più alto, quello che mi aveva chiesto il nome, sembrava di qualche anno più grande “Chi mi cerca?” domandai cercando di restare calmo. Che fossero uomini di Huey?

“Io sono Jason e lui è Sam” rispose quello con un sorriso appena accennato. Sam lanciò uno sguardo alla casa e poi mosse qualche passo verso la macchina “Vai da qualche parte, Daniel?” domandò quasi in tono allegro.

Contrassi la mascella e, accanto alla portiera del guidatore, poggiai il borsone a terra “Perché non mi dite che ci fate qui e la facciamo finita?”

In realtà, se quelli erano uomini di Huey, loro avrebbere finito con me. Jason sorrise “Tranquillo, Daniel. Non c’è alcuna fretta” mormorò sistemandosi il giaccone grigio “Tu conoscevi Huey, vero?”

Eccoci.

Forse Sarah Jane avrebbe fatto meglio a restare.


 
 “Un po’” risposi dopo più di qualche secondo.

“Sappiamo che eri al Dark Heaven, la notte della sua morte” aggiunse Sam guardandomi. Quanto aveva? Trent’anni?

Cominciai a provare un’insolita e fottuta paura.

“Immagino che tu lo sappia già, Sam. E sai anche che non l’ho ammazzato io” risposi teso. Sam guardò suo fratello e quello emise qualcosa di molto simile ad un insano attacco di ridarella “E chi l’ha detto? Non ti sto mica accusando, Daniel. Ho visto io stesso il corpo di Huey e gli altri due. Non mi interessa come li hai fatti fuori…”

“Io non…”

Jason alzò una mano “Volevo solo incontrarti. Sta calmo”. Aggrottai la fronte e osservai Jason “Vieni a casa mia per incontrarmi e dirmi che non t’importa di come sia morto Huey?”
A chi voleva darla a bere?

Jason fece un passo avanti un nuovo sorriso gli balenò sulle labbra. Tese un braccio e mi porse una mano “Volevo solo ringraziarti” disse.


 
Angolo Autrice

Oggi è martedì xD Ma visto che domani non posso, aggiorno oggi per la vostra felicità (?). Allora, il capitolo trentatre! Immagino che non vi aspettaste la partenza di Sarah Jane e invece…chissà. Lascio a voi le opinioni. Vorrei ringraziare come al solito chi inserisce la storia tra le preferite/seguite/ricordate: red_di angelo, Gioacchino e EndlessLoveeee (preferite); jortinijorgito01 (ricordate e seguite); paty87, anime_lovers_98,  LoStregatto e camillac, faccolone e danza99 (seguite).

Inoltre, per la meravigliosa immagine che vedete sopra, devo ringraziare Gioacchino che, gentilmente e senza obbligo, ha photoshoppato Gabriele, Daniel, Sarah Jane e Johnse. Thank u ^_^
Alla prossima settimana,
 
Raya_Cap_Fee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** XXXIV ***





 
Jason fece un passo avanti,  un nuovo sorriso gli balenò sulle labbra. Tese un braccio e mi porse una mano “Volevo solo ringraziarti” disse.

 
Inarcai le sopracciglia, sorpreso “Ringraziarmi?” domandai. Non ero sicuro di aver sentito bene. Perché uno dei seguaci di Huey avrebbe dovuto ringraziarmi per la sua morte? Jason allargò il sorriso e ritirò la mano stringendosi appena nelle spalle.

“Non vedo perché dovresti ringraziarmi, Jason” ripetei aprendo uno degli sportelli posteriori della macchina, per posarvi il borsone “Io non c’entro nulla con la morte di Huey”. Sam, dietro il fratello, ridacchiò “Lo ripete fin troppo spesso eh, Jason?”.

Ispirai profondamente e lanciai un’occhiata in direzione di casa mia “Allora, perché sei così contento della morte di Huey? Non siete tutti amiconi da quelle parti?”

Probabilmente quelli non erano affari miei. Per niente. Poi mi lamentavo di cacciarmi nei guai.

“Huey stava diventando un po’ troppo…fastidioso per i nostri affari. Le sue percentuali sulle riscossioni e le scommesse era notevolmente e scomodamente aumentate” rispose Sam con un mezzo sorriso.

Guardai entrambi “Beh, allora buon per voi. Un vero colpo di fortuna. Ora se permettete…” mormorai, impaziente. Aprii  lo sportello della macchina, pronto a prendere posto al lato del guidatore, quando la voce di Jason mi bloccò nuovamente “Ci rivedremo, Daniel”. Gli lanciai un’occhiata di sfuggita “Spero proprio di no, Jason. Ho chiuso con queste cose”.
Forse.
 


Sarah Jane’s PoV

Quando mi ritrovai nel luogo esatto in cui avevo visto il mio corpo riverso a terra, capii di averlo fatto davvero. Infine, ero ritornata dove tutto era cominciato più di trent’anni prima. Dove avevo scoperto che c’erano due Sarah Jane: il contenitore vuoto, sepolto,  e l’essenza, ancora viva, e uguale in tutto e per tutto al contenitore.

L’essenza, o l’anima,  non moriva mai. Ispirai profondamente l’aria fredda della mia vecchia città e poi soffermai lo sguardo su quella che era stata la mia casa. Non sapevo cosa o chi fosse rimasto della mia vecchia vita. I miei genitori dovevano essere degli ultra settantenni e mio fratello Jamie doveva avere…quarantatre anni.

Mi spostai dal centro della strada e salii sul marciapiede, passando sopra a un piccolo cumulo di neve spalata dalla strada. Strinsi tra le dita il tessuto della tunica nera e alzai il capo per osservare l’abitazione. Era abitata, di questo ero certa.

Il piccolo giardino sul davanti era ordinato e sulla porta bianca dell’ingresso vi era una ghirlanda circolare con delle lucine colorate, visto l’avvicinarsi del Natale. Come casa non era nulla di speciale, due piani, dipinta di un giallo tenue, esattamente come tutte le altre case a schiera del quartiere Nord. Era solo più vecchia,  più vissuta.

Mossi un passo verso il vialetto, accuratamente spalato, e mi chinai sul portalettere ben piantato nel terreno e coperto appena da uno strato di neve: Jamie Donough.

Mi bastò leggere quel nome, il primo di altri sconosciuti, per trattenere il respiro. Non mi ero mai sentita così fortunata come il quel momento. Jamie viveva ancora in quella che era stata la mia casa, e io non ero lì per portarlo via. Avrei potuto vederlo e basta.

Sorrisi mestamente e socchiusi di nuovo gli occhi grigi. In quel momento sentii di poter affrontare qualunque punizione di Uriele.


 
Non entrai in casa Donough. Sapevo che la mia presenza tra quelle mura domestiche avrebbe turbato gli inquilini. Era così, me ne ero accorta col tempo. C’era qualcosa che scattava negli essere umani, come una sensazione di essere osservati. Molte volte mi era capitato di fissare qualcuno e quello si voltava, a disagio, come se avesse avvertito la mia presenza alle sue spalle.  

A volte, per noia, l’avevo fatto per strapparmi un sorriso ma non l’avrei mai ripetuto con mio fratello. Attesi, in piedi e invisibile, al centro del vialetto di casa. D’altronde, avevo tutto –o quasi- il tempo del mondo per pensare,  o per aspettare.


 
Daniel aveva letto il mio biglietto? Era nel mio appartamento?

 E Johnse? Il mio Johnse. Non avrei permesso ad Ezechiele di vincere. Avevo detestato quella Morte petulante per la metà del tempo che ci avevo trascorso, dieci anni prima, poi però le cose erano cambiate. Avevo capito chi era davvero Johnson Fields.

Non un figlio di buona donnna tagliato per farmi saltare i nervi ma un ragazzo legato ad un’idea di giustizia troppo umana e istintiva. I cattivi dovevano morire e i buoni dovevano essere vendicati. Ecco come funzionava la mente di quel texano. Ce ne avevo messo di tempo per convincerlo a non cacciarsi nei guai e attenersi alle regole.

Nessuno, anch’io, poteva davvero credere di fare la cosa giusta prendendo l’anima di un vecchio ucciso in casa durante una rapina oppure prendere l’anima di una ragazza seviziata da un gruppo e poi ammazzata. Nessuno, eppure…

C’era qualcosa di sbagliato nel mondo, i vivi stessi lo dicevano, eppure da quest’altra parte…sembrava non essere poi così diverso. E potevo affermare che Johnse ci era arrivato brillantemente vent’anni prima di me.


 
Trasalii quando vidi la porta d’ingresso aprirsi di scatto, non ero preparata a rivedere mio fratello così all’improvviso. Non era stato  lui ad aprire la porta però.

“Andiamo! Papà!” urlò la bambina guardando fuori. Non potevo vederla bene, imbacuccata com’era nel piumino nero e con un cappello di lana. Dall’altezza doveva avere sette o otto anni, con un viso lentigginoso e gli occhi scuri dal taglio uguale a quelli di mio fratello.

“Faremo tardi!” gridò di nuovo incrociando le braccia al petto. Sorrisi d’istinto ricordando quando Jamie si comportava esattamente in quel modo, quando era impaziente di andare da qualche parte. Mi morsi un labbro e ispirai profondamente.

Faceva male, all’improvviso faceva male ricordare.

“Mamma!”

“Un attimo, Marlene” rispose una voce femminile prima di apparire sull’uscio. In braccio teneva un bambino di due anni al massimo, i capelli castani e gli occhi vispi  e che balbettò qualcosa che non riuscii a capire “Per favore, Seth. Non cominciare anche tu umh?” parlò la donna voltandosi verso l’ingresso.
Doveva essere di qualche anno più giovane rispetto a Jamie, il viso rotondo incorniciato da voluminosi e mossi capelli castani.  Scoccò un bacio frettoloso sulla testa di Seth e poi si guardò intorno soffermandosi, almeno così mi parve, un attimo in più del dovuto sulla mia figura.
“Arrivo, arrivo…sempre di fretta, eh, Marlene? Le patatine non scappano mica dal Mc Donald’s, sai?”

Eccolo lì. Jamie.

Apparve sulla soglia, composto, una camicia azzurra e dei jeans sotto il giubotto sbottonato. Era esattamente come lo ricordavo, solo più vecchio e appesantito. Era alto, dalle spalle larghe e con un accenno di pancia sull’addome. I capelli tagliati corti erano ancora dello stesso colore di quello della mamma, la fossetta sul mento era ancora lì, quella per cui lo prendevo in giro quando era piccolo.

“Jamie?” mormorai, senza accorgermene mi ero avvicinata al piccolo portico antistante l’ingresso.

 “Cosa c’è?” rispose Jamie.

Sgranai gli occhi e mi feci indietro spaventata dall’idea che in qualche modo potesse vedermi “Cosa?” rispose la donna voltandosi verso il marito.

“Hai detto qualcosa?” rispose Jamie chiudendo il portone e girando la chiave nella toppa.

“N..”

“Andiamo?” li interruppe Marlene. Mi spostai al centro del giardino, per evitare che, nel raggiungere la macchina parcheggiata poco più in là davanti al garage, mi attraversassero. Mio fratello era sposato e aveva una famiglia.

Jamie prese dalle braccia della donna il piccolo Seth e gli sistemò la sciarpa intorno al collo “Farai il bravo, Seth?” domandò verso il bambino che annuì prima di mollargli una manata sulla testa.

“Direi che comincia proprio bene” replicò con un mezzo sorriso la donna. La guardai meglio per capire che tipo di donna condivideva la vita con mio fratello. Era magra, e a giudicare dal modo disinvolto in cui si muoveva sui tacchi era abituata a portali, le mani erano liscie e perfettamente curate come le unghie. Forse era donna d’ufficio oppure una donna di casa moderna, di quelle che riuscivano a fare tutto in casa e fuori senza sembrare delle disperate.

Jamie emise una risatina divertita e insieme si mossero tutti verso l’auto, in testa, Marlene.

Avrei voluto seguirli, conoscere meglio Marlene e la madre, avvicinarmi a mio fratello e conoscere l’uomo che era diventato invece, li osservai allontanarsi in auto. Una morsa a stringermi lo stomaco.


Tornai a guardare la casa e visto che non avrei rischiato di turbare nessuno, decisi di entrare.

L’interno era cambiato, visibilmente ristrutturato al contrario dell’esterno. La cucina non aveva più i mobiletti bianchi e le piastrelle paraspruzzi colorate ma una di quelle moderne, simile a quella della mia dimora a Caldwell con la penisola e tutto il resto. Alle finestre con c’erano più le tende a strisce e per terra la moquette grigia era stata sostituita da un parquet di legno scuro.

Tutto sommato, era molto meglio, eppure non c’era nulla che mi ricordasse casa. A parte una cosa sul camino spento.

La scorsi con la coda dell’occhio mentre passavo per salire al piano superiore. Mi voltai piano e vidi la foto. Un sospiro mi sfuggii dalle labbra e poi una risatina nervosa e muta risuonò nell’ambiente.

Qualcosa di me c’era.

Mi avvicinai e mi chinai per poter guardare bene la foto. Ricordavo bene il giorno in cui era stata scattata. Avevo diciotto anni e durante la primavera e un weekend libero di mio padre eravano andati a fare un pic nic fuori città. Uno dei pochi che avevamo fatto, in verità.

La mamma con un abito scuro, a fiori, era inginocchiata sulla tovaglia a scacchi e teneva un braccio intorno alle spalle di Jamie, nel tentativo di attirarlo a se. Io ero seduta a gambe incrociate, leggermente inclinata verso Jamie, con indosso una delle larghissime T-shirt di mio padre e i capelli scompigliati da una folata di vento. Alla mia sinistra, mio padre sorrideva all’obiettivo, il mento poggiato alla mia spalla.

Se solo avessero saputo quello che sarebbe successo. Se solo avessero saputo cos’ero diventata.

Allungai le dita per sfiorare il contorno della foto e accennai un sorriso mesto. Avevo deciso ormai, avrei trascorso il tempo che mi rimaneva al fianco della mia famiglia.
 
 

Angolo Autrice
*Distrutta e  terribilmente insoddisfatta* Il capitolo trentaquattro è arrivato e non so sinceramente se sia come volevo che fosse :/ Sarà il troppo cibo di Pasqua a compromettere la scrittura? xD Vabbè spero che voi troviate qualcosa che vi piaccia anche in questo capitolo o nel caso contrario, sentitevi liberi di farmelo notare. Volevo ringraziare jortinijorgito01 (preferite); Traum e juliez jewel (seguite) e in generale tutti voi lettori che seguite/preferite/ricordate questa storia.
Detto questo, spero anche l’immagine vi piaccia. Io e Photoshop ci stiamo conoscendo un po’ meglio…anche se siamo ancora lontani dallo stabilire una relazione seria (da notare le condizioni le Daniel xD) ops...

Volevo invitarvi a passare dalla mia nuova storia Eins, Zwei, Polizei! (non ho idea di come inserisca il collegamento diretto)
. Non è la nuova soprannaturale ma qualcosa di “leggero” cominciata pochi giorni fa.
Un bacione,

Raya_Cap_Fee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** XXXV ***



 


Johnse’s Pov

Ispirai profondamente e con le dita massaggiai le palpebre pesanti. Quanti giorni erano trascorsi da quando Ezechiele mi aveva portato in quel motel? Ormai avevo perso il conto. La compagnia dell’Angelo –sempre più irritato- non era delle migliori, specie perché nessuno degli altri era venuto a informarlo. Ezechiele doveva sentirsi estremamente frustrato dalla totale indifferenza di Uriele.

Certamente, se avesse partecipato alla discussione che stavano tenendo Gabriele e Uriele in una qualche parte dell’Universo, non sarebbe stato di certo per difendermi. Di questo potevo esserne più che certo. Al contrario di Gabriele –che stava tentando sicuramente di giustificare Sarah Jane-, Ezechiele era di un altro avviso.

“Vedrai che presto sarai accontentato, Johnson”

La voce di Ezechiele risuonò soddisfatta nella camera fino a quel momento silenziosa. Mi scostai le mani dal volto e alzai appena la testa dal cuscino del letto per lanciare un’occhiata ad Ezechiele. Era seduto, rigido, sulla sedia del tavolino addossato al muro “A quale proposito, Ezechiele?” ribattei. Dalla nostra ultima discussione l’Angelo mi aveva parlato poco o niente.

“Lo sai, a che proposito” rispose l’altro, irritato. Inarcai le sopracciglia e mi tirai a sedere “Fai tanto il misterioso…” mormorai. L’Angelo voltò il capo nella mia direzione e assottigliò gli occhi neri “Stanno per decidere. Lo sento”.

Un leggero brivido mi percosse la schiena “Stanno? Tu non sei interpellato?”

Ezechiele arricciò appena le labbra in una smorfia “Smettila di provocarmi, Johnson. Io agisco di conseguenza alle tue azioni e mi attengo alle regole. Nulla di più, nulla di meno”

Feci una smorfia “Tu non capisci” sbottai “Tu non capisci proprio niente, Ezechiele”. Mi alzai in piedi e mi avvicinai alla finestra per evitare di guardare l’Angelo in faccia “Hai mai pensato a cosa uno di noi possa provare a togliere la vita, Ezechiele? Per un attimo, nella tua eternità, ci hai mai davvero pensato? Hai provato a metterti nei miei panni?” mi voltai a guardarlo, le labbra contratte.

Ezechiele mi fissava in silenzio, impassibile.

“Ci hai mai provato?” chiesi, tagliente.

“No” rispose lui semplicemente.

“Quindi non puoi sapere cosa si prova. Non puoi sapere cosa si prova a essere vivo e un attimo dopo a essere morto. Non sai, cosa si prova  a dover accettare quello che si è diventati. Non mi è mai stato chiesto se volessi farlo, Ezechiele” dissi tutto d’un fiato. Sentivo che non avrebbe mai capito.

Tu non mi hai chiesto se volessi essere la morte. E Gabriele non l’ha chiesto a Sarah Jane. Perché ti lamenti, dunque, se la mia condotta non è eccellente. Io non voglio, Ezechiele. E’ per questo che ti ho sempre creato problemi”.

L’avevo detto. Dopo vent’anni finalmente l’avevo detto apertamente. Io non ero adatto a quella non-vita. Non ero adatto a sottostare a quel tipo di ordini. Era per questo che ero risultato sempre scomodo. Avevo tolto la vita a qualche persona in più, che lo meritava. Non era sbagliato.

“Perciò fai quello che ti pare…decidete quello che dovete decidere. Io voglio chiuderla qui” aggiunsi.

L’Angelo sollevò appena le sopracciglia “Dunque non vuoi essere una Morte, Johnson. Semplicemente non vuoi più essere la Morte” ripetè lui in tono piatto. Parlare con lui era sempre snervante. Incrociai il suo sguardo e strinsi le mani a pugno, lungo i fianchi.

“Esatto. Se vuoi mandarmi all’inferno, fallo pure adesso”.

Ezechiele mi rivolse uno sguardo e un leggero sorriso gli increspò le labbra “Mi spiace,  Johnse. Lo sai che non posso per via di Uriele. Sono curioso di sapere cosa penserà lui di quanto mi hai detto, invece” tamburellò con le dita sul legno laccato “Anche se la tua opinione varrà ancora meno della mia, in questo caso”.

Continuai a fissarlo per un momento e poi socchiusi gli occhi, lasciandomi andare ad un sospiro rassegnato. Era inutile con Ezechiele.

 
Sarah Jane’s Pov

Un brivido mi percosse la schiena e mi voltai a guardarmi le spalle. Che strano, sentirsi osservati anche nel totale anonimato che mi forniva l’invisibilità. La sera precedente avevo vagato ancora un po’ nella mia vecchia casa ma, a parte quella foto, non c’era stato nulla a ricordarmi la mia vecchia vita. Avevo aspettato il ritorno di Jamie e poi ero uscita di nuovo in strada, sotto il cielo della mia San Francisco.

Ero ancora lì, d’altronde, davanti casa. In quella forma non avevo alcune delle esigenze umane degli ultimi tempi. La neve aveva ricominciato a cadere e mancavano tre giorni alla Vigilia di Natale. Guardai il marciapiede e poi la strada. Era quello in punto esatto in cui avevo visto il mio corpo riverso a terra.

Non uno dei migliori spettacoli, comunque.

In casa non avevo trovato nessuna traccia del passaggio dei miei genitori. Non potevo di certo chiedere a Jamie che fine avessero fatto anche se, una minima parte di me, aveva desiderato mostrarsi al suo ritorno a casa. Forse si erano trasferiti, forse Jamie non aveva rapporti con loro, forse erano morti. Come potevo saperlo? L’idea di non rivederli però, prima di conoscere il mio destino, mi intristiva. In fondo, erano pur sempre i miei genitori e mi avevano voluto bene.

“Marlene! Marlene!” la voce di Hannah –così come riportava il portalettere- risuonò sotto il portico della mia vecchia casa. La bambina dai capelli biondo cenere si fermò di scatto a metà vialetto “Non correre. Te l’ho detto mille volte” continuò la madre in direzione della figlia.

Stirai le labbra in un sorriso e chinai lo sguardo su Marlene.

“Andiamo, forza” disse Jamie interrompendo uno scambio di sguardi infuocati madre-figlia, con Seth in braccio. Era difficile capire cosa provavo nei confronti di mio fratello. Quando era nato, ero stata gelosa di come mia madre lo preferisse a me. Quando era diventato un ragazzino l’avevo trovato ancora più irritante.

Eppure, nelle volte in cui avevo pensato alla mia morte, ero sempre stata contenta che al posto di Jamie fossi morta io. A vederlo lì, a distanza di trent’anni da quella sera, non potevo che esserne felice. Superata ogni forma di gelosia o disprezzo adolescenziale, potevo finalmente conoscere meglio Jamie.

Quasi mi sentii matura.

“Dove andiamo, papà?” chiese Marlene, agitata.

“Andiamo a trovare la zia” rispose Jamie assicurando Seth al seggiolino in macchina.

Ci misi qualche momento a recepire quelle parole. Aggrottai la fronte e inclinai leggermente la testa da un lato. Potevano esserci tante zie da andare a trovare. Le sorelle di Hannah , per esempio. Era altamente improbabilmente che mia madre avesse avuto un’altra figlia dopo la mia morte perciò…
Avrei voluto che Marlene facesse un’altra domanda invece, si limitò ad annuire e ad arrampicarsi nel sedile posteriore dell’auto. Quale zia, Jamie? Una parte di me sperò che si trattasse di me.

E, dopotutto, c’era un solo modo per scoprirlo.


 
Gabriele’s Pov
Ricambiai lo sguardo di Uriele e poi annuii. Ci avevo provato. Avevo fatto del mio meglio. Intorno a noi due, in un luogo indefinito ed evanescente, c’era ormai il silenzio assoluto. Gli altri Angeli se ne erano andati, lasciandosi nuovamente soli, come all’inizio di quella discussione. Ispirai profondamente l’aria profumata e cercai di calmarmi, di dare un senso a tutto quello che era appena successo, a tutto quello che era stato appena deciso.

Uriele mosse qualche passo sulla superficie nebbiosa sulla quale eravamo sospesi.

“Quando?” mormorai dopo un lungo silenzio. Dovevano essere trascorsi molti giorni sulla Terra, ormai. Il tempo, nel nostro regno, veniva scandito a ritmi diversi.

“Ti avvertirò, Gabriele. Ora, non è il momento. Non ancora”.

Uriele poggiò una mano sulla mia e io mi voltai appena a guardarlo “Andremo insieme”. Annuì lentamente e un sospiro tremante mi uscii dalle labbra.
Uriele scomparve e io strinsi gli occhi. Ero solo. Mi misi a sedere e sospirai nuovamente.

Che cosa avevo combinato?

“Mi dispiace” sussurrai e sentii le lacrime bruciarmi gli occhi.

 
Sarah Jane’s Pov

Camminavo dietro la famiglia Donough in silenzio. Era così da quando avevamo varcato il cancello del San Francisco National Cemetery. Avevo il respiro accellerato, l’aria di cui non avevo bisogno sembrava comunque mancarmi. Sentivo le mani sudate e lo stomaco in subbuglio.

“Non farlo, Jamie. Non mostrarmela” continuavo a ripetere sottovoce. Intanto li seguivo, nel viottolo di pietra tra le tombe immerse nel verde e nella neve. Non riuscivo a fermarmi, dopotutto.

Ero sicura che Jamie stesse per visitare la mia tomba. Una tomba che non avevo mai voluto vedere.

La famiglia si inerpicò su per la leggera pendenza e poi si fermò, giunta quasi in cima. Senza rendermene conto, mi ritrovai a pochissima distanza dalla schiena di Jamie. Era abbastanza alto da nascondermi la vista della zia Sarah Jane.
Vidi Marlene giungere le mani e socchiudere gli occhi. Non sentivo cosa stesse mormorando eppure ero quasi sicura che stesse pregando, per me.

Per essermi ritenuta sempre coraggiosa, era patetico che non volessi vedere semplicemente il posto in cui, almeno le mie spoglie mortali, erano custodite.
Mi nascosi più dietro Jamie, il silenzio era quasi surreale in quel posto, rotto solo dal mormorio sommesso di Marlene. La mia Marlene.

Mi morsi un labbro e guardai la nuca di Jamie. Era bello sapere di non essere stata abbandonata da lui, noi che ci detestavamo tanto.

Stirai le labbra in un sorriso e poi successe “Andiamo” disse Jamie. Prima che potessi muovermi lui si era già voltato e aveva mosso un passo, attraversandomi.
Jamie si fermò di scatto e si voltò nuovamente verso la mia tomba, ora scoperta anche alla mia vista. Mi voltai in fretta a guardare Jamie e incrociai il suo sguardo, gli occhi scuri presi dalla mamma.

“Jamie?” domandò Hannah, la fronte aggrottata, mentre lo aspettava già a qualche metro di distanza con Seth e Marlene. Sostenni lo sguardo di Jamie, ben conscia che non potesse vedermi, solo avvertirmi “SJ?” sussurrò.

Socchiusi gli occhi e ispirai forte.

“Papà?” chiamò Marlene cercando di acchiappare qualche fiocco di neve. Jamie non si voltò a guardarla. A volte, gli esseri umani non si sbagliavano in merito alla loro sensazioni di essereosservati da qualcosa di non vivo. Mio fratello mosse nuovamente un passo nella mia direzione “SJ?”.

Quanto desiderai potergli rispondere.

“Jamie, ti senti bene?” domandò preoccupata Hannah, tornando indietro e scrutando il profilo di suo marito.

Jamie sembrò riscuotersi e distolse lo sguardo dal mio “Ah, sì. Scusami” rispose lui. Hannah gli strinse un braccio e Jamie stirò le labbra in un sorriso “Ti aspettiamo giù” mormorò la moglie.

Tuttavia, Hannah era allontanata appena di qualche passo quando Jamie tornò a parlarmi “Ti voglio bene, SJ” sussurrò in fretta prima di voltarsi e scendere giù dalla collina.

Mi sentii come in procinto di esplodere. Sentivo la gola chiusa e gli occhi bruciare.

Mio Dio, ero patetica.




Angolo Autrice

Salve salvino! Eccomi qui con il capitolo trentacinque…che impresa ^_^”.  C’è stata, per così dire, una novità: il primo Gabriele’s pov. E’ corto, lo so, però mi sono ritrovata a volerlo inserire giusto per far capire qualcosina in più o magari confondervi ahaha C:
Vorrei ringraziare Eowyn_w_, Mary Cortot, sxds, beacameli e muahahahah che hanno inserito la storia tra le preferite. Vi adoro.
Al prossimo capitolo (sperando che questo vi sia piaciuto),

Raya_Cap_Fee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** XXXVI ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA


 
Sospirai sommessamente e guardai Jamie allontanarsi fin quando non scomparve alla mia vista. Mio fratello mi aveva in qualche modo percepito anche se, ne ero certa, l’aveva ritenuta solo una sensazione. Dietro di me c’era qualcosa che dovevo ancora vedere perciò, mi girai lentamente. La semplice lapide di marmo grigio era conficcata nel terreno, laddove giacevano da anni i miei resti mortali.

Una foto mi ritraeva pochi mesi prima dell’incidente , una di quelle in cui, per puro caso, accennavo  un sorriso sincero alla macchina fotografica e a mio padre. A guardare la lapide non capii perché in tutti quegli anni mi ero sempre rifiutata di vederla. Ora che ero lì, non mi spaventava più di tanto.

Alzai gli occhi oltre la collina e scorsi il Golden Gate di San Francisco, il famoso ponte, e lo skyline dei grattacieli. Era un bel posto per riposare, quello, almeno per le mie care ossicine. La vera Sarah Jane era altrove. Mi guardai intorno per essere certa di essere sola e poi recuperai dalla tasca della tunica il mio guanto nero. Poteva essere una scelta pericolosa, quella di rendermi nuovamente visibile. Qualcuno si sarebbe di certo turbato a vedere la copia esatta di una persona –morta trentatre anni prima-, inginocchiata  davanti alla lapide. Ricontrollai di essere sola e poi, nell’approfittare della mia semi-umanità, mi riapproriai della mia persona. Poteva essere una delle mie ultime occasioni di avere un aspetto umano.

In un certo senso, quella forma riusciva ad amplificare le mie emozioni. Alle volte era un bene. Sentirsi vivi.

 Allungai le dita della mancina e sfiorai con le dita i contorni  della lapide, piegandomi appena sulle ginocchia.  Infine mi accovacciai, circondandomi con le braccia le ginocchia coperte da pantaloni scuri, gli stessi con cui mi ero allontanata da Caldwell.

“Ciao…” soffiai, lanciando una breve occhiata alla foto che mi ritraeva. Lasciare Caldwell mi era sembrata la scelta più giusta, il giorno prima, ma non ero poi più così tanto sicura. Avevo rivisto Jamie, certo,  non sapevo che fine avessero fatto i miei genitori ma lasciare Daniel? E se Uriele non avesse mantenuto la parola?

“Cose di questo tipo non si vedono tutti i giorni”.

Trattenni il respiro al suono di quella voce, a poca distanza dietro di me. Mi irrigidii e allo stesso tempo sentii qualcosa sciogliersi all’altezza del cuore. Come? Perché? Mi ritrovai ad essere sommersa da una quantità esorbitante di emozioni. Mi ero sbagliata. Clamorosamente sbagliata.

Schiusi le labbra e serrai per un attimo le palpebre. C’era qualcosa di sbagliato nel fatto che Daniel Duroy fosse lì, a pochi metri da me.

“A cosa ti riferisci?” mormorai cercando di mantenere un tono calmo e trattenendo l’istinto di voltarmi a guardarlo.

“Mi riferisco al fatto che non ho mai visto nessuno piangere sulla propria tomba…”  rispose Daniel. Era più vicino, forse a qualche passo. Il suo tono piatto tradiva appena un po’ di nervosismo, ma Daniel era bravo a nascondere ciò che provava.

“Io non sto piangendo” ribattei secca. Sapevo che se Daniel era lì, a San Francisco,  era unicamente per me e la cosa mi sollevava ma mi rendeva anche irritata. A che gioco stava giocando Duroy?

 Tornai in piedi , di spalle, e con le mani pulii i pantaloni all’altezza delle ginocchia.

“Perché sei andata via così?” chiese Daniel . Poco più di un passo, lo percepivo.

“Gli addii non sono il mio forte e mi sembrava di non essere più tanto gradita dalle parti di Caldwell” sfiorai nuovamente con le dita i contorni della lapide e, nel silenzio, ero certa che Daniel stesse guardando.

“Speravo di trovarti. Ci ho messo un po’ di tempo ma, alla fine, ce l’ho fatta” mormorò Daniel. Alzai appena il mento mentre qualcosa si smuoveva di nuovo all’altezza dello stomaco. Sollievo o agitazione?

“Daniel…”

Cosa dirgli? Dovevo chiedergli il perché fosse partito da Caldwell per venire a cercarmi?

“Io dovrei odiarti” aggiunse il ragazzo, senza lasciarmi il tempo di formulare. Quelle parole mi trafissero da parte a parte, mozzandomi il respiro. Mi voltai lentamente verso Daniel e trovai i suoi occhi già piantati all’altezza dei miei, luminosi eppure inespressivi. Era uno sguardo che ormai conoscevo, quello. Uno sguardo in cui rimasi intrappolata. Io avevo contribuito a rendere più buia la vita di quel ragazzo di vent’anni, portandogli via Madison.

Potevo davvero biasimarlo per il fatto che volesse odiarmi?

“Sì, dovresti” articolai a mezza voce. Eppure, una parte mi me, sperava che non fosse lì soltanto per dirmi che mi odiava.

“Dovrei, ma non ci riesco. Non ora che vedo quanto tu stessa soffri la tua condizione e nemmeno prima, quando ho deciso di trovarti. Quando ho avuto paura che fosse già tutto finito, per te”.

“Daniel…”

“Sarah Jane…” mi interruppe alzando appena una mano “Vorrei esserti d’aiuto”.
 


JOHNSE’S POV

La nevicata infuriava fuori le finestre del motel rendendo tutto, ancor di più, asfissiante. Non mi piaceva la neve, anche perché, era l’ultima cosa che avevo visto da vivo. Un bel tappeto candido e freddo dove avevo trascorso i miei ultimi e spiacevolmente agonizzanti minuti.


“Tu non devi guardarla, non devi sfiorarla e non devi nemmeno pensare di metterle le mani addosso come a una ragazzetta qualunque dei bassi fondi che frequenti. Compreso, Johnse?”

Avevo sollevato le sopracciglia di fronte agli ordini non tanto velati di Ethan Withake, detto Silver Blade, di tenermi lontano da sua sorella.

“Non è colpa mia se me la ritrovo sempre tra i piedi, Ethan”

In realtà io e Maci ci ritrovavamo tra i piedi a vicenda, e sempre volontariamente. Silver Blade dal basso del suo metro e sessanta era comunque in grado di incutere un certo timore. Non per niente era chiamato Lama d’argento. Si sapeva che gli piaceva piantare coltelli ai tipi che non gli andavano a genio, a Pasadena.

Ethan si era irrigidito e aveva messo una brutta espressione “Noi due non siamo amici, non chiamarmi per nome”

“Se è per questo nemmeno tu sei mio amico, Ethan. Ora dovrei buttare questa, se permetti…”

Detestavo i gradassi, soprattutto i gradassi ricchi e figli di papà. Avevo agitato il sacco nero e avevo scansato Ethan e il suo braccio destro, Big C. Il mio turno serale alla tavola calda del vecchio Charlie era quasi finito e non vedevo l’ora di iniziare la mia, di serata. Senza nessuno di quei due intorno.

“Se ti vedo girare di nuovo intorno a Maci me la paghi, Johnse”

“Le piaccio, Ethan. E lei piace a me. Dovresti essere solo contento per lei, invece di comportarti come uno dei peggiori stronzi” avevo commentato, secco, richiudendo il cassonetto nel vicolo dietro il locale. Ethan si era voltato nella mia direzione e una smorfia gli aveva increspato il volto da trentenne accuratamente sbarbato.

“Stronzo, io? Attento, Johnse, potrei perdere anche le staffe e farti secco in questo vicolo”

Il mio problema, ora come allora, era quello di non saper tenere la bocca chiusa e incassare in silenzio.

“Non avevi nient’altro di meglio da fare stasera, Ethan? E tu, Big C?” avevo ribattuto scrollandomi i capelli dai fiocchi di neve che, da quel pomeriggio invernale, disturbavano Pasadena.

“Sarai anche suo fratello, Withaker, ma Maci ha abbastanza cervello per desidere da sé della sua vita”

“Ha diciannove anni. E tu la importuni, Fields. Me l’ha detto lei”

Avevo accennato un sorriso e scosso la testa “Certo, le chiederò conferma più tardi, quando abbiamo preso appuntamento per vederci”. Stavo per uscire dal vicolo e rientrare nella tavola calda, per riprendere il giaccone e andarmene, quando avevo sentito quel dolore lancinante tra le scapole.

“Tu non la vedi più, mia sorella, Fields” avevo sentito al mio orecchio.

Quella coltellata era stata la prima di diciotto.

Non ero ancora morto quando Ethan Withaker e Big C se ne erano andati sgommando, nella macchina parcheggiata in strada. C’era solo un dolore sordido al torace, una sostanza viscosa e calda a imbrattarmi la maglia e a rendere appiccicose le dita che cercavano di tamponare. La guancia che era schiacciata contro l’asfalto del vicolo stava perdendo di sensibilità e l’ultima cosa che avevo messo a fuoco guardando verso il mio fianco, era stata la neve fresca sciogliersi al calore del mio sangue.


Mi riscossi con un singulto e chiusi con uno scatto le tende che davano sulla strada. Ezechiele era sparito da quella mattina senza dirmi dove andava. Non che mi importasse più di tanto in realtà. Mi sdraiai sul letto e incrociai le braccia dietro la nuca. Uriele mi aveva chiesto se credevo di meritare la mia morte. Avevo risposto di sì, perché ero stato uno stupido quella sera, nel vicolo.

Uno stupido gradasso come Silver Blade. Certo che l’avevo meritato.

Tirai un sospiro e massaggiai le palpebre chiuse.

“Brutti pensieri, Johnson?”

Sussultai e riaprii di scatto gli occhi, fissandoli sulla figura di Uriele, ferma ai piedi del letto, candidamente avvolta dalla tunica bianca dell’ultima volta. In viso aveva la stessa espressione a metà tra il serio e l’ilare. Gli occhi verdi erano puntati sul mio viso ed ero sicuro che sapesse benissimo a cosa pensavo.

“Può darsi” risposi comunque, mettendomi a sedere. Uriele non si mosse “Certo…” ribattè con un lieve cenno del capo.

“Suppongo che abbiate deciso. Non è così?”

“Siamo giunti ad una conclusione, sì. Prima però volevo parlare un po’ con te, Johnse”


 
DANIEL’S POV

Guardai Sarah Jane, chiusa in uno strano mutismo dopo la mia frase. Stavo tentando di tenermi il più inespressivo possibile ma lei sembrava scrutarmi dentro. Ci avevo messo un po’ di tempo per trovarla, quello non era l’unico cimitero di San Francisco.

Al cancello avevo incontrato una famiglia. La bambina correva avanti urlando qualcosa al padre in merito a dei regali solo che, a quanto avevo visto, il padre non l’aveva neanche ascoltata. Proseguendo avevo intravisto sul pendio della collina i capelli arancioni. Era stata sciocca a rendersi visibile in quel modo ma non avevo potuto fare a meno di provare sollievo.

“Lasciami parlare con qualcuno” tentai nuovamente ma stavolta fu lei a interrompermi.

“E’ inutile. La colpa di ciò che è successo non è tua. Sono io che devo aiutarti, Daniel. Tu non puoi fare granché per me, io sono morta da un pezzo mentre tu sei vivo” ribattè Sarah Jane. Gli occhi grigi sembravano più scuri per quante cose le si agitavano dentro. Non avevo dimenticato quanto mi aveva detto a Caldwell. Lei era innamorata. Di me.

“Voglio tentare”

“No”.

Mi trattenni dallo sbuffare e lei se ne accorse. Stirò appena le labbra imbronciate in un sorriso “Sono segretamente contenta di vederti, però” aggiunse lei, ispirando profondamente. Il viso le si era tinto appena di un rossore diffuso.

“Se me lo dici non è più un segreto”

“Ormai non vale la pena di nasconderti più niente” ribattè lei, decisa. Poi si incamminò verso la cima del pendio e io la seguii in silenzio mentre l’aria fredda si insinuava tra i vestiti. La affiancai e guardai in direzione del ponte e dell’acqua scura. C’era un silenzio quasi surreale tutt’intorno, nonostante quella fosse una città caotica.

“Non lo trovi un bel posto, per essere in pace?” mormorò Sarah Jane. La voce aveva tremato appena ma, nel voltarmi a guardarla, mi accorsi di come lei riusciva a mascherare ugualmente ciò che la turbava agli altri.

“Sì” sussurrai.

“Le mie ossa sono fortunate”.

Capii cosa volesse intendere e nonostante i miei sentimenti contrastanti per lei non potei fare a meno di allungare la mano sinistra per stringerle le dita gelate.


 
Angolo Autrice
Ebbene sì. Sono tornata. Mi scuso tanto con voi ma come vi ho detto nell’avviso è stato ed è un periodo ancora caotico per me. Pubblico questo capitolo che è stato parcheggiato inconcluso da settimane e finalmente trovo il tempo di farlo leggere anche a voi. Ringrazio tutti voi che seguite/preferite/ricordate questa storia perché, alla fine, io scrivo anche per voi. Inoltre, ringrazio chi nel frattempo ha scoperto questa storia quindi: Fifilla995, Nutella_Girl, Melina99 (preferite); Koaluch, livefearless, happyness elly, Marargol, ant0n3lla, Nicole_chan, _Mars, robbie25, Garfield, Roswind, lalu0395 (seguite); solenia21, irly, hogvarts (ricordate).
Alla prossima (spero più presto)! Un bacione,
 
Raya_Cap_Fee

 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** XXXVII ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA



 
 
“Il tuo amore è come un soldato, leale fino alla morte”
James Blunt-Bonfire Heart (Traduzione).

 
 
JOHNSE’S POV

Inarcai un sopracciglio nell’udire le parole di Uriele “Credevo che non ci fosse dato parlare…” dissi con un filo di sarcasmo. L’Angelo stirò le labbra in un sorriso e, prima di accomodarsi sulla sedia accanto al tavolino, si lanciò un’occhiata intorno.
“Le cose cambiano, Johnson, o almeno…possono cambiare con un piccolo aiuto” ribattè lui.

Aggrottai appena la fronte e mi appoggiai ai gomiti, ancora mezzo sdraiato sul letto “Cioè?”. Gli Angeli sembravano avere il vizio di lasciare interpretare le frasi, una cosa che non sopportavo in Ezechiele, tra le tante.

“Come certamente avrai…percepito siamo giunti ad una conclusione in merito a ciò che è accaduto e che riguarda te e Sarah Jane…”

Non mi chiesi nemmeno quanti di loro ne avessero discusso. Feci un cenno del capo e lo invitai a continuare.
“Volevi offrirti una possibilità di salvezza, Johnson Fields”

Offrire.

“Quindi l’esito di questa vostra discussione include un biglietto di sola andata per l’inferno?” ribattei secco, mettendomi seduto. Uriele mi guardò appena, gli occhi verdi interessati più all’arredamento che a me.

“Non dire così, Johnse. Nessuno ha parlato d’inferno” replicò con calma l’Angelo tornando a guardarmi. Un brivido leggero mi percosse la schiena.

“Allora di cosa stai parlando?”. Avevo la sensazione che la mia salvezza sarebbe costata qualcosa di brutto a qualcuno.

“Come dicevo..”cominciò Uriele, seccato, “…sono qui per offrirti la cessione immediata del tuo ruolo e un biglietto d’andata verso il cielo”.

“In cambio di cosa, Uriele? Non credo che Ezechiele sia d’accordo”

“La sua opinione non conta granchè, Johnse, questo l’avrai capito”

“In cambio di cosa?” ripetei e lui accennò un sorriso “Sarah Jane”. Desideravo più di ogni altra cosa essere libero, terminare il mio ruolo e andarmene finalmente in pace perciò, quando udii che la mia unica salvezza sarebbe stata la dannazione di Sarah Jane, fu come essere ucciso altre cento volte.

Non avrei mai potuto.

“Perché mi chiedi una cosa del genere?” grugnii “Lo sai che non tradirò Sarah Jane”

“Sarah Jane è comunque spacciata, Johnson. Perché non provi a salvare almeno te stesso?”

“No, non così”

“Vuoi salvarti alle spese di Daniel Duroy?”

Strinsi le mani a pugno. Cos’era quel giochetto?

“No. E non chiedermelo di nuovo, Uriele” ribattei, duro. Era una cosa meschina. Dov’era la purezza che si decantava tanto?

“Me lo aspettavo” sorrise Uriele poggiando un gomito sul tavolo per appoggiarsi una mano alla guancia “Sei molto leale, Johnse. Sarai anche disubbidiente ma sei leale. Sono molto contento che tu non abbia accettato”.

 Mi alzai in piedi e scossi appena la testa “Dimmi in cosa consiste quello che avete deciso”.

Uriele fissò gli occhi verdi verso di me “Tu e Sarah Jane resterete qui fino al giudizio”

“Il giudizio? Quel giudizio?” domandai incredulo. Era una quantità di tempo immensa. Uriele stirò le labbra in un sorriso e di rimise in piedi giungendo le mani all’altezza dello stomaco “Quel giudizio, Johnse. Esattamente quello”.
 


SARAH JANE’S POV

Socchiusi gli occhi e schiacciai la fronte contro il finestrino dell’auto. Io e Daniel eravamo fermi a poche case da quella di Jamie, rintanati in macchina. Lui se ne stava sul sedile posteriore, mezzo sdraiato, mentre io spiavo dallo specchietto il vialetto di casa Donough. Mi aspettavo di vedere una macchina arrivare e parcheggiare. Mi aspettavo di rivedere i miei genitori, ma non arrivava nessuno.
“Hai intenzione di attraversare il vetro?”

La voce di Daniel esordì ancora una volta nel silenzio dell’abitacolo e io mi voltai appena a guardarlo “Credo siano morti” dissi. Daniel mi guardò interrogativo e sciolse l’intreccio delle mani dietro la nuca per mettersi seduto.

“I miei genitori. Credo siano già morti”

Daniel mi guardò e poi si voltò appena verso casa Donough “O forse si sono trasferiti…”

“Vorrei che glielo chiedessi” mormorai girandomi completamente, le ginocchia sul sedile e la testa rivolta verso Daniel.
Lui mi guardò stranito “Vuoi che vada in casa di tuo fratello a chiedere dei tuoi genitori?”

“Sì”

“Sarah Jane…”

“Ti prego” soffiai. Volevo sapere. Era strano, avevo trascorso gli ultimi trentatre anni senza provare il desiderio di rivederli eppure, ora, sembrava essere la cosa più importante. Daniel sospirò appena e si avvicinò con il capo.

“E’ mezzanotte, Sarah Jane”.

“Domani mattina allora. Lo farai?” chiesi fissandolo. Lui mi guardò per qualche secondo in silenzio poi annuì.

“Grazie. Inventati qualcosa, sono sicura che sei bravo a raccontare frottole” accennai un sorriso, grata per il fatto che avesse accettato di aiutarmi. Daniel mi guardò per qualche secondo in silenzio, meditabondo, e il sorriso scomparve dalle mie labbra.

“Voglio continuare quell’uscita” disse Daniel sporgendosi ancora di più verso di me, a separarci solo lo schienale del sedile. Cercai di capire a cosa si stesse riferendo ma, prima che riuscissi a chiedergli qualcosa, lui continuò “La prima volta che ti ho baciato. Eravamo usciti insieme, ti avevo invitato a mangiare qualcosa e tu sei scappata”.

L’immagine di me e lui fermi sul marciapiede dopo che ero fuggita dalla pizzeria si affacciò nella mia mente e voltai il capo verso il finestrino. La prima volta che Daniel Duroy mi aveva baciata, la prima volta che avevo capito che non avrei più potuto ucciderlo.
“Perché me lo chiedi?"

“Perché mi va di farlo” rispose lui semplicemente. Lo guardai con la coda dell’occhio e notai che mi stava fissando. Probabilmente non mi restava molto tempo da passare con lui “E’ mezzanotte” lo rimbeccai, puntando gli occhi grigi nei suoi.

“E tu credi che non ci sia nessuno aperto, Sarah Jane? Andiamo…” mi prese in giro “Ma se vuoi restare in macchina con me. Non ho alcun problema. Salta dietro” aggiunse in tono malizioso. Sentii di arrossire e per questo indurii la mia espressione “Sempre il solito stronzo”

“E tu sempre la solita pudica” sorrise lui sfiorandomi la punta del naso con l’indice “Comunque prendo la tua mezza risposta per un sì, perciò spostati che passo avanti…”

“No..” bloccai il suo passaggio sul sedile anteriore con un braccio di traverso. Daniel mi guardò incuriosito e io stirai le labbra in un sorriso divertito “Guido io”

“Non ci penso nemmeno”

“Sì, invece”

“Stai ancora tentando di ammazzarmi allora…”

Ridacchiai e mi spostai al lato guida mentre Daniel si traferiva su quello che del passeggero con espressione incerta “Guarda che avevo la patente”

“Appunto, avevi”

“Basta fare pratica…” spostai il sedile tutto in avanti e misi in moto “Niente cambio manuale eh?” mormorai poi, perplessa. Daniel rise e poi si passò una mano sul viso per tentare quantomeno di darsi un contegno.

“Guarda che non era una battuta…” borbottai lanciando un’occhiata al cambio automatico.

“Un Folletto per le strade di San Francisco” mormorò divertito Daniel e io allungai una mano per colpirgli un braccio “Piuttosto accendi lo stereo, begli occhioni”.
 
 
DANIEL’S POV

Dopo i primi isolati di incertezza, Sarah Jane riprese confidenza con i motori “E’ come quando si impara ad andare  in bici no? Non ci si dimentica come funziona” aveva detto al primo incrocio, con un sorriso appena accennato sulle labbra solitamente imbronciate.

Mi sistemai meglio sul sedile, ora che mi fidavo abbastanza delle sue capacità, e mi voltai appena verso di lei. Tamburellava le dita sul volante mentre percorrevamo il Golden Gate Bridge e alla radio passavano “Bonfire Heart” di James Blunt. A Sarah Jane sembrava piacere visto che al secondo ritornello già la canticchiava e io la ascoltai in silenzio.

In quel momento sentii la parte di me, che ancora la detestava per avermi portato via Madison, affievolirsi. Sarah Jane era intrappolata in una condizione in cui non poteva ribellarsi o meglio, si era ribellata un’unica volta e le conseguenze sarebbero state sicuramente terribili.
Mi misi per un attimo nei suoi panni e riuscii a comprenderla meglio.

“Sarah Jane?”

“Mhm?”

“Grazie per avermi evitato tutto questo”.


Angolo Autrice
Capitolo trentasette in arrivo! Ci ho messo di meno stavolta :) In questo capitolo possiamo leggere della proposta indecente di Uriele rivolta al nostro lealissimo Johnse. In realtà Uriele voleva solo testare Johnse, più che offrirgli una vera e propria salvezza. Abbiamo anche un'anteprima della decisione presa dai piani alti in merito alla questione Johnse/Sarah Jane/Daniel. Per quanto riguarda il pov di Sarah Jane c'è uno spirito un po' più leggero stavolta xD Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio tutte le dodici persone che hanno recensito lo scorso capitolo <3 e tutti voi che leggete, sempre. Ringrazio inoltre furga1 che ha inserito la storia tra le preferite.
Un bacione e al prossimo capitolo! <3

Ray_Cap_Fee

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** XXXVIII ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA



 
 
 Daniel’s POV

Guardai Sarah Jane di sfuggita nel mentre che camminavamo per i marciapiedi della città mezza innevat. Non si poteva di certo aspettare che San Francisco dormisse in quel periodo dell’anno né tantomeno che altra gente non si godesse quei momenti pre-natalizi. Ero contento di essere lì, alla fine. Sentivo di aver fatto la cosa giusta ed era una bella sensazione.

Una leggera gomitata al fianco mi riscosse dai miei pensieri e chinai lo sguardo verso la piccoletta al mio fianco “Quando mi hai chiesto di uscire speravo almeno che avrei parlato, Daniel. Non posso averti spaventato così tanto” disse Sarah Jane con un mezzo sorriso. Aveva la punta del naso leggermente rossa e un cappello di lana grigia schiacciato sulla testa, dello stesso colore dei suoi occhi sempre spalancati. Accennai un sorriso “Di solito nessuno mi apprezza per le mie doti comunicative, pensavo che Ross te l’avesse detto” ribattei inarcando appena un sopracciglio.

Lei inclinò leggermente la testa da un lato e si fermò, le mani affondate nelle tasche della giacca “Bene. Vorrà dire che stasera sarò io a parlare”

“Tu parli sempre”

“E tu ribatti di continuo nei momenti meno opportuni”

“Vuoi cominciare uno dei tuoi soliti battibecchi, SJ?”

Le sorrisi e lei, stranamente, ricambiò “No, non stasera”.

“Tecnicamente è quasi mattina”. Una manata sul braccio da parte della ragazza mi fece ridacchiare. Nonostante fosse lei la causa dei miei ultimi problemi era facile starle vicino. Ed era qualcosa di inspiegabile.

“Se la tua intenzione era quella di farmi male sappi che non ci sei riuscita”

“Non è mia intenzione farti ancora del male, Daniel”

Arricciai appena le labbra e capii cosa volesse intendere con quelle parole. D’un tratto la ritrovai a guardarmi a un palmo di distanza “Vorrei chiederti una cosa…” cominciò lei, seria. Probabilmente riguardava qualcosa che non avrei mai voluto sentire. Come quello che sarebbe successo quando Uriele sarebbe tornato.

“Mhm…” grugnii e lei accennò una risata “In realtà mi scoccia un po’ chiedertelo ma volevo essere corretta, al tuo contrario”

Aggrottai appena la fronte e lei alzò appena gli occhi al cielo “Posso baciarti?”. Quella domanda mi colse alla sprovvista e…mi divertì. Accennai una risata e lei sembrò risentita. Incrociò le braccia al petto e arricciò appena le labbra.
“Mi stai chiedendo se puoi baciarmi, davvero?”

“Al tuo contrario mi sento in dovere di chiedertelo”

Scossi appena la testa, divertito e lei alzò appena il mento in segno di sfida “Lo sai che di solito non ho peli sulla lingua”. Di fronte al mio silenzio lei inarcò un sopracciglio e poi emise un flebile sospiro “Forse…è stata una cattiva idea”

“Mi piacerebbe controllare”

Sarah Jane mi guardò confusa e io stirai le labbra in un sorriso “La questione dei peli sulla lingua”. Lei alzò gli occhi al cielo “La tua ironia mi ucciderà, Duroy”

“Peccato che tu sia già morta, Donough”

“Vedo che ti piace farmelo notare”

“E a te piace ricordarmelo. Ora vuoi baciarmi o no?”

“Non ho detto che lo farò ora” sorrise lei, tornando a camminare. In realtà sospettai che non l’avesse fatto semplicemente per ripicca.
 
 
Gabriele’s Pov
Quando Uriele comparì davanti ai miei occhi conclusi che il momento di tornare a trovare Sarah Jane fosse giunto “Non mi aspettavo che ci avremmo messo tanto” mormorai sciogliendo le mani giunte e interrompendo la preghiera. L’Angelo mi affiancò e scrutò le acque del lago, nella Valle Serena, dove avevo deciso di rintanarmi.

“Lo so che i sensi di colpa ti stanno logorando, Gabriele, e sai che non mi piace punire quando non è strettamente necessario”

Osservai le cime delle montagne che si rispecchiavano nell’acqua cristallina e presi un grosso respiro. Era pressochè impossibile riuscire a nascondere qualcosa ad un Angelo del genere “Non sei stato solo tu a decidere di punirli, Uriele. Non proverò rancore nei tuoi confronti”

“Ne sono felice”

“Anche se vorrei che le cose fossero andate diversamente per Sarah Jane” ribattei, incrociando lo sguardo di Uriele. Lui annuì appena “Per ognuno di loro esiste un progetto e quando questo progetto non può essere realizzato esistono delle conseguenze. Lo capiranno una volta che sarà tutto finito. Fino ad allora, sembreremo i senza cuore” disse Uriele sorridendo appena.

Rimanemmo in silenzio per un po’ a guardarci intorno poi udì di nuovo la voce di Uriele “Mio fratello mi soffocò nel sonno per gelosia delle attenzioni di mia madre. Ero un ragazzo che si ammalava spesso e che non mangiava abbastanza per poter lavorare…” cominciò e io mi voltai a guardarlo “…successe nell’epoca della prima epidemia di peste in Europa. Diventai una Morte e non ero affatto felice. Prelevavo centinaia di anime al giorno, senza potermi mai fermare nemmeno a pensare se fosse giusto”

Rabbrividii appena e Uriele se ne accorse “Un giorno incrociai lo sguardo di una ragazzina. Era stata abbandonata da tutti i suoi familiari in una capanna fatiscente. Quando mi accorsi che il suo sguardo seguiva i miei momenti, tentennai. Era la prima volta che qualcuno mostrava di accorgersi veramente di me”

Abbassai lo sguardo sui fili d’erba e trattenni il respiro. Io non avevo seguito, come altri, lo stesso cammino. Ero stato molto più fortunato ad essere stato creato dal nulla.

“Aveva poco più di tredici anni, i capelli ricci e biondi come la paglia, il viso paffuto era quasi violaceo ma gli occhi erano azzurri e vigili. Non ho mai dimenticato quegli occhi, Gabriele, fin quando non li ho rivisti qui. Quella ragazzina mi guardava come se fossi stata la cosa più bella che avesse mai visto. Lei sapeva chi ero o comunque, lo sentiva”  parlava lentamente mentre i suoi occhi erano fissi su un punto imprecisato del lago.

“Dubitai delle mie forze. Come potevo strapparla alla vita? Stava morendo, è vero, ma che diritto avevo su di lei? Lei allungò una mano nella mia direzione e io mi avvicinai senza però sfiorarla, inginocchiandomi al suo fianco. Iniziai a parlare con lei, le raccontai dei bei posti che avevo visto. Volevo tenerla ancorata  alla vita. Così il suo nome sulla lista diventò rosso. Se non l’avessi presa sarebbe guarita, pensai” emise un flebile sorriso e alzò appena la testa per guardare il cielo azzurro “Lei però non era dello stesso avviso. Mi disse che voleva andare in un altro posto e voleva una famiglia. Quello è stato il giorno più difficile di tutta la mia esistenza, Gabriele. Volevo tenerla in vita quando era lei a voler morire. Quel giorno ci salvammo a vicenda”.

“Così anche tu hai commesso degli errori, Uriele”

“Quando il mio turno è finito. L’ho rivista qui in Paradiso. Si ricordava di me. Io avevo evitato la dannazione e lei era felice”

“Ma non l’hai condannata alla tua stessa esistenza di Morte. Non è la stessa cosa di Sarah Jane”

“E’ vero. Voglio farti capire che anche io non sono stato perfetto ma, alla fine, ho fatto quello che era giusto e che era stato programmato. Heike è felice qui più di quanto avrebbe potuto esserlo continuando a vivere”.

“Lei è innamorata di Daniel. E Johnse ama lei, a suo modo.La situazione è più complicata”

Uriele accennò un sorriso e si voltò a guardarmi “E’ questo il punto, Gabriele. Se avessero seguito i piani, tutto sarebbe stato risolto in maniera diversa. C’è un motivo dietro le scelte e io ringrazio Heike di avermi convinto, quel giorno, o non sarei qui”.

“Ma puoi capirli vero? Tu puoi comprenderli meglio di tutti se si sono comportati così” domandai inclinandomi appena verso di lui.

“Sì. Se non altro il loro comportamento è derivato da un sentimento genuino e più forte di quanto non si pensi. Gli toccherà solo aspettare molto più tempo del previsto, per rivedersi ed essere finalmente felici”.
 
 
 
Sarah Jane’s Pov

“Quello era il mio liceo. Noto con piacere che ora è diventato un…” assottigliai lo sguardo per leggere l’insegna “…centro sportivo. Cavoli, avranno dovuto fare molte modifiche e lavori” commentai, le sopracciglia inarcate per la sopresa. Daniel al mio fianco mormorò qualcosa che non riuscii a comprendere e mi volsi a guardarlo. Se ne stava fermo, in piedi, a qualche passo da me “Cos’è? Senti freddo?” domandai con un mezzo sorriso.

“Ha ricominciato a nevicare, nel caso non te ne fossi accorta”

“Leggo del sarcasmo nel tuo tono” ribattei, divertita “Stai diventando proprio un brontolone senza ritegno, Duroy”

“Avremmo potuto rintanarci da qualche parte a riscaldarci di alcool. Invece siamo davanti ad una palestra che era il tuo vecchio liceo” ribattè lui muovendosi appena sulle gambe. Sorrisi “Vieni qui, voglio farti vedere la punta del Golden Gate, sembra che stia proprio sulla cima di quella casa” mormorai.

Lui avanzò con un sospiro e avanzò fino a giungere al mio fianco “Dove?” domandò in tono strascicato.

“Ehy, non troppo entusiasta”.

“Non vedo nulla”

“Mhm…forse mi sono sbagliata. Non era da questo punto” la mia spalla sfiorava il suo petto e alzai gli occhi verso i suoi. Mi stava fissando divertito e io feci spallucce.

“Vuoi baciarmi entro l’alba o no?”

D’altronde non mi rimaneva molto tempo. Né per stare con Daniel, né per compiere qualche inspiegabile follia da viva. Accennai un sorriso e mi voltai completamente verso di lui, alzandomi sulla punta dei piedi. L’ultimo bacio di Daniel mi sembrava di una vita fa. E l’ultimo bacio che avevo dato ad ancora prima.

Sfiorai le sue labbra con le mie e poi sorridemmo entrambi “Sono più che sicuro che non ti riferissi a un bacio come questo” sussurrò lui. Socchiusi appena gli occhi e mi strinsi nelle spalle.

“E sono anche sicuro che sai fare di meglio, Sarah Jane” disse ancora sfiorandomi con le labbra il mento. Sorrisi ancora “Puoi scommetterci”.



Angolo Autrice
*anf anf* che faticaccia! Non avete idea di quante volte ho cancellato e ricancellato questo capitolo. Ora se sono piuttosto soddisfatta in verità ma sta a voi decidere e dirmi cosa effettivamente ne pensate. Nel prossimo si rincontreranno tutti allegramente (o quasi) e quindi...sarà un finale con il botto prima dell'epilogo. Sì, lo so xD Vorrei ringraziare come sempre i lettori che recensiscono e quelli che inseriscono la storia tra le preferite/ricordate e seguite :3 In questo caso Ari_in_Wonderland, Giingiah, Hanna Lewis, BADBLOOD_, Frederique Black  (preferite); darkparadise (ricordate); Ari_in_Wonderland, Lullabyx, sheeravn, bea931, Myri_99, Pandora_2_Vertigo.
Inoltre vorrei (nel caso vi interessi) che ho pubblicato un'altra soprannaturale nella sezione vampiri dal titolo "DoolB" se vi va di passare ve ne sarei grata.
Un bacione a tutti! <3 <3

Raya_Cap_Fee

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** XXXIX ***




 
SARAH JANE’S POV

Il primo ragazzo che avevo baciato era stato Clive, a tredici anni, durante un pomeriggio a scuola. Non mi era piaciuto affatto sebbene al tempo nutrissi un certo interesse  per il ragazzetto biondino e un po’ troppo sopra le righe. Non lo avevo guardato più in faccia dopo quel bacio e lui ne era sembrato contento. Non ero la classica ragazzina tutta sorrisi e schiamazzi e per questo i ragazzi non amavano girarmi intorno.

La mia prima vera sbandata era stata con Scott al primo anno di un’università. L’avevo considerato un celebroleso fin dai tempi del liceo, in cui mi prendeva in giro per i miei capelli e la mia statura, ma l’alcol aveva fatto miracoli. Così mi ero risvegliata in un letto sconosciuto dopo una festa, con Scott nudo per terra e i ricordi confusi di una virtù perduta. Quando si era svegliato aveva biascicato qualche scusa per la sua stupidità nei miei confronti ed eravamo usciti insieme per qualche mese prima che lo mollassi.

 In sostanza nessun ragazzo era riuscito, nella mia vita, a farmi perdere la testa come aveva fatto Daniel Duroy. Da buona egoista come mi ero sempre considerata arrivare a sacrificare ciò che agognavo da trent’anni era una prova di quanto Daniel fosse entrato a far parte di me e della mia noiosissima non-vita. Se si escludeva Johnse ovviamente.

“Una pomiciata e già fai progetti per il matrimonio? Lo sapevo”

Sorrisi e gli diedi una leggera gomitata nelle costole “E’ la metropolitana che rilassa.”

“Solitamente alle quattro del mattino non c’è nulla da rilassarsi in una metropolitana di una città come San Francisco” ribattè Daniel cennando con il capo a un gruppo di ragazzi stravaccati sui sedili in fondo al vagone.

“Quanto sei pignolo” mormorai alzando brevemente gli occhi verso le luci al neon. Daniel ridacchiò e mi passò un braccio intorno alle spalle  stringendomi appena contro il suo fianco. “Non mi piace quando non ribatti ai miei complimenti” aggiunsi “Battibeccare è il nostro sport preferito”

“Conosco giusto un paio di sport che potremmo trovare altrettato divertenti”

“Ecco. Così assomigli più a StronDaniel”

Accennai una breve risata e il ragazzo mi seguì.
Ridere in quel modo mi stupì tanto che smisi nell’immediato. Così, in quel momento, sembravamo proprio una coppia di normali ragazzi. Senza responsabilità. Senza dolori. Senza imminenti destini catastrofici.

Sospirai appena e appoggiai la testa contro la spalla di Daniel inspirando il suo odore. La parola fine era vicina dall’essere scritta. Meglio goderne.
 
DANIEL’S POV
Con le dita avvertivo la consistenza morbida dei capelli di Sarah Jane, appoggiata alla mia spalla e in apparente stato depressivo. I suoi cambiamenti d’umore quasi mi spaventavano ma, d’altronde, potevo ben capire come l’attesa per la sua sorte non fosse delle più felici. L’unica cosa che mi riusciva era quella di starle accanto dopo quanto aveva fatto per me.
Era grazie a lei se ero ancora vivo ed era bene ricordarlo.

Appoggiai il mento contro la sua tempia e lei sembrò raggomitolarsi di più contro di me. Se ne sarebbe andata via presto e sarei rimasto di nuovo solo. Sarei ritornato il solito Daniel.
Allungai la mano libera a prendere quella libera di Sarah Jane e le strinsi le dita.
 


Quando raggiungemmo nuovamente la macchina la tenevo ancora per mano e il cielo si stava schiarendo.

“Ora guido io però” ruppi il silenzio e lei si voltò a guardarmi con un sopracciglio lievemente inarcato senza dire nulla poi si alzò sulla punta dei piedi per baciarmi. Rimasi per un momento spiazzato e lei si era già staccata “Quando mi hai baciato la prima volta, quella sera, ho capito che non avrei potuto ucciderti. Qualunque cosa accadrà non sono pentita di averti salvato la vita, Daniel” disse, le mani ai lati del mio viso e i grandi occhi grigi fissi nei miei.

“Quando andrai via rimarrò di nuovo solo” mormorai. L’avevo detto davvero ad alta voce?

Lei stirò le labbra in un sorriso e i suoi lineamenti sembrarono ammorbidirsi “Non sarà più come prima”. Sentii qualcosa grattarmi in fondo alla gola e distolsi lo sguardo.

“Ora andiamo. Devi sbrigare la questione dei miei genitori con Jamie” aggiunse lei.
 
Accadde nel mentre che ripercorrevamo la strada per tornare a casa di Jamie. Sarah Jane si irrigidì improvvisamente e si aggrappò ai lati del sedile lasciando la presa sulla mia mano.
“Cos’hai?” domandai, allarmato. Gli occhi grigi erano sbarrati e persi “Sarah Jane?” chiamai, accostando in modo brusco. Una macchina dietro suonò il clacson, spazientito dalla mia manovra azzardata, ma non me ne curai. La rigidità con cui Sarah Jane era seduta immobile mi spaventò.

Ricordava quella di un…morto.

“SJ?” la scossi appena per una spalla  ma lei non diede segno di accorgersene. Possibile che fosse accaduto? Che l’avessero presa in qualche modo? La scostai i capelli dal viso e la pelle della guancia, solitamente morbida e calda, era fredda e dura.

Andai in panico. Non volevo che finisse così, senza preavviso.
 
Feci per scuoterla nuovamente  ma lei si rilassò all’improvviso, inspirando forte e chinando il capo. Tremava.

“Sarah Jane…” mi chinai verso di lei e attraverso i suoi capelli colsi il luccichio dei suoi occhi.

“Sono qui. Ci stanno aspettando” sussurrò “Il momento è giunto”.

Sbattei le palpebre, stupito “No…”

“Prendi quella strada. Ci condurrà in periferia. Ti indicherò io il percorso” parlò ancora la ragazza con voce debole.

“Non voglio portarti da loro”

Sarah Jane alzò il capo e incrociò il mio sguardo “Non c’è altra soluzione, Daniel”.


 
SARAH JANE’S POV
Male. Faceva tanto male guardare Daniel. Mi sforzai di parlare per indicargli la strada che avevo visto senza guardarlo ma non ci riuscii. Il mio cuore più che la mia mente pretendeva di vivere così il tempo che ci rimaneva.

Avevo sentito la voce di Uriele nella mia testa e ciò voleva dire che erano pronti. La decisione era stata presa e a breve sarei stata a conoscenza del mio destino. Daniel continuava a voltarsi nella mia direzione come se avesse paura di vedermi scomparire così e la cosa, un po’, mi rincuorava. Io gli avevo detto di essere innamorata di lui ma Daniel non aveva mai dettodi esserlo a sua volta. Perciò, il modo in cui si comportava, preoccupato e apprensivo non faceva altro che farmi sentire peggio.

“Gira in quella traversa. C’è una vecchia autorimessa” mormorai e lui eseguì. Non appena l’auto si fermò davanti al cancello mezzo arrugginito e sgangherato trattenni per un attimo il respiro. In mezzo alle pile di rottami che avevo davanti ai miei occhi non potevano non spiccare le tre figure bianco vestite. Persino da quella distanza riuscii a scorgere, tra i tre, la figura di Gabriele. Ma c’era anche qualcun altro  stravaccato su una panchina. Si trattava sicuramente di Johnse.

“Sono loro, suppongo” esordì la voce di Daniel nell’abitacolo. Mi voltai a guardarlo e annuii.

“Voglio venire con te”

Una morsa mi strinse lo stomaco ma annuii nuovamente. Tanto non avrei permesso che gli fosse fatto niente. Prima che sentissi l’impulso di chiedergli di andarcene, scesi dalla macchina e mi incamminai verso i tre Angeli e Johnse.
Daniel mi affiancò quasi subito e, instintivamente, gli porsi la mia mano.

 
Il primo sguardo che incrociai fu quello che Uriele, dritto e con le mani dietro la schiena. Non trapelava nessuna emozione dal suo viso ma da quello di Gabriele, il mio Angelo Gabriele, sì. Capii di essere spacciata dal modo in cui i suoi occhi evitavano il contatto con i miei.

“Sarah Jane. Daniel”

La voce di Uriele esordì nell’ambiente squallido, sotto l’imminente sorgere del sole. Mi soffermai a guardare Johnse che si rimetteva in piedi.
Dopotutto non sarei stata mai sola.
Strinsi le dita di Daniel e, di fronte a Uriele, gli rivolsi un cenno del capo “Uriele. Gabriele” salutai sorvolando volutamente su Ezechiele. Tra tutti, sembrava il più entusiasta.

Johnse si stiraccHiò, incrociando le mani dietro la nuca e avanzò nella mia direzione scambiando un cenno del capo con Daniel. Io seguii i suoi movimenti fino a quando non mi affiancò. Ero contenta di sapere che aveva resistito ad Ezechiele. Allungai la mano libera e gli sfiorai un braccio “Johnse” salutai. Lui mi rivolse un breve sorriso e poi spostò lo sguardo su Uriele.

“Non c’è bisogno che vi spieghi il motivo per cui ci siamo ritrovati, suppongo. La decisione in merito alla vostra disobbedienza è stata presa” disse l’Angelo dai capelli rossi e l’aspetto da ragazzino. Ero quasi sicura che non provasse alcun particolare coinvolgimento emotivo.

Sembrava insensibile.

“Non potete punirla” disse Daniel, sorprendendomi “Non potete punirli” si corresse subito dopo. Era anche merito di Johnse. Soprattutto merito di Johnse se era ancora lì. Strinsi appena la mano di Daniel “E’ inutile, Daniel” gli sussurrai nel momento esatto in cui Ezechiele prese la parola “Possiamo sempre rimediare con lui, Uriele. Era il suo destino essere una Morte”.

“No” risposi secca, avanzando di un passo e lasciando Daniel. Incrociai gli occhi neri dell’Angelo e feci una smorfia. A quel punto udii la voce di Gabriele “Ti prego di non intervenire, Ezechiele. La decisione è stata presa e Daniel non ha più nulla a che fare con la questione. Il suo destino è cambiato”.

La sua voce. Dolce e pacata. Quante volte si era sentita confortata dall’abbraccio e dalla voce di Gabriele?

Uriele mosse un passo avanti e girò il capo verso l’altro Angelo, con una smorfia di disappunto sulle labbra rosee. L’Angelo di Johnse sembrava non essere particolarmente accetto tuttavia, Uriele si volse nuovamente verso di loro e guardò Daniel.

“Sono contento di vederti qui, Daniel. Almeno sappiamo che anche tu nutri dell’affetto per la nostra Sarah Jane”.

Quelle parole sembrarono stupire il ragazzo. Mi voltai appena e poi soffermai lo sguardo su Uriele “Cos’avete deciso?” domandai impaziente. Johnse dietro di me emise uno sbuffo “Non essere impaziente, Sarah Jane. Avremo tutto il tempo del mondo”.

 
Calò il silenzio per un breve attimo mentre il cielo di tingeva sempre più di rosa. Tutto il tempo del mondo. Non ero così stupida da non capire che non era una frase detta a caso.

“Nessuno di noi è particolarmente contento di condannarvi. E’ necessario che le cose abbiano un equilibrio e, in questo caso, va ripristinato con voi due” parlò Uriele con calma, passando lo sguardo su noi tre, di fronte a lui “Impendendo a qualcuno di compiere il suo destino avete cambiato il vostro. Se vi aspettava la libertà e il premio per il vostro servigio ora questo compito sarà per sempre.”

Per sempre era un concetto di tempo lungo e mi sentii male. Se non era la dannazione equivalente a bruciare all’inferno era comunque qualcosa di terribile.
Per me. E per Johnse.

Noi, così egoisti, così impazienti di toglierci di dosso quell’insopportabile tunica nera e del foglio maledetto.

Noi. Io e Johnse per Daniel.

Presi un grosso respiro e chinai il capo socchiudendo gli occhi.

“Vuol dire che saranno delle Morti per sempre?” domandò Daniel nel silenzio. Almeno, il mio tempo con Daniel non sarebbe finito.

“Esatto” fu Gabriele a parlare e dal suo tono capii quanto ne soffrisse. Lui che mi conosceva così bene “Ma….Voi due non vi vedrete più”.

Trasalii per quella decisione. Sollevai di scatto la testa e colsi con la coda dell’occhio l’espressione spaesata di Daniel.

“Questo è troppo” sibilai e Johnse intervenne “Perché? Ci togliete la libertà. Perché toglierle anche questo?”.

Uriele abbassò per un attimo gli occhi “Questo è giusto, Sarah Jane. Sai benissimo che non vi è alcun futuro per voi. Non in questa vita”.

Per un attimo colsi nei suoi occhi verdi qualcosa di simile alla comprensione. Strinsi i pugni e mi voltai verso Daniel per guardarlo. I suoi occhi sembravavo più chiari del solito “Va’” dissi. Separarmene il più in fretta era scelta la migliore.

“Io…io voglio aiutarti” mormorò lui.

Guardai gli Angeli.

“Verrai con noi. Ti porteremo altrove con Johnse” disse Uriele “Resterete insieme”. Ne fui sollevata. Johnse si mosse prima di me e si avvicinò a Daniel, porgendogli una mano “Addio, Daniel” disse. Il ragazzo ricambiò la stretta e, prima che potesse rispondergli, Johnse raggiunge il fianco di Uriele. Oh, Johnse.

Sospirai e diedi le spalle agli altri per guardare Daniel. Lui abbassò gli occhi su di me e io mi trattenni dall’aggrapparmi a lui. Alzai una mano e gli sfiorai una guancia “Tu mi hai aiutato, Daniel” sottolineai. Non volevo che avvertisse la desolazione che sentivo dentro di me e mi sforzai di accennare un sorriso “Ti ho dato la possibilità di un’altra vita. Ti prego di farne buon uso, davvero. Il prezzo che abbiamo pagato lo vale tutto” aggiunsi.

“Non andare”

“Salutami Henry e anche Ross e Tommy” feci un passo indietro e lui si chinò in avanti come per afferrarmi ma io gli sfuggii. Non l’avrei sopportato. Non avrei sopportato di sentire ancora le sue labbra sulle mie. Di sentire le sue braccia intorno al mio busto, il suo profumo pizzicarmi il naso. Non avrei sopportato sentire la sua pelle sotto le mie mani.

“Addio, Daniel”

“No!”

Gli volsi le spalle e corsi verso Johnse, aggrappandomi ad un suo braccio “Andiamo via. Subito” dissi con voce rotta. Il ragazzo al mio fianco afferrò la mano di Uriele.

“Sarah Jane!” gridò Daniel, arrabbiato.
Sentii i suoi passi e qualcosa sfiorarmi il fianco poi, nulla. Scappare. Scappare era la cosa migliore.
 
 
Angolo Autrice
Finalmente (ci vuole) sono riuscita a pubblicare questo capitolo! Ho avvertito un po’ un magone a dire al vero poiché questo è quasi la fine del viaggio intrapreso circa un anno fa (eh già) con Sarah Jane e Daniel. So che molti di voi (probabilmente) speravano in un lietofine e…bene…non c’è. Esattamente come la morte di Madison, tutto questo era deciso dall’inizio sebbene allora non fossero previsti personaggi come Uriele e Johnse. Tuttavia, c’è ANCORA UN CAPITOLO, perciò…sorridete ancora! Vorrei ringraziare le 53 persone che preferiscono, le 10 che ricordano e le 80 che seguono. Non smetterò mai di dirlo che siete stati il motore di tutto, ma adesso basta. Ci vediamo presto con il prossimo capitolo, ovvero l’epilogo. Un bacione.

Raya_Cap_Fee

 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Epilogo ***


COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA




EPILOGO

 
Sorrisi mestamente di fronte al nuovo giorno che si profilava oltre i grattacieli di San Diego. Ormai avevo perso il conto dei giorni trascorsi da quella mattina a San Francisco e andava benissimo così. Inspirai profondamente l’aria inquinata e mi voltai appena, sentendolo arrivare.

“E’ proprio un lavoro di merda” esordì Johnse sedendosi al mio fianco, sul muretto che costeggiava un campetto da basket abbandonato.

“Andiamo, Johnse. Niente potrà mai battere certi lavori che esistono nella vita vera” ribattei con un mezzo sorriso. Johnson Fields era stato ufficialmente la mia salvezza nella dannazione e, senza dubbio o modestia, io ero stata la sua.
Fece per aggiungere qualcos’altro ma lo anticipai alzando una mano “Shh” lo zittii.

“Shh un corno, Sarah Jane”

 Ridemmo entrambi e mi appoggiai alla sua spalla. Il tessuto ruvido della tunica nera mi graffiava appena la guancia ma non dissi nulla “Grazie, Johnse”. Lo dicevo sempre e lui aveva anche smesso di chiedermi il perché ormai.

“Cosa  hai intenzione di fare oggi?” disse Johnse e sentii il suo respiro sulla fronte “Quello che faccio tutti i miei oggi. Cerco di guadagnarmi la pagnotta, razza di farabutto che non sei altro” scimmiottai “Visto che ti piace tanto startene sul divano a guardare la tv”.

Lui rise di nuovo “E allora va, donna. E cerca di guadagnare abbastanza o te le darò di santa ragione” replicò lui. Eravamo due buffoni. Lo eravamo sempre stati e lo saremmo stati ancora per molto.

 
Mi staccai dai lui e presi il foglio dalla tasca con espressione truce tuttavia, quando lo aprii, lo trovai vuoto. Ebbi un terribile flashback.
Erano cinquant’anni che non accadeva, per la precisione diciottomilatrecentosei giorni (sì, in realtà avevo tenuto il conto dei giorni).

“Che succede?” domandò Johnse sporgendosi verso di me per guardare il foglio.

“Che vuol dire?” chiesi in un soffio. Johnse si irrigidii al mio fianco e mi lanciò un’occhiata. Incrociai i suoi occhi scuri, turbati. Sapeva bene quanto me che non c’erano difetti di funzionamento in quei fogli.

“Dovremmo chiedere a Gabriele”

Lui prese il suo foglio e quando lo aprii vidi una lista di nomi.

“Non avranno intenzione di mandarmi altrove, vero? Vero?” domandai improvvisamente in ansia. Non volevo andarmene da un’altra parte. Assolutamente. A meno che Johnse non fosse venuto con me.
 
Johnse aggrottò appena la fronte “Chiama Gabriele, Sarah Jane”.

 
Non ce ne fu bisogno. Entrambi cogliemmo il bagliore bianco alla nostra destra e guardammo la figura di Gabriele stagliarsi contro l’ambiente scialbo. Ci sorrise e riuscii un po’ a rilassarmi.
“Sarah Jane. Johnse” salutò pacato. Allungai una mano e agganciai le mie dita al polso di Johnse “Che significa?” agitai appena il foglio.
Un altro flashback.

“Oggi hai un altro impegno” rispose e, cogliendo il mio turbamento, “Solo per oggi. Poi tornerai qui con Johnse. Te lo assicuro”
 
“Che compito può mai esserci per una Morte, Gabriele? Sappi che non ho intenzione di…”

“E’ un premio”

Sbattei le palpebre, confusa. “Un premio?” fece Johnse “Ehy, Sarah Jane, forse ti toccherà proprio una giornata a Disneyland”

In un’altra occasione avrei senz’altro riso ma quella volta non ci riuscii. Gabriele era tranquillo e sorrise alle parole di Johnse senza distogliere gli occhi azzurri dai miei.

“Perché dovrei essere l’unica a meritarsi un premio? Anche Johnse…”

Mi interruppe di nuovo “Si tratta di te e di una persona che forse vorresti rivedere”.

 
Strinsi la presa sul polso di Johnse. Ero sicura di fargli male ma lui non disse niente. C’erano alcune persone che avrei voluto rivedere ma ero più che certa a chi si riferisse Gabriele. Perché voleva farmi questo?
“Devo prenderlo?” chiesi soltanto. Gabriele annuii silenzioso e mi guardò per un attimo. Sul suo viso passò un’espressione dubbiosa, come se all’improvviso non la trovasse affatto una buona idea.

E aveva ragione.
Forse.

Volevo rivederlo eccome Daniel Duroy.

Alzai lo sguardo verso Johnse e lui ricambiò la mia occhiata. Senz’altro vi lesse molto più di quanto io stessa potessi capire. Si chinò appena verso il mio orecchio “Va’. Ti prometto che il farabutto ti aspetterà qui” mormorò allentando la presa sul suo polso con la mano libera.

Annuii e, quasi senza rendermene conto mi ritrovai al fianco di Gabriele. Esitai un attimo poi, guardai Gabriele “Sbaglio, Sarah Jane? Se non vuoi…”
Era già successo una volta. Avevo lasciato vivere Daniel Duroy. Afferrai la mano di Gabriele.

“Cosa ti assicura che non commetterò un altro errore, Gabriele?” domandai

“Nulla. Mi fido di te”


 
La fiducia di Gabriele era immensa, senz’altro.

Quando riaprii gli occhi i raggi di una mattinata ormai inoltrata mi colpirono da sotto le fronde di un grande albero. Gabriele al mio fianco mi lasciò la mano e mi lanciò un’occhiata perplessa “Lo farò. Non temere” mormorai, accennando un sorriso. Ed era vero. Daniel aveva vissuto la sua vita e speravo al meglio.

“E’ quella casa. Prenditi tutto il tempo che vuoi per parlargli. Sempre che tu voglia” disse l’Angelo a voce bassa e rassicurante. Annuii silenziosa e mi avviai verso la casa modesta, dall’altro lato del bosco dove eravamo apparsi. C’era una lunga fila di case tutte uguali, di modeste dimensioni e ben curate. Era senz’altro un buon segno.

Quando attraversai la strada a passi lenti mi resi conto di non indossare più la tunica nera ma un paio di jeans chiari e una maglietta celeste.
Avevo flashback dappertutto.

Socchiusi gli occhi e strinsi le mani. Mi sembrava talmente incredibile quello che stava per succedere che non realizzai nemmeno di aver bussato alla porta di Daniel Duroy.
Mi avrebbe riconosciuto? Certo che l’avrebbe fatto.

I palmi delle mani iniziarono a sudare e sembrava che qualcuno mi stesse soffocando.

Daniel Duroy. Daniel Duroy. Daniel Duroy. Daniel.
 

Quando la porta si aprì di scatto feci un balzo indietro e per poco non caddi dal gradino che separava il portico dal giardino.

“Sarah Jane!”

Sollevai lo sguardo dalla pavimentazione e puntai la voce di quella voce matura e un po’ gracchiante. L’intensità di quegli occhi blu fu come un pugno nello stomaco. “Ciao, Daniel” riuscii a mormorare dopo un lungo momento di silenzio. Di certo non erano le parole che si aspettava. Era cambiato molto in quegli anni ma d’altronde tutti cambiano in cinquant’anni (a parte lei e quelli come lei). La pelle era più scura e attraversata da due profonde rughe sulla fronte, le guancie un po’ cadenti. Era lui però.

Ci guardammo in silenzio per quelli che parvero infiniti secondi. Nei suoi occhi scorsi lampi di un vecchio rancore “Sarah Jane…” ripetè in tono più debole appoggiandosi alla porta di legno bianca. Senza attendere oltre oltrepassai la soglia di casa sua e mi guardai intorno mentre lui chiudeva la porta.

Lo sapeva perché ero lì. Era triste? Avrei trovato la forza stavolta? A che cavolo pensava Gabriele?

Inspirai profondamente e Daniel si posizionò davanti a me nel salotto perfettamente in ordine e moderno.

“Perché sei qui? Non sei nei guai vero?” chiese lui. Era più basso di quanto ricordassi e i capelli pettinati all’indietro erano grigi. Ed era bello lo stesso, appurai.

Sorrisi e scossi la testa “Nessun guaio stavolta. Non ne combino più ormai. Sono qui per ordine di Gabriele”.

Lui si irrigidii appena nel momento in cui comprese il significato di quelle parole. Sperava forse che non lo facessi? Di nuovo? E se me lo avesse chiesto l’avrei salvato di nuovo?

“Va bene” disse invece, gelandomi “In realtà non va bene ma cosa posso farci? Ho fatto tutto quello che dovevo fare e sono stato felice. Grazie a te” aggiunse lui fissandomi. Un groppo mi si formò in gola e distolsi lo sguardo dall’uomo di fronte a me per guardarmi intorno. Era una bella casa e sulla mensola del camino c’erano parecchie foto. Mi avvicinai a le guardai una a una.

C’era Daniel, di qualche anno più vecchio di come l’avevo lasciato, abbracciato ad una ragazza bionda e dagli occhi scuri. Di fianco a loro c’era Henry Duroy.

Avvertii la presenza di Daniel dietro di me, poi la sua voce “Lei è Abigail. L’ho conosciuta al terzo anno di college” mormorò. Mi voltai appena e notai l’anello al suo anulare sinistro.

Mi sentii strana.

In un’altra foto c’erano Daniel e Abigail seduti su un dondolo mano nella mano. In un’altra ancora oltre loro due c’era un bambino biondo piccolissimo tra le braccia di Daniel.

“Lui è Cole. E gli altri due sono Trevor e Madison” vidi il suo dito indicare altri due bambini nella foto successiva “Mentre lui è James, il figlio di Cole. E’ nato pochi mesi fa”.

Rimasi in silenzio a fissare quei volti poi tornai a guardare Daniel “Sei stato felice, davvero?” chiesi mordendomi appena un labbro. Gli avevo chiesto io di vivere. Lui annuì “Non è stato facile, Sarah Jane. Tu…” si interruppe per osservarmi “…te ne sei andata così all’improvviso. Ed è stato come se ti fossi portata dietro un altro po’ del mio cuore sofferente. Avevo perso anche te” fece una pausa. Io trattenni al respiro.

“Avevo perso la ragazza che mi ero accorto di amare solo dopo che lei se ne era andata via per sempre” disse Daniel con voce rotta. Una lacrima sfuggì dai miei occhi prima che potessi fermarla. Non aveva mai detto di amarmi.

Daniel si avvicinò di un passo e mi prese la mano destra “Avevo paura che una volta che te ne fossi andata sarei ritornato il vecchio Daniel ma non è successo. Mi sono impegnato affinchè non succedesse e ho vissuto la mia vita. Ho incontrato Abigail ed è stato tutto più facile”

Le mie dita si contrasssero intorno alle sue e sospirai appena asciugandomi l’unica lacrima che avevo lasciato sfuggire “Era quello che volevo, Daniel. Ho sempre voluto che tu fossi felice”

“Non credere che non ti abbia mai pensato, Sarah Jane. Ti ho pensata tutti i giorni della mia vita perché sapevo che, senza di te, tutto quello che è successo non sarebbe mai accaduto. Eri tu ad avermi regalato ogni singolo giorno”

Lo disse in un tono talmente appassionato che mi ritrovai a volerlo abbracciare e baciare di nuovo.

“Tu come stai?” mi chiese poi di fronte al mio silenzio. Mi strinsi appena nelle spalle “Sto bene”.

Non era proprio una bugia.

“Johnse è con me” aggiunsi e lui annuì.

“Mi dispiace doverlo fare ora. Quel bambino ha tutta l’aria di tenere a suo nonno” indicai il neonato tra le braccia del ragazzo biondo. Daniel guardò le foto e sospirò appena “Già”.

“Dov’è Abigail?” domandai. Avrei voluto chiedergli di lei. Che tipo di persona era? Ma non ero certa di volerlo sapere.

“E’ fuori con Claire. Dovrebbe ritornare per l’ora di pranzo” e guardò l’orologio che segnava le undici “Suppongo che oggi non pranzerò, eh?” si sforzò di sorridere ma tutto ciò che ne uscì fu una smorfia.

“No, non credo” risposi quasi sottovoce “Stavolta devo farlo, Daniel”

“Non ti chiederei mai di non farlo, Sarah Jane”

Lo fissai e lui parlò di nuovo “Non mi aspettavo di rivederti” allungò una mano e prese tra le dita ruvide una ciocca dei miei capelli arancioni “Non sei cambiata affatto”

“Succede quando sei morta, sai?”

Lui sorrise e sembrò sereno “Mi è sempre piaciuto fartelo notare”

Sorrisi in risposta e trovai infine il coraggio di accarezzargli una guancia. Non mi importava granché di Abigail “Mi dispiace del modo in cui me ne sono andata ma non ce l’avrei fatta a dirti addio”

Lui mi fissò un attimo e poi annuì “E questo è un arrivederci, non è così?”

“Un arrivederci molto lungo ma…sì” stirai le labbra in un sorriso forzato.

“Voglio che anche tu sia felice” mormorò lui “Potresti essere felice con Johnse se glielo permettessi”.

Il ex-pseudoragazzo che mi incitava a stare con un altro. Gli accarezzai il mento “Io e Johnse siamo oltre il legame amoroso. Almeno credo” risposi quasi divertita.

Lui sorrise “Perciò…è ora?”

“Sei ansioso di morire, Duroy?”

Lui mi fissò e poi socchiuse gli occhi “Credo di essere più che altro…pronto”. Avrei voluto prolungare quei momenti per l’eternità ma annuii.

Daniel si sedette sul divano e si guardò intorno attentamente, come a imprimersi nella mente tutto ciò che quella stanza aveva vissuto. Mi inginocchiai di fronte a lui e incrociai i suoi occhi “Non devo farlo per forza ora, Daniel. Posso farlo più tardi. Posso darti la possibilità di salutare Abigail o…” la voce di morì in gola.

Lui scosse la testa “Fallo, Sarah Jane. E’ meglio così”

Esitai ancora nel guardami la mano.

“Sarah Jane..” sussurrò piegandosi verso di me. Le labbra secche si posarono in un breve bacio sulla tempia e poi sui capelli “Vorrei essere stato come ora quando ti ho conosciuta sul bordo di quel campo da football. Non avrei perso tutto quel tempo a fare lo stronzo”

Sorrisi mestamente “Rimedieremo. Prima o poi” risposi e incrociai i suoi occhi. C’erano ancora tante cose che avrei voluto dirgli ma non ci riuscii “Sei stato il primo che abbia amato”

“E tu la prima che mi abbia insegnato ad amare”

Bastò quello.

 “Sii felice, Folletto”

Annuii e lui si sdraiò sul divano poggiando la testa su uno dei cuscini beije “Lo farò, begli occhioni. Lo farò” mormorai in risposta. Ci guardammo un’ultima volta negli occhi e poi lui, con le palpebre a celarmi quel meraviglioso sguardo, mi porse la mano sinistra.

“L’eternità sarà un battito di ciglia. Ci rivedremo presto” sussurrò lui. Non ero tanto sicura che per me sarebbe stato esattamente così.

“Ci rivedremo presto, Daniel Duroy” sussurrai a mia volta. Esitai ancora un momento, osservando come il suo torace si alzava e si abbassava al ritmo del respiro e poi allungai la mano sinistra e presi la sua. Immediatamente Daniel Duroy smise di vivere. Tenni la mano alla sua anima per un momento brevissimo, giusto il tempo di uno sguardo, e poi la lasciai andare.
 
 
Rimasi lì al suo fianco per molti minuti. Osservando come il viso perdeva il suo colorito e la sua pelle diventava più fredda. Squillò il telefono un paio di volte. Forse era Abigail che voleva avvertirlo del suo ritardo, visto che ormai l’ora di pranzo era passata da parecchio.

Quando fui abbastanza provata da tutto quello trovai la forza di alzarmi di nuovo in piedi. Alla fine avevo preso l’anima di Daniel Duroy. Il ragazzo che mi aveva reso la Morte più viva di tutti i tempi.


 
Fine.
 
 
Angolo Autrice

Non so da dove cominciare. O meglio, potrei cominciare da moltissime cose ma sarebbe superfluo. Daniel e Sarah Jane sono stati pubblicati esattamente un anno fa su questo sito e, beh, mai avrei immaginato che mi sarei affezionata così tanto a loro. E non avrei nemmeno immaginato che tutti voi mi avreste seguito in questo “viaggio”. Voglio annunciarvi che non finirà qui. Sì, perché ho intenzione di rivedere a fondo questa storia e tentare di pubblicarla altrove o di sottoporla a qualcuno. Molte cose all’inizio non erano previste (praticamente erano previste solo la fine e la morte di Maddie) perciò tutto il resto è stato scritto di getto.

Voglio ringraziarvi uno a uno per ogni opinione, ogni minuto che avete speso a leggere questi capitoli e a vivere con Sarah Jane, Daniel, Johnse, Gabriele, Ross, Henry, Madison, Tommy, Jack, Chelsea, Uriele, Ezechiele e tutti gli altri.

Ragazze/i questo era “Come fossi niente, come fossi acqua dentro acqua” prossimamente in fase di revisione.

Per ogni curiosità e/o domande scrivetemi pure qui su efp (che tanto ho altre storie da pubblicare xD).

Vostra,
Raya_Cap_Fee

 

 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2235679