Valienna di Saralasse (/viewuser.php?uid=32399)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***
Capitolo 10: *** 9 ***
Capitolo 11: *** 10 ***
Capitolo 12: *** 11 ***
Capitolo 13: *** 12 ***
Capitolo 14: *** 13 ***
Capitolo 15: *** 14 ***
Capitolo 16: *** 15 ***
Capitolo 17: *** 16 ***
Capitolo 18: *** 17 ***
Capitolo 19: *** 18 ***
Capitolo 20: *** 19 ***
Capitolo 21: *** 20 ***
Capitolo 22: *** 21 ***
Capitolo 23: *** 22 ***
Capitolo 24: *** 23 ***
Capitolo 25: *** 24 ***
Capitolo 26: *** 25 ***
Capitolo 27: *** 26 ***
Capitolo 28: *** 27 ***
Capitolo 29: *** 28 ***
Capitolo 30: *** 29 ***
Capitolo 31: *** 30 ***
Capitolo 32: *** 31 ***
Capitolo 33: *** 32 ***
Capitolo 34: *** 33 ***
Capitolo 35: *** 34 ***
Capitolo 36: *** 35 ***
Capitolo 37: *** 36 ***
Capitolo 38: *** 37 ***
Capitolo 39: *** 38 ***
Capitolo 40: *** 39 ***
Capitolo 41: *** 40 ***
Capitolo 42: *** 41 ***
Capitolo 43: *** 42 ***
Capitolo 44: *** 43 ***
Capitolo 45: *** 44 ***
Capitolo 46: *** 45 ***
Capitolo 47: *** 46 ***
Capitolo 48: *** 47 ***
Capitolo 49: *** 48 ***
Capitolo 50: *** 49 ***
Capitolo 51: *** 50 ***
Capitolo 52: *** 51 ***
Capitolo 53: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Durante
la Terza Era della Terra di Mezzo, l’Unico Anello,
appartenente all’Oscuro
Signore Sauron, fu ritrovato, e il Male ricominciò a farsi
ardito.
Molti
e grandi pericoli dovettero affrontare coloro i quali si misero in
cerca del
Monte Orodruin, l’unico luogo ove fosse possibile distruggere
l’Anello; ma
infine, il gioiello fu distrutto e il suo Padrone scacciato per sempre
dalle
Contrade Orientali, ed ebbe fine la Terza Era.
La
Quarta Era ebbe inizio con l’ascesa di un nuovo sovrano al
trono di Gondor, e
vide la partenza degli Elfi, i Priminati figli di Ilúvatar, che lasciavano
la Terra di Mezzo al
dominio degli Uomini.
La
vicenda dell’Anello, però, aveva lasciato ben
altri segni, svelato gravi
tradimenti e infidi tranelli, fatto da teatro a sanguinose guerre e
grandi
amori, conciliato antichi nemici e separato grandi amici. E, cosa
più
importante, gli ultimi anni della Terza Era avevano visto balzare
d’un tratto
nella storia un popolo dimenticato da tutti, eccetto Mithrandir: la
Gente
Piccola, i Mezzuomini, gli Hobbit. Aveva, infine, svelato il mistero
intorno a
una fanciulla Elfo: Valienna, il “Dono della Valië”,
agli Elfi della Terra di Mezzo.
NdA: capitolo minuscolo, lo so, ma è soltanto il
prologo
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Capitolo 2 *** 1 ***
All’epoca
in cui, all’insaputa di tutti, l’essere chiamato
Gollum si impossessò
dell’Anello, a Dol Taur, il Bosco Atro, il Male era
ridivenuto forte, e presto
il reame di Thranduil fu nuovamente in pericolo, stretto tra la morsa
di Smaug,
padrone di Erebor, e quella dell’Oscurità che ora
avanzava da Dol Guldur,
antica fortezza di Sauron.
Ma
fu proprio in quegli anni oscuri che sembrò rinascere la
speranza,
insieme a una figlia degli Eldar: la bambina era fra gli esseri
più belli
creati da Ilúvatar
e
sembrava che fosse stata toccata dalla grazia dei Valar, tanto che il
suo
popolo decise di tenerla nascosta.
Ben
presto, la bambina divenne una fanciulla e al tempo in cui Smaug
conquistò
Erebor, già sapeva cavalcare e cacciare, e combattere se
necessario; ella,
infatti, aveva manifestato attitudini diverse dalle altre fanciulle e
le era stato
insegnato ciò che aveva desiderato. Spesso si allontanava
per giorni,
perlustrando il bosco, e ormai le malvagie creature che abitavano quei
luoghi
sapevano di doversi tenere alla larga: la fanciulla, era
un’eccellente arciere
e sapeva occultarsi nel buio meglio di chiunque altro della sua gente,
orientandosi perfettamente nell’oscurità.
Conosceva l’arte di estrarre il
veleno dai ragni giganti che uccideva, e ne imbeveva le punte delle
frecce che
utilizzava per attaccare gli Orchetti quando, insieme ad altri, tendeva
loro
delle imboscate se osavano avvicinarsi troppo al regno di Thranduil.
Un
giorno, il padre della fanciulla decise di allontanarla da Dol Taur,
senza
fornire spiegazioni, e tutti credettero che lo avesse fatto per
proteggerla dal
Male crescente; ella fu mandata a Lothlorien
poiché suo padre, appartenente ai Teleri, sperava che Dama
Galadriel la
accogliesse in virtù di questa parentela.
Fu
così che Thranduil e il suo popolo perdettero il loro amato
Loth-o-Doltaur, il
“Fiore di Bosco Atro”, come l’avevano
soprannominata per via della sua
bellezza, rara quanto un bel fiore in quel luogo tetro.
Giungere
fino al reame di Celeborn e Galadriel non fu facile; un tempo, si
sarebbe
potuti passare per il bosco, percorrendolo fino alle sue propaggini
meridionali,
ma ormai quella zona apparteneva al Male e passare accanto a Dol Guldur
avrebbe
significato la morte. Per questo motivo il Fiore degli Elfi Silvani
dovette
scegliere un’altra via. Suo padre decise di percorrere la Via
verso le Montagne
Nebbiose, attraversare il guado dell’Anduin e poi
ridiscendere il corso dello
stesso fiume percorrendone gli argini fino a giungere infine a Lorien.
La
Bianca Dama dei Galadhrim accolse di buon grado la fanciulla che da
quel
momento si stabilì nella sua città e vi
dimorò per lunghi anni. Grazie alla
sapienza di Celeborn e Galadriel, ella venne a conoscenza di molte cose
che
riguardavano la storia del mondo, la sua creazione e plasmazione,
l’avvento
degli Elfi e degli Uomini, le opere malvagie del primo Oscuro Signore
di cui
Sauron era luogotenente; la Dama le parlò dei Signori
dell’Ovest, dei loro
regni, della loro maestà e saggezza. Tuttavia la fanciulla
era interessata
soprattutto alla storia di Sauron e della forgiatura degli Anelli
magici, in
particolare dell’Unico, storia di cui Galadriel non parlava
volentieri. Presso
i Signori di Lorien ella
divenne sapiente e saggia, pur essendo ancora giovane fra gli Eldar, e
sentì il
desiderio di parlare con altri saggi; Celeborn e Galadriel,
però, sapevano che
ella doveva essere nascosta e non le consentirono di recarsi a
Isengard, presso
Saruman il Bianco. Le offrirono, invece, la possibilità di
apprendere un
diverso tipo di conoscenza, quella che le avrebbe potuto trasmettere
Fangorn,
il più antico Onod, il padrone della foresta che da lui
prende il suo nome.
L’idea la entusiasmò ed ella volle partire subito,
ignara dei turbamenti che
nello stesso momento stavano scuotendo Dol Taur all’arrivo di
Bilbo lo Hobbit e
della compagnia dei Nani.
La
foresta di Fangorn non distava molto dal reame di Lorien e raggiungerla non
fu difficile. Non
appena vi giunse la fanciulla si accorse subito della pesante aria che
vi si
respirava, e la sua sensibilità di Elfo le
consentì di percepire l’ostilità
degli alberi; tuttavia era divenuta avida di conoscenza e non temeva la
loro
rabbia, perciò si addentrò nel fitto della
foresta. Non sapeva dove cercare
Fangorn, ma aveva tempo e non le dispiaceva passeggiare in quel luogo,
che in
un certo senso le ricordava il suo Dol Taur. Celeborn le aveva detto
che le
molte dimore di Fangorn si trovavano nei pressi delle montagne e fu
lì che si
diresse. Ad un tratto si fermò, sentendosi osservata, e si
guardò intorno: in
un primo momento non distinse nulla in quella massa di alberi e questo le diede la
sgradevole sensazione di
essere caduta in trappola. Poi si accorse che quello che le era parso
un albero
dava l’impressione di essere in qualche modo più
vivo; avvicinandosi potè
notare che non si trattava affatto di una pianta: era un essere simile
a un Uomo,
ma alto come un Troll, con una folta barba di licheni e una strana
pelle ruvida
come corteccia, braccia e gambe molto lunghe, ognuna provvista di sette
robuste
dita. Ma ciò che colpiva maggiormente erano i suoi occhi:
sembravano pozzi
ricolmi e difatti erano mutevoli come la superficie
dell’acqua, pur avendo
qualcosa di ferino.
“Hmm
ohm, era da molto tempo che uno dei Priminati non passeggiava nei miei
boschi”,
disse con voce profonda.
“Ti
domando perdono per essere entrata senza il tuo permesso”,
disse la fanciulla
con un inchino; “ma dalle tue parole deduco che tu devi
essere Fangorn colui
che sto cercando”.
“Io
sono anche Fangorn”,
rispose l’Onod,
“è uno dei miei nomi, quello che mi dà
la tua gente. Dimmi fanciulla: chi sei e
per quale ragione mi cercavi?”.
“Il
mio nome è Helkamirië”,
rispose l’Elfo, “e ti cercavo per parlare con te,
nient’altro. Sono in cerca di sapienti e tu lo sei
certamente, anche se la tua
saggezza non è quella degli Eldar o degli Stregoni. Non ho
secondi fini, né
scopi malvagi, desidero solo sapere”.
Fangorn la
osservò e sembrava ponderare le
sue parole mentre i suoi occhi mutavano più e più
volte.
“Ha
uhm, sembri sincera”, disse infine;
“penso di poterti accontentare se è questo che
vuoi. Voi Elfi siete sempre
stati gli unici a comprendere in fondo, hm. Seguimi: ti
parlerò di ciò che
desideri mentre percorriamo la mia foresta”.
Helkamirië
seguì Fangorn ed essi
scomparvero nel folto dei boschi; nessuno ancora è riuscito
a sapere quanto
durò la loro conversazione, e neppure di cosa parlarono, ma
quando infine la
fanciulla tornò a Lorien, il Signore e la Dama la trovarono
molto cambiata, più
matura e riflessiva.
Trascorse
ancora qualche decennio, un tempo
assai breve per gli Elfi, e l’Unico Anello tornò
prepotentemente all’attenzione
del mondo e il Nemico si mosse, rivelando i suoi servi più
micidiali: i Nazgûl.
Essi furono
mandati verso la Contea, il
paese degli Hobbit, mentre Mithrandir allertava colui che possedeva il
gioiello, mettendolo sulla Via verso Granburrone. Questi era Frodo
Baggins,
nipote ed erede di Bilbo Baggins, colui che prese l’Anello a
Gollum; ma egli
non partiva solo: con lui era il fidato servitore e giardiniere Samvise
Gamgee,
e due giovani Hobbit piuttosto irrequieti, Meriadoc Brandibuck e
Peregrino Tuc.
La loro prima tappa fu presso la dimora di Tom Bombadil nella Vecchia
Foresta;
poco dopo averla lasciata ebbero uno spiacevole incontro ai
Tumulilande,
tuttavia grazie a Iarwain Ben-adar furono salvi. Raggiunsero il
villaggio di
Brea e qui conobbero il Ramingo Grampasso che si offrì di
scortarli fino a
Imladris attraverso le Terre Selvagge, di modo che i Cavalieri Neri,
che li
inseguivano, avessero vita meno facile. Purtroppo ad Amon Sûl
furono attaccati
e Frodo fu ferito da un pugnale Morgûl e dovettero affrettare
il viaggio; un
Alto Elfo, Glorfindel, li trovò e mandò lo Hobbit
a Imladris sul suo cavallo,
Asfaloth, il quale passò il guado del Bruinen appena in
tempo perché Frodo
fosse curato, mentre i Cavalieri Neri furono spazzati via dal fiume
stesso.
Mentre accadeva
tutto ciò, a Lorien era
giunta notizia del ritrovamento dell’Unico, fatto che
sembrò turbare alquanto
Galadriel. Helkamirië lo aveva capito e tentò di
scoprirne il motivo, ma
nessuno sapeva o voleva dirle qualcosa; così nel medesimo
giorno in cui Frodo
raggiunse Brea, ella decise di parlare direttamente con la Bianca Dama.
La
cercò invano sul suo talan
e tra le
strade della città, finchè non la
incontrò mentre tornava dalla conca dove si
trovava il suo Specchio.
“Dama
Galadriel, ho bisogno di parlarti”,
disse.
“Ti
ascolto Helkamirië”, rispose la Dama.
“Voglio
che tu mi dica per quale motivo la
notizia del ritrovamento dell’Unico Anello ti ha sconvolta
tanto”, disse
Helkamirië; “forse che tu sia il possessore di uno
dei Tre?”.
“Non
voglio che tu ripeta simili parole”,
rispose Galadriel con un’espressione severa sul viso,
“se anche io decidessi di
rivelarti il motivo del mio turbamento, tu non capiresti”.
“Perché
no?”, si animò la fanciulla, “sotto
la tua guida sono divenuta sapiente”.
“No,
non lo sei affatto”, disse la Dama,
“altrimenti questa discussione non avrebbe luogo. La faccenda
dell’Anello
riguarda i veri sapienti. Non
te”.
Così
dicendo, Dama Galadriel si allontanò,
lasciando Helkamirië delusa e offesa ma non meno determinata a
scoprire la
verità. Per questo motivo il giorno seguente
partì da Lothlorien diretta a
Imladris: da tempo desiderava conoscere Messere Elrond, e sperava che
questi
potesse darle le risposte che Dama Galadriel le aveva negato.
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Capitolo 3 *** 2 ***
Helkamirië
non attese a lungo: comunicò a Sire Celeborn e a Dama
Galadriel le sue intenzioni e, nonostante
essi opponessero resistenza, ella decise ugualmente di partire.
“E
sia”, le disse Celeborn. “Ma solo a patto che tu ti
faccia
scortare da Haldir”.
“No!”,
ribattè Helkamirië. “Non desidero mettere
in pericolo
la vita di altri. La strada che percorrerò è
quella che
passa per la Scala dei Rivi Tenebrosi e per Caradhras”.
“Vale
a dire”, intervenne Galadriel, “passare nei pressi
di Moria e dei
suoi Orchetti; e affrontare la furia di Caradhras è nelle
possibilità di ben pochi Elfi ormai, poiché
richiede
grande potere. Sei certa di essere tra loro?”.
“Dama
Galadriel”, disse la fanciulla, levando fieramente il capo,
“io
sono Helkamirië Erynglin; tu sai che mio padre è un
Telerin, ma quello che forse non sai è che la nostra
è
una parentela doppia: mia madre, infatti, appartiene alla stirpe dei
Noldor”.
“Così”,
disse Galadriel, “anche tu appartieni agli Alti Elfi. E
dimmi:
perché mai due fra gli Elfi più nobili della
Terra di
Mezzo hanno deciso di dimorare fra gli Elfi Silvani?”.
“Non
ne conosco il motivo”, rispose Helkamirië.
“Io posso solo
dirti che mio padre possiede il dono di scrutare nei tempi a venire,
e forse avendo previsto la mia nascita, insieme a mia madre decisero
di fare che questa avvenisse in un luogo nascosto. Poco tempo prima
che ciò accadesse, mia madre sognò la Regina
d’Occidente”.
“Elbereth!”,
esclamarono all’unisono i Signori di Lόrien.
“Si”,
continuò la fanciulla, “ed ella disse che
intendeva far
rinascere la speranza fra gli Elfi della Terra di Mezzo, per far
sì
che essi non dimentichino che i Signori d’Occidente vegliano
su di
noi. Fu così che decise di accendere la mia anima e il mio
corpo della luce dei suoi astri più luminosi, inferiori solo
ai Silmaril di Fëanor”.
“Non
riesco a comprendere, Helkamirië”, disse Sire
Celeborn. “Non
vedo nessuna luce emanare dal tuo corpo, spiegami il perché
te
ne prego”.
Helkamirië
guardò i Signori di Lόrien e aveva sul volto un sorriso
triste. Sembrava non trovare le parole giuste o il coraggio
necessario per esprimere ciò che le si agitava
nell’animo.
“La
mia luce ora è offuscata”, disse infine,
“perché
nel reame di Lorien sono di nuovo serena ma non posso essere felice;
tristi avvenimenti mi tormentavano nel Reame Boscoso, velando la luce
di Elbereth. Non venni a Caras Galadhon di mia spontanea
volontà,
ma per volere di mio padre che ritiene così di proteggermi
da
me stessa; non vi dirò di più per il momento.
Dite:
credete che io possa scalare il Caradhras?”.
“Ti
concediamo di tentare”, disse Dama Galadriel. “Non
sei una
fanciulla sprovveduta e torneresti indietro se sapessi di non
farcela”.
Helkamirië
ultimò i preparativi e partì finalmente alla
volta di
Imladris; i Signori di Lorien avevano ottenuto che Haldir la
scortasse almeno fino alla Scala dei Rivi Tenebrosi e questi si
dimostrò un fedele e discreto compagno di viaggio, anche se
per pochi giorni soltanto.
Quando
giunsero nei pressi di Moria era notte fonda e perciò
dovettero attendere che venisse l’alba. Per stare
più al
sicuro si arrampicarono su uno dei telain
delle sentinelle, ma non dormirono: col favore delle tenebre una
miriade di Orchetti usciva da Moria, avvicinandosi talvolta ai
confini di Lorien.
“Dama
Helkamirië”, disse all’improvviso Haldir,
“non voglio
sembrarti indiscreto, ma posso domandarti per quale motivo
intraprendi questo viaggio?”.
“Haldir”,
rispose Helkamirië, “tu conosci la storia
dell’Unico Anello
dell’Oscuro Signore, non è
così?”.
“Certo,
mia signora”, disse l’Elfo. “Conosco la
storia, così
come è stata tramandata”.
“E’
proprio questo il motivo del mio viaggio, Haldir”, disse la
fanciulla; “Qualcosa dentro di me mi spinge a cercare di
sapere più
di quello che ci è stato detto. Dama Galadriel rifiuta di
accontentarmi e perciò mi sto recando a Imladris: spero che
Messere Elrond possa rispondere alle mie domande”.
“Cosa
farai se anch’egli si rifiutasse di darti
risposte?”.
“Messere
Elrond è fra i più saggi di coloro che camminano
nella
Terra di Mezzo”, rispose Helkamirië. “In
ogni caso, avrei
molto da imparare dalla sua saggezza. E poi, qualcosa mi spinge verso
quel luogo, non so spiegarti cosa; so solo che devo andare”.
“Non
comprendo del tutto”, rispose Haldir. “In
realtà, noi
Galadhrim sappiamo ben poco di te, mia signora, e spesso non ti
capiamo. Mi sembra di vedere un velo che si frappone fra te e gli
altri: è come se tu stessa lo avessi creato e non riesco a
scorgere dietro di esso”.
“Haldir”,
disse Helkamirië con un dolce sorriso, “sei il solo,
in
realtà, che abbia scostato quel velo. In pochi giorni tu hai
capito di me più di quanto abbiano fatto i Signori di Lorien
in tante vite degli Uomini. Forse perché le loro menti sono
incessantemente rivolte al mondo esterno, per salvarci
dall’Oscuro
Signore. Ti rivelerò perché esiste quel
velo”. La
fanciulla si fermò un istante e rivolse lo sguardo in alto,
fissando le stelle. “Devi sapere che la vita che conducevo
nel
reame di Thranduil era molto diversa da quella che vivo presso
Celeborn e Galadriel. Dol Taur è un luogo buio e tetro:
sotto
le fronde degli alberi secolari si cela ogni tipo di creatura o
inganno. Quando ero molto giovane temevo ogni cosa laggiù:
il
cadere di una foglia o lo spezzarsi di un ramo e persino il vento che
mi sfiorava il viso; così, un giorno decisi di imparare a
difendermi e chiesi a mio padre di insegnarmi a tirare con
l’arco e
a maneggiare una spada. Egli comprendeva i miei timori e mi
accontentò. Con il tempo divenni abile e acquisii coraggio;
ma
ben presto questo si mutò in temerarietà:
cominciai a
vagare per i boschi da sola, a volte per giorni, dando la caccia a
qualsiasi essere osasse opporsi a me. E quando finalmente ritornavo,
organizzavo, con altri Elfi, imboscate per gli Orchi che a volte
attaccano il Reame Boscoso, colpendoli con frecce intrise del veleno
dei ragni giganti. Non avevo più pietà per
nessuno”.
“Non
provavi pietà per i nemici”, disse Haldir;
“E ciò è
comprensibile in questi tempi bui”.
“No,
non è così”, sospirò
Helkamirië. “Quando
un mio compagno rimaneva ferito o perdeva la vita, io non provavo
dolore, ma solo infinita ira e di volta in volta mi facevo
più
ardita. Infine, poco prima che mio padre mi portasse qui a Lorien,
compii la mia ultima impresa: mi misi in viaggio e giunsi sino a Dol
Gûldur”.
“La
vecchia fortezza del Nemico?!”, esclamò Haldir.
“Soltanto
un altro ha tentato un gesto simile: Mithrandir”.
“Mithrandir
ha il potere necessario per osare”, disse la fanciulla,
“mentre
io ne sono priva; giunta nei pressi di quel luogo rimasi nascosta
nell’oscurità in attesa di qualcosa che non
comprendevo, né
allora, né dopo tutti questi anni. Ero sola e gli Orchi mi
attaccarono: ne abbattei molti rimanendo sugli alberi, ma infine fui
costretta alla fuga e riuscii appena a salvarmi. Quando mio padre e
mia madre ne vennero a conoscenza, pensarono che la cosa migliore
fosse allontanarmi dalla mia amata terra. Mio padre è un
Telerin e mia madre è una dei Noldor: in virtù di
questi legami chiesero a Sire Celeborn e Dama Galadriel di ospitarmi
qui a Lothlorien, ma il distacco forzato e la limitata
libertà
di cui godo hanno creato la barriera che senti”.
“Ora
potrebbe cadere”, disse Haldir.
“Non
capisco come”, rispose Helkamirië; “Non
sto ritornando a Dol
Taur e i Signori di Lorien non mi concederanno più
libertà
di prima”.
“Non
hai torto, mia signora”, disse l’Elfo,
“ma ora sarai lontana
dal Reame Beato per qualche tempo, e Messere Elrond non ti
sorveglierà così strettamente. Sarai di nuovo
libera”.
Helkamirië
sembrò realizzare d’improvviso ciò che
intendeva
Haldir e mentre gli sorrideva riconoscente, una luce ancora pallida
ma distinta prese a emanare da tutto il suo corpo.
“Dama
Helkamirië!”, sussurrò Haldir.
“Non
temere, amico mio”, disse la fanciulla dolcemente,
“questo è
quello che sono, grazie alla Regina dell’Ovest; e quello che
sono
ritornata ad essere per merito tuo. Grazie alle tue parole ho capito
che non sono sola qui a Lorien e la tristezza è scivolata
via
da me: ben presto, tutta la mia luce illuminerà ancora la
notte, e la vita degli Elfi della Terra di Mezzo”.
In
quegli istanti, i primi raggi del Sole nascente si sparsero sulle
fronde dei mellyrn
facendone brillare le foglie, consentendo loro di riprendere il
viaggio.
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Capitolo 4 *** 3 ***
Come stabilito, Haldir
scortò Helkamirië
solo fino alla Scala dei Rivi Tenebrosi. Non parlò
più di ciò che era accaduto,
ma la fanciulla non se ne ebbe a male, poiché aveva compreso
che il suo
compagno era solo sorpreso per ciò che aveva visto.
Più si allontanava da Lorien,
maggiore era il senso di libertà che provava e
più intensa la luce che il suo
corpo emanava.
Quando infine
oltrepassò Caradhras e giunse
nell’Eregion, si sentì nuovamente quella di un
tempo: aveva un arco e un lungo
pugnale con sé e questo le dava ancora
l’impressione di non dover temere nulla,
anche se la saggezza acquisita con gli anni le dettava cautela. Il suo
problema
maggiore ora, era nascondersi: non poteva permettere che le spie del
Nemico la
individuassero, ma era difficile nascondere la sua lucentezza; con la
luce del
giorno non le creava problemi, poiché il Sole brillava
ancora intensamente,
nonostante si fosse già in Autunno. Al calare delle tenebre,
però, come quella
di tutti gli Alti Elfi, la sua pelle emanava un pallido bagliore che in
lei era
più intenso per volere della Regina d’Occidente.
Il modo più sicuro era
viaggiare di giorno per poi nascondersi durante la notte: ma la terra
che un
tempo era l’Agrifogliere, ora era brulla e desolata, e
offriva ben pochi ripari
sicuri, dunque non le rimaneva scelta che coprirsi il più
possibile e nascondersi
sotto i radi arbusti o vicino a mucchi di rocce, e procedere a tappe
forzate
per abbreviare il più possibile il viaggio.
Helkamirië giunse al Guado del
Bruinen pochi giorni
prima che vi arrivasse a sua volta Frodo, ferito dal capo dei Nazgûl. Una volta
oltrepassato il fiume, sentì
qualcosa che non riusciva a definire e che avvertiva anche a Lothlorien; per un attimo si
sentì nuovamente
prigioniera, ma poi ripensò alle parole di Haldir, si fece
coraggio e proseguì.
Naturalmente,
Messere Elrond accolse volentieri Helkamirië e la
accompagnò personalmente in un luogo
alquanto sopraelevato donde potè godere della vista
dell’intero rifugio di
Imladris, l’ultima Casa Accogliente a Est lungo la Via.
Ritornati
nella sala principale, Elrond fece accompagnare Helkamirië nei suoi alloggi
perché riposasse fino
all’ora di desinare. Dopo aver partecipato a un sontuoso
banchetto, la
fanciulla conobbe gli Elfi che vivevano a Imladris, tra cui il
Consigliere
Erestor e la nobile Dama Arwen, figlia di Elrond Mezzelfo. Le dissero
che in
quella casa viveva uno Hobbit, Bilbo Baggins.
“Bilbo?”,
chiese stupita, “proprio colui che ritrovò
l’Anello del Nemico? Per quale
motivo si trova qui?”.
“Perché
è un caro amico”, le rispose Elrond, “e
perché ha portato a lungo l’Anello, con
tutto ciò che esso comporta. All’apparenza
sembrerebbe averne tratto
giovamento, poiché il gioiello gli ha donato una vita molto
lunga, anche
secondo i criteri della sua razza. Ma, con il ridestarsi
dell’Ombra, l’Anello
ha cominciato a esercitare più marcatamente il suo influsso
malefico, tanto che
Mithrandir lo ha convinto a lasciarlo”.
“Lasciarlo?”,
chiese ancora Helkamirië;
“A chi ha potuto affidare un oggetto di tale
potere?”.
“Al
suo erede naturalmente, Frodo Baggins”, rispose il Signore di
Imladris; per un
attimo distolse lo sguardo, fissando le fiamme del camino acceso nella
sala.
“Dimmi, Dama Helkamirië:
cosa ti ha spinto a recarti in questo luogo? In questi tempi bui
è raro
ricevere visite per pura cortesia”.
“Sei
nel giusto, mio signore”, rispose la fanciulla;
“non è stata solo la fama di
Imladris a portarmi sin qui. Tuttavia, ti chiedo di perdonarmi se non
ti
rivelerò il mio scopo”.
Elrond
la fissò con il suo sguardo penetrante, ma non
indagò oltre.
“Abbiamo
ricevuto messaggi da Lothlorien”,
intervenne Erestor, “che affermano tu sia un dono di
Elbereth; se ciò fosse
vero, sarebbe alquanto insolito: i Sovrani d’Occidente non
intervengono,
direttamente o indirettamente, nella vita degli Eldar della Terra di
Mezzo.
Perché dovrebbero agire su un singolo individuo?”.
“Non
pretendo di conoscere il loro volere e il loro pensiero”,
disse Helkamirië con una lieve nota di
stizza, “ma so
perfettamente chi è mia madre: è una Noldorin
approdata alla Terra di Mezzo
insieme all’esercito dei Valar di cui rispetta la
maestà e la potenza. Non
oserebbe mentire inventando simili falsità sulla mia
nascita. E se questo non
dovesse bastare, nobile Erestor, guardami con attenzione!”.
Ignorando
la consueta prudenza, si levò in mezzo alla sala, lasciando
cadere il mantello che
fino a quel momento la copriva: la stoffa bianca e leggera
dell’abito che
indossava non poteva offuscare la lucentezza della sua pelle che ora,
libera di
irradiarsi, le illuminava anche il bel volto. Persino Elrond e Arwen
sua figlia
non poterono pronunciare parola innanzi a un tale spettacolo, mentre
Erestor si
prostrò in ginocchio davanti a Helkamirië.
“Ti
domando perdono, mia signora”, disse. “Non posso
dubitare oltre delle tue
parole: non avrei dovuto credere che una figlia degli Eldar potesse
mentire, ma
viviamo in tempi malvagi”.
Helkamirië si chinò a
prendere le sue mani nelle
proprie e lo fece rialzare.
“Rialzati,
nobile Erestor”, gli disse dolcemente. “Un Signore
Elfico del tuo rango non
deve inchinarsi dinanzi ad un’umile fanciulla quale io sono.
Volevo
semplicemente mostrare a te e a tutti i presenti quale sia il dono che
ho
ricevuto dalla Regina d’Occidente. Nella sua infinita
saggezza, Elbereth non mi
ha donato poteri o armi, ma qualcosa che potrebbe riconfortare i nostri
cuori
in queste terre d’esilio”.
“Dunque
i messaggeri dicevano il vero”, disse Dama Arwen,
“tu sei davvero il dono di
Elbereth agli Eldar”.
“Questo
è un titolo donatimi dalla mia gente”, disse
Helkamirië, “il popolo
di Thranduil, presso il quale
sono cresciuta. Essi mi chiamavano Valienna e hanno sempre mantenuta
segreta la
mia esistenza, soprattutto quando l’Ombra di Dol Guldur
tornò a espandersi al
bosco circostante; perciò rivolgo una preghiera a tutti voi:
non rivelate ciò
che avete visto, nemmeno a coloro che giudicate amici fidati, se essi
non appartengono
al nostro popolo”.
Erestor
si chinò a raccogliere il mantello che lei aveva abbandonato
sul pavimento
della sala.
“Non
temere mia signora”, disse mentre le copriva le spalle.
“Nessuno di noi tradirà
il tuo segreto. Sei nella dimora di Messere Elrond: qui non potrai
trovare
altro che amici. Ora è meglio che tu vada a riposare;
è stata una giornata
pesante”.
Helkamirië si
limitò ad annuire e uscì dalla sala.
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Capitolo 5 *** 4 ***
I
giorni trascorsero sereni a Imladris, nonostante la fanciulla dovesse
rimanere nascosta per via dell’arrivo di Mithrandir. Era
stata solo
pura fortuna se lo Stregone non aveva incontrato la fanciulla quando
era giunta alla Casa di Elrond: egli, infatti, si trovava lontano
nella speranza di incontrare i suoi amici, trascorrendo fuori diverse
giornate e ritornando solo dopo che Helkamirië
aveva lasciato il
Salone del Fuoco.
Bilbo Baggins, invece non rappresentava un problema: trascorreva le
giornate nella sua stanza, riordinando i suoi appunti e le sue carte
di viaggio, uscendo solo per mangiare o per incontrare Mithrandir o
Elrond, e spesso si fermava nel
Salone del Fuoco,
appisolandosi quasi subito; si risvegliava quando sentiva canti o
storie dei Tempi Remoti, a volte fornendo il proprio contributo.
Ben
presto, la tranquillità fu interrotta quando il cavallo di
Glorfindel, Asfaloth, traversò il Guado del Bruinen
trasportando Frodo ferito gravemente da un pugnale Morgûl,
ma con l’Anello ancora con sé. Elrond si
precipitò al
suo capezzale, sfruttando le sue conoscenze per guarirlo, ma
nonostante i suoi sforzi, il Mezzuomo rimase tra la vita e la morte
per qualche giorno ancora. Durante questo periodo, Helkamirië
non incontrò affatto Elrond e anche Dama Arwen sembrava
sparita nel nulla; aveva conosciuto Glorfindel dopo che questi era
tornato a Imladris, e il Signore Elfico era l’unico che si
recasse
a trovarla nei suoi alloggi, donde lei non usciva mai per non
rischiare di incontrare i curiosi Hobbit.
Il
quinto giorno dall’arrivo di Frodo, Glorfindel si
recò come
suo solito nelle stanze di Helkamirië:
le era stato assegnato un grande alloggio, composto di diverse
stanze, ma isolato dal resto dell’edificio. Vi si trovava
anche una
grande terrazza, la stessa dove era stata accompagnata da Elrond
perché potesse ammirare Imladris; la sua altezza
considerevole
le consentiva di poter uscire senza essere vista, a patto che non si
avvicinasse troppo alla balaustra. Fu proprio lì che la
trovò
Glorfindel: con la luce del Sole non sembrava emanare il suo
particolare bagliore e appariva soltanto una bella fanciulla elfica.
“Dama
Helkamirië”,
la apostrofò, “ho una buona notizia”.
“Di
cosa si tratta, nobile Glorfindel?”.
“Il
portatore dell’Anello è guarito”,
rispose l’Elfo;
“questa mattina ha riaperto gli occhi”.
“Ne
sono felice”, disse Helkamirië;
“anche se devo confessarti che ho temuto per la sua vita;
conosco
le grandi capacità di Messere Elrond, ma quella subita da
Frodo rimane una ferita da cui è difficile
guarire”.
“Capisco
cosa vuoi dire”, disse Glorfindel; “devi sapere che
lo stesso
Elrond ha temuto di fallire”.
Helkamirië
si voltò nuovamente verso l’esterno.
“Che cosa accadrà
ora?”, domandò.
“Elrond
convocherà un Consiglio”, rispose Glorfindel.
“Gli Hobbit
non sono i soli a essere giunti in cerca di aiuto; persino alcuni
Nani dalla Montagna Solitaria si sono recati a Imladris”.
“Nani?!”,
esclamò meravigliata la fanciulla. “Allora esiste
qualcosa
in grado di farli uscire dalle loro rocche”.
“Non
sembri nutrire simpatia per loro”, disse l’Elfo;
“ma in fondo
tra le nostre razze non corre buon sangue. Eppure, Elrond è
sempre stato cordiale e ospitale con i Nani”.
“Io
non biasimo Elrond”, disse Helkamirië;
“al contrario, lo ammiro: io non riesco ad apprezzare i Nani,
non
solo per i nostri rapporti con loro. Si nascondono nelle montagne in
cerca di tesori, indifferenti a ciò che accade
all’esterno.
Io vengo da Dol Taur e il regno di Thranduil non dista molto da
Erebor; siamo quasi costantemente sotto assedio, per via delle
creature di Dol Taur e degli attacchi del Nemico, ma non abbiamo mai
ricevuto nemmeno mere offerte di aiuto dai Nani, che rimangono
rintanati nella loro città. Dimmi: il mio astio ti sembra
giustificato?”.
“Posso
capirlo”, rispose Glorfindel, “ma non condividerlo.
I Nani si
comportano esattamente secondo la loro natura, proprio come facciamo
noi Elfi: il nostro atteggiamento verso il mondo non può
essere simile, poiché siamo creature profondamente
diverse”.
Helkamirië
non rispose, ma guardò Glorfindel negli occhi e sorrise; si
avvicinò all’Elfo, gli prese una mano e la strinse
tra le
sue.
“Ti
ringrazio, nobile Glorfindel”, disse, “per le tue
parole. Forse
hai ragione tu e i Nani non sono malvagi, ma Dol Taur non è
un
posto in cui si può vivere sereni a lungo, soprattutto senza
aiuto. Rifletterò su ciò che mi hai
detto”. Si
avvicinò un attimo alla balaustra, per scostarsene
immediatamente. “Te ne prego, Glorfindel, ritorna da me dopo
il
Consiglio e raccontami ciò che sarà stato
deciso”.
“Non
so se potrò farlo”, disse Glorfindel,
“ma se Elrond non
avrà nulla in contrario, tornerò”.
Glorfindel
la lasciò, raggiungendo la Sala Principale dove si stavano
ultimando i preparativi per il banchetto in onore di Frodo.
Quando
il Sole fu tramontato, Imladris sembrava essersi completamente
svuotata; ogni Elfo si era unito agli ospiti per partecipare al
banchetto che quella sera si sarebbe tenuto in casa di Elrond.
Helkamirië
era rimasta nei propri alloggi per la necessità di rimanere
nascosta; quella notte, però, la fanciulla non riusciva a
riposare, oppressa da un senso di inquietudine che non era capace di
scacciare o ignorare. Alla fine, rassegnata, uscì sulla
terrazza: era quasi l’alba e le stelle cominciavano a
sbiadire,
mentre la rugiada stava ricoprendo il paesaggio circostante. Imladris
dormiva, così si avvicinò senza timore alla
balaustra,
da cui poteva vedere l’intero rifugio e fu particolarmente
colpita
dal fatto che il cancello d’ingresso fosse aperto e,
apparentemente, senza sorveglianza.
All’improvviso,
sentì in lontananza uno scalpiccio di zoccoli e la
curiosità
le impedì di scostarsi: dal cancello aperto giunsero due
arcieri a cavallo che ad un’analisi più attenta
risultarono
essere Elfi del Reame Boscoso. A tale vista, Helkamirië
sussultò
per la sorpresa e la gioia, tanto che la sua pelle prese a brillare
ancora più del solito e nonostante i primi raggi del Sole
stessero già illuminando la valle, uno dei due Elfi fu
attratto da tale luce e i suoi occhi si persero in quelli di
Helkamirië che avevano il colore dei boschi a primavera.
L’Elfo
osservava la fanciulla rapito; distolse lo sguardo per un istante,
credendo di sognare una simile creatura e quando tornò a
posare gli occhi sulla terrazza, Helkamirië non
c’era più.
“Qualcosa
non va?”, gli chiese il suo compagno.
“No.
Soltanto, so che non può essere ma…”,
l’Elfo esitò
per un istante; “credevo di aver visto, qui a Imladris, il
nostro
Loth-o-Doltaur. Sicuramente mi sbaglio, è più
probabile
che suo padre l’abbia rimandata all’Ovest.
Andiamo”.
I
due Elfi spronarono i cavalli e ripresero a salire lungo il sentiero
che conduceva al cuore di Imladris.
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Capitolo 6 *** 5 ***
Helkamirië si lasciò
cadere in ginocchio sulla
terrazza: si era ritratta non appena l’Elfo aveva distolto lo
sguardo,
sconvolta da ciò che era accaduto, soprattutto
perché aveva riconosciuto i
nuovi arrivati, ed era certa che anche il suo osservatore sapesse chi
lei
fosse. Questi era Legolas, il figlio di Thranduil del Reame Boscoso,
accompagnato da Ilderan, uno dei migliori arcieri al servizio di
Thranduil.
Helkamirië
era preoccupata: aveva lasciato che la sua gente credesse che
suo padre l’aveva accompagnata ai Porti Grigi,
perché il sapere che qualcuno
avrebbe potuto rivolerla a casa le avrebbe reso ancora più
difficile obbedire a
suo padre e rimanere lontana Dol Taur. Conosceva se stessa e non
dubitava del
fatto che se Legolas le avesse chiesto di tornare fra la sua gente, lei
l’avrebbe seguito.
Rimase seduta
dov’era fino a che non si
accorse che Imladris si stava rianimando; non erano passati che pochi
minuti
dal fatidico incontro, ma Helkamirië aveva la sensazione di
essere rimasta ferma
per molte vite degli Uomini. Qualcuno la stava chiamando,
perciò rientrò nella
sua stanza, dove trovò Glorfindel ed Elrond.
“Messere
Elrond, nobile Glorfindel”, disse
inchinandosi.
“Dama
Helkamirië”, la apostrofò Elrond;
“Glorfindel mi ha detto della tua richiesta. Io non ho nulla
in contrario al
fatto che tu sappia quali saranno le decisioni del Consiglio: il tuo
dono non
ti consente di parlare con nessuno che non appartenga al nostro popolo,
e
dunque non potresti rivelarle al Nemico o ai suoi servi, neanche se
tratta in
inganno”.
“Ti
ringrazio, mio signore”, disse la
fanciulla con un sorriso.
“C’è
un’altra cosa”, intervenne Glorfindel;
“pochi minuti or sono è giunto a Imladris uno
della tua gente e ha chiesto di
te”.
Helkamirië
trasalì visibilmente e, tentando
di ignorarne il motivo, si ritrovò a sperare che fosse stato
Ilderan a chiedere
di lei.
“Di
chi si tratta?”, riuscì a dire con un
filo di voce.
“Legolas,
figlio di Re Thranduil”, rispose
Glorfindel. “Egli sostiene di averti scorta quassù
non appena ha varcato il
cancello. È possibile che sia così?”.
“È
andata come dice lui. Non credevo che
qualcuno potesse vedermi”.
“Questo
non è un problema”, disse Elrond.
“Legolas appartiene alla nostra gente e tu vieni dal Reame
Boscoso. Egli sapeva
bene chi tu fossi, infatti la sua domanda è stata chiara:
voleva sapere se
Loth-o-Doltaur aveva alloggio a Imladris. Non è stato
semplice capire, fino a
che non ha nominato Valienna”.
Helkamirië
sorrise, ma di una gioia velata
da profonda malinconia. “Non ci sono molti fiori nel folto di
Dol Taur”, disse.
“La gente di Thranduil ritiene che io sia rara fra gli Eldar
quanto un fiore
nella nostra terra. Dov’è Legolas, ora? Gli avete
detto di me?”.
“Sembra
che l’idea ti turbi”, rispose
Elrond. “In ogni caso, Legolas aspetta qui fuori; vorrebbe
porgerti i suoi
saluti prima di partecipare al Consiglio, ma non ha molto tempo. Io e
Glorfindel raggiungeremo la Sala del Consiglio, ti lasceremo sola con
lui”.
Elrond si
allontanò, mentre Glorfindel si
attardò: le si avvicinò e le prese una mano nella
propria, teneramente.
“Percepisco
i tuoi timori”, le disse;
“ma i
sentimenti non devono farti paura,
la tua sensibilità è parte della tua natura di
figlia degli Eldar”.
Helkamirië
gli strinse a sua volta la mano
e lo guardò riconoscente, mentre l’Elfo usciva
seguendo Messere Elrond. Non
appena i due si furono allontanati, sulla soglia si delineò
la figura di
Legolas: ancora una volta, i loro sguardi si incrociarono e rimasero
incatenati
per qualche istante. Infine, Legolas percorse velocemente la distanza
che li
separava e si inchinò al suo cospetto.
“Mia
signora Helkamirië”, disse, “non
credevo che avrei rivisto la tua luce su questa sponda del Grande Mare,
né che
tu fossi ospite a Imladris”.
“Legolas,
rialzati te ne prego”, rispose la
fanciulla con voce tremante. “In realtà io non
dimoro nella Casa di Elrond, ma
a Lothlorien, presso Sire Celeborn e Dama Galadriel. È stato
il puro caso a far
sì che noi ci incontrassimo in questo luogo”.
“Mai
come ora sono stato così grato al
caso”, disse l’Elfo. “Il Reame Boscoso
è meno felice da quando tuo padre ti ha
allontanata da noi; la tua presenza ci ricordava in ogni istante la
sorveglianza dei Valar, mentre ora… non dubitiamo dei
Signori d’Occidente,
sappiamo per certo che il loro pensiero è costantemente
rivolto a noi, eppure
tu stessa ricorderai ancora che genere di vita si conduca
laggiù e io… noi… ci
sentiamo più soli di prima”.
“Io
sono dispiaciuta, Legolas”, disse
Helkamirië con gli occhi lucidi e la voce rotta dal pianto.
“Non avrei mai voluto
lasciare il nostro bosco. Mio padre me ne ha allontanato
perché temeva le mie
azioni e il suo affetto gli ha impedito di capire che il mio posto
è fra voi,
non nascosta nella beata Lothlorien”.
Legolas le
asciugò gentilmente le lacrime
prendendole il viso tra le mani. “Se è
così”, disse, “perché
non…”.
“No!”,
lo interruppe bruscamente la
fanciulla. “Non chiedermelo, non saprei dirti di no e non
voglio contrariare i
miei genitori”.
L’Elfo
chinò il capo sconfitto, le lasciò
il viso e fece per andarsene.
“Legolas!”.
Sentendosi
chiamare si fermò sulla soglia.
Helkamirië lo raggiunse e lo abbracciò, posando la
guancia contro le sue
spalle.
“Legolas”,
sussurrò, “io so che non resterò a
lungo lontana da Dol Taur, lo sento nel
cuore, ritornerò. E sono sicura che prima di allora ti
rivedrò ancora, anche se
non ne conosco la ragione né il luogo”.
Legolas
si sciolse dall’abbraccio e si voltò; e per la
terza volta quel giorno fissò i
suoi occhi in quelli di Helkamirië,
restandone ammaliato. “Dama Helkamirië”,
cominciò a dire, ma si fermò incapace di
proseguire oltre.
“Il
Consiglio sta per cominciare”, disse la fanciulla.
“Ti staranno aspettando,
vai. E non perdere la speranza o la fiducia in me”.
Legolas
si inchinò e uscì dalla stanza, lasciando di
nuovo da sola Helkamirië.
Non
appena Legolas si fu allontanato, Helkamirië corse via,
rifugiandosi sulla terrazza,
seduta proprio dove l’Elfo l’aveva vista quella
mattina. Di nuovo, come un
tempo, la sua lucentezza si offuscò e lei sapeva che questa
volta non sarebbe
tornata così facilmente; sapere che i suoi timori erano
fondati, che davvero
gli Elfi di Dol Taur sentivano acuta la sua mancanza, era un dolore
troppo
profondo. Avrebbe voluto urlare al mondo la sua angoscia, maledire il
‘dono’
che aveva ricevuto, disobbedire al proprio padre; ma sapeva che non
sarebbe
stato giusto, che senza il suo dono non avrebbe più potuto
portare tanta gioia
agli Elfi Silvani. Mentre rimuginava sui suoi pensieri,
constatò l’esistenza di
un altro sentimento che la sconvolgeva e che, però, non
riusciva o non
desiderava capire: sapeva solo che si faceva più vivo
ripensando al suo
incontro con Legolas e lei si disse che era dovuto al fatto che era
stato lui a
risvegliare in lei quel dolore, ignorando volutamente il suo cuore che
le
suggeriva un altro motivo.
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Capitolo 7 *** 6 ***
La
giornata trascorse senza che Helkamirië
riuscisse a scacciare i tristi pensieri che le attanagliavano il
cuore; quando il Sole tramontò ebbe la conferma di quello
che
temeva: la sua pelle non emanava più quel forte bagliore, ma
soltanto la lieve lucentezza tipica degli Eldar. Ormai il Consiglio
era terminato e fu lo stesso Elrond, accompagnato da Glorfindel, a
raggiungerla per riferirle le decisioni prese. Nel vederla rimasero
turbati, non scorgendo più nessuna luce emanare da lei.
“Dama
Helkamirië!”,
esclamò Elrond. “Cosa ti è accaduto?
Cosa ne è
stato della luce di Elbereth?”.
“L’incontro
con Legolas mi ha molto turbata”, rispose la fanciulla.
“Questo è
l’effetto che la tristezza e l’amarezza hanno su di
me. Ora
dimmi, però, quali notizie dal Consiglio?”.
“Mia
signora”, disse Elrond, “molte e gravi sono le cose
che ho da
riferire. Purtroppo abbiamo appreso che Saruman il Bianco ci ha
traditi e si è volto al Male; egli ha tentato di
imprigionare
Mithrandir, e a Isengard sta radunando una moltitudine di Orchi e
Lupi delle Terre Selvagge. Egli si è messo alla ricerca
dell’Anello: vuole essere lui il nuovo Signore della Terra di
Mezzo. E questa non è l’unica pessima notizia che
ho da
darti. L’essere chiamato Gollum è sfuggito alla
sorveglianza
degli Elfi di Dol Taur. Si è messo in contatto con gli Orchi
in qualche modo ed è fuggito con il loro aiuto. Questa
notizia
ci è stata portata dallo stesso Legolas”.
Nel
sentire quel nome, Helkamirië
trasalì, ma Elrond non aveva finito.
“Purtroppo,
Gollum aveva già detto al Nemico della storia
dell’Anello,
del suo nuovo proprietario, Baggins, e dove ora si trovasse”,
continuò, “ragion per cui gli Spettri
dell’Anello
raggiunsero la Contea, alla ricerca di uno Hobbit di nome Baggins;
fortunatamente Mithrandir aveva già messo in guardia Frodo,
e
Bilbo non si trovava più nel suo paese da tempo. E quando
infine i Cavalieri Neri raggiunsero Frodo a Colle Vento, ormai
Aragorn, l’erede di Isildur, si trovava con loro, e anche
grazie a
questo, l’Anello raggiunse questo luogo. Ora, una decisione
è
stata presa”, soggiunse, mentre sul suo volto si dipinse
un’espressione grave, “Frodo, lo Hobbit, si
è offerto di
portare l’Anello fino all’Orodruin e
distruggerlo”.
“A
Mordor”, disse in un soffio Helkamirië, coprendosi
il volto
con le mani. “E andrà solo?”.
“Riguardo
a ciò, una decisione non è ancora stata
presa”,
rispose Elrond, “ma penso che sceglieremo dei compagni per
lui”.
Helkamirië
annuì e si avvicinò alla terrazza.
“Quanto a me”,
disse, “partirò domani stesso per Lothlorien.
Presto le vie
saranno difficili, ora che si sa che l’Anello non
è più
nella Contea; questa potrebbe essere l’ultima occasione per
me di
partire. Ti ringrazio della tua ospitalità e della tua
gentilezza, Messere Elrond. Spero che verranno tempi migliori
affinché io possa tornare a Imladris e trascorrervi
più
tempo. Ho solo un’ultima richiesta: fate che Legolas e
Ilderan non
sappiano della mia partenza; se dovessero chiedere di me, dite loro
che non voglio riceverli, almeno fino a che non sarò
abbastanza lontana”.
“Quello
che mi chiedi è mentire”, disse Elrond,
“ciò
nonostante esaudirò la tua richiesta”.
“Non
voglio sembrare irrispettosa”, disse Helkamirië,
“eppure
credo che tu custodisca segreti ben più grandi”.
Elrond
non si mosse né aprì bocca, ma un guizzo nei suoi
occhi
confermò alla fanciulla di aver colto nel segno: ormai era
certa che anche Elrond, come Galadriel, fosse il custode di uno dei
Tre.
“Dama
Helkamirië”, intervenne Glorfindel, “non
vorrai partire sola
spero”.
“Invece
è così, Glorfindel”, rispose
Helkamirië. “Sono
giunta sola sin qui e partirò nuovamente da sola”.
“Te
ne prego, mia signora”, le disse l’Elfo,
“consentimi di
accompagnarti. Sarei un compagno discreto e valido”.
“Questo
lo so, Glorfindel”, disse dolcemente lei; “ma io
non voglio
mettere in pericolo la tua vita, per nulla al mondo. Non temere, non
mi accadrà nulla”.
“Io
verrò con te”, disse perentoriamente Glorfindel.
“Non
potrai impedirmi di seguirti”.
“D’accordo
allora”, disse Helkamirië. “Se non posso
proprio fermarti,
partiremo domattina, prima che sorga il Sole. Ora, se non vi
dispiace, vorrei rimanere sola”.
Glorfindel
si inchinò e uscì, mentre Elrond si
attardò
sulla soglia; si voltò e la guardò attentamente.
“Cosa
ne sarà della tua luce?”, disse.
“Tornerà oppure è
persa per sempre?”.
“Non
conosco la risposta, mio signore”, rispose
Helkamirië, “ma
purtroppo è molto probabile che non ritorni per molto
tempo”.
L’Elfo
assentì tristemente e uscì dalla stanza.
Quando
il Consiglio fu terminato, Legolas e Ilderan tornarono negli alloggi
preparati per loro, incerti sul
da farsi.
“Dobbiamo
partire subito, Ilderan”, disse Legolas.
“Sono
d’accordo”, disse Ilderan. “Tuo padre, Re
Thranduil, deve
essere informato degli ultimi avvenimenti.
Però…”.
“Cosa?”,
chiese Legolas. “Cosa c’è che non
va?”.
“Loth-o-Doltaur.
Dovremmo dirgli che l’abbiamo incontrata?”.
“No”,
disse tristemente Legolas.
“Per
quale motivo? Il Re e tutto il nostro popolo ne sarebbero
felici”.
“Helkamirië
non vuole tornare. Le ho chiesto di venire con noi, ma lei mi ha
zittito, dicendo che non vuole disobbedire ai suoi genitori.
Perché
dare questo dolore alla nostra gente?”.
“E
per quanto riguarda te?”.
“Che
vuoi dire Ilderan?”.
“Lo
sai bene Legolas”, disse Ilderan. “Ti conosco da
tanto, troppo
tempo, per non sapere cosa hai in mente. Tu stai pensando di
accompagnare il Mezzuomo, pur sapendo che potresti non tornare.
Quello che non capisco è perché: quando siamo
arrivati
qui non avevi di queste idee suicide”.
“Ieri
non sapevamo ciò che sarebbe accaduto”.
“Già,
ma tu ti comporti come se sperassi di morire in tale missione. Dimmi
il motivo, ti prego: sono tuo amico, potrei solo
consigliarti”.
“Non
so spiegarti, Ilderan”, disse Legolas stringendo i pugni.
“Posso
dirti che accompagnerò Frodo, ma non perché io
voglia
morire; lo faccio perché il mio cuore e il mio senso del
dovere mi impongono di farlo. Voglio proteggerlo, e portarlo fino
all’Orodruin. So che se mi accadesse il peggio per mio padre
sarebbe un colpo terribile, ma non sarò tanto egoista. Io
andrò con lui”.
Ilderan
scosse il capo rassegnato. “E ovviamente sarò io a
portare
la notizia a Re Thranduil”.
“Io
non posso tornare a Bosco Atro se voglio partire con Frodo”,
disse
Legolas. “Non so ancora se Elrond mi consentirà di
accompagnarlo o se sceglierà altri compagni, e non
è
stata ancora presa una decisione riguardo alla data, non vorrei
trovarmi lontano”.
“Sei
sicuro di non dire niente riguardo Helkamirië?”.
“Certo.
Lei mi ha chiesto di fidarmi di lei ed è quello che ho
intenzione di fare”.
Detto
questo, Legolas uscì dalla stanza senza dire a Ilderan dove
andasse.
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Capitolo 8 *** 7 ***
Legolas
era certo che Helkamirië
non avrebbe voluto riceverlo, ma era determinato ad incontrarla ancora,
perciò
si diresse verso le sue stanze senza farsi annunciare. Aveva evitato di
dire a
Ilderan quale fosse la sua meta, sicuro che altrimenti il suo compagno
avrebbe
voluto seguirlo. Improvvisamente sentì dei passi venire
verso di lui e si
nascose: pochi istanti dopo, Elrond e Glorfindel lo sorpassarono,
evidentemente
troppo pensierosi per accorgersi di lui. Legolas riprese la sua strada
e
istintivamente accelerò il passo. La porta delle stanze di
Helkamirië era aperta,
così entrò chiamandola per
nome, ma non la vide; allora si diresse verso la terrazza, dove la
fanciulla si
era rifugiata.
“Dama
Helkamirië”,
chiamò
Legolas.
“Legolas!”,
esclamò Helkamirië sorpresa.
“Cosa fai qui? Credevo che stessi preparandoti per partire
domani”.
“Io
non partirò, domani”, disse l’Elfo
avvicinandosi a lei. “Io compirò un viaggio,
certo, ma il giorno non è stabilito; andrò con il
Mezzuomo all’Orodruin”.
“A
Mordor… non farlo!”, implorò la
fanciulla. “E’ rischioso, potresti non tornare.
Se non vuoi farlo per me, pensa alla tua gente: se ti accadesse
qualcosa, io
svanirei per sempre, non mi rivedrebbero più!”.
“Perché
mai?”, chiese Legolas. D’improvviso si accorse che
Helkamirië non emanava la tipica
luce e sembrava solo
una figlia degli Eldar. “Helkamirië…
io non ti avevo mai vista così. Sembri…
sembri…”.
“Normale?”,
finì per lui Helkamirië.
“Per molte vite degli Uomini ho avuto questo aspetto a Lorien, poiché
mi sentivo prigioniera, non
potendo fare ciò che desideravo. Quando sono partita per
raggiungere Imladris,
mi sono resa conto che potevo essere di nuovo me stessa e
così la luce è
tornata… fino a quando tu e Ilderan non siete giunti sin
qui. Tu mi hai fatto
capire quanto realmente gli Elfi di Dol Taur abbiano bisogno di me e
questo mi
ha resa infinitamente triste, così la luce di Elbereth non
può più brillare da
me. Io spero solo che sia una cosa temporanea; ma se anche io tornassi
a Dol
Taur, quando l’Anello sarà distrutto, e tu fossi
perito nell’impresa, allora
davvero quella luce non tornerà”.
“Ma
perché essa deve essere legata a me?”, chiese
Legolas. “Anche prima hai detto
la stessa cosa”.
Helkamirië trasalì
impercettibilmente e si voltò, non
riuscendo a sostenere lo sguardo di Legolas.
“Se
tu non dovessi tornare tuo padre ne sarebbe distrutto”,
disse; “e io non potrei
guardare nei suoi occhi, sapendo che ho avuto l’occasione di
fermarti e non
l’ho fatto”.
Legolas
si avvicinò a lei e la fece voltare, costringendola poi ad
alzare il viso e
guardarlo negli occhi.
“Helkamirië non devi pensare una
cosa simile”, disse.
“Tu non potresti fermarmi in nessun modo. Quando ho sentito
la storia di Frodo,
ho deciso di accompagnare quel disgraziato Mezzuomo che ha avuto la
sfortuna di
essere il Portatore di un tale oggetto. Non so se Elrond
sceglierà dei compagni
per lui, ma in ogni caso io andrò fino
all’Orodruin se necessario”.
L’Elfo
poteva ammirarla, ora, come avrebbe fatto con un’altra
fanciulla della sua
stirpe, senza il timore reverenziale che la sua luce ispirava.
Osservò
estasiato i suoi capelli, neri come la notte nelle terre elfiche ma
illuminati
dall’argento dei Teleri, che li rendeva più
luminosi di quelli scuri dei
Noldor. I suoi occhi, tanto affascinanti da incatenarvi che li
guardava, erano
verdi, del colore delle prime foglie di Primavera, e illuminavano la
sua pelle
bianca e diafana. Helkamirië
era davvero una delle creature più belle che camminassero
nella Terra di Mezzo.
“Ho
solo una cosa da chiederti”, disse infine. “Sono
convinto che il viaggio di
Frodo non sarà intrapreso a breve, così vorrei
che rimanessi a Imladris fino a
quel giorno”.
“Legolas,
io non posso rimanere”, rispose Helkamirië.
“Se io mi fermassi qui non sono sicura che ti lascerei
partire, pur
comprendendo le tue ragioni; se solo potessi, io vi accompagnerei fino
all’Orodruin”.
“Rimani
ugualmente”, la pregò Legolas; “per
troppo tempo sono stato privato della tua
luce e vorrei portarne il ricordo con me, quando
partirò”.
Helkamirië sorrise appena e per
un attimo sembrò che
la sua pelle tornasse a brillare.
“E
sia”, disse, “rimarrò qui.
Rimarrò con te”.
Legolas
si inchinò innanzi a lei, visibilmente felice.
“Ti
ringrazio, mia signora”, disse l’Elfo.
“Per quanto riguarda la nostra gente non
devi temere: Ilderan tornerà domattina a Dol Taur e io gli
ho impedito di
raccontare a mio padre del nostro incontro con te. Non adombrarti: in
fondo,
noi tutti sappiamo che prima o poi tornerai alla tua casa e abbiamo
grande fiducia
in te. Ora ti lascio riposare: avremo tempo per conversare”.
Legolas
fece per andarsene, ma Helkamirië
lo afferrò per un braccio, trattenendolo.
“Aspetta,
Legolas”, disse, “devo recarmi presso Messere
Elrond, per informarlo del rinvio
della mia partenza, e ho bisogno che tu mi accompagni: non posso
rischiare di
incontrare degli stranieri proprio ora, anche se nascondermi non mi
piace”.
Helkamirië uscì
insieme a Legolas che la precedeva di
pochi passi onde evitare incontri sbagliati. Percorrevano silenziosi i
corridoi
e le sale della dimora di Elrond, fin quando trovarono l’Elfo
nella grande sala
con il camino, intento a discutere con Glorfindel. Al loro ingresso, si
voltarono entrambi verso Helkamirië
che dapprima si guardò intorno nel timore che fosse presente
qualcuno, poi
prese il braccio che Legolas le porgeva e si avviò al suo
fianco verso Elrond.
Questi spostava lo sguardo stupito dalla fanciulla al suo
accompagnatore.
“Dama
Helkamirië”, disse,
“a
cosa devo il piacere di averti qui? E perché mai
accompagnata da Legolas?”.
“E’
venuto a trovarmi”, rispose la fanciulla. “Voleva
chiedermi di rimanere fino
alla sua partenza”.
“Ma
anche lui partirà domattina”, intervenne
Glorfindel. “Ilderan è appena venuto a
porgerci i suoi saluti; in effetti, ci aspettavamo che Legolas
giungesse di lì
a poco”.
“Io
non partirò con Ilderan”, disse Legolas.
“Ho preso una decisione: accompagnerò
Frodo nella sua missione. So che riguardo alla data della partenza una
decisione non è stata presa, perciò fino ad
allora, con il permesso di Elrond,
rimarrò qui”.
“Sarai
mio gradito ospite”, disse Elrond, “fin quando lo
vorrai e ogni volta che ne
avrai bisogno. Apprendo con sollievo la tua decisione di partire con il
Mezzuomo; sono certo che altri validi compagni sceglieranno di venire
con
Frodo”.
“Per
quale motivo trascorrerai qui il tempo che manca?”, disse
Glorfindel; “E’ una
decisione alquanto insolita, credevo che saresti partito per
raggiungere tuo
padre a Dol Taur, per parlargli della tua decisione”.
“Questo
è ciò che mi detta la ragione”, rispose
Legolas; “ma il cuore mi ha imposto di
rimanere: voglio giovarmi della compagnia di Dama Helkamirië e spero di portare il
ricordo, ancora
verde, della sua luce, perché mi conforti
nell’oscuro viaggio che mi attende”.
“Dama
Helkamirië”, disse
Elrond, “sei certa di voler rimanere? Tu stessa, poche ore
fa, dicevi che
potresti non avere più opportunità di raggiungere
Lorien”.
“Non
potevo partire”, disse Helkamirië.
“Il mio cuore non ha resistito all’accorato appello
di Legolas”. La fanciulla
strinse maggiormente il braccio dell’Elfo che
ricambiò lo sguardo di lei. “Io
potrò partire dopo l’Anello; quando esso
sarà in movimento, nessuno si curerà
di un’Eldarin che percorre la via del Caradhras”.
“Mia
signora”, disse Glorfindel con aria supplice, “ti
prego, sii ragionevole: per
te la cosa più saggia da fare è partire al
più presto. Se accadesse ciò che
Legolas si augura, e la luce di Elbereth tornasse a splendere, non
saresti più
una semplice Eldarin che si sposta attraverso l’Eregion. E se
anche ciò non si
avverasse, nessun Elfo può dirsi totalmente al sicuro nel
percorrere la Scala
dei Rivi Tenebrosi”.
“Non
insistere Glorfindel”, rispose Helkamirië,
“ormai ho deciso, resterò qui. Se diventasse
impossibile raggiungere Lothlorien, allora forse
prenderò in
considerazione l’idea di tornare al Reame Boscoso,
disobbedirò a mio padre, ma
ora non lascerò Legolas”.
“Come
desideri, Dama Helkamirië”,
disse Glorfindel. “Non insisterò oltre. Ora
consentimi di accompagnarti alle
tue stanze”.
Legolas
abbassò lo sguardo a incontrare quello di Helkamirië: lei lo
ricambiò e posò una candida mano
sul bel volto dell’Elfo, lasciando andare il braccio a cui si
era stretta per
tutto il tempo. Legolas si congedò e si allontanò
velocemente.
“Ti
ringrazio per la tua disponibilità, Messere
Elrond”, disse Helkamirië dopo che Legolas si fu
allontanato. “Ho
solo una richiesta ancora: vorrei che Legolas fosse ospitato nella
camera più
vicina alla mia. Non voglio incontrare i tuoi ospiti mentre mi sposto
per
fargli visita, anche se sono stanca di nascondermi”.
“E’
una precauzione”, rispose Elrond. “Ma la decisione
finale spetta a te, se
decidessi di mostrarti… Comunque, esaudirò la tua
richiesta”.
“Ti
ringrazio”, sorrise la fanciulla. “Ti auguro di
trascorrere una notte serena”.
Elrond
chinò il capo in risposta alle sue parole e Helkamirië si diresse alle sue
stanze, accompagnata da
Glorfindel. L’Elfo la precedeva lungo i corridoi, ma non
disse una parola
riguardo alla decisione di Helkamirië,
la quale si sentì sollevata dal suo silenzio. Una volta
arrivati, però,
Glorfindel non accennava ad andarsene, così la fanciulla
provò a parlargli.
“Glorfindel
perché sei così silenzioso?”, chiese
timorosa.
“Dama
Helkamirië”, disse
l’Elfo, “da quando Legolas è giunto a
Imladris, ho avvertito un cambiamento in
te, o piuttosto un turbamento. Il primo segno evidente è
stato la mancanza
della luce di Elbereth: io non credo che la tua amarezza e la tua
tristezza
siano dovute alla sofferenza degli Elfi del Reame Boscoso, ma piuttosto
sono
provocate dal dolore del figlio di Thranduil. Inoltre, non volevi
vederlo fino
alla tua partenza; forse perché sapevi che saresti rimasta
con lui?”.
“Smettila”,
sibilò Helkamirië. “Le tue
sono
solo illazioni. Vuoi forse offendermi?”.
“Io
non voglio mancarti di rispetto, mia signora”, disse
Glorfindel. “Desidero che
tu sia felice e non penso che lo sarai rimanendo qui per soddisfare i
capricci
di Legolas”.
“Quelli
di Legolas non sono capricci!”, esclamò la
fanciulla. “Egli si è impegnato in
un’impresa molto difficile, forse letale; vuole rivedere la
mia luce, il cui
ricordo lo conforterebbe nei momenti più bui, è
per questo che Elbereth me l’ha
donata, non per fregiarmene!”.
“Mia
signora, ti ascolti quando parli di Legolas?!”,
sbottò l’Elfo. “Tu non vuoi
ammettere che nei suoi confronti hai un particolare riguardo,
perché? Ti fa
così paura l’idea di avere qualcuno al tuo
fianco?”.
“Glorfindel,
tu…”, sussurrò Helkamirië,
non sapendo più cosa dire.
“Io…
ti amo, Dama Helkamirië”,
disse Glorfindel dolcemente, prendendole
le mani fra le proprie. “Non posso farne a meno, sebbene
io capisca che il
tuo dono non può appartenere ad un’unica persona.
Tuttavia… se tu accettassi di
diventare la mia sposa, io ti starei accanto e ti sosterrei con tutto
il mio
amore e non permetterei alla luce di Elbereth di svanire”.
Helkamirië
spalancò gli occhi per la
sorpresa, fissandoli in quelli grigi di Glorfindel.
“Io…
non posso…”, riuscì a dire;
“Non posso
amarti Glorfindel. Il mio cuore appartiene a un altro”.
“Legolas”,
disse l’Elfo serrando i pugni.
“Ma come puoi pensare che lui ricambi i tuoi sentimenti? Il
tuo Principe ti
vede solo come una creatura speciale: quando pronuncia il tuo nome
c’è rispetto
nella sua voce, ma non amore e invece tu… tu soffri per lui,
perché sai che ho
ragione e non riesci a trovare rimedio al tuo dolore, ma forse il mio
amore
potrebbe guarirlo”.
Helkamirië
aveva ascoltato quelle parole a
capo chino; il cuore le diceva che quelle erano menzogne e che
Glorfindel
voleva solo convincerla ad accettare la sua proposta, ma la ragione le
imponeva
di riflettere sulle parole dell’Elfo. Improvvisamente si
ricordò ciò che lei
stessa aveva detto a Haldir quando lasciò Lorien: sentiva
qualcosa che la
attirava verso Imladris ma non sapeva di cosa si trattasse; forse era
stato il
destino a portarla laggiù, perché diventasse la
sposa di un nobile Elfo qual
era Glorfindel. Mentre questi pensieri si affollavano nella sua mente,
Helkamirië non aveva proferito parola.
“Non
devi darmi una risposta adesso”, la
riscosse Glorfindel; “rifletti sulla mia proposta e quando
avrai preso una
decisione, cercami”.
Helkamirië
continuava a non parlare, così
l’Elfo si congedò e uscì chiudendosi la
porta alle spalle.
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Capitolo 9 *** 8 ***
Appena rimasta sola,
Helkamirië sentì la
collera montare in lei come un’ondata di alta marea.
Cominciò a camminare
avanti e indietro nella speranza di farla sbollire, ma
l’unico risultato che
ottenne fu di ritrovarsi sulla solita terrazza a guardare le stelle.
“Ma
come osa?”, prese a urlare a sé stessa;
“come può parlare in questo modo di Legolas? Lui
non lo conosce, non sa nulla
di lui!”.
La fanciulla
strinse i pugni, colma di
rabbia; non sapeva se fosse più adirata con Glorfindel o con
sé stessa, per non
aver rifiutato immediatamente la proposta dell’Elfo. Mentre
rimuginava, lo sguardo
le cadde sulle proprie mani: sgranò gli occhi e corse
all’interno dove si potè
specchiare. Ciò che vide la lasciò ancora di
più senza parole; la sua pelle
brillava di nuovo, ma la luce non era la solita: sin da quando aveva
memoria,
era stata sempre un’algida luce di stelle quella che da lei
traspariva, mentre
ora le sembrò di essere incandescente, come un raggio di
sole catturato da un
delicato involucro.
“Oh
mia signora Elbereth!”, esclamò. “Cosa
mi succede?”.
Helkamirië
era confusa: aveva desiderato di
tornare a splendere, per lasciare a Legolas il ricordo cui tanto
anelava, ma
rifiutava di mostrarsi a lui in quella forma; lei stessa si era
spaventata nel
vedere quel cambiamento e non avrebbe resistito se avesse scorto paura
negli
occhi dell’Elfo che amava. Amava? Quella consapevolezza la
colpì come uno
schiaffo in pieno viso: davvero provava sentimenti tanto forti per
Legolas?
Sapeva che era così, lo sapeva sin da quando viveva a Dol
Taur; la sua
condizione le aveva guadagnato l’ospitalità di
Thranduil, il quale desiderava
che Loth-o-Doltaur vivesse a palazzo perché fosse servita e
riverita quasi
fosse un essere superiore. E come tale veniva trattata, senza che
qualcuno
osasse avvicinarla o tentare di divenire suo amico; l’unico
che avesse provato
a essere suo amico era proprio Legolas. Helkamirië era
convinta che lo facesse
soltanto per contravvenire agli ordini del suo rigido padre, ma non le
importava; per lei, era sufficiente che l’Elfo si dimostrasse
l’unico a capire
che la benedetta fanciulla aveva dei sentimenti e non era un oggetto
sacro da
custodire senza toccarlo. Improvvisamente, però, Legolas era
cambiato
totalmente. Non andava più a trovarla così spesso
e, quando lo faceva, si
dimostrava freddo e distaccato. Helkamirië aveva tentato di
scoprirne il
motivo, ma era stato tutto inutile e così, Loth-o-Doltaur
aveva lasciato il
palazzo, aveva imparato a cavalcare e combattere e aveva dato il via a
quella
vita piena di pericoli che infine aveva costretto suo padre ad
allontanarla da
Dol Taur.
Non ripensava a
quegli avvenimenti da molto
tempo e ora le si presentava l’occasione per scoprire la
verità. Decise che
avrebbe parlato a Legolas e stavolta non gli avrebbe permesso di non
rivelarle
ciò che accadde quando vivevano entrambi nel Reame Boscoso.
Dopo aver
lasciato Helkamirië, Legolas si
era diretto subito verso la stanza dove alloggiava con Ilderan e una
volta
giunto, senza neanche battere ciglio, si era disteso supino sul suo
letto con
le mani incrociate sotto la nuca. Mentre era così, perso nei
suoi pensieri,
Ilderan rientrò da chissà dove.
“Legolas!”,
esclamò. Vedendo la faccia
dell’amico, però, prese una sedia e si
sistemò vicino al suo letto. “Cosa è
successo? Riguarda Helkamirië?”.
Legolas trasse
un profondo respiro e si
voltò appena verso Ilderan; per alcuni interminabili attimi
sembrò non voler
dire una parola, ma alla fine un forzato “Si”
uscì dalle sue labbra.
“Non
vuoi dirmi altro?”, insistette
Ilderan. “Devo forse indovinare tutto il resto?”.
Legolas si mise
seduto e puntò gli occhi grigi
in quelli del suo amico; vi si poteva leggere un turbinio di emozioni
contrastanti: gioia, dolore, amore e… paura.
“Sono
andato da lei”, disse. “Avevo bisogno
di vederla, per dirle della mia decisione. Qualcosa in me diceva che
dovevo
sbrigarmi, che non avevo molto tempo; infatti, se avessi aspettato, non
l’avrei
più rivista. Aveva intenzione di lasciare Imladris
all’alba”.
“E
ora, invece, cosa farà?”.
“Sono
riuscito a convincerla a rimanere
fino alla mia partenza”, disse Legolas. “Volevo
giovarmi della sua vicinanza e
portare con me un fresco ricordo della luce di Elbereth. Purtroppo,
però,
Helkamirië sembra non possedere più il suo
dono”.
“Cosa?!”,
esclamò Ilderan. “Come è
possibile, ti starai di sicuro sbagliando. I Valar non concedono doni
come il
suo per poi riprenderseli di punto in bianco e senza averne
motivo”.
“Lo
so, Ilderan, lo so”, disse sconsolato
Legolas, “però sono anche sicuro di ciò
che ho visto. Quando ho raggiunto
Helkamirië, ho visto soltanto una fanciulla Eldarin;
incantevole, certo, ma pur
sempre una fanciulla come ce ne sono tante nel nostro reame”.
“Forse
è solo offuscata”.
“Cosa?
Che vuoi dire?”.
“Mio
padre mi disse una cosa simile”,
rispose Ilderan; “disse che i sentimenti di
Helkamirië, se da lei vissuti con
troppa intensità, possono offuscare o intensificare la luce
di Elbereth. Forse
dicendole quanto noi tutti sentiamo la sua mancanza, l’hai
intristita e non
riesce a smettere di soffrire. Chissà, se le dicessi cosa
provi per lei, può
darsi che tu riesca a farla tornare come prima”.
“Non
capisco di cosa parli, Ilderan”.
“Certo
che lo sai”, disse Ilderan. “Legolas
non fingere con me, è inutile. Io sono l’unico a
sapere che quando viveva a
palazzo andavi da lei perché te ne eri già
innamorato; e so che all’improvviso
l’hai fatta soffrire, trasformandola in quella spietata
cacciatrice che è
stata. Dopo tutto questo tempo, ancora non vuoi dirmi qual è
stato il motivo di
un tale comportamento da parte tua?”.
“Te
l’ho già detto”, rispose mestamente
Legolas.
“No,
non è così!”, esclamò
Ilderan. “Allora
mi dicesti soltanto un nome: Firiel. Cosa c’entra la tua
povera promessa
sposa?”.
“E’
morta Ilderan”.
“Questo
lo sapevo già!”.
“E’
stata colpa mia”.
“Che
dici?”, disse Ilderan. “Sono stati gli
Orchi a ucciderla, mentre passeggiava nei boschi”.
“Non
stava affatto passeggiando!”, esclamò
Legolas. “Firiel stava fuggendo… da me; fuggiva
perché le avevo detto che non
l’avrei mai sposata e che amavo un’altra!
È scappata via in lacrime e io non
l’ho fermata, non ho neanche tentato di seguirla. Se fossi
stato con lei…”.
“Sareste
entrambi morti”, disse Ilderan con
calma. “Io stesso esaminai la zona dopo che Firiel fu
ritrovata e a giudicare
dai danni provocati dal loro passaggio e dalle impronte, si trattava di
una
pattuglia di almeno trenta Orchi; nemmeno tu, per quanto abile, avresti
potuto
sopravvivere”.
Dopo queste
parole di Ilderan, il silenzio
calò sulla stanza, pesante come un macigno. L’Elfo
spostò la sedia e fece per
andare verso il proprio letto, voltandosi a dare un’occhiata
all’amico. Legolas
era ancora seduto ai bordi del letto, tenendo la testa fra le mani e i
gomiti
poggiati sulle ginocchia. Non piangeva, ma i suoi occhi erano lucidi e
pieni di
tristezza.
“Legolas”,
gli disse Ilderan, “non negare a
te stesso la felicità solo perché Firiel non
potrà più averla. Helkamirië non
può aspettarti per
l’eternità”.
Detto
ciò Ilderan si coricò, lasciando
Legolas sveglio e pieno di dubbi.
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Capitolo 10 *** 9 ***
Alle prime luci
dell’alba, Helkamirië si
affacciò alla balaustra della sua terrazza per ammirare
Imladris; nel farlo
scorse Ilderan e Legolas che conversavano, mentre il primo preparava il
proprio
cavallo al lungo viaggio che lo attendeva. Subito capì cosa
stava accadendo:
Ilderan tornava a Dol Taur.
“Ilderan!”,
chiamò a gran voce; “Ilderan
aspetta!”.
Prima di poter
pensare alle conseguenze,
uscì dalle sue stanze e si mise a correre verso il cortile
dove aveva visto i
due Elfi. Quando uscì all’aperto, il suo animo si
riempì di gioia: provava un
grande affetto per Ilderan e ora lui era lì, davanti ai suoi
occhi e a portata
delle sue braccia che non mancarono di stringerlo. Era così
presa dalla
felicità che non si era ancora accorta di tornare a brillare.
“Mia
signora”, la scostò Ilderan. La
fanciulla non capiva il motivo di un tale gesto, fino a che
l’Elfo le prese una
mano e la sollevò all’altezza dei loro visi.
“E’
tornata!”, esclamò felice Helkamirië.
“La luce di Elbereth è di nuovo mia!”.
Il suo sguardo
si posò istintivamente su
Legolas, ma il sorriso tirato che questi le rivolse e il suo sguardo
triste
ferirono il suo cuore più di mille pugnali.
“Helkamirië”,
la chiamò Ilderan, “non
avresti dovuto lasciare la tua stanza. Sai che i Mortali non possono
posare i
loro occhi su di te”.
“Ilderan,
come sempre ti preoccupi
troppo!”, sorrise la fanciulla. “Non mi ero accorta
che il mio dono era
tornato, e in ogni caso non mi importa; è da quando sono
stata istruita da Sire
Celeborn e Dama Galadriel che continuo a rimuginarci e ho preso una
decisione:
questa luce non deve essere negata ai Popoli Liberi della Terra di
Mezzo. I Signori
d’Occidente vegliano su tutti noi, non soltanto sugli Elfi. E
poi, credi che ti
avrei lasciato partire senza salutarti? È già
riprovevole che tu sia stato qui
a Imladris e che non abbiamo trascorso del tempo assieme, non
trovi?”.
Ilderan sorrise
di rimando e la abbracciò,
strinse la mano a Legolas e montò a cavallo. Diede un ultimo
sguardo a Imladris
e poi ai suoi amici.
“Arrivederci
Dama Helkamirië”, disse
chinando il capo; “arrivederci a Dol Taur”.
Spronò
il suo cavallo al trotto, poi mentre
si allontanava, si voltò gridando verso Legolas:
“Amico mio, tu sai cosa devi
fare!”; detto questo, scoppiò a ridere e
galoppò lontano, verso Dol Taur.
Rimasta sola
con Legolas, Helkamirië sentì
la tensione crescere fra loro. Provò a interrompere il
pesante silenzio.
“Legolas”,
disse, “come puoi vedere posso
risplendere di nuovo”.
“Così
sembra”, rispose l’Elfo, freddo.
Helkamirië
fu ferita da questo distacco: le
ricordò ciò che era successo quando viveva al
palazzo di Thranduil; decise che
doveva tentare di capire cosa provasse Legolas per lei.
“Sai”,
cominciò, “Glorfindel mi ha chiesto
di diventare la sua sposa”.
“Che
cosa?!”, esclamò l’Elfo, ridestandosi
finalmente da quello stato di apatia.
“Ho
detto che Glorfindel mi vuole come sua
sposa”, disse la fanciulla, trionfante per quella piccola
vittoria; “E sto
pensando di accettare”.
A quelle
parole, Legolas strinse i pugni
fino a farsi sbiancare le nocche. “Non puoi
farlo!”, esclamò, quasi gridando.
“E
perché mai?”, chiese Helkamirië.
“Dopotutto il nobile Glorfindel ha ragione: tu non provi
amore per me, tu mi
rispetti; in fondo, però, è meglio del gelo che
mi hai riservato l’ultima volta
al Reame Boscoso, non credi?”.
“Helkamirië,
non è come pensi”, disse
Legolas con sguardo triste. “I sentimenti che provo per te
sono profondi e
sinceri”.
“E
quali sono questi sentimenti?”, chiese
la fanciulla; si stava arrabbiando e la luce prese a cambiare.
“Non mi hai mai
detto cosa provi! Quando vivevo al palazzo di Thranduil, tu mi trattavi
come
una sorella minore, mentre io… io ti amavo e ti amo
ancora!”.
Detto questo,
scappò via senza dare a
Legolas il tempo di risponderle. L’Elfo improvvisamente si
trovò a rivivere una
scena di un passato lontano: aveva ferito una fanciulla che lo amava e
lei era
fuggita da lui. Questo fece scattare qualcosa nella sua mente,
dimenticò dove
si trovasse e le corse dietro: voleva proteggerla, non poteva
permettere che
lei morisse… proprio come Firiel. Non gli fu difficile
raggiungerla e la fermò,
trattenendola per un braccio. Helkamirië cercò di
divincolarsi, ma era
impossibile sfuggire alla stretta di Legolas che le strinse anche
l’altro polso.
“Lasciami!”,
urlò la fanciulla. “Lasciami
andare, Legolas!”.
“No”,
rispose l’Elfo, “non ho nessuna
intenzione di farlo. Non posso permettere che anche tu soffra e getti
la tua
vita al vento!”.
“Di
cosa parli, Legolas?”; Helkamirië si
era calmata e ora guardava Legolas, stupita. “Gettare la mia
vita? Anche io?”.
L’Elfo
sembrò realizzare solo in quel
momento ciò che era successo realmente e la propria
reazione. Lasciò andare i
polsi di Helkamirië come se fossero roventi, guardandola
tristemente, e fece
per andarsene. Questa volta, però, fu il turno di
Helkamirië di bloccarlo.
“Dove
credi di andare, Legolas?”, disse.
“Tu mi devi delle risposte: non puoi intimarmi di non sposare
un altro e poi
rifiutarti di fare chiarezza nel tuo cuore!”.
“Io
non ci riesco, Helkamirië!”, rispose
Legolas; “Non posso dirti cosa accadde a Dol Taur allora,
né cosa mi si agita
nell’animo ora. Perdonami se puoi”.
Legolas si
sciolse dalla stretta e si
allontanò, lasciando Helkamirië preda dei dubbi.
Prima che l’Elfo fosse troppo
lontano, decise di comunicargli la decisione che aveva preso.
“Rifiuterò
la proposta di Glorfindel”,
disse, “perché io non lo amo”.
Legolas
si fermò, voltandosi a guardarla:
per un attimo, un sorriso sereno si fece strada sul suo volto, ma
l’Elfo non
tornò sui suoi passi.
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Capitolo 11 *** 10 ***
Rimasta sola,
Helkamirië decise che non si
sarebbe fatta intristire da ciò che era successo;
perciò si diresse alla Sala
Principale dove era certa di trovare Elrond per attuare ciò
che aveva detto
quella stessa mattina a Ilderan: non si sarebbe più nascosta
fra gli Eldar.
Quando
entrò nella stanza potè constatare
che vi si trovavano tutti gli ospiti di Elrond e molti degli Elfi
residenti a
Imladris, e tutti loro si voltarono nella sua direzione.
Helkamirië poteva
leggere lo stupore negli occhi di tutti i presenti: ma se gli Elfi non
potevano
credere che lei si fosse mostrata, Uomini, Nani e Hobbit erano
meravigliati e
sconvolti dall’aspetto della fanciulla Eldarin.
Ella non si
fece intimorire e avanzò nella
sala, dirigendosi verso Elrond che la guardava come se sapesse da tempo
che
avrebbe compiuto quel gesto. Helkamirië camminava
tranquillamente, mentre le
persone che la circondavano formavano due ali attorno a lei,
scostandosi per
farla passare.
Mithrandir che
si trovava accanto a Elrond,
la fissava attentamente: era davvero molto bella, i capelli, scuri ma
incredibilmente lucenti, incorniciavano un viso dai lineamenti delicati
ed
eterei, illuminato da profondi occhi verdi che riflettevano
determinazione e…
un inesprimibile dolore. La luce che l’aveva benedetta
emanava da lei con
un’intensità tale da risplendere tenuemente
persino sui volti di coloro che le
stavano accanto, eppure non si trattava di una brillantezza che feriva
gli
occhi: al contrario, chi posava lo sguardo su Helkamirië ne
traeva soltanto
conforto. Lo Stregone, però, non era colpito dalla sua,
seppur notevole,
bellezza esteriore, piuttosto dal dono di cui era stata beneficiata,
nel quale
poteva nettamente distinguere il volere dei Signori
d’Occidente.
Dopo alcuni,
interminabili istanti,
Helkamirië raggiunse Elrond che ora era circondato da quelli
che in seguito
sarebbero diventati i rimanenti compagni di Frodo. Uno di essi
attirò il suo
sguardo: era un Uomo, molto alto, dai capelli scuri e i penetranti
occhi grigi
che portavano essi tutti i segni che molti anni e gravi affanni non
erano
riusciti a imprimere del tutto sul suo viso. La fanciulla non avrebbe
saputo
dirne il motivo, ma sentiva di doversi inchinare al suo cospetto;
costui
ricambiava il suo sguardo e sembrava essere l’unico a non
rimanere incatenato
dai suoi occhi verdi.
“Percepisco
in te grande forza e grande
nobiltà”, disse chinando il capo; “Posso
sapere qual è il tuo nome?”.
“Grampasso
mi chiamano alcuni”.
“Io
desidero conoscere il tuo vero
nome”.
“Sono
Aragorn, figlio di Arathorn”, disse
lo sconosciuto. “Ora, però, vorrei sapere qualcosa
di te, luminosa figlia degli
Eldar”.
“Il
mio nome è Helkamirië Erynglin”,
rispose la fanciulla con un sorriso, “e come potete vedere ho
ricevuto un
particolare dono dalla nostra regina Elbereth. Il mio popolo, la gente
di Bosco
Atro, mi conosce come Loth-o-Doltaur o Valienna e con questo nome sono
nota a
tutti gli Eldar. I sapienti della mia stirpe ritennero prudente tenermi
nascosta e celare la mia esistenza persino ai più cari amici
se questi non
fossero stati Elfi”.
“E
dimmi, Helkamirië”, intervenne Gandalf,
“perché mai hai deciso di mostrarti a
noi?”.
“Mithrandir”,
lo salutò con un cenno del
capo; “Ho riflettuto a lungo, soprattutto da quando tutte
queste Genti e
l’Anello si trovano a Imladris, e sono giunta alla
conclusione che questo mio
dono debba portare conforto a tutti i Popoli Liberi della Terra di
Mezzo; non
credo che i Valar me lo abbiano concesso solo per gli Elfi, i Signori
d’Occidente vegliano e si preoccupano per tutti noi. Fra
pochi giorni lascerò
la Casa di Elrond, perciò desidero che voi tutti portiate
negli occhi e nel
cuore la luce di Varda”.
Nel dire
questo, Helkamirië si voltò verso
i quattro Hobbit che si erano seminascosti dietro lo Stregone. Aveva
incrociato
lo sguardo di Frodo e vi aveva scorto dolore, ma anche paura. Paura di
fallire,
di causare infine egli stesso indicibili sofferenze ai suoi amici. La
fanciulla
Elfo si accostò allo Hobbit e si piegò sulle
gambe fino a posare le sue mani
sulle piccole spalle; avvicinò le labbra ad un suo orecchio
per potergli
parlare senza che tutta la sala sentisse le sue parole.
“Non
temere, Frodo”, sussurrò dolcemente;
“Ho capito cosa si agita nel tuo animo, ma devi credermi: io
sono certa che tu
riuscirai nell’impresa. E il mio cuore mi dice che non sarai
mai solo come ti
senti ora, neppure nell’ora estrema della tua
decisione”.
Helkamirië
posò un tenero bacio sulla
guancia di Frodo e si rialzò; fece per andarsene, quando
Glorfindel si fece
strada nel salone e vedendola si diresse verso di lei, con
un’espressione se
possibile più spaventata che se si fosse trovato davanti a
Sauron in persona.
“Mia
signora Helkamirië!”, esclamò sconvolto.
“Cosa fai qui? Perché ti sei mostrata?”.
“Calmati
Glorfindel”, intervenne Elrond;
“Dama Helkamirië ha preso una decisione, dimostrando
di comprendere il dono di
Elbereth meglio di coloro fra noi che si definiscono sapienti. Noi
dobbiamo
rispettare la sua decisione”.
Glorfindel si
avvicinò a Helkamirië e le
porse il braccio: lei comprese che l’Elfo si aspettava una
risposta, perciò si
congedò e lo accompagnò nei giardini di Imladris.
In parte temeva la sua
reazione, così decise di parlare subito, senza esitazioni.
“Glorfindel
ho preso la mia decisione”,
disse. “Ora ascoltami senza interrompermi: mi addolora farlo,
ma la mia
risposta è no, non posso sposarti, perché non ti
amo”, si fermò un attimo per
spiare eventuali reazioni. Il viso dell’Elfo era una maschera
di dolore ma non
si lasciò impietosire: era stanca di reprimere sé
stessa per paura di far
soffrire gli altri. “Alla fine ho cambiato idea: fra due
giorni partirò per Lorien;
non chiedermi il motivo, non ti risponderei. Compirò il mio
viaggio da sola, e
spero che tu sia d’accordo”.
Detto
questo, lasciò Glorfindel e si
allontanò decisa: aveva ancora un’ultima questione
da sistemare prima di
lasciare Imladris.
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Capitolo 12 *** 11 ***
Dopo aver discusso con
Helkamirië, Legolas
era tornato nella sua stanza, ma quando vi giunse trovò che
la porta era stata
chiusa a chiave. Mentre ritentava di aprire l’uscio,
sopraggiunse un’ancella
che gli mostrò la sua nuova camera. Seguendo la fanciulla,
capì che doveva
essere stata Helkamirië a richiedere quello spostamento: le
porte delle
rispettive stanze, infatti, distavano pochissimo l’una
dall’altra.
L’interno
era molto simile a quello
dell’alloggio di Valienna, vi si trovava persino una terrazza
e Legolas si
aspettava quasi di trovarvi Helkamirië che gli sorrideva
felice. Immaginando
questa scena, un sorriso gli incurvò le labbra: aveva amato
Valienna
praticamente dal primo momento, quando era andata a vivere a palazzo e,
certo
di essere ricambiato, avrebbe chiesto di lì a poco la sua
mano se non fosse
stato per la morte di Firiel, la fanciulla che suo padre aveva scelto
per lui,
ritenendo Helkamirië troppo sovrannaturale. Legolas,
però, non volendo
sottostare a tale decisione, aveva rivelato la verità a
Firiel, la quale era
fuggita via in lacrime, e l’Elfo non l’aveva
seguita, credendo che non sarebbe
uscita dai confini sorvegliati. Purtroppo si sbagliava: la fanciulla
aveva
raggiunto il bosco proprio mentre una numerosa pattuglia di Orchi vi
stava
passando e le orrende creature non si erano fatte scrupoli nel
massacrarla
brutalmente. Nell’apprendere la notizia, Legolas non aveva
potuto fare a meno
di sentirsi responsabile, perciò temendo che una cosa del
genere potesse
accadere alla sua amata Helkamirië, aveva preso a trattarla
freddamente, nella
speranza di allontanarla da sé ed era riuscito nel suo
intento; dopo non poco
tempo anche la morsa che gli attanagliava il cuore si era leggermente
allentata, permettendogli se non altro di continuare la propria vita.
Dopo tante vite
degli Uomini, però,
recandosi a Imladris l’aveva rivista e quella sensazione era
tornata più
intensa di prima; non aveva resistito alla tentazione di incontrarla,
con il
pretesto di portare notizie dal suo regno. La confessione di
Helkamirië, quella
stessa mattina, se da un lato lo aveva confortato, dall’altro
aveva peggiorato
le cose: Legolas aveva fatto chiarezza nel proprio cuore, ma aveva
troppa paura
di mettere in pericolo Helkamirië per confessarle che
ricambiava i suoi
sentimenti.
Improvvisamente
il flusso dei suoi pensieri
fu interrotto da un lieve bussare alla porta.
“Entra
pure”, disse, sapendo già chi fosse.
Helkamirië
entrò nella stanza,
richiudendosi la porta alle spalle e fissando Legolas; senza dirsi
niente,
fecero qualche passo l’uno verso l’altra, fino a
trovarsi a brevissima
distanza. L’Elfo osservava attentamente la fanciulla, come se
non la vedesse da
innumerevoli anni: la luce di Varda era tornata forte e nitida a
trasparire
dalla sua pelle, oscurata solo dove la stoffa cremisi
dell’abito copriva il suo
corpo. Al collo portava un rubino rettangolare incastonato nel mithril e appeso a una catenella dello
stesso metallo, che riluceva, grazie alla brillantezza di
Helkamirië, di tutte
le sfumature del rosso. Legolas non resistette alla tentazione di
sfiorarlo e
allungò una mano che la fanciulla strinse e si
posò su una guancia, fissandolo
con occhi imploranti.
“Legolas”,
disse, “ti prego, parlami: dimmi
che non mi odi!”.
L’Elfo
sbarrò gli occhi, stupito; davvero
pensava questo? “Odiarti?!”, esclamò;
“Mia dolce Helkamirië, come puoi crederti
che io possa odiarti?”.
“Cos’altro
dovrei pensare?”, rispose
Helkamirië; “Io ho fatto e faccio di tutto per
sostenerti, per dimostrarti il
mio amore… ma tu non sembri ricambiare, anzi mi sembri
addirittura infastidito
da questo mio atteggiamento. Devi solo dirmelo e io uscirò
di nuovo dalla tua
vita come feci già una volta. Se lo desideri non mi rivedrai
più”.
Legolas la
fissò esterrefatto e non
resistendo oltre, la strinse a sé, accarezzando quella seta
scura e luminosa che
erano i suoi capelli.
“Helkamirië
sei una sciocca”, sussurrò
dolcemente. “Come puoi anche solo pensare che ti lascerei
sparire per sempre
dalla mia vita? Io ho bisogno di te. Ho bisogno di Helkamirië
e non di
Valienna, perché la amo”.
Helkamirië
si scostò un poco per guardare
Legolas in volto. “Tu mi ami?”, chiese, mentre
calde lacrime di gioia presero a
solcarle il bel viso. Legolas le asciugò dolcemente con i
pollici, prendendole
il viso fra le mani e si chinò a posare un tenero bacio
sulle labbra rosse
della fanciulla; quando la lasciò andare, lei nascose il
viso sul suo petto e
lo abbracciò forte.
“Mia
dolce Helkamirië”, riprese l’Elfo,
“io
ti amo sin da quando ti vidi, tanto tempo fa, al palazzo di mio padre.
Il mio
amore per te, però, ha portato alla morte Firiel, la
fanciulla che mio padre
aveva scelto per me, anche se non direttamente. Per questo motivo tu
devi
dimenticarmi, Helkamirië”.
La fanciulla si
staccò bruscamente da lui,
fissandolo con occhi brucianti di triste odio. “Come puoi
farlo?!”, disse a
denti stretti. “Con quale coraggio mi chiedi di dimenticarti
dopo avermi
finalmente confessato i tuoi sentimenti?”. Si
fermò un attimo, ansimante di
rabbia. “Tu non ti rendi conto, vero? Mi stai chiedendo di
vivere rinunciando a
una parte di me stessa! Ora voglio conoscere la verità su
Firiel: devi
raccontarmi come hai potuto causare la sua morte e a quel punto
sarò io a
decidere se dimenticarti”.
Legolas la
guardò stupito: non credeva che
Helkamirië potesse essere tanto decisa. Un mezzo sorriso
comparve sul suo volto
a quel pensiero, ma sparì subito, scacciato dal dubbio; non
era certo che fosse
giusto dire la verità alla fanciulla che aveva davanti.
Ilderan gli aveva detto
che non doveva rinunciare alla felicità con la donna che
amava per il ricordo
di Firiel, ma lui nutriva l’insano terrore che il suo amore
potesse portare
alla morte anche Helkamirië.
“Legolas,
io aspetto una risposta”, disse
la fanciulla, tornata calma.
“Helkamirië,
ti prego, io non…”, si
interruppe, incapace di proseguire; si allontanò di qualche
passo e le diede le
spalle.
“Vorrei
dirti che ti odio”, disse lei. “Ma
non sarebbe giusto e non sarebbe la verità; vorrei
detestarti, ma il fatto è
che ti amo, lo capisci? E prima o poi riuscirò a vivere la
mia vita con te; io
non mi arrenderò, perché ora so che anche tu
provi lo stesso per me. Addio…
anzi, arrivederci Legolas”.
Così
dicendo, Helkamirië lasciò la stanza e
si diresse verso la sua, per prepararsi alla partenza.
Helkamirië
uscì di corsa senza guardare
dove andava, e così facendo si ritrovò a sbattere
addosso ad Aragorn che andava
nella sua direzione.
“Perdonatemi
mia signora”, si scusò
quest’ultimo. La fanciulla alzò gli occhi e il
Ramingo potè vedere che erano
pieni di lacrime. “Dama Helkamirië, cosa
è successo?”.
“Nulla,
Aragorn”, rispose Helkamirië
evitando lo sguardo dell’Uomo. “Sul serio, non
temere”.
“Ho
visto che uscivi dalla stanza del
Principe Legolas”, insistette Aragorn; “forse
è per lui che piangi?”.
“No”,
rispose poco convinta la fanciulla.
“Ora scusami, devo andare a preparare le mie cose per il
viaggio”.
Helkamirië
si allontanò a passo svelto,
mentre Aragorn la fissava, perplesso. Quando sparì dalla sua
vista, il Ramingo
bussò ed entrò nella stanza di Legolas. Questi
era girato di spalle, guardando
all’esterno, ma sapeva che c’era una sola persona
che entrava senza aspettare
il permesso nella sua camera.
“Legolas!”,
esclamò l’Uomo; “Mancavi
soltanto tu poco fa, nella Sala Principale. C’erano tutti gli
ospiti di Elrond
e abbiamo incontrato qualcuno che credo tu conosca, e molto bene anche.
Si
tratta di Valienna; o dovrei forse dire Loth-o-Doltaur?”.
“Vuoi
dire che si è mostrata?”, chiese
Legolas sconvolto.
“Esatto”,
rispose Aragorn. “Non temere, lei
ci ha già detto quale fosse la decisione della tua gente; e
ci ha anche detto
che lei non crede la sua luce sia fatta solo per gli Elfi”.
Legolas non
disse nulla, si limitò a
sedersi, invitando Aragorn a fare lo stesso.
“Legolas,
amico mio”, disse l’Uomo, “dimmi
la verità: cosa c’è fra te e
Helkamirië? L’ho incontrata qui fuori in lacrime e
anche se ha negato, sono certo che la cosa riguarda te. Sai che
scoprirei
comunque cosa c’è che non va, però
preferisco saperlo da te”.
L’Elfo
lo guardò, sofferente, e in un primo
tempo sembrò non voler proferire parola; poi,
però, cedette allo sguardo
insistente del Ramingo.
“Ricordi
quando ti raccontai di Firiel?”,
chiese. Aragorn annuì e Legolas proseguì il suo
racconto. “Io non ti dissi
perché lei scappò da me, né allora,
né in seguito, perché mi sentivo
tremendamente colpevole. Nel periodo della sua morte mio padre aveva
chiesto a
Helkamirië di venire a vivere a palazzo e lei ne era stata
entusiasta;
inizialmente, anche io, come gli altri, vedevo in lei soltanto un
essere
sovrannaturale, da rispettare ma non amare. Non appena la vidi,
però, compresi
quanto il suo dono rendesse sola Helkamirië, perciò
tentai di essere suo amico
e scoprii quanto potesse essere piacevole questo contatto con lei. Mi
innamorai
di Helkamirië e chiesi a mio padre il permesso di chiedere la
sua mano alla sua
famiglia, ma il Re riteneva che Loth-o-Doltaur andasse preservato e che
la
dolce Firiel fosse una sposa più adatta a me. Io provai a
farlo ragionare,
dicendogli che Helkamirië in fondo è una fanciulla
come le altre e
dichiarandomi sicuro che lei ricambiasse i miei sentimenti, ma non
riuscii a
convincerlo. In un primo momento, provai ad adattarmi, comportandomi
con Firiel
come le circostanze richiedevano; però, Helkamirië
viveva ancora a palazzo e io
non potevo ignorare il mio cuore, così un giorno decisi di
parlare alla stessa
Firiel, confessandole che non l’amavo e non l’avrei
mai fatto perché il mio
cuore apparteneva a un’altra. Forse io fui troppo brusco, o
non avevo compreso
quanto Firiel tenesse a me, fatto sta che ella fuggì in
lacrime; non la seguii,
perché quel comportamento che giudicavo infantile mi
indispettì. Quando la
rividi era ormai senza vita: le sentinelle avevano trovato il suo corpo
nel
bosco, dove gli Orchi l’avevano massacrata e avevano solo
potuto riportarla nel
nostro regno perché fosse sepolta. Quando la vidi, fui
sopraffatto dai sensi di
colpa e fui tentato di cercare conforto confidandomi con
Helkamirië, ma
improvvisamente mi assalì una paura che sento ancora adesso:
temo di lasciare
andare Helkamirië e rivederla ormai senza vita, come accadde
con Firiel”.
Legolas guardò Aragorn che aveva ascoltato il suo racconto
attento e senza
proferire parola. “Ora sai tutto”, gli disse.
“Legolas”,
disse Aragorn; “io non conoscevo
tutta la storia, ma Ilderan mi raccontò questa tragedia e se
anche tu avessi
seguito Firiel, non avresti potuto salvarla dato il numero degli Orchi.
Sareste
morti entrambi e se Helkamirië ti ama quanto dici tu, vi
avrebbe seguiti a
breve, lasciandosi svanire per il dolore. Devi dimenticare
quell’avvenimento e
vivere la tua vita con colei che ami. Tu e Helkamirië potete
trascorrere
l’eternità insieme: non gettare al vento questo
amore”.
“Tu
hai ragione e io ne sono consapevole”,
disse Legolas; “ma ho paura di farlo, soprattutto ora che ho
deciso di partire
con Frodo. Cosa accadrebbe se non dovessi tornare dopo aver scelto di
stare con
Helkamirië? Lei soffrirebbe troppo”.
“Forse
credi che allo stato attuale non lo
farebbe?”, chiese il Ramingo. “Lei ti ama e,
ricambiata o no, se tu dovessi
mancare, quasi certamente svanirebbe per il dolore o, nella migliore
delle
ipotesi, raggiungerebbe i Rifugi Oscuri e da lì le Terre
Imperiture dove
attenderebbe la fine privando queste terre della luce di Elbereth. So
di non
essere la persona adatta per dare consigli, data la mia situazione con
Arwen,
ma per voi potrebbe essere più facile”.
“Perdonami,
amico mio”, disse l’Elfo, “non
ho considerato i tuoi sentimenti parlando dei miei problemi. Ora
andrò da
Helkamirië, grazie per il tuo aiuto”.
“E’
stato un piacere”, sorrise Aragorn;
improvvisamente si fece serio. “Corri Legolas!
Helkamirië stava partendo, mi ha
detto che stava andando a prepararsi!”.
Legolas
non se lo fece ripetere due volte e
si precipitò fuori dalla stanza, pregando di poter fermare
la sua amata.
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Capitolo 13 *** 12 ***
Helkamirië
aveva salutato Elrond e sua
figlia Arwen Undόmiel ed era tornata nella sua stanza dove aveva
indossato
abiti da viaggio e preso i suoi bagagli. Voleva evitare di incontrare
Legolas,
così scappò via senza rivedere nessuno di coloro
che aveva conosciuto a
Imladris.
Percorse il
primo tratto di strada correndo
a perdifiato, superando il Guado del Bruinen in poco più di
mezz’ora e dirigendosi
a Sud verso l’Eregion. Non disponeva di molte ore di luce,
perciò si costrinse
a mantenere un passo sostenuto, tentando di mettere più
distanza possibile tra
lei e l’Elfo che le aveva detto che l’amava ma che
non voleva stare con lei.
Non si fermò nemmeno al calare della notte, sfruttando la
capacità elfica di
riposare percorrendo sentieri onirici e rimanendo tuttavia vigili e
presenti nel
mondo circostante.
Avanzando
così a tappe forzate, raggiunse
il Passo di Caradhras in appena dieci giorni e si apprestò
alla scalata che
compì in un paio di giorni, giungendo alla Scala dei Rivi
Tenebrosi sul finire
del secondo giorno. Se avesse posseduto ancora la propria
lucidità, sarebbe
rimasta nascosta fino all’alba, onde evitare spiacevoli
incontri. In quel
momento, però, Helkamirië desiderava soltanto
raggiungere Lorien e Dama
Galadriel che avrebbe potuto sicuramente confortarla; si
lanciò in una folle
corsa che non sfuggì alle sentinelle di Moria. Quando si
rese conto di essere
inseguita provò a fermare i Goblin utilizzando arco e
frecce, ma erano troppo
numerosi e fu costretta a fuggire. Finalmente, giunse in vista di
Lothlorien,
ma una freccia scagliata dai suoi assalitori le si conficcò
in una gamba,
costringendola a rallentare; fu raggiunta e circondata presso il
Nimrodel e
sfoderò il suo pugnale, ma essendo in netta
inferiorità subì molte ferite.
Stava per soccombere, quando sentì delle grida provenire dal
bosco: prima di
perdere i sensi, vide i Goblin fuggire verso Moria. L’ultima
cosa che riuscì a
vedere fu Haldir, a pochi centimetri da lei, che le chiedeva qualcosa,
ma non
riusciva a sentirlo. Poi, il buio.
Legolas
percorse in fretta la poca distanza
che divideva la sua stanza da quella di Helkamirië, ma quando
vi giunse la
trovò desolatamente vuota: le ante dell’armadio
erano aperte a metà, come
richiuse in fretta, e anche vari cassetti erano nelle medesime
condizioni. La
fanciulla doveva aver recuperato velocemente tutte le sue cose ed
essere già
andata via. Non volendo arrendersi all’evidenza,
cominciò a chiamarla, ma
nessuno rispose. Disperato, si inginocchiò sferrando pugni
contro il pavimento.
“Legolas”,
lo chiamò una voce femminile.
Sapeva a chi apparteneva, ma si voltò sperando in cuor suo
che fosse lei; si
ritrovò davanti un’altra fanciulla.
“Arwen”,
disse tristemente.
“E’
andata via”, disse Arwen. Vedendolo
così affranto, provò una grande tenerezza e si
sedette accanto a lui, sul pavimento,
abbracciandolo. “E’ partita da più di
mezz’ora, ormai avrà attraversato il
Guado del Bruinen; non avresti dovuto lasciarla andare”.
Il tono di
rimprovero che gli sembrò di
cogliere nelle parole di Arwen riscosse Legolas, che scattò
in piedi e fece per
uscire e inseguire Helkamirië.
“Fermo!”,
lo chiamò la figlia di Elrond.
“Non puoi andartene, hai promesso di accompagnare Frodo. Non
renderesti fiera
Helkamirië se ora venissi meno alla tua parola”.
L’Elfo
si fermò, schiacciato dalla verità
di quelle parole. “Se non la seguo”, disse,
“potrei non avere più possibilità
di dirle quanto sia importante per me. Potrei non rivederla
più”.
“Allora
devi fare di tutto per tornare
dall’impresa!”, esclamò Arwen.
“Così potrai andare a prenderla a
Lόrien”.
Legolas non
rispose, si limitò ad annuire,
sorridendo riconoscente mentre Arwen lo stringeva fra le braccia; nei
giorni
seguenti tentò di dimenticare la propria disperazione
gettandosi a capofitto
nel pensiero del viaggio che lo attendeva.
Helkamirië
crollò fra le braccia di Haldir
che la sollevò per portarla immediatamente a Caras Galadhon.
Era molto
preoccupato per lei: aveva estratto la freccia, ma oltre a quella
diverse altre
ferite, provocate dai pugnali dei Goblin, coprivano il corpo della
fanciulla e
alcune erano alquanto profonde. Perdeva molto sangue, ma la luce di
Elbereth
era ancora forte e questo faceva ben sperare Haldir sulle sue
condizioni.
Caras Galadhon
non era affatto vicina,
perciò si fermò su uno dei talan
delle sentinelle per prestare a Helkamirië le prime cure, ma
non si attardò:
pose delle erbe medicinali sui tagli e li fasciò stretti,
nel tentativo di
arrestare l’emorragia, dopodiché
ripartì spedito verso la città dove giunse
quando il Sole era già alto.
Grande
disperazione si diffuse per la città
alla notizia che Valienna rischiava la vita, e gli stessi Celeborn e
Galadriel
erano colmi di apprensione per le sue sorti.
Finalmente,
dopo tre giorni e tre notti, i
guaritori dichiararono che Helkamirië non era più
in pericolo di vita e che da
lì a qualche giorno si sarebbe svegliata. E difatti,
così fu, ma la fanciulla
sembrava spenta, vuota. Parlava solo per dire lo stretto indispensabile
e non
sorrideva più, rifiutandosi persino di lasciare il suo talan. Galadriel, preoccupata per quella
che considerava ormai una
figlia, chiamò a sé il capo dei guaritori.
“Geluïal,
per quale ragione Valienna si
comporta così? Non è più
lei”.
“La
fanciulla non desidera tornare quella
di prima”, rispose l’Elfo. “Io ho curato
le ferite del suo corpo, ed ella è
guarita poiché è tenacemente legata alla vita;
tuttavia, Helkamirië, come ti ho
già detto mia signora, non vuole tornare”.
“Come
è possibile?”, chiese la Dama; “Come
può una fanciulla solare come lei opporsi alla
vita?”.
“Qualcosa
la spaventa”, rispose Geluïal, “e
Valienna non desidera affrontarla. Non posso dirti altro, Dama
Galadriel, ma
non temere: fin quando la luce di Varda brillerà
così intensamente, sapremo che
Helkamirië non si sarà arresa del tutto”.
I giorni
ripresero a scorrere, ma la
fanciulla non dava segno di volersi riprendere. Galadriel e Celeborn si
recavano spesso a trovarla, sperando che la loro vicinanza e
l’affetto che le
dimostravano potessero convincerla a uscire dal suo guscio, ma
Helkamirië si
rifiutava ancora di abbandonare la protezione di quello stato di
apatia, mentre
il tempo scorreva e l’Inverno si faceva sempre più
vicino.
Quando la
Compagnia lasciò Imladris per
dirigersi a Mordor, erano trascorsi quasi due mesi da quando
Helkamirië era
fuggita via. Legolas sentiva il cuore pesante: non avevano ricevuto
notizie da
Lorien e a ogni passo temeva di trovare un segno della morte della sua
amata.
Ben presto, giunsero in vista del Caradhras e tentarono di scalarlo, ma
la
montagna non consentì loro di passare, ostacolandoli con
continue bufere di
neve, fino a che furono costretti a tornare sui propri passi e provare
ad
attraversare le Miniere di Moria.
Il primo
ostacolo serio fu un assalto dei
Lupi delle Terre Selvagge che furono respinti grazie
all’intervento di Gandalf.
Dopo questa avventura, riuscirono a raggiungere i Cancelli di Moria, ma
anche
qui dovettero fare i conti con un nemico inaspettato: nel lago che ora
si
stendeva dinnanzi all’entrata di Khazad-dum, si trovava una
creatura
sconosciuta, l’Osservatore del Lego, che sferrò un
attacco contro la Compagnia
tentando di trascinare con sé Frodo. I Compagni riuscirono a
liberarlo e a
rifugiarsi all’interno delle Miniere, dove furono
intrappolati dalla stessa
creatura che distrusse la Porta Occidentale di Moria.
All’interno
di Khazad-dum riuscirono a
passare inosservati fin quando giunsero nella Sala degli Scritti, dove
Pipino
attirò l’attenzione degli Orchi scaraventando un
sasso giù per il pozzo che vi
si trovava; i Goblin li attaccarono repentinamente, portando con
sé anche uno,
o forse più, Troll delle Caverne. La battaglia fu molto dura
e Legolas, più che
l’arco, utilizzò il lungo pugnale bianco per
abbattere i propri avversari. Alla
fine uscirono vincitori dall’aspra contesa e si apprestarono
a fuggire, quando
l’Elfo notò qualcosa: uno degli Orchetti portava
al collo una gemma
meravigliosa, un rubino incastonato nel mithril
e appeso a una catena dello stesso metallo, che doveva tenere nascosta
ed era
probabilmente fuoriuscita nello scontro. La prese e in quel momento
potè quasi
sentire il suo cuore fermarsi, perché quella era la collana
di Helkamirië, e di
certo lei non l’avrebbe lasciata a quella viscida creatura.
Aragorn si avvicinò
per chiamarlo e vide anch’egli la pietra, riconoscendola.
“Potrebbe
averla perduta”, disse,
immaginando i pensieri di Legolas. “Helkamirië ha
percorso il sentiero che
conduce alla Scala dei Rivi Tenebrosi, forse la collana le è
caduta dall’altra
parte di Moria e questo Orchetto l’ha trovata, raccogliendola
per sé. Sono
certo che la tua amata fanciulla ti attende a Lorien; coraggio,
vieni!”.
Legolas
obbedì, trascinando con sé Gimli
che si attardava presso la tomba di Balin. Scesero nelle
profondità della
terra, percorrendo ripide scalinate che si stendevano sul baratro,
portandoli
ogni volta a un passo dalla morte, e infine giunsero al ponte di
Khazad-dum
dove Gandalf dovette affrontare un Balrog di Morgoth, il Flagello di
Durin,
colui che aveva scacciato gli abitanti del Nanosterro. Lo Stregone
combatté
fieramente il suo avversario e riuscì a scaraventarlo
nell’abisso che si apriva
sotto l’esile ponte di pietra, ma questi, con un ultimo
schiocco della sua
frusta fiammeggiante trascinò Gandalf con sé,
mentre i membri della Compagnia
fuggirono disperati, attraversando la Porta Orientale e fermandosi
soltanto
quando furono fuori portata delle frecce di Moria. Allora si lasciarono
andare
alle lacrime, piangendo il loro compagno perduto, senza la guida del
quale si sentivano
totalmente smarriti. Legolas, in piedi e a testa china, versava lacrime
silenziose per Mithrandir e, soprattutto, per Helkamirië di
cui non conosceva
la sorte.
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Capitolo 14 *** 13 ***
Aragorn decise che per
loro sarebbe stato
più sicuro raggiungere Lothlorien e così si
incamminarono verso il Bosco d’Oro,
giungendo ben presto al Nimrodel, la cui acqua, come disse loro
Legolas,
portava via con sé la fatica. Attraversarono il corso
d’acqua e l’Elfo cantò
loro la triste storia di Madamigella Nimrodel e del suo amato Amroth, i
quali
furono separati dal destino avverso, ma non riuscì a
terminare il canto,
sopraffatto dall’emozione. Di lì a poco
incontrarono Haldir e i suoi fratelli,
Rumil e Orophin, i quali consentirono loro di riposare sui telain delle sentinelle, dove
trascorsero la notte e, dopo le
iniziali resistenze, accettarono di condurli a Caras Galadhon,
l’indomani mattina.
“Haldir”,
chiese d’un tratto Legolas, “ho
trovato un oggetto che appartiene a Valienna; dimmi, ella si trova qui
a Lorien?”.
“Si”,
rispose Haldir, abbassando lo
sguardo, “ella è tornata al Reame Beato quasi tre
mesi fa, ma da allora non
abbiamo più sentito la sua dolce voce o veduto la sua
figura”.
Legolas,
già turbato dal tragico
ritrovamento del ciondolo, interpretò quelle parole come un
modo per dire che
Helkamirië era tornata a Lorien solo per essere sepolta e
sentì la sua anima
precipitare in un nero abisso di dolore. Improvvisamente, tutto il
groviglio di
emozioni che aveva provato verso la fanciulla, si era mestamente
dipanato,
lasciando posto a due soli sentimenti: sofferenza e… amore;
amore, perché
nonostante la notizia appena ricevuta, non poteva smettere di amare
Helkamirië,
e sperava che questo suo sentimento gli permettesse di ritrovarla a
Mandos,
dove ora voleva giungere al più presto.
Il mattino
successivo si incamminarono
verso Caras Galadhon, raggiungendo la città dei Galadhrim al
termine del
secondo giorno di marcia. Furono subito condotti al centro
dell’abitato, dove
si trovava il più alto albero di mallorn,
sul quale era collocato il talan
dei
Signori di Lorien, i quali desideravano vedere la Compagnia. I Compagni
dovettero salire molto in alto e infine giunsero al cospetto di Sire
Celeborn e
Dama Galadriel; essi li accolsero benevolmente e, dopo avere a lungo
discusso,
offrirono loro ospitalità perché potessero
guarire e ristorarsi.
Fu approntato
per loro un padiglione ai
piedi dell’albero dei Signori, ma Legolas dormì
con loro soltanto la prima
notte, dopodiché trascorse più tempo con i
Galadhrim; essi non lo conoscevano
ed egli non doveva nascondere il proprio dolore per evitare domande che
lo
avrebbero acuito. Egli, però, tornava spesso a parlare con i
Compagni e il
terzo giorno di permanenza a Lorien volle parlare da solo con Aragorn,
perciò
si recarono insieme a passeggiare per le strade della città.
“Lei
mi ha lasciato solo, Aragorn”, disse.
“Vuoi
dire che Helkamirië è…”.
“Morta”,
rispose Legolas; “fu Haldir a
dirmelo, lo stesso giorno che attraversammo il Nimrodel”.
“Mi
dispiace, amico mio”, disse Aragorn.
“Per quale motivo non me ne hai parlato prima? Non
è bene che tu tenga questo
dolore per te a logorarti”.
“Non
potevo”, disse l’Elfo. “Stento ancora
a parlarne, ma qualche giorno fa… era terribile, se te lo
avessi detto sarebbe
stato come pugnalarmi io stesso al cuore”.
Aragorn rimase
in silenzio per qualche
minuto. “Cosa farai ora?”, chiese infine.
“Proseguirai il viaggio con Frodo?”.
“Certo!”,
esclamò l’Elfo. “Helkamirië non
sarebbe fiera di me se venissi meno alla parola data e neanche io sarei
orgoglioso di me stesso. Terrò la sua collana e spero di
arrivare a Mandos,
dove la ritroverò”.
“Dovresti
farle visita”, disse il Ramingo.
“Come?!”.
“Intendo
dire”, disse Aragorn, “che
dovresti recarti alla sua tomba. So che potrà sembrarti
assurdo, ma potresti
trarne conforto”.
Legolas si
fermò, incerto sul da farsi,
senza proferire parola.
“Ascoltami
Legolas”, insistette l’Uomo,
“andiamo a cercare Dama Galadriel e facciamoci dire dove
è sepolta Helkamirië.
Se le spiegherai le tue ragioni, non ti negherà questo
favore”.
“D’accordo.
Andiamo”.
Legolas e
Aragorn ripresero a camminare,
questa volta quasi correndo, dirigendosi al talan
dei Signori di Lorien.
I due amici
salirono velocemente verso la
cima dell’albero e ben presto poterono presentarsi al
cospetto dei Signori.
“Sire
Celeborn, Dama Galadriel”, salutarono
inchinandosi.
“Aragorn,
Legolas, a cosa dobbiamo il
piacere?”, chiese pacatamente Celeborn.
“Desidero
chiedervi una cosa”, cominciò
Legolas. “Io amavo profondamente la fanciulla che voi
chiamate Valienna. Vorrei
sapere dove è sepolta”.
A quelle
parole, un mormorio concitato si
levò nella sala, prontamente chetato da un gesto di
Galadriel che lo fissava
stupefatta.
“Non
temete”, intervenne Aragorn, “la
vostra benedetta fanciulla si è mostrata alla Compagnia a
Gran Burrone, dicendo
di aver compreso che il suo dono era per tutti i Popoli Liberi della
Terra di
Mezzo e che desiderava dare ai Nove Viandanti un ricordo della luce di
Elbereth
da portare nel nostro viaggio”.
“Vi
porterò da lei”, disse Galadriel con
un’espressione imperscrutabile sul viso. “Ma se
ciò che dici è vero, anche i
vostri Compagni desidereranno venire con noi, perciò li
manderò a chiamare”.
Quando tutta la
Compagnia fu riunita, la
Dama li condusse ad un mallorn che
si
ergeva piuttosto isolato rispetto agli altri, sul quale si trovava un
unico talan. Quando vi salirono, si
accorsero
che la dimora era costituita da un’unica grande stanza.
Accanto a una delle
finestre era posta una comoda sedia su cui riposava una fanciulla,
intenta a
fissare l’esterno.
“Dama
Helkamirië!”, esclamarono all’unisono
gli Hobbit, precipitandosi accanto a lei, che sorrise debolmente.
Lentamente
anche Gimli e i due Uomini si
accostarono alla fanciulla, mentre Legolas rimase immobile, incapace di
proferire parola o muovere un singolo muscolo. Al suo fianco, Dama
Galadriel lo
osservava attentamente, cercando di carpire i suoi pensieri.
“Davvero
tu la ami?”, chiese rivolta
all’Elfo.
“Si”,
rispose Legolas con voce flebile.
“Allora
forse puoi aiutarla”, disse
Galadriel. “Da quando è ritornata non si
è più ripresa. I guaritori dicono che
non vuole farlo perché teme qualcosa o…
qualcuno”.
Legolas
chinò il capo e strinse i pugni,
sentendo di odiare sé stesso. “Se è
così, forse non sono la persona adatta”,
disse tra i denti; tutte le sue paure erano realtà, stava
perdendo Helkamirië.
“Cosa è successo esattamente?”, chiese
ancora.
“E’
stata attaccata dagli Orchi”, rispose
Galadriel. “Pensiamo che sia giunta alla Scala dei Rivi
Tenebrosi in piena
notte ma, inspiegabilmente, non ha atteso il giorno: è
passata lo stesso,
attirando su di sé i Goblin di Moria. È fuggita,
ma al Nimrodel è stata
raggiunta, ferita ad una gamba da una freccia; gli Orchi
l’hanno circondata e,
sebbene si sia difesa con grande valore, si è salvata solo
grazie a Haldir e ai
suoi fratelli che si sono accorti di ciò che stava accadendo
e sono
intervenuti. Era ferita in diverse parti del corpo, perdeva molto
sangue e ha
perso i sensi; Haldir l’ha riportata a Caras Galadhon, dove
è stata curata e si
è ripresa, ma non la sua mente”.
“Ora
comprendo le parole di Haldir”, disse
Legolas. “Egli mi disse che da quando Helkamirië era
ritornata, i Galadhrim non
avevano più sentito la sua voce o veduto la sua figura. Io
credetti di capire
che era stato ritrovato solo il suo corpo e che era tornata a Lorien
solo per
essere sepolta”.
“Ed
ecco spiegata la tua domanda”, disse la
Dama. “Suvvia, ora lasciamo sola Helkamirië. Avete
rivisto la luce di Elbereth
e credo che sarà tutto ciò che otterrete da lei
per molto tempo”.
“Dama
Galadriel, consentimi di rimanere con
lei”, disse Legolas.
“Legolas,
tu stesso hai detto che non sei
la persona adatta, non so se sia il caso”, disse Galadriel.
“Potresti essere
proprio tu il motivo per cui non vuole tornare alla vita”.
“Invece
proprio per questo potrebbe
ridestarsi”, intervenne Aragorn. “Forse non teme la
presenza di Legolas, ma
piuttosto non averlo al suo fianco”.
“E
sia”, cedette la Dama. “Ti concedo di
rimanere, ma se al tramonto non sarà tornata in
sé, verrai via per non
ritornare. Non ti permetterò di ferirla più del
necessario”.
Legolas
annuì e strinse riconoscente la
mano ad Aragorn. Quando tutti furono usciti, si avvicinò per
la prima volta
alla sedia e si inginocchiò davanti ad essa. La fanciulla
sembrava in perfetta
salute, ma teneva lo sguardo fisso innanzi a sé, uno sguardo
vacuo che non
aveva più nulla di quello di Helkamirië. Non
guardava Legolas, come se non si
fosse nemmeno accorta della sua presenza: in realtà, pareva
essersi
completamente estraniata dal mondo circostante.
“Che
cosa ti ho fatto, Helkamirië?”, disse
l’Elfo, prendendole una piccola, esile mano nelle sue. A
quelle parole, la
fanciulla sembrò riscuotersi e si girò verso di
lui, fissando i suoi occhi
verdi in quelli grigi di Legolas e abbozzando un sorriso.
“Perdonami”,
continuò. “Non ho saputo proteggerti, proprio come
ho fatto con Firiel. Tu,
però, sei viva, e io voglio che torni a sorridere, lirimaer. Io ti amo, e non
permetterò al ricordo della mia promessa
sposa di rovinare la nostra felicità, né
tantomeno mi farò uccidere nella
missione: io sopravvivrò e verrò a prenderti,
così insieme torneremo a Dol Taur
e finalmente laggiù, se lo desideri, sarai la mia sposa. Tu,
però, devi tornare
in te e mostrarmi quella meravigliosa Primavera che dimora nei tuoi
occhi. Ti
prego, amore mio!”.
Così
dicendo, Legolas le abbracciò la vita,
posandole la testa in grembo, mentre qualche lacrima prese a rigargli
il volto
e lui poteva sentire il profumo di Helkamirië, fresco e
delicato, impossibile
da eguagliare per qualsiasi fiore della Terra di Mezzo; aveva sempre
pensato
che quello doveva essere il profumo delle stelle. Mentre la stringeva
più
possibile, sentì una mano piccola e delicata accarezzare i
suoi capelli d’oro e
alzò la testa verso la fanciulla, trovandosi incredulo a
fissare gli occhi che
da sempre conosceva e amava.
“Legolas,
non piangere!”, gli disse, mentre
la sua mano si era spostata sulla guancia dell’Elfo che si
abbandonò a quel
contatto. “Cosa c’è che non
va?”.
“Ero
preoccupato!”, disse Legolas. “Non
potevo farne a meno, sembrava che tu ti stessi lasciando
svanire”.
“Svanire?”,
disse la fanciulla
asciugandogli gentilmente le lacrime e baciandolo sulla fronte.
“Ero soltanto
persa nei ricordi; dopo quello che mi hai detto, ripensare a quanto
siamo stati
felici nel Reame Boscoso era la mia unica consolazione. Se avessi
lasciato
entrare il mondo nella mia mente, esso avrebbe tentato di insinuarsi al
posto
di quelle memorie; era più facile restare nel
passato”.
Helkamirië
costrinse Legolas ad alzarsi e
fece lo stesso, tenendogli le mani nelle proprie. Legolas la
attirò a sé e la
strinse, accarezzandole dolcemente la schiena. La fanciulla era
leggermente più
bassa e minuta delle altre donne della sua stirpe e all’Elfo
sembrava che
sparisse nel suo abbraccio.
“Mi
hanno detto che sei stata attaccata al
Nimrodel”, disse senza lasciarla. “Haldir mi ha
detto anche che da quando eri
tornata, il popolo di Lorien non ti aveva più vista
né sentita, perciò io… ho
creduto che tu fossi morta, non abbiamo ricevuto notizie a Imladris
dopo la tua
partenza; così, ho chiesto a Dama Galadriel dove fossi
sepolta e lei mi ha
portato qui, ma non voleva lasciarmi solo con te, perché le
ho confessato che
ti ho fatta soffrire”.
A quelle
parole, Helkamirië si irrigidì,
ricordando il motivo per cui era fuggita dalla Casa di Elrond.
“Hai
preso una decisione, Legolas?”, chiese
alzando il viso verso di lui e fissando i suoi occhi in quelli di
Legolas che
ricambiò il suo sguardo e sorrise.
“Si”,
rispose. “Ero venuto a dirtelo quel
giorno a Imladris, ma tu eri già fuggita via.
Helkamirië non voglio più farmi
condizionare dal passato: se tu lo vuoi, passeremo le nostre vite
insieme. Vuoi
essere la mia sposa?”.
Helkamirië
spalancò gli occhi per la
sorpresa e gli buttò le braccia al collo, tempestandogli il
viso di piccoli
baci. “Certo che lo voglio!”, disse ridendo felice.
“Ad una condizione, però.
Prima accompagnerai Frodo e quando tornerai andremo insieme a Dol Taur,
dove ti
sposerò”.
Legolas sorrise
e la lasciò andare,
accarezzandole le guance.
“Ero
certo che mi avresti chiesto di
farlo”, disse. “Ma se prima speravo di morire
compiendo il mio dovere, ora ho
un motivo troppo importante per tornare”. Si voltò
verso la porta e fece per
andarsene, ma Helkamirië lo prese per un braccio.
“Dove
stai andando?”, gli chiese.
“E’
il tramonto ormai”, rispose l’Elfo;
“Dama Galadriel sarà qui da un momento
all’altro”.
Come evocata
dalle sue parole, la Bianca
Dama entrò nella stanza, accompagnata questa volta da Sire
Celeborn.
“Helkamirië!”,
esclamò felice; “Finalmente
sei tornata te stessa”.
“Io
andrò ad avvisare la Compagnia”, disse
Legolas. “Sono certo che Frodo e gli altri vorranno
salutarti”.
“Avvisali
pure”, intervenne Celeborn. “Ma
non portarli qui; vedranno Dama Helkamirië alla festa che si
terrà questa sera
per lei”.
“Come
comandi, mio signore”, disse Legolas
inchinandosi e, dopo aver rivolto un ultimo sguardo a
Helkamirië, uscì
velocemente.
“Helkamirië,
piccola mia”, disse Galadriel,
“cosa è successo? Per quale motivo ti eri
rifugiata in quello stato di
distacco?”.
Helkamirië
raccontò ai Signori di Lorien
ciò che aveva già detto a Legolas, cercando di
rassicurarli sulle proprie
condizioni.
“Non
accadrà più, miei signori”, disse
raggiante. “Legolas non mi farà più
soffrire e, quando tornerà, andremo insieme
a Dol Taur dove diventerò la sua sposa”.
“Se
questo è ciò che desideri”, disse
Celeborn, “hai la nostra benedizione. Ora dovresti
prepararti, tra poche ore si
terrà un banchetto in tuo onore”.
“Celeborn
ha ragione, mia cara”, intervenne
Galadriel; “Noi ora ti lasciamo, manderemo delle fanciulle
perché ti aiutino”.
Sire Celeborn e
Dama Galadriel uscirono e,
dopo poco tempo, entrarono tre fanciulle con abiti puliti e profumi.
Prepararono un bagno e dopo che Helkamirië uscì
dalla vasca, le mostrarono i
vestiti che avevano portato per lei, invitandola a scegliere. La
fanciulla
volle indossare un semplice abito color porpora, ornato da una cintura
di niphredil d’argento.
“Non
voglio profumi”, disse alle fanciulle
che le porgevano varie boccette, “desidero solo la mia
collana. Dov’è?”.
“Mia
signora”, rispose una di esse, “la tua
collana è andata perduta quando sei stata attaccata.
Possiamo portarne un’altra
se lo desideri”.
“No,
non importa”, disse Helkamirië.
“Aiutami solo a sistemare i capelli”.
La fanciulla la
accontentò e, dopo aver
spazzolato i capelli di Helkamirië, prese a intrecciare le
ciocche che
ricadevano intorno al viso, lasciandoli liberi di coprirle la schiena.
“I
tuoi capelli sono davvero splendidi, mia
signora”, le disse; “Sono così luminosi
che qualsiasi diadema perde il suo
valore fra essi; soltanto Dama Galadriel ha una chioma simile, anche se
la sua
è scintillante d’oro”.
Quando ebbe
terminato di raccogliere le
ciocche davanti, le fermò sul capo con un fermaglio
d’argento dal quale
ricadeva una lunghissima treccia e scelse un diadema regale, fatto di
catenine
d’argento che si intrecciavano tra loro a disegnare intricati
motivi sul capo.
Quando ebbe terminato, Helkamirië si alzò e sul
volto dell’ancella comparve uno
sguardo meravigliato.
“Sei
davvero bellissima, mia signora”,
disse.
“Grazie”,
rispose Helkamirië, mentre le sue
guance si tingevano di rosso. Fece per uscire, ma la fanciulla la
richiamò.
“Aspetta,
mia signora!”, esclamò. “Dove
stai andando?”.
“Che
domande, al talan dei Signori di
Lorien”.
“Ma
non devi andare da sola”, spiegò la
fanciulla. “Il Principe Legolas verrà a prenderti
e insieme andrete al
banchetto, come sposi promessi. Ormai dovrebbe già essere
qui”.
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Capitolo 15 *** 14 ***
Trascorsero solo pochi
minuti che ad
Helkamirië sembrarono eterni. Era rimasta da sola, avendo
congedato le
fanciulle e non faceva altro che controllare nello specchio che fosse
tutto a
posto; ripensando alle parole della fanciulla che aveva definito lei e
Legolas sposi promessi
sentì di stare arrossendo
e cercò di darsi un contegno. ‘Smettila, sei
ridicola!’, disse mentalmente al
suo riflesso. ‘Vi amate da sempre e da sempre sogni di
sposarlo’.
Finalmente
sentì qualcuno bussare alla
porta e, dopo il suo permesso, Legolas entrò nella stanza.
Si era cambiato per
l’occasione e indossava una casacca grigio-argentea su
pantaloni dello stesso
colore. Fili d’argento disegnavano delicati motivi sulla
casacca, rendendola ancora
più raffinata e degna di un principe. I suoi capelli
d’oro erano raccolti come
sempre, le ciocche sul viso fermate dietro il capo da un fermaglio dal
quale
scendeva una treccia. Anch’egli portava un diadema
d’argento, ma molto
semplice, come quelli che erano soliti portare gli Elfi di alto
lignaggio.
“Helkamirië
sei bellissima”, disse con un
sorriso.
“Grazie
Legolas”, sorrise anche lei,
arrossendo; “Anche tu stai molto bene. Era da molto tempo che
non ti vedevo in
abiti da principe”. La fanciulla prese il braccio che
l’Elfo le porgeva e
insieme si diressero verso il talan
di Sire Celeborn e Dama Galadriel.
Mentre
percorrevano le strade, Helkamirië
sentì gli Elfi di Lorien intonare canti per lei, per
festeggiare il suo ritorno
e sorrise grata, stringendo ancora di più il braccio di
Legolas. Ben presto
giunsero alla grande radura dove si trovava il padiglione della
Compagnia e
videro che la tavola per il banchetto era stata preparata nello stesso
luogo,
probabilmente per mettere a proprio agio i piccoli Hobbit.
Improvvisamente,
Legolas si fermò.
“Cosa
c’è Legolas?”, chiese stupita
Helkamirië. “Perché ti sei
fermato?”.
“Ero
talmente felice di averti ritrovata”,
rispose l’Elfo, “che avevo dimenticato di
restituirti questa”. Slacciò dal
collo qualcosa che mostrò a Helkamirië.
“La
mia collana!”, esclamò la fanciulla.
“Dove l’hai trovata?”.
“A
Moria”, rispose Legolas. “Credendoti
morta volevo tenerla con me, ma sono più che felice di
potertela restituire”.
Così
dicendo si spostò dietro Helkamirië e
le mise la collana, sfilandone i capelli. Allora la fanciulla prese di
nuovo il
suo braccio e insieme raggiunsero i Compagni. Quando la videro, i
quattro
Hobbit le corsero incontro felici e presero a ridere e scherzare,
dimostrandole
la gioia per la sua guarigione. Successivamente si avvicinarono a lei
anche
Aragorn, Boromir e Gimli.
“Dov’è
Mithrandir?”, chiese d’un tratto
Helkamirië. I volti dei presenti si rabbuiarono e nessuno
sembrava voler
rispondere. “Legolas…”.
“Egli
è caduto, Helkamirië”, le rispose
Aragorn. “A Moria è stato costretto ad affrontare
un nemico molto potente”.
“Un
Balrog di Morgoth”, intervenne Legolas,
“che lo ha trascinato con sé
nell’abisso. Nessuno di noi ha potuto aiutarlo”.
Helkamirië
non rispose, non sapendo cosa
dire: conosceva troppo poco Mithrandir per sentirsi davvero addolorata,
se non
per la perdita di un grande Stregone. Il momento di tristezza fu
interrotto dal
giovane Peregrino Tuc, il quale non aveva mai smesso di fissare
Helkamirië.
“Certo
che il nostro Legolas è davvero
fortunato”, disse all’improvviso; “Dama
Helkamirië è molto bella, anche per
essere un Elfo”.
“Pipino!”,
esclamò Merry. “Sei sempre il
solito, non si fanno certi apprezzamenti davanti a una Dama!”.
Tutti
scoppiarono a ridere, escluso Pipino,
che era diventato dello stesso colore del vestito di
Helkamirië; quest’ultima
si piegò sulle gambe e guardandolo in faccia gli rivolse un
bellissimo sorriso.
“Non
badare a loro”, disse; “io sono
lusingata che tu mi trovi tanto bella da rendere Legolas fortunato. Ti
ringrazio, Messer Hobbit!”.
Al termine del
banchetto, la serata
trascorse tra canti e balli, per la gioia dei piccoli Hobbit, gente
allegra e
spensierata per natura. Molti Elfi di Lorien si avvicinavano a
Helkamirië e
Legolas per congratularsi del loro fidanzamento e rendere omaggio alla
fanciulla.
“Comincio
a essere geloso”, scherzò
Legolas. “Nessuno sembra accorgersi di me!”.
“Sarà
meglio”, rispose Helkamirië sullo
stesso tono; “Qui a Lorien vivono molte belle fanciulle e se
ti notassero sarei
io a essere gelosa!”.
Legolas
proruppe in una risata cristallina
e strinse a sé Helkamirië che scoppiò a
ridere a sua volta.
“Legolas
che ne dici di fare una
passeggiata?”, chiese. “E’ troppo
rumoroso qui”.
L’Elfo
le porse il braccio e si
allontanarono dalla radura, addentrandosi nei giardini di Lothlorien
che quella
sera erano calmi e silenziosi, illuminati soltanto dalla Luna e dalle
stelle.
C’erano qua e là delle panche di legno e i due si
sedettero, ammirando la
natura intorno a loro.
“Helkamirië,
io ti devo ancora delle spiegazioni”.
“Spiegazioni?!”,
chiese Helkamirië; “Di
cosa parli?”.
“Di
Firiel”, rispose Legolas. “Una volta
mia avevi chiesto di spiegarti perché mi sentivo colpevole
per la sua morte”.
“Legolas
non importa”, disse la fanciulla,
“se non vuoi parlarne non farlo, non voglio che tu ti senta
obbligato”.
“Desidero
che non ci siano segreti tra
noi”, disse l’Elfo. “Perciò ti
dirò tutto, come avrei dovuto fare tanto tempo
fa”. Legolas raccontò a Helkamirië la
triste storia di Firiel e potè constatare
che, contrariamente a tutte le altre volte, si sentiva sollevato nel
parlarne
alla sua amata.
“Povera
Firiel”, sospirò Helkamirië quando
ebbe sentito la vicenda; “Io non sapevo nemmeno che fosse
stata uccisa da una
pattuglia di Orchi. Ora posso capire i tuoi timori e i tuoi sensi di
colpa, e
sono ancora più felice che tu li abbia superati. Nonostante
le difficoltà, noi
siamo stati fortunati e in suo ricordo dovremo cercare di vivere
serenamente le
nostre vite, come lei non ha potuto”.
“Hai
ragione”, disse Legolas cingendole le
spalle e attirandola a sé; “Io non credo che
volesse vedermi soffrire, le ho
fatto torto in tutti questi anni”. Rimasero in silenzio per
un po’, ascoltando
le voci e la musica della festa che giungevano ovattati fino al
giardino,
finchè Legolas non ruppe il silenzio.
“Helkamirië, non mi hai mai detto perché
tuo padre ti portò via dal Reame Boscoso”.
“Se
te lo dicessi, mi prenderesti per
pazza”.
“Tu
dimmelo lo stesso”.
“D’accordo”,
disse Helkamirië traendo un
profondo respiro; “Avevo tentato di entrare a Dol
Gûldur”.
“Dol
Gûldur?!”, esclamò Legolas.
“Perché
mai avresti dovuto farlo? Lo stesso Mithrandir corse un serio pericolo
quando
entrò nelle prigioni di quella fortezza”.
“Non
so perché lo feci”, rispose la
fanciulla; “Sentivo che qualcosa mi attirava
laggiù, ma non saprei dirti cosa.
Anche quando mi recai a Imladris, sentivo come un richiamo, ma
quest’ultimo era
diverso e forse era il cuore a spingermi verso la Casa di Elrond, dove
poi ti
ho rivisto. Non riesco davvero a comprendere cosa mi attirava verso la
fortezza
del Nemico”.
“Forse
Lui sa di te”, disse l’Elfo,
“nonostante ti abbiamo tenuta nascosta, e vuole portarti
dalla sua parte”.
“E
perché mai?”, chiese Helkamirië.
“Io non
ho poteri, se non quello di brillare come una stella, e non posseggo
oggetti
magici o preziosi, se escludi questo rubino che mia madre
portò da Valinor”.
“Davvero
questa gemma viene dalle Terre
Immortali?”, chiese Legolas.
“Certo”,
rispose Helkamirië. “Mio padre,
Ëaralad, portò con sé questa gemma che
apparteneva alle donne della sua
famiglia dal tempo dei Due Alberi e me la donò alla nascita,
mentre mia madre,
Arelen, mi ha regalato il suo cavallo, Carnemirië, che
è diventato mio non
appena ho imparato a cavalcare. Nel tuo regno, mio Principe,
c’è qualcosa delle
Terre Imperiture”.
“Questo
lo sapevo già”, disse Legolas
sorridente. “Tu sei nata nel Reame Boscoso e io credo che la
luce che vedo nei
tuoi occhi sia un riflesso di quella di Valinor. Anche tu fai parte di
quel
‘qualcosa’, nonché i tuoi stessi
genitori”.
Helkamirië
sorrise e si alzò dalla panca,
invitando Legolas a fare lo stesso.
“Ci
staranno cercando”, disse. “In fondo la
festa era per noi”.
Mentre
tornavano verso la radura, videro
Frodo in un angolo del giardino. Legolas stava per chiamarlo, ma
Helkamirië lo
fermò, ritenendo che il Mezzuomo preferisse rimanere solo.
Quando raggiunsero
la festa, videro Gimli farglisi incontro; sembrava piuttosto allegro e
loquace
più del solito.
“Ehi,
orecchie a punta!”, strillò rivolto a
Legolas; “Dama Galadriel stava cercando te e la tua luminosa
fidanzata”.
Legolas lo
fissò, spalancando gli occhi
grigi, mentre Helkamirië rideva di gusto, nascosta dietro
l’Elfo.
“Non
prendertela!”, disse. “Credo che il
tuo Compagno abbia bevuto un po’ troppo! Vieni cerchiamo la
Dama”.
Facendosi
strada tra gli Elfi che
affollavano la radura, giunsero ai piedi del grande mallorn,
dove si trovavano i seggi di Celeborn e Galadriel. I
Signori erano lì seduti e vicino a loro si trovava anche
Aragorn che per una
volta sembrava sereno e privo di responsabilità.
“Sire
Celeborn, Dama Galadriel”, salutarono
chinando il capo.
“Helkamirië,
non dovresti allontanarti”,
disse Galadriel; “La festa è in tuo onore, per
festeggiare la tua guarigione e
la felicità che hai raggiunto con Legolas”.
A quelle
parole, Aragorn sembrò
intristirsi, così Helkamirië si avvicinò
a lui.
“Non
vorresti chiedermi questo ballo?”, gli
chiese. “E’ un’occasione unica per
entrambi; io potrei non avere più
possibilità di danzare con l’erede di Numenor e tu
con una stella”.
“Sei
nel giusto”, disse Aragorn. “Dama
Helkamirië, vuoi concedermi questo ballo?”.
“Si,
mio signore”, rispose Helkamirië. Ben
presto si trovarono nel centro della radura, circondati da decine di
altre
coppie.
“Stavi
pensando a Dama Undomiel?”, chiese
la fanciulla.
“Tu
sai?!”.
“Si”,
rispose Helkamirië. “Quando ero a
Imladris, mi chiedevo perché non avessi più visto
Dama Arwen dopo il tuo
arrivo, mentre prima veniva spesso a trovarmi. Sapevo che Elrond era
impegnato
a guarire Frodo, ma non ti conoscevo ancora e non immaginavo nemmeno il
vostro
amore, perciò non riuscivo a capire. Una sera, prima che il
Mezzuomo
riprendesse conoscenza, vi sentii parlare sotto il mio balcone. Dama
Arwen
piangeva, così sono rimasta ad ascoltare”.
Arrossì nell’ammettere quella
piccola colpa, poi riprese il suo racconto. “Lei
pronunciò il tuo nome e quando
ti ho conosciuto e ho scoperto che sei un Uomo, pur se un discendente
di
Numenor, ho capito qual era il problema e le sue lacrime”.
“E’
davvero una triste storia, la nostra”,
disse il Ramingo. “Se anche io tornassi da questa missione e
salissi al mio
trono, saremmo comunque separati dalla nostra stessa natura. Io sono
mortale,
Arwen di stirpe elfica: quale futuro potremmo avere?”.
“Dama
Arwen è una Mezzelfa, in un certo
senso”, rispose Helkamirië; “Forse
dimentichi che le è dato scegliere? Potrebbe
voler restare con te, preferendo una vita mortale con l’Uomo
che ama, piuttosto
che una immortale da trascinare nel tuo ricordo”.
“Non
posso chiederle di rinunciare
all’immortalità”.
“E’
una sua decisione”, disse la fanciulla.
“Qualunque essa sia, tu potrai solo accettarla”.
La
musica cessò ed entrambi tornarono dove
li aspettavano i Signori di Lorien e Legolas.
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Capitolo 16 *** 15 ***
Quando fu ormai notte
fonda, la festa finì
e ogni Elfo presente si ritirò per raggiungere il proprio talan. Rimasero soltanto i servi di
Celeborn e Galadriel, i quali
svuotarono la radura di ogni mobile e suppellettile nel poco tempo che
avevano
impiegato per sistemarli. Nel frattempo Legolas aveva accompagnato
Helkamirië
ai suoi alloggi e, mentre percorrevano le silenziose strade di Caras
Galadhon,
avevano incrociato Frodo che stava tornando al padiglione della
Compagnia. Egli
non li aveva visti e i due avevano evitato di farsi notare.
“Non
capisco perché Frodo si comporti in
questo modo”, disse Legolas quando furono lontani;
“Eppure credevo che ormai
avesse imparato a fidarsi dei suoi Compagni. Che sia il dolore per la
scomparsa
di Mithrandir?”.
“No,
io non credo”, disse Helkamirië.
“Cosa
credi allora?”, incalzò l’Elfo;
“Forse tu possiedi qualche dono particolare per cui leggi
nella sua mente?”.
“Non
scherzare Legolas!”, rispose la
fanciulla. “Per me è più facile
comprenderlo. Io non faccio parte della
Compagnia, né tantomeno del Bianco Consiglio,
perciò vedo in lui un semplice
Hobbit, non il Portatore dell’Anello da consigliare o
proteggere. Per me, lui è
Frodo Baggins, un abitante della Contea con un compito che gli sembra
tanto più
grande di lui. La prima volta che ho incrociato il suo sguardo, vi ho
scorto
tanta paura di fallire e, soprattutto, solitudine. Cercai di
confortarlo
allora, ma cosa vuoi che siano le parole per lui in questo momento, se
non
foglie al vento? Il suo compito è difficile e pericoloso
anche per voi che
siete i suoi Compagni; questo, Frodo lo sa e ne porta il peso,
soprattutto dopo
la morte di Mithrandir”.
“Pensavo
che la presenza dei suoi amici
Hobbit gli fosse di conforto”, disse Legolas.
“Forse mi sbagliavo e la sua
solitudine è troppo profonda perché qualcuno vi
possa porre rimedio. Cosa
potrei fare, io? Conosco così poco Frodo Baggins”.
“Tu
puoi dimostrarti suo amico”, disse
Helkamirië. “Proteggilo dai pericoli, per quanto in
tuo potere, e non guardare
a lui come il Portatore dell’Anello, ma consideralo una
creatura sofferente e
sfortunata che ha bisogno di te. Non puoi fare molto di
più”.
Ormai erano
giunti al talan di
Helkamirië e Legolas accompagnò la fanciulla fino
alla
stanza dove era rimasta segregata per tanto tempo, ma entrambi erano
restii a
separarsi.
“Helkamirië
sarà meglio che ti lasci
riposare”, disse Legolas. “Ti auguro di trascorrere
una notte serena”. Si
avvicinò a lei, posandole un bacio sulla bianca fronte e si
diresse verso la
porta.
“Legolas!”.
“Cosa
c’è?”.
“Mi
chiedevo, dove trascorrerai la notte?”,
chiese Helkamirië. “Intendo, dove si trova il tuo talan? Potrei chiedere a Dama Galadriel
di spostarti più vicino al
mio mallorn”.
“Io
non alloggio sempre sui telain”,
rispose Legolas. “I Signori di
Lorien hanno fatto preparare un padiglione per la Compagnia. Tu lo hai
visto:
si trova nella radura dove si è svolta la festa questa sera.
A volte trascorro
la notte lì con i miei Compagni, altre volte con i Galadhrim
sugli alberi. In
ogni caso, se i Signori lo concederanno, sarei estremamente felice di
alloggiare vicino a te, lo sai”.
Helkamirië
si avvicinò all’Elfo e lo
abbracciò, mentre quest’ultimo ricambiò
il gesto tenendola stretta.
“Grazie
Legolas”, disse la fanciulla,
staccandosi da lui; “Trascorri anche tu una notte
serena”.
Dopo che
Legolas fu uscito, Helkamirië
provò ad addormentarsi ma con scarsi risultati.
‘Sono successe troppe cose
oggi’, pensò, ‘Sono stata come dormiente
per tre mesi, il mio corpo si starà
ribellando all’idea di dormire!’. Si
alzò dal letto e cercò nell’armadio i
suoi
vestiti da viaggio, molto simili a quelli che portava Legolas: solo la
casacca
in pelle marrone era diversa, più lunga, arrivando fin sotto
il ginocchio, e di
colore più chiaro, caratteristiche che lo identificavano
come indumento
femminile. Trovò quello che cercava in fondo
all’armadio; gli abiti erano stati
ripuliti, e rammendati con tale maestria da sembrare nuovi. Li
indossò
velocemente e uscì, dirigendosi nel folto dei boschi che
circondavano la città.
Non aveva portato armi con sé, sapendo di trovarsi in sicuri
confini e
procedeva spedita. Sentiva su di sé gli sguardi delle
sentinelle, ma non le
importava: voleva sentirsi libera per un po’, libera dal suo
ruolo di ‘dono di
Varda’ e da ciò che esso imponeva.
Trovò un piccolo spiazzo libero da alberi,
dove si recava spesso, e si sdraiò nel mezzo del prato,
osservando le stelle in
cielo e ringraziando i Valar per la fortuna che le era capitata.
Legolas
tornò al padiglione trovando i suoi
amici profondamente addormentati. Si cambiò
d’abito, indossando ciò che portava
al suo arrivo a Lothlorien e uscì di nuovo, tornando verso
il talan di Helkamirië; si
sentiva sciocco,
ma ora che l’aveva ritrovata, non riusciva a stare lontano da
lei, perciò aveva
deciso di passare la notte a vigilare sulla sua amata. Le finestre
erano buie,
fatto insolito, dato che Helkamirië odiava
l’oscurità e teneva sempre un lume
acceso, perciò aprì leggermente la porta, per
controllare che fosse tutto a
posto, ma il letto era vuoto.
“Helkamirië!”,
chiamò. “Helkamirië, dove
sei?”.
Uscì
di corsa e provò a cercarla nei
dintorni, continuando a chiamarla.
“Mio
signore”, lo fermò una sentinella,
“non dovresti gridare a quel modo, Caras Galadhon
dorme”.
“Domando
scusa”, disse Legolas, mentre
dentro di sé imprecava contro
l’ottusità dell’Elfo: possibile che non
avesse
capito chi cercava? “Valienna non è sul suo talan,
l’hai vista?”.
“No,
mio signore, mi dispiace”, rispose la
guardia, scuotendo il capo; “Ma uno dei miei compagni ritorna
dal bosco per il
cambio; forse lui l’ha veduta”.
Legolas si
voltò e vide la sentinella dei
boschi, dagli inconfondibili abiti grigi, dirigersi verso di loro.
“Tu
vieni dal bosco, vero?”, gli chiese
facendoglisi incontro.
“Si,
mio signore”.
“Hai
incontrato Valienna, laggiù?”.
“Si,
mio signore, l’ho incontrata”.
Legolas
tirò un sospiro di sollievo. “Dove
si trova ora?”, chiese. “Non lontano dalla
città, mio signore”, rispose l’Elfo;
“Non avrai difficoltà a trovarla, devi solo
seguire il sentiero fino a quando
volta a nord-ovest; a quel punto, devi andare nella direzione opposta,
verso
sud-est e dopo poche decine di metri troverai una piccola radura.
Valienna deve
trovarsi lì”.
Legolas lo
ringraziò e attraversò il
cancello seguendo poi le indicazioni della sentinella fino a
raggiungere la
radura; Helkamirië era proprio lì, sdraiata a
guardare le stelle e quando si
accorse di lui, si alzò e gli si affiancò.
“Legolas!”,
disse; “Cosa ci fa…”.
Helkamirië si interruppe, tenendosi la guancia colpita con una
mano: Legolas
l’aveva schiaffeggiata. “Sei impazzito?
Perché lo hai fatto?”.
L’Elfo
aveva uno sguardo severo e non
sembrava pentito del suo gesto.
“L’ho
fatto perché sono arrabbiato”,
rispose. “Come ti è saltato in mente di
allontanarti senza dirmi nulla? Riesci
a immaginare come mi sia sentito quando non ti ho trovata? Sono stato
assalito
dal terrore più nero, temevo di averti perduta”.
“Ti
domando scusa”, disse Helkamirië. “Sono
terribilmente mortificata, non pensavo che il mio gesto potesse avere
tali
conseguenze. Perdonami Legolas, non farò più
nulla di simile”.
Legolas si
avvicinò ancora di più e
scostando la sua mano, posò un tenero bacio dove
l’aveva colpita.
“Sei
perdonata”, le disse con un sorriso.
Andò a sedersi vicino a uno dei grandi mellyrn,
poggiando la schiena contro il tronco e porse le mani a
Helkamirië perché lo
raggiungesse, facendola sedere con la schiena poggiata contro il
proprio petto.
“Perché
sei venuta qui?”, le chiese
abbracciandola.
“Non
riuscivo a dormire”, rispose lei. “In
fondo, non ho fatto nulla negli ultimi tre mesi!”.
“Potevi
venire da me”, disse Legolas.
“Avrei potuto tenerti compagnia, dato che non avrei dormito
comunque. Al buio,
il reame di Lothlorien è troppo affascinante per trascorrere
tutta la notte
dormendo”.
Helkamirië
non rispose e rimasero in
silenzio per un po’, osservando le stelle che nel cielo di
Lorien brillavano
con tale intensità da proiettare pallide ombre sul terreno.
“Legolas,
tu sapevi di Aragorn e Arwen?”,
chiese la fanciulla.
“Si”,
rispose Legolas. “Quando conobbi il
Ramingo, egli era già innamorato di Dama Undomiel;
è stato proprio questo amore
senza speranza che lo ha spinto alla vita errabonda che ha condotto. Il
suo
dolore è troppo profondo perché un Eldarin non se
ne accorga”.
“Il
loro amore non è senza speranza”, disse
Helkamirië; “La Dama di Imladris è una
Mezzelfa e come tale, dovrà essere lei a
scegliere del proprio destino. Aragorn lo sa e in fondo al cuore spera
che
Arwen rinunci all’immortalità per rimanere;
è questo che lo spinge sul trono di
Gondor, io credo”.
“Non
soltanto questo”, disse l’Elfo. “Egli
è Uomo di grande forza e coraggio, ma anche molto fiero. Il
Regno di Gondor gli
appartiene per diritto di nascita, che egli lo rivendichi o meno;
tuttavia, ha
infine deciso di farsi avanti e inizierà col difendere Minas
Tirith dagli
attacchi del Nemico”.
“Vuoi
dire che non accompagnerà Frodo?”,
chiese la fanciulla; “Credevo che sarebbe venuto fino
all’Orodruin con voi”.
“Questo
non era nelle sue intenzioni”,
rispose Legolas. “Egli partì da Imladris
intenzionato ad accompagnare Boromir
fino alla Città Bianca; il nostro percorso era lo stesso per
diverse miglia,
così entrambi si aggregarono alla Compagnia
dell’Anello. Non ne sono certo, ma
credo che dopo la caduta di Mithrandir, i suoi piani siano
mutati”.
“Lo
spero”, disse Helkamirië. “Il suo aiuto
vi sarà prezioso se dovrete entrare a Mordor. Avrei voluto
accompagnarvi anche
io; ma se anche fossi rimasta a Imladris quando il gruppo è
stato formato,
Elrond mi avrebbe comunque impedito di partire. Non avrebbe rischiato
di
perdere il ‘dono di Varda’ agli Eldar, mandandomi
dritta fra le braccia
dell’Oscuro Signore”.
“E
cosa ti fa credere che io, invece, ti
avrei lasciata partire?”, sbottò Legolas.
“Io avrei rischiato di perdere
Helkamirië, non Valienna, eppure non ti avrei certo lasciata
venire”.
“Perché
no?”, lo stuzzicò Helkamirië.
“Sono
una guerriera esperta e poi sono certa che la mia presenza sarebbe
stata per te
molto piacevole, oltre che confortante per i tuoi Compagni”.
“Certamente
io ne sarei stato felice”,
disse l’Elfo. “E i miei compagni più
leggeri di spirito; ma tu, mia esperta
guerriera, l’ultima volta in cui hai dovuto combattere hai
corso un serio
rischio. Non hai idea di quello che abbiamo già affrontato e
di quello che
ancora ci aspetta”.
“Quella
volta ero ferita e fuori
allenamento”, rispose la fanciulla, fingendosi offesa.
“Se Galadriel mi avesse
lasciato allenarmi in tutto questo tempo, ora quei Goblin sarebbero
cibo per i
corvi e i vermi!”.
“Quanta
veemenza in una dolce fanciulla!”,
esclamò Legolas.
“Questa
dolce fanciulla ha ucciso più
Orchi, Lupi e altri esseri miserabili di quanto immagini”,
disse Helkamirië.
“Quando cacciavo, a Dol Taur, non uccidevo certo selvaggina.
Io andavo a caccia
di nemici, esseri che potevo eliminare senza alcuna pietà.
Ora sarebbe
impossibile”.
“Perché
mai?”, chiese l’Elfo. “Io stavo
solo scherzando, sono certo che sapresti difenderti dai servi del
Nemico e da
ogni altra creatura ostile. Basterebbe che tu riprendessi ad allenarti
regolarmente; io potrei aiutarti, fino a che resterò a
Lorien”.
“Legolas
il problema non è l’allenamento”,
rispose la fanciulla. “Semplicemente, non ero affatto lucida
quando ho
affrontato i Goblin, la mia mente continuava a spostarsi altrove e non
si può
combattere se non si è concentrati. E a Dol Taur ero
offuscata, mentre ora come
potrei tendere imboscate? Non esiste nascondiglio per questa benedetta
luce,
riesci a immaginarla nell’oscurità di Mordor?
Sarei subito scoperta e causerei
la vostra rovina”.
Helkamirië
tacque e Legolas non aggiunse
altro, mentre rimanevano abbracciati a guardare le stelle; ben presto,
l’Elfo
si addormentò e Helkamirië, cullata dal suo respiro
regolare, non tardò a
imitarlo, sentendosi felice e al sicuro nella stretta delle sue braccia.
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Capitolo 17 *** 16 ***
Venne l’alba,
e il Sole li sorprese così,
abbracciati l’uno all’altra, svegliandoli
dolcemente; si ritrovarono dinnanzi
uno spettacolo meraviglioso: la radura sembrava lastricata
d’oro per via della
luce nascente, e d’oro erano le foglie dei mellyrn,
attaccate ai rami d’argento. Helkamirië si
alzò e si spostò al centro del prato
dove fu inondata di una luce, al cui confronto la sua era pari a quella
di una
candela e perciò non si riusciva a distinguerla.
“Legolas
torniamo in città”, disse
voltandosi verso l’Elfo; “Non voglio che qualcuno
venga a cercarmi qui.
Soltanto le sentinelle sanno che vengo qui a volte, e loro non mi
tradiranno”.
“Anche
io conosco questo posto”, disse
Legolas, alzandosi e raggiungendola. “Ed è stata
proprio una sentinella a dirmi
dove trovarti”.
“Tutta
Lorien ormai sa che siamo
fidanzati”, disse Helkamirië; “Avranno
ritenuto normale che tu dovessi
saperlo”.
Legolas le
porse il braccio e si
incamminarono per ritornare in città, percorrendo la breve
distanza che li
separava dal Cancello. Helkamirië volle ritornare subito al
suo talan, dicendo di dover
prendere
qualcosa e pregando l’Elfo di aspettarla di sotto. Quando
ritornò, si era
cambiata d’abito e portava un grande arco con sé.
“Legolas
vorrei che tu provassi a usare
quest’arco”, disse. “E’
più grande degli archi che fabbrichiamo al Reame
Boscoso, come puoi vedere, ed è anche più
pesante. Puoi tirare nel bosco o nel
campo di allenamento delle guardie di Lorien”.
“E’
davvero magnifico”, disse Legolas
impugnando l’arma; “Ma vedo che ha già
scoccato diverse frecce; a chi
appartiene?”.
“A
me”, rispose Helkamirië. “Mio padre lo
fece portare apposta per me fino a Dol Taur, quando volli imparare a
usarlo; io
vorrei che tu lo portassi con te quando lascerete Lothlorien.
Sarà come se io
stessa ti accompagnassi”.
“Andrò
a tirare nel bosco”, disse l’Elfo
sorridendo. “Tu verrai con me?”.
“Non
subito”, rispose la fanciulla. “Voglio
andare a trovare i tuoi Compagni. Devono sentirsi totalmente spaesati
qui,
eccetto Aragorn ovviamente, soprattutto i piccoli Hobbit”.
“Come
desideri”, disse Legolas. “Se Aragorn
fosse con loro, gli chiederesti di raggiungermi?”.
“Lo
farò”, disse Helkamirië, allontanandosi
diretta verso il centro della città e il talan
dei Signori di Lorien.
Nella radura si
trovavano i due Uomini e
Gimli, ma non vi era traccia degli Hobbit.
“Buongiorno,
mia signora”, la salutò
Aragorn, mentre Gimli e Boromir chinarono il capo.
“Buongiorno
a voi”, rispose Helkamirië.
“Legolas
non è con te?”, chiese il Ramingo.
“No”,
disse la fanciulla; “Egli ti chiede
se vorresti avere la bontà di raggiungerlo. Si trova al
limitare del bosco,
appena oltre il Cancello”.
Aragorn non
rispose, ma salutò e si
allontanò subito; Helkamirië sapeva che stava
raggiungendo Legolas, perciò si
rivolse a Boromir.
“Nobile
Boromir”, disse, “gli Hobbit non
sono con voi?”.
“No,
mia signora”, disse l’Uomo; “Questa
mattina Frodo si è allontanato molto presto. I suoi amici
sono andati a
cercarlo, ma dato che non sono tornati, immagino che non
l’abbiano trovato”.
“Capisco”,
disse la fanciulla, sedendosi
accanto a lui. “Ti dispiace se li aspetto qui? Vorrei sapere
qualcosa di Gondor
e Minas Tirith se ti va di raccontarmi”.
A quella
richiesta, gli occhi di Boromir si
illuminarono di una luce che Helkamirië non aveva mai visto.
“Ne sarei felice,
mia signora”, disse.
Aragorn aveva
seguito le indicazioni di
Helkamirië, trovando Legolas esattamente dove lei aveva detto.
Stava tirando
con l’arco, ma non quello di sua proprietà,
poiché il Ramingo era sicuro che si
trovasse nel padiglione.
“Un’arma
meravigliosa, non trovi?”, disse
l’Elfo, come se avesse sentito i suoi pensieri.
“E’
un arco dei Galadhrim, vero?”, chiese
Aragorn.
“Esatto”,
rispose Legolas; “Appartiene a
Helkamirië. Vuole che lo porti con me quando lasceremo
Lothlorien”.
L’Elfo
andò a recuperare le ultime frecce
scoccate e poi tornò indietro, avvicinandosi ad Aragorn che
si era seduto sul
prato, tra gli alberi.
“Perché
mi hai fatto venire, Legolas?”,
chiese; “Di certo non volevi mostrarmi un arco, anche se
poderoso”.
“Hai
ragione”, disse Legolas. “Ho bisogno
di chiederti un parere riguardo qualcosa che mi ha detto
Helkamirië; è un fatto
quantomeno insolito”.
“Avanti,
non tenermi sulle spine”, disse il
Ramingo.
“Ecco,
Helkamirië fu allontanata dal Reame
Boscoso”, disse Legolas. “Suo padre la
portò fino a qui, perché… aveva
tentato
di entrare a Dol Gûldur. Lei sostiene di aver sentito
qualcosa che la spingeva
verso quel luogo, una forza misteriosa che la attraeva e che ancora
oggi non
riesce a spiegarsi”.
“Helkamirië
è molto coraggiosa”, disse
Aragorn. “Eppure non appare una fanciulla avventata o
desiderosa di morte;
perché avrebbe fatto una cosa del genere?”.
“E’
esattamente questo il punto”, disse
l’Elfo. “Helkamirië è stata
attirata verso la fortezza. Nessun Elfo del Reame
Boscoso, seppur coraggioso, si spinge mai tanto a sud, tuttavia lei lo
ha
fatto, priva apparentemente di motivo”. Legolas fece una
pausa, guardò il
cielo, poi riprese. “Aragorn, rispondi sinceramente: credi
sia possibile che il
Nemico sappia di Helkamirië? Che voglia trarla a
sé, per qualche suo recondito
fine?”.
“Si”,
disse l’Uomo. “Lo credo. Gli Eldar
hanno occultato molto bene Valienna, tanto che sia io, che Gandalf,
nonostante
i nostri continui viaggi tra le loro dimore e l’amicizia che
ci lega ai
Priminati, non abbiamo mai saputo di lei. Tuttavia, il Nemico ha
diverse spie e
molteplici modi per apprendere i nostri segreti e forse, anche se
Helkamirië
non ha particolari poteri, egli vuole impossessarsene; non ha sempre
bisogno di
un valido motivo per compiere il male”.
“Temo
che tu abbia ragione”, disse Legolas.
“Se solo Mithrandir fosse qui! Forse lui saprebbe darmi una
motivazione a
questa sorta di ‘caccia’ e potremmo agire di
conseguenza”.
“Parlane
con Sire Celeborn e Dama
Galadriel”, disse Aragorn.
“Non
posso farlo”, disse l’Elfo.
“Helkamirië lamenta la scarsa libertà di
cui gode a causa della loro
sorveglianza. Se dicessi loro quali sono i miei timori, i Signori di
Lorien
intensificherebbero la morsa protettiva in cui lei si sente
intrappolata e non
mi perdonerebbe. In fondo, finchè si trova nel Reame Beato,
nessuno tranne il
Nemico in persona, potrà mai raggiungerla; e se la nostra
missione avrà buon
esito, più nulla la minaccerà”.
“E
se, invece, fallisse?”, disse Aragorn.
“Niente e nessuno si opporrebbe più al Nemico; chi
proteggerebbe Helkamirië?”.
“L’Ovest”,
disse Legolas. “Se lui tornasse
in possesso dell’Anello, gli Eldar partirebbero dai Rifugi
Oscuri verso le
Terre Imperiture, riportando la luce di Valienna donde proviene, fuori
della
sua portata”.
I due smisero
di parlare e Legolas riprese
a tirare con l’arco, mentre Aragorn si distese sul prato,
pensando che, se
avesse fallito, con molta probabilità anche Arwen avrebbe
lasciato per sempre
la Terra di Mezzo.
Nel frattempo,
Boromir aveva raccontato a
Helkamirië quanto fosse meraviglioso il Regno degli Uomini,
splendente al Sole
del Sud, e le grandi imprese e il buon governo di suo padre, che
opponeva
ancora strenua resistenza alle forze del Male, nonostante esso
divenisse sempre
più potente. Mentre discorrevano, sotto lo sguardo annoiato
di Gimli, il quale
non mancava di manifestare il suo disappunto con sonori sbadigli, Frodo
tornò
da chissà dove, e i giovani Hobbit lo raggiunsero poco dopo.
Dalla parte
opposta alla loro, infine, Legolas e Aragorn rientravano dai boschi.
Helkamirië
raggiunse Legolas che portava il
suo arco con sé. “E’ un’arma
davvero potente”, le disse. “Stento ancora a
credere che sia stato usato da te”.
“Eppure
è così”, disse Helkamirië.
“Quest’arco ha cantato innumerevoli volte fra le
mie dita; tuttavia credo che
ora si trovi in mani migliori, la tua maestria è nota in
tutto il Reame
Boscoso. Io uso meglio la spada, e la preferisco”.
“Vorresti
farmi credere che tu sai
combattere?”, interloquì Gimli. “Un
Elfo, per giunta femmina, e sapresti usare
arco e spada? Ma se non hai fatto altro che rabbrividire ai racconti
delle
battaglie combattute da Boromir!”.
Helkamirië
lo guardò, seria. “Invece è
proprio così Gimli”, disse. “E posso
maneggiare con disinvoltura anche il
pugnale singolo e i doppi pugnali. Perché credi che i miei
genitori facessero
entrambi parte dell’Esercito dei Valar? Mio padre
è addirittura capace di
utilizzare le asce e bene anche, quanto voi Nani, ma io non ho mai
imparato”.
“Questo
non dimostra nulla”, disse Gimli.
“Il fatto che i tuoi genitori facessero parte di un esercito
non fa di te
un’esperta guerriera. Perché non mi dimostri
quanto vali, affrontandomi?”.
I Compagni si
guardarono l’un l’altro,
preoccupati che, se Helkamirië avesse accettato, Gimli avrebbe
potuto
accidentalmente ferirla. Solo Legolas appariva tranquillo, e un leggero
sorriso
gli incurvava le labbra.
“Legolas”,
disse Aragorn sottovoce. “Come
puoi sorridere? Non temi che Helkamirië possa essere
ferita?”.
“Affatto”,
disse Legolas. “Gimli sta per
scoprire che non si sfida Helkamirië se non si è
certi di poterla sconfiggere.
Lui ha dalla sua parte una grande forza, ma la mia amata è
sin troppo agile
perché lui possa pensare anche solo di sfiorarla. E forse
comprenderà quanto la
temano le creature malvagie che popolano Dol Taur”.
“Accetto
la tua sfida”, disse in quel
momento Helkamirië. “Ti chiedo solo la
bontà di attendere qualche momento. Devo
andare a prendere la mia spada, ma non ci impiegherò
molto”.
Helkamirië
si incamminò verso il proprio talan,
seguita dagli sguardi dei
presenti.
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Capitolo 18 *** 17 ***
“Gimli”,
disse Boromir. “Non credi di avere
esagerato? È chiaro che tu sei più forte di Dama
Helkamirië; se dovessi farle
del male come credi che reagirebbe il nostro Legolas o qualunque altro
Elfo? E
i Signori di Lorien? Essi ci hanno accolti, sarebbe come tradire la
loro
fiducia”.
“Stai
tranquillo”, disse Gimli. “So come
usare la mia ascia e non è stata forgiata per ferire
luminosi Elfi”.
“Boromir
ha ragione”, disse Pipino. “Dama
Helkamirië è fin troppo bella e dolce per essere
anche una guerriera”.
“Io
invece, credo di si”, disse Frodo. “E’
vero che si tratta di una fanciulla bella oltre ogni dire e molto
dolce, eppure
sento che ella nasconde una grande forza in sé”.
Legolas non
disse nulla ma continuò a
guardare i suoi Compagni con lo stesso sorriso sornione di chi sa
già come
andrà a finire e anche Aragorn, persuaso dalle sue parole,
si astenne dal fare
commenti.
Helkamirië
ritornò portando con sé una
spada davvero fuori dal comune: brillava e rifletteva la luce come
fosse
incastonata di diamanti, eppure la sua superficie liscia e levigata
sembrava
forgiata con comune acciaio. Per potersi muovere con più
disinvoltura aveva
indossato gli abiti da viaggio, apparendo meno eterea e dolce, ma
più decisa e
sicura di sé.
“Dama
Helkamirië”, disse Merry. “Ora sembri
una di noi; non potresti partire anche tu? Eravamo in nove, ma ora
manca un
membro alla Compagnia dell’Anello”.
“Ne
sarei felice, Merry”, disse Helkamirië.
“Non sai quanto. Ma Celeborn e Galadriel non mi
permetterebbero di partire, ne
tanto meno me lo consentirebbe Legolas”.
“Allora
vogliamo procedere?”, intervenne
Gimli. “O forse ti sei pentita di aver accettato la
sfida?”.
“Niente
affatto!”, disse la fanciulla. ‘Ti
farò pentire di avermi provocato, Messer Nano’.
“Fateci spazio, cominciamo!”.
Gli spettatori
sedettero ai bordi della
radura, mentre i due avversari presero posizione, studiandosi a
vicenda. Il
Nano si lanciò subito all’attacco, menando
tremendi colpi con la sua ascia che
però Helkamirië schivava con una
velocità straordinaria e apparentemente senza
sforzo; non contrattaccava ancora, limitandosi a stare sulla difensiva,
occasionalmente parando i colpi invece di scansarsi. Improvvisamente,
dopo aver
parato l’ennesimo attacco, un sorriso comparve sul suo volto
e Helkamirië
spinse all’indietro Gimli, lanciandosi nel contrattacco: i
suoi movimenti
sembravano una danza e i fendenti non risultavano mai letali,
perché all’ultimo
istante colpiva con la spada di piatto. Continuò il suo
attacco fino a portare
Gimli con le spalle contro un tronco, e solo allora gli
puntò la spada alla
gola, immobilizzandolo.
“Credo
di aver vinto io, Messer Nano”,
disse rinfoderando la spada. “Spero vivamente che non me ne
vorrai”.
Gimli
chinò il capo e si allontanò,
ansimando per la fatica e borbottando nella incomprensibile lingua dei
Nani.
Helkamirië scosse il capo e si avvicinò al suo
pubblico. Solo Legolas non
sembrava stupefatto da ciò che aveva visto e appariva
estremamente tranquillo.
Pipino continuava a fissarla a bocca aperta e la fanciulla gli mise una
mano
sotto il mento, richiudendola.
“Non
è educato fissarmi a bocca aperta,
Messer Peregrino”, disse.
“Ti
domando scusa per lui, mia signora”,
intervenne Merry. “Devi comprendere il nostro stupore, non
sapevamo che tu
sapessi combattere con tale maestria, ed eravamo convinti che Gimli ti
avrebbe
sconfitta in un batter d’occhio. Invece tu… e non
sembri neppure stanca!”.
“Non
lo sono infatti”, disse Helkamirië.
“Gli allenamenti cui mi sottoponeva mio padre duravano dal
sorgere al calare
del Sole, senza interruzioni e ho impiegato molte vite degli Uomini per
riuscire a batterlo in un duello. Egli è un guerriero
straordinario, dovreste
vedere con quanta abilità maneggia l’ascia! Io non
ho imparato, perché non amo
quel tipo di armi. Prediligo la spada e, pur utilizzando anche i
pugnali, mi
sono esercitata fino a rasentare la perfezione”.
“Io
credo che tu l’abbia raggiunta”,
intervenne Boromir. “Non penso che qualcuno riuscirebbe a
sconfiggerti, o
almeno nessuno nella Terra di Mezzo. La tua spada è
altrettanto eccezionale:
sembrerebbe forgiata con comune acciaio, eppure risplende come se fosse
puro
diamante”.
“Non
sei molto lontano dal vero, Boromir”,
disse Helkamirië. “La spada che vedi appartenne a
mia madre e, come lei,
proviene da Valinor. Sono stati i Noldor a crearla, ed essi sono
artefici
persino migliori dei Nani, riuscendo a combinare elementi
apparentemente
incompatibili. Quest’arma è stata forgiata in
acciaio e mithril,
perché fosse più leggera, con un’anima
di diamante,
proprio come la sua superficie, uno strato liscio e levigato di
diamante,
sottile come il capello di un Elfo. Non necessita di essere affilata e
potrebbe
essere spezzata solo da un’arma simile, quali sono i miei
pugnali, anch’essi un
tempo proprietà di mia madre”.
“Possiedi
un tesoro inestimabile”,
intervenne Gimli. “Se gli Elfi sanno creare oggetti simili,
essi sono davvero
fabbri migliori di noi”.
“Allora
mi rivolgi ancora la parola”, disse
Helkamirië. “In ogni caso, soltanto i Noldor sono
capaci di tanto, non tutti
gli artigiani elfici. E per vostra fortuna, la maggior parte di essi si
trova
nelle Terre Imperiture”.
“Dama
Helkamirië, ci insegneresti?”, chiese
d’un tratto Pipino.
“Cosa
vuoi che ti insegni?”, chiese la
fanciulla.
“Io,
Merry e Sam vorremmo imparare a usare
una spada”, disse Pipino. “Abbiamo le nostre, ma se
non impariamo a brandirle
sono inutili. Te ne prego, aiutaci!”.
“Fatemi
vedere le vostre armi”, disse
Helkamirië. I tre giovani Hobbit mostrarono i pugnali che Tom
Bombadil, Iarwain
Ben-Adar, aveva scelto per loro dal tesoro dei Tumulilande.
“Lame
dell’Ovesturia! Avete delle ottime spade. E tu Frodo, non
possiedi nulla di
simile?”.
Frodo non
rispondeva, perciò intervenne
Sam. “Padron Frodo, aveva una spada dei Tumuli, ma
è andata distrutta al
Bruinen”, disse; “Però ha Pungolo, una
lama elfica che risplende d’azzurro
quando ci sono Orchi nei paraggi. Apparteneva al Padron Bilbo,
l’ha riportata
dal suo viaggio”.
“Non
vuoi mostrarmi Pungolo?”, chiese
Helkamirië.
Frodo la
guardò e lentamente, come se
avesse un peso immane, estrasse Pungolo dal fodero.
“Davvero
meravigliosa!”, esclamò la
fanciulla. Restituì le spade agli Hobbit e prese per mano
Pipino. “Andiamo,
miei giovani amici. Vi porterò in un posto dove potremo
allenarci insieme”.
Helkamirië si
allontanò con i Mezzuomini, lasciando gli ancora stupefatti
Uomini e un borbottante Gimli a chiedere spiegazioni a Legolas.
I
giorni passavano felici ma rapidi a Lorien
e si avvicinava il giorno della partenza. Helkamirië
aveva trascorso quasi tutte le
mattine ad aiutare i piccoli Hobbit con la spada, ma i pomeriggi erano
dedicati
a lunghe passeggiate in compagnia di Legolas. Un giorno, Galadriel la
chiamò a
sé, desiderando parlare sola con lei.
“Helkamirië,
non c’è molto tempo”, disse la
Dama. “La Compagnia sta per lasciare Lothlorien”.
“Così
presto?!”, esclamò Helkamirië.
“Speravo che ci fosse più tempo”.
“La
missione della Compagnia è molto
urgente”, disse Galadriel. “E’ stata
rimandata già troppo a lungo, ormai si
trovano qui da quasi un mese, anche se la loro impressione
sarà diversa. Ti
consiglio di congedarti da Legolas, ma non nutrire eccessive speranze:
sii
cosciente del fatto che potresti non rivederlo”.
“Quanto
tempo mi rimane?”, chiese
Helkamirië con le lacrime agli occhi.
“Non
molto”, disse Galadriel. “Questa sera
condurrò il Portatore allo Specchio, dopodiché
inizieremo i preparativi per la
partenza. Questo significa che ti rimane un giorno, al massimo due:
cerca di
trascorrerli con lui”.
Helkamirië si
congedò e lasciò il talan
dei Signori di Lorien, ritornando al campo dove allenava i piccoli
Hobbit;
aveva preso la sua decisione: quel giorno lo avrebbe trascorso con i
membri
della Compagnia che ormai erano diventati suoi amici, mentre
l’indomani lo
avrebbe dedicato a Legolas.
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Capitolo 19 *** 18 ***
Il
giorno seguente, Helkamirië e
Legolas lasciarono Caras Galadhon diretti nei
boschi. Il Sole splendeva alto nel cielo, come mai da quando la
Compagnia si
trovava a Lorien. Raggiunsero la radura preferita di
Helkamirië, che si
presentava come sempre meravigliosa e la fanciulla andò a
sedersi sotto lo
stesso albero che li aveva sostenuti quando avevano dormito
all’aperto. Legolas
si avvicinò e si sdraiò sul prato, poggiando la
testa sulle sue gambe, mentre
lei prese a carezzargli i capelli dorati, con un’espressione
triste sul bel
volto.
“Helkamirië
sei malinconica”, disse
Legolas.
“Non
dovrei?”, rispose Helkamirië. “Appena
i preparativi saranno ultimati, lascerai Lothlorien con la Compagnia, e
io non
posso sapere con certezza se tornerai da me. Perché hai
promesso di
accompagnare Frodo? Se non lo avessi fatto, ora potresti rimanere con
me”.
“Helkamirië”,
disse Legolas, senza cambiare
posizione. “Io non ho promesso nulla, è solo un
impegno personale; eppure tu
stessa mi hai detto che accetterai di diventare la mia sposa soltanto
dopo che
avrò compiuto la mia missione. Tu non vuoi davvero che io
rinunci”.
“Invece
lo voglio, Legolas”, disse la
fanciulla. “Non mi piace l’idea di mandarti nelle
grinfie del Nemico. Abbiamo
avuto tante difficoltà, e ora, che finalmente avevamo
raggiunto la serenità, tu
ti allontani da me. Ho paura di non rivederti più e che
questo momento si
trasformi nell’ultimo ricordo di te”.
Legolas si
sollevò e attirò Helkamirië
contro il suo petto, cullandola dolcemente.
“Questo
non sarà un addio”, disse; “Ma
soltanto un arrivederci. Io te lo prometto Helkamirië: non mi
accadrà nulla e
ti sposerò al mio ritorno. E finalmente vivremo la nostra
vita in un mondo
libero dal Male”.
L’Elfo
le mise due dita sotto il mento e le
sollevò il volto, chinandosi a posarle un tenero bacio sulle
labbra.
“Legolas”,
disse Helkamirië staccandosi da
lui. “Aspetterò con ansia il giorno in cui mi
riporterai a Dol Taur; ma tu non
attardarti troppo lontano da me”.
“Non
lo farò”, disse Legolas, affondando il
viso nei suoi capelli e inspirandone il profumo. “Ti ho mai
detto che adoro il
tuo profumo? Quando sarò lontano sperò che il
vento soffi attraverso Lothlorien
per portarlo fino a me. Ti amo Helkamirië”.
“Anche
io ti amo Legolas”, disse la
fanciulla stringendosi ancora di più a lui.
Legolas la
baciò ancora, incurante del
fatto che le sentinelle avrebbero potuto vederli; e infatti, molti
Galadhrim li
scorsero nel Bosco d’Oro, felici per la loro Valienna.
Legolas e
Helkamirië passarono il resto
della giornata insieme,
nei boschi di Lothlorien; entrambi tentavano di comportarsi in maniera
normale,
come se la separazione non fosse imminente, ma non potevano impedire a
un velo
di tristezza di offuscare la loro gioia. Helkamirië
sembrava serena, e rideva
allegramente ogni volta che scorgeva una pallida niphredil
o quando il Sole, penetrando tra le fronde, le sfiorava
il viso; in realtà il suo animo era lacerato dal dolore e
dal dubbio, ma non
voleva che Legolas portasse con sé il ricordo di lei in
lacrime. Dal canto suo,
l’Elfo aveva capito che quella di Helkamirië non era
spontaneità, ma sapeva per
quale motivo avesse quell’atteggiamento e le era grato di
volerlo rendere
felice.
“Legolas”,
esordì all’improvviso
Helkamirië. “Ti piacciono le niphredil?”.
“Le
trovo bellissime”, rispose Legolas.
“Immagino che anche a te piacciano”.
“Si,
è così”, disse la fanciulla.
“La
maggior parte di coloro che possono posare gli occhi su Lothlorien,
viene conquistata
dai dorati elanor; io ho sempre
trovato che le bianche niphredil
siano più timide, poiché accanto agli elanor
sembrano sparire, eppure proprio per questo motivo, quando vi si posano
gli
occhi si scopre quanto la loro delicatezza sia allo stesso tempo la
loro grande
bellezza”.
“Voglio
confessarti una cosa”, disse
Legolas, cingendole la vita e guardandola negli occhi. “Anche
io ho amato le niphredil dal primo
momento, quando
giunsi qui a Lorien; mi ricordano te, che hai dovuto vivere nascosta,
eppure
quando ti sei mostrata, hai catturato i cuori di coloro che ti hanno
veduta.
Per me, ognuna di loro è una piccola Helkamirië: la
stessa Lothlorien ti rende
omaggio, Valienna”.
Helkamirië
arrossì e chinò il capo, non
dando segno di volerlo rialzare, tanto che Legolas temette di averla
offesa; ma
quando si chinò a sua volta per guardarla, la fanciulla gli
regalò uno dei
sorrisi più belli che l’Elfo avesse visto su quel
viso meraviglioso.
“Grazie
Legolas”, disse; “non potevi farmi
complimento più gradito”. Helkamirië
guardò Legolas negli occhi e, nel farlo,
si rese conto che il Sole era ormai prossimo al tramonto. “Il
Sole sta
calando”, disse. “E tu dovrai trascorrere
l’ultima notte a Lorien con i tuoi
Compagni. Il nostro tempo è finito, almeno per
ora”.
Legolas non
disse nulla; guardandola
tristemente, le porse il braccio e si diresse alla città.
Si diressero
subito al talan di
Helkamirië, poiché la fanciulla preferiva separarsi
il
prima possibile, sperando in tal modo di rendere meno penoso il
distacco.
“Ti
auguro di trascorrere una notte serena,
Helkamirië”, disse Legolas posandole un bacio sulla
fronte.
“E’
impossibile; ma ci proverò”, disse
Helkamirië. “Buonanotte Legolas”. Per un
istante poggiò una candida, luminosa
mano sul viso dell’Elfo; poi sparì nel suo talan.
Si chiuse la porta alle spalle e si lasciò scivolare sul
pavimento; sentiva le
lacrime pungerle gli occhi, ma non poteva piangere ora che Legolas era
ancora
così vicino o se ne sarebbe accorto. Facendosi forza si
rialzò e raggiunse il
letto; sapeva che non sarebbe riuscita a dormire, ma sperava di
rilassarsi un
poco. L’ alba la sorprese ancora sveglia e immersa nei suoi
pensieri, così si
alzò e velocemente si lavò e cambiò
d’abito: aveva poco tempo per raggiungere
l’Egladil di Lorien dove
si trovava
il pontile e donde la Compagnia si sarebbe imbarcata. Nel momento in
cui stava
per uscire, sentì un lieve bussare alla porta, da cui
entrarono Rumil e
Orophin.
“Mia
signora”, disse Rumil. “I Signori ti
attendono. Desiderano che tu porga il tuo saluto ai loro
ospiti”.
“Lo
so, grazie Rumil”, disse Helkamirië.
“Sapete qual è il dono destinato al Principe
Legolas Thranduilion?”.
“Un
arco dei Galadhrim, mia signora”,
rispose Orophin. “Dama Galadriel ne ha fatto costruire uno
apposta per lui”.
Helkamirië
rimase spiazzata: stava per
prendere il suo arco per darlo a Legolas, tuttavia non disse nulla,
prese il
suo manto e seguì i due Elfi.
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Capitolo 20 *** 19 ***
Helkamirië,
scortata da Rumil e Orophin,
giunse all’Egladil di
Lorien quando
la Compagnia stava partecipando al banchetto di commiato con Celeborn e
Galadriel, perciò rimase in disparte; sembrava che nessuno
l’avesse notata, ma
Legolas doveva aver percepito la sua presenza, perché
appariva agitato e
continuava a guardarsi intorno. Helkamirië notò che
ai Compagni era stato
donato il manto di Lorien; fatto alquanto insolito, poiché
mai i Galadhrim ne
avevano fatto dono a stranieri: le avevano detto delle
perplessità dei
tessitori quando Galadriel aveva ordinato loro di tessere uno speciale
manto
per Valienna, che era pur originaria di un altro paese. Il suo era di
un colore
molto scuro, quasi nero, e vi erano intessute d’argento le
sette stelle della Valacirca; la
trama era così fitta che
riusciva a coprire la sua luce, consentendole di viaggiare sicura, ed
era
stato, questo, un dono di Celeborn e Galadriel per la sua guarigione.
Helkamirië attese che il
banchetto fosse terminato e si avvicinò a loro
nel momento in cui i Signori stavano consegnando i doni che avevano
preparato.
Legolas rimase sorpreso nel vedere che Dama Galadriel gli stava
consegnando un
arco, perché credeva che lei fosse a conoscenza delle
intenzioni di Helkamirië.
Quest’ultima stava salutando i Compagni seguendo la Dama: di
fronte a Legolas
levò il manto dal capo, mostrando un sorriso più
sereno possibile.
“Dama
Galadriel mi ha preceduto”, disse,
slacciandosi qualcosa dal collo. “E’ il mio rubino:
desidero che lo porti con
te”.
“No,
Helkamirië, non posso prenderlo”,
disse Legolas. “Questa collana è troppo preziosa
per te. Se la perdessi? O se
io perissi nella missione e cadesse in mano al Nemico?”.
Helkamirië
pose l’indice sulle labbra di
Legolas, zittendolo. “Tu non lo perderai, ne sono
certa”, disse. “E se dovesse
verificarsi la seconda ipotesi… non mi servirebbe
più. Tienilo con te, vicino
al cuore, come se fosse il mio. Buona fortuna e che Elbereth vegli su
di te”.
Così
dicendo, Helkamirië prese il viso di
Legolas tra le mani e lo baciò sulla fronte; non sopportava
di essere così
distaccata, ma il fatto di essere in pubblico e il rango di Legolas,
imponevano
di tenere un certo contegno. Rivolgendo un ultimo sguardo
all’Elfo, riprese a
salutare gli ospiti. Dopo Legolas, incontrò un timido e
spaurito Sam.
“Sam”,
disse al piccolo Hobbit. “Io conto
su di te. Non lasciare mai il tuo padrone, ma soprattutto aiutalo; non
intendo
fisicamente, so che quello lo fai già. Sostienilo e non
fargli perdere la
speranza. Ho grande fiducia in te e sono certa che non mi
deluderai”.
Sorrise al
Mezzuomo, rialzandosi e incrociò
lo sguardo di Gimli.
“Messer
Nano”, disse. “Non ti ho
ringraziato per la nostra sfida: era molto tempo che non mi divertivo
tanto,
sei un avversario formidabile. Aspetto con ansia il giorno in cui
potremo
batterci ancora”.
L’ultimo
rimasto era Frodo: Helkamirië si
abbassò per guardarlo negli occhi, come faceva sempre quando
doveva dirgli
qualcosa di importante.
“Non
ho molto da dirti”, disse. “Dama
Galadriel ti avrà già avvisato dei pericoli cui
vai incontro, e meglio di me.
Affronta il tuo viaggio con un poco di serenità e ne trarrai
vantaggio; e
quando la Fiala di Galadriel mostrerà la sua luce, rivolgi
un piccolo pensiero
anche a Dama Helkamirië. Che la luce di Elbereth splenda su di
te, Frodo
Baggins”.
Quando ebbero
terminato i saluti, i
Compagni si sistemarono nelle barche preparate per loro e discesero il
corso
del Celebrant fino all’Anduin. Helkamirië rimase a
guardare le barche finchè
esse non svanirono alla vista, dopodiché rientrò
di corsa a Caras Galadhon.
I Compagni
avevano il cuore pesante e gli
occhi lucidi di lacrime: nessuno di loro avrebbe mai immaginato quale
dolore
sarebbe derivato dal lasciare Lorien. Gimli, seduto nella barca con
Legolas,
singhiozzava, lacerato dall’aver dovuto lasciare Dama
Galadriel per la quale
provava un’ardente venerazione, come mai era successo a un
Nano nei confronti
di un Elfo. Invano Legolas tentò di pronunciare parole di
conforto, perché
Gimli continuava a ripetere che quella ferita si sarebbe rimarginata
soltanto
qualora avesse rivisto la Bianca Dama di Lothlorien. L’Elfo
lo comprendeva
bene, poiché la sua partenza era stata la più
amara, avendo egli lasciato
indietro non solo la luce del Reame Beato, ma anche il calore
dell’amore di
Helkamirië.
Ben presto si
ritrovarono sul Grande Fiume
e dopo qualche giorno di navigazione, durante i quali Frodo ebbe la
conferma che
Gollum li stava seguendo, furono attaccati nei pressi di Sarn Gebir.
Dalla riva
orientale, gli Orchi scoccarono uno sciame di frecce che fischiarono
sopra le
loro teste, anche se, probabilmente grazie alle barche e ai manti
elfici, la
mira delle orride creature non fu mai precisa. Faticosamente,
guadagnarono la
sponda occidentale e fu allora che scorsero un’ombra volare
verso di loro:
Legolas tese il maestoso arco di Galadriel e abbatté la
creatura, evitando
così, per quella notte, altri attacchi da parte degli Orchi,
scoraggiati.
L’Elfo ammirò ancora l’arma e il suo
pensiero fuggì inevitabilmente nei boschi
di Lothlorien dove si trovava Helkamirië. Avrebbe tanto voluto
che la luce
della sua amata fosse stata con lui nel momento in cui aveva scorto
l’orribile
ombra, ma allo stesso tempo era felice che lei si trovasse al sicuro e
non a
fronteggiare i servi del Nemico.
Trascorse
ancora qualche giorno di viaggio,
relativamente tranquillo. La Compagnia superò gli Argonath,
immagini eterne di
Isildur e Anarion scolpite nella viva roccia a guardia del regno di
Gondor e
giunse a Parth Galen, dove si accampò. Gli avvenimenti quel
giorno si
susseguirono tragicamente: Boromir tentò di togliere
l’anello a Frodo, il quale
fuggì verso Amon Hen; furono attaccati dagli Uruk-hai di
Isengard e il Capitano
di Gondor perse la vita nel tentativo di difendere Merry e Pipino, i
quali
infine furono catturati e portati via; Frodo, invisibile grazie
all’Anello,
prese una barca e tentò di allontanarsi, volendo continuare
il viaggio da solo,
ma non aveva fatto i conti con Samvise Gamgee, il quale lo
seguì e lo costrinse
a portarlo con sé, così entrambi si allontanarono
verso gli Emyn Muil.
Quando Aragorn
comprese ciò che era
accaduto, si trovò a dover compiere una scelta difficile;
decise che egli,
Legolas e Gimli avrebbero inseguito gli Orchi per salvare Merry e
Pipino,
lasciando che Frodo e Sam terminassero da soli la missione,
comprendendo che
più nulla avrebbe potuto fare per aiutarli. Così,
dopo aver composto il corpo
di Boromir in una delle barche elfiche, l’affidarono al
Grande Fiume e si
lanciarono alla caccia.
L’inseguimento
li portò nelle verdi pianure
di Rohan, dove incontrarono Eomer, Terzo Maresciallo del Mark, il quale
con i
suoi Rohirrim aveva distrutto gli Uruk-hai che i Tre Cacciatori
cercavano. Egli
diede loro in prestito due cavalli, Arod e Hasufel perché
raggiungessero il
luogo in cui era avvenuta la carneficina. Giunti sul posto, scoprirono
che i
giovani Hobbit erano sfuggiti al massacro e si erano rifugiati nella
Foresta di
Fangorn e vi si inoltrarono, alla ricerca di altre tracce, ma
incontrarono,
invece, qualcun altro: Gandalf, non più il Grigio,
bensì Gandalf il Bianco.
Questi raccontò brevemente ciò che era accaduto a
Moria e poi li condusse seco
a Edoras, dove liberò Re Theoden dall’influsso
malvagio di Saruman. Prevedendo
un attacco di Isengard, l’intera popolazione di Rohan
trovò rifugio al Fosso di
Helm, l’immensa fortezza ai piedi delle montagne, dove
Saruman scatenò il suo
attacco, respinto dalla forza e dal valore dei difensori. Gli Orchi
superstiti
fuggirono, inoltrandosi nel fitto bosco che era misteriosamente apparso
davanti
alla fortezza; ma quegli alberi erano Ucorni provenienti dal cuore di
Fangorn
ed essi nutrivano un profondo odio per gli Orchi, i quali sparirono
sotto le
fronde degli alberi per non ritornare. Il giorno seguente, Gandalf con
i suoi
tre compagni, Theoden e la sua scorta, partì diretto a
Isengard, desiderando
parlare con Saruman.
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Capitolo 21 *** 20 ***
Dopo la partenza di
Legolas, Helkamirië si
recava tutti i giorni alla radura vicino Caras Galadhon, trascorrendovi
spesso
anche la notte. Così fece il settimo giorno dalla loro
separazione;
improvvisamente, dopo il calare della sera, pur trovandosi a Lorien e
al lume
di innumerevoli stelle, sentì un’ombra
attanagliarle il cuore e le sembrò quasi
che tutto intorno a lei divenisse più buio. Quando la
sgradevole sensazione
passò, le lasciò addosso un senso di paura, ma
non per sé stessa; avvertiva,
crescente, una insopportabile preoccupazione per Legolas.
Helkamirië
ebbe solo un attimo di
esitazione, dopodiché imboccò di corsa il
sentiero che portava a Caras
Galadhon; raggiunto il suo talan,
cercò nell’armadio la sua sacca e gli abiti da
viaggio. In un cassetto, trovò
la fiaschetta di miruvor che Elrond
le aveva donato quando aveva lasciato Imladris, e la mise in una tasca
interna
della casacca. Agganciò la sua amata spada alla cintura e
nascose il lungo
pugnale nello stivale destro; i doppi pugnali trovarono posto nel loro
fodero,
agganciato alle spalle insieme alla faretra. Nascose tutto coprendosi
con il
suo manto e afferrò l’arco e la sacca; lo sguardo
le cadde sul suo riflesso nel
grande specchio e per un attimo ripensò alla sua decisione:
cosa avrebbe detto
Legolas quando l’avesse vista? E i Signori di Lorien? Nessuno
di loro avrebbe
approvato, ma non se la sentiva di ignorare la preoccupazione per
Legolas e,
stringendo forte l’impugnatura dell’arco,
uscì, dirigendosi ai magazzini che
contenevano le vettovaglie per le sentinelle dei confini. Come era
prevedibile,
l’edificio non era strettamente sorvegliato, trovandosi nel
cuore della città,
così non le fu difficile entrare. Helkamirië sapeva
già cosa cercare: il lembas,
soprattutto, e poche altre
cibarie che si conservassero per la durata del suo viaggio; nella
stanza vi
erano anche diversi otri, per sua fortuna e uno di essi era
già stato riempito.
Lo afferrò veloce e, silenziosa come era entrata,
uscì dal magazzino, giungendo
ben presto alle scuderie, dove alloggiava Carnemirië; il
destriero la seguì
docile e con passo talmente leggero che non era possibile udirlo.
Helkamirië
condusse il suo cavallo dove
sapeva di poter guadare il fiume Celebrant, trovandosi così
nella parte
meridionale del Bosco d’Oro. Quando fu sufficientemente
lontana dalla città,
montò a cavallo e spronò Carnemirië al
galoppo; sperava che il soffice passo
del suo destriero le consentisse di passare inosservata, ma se anche le
sentinelle l’avessero vista, non avrebbero mai potuto a piedi
raggiungere la
velocità di Carnemirië.
All’alba,
Helkamirië aveva già varcato i
confini di Lothlorien, ritrovandosi nelle terre brulle e desolate che separavano il Bosco
d’Oro dalla Foresta di
Fangorn. Quest’ultima era la sua meta e la fanciulla sapeva
quale strada
intraprendere. Faceva avanzare Carnemirië al passo, potendo
percorrere in tal
modo, molte più leghe; era a conoscenza del fatto che il suo
cavallo era
praticamente instancabile, ma il terreno era molto accidentato e non
voleva
rischiare che si ferisse. Inoltre l’andatura moderata le
consentiva di
osservare con attenzione il paesaggio circostante e scorgere eventuali
tracce
di Orchi, onde evitare, se possibile, spiacevoli incontri. Pur se
effettuava
frequenti soste per controllare gli zoccoli del cavallo o riposarsi,
nel giro
di tre giorni giunse in vista degli alberi di Fangorn; il suo viaggio,
però,
era appena all’inizio, perché non poteva sapere
dove si trovasse in quel
momento l’antico Onod e avrebbe dovuto affrontare
l’ostilità degli alberi. Helkamirië
fermò il cavallo, restando per un po’ a
riflettere: aveva conosciuto un altro
Onod nella sua precedente visita, ma sapeva che questi doveva trovarsi
a Sud,
oltre l’Entalluvio. Infine prese la sua decisione: avrebbe
viaggiato sempre
verso Sud, tenendosi il più vicino possibile ai confini
orientali della
foresta, evitando così di avvicinarsi agli alberi
più maldisposti e sperando di
incontrare presto Fangorn o Bregalad.
Viaggiò
per altri due giorni, fermandosi il
meno possibile e cercando di rimanere sempre in vista dei confini.
L’alba
seguente al suo arrivo in vista di Fangorn aveva guadato il Limterso e
il
secondo giorno, essendo già pomeriggio inoltrato, raggiunse
l’Entalluvio.
Ricordava ancora che vicino alla sua sorgente si trovava una delle case
di
Fangorn e sperava vivamente che l’Onod fosse vicino,
così si liberò del manto,
sperando che la sua luce ne attirasse l’attenzione.
Helkamirië correva un grave
rischio inoltrandosi sola nella foresta, ma doveva assolutamente
incontrare
Fangorn o Bregalad, perciò spronò
Carnemirië al trotto, costeggiando
l’Entalluvio verso Ovest e quando questi non fu che un
ruscelletto, lo guadò e
rimase ferma ad aspettare: il Sole aveva appena iniziato la sua discesa
verso
il riposo notturno, quindi l’Onod non doveva ancora essere
giunto. La fortuna
sembrò arriderle quel giorno, perché dopo poco
tempo sentì avvicinarsi i grandi
passi di Fangorn. Avanzò al passo in quella direzione e ben
presto si trovò
davanti l’antico Onod; quale non fu la sua sorpresa quando
vide che portava
sulle spalle Merry e Pipino! Smontò da cavallo e si mise a
correre verso di
loro.
“Merry!
Pipino!”, chiamò.
“Dama
Helkamirië!”, esclamò Merry.
“Avanti
Barbalbero, mettici giù!”.
Quando furono a
terra, anche i piccoli
Hobbit presero a correre e si precipitarono fra le braccia di
Helkamirië che si
era chinata per accoglierli.
“Miei
cari Hobbit!”, disse la fanciulla.
“Ero venuta a cercare Fangorn, non mi aspettavo di incontrare
voi! Ditemi,
perché non siete con gli altri? Stanno bene?”.
“Beh…
si, o almeno crediamo”, disse Merry.
“Cosa
vuol dire ‘credete’?”, chiese
Helkamirië.
“Ti
spiegheremo tutto più tardi”, disse
Pipino. “Anche Barbalbero vuole sapere un po’ di
cose. Lei può seguirci,
vero?”.
“Ha
hmm, certo!”, disse Barbalbero. “Io
conosco da molti dei vostri anni questa figlia dei Priminati. Ha
percorso molti
ent-passi con me, nella mia foresta, anche se allora non portava con
sé la luce
delle stelle, hom”.
“Ti
ringrazio, Fangorn”, disse Helkamirië,
carezzando il muso di Carnemirië che li aveva raggiunti e le
strofinava il naso
sul collo. Fangorn riprese i due Hobbit e la fanciulla lo
seguì fino alla sua
Ent-casa, conducendo il cavallo.
Una volta
all’interno, Fangorn offrì loro
dell’acqua, o almeno, la bevanda nelle loro tazze ne aveva
l’aspetto, pur avendo
allo stesso tempo una qualche virtù nascosta che rinvigoriva
sommamente. Ben
presto, i giovani Hobbit cominciarono il loro racconto, evitando di
parlare
dell’Anello e procedendo disordinatamente, senza seguire il
filo degli
avvenimenti. Quando raccontarono della caduta di Gandalf a Moria,
Helkamirië
guardò Fangorn negli occhi e lo sguardo che vi colse le fece
sorgere un
sospetto, tuttavia non proferì parola, continuando ad
ascoltare. Infine, erano
giunti alla parte che più le interessava: ciò che
era successo dopo la partenza
da Lorien. Apprendendo della morte di Boromir, Helkamirië
chinò il capo,
lasciando che qualche lacrima le scorresse sulle guance.
“Sono
costernata da tale notizia”, disse.
“Boromir era un nobile Uomo e un Capitano coraggioso, e la
sua gente lo
piangerà a lungo. Ma ditemi: cosa accadde il settimo giorno
dalla vostra
partenza? O dovrei dire la settima notte?”.
“La
settima?”, chiese Merry, apparentemente
confuso. “Ma certo! Eravamo vicini a Sarn Gebir e fummo
attaccati dagli Orchi e
quando si fece buio Legolas abbatté quell’orrenda
ombra volante. Non so cosa
fosse, ma mi empì di terrore il solo scorgerla!”.
“Già,
era davvero terribile!”, disse
Pipino. “Ma era sicuramente una delle creature del Nemico: ti
ricordi come fu
accolta dagli Orchi appostati sulla sponda orientale? E la loro rabbia
quando
Legolas la abbatté?”.
“Qualunque
cosa fosse”, interloquì
Helkamirië, “io ne percepii la presenza fino a
Lorien,anche se non so come
questo sia possibile. È stata il motivo che mi ha spinto a
partire”. In breve
raccontò loro le sue sensazioni, la decisione tormentata e
le sue ‘malefatte’ a
Lorien. “La mia intenzione era di giungere sin qui per sapere
da Fangorn se
aveva vostre notizie”.
“E
invece hai trovato noi!”, esclamò
Pipino. “Però, come credi che avrebbe potuto
Barbalbero avere nostre notizie?
Lui non sapeva nulla di noi, vero Barbalbero?”.
“Hum
ho, è vero Messer Peregrino”, disse
l’Onod. “Io non mi interesso delle vicende esterne
dei mortali fino a che non
danneggiano la mia foresta. Ma adesso è giunta
l’ora di farla pagare a
Saruman!”. Fangorn cominciò una violenta accusa
nei confronti dello Stregone e,
tra una maledizione e l’altra, riuscì a rispondere
alle domande dei giovani
Hobbit, che poco o nulla sapevano di Saruman e di Isengard.
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Capitolo 22 *** 21 ***
Il mattino successivo,
Fangorn,
accompagnato dai suoi ospiti, percorse la foresta diretto a Tondovallo,
nome
dato dagli Uomini al luogo dove quel giorno si sarebbe svolta
l’Entaconsulta;
lungo il cammino lanciava come dei richiami, ai quali ne rispondevano
altri
simili. Giunti a destinazione, videro che diversi Ent si trovavano
già sul
posto e molti altri stavano arrivando da varie direzioni. Barbalbero
fece
scendere gli Hobbit dalle sue spalle e questi si misero in disparte
insieme a
Helkamirië, mentre Carnemirië pascolava tranquillo
nella conca. Merry e Pipino
si chiedevano come fosse Isengard e cosa avrebbero potuto fare gli Ent
per
distruggerla, mentre Helkamirië rimaneva zitta, immersa nei
suoi pensieri. Era
partita da Lorien con poche certezze sulla sorte di Legolas e
l’incontro con
gli Hobbit le aveva sgretolate, lasciando il posto a nuove domande e a
una
maggiore preoccupazione.
Dopo una lunga
attesa, Fangorn ritornò da
loro con un altro Onod, apparentemente più giovane e da lui
descritto come ‘frettoloso’;
questi si presentò agli Hobbit come Sveltolampo e
Helkamirië sorrise perché si
trattava dello stesso Bregalad che stava cercando.
“Ha
hmm, Dama Helkamirië”, le disse l’Ent.
“E’ un piacere rivedere una così bella
figlia dei Priminati in questo luogo.
Fangorn ti ha sempre trovata cortese e amante degli alberi, e si
chiedeva
quando saresti tornata”.
“Ti
ringrazio Bregalad”, disse sorridendo
Helkamirië. “In realtà sono venuta a
cercare te”.
Sveltolampo
prese i giovani Hobbit
caricandoseli in spalla, mentre Helkamirië lo seguiva in
groppa a Carnemirië.
L’Onod volle sapere perché lo cercasse e la
fanciulla gli spiegò che sperava
avesse ricevuto notizie dal mondo esterno tramite gli uccelli che amava
tanto,
ma che la situazione attuale l’aveva convinta che loro non
avessero le
informazioni che cercava. Quella notte la trascorsero nella Ent-casa di
Sveltolampo e in sua compagnia passarono anche il giorno seguente; il
pomeriggio del terzo giorno raggiunsero la colonna di Ent che marciava
in
guerra contro Isengard. Li seguivano molti Ucorni, e molti altri si
diressero
altrove a sbrigare una faccenda con gli Orchi. Giunti alla meta,
Helkamirië
salì sulle spalle di Bregalad, armata del suo arco, e fece
allontanare
Carnemirië con la raccomandazione di non inoltrarsi nel fitto
degli alberi. Ben
presto, avuta finalmente la meglio sui pochi soldati di guardia, ebbero
ragione
anche di Isengard, terminando l’opera con
l’inondazione dell’Isen. Prima che
avesse luogo, ricevettero inaspettata la visita di Mithrandir, con
sommo
stupore dei giovani Hobbit, ma non di Helkamirië che vedeva
infine i suoi
sospetti prendere corpo. La stessa notte della visita di Gandalf,
l’Isen si
riversò nel cerchio di pietre e fu nuovamente fermato dagli
Ent. Due giorni
dopo, di prima mattina, Vermilinguo giunse a Isengard e Barbalbero
informò gli
Hobbit e Helkamirië che sarebbe arrivata gente dal Sud.
Quando Gandalf
e Theoden con la sua scorta
giunsero ai cancelli di Isengard si trovarono dinnanzi uno spettacolo
insolito.
Due piccole figure ammantate di grigio stavano su un cumulo di macerie,
l’una
sdraiata, l’altra intenta a emettere sbuffi di fumo dalla
bocca e dal naso;
accanto a loro, seduta ma vigile, un’alta figura avvolta in
un manto scuro
ricambiava il loro sguardo indagatore: il cappuccio ricadeva sulle
spalle,
rivelando così l’appartenenza alla stirpe elfica
nei tratti eterei del volto.
Dopo un veloce scambio di battute tra Re Theoden e gli Hobbit, il
Signore del
Mark con la sua scorta e Gandalf, si recò a incontrare
Barbalbero mentre
Aragorn, Legolas e Gimli si fermarono ai cancelli.
Soltanto allora
Helkamirië si precipitò dal
suo Legolas che intanto era smontato da cavallo; si rifugiò
fra le sue braccia,
ridendo felice e incurante dell’incredulità
dell’Elfo.
“Helkamirië!”,
esclamò Legolas. “Perché ti
trovi qui, lirimaer?”.
“E’
una lunga storia, Legolas”, disse
Helkamirië. “E vorrete riposare. Rimandiamo a dopo
le spiegazioni, vuoi?”.
Legolas
annuì con un cenno del capo e prese
la mano di Helkamirië seguendo lei e gli Hobbit in un
magazzino dove poterono
pranzare. Finito il pasto, ritornarono all’aperto e
l’Elfo si sdraiò sull’erba,
subito imitato dalla fanciulla che si accoccolò contro il
suo petto; i due
Hobbit, Aragorn e Gimli si dedicarono, invece, alla foglia-pipa che
Merry e Pipino
avevano scovato nello stesso magazzino delle vivande. Così
sistemati,
cominciarono le domande e le risposte circa gli avvenimenti
susseguitisi dal
fatidico giorno a Parth Galen. Quando i Compagni ebbero terminato, fu
il
momento di spiegarsi anche per Helkamirië.
“Dimmi,
Helkamirië”, disse Legolas;
“Perché
mai ti trovi qui, così lontano da Lorien?”.
“Pochi
giorni dopo la vostra partenza”,
disse Helkamirië; “Mi trovavo nella radura poco
fuori da Caras Galadhon,
quando, al calar della sera, avvertii un’ombra nel cuore ed
ebbi quasi la
sensazione che il mondo intorno a me divenisse più buio; non
appena essa svanì,
mi rimase addosso una crescente paura per le tue sorti, così
decisi di lasciare
Lorien”.
“Non
avresti mai potuto raggiungerci”,
disse Aragorn. “Il nostro vantaggio era troppo e le barche
corrono veloci sul
Grande Fiume: anche se avessi spronato al massimo il tuo cavallo e
avessi
ridotto al minimo le soste, ci sarebbe stata comunque una distanza
eccessiva
fra noi. Saresti andata fino a Mordor?”.
“No,
naturalmente”, disse la fanciulla; “Io
non sono partita per seguirvi; il mio obiettivo era proprio la foresta
di
Fangorn. Ero già stata in questi luoghi e avevo conosciuto
due Enyd, Bregalad e
lo stesso Fangorn; Bregalad, in particolare, ama gli uccelli e speravo
che
tramite essi avesse avuto vostre notizie. Non immaginavo di trovarmi
nel bel
mezzo di una battaglia, né tantomeno speravo di incontrarvi
qui”.
“Beh,
il tuo talento di guerriera sarà
stato sprecato”, disse Gimli. “Avresti dovuto
trovarti con noi al Fosso di
Helm, di certo avresti avuto di che divertirti! Isengard era svuotata e
io, con
il tuo adorato Principino, ho disputato un’interessante gara,
superandolo
infine di un solo punto”.
“Davvero
Gimli?”, intervenne Pipino;
“Allora Legolas dovrà darsi da fare per
recuperare, che ne dite?”.
“Pipino!”,
esclamò Merry. “Non dire
sciocchezze davanti a Dama Helkamirië, sai che a lei non
possono fare piacere
queste chiacchiere su battaglie e Legolas”.
“Niente
affatto, Merry!”, intervenne
Helkamirië. “Pipino ha ragione, Legolas
dovrà vincere la prossima sfida, o mi
vedrete arrabbiata sul serio!”. Helkamirië si
alzò, dirigendosi verso il bosco
che ora so trovava innanzi a Isengard; Legolas e i suoi Compagni la
fissarono
esterrefatti e ansiosi, quando improvvisamente dal fitto degli alberi
emerse un
cavallo fulvo, che la fanciulla condusse sul prato dove si trovavano
loro.
“Questo
è il tuo cavallo?”, chiese Aragorn.
“Si”,
rispose Helkamirië. “Questo è
Carnemirië, il mio amato destriero”.
“E’
un animale stupendo”, disse il Ramingo.
“Mi ricorda il cavallo di Gandalf, Ombromanto”.
“Ombromanto
è l’ultimo dei mearas”,
rispose la fanciulla; “Lui e
Carnemirië sono molto affini, ma nemmeno lui potrebbe
competere con il mio
cavallo, perché egli proviene dalle Terre Imperiture ed
è un cavallo elfico”.
Carnemirië le strofinò il naso contro il collo,
come faceva sempre per
dimostrarle affetto o gratitudine. “Legolas, devo chiederti
una cosa”, disse
Helkamirië. “Gli Hobbit mi hanno detto cosa
è accaduto a Sarn Gebir, la notte in
cui ho avvertito l’ombra. Cosa credi che fosse? E
perché secondo te, sono
riuscita a sentirla pur trovandomi nel cuore di Lorien?”.
“Purtroppo
io non so risponderti”, disse
Legolas. “Forse Mithrandir conosce le risposte, gli parleremo
non appena potrà
dedicarci un momento. Non temere, lirimaer,
qualunque cosa fosse quella creatura non ti farà del male:
se si tratta di ciò
che penso, non sei tu il suo obiettivo ed egli è ormai
lontano da noi”. Così
dicendo, Legolas accarezzò il viso di Helkamirië
che posò la propria mano sulla
sua, trattenendola e indirizzando a Legolas uno sguardo pieno
d’amore.
Merry
si alzò e invitò gli altri a entrare
a Isengard.
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Capitolo 23 *** 22 ***
Entrarono in quella che
un tempo era la
fortezza di Sauron, camminando lentamente perché dopo la
distruzione operata
dagli Ent, il percorso si presentava infido e fonte di pericoli e ben
presto
incontrarono Gandalf e Theoden con la sua scorta; Gandalf
manifestò il
desiderio di parlare a Saruman e si avvicinò a Orthanc,
salendo la scalinata
fino a giungere alla porta della torre. Con lui erano Theoden, Legolas
e Gimli.
Il Re di Rohan chiedeva giustizia, mentre l’Elfo e il Nano vi
si trovavano in
qualità di rappresentanti delle rispettive razze. La
discussione fu lunga e in
più momenti l’incantesimo della voce di Saruman
sembrò fargli avere la meglio;
in quel frangente, Helkamirië ringraziò in cuor suo
i Signori di Lorien, i
quali non le avevano consentito di far visita a Saruman il Bianco;
probabilmente, la sua voce l’avrebbe condizionata fino a
farla volgere al Male,
rendendola nemica della Terra di Mezzo e del suo amato Legolas. Infine,
Gandalf
ribadì il suo potere e la sua autorità, spezzando
l’incantesimo di Saruman e
frantumando il suo bastone; prima di rientrare a Orthanc,
però, lo Stregone
aveva scoccato un’occhiata a Helkamirië, la quale
incautamente aveva lasciato
che il cappuccio del manto le ricadesse sulle spalle. Questo
atteggiamento non
era sfuggito a Gandalf, soprattutto perché lo sguardo di
Saruman era quello di
che vede un obiettivo ormai inutile a portata di mano,
perciò si ripromise di
parlare a Helkamirië. Subito dopo aver affidato Saruman alla
sorveglianza degli
Ent, salutarono Barbalbero e partirono, diretti a Edoras.
Helkamirië aveva
deciso di seguirli, nonostante le proteste di Legolas. A sera decisero
di
accamparsi nei pressi di Dol Baran, dove stabilirono un accampamento;
mentre
cenavano, Helkamirië si avvicinò a Gandalf, per
porgli quelle domande che
continuavano ad assillarla.
“Mithrandir”,
disse, “so che gravi pensieri
occupano la tua mente, ma potresti dedicarmi qualche
momento?”.
“Certo,
Valienna”, disse Gandalf
sorridendo. “Cosa posso fare per te, mia signora?”.
“Darmi
delle risposte”, disse Helkamirië.
“Vorrei che tu mi dicessi cos’era la creatura che
Legolas abbatté a Sarn Gebir e
come sia possibile che io ne abbia avvertito
l’oscurità fino a Lorien,
custodita dal potere di Galadriel”.
“Non
posso dirti con certezza cosa fosse la
creatura”, disse lo Stregone. “Anche se ho motivo
di credere che si trattasse
di uno Spettro dell’Anello. Ritengo che tu ne abbia avvertito
la tenebra per la
grande empatia che esiste tra te e Legolas e perciò i suoi
sentimenti in quel
momento sono diventati i tuoi”.
Helkamirië
sembrò soddisfatta delle
risposte ricevute, ma allo stesso tempo rimuginava su qualcosa, che
però non
esprimeva, così Gandalf la invitò a parlare se
aveva altro da chiedere.
“E’
una cosa che risale a molto tempo fa”,
disse la fanciulla. “Vivevo ancora a Bosco Atro, e conducevo
una vita
solitaria, cacciando i nemici di Thranduil. Un giorno, sentii come un
richiamo
che mi portava verso sud; e pur vedendo che mi stavo avvicinando a Dol
Guldur,
non riuscivo a tornare sui miei passi. Soltanto quando fui circondata e
attaccata da una pattuglia di Orchi, fuggi verso il mio regno,
salvandomi la
vita. Io non sono capace, neppure dopo tutto questo tempo, di spiegare
cosa mi
abbia spinto laggiù, ne conosco la natura di quel
richiamo”.
Gandalf non
rispose subito, soppesando le
parole di Helkamirië. “Se dovesse capitare ancora,
combattilo”, disse, e si
allontanò, sparendo fra i soldati di Rohan. Incontrando
Legolas lo trascinò in
disparte, fuori dal cerchio di luce, con aria grave.
“Legolas,
devo parlarti di Valienna”,
disse.
“Helkamirië?!”,
disse Legolas. “C’è
qualcosa che non va?”.
“Purtroppo
si”, disse Gandalf. “Immagino
che tu sappia già che fu attirata verso Dol Guldur,
perciò andrò subito al
punto. Credo che il Nemico nutra interesse per lei, o altrimenti non
saprei
spiegarti perché fu chiamata verso la fortezza; inoltre,
prima di sparire, Saruman
l’ha guardata in modo strano: probabilmente, anche se non
è il suo interesse
principale, il Signore di Mordor aveva chiesto al suo tirapiedi di
tenere gli
occhi aperti e impossessarsi di lei se possibile”.
“Perché
mai dovrebbe essere interessato a
lei?”, disse preoccupato Legolas.
“Helkamirië non ha nessun potere che egli
potrebbe volgere al Male, emana soltanto una luce stellare che serve di
conforto e consolazione per noi che ce ne gioviamo”.
“E ti
sembra nulla?”, disse Gandalf. “La
paura è una delle armi più potenti di cui dispone
il Nemico, pensa soltanto ai
Nove. La luce di Valienna ha il potere di allontanare il terrore che
essi
suscitano e se ella fosse volta al Male, diverrebbe pura
oscurità, generando
disperazione e tormento”.
“Cosa
devo fare?”, disse l’Elfo con
un’espressione di angoscia dipinta sul bel viso.
“Come posso proteggerla?”.
“Puoi
rimandarla a Lorien”, disse lo
Stregone. “Ma Valienna ha uno spirito forte e guerriero, e
sono convinto che
rifiuterà di tornare indietro. Si è trovata, suo
malgrado, coinvolta in una
guerra e ora desidera parteciparvi, portando la luce di Elbereth ai
nostri
soldati e combattendo, se necessario. La mia opinione è che
ella debba restare,
se lo desidera, e combattere il richiamo dell’Ombra: dopo,
sarà più forte e le
sue virtù saranno maggiori”.
Legolas
chinò il capo, stanco. “Hai posto
un grave peso sulle mie spalle”, disse. “Farla
rimanere significa prendermi una
grossa responsabilità, perché in quel caso la sua
vita dipenderebbe da me;
rimandarla indietro, d’altra parte, mi farebbe mettere contro
di lei, senza
contare il fatto che Helkamirië non accetterebbe
mai”.
“La
sua vita non dipende da te”, disse
Gandalf. “Perché sento che le vostre strade si
divideranno prima della fine di
questa guerra”.
“Lo
so, Mithrandir”, disse Legolas. “Anche
io lo sento nel cuore. Tuttavia, pur se non potrò
proteggerla standole accanto,
porterei il peso della sua morte, perché se non fosse stato
per l’amore che
nutre verso di me non sarebbe diventata una guerriera, né
avrebbe lasciato
Lothlorien”.
“Questa
determinazione la rende speciale”,
disse lo Stregone, allontanandosi e lasciando Legolas a rimuginare su
ciò che
gli aveva appena detto.
Dopo la
conversazione con Mithrandir,
Legolas si era disteso sul terreno per riposare, avvolgendosi nel suo
manto, ed
Helkamirië lo aveva raggiunto, sdraiandosi anch’ella
e stringendosi a lui,
cadendo ben presto in un sonno profondo.
L’accampamento
fu svegliato di soprassalto
dalle urla di Peregrino Tuc, il quale aveva osato guardare nel Palantir
di
Orthanc, caduto fortuitamente nelle mani di Gandalf; questi
consegnò la Pietra
ad Aragorn e decise di partire per Minas Tirith accompagnato da Pipino
per
tenerlo lontano dal Palantir. Mentre comunicava questa sua decisione,
un’ombra
alata sorvolò l’accampamento, empiendo tutti di
terrore; per un brevissimo
istante, meno di un battito di ciglia, sembrò fermarsi sopra
Helkamirië, la
quale la fissava spaventata e affascinata al contempo, riscuotendosi
quando
Legolas la afferrò e la strinse, nascondendole il viso
contro il proprio petto.
Sentiva l’impulso di seguire il Nazgûl, ma
ricordandosi delle parole di
Gandalf, resistette, stringendosi ancora di più a Legolas.
“Hai
resistito, Valienna”, disse Gandalf.
“Sei stata forte mia signora, la prossima volta non
sarà così facile per loro
esercitare il loro influsso e attirarti”.
Gandalf
salì in groppa a Ombromanto e
insieme a Pipino si diresse verso Minas Tirith, sparendo ben presto
nella
notte, e Theoden, preoccupato dalla comparsa dell’ombra
alata, decise di partire
subito. Di prima mattina, superati i Guadi dell’Isen, furono
raggiunti dai
Raminghi del Nord, accompagnati da Elladan ed Elrohir, i figli di
Elrond,
discesi dalle Terre del Nord per aiutare il loro Capitano. Il gruppo
così
formatosi cavalcò fino al Trombatorrione, dove decisero di
separarsi. Theoden
avrebbe percorso un lungo tragitto per poter radunare le forze di
Rohan, mentre
Aragorn con Legolas, Gimli e i Raminghi sarebbe partito immediatamente
diretto
a Dunclivo dove si trovava la via per raggiungere i Sentieri dei Morti.
Helkamirië che conduceva il proprio cavallo, si
fermò per salutare Merry, il
quale avrebbe accompagnato Re Theoden come suo scudiero.
“Addio
Merry”, disse, chinandosi e
abbracciandolo. “Spero che ci rivedremo quando tutto questo
sarà finito. Mi
mancherai moltissimo”. Avvicinò le labbra al suo
orecchio. “E porterò i tuoi
saluti a Pipino”, bisbigliò.
“Vuoi
dire che…”.
“Zitto!”,
gli intimò, posandogli un dito
sulla bocca. “Sarà il nostro segreto:
cavalcherò con Aragorn fino a Dunclivo e di
là partirò per Minas Tirith. Tu, però,
non dire nulla, Legolas non lo sa e non
approverebbe”.
Lasciò
andare Merry e questi risalì sul suo
pony Stybba, partendo al galoppo al seguito di Theoden. Aragorn
partì più tardi
e attraversò di gran carriera la pianura giungendo a Edoras
il pomeriggio
successivo; dopo una breve sosta ripartirono, e raggiunsero Dunclivo al
calare
della notte, accolti da Dama Eowyn, cui Aragorn comunicò le
sue intenzioni.
All’alba, egli si preparò a partire e Dama Eowyn
lo pregò di portarla con sé,
ma Aragorn si rifiutò di accontentarla; mentre essi
parlavano, Legolas si
congedava da Helkamirië, la quale tuttavia non era triste,
né preoccupata.
“Sii
cauto, Legolas”, disse. “Quando tutto
sarà risolto, mi troverai a Minas Tirith ad aspettarti, per
l’incoronazione di
Elessar”.
“Non
temere, lirimaer”, disse
Legolas. “Vinceremo questa guerra e io tornerò
sano e salvo”.
L’Elfo
la abbracciò e la baciò, dopodichè
raggiunse Gimli e con Arod partì al seguito di Aragorn.
Helkamirië aspettò che
fossero lontani e balzò in groppa a Carnemirië.
“Devo
chiederti un grosso sforzo
Carnemirië”, disse. “Minas Tirith
è molto lontana, ma devo giungervi al più
presto”.
Il
cavallo fulvo nitrì in risposta, e dopo
aver rivolto un rapido sguardo a Dama Eowyn, Helkamirië lo
spronò al galoppo,
sparendo veloce come il vento fra gli alberi.
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Capitolo 24 *** 23 ***
Molte erano le leghe
che separavano Minas
Tirith da Dunclivo, eppure dopo soli due giorni di viaggio,
Helkamirië
raggiunse l’Anorien. Carnemirië era un cavallo fatto
per correre e la sua
padrona era un fardello assai leggero; nessun destriero nella Terra di
Mezzo,
neppure Ombromanto, avrebbe mai potuto competere con la corsa
dell’elfico
Carnemirië, che sfrecciava nella pianura come un dardo.
Proprio mentre
avanzava, Helkamirië notò che l’Anorien
stava per essere invaso, ma per sua
fortuna le compagnie di Mordor erano sparpagliate sul territorio,
così si
lanciò attraverso le orride creature.
“Noro
lim, Carnemirië!”, disse.
“Coraggio amico mio, ti chiedo un ultimo sforzo,
riesco a vedere la Bianca Città!”.
In lontananza,
si poteva vedere già la
Torre di Echtelion e i vari livelli su cui era costruita la
città, e man mano
che si avvicinava, potè scorgere i Nazgûl
attaccare un gruppo di soldati e un
Bianco Cavaliere allontanarli a sua volta. Per un attimo cedette alla
tentazione di raggiungerli, dirigendosi verso di loro, ma
Carnemirië,
schiumando di rabbia, si oppose ai suoi ordini, galoppando veloce come
non mai
verso il Cancello di Minas Tirith.
“Helkamirië!”,
la chiamò Gandalf,
avvicinandosi. “Cosa fai qui, mia signora?”.
“Mithrandir”,
sussurrò Helkamirië. Ancora
non si era ripresa del tutto dallo stato di trance
in cui era caduta a causa della malia esercitata dai Nazgûl
su di lei.
Gandalf la
fissò per un istante,
preoccupato, ma non poteva fermarsi in quel momento: si stava dirigendo
con
Faramir, che aveva appena portato in salvo, presso Sire Denethor, onde
conferire con entrambi e ricevere notizie. Helkamirië vide
anche Pipino
salutare Faramir, confuso nella folla ma con la livrea della Torre.
Questo
fatto era talmente insolito che la fanciulla spinse Carnemirië
a seguirli,
procedendo al passo e rimanendo indietro di qualche metro, passando
così
inosservata. Percorsero tutti i livelli della Città, ma
quando giunsero alla
Cittadella Helkamirië si accorse di non poter proseguire
oltre, poiché non
aveva il permesso di entrare. Così, smontò da
cavallo e si rassegnò ad
attendere che Mithrandir tornasse. Carnemirië le
sfregò il naso sul collo,
attirando la sua attenzione.
“Perdonami
Carnemirië”, disse,
accarezzandogli la testa. “Raggiungi Ombromanto e gli altri
cavalli che hanno
appena portato via. Un cavallo in più non farà
nessuna differenza per gli
stallieri, e domattina verrò a trovarti”.
Il cavallo
fulvo, docile come sempre, si
allontanò scomparendo nell’oscurità,
mentre Helkamirië si liberò del cappuccio,
sedendo su un gradino. Era davvero stanca come non le capitava da
tempo: due
giorni ininterrotti a cavallo, alla massima velocità di
Carnemirië erano molto
pesanti, e cercare di resistere ai Nazgûl davanti alla
Città le aveva prosciugato
le ultime forze. Quando finalmente Gandalf e Pipino tornarono, dopo
qualche
ora, erano accompagnati da una terza persona. Questi vedendola,
sgranò gli
occhi stupito.
“Valegil,
è lei la nostra amica”, disse
Gandalf, stendendo la mano verso di lei. “Pensi di poterle
trovare una
sistemazione?”.
“Questa
fanciulla”, disse Valegil,
“appartiene alla stirpe elfica, vero?”.
“E’
così”, disse Helkamirië. “Il
mio nome è
Helkamirië e vengo da Bosco Atro: la mia razza è
forse un problema?”.
“Affatto,
mia signora”, disse il
Gondoriano. “Seguitemi: abbiamo un alloggio per te, non
lontano da quello di
Mithrandir”.
Percorsero i
vicoli di pietra della Città
raggiungendo in breve le dimore loro assegnate. Le stanze distavano
pochi
metri, così, dopo aver congedato Valegil,
Helkamirië entrò negli alloggi di
Mithrandir e Pipino.
“Come
stai, mia signora?”, disse Gandalf,
scrutandola; temeva di essersi sbagliato e che la fanciulla non fosse
sufficientemente forte per resistere al richiamo
dell’Oscurità.
“Sto
bene, Mithrandir”, disse Helkamirië.
“Grazie a Carnemirië. Sono solo molto stanca e
questa notte senza stelle mi
intristisce; è stato un lungo viaggio in troppo poco tempo e
quell’incontro al
Cancello ha prosciugato le ultime energie rimastemi”.
“Mi
dispiace che tu sia stanca, Dama
Helkamirië”, disse Pipino. “Immagino che
tu sia partita subito dopo di noi per
essere qui oggi”.
“Ti
sbagli, Pipino”, disse la fanciulla.
“Io sono partita due giorni fa da Dunclivo”.
Helkamirië sorrise come se quella
appena detta fosse
la cosa più semplice e naturale del mondo. “Oh,
quasi dimenticavo, Merry ti
manda i suoi saluti”.
Gandalf
la fissò esterrefatto. “Come hai potuto giungere
qui da Dunclivo in due soli
giorni? Ombromanto ha impiegato quattro giorni per percorrere la strada
da Dol
Baran a Minas Tirith, e non esiste cavallo più veloce nella
Terra di Mezzo”.
“Non
dubito che sia così, Mithrandir”, disse la
fanciulla. “Il mio destriero,
Carnemirië,
è molto più rapido di Ombromanto
perché è stato portato qui
dalle Terre Imperiture e inoltre, è un cavallo nato e
cresciuto per galoppare
veloce. Niente può superare la sua corsa quando è
lanciato al massimo”.
“Davvero
impressionante”, disse lo
Stregone. “Sii sincera con me: Legolas non sa che sei qui,
vero?”.
“No”,
ammise Helkamirië a testa china.
Gandalf
proruppe in un’allegra risata. “Lo
immaginavo”, disse. “Se c’è
una cosa che ho imparato di te, è che hai la
tendenza a fare esattamente il contrario di ciò che ti si
chiede. Ma se non è
per Legolas, per quale motivo sei qui? Sai che qui i Nove sono insieme
e più
potenti grazie al loro Capitano; se si accorgessero di te saresti in
pericolo”.
“Non
mi importa di loro, resisterò”, disse
decisa Helkamirië. “Sono qui per combattere e
portare conforto agli Uomini di
Gondor e non mi importa di rischiare la vita se questo potrà
aiutarli”.
“Hai
preso sul serio il tuo dono”, disse
Gandalf. “Ma essere benedetta dai Valar non vuol dire gettare
la tua vita al
vento, tanto più che ormai non si tratta solo di te; anche
Legolas è coinvolto,
la tua morte lo distruggerebbe, e non credo che tu voglia pensare a
tale
possibilità”.
“No
infatti”, disse Helkamirië. “E io non
ho mai detto di voler gettare la mia vita: farò il possibile
e anche di più per
sopravvivere, ma non mi tirerò indietro ora che ho
riscoperto il piacere di
combattere i servi del Nemico. Perdonatemi, ma prendo congedo, sono
davvero
molto stanca”.
Helkamirië si inchinò
leggermente e risistemò lo scuro manto che la
copriva nascondendo la luce di Elbereth; quando uscì
sembrò che l’oscurità la
inghiottisse, celandola completamente alla vista.
La
stanza assegnata a Helkamirië era
simile a quella di Gandalf e Pipino: aveva un
tavolo con due sedie e una panca, ma era evidentemente pensata per una
sola
persona, perché un’unica alcova si trovava su un
lato; i suoi drappeggi bianchi
e pesanti nascondevano una bacinella e un recipiente per rinfrescarsi,
e un
letto già preparato con candide lenzuola profumate, sul
quale era posata una
veste da notte anch’essa bianca. La scena le
strappò un sorriso di
compiacimento, potendosi finalmente riposare, e dopo essersi lavata
indossò la
veste bianca e si infilò fra le lenzuola cadendo presto in
un sonno profondo.
Al mattino fu solo il suo istinto a svegliarla: dal giorno prima
sembrava che
il Sole fosse scomparso e non lo si vedeva. Uscendo
dall’alcova vide un abito
pulito poggiare su una delle sedie, la stessa dove la sera prima aveva
lasciato
i suoi abiti da
viaggio. ‘Valegil deve
aver mandato qualcuno’, pensò.
‘Maledizione, proprio oggi che volevo
esercitarmi con le armi; non posso farlo con
quell’abito!’. Helkamirië indossò
l’abito e uscì, diretta alle
scuderie per assicurarsi che Carnemirië
stesse bene. lo stalliere si era occupato sia del suo cavallo che di
Ombromanto, nonostante avesse già molto lavoro.
“Buongiorno
Carnemirië”, lo
salutò.
Il destriero nitrì in risposta, strappandole un sorriso.
“Devo lasciarti qui
per qualche giorno, ancora non so quanto; però
verrò a trovarti spesso”.
Carnemirië le si
strusciò
contro come al suo solito e Helkamirië gli
accarezzò la morbida
criniera, allontanandosi subito dopo. Dirigendosi verso le mura
sentì la gente
parlare di una presunta partenza di Faramir e cercò
Mithrandir o Peregrino per
avere spiegazioni; non si videro i Nazgûl quel giorno, ma a
volte si poteva
udire, in alto sopra le loro teste, un grido acuto che empiva di
terrore; ogni
volta che lo sentiva, Helkamirië stringeva i pugni rivolgendo
il proprio
pensiero al suo amato Legolas o a Dama Galadriel oppure alla luce di
Lothlorien,
e così riusciva a resistere
all’Oscurità. Improvvisamente, da dietro un angolo
vide sbucare i suoi amici.
“Mithrandir,
Pipino!”, disse. “Finalmente
vi incontro. Ho sentito la gente dire che Faramir è partito;
è vero, o sono
soltanto le chiacchiere di un popolo terrorizzato?”.
Pipino
chinò il capo tristemente, senza
rispondere.
“Purtroppo
è la verità”, disse Gandalf con
un sospiro. “Faramir è stato mandato da Sire
Denethor a riconquistare
Osgiliath”.
“Osgiliath?!”,
disse Helkamirië. “Perché
mai una tale decisione? Le notizie giunte fino a Lorien ne parlavano
come un
obiettivo ormai perso e inutile e questi sono fatti risalenti a qualche
mese
fa”.
“Le
notizie giungono lontano”, disse lo
Stregone. “Tuttavia rimangono esatte. Boromir aveva tentato
di riconquistare
Osgiliath e questo ne fa per Denethor un motivo sufficiente, nonostante
Faramir
ritenga più saggio non disperdere e sprecare le nostre
già esigue forze, e io
sia pienamente d’accordo con il Capitano di Gondor”.
“Denethor
è un folle!”, esclamò la
fanciulla. “Mandare il proprio figlio a morire solo
perché lui non è il
fratello!”.
“Queste
parole le hai rivolte a me”, disse
Gandalf. “Ma non avresti dovuto pronunciarle ad alta voce, a
meno che tu non
voglia passare il tuo tempo a Minas Tirith in custodia delle Guardie
della
Torre”.
Helkamirië
non rispose ma il suo bellissimo
viso era contratto in una smorfia di rabbia.
Prima
di notte giunsero altre notizie. Il
messaggero riferì che un esercito era uscito da Minas Morgul
e si stava
dirigendo a Osgiliath, mentre legioni di Haradrim dal Sud lo stavano
raggiungendo;
ma la parte peggiore del suo racconto era che gli eserciti di Mordor
erano
guidati dal Capitano Nero.
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Capitolo 25 *** 24 ***
Il giorno successivo
giunse la notizia
della ritirata di Faramir, costretto dall’avanzata
dell’esercito di Mordor a
ripiegare verso la città; udendo tali fatti, Gandalf ritenne
di dover portare
il suo aiuto al Capitano di Gondor e galoppò via
immediatamente. Pipino e
Helkamirië trascorsero una notte triste e insonne, il Mezzuomo
sulle mura
intento a fissare a Oriente e la fanciulla nella propria stanza. Stava
distesa
sul letto, cercando di immaginare dove potesse trovarsi Legolas in quel
momento
e se Aragorn fosse riuscito a trovare l’aiuto che cercava,
aiuto che sarebbe
stato fondamentale per Gondor; e ancora rimuginava sul mancato arrivo
dei
Rohirrim, che aveva conosciuto come un popolo leale e proprio per
questo non
poteva credere che negasse il suo aiuto a Denethor. Prima che
suonassero le
campane del mattino, una fanciulla entrò riportando i suoi
abiti da viaggio,
puliti e profumati; non appena fu uscita, Helkamirië si
affrettò a lavarsi e
indossarli, prese le sue armi e uscì. Gandalf
arrivò poco dopo, recando con sé
sconfortanti notizie circa la ritirata di Faramir e le ingenti truppe
del
Nemico. Dopo che ebbe parlato con Denethor, fu decisa una sortita di
cavalieri,
con in testa i cavalieri cigno di Dol-Amroth e il loro Principe
Imrahil, il cui
scopo era proteggere il rientro di Faramir e della sua compagnia,
mentre
Gandalf fece allontanare i Nazgûl. Il Principe Imrahil
rientrò per ultimo
portando con sé sul suo cavallo Faramir, gravemente ferito;
Denethor divenne
più cupo e silenzioso e prese a vegliare il proprio figlio,
mentre le forze
nemiche avevano stretto d’assalto Minas Tirith. Le macchine
d’assedio gettavano
i loro proiettili incendiari all’interno delle mura, ben
sapendo che sarebbe
stato inutile indirizzarli contro le possenti mura e ben presto gli
uomini
dovettero adoperarsi per spegnere i diversi focolai, mentre i
Nazgûl
gracchiavano sorvolando la città. La follia di Denethor
esplose improvvisa ed
egli diede ordine di portare il letto di Faramir a Rath Dinen, la Via
Silente,
chiedendo ai suoi servitori di dare fuoco a entrambi; Pipino, disperato
e
impotente, si lanciò alla ricerca di Gandalf. Nel frattempo,
i nemici portarono
avanti un enorme ariete carico di incantesimi di distruzione, Grond, il
Martello dell’Oltretomba, con il quale riuscirono ad
abbattere il Grande
Cancello di Minas Tirith, spianando la strada al Signore dei
Nazgûl che entrò
sul suo cavallo trovando un unico cavaliere che non fosse fuggito al
suo
cospetto, Gandalf in sella a Ombromanto. Helkamirië, che fino
a quel momento
aveva affiancato gli arcieri di Gondor, gettò il manto da un
lato e con la
spada in pugno raggiunse Gandalf, intenzionata a liberarsi da sola del
terribile richiamo che sentiva provenire dal Capitano Nero. Appena si
trovò al
suo cospetto, però, sentì ogni volontà
di resistenza venire meno e la sua voce,
irresistibile, farsi strada nella mente. ‘Perché
combattere?’, diceva. ‘Per gli
Uomini, ingrati per loro stessa natura? Ora ti sembra giusto, eppure tu
conosci
la storia del tuo popolo, e sempre gli Uomini hanno tradito i
Priminati,
nonostante da essi non abbiano ricevuto altro che aiuto’.
Helkamirië si fermò e
lasciò cadere la spada, sentendo che lui aveva ragione,
mentre una voce dentro
di lei continuava a dirle di opporsi. ‘Helkamirië,
tu sai che sto dicendo la
verità’, continuò. ‘Anche gli
Elfi sono crudeli con te: ti tengono sotto una
campana di vetro, quasi come se fossi un prezioso Silmaril e non una di
loro. E
il tuo amato Principe, il figlio di Thranduil, ti ha negato la
felicità per
colpa del suo egoismo, spingendoti a rischiare la vita. Vieni con me:
il nostro
Signore ti darebbe il rispetto e il potere che meriti’. In
quel momento, Helkamirië
chinò il capo e riprese la spada, barcollando fino a
raggiungere Gandalf; si
appoggiò contro un muro, mentre la luce di Elbereth
cominciava ad affievolirsi.
“Rispetto?
Potere? Il tuo Padrone… non sa
cosa sia… il rispetto. E il potere… lo tiene per
sé”, balbettò stancamente.
“Tu
lascia… stare Legolas. Lui… non ha
colpe… il suo animo gentile lo ha spinto ad
allontanarmi, allora… E gli Uomini sanno essere
grandi… e fedeli amici degli
Elfi… I Priminati mi proteggono perché mi
amano!”. L’ultima frase l’aveva
urlata, prima di accasciarsi al suolo priva di sensi; la luce era
scomparsa, ma
almeno lei non si stava oscurando. Pipino, nascosto
nell’ombra, la vide cadere,
inorridito, senza avere il coraggio di soccorrerla. Gandalf le rivolse
una
fugace occhiata, per poi volgersi verso il suo nemico, intimandogli di
andarsene. Per tutta risposta, il Cavaliere Nero si levò il
manto dal capo,
mostrando solo una corona poggiata sul nulla, e una risata di morte
uscì dalla
bocca invisibile; minacciando la vita di Gandalf, levò la
spada che venne
percorsa dalle fiamme, ma in quel momento un gallo, incurante
dell’oscurità,
salutò il mattino che finalmente si faceva rivedere
illuminando il cielo a Est.
E in lontananza si udì una moltitudine di corni
rispondergli, echeggiando fin
nei fianchi delle Montagne: i Rohirrim giungevano dalle loro verdi
pianure,
portando con sé la guerra contro Sauron.
Udendo i corni
di Rohan, Pipino si riscosse
e riuscì a fermare Gandalf, il quale si stava lanciando
all’inseguimento del
Capitano Nero, convincendolo ad accorrere in aiuto di Faramir. Gandalf
esitò un
attimo, incerto sul da farsi e Pipino prese il manto di
Helkamirië che giaceva
ancora priva di sensi, coprendola. Lo Stregone, intanto, aveva preso la
sua
decisione: avrebbe salvato Faramir, anche se il cuore gli diceva che
questa
scelta avrebbe portato dolore e sofferenza ad altri. Gli uomini,
rinfrancati
dall’arrivo di Rohan, afferrarono le armi e si lanciarono
verso il Cancello
pronti a dare battaglia.
“Soldato”,
disse Gandalf, scorgendo uno
degli uomini di Imrahil. “Occupati di questa fanciulla:
portala alle Case di
Guarigione e abbine riguardo. Ella appartiene alla stirpe elfica ed
è stata
benedetta dalla grazia dei Valar”.
L’Uomo
guardò sorpreso Gandalf e poi
Helkamirië e si chinò per prenderla fra le braccia,
mentre il Cavaliere Bianco
si allontanava velocemente verso Rath Dinen. Quando vi giunse
trovò il
guardiano della porta assassinato e, più avanti, la guardia
Beregond che
lottava contro i servitori di Denethor. Gandalf riuscì ad
entrare e portare via
Faramir dal rogo, ma non riuscì a convincere il
Sovrintendente, il quale dopo
aver mostrato l’origine della sua lunga vista e della sua
pazzia, un Palantir,
si lasciò morire tra le fiamme. Nel frattempo, sui campi del
Pelennor infuriava
la battaglia: i Rohirrim spazzavano i nemici che incontravano come una
marea
montante, ridendo e cantando. Il prezzo pagato, però, fu
assai caro: il
Capitano Nero, a cavallo di un’orrenda creatura volante, si
avventò su Theoden
morente, schiacciato dal suo cavallo Nevecrino; il Signore dei
Nazgûl si trovò
fronteggiato da un giovane della scorta del Re. Per nulla
impressionato, il Re
Stregone disse a Dernhelm (questo era il nome del soldato) che nessun
uomo
vivente avrebbe potuto ucciderlo, ma dalla bocca del ragazzo
uscì il suono più
inatteso: una risata di rabbia rivelò che sotto
l’elmo si nascondeva Eowyn,
figlia di Eomund. Dama Eowyn di Rohan combatté
valorosamente, ma ben presto si
ritrovò con un braccio rotto e in balia del suo avversario.
Fu grazie
all’intervento di Merry che trafisse una gamba del Cavaliere
Nero, che la Dama
potè uccidere il più potente dei servi del
Nemico. Quando Eomer si accorse
dell’accaduto, fu invaso da una furia cieca e, radunati i
Rohirrim, sospinse il
nemico lontano da Minas Tirith; scorgendo le vele nere dei Corsari di
Umbar, si
preparò a una fine gloriosa combattendo, ma quale non fu il
suo stupore quando
dalle navi sbarcarono non i Corsari, bensì Aragorn, Legolas,
Gimli e un
esercito di Uomini. Al termine della giornata il sole rosso del
tramonto
moltiplicò il sangue sui Campi del Pelennor, cosparsi di
cadaveri e delle
macerie della battaglia, e illuminò la disfatta del Male.
Dama Eowyn di Rohan e
Meriadoc lo Hobbit furono portati alle Case di Guarigione dove
già si trovavano
Sire Faramir e Dama Helkamirië. Aragorn non volle entrare a
Minas Tirith e
prendere possesso del proprio trono, tuttavia acconsentì a
curare coloro i
quali erano caduti vittima dell’Alito Nero. Grazie alle
proprietà curative
dell’athelas o forse per
via di una
qualche virtù celata nel suo sangue, Aragorn
riuscì a richiamare a sé i feriti
dall’oscurità nella quale si erano smarriti. Era
sul punto di andare a
riposarsi, quando Gandalf lo fermò.
“Capisco
che tu sia stanco, Sire”, disse.
“Tuttavia una fanciulla giace qui, un’amica di
entrambi, ed invero, si tratta
di una creatura preziosa”.
Lo Stregone si
volse verso il letto accanto
a Merry, coperto da pesanti tende, e le scostò, mostrando
Helkamirië priva di
sensi. Il Ramingo le si avvicinò e le prese le mani nelle
proprie, sedendosi
sul letto.
“Che
giorno infausto!”, disse. “Se Valienna
non si svegliasse, quale grave lutto per gli Eldar e per noi
tutti!”.
Stava per
chiedere altra athelas quando
Helkamirië gli strinse a
sua volta le mani e lentamente aprì gli occhi. In un primo
momento sembrò non
riconoscere chi gli stava davanti, poi però, sorrise.
“Aragorn,
mio Re”, mormorò, riuscendo a
mettersi a sedere.
“No,
Dama Helkamirië”, sorrise Aragorn.
“Non sono ancora il Re, e non potrei mai definirmi il tuo
signore. Gli Eldar mi
onorano, ma ritengo che solo i Signori d’Occidente possano
avanzare tale
pretesa su di te. Perché mai ti trovi qui, priva della tua
luce?”.
“Non
lo so, i miei ricordi sono confusi”,
disse Helkamirië. “L’ultima cosa che
ricordo è il Capitano Nero che irrompe
nella città e… il resto è buio nella
mia mente”.
“Forse
io potrei spiegarvi”, intervenne
Gandalf. “Non ho la certezza di ciò che
è accaduto, ma ne ho intuito una buona
parte. Helkamirië si è avvicinata a noi con la
spada sguainata, poi si è
fermata di colpo, probabilmente perché il Signore dei
Nazgûl stava tentando di
assoggettarla al suo volere. Dopo pochi istanti, Helkamirië ha
ripreso la spada
e si è avvicinata a me, barcollando, ha risposto al suo
nemico difendendo
Legolas, gli Elfi e persino gli Uomini, perciò ritengo che
lo Spettro abbia
tentato di fare presa sulle sue incertezze. Subito dopo,
però, si è accasciata
al suolo e ho visto la luce sbiadire fino a sparire del
tutto”.
“Non
temere per questo, Mithrandir”,
interloquì Helkamirië. “Ho già
perso la luce di Elbereth in passato, ma è
sempre tornata. Ora sono soltanto molto stanca, ritornerà
non appena starò
meglio, e credo che anche la nebbia nella mia mente si
diraderà con il tempo”.
La fanciulla respirò profondamente e chiuse gli occhi per un
istante. “Adoro il
profumo di athelas, mi ha fatto
sentire subito meglio”.
Aragorn
lasciò le sue mani e si alzò dal
letto, salutandola con un inchino. “Ti chiedo perdono, mia
signora”, disse.
“Sono molto stanco e affamato, prendo congedo, ma
manderò Legolas qui da te”.
“No,
non farlo”, disse Helkamirië.
“Immagino che anche lui sia esausto, lascia che riposi
sereno; domattina
potrete dirglielo e allora lo vedrò”.
Aragorn
e Gandalf la salutarono, lo
Stregone tirò le tende, e si allontanarono, mentre
Helkamirië si distese
nuovamente, pur non dormendo; a un tratto, sentì delle donne
parlare dietro i
drappi. Dicevano che nelle Case si trovavano Sire Faramir e Dama Eowyn
di
Rohan, e anche una creatura strana, un Perian; non poteva trattarsi
d’altri che
di Merry o di Pipino, perciò si ripromise di controllare lei
stessa l’indomani.
Non fece nemmeno in tempo a finire di formulare il pensiero che
scivolò
nuovamente nel sonno.
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Capitolo 26 *** 25 ***
Dopo aver lasciato
Helkamirië, Aragorn fece
per andarsene ma davanti alle Case di Guarigione si era radunata una
piccola
folla di gente venuta a chiedere l’aiuto del Re per guarire i
propri cari,
così, dopo aver mandato a chiamare i gemelli Elladan ed
Elrohir, lavorò per ore
prima di poter ritornare alla sua tenda.
Al mattino,
Helkamirië si era alzata,
approfittando di un momento di distrazione dei guaritori, e aveva
scoperto che
il Perian si trovava a meno di un paio di metri da lei e che si
trattava di
Merry, che con grande gioia trovò sveglio e in buona salute;
Pipino si stupì
non poco di averla davanti, ma si rammaricò che la sua amata
Dama non
splendesse ancora. Gli Hobbit le raccontarono la grande battaglia,
volta a
favore di Gondor dall’arrivo dei Rohirrim e decisa
definitivamente da Aragorn,
Gimli e Legolas giunti con un esercito dal Mare. Dopo aver trascorso un
po’ di
tempo con loro, uscì a godersi il Sole sulle terrazze delle
Case di Guarigione,
pensando a come spiegare a Legolas la sua presenza.
‘Legolas… cosa dirai
vedendomi qui? Ti arrabbierai?’.
Mentre lei si
trovava fuori, giunsero
Legolas e Gimli per salutare Merry e Pipino e sincerarsi delle loro
condizioni,
senza sapere di Helkamirië, poiché la stanchezza
aveva sopraffatto Aragorn, il
quale aveva dimenticato di avvertire l’Elfo; gli Hobbit
vollero sapere del loro
viaggio e Legolas prese a raccontare dei Sentieri dei Morti e della
cavalcata
fino a Pelargir, dove con l’aiuto dell’Esercito
Grigio avevano sbaragliato i
Corsari di Umbar. Durante il racconto, disse di aver udito i gabbiani a
Pelargir, il cui verso aveva risvegliato nel suo cuore il desiderio del
Mare;
Helkamirië, che sopraggiungendo era rimasta nascosta,
all’udire ciò pianse,
vedendo le sue speranze e i suoi sogni di vivere felice con Legolas
distrutti.
Un singhiozzo la tradì: Legolas zittendo i Compagni, si
avvicinò al suo
nascondiglio, afferrandola saldamente per le spalle e immobilizzandosi
a sua
volta per la sorpresa. Helkamirië fissò i suoi
occhi verdi, lucidi di lacrime,
in quelli grigi di Legolas.
“Legolas!”,
esclamò gettandosi fra le sue
braccia.
“Helkamirië!”,
disse l’Elfo. “Cosa fai qui?
Per quale motivo non sei a Lorien?”.
Helkamirië
si sciolse dall’abbraccio e
abbassò lo sguardo. “Non infuriarti,
Legolas”, disse titubante. “Io non sono
mai tornata a Lothlorien. Non appena ci siamo salutati, a Dunclivo, io
mi sono
diretta immediatamente a Minas Tirith, giungendovi nello stesso giorno
in cui
l’Anorien fu invaso; anche se avessi voluto, non avrei potuto
ripartire”.
“Ma
tu non volevi ripartire”, disse
Legolas, fissandola con sguardo duro. “E in ogni caso,
perché mai sei venuta
fin qui?”.
“Io
desideravo soltanto aiutare”, si
giustificò Helkamirië. “Sono capace di
combattere e ho qualche conoscenza
medica”.
“E
poi ha combattuto il Cavaliere Nero”,
intervenne Pipino nel tentativo di sostenerla. “Lo ha
sfidato, e lui non è
riuscito a soggiogarla”.
Helkamirië
guardò Pipino di sbieco,
maledicendo la lingua lunga della Gente della Contea, mentre Legolas la
afferrò
per i polsi, più adirato che mai.
“Il
Cavaliere Nero?!”, esclamò. “Per questo
ti trovi in mezzo ai feriti, priva della luce di Elbereth? Che cosa ti
ha
fatto? Rispondimi!”.
“Nulla,
non mi ha fatto nulla!”, disse
Helkamirië, spaventata dalla rabbia dell’Elfo.
“Ha tentato di piegarmi al suo
volere e sono svenuta per lo sforzo, ma ora sto bene e presto la luce
tornerà
più fulgida di prima”. Legolas non accennava a
lasciarla andare, così la
fanciulla tentò di calmarlo. “Legolas, ti prego
lasciami, mi stai facendo
male!”.
Legolas la
liberò dalla sua stretta, ma la
sua espressione rimase infuriata; le voltò le spalle e
riprese a parlare con i
suoi Compagni, ignorandola come se non fosse presente. Questo
atteggiamento
ferì profondamente Helkamirië, che fuggì
via in lacrime, sentendo veritiere le
parole del Re Stregone.
Pipino
guardò Helkamirië allontanarsi e si
voltò verso Legolas,
arrabbiato. “Ma che ti è preso,
Principino?!”, sbottò. “Ti sembra il
modo di
rivolgerti a Dama Helkamirië?
Dovresti ringraziare ogni giorno la tua buona stella
per averla accanto, invece di sgridarla e farla piangere!”.
“Questo
non ti riguarda, Pipino”, disse
Legolas, neutro.
“Il
giovane Tuc ha ragione, Elfo”,
interloquì Gimli. “Capisco che tu sia preoccupato
dall’arditezza del suo
comportamento, ma sei stato sgarbato e più ottuso di un
mulo: se Dama
Helkamirië è venuta fin qui è
perché sapeva che ti avrebbe rivisto in questa
città, vivo o morto. L’incertezza è
peggio della più dura realtà”.
“Questo
posso capirlo”, disse Legolas.
“Tuttavia non posso permettere che rischi la vita per me o
anche solo per avere
mie notizie. Io ho il dovere di proteggerla”.
“Dama
Helkamirië combatte forse meglio di
te”, protestò Merry. “Ben pochi
riuscirebbero a tenerle testa in uno scontro
corpo a corpo e da quello che ho visto a Isengard è anche
un’ottima tiratrice.
Forse l’unico da cui devi proteggerla sei proprio
tu!”.
Queste parole
colpirono profondamente
Legolas, il quale sentì nuovamente il senso di colpa
attanagliargli il cuore,
come era successo a Imladris quando aveva rifiutato Helkamirië
per paura di
perderla; tuttavia non seguì la fanciulla, desiderando prima
che ella
riflettesse sul suo comportamento avventato.
Helkamirië
tornò ai giardini delle Case in
lacrime e sedette sul bordo di una fontana zampillante; non riusciva a
fermare
i singhiozzi e aveva gli occhi rossi e gonfi per il troppo pianto.
L’atteggiamento di Legolas l’aveva ferita,
soprattutto perché sentiva che
l’Elfo non riusciva ad accettarla per quella che era: lei non
era come le altre
fanciulle degli Eldar, voleva essere una guerriera in un mondo dove la
guerra
era riservata al genere maschile. Helkamirië rifiutava di
rimanere a casa ad
attendere il ritorno di Legolas che nel frattempo si copriva di gloria
in
battaglia e non voleva cambiare per essere accettata da lui. Era certa
dell’amore di Legolas, ma allo stesso tempo cominciava a
temere che Thranduil
avesse ragione e che la dolce e remissiva Firiel sarebbe stata davvero
più
adatta a lui.
Mentre era
persa nei suoi pensieri, giocava
con l’acqua della fontana, un’opera di mirabile
fattura scolpita nel marmo più
candido che avesse mai visto. La vasca era grande e alta, tanto che vi
erano
cresciute delle rosee ninfee, che galleggiavano sulla superficie; una
di esse
era tanto scura da sembrare rossa, Helkamirië la prese e la
sistemò fra i suoi
capelli, sopra l’orecchio. In un impeto di rabbia,
schiaffeggiò la sua immagine
e quando l’acqua tornò calma e piatta vide
un’altra figura riflessa accanto a
lei.
“Aragorn!”,
esclamò.
“Helkamirië,
cosa ha fatto Legolas
stavolta?”.
“Non
lo sopporto!”, sbottò l’Elfo.
“Sono
stanca del suo atteggiamento iperprotettivo: mi ha vista poco fa e
invece di
essere felice e abbracciarmi, si è infuriato e poi mi ha
ignorata
volutamente!”. Helkamirië invitò Aragorn
a sedere accanto a lei. “Aragorn, io…
ecco… vorrei venire con voi. Intendo dire, se partirete per
Mordor”.
“Che
cosa?!”, esclamò Aragorn. “Non posso
accettare, mia signora, noi stessi partiamo consci di non essere certi
di
tornare, e tu non ti sei ancora ripresa del tutto”.
“Te
ne prego, Aragorn”, disse Helkamirië. “Sto
già molto meglio, domani al massimo sarò in
perfetta forma. Non correrò rischi
inutili, desidero solo portarvi aiuto, e conforto se la luce di
Elbereth
tornerà prima di allora. Ti prometto che farò
attenzione”.
“Cosa
ne penserà, Legolas?”, chiese l’Uomo.
“La
cosa non lo riguarda”, disse l’Elfo.
“La decisione spetta solo a te, ma tieni a mente che non sono
certa di rimanere
qui tranquilla se mi dicessi di no”.
“E
sia”, disse Aragorn. “Cerca di tenerti
pronta, appena l’Esercito sarà riorganizzato,
partiremo”.
“Non
dubitare”, disse Helkamirië. “Grazie,
grazie mille”.
Helkamirië
abbracciò Aragorn e si
allontanò, sparendo nei giardini.
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Capitolo 27 *** 26 ***
Più tardi,
Legolas e Gimli lasciarono Minas
Tirith e tornarono al loro accampamento al Cancello. L’Elfo
non aveva ancora
sbollito la rabbia per la presenza di Helkamirië,
così rimase fuori a
riflettere, presto raggiunto da Aragorn.
“Cosa
è successo?”, chiese.
“Di
cosa parli?”, disse Legolas.
“Di
Helkamirië”.
“Hai
visto Helkamirië?”, disse l’Elfo.
“Quando? Cosa ti ha detto?”.
“Ero
andata a trovarla alle Case di
Guarigione”, disse Aragorn. “Ieri Gandalf mi aveva
chiesto di curarla, ma il
mio intervento non è stato necessario. Ti avrei detto che
era qui, se stamani
non fossi uscito così presto”. L’Uomo
afferrò Legolas per un braccio,
costringendolo a guardarlo in faccia. “Mi ha chiesto di
venire con noi a Mordor
e quando le ho chiesto cosa ne avresti pensato tu, mi ha detto che le
sue
azioni non ti riguardano”.
Quelle parole
colpirono Legolas come una
staffilata in pieno volto; guardò Aragorn negli occhi,
incredulo e incapace di
pronunciare parola e chinò il capo, triste e attonito.
“Ma
che ti succede?!”, esclamò l’Uomo.
“Non
vai da lei? Lasci che ti odi? Non credevo che ti arrendessi
così facilmente, mi
deludi Legolas”.
Aragorn
rientrò nella propria tenda, lasciando
Legolas solo con il suo dolore. L’Elfo non riusciva ancora a
credere a ciò che
aveva udito; posò una mano sul petto e sentì il
rubino che Helkamirië gli aveva
donato. Lo prese e lo ammirò, pensando ai giorni felici di
cui quell’oggetto
era stato testimone e consapevole di aver rovinato tutto. Non avrebbe
mai
voluto giungere a tanto, ma, conoscendo Helkamirië,
pensò che fosse il caso di
restituirlo.
Legolas
tornò alle Case di Guarigione dove
c’erano Merry e Pipino, sperando che uno dei due sapesse
dirgli dove trovare
Helkamirië.
“Certo
che so dov’è”, disse Pipino quando
gli pose la domanda. “Ti porterò da lei, a patto
che tu le chieda perdono”.
“Temo
che non servirebbe, Pipino”, disse
Legolas, mesto; “Helkamirië non vuole avere nulla a
che fare con me, per il
momento e forse è finita per sempre. Voglio semplicemente
restituirle qualcosa
che le appartiene”.
“Non
temere, fra voi non finirà mai”, disse
lo Hobbit. “Dama Helkamirië ci tiene troppo a te,
ora è solo molto arrabbiata.
Seguimi”.
Pipino condusse
Legolas nei Giardini,
percorrendo deciso una stradina lastricata in pietra, senza esitazione
nello
scegliere la direzione; infine, raggiunsero la parte più
alta delle Case, dove
si trovava la fontana. Helkamirië era ancora seduta
lì e non si era accorta
della loro presenza, intenta a fissare le stelle finalmente di nuovo
visibili.
“Io
torno da Merry”, disse Pipino.
“Certo,
vai pure”, disse Legolas. “Grazie,
giovane Tuc”.
Pipino si
allontanò velocemente,
scomparendo ben presto alla vista, mentre Legolas guardò per
qualche istante la
fanciulla, prima di trovare il coraggio di chiamarla; questa non si
aspettava
di vederlo, tuttavia, pur se freddamente, lo invitò ad
avvicinarsi e a sedere
accanto a lei.
“Cosa
sei venuto a fare?”, disse. “Sappi
che non mi convincerai a ritornare sulle mie posizioni”.
“Questo
lo so”, disse l’Elfo, fissandola
dritto negli occhi. Non aggiunse altro, continuando imperterrito a
mantenere lo
sguardo su di lei, tanto che Helkamirië si voltò
dall’altra parte, lasciando
così alla vista di Legolas solo la ninfea, ancora fresca e
piena di vita, quasi
fosse stata appena colta.
“Allora?”,
disse, severa.
“Vorrei
conoscere il motivo di una tale
decisione”, disse Legolas. “E’ una cosa
che riguarda entrambi, non credi?”.
“Se
ti riferisci alla decisione di non fare
più le mie scelte insieme a te”, disse
Helkamirië, “è presto detto: il tuo
comportamento mi ha molto ferita, ma mi ha anche fatto riflettere. Sei
egoista,
Legolas, e comincio a pensare che davvero Firiel fosse più
adatta a te”.
“Cosa
dici?!”, esclamò Legolas. “Io non
amavo Firiel, e poi perché mai sarei egoista?”.
“Il
tuo comportamento è da egoista”, disse
la fanciulla. “Tu pretendi che io rimanga in attesa del tuo
ritorno,
nell’incertezza di non sapere nulla di te, mentre tu compi la
tua missione e ti
ricopri di gloria, tranquillo, perché io sono al sicuro
reprimendo me stessa e
i miei desideri. Hai ancora timore che lasciandomi andare fuori dal tuo
controllo possa accadermi qualcosa; io non sono Firiel, non me ne
starò mai in
disparte a fare da spettatrice alle tue battaglie: fin quando non
capirai
questo, non sono sicura che potremo sposarci”.
“Quindi
le cose stanno così”, disse l’Elfo.
“Io sarei un egoista perché desidero proteggere la
persona che amo di più al
mondo, e tu ti senti minacciata nel nostro rapporto da una fanciulla
ormai
morta. A questo punto devo restituirti questo”;
così dicendo, fece per porgere
il rubino a Helkamirië, la quale, però, respinse la
sua mano.
“Questo
è un regalo”, disse. “E’ un
pegno
d’amore, io non ho mai detto di non provare più
tali sentimenti, ti amo e tu
non immagini quanto, ma devi consentirmi di vivere serenamente e a modo
mio, se
non vuoi che questo finisca”. Legolas stava per rispondere
quando Helkamirië,
avvicinandosi a lui d’improvviso, lo zittì con un
bacio. “Spero che questo sia
un arrivederci”, gli disse staccandosi da lui. “Ora
va’ via, per favore”.
Legolas
posò la mano nella quale teneva il
rubino sul petto all’altezza del proprio cuore, quasi fosse
quello di
Helkamirië, come la fanciulla gli aveva detto un lontano
giorno a Lorien, e si
allontanò, sparendo nelle tenebre.
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Capitolo 28 *** 27 ***
Il
giorno seguente fervettero i preparativi per la partenza
dell’Esercito degli Uomini cha andava a sfidare Sauron nella
sua
terra. Helkamirië, impaziente di mettersi in viaggio,
trascorse
tutto il giorno ad allenarsi con la spada; anche il Principe Imrahil,
eccellente spadaccino, si era allenato con lei ma, nonostante la sua
abilità, non era riuscito a battere la fanciulla.
Al
mattino successivo, finalmente, l’Esercitò
lasciò
Minas Tirith, diretto alla terra di Mordor; Helkamirië, in
groppa al suo fidato Carnemirië, affiancava Legolas e Gimli al
seguito dei Capitani, completamente avvolta nel suo manto, nonostante
la luce di Elbereth non fosse ancora tornata al massimo del suo
splendore. Dopo sei giorni di viaggio, avevano oltrepassato la Valle
di Morgul e percorso tutto l’Ithilien, giungendo al Crocevia;
quivi, prima di intraprendere l’ultima parte del viaggio,
Aragorn
congedò i timorosi, consentendo loro di lasciare
l’Esercito
e tornare a Minas Tirith o, se preferivano, cercare la gloria in
altre imprese, meno rischiose ma altrettanto degne.
Nel
vedere un buon numero di Uomini allontanarsi e lasciare il loro Re,
Helkamirië ebbe un moto di disgusto nei loro confronti;
‘Gli
Uomini sanno essere grandi’, si disse. ‘Vogliono
davvero farmi
ricredere: neanche l’idea di avere di nuovo un Re basta a
renderli
migliori dei pusillanimi che sono’.
Il
giorno successivo si accamparono nella Desolazione del Morannon, e
quello seguente si ritrovarono innanzi il Nero Cancello. Aragorn,
accompagnato dai Capitani e da Legolas, Gimli e Pipino, si fece
avanti chiedendo giustizia per i Liberi Popoli della Terra di Mezzo.
Inizialmente non ottenne risposta, poi dal Cancello uscì un
individuo vestito di nero, a cavallo di quello che a prima vista
sembrava un nero destriero. Questi si presentò come la Bocca
di Sauron e mostrò loro alcuni oggetti appartenuti a Frodo e
Sam, dando ad intendere che il Portatore dell’Anello fosse
ormai
prigioniero della Torre Oscura; dinanzi ai loro visi sgomenti,
più
eloquenti di mille parole, impose loro di scegliere se sottomettersi
a Sauron, ottenendo così la liberazione di Frodo, o
continuare
quella guerra condannandolo a morte certa; Mithrandir rispose che in
ogni caso non ci si poteva fidare di Sauron e, dopo avergli strappato
di mano gli oggetti di Frodo e Sam, scacciò la Bocca di
Sauron, il quale, schiumando di rabbia, tornò verso il Nero
Cancello dando così il segnale d’inizio
dell’ultima
battaglia.
L’Esercito
degli Uomini si dispose come meglio poteva sui Colli di Scorie, due
piccole alture artificiali erette dagli Orchi dopo anni di fatiche.
Helkamirië si trovava agli ordini del Principe Imrahil, mentre
Legolas era sull’altro monte, fra gli Uomini di Aragorn.
L’Elfo
si pose la mano sul cuore, guardandola, e la fanciulla rispose allo
stesso modo; era la tacita promessa di sopravvivere entrambi per
poter ritornare insieme a Minas Tirith.
Le
truppe di Mordor li riportarono alla realtà, irrompendo come
un fiume in piena nella piana innanzi al Nero Cancello; per la
maggior parte si trattava di Orchi, ma vi si trovavano anche Uomini
fedeli a Sauron e Troll. La battaglia si scatenò subito
violenta, e Legolas e Helkamirië tentarono di rimanere sempre
in
vista l’uno dell’altra; improvvisamente si persero
e l’Elfo,
lasciando temporaneamente le truppe di Aragorn, si diresse dove
l’aveva vista l’ultima volta, utilizzando il lungo
pugnale per
farsi strada tra i nemici. Finalmente la ritrovò,
esattamente
dove l’aveva lasciata e fu tanto il sollievo che non si
accorse del
Troll che gli si avvicinava; la bestia lo colpì ad un
fianco,
scaraventandolo a pochi metri da Helkamirië che aveva
assistito
terrorizzata alla scena.
“Legolas!”,
urlò, correndo verso di lui. L’Elfo,
però, era ancora
semicosciente per via del colpo: vide soltanto un lampo di luce
conficcarsi nelle dure scaglie del collo del Troll come fossero
burro. Era stata Helkamirië
che aveva lanciato il suo pugnale adamantino per salvare Legolas.
“Sei ferito?”, gli chiese, sorreggendolo per le
spalle”.
“No”,
disse Legolas, ansimando. “Sono solo…
indolenzito… per via del
colpo”.
Helkamirië
lo aiutò a rialzarsi, quando improvvisamente Legolas la
tirò
di lato e stringendo il pugnale trafisse un Orco che stava per
colpirla alle spalle. La fanciulla recuperò il proprio
pugnale
dal corpo del Troll e ritornò al fianco di Legolas.
“Guardiamoci
le spalle a vicenda”, disse. “Non allontaniamoci
più”.
La
battaglia infuriava violenta e Helkamirië non faceva altro che
colpire su tutti i lati, temendo per la salute di Legolas, il quale
risentiva ancora del colpo ricevuto e cominciava a stancarsi. In loro
soccorso erano fortunatamente giunte le Grandi Aquile di
Manwë,
e questo diede loro un po’ di respiro fin quando videro
Barad-dûr
crollare su sé stessa e capirono che Frodo aveva compiuto la
missione, mentre il terreno crollava sotto i servi della Torre
Oscura.
Le
Aquile presero con sé Mithrandir e volarono via, alla
ricerca
di Frodo e Sam, che si trovavano ancora nei pressi
dell’Orodruin in
fiamme, mentre l’Esercito degli Uomini tornava vittorioso
verso la
Bianca Città. Helkamirië aveva convinto Gimli a
montare
Carnemirië, mentre lei avrebbe condotto Arod.
“Carnemirië
non fa cadere un cavaliere”, disse al Nano;
“Soprattutto se sono
io ad affidarglielo. Legolas non può condurre un cavallo e
tu
non ne sei capace. Fidati di me, non ti accadrà
nulla”.
“D’accordo”,
disse Gimli. “Ma se mi fa cadere, gli farò avere
un incontro
molto ravvicinato con la mia ascia”.
Helkamirië
sussurrò qualcosa a Carnemirië, il quale si
mostrò
subito docile ed accondiscendente; la fanciulla, invece,
balzò
in groppa ad Arod e Legolas si sistemò dietro di lei.
L’Elfo
non riusciva ancora a muovere perfettamente il braccio sinistro, dove
il Troll l’aveva colpito, perciò temeva di non
riuscire a
condurre il proprio destriero.
“Dovresti
reggerti”, disse Helkamirië, prendendogli il braccio
sano e
posandoselo in vita. Legolas la cinse con un solo braccio, poggiando
il mento sulla sua spalla dove aveva deposto un tenero bacio.
“Hannon
le”,
disse.
“Non
devi ringraziarmi”, disse Helkamirië dolcemente.
“Non avrei
mai permesso a nessuno di quei mostri di portarti via da me”.
L’Elfo
sorrise. “Non è solo per quello che ti ho
ringraziata”,
disse. “Grazie di essere sopravvissuta per tornare a casa con
me. E
grazie di amarmi”.
Ben
presto arrivarono al Campo di Cormallen, dove si accamparono in
attesa che Mithrandir tornasse; le Grandi Aquile non si fecero
attendere a lungo e portarono con sé, oltre a Mithrandir,
Frodo e Sam. I presenti si precipitarono ad accoglierli e
Helkamirië
trattenne Legolas dal fare altrettanto.
“Fermo!”,
disse. “Loro sono ancora incoscienti e tu hai bisogno di
cure,
anche se sei un Elfo. Coraggio: togliti la casacca e fammi vedere che
danni ha fatto quel mostro”.
Legolas
obbedì, e la fanciulla prese a visitare la parte ferita,
tastandola delicatamente. Solo quando toccò le costole
Legolas
trasalì, stringendo i pugni per il dolore.
“Deve
essere qui che ti ha colpito più forte”, disse
Helkamirië.
“Ma sei stato fortunato, non c’è nulla
di rotto; questa è
una ferita che anche io sono in grado di curare. Aspettami qui, torno
subito”.
La
fanciulla si allontanò velocemente per prendere la propria
bisaccia che era trasportata da Carnemirië, e
ritornò in
fretta. Prese delle foglie da un sacchetto e dopo averle spezzettare,
le triturò fino a ridurle in poltiglia.
“Sdraiati
sul fianco”, disse, e Legolas obbedì prontamente,
divertito
dalla sua espressione così seria. Applicò
l’impasto
di foglie e fasciò stretta la parte offesa,
dopodichè
aiutò l’Elfo a rivestirsi. “Quelle erbe
ti aiuteranno,
entro domani potrai muovere perfettamente il braccio, e tra due
giorni non dovresti avere più fastidio”.
“Potrei
abituarmi a tutto questo”, disse Legolas dolcemente.
“E
a cosa, di grazia?”, chiese Helkamirië divertita.
“Ad
avere qualcuno che si occupa di me in maniera tanto
amorevole”,
disse l’Elfo; “Guardandomi con sguardo pervaso da
preoccupazione,
temendo per la mia incolumità”.
“Legolas”,
disse la fanciulla, “non posso fare a meno di stare in ansia
per
te, sai bene quali siano i miei sentimenti, tuttavia sei anche a
conoscenza del motivo che mi spinge a rifiutare di essere la tua
sposa. Almeno per il momento”.
Legolas
la guardò tristemente e con sommo stupore di
Helkamirië,
qualche lacrima rigò il suo bel viso, asciugata in fretta
dall’Elfo. A quella scena, la fanciulla non potè
resistere e
strinse a sé il suo amato, carezzandogli i capelli mentre
gli
teneva la testa contro il proprio petto. Non avrebbe mai immaginato
una reazione simile da parte di Legolas e perciò non poteva
sapere quanto dolore avrebbe a sua volta suscitato in lei.
“Legolas”,
disse. “Perdonami. Ho accusato te di essere egoista, ma non
mi
rendevo conto di quanto lo fossi io. È stato il mio spirito
guerriero e non il cuore a ribellarsi dinnanzi ai tuoi tentativi di
proteggermi”.
L’Elfo
abbracciò ancora più stretta Helkamirië,
alzando
la testa per poterla guardare in viso.
“Helkamirië,
ora smettila”, disse. “Io desidero che tu sia la
mia sposa, ma
non voglio che accetti di diventarlo soltanto per lenire il mio
dolore. Quando accetterai, dovrà essere perché ne
sei
convinta fino in fondo”.
Detto
questo, si alzò e fece per allontanarsi, raggiungendo i suoi
Compagni, ma Helkamirië gli si parò davanti,
fermandolo.
“Io
ti amo”, urlò quasi. “Ho avuto
tantissimo tempo per
assicurarmene, sin da quando lasciai Dol Taur. Per un certo periodo,
credetti di averti dimenticato, ma non era così e me ne
accorsi quando ti rividi a Imladris. Qualche giorno fa, alle Case di
Guarigione, mi sono arrabbiata perché non capivo le tue
motivazioni, e ti ho spiegato che era la voglia di combattere a
impedirmi di riflettere su quali potessero essere; al Nero Cancello,
quando ho visto il Troll che ti colpiva mentre mi cercavi per
assicurarti che stessi bene, finalmente è stato il cuore a
parlare, e ho compreso che la paura che stavo sentendo è la
stessa che ti ha afferrato nell’apprendere del mio
comportamento
avventato. Non ho più dubbi, perché ho rischiato
di
perderti e se fosse successo, tu saresti caduto nel dolore”.
“Sapevo
che il tuo amore era sincero, lirimaer”,
disse Legolas. “E so che lo è anche adesso;
però, il
tuo spirito guerriero fa parte di te e io amo tutto ciò che
sei. Fin quando non mi accetterai con tutta te stessa, non potremo
sposarci”. Le porse la mano, sorridendo. “Ma nulla
ci vieta di
amarci”.
Helkamirië
prese la mano di Legolas ed entrambi si diressero verso il luogo dove
le Aquile avevano toccato terra, riportando fra amici i Portatori
dell’Anello.
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Capitolo 29 *** 28 ***
Frodo
e Sam restarono incoscienti per diversi giorni, ma infine entrambi si
risvegliarono, in forze e più sereni, e furono loro
tributati
grandi onori, anche da parte di sovrani quali erano Aragorn, Eomer e
il Principe Imrahil di Dol Amroth. I soldati li osannarono come
grandi eroi, e quando un menestrello prese a cantare ‘di
Frodo
dalle Nove Dita e dell’Anello’, Sam pianse di
gioia, vedendo ogni
suo desiderio realizzato. Non appena furono liberi, Helkamirië
si avvicinò a loro; ormai la luce di Elbereth era tornata in
pieno, rendendo il suo sorriso ancora più radioso. Giunta al
loro cospetto, si inchinò rispettosamente. “Onore
ai
Portatori dell’Anello”, disse. “E a tutto
il Popolo della
Contea”.
“Dama
Helkamirië non inchinarti!”, balbettò
Sam, rosso in
viso.
“Sam
ha ragione, mia signora”, interloquì Frodo.
“E’ già
imbarazzante vedere i Re degli Uomini offrirci tanta deferenza; non
possiamo consentire che una figlia degli Eldar, invero tanto
speciale, si inchini a noi”.
“Nessun
figlio degli Eldar ha mai fatto tanto per la Terra di Mezzo”,
disse
Helkamirië. “Tantomeno la sottoscritta. Dimmi Frodo:
hai mai
rivolto un pensiero a me?”.
“Si,
mia signora”, disse Frodo sorridendo. “Quando ho
usato la Fiala
di Galadriel, nella galleria sopra Cirith Ungol, la luce che ne
è
stata prodotta mi ha tanto ricordato la tua figura. Proprio come te,
essa feriva il mio nemico ma riconfortava il mio animo. Anche se non
è durato in quelle terre oscure, mi ha portato sollievo
dalle
mie sofferenze”.
Helkamirië
sorrise e si rivolse a Sam, che continuava a fissarla, rivedendo in
lei la luce di Lothlorien.
“Grazie
Sam”, disse. “So che hai esaudito la mia richiesta
e sei rimasto
sempre al fianco del tuo padrone, sorreggendolo e confortandolo fino
alla fine. I menestrelli elfici ricorderanno a lungo ‘Frodo
dalle
Nove Dita’ e ‘Samvise
l’Impavido’”.
Sentendo
quelle parole, Sam arrossì ancora di più e
cercò
di balbettare un ringraziamento, ma con scarsi risultati.
Ora
che i Portatori dell’Anello si erano ripresi,
l’Esercito potè
ritornare a Minas Tirith dove, il 1 Maggio successivo, Aragorn fu
incoronato Re, sedendo sul trono che gli spettava di diritto. Egli,
però, non volle sciogliere la Compagnia, pregando i suoi
componenti di rimanere fino a quando non fosse giunto, per lui, il
giorno più felice.
Circa
una settimana dopo l’incoronazione, Eomer ed Eowyn partirono
per
Rohan, avendo diversi affari da sbrigare, e anche i gemelli Elladan
ed Elrohir li accompagnarono poiché si stavano recando a
Lothlorien. Nell’apprendere quale fosse la loro destinazione,
Helkamirië decise di unirsi a loro e tornare a Lorien per
poter
tranquillizzare Dama Galadriel, certamente in ansia per le sue sorti.
Legolas tentò di convincerla a farsi accompagnare, ma lei
rifiutò con garbo.
“Aragorn
ha bisogno di te”, disse. “Non puoi lasciare il tuo
migliore
amico in un momento così importante per lui. Non temere, non
mi accadrà nulla”.
“Non
è questo che temo”, disse Legolas. “Tu
sai come
difenderti, e ci sono abili combattenti con te. Ho paura che
tu…
decida di non tornare da me”.
“Legolas
sei uno sciocco”, disse Helkamirië. “Molto
presto sarò
di nuovo qui. Non credere di sfuggirmi, dobbiamo tornare al Reame
Boscoso e sposarci, lo hai dimenticato?”.
“Vuoi
forse dire…”.
“Si”,
disse la fanciulla. “La mia risposta è si, con
tutta me
stessa. Si”.
A
quelle parole, Legolas spalancò gli occhi per la sorpresa e
sollevandola fra le braccia la fece girare, ridendo felice, mentre
Helkamirië rideva con lui, pensando che non esisteva, per lei,
suono più bello della sua voce. Quando l’Elfo si
fermò
gli prese il viso fra le mani, posandogli un dolce bacio sulle
labbra, e facendogli un’ultima carezza, si
allontanò verso
le scuderie dove era attesa dagli altri viaggiatori.
La
prima tappa del viaggio era Edoras, così Helkamirië
percorse la strada accanto a Dama Eowyn, la quale dal canto suo,
continuava a lanciarle occhiate furtive.
“Dama
Eowyn”, disse Helkamirië. “Ho saputo che
hai affrontato un
nemico molto temibile sui Campi del Pelennor”.
Eowyn
trasalì sentendosi scoperta, poiché quando
Helkamirië
aveva parlato, lei la stava osservando.
“Ti
hanno informata bene”, disse. “Ho affrontato il
Cavaliere Nero,
senza sapere chi lui fosse, poiché il mio interesse era
proteggere Theoden. In quel momento non capivo nulla, volevo soltanto
combattere”.
“Comprendo
questa sensazione”, disse Helkamirië.
“Tu
comprendi, mia signora?”, disse Eowyn. “Credevo che
non ci
fossero guerriere fra gli Elfi, ma soltanto donne di indicibile
bellezza e leggiadria”.
“Certamente
la maggior parte di noi corrisponde alla tua descrizione”,
disse
l’Elfo con un sorriso bonario. “Eppure, fra gli
Eldar ci sono
donne come me, o la mia stessa madre, che sviluppano abilità
guerriere. Noi siamo come te, Dama Eowyn: non ci piace aspettare o
stare a guardare mentre i nostri uomini rischiano la vita. E inoltre,
a mia madre a me piace combattere”.
Eowyn
si voltò a guardarla con un luminoso sorriso sul volto, il
sorriso di chi ha infine incontrato qualcuno che lo comprenda fino in
fondo. Ora poteva osservarla senza nascondersi e si trovò
pienamente d’accordo con coloro che parlavano della
leggendaria
bellezza degli Elfi; la luce di Elbereth, poi, faceva risaltare la
delicatezza dei suoi tratti, rendendola affascinante anche per la sua
razza.
“Dama
Helkamirië posso farti una domanda?”, disse
timidamente.
“Certamente,
Dama Eowyn”, disse l’Elfo. “Cosa vuoi
chiedermi?”.
“Ecco…
io volevo sapere di questa luce”, disse Eowyn. “A
Minas Tirith,
alle Case di Guarigione, molti parlavano quasi con terrore di un
luminoso Elfo che sembrava un astro disceso dal cielo. Ora so che sei
tu, eppure non riesco a spiegarmi da dove viene”.
“Tutti
coloro che mi vedono per la prima volta, mi pongono la stessa
domanda”, disse Helkamirië ridendo.
“Questo è un dono
di Elbereth, per recare conforto alle genti della Terra di Mezzo; non credo fosse terrore quello che sentivi nelle voci a
Minas Tirith: forse era stupore, ammirazione perfino, ma di sicuro
non era paura. In effetti, noi ci eravamo già incontrate
prima: avevo seguito Sire Aragorn a Dunclivo, ma poi ci siamo
separati e io ho preso la strada per la Bianca Città.
Allora,
però, non potevi accorgerti del mio dono, perché
ero
completamente avvolta nel mio manto”.
Helkamirië
ed Eowyn conversarono spesso durante il viaggio, procedendo con i
loro cavalli affiancati; ben presto, giunsero a Edoras e dovettero
separarsi.
“Fa’
buon viaggio, Helkamirië”, disse Eowyn
abbracciandola. “Spero
di rivederti un giorno”.
“Grazie
Eowyn”, disse Helkamirië. “Mi rivedrai
molto presto, io
tornerò a Minas Tirith e suppongo lo farai anche tu. Per
Faramir, se le voci che mi sono giunte sono vere”.
Eowyn
arrossì leggermente a quelle parole, ma sorrise felice.
Helkamirië proseguì il viaggio accompagnata da
Elladan ed
Elrohir e ben presto giunsero in vista del Bosco d’Oro.
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Capitolo 30 *** 29 ***
Non
appena varcarono i confini di Lothlorien, Helkamirië
avvertì
nuovamente la sensazione di essere entrata in una campana di vetro,
ma ora che sapeva che Galadriel era la custode di uno dei Tre, sapeva
anche che quella sorta di ‘barriera’ non serviva a
bloccare lei,
ma a preservare il Reame Beato. Percorsero a ritroso la via che lei
stessa aveva intrapreso quando era andata via, guadarono il Celebrant
e tornarono sul sentiero fino a Caras Galadhon.
Gli
Elfi di Lorien intonarono canti di benvenuto per i figli di Elrond e
di bentornata per Helkamirië, la quale lasciò che
qualche
lacrima solitaria scendesse dai suoi occhi ad esprimere la gioia per
il ritorno. Celeborn e Galadriel li aspettavano su loro talan
e vi si trovavano anche Elrond e sua figlia Arwen Undomiel, con
grande sorpresa di Helkamirië.
“Helkamirië”,
disse Galadriel, non meno stupita. “Sei tornata davvero! Ho
creduto
che Haldir sbagliasse, tratto in inganno dal manto che ti
copriva”.
Improvvisamente, il suo volto e il tono di voce si fecero seri.
“Devi
ancora delle spiegazioni a Celeborn e me. Non avresti dovuto fuggire
così, come una ladra”.
“Ti
domando perdono, mia signora”, disse Helkamirië.
“E anche a
te, Sire Celeborn. Tuttavia non sono affatto pentita del mio gesto:
io desideravo recarmi a Fangorn per avere notizie di Legolas. Dopo la
loro partenza, era passata esattamente una settimana, nonostante mi
trovassi sotto la tua protezione avvertii un’ombra calare su
di me;
successivamente ho saputo che si trattava di uno Spettro
dell’Anello
avvistato dalla Compagnia e che avevo condiviso le emozioni del mio
compagno. In ogni modo, a Fangorn non ho avuto notizie ma mi sono
trovata coinvolta nella distruzione di Isengard; in seguito ho
accompagnato Sire Elessar a Dunclivo e da lì sarei potuta
ripartire quando egli si avviò per i Sentieri dei Morti,
però
ho preferito offrire il mio seppur modesto aiuto a Minas Tirith. Mi
è
mancata l’occasione di combattere sui Campi del Pelennor e
così
mi sono recata al Nero Cancello per l’ultima battaglia; sono
rimasta a Minas Tirith fino all’incoronazione di Elessar, su
sua
richiesta, e quando ho saputo che i figli di Messere Elrond stavano
per recarsi a Lothlorien, ho deciso di accompagnarmi a loro e
ritornare per spiegarvi”.
“E
lo hai fatto”, disse Celeborn. “Ora sappiamo quale
ragione ti ha
spinta a partire, e anche se non condivido la tua scelta, posso
capirla”.
“Per
me è lo stesso”, interloquì la Dama.
“Credo che
dovrò abituarmi a ricevere soltanto visite saltuarie da
parte
tua. Oramai, Legolas ha portato a termine il suo compito e
Loth-o-Doltaur ritornerà fra la sua gente, divenendone la
Principessa”.
“Ritornerò”,
disse Helkamirië. “Ma non so se avrò il
tempo di essere
la Principessa. Nonostante il tuo avvertimento, Legolas ha udito il
Richiamo del Mare a Pelargir e non so per quanto riuscirà a
vivere in pace nel Reame Boscoso, prima che esso diventi troppo
forte. Io sarò la sua sposa e questo comporta che io lo
debba
sostenere, qualunque sia la sua decisione; se volesse partire dai
Rifugi Oscuri, io andrei con lui”.
“Forse
grazie a te riuscirà a resistere”, intervenne
Elrond. “La
tua presenza potrebbe essergli di sufficiente conforto da indurlo a
restare ancora; conosco Legolas e non credo che abbandonerà
Elessar. Almeno fin quando egli avrà vita”.
Arwen,
che non aveva proferito parola, nell’udire
quell’ultima frase di
suo padre, aveva chinato il capo. “Scusatemi”,
disse. “Chiedo
il permesso di uscire”.
“Certamente,
nipote mia”, disse Celeborn. “Lorien è
casa tua, puoi
recarti dove più ti aggrada”.
“Domando
perdono”, disse Helkamirië. “Prendo
congedo; devo
organizzare la mia partenza, dal momento che ritornerò a
Minas
Tirith”.
In
realtà, Helkamirië aveva notato
l’atteggiamento di
Arwen, e desiderava sapere quale fosse il motivo del suo turbamento.
Non
appena aveva lasciato il talan
della
Dama,
Helkamirië aveva seguito Arwen fino alla verde conca dove si
trovava lo Specchio di Galadriel. La Stella del Vespro si era accorta
di lei, ma non l’aveva scacciata: forse, non voleva davvero
rimanere sola come credeva.
“Un
tempo venivo spesso qui”, disse. Helkamirië si
avvicinò
e si sedette accanto a lei, su una roccia. “Allora vivevo a
Lorien,
fra la gente di mia madre; e non conoscevo Estel, il mio cuore non
batteva ancora solo per lui. Mi rifugiavo qui quando desideravo
sfuggire alla sorveglianza di Galadriel. Immagino tu sappia di cosa
parlo”.
“E’
così”, disse Valienna. “La Bianca Dama
sa come esercitare
la sua autorità”. Arwen sorrise e
Helkamirië si sentì
incoraggiata a continuare. “Cosa ti turba Dama Arwen? Sei
forse
pentita di aver scelto la mortalità per rimanere accanto a
Estel?”.
“No”,
disse Arwen. “Non sono pentita; questo è
l’unico modo per
noi. Mentre ti ascoltavo, poco fa, pensavo a quanto siete fortunati
tu e Legolas: avete l’eternità da trascorrere
insieme. Io
avrei desiderato poter condividere la mia immortalità con
Estel, tuttavia sono immensamente felice; più di ogni cosa
voglio essere la sua sposa e trascorrere il tempo che Iluvatar
vorrà
concederci con lui. No, non rimpiangerò mai la mia scelta,
anche se inizialmente sarà difficile per me: i miei sforzi
saranno tesi alla felicità con Estel”.
“Hai
ragione, Dama Undomiel”, disse Helkamirië.
“E’ questo che
bisogna fare quando si ama qualcuno; da parte mia, non desidero
lasciare la Terra di Mezzo, e il mio desiderio sarebbe vivere per
sempre nel Reame Boscoso dopo esserne rimasta lontana tanto a lungo.
Eppure, se Legolas sentisse il bisogno di partire, io lo seguirei
senza esitazioni: mi basta averlo accanto, per essere felice
ovunque”.
“Non
temere, Dama Helkamirië”, disse la Stella del
Vespro. “Io
conosco bene il Principe di Dol Taur, Legolas è come un
fratello per me. Non vorrà partire se tu gli starai vicina;
ti
ama all’eccesso e sicuramente saprà che tu
desideri
rimanere: si farà bastare il conforto di Elbereth, almeno,
come ha detto mio padre, fin quando Estel avrà vita. Dopo,
forse, salperà per Valinor”.
“Non
avercela con tuo padre”, disse Helkamirië.
“Egli sta
soffrendo la pena più atroce che un genitore possa
sopportare:
vede sua figlia allontanarsi da lui e sa che questo sarà un
distacco definitivo, oltre la Fine del Mondo. Come puoi biasimarlo
per il suo dolore?”.
“Credi
che io non soffra?”, sbottò Arwen.
“No,
non lo credo”, disse Valienna. “Ma tu rimani per
tua scelta e ti
resterà la consolazione di vivere una vita mortale con
l’Uomo
che ami. Elrond non ha potuto far altro che subire la tua scelta e
anche se a Valinor ritroverà tua madre, tutta la sua vita
eterna non basterà a sanare il suo cuore di padre”.
“Ho
già pianto tutte le mie lacrime per questa
scelta”, disse
Arwen. “Non tornerò su di essa”.
“Non
devi”, disse Helkamirië. “Trovo che sia la
decisione più
giusta e io ti starò sempre accanto quando vorrai sfogarti,
anche se ho la sensazione che non ne avrai affatto bisogno: sono
certa che sarai la Sovrana più felice che il Regno di Gondor
abbia mai avuto!”.
Arwen
le sorrise ed entrambe si alzarono, lasciando la conca.
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Capitolo 31 *** 30 ***
Molto
presto Arwen Undomiel lasciò il regno di Lothlorien con il
suo
seguito di cui facevano parte suo padre, i suoi fratelli e molti Elfi
di Imladris, ma anche Sire Celeborn e Dama Galadriel,
Helkamirië
e un gruppo di genti di Lorien. Viaggiavano senza fretta e con
tranquillità, poiché ormai erano pochi i pericoli
che
avrebbero potuto minacciarli; fra gli Elfi di Imladris c’era
anche
Glorfindel, e Helkamirië aveva tentato più volte di
parlare con lui, ricevendone solo parole fredde e un atteggiamento
distaccato, quando non duro. La fanciulla era ferita da tale
comportamento, e pensò di parlare a Elrond perché
intercedesse per lei, così il giorno successivo, si
affiancò
al Signore di Imladris.
“Messere
Elrond, posso parlarti?”, disse.
“Certamente,
mia signora”, disse l’Elfo. “Qualcosa ti
turba?”.
“In
realtà è così”, disse
Helkamirië.
“Riguarda il nobile Glorfindel. Sicuramente sarai a
conoscenza
della proposta di matrimonio che mi fece e che io rifiutai,
perché
il mio cuore già apparteneva a Legolas. Ebbene, ho tentato
più
volte di conversare con Glorfindel durante questo viaggio,
però
egli non risponde alle mie parole e se lo fa è duro e
freddo”.
“Non
dovresti meravigliarti”, disse Elrond. “Glorfindel
è stato
ferito dal tuo diniego, invero, egli era certo che tu ricambiassi i
suoi sentimenti, perciò si aspettava che tu accettassi. Ha
bisogno di tempo per assimilare la cosa, se tu lo forzassi,
otterresti esattamente l’effetto opposto”.
“Capisco”,
disse Helkamirië. “Tuttavia, ti prego Messere
Elrond, cerca di
convincerlo a perdonarmi: io non avevo intenzione di fargli del male,
ma non sarebbe stato giusto accettare la sua proposta soltanto per
non farlo soffrire”.
“E’
vero”, disse l’Elfo. “Non posso
assicurarti che riuscirò
a convincerlo, ma tenterò”.
“Grazie,
mio signore Elrond”, disse Helkamirië
allontanandosi. Il resto
del viaggio trascorse tranquillamente, tuttavia la fanciulla non
tentò più di parlare a Glorfindel, per dare modo
a
Elrond di persuaderlo. Ben presto raggiunsero l’Anorien, e il
giorno di Primo Lithe, Arwen Undomiel giunse infine a Minas Tirith.
Helkamirië
avrebbe voluto galoppare avanti, ma Galadriel le ingiunse di rimanere
con le genti di Lorien. La fanciulla si liberò dello scuro
manto con la Valacirca, sotto al quale indossava, data la stagione,
una veste rossa molto leggera che lasciava trasparire tutta la luce
di Varda. Condusse Carnemirië al trotto, entrando nella Bianca
Città subito dopo Sire Celeborn e Dama Galadriel,
esattamente
al centro del corteo che introduceva Arwen Undomiel, la quale
giungeva per ultima.
Continuarono
a cavalcare, percorrendo tutti i livelli di Minas Tirith, fin quando
giunsero alla Cittadella, ove gli stallieri li attendevano per
prendere in consegna i loro destrieri, ed essi ne varcarono
l’ingresso nello stesso esatto ordine in cui avevano
attraversato
il Cancello. Soltanto Glorfindel si portò più
avanti,
andando a raggiungere Helkamirië alla quale porse il braccio
cui
lei si aggrappò felice.
Aragorn
li attendeva nella piazza dove aveva piantato il virgulto
dell’Albero
Bianco che aveva rinvenuto pochi giorni prima sul Mindolluin. Man
mano che avanzavano, gli Elfi si disposero sui due lati, mentre al
centro procedevano Elrond e Arwen; l’Elfo congiunse le mani
di sua
figlia e di Estel, dopodichè anch’egli si mise da
parte,
inchinandosi come tutti gli altri al nuovo Re degli Uomini. Concluso
il saluto ufficiale, Helkamirië corse ad abbracciare i due
innamorati.
“Congratulazioni,
mio Re”, disse. “E mia futura Regina”.
“Helkamirië”,
disse Aragorn, “ti ho già detto che io non
sarò mai
il tuo Re, soltanto un caro amico”. La prese per le spalle,
facendola voltare verso l’ingresso del Palazzo.
“C’è
qualcuno che ti aspetta da molto tempo e desidera rivederti”,
disse.
Helkamirië
era sicura che si trattasse di Legolas, ma quale non fu la sua gioia
e la sorpresa quando, accanto al suo compagno, distinse
Ëaralad
ed Arelen che la guardavano commossi e felici.
“Padre!
Madre!”, urlò, correndo verso di loro. Si
rifugiò fra
le braccia di sua madre, mentre suo padre le abbracciò
entrambe. “Madre mia, mi siete mancati tanto!”.
“Anche
tu ci sei mancata, mia piccola gwilwileth”,
disse Arelen. “Ma ora tornerai a casa!”.
“Legolas
ci ha raccontato tutto”, disse Ëaralad.
“Ci ha detto che voi
vi amate, perciò mi sembra crudele costringervi a stare
così
lontani”.
“Quando
vi sposerete?”, disse Arelen.
“Non
abbiamo ancora stabilito una data”, intervenne Legolas.
“Sappiamo
solo che sarà al Reame Boscoso. Lothlorien è uno
splendido reame ma Dol Taur è casa nostra”.
Helkamirië
si sciolse dall’abbraccio dei suoi genitori e si
avvicinò a
Legolas, cingendogli il collo; l’Elfo ricambiò la
sua
stretta circondandole la vita con le braccia e posandole un bacio
sulla fronte.
“Sei
stata via a lungo”, disse. “Cominciavo a pensare
davvero che non
saresti ritornata da me; e quando ti ho vista con il nobile
Glorfindel, poco fa…”.
“Sciocco
Legolas!”, esclamò Helkamirië;
“Non dire una parola
di più. Ti avevo promesso che sarei ritornata, e
d’altra
parte, perché mai non avrei dovuto? Glorfindel mi ha solo
offerto il braccio; se non lo avesse fatto lui, forse sarebbe stato
Elladan, o Elrohir, o qualcun altro”.
Legolas
la fissò e scoppiò a ridere, vedendo il finto
broncio
che Helkamirië ostentava.
“Lirimaer,
come potrei vivere senza di te?”, disse.
“E’
semplice: non potresti”, disse la fanciulla ridendo, mentre
Legolas, incurante della presenza di Ëaralad e Arelen, si
chinò
a baciarla con passione.
Il
giorno seguente, il Giorno di Mezza Estate, si celebrarono le nozze
tra Elessar e Arwen; la cerimonia si svolse nella Piazza della
Cittadella, alla presenza di tutti gli abitanti di Minas Tirith,
degli Elfi che avevano accompagnato la Regina e naturalmente, dei
membri della Compagnia dell’Anello. Al termine della
cerimonia, un
coro di fanciulle Eldarin, tra cui Helkamirië,
intonò un
canto per loro.
“O
môr henion i dhû:
ely
siriar, el sila.
Ai!
Aniron Undomiel
Tiro!
El eria e môr.
I’lir
en el luitha’uren
Ai!
Aniron…”.
Arwen
le sorrise commossa, mentre Helkamirië, insieme alle altre, si
inchinava al cospetto dei Sovrani di Gondor.
Nel
pomeriggio, mentre passeggiava con Legolas, furono raggiunti dagli
Hobbit, i quali desideravano complimentarsi per il canto.
“Dama
Helkamirië, cosa significa la canzone di oggi?”,
chiese il
giovane Tuc.
“Non
è semplice da rendere nella Lingua Corrente”,
disse
Helkamirië; “Ma penso che il significato sia
all’incirca
questo:
Dall’oscurità
comprendo la notte:
i
sogni scorrono, una stella brilla
Ah!
Desidero la Stella del Vespro
Guarda!
Una stella sorge dall’oscurità.
Il
canto della stella incanta il mio cuore
Ah!
Desidero…”.
“Davvero
delle belle parole”, disse Frodo. “Chi è
stato a
scriverle?”.
“Una
fanciulla di Lothlorien”, disse Helkamirië.
“Si chiama Enyal
e suo padre appartiene alle genti di Imladris, mentre sua madre
è
una dei Galadhrim; era una delle damigelle della Regina,
perciò
conosceva bene le sue pene d’amore, e grazie al suo talento
ha
composto questo meraviglioso canto”.
In
quel momento, un servo annunciò che il banchetto stava per
cominciare e i quattro Hobbit si dileguarono; Legolas
accompagnò
Helkamirië all’estremità della Piazza
della Cittadella,
da dove si poteva ammirare tutta la piana del Pelennor e
l’Anduin
scorrere in lontananza come un nastro argentato.
“Quella
fanciulla, Enyal”, disse Legolas. “Dovremmo
chiederle di comporre
un canto anche per il nostro matrimonio”.
“Temo
sia impossibile”, disse Helkamirië.
“Perché?”,
disse l’Elfo. “Mi sembrava che quello per Aragorn e
Arwen ti
piacesse tanto”.
“E’
così”, disse la fanciulla. “Ma Enyal
starà già
allietando le strade di Valinor con i suoi canti. Ha raggiunto i
Rifugi Oscuri non appena Arwen è partita per raggiungere
Aragorn. Enyal era sempre stata damigella di Arwen e rifiutava di
vedere la sua amata signora invecchiare e morire come gli Uomini. Il
componimento è stato il suo regalo
d’addio”.
“Io
la capisco”, disse. “Sono felice per Aragorn, ma
conosco Arwen
sin da quando eravamo bambini, e so già che non
sarà
facile per me vedere il bellissimo viso della Stella del Vespro
portare i segni degli anni e poi vederla morire. È una
grande
perdita per il nostro popolo”.
Helkamirië
abbracciò Legolas e questi ricambiò, baciandole i
capelli, così restarono stretti a guardare il tramonto.
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Capitolo 32 *** 31 ***
La
Compagnia trascorse ancora qualche giorno a Minas Tirith, fin quando
vi ritornò anche Eomer, giunto a riprendere Theoden
perché
fosse sepolto nella sua patria, a Rohan. Al suo arrivo
partecipò
ad un banchetto durante il quale potè ammirare le Dame
elfiche
presenti, pur se non risolse la sua controversia con Gimli, aperta
all’epoca della Caccia agli Uruk-hai, quando il Signore del
Mark
aveva avuto parole sprezzanti per Galadriel nonostante non
l’avesse
mai vista. Egli, infatti, affermò che non poteva ritenere
Dama
Galadriel la più bella, giudicando ancora più
meravigliosa la Regina Stella del Vespro. Pipino, che sedeva accanto
a Gimli, decise di intervenire nella discussione.
“Io
penso che sbagliate entrambi”, disse.
“Cosa
intendi, giovane Tuc?”, disse Gimli, mentre Eomer lo fissava
interrogativamente.
“Intendo
che esiste qualcuno ancora più bello ai miei
occhi”, disse
Pipino. “Mi riferisco a Dama Helkamirië; trovo che
sia
stupenda, anche per gli Elfi, e Frodo sostiene che nei suoi occhi si
può vedere un riflesso delle Terre Immortali, dove vanno i
Luminosi quando lasciano la Terra di Mezzo. Guardatela: lei non si
sente nobile come Dama Galadriel o la Regina Arwen, eppure lo
è;
questa grandezza inconsapevole aumenta l’effetto di quella
straordinaria luce. Forse in realtà non lo è, ma
ritengo che non ci sia creatura più meravigliosa”.
“Mi
stupisci, Pipino”, disse il Nano. “Non ti credevo
capace di
parole tanto profonde”.
“Forse
lo sottovalutavi”, disse Eomer. “E’
evidente che il piccolo
Holbytla prova una sconfinata ammirazione verso la luminosa Dama
Helkamirië”.
“E’
vero, mio signore Eomer”, disse Pipino. “E non
è difficile
capire perché: Dama Helkamirië è
l’unico Elfo,
oltre Legolas, che sia stata nostra amica. Gli altri Luminosi sono
stati gentili, ma in fondo sempre distaccati, mentre loro ci
sorridono con amicizia e hanno fatto di tutto per conoscerci e
aiutarci”.
Gimli
ed Eomer sorrisero al giovane Hobbit, pensando a quanto fosse
cresciuto da quando lo avevano conosciuto e il resto della serata
trascorse allegramente.
Il
giorno successivo la scorta funebre di Theoden si mise in marcia e
mai nessun sovrano di Rohan aveva avuto un tale seguito: insieme a
Eomer infatti, venivano i Sovrani di Gondor, la Compagnia,
Helkamirië, Celeborn e Galadriel e Elrond con i suoi figli.
Quando infine giunsero a Edoras, assistettero ai funerali e rimasero
alla reggia per qualche giorno, ospiti di Re Eomer,
dopodichè
partirono nuovamente, diretti al Fosso di Helm, dove Gimli
trascinò
Legolas nelle Caverne Scintillanti perché le ammirasse.
L’Elfo
tentò di convincere Helkamirië a seguirli, ma
questa si
rifiutò categoricamente di mettere piede sottoterra. Al
momento di ripartire, diretti a Isengard, Helkamirië convinse
Gimli a cederle ancora una volta il suo posto su Arod e montare
Carnemirië.
“Come
mai questo scambio, lirimaer?”,
disse Legolas.
“Perché
voglio trascorrere ancora del tempo con te”, disse
Helkamirië.
“Ancora non lo sai, ma io non tornerò a Dol Taur
con te,
adesso”.
“Perché?”,
disse l’Elfo. “Non riesco a capire. Andrai a
Lorien?”.
“Si”,
disse la fanciulla. “Ma non temere, non vi resterò
a lungo.
Devo soltanto sistemare alcune cose, dopodichè mi
metterò
in viaggio e tornerò a casa, al Reame Boscoso”.
“Da
me”, disse Legolas. “Ti aspetterò con
ansia. Purtroppo non
posso rimanere con te, devo partire appena possibile”.
“Quanta
fretta”, disse Helkamirië. “Cosa ti
aspetta di tanto
urgente?”.
“Mio
padre”, disse Legolas. “Quando i tuoi genitori sono
partiti
diretti a Minas Tirith, ha affidato loro un messaggio. Desidera
conferire con me riguardo alcune questioni territoriali e credo di
sapere già di cosa si tratta”.
“Sembra
che la cosa non ti piaccia”.
“Non
è soltanto questo”, riprese Legolas. “In
realtà
sono preoccupato”. Rallentò il cavallo, di modo da
trovarsi
al riparo da orecchie indiscrete. “Thranduil vuole
Esgaroth”.
“Il
regno di Brand?”, disse Helkamirië.
“Perché? tra gli
Uomini della Valle e gli Elfi del Bosco c’è sempre
stata
amicizia, e Re Thranduil non è un pazzo o un
despota”.
“E’
per via di Aragorn”, disse Legolas. “Da quando
è venuto a
conoscenza di chi siano i suoi antenati, ritiene che egli possa
aiutarci ad avere un regno più esteso, e siccome ha sempre
considerato inferiori a noi gli Uomini di Esgaroth, vuole che siano
nostri sudditi. Questo delirio di onnipotenza lo ha preso al tempo
della Battaglia dei Cinque Eserciti: allora si sentì
derubato
di qualcosa che gli apparteneva, anche se in realtà non
è
così. Spero di riuscire a fargli cambiare idea”.
“Devi
riuscirci”, disse Helkamirië. “Non posso
sopportare l’idea
di entrare in guerra con gli Uomini della Valle, tuttavia se Re
Thranduil lo comandasse non potreste rifiutarvi”. La
fanciulla
rimase intenta a riflettere per qualche momento. “Voglio
venire con
te!”.
“Helkamirië
non posso aspettarti!”, disse l’Elfo.
“Non
sarà necessario”, disse Helkamirië.
“Se parto subito
sarò di ritorno al massimo fra due giorni e vi
raggiungerò
a Isengard. Lascerò a qualcuno l’incarico di
riportare le
mie cose a Dol Taur, così potrò viaggiare leggera
e
accompagnarti”.
“E
sia”, disse Legolas. “Però ricorda: non
aspetterò
più di due giorni”.
“Stai
tranquillo”, disse la fanciulla. “Sarò
io a dover
attendere il vostro arrivo”.
Helkamirië
richiamò Carnemirië, parlò brevemente
con Celeborn
e Galadriel e dopo aver salutato Legolas sfrecciò via a
velocità inaudita.
Due
giorni dopo, i Viaggiatori avevano raggiunto il Cerchio di Orthanc,
dove gli Ent si erano dati da fare, riportando all’antico
splendore
il giardino che un tempo circondava la Torre di Saruman. Varcarono il
Cancello e raggiunsero Barbalbero, il quale consegnò ad
Aragorn le chiavi di Orthanc che si era fatto restituire da Saruman
prima di lasciarlo andare.
Legolas
si guardava intorno sperando di scorgere Helkamirië, ma
purtroppo sembrava che non fosse ancora arrivata; ad un tratto, tra
gli alberi vide Carnemirië pascolare tranquillamente. Scese da
cavallo e si avvicinò al destriero fulvo, il quale con la
sua
figura nascondeva Helkamirië che dormiva beatamente distesa su
un giaciglio di felci tra gli alberi. Si accostò a lei e si
piegò sulle ginocchia, stendendo il braccio per sfiorarle il
viso; la fanciulla si agitò un poco e socchiuse lentamente
gli
occhi, mostrando quel meraviglioso verde che racchiudevano. Sorrise
non appena vide che si trattava di Legolas e gli prese la mano nella
sua.
“Bene
arrivati”, disse. “E’ molto
tardi?”.
“No”,
disse Legolas aiutandola a rialzarsi. “Non è
ancora mezzodì.
Quando sei arrivata?”.
“Questa
notte, poche ore prima dell’alba”, disse
Helkamirië. “Ti
avevo assicurato che mi avresti trovata qui ad aspettarti, e
così
è stato. Possiamo partire subito se lo desideri”.
Legolas
annuì e così lui, Gimli e Helkamirië si
congedarono dal Re di Gondor e con il permesso di Barbalbero, presero
la via attraverso la foresta di Fangorn.
NdA: Mi rendo conto che Thranduil non fa una gran bella figura nella
mia fic, ma mi serve per la storia! Ho sfruttato l'impressione che mi
fece quando lessi per la prima volta Lo Hobbit, in particolare la parte
in cui si tratta la Guerra dei Cinque Eserciti. Chiedo scusa se
qualcuno potrebbe essere deluso o peggio, offeso, da questa mia idea
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Capitolo 33 *** 32 ***
Impiegarono
circa un mese per raggiungere il Reame Boscoso, ma infine
Helkamirië
potè rivedere gli alberi del proprio paese e la
città
di Thranduil. Gimli non volle varcare i Cancelli, preferendo
rimettersi subito in viaggio verso Erebor. La fanciulla lo
abbracciò
forte, commossa.
“Arrivederci,
Messer Nano”, disse. “Mi hai insegnato ad amare la
tua stirpe,
come un popolo di amici. Spero di incontrarti ancora un
giorno”.
“Lo
spero anch’io”, disse Gimli imbarazzato.
“Ricorda che mi devi
ancora una rivincita”.
Helkamirië
sorrise lasciandolo andare, mentre Legolas gli strinse semplicemente
la mano: le parole erano superflue in quel momento, quando entrambi
sapevano che la loro amicizia non sarebbe finita insieme alla
missione. I due Elfi rimasero a guardare l’amico allontanarsi
fin
quando non sparì alla vista, dopodichè
rimontarono a
cavallo ed entrarono nel Regno degli Elfi Silvani. Helkamirië
si
liberò del manto, lasciando che coloro che la guardavano
riconoscessero il loro Loth-o-Doltaur. Quando giunsero al cospetto di
Thranduil, videro che Ëaralad e Arelen si trovavano accanto al
Re, il quale venendo meno per una volta ai rigidi cerimoniali di
corte, abbracciò il proprio figlio.
“Finalmente
sei tornato, figlio mio”, disse. “E mi hai portato
un
meraviglioso dono: hai condotto a casa Loth-o-Doltaur”
“Non
ho portato un dono”, disse Legolas.
“Helkamirië sarà
la principessa di Dol Taur quando sarà mia sposa”.
“Legolas
abbiamo già parlato di questo”, disse Thranduil.
“Permettimi,
mio signore”, intervenne Helkamirië. “Io
so che avvenne
quella discussione e ho già accettato di sposare Legolas.
Sono
ritornata per lui e non per tornare sotto una campana di vetro. Se ti
opporrai a queste nozze, il tuo regno sarà di nuovo privo di
Loth-o-Doltaur e questa volta per sempre”.
“E
sia”, disse Thranduil. “Non opporrò
resistenza, se Messer
Ëaralad e Dama Arelen non hanno nulla in contrario”.
“Affatto,
mio Re”, disse Ëaralad. “Io e la mia
consorte desideriamo
soltanto la gioia di Helkamirië e siamo lieti di questa
unione”.
“Abbiamo
portato un dono per Legolas”, disse Arelen. “Se
volete seguirci,
si trova nel cortile esterno del palazzo”.
Innanzi
alle enormi porte del palazzo si apriva uno spiazzo erboso,
delimitato da filari di alberi secolari. Al centro del prato si
trovava un Elfo che conduceva un cavallo. Al loro arrivo tolse il
cappuccio dal capo e poterono vedere che non si trattava di altri che
di Ilderan. Non appena lo vide, Helkamirië si
precipitò
fra le sue braccia.
“Fratello
mio”, disse. “Mi sei mancato, sono felice di
rivederti qui, a Dol
Taur”.
“Fratello?!”,
esclamò Legolas. “Vuoi dire che Ilderan
è tuo
fratello?”.
“E’così”,
disse Ilderan. “Perdonami Legolas, non volevo mentirti, ma se
avessi saputo la verità mi avresti allontanato come hai
fatto
con mia sorella, dopo la morte di Firiel”.
“Io…
non ho sospettato nulla”, disse Legolas.
“Helkamirië tu
sapevi?”.
“Helkamirië
non sapeva nulla”, disse Ilderan. “Quando si
è trasferita
a palazzo, sono entrato nel corpo delle guardie per starle vicino, a
sua insaputa”. Ilderan strinse la mano di
Helkamirië. “E’
strano che tu non abbia sospettato nulla: io ho chiamato quasi sempre
mia sorella per nome, sapevo molte cose sul suo conto, compreso il
motivo per cui era offuscata e abbiamo sempre avuto un atteggiamento
molto confidenziale, anche in tua presenza. Neppure il mio aspetto ti
dice nulla?”.
A
quelle parole Legolas osservò Ilderan e si
meravigliò
di non essersi accorto prima di quanto rassomigliasse a
Helkamirië;
i suoi lineamenti, così simili a quelli della sorella, erano
senza dubbio quelli di un Elfo di nobile lignaggio, e i suoi capelli,
scuri come la notte, erano sicuro retaggio dei Noldor, cui sua madre
apparteneva. Improvvisamente scoppiò a ridere e
attirò
a sé Helkamirië, che già temeva di aver
perduto la
sua fiducia.
“Credo
di doverti mostrare il nostro dono, mio Principe”, disse
Ëaralad.
“Che non è certo Ilderan, ma il cavallo che ha
portato con
sé”.
Ilderan
mostrò un meraviglioso destriero, il cui manto grigio come
il
crepuscolo era picchiettato da una quantità di piccole
chiazze
bianche; era un grande animale, possente ma, assicurò
Arelen,
molto veloce.
“E’
un cavallo elfico”, disse. “Viene da Valinor come
Carnemirië,
ed è stato il destriero del mio sposo; tuttavia non ha nome,
perché egli sapeva che sarebbe passato a un altro. Devi
essere
tu a darglielo”.
“Elennath”,
disse Legolas.
Nei
giorni successivi, Legolas e Helkamirië non ebbero molte
occasioni di vedersi: la fanciulla era ritornata alla dimora paterna,
e riceveva di continuo visite di cortesia degli Elfi di Dol Taur,
mentre il suo compagno era preso dagli impegni di palazzo. Quando
finalmente Legolas riuscì a raggiungere Helkamirië,
appariva stanco e turbato.
“Qualcosa
non va, Legolas?”, chiese Helkamirië.
“Sono
molto preoccupato”, disse Legolas. “Purtroppo avevo
ragione
riguardo le idee di mi padre”.
“Questo
non è il luogo adatto per parlarne”, disse
Helkamirië.
“Vieni con me”. Helkamirië condusse
Legolas nella propria
stanza, situata in una zona piuttosto appartata della dimora. Era un
ambiente estremamente luminoso, dotato di molte finestre che
catturavano la luce del Sole in ogni momento della giornata,
dall’alba al tramonto, ma velate da bianchi drappi che
producevano
una luce soffusa, dando un aspetto rilassante e accogliente. Anche i
mobili, dagli intagli raffinati ma semplici, erano di un legno molto
chiaro; a Legolas tutto sembrava studiato per far vivere
Helkamirië
nella luce cui apparteneva. “Ora puoi spiegarmi”,
lo riscosse
l’oggetto dei suoi pensieri, invitandolo a sedere su una
panca.
“Non
c’è molto da aggiungere”, disse
l’Elfo. “Come temevo,
mio padre vuole annettere Esgaroth al nostro reame; ho tentato di
convincerlo che è pura follia, ma non vuole darmi
ascolto”.
“Legolas,
ma è terribile”, disse Helkamirië.
“Possiamo tentare
qualcosa per fermarlo?”.
“No”,
disse Legolas. “Sono giorni che ci rifletto, e
l’unico modo è
una strada impraticabile”.
“Cosa
vuoi dire?”, disse la fanciulla. “Di quale strada
parli?”.
“Dovrei
prendere il posto di Thranduil”, disse l’Elfo.
“Tuttavia per
ottenere questo scopo dovrei comportarmi da traditore verso il mio
stesso padre: potrei sollevare il popolo perché gli ingiunga
di abdicare in mio favore. Ma come potrei poi tornare a guardarlo
negli occhi?”. Legolas si prese la testa fra le mani,
massaggiandosi le tempie. Helkamirië che era seduta accanto a
lui, lo costrinse a distendersi, posandosi il suo capo in grembo e
carezzandogli i capelli.
“Non
temere, Legolas”, disse. “Troveremo un altro modo.
Tu, però,
questa sera rimarrai qui: sarai nostro gradito ospite e più
tardi manderò un messaggero che lo riferisca a palazzo. Ora
devi riposare: sei molto stanco e le preoccupazioni ti logorano; puoi
rimanere qui, e io intanto ordinerò di preparare la stanza
per
gli ospiti”.
Helkamirië
costrinse Legolas a stendersi sul letto, mentre lei usciva dalla
stanza. Diede ordine di organizzare ogni cosa per la permanenza del
Principe e mandò un giovane Elfo e riferire che Legolas
avrebbe trascorso qualche tempo presso la famiglia della sua promessa
sposa.
Quando
ritornò in camera, Helkamirië trovò
Legolas
addormentato; giaceva su un fianco, così dalla camicia era
uscito un ciondolo. La fanciulla sorrise nel vedere che si trattava
del suo rubino, che l’Elfo non aveva mai smesso di portare
con sé,
e allungò una mano per risistemarlo sotto i vestiti, ma al
suo
lieve tocco Legolas aprì gli occhi.
“Perdonami,
non volevo svegliarti”, disse Helkamirië.
“Non
temere”, disse Legolas. “Non dormivo, ma questo
letto è
pervaso dal tuo profumo, che mi dà una grande
serenità”.
“Ne
sono felice”, disse Helkamirië. “Ho
mandato un messaggero a
riferire che sarai nostro ospite per qualche giorno; se sarai lontano
dal palazzo, riuscirai a pensare più lucidamente e troverai
una soluzione meno radicale al tuo problema”.
“Grazie
lirimaer”,
disse Legolas; mentre sentiva già che il sonno lo stava
prendendo, vide Helkamirië chinarsi a posargli un bacio sulla
fronte. La fanciulla, seduta sulla sponda del letto,
continuò
ad accarezzare i capelli di Legolas fino a che non fu sicura che
stesse dormendo, dopodichè lasciò la stanza per
raggiungere lo studio del proprio padre.
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Capitolo 34 *** 33 ***
Ëaralad
era seduto al proprio tavolo, circondato da una moltitudine di carte,
libri e pergamene varie, e immerso nella scrittura. Helkamirië
esitò un attimo davanti alla porta di legno scuro, poi
bussò
ed attese la risposta del padre per entrare.
“Padre,
posso disturbarti un momento?”, disse.
“Helkamirië,
sai che non disturbi mai”, disse Ëaralad.
“Avanti, siediti e
dimmi cosa ti turba”.
La
fanciulla prese posto nella sedia davanti al padre, guardandosi in
giro per un po’. La stanza era esattamente come la ricordava,
sempre ingombra di ogni genere di documenti e volumi, tanto che gli
scaffali dell’enorme libreria, che occupava
un’intera parete, a
stento li contenevano. Alle spalle della scrivania, due enormi
finestre davano luce all’ambiente durante il giorno, mentre
diversi
candelabri appesi alle pareti provvedevano all’illuminazione
notturna. Tutti i mobili erano in legno scuro, senza intarsi,
né
decorazioni, in linea con l’austerità di suo padre.
“Helkamirië?”,
la riscosse l’Elfo.
“Cosa?”,
lo fissò Helkamirië, riscuotendosi quando
capì
cosa voleva dire. “Scusa… in realtà
voglio sapere… sei
ancora il Primo Consigliere di Thranduil?”.
“Si,
lo sono”, disse Ëaralad.
“Perciò
tu sai quali sono i suoi propositi, vero?”, disse la
fanciulla.
“Se
ti riferisci a Esgaroth, sì, ne sono a
conoscenza”, disse
Ëaralad. “Ma devi sapere che non sono affatto
d’accordo.
Ritengo che sia una decisione folle: Re Elessar non
appoggerà
mai Thranduil, perciò questa guerra si risolverà
in un
inutile massacro di Elfi e Uomini. Stavo appunto studiando le antiche
leggi e la storia del Reame Boscoso nella speranza di trovare un modo
per fermare il Re”.
“E
hai trovato qualcosa?”, disse Helkamirië, speranzosa.
“Non
ancora, purtroppo”, disse Ëaralad.
“Legolas cosa ne pensa?”.
“E’
molto preoccupato”, disse la fanciulla. “Non riesce
a darsi pace,
e l’unica soluzione a cui riesce a pensare è
quella di
sollevare il popolo contro Thranduil; ma si tratta pur sempre di suo
padre, perciò si rifiuta di metterla in atto, e
d’altra
parte come biasimarlo?”.
“Legolas
ha buon cuore”, disse Ëaralad. “E non
sarebbe certo questa
la strada da percorrere”. L’Elfo restò
soprappensiero per
qualche minuto, con le mani giunte sotto al mento, poi di colpo
puntò
i suoi occhi dritti in quelli di sua figlia. “Ascolta:
sareste
disposti a ripartire per Minas Tirith?”.
“Certamente”.
“Ottimo”,
disse l’Elfo. “Nella città è
conservato il più
grande archivio di leggi che io conosca, e molte provengono
direttamente da Valinor e a esse ogni Elfo deve obbedienza. Tu e
Legolas dovreste avvertire il Re di Gondor del pericolo e chiedergli
di consentirvi di consultare la sua biblioteca, se ricordi ancora
quali sono le norme che ti feci studiare”.
“Le
ricordo perfettamente, padre”, disse Helkamirië.
“Hai sempre
ritenuto che la mente debba essere nutrita come il corpo
perché
essi agiscano in armonia”.
“E
tu sei stata un’ottima allieva”, disse
Ëaralad. “Ebbene,
se riuscissi a trovare una legge, o anche solo un accordo, che faccia
al caso nostro, dovrai portarla qui a qualsiasi costo, anche
rubandola se necessario. Non abbiamo altra scelta se vogliamo fermare
Thranduil”.
“Ti
ringrazio, padre mio”, disse Helkamirië alzandosi e
abbracciandolo. “Se Legolas sarà
d’accordo, partiremo
domani stesso”.
“Non
ringraziarmi, mia piccola gwilwileth”,
disse l’Elfo. “E’ mio dovere aiutare il
popolo di Dol Taur e di
conseguenza colui che sposerà mia figlia. Va’ da
lui,
coraggio”.
Helkamirië
si sciolse dall’abbraccio e uscì velocemente per
riferire a
Legolas ciò che aveva saputo.
Trovò
Legolas nella stanza ancora addormentato, e così sedette
nuovamente sulla sponda del letto, senza possedere il coraggio per
svegliarlo da quel sonno così sereno. Mentre lo osservava,
pensò a come avevano rischiato di perdere tutto, prima per
via
di un’ombra del passato e poi per una crudele guerra che,
però,
li aveva fatti ritrovare. Improvvisamente, Legolas spalancò
gli occhi e scattò a sedere terrorizzato.
“Legolas,
cos’è successo?”, disse
Helkamirië prendendogli il
viso fra le mani.
“Helkamirië”,
disse Legolas, stringendola fra le braccia come se temesse di vederla
svanire. “Sei qui, lirimaer.
Un’immagine terribile ha sconvolto il mio sonno: ho visto te,
morta, e il pugnale che ti aveva uccisa era nelle mie mani, sporco
del tuo sangue. Io non ti farei mai del male!”.
“Lo
so, Legolas, non temere”, disse Helkamirië
dolcemente. “E’
stata solo un’immagine, suggerita dal turbamento che stringe
il tuo
cuore in questi giorni”.
“No,
non è vero!”, esclamò Legolas, ancora
sconvolto.
“Questo è quello che accade agli Uomini, ma i
sogni degli
Eldar nascondono sempre un significato, più o meno chiaro.
Ti
ho detto cosa pensavo di fare per fermare mio padre: probabilmente il
mio sogno vuol dire che sto diventando un mostro e finirò
per
farti del male”. L’Elfo distolse lo sguardo, ma
Helkamirië
gli mise le mani sulle guance, costringendolo a guardarla.
“Devi
stare tranquillo”, disse la fanciulla. “Io conosco
il tuo animo e
l’amore che provi per me: so che non alzeresti un dito contro
di
me. E per quanto riguarda tuo padre… credevi di non avere
scelta.
Usciamo in giardino: l’aria fresca ti farà
bene”.
Helkamirië
condusse Legolas al giardino che si stendeva dietro la sua dimora,
percorrendolo fino a un piccolo stagno nel quale si specchiava
l’immensa mole di alberi secolari; decine di ninfee lo
punteggiavano rendendolo simile al cielo notturno, mentre fra le
radici degli enormi tronchi si nascondevano le niphredil,
racchiuse nelle loro tenere foglie dal colore così simile
agli
occhi di Helkamirië. Un sedile intagliato in un tronco si
trovava lungo la sponda e la fanciulla vi si sedette, invitando
Legolas a fare altrettanto.
“Ho
parlato a mio padre del nostro problema”, disse.
“Nostro?”,
disse l’Elfo sorridendo. “Vedo che prendi sul serio
il tuo futuro
ruolo di Principessa del Reame Boscoso”.
“Ecco…
è così”, disse Helkamirië.
“In fondo prima o
poi lo sarò, devo abituarmi a considerare anche miei i
problemi tuoi o del regno, giusto?”.
“Giusto”,
disse Legolas ridendo.
“Legolas,
verresti a Minas Tirith con me, domani?”.
“Domani?”,
disse Legolas. “Siamo tornati pochi giorni fa e i nostri
amici
saranno ancora in viaggio, non troveremmo nessuno ad
accoglierci”.
“Dobbiamo
andare per fermare tuo padre”, disse Helkamirië.
“Ti stavo
dicendo cosa abbiamo deciso io e Ëaralad; mio padre sa che
nella
Bianca Città sono conservate leggi di Valinor o da esse
derivate, cui noi Eldar dobbiamo obbedienza. Se ne trovassimo
qualcuna per fermare Thranduil, dovremmo portarla qui, anche a costo
di sottrarla illecitamente. Verrai con me?”.
“Certamente
lirimaer”,
disse Legolas. “Minas Tirith è la nostra unica
speranza.
Sarai una grande Regina, Helkamirië”.
“Dovrò
esserlo”, disse la fanciulla. “Per essere la degna
compagna di un
grande Re”.
Legolas
l’attirò a sé e Helkamirië
poggiò la
testa contro la sua spalla; rimasero così abbracciati ad
ammirare il tramonto che incendiava il mondo di rosso e oro.
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Capitolo 35 *** 34 ***
Il
mattino successivo, non appena sorse il Sole, si svegliarono pronti a
ripartire. Carnemirië ed Elennath erano già stati
caricati dei pochi bagagli che sarebbero serviti loro, e attendevano
dinanzi alla dimora, condotti da due servitori. Helkamirië non
prese con sé tutte le armi, ma non rinunciò alla
sua
spada e all’arco; quando raggiunse Legolas, vide che
anch’egli
aveva il proprio arco e il lungo pugnale bianco.
“Buongiorno
Legolas”, disse. “Hai riposato bene?!”.
“Magnificamente
lirimaer”,
disse Legolas. “Avevi ragione, stare lontano da palazzo mi ha
chiarito le idee, e ora mi sento più fiducioso: sono certo
che
ogni cosa andrà a posto, senza inutili spargimenti di
sangue”.
“Anch’io
ne sono sicuro”, intervenne una voce familiare.
“Ilderan”,
disse Legolas, “cosa fai qui così
presto?”.
“Credi
che Elennath sia giunto qui da solo?”, disse Ilderan.
“O non ti
ha meravigliato nemmeno trovare le tue armi in camera,
stamani?”.
Legolas
sorrise, divertito dall’atteggiamento di Ilderan; questi
aveva
sempre avuto frasi sarcastiche per lui, ma il Principe gli era grato
per questo: sapeva che si trattava di un modo per fargli capire
quanto la sua amicizia fosse sincera e non dettata dal suo rango.
“Grazie
amico mio”, disse Legolas. “Ti chiederei di unirti
a noi, ma
Thranduil potrebbe insospettirsi, perciò devi rimanere e
coprire il nostro viaggio”.
“Ragazzo,
cosa credi di fare?”, disse Ilderan. “Io ero
già un Elfo
adulto quando tu sei venuto al mondo, so sempre cosa fare, senza i
tuoi suggerimenti”.
Legolas
e Helkamirië scoppiarono a ridere a quelle parole e, dopo aver
salutato Ilderan, montarono a cavallo e si allontanarono di gran
carriera.
Il
viaggio sarebbe stato piuttosto lungo, tanto più che i due
Elfi avevano deciso si percorrere la Via sino a Esgaroth, entrando
nella Valle per potersi accertare che gli Uomini non sapessero dei
propositi di Thranduil. Apparentemente, essi erano troppo impegnati a
ricostruire le proprie case perché avessero avuto sentore di
un’altra guerra imminente, e Legolas e Helkamirië
ripartirono
più sollevati. Ormai erano vicini alle Cascate di Rauros
quando fecero uno strano incontro: un gruppo di quattro o cinque
soldati di Brand a cavallo, con un prigioniero.
“Domando
scusa”, disse Legolas a quello che sembrava il capo.
“Dove state
portando questo ragazzo? Sembra uno dei mercenari di Sauron”.
“E’
esatto, mio signore”, disse l’Uomo.
“E’ un mercenario di
Rhûn, ma non si tratta di un ragazzo: è una
fanciulla,
tuttavia si rifiuta di dire il suo nome”.
“Dove
la conducete?”, disse Helkamirië.
“A
Gondor”, disse l’Uomo. “A Minas Tirith
sapranno cosa fare di
lei”.
“Dovreste
darle un cavallo”, disse Legolas. “E’
crudele costringerla a
seguirvi a piedi”.
“Non
abbiamo altri cavalli”, disse l’Uomo. “E
nessuno di noi si fida
a cavalcare con lei. Siamo rimasti in cinque di una compagnia di
dieci uomini; gli altri li ha uccisi lei, tagliando loro la gola nel
sonno, prima che ci accorgessimo di cosa stava accadendo, e ha fatto
fuggire i cavalli, questi sono gli unici che abbiamo recuperato. No,
mio signore: è già troppo averle risparmiato la
vita.
Camminerà”.
“Lascia
stare Legolas”, disse Helkamirië. “La cosa
non ci riguarda.
In fondo merita di essere prigioniera”.
“Ma
Helkamirië…”.
“Andiamo”,
disse Helkamirië. “Abbiamo faccende ben
più gravi”.
“Tu
sei Legolas?”, interloquì improvvisamente la
prigioniera.
“Legolas Verdefoglia, il figlio di Thranduil di Bosco
Atro?”.
“Esatto”,
disse Legolas. “Ma se tu conosci il mio nome, non credi
dovresti
dirmi il tuo?”.
“No,
non lo credo”, disse la fanciulla. “Tuttavia te lo
dirò
ugualmente. Io sono Rhumine la Nera, membro della Gilda degli
Assassini dell’Occhio di Fuoco, il corpo
d’élite dei
mercenari al servizio dell’Oscuro Signore Sauron. E
l’Elfo al tuo
fianco”, disse fissando Helkamirië, “deve
essere Valienna,
colei per cui mi trovavo nei pressi di Bosco Atro quando
Barad-dûr
è caduta”.
Nel
sentire tali parole, Legolas divenne livido di rabbia e, sceso da
cavallo, si avvicinò a Rhumine puntandole il pugnale alla
gola.
“Cosa
vuoi da Helkamirië?”, disse tra i denti.
“Rispondi!”.
“La
sua bella testolina”, disse Rhumine. “Il mio
signore Sauron la
voleva per sé; ma la Gilda aveva già deciso che
nella
remota (apparentemente) possibilità che Egli venisse
sconfitto, lei lo avrebbe seguito. Io ero qui in attesa: quando il
mio signore è scomparso, io mi sono messa alla sua ricerca
per
strapparla agli Elfi”.
Legolas
sbiancò per la rabbia e avrebbe ucciso la fanciulla se
Helkamirië non l’avesse fermato.
“Lasciala
Legolas”, disse. “Ormai non potrà farmi
del male, è
una prigioniera. Andiamo via, abbiamo già perso tempo
prezioso”.
Legolas
rimontò a cavallo, fissando la prigioniera con astio.
“Mi
assicurerò che tu venga tenuta sotto chiave”,
disse
allontanandosi. “Non vedrai mai più
Helkamirië”.
“Non
giurarci”, gli urlò dietro Rhumine.
“Soltanto la morte
potrà farmi desistere”, sussurrò.
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Capitolo 36 *** 35 ***
Pochi
giorni dopo lo spiacevole incontro con Rhumine, Legolas e
Helkamirië
giunsero infine in vista della Bianca Città e prima di sera
varcarono i Cancelli. Il Re e la Regina non erano ancora ritornati,
tuttavia i due Elfi furono accolti con gioia da Sire Faramir, il
nuovo Sovrintendente di Gondor.
“Legolas,
Dama Helkamirië, cosa vi porta qui?”, disse loro
ricevendoli
nella Sala del Trono.
“Sire
Faramir”, disse Helkamirië chinando il capo.
“Non temere,
non si tratta di nulla di grave. Legolas mi ha accompagnata
perché
desidero, se possibile, consultare la Biblioteca e l’Archivio
della
Città. La fama della conoscenza in essi contenuta e nota
sino
al Reame Boscoso e non ho avuto il tempo di visitarli quando mi
trovavo qui”.
“Ti
capisco, mia signora”, disse Faramir con un sorriso.
“Ma non puoi
andarci stasera. Sarete stanchi e il Funzionario preposto ha
già
terminato per oggi”.
Sebbene
fossero delusi, gli Elfi non lo diedero a vedere, e parteciparono con
gioia alla cena in compagnia dei più alti dignitari di Minas
Tirith.
Al
mattino, Helkamirië si presentò di buon ora nella
Sala
del Trono, in attesa che vi giungesse Faramir; Legolas era sparito e
la fanciulla prese a camminare su e giù per la stanza,
sempre
più impaziente. Finalmente Faramir si presentò
nella
Sala, seguito da un Uomo vestito con la tunica nera e argento dei
servi di palazzo.
“Dama
Helkamirië”, disse. “Sapevo di trovarti
qui. Questo che vedi
è Bamahir, il Custode del Sapere di Palazzo. Ti
condurrà
alla Biblioteca e ti aiuterà se necessario”.
“Grazie,
mio signore Faramir”, disse Helkamirië.
“Mi recherò
subito lì se non è un problema”.
La
fanciulla seguì Bamahir fino ad un’ala poco
frequentata,
attraverso tortuosi corridoi e infine lungo una ripida scalinata che
sembrava voler scendere fino al primo livello della Città.
Un
pesante portone li attendeva al termine di essa e quando Bamahir lo
dischiuse, uno spettacolo impressionante si presentò agli
occhi di Helkamirië: file interminabili di scaffali, colmi di
volumi, rotoli e pergamene, che sembravano voler toccare il cielo
tanto erano alti. L’Uomo si accorse del suo straniamento e le
sorrise bonariamente.
“Non
temere, mia signora”, disse. “So bene che effetto
faccia la prima
volta, ma se sai già cosa cerchi ti aiuterò
volentieri”.
“Ti
ringrazio Bamahir”, disse Helkamirië. “In
effetti cercavo le
Leggi di Valinor”.
“Leggi
di Valinor?”, disse l’Uomo. “Non dovrebbe
essere una ricerca
molto lunga. Le Leggi, di Valinor o di Gondor che siano, sono
custodite in una stanza minore. Seguimi”. Il Funzionario
portò
Helkamirië in una seconda stanza, piccola se paragonata alla
precedente, ma egualmente stracolma di materiale. “Devi
sapere, mia
signora, che qui a Minas Tirith abbiamo sempre avuto grande
considerazione per il sapere, scritto nero su bianco, e questa
biblioteca ha continuato a crescere sin da quando Elendil e i suoi
figli ne portarono con sé da Numenor il nucleo originario.
Tra
gli scritti che portarono seco si trovava un nutrito gruppo di leggi:
le Leggi di Valinor, appunto, ciò che stai cercando. Ti devo
avvertire, però, che esse sono redatte in Valinoreano
e…”.
“Quenya”,
interloquì Helkamirië. “La lingua di cui
parli è
l’elfico Quenya e io la intendo benissimo, trattandosi della
lingua
madre dei miei stessi genitori. Mio padre è uno studioso e
un
ottimo insegnante”.
“Ti
domando perdono, Dama Helkamirië”, disse Bamahir.
“Io non
credevo che tu conoscessi tale idioma. Pochi fra gli Uomini e gli
Elfi la comprendono. In ogni caso, in questo scaffale troverai tutte
le Leggi che cerchi. Io ho del lavoro da svolgere nella stanza
principale, ma se hai bisogno di me devi solo chiamarmi”.
Bamahir
fece per andarsene, poi sembrò ripensarci.
“Un’ultima
raccomandazione: come puoi vedere la pergamena è molto
antica,
perciò maneggiala con estrema cura”.
Helkamirië
sorrise rassicurante e quando finalmente l’Uomo si
allontanò,
iniziò la sua ricerca.
Leggendo
i manoscritti, Helkamirië si rese conto che sotto la
classificazione di ‘leggi’ si trovava in
realtà materiale
eterogeneo: evidentemente, colui che aveva ordinato quei rotoli non
conosceva così bene la lingua di Valinor e aveva
identificato
come norme anche gli scritti in cui si davano semplici indicazioni,
come le prescrizioni per i riti in onore dei Valar o di Iluvatar.
Diversi di essi erano redatti in quella che doveva essere la lingua
di Numenor, perché si presentava come uno strano miscuglio
tra
il Quenya e quella che sarebbe poi diventata la Lingua Corrente. I
volumi erano davvero numerosi e senza che Helkamirië se ne
accorgesse, l’intera giornata era trascorsa.
“Mia
signora”, disse una voce alle sue spalle.
“Bamahir”,
disse Helkamirië, “qualcosa non va?”.
“Dobbiamo
andare”, disse l’Uomo. “Il Sole sta
calando e la Biblioteca
deve essere chiusa. Sire Faramir ti attende per la cena”.
“D’accordo”,
disse l’Elfo. “Tornerò
domattina”.
Helkamirië
seguì Bamahir in silenzio, totalmente immersa nei suoi
pensieri, fino alla Sala da Pranzo dove ad attenderla c’erano
Faramir e Legolas.
“Legolas!”,
esclamò. “Dove eri finito? Stamani sei
letteralmente
scomparso”.
“Ti
domando scusa, lirimaer”,
disse Legolas. “Ho passato tutto il giorno nei pressi del
Cancello
in attesa che giungessero gli uomini di Brand con Rhumine”.
“Oh
Legolas, dimenticala”, disse Helkamirië.
“E’ prigioniera,
non la rivedremo mai più”.
“Chi
è questa Rhumine?”, chiese Faramir.
“Un’assassina”,
disse Legolas. “Mercenaria di Rhûn e devota
all’Oscuro
Signore. È stata catturata da un gruppo di Uomini di
Esgaroth
che abbiamo incontrato nei pressi delle Cascate di Rauros, diretti
qui a Minas Tirith. Ha mostrato di conoscermi e quando le ho chiesto
chi fosse, mi ha rivelato senza timore di servire Sauron e che il suo
compito è uccidere Helkamirië”.
“Posso
fare qualcosa?”, disse l’Uomo. “Dimmi
Legolas, cosa posso fare
per renderti più tranquillo?”.
“Assicurami
che rimarrà prigioniera”, disse l’Elfo.
“Rinchiudila
nella più remota prigione della Città e dimentica
la
sua esistenza. Impedisci a chiunque di provare compassione per lei e
falla sorvegliare giorno e notte; da quanto riferito dagli Uomini
della Valle, è malvagia e infida e potrebbe
dimostrarlo”.
“Da
come ne parli”, disse Faramir, “sembra che si
tratti di un mostro
più che di una fanciulla. Tuttavia mi fido del tuo giudizio
e
se lo ritieni necessario farò ciò che mi hai
chiesto”.
Il
mattino seguente, Helkamirië tornò alla Biblioteca
con
Bamahir e accompagnata da Legolas. I due Elfi entrarono nella Stanza
Piccola e si misero entrambi al lavoro; apparentemente, i loro sforzi
non davano risultati, fin quando Helkamirië non
trovò una
pergamena diversa dalle altre.
“Guarda
questo Legolas”, disse. “E’ un documento
di chiara fattura
elfica, scritto da un certo Voronwë di Avallonë!
Questo
testo viene dalle Terre Imperiture!”.
“Cosa
dice?”.
“Vediamo…”,
disse Helkamirië. “La prima parte non ci interessa,
è
un breve resoconto dei rapporti intercorrenti tra Elfi e Uomini nei
primi anni di Numenor; però questo brano sembra fatto
apposta
per noi: ‘Agli Eldar, i Valar raccomandarono gli Edain.
‹‹
Perché voi siete i Primogeniti ››,
disse Manwë, ‹‹
E giovani sono ancora i Successivi. Essi non comprendono il dono che
Iluvatar ha fatto loro, in parte oscuro persino alle Potenze di Arda.
Necessitano della vostra guida, e vi accoglieranno, ma ben presto
invidieranno la vostra lunga vita; l’invidia li
porterà alla
collera e la collera li condurrà alla violenza, anche verso
gli Eldar. Tuttavia, voi dovrete, in quel frangente, mostrare la
saggezza che avete appreso sedendo fra le Potenze in Valinor e che
avete trasmesso ai vostri figli e ai figli dei vostri figli. Non
cedete alla violenza incontrollata, ma difendete le vostre vite; mai
si dica che gli Eldar attacchino gli Edain. Perché essi sono
i
Successivi e pallidi sono in loro i doni di cui risplendono i
Primogeniti ››’. Legolas non trovi che
sia perfetto?”.
“Si
lo è”, disse Legolas. “Ma come possiamo
portarla
all’attenzione di Thranduil?”.
“Non
possiamo sottrarla”, disse Helkamirië. “La
pergamena è
molto antica e se si rovinasse perderemmo un tesoro
inestimabile…
forse posso copiarla”.
“Non
funzionerebbe”, disse l’Elfo. “Mio padre
crederebbe che sia
opera nostra”.
“Abbi
fiducia”, disse la fanciulla. “Se mi do da fare
risulterà
identica all’originale, che non assomiglia a nulla che
Thranduil
abbia mai visto; però si tratterà di un lavoro
lungo,
non so se hai voglia di aspettare”.
“Aspetterò
lirimaer”,
disse l’Elfo con un sorriso; si mise seduto in un cantuccio,
a
braccia incrociate, tenendo lo sguardo fisso sulle spalle curve di
Helkamirië. L’argento celato nei suoi scuri capelli
li faceva
risplendere alla luce delle candele e Legolas si sorprese a fissare
incantato gli scintillii creati fra essi dalla brillantezza di
Elbereth e dal chiarore dei lumi. In quei momenti non potè
fare a meno di ringraziare i Valar per la fortuna di aver trovato la
fanciulla nella sua vita: credeva che senza il suo appoggio non
avrebbe saputo affrontare la situazione creatasi, e oramai non
avrebbe potuto fare a meno dell’amore di Helkamirië.
Finalmente,
dopo qualche ora, Helkamirië dichiarò di aver
terminato e
Legolas si avvicinò per vedere il risultato.
“Ma
sono… identiche”, disse.
“Helkamirië, io non riesco più
a distinguerle, sei stata bravissima!”.
“Ti
ringrazio”, disse Helkamirië. “Io so qual
è
l’originale, la pergamena ha una diversa consistenza e lo
sento al
tatto. Il problema, adesso, sarà portarla fuori”.
“Dalla
a me”, disse Legolas. Avvolse su sé stessa la
pergamena che
Helkamirië gli porgeva e la nascose in una tasca interna della
sua casacca, invisibile all’esterno.
“Perfetto”,
disse Helkamirië. “Ma siamo stati qui per ore, manca
ancora
qualcosa perché Bamahir non si accorga di nulla”.
La
fanciulla si avvicinò alla porta d’ingresso e
chiamò
Bamahir.
“Posso
aiutarti, mia signora?”, disse l’Uomo.
“Lo
spero”, disse la fanciulla. “Mi chiedevo se fosse
possibile
copiare del materiale”.
“Purtroppo
no”, disse Bamahir. “Esiste ancora un decreto del
defunto Sire
Denethor che lo impedisce”.
“Capisco”,
disse Helkamirië. “A questo punto, il mio lavoro
è
terminato. Ti ringrazio della tua disponibilità, Bamahir.
Arrivederci”.
“E’
stato un piacere, mia signora”, disse Bamahir.
“Arrivederci”.
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Capitolo 37 *** 36 ***
Nonostante
Faramir li avesse pregati di rimanere fino al ritorno di Aragorn e
Arwen, Legolas e Helkamirië ripartirono l’indomani
mattina di
buonora. Temevano di arrivare tardi, trovando il loro regno distrutto
dalla guerra. Varcando il Cancello di Minas Tirith, incontrarono gli
Uomini della Valle che conducevano Rhumine. Legolas le rivolse uno
sguardo colmo d’odio e fece per passare oltre, ma la
fanciulla si
piazzò davanti al suo cavallo.
“Credi
davvero che basterà una prigione a fermarmi?”,
disse.
“Ne
sono certo”, disse Legolas. “Nessuno è
mai fuggito dalle
carceri di Minas Tirith. Tu non sarai la prima”.
“Oh,
lo sarò”, disse Rhumine. “E allora farai
meglio a stare in
guardia o la tua donna sarà spacciata; anche se dubito che
riuscirai a fermarmi”.
“Allora
lo farò io”, disse Helkamirië.
“Ho teso agguati
nascondendomi nell’ombra per molte vite mortali; non mi
ucciderai
in questo modo, e se anche arrivassi a me… non potresti
competere
con la mia abilità”.
“Stupida
presuntuosa!”, urlò Rhumine. “Se non
fossi legata ti darei
una lezione immediatamente!”.
“Ti
farei slegare”, disse Helkamirië, “ma la
morte non sarebbe
una punizione. Trascorrerai la tua vita in galera, pagando per le
vite dei compagni di questi Uomini e per tutte le altre che hai
crudelmente stroncato. Addio Rhumine”.
Senza
indugiare oltre, Helkamirië spronò
Carnemirië al
galoppo, subito imitata da Legolas, ripartendo alla volta di Bosco
Atro.
La
strada del ritorno li condusse nei pressi di Dol Guldûr, o
meglio di ciò che ne rimaneva. Galadriel stessa aveva
distrutto le fondamenta della torre e purificato quella parte della
foresta che ora si chiamava Eryn Lasgalen, pur se nel cuore degli
Elfi sarebbe rimasto ancora a lungo Dol Taur.
“E’
meraviglioso poter percorrere nuovamente il Bosco”, disse
Legolas.
“Presto l’Oscurità lascerà
definitivamente questi
luoghi che torneranno verdi e luminosi. Sarà compito degli
Elfi far sì che ciò accada il prima
possibile”.
“Potresti
guidarli tu”, disse Helkamirië. “Quando
sarai il Re”.
“Si”,
disse l’Elfo. “Potrei”.
“Ma
non lo farai”, disse Helkamirië.
“Perché tu non
regnerai su Bosco Atro; ti ho sentito quel giorno alle Case di
Guarigione di Minas Tirith: nel tuo cuore si è destato il
desiderio del Mare e ciò vuol dire che non troverai
più
pace nelle foreste”.
“Ti
dispiace, lirimaer?”,
chiese Legolas. “Forse avresti preferito assumere il
trono?”.
“No,
Legolas”, disse Helkamirië. “Non mi
è mai piaciuta
l’idea di avere potere. Quando mi sono innamorata di te, il
fatto
che tu fossi il Principe ha soltanto reso inevitabile che ti
conoscessi, dato che vivevamo entrambi a palazzo! Ho una sola cosa da
chiederti: non partire da solo, portami con te”.
“Helkamirië”,
disse Legolas. “Ti avrei portata via con la forza se tu non
me lo
avessi chiesto. Rimani serena, non desidero ancora partire. Voglio
aiutare Aragorn fin quando la sua vita terrena non avrà
fine.
Tu mi dai la serenità che cerco”.
Ben
presto giunsero al Reame Boscoso e si diressero subito alla dimora di
Helkamirië perché Ëaralad esaminasse lo
scritto che
portavano con sé. All’interno della casa,
però,
regnava una strana agitazione.
“Helkamirië!”.
“Madre”.
“Figlia
mia”, disse Arelen. “Siete arrivati appena in
tempo. Il Re ha
convocato il Consiglio di Guerra”.
“Cosa?!”,
esclamò Legolas. “Ha riunito il Consiglio senza di
me? E
dov’è Ëaralad?”.
“Calmati
Legolas”, disse Arelen. “Tuo padre ti ha fatto
cercare e noi
abbiamo detto che eri fuori con la tua promessa sposa e che ti
avremmo avvertito; fortunatamente non ha chiesto di te mentre eravate
in viaggio e la nostra casa si trova isolata nel bosco. Il mio sposo
è ancora nel suo studio, puoi raggiungerlo”.
“Vai
Legolas”, disse Helkamirië. “Voi siete
l’ultima speranza
per il nostro regno”.
Legolas
le sorrise nervosamente e si allontanò quasi correndo per
raggiungere Ëaralad. Questi era nel suo studio, come aveva
detto
la sua sposa, e passeggiava avanti e indietro, incapace di trovare
una soluzione.
“Ëaralad!”,
esclamò Legolas, entrando come un fulmine.
“Legolas”,
disse Ëaralad. “Siete tornati finalmente! Ti prego,
dimmi che
avete trovato la legge che volevo. Il Consiglio è
l’ultima
occasione per fermare tuo padre”.
“Abbiamo
trovato qualcosa”, disse Legolas, porgendogli il rotolo.
“Non è
esattamente una legge, ma sembra fare al caso nostro.
Leggila”.
Ëaralad
scorse in fretta le poche righe e un sorriso di compiacimento
comparve sul suo volto.
“E’
perfetto”, disse. “Io ho ascoltato queste parole
del sommo Manwë
direttamente dalla sua bocca, ma non osavo sperare che qualcuno le
avesse trascritte. Spero di incontrare Voronwë quando
tornerò
al di là del Mare”.
Legolas
ignorò volutamente quell’accenno a una partenza,
consapevole
di quanto questo avrebbe fatto soffrire Helkamirië.
“Andiamo a
palazzo”, disse. “Non vorrei che mio padre
iniziasse il Consiglio
senza di noi”.
“Certo
hai ragione”, disse Ëaralad. “Anche se non
credo che lo farà
in assenza del Primo Consigliere”.
Legolas
e Ëaralad uscirono in tutta fretta diretti al Palazzo di
Thranduil, frementi per il timore che fosse troppo tardi, senza
parlare perché qualsiasi parola sarebbe stata vana e carica
di
preoccupazione. Davanti al Cancello trovarono Ilderan, teso come la
corda del suo arco.
“Finalmente”,
sbottò vedendoli arrivare. “Avete ciò
che ci occorre,
almeno?”.
“Si,
è qui”, disse Ëaralad. “Non
farci tardare figliolo,
dov'è il Re?”.
“Venite
con me”, disse Ilderan entrando nel Palazzo. “Il
Consiglio si è
appena riunito e le guardie non vi lascerebbero entrare”.
I
tre si incamminarono lungo gli interminabili corridoi della reggia
che ora, illuminati solo da strette feritoie e privi di ogni
ornamento, avevano un aspetto lugubre e solitario.
“Cosa
è accaduto alla mia dimora?”, disse Legolas.
“Tuo
padre vuole una guerra”, disse Ilderan. “E ritiene
che ogni
oggetto o mobilio non essenziale costituirebbe una distrazione per la
sua mente”.
Legolas
non rispose, ma il suo viso si era rabbuiato: non credeva, mai aveva
creduto che nella sua eterna vita avrebbe dovuto andare contro suo
padre. Finalmente raggiunsero la Sala del Consiglio e Ilderan ne
spalancò la porta d'ingresso, suscitando l'ira di Thranduil.
“Ilderan!”,
esclamò il Re. “Cosa significa tutto
ciò? Vuoi forse
essere destituito dalla tua carica?”.
“Ti
domando perdono, mio signore”, disse Ilderan.
“Purtroppo il mio
gesto è stato necessario: due membri eccellenti del
Consiglio
erano rimasti indietro”.
“Perdonaci
per il ritardo, padre”, disse Legolas, entrando con
Ëaralad.
“Potremmo essere aggiornati?”.
“Certamente”,
disse Thranduil a denti stretti. “Stavamo tentando di
stabilire
quale sia la strategia d'attacco migliore per infliggere più
perdite agli Uomini limitando le nostre”.
“Padre,
ti prego di ripensarci”, disse Legolas. “E' una
follia e...”.
“Silenzio!”,
esclamò Thranduil. “Legolas da quando sei
ritornato non fai
che ripetermi di desistere. Comincio a pensare che la tua missione ti
abbia condotto ad amare gli Uomini più di quanto
dovresti”.
“Ti
sbagli mio signore”, interloquì Ëaralad.
“Legolas
segue la condotta che ci richiedono i Valar”.
A
quelle parole, nella Sala si levò un fitto brusio che
Thranduil zittì con un gesto della mano. “Messere
Ëaralad”,
disse. “Noi tutti conosciamo le tue origini, ma questo non
presuppone che tu sappia in ogni occasione qual è il
pensiero
dei Signori d'Occidente”.
“Non
pretendo che mi crediate sulla parola”, disse
Ëaralad porgendo
la pergamena al Re. “Questo testo è stato redatto
da Voronwë
di Avallonë
in Tol Eressëa.
Vi è trascritto il volere di Manwë
e la sua parola è legge per noi tutti”.
Thranduil
lesse lo scritto e chinò il capo, rimettendolo sul tavolo;
sembrava che qualcosa si fosse rotto dentro di lui e quando
parlò
la sua voce era piatta e incolore.
“Potete
andare”, disse, senza alzare lo sguardo. “Il
Consiglio è
sciolto, non ci sarà alcuna guerra. E fate che il Palazzo,
ogni cosa, ritorni com'era”.
Gli
Elfi presenti lasciarono la Sala con il cuore in tumulto: nonostante
all'inizio nessuno di essi approvasse l'idea di invadere e
conquistare Esgaroth, il tempo e l'efficacia dialettica del Re li
avevano convinti che probabilmente egli era nel giusto, che si
trattava di un'azione necessaria al fine di dominare una razza
inferiore quale gli Uomini; il turbamento che ora scorgevano sul
volto di Thranduil, però, aveva fatto sì che
negli
animi dei Consiglieri riaffiorasse l'avversione per quella decisione,
tramutata in consapevolezza che mitigava la sete di conquista.
Ëaralad
uscì per ultimo, lasciando Legolas solo con il proprio
padre.
Questi levò appena lo sguardo, puntando i penetranti occhi
grigi in quelli, identici, del Principe.
“Vattene”,
disse. “Esci subito di qui”.
“Padre”,
disse Legolas. “Ti prego, ascoltami”.
“Non
voglio che tu dica niente”, disse Thranduil.
“Desidero solo che
mi lasci solo”.
Legolas
chinò il capo sconfitto e si rassegnò al fatto
che
forse suo padre non gli avrebbe più rivolto la parola.
“Perdonami”, sussurrò mentre si
richiudeva la porta alle
spalle.
Uscendo
dalla reggia si ritrovo innanzi Helkamirië, la quale gli
andò
incontro e gli prese le mani nelle proprie: in qualche modo, doveva
sapere quali fossero i suoi sentimenti in quel momento,
perché
non sorrideva e i suoi occhi erano velati di tristezza. Legolas
sentì
il desiderio impellente di abbracciarla e lei lo strinse a
sé,
carezzandogli la testa.
“Vuoi
parlare con me?”, disse.
“No”,
disse Legolas. “Ora non voglio parlare. Andiamo via, ti
prego”.
Helkamirië
prese Legolas per mano, conducendolo fino alla propria dimora;
davanti all'ingresso, Elennath e Carnemirië sembravano pronti
per un lungo viaggio. L'Elfo guardò la sua promessa sposa
interrogativamente.
“Andiamo
via”, disse Helkamirië. “Trascorreremo
qualche tempo a
Lothlorien, o a Imladris se preferisci. Rimarrò in contatto
con mio padre tramite Ilderan e quando le acque si saranno calmate,
torneremo”.
“Ilderan
non può fare la spola”, disse Legolas.
“E mia madre non è
al corrente di ciò che è accaduto, non posso
lasciarla
di nuovo”.
“Ilderan
non è più il capo delle guardie”, disse
Helkamirië.
“E per quanto riguarda la regina Morwen, mia madre
è già
andata da lei. Partiamo Legolas. Ti farà bene”.
“Mi
hai convinto”, disse l'Elfo. “Andiamo a
Lothlorien”.
Helkamirië
sorrise e si avvicinò a Legolas, posandogli un lieve bacio a
fior di labbra. “Quando ritorneremo”, disse,
“sarà tutto
perfetto”.
I
due montarono a cavallo e si allontanarono al galoppo, lasciandosi
alle spalle, ancora una volta, gli alberi secolari del loro Bosco
Atro.
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Capitolo 38 *** 37 ***
Giunsero
a Lorien che ormai l'Inverno era alle porte, accolti dai freddi aliti
che spiravano dalle Montagne Nebbiose; il reame di Galadriel era
splendido come non mai, nonostante i mellyrn
mostrassero già qualche ramo spoglio, e appariva
più
accogliente, privo di quella stretta sorveglianza che la guerra aveva
reso necessaria.
A
Caras Galadhon gli Elfi diedero loro il benvenuto intonando canti di
gioia e quando Helkamirië si levò il manto, furono
letteralmente circondati dai Galadhrim. Fra essi la fanciulla vide un
volto noto che riconobbe come quello di Haldir, la sentinella dei
Confini Settentrionali.
“Haldir!”,
esclamò.
“Mia
signora”, disse l'Elfo accostandosi a lei. “Dunque
ricordi ancora
il mio nome”.
“Potrei
forse dimenticarlo?”, disse Helkamirië.
“Il nome di colui
che mi ha salvato la vita, il mio più caro amico in questo
luogo, non lascerà mai la mia mente”.
“Ti
ringrazio, mia signora”, disse Haldir. “Cosa vi
porta a
Lothlorien? Volete forse conferire con i Signori?”.
“Si,
grazie Haldir”, disse Helkamirië.
“Potresti portarmi da
loro?”.
“Seguitemi”,
disse l'Elfo, facendosi largo fra la folla.
La
Radura della Fontana era esattamente come Helkamirië
ricordava,
ricoperta di piccoli cristalli di brina che rilucevano al Sole del
mattino come una miriade di diamanti. Il mallorn
che fungeva da palazzo per Celeborn e Galadriel le sembrò
ancora più imponente e per un attimo ebbe la sensazione che
crescesse sotto il suo sguardo, fin quando non prese a salirne la
scalinata che la riportò alla realtà. Davanti al talan
dei Signori esitò qualche momento, incapace di andare oltre.
“Qualcosa
non va, lirimaer?”,
disse Legolas.
“Non
lo so”, disse Helkamirië. “Non so
più se ho fatto la
cosa giusta, se sia stato un bene portarti via da Bosco Atro”.
Legolas
sorrise rassicurante e le prese la mano. “Ne parleremo
più
tardi”, disse. “Ora dovremmo entrare, non
è cortese che i
nostri ospiti debbano aspettarci”.
L'Elfo
la trascinò al cospetto di Sire Celeborn e Dama Galadriel, i
quali si alzarono andando loro incontro a braccia aperte. La Dama
strinse a sé Helkamirië, felice di riaverla nel suo
reame.
“Helkamirië”,
disse. “Quale gioia poter rivedere la tua figura nei campi di
Lothlorien”.
“Ti
ringrazio, mia signora”, disse Helkamirië.
“Anche io sono
felice di poter rivedere il Reame Beato. E il mio cuore si rallegra
di trovarti ancora in questi luoghi. Temevo che avessi già
lasciato le Sponde Orientali”.
“Resterò”,
disse Galadriel. “Tuttavia non so per quanto ancora
riuscirò
a vivere nella Terra di Mezzo”.
“Questo
è molto triste”, disse Legolas. “Il
Reame Beato non sarà
più lo stesso privato della sua Bianca Dama”.
“Immagino
di no”, disse Galadriel. “Ma non parliamo
più di partenze
e addii. A cosa dobbiamo la vostra visita?”.
Legolas
strinse la mano di Helkamirië per farsi coraggio prima di
rispondere. “Abbiamo avuto dei... problemi a Bosco
Atro”, disse.
“Questo non è il posto adatto per spiegarvi nel
dettaglio,
speravamo di trascorrere qui qualche tempo”.
“Lorien
è stata la casa di Helkamirië per diverse vite
degli
Uomini, Legolas”, disse Celeborn. “E lo
sarà di entrambi
fin quando lo desidererete”.
“Vi
ringrazio, miei signori”, disse Legolas. “Ci
congediamo”.
Dopo
aver salutato Sire Celeborn e Dama Galadriel, Legolas e
Helkamirië
raggiunsero la piccola radura che la fanciulla aveva scelto come
rifugio.
“Legolas”,
disse Helkamirië; “Per quale motivo hai voluto
venire qui?”.
“Qui
possiamo parlare”, disse Legolas. Esattamente come la prima
volta,
sedette appoggiando la schiena contro un albero e trascinò
Helkamirië con sé, stringendola forte.
“Di
cosa vuoi parlare?”, disse Helkamirië.
“Forse di tuo padre?
Non ne abbiamo più fatto cenno dopo quel giorno”.
“Lui
mi odia, Helkamirië”, disse Legolas. “Non
mi perdonerà
mai di aver frustrato i suoi progetti di conquista, e certamente mi
ritiene un traditore perché ho appoggiato Ëaralad.
Inoltre, temo che anche mia madre non abbia apprezzato il mio
gesto”.
“La
Regina Morwen approvava la guerra?”, disse
Helkamirië. “Non
riesco a immaginarlo, è talmente dolce e gentile”.
“No,
lei non voleva la guerra”, disse Legolas. “Quando
le dissi che
avrei cercato un modo per fermare Thranduil, però, lei mi
rispose che mio padre avrebbe dovuto rendersi conto da solo del suo
errore e che noi non avremmo dovuto interferire per non perdere il
suo affetto. Credo di non avere più una famiglia a Bosco
Atro,
lirimaer”.
“Questo
non è vero”, disse Helkamirië.
“Io non credo che i
tuoi genitori possano odiare il loro unico figlio. E se anche fosse,
tu hai me: ci sposeremo e avremo dei figli, e sarà quella la
tua famiglia”.
“Allora
sposami”, disse l'Elfo. “Qui nel Reame Beato,
subito”.
“Subito?!”,
esclamò Helkamirië. “Legolas, rifletti:
non vorresti
che i tuoi genitori fossero presenti? Non fraintendermi, ma
aspettiamo almeno di avere notizie da casa, d'accordo?”.
“Come
vuoi tu, Helkamirië”, disse Legolas.
“Però non farmi
attendere troppo”.
Il
tempo passava sereno nel Reame Beato e ben presto Legolas
potè
ammirare lo spettacolo che agognava: la Primavera a Lothlorien.
Proprio come recitavano i poemi, d'oro erano le foglie di mallorn
e d'oro era lastricato il terreno, dal quale spuntavano i fusti degli
alberi quali colonne d'argento. Fu in quel periodo sereno che giunse
Ilderan da Bosco Atro, portando notizie per il Principe; i Signori lo
ricevettero di buon grado e mandarono a chiamare Legolas e
Helkamirië, i quali rimasero non poco sorpresi di trovarlo a
Lorien.
“Mae
govannen,
Ilderan”, disse Legolas. “Cosa fai tu
qui?”.
“Porto
notizie per entrambi”, disse Ilderan. “Da Thranduil
ed Ëaralad”.
“Non
tenerci sulle spine, fratello”, disse Helkamirië.
“I Signori
sono come dei genitori per me e la corte non si trova qui,
perciò
parla liberamente”.
“Come
desideri, Helkamirië”, disse Ilderan. “Re
Thranduil vorrebbe
rivedere il suo amato figlio per chiedergli perdono e lasciare a lui
il compito di governare Bosco Atro; nostro padre, sorella mia, ti
chiede di ritornare perché possiate salutarvi prima che noi
tutti partiamo per i Rifugi Oscuri”.
“I
Rifugi Oscuri? Voi tutti?”, disse Helkamirië.
“Vorresti
forse dire che mi lasciate qui e tornate all'Ovest? Anche tu che
avevi giurato di rimanermi sempre accanto? Sei un bugiardo!”.
“Adesso
calmati, Helkamirië”, disse Ilderan. “Tu
puoi partire con
noi se lo desideri; e per quanto riguarda la promessa, non hai
più
bisogno che io ti stia accanto. C'è Legolas con
te”.
“Sei
uno sciocco Ilderan”, disse Helkamirië.
“E' per amore di
Legolas che io non partirò, perciò
sarò sola
nella nostra dimora, proprio ora che stavo per comunicarvi la notizia
delle mie nozze! Persino quel giorno non avrò nessuno della
mia famiglia”.
“Helkamirië
noi... non immaginavamo”, disse Ilderan. “Non
pensavamo a una
tale opportunità”.
“Ilderan”,
interloquì Legolas. “Non potreste almeno attendere
le nozze
prima di partire? Se le cose tra me e mio padre si sistemassero al
mio ritorno, organizzeremmo subito i preparativi”.
“Io
aspetterò”, disse Ilderan. “E penso di
poter affermare con
una certa sicurezza che anche i miei genitori faranno lo
stesso”.
“Ti
ringrazio”, disse Legolas. “Noi prepareremo al
più presto
il viaggio di ritorno, perciò spero che la vostra attesa non
sarà molto lunga. Quando hai intenzione di
ripartire?”.
“Domani
stesso”, disse Ilderan. “Il Re e mio padre
attendono delle
risposte. Ci rivedremo a Bosco Atro, Legolas”. L'Elfo strinse
la
mano a Legolas e fece per abbracciare Helkamirië, ma lei si
scostò. “Mi dispiace sorella”, disse.
“Perdonaci se
puoi”.
Quando
Ilderan ebbe lasciato il talan,
Helkamirië si strinse a Legolas; non riusciva neppure a
piangere
tanto era intenso il dolore che provava in quel momento, annientata
dalla prospettiva di perdere la sua famiglia, da poco ritrovata.
“Legolas”,
disse Celeborn. “Sono ormai diversi mesi che tu e
Helkamirië
siete giunti a Lothlorien. Allora dicesti che avevate avuto dei
problemi a Bosco Atro, ma non hai rivelato di cosa si trattasse; oggi
Ilderan è stato la bocca di tuo padre nel chiederti perdono.
Te ne prego, se è in mio potere aiutarvi nel risolvere
questi
problemi, dimmi di cosa si tratta”.
Legolas
strinse maggiormente Helkamirië ma non rispose; allora la
fanciulla lo guardò, capendo dai suoi occhi che il dolore
era
ancora troppo intenso per consentirgli di parlare di Thranduil.
“Non
è semplice”, disse Helkamirië.
“Tenterò di
spiegarvi ciò che è accaduto, anche se siamo
all'oscuro
di molti particolari. Dunque, voi conoscerete la vicenda di Bilbo e
della Compagnia dei Nani, che fu la causa della Battaglia dei Cinque
Eserciti; Re Thranduil condusse gli Elfi di Bosco Atro alla conquista
dei tesori di Erebor, e nonostante avesse riportato un grosso
bottino, rimase nel suo cuore un sentimento di insoddisfazione, tanto
più profondo in quanto ritenne che gli Uomini della Valle,
esseri inferiori, avessero defraudato gli Elfi del loro ruolo nella
guerra e dei loro tesori. Questo tarlo ha continuato a rodere la
mente di Re Thranduil, specialmente da quando è venuto a
conoscenza della vera identità di Aragorn, il Ramingo amico
di
suo figlio”. Helkamirië fece una pausa per spiare la
reazione
di Legolas, il quale le sorrise incoraggiandola a proseguire.
“Infine, quando Aragorn ha reso manifesta la sua idea di
recarsi a
Minas Tirith con Boromir il nostro Re ha appreso questa decisione dai
messaggeri e ha deciso che quando questi avesse riconquistato il suo
trono, avrebbe approfittato dell'amicizia che lo lega a Legolas per
ottenere il suo aiuto e conquistare la Valle. Aragorn non sa nulla di
questa faccenda e ovviamente avrebbe rifiutato, tanto più
che
i rappresentanti di Esgaroth erano presenti alla sua incoronazione e
hanno pronunciato un giuramento di reciproca fedeltà e
amicizia. Questo, però, non ha fermato Thranduil e quando
siamo ritornati a casa, stava già elaborando diversi piani
d'attacco; eravamo disperati, perché non si riusciva a
dissuaderlo, così Ëaralad
ci fece ritornare a Minas Tirith per cercare nella Biblioteca della
Città una legge o disposizione derivata da Valinor.
Fortunatamente siamo entrati in possesso di uno scritto di Voronwë
di Avallonë
che riportava le parole pronunciate dal sommo Manwë
quando affidò gli Edain agli Eldar; lo abbiamo portato a
Bosco
Atro, fermando il Re, ma la sua reazione nei confronti di Legolas
è
stata molto dura. È per questo che l'ho portato a
Lothlorien,
nella speranza che la tranquillità del Reame Beato gli
restituisse la serenità”.
“Quando
ho incontrato Thranduil”, disse Celeborn, “ho
avvertito una
strana tensione in lui, tuttavia ritenevo che il motivo fosse ben
altro; dopotutto, Barad-dûr
era crollata soltanto da qualche giorno, così come Dol Guldûr,
e noi avevamo appena riconquistato Bosco Atro all'Oscurità.
Mai avrei immaginato la vera ragione del suo malessere”.
“Mi
dispiace di non avervi detto nulla finora”, disse infine
Legolas.
“Ma per me si trattava di un argomento doloroso e in parte,
troppo
riservato. Fatico a parlarne persino con Helkamirië che pure
è
così importante per me”.
“Non
devi scusarti, Legolas”, disse Galadriel. “Si
tratta di tuo
padre, nessuno che non abbia provato simili sentimenti può
affermare di capirti fino in fondo. Noi siamo felici che le cose
siano tornate alla normalità e se la permanenza a Lorien ti
è
stata d'aiuto, ciò non fa che accrescere la nostra
gioia”.
“Ti
ringrazio, mia signora”, disse Legolas. “Spero che
potremo
trascorrere ancora del tempo nel tuo regno, in completa
tranquillità.
Ora sarà meglio che ci occupiamo del nostro viaggio di
ritorno. Sire Celeborn, Dama Galadriel, prendiamo congedo”.
Legolas
lasciò il talan
dei Signori di Lorien stringendo la mano di Helkamirië, felice
per la speranza che gli si offriva e impaziente di rivedere i propri
genitori.
Helkamirië
si ritirò sul suo talan
in preda a sentimenti contrastanti: era felice per Legolas e
soprattutto perché finalmente avrebbe potuto sposarlo; ma se
alla notizia del pentimento di Thranduil aveva pensato che tutto
sarebbe stato perfetto, nell'apprendere della partenza dei propri
genitori aveva capito che più nulla lo sarebbe stato nella
sua
vita. Stava sistemando i suoi bagagli per la prossima partenza e lo
sguardo le cadde su un piccolo oggetto: una catenina d'argento dalla
quale pendeva un piccolo ciondolo di legno di rosa intagliato in
forma di niphredil.
Non se ne era mai separata perché si trattava di un regalo
che
Ilderan, già un Elfo adulto, le aveva fatto quando lei era
ancora una bambina.
“Ilderan,
io sono un mostro?”, chiese un piccolo Elfo rivolta a un
altro
Elfo.
“Helkamirië,
perché pensi una cosa simile?”, disse Ilderan
sedendosi
accanto a lei.
“Beh,
io sono diversa dagli altri Elfi”, disse Helkamirië.
“E voi
mi costringete a nascondermi se qualcuno che non sia un Eldar si reca
a Bosco Atro. Nelle storie che mi racconta nostra madre, i mostri si
nascondono nelle loro fortezze perché sono diversi e gli
altri
li riconoscerebbero”.
“E'
vero”, disse Ilderan. “Però quando ti
narra dei Tempi
Remoti, ti racconta anche di Gondolin, e di come gli Elfi di quella
città si nascondessero dall'Oscuro Signore. Dimmi
Helkamirië:
credi che i Noldor abitanti di Gondolin fossero dei mostri?”.
“No,
affatto”, disse Helkamirië.
“Però, io sono diversa da
tutti. Sono sola”.
“Ti
faccio una promessa, sorellina”, disse Ilderan. “Io
starò
sempre accanto a te, per tutta la vita e non sarai mai sola”.
“Lo
prometti, Ilderan?”.
“Lo
prometto”, disse Ilderan. “E ti darò una
cosa come pegno
della mia promessa”.
L'Elfo
mise una mano in tasca, tirandone fuori una collanina d'argento da
cui pendeva un ciondolo in legno di rosa intagliato in forma di
niphredil,
il fiore preferito di Helkamirië.
“E'
bellissima!”, esclamò Helkamirië.
“E' davvero mia,
Ilderan?”.
“Certamente”,
disse Ilderan. “L'ho fatta appositamente per te. Coraggio,
girati”.
L'Elfo
mise la collana alla bambina che voltandosi si lanciò fra le
sue braccia.
“Grazie,
fratello mio”, disse. “Ti voglio bene”.
“Anche
io ti voglio bene Helkamirië”.
Helkamirië
si riscosse dai ricordi quando Legolas entrò nella stanza;
aveva ancora la collana fra le mani.
“Un
bel gioiello”, disse Legolas.
“E'
solo il pegno di una promessa”, disse Helkamirië
riponendolo.
“Stai
bene?”.
“Si.
Dentro di me sapevo che prima o poi sarebbero ritornati a casa. Per
me, casa è Bosco Atro; ma per loro non può che
essere
Valinor. Speravo solo che non partissero così
presto”.
“Sei
stata dura con Ilderan”, disse Legolas accostandosi a lei.
“In
fondo, la tua famiglia non sapeva delle nostre imminenti
nozze”.
“Ma
non capisci, Legolas?”, disse Helkamirië.
“Questo non è
un buon motivo per partire, al contrario; essi erano disposti a
lasciarmi senza sapere quando ti avrei sposato. Se avessimo deciso
che il nostro matrimonio sarebbe stato tra un anno o due, o tra dieci
anni, lo avrebbero perso irrimediabilmente e non avevano neanche
considerato l'idea, hai sentito Ilderan”.
“L'ho
sentito”, disse Legolas. “E ho sentito che ti ha
praticamente
affidata a me, ma tu non ne sembri felice. Tempo fa mi dicesti che se
la mia famiglia non mi avesse perdonato, ne avremmo avuto una nostra.
Perché per te non può essere lo
stesso?”.
“Legolas,
io ho vissuto per troppo tempo lontana da loro. A causa del malefico
influsso che il Nemico esercitava su di me, hanno dovuto
allontanarmi, e ora che li avevo ritrovati mi lasciano. So che presto
o tardi li raggiungerò, ma nel frattempo sarà
difficile
se anche mio fratello partirà”.
Legolas
abbracciò Helkamirië, carezzandole la schiena.
“Lirimaer,
posso soltanto immaginare quanto grande sia il tuo dolore; ma io ti
starò accanto e non ti farò sentire troppo la
loro
mancanza. Spero che anche i nostri figli ti daranno conforto...
avremo dei figli, vero?”.
“Certamente”,
disse Helkamirië ridendo. “Grazie Legolas”.
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Capitolo 39 *** 38 ***
Il
giorno successivo Ilderan partì diretto a Bosco Atro.
Legolas
aveva tentato di convincere Helkamirië a parlargli, ma era
stato
tutto inutile e si era rassegnato; conosceva la sua futura sposa e
sapeva che le sue reazioni erano sempre eccessive. In quel momento
era arrabbiata con suo fratello e nulla avrebbe smorzato la sua furia
consentendole di parlare con lui. Perciò pensò
che
fosse meglio spiegarlo a Ilderan e lo raggiunse alla Radura della
Fontana dove l'Elfo stava bardando il proprio cavallo.
“Da
quando cavalchi con sella e finimenti?”, disse Legolas.
“Da
quando questi sono oggetti di rappresentanza, Principino”,
disse
Ilderan. “Sarai felice per la decisione di tuo
padre”.
“Ilderan,
so che desideri chiedermi di tua sorella, non fingere con me.
Purtroppo non è venuta; conosci Helkamirië, le sue
sono
sempre emozioni estreme. Adesso è arrabbiata e non riesco a
farla ragionare, però spero che quando ritorneremo a casa
sarà
più calma e disposta a parlarvi. Comunque, sì,
sono
felice per la decisione di mio padre perché mi permette di
sposare Helkamirië finalmente”.
“Non
capisco come avrebbe potuto impedirtelo”, disse Ilderan.
“Era
tua sorella a impedirmelo”, disse Legolas. “Io
volevo sposarla
qui, qualche mese fa, ma lei mi ha chiesto di aspettare che
giungessero notizie da casa, perché se i miei genitori non
fossero stati presenti lo avrei rimpianto forse per sempre. Voleva
che quel giorno fosse perfetto”.
“E
noi abbiamo rovinato tutto”, disse Ilderan. “Non
posso biasimarla
se adesso è arrabbiata. Si è fatto tardi, devo
andare”.
Ilderan montò a cavallo e strinse la mano di Legolas.
“Vi
aspettiamo a casa Principino”.
Lasciando
la mano di Legolas, Ilderan fece voltare il cavallo e lo
spronò
al galoppo, ansioso di riportare le risposte di Legolas e
Helkamirië
a casa.
Circa
una settimana dopo la partenza di Ilderan, anche Legolas e
Helkamirië
si misero in viaggio verso Eryn Lasgalen. La fanciulla era
stranamente silenziosa e cupa, e non parlava se non per dire lo
stretto necessario. Percorsero un itinerario diverso dal solito,
costeggiando le Hithaiglin, le Montagne Nebbiose, sino alla Via che
traversava l'Anduin.
“Le
Hithaiglin non fanno più così paura”,
disse Legolas.
“Ormai i pochi Orchi rimasti sono deboli e dispersi senza la
guida
del loro Oscuro Signore”.
“Così
sembrerebbe”, disse Helkamirië. “Ma non
vanno comunque
sottovalutati. Se qualche Uruk-hai di Isengard fosse sopravvissuto
potrebbe radunarli e guidarli; le creature di Saruman erano
intelligenti, uno di loro a capo dei rimanenti Orchi potrebbe essere
una minaccia. Stiamo all'erta fin quando non saremo lontani dalle
Montagne”.
“Come
vuoi Helkamirië”, disse Legolas.
“Dopotutto tra pochi giorni
raggiungeremo la Via”.
Helkamirië
non rispose e Legolas tornò a volgere lo sguardo alla strada
davanti a sé; odiava sentirla ragionare a quel modo
perché
le ricordava il periodo in cui era stata Lumiel, la Fanciulla
dell'Ombra, una spietata guardiana del Reame Boscoso. Tuttavia, il
fatto che emanasse ancora la luce di Elbereth lo faceva ben sperare
dato che all'epoca ne era stata privata dai suoi tristi pensieri.
Al
calare del Sole come d'abitudine, Legolas cercò un riparo
per
trascorrervi la notte, dal momento che vicino alle Montagne la
temperatura era ancora molto bassa e trovò una piccola
grotta
non troppo distante dal sentiero; per loro fortuna l'interno era
asciutto e divenne caldo quando l'Elfo accese il fuoco.
“Farò
io il primo turno di guardia”, disse Helkamirië.
“Lo
ritieni necessario?”.
“Si.
Ho una brutta sensazione e non sono affatto tranquilla”.
“Allora
lo faremo insieme”, disse Legolas. “Tanto non avrei
dormito
comunque, nemmeno io mi sento al sicuro”.
L'Elfo
sedette accanto a lei e le cinse le spalle con un braccio,
stringendola a sé; a quel contatto, Helkamirië
sembrò
rilassarsi e ricambiò l'abbraccio di Legolas.
“Ti
chiedo scusa, Legolas”, disse in un sussurro.
“Perché?”,
disse Legolas. “Non hai fatto nulla di male”.
“Si
invece”, disse Helkamirië. “Sono stata
cupa e sgarbata,
quasi fossi tu la causa del mio malumore; e mi stavo lasciando
condurre di nuovo sul sentiero sbagliato, perciò perdonami e
grazie per la tua comprensione”.
“Lirimaer
non devi ringraziarmi. Tu mi sei stata sempre vicino e mi hai
perdonato qualsiasi cosa senza mai pretendere un grazie. Il minimo
che potessi fare era comprenderti e... sopportarti per un
pò!”.
“Sono
stata terribile, vero?”.
“Già,
abbastanza. Da ora in poi non chiuderti in te stessa quando sei
arrabbiata: parlane con me e io ti permetterò di sfogarti,
sopportandoti”.
“Legolas”,
disse Helkamirië. “Ti ho mai detto che ti
amo?”.
“Hm,
non saprei”, disse Legolas. “Forse. Non lo dimostri
abbastanza
però”, disse chinandosi a baciarla.
Nonostante
i timori dei due Elfi, la notte passò tranquilla e il
viaggio
potè proseguire. Helkamirië si dimostrava
più
allegra e vivace, e sembrava essere tornata la solita. Finalmente,
dopo circa dieci giorni di viaggio, giunsero alla Via; avevano
proceduto a tappe forzate fino a quel momento, spesso lanciando i
cavalli al galoppo dove il terreno lo consentiva, perché
entrambi ansiosi di allontanarsi dalle Hithaiglin. Lungo la Via
avrebbero potuto procedere con più calma, dato che essa
attraversava territori ormai pacifici e passava poco più a
sud
del Reame Boscoso. Al loro arrivo, Legolas e Helkamirië
scorsero
delle figure sul sentiero ma, nonostante la vista elfica fosse
straordinaria, la scarsa luce del vespro non consentiva loro di
identificarle, perciò scesero da cavallo e si avvicinarono
cautamente, armi in pugno. Quando furono a un tiro di sasso dalla
Via, constatarono con orrore che si trattava di un gruppetto di circa
dieci Orchetti, probabilmente fuoriusciti proprio dalle Hithaiglin.
“Dai
loro atteggiamenti sembrerebbero in caccia”, disse Legolas
sottovoce.
“In
caccia?”, disse Helkamirië con lo stesso tono.
“Non oso
immaginare cosa siano disposti a catturare; o peggio, cosa
desidererebbero catturare”.
“Non
scherzare, Helkamirië. Dobbiamo decidere cosa fare, non
possiamo
certo nasconderci tutta la notte, spostandoci in sincrono con i loro
movimenti. Senza contare che gli basterebbe spostarsi un poco per
notare i cavalli”.
“E
io mi farei uccidere piuttosto che lasciargli prendere
Carnemirië.
Attacchiamoli: possiamo eliminarli”.
“Non
essere avventata”, disse l'Elfo. “Sicuramente siamo
entrambi
molto abili, ma gli Orchi ci sovrastano di numero”.
“Questo
non è un problema”, disse Helkamirië.
“Lascia fare a
Lumiel: ne resteranno la metà”. La fanciulla si
avvolse
completamente nello scuro manto con la Valacirca e si
arrampicò
agilmente sugli alberi che li sovrastavano, saltando di ramo in ramo
fino a trovarsi praticamente sopra la Via. Posò la faretra
contro il tronco e scoccò cinque frecce in rapidissima
successione, abbattendo quattro Orchi prima che avessero il tempo di
rendersi conto da quale direzione provenissero. Non ebbe modo di
rammaricarsi del bersaglio mancato che un nugolo di dardi trafisse i
superstiti: Legolas l'aveva seguita, completando il lavoro.
“Non
ti avevo mai vista mancare il segno”, disse. “Cosa
è
successo?”.
“Non
saprei”, disse Helkamirië. “Forse il
vento, o l'Orco si è
spostato all'ultimo secondo, o semplicemente... mi sono
sopravvalutata; non sono abile quanto te con l'arco”.
Legolas
le sorrise e tornarono a terra; avevano appena richiamato i cavalli e
stavano per ripartire, quando udirono uno scalpiccio di zoccoli
avvicinarsi.
“Chi
può essere?”, disse Helkamirië.
“Forse
la loro preda”, disse Legolas indicando gli Orchetti.
“Queste
immonde creature non vanno a cavallo”.
Rimasero
immobili in attesa, fin quando da dietro una curva del sentiero
spuntò un bianco destriero; il suo cavaliere,
però, era
coperto dal suo mantello che gli nascondeva anche il viso.
“Da
quel che vedo”, disse costui. “Devo ringraziarvi: a
quanto pare
avete sventato un agguato nei miei confronti”.
“Chi
sei, viandante?”, disse Legolas portando la mano sull'elsa
del
pugnale.
“Non
temere, Principe”, disse il cavaliere. “Sono
soltanto Glorfindel
di Imladris, lascia pure il pugnale nel fodero”.
“Nobile
Glorfindel”, disse Helkamirië. “Quale
gioia rivederti! Cosa
ti porta a Oriente delle Montagne?”.
“Re
Thranduil, mia signora. Devo recapitargli un messaggio di Messere
Elrond”.
“Unisciti
a noi, allora”, disse Legolas. “Noi stiamo
ritornando a casa”.
Glorfindel
non rispose, ma gli si affiancò e così
ripartirono in
tre alla volta di Bosco Atro.
Potendo
percorrere la Via, il viaggio si concluse nel giro di una settimana,
senza incidenti più gravi di un acquazzone primaverile.
Helkamirië aveva avuto modo di parlare più volte
con
Glorfindel, il quale ormai non le serbava più rancore per il
suo rifiuto, avendo constatato quanto fosse felice insieme a Legolas.
Quando furono a un giorno di cammino da casa, Helkamirië si
sentì improvvisamente nervosa e spaventata; si erano fermati
per la notte, accampandosi in una piccola radura e Glorfindel, sempre
vigile, si era allontanato per perlustrare la zona, mentre Legolas e
Helkamirië sedevano nei pressi del fuoco, con la schiena
contro
il tronco di un albero.
“Legolas”,
esordì Helkamirië. “Ho paura. Non voglio
andare a casa
dai miei genitori”.
“Di
cosa hai paura, lirimaer?”,
disse Legolas, sedendosi più vicino a lei.
“Di
quella casa vuota. So che non lo è ancora, ma non
potrò
fare a meno di pensare che fra poco tempo non ci vivrà
più
nessuno. La mia dimora è sempre stata una certezza per me:
sapevo che se ne avessi avuto bisogno vi avrei trovato mio padre, mia
madre e Ilderan. E presto non ci sarà nessuno di
loro”.
Mentre
Helkamirië pronunciava queste parole, le lacrime avevano
cominciato a rigarle le guance; Legolas la prese in braccio come una
bambina e lei nascose il viso contro la sua spalla.
“Piangi
Helkamirië”, disse l'Elfo. “So che hai
cercato di essere
forte, ma soffrire non ti rende meno coraggiosa e non è bene
tenersi dentro certi dolori”.
“Legolas”.
“Si?”.
“Posso
rimanere a palazzo con te?”.
“Certamente”.
Legolas
la strinse a sé e prese a carezzarle il viso fin quando non
si
addormentò, di tanto in tanto baciandole teneramente la
fronte. Quando Glorfindel tornò dal suo giro di ronda e vide
quella scena comprese d'un tratto quanto fosse profondo il sentimento
che li univa e il perché del rifiuto di Helkamirië:
se
lei avesse accettato la sua proposta per paura di soffrire, non ci
sarebbe mai stato fra loro un amore così intenso, o peggio
lei
non lo avrebbe mai amato.
Infine
giunsero al Reame Boscoso, accolti sulla soglia delle Sale di
Thranduil dai Sovrani stessi e dall'intera corte. Non appena Legolas
fu al suo cospetto, la Regina Morwen lo abbracciò commossa,
mentre il Re sembrava a disagio: fu suo figlio a toglierlo da ogni
impaccio, lasciando la propria madre per stringerlo.
“Mi
dispiace padre, io...”.
“No
Legolas, no”, disse Thranduil. “Sono io che devo
scusarmi, non
tu: non sono stato un buon padre e non merito un figlio come te.
Avevi ragione sull'idea di conquistare Esgaroth, hai sempre avuto
ragione, anche quando volevi sposare Loth-o-Doltaur”.
“Helkamirië”,
disse Legolas, facendole cenno di avvicinarsi e prendendole la mano.
“La mia futura sposa si chiama Helkamirië.
Loth-o-Doltaur è
soltanto un titolo; ricordatelo quando vi rivolgerete a lei”.
“Helkamirië”,
disse Morwen. “Grazie a te, finalmente vedo la
felicità sul
volto di mio figlio. Niente potrà mai ripagarti di
ciò,
ma ti prego di accettare un piccolo dono”.
Helkamirië
si accorse solo allora che la Regina stringeva qualcosa fra le mani:
era un fazzoletto di seta bianca e Morwen lo svolse mostrando un
diadema formato di sottilissimi fili di mithril
intrecciati innumerevoli volte fra loro, a disegnare un intricato
motivo sul capo, e impreziosito da piccolissimi diamanti catturati
dalle maglie del metallo, mentre un altro diamante appena
più
grande ornava la fronte della dama.
“E'
semplicemente meraviglioso, mia Regina”, disse
Helkamirië. “Lo
accetto con gioia”.
“Io
sono Morwen”, disse la Regina. “E lui è
Thranduil; non
siamo i Sovrani per Legolas e non lo saremo neppure per te”.
“Vorremmo
che quello fosse il tuo diadema nuziale”, disse Thranduil.
Helkamirië
strinse la mano di Legolas voltandosi a guardarlo e l'Elfo le
regalò
uno dei suoi sorrisi più belli. In quel momento Glorfindel
si
fece avanti e Re Thranduil si congedò dai suoi ospiti,
rientrando nel palazzo assieme a lui. I membri della corte
ritornarono alle proprie occupazioni e fu allora che
Helkamirië
notò fra essi i propri genitori.
“Helkamirië,
siamo felici di rivederti”, disse Ëaralad.
“Anche
io lo sono”, disse Helkamirië.
“Stiamo
tornando a casa”, disse Arelen. “Non vieni con
noi?”.
“No,
io... resterò a palazzo con Legolas, madre”.
“Come
desideri”, disse Arelen. “Voglio solo che tu sappia
che abbiamo
deciso di non partire ancora. Lasceremo queste terre insieme a
Galadriel, fra poco tempo ma non immediatamente”.
“Arrivederci,
figlia mia”, disse Ëaralad.
“Torneremo a farti visita nei prossimi giorni insieme a
Ilderan”.
NdA: Chiedo scusa per il ritardo
mostruoso, ma sono stata fuori sede a causa di un matrimonio in
famiglia...spero sia valsa la pena di attendere tanto!
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Capitolo 40 *** 39 ***
I
giorni successivi videro l'intero reame in agitazione per le
imminenti nozze del Principe; ovviamente, gran parte di tale ansia
era dovuta al fatto che un Elfo, pur se di nobile stirpe, sposasse
una creatura benedetta dai Valar e considerata ancora dai sudditi di
Thranduil un essere superiore e alieno a loro.
Inviti
alle nozze furono recapitati dai messaggeri ai Regni degli Uomini e
ai Reami Elfici di Imladris e Lothlorien, fino al lontano paese dei
Periannath; l'unica risposta negativa venne da questi ultimi: in una
lettera scritta di suo pugno, Frodo li informava che nel medesimo
periodo nella Contea si stavano preparando le nozze di Sam con una
fanciulla Hobbit di cui era da sempre innamorato e che tutti loro
erano dispiaciuti di non poter essere presenti (in special modo
Pipino) ma auguravano tanta felicità agli sposi.
La
Regina Morwen aveva pregato Helkamirië di posare per le
cucitrici che avrebbero confezionato il suo abito nuziale.
“Manca
ancora del tempo, Morwen”, obiettò
Helkamirië.
“Non
rimandare a domani quello che puoi fare oggi, Helkamirië.
Legolas è il mio unico figlio e l'erede al trono di
Thranduil;
ogni cosa deve essere preparata per tempo e minuziosamente: il giorno
delle nozze avrete un ulteriore motivo per festeggiare. Il mio sposo
rinuncerà al trono in favore di Legolas”.
“E
Legolas ne è al corrente? Non ha molta voglia di regnare,
dovrebbe sapere delle intenzioni di Thranduil”.
“Allora
gli daremo la notizia immediatamente: è nella sua stanza con
le cucitrici, che aspettano anche te. Seguimi”.
La
scena che le si presentò non appena varcata la soglia, fece
scoppiare a ridere Helkamirië: Legolas era in piedi su uno
sgabello, piedi uniti e braccia divaricate, con un'espressione da
cane bastonato, mentre le cucitrici gli si affollavano intorno come
api su un fiore.
“Ridi
pure”, le disse guardandola storto. “Hanno quasi
finito e poi
toccherà a te”.
“Scusami
Legolas”, disse Helkamirië cercando di trattenere le
risate.
“Ero venuta a informarti che purtroppo i nostri amici Periain
non
saranno presenti: a quanto pare abbiamo scelto lo stesso periodo di
Sam per sposarci”.
“Così
il piccolo Sam si sposerà. Pipino sarà andato su
tutte
le furie sapendo di non poter partecipare alle tue nozze: Merry ti
adora, ma lui ti venera addirittura. Credo che si fosse infatuato di
te, sai?”.
“Dici
sul serio? Di certo non sono stata affatto distaccata nei loro
confronti, ma li ho trattati come fratelli minori; eppure, il giovane
Tuc ha sempre cercato di strapparmi un sorriso, anche nei momenti
peggiori della Guerra... forse hai proprio ragione”.
“Mia
signora Helkamirië”, disse una delle ancelle
avvicinandosi.
“Abbiamo finito con il Principe, ora dovremmo occuparci di
te”.
A
quelle parole, Legolas cominciò a ridere e poi a correre per
la stanza quando Helkamirië prese a inseguirlo minacciandolo
di
morte.
“Helkamirië,
figliola”, disse Morwen fermandola. “Avanti, non
intralciare il
lavoro di queste poverine, ubbidisci. E tu, Legolas, fuori di qui.
Potrai cambiarti d'abito nella stanza accanto e fa' attenzione a non
sciupare ciò che indossi”.
“Non
temere, madre”, disse Legolas baciandola su una guancia.
“Non
salterà un singolo punto”.
Morwen
e Helkamirië lo seguirono con lo sguardo fin quando non fu
uscito, ma poi la Regina sembrò ricordarsi del motivo per
cui
lo aveva cercato e lo seguì. Helkamirië, immobile e
docile in piedi sullo sgabello, si ritrovò a pensare che
quelli erano i giorni più sereni da quando aveva ritrovato
Legolas a Imladris; le rimaneva soltanto una cosa da fare: sistemare
le cose con i propri genitori.
Morwen
fermò Legolas prima che entrasse nella stanza vicina.
“Legolas,
aspetta!”.
“Madre,
qualcosa non va?”.
“Devo
parlarti. Vieni, entriamo qui”.
Dopo
essere entrati, sedettero attorno a un tavolo, uno di fronte
all'altra. Morwen si tormentava le mani, ma sembrava non voler
parlare e Legolas divenne impaziente.
“Avanti,
madre”, disse. “Parla, non farmi stare
così”.
“D'accordo”,
disse Morwen. “In realtà volevamo farti una
sorpresa, ma
Helkamirië ritiene che dovremmo dirtelo adesso,
così...
ecco, tuo padre vuole cederti il regno il giorno delle tue
nozze”.
Morwen
sorrideva, ma Legolas non rispose, fissando ostinatamente il tavolo e
studiando gli intarsi del legno, percorrendoli con le dita.
“Legolas?
Non dici nulla?”.
“Non
posso accettare, madre”, biascicò Legolas.
“Io non sarò
mai il Re di Dol Taur o Eryn Lasgalen che dir si voglia: non
dimorerò
a lungo sulle Sponde Orientali”.
“Cosa
vuoi dire?”.
“Ho
udito il Richiamo del Mare. Dama Galadriel mi aveva avvertito, ma il
viaggio mi ha portato a Pelargir e lì ho sentito i gabbiani
e
veduto il Mare. Resterò per aiutare il mio popolo e Re
Elessar
che è mio amico; ma non appena questi lascerà la
vita,
più nulla mi tratterrà: presto non ci saranno
più
Luminosi, che stanno già lasciando la Terra di Mezzo, e io
riporterò la luce di Helkamirië da dove
proviene”.
“Dunque
le cose stanno così. Ora capisco perchè
Helkamirië
ha voluto che te ne parlassi: lei è a conoscenza di tutto
ciò
e non vuole che tu rifiuti la corona davanti all'intero Reame
Boscoso. Non è così?”.
“Immagino
di sì. Desidera che non ci siano incomprensioni tra me e mio
padre, lei sa che se succedesse ancora ne soffrirei; mi è
stata molto vicina in questi mesi a Lorien”.
Morwen
sorrise prendendogli la mano. “Non potresti fare a meno di
amarla:
è davvero una fanciulla speciale”.
“Lo
è”.
Passò
ancora qualche giorno e come avevano promesso, i genitori di
Helkamirië tornarono a palazzo accompagnati da Ilderan; la
fanciulla li ricevette di buon grado, desiderosa di appianare i loro
problemi.
“Sono
felice che siate venuti”, disse loro.
“Perchè
tu non vieni a casa?”, disse Ilderan. “E'
così grave ciò
che ritieni ti abbiamo fatto?”.
“Non
è questo il problema, Ilderan”, disse
Helkamirië. “La
nostra dimora mi fa paura, perchè presto voi non ci sarete
più: riesci a immaginarla vuota senza avere i brividi?
Diventerà un guscio vuoto, vuoto di tutto l'amore e il
calore
che mi dava prima. No, io... non posso tornare”.
“Vieni
con noi Helkamirië”, disse Ëaralad.
“Aman è la terra più bella che tu possa
immaginare,
la amerai subito; e in fondo la tua luce proviene dalle Terre
Imperiture, riportala a casa”.
“No.
Io resterò con Legolas fin quando anch'egli non
vorrà
partire; capisco che per voi non sia così, ma la mia casa
è
Dol Taur, io sono nata qui, e in questi luoghi ho vissuto alcuni fra
i momenti più belli della mia vita. Non chiedetemi di
lasciare
tutto”.
“Non
lo faremo”, disse Arelen. “Vogliamo che tu sia
felice e se per
esserlo dovrai rimanere, per noi va bene. Dopotutto avresti lasciato
comunque la nostra casa dopo le nozze, qualche giorno prima non fa
differenza; e comunque, avremo ancora del tempo prima della partenza:
saremo felici, e un giorno saremo di nuovo tutti insieme a
Valinor”.
Helkamirië
abbracciò sua madre, felice. “Grazie
madre”, disse.
“Riesci sempre a trovare il buono in ogni situazione. Hai
ragione,
abbiamo ancora del tempo, e poi chissà: le cose cambiano,
forse il futuro ci riserva delle sorprese”.
Finalmente
giunse il giorno delle nozze e con esso tutti gli invitati anche dai
regni più lontani. Elrond giunse da Imladris accompagnato
dai
propri figli, Elladan ed Elrohir, e da Glorfindel, oltre che da
diversi dignitari del suo regno; Celeborn e Galadriel, con il loro
seguito, di cui faceva parte su esplicita richiesta di
Helkamirië,
anche Haldir insieme ai suoi fratelli Rumil e Orophin, avevano
percorso la nuova strada che passava attraverso Eryn Lasgalen.
Giunsero anche Bard II da Esgaroth e Thorin III da Erebor, scortato
da un gruppo di Nani tra i quali figuravano anche Gimli e suo padre
Gloin. Eomer, Re del Mark, riportò una delegazione di Nobili
Cavalieri di Rohan alle terre da cui provenivano. Perfino Re Elessar
e la Regina Arwen si recarono a Bosco Atro, con al seguito l'intera
corte di Minas Tirith e di essa facevano parte Faramir e Eowyn, e
anche, con grande sorpresa e rammarico degli sposi, Rhumine.
Quest'ultima, giunta al loro cospetto si inchinò
profondamente.
“Principe
Legolas, Dama Helkamirië”, disse. “So che
ci sono state
delle incomprensioni fra noi; tuttavia gli ultimi mesi trascorsi a
Minas Tirith mi hanno cambiata e mi hanno fatto comprendere quanto
fosse sbagliata la vita che conducevo. Per questo motivo, vi chiedo
di perdonarmi, se potete”.
“Io
ti perdono, Rhumine”, disse Legolas, aiutandola a rialzarsi.
Helkamirië
non rispose immediatamente, limitandosi a fissarla in volto.
“Credo
di poterti concedere il beneficio del dubbio”, disse infine.
“Ma
ancora non hai il mio perdono, dovrai guadagnartelo”.
Una
smorfia di rabbia quasi impercettibile contrasse per un istante il
volto di Rhumine, la quale riacquistò subito il suo sangue
freddo. “Lo farò”, disse, tornando a
sorridere e facendosi
da parte mentre Mithrandir si avvicinava agli sposi per salutarli.
“Mithrandir!”,
esclamò Helkamirië abbracciandolo.
“Temevo che il
messaggero non fosse riuscito a recapitarti l'invito!”.
Lo
Stregone rise, con quella sua risata profonda ma gioiosa, e le prese
le mani. “Il poveretto ha dovuto faticare un
pò”, disse.
“Non per niente voi Elfi mi chiamate il Grigio Pellegrino!
Ma, mia
benedetta fanciulla, non mi sarei mai perso questo giorno
felice”.
Helkamirië
sorrise di rimando e Mithrandir la lasciò andando a
raggiungere gli altri ospiti, mentre gli sposi si dividevano
recandosi ognuno nelle proprie stanze.
Nella
sua stanza, Helkamirië trovò la Regina Morwen, se
possibile più agitata di lei, che impartiva ordini alle
povere
ancelle facendole andare avanti e indietro per la camera; non appena
vide la sposa, la trascinò davanti allo specchio.
“Helkamirië,
finalmente!”, disse. “Sei in ritardo, devi
prepararti per la
cerimonia!”.
“Ma
Morwen, ho dovuto ricevere i nostri ospiti”.
“Tu
e Legolas mi farete impazzire!”, sbottò la
sovrana. “Non
spettava a voi, ma dovete fare sempre di testa vostra!”.
“Ti
chiedo scusa”, sospirò Helkamirië, per
nulla pentita.
“Non
importa, vieni con me!”.
Morwen
trascinò Helkamirië nella stanza da bagno, dove la
grande
vasca intagliata nella pietra era stata riempita d'acqua bollente la
cui superficie era cosparsa di petali di niphredil;
le ancelle la aiutarono a togliersi i vestiti e a lavarsi,
dopodichè
la ricondussero nella stanza da letto. Le fecero indossare il suo
abito nuziale, una semplicissima veste di seta bianca con i bordi
ricamati d'argento e trattenuta da una preziosa cintura di mithril
alla vita. Una delle ancelle le acconciò i capelli, ma
Morwen
insistette per porle il diadema sul capo, uscendo subito dopo con una
fretta sospetta.
La
Regina rientrò poco dopo trascinando Legolas che continuava
a
ripeterle di voler vedere la sua Helkamirië solo davanti al
cerimoniere, ma Morwen lo spinse nella stanza.
“Devi
essere tu a metterle il tuo dono”, disse.
Legolas
si avvicinò allo specchio e Helkamirië
guardò la
sua immagine riflessa, sorprendendosi di vedere le guance dell'Elfo
arrossire; gli sorrise incoraggiante e sollevò i capelli
perchè Legolas potesse darle il suo dono, una collana
d'argento con appeso un fiore di niphredil
in filigrana d'argento con un diamante al centro.
“Grazie
Legolas”, disse Helkamirië. “Anche io ho
qualcosa per te”.
Voltandosi
verso Legolas, Helkamirië gli mise al dito un anello
d'argento,
decorato con l'incisione di una freccia che trafigge uno smeraldo
inciso in forma di cristallo di neve. I due Elfi si strinsero le
mani, scambiandosi uno sguardo colmo d'amore e Legolas fece per
chinarsi a baciare Helkamirië quando fu bruscamente interrotto
da Morwen.
“Fermo
Legolas!”, esclamò. “Vai subito a finire
di prepararti, la
cerimonia si svolgerà a breve, e queste povere fanciulle
devono finire di sistemare la tua futura sposa”.
Il
matrimonio ebbe luogo nel pomeriggio, all'interno delle Sale di
Thranduil e alla presenza di tutti gli ospiti stranieri,
nonché
di gran parte della popolazione del Reame Boscoso. Legolas e
Helkamirië vi giunsero insieme, camminando affiancati e quando
furono di fronte al cerimoniere, Ëaralad
si fece avanti giungendo le mani di sua figlia con quelle del
Principe, mentre Arelen li guardava felice.
Quando
la cerimonia ebbe fine, la Dama si precipitò ad abbracciare
sua figlia, ridendo e piangendo allo stesso tempo, mentre Ëaralad
e Ilderan la guardavano commossi.
“Mia
piccola gwilwileth,
come abbiamo potuto pensare di partire prima di aver assistito a
questo momento?”, disse baciandole la fronte.
“Avrei rimpianto
per l'eternità il fatto di non aver visto la
felicità
che finalmente alberga nei tuoi occhi. È evidente che finora
non eri completamente serena”.
“Grazie
madre”, disse Helkamirië ricambiando l'abbraccio.
“Ma non
devi temere: sono sempre stata molto felice, eccetto qualche periodo;
eppure niente è paragonabile a questo giorno”.
Dopo
il rito, tutti gli ospiti furono invitati a partecipare ad un
ricevimento che si sarebbe tenuto data la stagione mite, nel grande
giardino del Re. Legolas, sebbene restio a occuparsi di altre
faccende, su richiesta di Helkamirië cercò Faramir
perchè
gli spiegasse la liberazione di Rhumine. Il Signore dell'Ithilien si
trovava in disparte assieme ad Aragorn, ed entrambi gli sorrisero nel
vederlo avvicinarsi.
“Legolas!”,
lo chiamò Aragorn. “Stavo per venire a cercarti:
volevo
farti di persona le mie congratulazioni. Infine anche tu hai trovato
la tua serenità”.
“Si,
è così”, disse Legolas. “In
tutta la mia lunga vita
non sono mai stato tanto felice e appagato”. Guardando
Faramir
sospirò. “Eppure proprio Helkamirië mi ha
spinto a
cercarti, Faramir; vuole sapere perchè Rhumine non si trova
nelle prigioni di Minas Tirith”.
“Lei
fa parte della mia corte, Legolas”, disse Aragorn.
“Non c'era
motivo perchè non venisse al matrimonio. So che era stata
mandata per uccidere Helkamirië; eppure si dichiara pentita
delle sue intenzioni e io voglio crederle”.
“Al
suo ritorno a Minas Tirith, Aragorn ha graziato i
prigionieri”,
interloquì Faramir, “a patto che aiutassero a
ricostruire la
Città e sotto stretta sorveglianza. Tutti loro hanno
accettato, come era da immaginarsi, e io non avevo nessuna
autorità
per impedire la scarcerazione di Rhumine. In un primo momento, pur
lavorando anche più degli altri, si mostrava sprezzante e
ingrata verso chi le mostrava gentilezza; con il passare del tempo,
però, è cambiata e il suo cuore è
mutato
improvvisamente: è diventata la Rhumine che noi conosciamo,
buona e dolce. Io non credo che tu debba temere ancora per la vita di
Helkamirië”.
“Lo
spero per lei”, disse Legolas. “Se torcesse anche
un solo capello
di Helkamirië, la aspetterebbero le prigioni di Thranduil e il
Sole tornerebbe a scaldare solo il suo cadavere. Soltanto da morta
lascerebbe la loro oscurità”.
“Non
ti sembra di esagerare?”, disse Aragorn.
“Al
contrario”, disse l'Elfo. “Helkamirië
ora fa parte della famiglia reale e la pena per chi attenta alla vita
di un membro di essa è la morte”, disse
allontanandosi.
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Capitolo 41 *** 40 ***
Dopo
il matrimonio il tempo trascorse velocemente e nella Primavera
successiva Helkamirië diede alla luce due gemelli, un maschio
e
una femmina, fatto alquanto insolito; era quantomeno raro che dopo
così poco tempo un matrimonio fra Eldar fosse allietato
dalla
nascita di eredi. I bambini assomigliavano moltissimo a Legolas di
cui avevano i capelli dorati e gli occhi grigi, ma qualcosa
apparteneva alla madre: entrambi avevano una ciocca di capelli di
diverso colore, la femmina scura come la notte e il maschio del
colore dell'argento più puro.
Helkamirië,
però, dovette ben presto fare i conti con un grande dolore:
Messer Ëaralad
e Dama Arelen decisero di partire dai Porti Grigi. Un giorno, sul
finire della Primavera, si recarono a Palazzo, a cercare
Helkamirië:
questa si trovava assieme a Legolas nella stanza dei propri figli e
li accolse felice, ma subito cambiò atteggiamento vedendo la
loro espressione.
“Padre,
madre”, disse. “Qualcosa non va?”.
“E'
giunto il momento, Helkamirië”, disse Ëaralad.
“Il
momento per cosa, padre?”, disse Helkamirië pur
temendo di
conoscere la risposta.
“Stiamo
lasciando la Terra di Mezzo, figlia mia”, disse Arelen.
“Partiamo
ora diretti a Lothlorien, dove dimoreremo con Dama Galadriel per poco
tempo, dopodichè assieme a lei raggiungeremo Imladris;
quando
anche Elrond Peredhel sarà pronto, ci dirigeremo ai Porti
Grigi, dove una nave ci attende per riportarci a casa”.
“Ma...
ora ci sono Amrod e Anië”,
sussurrò Helkamirië. “Non desiderate
veder crescere i
miei figli?”.
“Helkamirië”,
disse Ëaralad.
“Noi amiamo profondamente i nostri nipoti, ma essi non hanno
bisogno di noi. Tu sola avevi necessità di avere accanto i
tuoi genitori, e noi ti siamo stati vicino e ti abbiamo amata oltre
ogni dire; la somma Varda ti ha concesso un dono, ma questo doveva
essere condiviso con tutti gli Elfi e i Popoli Liberi della Terra di
Mezzo, perciò non ti abbiamo riportata a Occidente quando il
Nemico ha mostrato di volerti per sé. Tuttavia, da tempo i
nostri cuori bramano ritornare a Valinor e ora possiamo seguirli
perchè ti lasciamo in mani sicure: Legolas ti ama e sappiamo
che ti proteggerà”.
“E
un giorno”, interloquì Legolas,
“riporterò
Helkamirië al di là del Mare”.
“Ne
siamo felici Legolas”, disse Ëaralad.
Volgendosi verso Helkamirië le prese le mani. “Non
essere
troppo triste: la nostra separazione durerà meno di quando
ti
mandammo a Lothlorien, e poi questa volta ci sarà anche
Ilderan con te”.
“Ilderan?!”,
esclamò Helkamirië. “Mio fratello rimane
a Eryn
Lasgalen? Quale gioia inattesa!”.
“Ilderan
rimane per Anië
e Amrod”, disse Arelen. “Oltre che per te
naturalmente. Dice di
non poter più fare a meno dei suoi nipoti, ma non credo che
sarebbe mai partito senza la sua sorellina, anche se loro non fossero
nati ancora... Dobbiamo andare, mia piccola gwilwileth”,
disse Arelen abbracciandola. Helkamirië si lasciò
cullare
fra le sue braccia, poi salutò suo padre, abbracciandolo
stretto. La loro separazione fu triste, ma un barlume di gioia
rimaneva: Ilderan non sarebbe partito e Helkamirië nutriva
grande fiducia nella capacità di scrutare nei tempi a venire
che suo padre possedeva.
Messer
Ëaralad
e Dama Arelen partirono il giorno seguente per Lothlorien e
raggiunsero i Rifugi Oscuri al volgere dell'Autunno. Insieme agli
Elfi partivano i Portatori dell'Anello, Frodo e Bilbo Baggins, e
Mithrandir, il Grigio Pellegrino, giunto ormai al termine delle sue
fatiche.
Trascorsero
altri venti anni degli Uomini, senza che nulla turbasse la pace del
Reame Boscoso. Legolas aveva portato alcuni Elfi Silvani a vivere
nell'Ithilien perchè ponessero rimedio alle malefatte degli
Orchi in quella terra, e Helkamirië lo aveva raggiunto non
appena Amrod e Anië
furono abbastanza cresciuti per intraprendere un così lungo
viaggio. Gli Elfi si erano stabiliti nei boschi nei pressi di Henneth
Annûn,
e Legolas e Helkamirië erano diventati i Signori di
Taur-en-Ithil, dove avevano costruito una residenza simile alle Sale
di Thranduil, sebbene i loro sudditi vivessero in strutture affini ai
telain
di Lothlorien. Essi si recavano spesso a far visita a Sire Faramir e
Dama Eowyn, Signori d'Ithilien, e qualche volta viaggiavano fino a
Minas Tirith, accolti con gioia dai Sovrani di Gondor. Loro stessi a
volte, ricevevano in casa loro Rhumine, la quale tentava in tutti i
modi di conquistare la fiducia di Helkamirië, ma con scarsi
risultati. Un giorno, Legolas le chiese il motivo di tanta
diffidenza, avendo notato la frustrazione di Rhumine dopo l'ennesima
visita.
“Helkamirië
perchè sei cosi dura con Rhumine?”, disse Legolas.
“E'
il trattamento che merita”, disse Helkamirië.
“Tu davvero
l'hai perdonata? Davvero hai dimenticato che era stata mandata per
uccidermi?”.
“No,
non l'ho dimenticato”, disse l'Elfo. “E io non l'ho
ancora
perdonata, ma ci sto provando: Aragorn si fida di lei, almeno
apparentemente, e per questo voglio farlo anch'io”.
“Non
farlo”, disse Helkamirië. “Lei tenta di
raggirarvi, ma so
per certo che neanche Arwen si fida di lei e non voleva che entrasse
a far parte della corte. Forse prima o poi anche io potrò
darle fiducia, ma ancora scorgo una luce che non mi piace nei suoi
occhi. Non affiderei la mia vita a lei”.
“Aragorn
le ha dato fiducia”, disse Legolas. “Forse non si
fida ancora, ma
ci sta provando e io lo conosco: difficilmente sbaglia nei suoi
giudizi; Rhumine sembra davvero cambiata, è più
dolce e
gentile e non più arrabbiata con il mondo intero come quando
la conoscemmo”.
“E'
soltanto cresciuta”, disse Helkamirië.
“Lei non appartiene
alla nostra stirpe, né tantomeno a quella dei Dunedain. Gli
anni trascorsi dal nostro matrimonio per noi sono nulla, per i
Dunedain un breve lasso di tempo, ma per gli Uomini comuni essi
rappresentano buona parte della vita, anche se Rhumine si dimostra
più longeva rispetto agli altri della sua stirpe; forse
infine
ella ha compreso il suo errore, ma sento che in fondo rimpiange la
sua vita precedente e questo mi trattiene dal fidarmi di lei”.
“Ti
capisco, Helkamirië”, disse Legolas. “E
capisco anche cosa
vuoi dire, ma non credo che dopo tutto questo tempo Rhumine nutra
ancora desiderio di ucciderti; forse non è mai stato il suo
volere ma soltanto un ordine ricevuto. Quando l'ho incontrata la
prima volta, era feroce ma perchè arrabbiata: odiava il
mondo
intero e tutte le creature che lo abitano. Questo ho visto nei suoi
occhi”.
“Voglio
fidarmi della tua capacità di scrutare gli animi”,
sospirò
Helkamirië. “Tuttavia sarò molto
cauta”.
Dopo
averne discusso con Legolas, Helkamirië tentò di
mostrarsi meno ostile nei confronti di Rhumine, la quale
sembrò
apprezzare il gesto, tanto da intensificare le visite a
Taur-en-Ithil. Anië
e Amrod si erano affezionati a lei, soprattutto la bambina che non
perdeva occasione per trascorrere del tempo con la donna, che non
finiva mai di stupirsi del loro aspetto.
“Sono
davvero dei bambini bellissimi”, disse un giorno a
Helkamirië.
“Non trovo parole che li descrivano”.
“Assomigliano
al loro padre”, disse Helkamirië. “In
tutto, salvo quella
ciocca di diverso colore: quella mi appartiene”.
“C'è
una cosa che non capisco”, disse Rhumine. “Se non
sbaglio, essi
sono nati la Primavera successiva al vostro matrimonio, vale a dire
venti anni fa per gli Uomini. Come è possibile che siano
così
piccoli? Se fossero figli degli Uomini non avrebbero più di
due anni”.
“E'
semplice Rhumine”, disse l'Elfo. “La nostra vita
è molto
lunga, più di quella di molti esseri che camminano su questa
terra. Ne consegue che la crescita dei nostri figli non può
che essere molto lenta, ma non quanto potresti pensare”.
Mentre
parlavano, Amrod si avvicinò a loro e Rhumine fece per
prenderlo in braccio, ma il piccolo Elfo si scostò tendendo
le
manine verso la propria madre: Helkamirië lo
sollevò fra
le braccia e il bimbo abbandonò la testa sulla sua spalla,
lasciandosi cullare.
“Non
prendertela Rhumine”, disse Helkamirië.
“Questo è un
lato del carattere che Amrod non ha preso da Legolas. Come me,
impiega del tempo a fidarsi delle persone; Anië
invece, condivide con suo padre una sorta di ingenuità:
preferiscono rimanere scottati dal tradimento che negare la propria
amicizia. Anche se a essere sinceri, difficilmente Legolas sbaglia
nel giudicare i caratteri delle persone”.
“Legolas
è straordinario”, disse Rhumine. “In
effetti, all'inizio i
nostri rapporti sono stati un po' burrascosi, ma adesso è
molto buono con me. Tu sei proprio fortunata; possiede un cuore
gentile e la forza dei veri guerrieri, e cosa più
importante,
ti ama più della sua stessa vita, tanto da formare una
famiglia con te. Devo confessarti che ti invidio molto”.
Mentre
pronunciava queste ultime parole, sembrò a
Helkamirië che
un guizzo d'odio passasse nei suoi occhi, subito abilmente
dissimulato. L'Elfo la fissò stupita, incapace di
rispondere:
cominciava a temere di avere capito il motivo dell'astio che, ne era
certa, Rhumine nutriva per lei. Questa dal canto suo, ne ricambiava
lo sguardo, senza apparentemente conoscere la causa del suo silenzio.
“Helkamirië,
qualcosa non va?”, chiese. “Spero di non averti
turbata con le
mie parole”.
“No,
affatto”, disse Helkamirië. “Ci riflettevo
soltanto. Ti
fermi con noi per la notte?”.
“Ti
ringrazio, ma devo rifiutare”, disse la donna.
“Domani è
richiesta la mia presenza dal nostro Re. Giungerà una
delegazione dal mio paese e Re Elessar vuole che io assista
all'incontro: intende trattare la pace e spera che vedendomi gli
ambasciatori siano più ben disposti. Non temere, questa
notte
c'è Luna piena, nulla potrà
sorprendermi”.
“Questo
lo so”, disse Helkamirië. “Come so che sai
badare a te
stessa. Spero che le trattative abbiano buon fine, soprattutto per
te”.
“Lo
spero anch'io”, disse Rhumine avviandosi verso la porta.
“Buonanotte, Helkamirië”.
Rhumine
attendeva nell'atrio che il suo cavallo fosse preparato, quando
giunse Legolas. Portava l'arco e il pugnale bianco e vestiva in modo
non dissimile da quando era partito con la Compagnia. Vedendola, le
andò incontro sorridendo.
“Rhumine,
buonasera”, disse. “Sei venuta a trovare
Helkamirië? Deve
essere nelle sue stanze con i nostri figli”.
“Buonasera
Legolas”, disse Rhumine. “In realtà ho
trascorso nella tua
dimora tutto il giorno e la scorsa notte: sono giunta qui ieri, a
pomeriggio inoltrato, ma tu non eri qui”.
“Faccende
urgenti richiedevano la mia presenza”, disse Legolas.
“Le guardie
dei confini esterni mi hanno informato di strani movimenti nella
regione, qualche giorno fa e ho voluto verificare di persona”.
“E
hai scoperto qualcosa?”, disse Rhumine, stranamente nervosa.
“In
realtà, ho trovato degli Uomini”, disse Legolas.
“Però
non sono riuscito a fermarli. Sembravano conoscere molto bene il
territorio, infatti sono riusciti a farmi perdere le loro tracce, ma
tornerò a cercarli”.
“Perchè
mai?”, disse Rhumine. Era agitata e si torceva le mani, e
questo
non era da lei. “In fondo potrebbe trattarsi di una carovana
di
passaggio”.
“Non
portavano molto bagaglio, e poi le carovane non viaggiano di notte,
nascondendosi fra gli alberi o le rocce”, disse l'Elfo.
“Sembra
che la cosa ti turbi parecchio”.
“No,
soltanto vorrei sapere cosa mi aspetta”, disse Rhumine.
“Devo
partire subito, per raggiungere la dimora di Sire Faramir e Dama
Eowyn: domani vi si terrà una trattativa a cui non posso
mancare. Buonanotte Legolas, hanno portato il mio cavallo, devo
andare”.
Rhumine
si allontanò a passo svelto e in groppa al suo nero
destriero
cavalcò via nella notte.
Dopo
aver salutato Rhumine, Legolas raggiunse Helkamirië nella loro
stanza. Vedendolo, la fanciulla si alzò per andargli
incontro,
ma i suoi figli furono più veloci. Legolas li
sollevò
entrambi fra le braccia, baciandoli sulla fronte.
“Ada,
dove sei stato?”, chiese Amrod.
“Ci
sei mancato”, rimbeccò Anië.
“Lo
so, piccoli miei, mi siete mancati anche voi”, disse Legolas.
“E
mi è mancata anche vostra madre”, disse
sporgendosi a
baciare Helkamirië.
“Anië,
Amrod, lasciate in pace vostro padre”, disse
Helkamirië
prendendo Anië
dalle braccia di Legolas. “Sarà molto stanco,
lasciate che
riposi”.
“No,
Helkamirië, non preoccuparti”, disse Legolas.
“Sediamoci
piuttosto, voglio parlarti delle mie indagini”.
“Certo.
Cosa sai dirmi?”.
“Gli
strani movimenti che Ilderan ha notato ci sono davvero. Si tratta di
Uomini: li abbiamo seguiti per due giorni senza riuscire a
raggiungerli e alla fine li abbiamo persi non lontano da qui, nei
pressi di Henneth Annûn.
In mezzo alle rocce abbiamo perso le tracce, ma erano nascosti,
infatti ci hanno tirato addosso”.
“Vi
hanno feriti?”, chiese Helkamirië guardandolo da
capo a piedi.
“Ilderan
sta bene, io ho solo una ferita superficiale, non temere. Domani
dovremo uscire di nuovo, sono troppo vicini per lasciar
correre”.
“Posso
venire con voi?”.
“No,
Helkamirië, è pericoloso”.
La
richiesta di Helkamirië e il rifiuto di Legolas diedero il via
a
un lungo battibecco durante il quale entrambi tentavano di prevalere
con le proprie ragioni. In tutto questo, i bambini non si erano
mossi, né avevano proferito parola: Anië
aveva continuato a intrecciare i suoi capelli con quelli lunghissimi
della madre e si era addormentata dopo un po', ben presto seguita da
Amrod. Legolas e Helkamirië continuarono ancora a discutere,
fin
quando la fanciulla ottenne di uscire con il suo sposo, a patto,
però, che rientrasse al minimo segnale di pericolo.
“C'è
una cosa che non ti ho detto a proposito di quegli Uomini”,
disse
d'un tratto Legolas. “Quando li ho visti, ho trovato
familiare la
foggia dei loro abiti, ma in un primo momento non capivo cosa o chi
mi ricordassero. Soltanto stasera, rientrando, ho capito: vestivano
come Rhumine quando la incontrammo la prima volta. Credo che anche
loro vengano da Rhûn”.
“Forse
potremmo chiederle aiuto”.
“No,
non possiamo. Odio doverlo dire, ma credo che tu avessi ragione: non
è affatto cambiata e tradirà la fiducia di
Aragorn”.
“Come
fai a dirlo?”.
“Le
ho accennato il motivo della mia assenza ed è diventata
improvvisamente nervosa... troppo nervosa; si torceva le mani
addirittura, e sappiamo che difficilmente perde il suo sangue freddo.
Forse dovrei raggiungere Faramir e informarlo, Rhumine mi ha detto
che era diretta lì per delle trattative. Tu ne sai
qualcosa?”.
“Si.
Rhumine mi ha detto che domani dovrà affiancare Aragorn per
trattare la pace con il suo popolo. In effetti, non credo che
dobbiamo temere per il momento: è troppo furba per attaccare
adesso, se è ciò che vuole fare.
Aspetterà di
aver conquistato totalmente la fiducia dei Sovrani e quando essi meno
se lo aspetteranno, ella colpirà. Ma cosa possiamo
fare?”.
“E'
troppo presto per parlarne con Aragorn o Faramir”, disse
Legolas
pensieroso. “Purtroppo non abbiamo prove, e non possiamo
accusare
Rhumine soltanto perchè è diventata nervosa
sentendo
parlare di strani movimenti nella regione. Dovremo indagare per conto
nostro, almeno per un po' e vedere se riusciamo a scoprire
qualcosa”.
“Dovremo
prestare attenzione a ogni dettaglio”, disse
Helkamirië mentre
disfaceva le trecce di Anië.
“Io ho notato una cosa, ma non so se sia importante. Rhumine
si
ferma volentieri a dormire qui, ma non se c'è Luna piena;
quando la notte è illuminata dalla Bianca Isola, ella si
allontana sempre, dicendo di recarsi presso Sire Faramir e Dama
Eowyn. Non mi sono mai preoccupata di controllare che direzione
prenda quando lascia il nostro reame, ma forse quando
accadrà
di nuovo dovremmo farlo”.
“Sono
d'accordo con te”, disse Legolas. “Controlleremo i
movimenti di
Rhumine e indagheremo sul suo conto a Minas Tirith; non appena ne
sapremo di più parlerò con Aragorn”.
“C'è
un'altra cosa”, disse Helkamirië. “Credo
che si sia
infatuata di te”.
“Cosa?!”,
esclamò Legolas, mentre sul suo viso si dipingeva
un'espressione stranita.
“Legolas
sei ridicolo!”, scoppiò a ridere
Helkamirië, tentando
di trattenersi per non svegliare Anië
che si agitava fra le sue braccia.
“Beh,
cosa credevi?”, disse Legolas contrariato. “Non mi
hai detto una
cosa che succede tutti i giorni. Tu sei stata l'unica ad avermi
amato”.
“Dimentichi
la povera Firiel. E poi ho detto infatuata, non innamorata”,
disse
Helkamirië. “E molte fanciulle a Dol Taur erano
infatuate del
bel Principe, più di quante credi”.
“Spero
che ti sbagli su Rhumine. Non desidero le attenzioni di un essere
tanto spregevole da tradire chi le offre amicizia e
gentilezza”.
“Forse
mi sbaglio. Vieni, mettiamo i bambini nei loro letti”.
Più
tardi, Helkamirië volle a tutti i costi esaminare la ferita
riportata da Legolas durante la perlustrazione: in effetti, non era
profonda ma nemmeno tanto superficiale.
“Legolas!”,
esclamò Helkamirië. “Quante volte ti ho
detto di non
nascondermi le ferite?”.
“E'
solo un graffio, lirimaer”,
disse Legolas sorridendo.
“Questo
non è vero e chiunque l'abbia medicata non è
stato
capace di pulirla come si deve. Non ti muovere”.
Helkamirië si
avvicinò al catino che teneva vicino alla finestra, alla
luce
del Sole e della Luna, si lavò accuratamente le mani,
cambiò
l'acqua e lo portò vicino al letto, dove sedeva Legolas.
Prese
dalla sacca dei medicamenti delle foglie di athelas,
le gettò nell'acqua e la usò per lavare la ferita
con
l'ausilio di una spugna. Quando ebbe finito, prese diversi tipi di
erbe e le applicò per medicare il taglio che
fasciò
accuratamente con bende pulite.
“Ho
finito”, disse Helkamirië. “Adesso
potrà guarire. Mi
dici chi ti aveva medicato?”.
“Tuo
fratello”.
“Dovevo
immaginarlo. Ilderan è sempre stato negato per la medicina,
ma
siccome non vuole ammetterlo insiste nel fare di testa sua e si
improvvisa guaritore”.
“La
prossima volta non gli permetterò di toccarmi”,
disse
Legolas sorridendo. “Se è così pessimo
come dici
potrebbe uccidermi!”.
Helkamirië
scoppiò a ridere imitata da Legolas e lo
abbracciò,
carezzandogli delicatamente il petto là dove era stato
ferito.
“Senti
dolore?”, chiese alzando il volto verso il suo.
“No,
lirimaer”,
disse Legolas, stringendola a sé. “Non stare in
pena, mi
sento bene. Tu sei un'ottima guaritrice questa ferita non
tarderà
a rimarginarsi”. Legolas la guardò intensamente e
comprese
che c'era dell'altro. “Helkamirië
devi dirmi qualcosa?”.
Helkamirië
era titubante, ma rispose ugualmente. “Speravo che anche
questa
volta non avessi sbagliato nel giudicare il cuore di un Uomo. Ma
evidentemente, Rhumine è troppo falsa e ambigua per essere
compresa”.
“Immagino
che sia così”, disse Legolas. “Non
pensare più a
lei! Riposiamo piuttosto: all'alba, Ilderan ci aspetta per il giro di
perlustrazione”.
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Capitolo 42 *** 41 ***
Rhumine
uscì dai confini del reame di Legolas e Helkamirië
con la
mente turbata da molteplici pensieri. Non poteva permettere che il
suo piano venisse rovinato proprio adesso: da anni ormai progettava
la rovina di Gondor e niente avrebbe dovuto interferire, niente e
nessuno.
Non
appena fu certa di non essere vista dalle sentinelle elfiche,
cambiò
direzione: invece di dirigersi a sud, verso la dimora di Sire Faramir
e Dama Eowyn, spronò il suo destriero, Smaug, verso est, per
raggiungere quella che un tempo era la Valle di Morgûl. La
Luna
era alta e doveva essere all'incirca mezzanotte quando raggiunse la
sua destinazione. Fermò il cavallo prima che si addentrasse
nella valle e lanciò un richiamo stridulo e prolungato,
rimanendo in ascolto: dopo un tempo che a lei sembrò
interminabile, le giunse in risposta un suono simile ma più
profondo, seguito da un gruppo di Uomini di Rhûn. Solo allora
smontò da cavallo, avvicinandosi al capo di quegli Uomini.
“Rhumine,
è molto tempo che non ci vediamo”, disse questi
levandosi il
cappuccio. “Che notizie mi porti, figlia mia?”.
“Temo
che gli Elfi vi abbiano scoperti, padre”, disse Rhumine.
“E i
loro Signori non sono da sottovalutare, non cederanno fin quando non
avranno chiarito la faccenda”.
“Purtroppo
ci hanno visti e siamo stati costretti ad attaccarli per avere il
tempo di far perdere le nostre tracce”, disse l'Uomo.
“Tu li
conosci: ritieni che questo sarà di impedimento per la
realizzazione del nostro piano?”.
“Temo
di si, padre”, disse la donna. “La Dama di
Taur-en-Ithil è
la stessa Valienna che fui mandata a uccidere, ed ella non ha mai
avuto fiducia in me; negli ultimi tempi sembrava disposta a
concedermi la sua amicizia, ma penso che adesso sarà
più
sospettosa di prima: uno degli Elfi che vi seguivano è il
suo
sposo, Legolas Verdefoglia del Reame Boscoso. Se egli vi ha visti,
non si fideranno più di me”.
“Perciò,
ritieni non sia saggio attaccare domani?”.
“Attaccare
domani significherebbe la nostra rovina. Se domani mettessimo in atto
il nostro proposito, saremmo subito identificati come i responsabili,
e il nostro paese invaso da tanti nemici che non riusciremmo neppure
a contarli. La cosa più saggia è condurre la
trattativa
per il momento”.
“D'accordo,
allora”, disse l'Uomo. “Domani ci incontreremo come
stabilito
presso i Signori d'Ithilien. Noi giungeremo quando il Sole
sarà
già alto, tu partirai subito, se galoppi veloce dovresti
arrivare poco dopo l'Alba”.
“Re
Elessar dovrebbe raggiungerci nel pomeriggio”, disse Rhumine
montando a cavallo. “Cercate di non essere troppo puntuali:
è
un lungo viaggio da Rhûn”.
“Certo”,
ghignò l'Uomo. “A più tardi
Rhumine”.
“A
più tardi”, disse la donna. Voltò il
cavallo e sparì
veloce come era arrivata.
L'alba
giunse veloce, scacciando la Luna dal cielo e mentre Rhumine
cavalcava verso il palazzo dei Signori d'Ithilien, Legolas e
Helkamirië si apprestavano a partire per il giro di
perlustrazione programmato. Legolas si stava vestendo quando
sopraggiunse Helkamirië con la sua borsa dei medicinali.
“Aspetta,
Legolas”, disse avvicinandosi. “Lascia che dia
un'occhiata alla
ferita”.
L'Elfo
si fermò e lasciò che la sua sposa togliesse le
bende
che gli fasciavano il torace. Helkamirië osservò
attentamente il taglio e poi vi passò la mano,
delicatamente,
per rimuovere la crosta che l'impacco di erbe aveva creato.
Lavò
di nuovo la ferita e il suo volto assunse un'espressione preoccupata.
“E'
strano”, disse. “Che razza di freccia ha potuto
causare un simile
taglio? I bordi sono irregolari”.
“Non
è stata una freccia”, disse Legolas. “Ti
ho detto che mi
hanno tirato addosso, ma si trattava di pugnali, e molto affilati:
quello che mi ha colpito ha tagliato la casacca di pelle come fosse
burro. Però avevano la lama seghettata, perciò la
ferita ha questa strana forma”.
“Hai
recuperato il pugnale?”.
“No”,
disse l'Elfo fissandola. “Ma perchè lo chiedi?
Sembri in
ansia Helkamirië”.
Helkamirië
ricambiò lo sguardo di Legolas e gli prese le mani nelle
sue,
mentre un pallido sorriso compariva sul suo volto.
“Tu
mi leggi dentro meglio di chiunque altro”, disse.
“Hai ragione,
sono preoccupata: è soltanto una ferita lieve e considerate
le
capacità di recupero di noi Elfi e la medicazione che ho
fatto, dovrebbe essere in via di guarigione ma... non è
così.
Al contrario, sembra addirittura peggiorata e non smette di
sanguinare”.
“Ma
io sto bene, lirimaer”.
“Il
flusso di sangue è costante ma non copioso, è
normale
che tu stia ancora bene”.
“Ancora?”,
chiese Legolas aggrottando le sopracciglia.
“Sarò
sincera Legolas”, disse Helkamirië. “Temo
che la lama fosse
avvelenata e purtroppo non so di che sostanza si tratti. Potrebbe
esserci del tutto sconosciuta e io non so se... ho l'antidoto
giusto”.
“Cosa
possiamo fare?”, disse Legolas. “Non voglio morire.
Non voglio
lasciare te, Amrod e Anië”.
L'Elfo
aveva un'espressione che Helkamirië non aveva mai visto, di
paura e sconfitta. La fanciulla gli prese il viso fra le mani,
carezzando le guance imberbi.
“Tu
non morirai”, disse, piena di determinazione. “Per
il momento ti
darò l'antidoto più potente in mio possesso e poi
mi
farò aiutare da Rhumine a trovare quello adatto, sono certa
che lo conosce”.
“Cosa
ti fa credere che sia disposta ad aiutarti?”.
“E'
da quando ci siamo sposati che tenta di guadagnare la mia fiducia,
non rifiuterà. E se lo facesse avrebbe un incontro poco
gradevole con Lumiel”.
“Non
voglio che tu la uccida”, disse Legolas. “In nessun
caso, nemmeno
se ti negasse il suo aiuto. Non voglio che ti macchi di assassinio
per me, anche se io... morissi”.
“Tu
non morirai!”, gridò Helkamirië.
“Arriverò
fino a Rhûn se necessario, ma troverò una cura! E
Rhumine non morirà, ma solo perchè non sarebbe
una
punizione sufficiente; la manderò a Thranduil, non prima di
averle fatto provare tanto dolore da invocare Mandos come ultima
speranza”.
Legolas
non rispose, ma si ripromise di non arrendersi al veleno; il dolore
rendeva Helkamirië dura e spietata, non avrebbe permesso che
tornasse ad essere Lumiel perchè questa volta lo sarebbe
rimasta per l'eternità.
Helkamirië
si mise subito all'opera, medicando di nuovo la ferita con un'erba
disintossicante e grande quantità di athelas.
Mentre era intenta a fasciarla con bende pulite, sopraggiunse
Ilderan.
“Helkamirië”,
disse. “Qualcosa non va? Vi aspetto da più di
un'ora ormai”.
“E'
per la ferita, Ilderan”,disse Legolas.
“La
ferita?!”, disse Ilderan. “Ho capito,
Helkamirië mi hai
detto mille volte che sono negato, ma Legolas aveva bisogno di cure,
e se non ci avessi almeno provato mi avresti ritenuto responsabile,
cosa avrei dovuto fare?”.
Nonostante
la situazione, Legolas e Helkamirië scoppiarono a ridere,
divertiti dalle frasi sconnesse che Ilderan tentava di addurre come
scusa.
“Non
sono arrabbiata con te, Ilderan”, disse Helkamirië
tornando
seria. “Sono preoccupata, questo taglio è
avvelenato e io
non so di che veleno si tratti, né se sia letale”.
“Veleno?”,
chiese Ilderan preoccupato. “Ne sei certa?”.
“Purtroppo
si; la ferita non accenna a rimarginarsi e i bordi, così
irregolari, sono troppo scuri, quasi neri. Non ho mai saputo di un
veleno con questi effetti”.
“Ho
capito. Dimmi cosa posso fare”.
“Torna
sul luogo dell'agguato e cerca il pugnale”, disse Legolas.
“E poi
raggiungi Rhumine alla dimora di Sire Faramir; non appena
termineranno le trattative, portala qui”.
“E
se non volesse seguirmi?”.
“Costringila”,
disse Helkamirië. “Lei era un'assassina altamente
considerata,
sono certa che conosce tutte le armi in uso a Rhûn, di
qualsiasi tipo... fai in fretta, Ilderan”.
“Stai
tranquilla”, disse Ilderan abbracciandola.
“Prenderò
Carnemirië e sarò di ritorno stasera”.
L'Elfo poso un
bacio sulla fronte della sorella e la lasciò andare, uscendo
dalla stanza.
Ilderan
si precipitò nelle stalle, saltando subito in groppa a
Carnemirië, il quale sembrava aver compreso l'urgenza del suo
cavaliere e aveva aumentato la propria andatura, giungendo a Henneth
Annûn
quando il Sole non era ancora a metà della sua strada.
Ilderan
si mise a cercare freneticamente il pugnale ma senza risultato: erano
stati attaccati in un passaggio roccioso, talmente angusto che dopo
un'ora lo aveva già perlustrato più volte. L'Elfo
sedette su un masso prendendosi il capo fra le mani; si sentiva
sconfitto e frustrato, ma soprattutto colpevole: non poteva tornare a
casa a mani vuote e lasciare che Legolas morisse, o Helkamirië
sarebbe morta di dolore o... impazzita. “Non posso perdere
altro
tempo!”, esclamò. “Carnemirië
dovrai galoppare come non hai mai fatto prima; alle prime ore dopo
mezzodì dovremo essere al palazzo dei Signori d'Ithilien. Noro
lim!”.
Carnemirië
scattò, lanciandosi immediatamente in una folle corsa
attraverso le verdi pianure e i fitti boschi dell'Ithilien, che
Ilderan vide sfrecciare attorno a sé senza neanche avere il
tempo di riconoscerli. Erano passate circa tre ore da
mezzodì
quando infine potè presentarsi a Sire Faramir, il quale lo
accolse benevolmente.
“Ilderan,
benvenuto”, disse Faramir vedendolo giungere al suo cospetto.
“Qual
buon vento ti porta nella mia dimora?”.
“Sto
cercando Rhumine”, disse Ilderan. “Posso parlare
con lei?”.
Faramir
acconsentì e un servitore accompagnò l'Elfo nel
giardino di Dama Eowyn dove attese che giungesse Rhumine. Dopo
diversi minuti la donna raggiunse Ilderan, sfoggiando un sorriso
smagliante che infastidì oltremodo l'Elfo, già
provato
dall'attesa e dall'ansia.
“Mio
signore Ilderan perdonami per l'attesa”.
“Già”,
commentò sarcastico l'Elfo. “Cominciavo a temere
ti fossi
smarrita nei corridoi”.
“Non
è necessario essere scortesi”.
“Devi
seguirmi”, disse Ilderan senza raccogliere la provocazione.
“Legolas è ferito”.
“Mi
dispiace”, disse Rhumine, e per una volta sembrava sincera.
“Mi
dispiace davvero, ma non posso seguirti”.
“Tu
verrai a Taur-en-Ithil senza fare troppe storie. Devo mantenere la
parola data a mia sorella. Andiamo!”.
“Non
posso lasciare le trattative di pace. E poi perchè dovrei
aiutare una persona che mi ha sempre umiliata?”.
“Perchè”,
disse Ilderan abbassando la voce, “le tue preziose trattative
andrebbero in fumo se dicessi a Re Elessar che il suo migliore amico
giace nel suo letto tra la vita e la morte, avvelenato da un pugnale
di Rhûn
che lo ha ferito in un agguato”. Rhumine si era irrigidita
tanto da
sembrare una statua di pietra. “Credi che anche il Re
giungerebbe
alla conclusione che sei una traditrice? Io penso di si e allora un
immenso esercito varcherebbe i confini di Rhûn: Gondor e
Rohan,
i loro alleati della Valle e di Erebor e addirittura gli Elfi di Eryn
Lasgalen... siete abbastanza forti per fronteggiarlo?”.
“Lasciami
parlare con Sire Faramir”, sospirò sconfitta
Rhumine.
“No”,
disse Ilderan. “Carnemirië ti porterà al
nostro reame.
Io prenderò il tuo... Smaug e ti raggiungerò dopo
aver
parlato con Sire Faramir e con Re Elessar. Non mi fido di te”.
Ilderan
costrinse Rhumine a montare Carnemirië che rimandò
a casa
e restò in attesa che da Minas Tirith giungesse Aragorn.
Rhumine
avrebbe voluto saltare giù da Carnemirië ma il
cavallo
non le consentiva neanche di tentare, scattando improvvisamente
più
veloce non appena la sentiva muoversi troppo. Così la donna
si
rassegnò lasciando scorrere l'Ithilien sotto gli zoccoli
dell'animale, che al tramonto aveva già raggiunto
Taur-en-Ithil. Solo dopo aver varcato la soglia delle scuderie
Rhumine potè smontare da cavallo, ma nel momento stesso in
cui
toccò terra, tre guardie elfiche le comparirono accanto.
“Ma
voi Elfi non potete proprio fare rumore?”, disse Rhumine.
“La
nostra signora ti attende”, disse uno degli Elfi.
“Seguici senza
fare storie e non tentare di fuggire. Le sentinelle hanno l'ordine di
tirare a vista e non andresti lontano con le gambe trafitte”.
Gli
Elfi condussero Rhumine lungo le scale e i corridoi che portavano
alle stanze dei Signori, percorso che la donna conosceva bene,
avendolo percorso più volte da persona libera. Fu lei stessa
a
bussare alla porta, ma le guardie non le consentirono di entrare da
sola.
“Mia
signora Helkamirië”, disse l'Elfo che aveva parlato
con
Rhumine. “La tua ospite è arrivata”.
“Grazie
Haldir”, disse Helkamirië. “Ho un'ultima
cosa da chiederti:
voglio che tu vada incontro a mio fratello, esortandolo
perchè
ci raggiunga in fretta. E voi Rumil e Orophin, rimanete di guardia
qui fuori, ve ne prego. Va' Haldir”.
I
tre Galadhrim uscirono per eseguire gli ordini ricevuti, inchinandosi
a Helkamirië; dopo la partenza di Galadriel, Haldir aveva
sentito la necessità di rivolgersi a un'altra luce e aveva
cercato la sua amata Valienna, seguito dai suoi fratelli.
Helkamirië
lo aveva accolto volentieri a Eryn Lasgalen, portandolo poi con
sé
a Taur-en-Ithil, dove i tre fratelli erano diventati la guardia
scelta dei Signori con l'incarico di proteggerne la famiglia. Quando
la porta si richiuse, Helkamirië si avvicinò
velocissima
a Rhumine, puntandole il suo pugnale adamantino alla gola.
“Lascia
che ti dia un consiglio”, sibilò.
“Renditi utile e aiutami
a salvare Legolas, o te ne pentirai”.
“Vorresti
uccidermi?”, la provocò Rhumine.
“Perchè non lo
fai, allora?”.
Helkamirië
premette leggermente la punta del pugnale contro la pelle ambrata di
Rhumine, facendone stillare una piccola e rossa gemma. “Una
volta
ti dissi che la morte non sarebbe stata una punizione adeguata per
te”, disse. “Ma credimi: se Legolas muore, tu
invocherai su di te
il dolce sonno di Mandos come il premio più
ambito”.
Rhumine
fissò i suoi occhi scuri in quelli verdi di
Helkamirië, e
si ritrovò a sudare freddo, tremando di terrore,
perchè
nello sguardo dell'Elfo aveva letto una terribile ferocia.
“Portami
da Legolas”, riuscì a dire.
Helkamirië
ripose il pugnale e la condusse nella stanza attigua dove Legolas
giaceva nel proprio letto. La ferita non era peggiorata, ma lui
bruciava di febbre, certamente opera del veleno, passando da uno
sonno agitato a uno stato di dormiveglia. Helkamirië si
avvicinò
al letto e scostò le coperte per permettere a Rhumine di
esaminare la ferita. Quando fece per aprirgli la casacca, la mano
dell'Elfo si posò sulla sua.
“Helkamirië,
no”, sussurrò Legolas. “Non toglierla...
sento un freddo
mortale penetrarmi tutto il corpo”.
“Cerca
di resistere, Legolas”, disse Helkamirië.
“So che hai freddo
ma Rhumine deve vedere la ferita per aiutarti. Lasciami fare”.
L'Elfo
lasciò cadere la mano e Helkamirië gli tolse la
casacca,
liberando il torace dalle bende che lo fasciavano. Il suo sposo era
scosso da tremiti e lei si sedette sulla sponda del letto, tenendogli
la mano; mentre Rhumine osservava la ferita, lo sguardo di
Helkamirië
cadde sul rubino che Legolas portava ancora al collo. Istintivamente
lo sfiorò mentre parole appena sussurrate si formavano sulle
sue labbra. “Aiya
Arien Anorwen”.
Non appena le ebbe pronunciate, una tenue luce illuminò
soltanto per un attimo la pietra e dopo pochi istanti Legolas smise
di tremare. Rhumine guardò Helkamirië con una muta
domanda negli occhi, ma l'Elfo non disse nulla, così
tornò
al suo lavoro.
“Non
ho buone notizie”, disse. “Il pugnale che ha ferito
Legolas è
una delle armi in uso nella mia Gilda e doveva essere imbevuto di un
potente veleno noto soltanto a noi genti di Rhûn:
è un
estratto delle foglie di mornilas,
una pianta che cresce anche qui in Ithilien e che mostra i suoi fiori
alla notte”.
“C'è
un'unica cura”, disse Rhumine. “Ma non so se
abbiamo il tempo,
dovrei tornare a Rhûn”.
“Sei
sicura di non conoscere gli Uomini che hanno attaccato
Legolas?”,
disse Helkamirië. “Sicuramente hanno dell'antidoto
con sé,
forse potresti chiederglielo”.
“La
tua non mi sembra una domanda, ma non vedo perchè dovrei
conoscerli”.
“Non
mettere alla prova la mia pazienza, Rhumine. Quanto tempo ha
Legolas?”.
“Considerando
che è un Elfo, potrebbe resistere una settimana, forse dieci
giorni, ma questo tempo non basta per raggiungere la mia terra e
tornare. Devi arrenderti Helkamirië”.
“E
lasciar morire Legolas? No!”, esclamò
Helkamirië. “La
delegazione di Rhûn sarà ancora presso i Signori
d'Ithilien; adesso io e te ripartiremo immediatamente e prenderai
l'antidoto dalla tua gente”.
“Aspetta!”,
disse la donna. “C'è una cosa che non ti ho ancora
detto: la
cura lo porterà molto vicino alla morte. Soltanto se
resisterà
abbastanza potrà riprendersi”.
“Trovala”,
sussurrò Legolas. “Tu portami la cura e io
resisterò”.
“Aspettami
fuori Rhumine”, disse Helkamirië. Si
voltò verso
Legolas e si sdraiò al suo fianco, mentre l'Elfo si
rifugiava
fra le sue braccia, nascondendo il viso sul suo petto. La fanciulla
lo strinse a sé, carezzandogli dolcemente i capelli,
perchè
sapeva che quel gesto lo tranquillizzava.
“Legolas
sei certo di voler affrontare questo rischio? Forse esiste un'altra
cura che Rhumine non conosce e...”.
“No,
Helkamirië”, disse Legolas interrompendola.
“L'hai sentita,
non esiste un'altra cura. Devi fidarti di me, io resisterò e
sarò al tuo fianco per tutta l'eternità. Te l'ho
promesso ricordi? Il giorno del nostro matrimonio, dopo il
ricevimento”.
“Eravamo
rimasti soli”, disse Helkamirië. “E tu mi
dicesti 'Ti
prometto che sarò sempre con te, Helkamirië; fin
quando i
mari saranno sollevati e le montagne scosse fin dalle fondamenta, e
il nostro mondo giungerà alla sua Fine'. Devi mantenere la
tua
parola, Legolas”.
“Lo
farò”, disse l'Elfo, spostandosi per posare un
delicato
bacio sulle labbra di Helkamirië. La fanciulla
ricambiò
il bacio e dopo un'ultima carezza, si allontanò.
Helkamirië
uscì dalla stanza con gli occhi lucidi di pianto: non
sopportava la vista di Legolas così fragile e indifeso, lui
che era stato il suo appiglio, la sua roccia da quando Ëaralad
e
Arelen erano partiti. Si passò la mano sugli occhi per
asciugare le lacrime e afferrato il suo pugnale, raggiunse Rhumine
fuori dagli appartamenti. La precedette fino alle scuderie, entrambe
seguite da Rumil e Orophin, dove la affidò ancora una volta
a
Carnemirië, invece lei balzò in groppa a Elennath.
Mentre
uscivano dall'edificio sopraggiunsero Haldir e Ilderan e dopo avergli
brevemente spiegato la situazione, Helkamirië
affidò
Legolas al fratello e scattò veloce nella notte.
Carnemirië
seguiva Elennath, nonostante Rhumine tentasse più volte di
fargli cambiare direzione e così nel giro di poche ore
giunsero alla dimora di Faramir; vi si stava svolgendo un banchetto
in onore degli ospiti stranieri, perciò nessuno riposava. Le
viaggiatrici furono introdotte alla presenza di Sire Faramir e Dama
Eowyn, i quali stavano piacevolmente intrattenendosi con i Sovrani di
Gondor.
“Helkamirië!”,
esclamò Eowyn. “Che piacevole sorpresa! Vedo che
hai
riportato Rhumine, tuo fratello l'ha praticamente rapita e ci
occorreva qui”.
“Sono
mortificata”, disse Helkamirië. “So per
quale motivo doveva
trovarsi qui e non l'avrei fatta mancare se non avessi avuto
necessità del suo aiuto per un grave motivo”.
“Non
dire altro, Helkamirië”, interloquì
Faramir. “Non è
necessario”.
“Ilderan
ci ha spiegato la situazione”, disse Aragorn. “Ci
ha detto ogni
cosa,
perciò non sentirti in colpa”.
Dalle
parole di Aragorn, Helkamirië intuì che Ilderan
doveva
aver detto loro dei sospetti riguardo Rhumine e il suo supposto
tradimento e per qualche ragione se ne sentì sollevata.
“Rhumine,
ti prego fa' ciò che devi”, disse rivolta alla
donna, la
quale annuì e si diresse verso la sua gente.
Rhumine
si avvicinò a suo padre che stava parlottando con i suoi
uomini; quando la vide avvicinarsi, l'Uomo sorrise e le tese la mano
che lei strinse prontamente. Non aveva mai conosciuto sua madre,
morta nel darla alla luce, ma suo padre non le aveva mai fatto pesare
la situazione e le aveva dato tutto l'amore di cui era capace,
facendone il suo successore designato alla guida della Gilda,
nonostante fosse femmina. Rhudda era l'unico a cui mostrasse le
proprie debolezze e di cui accettasse i consigli.
“Rhumine,
figlia mia”, disse Rhudda. “Cosa è
successo? Perchè
non ci hai incontrati?”.
“E'
sorto un problema, padre”, disse Rhumine. “Avete
del Sangue di
Drago con voi?”.
“Sangue
di Drago?”, disse l'Uomo preoccupato.
“Perchè? Sei
ferita?”.
“No,
padre, stai tranquillo. Purtroppo qualche giorno fa, nell'agguato
avete ferito Legolas Verdefoglia”.
“Purtroppo?
È un'occasione d'oro per eliminare un nemico”.
“Posso
parlarti in privato?”.
Rhudda
fece un cenno ai suoi uomini che si allontanarono lasciando ai due la
loro discrezione.
“Cosa
c'è che non va, Rhumine?”.
“Dammi
l'antidoto, padre”, disse la donna con le lacrime agli occhi.
“Io
devo... voglio salvare Legolas. Ti prego dammi il Sangue di
Drago”.
Rhudda
rimase colpito dalle lacrime di Rhumine: non l'aveva mai vista
piangere, nemmeno quando era bambina. “E sia”,
disse, togliendo
una fiaschetta dalla sacca che portava alla cintura.
“Grazie
padre, grazie di cuore”, disse Rhumine, ricomponendosi e
stringendo
la bottiglina fra le mani.
“Sii
sincera, Rhumine”, disse Rhudda. “Cosa rappresenta
per te
quell'Elfo?”.
“Io...
temo di amarlo, padre. Ma se anche non ci fosse la nostra natura a
dividerci, lui non potrebbe mai ricambiare i miei sentimenti,
perchè
il suo cuore appartiene completamente a Valienna”.
“Capisco”,
disse Rhudda. “Lascerò che tu lo salvi per questa
volta, ma
non voglio che si ripeta. Sarà già dura spiegare
ai
nostri uomini perchè lo curiamo stavolta”.
“Dì
loro la verità”, disse Rhumine. “Gli
Elfi vi hanno visti e
riconosciuti e per quanto credito io possa aver acquisito presso il
Re di Gondor, la mia parola non vale nulla se paragonata alla loro.
Se dicessero al Re che sono una traditrice non avrei perdono e la
nostra missione fallirebbe senza appello”.
“D'accordo,
dirò questo. Ora vai, l'Elfo ti sta aspettando”,
disse
Rhudda fissando con astio colei che impediva la felicità di
sua figlia.
Mentre
Rhumine cercava di ottenere l'antidoto da suo padre,
Helkamirië
tentava di rispondere al fuoco di fila di domande dei suoi amici,
preoccupati per la vita di Legolas.
“Legolas
si riprenderà, Helkamirië?”, chiese Arwen.
“Io...
lo spero, Arwen”, disse Helkamirië.
“Purtroppo, ammesso che
quegli Uomini lo abbiano con sé, l'antidoto agisce in modo
inconsueto, portando chi lo assume a un passo dalla morte. Rhumine
dice che questa è l'unica cura, perciò non ho
scelta,
devo esporre Legolas a questo rischio se voglio che abbia almeno una
minima speranza. Devo credere in lui”.
“Lui
si riprenderà”, disse Eowyn. “E' forte,
e ti ama a tal
punto che non ti lascerebbe nemmeno se Mandos in persona venisse a
portarlo via. In fondo stiamo parlando di uno dei Nove
Viandanti!”.
“Eowyn
ha ragione”, disse Aragorn. “Conosco Legolas e so
che resisterà.
Piuttosto, sei certa di poterti fidare di Rhumine? Come fai a sapere
che ti darà l'antidoto?”.
“Lo
farà, Aragorn”, disse Helkamirië.
“Perchè non
vuole morire, innanzitutto; e perchè non può
scoprirsi
o il suo misterioso piano andrà in fumo”.
“Ilderan
ci ha accennato qualcosa”, disse Faramir. “Ma non
ha voluto
spiegare quale fosse questa congettura. Vuoi dirci di
più?”.
“Non
posso”, disse Helkamirië. “Come non poteva
Ilderan, perchè
non sappiamo quasi nulla. L'unica certezza sono gli strani movimenti
di Uomini di Rhûn nell'Ithilien, soprattutto vicino a Henneth
Annûn, e l'insolito comportamento di Rhumine nelle notti di
Luna piena. Abbiamo deciso di indagare e tenere sotto controllo
Rhumine; non appena sapremo di più vi
informerò”.
“Non
preoccuparti di questo”, disse Arwen. “Pensa a
prenderti cura di
Legolas ora; sono certa che Aragorn e Faramir potranno aspettare fino
a che il tuo sposo non starà meglio”.
Mentre
così discutevano, sopraggiunse Rhumine recando con
sé
una piccola fiaschetta che porse a Helkamirië.
“Ecco
l'antidoto”, disse. “Noi lo chiamiamo Sangue di
Drago, ma non ti
rivelerò come è fatto. Legolas dovrà
berne un
solo piccolo sorso, una quantità eccessiva sarebbe deleteria
quanto il veleno. Custodisci con cura il rimanente perchè
non
ne avrai altro; non siamo soliti donare il Sangue di Drago agli
stranieri e questa boccetta ne contiene più di quanto ne
spetti a un qualsiasi assassino della Gilda”.
“Ti
ringrazio Rhumine”, disse Helkamirië prendendo la
fiaschetta.
“Immagino che tu non voglia venire con me”.
“No,
rimarrò qui”, disse la donna. “Ricorda:
un solo piccolo
sorso”.
“Me
ne ricorderò. Ti ringrazio ancora, farò riportare
il
tuo cavallo domani. Miei Sovrani, Signori d'Ithilien, vi ringrazio
per la vostra gentilezza, buonanotte”.
Helkamirië
salutò con un inchino e a passo svelto uscì dalla
sala
e dal palazzo; balzò in groppa al suo Carnemirië e
portandosi dietro Elennath, lanciò i cavalli al galoppo
più
veloce che potessero sostenere.
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Capitolo 43 *** 42 ***
La
Luna era già tramontata quando finalmente
Helkamirië
raggiunse Taur-en-Ithil. Lasciò i cavalli nelle scuderie e
corse velocissima verso la sua stanza, dove trovò Ilderan
che
passeggiava avanti e indietro, attendendo nervoso il suo ritorno.
“Helkamirië,
finalmente!”, esclamò. “Hai
l'antidoto?”.
“Si.
Come sta Legolas?”.
“Non
bene, ma non è peggiorato, anzi adesso è
addirittura
sveglio. Va' da lui, forza”.
Helkamirië
entrò nella stanza e subito Legolas si voltò
verso di
lei, sorridendole sereno; la fanciulla si avvicinò al letto
e
gli posò un bacio sulle labbra, carezzandogli il volto.
“Come
stai? Non sembri più bruciare di febbre”.
“Adesso
riesco a dormire un pò”, scherzò
Legolas. “Hai
trovato la cura?”.
“Si.
Rhumine è riuscita a procurarselo”, disse
Helkamirië.
“Devi berne un sorso appena. Coraggio, tirati su”.
Helkamirië
aiutò Legolas a mettersi seduto e tirò fuori
dalla
propria sacca la fiaschetta di Sangue di Drago, facendogli bere il
contenuto.
“Allora?”,
chiese.
“Non
sento cambiamenti”, disse Legolas. “Ho soltanto
molto sonno”.
“Dormi
allora”, disse Helkamirië, costringendolo a
sdraiarsi di
nuovo. Gli sfiorò la fronte con le labbra e prima che l'Elfo
scivolasse nel sonno gli disse: “Sii forte Legolas. Noi ti
aspetteremo”.
“Lo
sarò”, disse Legolas cadendo in un profondo stato
di
incoscienza.
Nei
quattro giorni seguenti non ci fu nessun cambiamento: Legolas versava
ancora nelle medesime condizioni, ma Helkamirië che continuava
a
medicare la ferita, constatò con sollievo che si stava
rimarginando come avrebbe già dovuto fare. La fanciulla non
si
allontanava dal capezzale del suo sposo se non per trascorrere del
tempo con i gemelli, i quali chiedevano sempre più
insistentemente notizie del proprio padre.
“Naneth”,
chiese un giorno Anië. “Dov'è ada?”.
Helkamirië
guardò negli occhi la sua bambina, quegli occhi
così
simili a quelli di Legolas, e non potè mentire. Sedette su
una
panca che si trovava sul terrazzo della sua camera, portando i
bambini con sé.
“Amrod,
Anië”, disse, prendendoli in braccio.
“Devo dirvi una cosa e
voglio che mi ascoltiate con attenzione”.
I
bambini annuirono convinti e la fanciulla sorrise rassicurante prima
di proseguire. “Vostro padre è molto malato ed
è a
letto; dal momento che sta così male dorme tanto ed
è
per questo che non lo avete visto”.
“Perciò
è nell'altra stanza?”, chiese Anië,
indicando la porta.
“Possiamo
andare da lui, naneth?”,
chiese ancora Amrod.
Helkamirië
esitò un istante prima di rispondere: non sapeva quali
fossero
le reali condizioni di Legolas, quindi era indecisa se portare i
bambini; infine, accettò di far vedere loro il padre,
convinta
che se lo avessero visto dormire, si sarebbero quietati. Stringendoli
entrambi fra le braccia, li portò nella camera attigua e li
depose sul letto; Amrod rimase seduto dov'era, mentre Anië,
gattonando sul materasso, andò a sdraiarsi vicino a Legolas,
alzando una manina a sfiorargli il volto.
“Guarisci
presto, ada”,
disse. “Così ti sveglierai e tornerai a giocare
con noi”,
concluse, voltandosi verso il fratellino. “Vieni Amrod.
Diamogli un
bacino così saprà che siamo qui”. Il
piccolo Elfo la
raggiunse ed entrambi baciarono le guance di Legolas;
Helkamirië
si sentì stringere il cuore: i bambini erano così
fiduciosi, se il suo sposo non avesse superato la crisi, come avrebbe
potuto dir loro che non lo avrebbero rivisto? Non ebbe quasi il tempo
di concludere il suo pensiero che Legolas cominciò ad
agitarsi, per la prima volta da quando era caduto in quel sonno
profondo.
“Anië,
Amrod, andate a cercare Ilderan”, disse Helkamirië;
in realtà
non aveva bisogno di Ilderan, ma di una scusa per allontanare i
gemelli. Quando furono usciti, la fanciulla si avvicinò a
Legolas, carezzandogli il volto. “Legolas”, lo
chiamò.
“Legolas, avanti svegliati”.
Quasi
in risposta alle sue parole, finalmente l'Elfo socchiuse gli occhi,
sorridendole non appena distinse il suo volto.
“Buongiorno
Helkamirië”, disse, sempre sorridendole.
“Buongiorno?!”,
esclamò Helkamirië. “E' il tramonto
ormai!”.
Legolas
si mise seduto come se non fosse mai stato meglio e Helkamirië
gli gettò le braccia al collo, ridendo felice.
“Per
fortuna sei qui”, disse l'Elfo stringendola a sé.
“Temevo
di non ritrovarti”.
“Temevi
forse che mi stessi consolando altrove?”, disse
Helkamirië
ironica. “Sei uno sciocco”.
“No,
lirimaer.
Mi sono svegliato per te, dovevo salvarti; ricordi il sogno che feci
tempo fa a Dol Taur? Quello in cui vedevo la tua morte?”.
“E'
stato tanto tempo fa, Legolas”.
“Non
così tanto. E comunque l'ho rifatto: e non solo l'arma che
ti
aveva uccisa era nelle mie mani, ma era il mio stesso
pugnale!”.
“Legolas
, tu vuoi farmi del male?”.
“Certo
che no!”, esclamò l'Elfo prendendole il viso fra
le mani.
“Come puoi dire questo, lirimaer?”.
Helkamirië
posò le proprie mani su quelle di Legolas, sorridendo.
“Allora
non devi temere”, disse. “Il tuo incubo non si
avvererà,
stai tranquillo”, concluse, tendendosi in avanti per baciarlo.
Erano
ancora stretti l'uno all'altra quando Ilderan irruppe nella stanza,
tenendo i gemelli fra le braccia.
“Helkamirië,
co...”, cominciò a dire, interrompendosi di colpo.
“Ah!
Scusate non volevo disturbare. Ma tu non stavi dormendo?”.
“Ada!”,
esclamarono i bambini, saltando giù dalle sue braccia per
precipitarsi sul letto. Legolas li abbracciò, posando un
bacio
su ognuna delle dorate testoline.
“Stai
bene, ada?”,
chiese Amrod.
“Naneth
diceva che dormivi perchè sei malato”, disse
Anië.
“Ero
malato, è vero”, disse Legolas. “Ma
adesso sto bene, sono
completamente guarito”.
“Completamente?”,
intervenne Helkamirië ironica. “E quello
cos'è?”,
chiese indicando la vistosa macchia di sangue che sporcava le bende
sul petto.
Legolas
non rispose, sapendo che solo la presenza dei figli gli aveva
risparmiato una scenata, tuttavia non smetteva di sorridere.
“Avanti
bambini, uscite con Ilderan, devo cambiare la medicazione a vostro
padre”.
“Va
bene, naneth”,
disse Amrod saltando giù dal letto.
“Ci
vediamo più tardi, ada”,
disse Anië mandando al padre bacini con le manine paffute.
Helkamirië
chiuse la porta dietro di loro e si diresse in un'altra piccola
stanza, attigua alla camera da letto.
“Helkamirië
che stai facendo?”, chiese Legolas, vedendola affaccendarsi
avanti
e indietro.
“Ti
preparo un bagno caldo”, disse la donna con un sorriso.
“Sono
certa che ne hai bisogno, la medicazione può
aspettare”.
Legolas
si alzò dal letto, scoprendo che non si sentiva affatto
debole
o stanco, nonostante l'effetto del Sangue di Drago. “E'
strano”,
disse.
“Cosa
è strano?”.
“Rhumine
aveva detto che l'antidoto mi avrebbe portato molto vicino alla
morte; ma per quanto ne so, io ho solo dormito profondamente, e
inoltre, adesso sono pieno di energie”.
“Hai
dormito molto
profondamente, e il tuo cuore batteva così debolmente che...
a
un certo punto ho temuto che ti fossi arreso: non riuscivo
più
a sentirlo... ero così disperata!”.
Nel
pronunciare quelle parole, Helkamirië era scoppiata a piangere
e
Legolas l'aveva raggiunta e stretta a sé, baciandole la
fronte
e stupendosi come sempre di quanto sembrasse fragile e piccola fra le
sue braccia. “Sh, non piangere più, ormai
è tutto
passato, io sto bene e sono qui con te”.
“Lo
so, ma... è stato terribile, non potevo fare nulla... e
tuttavia dovevo mostrarmi forte per i gemelli... non potevo nemmeno
piangere. Sentivo come un macigno nel petto, ma ora sta passando...
avevo solo bisogno di sfogarmi”.
Legolas
la staccò da sé quel tanto che bastava per
prenderle il
viso fra le mani, asciugandole le lacrime con i pollici. “Ora
basta, però. Non sopporto le tue lacrime, ne hai versate
tante, e troppe a causa mia. D'ora in avanti voglio solo vederti
sorridere”.
Helkamirië
si asciugò le lacrime e lo accontentò,
prendendogli le
mani fra le proprie.
“Hai
ragione”, disse. “Lasciamoci il passato alle spalle
e pensiamo al
futuro. Abbiamo un solo compito da svolgere prima: smascherare
Rhumine”.
“Helkamirië,
ora basta!”, esclamò Legolas nervoso.
“Devi smetterla, sei
ossessionata da quella donna. Sono stato sul punto di raggiungere
Mandos a causa sua, e appena mi riprendo mi parli di lei?
Dimenticala, almeno per qualche giorno, per favore!”.
Helkamirië
chinò il capo, mortificata. “Perdonami
Legolas”, sussurrò,
e senza guardarlo uscì a passi svelti dalla stanza.
“Quando
hai finito chiamami. Ti rifarò la medicazione”,
disse
fermandosi un attimo sulla soglia.
“Helkamirië,
aspetta!”, provò a richiamarla Legolas, ma la
fanciulla
aveva già chiuso la porta dietro di sé.
Nell'anticamera
Helkamirië trovò Ilderan e i gemelli che la
fissavano
turbati; Ilderan sembrava piuttosto imbarazzato: probabilmente
avevano sentito lo sfogo di Legolas e lo avevano interpretato come
una lite.
“Naneth”,
chiese Anië. “Tu e ada
avete litigato?”.
Helkamirië
la prese in collo sorridendole. “No, piccola mia, non temere.
Hai
sentito urlare tuo padre?”.
“Si,
naneth”,
disse la bambina circondandole il collo con le braccia.
“Non
abbiamo litigato”, disse Helkamirië, lasciando che
Anië
posasse il capo sulla sua spalla. “E' stata colpa mia, ho
detto una
cosa che ha fatto arrabbiare tuo padre”.
“Allora
anche tu combini guai, naneth?”,
chiese Amrod dalle braccia di Ilderan. Quest'ultimo sorrideva
sornione, perso in chissà quali ricordi.
“Certo
che lo fa, Amrod”, disse. “Quando vostra madre era
una bambina
come voi, i nostri genitori dovevano stare sempre in guardia
perchè
era molto sbadata e spesso si perdeva nei boschi o nel nostro stesso
giardino!”.
“Ilderan!”,
protestò Helkamirië mentre i bambini ridevano
divertiti.
“Non è bello che tu dica certe cose di
me!”.
“Dico
solo la verità!”, esclamò Ilderan.
“Sei stata una
sorella impegnativa, dovevo sempre starti dietro; i tuoi figli sono
più indipendenti, avranno preso da Legolas”.
“Per
questa volta farò finta di nulla”, disse
Helkamirië.
“Ma solo perchè sono troppo felice che Legolas si
sia
ripreso. A proposito, fatemi controllare se ha finito il bagno. Va'
da Ilderan Anië”.
Non
appena la sua sposa era uscita, Legolas si era spogliato,
immergendosi nella vasca che lei aveva già riempito. Si
sentiva leggermente in colpa per averla sgridata, ma sapeva anche che
era necessario: da quando conosceva Rhumine, Helkamirië non
aveva mai smesso di indagare, sempre convinta di svelare
chissà
quali complotti, ma non aveva ottenuto nulla, la donna era stata
troppo furba e sapeva aspettare, conscia che la fretta avrebbe
rovinato il suo piano. Mentre l'acqua lavava il suo corpo, Legolas
sentì scivolare via anche tutta la tensione e la
preoccupazione per quella dannata ferita avvelenata e non
potè
reprimere un tremito; anche se con Helkamirië si mostrava
sereno, aveva avuto paura: quando il veleno aveva manifestato i suoi
primi effetti, aveva temuto di non resistergli e di dover lasciare la
sua sposa e i suoi figli. E poi c'era quel sogno... dopo la prima
volta, il ricordo era rimasto vivido a lungo, e ora che cominciava a
sbiadire era tornato a tormentare il suo sonno. Era sempre lo stesso:
vedeva sé stesso seduto sulla sponda di un letto nel quale
giaceva Helkamirië, il volto contratto in una smorfia di
dolore
e gli occhi sbarrati, nella rigidità della morte; le sue
vesti
candide e le lenzuola, anch'esse bianche, erano divenute cremisi,
imbrattate del suo sangue. Anche le sue mani erano insanguinate, ma
se la prima volta le fissava vuote, adesso stringeva il suo pugnale e
si trattava chiaramente dell'arma che aveva tolto la vita a
Helkamirië. Quell'incubo lo atterriva, temeva che si
realizzasse, ma d'altro canto l'idea di far del male alla sua sposa
gli provocava soltanto ribrezzo. “Non permetterò
che
accada!”, esclamò ad alta voce.
“Che
cosa, Legolas?”.
“Helkamirië!
Da quanto sei lì?”.
“Sono
appena entrata. Vuoi dirmi di cosa parlavi?”.
“Nulla”,
disse l'Elfo scuotendo la testa. “Pensieri vaganti”.
“Hai
finito?”, chiese Helkamirië mettendo una mano
nell'acqua della
vasca. “Direi di si, l'acqua è quasi fredda ormai.
Asciugati
mentre io prendo la borsa dei medicinali; quando hai abbracciato me e
i bambini, poco fa, sono saltati dei punti”.
Helkamirië
uscì dalla stanza, rientrando poco dopo con la sua sacca;
Legolas si era asciugato e aveva indossato i pantaloni. La fanciulla
prese l'occorrente per ricucire e andò a sedersi accanto a
lui.
“Ti
farà un po' male, abbi pazienza”, disse. Legolas
annuì
e si mise a osservare le mani di Helkamirië, sopportando senza
problemi il lieve dolore; quando ebbe finito, la fanciulla rifece la
fasciatura e lo aiutò a indossare la casacca.
“Vieni: Amrod
e Anië sono qui fuori con Ilderan, e tutti e tre vogliono
vederti”.
Quando
raggiunsero l'anticamera, Amrod e Anië si precipitarono verso
di
loro, ridendo felici. “Ada!
Naneth!”,
esclamarono. Legolas fece per prenderli in braccio, ma
Helkamirië
lo trattenne guardandolo storto.
“Credo
che tu abbia fatto arrabbiare mia sorella”, intervenne
Ilderan
sorridendo e stringendogli la mano. “Sono felice che tu stia
bene,
Principino”.
“Grazie
Ilderan”, disse Legolas.
“Ada”,
chiamò Amrod, tirando i pantaloni del padre.
Helkamirië
lo tirò su, posandolo fra le braccia di Legolas e il bambino
abbracciò l'Elfo. A quel punto Anië tese le manine
verso
la madre, che non si fece pregare e la sollevò, stringendola
forte a sé.
“Dovreste
mandare un messaggero a Minas Tirith”, disse Ilderan.
“E anche
presso i Signori d'Ithilien”.
“Per
quale motivo?”, chiese Legolas.
“I
nostri amici sono in pena per te”,rispose
Helkamirië. “Nei
giorni scorsi, Aragorn e Faramir hanno mandato dei loro uomini a
chiedere di te, i quali sono ripartiti con cattive notizie”.
“Ero
ancora incosciente”, disse Legolas. “Ho un'idea
migliore: perchè
non andiamo a dar loro la notizia di persona? Potremmo portare i
gemelli con noi, il viaggio non è così
lungo”.
“Perchè
no?”, disse Helkamirië. “I bambini non
hanno mai visto Minas
Tirith e io vorrei tornarci; ora che ci penso... Aragorn e Arwen non
hanno ancora conosciuto Anië e Amrod, ci siamo sempre
incontrati
nella dimora di Faramir ed Eowyn. È deciso: partiamo
domattina, alle prime luci dell'alba; Haldir, Rumil e Orophin
verranno con noi”.
“Quando
tornerete?”.
“Non
saprei”, disse Legolas. “Ma dopo quello che
è successo, ho
bisogno di riposarmi. Ti affido Taur-en-Ithil, Ilderan: forse non sei
un bravo guaritore, ma sei un ottimo governante”.
“Come
desideri, Legolas”, disse Ilderan. “Come devo
comportarmi
riguardo le indagini su Rhumine e gli Uomini di
Rhûn?”.
A
quelle parole, Legolas si rabbuiò e il cuore di
Helkamirië
perse un battito, temendo che il suo sposo si arrabbiasse di nuovo,
ma l'Elfo la sorprese, rispondendo pacatamente.
“Decidi
tu”, disse. “Continua se lo desideri, altrimenti
attendi il
nostro ritorno. Io sento la necessità di distrarmi da questa
faccenda”.
“Se
per te non è un problema, io vorrei proseguire”,
disse
Ilderan. “Credo che se attendessimo troppo Rhumine avrebbe
tutto il
tempo di rimediare agli errori commessi e cancellare quella minima
traccia che abbiamo. Non preoccuparti, me ne occuperò
io”.
“D'accordo”,
disse Legolas. “Dunque è deciso: tu governerai
Taur-en-Ithil
per qualche tempo e condurrai le indagini, mentre io e la mia
famiglia ci recheremo a Minas Tirith”.
NdA: Ho cercato di fare un maxi-aggiornamento prima di partire per le
vacanze... dovrete aspettare il mio ritorno per i prossimi! Baci!
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Capitolo 44 *** 43 ***
All'alba
del giorno seguente, Legolas e Helkamirië con i gemelli e i
Galadhrim, partirono alla volta della dimora di Sire Faramir;
poiché
procedevano con calma, raggiunsero la meta quando ormai il Sole era
tramontato da qualche ora. Ad accoglierli, però, trovarono
Dernhelm, il figlio maggiore di Faramir ed Eowyn, un ragazzo di
diciassette anni, alto e possente come suo padre ma dai lineamenti
fieri e al contempo delicati della madre: la stessa forza, la stessa
determinazione illuminavano gli occhi di Eowyn e Dernhelm, che dalla
stirpe materna aveva ereditato anche l'oro dei capelli.
“Benvenuti,
miei signori”, disse Dernhelm. “Sono lieto di
vedervi”.
“Lo
stesso vale per noi”, disse Legolas. “Possiamo
vedere Sire
Faramir?”.
“Sono
desolato”, rispose il ragazzo. “Mio padre non si
trova qui;
entrambi i miei genitori sono partiti stamane per Minas
Tirith”.
“Capisco”,
disse Legolas. “Anche noi siamo diretti alla Bianca
Città,
ma volevamo porgere prima i nostri saluti a Faramir ed Eowyn. Dal
momento che non sono qui, ripartiremo immediatamente”.
“Non
vorreste trascorrere qui la notte?”, chiese Dernhelm.
“Ormai il
Sole è calato da diverse ore, Dama Helkamirië e i
vostri
figli avranno bisogno di riposare”.
“Ti
siamo grati per l'offerta, Dernhelm”, intervenne
Helkamirië.
“Siamo felici di accettarla”.
“Bene.
Prego, seguitemi: la cena sta per essere servita”, disse
Dernhelm.
“Nel frattempo, darò ordini perchè
siano preparati
gli alloggi per voi e i vostri accompagnatori”.
Il
giovane Dernhelm condusse personalmente i suoi ospiti nella grande
sala da pranzo. L'ambiente era rettangolare, con l'ingresso su uno
dei lati corti; di giorno era illuminato dalla luce proveniente da
otto enormi finestre che si aprivano su una delle pareti più
lunghe, mentre quando calava la sera una miriade di candelabri,
sporgenti dai muri, diffondeva una luce soffusa. Grandi arazzi
raffiguranti i simboli di Gondor e di Rohan facevano bella mostra di
sé tra una finestra e l'altra, sulla parete opposta e
persino
sopra il grande camino che fronteggiava la porta d'ingresso. Al
centro della stanza, campeggiava l'enorme tavola, alla quale sedevano
già, in attesa del Principe, i funzionari della corte
d'Ithilien e i due figli minori di Faramir ed Eowyn, Finduilas e
Boromir. Entrambi, come Dernhelm, conoscevano bene Legolas e
Helkamirië, e andarono loro incontro vedendoli accanto al
fratello.
“Buonasera
Sire Legolas. Dama Helkamirië”, disse Finduilas
chinando il
capo in segno di saluto, subito imitata da Boromir.
“Buonasera
Madamigella Finduilas. Principe Boromir”, disse Legolas.
“Diventi
sempre più bella”, disse Helkamirië
sorridendo alla
fanciulla. Finduilas rassomigliava in tutto ad Eowyn, ad eccezione
dei capelli corvini; Boromir sembrava aver preso troppo sul serio il
nome che portava, e più cresceva, più pareva a
chi lo
aveva conosciuto di rivedere il Capitano di Gondor.
Quando
tutti ebbero preso posto, dei servitori iniziarono il consueto via
vai tra la sala e la cucina, mentre i presenti si intrattenevano
conversando amabilmente, anche se, in un primo momento, i funzionari
non riuscirono a pronunciare parola, ammutoliti dinanzi alla bellezza
degli Elfi presenti, che non avevano mai visto.
Dopo
la cena, Legolas e Helkamirië si ritirarono presto, a causa
dei
gemelli che già dormivano fra le loro braccia, mentre Haldir
e
i suoi fratelli decisero di intrattenersi ancora un po' con i loro
ospiti.
Furono
condotti alle stanze preparate per loro, situate al primo piano del
palazzo e nonostante ne fosse stata approntata una per loro,
Helkamirië volle tenere con sé i bambini.
“Helkamirië,
tu sai che non ci lasceranno riposare, vero?”.
“Lo
so, Legolas, ma hanno bisogno di starti vicino. Hanno avuto paura
quando ti hanno visto privo di sensi. Non ti sei accorto che fanno di
tutto per stare con te?”.
“Si”,
sospirò Legolas. “Forse hai ragione, lirimaer.
Teniamoli con noi”.
L'Elfo
sistemò nel letto Amrod che dormiva fra le sue braccia,
mentre
Helkamirië faceva lo stesso con Anië. Dopo aver
lasciato la
bambina, la fanciulla indossò la camicia da notte che le era
stata messa a disposizione, bianca e leggera, tanto da lasciar
trasparire la sua luce, invece Legolas, liberatosi di casacca e
stivali, si era già infilato sotto le lenzuola, stringendo a
sé Amrod. Helkamirië lo raggiunse e subito fu
stretta da
Anië, mentre si tendeva a baciare Legolas, cadendo subito dopo
in un sonno profondo. Il suo sposo tuttavia, non riusciva a dormire;
continuava a guardare Helkamirië, ripensando a come aveva
rischiato di non vederla più: adorava passare del tempo a
osservarla mentre riposava, quando finalmente ogni genere di timore
lasciava il suo volto che appariva ancora più sereno. La
luce
di Elbereth brillava più intensa che mai, dando a Legolas
l'impressione di stare a guardare un astro del cielo; sorrise
intenerito quando la vide mettere il broncio nel sonno: la sua
Helkamirië gli aveva dato due splendidi figli, ma per certi
aspetti era lei stessa una bambina. Il pensiero che gli uomini di
Rhumine avessero rischiato di togliergli tutto, gli fece provare un
sentimento che non era uso albergare nel suo cuore: il desiderio di
vendetta; adesso comprendeva la poca fiducia che Helkamirië
nutriva per quella donna e prese la sua decisione: nonostante avesse
in un primo momento deciso di lasciarla perdere, Rhumine non avrebbe
più dovuto avvicinarsi alla sua famiglia, avrebbe speso fino
all'ultima energia per smascherarla e fermarla finalmente. Le avevano
concesso per troppo tempo di dimorare in mezzo a loro, prendendosi
gioco di chi le stava intorno. Infine, il dolce sonno di Lorien
riuscì ad afferrarlo, concedendogli il riposo da timori e
preoccupazioni.
Al
mattino, ripresero il cammino verso la Bianca Città e dopo
una
settimana di viaggio giunsero finalmente in vista di Minas Tirith;
attraversarono Osgiliath, ancora in ricostruzione dopo tutto il tempo
trascorso dalla Guerra dell'Anello, ingombra di materiale da
costruzione e di Uomini che vi lavoravano. Non appena valicarono il
ponte che sovrastava l'Anduin, videro risplendere in lontananza la
Bianca Torre di Echtelion, i cui vessilli si libravano nel cielo
terso sospinti dal vento del mattino. Avvicinandosi al nuovo Cancello
costruito dai Nani, sentirono chiare trombe d'argento annunciare il
loro arrivo, ed entrarono nella città, apprestandosi a
percorrerne tutti i livelli. I gemelli osservavano rapiti la maestosa
Città degli Uomini, stupiti da quelle immense costruzioni in
pietra, così diverse da quelle a cui erano abituati, essi
stessi a loro volta oggetto dell'ammirazione di coloro i quali li
vedevano passare. Quando infine raggiunsero la Cittadella trovarono
Aragorn stesso ad attenderli, accompagnato dalla sua Regina e dai
Signori d'Ithilien; il Re si precipitò ad accoglierli,
abbracciando amichevolmente Legolas.
“Sapevo
che non mi avresti deluso!”, esclamò.
“Mi
conosci, Aragorn”, disse Legolas. “Sai che non
avrei mai lasciato
la mia famiglia”.
Amrod
e Anië, intimoriti da quei nobili sconosciuti, si erano
nascosti
dietro Helkamirië, stringendo la stoffa del suo vestito, e la
madre li prese per mano spingendoli avanti a sé.
“Miei
Sovrani, Signori d'Ithilien”, disse. “Questi sono
Amrod e Anië,
i figli miei e di Legolas”.
Eowyn
si avvicinò ai bambini, chinandosi accanto a loro, mentre un
sorriso malinconico attraversò il viso di Arwen,
evidentemente
persa in ricordi ormai lontani.
“Sono
bellissimi”, disse Eowyn, prendendo in braccio Amrod. Arwen
si
avvicinò anche lei, chinandosi a prendere Anië, e
la
piccola dal canto suo, fissò a lungo la Regina negli occhi,
studiando il suo viso.
“Tu
non sei più come noi”, disse infine.
“No,
non lo sono”, disse Arwen. In un primo momento
sembrò che la
tristezza offuscasse il suo viso, ancora splendido, nonostante il
tempo ormai vi scorresse impietoso; ma subito fu scacciata dal
sorriso che vi risplendette. “Però sono molto
felice. Ho
lasciato la nostra gente per seguire il mio cuore e non me ne sono
mai pentita”.
Anië
sorrise a sua volta, posando le manine sul viso della Regina.
“E'
vero, sei tanto, tanto felice!”, esclamò.
Helkamirië
osservò quella scena ripensando ancora una volta alla grande
perdita che gli Eldar avevano affrontato quando la loro Stella del
Vespro aveva scelto la mortalità; Anië grazie alla
sensibilità tipica degli Elfi aveva subito intuito che Arwen
era stata come loro, ma quella stessa capacità le aveva dato
la conferma di quanto la Regina fosse felice della sua vita.
Aragorn
e Arwen li condussero davanti all'Albero Bianco, lo stesso che
Aragorn aveva trovato alle pendici del Mindolluin, e mentre erano
seduti nei pressi, furono raggiunti da Rhumine. La donna non doveva
aver saputo del loro arrivo, perchè nello scorgere Legolas
rimase come pietrificata; quando riuscì a riscuotersi, si
avvicinò al gruppo, inchinandosi davanti ai suoi Sovrani e
ai
loro ospiti.
“Legolas,
vedo con piacere che la cura ha avuto i suoi effetti”.
Helkamirië
sbiancò per la rabbia, constatando con quanta faccia tosta
Rhumine affrontasse l'argomento; Legolas, invece, sembrava
estremamente tranquillo e le sorrise persino.
“E'
così”, disse. “E credo di dover
ringraziare te per averla
ottenuta. La mia sposa mi ha detto che sei stata brava a farti
consegnare l'antidoto da persone che non conoscevi, anche se della
tua stessa stirpe. Perchè tu non
li conoscevi, vero?”.
“N-no,
infatti”, disse Rhumine. 'Maledetta Helkamirië! Deve
averlo
convinto a diffidare di me alla fine... ma ciò che conta
è
che stia bene'.
“Legolas,
Helkamirië”, intervenne Aragorn, “non
vorreste rimanere per
qualche tempo a Minas Tirith? Faramir dovrà restare per via
di
alcune questioni di governo e Eowyn lo accompagna, senza contare che
qualche giorno fa ho ricevuto delle missive che mi informano delle
visite di Gimli e anche di Merry e Pipino. Sono certo che avrebbero
piacere di rivedervi”.
“Ne
saremmo felici, Aragorn”, disse Helkamirië.
Dopo
aver trascorso tutto il giorno a mostrare ai gemelli le meraviglie
della Bianca Città, Legolas e Helkamirië furono gli
ospiti d'onore del banchetto che si svolse a Palazzo, un
sontuosissimo convito cui parteciparono tutti i dignitari di corte e
gli ambasciatori di paesi lontani.
La
Luna era quasi sorta ormai quando poterono tornare alle proprie
stanze, dopo quella giornata interminabile. Helkamirië aveva
notato che durante tutto il banchetto Rhumine non aveva distolto lo
sguardo da Legolas per più di un minuto, e quando
raggiunsero
la loro camera, dopo aver dato la buonanotte ai gemelli, lo disse al
suo sposo, il quale proruppe in un'allegra risata.
“Helkamirië
non devi temere”, disse. “Non mi farà
più del male,
è già in una posizione difficile”.
“Non
è di questo che mi preoccupo”, disse
Helkamirië. “Credo
che stia cedendo: non si preoccupa più di nascondere il suo
interesse per te, né di mantenere il suo atteggiamento
freddo
e impassibile”.
“Quindi
è questo il problema”, disse Legolas cingendole la
vita. “Ti
infastidisce questo 'interesse'”.
La
fanciulla si voltò dall'altra parte, mettendo il broncio.
“Non
prenderti gioco di me”, disse.
“Non
lo faccio”, disse Legolas, afferrandole il mento con due dita
e
costringendola a guardarlo, per poi chinarsi a baciarla dolcemente.
Helkamirië rispose al bacio che si fece via via più
intenso e passionale e lasciò cadere la veste che indossava,
presto raggiunta dagli indumenti di Legolas. L'Elfo la strinse
spasmodicamente a sé, lasciando che le sue mani vagassero
sul
corpo della fanciulla, accarezzando ogni palmo di quella pelle
lucente e vellutata, e sentendo le piccole mani di Helkamirië
che a loro volta disegnavano il profilo di ogni più piccolo
muscolo sfiorato, fino a intrecciarsi dietro al suo collo nei serici
capelli dorati; si staccarono per riprendere fiato ed entrambi videro
bruciare negli occhi dell'altro lo stesso identico amore. Legolas
afferrò Helkamirië per i fianchi conducendola verso
il
letto e la costrinse gentilmente a sdraiarvisi insieme a lui, mentre
la Luna che faceva capolino dalla finestra aperta, fu la muta
testimone del riunirsi di due anime e due corpi destinati ad essere
un'unica entità.
Il
mattino seguente, Helkamirië fu svegliata da un raggio di Sole
che era andato a posarsi sul suo volto, solleticandogli le palpebre;
fece per alzarsi, ma qualcosa glielo impedì: Legolas dormiva
con il capo sul suo ventre, stringendole possessivamente la vita, e
sembrava non aver la minima intenzione di spostarsi. La fanciulla
sorrise intenerita e alzò una mano a sfiorarlo in una
delicata
carezza, spostando i capelli che gli coprivano il volto. Per tutta
risposta, l'Elfo la strinse più forte, mugugnando qualcosa
di
incomprensibile e suscitando le risate di Helkamirië, la quale
rise talmente tanto da costringerlo ad aprire gli occhi.
“Lirimaer”,
disse l'Elfo. “Perchè mi hai svegliato? Stavo
così
comodo...”, disse con un sorriso sornione.
“Oh,
perdonami mio signore, sono desolata!”, disse ironica
Helkamirië.
Legolas
si sollevò sulle braccia, spostandosi fino a portare il viso
a
pochi centimetri da quello della sua sposa.
“Adesso
sei tu che ti prendi gioco di me”, disse, baciandola
teneramente.
Helkamirië
sorrise e lo spinse scherzosamente indietro. “Il Sole
è
sorto, abbiamo delle faccende da sbrigare”, disse alzandosi
dal
letto. Legolas rimase a guardarla mentre indossava una veste bianca e
solo allora lasciò anche lui le morbide coltri, mentre la
fanciulla usciva dalla stanza per andare a prendere i gemelli.
Dopo
essersi vestito la seguì, trovandola in piedi vicino ai
lettini dei loro figli che dormivano ancora tranquilli.
“Dovresti
svegliarli”, le disse, abbracciandola da dietro.
“Hai
ragione”, disse Helkamirië. “Ma amo
vederli riposare”.
“Allora
lasciamoli qui”, disse Legolas. “Raggiungiamo
Aragorn nella Sala
del Trono”.
L'Elfo
la prese per mano, conducendola lungo i corridoi e le lunghe
scalinate fino alla Sala, dove li aspettava Aragorn. Il Re si trovava
in piedi alla base della scala che reggeva il Trono, accanto a delle
piccole figure che conversavano con lui: questi altri non erano che
Gimli e i due Hobbit, Merry e Pipino. Il Conte si volse nella loro
direzione non appena varcarono la porta d'ingresso e restò
ammutolito a fissare la sua amata Dama Helkamirië. Potendola
rivedere finalmente dopo lunghi anni, si scoprì a ritenerla
ancora più bella e luminosa dei suoi ricordi più
nitidi, meravigliosa nella veste bianca che per nulla offuscava la
luce di Varda. Merry e Gimli invece, avevano raggiunto gli Elfi che
ritrovavano dopo troppo tempo.
“Mia
signora!”, esclamò Merry quando
Helkamirië gli prese le
mani nelle proprie. “Non so dirti quanto sia felice di
rivederti”.
“Lo
stesso vale per me, Merry”, disse la fanciulla.
“Ancora non ho
avuto il piacere di ospitarti nel mio Reame”.
“Mi
è stato detto”, interloquì Gimli,
“che esso
potrebbe rinfrancare il mio spirito, mostrandomi una visione del
Reame Beato”.
“Non
è proprio così, amico mio”, disse
Legolas.
“Certamente, Taur-en-Ithil ti ricorderebbe molto la Beata
Lothlorien, perchè Helkamirië ha voluto che la
rendessimo
simile al luogo dove ha vissuto; tuttavia, gli Elfi che vi dimorano
sono genti silvane e perciò la nostra dimora è
allo
stesso modo affine alle Sale di Thranduil”.
Mentre
così conversavano, Pipino si mosse finalmente nella loro
direzione, andando a raggiungere Helkamirië, la quale dal
canto
suo si era chinata sulle ginocchia per poterlo guardare negli occhi.
“Infine
ci rivediamo Peregrino Tuc”, disse l'Elfo.
“Mia
signora Helkamirië”, disse Pipino, inchinandosi
goffamente.
“E' un grande onore per me poter posare nuovamente gli occhi
sulla
tua soave figura”.
Helkamirië
sorrise dolcemente, stendendo le braccia a circondare lo Hobbit.
“Sono felice di incontrarti”, disse. “Mi
sei stato di grande
conforto qui a Minas Tirith durante la Guerra; non ho mai dimenticato
i miei amici Hobbit”.
“Meriadoc”,
disse Legolas. “Hai già rivisto Dama
Eowyn?”.
“Si,
Legolas. E ho fatto visita a Re Eomer prima di giungere a Minas
Tirith; non posso dimenticare i miei doveri di Scudiero di
Rohan!”,
esclamò battendosi il pugno sul petto e suscitando le risate
dei presenti.
“Amici”,
disse improvvisamente Aragorn. “Temo una nuova minaccia per
il
Regno degli Uomini: vorreste darmi il vostro aiuto?”.
“Non
hai bisogno di chiederlo”, disse Gimli, incrociando le
braccia.
“Avrai
tutto l'appoggio della Contea!”, esclamò Pipino.
“Pipino
ha ragione”, annuì Merry. “Dopotutto,
noi siamo la
Compagnia dell'Anello”.
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Capitolo 45 *** 44 ***
Aragorn
spiegò a Gimli e ai due Hobbit quale fossero i suoi timori
riguardo Rhumine e i tre accettarono di tenerla d'occhio e aiutare
come potevano i loro amici. Pipino andò a cercare Bergil, il
figlio di Beregond la Guardia, ormai un uomo adulto, perchè
gli dicesse ciò che sapeva. Proprio come suo padre, Bergil
era
diventato una delle Guardie della Cittadella e lo Hobbit ebbe non
poche difficoltà a riconoscere in quell'uomo alto e possente
il bambino che era diventato suo amico all'epoca della Guerra. Per un
fortunato caso, l'Uomo aveva avuto a che fare con i prigionieri
impegnati nella ricostruzione della Cittadella e fra essi figurava
anche Rhumine.
“Mi
ricordo di lei”, disse Bergil quando Pipino gli chiese
dell'assassina. “Era davvero una fanciulla perfida. A me
spettava
il compito di portare da mangiare a quelli che lavoravano, compresi i
prigionieri, e sebbene fosse più grande di me di non
più
di tre anni, mi trattava sempre con arroganza, squadrandomi dall'alto
in basso”.
“E
non hai notato nulla che possa giustificare il suo improvviso
cambiamento?”, disse Pipino.
“Lasciami
ricordare”, disse Bergil. Rimase assorto per qualche momento,
poi
il suo viso si illuminò come per un'improvvisa rivelazione.
“Il funzionario Valegil potrebbe saperne qualcosa; un giorno
venne
sul campo dove lavoravano i costruttori e chiese di Rhumine.
Andò
a parlarle e da quel giorno avvenne il manifesto cambiamento di lei;
ma non so cosa si dissero”.
“Non
temere”, disse Pipino. “Hai fatto più di
quanto pensi. A
presto Bergil”, disse, tornando in fretta verso il Palazzo.
Peregrino
Tuc entrò di corsa nella Sala del Consiglio dove si trovava
Aragorn in compagnia di Legolas, Gimli e Merry; Helkamirië non
si trovava con loro per esplicita volontà di Legolas che
desiderava tenerla fuori dalla faccenda. Il Conte riferì
loro
ciò che aveva saputo da Bergil, con sommo stupore di
Aragorn,
il quale conosceva Valegil come un funzionario leale.
“Non
posso credere che egli abbia complottato con Rhumine”, disse
prendendosi la testa fra le mani. “Di chi posso fidarmi se
anche i
miei dignitari si dimostrano dei traditori?”.
“Non
trarre conclusioni affrettate”, disse Legolas. “Non
sappiamo
ancora cosa le abbia detto Valegil, potrebbe non avere nulla a che
fare con il suo cambiamento”.
“L'Elfo
ha ragione”, intervenne Gimli. “Eppure, egli era
fedele a
Denethor: non deve essere felice della tua ascesa al trono”.
“Mi
rimane una sola cosa da fare”, disse Aragorn. “Devo
convocare
Valegil e chiedergli ragione del suo comportamento”.
“Dama
Helkamirië lo conosce”, disse Pipino.
“Forse è
opportuno che lei sia presente”.
“No”,
disse Legolas. “Helkamirië non deve avere nulla a
che fare con
Rhumine”.
I
Compagni si guardarono l'un l'altro, perplessi dalla decisione
dell'Elfo, ma nessuno di loro si sentiva di contraddirlo,
perciò
si limitarono ad attendere Valegil, appena convocato dal Re.
Non
appena varcò l'ingresso della Sala, il funzionario
cominciò
a dare segni evidenti di nervosismo: il sudore gli imperlava la
fronte e osò avanzare di qualche passo solo dopo che Aragorn
lo ebbe invitato
a sedersi. Il Re scambiò uno sguardo d'intesa con Legolas e
si
avvicinò a Valegil, sedendosi di fronte a lui.
“Valegil”,
cominciò, “sei a conoscenza del motivo per cui sei
stato
convocato?”.
“T-temo
di si, mio Re”, balbettò Valegil.
“Dunque
andrò subito al punto”, disse Aragorn.
“Tu conosci Dama
Rhumine; voglio che mi dica cosa le dicesti per motivare il suo
cambiamento, anni fa”.
“Perdonami
mio Re!”, esclamò Valegil scoppiando a piangere
per la
sorpresa generale. “Non volevo aiutarla, ma i suoi uomini mi
hanno
costretto!”.
“Adesso
calmati, Valegil”, disse Aragorn. “Raccontami come
sono andate le
cose”.
Valegil
iniziò a parlare, rivelando ai presenti come gli Assassini
di
Rhûn avessero fatto irruzione nella sua casa, avendo scoperto
come il suo ruolo gli permettesse di recarsi inosservato sul luogo
dove lavoravano i prigionieri; avevano preso come ostaggio l'unica
figlia di Valegil, Faelivrin, e avevano intimato a lui di portare un
messaggio a Rhumine. Avrebbe dovuto riferire che la Gilda stava
preparando un piano per vendicare il loro Signore Sauron e che
avevano bisogno che lei agisse come infiltrata all'interno del Regno
di Gondor, consigliandole di conquistare la fiducia di Aragorn.
“Faelivrin
è tuttora nelle loro mani”, disse Valegil.
“Perchè
vogliono essere sicuri che io continui a fare da messaggero tra loro
e Dama Rhumine”.
“Che
tipo di messaggi devi darle?”, chiese Aragorn.
“Principalmente
devo comunicare quando avverranno gli incontri tra loro ed eventuali
variazioni; ultimamente si vedono così spesso che il mio
è
un continuo via vai tra la mia dimora e le stanze di Dama
Rhumine”.
“Valegil
dove avvengono questi incontri?”, interloquì
Legolas.
“Nell'Ithilien”,
disse Valegil. “Si incontrano in quella che un tempo era la
Valle
di Morgul. Ritengo molto probabile che i mercenari abbiano un covo da
quelle parti... forse nei pressi di Henneth Annûn”.
“Come
immaginavo”, disse Legolas. “Sei certo che il loro
nascondiglio
si trovi proprio nei pressi dello Stagno Proibito?”.
“Io
non l'ho mai visto di persona, mio signore”, disse Valegil.
“Ma
una volta udii una conversazione tra Dama Rhumine e un Uomo di
Rhûn
che credo sia suo padre; dicevano che si sarebbero visti nella Valle
di Morgul e che poi lui sarebbe ritornato come
di consueto a quella misera pozza che chiamano Stagno”.
“Dobbiamo
trovarli”, disse Aragorn.
“Non
possiamo schierare un esercito”, disse Gimli.
“Sarebbe come
suonare le trombe per annunciare il nostro arrivo”.
“E'
un'ottima idea Gimli!”, disse Aragorn.
“Come?!”,
esclamarono all'unisono i Compagni.
“E'
il modo migliore per catturarli”, disse il Re. “Se
saranno
distratti dall'Esercito, non baderanno a noi”.
“Noi?”,
chiese Pipino.
“Esatto.
Un gruppo di uomini scelti che si recheranno al nascondiglio
attraverso i boschi d'Ithilien”.
“Io
ne farò parte”, disse Legolas. “Avrete
bisogno di una
guida per attraversare le selve”.
“Lo
stesso vale per me”, disse Gimli. “L'Elfo
avrà bisogno di
una mano”.
“Allora
ci saremo anche noi!”, esclamò Merry, stringendo
un braccio
attorno al collo di Pipino.
“Dunque
la decisione è presa”, disse il Re.
“Saremo io, Legolas,
Gimli, Merry e Pipino. In più, sceglierò qualche
Guardia della Cittadella perchè ci accompagni; partiremo
domattina all'alba. Ricordate: una delle nostre priorità
sarà
salvare Faelivrin”.
I
Compagni uscirono uno dopo l'altro dalla stanza, lasciando Valegil
ancora frastornato per ciò che era accaduto e felice alla
prospettiva di rivedere Faelivrin.
Nessuno
di loro si era accorto di Rhumine, nascosta nelle ombre del corridoio
di pietra.
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Capitolo 46 *** 45 ***
Rhumine
uscì dall'ombra in cui era nascosta, fissando con astio le
schiene dei Compagni ormai lontani.
“E
così vorreste distruggerci”, disse serrando i
pugni. “Se
le cose stanno così, vedremo chi uscirà
trionfante da
questa faccenda... comincerò col distruggere gli Elfi;
quella
stupida presuntuosa e il suo sposo che sembra incapace di vedere
oltre il suo naso”.
La
donna si guardò intorno per accertarsi di non essere vista,
e
stava per allontanarsi quando Valegil uscì dalla Sala.
“D-dama
Rhumine”, biascicò.
“Valegil”,
disse lei, con gli occhi ridotti a due fessure. “Non sembri
in
grado di mantenere un segreto, amico mio. Eppure sai che questo
atteggiamento non ci piace, vero?”.
“Dama
Rhumine, te ne prego, non fate del male a Faelivrin!”.
“Oh
Valegil”, disse Rhumine, fingendosi costernata. “Io
non vorrei
farlo, ma tu mi hai costretta a prendere una decisione così
grave”.
A
quella risposta, lo sguardo dell'Uomo si illuminò di una
nuova
determinazione e senza alcun timore afferrò Rhumine per i
polsi, fissandola con odio. “Mi detesto per questo pensiero,
ma...
fai ciò che ritieni opportuno; mia figlia è come
morta
da venti anni ormai, non sono nemmeno sicuro che mi riconoscerebbe.
Non potrai essere più veloce di Re Elessar, io ho ancora
speranza. Il mio Re salverà la vita di mia figlia e tu non
potrai impedirlo, come non potrai opporti alla distruzione di tuo
padre e dei tuoi compagni!”.
Rhumine
si liberò dalla stretta, colpendo Valegil in pieno stomaco
con
il ginocchio.
“Sei
solo un illuso”, disse chinandosi sull'Uomo, crollato al
suolo.
“Non mi interessa cosa faranno ai miei compagni, io li
distruggerò
tutti, anche se dovessi impiegare tutta la vita”.
Rhumine
lasciò Valegil in mezzo al corridoio e si
allontanò
decisa; doveva trovare Helkamirië.
Helkamirië
si trovava nella stanza dei gemelli, ignara degli sviluppi della
situazione, insieme ad Arwen ed Eowyn; d'un tratto, Anië le
corse incontro, lasciando Amrod seduto sul pavimento dove stavano
giocando.
“Naneth!”,
esclamò la bambina. “Mi racconti della Principessa
Me?”.
“No!”,
si fece sentire Amrod. “Raccontami del Cavaliere
Errante”.
“Anië
lascia scegliere Amrod”, disse Helkamirië.
“L'ultima volta
vi ho raccontato ciò che tu hai deciso”.
“D'accordo”,
sbuffò Anië. “Ma parti dalla Battaglia di
Faeria”.
La
fanciulla prese i gemelli fra le braccia e cominciò a
raccontare la storia che avevano scelto, una poesiola che gli Elfi
erano soliti raccontare ai loro figli.
“[...]Attraversò
arcipelaghi ove
crescon
le gialle calendule
e
infinite fontane argentee
ci
sono e monti tutti d'or.
Prese
a predar e a guerreggiar,
a
saccheggiare oltre il mar,
vagabondò
per Belmarie
e
Thellamie e Fantasie.
Lo
scudo e un elmo fabbricò
d'avorio
e di corallo,
smeraldi
in spada poi forgiò
e
a guerra andò terribile
contro
gli Elfi di Aeria;
e
i paladin di Faeria,
coi
lampi agli occhi e i capei d'or,
in
groppa lo vollero sfidar.
Corazza
di cristallo avea,
di
calcedonia il fodero;
la
lancia tutta d'ebano
al
plenilunio rilucea.
I
giavellotti in malachite
e
stalattite lui brandì,
e
combattè libellule
del
Paradiso e le ferì.
Coi
calabroni battagliò
cervi
volanti e api
e
il favo d'oro conquistò;
e
corse a casa oltre i mar
la
nave sua di foglia era,
le
vele erano boccioli;
sedette
e incominciò a cantar
e
l'armatura a lucidar.[...]”.
Il
racconto di Helkamirië fu interrotto da qualcuno che bussava
alla porta, e dopo che le fu accordato il permesso, Rhumine
entrò
nella stanza.
“Ti
domando scusa, Helkamirië”, disse. “Non
volevo disturbare,
ma ho una faccenda urgente da discutere con te. Vorresti seguirmi qui
fuori un momento?”.
“Ma
certo, Rhumine”, disse l'Elfo. “Arwen, Eowyn vi
dispiace badare
ai gemelli? Io tornerò fra poco”.
Le
donne annuirono e Helkamirië uscì seguendo Rhumine.
“Allora
Rhumine, di cosa volevi parlare?”.
“In
realtà di nulla, sciocca Elfo”, disse Rhumine,
mentre due
Uomini spuntavano dietro Helkamirië bloccandole le braccia e
coprendole la bocca con un panno. “Solo del tuo trasferimento
a
Rhûn”.
Helkamirië
sbarrò gli occhi e tentò di divincolarsi, ma i
due
erano troppo forti per lei e così ebbero gioco facile nel
trascinarla dietro una parete mobile di pietra.
“Sai,
Helkamirië, dopo vent'anni Re Elessar non conosce ancora bene
il
suo palazzo... non ci troveranno mai!”.
Così
dicendo, Rhumine scoppiò a ridere, ma la sua era una risata
malvagia che nulla aveva di felice, mentre il gruppo continuava a
scendere nelle profondità di Minas Tirith.
Nel
frattempo, Arwen, insospettita dal ritardo di Helkamirië era
uscita a cercarla, ma senza risultato. La paura le afferrò
il
cuore, trovando per terra la catena con il fiore d'argento che l'Elfo
era solita portare, e tornò in fretta nella stanza.
“Eowyn!”,
esclamò. “Non sono qui!”.
“Che
cosa?!”, disse Eowyn saltando dalla sedia.
“Rhumine
e Helkamirië sono scomparse”, disse Arwen.
“E ho trovato la
collana di Helkamirië, lei non la lascerebbe mai, è
il
dono di nozze di Legolas. Andiamo ad avvisarlo, non vorrei che fosse
accaduto qualcosa di grave”.
“Non
essere avventata Arwen”, disse Eowyn. “Proviamo a
cercarle nel
Palazzo, prima. Se fossero soltanto uscite sulla Piazza, metteremmo
in allarme Legolas senza motivo”.
Arwen
annuì poco convinta e prese con se Amrod, mentre Eowyn prese
la sorellina; le due donne si divisero prendendo direzioni diverse
che consentissero loro di perlustrare il Palazzo. Quando si
ritrovarono all'esterno, dovettero constatare che purtroppo i timori
di Arwen erano fondati: non c'era traccia di Helkamirië o di
Rhumine nel Palazzo, né nella Piazza, e affacciandosi dalla
punta estrema della stessa, poterono vedere un gruppo di cavalieri
allontanarsi di gran carriera e fra essi c'era qualcuno di
insolitamente luminoso. Arwen ed Eowyn entrarono di corsa nella
residenza reale, alla disperata ricerca di Aragorn e Legolas,
trovandoli infine nella Sala del Trono con i Compagni e Faramir.
Quest'ultimi vedendole entrare così trafelate scattarono
subito sul chi vive.
“Arwen,
cosa è accaduto?”, chiese Aragorn.
“Una
cosa terribile, mio Re”, disse Arwen con le lacrime agli
occhi.
“Dov'è
Helkamirië?”, chiese Legolas prima che rispondesse.
“Perchè
i bambini sono con voi?”.
“Rhumine
l'ha portata via”, disse Arwen in lacrime, porgendogli la
collana.
“Che
cosa?!”, esclamò Legolas, bianco come un cencio
mentre
stringeva il ciondolo fra le dita.
“E'
entrata nella stanza dicendo che doveva parlarle e Helkamirië
l'ha seguita senza timori”, disse Eowyn. “Ma quando
abbiamo visto
che tardava siamo uscite a cercarla. Abbiamo perlustrato il Palazzo
in lungo e in largo ma senza risultato e quando infine siamo uscite
sulla Piazza, abbiamo visto dei cavalieri allontanarsi e uno di essi
era sicuramente Helkamirië: la luce di Elbereth non lascia
spazio a molti dubbi”.
“Devo
andare subito a cercarla”, disse Legolas.
“Aspetta!”,
disse Aragorn. “Vengo con te. Potresti aver bisogno di
aiuto”.
“Va
bene”, disse l'Elfo. “Potrai prendere
Carnemirië, non avrà
nessun problema a starmi dietro”.
“Ada”,
lo richiamò Amrod. “Per favore porta a casa naneth”.
“Lo
farò”, disse Legolas dando un bacio a ciascuno dei
suoi
figli. “Non tornerò senza di lei”.
Nel
frattempo, Rhumine stava dirigendo i suoi uomini verso Henneth Annûn,
intenzionata a uccidere Helkamirië proprio in quello che era
il
suo regno. Legolas e Aragorn, i quali grazie ai cavalli elfici li
avevano raggiunti quasi subito, continuavano a seguirli da presso, in
attesa di un'occasione propizia per attaccarli e liberare
Helkamirië.
Finalmente, i mercenari furono costretti a fermarsi presso un corso
d'acqua per lasciar dissetare i cavalli, così i due si
nascosero nella boscaglia a spiare la situazione; poco distante si
sentiva il rombo di una cascata, ottima cosa per i due che potevano
così agire senza timore di essere sentiti. Rhumine sembrava
estremamente nervosa, continuava a passeggiare su e giù
senza
sosta, finchè improvvisamente il suo sguardo si
posò su
Helkamirië, uno sguardo che quasi più nulla aveva
di
sano.
“Alzati”,
le ordinò.
L'Elfo
fece quanto le era stato detto, guardandola con occhi divertiti; la
reazione di Rhumine fu un sonoro ceffone in pieno viso che fece
barcollare Helkamirië, la quale però, non sembrava
per
niente spaventata. Legolas avrebbe voluto uscire subito allo
scoperto, ma Aragorn lo trattenne, convincendolo ad attendere ancora
qualche istante.
“Aragorn,
Helkamirië si farà uccidere piuttosto che mostrare
paura”, disse l'Elfo. “Devo intervenire”.
“Abbi
più fiducia nella tua sposa”, disse Aragorn.
“Sai che non
desidera morire, non passerà il limite”.
Mentre
così discutevano, videro che Rhumine stava inspiegabilmente
tagliando le corde che serravano i polsi di Helkamirië,
lasciandola libera di muoversi.
“Avanti
Elfo”, disse la donna. “So che hai il tuo pugnale
qui con te.
Prendilo”.
Senza
tradire la minima sorpresa, Helkamirië sguainò il
suo
pugnale adamantino che teneva nascosto nella manica del vestito, e
fece per porgerne l'elsa a Rhumine, la quale le rivolse uno sguardo
interrogativo.
“Credo
che tu non abbia capito”, disse. “Non voglio che tu
mi dia il
pugnale. Desidero combattere contro di te”.
“Io
non nutro questo desiderio”, disse Helkamirië.
“Non
combatterò contro di te”.
“Ne
sei certa?”, disse Rhumine. “Potrebbe essere la tua
unica
occasione per fermarmi. Potresti salvare il tuo sposo e i tuoi
figli... oppure potrebbe essere la mia unica occasione di liberarmi
di te!”.
Così
dicendo, Rhumine si scagliò contro Helkamirië, alla
quale
non rimase scelta se non quella di combattere per la propria vita;
mentre le due si affrontavano duramente, Legolas e Aragorn ne
approfittarono per attaccare gli altri due Uomini.
Lo
scontro tra Rhumine e Helkamirië proseguiva violento e le due
si
erano avvicinate pericolosamente al bordo della cascata;
d'improvviso, l'Elfo vibrò un colpo potente che
spezzò
il pugnale di Rhumine. La donna cadde a terra, tenendosi la mano
lievemente ferita, ma non si arrese: Legolas le era abbastanza vicino
e sufficientemente impegnato a lottare con la spada, e con una mossa
fulminea gli sottrasse il pugnale bianco, tornando poi all'attacco
contro Helkamirië. L'Elfo era più abile, ma gli
Assassini
di Rhûn non erano certo noti per la loro onestà:
Rhumine
la accecò con la polvere e le lanciò contro il
pugnale
che la colpì al ventre.
Helkamirië
fece qualche passo indietro fissando la macchia cremisi che si
allargava sulla veste candida, e rivolgendo poi lo sguardo a Legolas
che era completamente attonito.
“Legolas...”,
biascicò, prima di cadere inghiottita dalla cascata.
“No!
Helkamirië!”,
urlò Legolas lanciandosi verso di lei, ma non
arrivò
mai al precipizio. Qualcuno lo aveva colpito pesantemente alla nuca
facendogli perdere i sensi; prima che il buio lo avvolgesse, i suoi
occhi caddero sul fiore d'argento che teneva fra le dita e il suo
pensiero volò a Helkamirië. “Lirimaer...”.
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Capitolo 47 *** 46 ***
Legolas
perse completamente conoscenza, mentre Aragorn che aveva tentato di
raggiungerlo veniva bloccato da altri due Uomini; quello che aveva
tramortito l'Elfo non era altri che Rhudda, giunto per incontrare sua
figlia.
“Rhumine
stai bene?”, chiese.
“Si,
padre”, disse la donna sorridendo malvagiamente.
“Finalmente mi
sono liberata di quella Valienna... e Legolas potrà essere
solo mio”.
“Rhumine!”,
esclamò Aragorn. “Sei una vigliacca! Come hai
potuto
uccidere Helkamirië e tradire me, che ti ho accolta come una
sorella? Come hai potuto?!”.
“Vedi,
Aragorn”, disse la donna avvicinandosi a lui. “In
realtà
credevo che il mio compito sarebbe stato più difficile,
ma...
pare che gli stupidi sentimenti che vi guidano mi abbiano facilitato
di molto le cose; a Rhûn non sarei mai stata accolta solo per
uno
strano
cambiamento.
Voi vi lasciate trascinare dal cuore, e così avete provato
subito pietà per una povera fanciulla pentita, costretta
dalle
circostanze ad agire in maniera crudele; non avreste potuto
dimostrarvi più inetti”.
Aragorn
digrignò i denti, tentando di divincolarsi, ma i suoi nemici
gli legarono i polsi, trascinandolo con sé, mentre Legolas
veniva trasportato a dorso di cavallo; si addentrarono nelle foreste
d'Ithilien e a sera giunsero infine a una parete di pietra, la stessa
che racchiudeva Henneth Annûn: la roccia era percorsa da una
quantità di cunicoli e gallerie che i Mercenari di
Rhûn
avevano imparato a conoscere, sfruttandole a proprio vantaggio.
Aragorn e Legolas vennero gettati dentro una piccola grotta, chiusa
artificialmente da un'inferriata e sorvegliata a vista da gruppi di
quattro sentinelle. L'Elfo non aveva ancora ripreso i sensi, ma
continuava ad agitarsi e a chiamare il nome di Helkamirië.
Aragorn
si avvicinò a Legolas, scuotendolo perchè si
svegliasse; quando l'Elfo socchiuse gli occhi, lo aiutò a
mettersi a sedere, facendolo appoggiare contro la parete di roccia.
“Come
stai Legolas?”.
“Perchè
me lo chiedi?”, sussurrò Legolas. “Ho il
cuore spezzato,
nulla può più toccarmi”.
Aragorn
vide il dolore negli occhi dell'amico, un dolore sordo a ogni
possibile sollievo; nemmeno quando credeva Helkamirië morta a
Lothlorien lo aveva visto così sofferente. Ormai, lo spirito
di Legolas era annientato, incapace di sollevarsi persino per amore
dei figli, ma c'era dell'altro: l'Elfo desiderava vendicarsi, non
avrebbe avuto pace fin quando Rhumine avesse avuto vita.
Presto
calò la notte e i raggi della Luna penetrarono attraverso
una
fessura della roccia, inondando la prigione di luce argentea. Aragorn
si era assopito, travolto dagli eventi di quella lunghissima
giornata, ma Legolas continuava a rimanere immobile al suo posto.
Appena il primo raggio lunare lo aveva illuminato, aveva avuto la
sensazione di sentire una carezza sul viso, ma l'aveva subito
scacciata: Helkamirië, la sua amata sposa era morta; inutile
continuare a sperare. Nonostante cercasse di convincersene,
però,
quella strana impressione permaneva, fin quando l'Elfo non si
trovò
avvolto dalla soffice luce tipica dei sogni.
Un
fortissimo bagliore gli giunse dall'esterno della sua prigione, dove
si stagliava contro il buio della grotta una figura di donna.
“Non
farmi questo”, sussurrò Legolas distogliendo lo
sguardo.
La
donna si avvicinò a lui, costringendolo a posare nuovamente
lo
sguardo su di lei.
“Helkamirië”,
disse Legolas; avrebbe voluto stringerla a sé, ma temeva che
svanisse fra le sue dita. Helkamirië lo tolse da ogni
impaccio,
abbracciandolo lei stessa.
“Legolas”,
disse. “Non pensare alla vendetta: ti consumerebbe. Amrod e
Anië
hanno bisogno di te e... io ho bisogno della purezza del tuo
spirito”, disse staccandosi da lui.
“Non
andartene!”, la implorò Legolas. “Non
tornare a Mandos!”.
Helkamirië
scosse la testa, guardandolo tristemente; mentre una lacrima le
solcava il viso quale un piccolo diamante, la sua figura si dissolse
nell'aria, portando con sé ogni luce.
Legolas
si riscosse, per nulla stupito di essersi addormentato, ancora
incerto se quello che aveva visto fosse sogno o realtà;
l'unica certezza era il profumo di Helkamirië che aleggiava
nella cella.
Per
due giorni e due notti ancora rimasero chiusi in quella grotta, uno
spazio così angusto che non consentiva loro nemmeno di
passeggiare per risvegliare le membra intorpidite. Il terzo giorno
una sentinella prese con sé Legolas che fu portato negli
alloggi di Rhumine.
La
donna sedeva su quello che sembrava un trono, finemente intagliato e
intarsiato di gemme e pietre dure; aveva indossato nuovamente la
tenuta che la identificava come parte della Gilda degli Assassini
dell'Occhio di Fuoco, evidentemente decisa a non fare ritorno a Minas
Tirith.
“Legolas”,
disse con voce che avrebbe voluto risultare suadente. “Vedo
che
stai meglio: temevo che mio padre avesse esagerato”.
“Tuo
padre mi ha impedito di salvare Helkamirië”, disse
Legolas
neutro.
“Non
avresti potuto far nulla”, disse Rhumine con un mezzo
sorriso.
“Anche se la ferita che le ho inferto non fosse stata
mortale, in
quelle condizioni non avrebbe resistito alla caduta”.
“Sii
grata alle catene che mi trattengono, Rhumine!”,
esclamò
Legolas. “Altrimenti il tuo spirito si sarebbe già
librato
al di là del Mare”.
“Legolas,
possibile che tu non capisca?”, disse Rhumine.
“L'ho fatto solo
per noi, per il nostro futuro. Io so che anche tu mi ami e adesso sei
finalmente libero di mostrarlo alla luce del Sole, non sei
più
costretto in quella farsa che chiamavi matrimonio”.
Legolas
era rimasto a bocca aperta per lo stupore e il ribrezzo: possibile
che davvero Rhumine credesse a ciò che stava dicendo?
Credeva
che il suo amore per Helkamirië fosse una finzione?
“Tu
non sai cosa dici, Rhumine”.
“E
invece ne sono pienamente consapevole!”, esclamò
la donna,
mentre i suoi occhi assumevano uno sguardo vacuo e malato.
“Giù
al fiume non hai fatto nulla per impedirmi di prendere il tuo
pugnale, e questo perchè in cuor tuo sapevi che era la
decisione più giusta!”.
“Non
osare ripetere simili parole!”, gridò Legolas.
“Non mi è
stato possibile fermarti, perchè ero impegnato in uno
scontro!
Mai ti avrei lasciato uccidere la mia stessa vita!”.
Puro
odio si leggeva adesso negli occhi di Rhumine, la quale
colpì
Legolas in pieno viso. “Sei uno stupido!”,
esclamò. “Ti
avevo offerto il mondo su un piatto d'argento e tu lo hai rifiutato.
Cosa credi che ne sarà del Regno degli Uomini dopo che
avremo
ucciso Elessar? Cadrà in mano nostra e il popolo di
Rhûn
è guidato dalla Gilda: saresti stato il Dominatore della
Terra
di Mezzo, ma hai stupidamente rifiutato. Subirai lo stesso destino
del tuo Re: domani notte, al sorgere della Luna, sarete
giustiziati”.
Rhumine guardò Legolas e stese una mano a carezzargli il
volto, che lui scostò. “Portatelo via”,
disse la donna
alle sentinelle.
Legolas
fu riportato indietro e gettato in malo modo nella cella; si
rialzò
scuotendosi la polvere dai vestiti e tenendo d'occhio le guardie. Non
appena si furono allontanate, l'Elfo si avvicinò rapidamente
ad Aragorn.
“Devi
trovare il modo di fuggire”, sussurrò.
“Perchè?”,
disse Aragorn. “E perchè solo io?”.
“Rhumine
vuole ucciderti”, disse Legolas. “Se dovesse
riuscirci sarebbe la
fine del Regno di Gondor”.
“Legolas
ti ho fatto un'altra domanda”.
“Io
devo rimanere”, disse Legolas. “Devo avere la mia
vendetta”.
“Helkamirië
non approverebbe”, disse Aragorn. “Lei voleva la
giustizia, ma
non era crudele. Diceva spesso che la morte non sarebbe stata una
punizione per Rhumine; credo che avrebbe preferito saperla nelle
prigioni di Minas Tirith”.
“Ma
Helkamirië è morta”, disse Legolas.
“Ed è
morta proprio a causa di quella donna. No, Aragorn: non le
lascerò
ciò che lei ha tolto alla mia sposa”.
Aragorn
non disse più nulla, turbato dal cambiamento subito da
Legolas: possibile che il dolore per la perdita di Helkamirië
lo
avesse provato a tal punto? Sedevano entrambi con la schiena contro
la parete rocciosa della cella, ma l'Uomo continuava ad arrovellarsi
il cervello, alla ricerca di una soluzione che impedisse a Legolas di
mettere in atto i suoi crudeli propositi.
“Legolas”,
disse. “Quando vorrebbe uccidermi Rhumine?”.
“Vuole
giustiziarci entrambi, domani notte, non appena la Luna sarà
sorta”, disse l'Elfo.
“Forse
potremmo approfittarne per scappare”.
“Non
riusciremmo mai a fuggire tutti e due”, disse Legolas.
“Però
se io li trattenessi, tu avresti una possibilità di
farcela”.
“Legolas”,
disse Aragorn. “Non puoi chiedermi di fuggire e lasciarti qui
a
morire, sei il mio migliore amico. E poi, pensa ai tuoi figli: hanno
perso la loro madre, saresti egoista a privarli anche del padre per
la tua vendetta”.
“E'
inutile che tenti di convincermi, Aragorn”, disse Legolas.
“Io
farò il possibile per scappare dopo di te, ma non prima di
aver eliminato Rhumine”.
Aragorn
chinò il capo, sospirando sconfitto: niente avrebbe distolto
Legolas dai suoi intenti.
I
prigionieri trascorsero tutta la notte e il giorno seguente nella
cella, ognuno perso nei propri pensieri: ma se la mente di Aragorn
andava alla sua amata Stella del Vespro, a tutto ciò che con
lei condivideva e avrebbe perso, Legolas non faceva che rivedere la
scena della morte di Helkamirië e alimentare il desiderio di
vendetta. Quando il Sole fu tramontato, le guardie vennero a
prelevarli, conducendoli ad una radura che si stendeva nei pressi di
Henneth Annûn, dove li attendeva il boia. Rhumine si trovava
al
limitare degli alberi insieme a suo padre, apparentemente divertita
all'idea dello spettacolo cui stava per assistere. Diede ordine di
prendere per primo Aragorn e le guardie fecero per eseguire l'ordine,
ma non lo toccarono neppure, rovinando al suolo uccisi da un nugolo
di frecce. Stessa sorte toccò immediatamente dopo al
carnefice
che aveva tentato la fuga.
“Chi
siete?”, urlò isterica Rhumine. “Fatevi
vedere codardi!”.
Delle
risate risuonarono tra gli alberi, e decine di Elfi sbucarono dal
folto degli alberi, andando a bloccare i mercenari superstiti, mentre
due figure ammantate si portarono dietro Rhumine e Rhudda, puntando
loro i pugnali alla gola.
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Capitolo 48 *** 47 ***
Legolas
e Aragorn furono liberati delle corde che li trattenevano, ancora
frastornati per ciò che era accaduto. I loro salvatori erano
certamente Elfi di Taur-en-Ithil, ma nessuno dei due riusciva a
spiegarsi il loro intervento, piuttosto che quello dei soldati di
Aragorn. L'Elfo che tratteneva Rhudda si levò il manto dal
capo, mostrando il viso sorridente di Ilderan.
“A
quanto pare sei in debito con me, Principino”, disse.
“Evidentemente non riesci a toglierti dai guai senza di
me”.
Legolas
fissò Ilderan a bocca aperta, sbigottito e oppresso dal
senso
di colpa: come avrebbe potuto dirgli che la sua amata sorella era
morta a causa della sua incapacità? Il personaggio accanto a
Ilderan rimaneva in silenzio, coperto dal suo manto cupo come la
notte, tenendo il pugnale contro il collo di Rhumine.
“Sembra”,
disse, con voce bassissima, sì che lo udisse solo la donna,
“che la mia lama trovi molto attraente il tuo sangue, dopo
averlo
assaggiato”.
“Non
puoi essere tu!”, urlò Rhumine. “Ti ho
uccisa con le mie
mani!”.
I
presenti si voltarono verso i due, attratti dalle grida di Rhumine.
Legolas cominciava a nutrire sospetti, indotto dalle troppe
coincidenze: il manto di quella figura, che si trovava con Ilderan,
era scuro, quasi nero e fino a quel giorno, solo Helkamirië
aveva avuto un simile indumento fra gli Eldar; e poi, Rhumine diceva
di averla uccisa, chiunque fosse.
“Che
sia...”, sussurrò.
“Legolas”,
disse Aragorn. “Credo che quella sia...”.
“Maledetta
Helkamirië!”, gridò in quel momento
Rhumine. “Quale
stregoneria ti ha riportata in vita? Ti ho vista cadere dalla
cascata, trafitta dal pugnale di Legolas!”.
“Ne
sei certa?”, disse Helkamirië. Finalmente, tolse il
cappuccio
che le copriva il volto, mostrando il suo splendido viso. Legolas
cadde in ginocchio, incapace di reagire in qualsiasi modo.
“Tu
non mi hai uccisa affatto, Rhumine”, disse
Helkamirië. “A
dire il vero, non mi hai procurato neanche un graffio”.
L'Elfo
lasciò la donna alle cure di Rumil e si diresse verso
Legolas
che era ancora nella stessa posizione, inginocchiandosi di fronte a
lui; avrebbe voluto farsi stringere fra le sue braccia, ma sapeva che
doveva essere cauta: per quattro giorni il suo sposo l'aveva creduta
morta, poteva solo immaginare il dolore straziante che doveva aver
provato.
“Lirimaer”,
disse Legolas. “Sei viva”.
“Si,
Legolas”, disse Helkamirië, trattenendo a stento le
lacrime.
“Io
ti ho vista morire”.
“No,
amore mio”, disse Helkamirië. “Mi hai
vista cadere, ma
quello che sporcava il mio vestito non era il mio sangue. Quando ha
lanciato il tuo pugnale, Rhumine ha colpito la fiaschetta di Sangue
di Drago che tenevo all'interno della cintura. La boccetta ha frenato
la lama, che però è penetrata abbastanza a fondo
da
forarla, mentre io ho perso l'equilibrio per il contraccolpo”.
Legolas
alzò lo sguardo, puntando i suoi occhi grigi in quelli verdi
di Helkamirië: la vide sofferente, sull'orlo delle lacrime e
non
seppe spiegarsi il motivo.
“Helkamirië”,
disse. “Cosa c'è che non va?”.
“Io...
mi sento in colpa, Legolas”, disse la fanciulla.
“Avrei dovuto
farti sapere che ero viva in qualche modo”.
Una
lacrima sfuggì alla sua volontà, scendendo lungo
il
viso e prontamente fermata dalla mano di Legolas posata sulla sua
guancia.
Legolas
si bloccò un istante, ancora incredulo: poteva toccare la
sua
pelle, non era un'ombra generata dalla pietà di Nienna! Le
prese il viso fra le mani, accarezzandolo con i pollici e baciandole
delicatamente la fronte.
“Sei
qui”, le disse sulla pelle. “Sei tornata da
me”.
Tornando
a posare lo sguardo sul suo viso, vide che ormai le lacrime
scendevano copiose dagli occhi verdi di Helkamirië e se la
strinse al petto, lasciando che posasse il capo sulla sua spalla e
desse libero sfogo al pianto. Dopo qualche momento, la fanciulla
alzò
il volto verso il suo baciandolo dolcemente, subito ricambiata
dall'Elfo, che si perse nelle sensazioni che quel contatto suscitava
nel suo animo.
Rhumine
fremeva di rabbia, bloccata dalle braccia di Rumil: possibile che
quell'Elfo fosse tanto fortunata da scampare a morte certa? In tutta
la sua vita, non aveva mai sbagliato un colpo, mai nessuno era
sopravvissuto se attaccato da Rhumine la Nera; erano state proprio la
sua freddezza e precisione nel colpire che le avevano guadagnato la
fiducia e il rispetto di tutta la Gilda, e ora Helkamirië si
prendeva gioco di lei a quel modo, di sicuro protetta dai Valar. E
Legolas... Legolas aveva rifiutato il potere che gli offriva, aveva
rifiutato lei in nome di una sposa che doveva essere defunta, per
amore.
“Dannazione!”,
esclamò d'improvviso. “Chi ti protegge
Helkamirië? Hai
più vite dei gatti della Regina Beruthiel! Sei forse una
Istari anche tu, come quel Mithrandir?”.
Helkamirië
si staccò bruscamente da Legolas, piazzandosi davanti a
Rhumine e fissandola con odio.
“Non
osare nominare Mithrandir”, sibilò. “Il
suo nome si
ricopre d'infamia se esce dalla tua bocca. Io non sono una Istari e
non sono protetta più di ogni altra creatura di
Ilúvatar,
te compresa. Devo essere grata al fato se sono sopravvissuta: se non
avessi portato con me la fiaschetta con il Sangue di Drago, adesso il
mio spirito sarebbe già ospite di Mandos”.
“Sarebbero
bastati pochi minuti”, interloquì Rhudda.
“Pochi minuti
ancora e il Regno di Gondor avrebbe perso il suo Re, da così
poco ritrovato; sarebbe scoppiato il caos e Rhûn avrebbe
riportato l'ordine e il controllo sull'intera Terra di Mezzo”.
L'Uomo
alzò il capo verso sua figlia, prigioniera di colei che
aveva
sempre odiato e una furia cieca si impadronì di lui: prese a
dimenarsi come un forsennato, liberandosi in qualche modo dalla
stretta di Ilderan e sfoderò il pugnale che teneva alla
cintola, lanciandosi contro Helkamirië allo scopo di liberare
Rhumine, ma le sentinelle elfiche furono più svelte,
abbattendolo a colpi di frecce.
“Padre!”,
urlò Rhumine. Rumil fissò Helkamirië che
gli fece
cenno di liberarla e la donna si precipitò al fianco del
padre, ormai in fin di vita. “Padre”, lo
chiamò ancora.
“Rhumine...
figlia mia”, biascicò Rhudda. “Io...
volevo solo...
liberarti... Ho sempre voluto... solo il tuo bene”.
“Lo
so padre, lo so”, disse Rhumine in lacrime. “Non
sforzarti di
parlare, hai bisogno di riposo”.
“No,
Rhumine... è finita per me... ricorda che ti
amerò
sempre... e ti sarò sempre accanto... Addio”, con
queste
parole, Rhudda si congedò dalla sua amata figlia, mentre il
suo spirito si librava su ali leggere al di là del Mare.
“Padre
no!”, gridò la donna, piangendo china sul corpo
ormai
esanime.
Helkamirië
era sinceramente dispiaciuta per le sorti di Rhudda, che in fondo non
era altri che un padre, come tutti gli altri disposto a dare la vita
per la propria figlia; nonostante ciò, fece cenno a Rumil di
andare a riprendere Rhumine perchè fosse imprigionata. La
donna non oppose nessuna resistenza, lasciandosi condurre docilmente
dove si trovavano i suoi compagni.
Solo
allora, Helkamirië tornò da Legolas, facendosi
abbracciare stretta, mentre l'Elfo continuava a tenerla fra le
braccia, ancora sorpreso per l'immensa benevolenza che i Valar
dovevano nutrire nei suoi confronti.
“Helkamirië”,
disse. “Cosa ti è successo dopo essere caduta
nella
cascata?”.
“Molte
cose”, disse Helkamirië. “Se voleste
venire con me,
racconterò a te e ad Aragorn cosa è
accaduto”.
Stringendo
la mano di Legolas, la fanciulla si inoltrò nel folto degli
alberi, fermandosi presso uno strano cerchio di rocce dove avrebbero
potuto parlare tranquillamente.
x Thiliol: ho cercato di aggiornare prima possibile... non
preoccuparti, a me piacciono i lieto fine!
x Alessiuccia : grazie mille per i complimenti, in effetti io ADORO
Tolkien, ho letto quasi tutto! Spero che continuerai a seguirmi ^^
x strowberry_sin: sono sbalordita, tutto questo tempo davanti
al pc solo per la mia fic... ^///^ Grazie cara!
Grazie mille anche a Eleniel483 e KaDe che hanno recensito i capitoli
precedenti e anche a chi legge soltanto, e scusate tutti se rispondo
solo ora, ma vi assicuro che c'è una ragione valida!
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Capitolo 49 *** 48 ***
Helkamirië
aveva visto il pugnale volare verso di lei come se il tempo fosse
stato rallentato, senza poter far nulla per evitarlo; la lama l'aveva
colpita e una macchia rossastra era comparsa sulla sua veste: aveva
fatto appena in tempo a pronunciare un'ultima volta il nome di
Legolas che aveva sentito il terreno mancarle sotto i piedi. Mentre
cadeva nel vuoto, aveva visto il suo sposo correre per afferrarla, ma
ormai era troppo tardi e furono le infide acque sotto di lei ad
accoglierla fra le loro fredde braccia.
La
corrente la trattenne sott'acqua per un tempo che le sembrò
infinito, e solo dopo aver resistito e lottato, riuscì a
riemergere e a guadagnare la sponda. Si trascinò fuori
dall'acqua stanca e infreddolita, ma viva, e quasi senza accorgersene
si addormentò. Fu svegliata da qualcuno che la chiamava,
scuotendola, e quando riuscì a mettere a fuoco l'immagine,
distinse il volto preoccupato di Ilderan.
“Helkamirië,
finalmente ti sei ripresa!”.
“Ilderan,
ma cosa è successo?”, chiese Helkamirië
mentre l'Elfo
l'aiutava a mettersi seduta sostenendola fra le braccia.
“In
realtà speravo che fossi tu a dirmelo”, disse
Ilderan.
“Qualche ora fa, Carnemirië ed Elennath sono tornati
al
galoppo a Taur-en-Ithil. Ho capito subito che qualcosa non era andata
come doveva, così ho chiesto loro di condurmi da te e
Legolas;
mi hanno portato fino al salto della cascata e ho scorto segni di
lotta sul terreno: qualcuno è stato trascinato e qualcun
altro
portato via contro la sua volontà. Ti ho cercata e ho visto
il
tuo pugnale sull'argine del fiume, proprio dove l'acqua si getta nel
vuoto. Per fortuna ti ho trovata ancora in vita, anche se priva di
sensi”.
Helkamirië
rabbrividì al pensiero di ciò che sarebbe potuto
succedere e si strinse maggiormente al fratello, che si era tolto il
mantello per coprirla.
“Adesso
ricordo ogni cosa”, disse. “Rhumine mi ha portata
via con la
forza, dopo che a Minas Tirith il suo complotto era stato sventato.
Quando siamo giunti in questi luoghi, ci siamo fermati
perchè
i cavalli si abbeverassero e mi ha costretta a combattere contro di
lei”.
“Megera!”,
sibilò Ilderan. “E' stata lei a farti cadere nella
cascata?”.
“Si.
C'erano Legolas e Aragorn perciò credo che i cavalli fossero
con loro, ma mentre lottavamo, Rhumine mi ha accecata con la sabbia,
ha sottratto il pugnale a Legolas e me lo ha lanciato contro. Ho
visto una macchia rossa sul mio vestito, così ho creduto che
mi avesse colpita”.
“Non
è così, sorellina”, disse Ilderan.
“Ho controllato
io stesso, e per quanto sia un pessimo guaritore, riesco a
distinguere una ferita da un corpo perfettamente sano”.
Helkamirië
proruppe in una risata argentina, prontamente imitata da Ilderan che
la aiutò a rialzarsi e nuovamente la strinse fra le braccia.
“Ho
temuto che fossi morta, Helkamirië”, disse.
“Quando ti ho
vista priva di sensi, temevo già di dover contendere il tuo
spirito a Mandos”.
La
fanciulla sorrise intenerita, abbracciandolo a sua volta.
“Non
temere, fratello”, disse. “Intendo vivere a lungo,
almeno fino al
prossimo Canto degli Ainur! Piuttosto”, disse tornando seria.
“Dobbiamo trovare il modo di salvare Legolas e Aragorn...
sempre
che sia possibile salvarli”.
“Legolas
sarà vivo di certo”, disse Ilderan.
“Rhumine lo ama, non
gli farà del male. È per la vita di Elessar che
temo”.
Mentre
i due fratelli discutevano su quale fosse il modo migliore per
rintracciare Rhumine e salvare i prigionieri, furono raggiunti da
Haldir, seguito da Rumil e Orophin.
“Mia
signora Helkamirië!”, esclamò.
“Haldir?
Come è possibile che tu sia qui?”.
“Ti
stavamo cercando, mia signora”, disse Haldir.
“Siamo partiti
immediatamente dopo Sire Legolas e Re Elessar, ma loro ci hanno
distanziati subito grazie ai loro destrieri. Giungiamo proprio ora,
poco più in là ci attendono Sire Faramir, Sire
Gimli e
i vostri amici Periain”.
“Andiamo
da loro”, disse Ilderan, “e mettiamoli al corrente.
Avremo
bisogno di tutto l'aiuto possibile per agire in fretta e salvare
Legolas e Aragorn”.
“Aspetta
mio signore”, disse Haldir, porgendogli il manto di
Helkamirië.
“La Regina Arwen mi ha pregato di riportarti questo, Dama
Helkamirië”.
“Hannon
le, Haldir”,
disse Helkamirië.
Ilderan
le fece indossare lo scuro mantello e sollevò la sorella,
ancora troppo debole per camminare; tenendola fra le braccia
seguì
i Galadhrim lungo il breve cammino che li separava dai loro amici.
Dopo aver saputo come stavano le cose, Faramir, Gimli Merry e Pipino
furono ben lieti di poter aiutare in qualche modo e si recarono
assieme agli Elfi a Taur-en-Ithil.
Lo
spettacolo che si presentò loro fece letteralmente
spalancare
la bocca ai piccoli Hobbit, rapiti dalla maestosa semplicità
dell'elfico reame, mentre gli occhi di Gimli furono offuscati da un
velo di lacrime nello scorgere i telain
di Lorien sugli alberi d'Ithilien, illuminati dalle medesime lanterne
che rischiaravano la notte del Reame di Galadriel. Faramir era
l'unico a non essere sorpreso da ciò che vedeva, essendosi
già
recato diverse volte a Taur-en-Ithil, e seguiva i gentili ospiti
completamente perso nei propri pensieri.
Ilderan
e Helkamirië condussero il gruppo fino alla Sala Principale
della loro dimora, dove si trovava un grande tavolo destinato alle
udienze e ai consigli del Reame.
“Per
prima cosa dobbiamo rintracciare Legolas ed Elessar”,
esordì
Ilderan. “Avete idea di dove possa averli condotti
Rhumine?”.
“Certamente”,
disse Faramir. “Valegil ci ha detto che i mercenari hanno un
nascondiglio nei pressi di Henneth Annûn. Tuttavia non
è
stato in grado di indicarci il luogo preciso”.
“Questo
non è un problema”, disse Helkamirië.
“Le nostre
sentinelle conoscono alla perfezione ogni roccia, ogni albero
dell'Ithilien; perlustreranno tutta la zona dello Stagno Proibito
senza che nessuno si accorga di loro, e vedrete che non impiegheranno
molto a trovarli”.
“Come
facciamo a liberarli una volta trovati?”, disse Gimli.
“Non
sappiamo quanti Uomini di Rhûn si nascondano nell'Ithilien,
potremmo non disporre di forze sufficienti”.
“Gimli
ha perfettamente ragione”, disse Faramir. “Se
qualcuno di voi
riuscisse ad andare a Minas Tirith potrebbe portare notizie alla
Regina e condurre seco un drappello di Guardie della Cittadella; nel
frattempo, io stesso andrei alla mia dimora, portando degli arcieri e
dei cavalieri che si tengano a disposizione”.
“I
cavalieri sarebbero inutili, Faramir”, disse Ilderan.
“Henneth
Annûn è un territorio spoglio e irto di rocce
aguzze,
circondato da una cortina inestricabile di alberi, non hai bisogno
che te lo ricordi. Piuttosto, dovresti condurli al confine
settentrionale con la Terra di Rhûn, nel caso inviino
rinforzi
o coloro che si trovano già qui tentino la fuga.
Però
gli arcieri ci tornerebbero molto utili e anche le Guardie se si
giungesse allo scontro corpo a corpo”.
“Io
andrò a Minas Tirith”, intervenne Haldir.
“Vi chiedo
soltanto due giorni, al termine dei quali sarò di ritorno
insieme alle Guardie”.
“Due
giorni non basteranno, Elfo”, disse Gimli. “Noi
stessi abbiamo
cavalcato per due giorni e due notti dietro a Rhumine, spingendo i
cavalli al limite delle loro possibilità”.
“I
cavalli non possono percorrere i sentieri nascosti che attraversano
l'Ithilien”, ribattè Haldir. “Se le
Guardie viaggeranno
senza indossare la pesante armatura, non avranno problemi a seguirmi,
dovunque io li conduca”.
“Il
peso delle armi però non diminuirà”,
disse Merry.
“E'
vero”, disse Haldir. “Ma senza le corazze i loro
movimenti
saranno più sciolti”.
“Basta
così Haldir”, intervenne Helkamirië.
“Hai il permesso
di andare. Quando intendi partire?”.
“Immediatamente,
mia signora”.
“Fa'
ciò che ritieni opportuno”.
L'Elfo
salutò i presenti con un inchino e si allontanò
alla
svelta.
“Non
possiamo agire senza i rinforzi dalla Città e prima di aver
saputo quale sia il luogo preciso”, disse Ilderan.
“Andiamo a
riposare. Questa notte, le prime sentinelle usciranno in
perlustrazione. Rumil, Orophin”, disse rivolto ai due Elfi
che
attendevano poco discosti, “occupatevi voi delle
ronde”.
Helkamirië
accompagnò personalmente i propri ospiti nelle rispettive
stanze, preoccupandosi che gli alloggi degli Hobbit si trovassero al
pianterreno, e solo dopo essersi assicurata che ognuno si trovasse a
proprio agio tornò alla sua camera, andando a rifugiarsi
sulla
terrazza e raggiunta poco dopo da Ilderan.
“Ilderan,
qualcosa non va?”, disse.
“Puoi
stare tranquilla Helkamirië”, disse Ilderan.
“Sono venuto
solo ad assicurarmi che stessi bene. Non è facile resistere
a
ciò che hai passato oggi”.
La
fanciulla fece cenno a Ilderan di sedersi accanto a lei, sulla panca,
e l'Elfo non si fece pregare, abbracciandola immediatamente.
“In
effetti sono molto stanca”, disse. “Ma non riesco
proprio a
dormire; sono troppo in pena per Legolas e Aragorn... credi che
Rhumine li abbia già uccisi?”.
“Helkamirië,
sai anche tu cosa prova Rhumine per Legolas”, disse Ilderan.
“E'
per la sorte del Re che dobbiamo temere... però, se avessero
già ucciso Aragorn lo sapremmo”.
“E
come?”.
“L'intero
esercito di Rhûn sarebbe già in marcia attraverso
l'Ithilien. Credo che si trovi poco oltre il confine, in attesa della
notizia cui anelano da venti anni ormai. Stai tranquilla, sorellina:
stanno bene e presto li riporteremo a casa”.
Helkamirië
sorrise riconoscente e appoggiò la testa sulla spalla di
Ilderan. “Grazie Ilderan”, disse.
“Resteresti ancora un po' a
farmi compagnia?”.
“Tutta
la notte se lo desideri”, disse l'Elfo posando la testa sulla
sua.
Nonostante
la paura, Helkamirië riuscì finalmente a prendere
sonno e
Ilderan la riportò sul suo letto, badando che non si
svegliasse; rimase a vegliarla per qualche ora, ancora scosso da
ciò
che era accaduto.
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Capitolo 50 *** 49 ***
Helkamirië
si risvegliò in un posto completamente sconosciuto: intorno
a
lei c'erano pareti di roccia e quella che sembrava una prigione.
Accostandosi alle sbarre che la chiudevano, vide al di là di
esse Aragorn addormentato e il suo Legolas seduto con le spalle
contro il muro di pietra, il viso illuminato dalla luce lunare che
filtrava dall'esterno. Prima che si accorgesse di lei, ebbe come la
sensazione di riuscire a carpire i suoi pensieri e questi non le
piacquero affatto: sentiva dolore, tanto intenso da spaccare il
cuore, ma soprattutto la voglia di vendicarsi, il desiderio di
compiere un atto tremendo.
Legolas
levò il capo, attratto dalla luce di Elbereth, ma subito
distolse il capo.
“Non
farmi questo”, sussurrò.
La
donna si avvicinò a lui, costringendolo a posare nuovamente
lo
sguardo su di lei.
“Helkamirië”,
disse Legolas; avrebbe voluto stringerla a sé, ma temeva che
svanisse fra le sue dita. Helkamirië lo tolse da ogni
impaccio,
abbracciandolo lei stessa.
“Legolas”,
disse. “Non pensare alla vendetta: ti consumerebbe. Amrod e
Anië
hanno bisogno di te e... io ho bisogno della purezza del tuo
spirito”, disse staccandosi da lui.
“Non
andartene!”, la implorò Legolas. “Non
tornare a Mandos!”.
Helkamirië
scosse la testa, guardandolo tristemente: non riusciva più a
parlare, nonostante tentasse con tutte le sue forze di spiegargli, di
rivelargli che lei era viva e lo aspettava; mentre una lacrima le
solcava il viso quale un piccolo diamante, la sua figura si dissolse
nell'aria, portando con sé ogni luce.
Helkamirië
si riscosse, ancora in lacrime, sedendo sulla sponda del letto: aveva
sognato. Ilderan, che si trovava nell'anticamera, non si era accorto
di nulla, così la fanciulla si alzò per uscire
sulla
terrazza. Sperava che l'aria fresca della notte la facesse tornare a
respirare normalmente, perchè il sogno l'aveva turbata in
maniera eccessiva.
Sapeva
che non era stato casuale o dettato dall'angoscia che le stringeva il
cuore, poichè le notti di un Edhel celano sempre significati
reconditi: il suo timore più grande era causato dai
sentimenti
che aveva percepito in Legolas. Helkamirië, infatti, era certa
di essere stata nella sua cella in qualche modo, l'esperienza era
stata troppo vivida perchè fosse solo opera di Lorien. Era
necessario trovarli prima che Rhumine facesse del male ad Aragorn che
per fortuna sembrava in perfetta salute, e soprattutto, prima che
Legolas cedesse agli oscuri desideri che occupavano la sua mente.
Rimase
sulla terrazza fino all'alba, godendosi lo spettacolo del Sole che
restituiva i colori al mondo; solo quando la luce fu piena decise di
cercare Ilderan. L'Elfo si trovava ancora nella stanza accanto,
addormentato: si era seduto al tavolo e il sonno lo aveva colto con
le braccia sul piano e la testa poggiata su di esse.
Helkamirië
si avvicinò e lo scosse leggermente, fino a svegliarlo.
“Ilderan”,
disse. “Coraggio fratello, apri gli occhi”.
L'Elfo
alzò la testa di scatto, guardandosi intorno freneticamente;
si calmò subito vedendo la sorella in piedi accanto a lui.
“Helkamirië”,
disse. “Mi hai spaventato, sorellina”.
“Perdonami”,
disse Helkamirië. “Il Sole è
già sorto e noi
abbiamo delle faccende da sbrigare”.
“Hai
ragione”, disse Ilderan. “Andiamo alla Sala
Principale;
probabilmente, Faramir ci starà già
aspettando”.
Proprio
come aveva detto Ilderan, Faramir si trovava già ad
attenderli, apparentemente pronto per un viaggio. “Dama
Helkamirië,
Ilderan”, disse. “Io sto tornando nel mio reame.
Cercherò
di radunare gli arcieri e i cavalieri più in fretta
possibile”.
“Chi
guiderà i cavalieri fino al confine?”, chiese
Ilderan.
“Io
stesso”, disse Faramir. “Per quanto riguarda gli
arcieri, il mio
sentiero passa vicino alla vostra città: quando saremo nei
pressi, ci separeremo e li manderò qui con qualcuno di mia
fiducia”.
“D'accordo,
allora”, disse Ilderan. “Grazie per il tuo aiuto,
Faramir”.
“E'
un dovere, amico mio”, disse Faramir stringendo la mano
all'Elfo.
“Dama Helkamirië, non temere: vedrai che riusciremo
a liberare
i nostri amici e li riporteremo a casa sani e salvi”.
I
due giorni seguenti furono un continuo andirivieni delle sentinelle
assegnate alle ronde, che purtroppo continuavano a tornare senza
risultato; soltanto all'alba del terzo giorno, Rumil portò
buone notizie.
“Mio
signore Ilderan!”, esclamò irrompendo nella sala.
“Li
abbiamo trovati!”.
“Finalmente!”,
disse Ilderan. “E dove si trovano di preciso?”.
“C'è
una serie di cunicoli e grotte vicino a Henneth
Annûn”, disse
Rumil. “Sono nascosti in un sistema di gallerie che si trova
a Est
dello Stagno Proibito. Sono stanchi e provati, ma stanno
bene”.
“Elbereth
ti ringrazio!”, sospirò Helkamirië.
“Sono vivi”.
“Non
per molto mia signora”, disse Rumil. “Io e Orophin
abbiamo spiato
Rhumine: vuole giustiziare il nostro signore e il Re degli Uomini.
Stasera”.
“Dannazione!”,
sbottò Ilderan. “Haldir avrebbe dovuto
già essere
qui, non possiamo partire allo sbaraglio”.
“Ma
non possiamo nemmeno lasciare che li uccida, Ilderan!”,
esclamò
Helkamirië.
“No,
certo”, disse Ilderan. “Rumil, raduna gli arcieri.
Gli uomini di
Sire Faramir sono giunti ieri al tramonto, dovrebbero essere pronti a
combattere, se necessario. Helkamirië tu verrai con
noi?”.
“Certamente”,
disse Helkamirië. “Devo vedere Legolas il prima
possibile e
poi... ho un conto in sospeso con Rhumine”.
Gli
Elfi di Taur-en-Ithil si radunarono agli ordini di Ilderan e
Helkamirië, mentre Orophin si mise alla testa degli arcieri
d'Ithilien e li seguì, tenendosi però a distanza:
sarebbero rimasti in attesa, pronti a intervenire solo se necessario.
Non
avevano ancora varcato i confini del Reame che furono raggiunti da
Haldir, il quale portava con sé un nutrito gruppo di Guardie
della Cittadella.
“Haldir!”,
esclamò Helkamirië. “Ti aspettavamo ieri
al tramonto”.
“Me
ne rendo conto, mia signora”, disse Haldir. “Ma
avevo
sottovalutato le difficoltà del viaggio”.
“Non
importa Haldir”, disse Ilderan. “Purtroppo non
possiamo attendere
che gli Uomini riprendano le forze, Rhumine vuole giustiziare Legolas
e Aragorn al tramonto. Andremo solo con gli arcieri: non
sarà
un problema nascondersi in mezzo a quella fitta foresta”.
“Permettetemi
di venire con voi”, disse Haldir. “Il senso di
colpa mi opprime,
sarei dovuto giungere ieri con i rinforzi promessi”.
“Vieni
pure Haldir”, disse Helkamirië. “E senza
sensi di colpa. Tu
sei un Elfo: non potevi conoscere le difficoltà che un
viaggio
comporta per gli Uomini”.
Haldir
chinò il capo riconoscente e affiancò suo
fratello
Rumil agli ordini di Ilderan e Helkamirië, i soli che
procedessero a cavallo.
Viaggiarono
per tutto il giorno e finalmente poco prima del tramonto giunsero a
Henneth Annûn, arrampicandosi agilmente sugli alberi che
circondavano la zona, compresi Ilderan e Helkamirië che
avevano
lasciato i cavalli. Non appena il Sole fu definitivamente scomparso,
videro Rhumine e Rhudda raggiungere la radura sottostante,
accompagnati da un altro Uomo armato di una grossa scure;
immediatamente dalle grotte uscì un drappello di guardie che
portavano con sé Legolas e Aragorn. Helkamirië
sussultò
vedendo il viso provato di Legolas, ma si trattenne dal corrergli
incontro.
Rhumine
fece cenno alle guardie che lasciarono soli i prigionieri incatenati
in mezzo alla radura e un ghigno le attraversò il volto,
pregustando già il potere che avrebbe ottenuto. Ancora una
volta, a un suo cenno due sentinelle fecero per avvicinarsi ad
Aragorn, ma proprio in quel momento, a un segnale convenuto, gli Elfi
sugli alberi scoccarono un nugolo di dardi e gli Uomini stramazzarono
al suolo. L'Uomo con la scure, presumibilmente il boia, capì
di essere circondato e tentò stupidamente la fuga,
prontamente
fermata dalle frecce elfiche. Rhumine e Rhudda saltarono in piedi,
tentando di scorgere i nemici che li avevano accerchiati, ma senza
risultato: impossibile vedere gli Elfi nascosti fra le fronde.
“Chi
siete?”, urlò Rhumine. “Fatevi vedere
codardi!”.
Ilderan
e Helkamirië si scambiarono uno sguardo d'intesa e mentre gli
arcieri uscivano dagli alberi circondando la zona, i due fratelli si
portarono dietro Rhumine e Rhudda, puntando loro i pugnali alla gola.
x Thiliol: grazie
mille della tua splendida recensione... se tu avevi i brividi, a me
sono venute le lacrime agli occhi nel vedere riconosciuto il mio amore
per l'opera del Professore, grazie ancora! Hai poi ricevuto la mia mail?
Un grosso grazie anche a chi legge la mia piccola storia!
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Capitolo 51 *** 50 ***
“Il
resto è storia nota”, disse Helkamirië.
“Avete
assistito voi stessi allo stupido tentativo di Rhudda; si è
condannato con le sue stesse mani”.
“E
così”, disse Legolas. “Quella notte ti
ho davvero
sognata”.
“Si”,
disse Helkamirië. “Mithrandir ci ha spiegato che tra
noi
esiste grande empatia; forse per questo siamo entrati l'una nei sogni
dell'altro”.
“Cosa
faremo con Rhumine?”, intervenne Aragorn. “Non
possiamo
ucciderla, la sola idea mi disgusta; tuttavia, non sono certo che
nelle prigioni sarebbe completamente innocua”.
“Prima
di ogni cosa”, disse Legolas, “deve dirci dove
tengono Faelivrin.
Sempre che sia viva”.
“Lasciamo
che torni nella sua terra”, disse Helkamirië.
“Che
cosa?!”, esclamarono all'unisono Legolas e Aragorn.
“Riflettete”,
disse la fanciulla. “Una volta che sarà tornata a
Rhûn,
sarà giudicata dalla sua gente, secondo le sue leggi. E se
volesse tornare a Gondor, non potrebbe farlo senza essere
immediatamente riconosciuta e bloccata”.
“Forse
hai ragione Helkamirië”, disse Aragorn.
“Penserò con
attenzione a questa possibilità. Nel frattempo, torniamo
alla
radura e chiediamole dove si trova Faelivrin”.
I
tre ritornarono sui loro passi e videro Ilderan che sorreggeva una
fanciulla, aiutandola a stare in piedi. Aragorn si avvicinò
a
loro e scrutò attentamente il viso della giovane. Era molto
magra, probabilmente per via degli stenti della prigionia, ma ancora
bella, con grandi occhi color del cielo e lunghi capelli di un
insolito color rame.
“Tu
vieni da Gondor, vero?”, chiese.
“Si,
mio signore”, balbettò la fanciulla.
“Sei
Faelivrin?”.
La
fanciulla annuì sorridendo e si lasciò
completamente
andare fra le braccia di Ilderan, che fu lesto ad afferrarla prima
che cadesse.
“Dove
avete trovato Faelivrin?”, chiese Legolas a Ilderan.
“E'
stato Haldir a trovarla”, disse Ilderan. “Era in
quelle che
sembravano le cucine di questo posto, credo che sia stata trattata
come una serva per tutto questo tempo”.
“Povera
fanciulla”, disse Helkamirië. “E'
così giovane e ha
già dovuto soffrire tanto”. Così
dicendo Helkamirië
si avvicinò a Ilderan, scostando i capelli dal viso di
Faelivrin: la fanciulla era priva di sensi, eppure sorrideva serena.
“Dobbiamo portarla a Taur-en-Ithil”.
“Abbiamo
solo due cavalli, Helkamirië”, disse Ilderan.
“E anche
Legolas e Aragorn sembrano provati. Come faremo?”.
“Legolas,
Aragorn, vi sentite in grado di cavalcare?”, chiese
Helkamirië.
“Si,
con un destriero tranquillo”, disse Aragorn.
Legolas
annuì soltanto.
“Ottimo”,
disse Helkamirië. “Legolas andrà con
Elennath e visto
che è un cavallo molto robusto, non avrà problemi
a
portare con sé Faelivrin. Aragorn potrà montare
Carnemirië, sarà docile come un
agnellino”.
“Helkamirië”,
disse Legolas. “Non voglio andare senza di te”.
Helkamirië
abbracciò Legolas, baciandolo dolcemente. “Non
temere”,
disse. “Io vi seguirò subito, giungerete solo
poche ore
prima di noi”.
“Te
ne prego, Helkamirië, vieni con me”, disse Legolas
senza
lasciarla. “Faelivrin è un fardello tanto leggero
che anche
Carnemirië potrà trasportarla e Aragorn non si
affaticherà nel reggerla”.
Helkamirië
guardò Aragorn da sopra la spalla di Legolas e l'Uomo
annuì
deciso.
“D'accordo
Legolas”, disse. “Verrò con voi. Rumil
ti prego, va' a
prendere i cavalli e riferisci a Orophin che può tornare
indietro”.
“Io
resterò ancora un pò”, disse Ilderan.
“Non ci sono
più Uomini oltre a quelli che abbiamo tirato fuori da questa
specie di tana, però voglio perlustrarla bene: potrei
trovare
qualcosa di interessante. Condurrò io i prigionieri a
Taur-en-Ithil”.
“Grazie
Ilderan”, disse Helkamirië. “Non tardare
troppo, fratello”.
“Stai
tranquilla, sorellina”, disse Ilderan allontanandosi verso
l'ingresso del nascondiglio di Rhumine.
Carnemirië
ed Elennath condussero i propri cavalieri fino al Reame di
Taur-en-Ithil, dove trovarono ad attenderli gli Hobbit e Gimli, i
quali furono più che felici di rivederli sani e salvi, e di
sapere che Rhumine era finalmente prigioniera.
Helkamirië
fece preparare una stanza per Faelivrin e vi mandò le sue
stesse ancelle perchè si occupassero di lei, raccomandandosi
che usassero cautela perchè la fanciulla doveva essere
ancora
molto turbata.
Si
era fatta notte fonda ormai, così anche gli altri ospiti di
Legolas e Helkamirië si ritirarono nelle loro stanze; Aragorn
era stato seguito dai guaritori su preciso ordine di
Helkamirië,
la quale voleva essere certa che stesse bene. Quando gli stessi Elfi
si erano proposti per visitare anche Legolas, però, aveva
rifiutato sostenendo di essere perfettamente in grado di curarlo da
sola.
Non
appena ebbero varcato la soglia della loro camera, Legolas si
voltò
e la strinse fra le braccia, nascondendo il viso nell'incavo del suo
collo.
“Legolas,
cosa c'è che non va?”.
“Temevo
di averti perduta, lirimaer.
Questa volta credevo sul serio che ti avrei rivista al di là
del Mare, nelle Sale di Mandos. Giurami che non mi lascerai mai
più”.
Helkamirië
sorrise e annuì, costringendo poi Legolas a sdraiarsi sul
letto.
“Devo
sbrigare una faccenda”, disse. “Tornerò
presto”.
La
fanciulla uscì dalla stanza, ma non si allontanò,
rimanendo sulla terrazza dell'anticamera. Le stelle brillavano
intensamente quella notte, tanto da far sembrare il cielo quello di
Lothlorien. Helkamirië non aveva potuto accettare il
giuramento;
amava Legolas e più di ogni altra cosa desiderava vederlo
felice, tuttavia cominciava a sentire un'inquietudine nel cuore, un
senso di insoddisfazione che, ne era certa, si sarebbe placato
soltanto ad Aman. Scosse la testa, tentando di accantonare quei
pensieri e finalmente raggiunse Legolas che subito la strinse,
continuando a dormire sereno.
Il
mattino seguente, Ilderan giunse a Taur-en-Ithil con i prigionieri e
buona parte delle sentinelle del reame. Rhumine non aveva ancora
reagito alla morte di Rhudda, e continuava a essere calma e
tranquilla, come non era mai stata.
Legolas
e Helkamirië si trovavano già nella Sala Principale
e
perciò furono i primi a incontrare Ilderan.
“Ilderan”,
disse Legolas. “Hai tardato”.
“E'
vero, Principino”, disse Ilderan. “Quella topaia
era più
grande di quanto credessi, ho impiegato più di due ore solo
per perlustrarla, e per fortuna non c'erano Uomini dentro”.
“Ilderan”,
disse Helkamirië. “Dove sono Rumil e
Orophin?”.
“Li
ho impiegati come messaggeri”, disse Ilderan.
“Rumil sta cercando
Sire Faramir e i suoi cavalieri per riferire loro di tornare a
Taur-en-Ithil, mentre Orophin è andato a Minas Tirith a
rassicurare la Regina e a riprendere i gemelli”.
“I
miei figli!”, esclamò Helkamirië.
“Saranno
terrorizzati, non ci vedono da quasi una settimana ormai!”.
“Non
temere, lirimaer”,
disse Legolas. “Amrod e Anië purtroppo sapevano che
ti era
accaduto qualcosa, tanto che mi hanno chiesto di riportarti indietro;
saranno felici di tornare a casa quando Orophin dirà loro
che
sei salva. I bambini dimenticano in fretta, non appena ti
riabbracceranno ogni paura li abbandonerà del
tutto”.
“Lo
spero, Legolas”.
Quando
furono passati altri quattro giorni, tutti gli amici di Legolas e
Helkamirië si trovavano ormai a Taur-en-Ithil; Faramir era
rientrato dopo appena un giorno, mentre quella mattina erano giunte
Arwen ed Eowyn che avevano accompagnato i gemelli. Entrambe furono
più che felici di poter riabbracciare incolumi i propri
sposi,
e Amrod e Anië rifiutarono per tutto il giorno di lasciare le
mani di Helkamirië. Anche Valegil aveva seguito la Regina e
quale non fu la sua gioia quando potè finalmente
riabbracciare
la sua amata Faelivrin, ormai una donna, la quale, contrariamente
alle aspettative, lo riconobbe immediatamente come suo padre.
Rhumine
si era risvegliata da quella sorta di apatia in cui era precipitata
dopo la morte di Rhudda, tuttavia raramente apriva bocca. Quando le
comunicarono che l'avrebbero rimandata a Rhûn
perchè
fosse giudicata, esplose in una risata fragorosa, osservando i suoi
carcerieri con occhi di scherno.
“Voi
credete davvero”, disse, “che a Rhûn
sarò giudicata
come una criminale? Sarò osannata invece, e mio padre
celebrato come un grande eroe che ha dato la vita per il suo paese.
Mi basterebbe una sola parola per scatenarvi contro l'intero mio
popolo; se non lo farò, sarà soltanto
perchè
sono consapevole della vostra superiorità in guerra e non
voglio mandare la mia gente al massacro. E ora che abbiamo chiarito
le cose”, disse dando loro le spalle, “sbrigatevi a
farmi tornare
a casa: ho vissuto fin troppo in questo maledetto regno. Voglio
soltanto che mi consentiate di andare a riprendere mio padre
perchè
possa riportarlo a casa. È quello che avrebbe
voluto”.
“La
tua mi sembra una richiesta legittima”, disse Ilderan.
“Ti
accompagnerò io stesso al luogo in cui è
sepolto”.
Ilderan
insieme a una scorta di sentinelle, accompagnò Rhumine e i
suoi uomini nei pressi di Henneth Annûn, indicando loro il
luogo in cui gli Elfi avevano eretto il tumulo di pietre per Rhudda.
La donna si occupò personalmente di preparare la salma al
lungo viaggio e accettò l'aiuto dei suoi soldati solamente
per
caricarlo sul carro che Ilderan le aveva messo a disposizione. L'Elfo
condusse gli Uomini di Rhûn fino al confine con la terra
d'Ithilien e solo quando non li vide più all'orizzonte,
prese
la via del ritorno.
Non
erano trascorsi che pochi momenti dacché Ilderan aveva
varcato
la porta del palazzo, che una sentinella giunse nella Sala dove si
trovavano Legolas e Helkamirië insieme ai loro amici.
“Miei
Signori”, disse. “C'è qualcuno che
desidera vedervi. È
un Eldar, tuttavia nessuno di noi lo conosce ed egli rifiuta di dire
da dove proviene”.
Legolas
e Helkamirië si guardarono l'un l'altro, indecisi sul da
farsi,
ma infine fu la fanciulla a parlare.
“Lascialo
passare”, disse.
“Helkamirië”,
disse Legolas. “Perchè hai
acconsentito?”.
“Io...
non lo so”, disse Helkamirië fissandolo smarrita.
Legolas
non ebbe il tempo di ribattere, perchè il misterioso ospite
fece il suo ingresso e ogni parola svanì dalle labbra dei
presenti, mentre Arwen portava una mano alla bocca. L'Elfo era la
creatura più nobile che avessero mai visto e i suoi lunghi
capelli d'argento sembravano risplendere di luce propria, la stessa
che gli illuminava lo sguardo penetrante. Per nulla sorpreso dalla
reazione dei suoi ospiti, si avvicinò a Legolas e
Helkamirië,
inchinandosi profondamente.
“Miei
Signori”, disse rialzandosi. “Il mio nome
è Aerandir. Sono
un Telerin e giungo da Alqualondë”.
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Capitolo 52 *** 51 ***
Legolas
era ammaliato quanto gli altri dalla presenza di quell'Elfo, tuttavia
sentiva nascere un sentimento di astio nei suoi confronti e non se ne
spiegava il motivo. I suoi pensieri furono interrotti proprio da
Aerandir che lo fissò dritto negli occhi, quasi intuendo i
suoi pensieri.
“Come
è possibile che tu venga da Alqualondë?”,
chiese d'un
tratto Legolas. “Non abbiamo mai saputo di Eldar che siano
ritornati da Aman, se non al tempo della Grande Battaglia. La Strada
Diritta può imboccarsi solo una volta; e conduce in un unico
luogo”.
“Certamente
le tue parole corrispondono a verità”, disse
Aerandir. “Ma
il Sommo Manwë ha ricevuto grande autorità da
Ilúvatar
e se Egli lo desidera, può condurre un Eldar nella Terra di
Mezzo. È per suo volere che sono qui; Messer
Ëaralad lo
ha pregato di inviare una nave fino alle Terre Orientali”.
“Mio
padre?!”, esclamò Ilderan.
“Perchè mai avrebbe
fatto una cosa simile?”.
“Perchè
Valienna desidera tornare a casa”, disse Aerandir.
“E vostro
padre lo sa da tempo, tuttavia non è stato facile convincere
i
Signori d'Occidente”.
“Helkamirië”,
disse Legolas. “Tu... desideri andartene?”.
“Si...
Cioè no... io non lo so!”, esclamò
Helkamirië in
lacrime scappando dalla stanza.
Legolas
corse subito dietro a Helkamirië, mentre i loro amici si
guardavano l'un l'altro, turbati dalla reazione della fanciulla;
Ilderan teneva la testa china e i pugni serrati, consapevole che
quella visita avrebbe significato grande dolore per Helkamirië
e
anche per Legolas. Aerandir sembrava sorpreso dall'atteggiamento di
Helkamirië e fissava Ilderan con una muta domanda negli occhi.
“Mia
sorella non sapeva ancora se desiderava partire”, disse
Ilderan.
“Mio padre non ha mai accettato fino in fondo la nostra
decisione
di rimanere, perciò immagino che nel momento in cui la sua
spiccata capacità di scrutare il futuro gli ha mostrato il
tormento di Helkamirië, lui abbia precipitato le cose. Dimmi,
Aerandir: anche io devo tornare ad Aman?”.
“Messer
Ëaralad si è detto sicuro che avresti seguito
Valienna
qualsiasi cosa lei decidesse”, disse Aerandir.
“Egli si è
recato in Valinor e ha preso parte al Consiglio delle Potenze. Ha
rivelato cosa avesse visto nel futuro di Valienna e ha pregato il
Sommo Manwë di consentire a una delle nostre navi di
riprendere
la Strada Diritta verso le Terre Orientali, sostenendo che il posto
di sua figlia fosse in Aman e non nel luogo in cui aveva
ostinatamente voluto restare. In un primo momento, Manwë ha
respinto la sua richiesta, dicendo che mai era accaduto che una nave
tornasse da Aman verso la Terra di Mezzo dopo la Grande Battaglia e
che mai sarebbe dovuto accadere; proprio allora, però,
è
intervenuta la nostra Signora Varda, chiedendo che il dono concesso a
Valienna tornasse nelle Terre Imperiture. Manwë sa che la sua
sposa, in talune occasioni, riesce a discernere meglio di Lui nei
pensieri di Ilúvatar, così ha acconsentito a un
tale
insolito viaggio. Ulmo ci ha accompagnati fino al Grande Mare, Uinen
ha placato le tempeste e Ossë ci ha sospinti sulle correnti
che
più velocemente ci conducessero a destinazione. La nave
attende nei pressi di Dol Amroth alla foce dell'Anduin: chiunque
voglia venire con noi ad Aman, deve seguirmi domani. Posso condurre
altre persone oltre a Valienna”.
“Il
nome di mia sorella è Helkamirië”, disse
Ilderan. “Se
lei desidera venire con te, io la seguirò; e naturalmente ci
sono i suoi figli. Non sono certo che Legolas verrà con
noi”.
Legolas
aveva inseguito Helkamirië fino al giardino che si stendeva
dietro alla dimora, trovandola piangente rannicchiata vicino alle
radici di un grande albero. La fanciulla si era accorta di lui, ma
non si era mossa, continuando a nascondere il viso fra le mani.
“Helkamirië”,
la chiamò Legolas.
“Legolas
perdonami, ti prego!”, esclamò Helkamirië
continuando a
piangere disperatamente.
Legolas
vide le sue spalle scosse dai singhiozzi e non potè fare a
meno di trovarla incredibilmente fragile, come un fiore di cristallo.
Si avvicinò a lei, sedendosi sul terreno e la costrinse a
farsi stringere tra le braccia, baciandole la fronte.
“Dimmi
la verità, Helkamirië”, disse.
“Tu desideri lasciare
la Terra di Mezzo?”.
Helkamirië
non rispose, ricominciando a piangere più forte, ma l'Elfo
la
scosse facendole alzare la testa a guardarlo.
“Rispondimi”.
“Io...
non lo so, Legolas”, disse Helkamirië calmandosi un
poco.
“Questa terribile vicenda di Rhumine mi ha fatto nascere un
sentimento di inquietudine nel cuore, che sento sarà placato
soltanto dalla serenità delle Terre Imperiture,
però...
io non avevo ancora deciso di partire”.
“E
cosa farai ora che Aerandir è giunto fin qui?”,
chiese
Legolas con un tremendo presentimento.
“Ancora
non lo so, Legolas, ma... credo che andrò con
lui”, disse la
fanciulla guardandolo tristemente.
Legolas
la lasciò andare di botto, scattando in piedi.
“Non puoi
farlo!”, esclamò.
“Legolas,
ti prego...”.
“Non
c'è nulla per cui pregare Helkamirië!”,
disse Legolas.
“Mi stai dicendo che vuoi lasciarmi da solo in queste terre
d'esilio, eppure sai che la tua vicinanza mi è
indispensabile!”.
“Perchè
non capisci?!”, esclamò Helkamirië.
“Io non riesco
più a vivere in questi luoghi che mi hanno portato dolore e
sofferenza”.
“Sei
tu che non capisci”, disse Legolas. “Non capisci
che mi stai
spezzando irrimediabilmente il cuore”, disse allontanandosi.
“Legolas!”,
provò a richiamarlo Helkamirië, ma senza risultato.
Nel
pomeriggio, dopo aver parlato con Aerandir, Helkamirië
comunicò
a Ilderan e ai suoi ospiti la sua decisione, provocando negli amici
un grande dolore. Arwen scoppiò a piangere, conscia come
nessun altro che la loro separazione sarebbe stata definitiva, oltre
la Fine del Mondo. Helkamirië la abbracciò tentando
di
calmarla, ma anch'essa in lacrime.
“Arwen
non piangere per favore”, disse.
“Anche
tu stai piangendo!”, protestò la Regina di Gondor.
“Perchè
lo sai: sai che se parti adesso noi non ci rivedremo mai
più”.
Helkamirië
le rivolse un sorriso triste, asciugandosi le lacrime dal viso.
“Per
amore hai scelto di condividere il destino degli Uomini; dici il
vero, anche se dovessimo entrambe morire, nemmeno nelle Sale di
Mandos potremmo rivederci, però... non pensare a quello che
non potremo più avere, piuttosto serba nel cuore il ricordo
della nostra amicizia. Io farò lo stesso e forse
così
non saremo tanto distanti. Sei stata un'amica preziosa Arwen
Undomiel, Regina di Gondor: questo i nostri destini non potranno
cancellarlo”. Dandole un ultimo abbraccio,
Helkamirië si
rivolse ad Aragorn, inchinandosi.
“Addio
mio Re”, disse. “So come la pensi al riguardo, ma
non posso che
sentirmi onorata di essere annoverata tra i sudditi di un
così
grande e nobile Sovrano. Abbi cura di Legolas, Aragorn: sono certa
che non mi seguirà e non capirà mai fino in fondo
la
mia decisione”.
“Lo
farò. Addio, mia cara Helkamirië”, disse
Aragorn. “Non
dimenticherò mai il giorno in cui ti vidi la prima volta a
Imladris: ebbi la sensazione di un grande Bene emanare da te e ormai
sono certo che tu non hai portato altro nelle nostre vite”.
Così
dicendo il Re degli Uomini prese il viso dell'Elfo fra le mani,
posandole un bacio sulla fronte. “Porgi i nostri saluti a
Messer
Elrond; digli che Estel lo ricorda ancora come l'unico padre che
abbia mai conosciuto”.
Helkamirië
annuì commossa e si affrettò a salutare anche
Faramir
ed Eowyn; la fiera e orgogliosa Dama d'Ithilien non potè
trattenere il pianto nel momento in cui la fanciulla si sciolse dal
suo abbraccio: anche lei sapeva che quello era l'ultimo ricordo che
le sarebbe rimasto della luminosa Valienna. Gimli borbottò
qualcosa di incomprensibile, tentando di nascondere gli occhi lucidi
di lacrime, mentre gli Hobbit piansero senza ritegno tutte le loro
lacrime.
“Non
piangete, piccoli Periain”, disse Helkamirië.
“Pensate che
andrò a tenere un po' di compagnia a Frodo;
chissà come
si sentirà solo tra tanti nobili Eldar! Ricordate: non
lasciate mai che il ricordo del Grande Male che avete combattuto
svanisca dalla mente del vostro popolo, perchè è
proprio quando si dimentica che esso ricompare peggiore”.
Ilderan
le porse le mani, guardandola con un tenero sorriso.
“Sai
che io verrò con te, vero?”, disse.
“Si”,
disse Helkamirië, sorridendo di rimando. “Non avevo
nessun
dubbio al riguardo”.
“Però
forse non sai”, disse Ilderan, “che anche Haldir,
Rumil e Orophin
partiranno con noi. Ti sono troppo fedeli e inoltre, desiderano
rivedere Dama Galadriel e i dorati mellyrn
che crescono al di là del Mare”.
“Ne
sono felice”.
“Devi
fare un'altra cosa ancora”, disse l'Elfo. “Non puoi
partire e
lasciare Legolas così infuriato. Va' a cercarlo”.
Legolas
aveva lasciato Helkamirië e si era diretto alle scuderie, dove
aveva preso Elennath e aveva varcato i cancelli del suo reame. Aveva
cavalcato fino ad arrivare a Henneth Annûn, e lasciando
libero
il suo cavallo, era sceso fino allo Stagno Proibito, rimanendo seduto
sulla sponda a fissare l'acqua immota e cristallina. Non poteva
credere a ciò che stava succedendo: Helkamirië se
ne
andava, lasciava la Terra di Mezzo e abbandonava lui... ma come
poteva? Gli aveva più volte detto che sarebbe rimasta con
lui
fino a quando non avessero deciso di intraprendere quel viaggio
insieme, perchè ora quel cambiamento?
“Perchè
te ne vai Helkamirië?”.
“Davvero
non lo sai?”, disse una voce dietro di lui.
“Come
facevi a sapere che ero qui?”, disse Legolas.
“Elennath
sta pascolando tranquillamente sulla rupe”, disse
Helkamirië,
sedendo accanto a lui. “Noi dobbiamo parlare
Legolas”.
“Hai
ragione, dobbiamo salutarci: addio”.
“Smettila.
Non mi rendi le cose facili agendo così”, disse la
fanciulla. “Non possiamo semplicemente dirci addio, senza
chiarire
i nostri pensieri. E in fondo, non credo proprio che questo sia un
addio: ci rivedremo sicuramente un giorno, non potrai vivere qui per
sempre”.
“I
nostri pensieri?”,
disse Legolas. “I miei sono limpidi come l'acqua di questo
stagno:
tu mi stai abbandonando; probabilmente non mi ami
più”.
Helkamirië
sussultò sorpresa a quella risposta e
schiaffeggiò
Legolas. “Come puoi dire una cosa del genere?”,
sibilò.
“Ti amo più della mia stessa vita, cosa ti spinge
a
dubitarne?”.
Legolas
si voltò dall'altra parte, senza rispondere, ma
Helkamirië
gli si parò davanti.
“Non
rispondi?”, disse. “Perchè sai che dico
il vero”.
Finalmente,
l'Elfo la guardò negli occhi, mostrando lo sguardo
più
ferito e sofferente che Helkamirië vi avesse visto;
sospirò
tristemente, prima di spiegarle le sue ragioni.
“Devi
perdonarmi, lirimaer”,
disse. “Conosco perfettamente il tuo cuore, ma la tua
decisione mi
sta lacerando l'anima, non lo capisci? Te ne vai per sempre dalla
Terra di Mezzo, portando via con te Amrod e Anië, e
sicuramente
anche Ilderan. Non so più in cosa credere”.
Helkamirië
gli strinse le braccia al collo, baciandolo dolcemente, mentre
Legolas la abbracciò a sua volta rispondendo al bacio.
Quando
si staccarono, la fanciulla si abbandonò fra le sua braccia,
posando la testa contro il suo petto.
“Estelio
nîn meleth, Legolas”,
sussurrò.
“Im
melin le, Helkamirië”,
disse Legolas stringendola a sé.
“Im
melin le, Legolas”,
sospirò Helkamirië. “Non sarà
facile per noi
ma... resisteremo. Prendi questa”, disse dando a Legolas la
sua
collana. “Voglio che tu me la restituisca quando ci rivedremo
al di
là del Mare”.
Legolas
prese il gioiello fra le mani, stringendolo con rabbia. “Lo
farò”,
disse. “Però, Helkamirië voglio tu sappia
una cosa: per
quanto ti ami, non comprenderò mai la decisione che stai
prendendo”.
“Ne
sono consapevole, Legolas”, disse Helkamirië.
“Tuttavia,
credimi se ti dico che lo faccio anche per preservare la nostra
felicità: se fossi rimasta qui a logorarmi l'animo, anche il
nostro matrimonio ne avrebbe sofferto. E io non voglio
perderti”.
“Lo
so, Helkamirië”,disse l'Elfo. “Nemmeno io
desidero che il
nostro amore svanisca”.
I
due rimasero, così stretti a guardare il cielo che si
rifletteva nello Stagno e trascorsero in quel luogo tutto il giorno e
anche la notte; quando infine le stelle tramontarono, presero
finalmente la via del ritorno.
Il
mattino seguente, Helkamirië e Legolas raggiunsero insieme la
Sala dove Aerandir attendeva Valienna, e videro che tutti i loro
amici si trovavano già lì, perchè
nessuno di
loro avrebbe lasciato andar via Helkamirië senza rivolgerle un
ultimo saluto. Amrod e Anië si erano attaccati alle gambe di
Legolas piangendo disperatamente, perchè rifiutavano di
lasciare il loro padre.
“Naneth
perchè andiamo via?”, chiese fra le lacrime Amrod.
Helkamirië
prese in braccio il suo bambino tentando di calmarlo, ma era anche
lei sul punto di cedere al pianto.
“Amrod,
io devo partire perchè qui non sto bene”, disse.
“Però,
se tu e Anië volete restare con vostro padre potete
farlo”
“Sei
cattiva naneth!”,
strillò Anië. “Se restiamo con ada
tu vai via!”.
Helkamirië
guardò disperata Legolas, indecisa sul da farsi, ma l'Elfo
venne in suo aiuto. Prese i gemelli in braccio, baciandoli entrambi
sulla fronte.
“Figli
miei, adesso dovete partire con vostra madre”, disse.
“Però
non dovete piangere perchè presto vi raggiungerò
anche
io, e Ilderan viene con voi”.
Grazie
a Legolas, i gemelli si calmarono e seguirono volentieri Haldir e i
suoi fratelli verso quella che ormai ritenevano una nuova avventura.
Ilderan si avvicinò a Legolas stringendogli la mano.
“Addio
Principino”, disse. “Noi ti aspetteremo sull'altra
sponda del
Grande Mare”.
“Addio
Ilderan”, disse Legolas. “Prenditi cura della mia
sposa fino al
mio arrivo”.
Ilderan
sorrise e dopo un ultimo saluto ai presenti si incamminò
anche
lui verso l'esterno. Helkamirië era rimasta per ultima ma
indugiava ancora, terribilmente titubante a lasciare Legolas. I suoi
amici la guardavano commossi, sperando fino alla fine che decidesse
di non partire, ma inaspettatamente la fanciulla abbracciò
Legolas, accostando le labbra al suo orecchio.
“Reno
Legolas”,
disse. “Estelio
nîn meleth”.
Legolas
la strinse forte, posando la fronte sulla sua spalla e
Helkamirië
gli accarezzò dolcemente i capelli.
“Mia
signora”, la chiamò Aerandir.
“Perdonami, ma dobbiamo
andare”.
Helkamirië
si staccò a malincuore dall'abbraccio di Legolas e dopo
avergli dato un ultimo bacio, rivolse una fugace occhiata ai suoi
amici e scappò via.
“Namarië
mellyn nîn!”,
esclamò mentre correva via. Verso Aman.
Estelio
nîn meleth = credi nel mio amore
Im
melin le = ti amo
Reno =
ricorda
Namarië
mellyn nîn = addio amici miei
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Capitolo 53 *** Epilogo ***
Nell'anno
3141 della Quarta Era il grande Re Elessar morì: a lui,
ultimo
fra gli Uomini, era stato concesso di intraprendere volontariamente
quell'ultimo viaggio, ma questo non bastò a lenire il dolore
della sua sposa e dei suoi amici. Arwen decise di abbandonare Minas
Tirith e recarsi a Lorien, trascorrendo il tempo che le rimaneva in
quello che un tempo era il Bosco d'Oro. Legolas aveva tentato di
dissuaderla, ma era stato inutile.
“Arwen
vieni con me a Valinor”, le disse. “Io
partirò fra qualche
settimana e Gimli verrà con me, perchè gli
è
stato concesso un grande onore in virtù dell'amore che nutre
per Dama Galadriel. I Signori d'Occidente non impediranno la tua
partenza”.
“No,
Legolas”, disse Arwen con un sorriso. “Non mi
rimane molto da
vivere e tu sai che i mortali non resistono a lungo alla Luce di
Aman. La bramano, ma proprio come una falena che viene attirata dalla
fiamma della candela fino a bruciarsi, essi non godono molto tempo
della Beata Valinor. Io sono la Regina degli Uomini e come tale
morirò nella Terra di Mezzo. Non crucciarti per me: la tua
Helkamirië ti starà aspettando con impazienza,
raggiungila”.
“Helkamirië
mi sta aspettando, è vero”, disse l'Elfo.
“Ma non sarà
completamente felice di vedermi, perchè lei sa che
ciò
significa la morte di tutti coloro a cui voleva bene in queste terre:
Faramir ed Eowyn hanno da tempo attraversato il Grande Mare e anche
Merry e Pipino sono stati presi dal sonno eterno, così come
Eomer e... Aragorn ha deciso che infine fosse giunto il suo
momento”.
“Nemmeno
l'amore per me lo ha dissuaso”, disse Arwen.
“Rifiutava di
vedersi vecchio e indebolito dal troppo indugiare: ha preferito
andarsene quando era ancora il Grande Re degli Uomini. Ma ora basta
Legolas: va' via, prendi Gimli e parti, hai resistito anche troppo
lontano dalla tua sposa per il bene di Estel. Addio, amico
mio”.
Arwen
abbracciò forte Legolas, lasciando che qualche lacrima le
bagnasse il volto ormai solcato dai segni del tempo. Legolas la
strinse a sua volta, sfiorando i capelli della Regina, un tempo scuri
come la notte e ora bianchi come il cielo d'Inverno.
“Namarië
Arwen Undomiel”,
disse allontanandosi.
Gimli
attendeva Legolas fuori dalle stanze della Regina e quando vide lo
sguardo affranto del suo amico, capì che non era riuscito a
persuaderla.
“Non
verrà”, disse.
“No”,
disse Legolas. “E' spezzata dal dolore, ma anche se sa che
Valinor
lo lenirebbe, ha deciso di percorrere fino in fondo la strada che ha
scelto. La strada degli Uomini”.
Gimli
sospirò pesantemente, fissando il pavimento.
“Ormai siamo
rimasti solo noi due, Elfo”.
“Già...
chissà se Sam avrà davvero attraversato il
Mare?”.
“Non
lo so. Ma noi dovremmo farlo Legolas. Attendere oltre
renderà
solo più difficile il distacco e maggiore il
dolore”.
“Si”,
disse Legolas. “Andiamo Gimli”.
L'Elfo
si incamminò con il suo passo leggero, seguito a breve
distanza dal Nano, forte e vigoroso nonostante l'età. I due
raggiunsero Taur-en-Ithil dove ancora dimoravano gli Elfi Silvani e
Legolas condusse Gimli al luogo in cui custodiva il suo tesoro
più
prezioso: una barca grigia che gli avrebbe consentito di prendere il
Mare e raggiungere finalmente Helkamirië. Rivolgendo un ultimo
sguardo alla loro Terra, spinsero la barca in acqua e discesero il
Grande Fiume fino al Mare.
Navigarono
verso Ovest sospinti da un vento favorevole e infine Legolas comprese
di aver imboccato la Strada Diritta quando sentì una dolce
fragranza nell'aria e udì dei canti giungere da oltre i
flutti; allora gli parve che la grigia cortina di pioggia del mondo
che si lasciava alle spalle si trasformasse in vetro argentato,
svelando candide rive e una terra verde al lume dell'alba.
Proseguirono
ancora, oltrepassando Tol Eressëa e il porto di
Avallonë, e
si ritrovarono su un mare tanto tranquillo da sembrare quasi una zona
di bonaccia. Finalmente Legolas vide all'orizzonte un bianco porto e
le navi in forma di cigno dei Teleri, trainate da cigni e gabbiani;
l'Elfo fu il solo a scorgere, grazie alla sua straordinaria vista,
una luminosa figura piccola e distante in piedi sul molo.
Quando
fu più vicino, riuscì infine a distinguere i
lineamenti
perfetti di Helkamirië, la quale agitava una mano in segno di
saluto e rideva nel pianto, perchè proprio come aveva detto
Legolas, sapeva ciò che il ritorno del suo sposo
significava.
Nonostante ciò, l'Elfo non potè impedirsi di
ridere di
gioia, nella totale perplessità di Gimli, il quale vedeva
soltanto un porto e delle barche ancora distanti su quel mare
così
piatto.
“Che
cos'hai da ridere?”, borbottò. “Che cosa
hai visto?”.
“Im
cennin nîn gil”.
FINE
Im
cennin nîn gil = ho visto la mia stella
NdA = ed eccoci giunti alla fine di questa lunga storia! Capisco che a
qualcuno il finale potrà non piacere, ma il mio obiettivo
era scrivere senza stravolgere troppo ciò che il Professore
ha già scritto molto meglio. Siccome in ISDA Legolas e Gimli
partono da soli, ho fatto in modo che ciò accadesse anche
nella mia fic. Grazie mille a tutti coloro che hanno letto e recensito
e un grazie speciale alla cara Thiliol. Hannon le mellon nin, il tuo
costante sostegno è stato prezioso per me, non vedo l'ora di
continuare a leggere le tue meravigliose opere!
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