Alive

di The Ghostface
(/viewuser.php?uid=620219)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***
Capitolo 23: *** 23 ***
Capitolo 24: *** 24 ***
Capitolo 25: *** 25 ***
Capitolo 26: *** 26 ***
Capitolo 27: *** 27 ***
Capitolo 28: *** 28 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Esatto, cari appassionati lettori della serie Rigor Mortis, una nuova storia si è aggiunta alle altre.
L’attesissimo (bum…) sequel di Ghostface/Revenge ha finalmente inizio!!
Nuove minacce, piani malvagi, altri avversari, vecchi alleati, misteri e segreti che verranno svelati ribaltando la vita a tutti i personaggi che dovranno misurarsi…col Ghostface.
È tempo che il mondo senta ancora parlare di Ghostface!
Ma ora basta coi convenevoli e gli spoiler… che Alive cominci!!
(sono così felice di essere tornato in gioco col mio caro alter-ego!!)
Si consiglia a chi fosse interessato alla storia senza aver letto Ghostface/Revenge di andarli a leggere prima di iniziare se voglion capirci qualcosa in questa.
 
CAPITOLO 1
 
Luogo :Carcere di massima sicurezza e base spaziale in orbita attorno al pianeta Terra.
Nome in codice: Tartaro.
 
Il Tartaro era la struttura di detenzione più sicura esistente nello spazio conosciuto.
Solo i peggiori criminali vi erano trasferiti, non c’era modo di evadere.
All’interno della struttura, munita dei più innovativi metodi di sorveglianza, non c’erano navicelle spaziali per uscire, la base fluttuava nello spazio cosmico, priva di motori per poterne deviare la rotta, celle singole e completamente isolate per ogni prigioniero e i carcerati erano sorvegliati 24 ore su 24 senza interruzione alcuna, le guardie, gente sadica e senza scrupoli privi di qualcosa che li attaccasse alla vita vera, superavano il numero dei detenuti di 3 a 1 passavano nel Tartaro tutto il tempo del loro servizio senza mai una licenza, e solo la voce del direttore del penitenziario poteva dare l’accesso all’armeria.
Le provviste erano sufficienti per decenni prima di necessitare di un rifornimento.
I detenuti non si incontravano mai, né potevano ricevere alcuna visita o oggetto, solo messaggi elettronici.
Le porte blindate di cristallo infrangibile invece si aprivano solo dopo lo scanner della retina delle guardie.
I detenuti non uscivano mai dalla loro gabbie, se non per le “visite mediche” ossia esperimenti scientifici condotti sui carcerati.
Vista la lontananza da qualsiasi giurisdizione terrestre, il direttore del penitenziario aveva diritto di vita e di morte sui galeotti.
Ma non l’avrebbe mantenuto a lungo…
 
La guardia scorreva pigramente l’elenco delle mail inviate a i vari detenuti, data la distanza le lettere anche se elettroniche impiegavano dieci anni a giungere nella stazione spaziale.
Per la prima volta dalla sua cattura il detenuto numero 37 ricevette un’e-mail, il primo messaggio esterno da tredici anni di reclusione.
Tredici anni che il più famigerato ospite del Tartaro aveva passato nella sua solitudine, sottoposto a vere e proprie vivisezioni e asportazioni di organi per studiare la sua incredibile capacità rigenerativa.
Tredici anni passati senza quello che poteva essere definito un vero e proprio contatto umano, era finito lì per aver tentato di cambiare la storia…e per ironia nessuno si ricordava di lui…o quasi.
Il guardiano si avvicinò al suo collega, che sorvegliava il corridoio corazzato che portava alla cella numero 37.
-Posta per Jonathan Argenti, di circa dieci anni fa, inviata da una certa Rae666- disse presentando il permesso d’accesso all’amico dietro il cabinotto di guardia corazzato.
-Davvero? È qui da tredici anni e nessuno si è mai fatto sentire, non deve avere molti amici sulla vecchia Gea. Che dice?- domandò il carceriere prima di dare l’accesso al corridoio.
-“Mar’i deceduta. Femmina. Non farti più vedere, spero tu sia morto. Ti odio!!”- lesse ad alta voce.
-M’ha…io non vedo perché perder tempo a scrivere una roba del genere. Comunque permesso accordato-
Il portone di titanio si sollevò, la guardia col messaggio entrò nel lungo corridoio spoglio, illuminato a giorno, percorse il lungo tragitto fino a trovarsi davanti a un altro posto di guardia, ne aveva già passati quattro all’interno del corridoio, quello era l’ultimo prima della cella 37.
Due soldati coperti dalle uniformi bianche impugnavano i mitra a raggi ustori, invece l’addetto alla sicurezza vestiva al semplice divisa nera portata anche dalla guardia col messaggio.
-George Marwell, guardia giurata del Tartaro, servizio delle telecomunicazioni.
È arrivato un messaggio per Jonathan Argenti-
Il collega aprì la porta del cabinotto di sorveglianza facendo entrare il guardiano.
-Com’è messo oggi?- domandò prima di consegnare il messaggio acustico.
-Quel tipo è sempre più fuori di testa, continua a cantare e pretende di essere chiamato col suo nome d’arte…Ghostface.
Non so nemmeno perché il direttore abbia acconsentito a lasciargli quegli occhiali da sole-
-Girano strane voci sull’Argenti dicono che abbia degli occhi terrificanti e abbia tentato di distruggere il mondo-
-La metà della feccia qui dentro c’ha provato…e visto dove sono finiti? B’ha lasciamo perdere, preparo il contatto-
Il guardiano accese il microfono collegato all’interno della cella, subito si sentì un fischiettio provenire da lì.
-Oh no!! ecco che ricomincia! Ma che avrà tanto d a cantare quel pazzo?! Fosse per me glia avrei già strappato la lingua- commentò esasperato la guardia al posto di blocco.
-Lo hanno fatto. Ma il giorno dopo era ricresciuta. Comunque tra due ore è di nuovo il suo turno col Dottor Tod, vedrai che allora griderà come tutti gli altri detenuti…-
-Fosse vero…non ha mai aperto bocca…-
La voce del detenuto risuonò meccanica e distorta dal microfono all’interno del cabinotto blindato.
 
-Tu prova ad avere un mondo nel cuore,
e non riesci ad esprimerlo se non col dolore.
E alla luce del giorno si divide la piazza
tra la gente che vive e te, lo scemo che ammazza.
E neppure la notte mi lascia da solo,
gli altri sogna se stessi ed io, sogno di loro.
 
E se anche poi andrei a cercare
Le parole sicure per farmi ascoltare:
Fare il killer non basta per entrar nella storia,
i cercai di conquistare tutto il mondo in un’ora,
e con decine di paini e un progetto mal fatto.
Mi fermarono i Titans e mi videro matto.
 
E senza sapere a chi dovessi la vita,
i un manicomio io l’ho restituita:
in questa prigione dormo mal volentieri
eppure c’è luce ormai nei miei pensieri,
qui nella penombra ora invento parole
ma rimpiango una luce, la luce del sole.
 
Le mie ossa reclamano ancora la vita:
reclamano ancora erba fiorita.
E la vita mi è rimasta, nonostante Corvina,
anche a chi ha perso una figlia ancora piccina.
A chi ancora spera con la stessa ironia…
Che una morte pietosa mi strappi alla pazzia…ha ha ha ha ha ha ha-


-Sono giorni che non fa che ripeterla…-borbottò il secondino.
Il primo guardiano si avvicinò al microfono e scandì le parole.
- Argenti, ti è arrivato un messaggio dalla Terra…- la voce dall’altro capo interruppe la guardia –Ghostface. Chiamatemi Ghostface per favore-
-Stammi bene a sentire, Argenti, ci sono voluti sei anni per scoprire la tua identità, e abbiamo dovuto esaminare ogni dannatissimo elenco di tutti i lager nazisti per trovare quello corrispondete al numero che hai marchiato sul braccio, e non ho idea di come c***o tu faccia a essere così vecchio, ma non  credere che butterò all’aria tutta questa fatica. Ti chiami Jonathan Argenti e come tale sarai chiamato!!
Tornando al messaggio…te lo invia una certa Rae666 e dice “Mar’i deceduta. Femmina. Non farti più vedere, spero tu sia morto. Ti odio!!” fine comunicazione. Ma tu guarda che ignoranza, non sanno nemmeno scrivere correttamente Mary…-
Al vecchio criminale non era sfuggito quest’ultimo commento della guardia, prima che la trasmissione fosse interrotta replicò calma.
-Ignorante sarai tu. Mar’i era proprio il nome di quella persona. E riguardo alla mai vecchiaia…sappi ragazzo, che nella mia lunga vita ho avuto modo di studiare molto, la cultura è importante, tra le altre cose ho imparato anche l’astronomia…certo che è buffo, essere circondati dall’immensità dello spazio e non poter vedere nemmeno una stella, ma così va il mondo…in particolare mi affascinano le comete.
Lascia che ti dica una curiosità, tanto per fare quattro chiacchiere…pensa che nei miei studi ho imparato a memoria traiettoria della cometa di Halley e l’arco di tempo che impiega per compiere la sua orbita…lo sapevi che si schianterà contro l’ala ovest di questo carcere tra tre giorni esatti? E che l’urto spingerà questa prigione nell’atmosfera terrestre, con relativa precipitazione letale, almeno per voi, dovuta alla forza di gravità?-
-Ma cos…- mormorò la voce della guardia stupita.
-Hai capito bene mio caro, tra poche ore i radar la segnaleranno…ma sarà comunque troppo tardi- sorrise macabro l’assassino dalla pelle cadaverica.
-Cosa vorresti dire?!- rispose il secondino accusatorio, come se il vecchio lì dentro avesse colpa.
-Voglio farvi notare che questa stazione è una trappola, non c’è via di fuga-
-Se davvero tu avessi ragione e se davvero la cometa arrivasse non credi che sposteremmo il Tartaro dalla traiettoria della cometa-
-Questa stazione non ha motori, l’hai dimenticato?- rispose allegro Ghostface.
Il tono del secondino appariva più nervoso e preoccupato.
-Allora chiederemo un’evacuazione dalla Terra!-
-Non ci sono navette per giungere sul pianeta…- replicò il detenuto.
-Invieremo un messaggio d’urgenza!!- sbraitò la guardia al microfono.
-Sai bene quanto me che non arriverà mai in tempo- Ghostface rise sconsideratamente.
-Perché c***o ridi?!!-sbraitò la guardia.
-Perché morirete tutti…non c’è scampo-
In quel momento suonò l’allarma di un corpo in rapido avvicinamento alla stazione, l’alto parlante annunciò l’impatto previsto tra 36 ore.
-M***a…NO! ci deve essere una via di fuga…un modo…-
-Sei al Tartaro figliolo, non c’è modo di fuggire. Io sono dentro una cella e tu no, ma questa stazione è una prigione per entrambi…-
-Q-quindi s-siamo tutti…-
-Condannati- ghignò malvagio Ghostface.
Presto molto presto sarebbe tornato sulla Terra.
 
Mettiamo in chiaro una cosa. La parola “femmina” nel messaggio non è un dispregiativo rivolto al nostro amico dagli occhi di ghiaccio, ma ha un suo significato a parte che si spiegherà più in là. Lo metto in chiaro per evitare equivoci.
In secondo luogo vorrei avvisare che per me è un periodaccio e quindi gli aggiornamenti andranno un po’ a rilento, ho un sacco di cose da fare, lo so che vi ho abituato rapidi aggiornamenti con Revenge, e cercherò di mantenere lo standard ma non credo di farcela.
Comunque Unstoppable Love serve appunto a render più leggera l’attesa.
Spero che questa storia vi piacerà come e più delle precedenti…
Nel prossimo come hanno passato i 5 eroi tutto questo tempo, non perdetelo.

Sono passati 13 anni ma Ghostface è tornato! Ghostface vive, vive è vivrà!!
Non posso assicurare lo tesso per i nostri ormai non più “Teen” Titans…
 
Ghostface.
 
p.s. lo sapevate che “Tod” in tedesco vuol dire “morte”? il dottor Tod = il dottor Morte, carino no?
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 ***


CAPITOLO 2
 
Erano passati tredici anni da quando Ghostface era stato rinchiuso nel Tartaro.
Tredici anni da quando BB e Corvina, ormai trentenni, si erano sposati…e tredici anni aveva April, la loro figlia primogenita.
In quegli anni molte cose erano cambiate…
BB e Corvina avevano lasciato la Torre, andando a vivere con la loro famiglia in una bella villetta a schiera comunque in prossimità della T-Tower, erano sempre pronti ad accorrere in caso di necessità.
Corvina aveva iniziato una carriera da scrittrice di successo, ne aveva di avventure da raccontare, e ora anche una famiglia da mantenere.
Il suo lavoro le piaceva, non aveva superiori, faceva le pause quando voleva e poteva dedicarsi sia ai suoi figli che alla lotta contro il crimine.
Il suo settimo bestseller della famosa saga“Memorie dall’ombra” era già tra i cinque libri più venduti dell’anno e già si parlava di farne una serie cinematografica.
BB, finanziato dai soldi guadagnati dalla moglie, cercava ancora di sbocciare nel mondo della musica rock, così come in quello dei fumetti Marvel (c’era quasi riuscito ma un certo Peter Parker gli aveva soffiato l’idea del “ineluttabile fanciullo opilione” proponendo a Stan lee un nuovo eroe “ the amazing spider-man” e venendo assunto al posto suo) anche nel cinema non aveva avuto successo e ora meditava aprire una tavola calda per vegani… in parole povere faceva il casalingo mantenuto.
Quei tredici anni erano passati in armonia nella famigliola, solo la luna di miele era durata otto mesi, il progetto originale doveva essere di due anni ma alla mezzo demone si erano aperte le acque nel Colosseo…
Tuttavia erano tredici anni di vita trascorsi senza rimpianti…o quasi…
Nel frattempo la coppia di sposini si era anche impegnata ad avere altri due figli, Rick e Ruby, un maschio e una femmina di otto anni, meglio noti nella famiglia dei Titans come i Gemelli.
I cloni in miniatura del padre…
April invece era diversa caratterialmente da entrambi i genitori, ma si poteva distinguere facilmente in lei i tratti della madre, la pelle pallida, grandi occhi color corvo, simili a quelli ametista di Corvina, lunghi capelli neri, lisci e setosi, la stessa gemma di Azar in fronte, che Trigon aveva tramandato a Corvina e a sua volta Corvina ad April.
I gemelli invece ne erano sprovvisti, così come non aveva ereditato alcun potere dalla madre, eccezion fatta per una debole telecinesi, in compenso mantenevano entrambi la dote cangiante del padre…con risultati devastanti durante i frequenti litigi.
April invece dei poteri di BB non aveva nulla, ma possedeva quasi tutte le capacità della madre in più era in grado di creare illusioni sensoriali perfettamente realistiche, a patto che conoscesse la situazione da ricreare mentalmente.
Corvina sapeva che una piccola parte di suo padre era penetrata in tutti i suoi pargoli, per questo aveva già iniziato a introdurre April alla meditazione e al controllo delle emozioni, oltre che alla magia, per i Gemelli era ancora presto, e poi quei due demonietti scalmanati erano davvero poco interessati agli arcani mistici, al contrario della loro sorellona, che ne era affascinata…e questo la rendeva più influenzabile dal nonno.
Stella e Robin (che ormai era noto come Nightwing, solo nella Torre continuavano a chiamarlo “Robin” nonostante le sue proteste…le abitudini sono dure a morire) erano rimasti una coppia di fatto per un paio d’anni poi si erano a loro volta felicemente sposati, nonostante il ragazzo mascherato sentisse una sorta di inibizione, qualcosa simile a un ricordo di un evento terribile accaduto appunto riguardo a un matrimonio, e non se lo spiegava, gli unici matrimoni a cui aveva assistito erano stati quello di BB e Corvina e poco più tardi quello di Acqualad e la sua nuova ragazza, Bumblebee, e in entrambi tutto era andato idillicamente.
Eppure il suo istinto aveva continuato a metterlo in guardia per tutta la cerimonia.
I soldi non erano certo un problema per la coppietta, grazie al proficuo e flessibile lavoro gentilmente offerto a Robin nelle Wayne Enterprise da un certo Bruce, con tanto di ferie e uscita libera in caso di emergenze (che andavano da un attacco ultradimensionale di orde di alieni assatanati a un “vivace battibecco” con la focosa mogliettina…la seconda era senz’altro più rischiosa per Nightwing)
Avevano avuto un figlio di dodici, stranamente di nome Bruce, ma nonostante la giovane età il ragazzo poteva essere tranquillamente scambiato per un quindicenne per fisico e statura, i geni tamaraniani gli aveva portato in eredità la forza della madre, il volo e la capacità di apprendere linguaggi tramite il contatto labiale ma non era in grado di sparare gli starbolts.
Nightwing viveva ancora alla Torre, con la sua famiglia, ma quando i due eroi volevano un momento di intimità si incontravano in un appartamento che avevano comprato fuori città utilizzando l’identità segreta di Robin, un posto perfetto per restare indisturbati.
Anche Cyborg continuava la sua vita nella sua amata Torre, con la sua amata T-car, la sua amata playstation, la sua amata dieta ricca di carne e grassi… e al momento c’era anche qualcun’altra di amata nella sua vita…
Stavano insieme da poco, ma erano pieni di progetti, dopo aver reciprocamente fallito la storia con Bumblebee e con Kidflash, Cyborg e Iella avevano deciso di perdonarsi gli sgarbi del passato e darsi una seconda possibilità.
La ex-criminale era entrata ufficialmente a far parte dei Teen Titans di Jump city, diventando un membro più che attivo all’interno del gruppo.
Passavano molto tempo per conto loro ad “affinare la loro conoscenza dei reciproci interessi” come dicevano al ritorno dai loro week-end di coppia.
Ma era fin troppo ovvio cosa intendessero con “interessi” specie quando Iella terrorizzata si era confidata con Corvina temendo di essere gravida…per poi scoprire che si trattava di indigestione di burritos.
Il mezzo robot si divertiva nel suo mestiere, pilota automobilistico, ma quello che lo penalizzava era che non tollerava che nessuno mettesse mano alla sua bambina a parte lui, specie dopo il modo in cui l’aveva ridotta Ghostface.
E se la macchina ci guadagnava in qualità…perdeva senz’altro più tempo al pist off.
Quanto a Iella, troppo orgogliosa per fare la casalinga, troppo peperina per sopportare un capo-uffico e troppo innamorata di Cyborg per tornare a rubare si era trovata un lavoretto come cameriera nella pizzeria in centro a Jump-city.
La cosa sembrava funzionare bene per il momento, ma il mezzo-robot tendeva a cambiare facilmente ragazza, e non si poteva certamente dire che la maga dai capelli rosa fosse più stabile.
Ma per ora si godevano la loro relazione, lasciando che fosse il tempo a decidere come farla finire.
Ma molte cose stavano per cambiare…
 
-Siamo stati colpiti!- urlò il sorvegliante del Tartaro.
Il lato Ovest della prigione era stato letteralmente spazzato via dalla devastante forza distruttrice della cometa.
Il resto era stato scagliato dalla violenza dell’impatto nell’atmosfera terrestre, lì la forza di gravità aveva subito attaccato quel rivale che da anni la sfidava nello spazio, beffandosi della sua incapacità di trarlo a sé.
Ora invece la stazione precipitava avvolta dalle fiamme e ruotando su se stessa ad altissima velocità.
-Mai stato più felice di essere in una cella imbottita!- esclamò Ghostface parlando da solo, cosa che aveva cominciato a fare dopo 13 anni di isolamento in cui l’unica voce che sentiva era la sua.
Veniva sballottato come un pupazzo privo di volontà all’interno della cella, sbattendo contro le pareti; per sua fortuna erano rivestite di gommapiuma e prive di qualsiasi mobilio.
Ma non si poteva dire che aiutasse molto contro la violenza con cui veniva scagliato conto i muri che sotto lo strato di gommapiuma erano pur sempre di acciaio rinforzato.
Aveva calcolato che la sua cella, la più interna e corazzata sarebbe uscita integra dalla caduta protetta dalla robusta struttura esterna, ma che la serratura elettronica sarebbe senz’altro andata distrutta dall’impatto.
Certo, questo non gli sarebbe servito a molto se fosse precipitato nell’oceano, ma con un po’ di fortuna sarebbe atterrato sulla terra ferma, o magari sopra un’isola tropicale.
Dopo aver ricevuto l’ennesimo dolorosissimo colpo ed essersi spezzato tre costole Ghostface raggiunse un’ intelligente considerazione.
-Se è vero che posso rigenerarmi, e lo è, a che scopo restare cosciente a farmi spezzare tutte le ossa quando posso sgolarmi e riprendere i sensi quando sarà tutto finito?- rifletteva volteggiando all’intero della cella – E inoltre un corpo rilassato a più possibilità di riportare meno danni di uno contratto dagli spasmi del dolore per gli urti ricevuti…- disse battendo violentemente la testa contro la vetrata di cristallo antiproiettile della prigione -…Come questo…- aggiunse stringendo i denti.
Guardando fuori dalla vetrata vide le guardie in preda al panico, scagliate contro le pareti d’acciaio da quel delirio roteante che era ora il Tartaro.
Vide ossa spezzarsi, visi deformati dalle urla e dal terrore, teste spiaccicarsi contro i muri, e sangue un lago si sangue.
Riconobbe George Marwell, la guardia venuta a portargli la lettera.
Gli lanciò un macabro sorriso poco prima che il ragazzo finisse stritolato da una delle pesanti porte blindate, strappate dai muri delle celle e che ora erano veri e propri proiettili a grandezza d’uomo.
Dopo quest’ultima visione, il vecchio si passò l’indice artigliato sul pomo d’Adamo, aprendosi la gola da parte a parte, una morte rapida e indolore, quando sarebbe tornato in sé sarebbe stato come nuovo.
L’inquietante e spettrale sorriso di morte lanciato alla guardia rimase dipinto in quel volto scavato per tutta la caduta, impresso dai muscoli rimasti contratti nel rigor mortis, come una tetra maschera dell’ineluttabile destino di tutti gli uomini.
Il Tartaro avvolto nelle fiamme proseguiva sempre più velocemente al sua discesa verso la morte solcando il cielo con una scia di fuoco.
 
 
-Guarda mamma, una stella cadente!- esclamò April, la ragazza guardava il cielo fuori dalla finestra nella fredda notte autunnale stringendo tra le mani la tazza di infuso fumante che sua madre le aveva preparato.
-Sicura che non si tratti piuttosto di una certa Stella Rubia?-
-So riconoscere la scia della zia, era una stella cadente ti dico-
-Esprimi un desiderio, allora- rispose dolcemente Corvina mentre rimboccava le coperte a Rich e Ruby, che già dormivano a quell’ora tarda.
April guardò ancora il punto in cui poco prima la stella cadente aveva solcato il cielo d’inchiostro.
<Io desidero diventare un’eroina come mia madre…>
Infatti i suoi genitori avevano preferito tenerla lontano dal campo di battaglia almeno fino a quindici anni, benché loro stessi avessero cominciato prima, la cosa che le bruciava di più era che Bruce, più piccolo di lei di un anno era già andato in missione coi Titans tre volte!
“per lui è diverso…i tamaraniani sono più sviluppati a quest’età” la solita tiritera che le rifilava sua madre quando lei tirava in ballo l’argomento.
-Cos’hai desiderato?- domandò la maga alle spalle della figlia, con una mano teneramente appoggiata sulle spalle.
-Mamma! Se te lo dico poi non si avvera!-scherzò la ragazzina, riuscendo a far sorridere anche la madre.
-Piccola mia, sono sicura che qualsiasi cosa tu abbia desiderato si avvererà…a parte quella A in matematica, se non ti metti sotto a studiare nemmeno un miracolo ti salva, stavolta-
April sbuffò al pensiero della sua media scolastica –Uffa, ti preoccupi troppo, vedrai che me la cavo-
-Sarà meglio per te, signorinella…e per il tuo portatile se vuoi che resti tuo. Ricorda il nostro patto: niente sufficienza niente internet. Ora però va a nanna- ribattè la maga.
-Ma mamma, sono solo le undici…- protestò la figlia adolescente.
-Niente “ma”. Alla tua età io andavo sempre a letto presto…salvo impegni…-
<“Salvo impegni” dice lei…la metà delle notti era a combattere il crimine e a pattugliare la città, l’altra metà invece le passava con papà…e io sono la prova vivente che non dormivano…> pensò la ragazzina indispettita, ma non si azzardò ad aprir bocca.
-E poi domani hai scuola e quando torni dobbiamo finire di studiare i Rotoli Galealici.
La magia non s’impara da un giorno all’altro- Continuò la giovane donna.
-A meno che non sia un drago a insegnartela…- commentò April.
Corvina fissò dritta la figlia nei suoi occhi neri, seria e glaciale.
-NO. Te l’ho già detto mille volte. No, no  e poi no. Non lascerò che sia Malchior a istruirti!-
-Mamma, lui saprebbe farlo meglio e più velocemente di te, lo sai benissimo-replicò lei decisa non mollare.
-No!-
-Ma io so cos’è in realtà, non mi farei ingannare… devi riconoscere che le tue magie più potenti le devi a lui
-NO!- Urlò Corvina rischiano di svegliare Rick e Ruby.
-Non permetterò che tu lo veda!-
-E allora si può sapere perché diavolo l’hai tenuto con te fino a adesso??!!-
Corvina esitò, ammutolendosi.
Poi, pochi secondi dopo, si ricompose tornando impassibile, imperscrutabile e disse autorevole.
-April, finché starai in questa caso sono io che comando. Ho detto di no! fine discussione-
-Ma…-
-Niente “ma”, ho detto! A letto ora, scattare!-
 
April era rannicchiata sotto e coperte, il viso contratto in una smorfia imbronciata, non sopportava quando sua madre si comportava così!
Era cocciuta, antipatica, dispotica e troppo protettiva!
Sapeva che lo faceva solo perché l’amava e aveva paura per lei, ma April desiderava con tutto il cuore diventare una supereroina, i poteri li aveva, perché non usarli a fin di bene?
Lei voleva aiutare le persone, sconfiggere i criminali, farsi la sua super squadra, conoscere dei bei supereroi... era pur sempre la figlia di Beast Boy e Corvina, di due dei membri più significativi dei Teen Titans!!
C’è l’aveva nel sangue!
E invece sua madre si rifiutava di insegnarle le basi per essere un’eroina, né permetteva che fosse qualcun altro a farlo per lei: non papà, non lo zio Rob, non la zia Stella, né Big Cyb né la neo-zia Iella, che non era vista di buon occhio da sua madre, né nessun’altro dei loro amici e men che meno Malchior che pure era stato mentore di Corvina, anche se l’aveva ingannata.
E guai se proponeva di “apprendere sul campo”!!
Sua madre la guardava in un modo terrificante…demoniaco, “cosa credi che significhi essere un eroe, stupida!? Credi che io e tuo padre ci fiondiamo a testa bassa contro il primo che capita!? Non è un gioco dannazione! È pericoloso! La gente muore, gli eroi muoiono! E sai perché? Perché là fuori ci sono persone, dei malvagi, che non esiteranno a ucciderti, non gli tremerà la mano solo perché sei una ragazzina! Io ho paura, ho sempre paura che un giorno succeda qualcosa a me o a tuo padre durante una missione…e vorrei smettere…ma ho ancora più paura di cosa potrebbe succedere a te e ai Gemelli se non combatto e non sconfiggo tutti coloro che vogliono farvi del male. Quindi non ti azzardare mai più a prendere sottogamba una cosa del genere!!”
Le veniva sempre da piangere quando la sgridava in quel modo, e non si parlavano per giorni, incupendosi entrambe sempre di più.
E poi toccava sempre a suo padre, che amava tantissimo, consolarla e farla riappacificare con Corvina.
Per fortuna di entrambe, BB era un mago a far tornare il sorriso sulle labbra della moglie e della figlia, riuscendo sempre a far deporre l’ascia di guerra ad ambo le contendenti.
April rimase immobile nel buio, sotto il caldo piumone a scrutare il cielo notturno con gli occhi velati di lacrime, ripensando alla sua stella cadente.
<Prego Dio, l’Universo, la Materia, Spongebob e il Gufo Cosmico, chiunque…se è vero che le stelle cadenti realizzano i desideri fa o fate che si avveri il mio…voglio solo diventare un’eroina, come mia madre, anzi sono certa che sarei migliore…ho solo bisogno di qualcuno che mi insegni, non chiedo altro, qualcuno che mi insegni cosa vuol dire essere un eroe…>
 
 
Del Tartaro non restava che macerie contorte e fumanti.
La stazione si era schiantata nel cuore della notte nei pressi del deserto del Colorado.
A fatica una barcollante figura strisciò fuori dai resti delle pareti di ferro piegate l’una sull’altro, stritolate tra loro ghermite e schiacciate dallo schianto sul terreno.
L’unico sopravvissuto aveva impiegato due ore per uscire da quell’inferno di metallo gemente, passando a fatica tra le strette nicchie e i buchi che gli permettevano di oltrepassare una parete dopo l’altra fino all’uscita, fino alla vita, alla libertà.
Sgusciando fuori da una fessura poco più alta di una trentina di centimetri Ghostface entrò a contatto con la gelida aria del deserto notturno…gli sembrò di vivere un sogno.
Si alzò in piedi arrancando qualche passo insicuro sulle gambe malferme per poi lasciarsi cadere in ginocchio appena a pochi metri da quella che era stata la sua prigione per tredici lunghissimi anni.
Passò le mani sul suolo, accarezzando i radi ciuffi d’erba, sentendo la vita pulsare in essi.
Quasi si commosse a sentire di nuovo la vita dopo tredici anni di vuoto, di nulla, di oblio.
Urlò al cielo con tutta la sua voce, un urlo di forza, di speranza di voglia di vivere.
-Sono libero…SONO LIBERO!! Ha ha ha ha…-
Si rialzò in piedi, ritto nella sua longilinea postura, assaporando l’aria fredda che gli scompigliava i capelli candidi.
-Sono libero…dopo tanti anni, libero…e la prima cosa che farò…- si interruppe guardandosi la divisa lacera da carcerato, strappata in più punti, malconcia, logora, consumata e lorda del suo stesso sangue seccato.
–Dicevo…la prima cosa che farò sarà procurarmi dei vestiti degni di questo nome- prese un calmo respiro.
-Da qui a Jump city sarà si e no un’ora di aereo…Uorg! Domani mi farà un male boia, anzi, lo fa già adesso!- esclamò stirandosi la schiena dolorante che fino a poco fa era rimasta spezzata.
-E una volta arrivato a Jump city… farò una mega abbuffata di lasagne con contorno di succose mele verdi, le mie preferite!…e dopo…-
Prese a elencare con le dita
-Dopo faccio una capatina al bar, magari mi diverto con qualche bella ragazza, poi vado a casa, mi rilasso, mi rimetto in pari col Trono di Spade, stiro un paio di cosette e dopo questo….si va a far visita a dei vecchi amici…- ghignò maligno.
Il suo viso cadaverico illuminato dalla luna riluceva di un pallore inumano contro un cielo di milioni di stelle nella notte, come ossa che biancheggiano al sole.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3 ***


CAPITOLO 3
 
-Questa cena era buona buonissima, papà!- esclamò il piccolo Rick appena finito di spazzolare via il suo gelato dalla tazza.
In realtà con un padre vegano e la madre incapace di usare i fornelli la buona cucina non era molto conosciuta a casa Logan.
Ma i due gemelli non avevano mai mangiato altro, al contrario di April alla quale venivano sempre dei crampi allo stomaco quando assaggiava i piatti di suo padre dopo un week-end passato in compagnia dello zio Big Cyb…e dei suoi hamburger.
La serata trascorse veloce e tranquilla nella bella casetta vicino al mare.
Grazie al cielo trasmettevano la maratona di Adventure Time, così per una volta Rick, Ruby… e BB sarebbero rimasti buoni e tranquilli davanti alla tv.
Approfittando della quiete, Corvina da brava madre impicciona lasciò perdere il libro che stava leggendo, percorse il corridoio senza accendere le luci fluttuando fino alla porta della cameretta della figlia maggiore, silenziosa si accostò alla porta della camera di April, all’interno c’era solo il silenzio…e l’incessante battere delle dita su una tastiera.
-So che non dovrei farlo…- si disse tra sé e sé la maga –Ma lo faccio lo stesso-
Entrando furtivamente nella parete attraversò il muro con la testa sbucando alle spalle di sua figlia seduta davanti al pc, impegnata in un botta e risposta con Bruce.
Dalla sua angolazione Corvina poteva comodamente sbirciare le e-mail che sua figlia si scambiava col pargolo dei suoi più cari amici.
 
B «Davvero sei riuscita a prendere otto in matematica? Come troch-bal hai fatto?»
A «Ho studiato una volta tanto»
B «See te che studi… come ci sei riuscita realmente?»
A «Ok, lo ammetto. Ho imbrogliato. È stato facile, mi sono scritta tutte le varie formule e avevo pure la calcolatrice, poi ho creato un’ illusione ottica alla prof e alla classe di me che “lavoravo onestamente” e il gioco è fatto! Una classe di bambaccioni!»
B «Se tua madre lo scopre di apre dal naso all’ombelico poi si fa un mantello nuovo tessendo i tuoi intestini e solo dopo si prende la briga di ucciderti…quanto mi dai per il mio silenzio?»
A «Bruce, Bruce, Bruce…questo lo farà a te TUA madre se venisse a sapere che ti sei dimenticato di dare da mangiare a Silkie lo scorso anno e che non era scappato…»
B «X’hal! Non oseresti!»
A«Posso contare sul tuo silenzio?»
B «Come al solito.
Piuttosto come procede il tuo “progetto Midnight”?»
A « È quasi finito e io sono così eccitata! Nessuno ne sa niente a parte te e la zia Iella, che mi ha aiutato a costruire l’occorrente…soprattutto mia madre deve restarne all’oscuro, vedrai alla prima occasione il mondo conoscerà…»
 
-Presa!-
Corvina trattenne a stento un grido di sorpresa che avrebbe rivelato ad April la sua presenza.
Fulminea si ritrasse dalla camera di April tornando nel corridoio, dove BB la guardava con aria di falso rimprovero.
Poco prima il mutaforma era passato per di lì notando le pallide e invitanti gambe della moglie sporgere dalla parete, un pizzico sulla chiappa si era dimostrato inevitabile.
Adesso la guardava negli occhi, e la maga, rossa in viso per essere stata colta con le mani nel sacco era come paralizzata.
-Corvina…- iniziò lui ma subito venne interrotto.
-Lo so, lo so…devo lasciare un po’ di privacy a nostra figlia…solo che lei è così piccola e cresce così in fretta, è appena entrata nell’adolescenza e Azar solo sa come ne verrà fuori…è in quest’età che c’è più bisogno dei genitori…-
-Noo…a quest’età le ragazze vogliono fare le loro esperienze, affrontare il loro problemi, stare in compagnia delle loro amiche e alla larga dai genitori…e iniziare a frequentare qualche bel ragazzo.
Guarda noi, nessuno dei Titans ha mai avuto vicino i genitori durante l’adolescenza eppure…
Non devi stargli così addosso, amore.
Cosa credi che faccia lì dentro tutte quelle ore? Che metta le sue foto nuda su internet? Vuole solo parlare in privato coi suoi coetanei, lasciala respirare- replicò BB.
-Innanzi tutto tu sei l’ultimo che deve permettersi di parlare di foto di donne nude su internet…quando hai caricato on-line per sbaglio la mia foto erotica che doveva essere un regalo per te e te SOLO, ci sono voluti dei mesi perché Cyborg criptasse tutte quelle esistenti in rete…- lo ammonì la strega ben memore del brutto ricordo.
-E poi…io la vedo scivolare via… mi ricordo quand’era piccola tra le mie braccia, quando a cinque anni la portavo al parco…siamo sempre andate d’amore e d’accordo…ora invece discutiamo in continuazione… non voglio che il nostro rapporto si rovini…-
BB l’abbracciò teneramente.
-Su, su…ha 13 anni ormai sta iniziando a essere autonoma. Se le stai col fiato sul collo non migliori le cose.
E poi ti ho colta in flagrante questo vuol dire cinque dollari nel barattolo delle penitenze ora… e una notte focosa con me per espiare le tue colpe più tardi…- sorrise baciandola dolce e passionale.
Corvina non era mai sazia di quei baci, più ne aveva più ne desiderava, gli cinse il collo con le braccia ricambiando in pieno l’ardore di BB, circondandogli la vita con le gambe mentre lui la sosteneva con le braccia forti.
Le bocche si separano e si ricongiunsero una dozzina di volte nell’ombra del corridoio, lui la sbattè dolcemente ma con desiderio contro il muro comunicante con la stanza di April, affondando le dita nel fondoschiena sodo di Corvina, senza smettere di sondare la bocca di lei con la sua lingua, insinuandola sempre più a fondo in lei.
-Ma che schifo!- esclamò April aprendo la porta e interrompendo bruscamente i suoi genitori.
Le luci si accesero di colpo.
-Non vi azzardate a farlo davanti alla mia porta! Trovatevi una camera!- sbuffò infastidita, erano stati proprio i rumori soffusi degli amanti ad attirarla nel corridoio.
Imbarazzati ma divertiti i due si scambiarono un ultimo bacio veloce prima che BB rimettesse a terra Corvina.
-Ok, scusa…è tardi meglio che andiamo a mettere a nanna i tuoi fratelli…- bofonchiò BB passandosi una mano tra i capelli.
-Giusto. E appunto perché è tardi ti concedo un’altra mezz’ora in piedi poi fili a letto anche tu- aggiunse Corvina lisciandosi i suoi di capelli corti, viola e scompigliati.
-E voi quando ci filate a letto?? – replicò la ragazzina maliziosa.
-Sapete, non si sa mai che salti fuori l’uomo nero da sotto il letto e dovessi venire a dormire nel lettone con voi… - aggiunse sghignazzando.
-Va bene, hai vinto- rispose BB –Ancora un’ora e mezza da sveglia e tu resti comoda comoda sotto le lenzuola TUTTA la notte, ci stai?- sorrise allungando un biglietto da dieci dollari alla figlia che lo prese passandoselo sotto il naso.
-Io e tua madre abbiamo certi argomenti di cui trattare…-
-Tutto sommato è da quando avevo quattro anni che non ho più notizie dell’uomo nero…si sarà trasferito.
È un piacere fare affari con te.
Goditi la tua fidanzata…- disse beffarda prima di rientrare nella sua stanza lasciando i due soli in corridoio.
-Allora…prima portiamo a letto Rick e Ruby e poi pensiamo a noi?-  riprese il mutaforma accarezzando le spalle della moglie.
-Ma guarda te che sbruffoncella ho cresciuto…- sorrise tra sé e sé Corvina persa tra i suoi pensieri.
-Comunque, sì BB. Stanotte devo farmi perdonare una birbonata…-
I due si avviarono verso il soggiorno dove mamma Tv stava diseducando i Gemelli con quel cartone demenziale.
-Lo sapevi che TUA figlia ha imbrogliato nel compito di matematica?- disse Corvina al marito.
-MIA figlia?! Lascia che ti spieghi una cosa…- ribattè quello scherzoso.
 
-Oh! No…ti prego…aspetta…Robin, non è il caso…- mormorò Stella Rubia tra i gemiti di piacere.
-Invece è perfetto…da quanto tempo volevo rifarlo sul letto dove abbiamo fatto l’amore per la prima volta…- rispose quello ansimando animalesco, baciandole con passione il collo inarcato all’indietro.
-Ma…m-ma potrebbero sentirci…- fece Stella ormai incapace di sottrarsi al tanto desiderato amplesso erotico.
-Cyborg è Iella sono fuori città…- la rassicurò il ragazzo risalendole le lunghe gambe color pesca fino ai glutei prosperi.
-Bruce è appena due camere più in là…- continuò l’aliena incerta lasciandosi toccare nell’intimità dalle labbra del suo amante.
-I videogiochi lo terranno occupato tutta la notte…io ti desidero Stella, ti amo come il primo giorno…- le accarezzò con ardore i seni, la cui pelle era tutta un fremito d’eccitazione.
-Awww…sììì-
Nudi, l’uno sull’altra intenti a consumare il loro amore focoso e prepotente Robin e Stella Rubia non si accorsero di un’ombra che solcò la loro finestra.
Per pochi attimi soltanto una figura nera munita di ampie ali era guizzata fulminea davanti alla vetrata della camera che dava sul lido illuminato della città.
Poco dopo, sul tetto della Torre un vecchio longilineo dalla pelle cadaverica e dal volto scavato, i cui occhi erano coperti da due lenti scure come la sua anima si stava liberando dal deltaplano con cui era atterrato sul terrazzo.
Ammantato di un vestito scuro, con tanto di soprabito svolazzante anch’esso nero, coi guanti su entrambe le mani e i lunghi capelli raccolti in una coda dietro la nuca, Ghostface scrutò rapidamente il tetto da dietro le immancabili lenti affumicate.
Non scattò nessun’allarme.
Lo sapeva.
Aveva monitorato per settimane la T-Tower e la casa di Corvina, studiando le abitudini dei loro inquilini, apprendendo i cambiamenti e l’atteggiamento dei “nuovi arrivati”.
E aveva notato che per connettere la playstation a Scimmie Battagliere 7 era necessario disconnettere tutti i sistemi di sicurezza.
E l’occasione di approfittare di ciò gli si era presentata quando Bruce aveva scelto proprio quel gioco per passare la serata, una serata in cui Robin e Stella erano troppo “impegnati” per accorgersi di qualcosa.
Portava due pistole, identiche alle sue vecchie, ma senza caricatori, così come aveva con sé la perfetta riproduzione delle sue spade, ma erano solo dei falsi.
E uno come Ghostface non poteva accontentarsi di imitazioni…lui andava solo sull’originale.
Era venuto alla Torre per una precisa ragione, rimpossessarsi dei suoi “vecchi amici” ma senza allertare i Titans di un suo eventuale ritorno.
Tutto doveva restare nel silenzio.
Si sarebbe fatto sentire, oh certo che l’avrebbe fatto. Ma al momento opportuno, quando sarebbe stato pronto, a farsi scoprire ora non ci guadagnava nulla.
Calandosi dalla parte opposta della camera dove Stella e Robin consumavano il loro desiderio, Ghostface incise un cerchio del diametro poco più largo di una trentina di centimetri nella vetrata con un taglia-vetro.
Senza fare il minimo rumore trasse sul tetto il pezzo di vetro tagliato e scivolò all’interno fluido e snodato passando per la piccola apertura dando prova di grandi doti ginniche e contorsioniste nonostante l’età.
Si trovava nella vecchia stanza di Terra.
Chi fosse questa ragazza lui non lo sapeva…ma aveva avuto modo d’informarsi.
Ricordava bene dove fosse situata la sala dei trofei dalla sua ultima irruzione alla Torre, quattordici anni prima.
Pregò perché non avessero rimodernato l’ambiente durante la sua assenza.
Tuttavia per accedere alla sala dei trofei aveva bisogno di una mano.
Letteralmente…
 
Bruce non seppe neppure cosa l’aveva colpito.
Troppo preso dal rumoroso gioco aveva lasciato che Ghostface gli strisciasse felino, indisturbato alle spalle, immobile dietro di lui.
Da quella posizione il vecchio aveva messo fuorigioco il giovane mezzosangue tamaraniano con sole due dita.
Facendo pressione sulla giugulare, bloccando il flusso di sangue al cervello ne aveva provocato l’istantaneo intorpidimento, in pochi attimi Bruce era stramazzato al suolo privo di sensi.
Era stato un lavoro pulito, rapido e silenzioso.
Non gli sarebbe rimasto nemmeno il segno, nessuno avrebbe sospettato di nulla.
Ma non era finita qui, Ghostface estrasse una siringa dal lungo ago contenete un misterioso liquido verde acqua.
<Questo mi tornerà utile in caso di emergenza…> pensò iniettandolo nelle vene del ragazzo.
Poi, lo trascinò di peso fino alla stanza dei trofei, era proprio la mano di Bruce quella di cui aveva bisogno.
Una mano riconosciuta dalla serratura tattile della camera blindata.
Appoggiò la mano del ragazzo sulla schermata della serratura, le lettura delle impronte digitali fu immediata…la porta automatica si aprì.
Lasciando il giovane incosciente a terra, Ghostface avanzò furtivo nell’ombra.
Innanzi a lui si trovò una distesa di cimeli conquistati nelle imprese più disparate.
Un telecomando ultra tecnologico di qualche sfigato di serie c.
Pezzi dell’armatura di Adone.
Il comunicatore dell’Hive Five.
Lo zainetto trasformabile di Gizmo.
Le chiavi della macchina di Ding Dong Daddy
Il cappello di Mumbo Jumbo.
Il DNA di Plasmus.
L’hardisk di Megawatt.
Il bastone magico di Mad Mod
I pezzi di ricambio di Fratello Blood.
Una maschera….
Tanti cimeli, tanti trofei…doveva solo trovare i suoi.
E gli fu facile.
Tenute in bella vista, appese al muro dentro una teca, stavano le sue lunghe spade sottili, incrociate tra loro.
Il manico di una ancora annerito dall’incendio che aveva decretato il suo arresto.
Quanto gli erano mancate in quegli anni di prigionia…
Le sue pistole coronavano il quadro artistico al di sopra delle lame.
E al centro…al centro stava la sua maschera.
Il mezzo teschio bianco rudemente inciso sulla maschera di metallo, con dipinto sopra un folle sorriso maligno e raccapricciante, con l’occhio deforme che fissava malevolo il vuoto e i denti di ferro che sporgevano verso il basso.
Non l’aveva mai utilizzata molto, i suoi occhi erano la sua vera maschera, imperscrutabili…tuttavia stavolta gli sarebbe tornata molto utile per i suoi progetti futuri.
Si mosse rapido, agile come l’aria, impercettibile come il pensiero, in meno di cinque minuti tutto era sostituito alla perfezione.
Senza emettere un fiato Ghostface tornò sui suoi passi.
Camuffò abilmente lo svenimento di Bruce simulando un attacco di sonno, col corpo stravaccato sul divano con ancora il joystick in mano.
Si accertò di aver cancellato ogni traccia del suo passaggio e uscì.
Fu fuori in men che non si dica.
Sigillando con cura scultorea l’apertura nella vetrata riattaccando il vetro tagliato col mastice trasparente; era quasi impossibile notare il segno del taglia-vetro senza sapere dove guardare.
-Miei vecchi amici…di nuovo insieme finalmente….- ghignò appena al di sopra della T-Tower saggiando tra le mani l’impugnatura delle katane, bilanciandone il peso, muovendole fulmine, guizzanti come serpi nell’aria, seguendo il movimento del vento.
Ma non c’era tempo per il sentimentalismo.
Avrebbe avuto modo di riavvicinarsi alle sue armi più avanti.
Rinfoderò le spade, assicurò i pistoloni al cinturone e si calò la maschera sul viso.
Ghostface era tornato.
Aveva ancora due commissioni da fare, altre siringhe da iniettare, persone da vedere…e un vecchio amico da incontrare…
Si issò il deltaplano nero sulle spalle prese la rincorsa e saltò volando nel cielo notturno, un cielo buio senza luna.
Un mezzo perfetto il deltaplano.
Silenzioso e discreto.
Non necessitava di radar, di motori rumorosi o complessi congegni d’occultamento.
Solo un corpo ammantato di nero, con ali nere su un cielo nero.
Nero su nero.
Mimetismo perfetto.
Mentre il vento scompigliava i lunghi capelli d’argento raccolti in una coda, Ghostface teneva i freddi occhi di ghiaccio, perennemente celati dalle lenti, puntati sul suo obbiettivo, proprio dove le correnti aeree lo stavano portano.
Il tetto di casa Logan.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4 ***


Scusate tanto per l’immane ritardo…ma ho un sacco di impegni.
Per farmi perdonare ecco a voi un lungo capitolone misterioso…godetevelo!

Ghostface.


CAPITOLO 4

-Viene la notte, la notte nera
Con ali di corvo vola leggera…
Viene la notte, la notte scura
E viene l’uomo che fa paura!...
…viene, viene con passi furtivi,
per i bambini che ha fatto i cattivi
Quant’è terribile non si può dire,
viene dal buio e non lascia dormire!
Oh che notte! Che notte scura,
quella dell’uomo che fa paura!-

-Ancora!-
Corvina sbuffò spazientita –Adesso basta, Rick. È la quinta volta che te la canto, è ora di andare a dormire- 
-No ancora una volta, mamma. Ti prego…- piagnucolò il bambino color verde pisello da sotto le lenzuola.
-Possibile che ti piaccia tanto questa vecchia filastrocca?- replicò la maga.
Rick fece tremolare il labbro con gli occhioni luccicanti pronti a scoppiare in un pianto disperato.
-Uff…e va bene, ma stavolta è l’ultima per davvero- sorrise benevola la madre, ricominciando a canticchiare accarezzandogli la testa.

-Viene la notte, la notte nera
Con ali di corvo vola leggera…
Viene la notte, la notte scura…-

-E viene l’uomo che fa paura….- completò una voce esterna alla casa. 
Nascosto tra i cespugli del giardino Ghostface spiava la famigliola che si preparava per la notte.
Restava immobile, protetto da un mantello di foglie e dall’oscurità della notte…ma non tutta la natura era a suo favore…pioveva a dirotto, una fitta pioggia battente, gelida e pungente come aghi che arrivavano fino alle ossa e gli infradiciavano i capelli nivei…ma aveva passato di peggio.
Il fastidio di quel temporale di mezza stagione non era nemmeno paragonabile al freddo di Auschwitz .
Non poteva sentire cosa stessero dicendo all’interno dalle bella villetta, calda e accogliente, ma nei suoi anni di esperienza Ghostface aveva anche imparato a leggere le labbra…e conosceva bene quei tetri versi cantati dalla mezzo-demone.
Lui stesso glieli aveva narrati, tredici anni orsono, durante il loro ultimo scontro…dunque era questo che era diventato per i Titans?
Null’altro che un vago ricordo, dopo tutto quello che gi aveva fatto era stato ridotto a una favola per spaventare i bambini cattivi…. lui, il Ghostface, non era altro che un’ombra.
Ma le cose sarebbero cambiate, molto presto tutti si sarebbero ricordati chi è Ghostface.

Finalmente Corvina era riuscita a mettere a letto le sue piccole pest…i suoi gemelli; e non vedeva l’ora di andare a riposare, infilandosi sotto le coperte e farsi una buona dormita per tutto il resto della nottata.
Ma si era appena accoccolata tra le lenzuola che sentì un pianto di terrore provenire dalla camera di Rick e Ruby.
-I ragazzi!- strillò la maga balzando in piedi, subito seguita da BB, che dormiva al suo fianco, i due si precipitarono correndo come dei pazzi fino all’uscio della camera dei gemelli, lo trovarono aperto, i bambini erano suoi loro letti che piangevano disperati , al punto da faticare a respirare.
April era lì che cercava invano di calmare i fratellini ma quelli erano inconsolabili.
Strillavano a squarciagola all’unisono mentre grandi lucciconi colavano dai loro occhi dalle splendide iridi viola, contornata da pagliuzze verdi che ne sfumavano l’inimitabile colorazione…verde e viola sposati assieme, ogni volta che li guardava il mutaforma non poteva credere che tutto quello che gli era successo fosse vero, che proprio lui si fosse sposato con la donna più fantastica del mondo…eppure quei bizzarri ma stupendi occhioni ne erano la prova vivente.
L’ennesimo urlo seguito da singhiozzi soffocanti riportò l’ormai uomo bestia alla realtà.
Corvina si avvicinò a Ruby prendendola sulle ginocchia, e lei le si avvinghiò al petto nascondendo il viso tra le sue spalle, afferrando la stoffa blu notte del lungo pigiama della madre con le manine per non lasciarla più.
BB invece, si accostò al piccolo Rick che ora piangeva in silenzio davanti al padre che lo guardava amorevolmente –Hey campione…che cos’hai? Sta tranquillo, adesso c’è il tuo papà qui- lo rassicurò scompigliandogli i capelli; Rick si passò una mano sugli occhi per asciugarli, cercando di dimostrarsi più grande di quanto non fosse, ma restò in silenzio.
-Cos’è successo? Cosa può averli spaventati?- chiese Corvina rivolta ad April che era lì prima di loro.
-A parte i boxer di papà non ne ho idea- rispose quella facendo allusione alle ridicole mutande indossate dal mutaforma, che per giunta era corso lì mezzo nudo, con solo quel paio di bermuda violette con disegnate sopra scimmie, palme e banane verdi
-Sempre meglio della tua maglietta- la rimbeccò quello che invece adorava quelle mutande.
Al contrario di quanto affermato dal padre la maglietta di April non aveva nulla di anormale, era solo una canottiera nera, forse u po’ troppo usata.
Ma probabilmente si riferiva alle frequenti macchie che la ricoprivano data l’abitudine di April di mangiare a letto.
Corvina prese a coccolare la sua bambina.
-Cosa c’è Ruby? Cos’è successo? Me lo vuoi dire?-
La piccola sollevò la testa guardando il rassicurante volto della madre, restò un attimo in silenzio e poi scoppiò nuovamente in lacrime all’improvviso.
-L-L’uomo che fa paura….- balbettò tra le lacrime –L’ho visto mamma! L’uomo che fa paura! era nel buio…anche Ricky l’ha visto… uscito fuori dal buio è venuto a prenderci!!-
Corvina tornò a coccolare la figlioletta cercando di calmarla –Su, su…era solo un brutto sogno, non esiste l’uomo che fa paura è solo una vecchia favola-
-M-ma io l’ho visto…si è nascosto nell’armadio…- insistette Ruby indicando la porta socchiusa del mobile.
Tutti si volsero a guardarla.
Non seppe il perché, ma quando i suoi occhi si posarono sull’anta semiaperta dell’armadio Corvina sentì un brivido scenderle lungo la schiena.
-Ok, ok…adesso ci pensa papà…vediamo com’è questo “uomo che fa paura”- disse BB assonnato alzandosi in piedi e dirigendosi a grandi falcate col petto in fuori verso l’armadio, giusto per far vedere ai suoi bambini che il loro padre era forte come un toro.
Appoggiò la mano sul pomello.
Adagio, molto lentamente aprì la porta.
Non accadde nulla.
Ma quando sempre con cautela e circospezione provò a sporgere scioccamente la testa dentro l’armadio buio, ricolmo di giacche e soprabiti una manica nera scattò in avanti afferrandolo alla gola.
-AAAAHHHH- strillarono tutti all’unisono.

Cos’era successo?

….pochi minuti fa….
Non c’era nulla di più facile di scassinare una porta a scatto del pian terreno.
Facendo passare un artiglio fino alla serratura con un giro improvviso la fece scattare aprendola.
Scavalcando il bordo Ghostface scivolò silenzioso all’interno dell’abitazione.
Si ritrovò immerso nel buio, nella cameretta dei Gemelli, entrambi assopiti.
Due aghi guizzarono tra le mani di Ghostface, siringhe colme dello stesso misterioso liquido iniettato poco prima a Bruce.
Infilzando da sotto le coperte il fondoschiena di Rick glielo inoculò tutto nelle vene.
Non fu così fortunato con Ruby.
Aveva appena ritratto l’ago dal suo corpo che la bimba spalancò gli occhi trovandosi faccia a faccia col Ghostface.
Ruby era sbiancata.
-C-Chi sei tu?- balbettò terrorizzata.
-Ma come? Non ti ricordi di me dopo che ci siamo visti così tante volte?- sorrise malvagio l’uomo.
Lei scosse la testa sempre più inquieta.
-Sono io…l’Uomo Nero- ghignò- E ora…io e te andremo in un bel posto, insieme…-
Come la mano pallida si avvicinò a lei, Ruby scoppiò a urlare, svegliando il fratellino che appena focalizzò la nera figura di Ghostface la imitò spaventatissimo…

-AAAAAAA ha ha ha ha ha ha- rise BB dopo aver inscenato un attacco con lo spolverino della moglie e  aver fatto prendere un colpo a tutti nella stanza.
-Tu! Razza di…- Corvina trattenne le parole poco adatte ai bambini presenti nella sala.
-AH AH AH dovevate vedere le vostre facce! Eravate terrorizzati!!- scherzò ancora BB piegato in due dalle risate-Aiuto, aiuto c’è l’Uomo Nero…ohhh- li canzonò ulteriormente, prima di venire zittito da un provvidenziale lancio di cuscini da parte della moglie.
-Adesso ci pensa il “simpatico” paparino a rimettere a letto i due discoli, chiaro? Sarà una fortuna se  riuscirai a fargli chiudere occhio....o a non passar la notte sul divano- commentò.
-Se tu non gli raccontassi certe filastrocche…- BB non potè finire la frase che la maga era già uscita dalla stanza.
Riappacificata la situazione finalmente Corvina potè tornare a letto, stanca morta.
Quando BB la raggiunse, era intanto passata un’ora e mezza, però subito sentì una calda mano accarezzarle la schiena, e sbottonarle delicatamente il pigiama scuro.
-BB…no. oggi non ho voglia, sono stanca…- piagnucolò la maga davanti all’insistente comportamento del marito.
-Dai… me lo avevi promesso. E devi pagare la penitenza per aver sbirciato in camera di April…- le sussurrò lui baciandole dolcemente il collo.
-Guardami, non mi reggo in piedi…- si lamentò Corvina rigirandosi nelle lenzuola fresche.
-Sei Bellissima. Andiamo, non devi partecipare per forza, basta che ti spogli e resti passiva....penserò io a tutto.
La maga volse lo sguardo incrociando quello del suo amato, le labbra di entrambi si unirono in un dolce e passionale bacio con un tale desiderio che in tredici anni di matrimonio non aveva mai lasciato insoddisfatto nessuno dei due.
-Va bene…in fondo te lo devo- sorrise Corvina, sfilandosi la camicia da notte, restando coi lunghi pantaloni di tuta blu e il reggiseno a coppetta nero.
-Grazie- fece quello abbassandole delicatamente i pantaloni, lasciandola col sottile slip color pece.
Corvina si girò su se stessa, con la faccia sul cuscino mentre BB le slacciava il reggiseno, massaggiandole dolcemente le spalle.
Poco dopo fu la volta del perizoma e la maga rimase nuda, solo con la sua pelle perlacea che risultava sul copriletto scuro.
-Avanti, prendimi….- sorrise lei
BB non se lo fece ripetere due volte.
-Prometto che sarò veloce, così potrai riposare, amore mio…- disse BB prima di iniziare a far l’amore con lei.
-D’accordo…però non troppo veloce- sorrise Corvina cingendolo con le sue braccia, traendolo a sè…in sè 

<Idioti> pensò Ghostface sgusciando fuori da sotto il letto di Rick, non appena le acque si furono placate.
<In fondo Corvina lo sa che sono italiano. Nel folklore italiano il Bau Bau si nasconde sempre sotto il letto…> si ripulì dalla polvere, aggirandosi silenzioso lungo i corridoi.
Aveva un compito speciale, un’idea molto astuta doveva riconoscerlo…ma stavolta non era una sua idea.
Aveva un regalino da lasciare alla maga, dopodiché sarebbe dovuto fuggire via, senza farsi notare.
Ma qualcosa lo ostacolò
Una foto.
Una piccola foto incorniciata su una mensola del salotto.
Corvina, BB e April che sorridevano assieme.
Una bella famigliola felice.
Jonathan prese tra le mani l’oggetto, osservandolo rapito.
Tolse al foto e la squadrò con un ghignò.
Sarebbe stato da maleducati non fare nemmeno una dedica dietro una così bella foto.
E lo fece, una breve dedica scritta col suo stesso sangue, tagliandosi il polpastrello Ghostface lasciò un segno indelebile del suo passaggio.
< Questo lo dedico a te…> pensò prima di risistemare tutto come prima.
Ma non aveva tempo da perdere, per quando gli sarebbe piaciuto conoscere più da vicino quella ragazzina davvero molto carina che sorrideva nella foto.
Ma sarebbe tornato.
Sì sarebbe tornato e avrebbe completato quanto la sua mente gli aveva suggerito alla vista della giovane April.
Piazzò il “regalo” e si affretto a uscire nel silenzio più totale alla stanza.
Era necessario non farsi scoprire perché il piano andasse a buon fine, e c’era mancato poco che quei due mocciosetti non lo mandassero a monte.
Scelse di uscire dalla meno sorvegliata uscita sul retro…ma nell’arrivarci incappò nella socchiusa porta della camera di April, la quale dormiva serena e ignara, mezza scoperta dalle lenzuola, coi lunghi capelli sparsi su tutto il viso e con indosso la solita canotta scura e dei pantaloncini molto corti…come poter resistere dopo tanto tempo?


Era notte fonda quando Corvina si svegliò, scivolò via dal letto in silenzio senza svegliare BB che dormiva accanto a lei, coperto dal lenzuolo scuro.
Rimase un po’ a guardare la pioggia autunnale fuori dalla vetrata, poi si guardò allo specchio, era completamente nuda.
BB l’aveva presa più volte quella sera, le era sembrato molto possessivo…era sempre desideroso come la prima volta.
Era più alta, le curve si erano accentuate forse aveva un’aria un po’ stanca ma conservava un fisico invidiabile.
Si massaggiò lentamente il ventre: BB le era venuto dentro di nuovo, in parte sperava in un altro figlio, in parte pensava che tre fossero abbastanza.
Sarebbe stato il caso a decidere.
Smise di pensarci concentrandosi sull’immagine riflessa.
Si rimirò in un paio di pose sensuali e disse a se stessa -Però, Corvina, due gravidanze e ti tratti ancora bene- sorrise soddisfatta di quello che vedeva nello specchio.
Gambe lunghe e snelle, seni poco più grandi della norma ma non cadenti, la pelle liscia e perlacea depilata e un bel culo sodo, che suo marito adorava.
Il fisico snello e atletico della maga era uscito quasi indenne dal primo parto, e se l’era cavata anche coi gemelli.
Il pensiero di Corvina divagò pensando ai suoi amati figli… la sua primogenita, identica a lei ma non aveva ereditato nulla dal padre …particolari erano gli occhi, occhi bellissimi grandi , luminosi e neri come la notte e penetranti, incredibilmente profondi, sembrava scavarti l’anima quando ti fissava.
I gemelli invece le rendevano la vita sempre più allegra e movimentata.
Quanto li amava tutti e tre…erano figli suoi e li avrebbe protetti…anche se ciò significava nascondere una terribile verità…
Tornò a rimirarsi allo specchio poggiando le braccia sui fianchi –sissignora, quest’anno riuscirò ad indossare lo stesso bikini dell’anno passato- sorrise il suo corpo marmoreo, simile ad una affascinate scultura.
Ci fu un lampo, il fulmine guizzò nel cielo e fu riflesso nello specchio abbagliando Corvina, e poco dopo, non appena le maga risollevò lo sguardo nello specchio c’era Ghostface!
-AAAA!!!- Corvina strillò spaventata, subito un’onda di energia nera si abbattè sullo specchio, mandandolo in frantumi.
Ne seguì una seconda e una terza e una quarta…
Finché le onde di magia nera non sfondarono parte della parete.
Il frastuono aveva svegliato tutti, sia i gemelli che April vedevano dall’uscio della camera dei loro genitori, dove erano accorsi, la loro madre accanirsi nuda contro la parete.
BB dovette saltarle addosso e immobilizzarla con la coperta per riuscire a parlarle.
Corvina cadde a terra stremata dalla paura e BB fece appena in tempo a prenderla prima che battesse la testa sul pavimento.
Corvina era sconvolta, non pareva nemmeno se stessa.
Aveva gli occhi sbarrati, il respiro inciampava nei denti, era scossa da fremiti di paura… poi finalmente la sua pupilla si poggiò sul viso del mutaforma che dolcemente la sorreggeva inginocchiato a terra.
Pianse.
Corvina pianse incurante che i suoi figli la guardavano spaventati…pianse di paura.
-Corvina, Corvina amore mio…- le sussurrò BB accarezzandole i corti capelli viola –Corvina, che succede? Dimmelo ti supplico, amore mio, parlami…- la implorò BB preoccupato come non mai.
Corvina lo fissò in silenzio cercando di formulare una frase, senza però riuscirci.
Dal volto sgomento, solcato da interminabili lacrime potè tuttavia uscire una parola distinta…
-G-Ghostface…-
Calò il silenzio.
-Ghostface?! No, non è possibile. Lui non può essere qui, lo sia Corvina. Non tornerà mai- disse BB che si rifiutava di crederle, tentando di rassicurarla…ma lui stesso si sentiva vacillare all’udire quel nome.
Doveva aver avuto un incubo anche lei…non poteva essere diversamente.
DOVEVA trattarsi di un sogno!
-Chi è questo Ghostface?- chiese April andando a fianco del padre, che continuava a stringere a sé la moglie in lacrime, coperta dal caldo panno blu.
-Un pazzo…un volta un uomo, ma più che altro un mostro- le rispose il padre –Un pazzo che ha tormentato tua madre molto tempo fa…-
April sbiancò.
-April, cos’hai?- le domandò BB notando la sua reazione.
-Io…io…- deglutì la ragazza –Io…non so chi sia questo Ghosface…ma oggi…h-ho trovato questa sul mio cuscino…- disse porgendo la foto di loro tre al padre.
BB la prese tra le mani osservandola.
-Che significa?-
-Girala- gli disse la figlia.
Non appena il mutaforma ruotò la foto fu lui a restare senza parole per lo sgomento…
Riuscì solo a dire –Qualcuno è stato qui stanotte…-
C’era una frase scritta col sangue ancora fresco che autografava la foto.
Una breve dedica per Corvina, BB la lesse ma non riuscì a capacitarsi di averlo effettivamente fatto.
Non dopo quello che aveva letto…

“Brucerai per quello che hai fatto”

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5 ***


CAPITOLO 5
 
-E poi?-
-E poi niente- rispose Corvina sorseggiando la sua tisana davanti all’amica dai capelli rossi.
-Ho avuto questa visione e April ha trovato quell’inquietante scritta-
Stella Rubia deglutì per il terribile sospetto che le era nato spontaneo nella mente –N-Non pensi che…che lui possa essere scappato vero?-
La maga continuò imperturbata a fissare il muro innanzi a sé mantenendo una calma statuaria –Chi? Ghostface? No, non penso sia possibile evadere dal Tartaro.
Non è la prima volta che mi capitano certe visioni.
E poi questo non sembra il suo modus operandi, è simile certo, ma Ghostface è orgoglioso, rivendicherebbe sicuramente il suo ritorno facendo qualcosa di terribile e grandioso per farsi notare.
Se fosse entrato in casa mia non se ne sarebbe certo andato lasciando tutto intatto, senza torcere nemmeno un capello ai miei cari, e soprattutto senza tentare di recuperare le sue armi alla Torre.
Cyborg mi ha assicurato che sono ancora lì.
Temo proprio che ci troviamo davanti a un emulatore.
Qualche pazzoide della malavita che cercherà di imitare Ghostface come fosse il suo eroe; purtroppo quel vecchio pazzo ha lasciato una profonda ferita nel cuore della squadra…e questo non è passato inosservato agli occhi criminali.
È diventato una specie di idolo, di superstar del male, colui che stava per spazzarci via…ma ha fallito e come lui fallirà questo suo fan, dopotutto abbiamo battuto l’originale, una copia non sarà certo meglio- queste parole per quanto dure e torve sembrarono rassicurare la bella tamaraniana al pensiero di non dover più rincontrare suo nonno.
-Tuttavia…- riprese la ragazza dalla pelle perlacea- Non possiamo escludere nessun ipotesi, nemmeno la più improbabile. È impossibile contattare il Tartaro in tempo reale, il modo più veloce è andare direttamente lì.
Abbiamo già un amico che ci farà questa “commissione”- concluse appoggiando sul tavolo la tazza vuota.
-Chi?- chiese insistente l’aliena, finalmente  Corvina si degnò di rivolgerle lo sguardo fissandola in quei luminosi smeraldi –Acqualad ha sempre voluto esplorare l’Oceano Superiore. Ma non tornerà prima di due settimane minimo-
Stella stava per controbattere quando Robin irruppe nella Ops Mains Room
-Problemi!-
 
Poco dopo la squadra al completo si trovava nella periferia di Jump City.
Robin, Stella, Cyborg, BB, Corvina, Iella e Bruce.
Davanti a loro si estendeva uno spettacolo tanto impensato quanto sbalorditivo.
Mad Mod, niente meno che l’ormai centenario vecchietto in persona alla testa di un vero e proprio esercito di droidi.
Nonostante l’età avanzata e le molte sconfitte il decrepito inglese non aveva mai cessato la sua lotta contro i Titans e contro l’America.
Molte cose erano cambiate, quei robusti pupazzoni usati agli inizi della sua carriera erano stati sostituiti da più piccoli ed efficienti automi.
Robot di due metri, armati non di vecchie baionette da ben più efficaci armi al plasma, muniti di corazza al titanio, visione notturna, uno scudo elettrico su tutto il corpo e forse l’abilità più terribile di tutte, un calcolo della probabilità preciso al 90%.
Potevano praticamente prevedere le mosse dei loro avversari prima che le attuassero.
Tutti questi progressi erano stati possibili soprattutto grazie al fatto che Mad Mod era riuscito ad impossessarsi della tecnologia di Cyborg, recuperando la memoria di Fratello Blood.
Costui infatti era morto da tempo, rimasto ucciso nel crollo della T-Tower dei Titans Est dopo che lui stesso l’aveva fatta abbattere con una bomba all’interno.
Arcigno matusa aveva quindi riesumato il corpo del collega e sottratto l’hardisk presente nella memoria cybermetica del mezzo robot, dove erano conservati tutti i dati necessari per mettere in piedi una vera e propria armata di 2.000 droni assassini…un po’ troppi per solo sette eroi.
O quasi….
-Titans GO!-
All’urlo di battaglia i sette si slanciarono all’attacco, ma non un attacco casuale mirato a una folle battaglia autodistruttiva, ero organizzati, con un piano ben infisso nella mente.
Convergere da punti diversi al centro dello schieramento, proprio dove stava Mad Mod, acciuffarlo e aspettare l’ultimo secondo prima che i droidi sparassero, allora Corvina li avrebbe teletrasportati via, e i robot si sarebbero massacrati tra loro generando un’esplosine tale da distruggere anche i rimanenti.
Un buon piano tutto sommato…ma troppo scontato perché le affinate intelligenze artificiali non riuscissero a prevederlo.
Come volevasi dimostrare, non appena i Titans si separarono per raggiungere le loro postazioni per assaltare Mad Mod si trovarono circondati da robot-killer delle effigi britanniche, separati l’uno dall’altro da miriadi di soldati bionici.
Gli astuti robot infatti si erano organizzati a loro volta, dividendosi in gruppi più piccoli e accerchiando ogni singolo eroe prima di quanto era stato immaginato dal leader della squadra.
Infuriò un cieco combattimento senza quartiere, i Titans si difendevano come meglio potevano ma la superiorità numerica degli avversari era troppa.
Già sopraffare uno di quei demoni meccanici non era semplice ma un esercito…la situazione era chiara: la disfatta era imminente.
-Fate largo! È il momento di Midnight!- trillò una voce giovanile.
Una ragazzina era comparsa dal nulla in mezzo al cielo, piombando con una capriola sopra il carro regale guidato dal vecchio.
Portava un costume a pezzo unico che la copriva dal collo all’inguine, lasciando le cosce nude, completamente bianco ma con strisce argentee lungo i fianchi.
Calzava lunghi stivali alti fino a metà coscia, sempre candidi così come i guanti bordati che le arrivavano al gomito.
Il viso nascosto da una mascherina simile a quella del giovane Robin, anzi probabilmente si trattava proprio di quella, abilmente sottratta al proprietario e sostituita con un’illusione ottica.
Le spalle coperte da un ampio mantello bianco, sul quale cadevano i capelli lunghi e viola della ragazza, il viso seminascosto dal cappuccio niveo nascondeva un sorrisetto arrogante.
La vita era cinta da una cintura multiuso tinta d’argento (altro cimelio rubato al vecchio costume del ragazzo meraviglia, che tanto stava a prender polvere nella Sala dei Ricordi).
Sul giovane petto svettava un cerchio rilucente d’argento puro simboleggiante la luna piena.
-APRIL!!!- strillò a squarciagola Corvina vedendo la figlia proprio nel mezzo della mischia, laddove i droidi erano più fitti per far da scudo al loro padrone.
La giovane arrivò addosso al vecchio in un lampo sottraendogli il bastone orlato di rubino con un semplice calcio.
Impresa non proprio eroica, dato che era arrivata volando sopra il carro di Mad Mod passando inosservata alle guardie, e alla madre, grazie alle sue capacità illusorie, si era poi lasciata cadere sul carro, disarmando facilmente la giovane ragazza addetta ad occuparsi del vecchio, la poverina infatti se l’era data a gambe come l’aveva vista arrivare, infine aveva spedito il vecchio giù dal carro con un sol calcio prendendogli di mano il bastone.
Cosa ancor meno eroica delle precedenti visto che Mad Mod era bloccato da diversi anni su una sedia a rotelle, ma era la prima impresa per April e non si fece tanti scrupoli.
In una cosa Mad Mod non era cambiato…non aveva mai imparato a non racchiudere il comando di tutti i suoi droidi in un unico oggetto, il famigerato e inseparabile bastone che portava sempre con sé.
Midnight lo sollevò per aria trionfante per poi afferrarlo con entrambe le mani per spezzarlo sul ginocchio…ottenendo solo un gran dolore alla rotula.
L’oggetto era troppo spesso per spezzarsi sulle sue gambette, ma riuscì ugualmente a frantumarlo quando, assediata dai robot aizzati contro di lei dal vecchio, usò il bastone come mazza, rompendone la punta proprio contro il cranio di titanio rinforzato di uno di questi.
Non appena il centro di comando principale venne distrutto tutti i droni all’unisono si spensero, piombando a terra come migliaia di corpi privi di vita.
-Vai così! Chi è la più grande eroina di tutti i tempi!?- gridò vittoriosa April balzando giù dalla carrozza reale in preda all’euforia e all’eccitazione.
BB sorridente gli si fece in contro abbracciandola –April!- esclamò –Sei stata fortissima!!- la prese sotto le ascelle sollevandola per aria, facendola ruotare, come non faceva da quando era bambina.
Subito la giovane streghetta si ritrovò circondata di facce sorridenti, sommersa di complimenti e con la schiena piena di lividi a forza delle pacche sulle spalle.
-Hai sconfitto un esercito tutta da sola!- sorrise lo zio Cyborg scompigliandole i capelli.
-Sei stata molto coraggiosa- aggiunse Stella Rubia –Se non fosse stato per il tuo aiuto improvviso ce la saremmo vista brutta-
Bruce abbracciò strette le spalle dell’amica –Allora April- le sussurrò all’orecchio –Che ne pensi del progetto Midnight?-
-Un successone!- rispose quella prima di essere tirata di nuovo al centro della cerchia di eroi, che sembravano una torma di bambini davanti a un cucciolo per  come la guardavano ammirati.
Tutti eccetto una.
-Accidenti- sbuffò Iella china davanti alla primogenita di BB, osservava tra le dita il dischetto d’argento sul petto della ragazza, la cui cuciture avevano mezzo ceduto –Dovrò rifarti lo stemma, cucciola!-
Nightwings a sua volta volle congratularsi con lei squadrando per bene il costume da cima a fondo –Bene bene…così tu saresti Midnight?- April si sistemò i capelli, orgogliosa –Fico, non trovi?-
-Sì, è fico. Bel costume…anche se quella maschera mi è familiare….- stavolta le gote pallide di April si tinsero di porpora –Bhè…- si scusò –Ormai tu usi quest’altra da Nightwing e pensavo…- BB la interruppe prendendola di sorpresa sulle spalle –Pensavi di diventare una di noi senza nemmeno una festa? Avanti ragazzi, tutti a festeggiare Midnight, la nostra nuova Teen Titans!-
-Col Cavolo!- tuonò Corvina zittendo tutte le altre voci.
Era paonazza in viso, furiosa a dir poco, con un gesto afferrò la figlia per la collottola buttandola giù dal padre.
Era rimasta per tutto quel tempo immobile cercando di contenersi…ma non ce l’aveva fatta, era esplosa.
-TU! Piccola stupida bamboccia! Cosa credevi di fare?! Indossare un mantello e salvare il mondo?! Stupida, stupida, stupida!- i tre insulti furono seguiti da altrettanti ceffoni –Potevi morire! Morire!- urlò Corvina con quanto fiato aveva in gola, April sentiva le lacrime salirle agli occhi.
Quello doveva essere il giorno più bello della sua vita e sua madre lo stava rovinando.
-Sciocca che non sei altro! Ti avevo ordinato di stare lontana dal campo di battaglia! Tu mi hai disobbedita! A me! Tua madre!!- a quel punto nemmeno April si contenne più.
Con le lacrime che le rigavano le guance arrossate dagli schiaffi ricevuti si liberò dalla presa della madre, spingendola via da sé sputandole in faccia parole di fuoco –Perché tu a tuo padre ci hai sempre obbedito invece!- Corvina rimase ammutolita per qualche secondo prima di tornare alla carica più feroce di prima –Non tirare in ballo mio padre, è di te che stiamo parlando! Di te e della tua scemenza! Io ci tengo a te! Vuoi che ti veda fatta a pezzi da dei dannatissimi robot-killer?! Vuoi essere uccisa?! Vuoi morire!??! Eh?! È questo che vuoi!?-
-Io volevo solo essere come te!- strillo a sua volta April guardando la madre dritta negli occhi.
-Ma a questo punto non sono più sicura di volerlo- e detto questo lasciò cadere al suolo il mantello immacolato, evidente omaggio al costume della madre.
Si volse e corse via piangendo.
Corvina a sua volta si girò dall’altra parte dando le spalle ad April, fissando tutti gli altri compagni.
-Rachel…- fece BB ma lei subito lo zittì, gli occhi della bella strega erano ora colmi delle lacrime di tristezza che seguono certi litigi –Taci. Non voglio sentire una parola. Questo è anche colpa vostra. Complimenti, davvero. Mia figlia rischia la vita e voi tutti a congratularvi e ad incitarla a rifarlo. Non pensi a tua figlia Gar? Poteva morire. Come minimo mi aspettavo un po’ di sostegno d a parte vostra…per Azar è solo una bambina…è troppo giovane…-.
-Alla sua età tu mi prendevi già a calci in culo da due anni- fece Iella seria, non voleva fare sarcasmo, solo dirle chiaramente che non aveva tutte le ragioni.
-Io sono diversa.- rispose Corvina sentendo la rabbia crescere ancora.
A grandi falcate raggiunse Iella puntandole il dito contro, premendoglielo sul petto fino a farla indietreggiare –Tu poi, sei la peggiore di tutti! Sei tu che le hai fatto quel maledetto costume, tu le avrai riempito la testa di favole su quanto fosse eccitante scazzottare i criminali, tu sapevi tutto….e non mi hai detto niente- allontanò da sé l’ex-criminale con uno spintone e Cyborg dovette essere pronto a sostenere la sua dolce metà per evitare che cadesse a terra.
Piangendo Corvina nascose il viso sotto il cappuccio, dileguandosi in una nuvola di fumo.
Robin, Stella, BB, Bruce, Cyborg e Iella restarono soli nel campo fuori città, con l’amaro in bocca.
-Allora…secondo voi questa è ancora una vittoria?- chiese il mutaforma con le orecchie basse.
-Questo sarai tu a dircelo, quando avrai quelle due furie sotto lo stesso tetto- rispose l’afroamericano all’amico –Se vuoi…April può venire a stare alla Torre per un po’ ci occupiamo io e Iella di lei-
-Sì, così la prossima volta che mi vede Corvina mi uccide direttamente- sbuffò la maga dai capelli rosa –Cos’è vuoi fare una rimpatriata ai tempi in cui ero ancora nell’Hive Five?-
Nightwing riprese il controllo della situazione e della squadra –Ci penseremo dopo a questi problemi, ora occupiamoci di Mad Mod-
Ma come si girarono scoprirono che il centenario paralizzato…era svanito.
-Ragazzi…eravamo in otto eroi e ci siamo fatti scappare un vecchietto in carrozzina, per giunta caduto a terra, questo passerà alla storia come la più grande gaffe dei Titans- commentò Bruce grattandosi la nuca perplesso.
 
-Perché mamma deve fare sempre così?! Perché deve rovinare sempre tutto- singhiozzava in silenzio April aggirandosi sconsolata per i margini delle periferia di Jump City.
-Volevo solo aiutare…-
-Poffare!- esclamò una voce dal bizzarro accento anglosassone –Pevchè piangi giovincella mia?- April si voltò di scatto, alle sue spalle stavano due enormi robottoni a alti più di tre metri l’uno, indossavano entrambi le divise da guardia reale inglese; erano due dei primi drodi di Mad Mod, la sua scorta personale in memoria dei vecchi tempi, il loro funzionamento non dipendeva dal bastone, e approfittando del litigio familiare le obbedienti macchine avevano salvato il loro creatore.
Uno reggeva tra le braccia il corpo ghignate e rinsecchito di Mad Mod –Io dico: non hai ancora un buon motivo per versar lacrime, but i think che very presto ne avrai uno, aren’t you?- a un suo cenno il secondo droide si mosse verso la ragazzina.
April ebbe appena il tempo di gridare prima che l’immensa mano si chiudesse su di lei.
Sentì un forte dolore alla spina dorsale e alle costole, come se fosse stritolata da un anaconda, poi sentì uno strano odore provenire dal polso bionico…come di gas…pochi secondi dopo si sentì mancare e poi più nulla.
L’oblio.
 
 
 
Innanzi tutto vorrei scusarmi per questo terribile ritardo e per eventuali errori di ortografia (non ho avuto il tempo di rileggere) purtroppo gli impegni sono molti e il mio tempo e poco, ho un sacco di roba per le mani, cercherò di evitare che si ripete ma ahimè alcune cose hanno la precedenza su altre, e questa storia non è tra le privilegiate.
Sperò comunque che il capitolo vi sia piaciuto e che continuate a portar pazienza, mi scuso ancora.
 
Un pentito Ghostface
 
P.s. Per quanto riguarda il discorso di Corvina riguardo a copie e originali devo dire che ha ragione solo in parte, è vero che spesso gli originali sono i migliori…ma nel caso Deadpool/Deathstroke bisogna riconoscere il contrario.
Se i Teen Titans riescono a sconfiggere puntualmente Slade non avrebbero speranza contro Wade.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6 ***


CAPITOLO 6
 
-La mia bambina… la mia bambina…- piangeva Corvina col capo chino sulle braccia incrociate, piegata in due sul tavolo.
Erano sei giorni che nessuno aveva notizie di April; quando il primo giorno non era tornata a casa per cena nessuno si era impensierito più di tanto: dopo quella sfuriata con la madre era prevedibile che sarebbe rimasta per i fatti suoi, probabilmente avrebbe passato la notte da Stella e Robin, o forse da Cyborg e Iella…non sarebbe stata la prima volta che si comportava così.
Avevano iniziato a preoccuparsi quando, chiamando i loro amici, erano venuti a sapere che nessuno aveva idea di dove fosse April, tuttavia la ragazza poteva benissimo essere in camera sua, protetta da un’illusione sensoriale…quando poi anche questa ipotesi fu scartata, la maga e il mutaforma iniziarono a  perlustrare assieme ai loro amici ogni luogo frequentato dalla ragazza in Jump City e dintorni…invano.
Quando sorse il terzo girono, senza portare alcuna traccia della ragazzina scomparsa, Corvina cadde nel panico.
La ricerca della figlia era diventata un’ossessione per lei.
Si fermava solo quando il suo stesso corpo non riusciva più a sostenerla, giusto per concedersi un paio d’ore di sonno prima di tornare alla carica.
Ore che spesso passava a disperarsi anziché a riposare.
Cyborg le accarezzò le spalle incurvate dalla fatica; era l’unico rimasto alla Torre assieme a lei, il mezzo-robot poteva senz’altro dimostrarsi più utile davanti a un monitor che a perlustrare le strade, come faceva da giorni il resto della squadra senza ottenere risultati.
-Sta tranquilla Corvina, April starà sicuramente benissimo. Ormai è grande abbastanza da badare a se stessa, non serve disperarsi. Sono sicuro che si è nascosta in un qualche rifugio segreto, come quello che aveva Stella*, ricordi? Nessuno ne sapeva niente. Vedrai, andrà tutto bene-
-Pietose bugie…- mormorò Corvina tra un singhiozzo e l’altro- Nient’altro che false, inutili, pietose menzogne….- sollevò il capo incrociando gli occhi differenti l’uno dall’altro del mezzo robot –Grazie…- aggiunse la maga- Ne ho bisogno ora più che mani…-
Stava piovendo a dirotto fuori dalla T-Tower, ogni tanto un fulmine rischiarava a giorno l’oscurità della sera che incombeva a schiacciare sempre più il tramonto.
Una saetta si dipinse nel cielo per pochi istanti, seguita da un rombo fragoroso.
-Forse dovremmo contattare anche Tuono e Fulmine…- disse Corvina, parlando più con se stessa che con l’amico – E anche i Titans Est, Acqualad è già tornato dal Tartaro? Non basteranno, devo avvertire più gente, molta di più….-
Un tavolo esplose avvolto dalla magia nera.
Il gigante di metallo sollevò il viso della mezzodemone costringendola a guardarlo –Corvina devi stare calma- quelle parole furono di troppo per lei –Stare calma?!! STARE CALMA!!?? Lo sai o no che mia figlia è dispersa la fuori?! Sola in mezzo a gente che non conosce, senza un soldo in tasca, senza un punto di riferimento, senza una persona a cui rivolgersi!? E questo solo nella migliore delle ipotesi. È inutile farsi delle idee sceme e ottimistiche, lo sappiamo tutti cos’è successo ma nessuno ha il coraggio di ammetterlo…neppure io fino a poco fa: April è stata rapita-disse Corvina strofinandosi gli occhi lucidi, con la voce strozzata.
-Corvina questo noi non posiamo saperlo…- disse Cyborg per cercare di tranquillizzare l’amica, ottenendo l’effetto contrario, la maga si volse verso di lui con uno sguardo di dolore misto a rabbia, non odio ma una rabbia di impotenza che doveva essere sfogata su qualche malcapitato…lui.
-Ti sei completamente rincoglionito?! Cos’è, Iella ti ha versato del sale nei circuiti mentre te la sbattevi!? Prima un pazzo entra in casa mia, uno che sa dove abito e con chi vivo, mi minaccia e tutto questo senza venire identificato, poi mia figlia sparisce dopo essersi avventurata da sola nei bassifondi….non riesci a fare due più due ammasso di latta?!-
Cyborg incassò tutte quelle dure parole senza batter ciglio, la sua amica era troppo nervosa per rendersi conto di ciò che diceva.
Per unire peggio al peggio in quel momento Iella entrò nella Torre.
Era completamente infradiciate, aveva passato le ultime ore a cercare in ogni anfratto di Jump City la piccola April senza rimediare uno straccio di indizio –Cavoli, ragazzi….- disse strizzandosi i ciuffi fucsia dei capelli, che gocciolarono sul pavimento –Sono stata sotto al pioggia fino ad ora e non ho trovata nulla, sembra essersi dissolta nell’aria-
Come sentì risuonare quella voce alle sue spalle Corvina ebbe un raptus d’ira incontrollato, scattò in piedi scaraventando a terra la sedia, onde di energia magica rovesciarono il tavolo su cui poco prima era afflosciata e sgretolarono tutto ciò che entrava in una raggio di tre metri dalla maga, persino l’occhio di vetro di Cyborg andò in frantumi.
-TU!!- ringhiò la strega con gli occhi illuminati di un rosso demoniaco – Lurida sgualdrina! Cagna maledetta! È colpa tua se è successo tutto questo! Puttana! È per causa tua se mia figlia è stata rapita, aggredita, violentata o peggio, la colpa è solo tua!!-
-Non darmi colpe che non ho, è nemmeno della puttana, non lo sopporto- ribatté Iella- la colpa è anche tua Corvina, tua più che mia. E in quanto alle cosce sono certa che tu le muovi molto più di me, i risultati si contano sulle tue foto di famiglia-
-C-Colpa mia??! Io volevo proteggerla, volevo che stesse lontano, se lo avesse fatto ora sarebbe al sicuro!!- strillò la maga.
-Non capisci? La stai proteggendo troppo. Se anziché crescerla in una torre d’avorio l’avessi incoraggiata, se tu l’avessi addestrata, ma neanche…bastava solamente che tu apprezzassi quello che ha fatto dopo al battaglia con Mad Mod per impedire che scappasse. Se anziché gli schiaffi tu le avessi offerto un po’ di stima ora sarebbe al tuo fianco-
A quelle parole Corvina non si trattenne più, si avventò come una furia contro la ex-criminale, la quale, atterrita dall’inaspettata reazione, non seppe incassare il pugno sulla guancia datole dalla mezzo demone.
Sentì l’urto ripercuotersi su tutti i denti del lato sinistro del viso.
Cyborg riuscì a intervenire prima che Corvina potesse nuovamente mettere le amni addosso a Iella, afferrandola saldamente in vita la sollevò e la gettò sul divano.
-Corvina, per l’amor del Cielo, devi calmarti!- disse afferrandola saldamente per le spalle –Sei stressata, e ne hai tutte le ragioni, ma non puoi prendertela con Iella, lei non ha fatto niente. Torna in te, così non aiuti-
La mezzodemone placò il suo scatto d’ira ma non la sua rabbia –L’unico che deve rinsavire qui sei tu!- replicò duramente al ragazzo nero, Corvina si alzò in piedi, tirandosi il cappuccio sul viso e lanciando un’occhiata di fuoco alla ragazza dai capelli rosa –Devi essere ammattito per tenerti in casa una simile vipera- e senza dare ai due il tempo di ribattere aggiunse –Voi restare pure qui a invecchiare, io vado a cercare mia figlia- detto questo si appiattì al suolo riducendosi a una macchia d’ombra sul pavimento per poi sfrecciare via, fuori dalla Torre, verso al città.
Appena se ne fu andata, Cyborg andò da Iella, prendendola tra le braccia.
La ragazza si massaggiava col palmo la guancia che le doleva –Che st%£”*za- disse rabbiosa e rattristata –Non dire così, piccola. Corvina è traumatizzata, non sa quello che dice. Voleva solo sfogarsi e noi ci siamo trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non è vero che ti odia-
-Sì invece- replicò quella –C’è l’ha sempre avuta con me, non le è mai andato giù che fossi entrata nella squadra, non sopporta che frequenti uno di voi. Per lei sarò sempre quella di una volta…-
Lui la strinse forte a se, appoggiando le sue labbra su quelle diafane della fanciulla dalla pelle color luna – Su, vedrai che passerà. Sia il livido sia la tua fase con Corvina, c’è solo bisogno di tempo per entrambi…specialmente per Corvina-
Iella si separò da Cyborg abbracciandosi i gomiti e guardando a terra –Ma quanto tempo?- chiese –Sapevo che all’inizio tra me e lei ci sarebbe stata qualche difficoltà…ma sono passati quindici anni, quindici anni e ancora non si fida di me, ancora non mi accetta. E io sono stanca, stanca di sopportarla, stanca di sforzarmi, stanca di vedere tutto il mio impegno per starle vicino mandato al diavolo. Sono stanca Cy…-
Lui le cinse la vita con le braccia –Dai amore, non ti preoccupare. Resiti ancora un po’. Appena questa storia sarà finita ci prenderemo una piccola vacanza ..solo io e te…-
Iella lo guardò in viso con gli occhi illuminati- Vuoi dire che…-
-Esatto- sorrise lui -Ho comprato i biglietti per Fiji- disse mostrandole i due preziosi pezzi di carta –Partiamo non appena April torna a casa…bè magari prima le diamo qualche sculacciata per quello che ci ha fatto passare…e poi dritti alle Fiji! Ci pensi? Sole, sabbia, acqua cristallina, natura incontaminata, e soprattutto tanto relax solo per noi-
-E tanto tanto sesso- aggiunse maliziosa la ragazza baciando il mezzo robot.
-Prima però vedi di cambiarti quell’occhio-
Appollaiato sopra il tetto una tetra figura aveva ascoltato tutto, trovando conferma dei suoi sospetti.
Sospetti nati da un piccolo pezzo di carta, un volantino, molto ben fatto e chiaro, indicava perfettamente ora e luogo di evento “interessante”, raffigurante la bandiera del regno unito, rendendo scontato il mittente, che annunciava un’asta.
L’asta in questione riguardava la vendita di una bambina molto speciale.
Non c’era da stupirsi che i Titans ne fossero all’oscuro vista la sorprendete e minuziosa cura con cui erano stati distribuiti.
Se quel motociclista non lo avesse infastidito in quella topaia che chiamavano Night-pub probabilmente neppure lui l’avrebbe mai scoperto.
Ma ora lui aveva quel foglio tra le mani e quel tizio un coltello in gola…com’è che si chiamava….un nome sciocco…Johnny qualcosa…il marcio?...il putrido? …il rancido? comunque una cosa del genere.
Si aggiustò gli occhiali neri sul viso con le mani ossute, seduto sui talloni lungo il parapetto del tetto restava in silenzio, il capo chino su quel pezzo di carta, i lunghi capelli bianchi come il latte erano zuppi e cadevano raccolti a ciocche…incurante della pioggia che cadeva su di lui il vecchio rimase ancora a meditare poi, una voce uscì dalle sue labbra di ghiaccio, poco più di un sussurro –Ti troverò-.
 
 
Il locale era buio e affollato, super criminali d’ogni genere occupavano le numerose sedie, tutti erano stati convocati lì da Mad Mod, il vegliardo aveva annunciato di mettere all’asta un “pezzo” inestimabile.
Tra l’aria calda e il confusionario vociare costante, il distinto signore che sedeva tra quella marmaglia non sapeva cosa fosse peggio, se l’asta di per sé o la folla che l’animava. Lui solo restava seduto tranquillamente aspettando.
Il palco s’illuminò e cadde il silenzio sulla platea.
Spinto da un prosperosa ragazza apparve l’ormai centenario Mad Mod su una sedia a rotelle.
Avvicinatosi al microfono iniziò a parlare con voce secca e roca, ma mantenendo sempre il suo fiero accento britannico.
-Ladys and gentlemen come molti di voi sapranno, questo è il mio centesimo compleanno, in tutti questi anni non ho mai smesso di combattere quei discoli dei Teen Titans, e quando iniziavo a disperare di poter vivere abbastanza per dargli una bella lezione, mi si è presentata un’occasione d’oro per non dire di platino, che ho colto al volo.
Mi piange il cuore a separarmi da un simile trofeo, ma ormai io sono troppo vecchio per godere della gioventù, ma sono certo che molti di voi saranno entusiasti di sborsare i fondi, debiti a finanziare il mio prossimo piano malvagio, per portarsi a casa questo pezzo unico nel suo genere.
Ha solo 13 anni ed è ancora vergine e pura…a voi solo per questa volta un occasione irripetibile: la primogenita di Corvina, la figlia della maga e di quel omino verde, vi presento la giovane April!-
Dal palco emerse una gabbia, all’interno, rannicchiata  e terrorizzata stava la ragazza, gli scagnozzi di Mad Mod l’avevano spogliata lasciandola solo in mutande e reggiseno bianchi, incatenata alla sua prigione con un duro collare di ferro collegato a una pesante catena, piangeva mentre vedeva quei volti crudeli e rapaci puntarle tutti su di lei.
Si levò un vociare spaventoso di urla, oscenità e insulti.
Il vociare si fece ancora più intenso mentre cattivi di ogni tipo commentavano vivamente la ragazzina messa in vendita
-Un occasione da non perdere- continuò Mad Mod - Una schiava eccellente, per non parlare poi del dolore provocato ai nostri eterni rivali, la base d’asta è di 100.000 sterline, che equivalgono cica a 160.00 dollari-
-Io ne offro 200.000- tuonò Adone
-Io 300.000- fece eco Atlas.
-350.000- urlò Falena.
-400.000- un’altra voce e altre si susseguirono.
-500.000-
-650.000-
-650.001-
-700.000-
Uno solo non si scompose nella ressa, l’elegante persona seduta in fondo, lo stesso uomo che provava disgusto di quella feccia ma che non poteva non essere invitato con tutti gli onori a un tale evento.
-Basta! Per tutta la vita ho sognato di fottere la madre e non l’ho avuta, ora mi consolerò con la figlia! Mi sono sempre piaciute quelle giovani….- sorrise l’ormai quarantenne Adone –Io offro un milione di dollari!!-
-Nessuno rilancia? No?  Bene! Venduta al grosso ser in armatura con l’altrettanto grosso conto in banca!- esclamò Mad Mod.
Adone salì sul palco sollevando la gabbia con dentro la ragazzina in lacrime come se fosse una piuma.
April piangeva a dirotto e implorava di essere liberata ma le sue suppliche non facevano altro che divertite l’osceno pubblico.
-Spero che ti divertirai con lei, boy- ghignò il vecchio intascando l’assegno.
-Senz’altro, la farò gridare tutta la notte. Adoro le bambine vergini-
Una folata di vento ricco d’umidità irruppe nel salone dall’aria viziata.
La porta si spalancò, un’alta figura ammantata di un impermeabile nero entrò silenziosamente nell’edifico, fradicio di pioggia.
Il lunghi capelli candidi si attaccavano al cranio, completamente bagnati, gli occhi nascosti da lenti scure sembravano scrutare tutti.
Avanzò lentamente, scandendo i passi mentre le gocce colavano a terra dai suoi abiti, camminò fino a giungere al centro della sala.
Intorno a lui c’era il silenzio più completo.
Un silenzio di paura.
Era stato lontano 13 anni, e si era fermato a Jump City per poco più di uno.
Ma era riuscito a farsi un nome, un nome intramontabile che faceva gelare il sangue nelle vene agli eroi e ai criminali, a parte April e la valletta di Mad Mod, tutti avevano riconosciuto quei folti capelli nivei, il viso scheletrico, bianco come le ossa, quei occhiali scuri che nascondevano occhi di ghiaccio.
Un nome, una leggenda …Ghostface.
-Ghostface, che piacevole sorpresa, ti credevo morto. Peccato che l’asta sia già terminata- lo salutò malignamente il britannico.
-Il sentimento è ricambiato Mod, anch’io ti speravo morto. 100 anni… non male per un ragazzino, fammi uno squillo quando raggiungerai anche tu i 190. In fondo sappiamo tutti che non scenderò nella fossa prima di te…e di tutta la feccia che siede qui-
Seguì un brusio confuso, intimorito e irritato.
-Che vuoi dire?!- lo minacciò adone appoggiando la gabbia con la fanciulla.
-Primo che tu sei un coglione e un pervertito, secondo che se non uscirete di qui in dieci secondi nessuno di voi vedrà sorgere l’alba-
Ghostface continuò –La vostra depravazione ha superato ogni limite, rapire una bambina e venderla al miglior offerente perché la stupri a nome di tutti…vi do un consiglio da collega, andatevene, ora-
Adone scoppiò in una grassa risata spavalda.
Alcuni invece si alzarono e se ne andarono, i più saggi, altri restarono in piedi, pronti a vedere come andava a  finire.
Uno solo seduto in un angolo non sis compose minimamente.
-Cosa conti di fare vecchio? Sono passati 13 anni, non sei più quello di un volta. Tu sei solo E noi qui siamo in sessanta-
-Sessanta cadaveri ancora caldi prima che io ricarichi le mie pistole. Dei dieci secondi che vi ho concesso ne sono riamasti solo 3
2
1
0-
Non accadde nulla.
Per un interminabile serie di secondi nessuno fiatò, tutti rimasero immobili il tempo stesso pareva essersi fermato.
Poi Adone rise nuovamente spezzano il silenzio.
-lo sapevo! Stavi bluffando! Era tutta una messa in scena per rubarti la ragazza eh?-
Ghostface sorrise a sua volta infilando le mani nelle grandi tasche dell’impermeabile.
-Già, lo ammetto, era uno scherzo…in realtà di secondi ve ne ho concessi 15- e rivolto ad April disse –Chiudi gli occhi piccola- estrasse fulmineo due normi pistoloni, iniziando a sparare a raffica in direzione del palco, i proiettili trapassarono il corpo raggrinzito di Mad Mod, le luci che illuminavano l’ambiente furono tutte frantumate , calò il buio e con esso il caos, e la raffica di proiettili si spostò sulla platea che era diventata una turba urlate.
Chi urlava, chi scappava, chi si nascondeva, chi implorava, chi attaccava chiunque si trovasse davanti, chi si difendeva come meglio poteva.
E uno restava immobile seduto al suo posto in mezzo alla mischia.
Le pistole furono presto scariche e Ghostface sfoderò le spade. Iniziò il massacro.
Ruotando su se stesso come un tornado di lame impazzito non solo Ghostface teneva alla larga gli avversari e dilaniava gli arditi che si avvicinavano troppo alla portata delle sue letali spade, ma riusciva anche a deviare i numerosi proiettili sparatigli contro e a ricacciarli nel mezzo della folla, continuando imperturbato a sparger sangue, mozzar arti, squarciar carne e stroncar vite.
Solo l’uomo restava immobile, tranquillamente seduto sulla sua sedia.
-Ho aspettato anni per scoparmi quella troia, non sarai tu a portarmela via- gridò Adone fiondandosi su Ghostface con tutta al sua forza, interrompendo il vorticar di lame.
Strinse forte Ghostface al petto, immobilizzandogli le braccia, e continuò a stringerlo come per stritolarlo, il vecchio mugugnava di dolore per le costole che venivano pressate contro l’armatura e che sentiva spezzarsi una ad una.
-Allora vecchio pazzo, cosa conti di fare ora? Cosa conti di fare!?- lo sfotté Adone.
La sua richiesta fu accontentata.
Ghostface gli mostrò cosa aveva intenzione di fare.
Pima tirò una violentissima craniata in pieno viso all’uomo, si udì un sordo “craak” e il naso di adone prese a sanguinare copiosamente, dopodiché Ghostface glielo addentò torcendo la mascella finché non riuscì a strappargli buona parte di naso, che poi sputò a terra assieme a parecchio sangue scuro..
Adone lo lasciò andare urlando di dolore, barcollò all’indietro incapace di realizzare cosa fosse accaduto.
Le katane rotearono sui polsi di Ghostface, pronte a mozzare anche il resto della testa del criminale.
Non ce ne fu bisogno.
Un’ombra nera balzò sull’armatura rossa, afferrando al testa dell’uomo e girandola violentemente, spezzandogli il collo.
Adone stramazzò morto al suo.
L’ombra nera camminò a passi delicati e decisi, ma non affrettati, verso Ghostface.
Una maschera metà nera e metà rame ne copriva il viso, un unico occhi spiccava da essa.
-Willy-sorrise il vecchio –Potevo farcela da solo- aggiunse.
-John- rispose quello in segno d’intesa.
Si sorrisero a vicenda mettendo uno la mano sulla spalla dell’altro…e il massacro riprese ma con due macellai a dirigerlo.
Alla fine in quel salone di sessanta persone ne restavano vive solo quattro
Ghostface, Slade, April e la valletta in lacrime macchiata di sangue.
-Puah, che schifo! Sono lordo di sangue- sbuffò Ghostface infastidito –C’è chi sta peggio, per esempio i tizi a cui apparteneva quel sangue- replicò Slade.
I due anziani killer si abbracciarono reciprocamente.
-Quanto tempo è passato, Willy?-
-Troppo. Avevi ancora i capelli neri quando hai cominciato ad addestrarmi- fece la voce calma e pacata di Slade-
-Già. E tu eri solo un ragazzino che non ascoltava ami il suo mentore, sempre a far di testa tua- replicò Ghostface –Sì- rispose l’altro- finché non mi hai sparato alla gamba-
-Te l’eri cercata- concluse Johnatan sorridendo da sotto i baffi argentei.
Poi si rivolse duro alla valletta –Tu smamma!- e la giovane non se lo fece ripetere due volte.
Rimasti soli con April i due assassini si avvicinarono a lei.


Mi scuso per eventuali errori di ortografia, ancora una volta sono di fretta e non ho il tempo di rileggere.
Ma qui o si va difretta o non si va affatto, Ahimè.
Ghostface

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7 ***


CAPITOLO 7
 
-Sei uno stupido-
Slade guardava impassibile, sotto la pioggia, l’amico che accendeva i motori dell’auto.
-Me lo diceva sempre anche mia madre-
-Se lo fai te ne pentirai primo o poi-
-Smettila di preoccuparti, ho un piano. Sarà lei a venire da me…prima o poi- rispose Ghostface azionando i tergicristallo sul parabrezza costellato di gocce d’acqua.
-Perché rischiare? Lei è già qui e i Titans brancolano nel buio-
Aggiustando lo specchietto retrovisore Ghostface inquadrò la sua passeggera, rannicchiata su se stessa April dormiva nel sedile posteriore, coperta dal bianco costume di Midnight, ritrovato casualmente da Slade; la poveretta era svenuta poco dopo il bagno di sangue a cui aveva assistito.
Era così indifesa in quel momento…ma anziché farle del male, il vecchio fantasma trovò in sé un sentimento strano per quella ragazza, come la lupa coi gemelli del Tevere, Ghostface ebbe pietà di lei
Ora intendeva riportarla a casa.
-Credimi John, questa è una cattiva idea- insistette Slade, ma senza più che un ammonimento suonava come una frase svogliata, pronunciata da chi sa già che non riuscirà a far cambiare idea al suo interlocutore, ma almeno avrebbe potuto dirgli “te lo avevo detto”.
-So quello che faccio. Si ottengono più mosche con il miele che con l’aceto…se rubi qualcosa possono riprendersela…ma se è lei a venire da te cambia tutto. Tranquillo, funzionerà-
Detto questo mise in moto e partì.
Il guercio restò immobile ad osservarlo scomparire dietro la curva, mentre sottili rivoli d’acqua alimentati dalla pioggia battente disegnavano il suo profilo sotto il cielo gonfio e terso.
Quello era un autunno particolarmente piovoso.
 
-Svegliati piccola- disse Ghostface con non curanza, voltosi all’indietro dal sedile del pilota scosse la spalla di April che si svegliò di soprassalto.
Subito la ragazza arretrò davanti a quel viso scavato e sconosciuto ma decisamente poco rassicurante.
-D-dove sono?- chiese con voce tremante la ragazzina, temendo il peggio.
Era sola in un’auto con l’autore di una strage, non sapeva chi fossa ma doveva essere qualcuno di veramente particolare se persino i peggiori criminali di Jump city lo temevano.
-Ma come dove?- sorrise il vecchio mostrando la prima fila di denti scintillanti come avorio, perfetti.
Indicò il finestrino di fianco a lei –Non riconosci la T-Tower?-
April spiaccicò il viso contro il vetro, incantata davanti a quella visione.
Imponente davanti a lei si erigeva l’enorme mastio di vetro, cemento e acciaio raffigurante l’immensa T che proteggeva la città.
L’edifico mastodontico era illuminato a giorno, April poteva percepire le emozioni delle persone al suo interno…emozioni poco piacevoli ma comunque testimoniavano la presenza di qualcuno nella Torre: Cyborg, Bruce e Robin per la precisione.
E tuto quello che la separava da loro era lo stretto tratto di mare che divideva l’isola dei Titani dalla costa.
Osservando rapita quella costruzione April non poté che sussurrare una parola –Casa…-
Casa…finalmente sarebbe tornata, avrebbe rivisto suo padre, riabbracciato i gemelli fatto pace con sua madre, e giurò a se stessa che mai più avrebbe litigato con lei, che nulla le avrebbe più divise, una volta a casa sarebbe stata coi suoi amici, al sicuro…sarebbe stata salva.
E avrebbe infine potuto mettere qualcosa sotto i denti, erano gironi che non mangiava e sentiva i crampi allo stomaco.
-Allora scendi qui?- la domanda chiara e limpida del suo accompagnatore la riscosse rimandandola al presente.
-Cosa?- chiese incerta di aver capito bene: la lasciava andare così?
-Vedi questo non è un taxi- continuò l’uomo al volante –Né un motoscafo quindi più avanti di così non si va. O scendi o scendi-
April lo guardò attentamente, cercando di leggere dietro quelle lenti affumicate, inutilmente, persino le emozioni di quell’uomo sembravano criptate, non riusciva a capirle a pieno.
Chiunque fosse era la persona più misteriosa che avesse mai visto, persino più dello zio Rob.
-Chi sei tu?- le chiese avvicinando la mano alla maniglia della porta, per fargli capire che intendeva scendere lì ma non prima di aver saputo chi si trovava davanti.
-Un eroe- rispose quello sempre sorridente.
-Ma sei vecchio- replicò lei ricevendo come saccente risposta che solo perché lei era dei Teen Titans questo non impediva agli “Old” di andare a salvare la gente.
-Non sono nei Teen Titans…mia madre non mi vuole- precisò lei con un tono leggermente afflitto –Ma se sei un eroe perché sembri una persona normale?-
-Non tutti gli eroi indossano costumi- rispose Ghosface voltandosi in avanti, dando le spalle alla ragazza.
-Ma tu uccidi…- disse April che continuava a essere dubbiosa nei confronti del pallido sconosciuto –E non tutti gli eroi sono brave persone- sospirò il vecchio e poi aggiunse con un tono mascherato da allegro –Ma tu hai la stoffa di chi diventerà una di quelli buoni e bravi. Qual è il tuo nome ragazza? Quello di battaglia intendo-
-Midnight- rispose April ancora furtiva nelle risposte che dava –Come sapevi che ero lì, in quell’asta, e come sai che “appartengo” a questa squadra?-
Ghostface continuava a non guardarla in viso, ma al voce usciva chiara e calda dalle sue labbra.
-Tua madre si è data un gran da fare a cercarti, così ho deciso di darle una mano. E mi sembra anche un gesto molto villano farla attendere oltre. Su, va da lei-
Allora, leggermente imbarazzata per la predica ricevuta, April aprì la portiera dell’auto, restando tuttavia ancora sul sedile.
-Non mi hai ancora detto come ti chiami…-
-Jonathan- fece quello secco e schietto, leggermente turbato dalla permanenza prolungata di April.
-Beh, grazie Jonathan…grazie per avermi salvata- sorrise la ragazza tirandosi dietro le orecchie i lunghi capelli violetti.
-Dovere, è stato un gioco da ragazzi. Ora scendi-
L’eroina dilettante obbedì, scese chiudendo lo sportello ma, incurante della pioggia, si affacciò al finestrino calato di Ghosface, il quale continuava a fissare dritto davanti a se, come una statua di ghiaccio.
-Volevo solo dirti che prima…sei stato incredibile! Erano in sessanta contro di te e tu hai vinto ugualmente…io non ho mai visto nessuno combattere così e volevo chiederti se potevi…insomma se potevi insegnarmi?-
Il vecchi criminale rimase in silenzio per qualche istante poi un sorrisetto di chi sa di averla fatta franca di nuovo si dipinse su quel suo viso gelido di cadavere –Va bene, scricciolo. Ti insegnerò come cavartela in questo lavoro-
La ragazza non credeva alle sue orecchie, le si allargò un viso un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
Finalmente il suo sogno si realizzava! Sarebbe diventata un vera supereroina, quel vecchio poteva insegnarle come fare, le tornò in mente il suo desiderio espresso alla stella cadente…ci pensò  e sorrise.
-Ma solo alle mie condizioni.
Prima condizione: non dovrai fare parola con nessuno di me, sei una ragazza sveglia sono certo che ti inventerai una scusa per le tue assenze e il tuo ritorno.
Seconda condizione: ci incontreremo nel bosco fuori città, non voglio essere notato. E lo fare una volta a settimana per tenerti allenata. Dovrai obbedirmi e fare tutto ciò che ti ordino perché se ce una cosa che non sopporto sono gli allievi indisciplinati.
Questo è quanto. Ci stai?-
-Eccome!- esclamò immediatamente April emozionatissima.
Quella giornata si stava rivelando incredibile, da prigioniera e schiava era passata ad apprendista eroina in meno di due ore.
Era sommersa da diverse emozioni e sensazioni, spesso in contrasto tra loro, e sentiva una gran confusione dentro sé, le sue emozioni parzialmente autonome si stavano dando da fare, ma una cosa era certa…Curiosità, Eccitazione e Felicità stavano avendo la meglio.
-Bene. ti aspetto venerdì venturo al tramonto alla Roccia del Gufo. Si puntuale e goditi questa settimana sabbatica perché non te ne concederò altre. Sono uno piuttosto zelante io-
April stava per aggiungere qualcosa, specie riguardo i modi rudi e sgraziati del suo nuovo istruttore ma quello, privo di ogni tatto, premette sull’acceleratore, la macchina partì con un rombo soffuso lasciando là, sulla banchina notturna la ragazza con ancora le sue parole in bocca. 
-Grazie comunque…- mormorò un po’ delusa April per essere stata piantata in asso così, ma bastò volgere lo sguardo verso la titanica torre che si stagliava contro il cielo minaccioso di tempesta per ritrovare subito il sorriso e il buon umore…quella brutta avventura era finita.
 
-Dobbiamo trovarla, Cyborg!- non faceva che ripetere in continuazione il leder dei Titans che camminava avanti e indietro per la Ops Mains Room, con lui c’era solo il figlio e l’amico bionico, chino sul monitor del computer, cercava tramite il satellite la traccia di DNA di Corvina ma con scarsi risultati…nell’arco del tempo, a forza di missioni e scontri, la maga aveva disseminato capelli e gocce i sangue e sudore un po’ su tutta Jump City.
-Faccio del mio meglio, Robin! Ma il cerca-tracce del computer non è come la lampada magica, è un lavoro lento è complesso, non basta dire “voglio vedere April” perché accada!!-
In quel momento la porta d’ingresso si spalancò.
-Sono qui!- trillò la vocetta allegra della streghetta vestita di bianco.
Tutti e tre gli eroi si volsero increduli verso di lei….non era possibile eppure davanti a loro era appena apparsa April!!
Era un po’ smagrita, forse più pallida del solito, i capelli viola erano gocciolanti e raccolti a ciocche, il costume tutto stropicciato e sporco in più punti, ed era bagnata fradicia dalla testa ai piedi, come un pulcino, ma aveva i due grandi occhioni neri scintillanti per la gioia, sfavillanti d’emozione,  leggermente vitrei per essere tornata sana e salva a casa dai suoi cari, occhi che raccontavano in modo indescrivibile quanto avesse avuto paura e quanto tenesse a tutti coloro che sempre le avevano voluto bene, uno sguardo allegro che poteva, ai più inesperti, quasi sembrare spensierato.
Sul viso le era comparso quel suo timido sorriso sincero che le si dipingeva sempre sul viso quando le passava la paura, quando si sentiva rassicurata e felice…quando stava con Bruce.
-Tu…qui…- balbettò Robin incredulo.
-Saperlo prima che bastava chiedere!- esclamò Cyborg ancora più stupito dell’amico.
-APRIL!- Bruce le corse incontro abbracciandola con quanta forza aveva.
-Prestò papà! Chiama Corvina, e BB e tutti gli altri April è tornata!-
 
Ghostface calò il binocolo a infrarossi dal viso.
Aveva assistito al rientro di April d un tetto quasi parallelo alla Torre, un’ottima postazione per spiare e chissà…magari in futuro anche per dimostrare le sue eccellenti doti di cecchino.
-Ho visto abbastanza…- commentò a se stesso pulendo gli occhiali scuri dalle gocce ci pioggia con un fazzoletto e risistemandoseli sul naso.
Un’ombra nera piombò alle sue spalle.
-Così ti perdi la scena della riconciliazione familiare-
-Il romanticismo non fa per me né tantomeno i quadretti familiari- replicò il vecchio senza voltarsi, il vento violento li scompigliava i lunghi capelli verso destra, sferzavano come migliaia di fruste bianche.
Slade camminò adagio al suo fianco.
-Perché sei tornato, Ghostface?- domandò quello pacato.
-Cazzi miei!- fu la fredda risposta che ricevette –E non chiamarmi Ghostface, almeno tu- precisò il vecchio mettendosi a sedere con le gambe a penzoloni sul vuoto, l’ex-allievo lo raggiunse sedendo assieme a lui.
-Piuttosto, che ci facevi tu lì, in quell’asta con quella feccia, Willy? Noi siamo gente di classe non come quei quattro disperati- domandò Ghostface fissando ancora in lontananza la vetrata illuminata della Torre, ormai i genitori di April si saranno già precipitati là dentro, pensò.
-Che ci facevo lì? Ti aspettavo-
-Non sapevi nemmeno che ero in città. Ti ho cercato sai?-
Slade si mostrò ancor più indifferente di Ghostface, non era più l’allievo alle prime armi di un tempo, era cresciuto e aveva imparato a sue spese molte dure lezioni, ora sapeva come muoversi, non si sarebbe fatto più fregare da nessuno, neppure dal suo vecchio maestro…tuttavia Ghostface gli serviva per i suo scopi.
E lui serviva a Ghostface.
-Lo so che mi hai cercato, solo che non mi sono fatto trovare. Sai dovevo scoprire a cosa miravi. Così come sapevo che eri entrato in possesso di uno di quei volantini, io stesso lo consegnato al Rancido…figurarsi se invitavano un teppista di serie H come lui a una cosa del genere…tuttavia lui è un’attaccabrighe e tu sei piuttosto irascibile e adori i bar i periferia dove stare per conto tuo…facciamo due più due-
-Cosa ti faceva pensare che sarei venuto?-
- Ti conosco-
Ghostface trasse un grande sospiro, prendendosi la fronte nella mano ancora integra -Da cosa l’hai capito?-
-Dagli occhi. Mi mostrasti quella foto di quando eri partigiano, prima che i crucchi ti rendessero ciò che sei. Non l’ho mai scordato…sono identici-
Il vecchio sorrise alzandosi.
-Mi hai beccato. Ricordi quando ho parlato dei “cazzi miei”? diciamo che potrebbero diventare “nostri”. L’ultima volta l’ho combinata grossa Willy-
Slade rimase immobile a fissare il quartier generale dei suoi odiati rivali…da tempo aspettava un’occasione come quella per distruggerli…e finalmente tutto pareva quadrare nel suo disegno.
-Puoi dirlo forte, hai quasi risvegliato la Morte Eterna-
Jonathan ridacchiò soffusamente di tale ricordo…-Ammetto che quella volta ho un po’ esagerato, ma non mi riferivo a quello. Intendevo un’azione troppo avventata, una di quelle che non si raccontano in giro. Stanno per accadere cose terribili in questa città Willy…cose veramente terribili. E io ho bisogno del tuo aiuto-
Slade si alzò fissandolo dritto nelle lenti, col suo unico occhio indagatore –Per evitarle…o per attuarle?-
Ghostface rispose con un sorriso beffardo –Devo ancora decidere…-
-Cosa ti serve?-
-Soldi. Ho bisogno di parecchi soldi.
Inoltre mi risulta che tu abbia amici nel governo…-
Stavolta fu Slade a sghignazzare –John io ho molti amici in vari governi…puoi essere più preciso?-
Si fisarono a vicenda, ma mai direttamente, chi protetto da una maschera chi da occhiali neri…chissà se avrebbero sostenuto il reciproco sguardo?
-Dipartimento della difesa- iniziò Ghostface spezzando la tensione –Colonnello William Stryker-
Il guercio lo interruppe bruscamente.
-Credo sia il caso di parlare di ciò in posto più riservato. Vieni con me-
 
Con gli anni Slade aveva cambiato covo, il suo vecchio ormai era ridotto a un museo per turisti, il nuovo era costruito sempre sotto terra, per la precisione in un luogo dove nessuno sarebbe mai andato a controllare: sotto un reattore nucleare.
Circa sette anni orsono si era pensato di costruire una centrale nucleare a Jump City, la struttura conica dei reattori era già pronta, tuttavia, a causa di una protesta popolare l’idea fu abbandonata sul nascere era tuttavia rimasta la prima imponente ciminiera che nessuno si era preso la briga di smantellare a causa del costo elevato.
Le scorie e gli elementi radioattivi non erano mai giunti in città, ma la gente continuava a guardar storto quella struttura, sospettavano che in fondo, qualche residuo radioattivo ci fosse e se ne stavano alla larga.
Per uno come Slade, che non perdeva il suo tempo in inutili dicerie ma si basava sui fatti, si era rivelata una manna dal cielo.
-Stryker….- borbottò Slade sorseggiando il suo infuso di erbe con innata delicatezza nei movimenti – Perché diavolo Stryker? Non è qualcuno con cui scherzare. Lo sai cosa fa a quelli come te?-
Ghostface non era minimamente impressionato dal tono del vecchio amico, sapeva tutto ciò che c’era da sapere sul colonnello –Lo so benissimo che fa esperimenti sui mutanti, e so che ora ha fatto incazzare un mutante veramente molto molto cazzuto, non credo che sopravvivrà all’anno con Wolverine che gli dà la caccia, per questo devi sbrigarti a contattarlo. Dì, non è che hai una birra? Ho la secchezza delle fauci-
L’uomo dalla maschera nera e ramata sbuffò per questo continuo divagare del suo interlocutore -Guinness o Duff?-
-Dammi ‘nà Guinness, và-
-Primo: evita di storpiare la mia lingua coi tuoi dialetti. Secondo: cosa vuoi da Strykers?-  
Ghostface si sistemò un’ultima volta gli occhiali sul viso, nascondendo quanto più possibile di sé dietro di essi –Voglio l’adamantio-
-L’adamantio?-
-L’adamantio: una lega metallica praticamente inesistente in natura, indistruttibile, infrangibile, inattaccabile, si può fondere una volta sola. Mi serve una spada di questo metallo, la miglior spada che abbia mai brillato al sole- disse Ghostface più serio che mai, le sue stesse labbra parevano essere di ferro mentre pronunciava queste parole.
Slade prese girargli intorno, studiando ogni suo impercettibile movimento, anche il tremito più piccolo delle dita poteva rivelargli qualcosa –Che te ne fai di un’arma del genere?-
-Te l’ho detto Willy: stanno per succedere cose terribili in questa città. Voglio essere preparato-
Da dietro la maschera il geniale assassino sorrise, ma più che un sorriso era un ghigno.
-Sei fortunato Jonathan- disse cingendogli le spalle con un braccio, in questa posizione iniziò a camminare portando Ghostface, dubbioso di quest’approccio, con sé.
-Si da il caso che anch’io abbia bisogno di  te. Del tuo incredibile fattore rigenerante.
Vedi devo fare alcuni importanti esperimenti…e mi servirai tu-
Sempre tenendo il passo Ghostface domandò, non senza fastidio –A che ti serve una cavia umana? Ho già dato-
-Amico mio- iniziò l’altro- Per la maggior parte della gente morre è decisamente più facile di quanto non lo sia per te. Questi esperimenti mi servono a “curare” una persona, tuttavia non conosco i quantitativi giusti né i limiti di sopportazione del corpo umano, sbagliare una dose ucciderebbe il paziente, e io questo non posso permetterlo…e qui entri in gioco tu. Potrebbe farti male, probabilmente lo farà, ma sopravvivrai sempre, sopravvivrai e guarirai dandomi l’occasione di imparare dai miei errori. Studiando le razioni del tuo corpo alle varie dosi potrò trovare la quantità giusta da somministrarle per risvegliarla-
Si fermarono davanti ad un’enorme cilindro di vetro, nascosto da un telone.
-Risvegliare chi?-
-Lei- con un colpo di mano Slade tolse il telone dal cilindro, che si rivelò essere una capsula di incubazione, fluttuante al suo interno, immersa in un liquido staminale stava una giovane donna, doveva essere poco più giovane degli ex-Teen Titans, poteva avere l’età di BB, sulla trentina.
Era molto bella, un corpo ben formato la cui pelle pareva essere rimasta quella delicata e intoccata di un’adolescente, la carnagione era un rosato leggermente pallido, seni piccoli ma tuttavia sodi e gambe che parevano non finir più, era completamente nuda, con un respiratore collegato alla bocca,  
gli occhi erano chiusi ed era avvolta dai lunghissimi capelli simili ad oro filato, che si spandevano galleggianti nel liquido, era talmente lunghi da arrivarle alle caviglie. Chissà da quanto tempo era lì-
sembrava immersa in uno stato di trance profonda, tenuta in vita solo da quel macchinario.
Ghostface si perse a guardarla per diversi minuti, incapace di comprendere cosa aveva davanti, eppure attratto da quell’alone di mistero che aleggiava attorno a quella misteriosa fanciulla, pareva creatura quasi eterea immersa in quello stato di pace assoluta.
-Il suo nome è Terra. Mia ex- apprendista….. Rimase pietrificata quando i Titans le sconvolsero la mente, aizzandola contro di me. Neanch’io ne uscii bene quella volta…ma questa è un’altra storia.
Ho impiegato enormi risorse e tre anni di lavoro per liberarla dalla sua prigione di roccia, senza ucciderla, ora è in stato vegetativo, un coma profondo come nessun’altro.
Solo questo macchinario le permette di sopravvivere, non arresta la sua crescita ma la conserva come fosse in salamoia.
I miei tentativi per risvegliarla sono stati vani, ma ora con te penso di essere finalmente arrivato alla soluzione che la riporterà ad una vera vita.
Aiutami a rianimarla…e avrai il tuo adamantio.
Queste sono le mie condizioni, accetti?-
Ghostface rimase ancora in silenzio, fissando quell’incantevole e triste creatura che aleggiava innanzi a lui, pensò quando poco prima era stato lui a dire quelle parole ad April.
Le posizioni si erano invertite, e prima o poi avrebbero girato di nuovo.
Slade cercava di usarlo.
Lui cercava di usare Slade.
Il tutto mascherato da apparente amicizia…bene, che Slade facesse il suo gioco, Ghostface avrebbe continuato col suo progetto, una volta ottenuto quanto desiderava, se il suo ex-allievo voleva diventare il principe azzurro e risvegliare la bella addormentata che lo facesse pure, ma che ricordasse: Ghostface gioca solo per se stesso.
Al momento stare con Slade era vantaggioso, e lo avrebbe continuato a farlo fatto finché glia avrebbe fatto comodo, ma nel momento in cui gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote…si sarebbe sbarazzato di lui.
Il vecchio dalla barba canuta si volse verso l’uomo mascherato.
-Accetto-
 


Mi scuso per eventuali errori ed orrori di ortografia
Ghostface

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8 ***


CAPITOLO 8
 
La pioggia cadeva incessante, infrangendosi in piccoli sprizzi sull’asfalto muto, sulle auto parcheggiate e sulla grigia figura ammantata di blu.
Lei e la pioggia, le uniche due cose che si muovessero in quella stradina dei bassifondi, immersa nel buio notturno.
Chi avrebbe voluto uscire con un tempaccio simile?
L’aveva già perlustrata sette volte, ma ancora insisteva disperata.
Ormai non cercava neppure più tracce o indizi correva sotto la pioggia senza più la forza di gridare quel nome a lungo pianto, i piedi battevano nelle pozzanghere, scrosciando rumorosamente.
Aveva il respiro affannato, le guance erano solcate da innumerevoli lacrime che andavano fondendosi con le altrettante numerose gocce di pioggia che l’implacabile maltempo riversava come liquide legioni sulla povera ragazza che seppure disperata continuava a sperare, continuava a correre per quelle vie buie o fiocamente illuminate, correva col cuore che le scoppiava in corpo senza neppure sapere dove andare o cosa cercare.
Sfinita cadde in ginocchio, troppo stanca per proseguire.
Si accasciò a terra china su se stessa, schermandosi il viso con le mani, gli occhi le dolevano per la troppa attività, erano almeno tre giorni che non dormiva, e quattro che non meditava, il respiro le bruciava nei polmoni; incapace di proseguire le ricerche rimase piegata in due in mezzo alla strada, struggendosi in silenzio nel suo dolore, accarezzata solo dalla pioggia che piangeva con lei la figlia perduta.
Non si era mai chiesta cosa avesse provato Stella quando era morta Mar’i…adesso lo sapeva: un dolore senza uguali, il doppio parto dei gemelli le pareva una carezza ai piedi in confronto a quello che il suo cuore sanguinante stava affrontando ora.
Quell’impotenza la distruggeva.
Il comunicatore Titans iniziò a vibrarle nella cintura, rimessasi in ginocchio prese l’arnese mentre un barlume di speranza le brillava negli occhi così stanchi e spenti, su di esso lampeggiava il nome del mittente : Robin.
Accese la video chiamata e le comparì il viso sorridente dell’amico.
-L’avete trovata?- chiese subito con un fil di voce, prima di dar lui il tempo di aprir bocca.
-No, noi no. Senti Corvina non è che tornando alla Torre puoi fermarti a prendere una pizza, vero?-
La maga era rimasta scioccata a dir poco.
Come osava chiederle di fermarsi in pizzeria mentre la figlia era dispersa?!
Qualche istante di silenzio tangibile dopo il viso le avvampò d’ira facendole diventare la faccia una smorfia paonazza deformata dalla furia – MA CHE CAZZ…- stava per continuare a sbraitare a inveire contro il leader quando il fiato le morì in gola.
Robin aveva passato il comunicatore a qualcuno di fianco a lui ed ora sullo schermo compariva il viso sorridente di April, avvolta in un accappatoio rosa forse un po’ troppo grande per lei –Ehi mamma, per me prendila con acciughe e cipolle e anche un frullato alla fragola formato grande!-
Ora si che Corvina era sorpresa, basita e incredula…a dir poco.
Rimase a fissare il piccolo schermo con la bocca spalancata e gli occhi sgranati, senza dire una parola.
-Bhe non dici niente? Guarda che così ti entrano i ragni in bocca- scherzò la ragazzina da dietro il monitor.
Corvina chiuse la bocca e deglutì, trovando la forza di sussurrare appena –A-April?- pareva poco più che il fruscio di una foglia, ma fu sufficiente.
A questo punto neppure la vivace ragazzina potè restare al gioco, sorridendo di cuore, mentre due lucciconi di felicità le comparivano sugli occhi rispose con la voce interrotta dai singhiozzi di commozione che presto sarebbero arrivati –Sì mamma. Sono io…sono tornata-
Non furono necessarie altre parole, la maga scomparve appiattendosi in una macchia di tenebra per poi dissolversi nel nulla in un batter d’occhio.
Il pozzo d’inchiostro ricomparve all’entrata della Ops Mains Room e da essa emerse Corvina, ancora fradicia e spossata ma più viva che mai.
Si guardò subito attorno come un’animale braccato e non appena individuò la figlia seduta sul divano le corse incontro, April a sua volta lasciò il posto accanto a Bruce per slanciarsi verso di lei, si incontrarono a metà strada abbracciandosi più forte che mai, fino a farsi male e senza volersi più lasciare.
-Mamma!-
-April, figlia mia…sei tornata, sei qui …sei con me- rideva Corvina piangendo di gioia allo stesso tempo.
-Ho avuto tanta paura, mamma…- singhiozzò la piccola affondando il viso nelle spalle della madre.
La maga prese ad accarezzarle i capelli dolcemente –Tranquilla piccola mia, adesso è tutto finito. Io sono con te e non permetterò mai più che ti succeda qualcosa di male- poi sollevando il viso fino ad incrociare il suoi occhi d’ametista con quelli color carbone della figlia disse con un sorriso luminoso ed il cuore aperto –E poi, le eroine non piangono-
Quelle parole fecero sussultare April dall’emozione, ma non riuscirono certo a rubare la scena a ciò che realmente importava alla ragazza: essere tornata a casa sana e salva.
-Anche tu stai piangendo- sorrise l’apprendista maga asciugandosi gli occhi col dorso della mano.
-Io posso- rispose Corvina –Sono vecchia. Ma tu ora sei una Teen Titans, Midnight!-
April tornò a tuffarsi in sua madre, venendo accolta dal caldo e protettivo abbraccio materno, non occorse che le due si scambiassero altre parole.
Rimasero lì abbracciate a terra in silenzio, completandosi l’un l’altra senza aver bisogno di altro, senza voler più separarsi.
-APRIL!!- esclamò BB, appena avvisato dell’accaduto si era precipitato alla Torre lasciando i gemelli alla riluttante zia dai capelli rosa, tutto trafelato il ragazzo verde raggiunse la figlia e strappandola letteralmente dalle braccia della moglie al fece volteggiare in aria per la gioia, come faceva quando lei era più piccolina.
-Amore di papà, sei tornata! Sei qui!- esclamò di cuore il mutaforma tenendola stretta sé.
-Non monopolizzare mia figlia!- replicò Corvina pretendendo la sua parte di coccole –Tua figlia?!- ribatté BB con una linguaccia –Lascia che ti spieghi una cosa: lei è tutta per me!- e detto questo tornò  girare su se stesso con la figlioletta stretta al petto.
Quando si fermò aprì un braccio per accogliere nel caldo abbraccione anche la moglie, che felice come una pasqua, seppure moderata nel mostrarlo (già adesso che tutto era risolto non c’era più ragione di fare la sentimentalona…era tornata la nostra solita cara Corvina) gli si affiancò sorridendo –Egoista- gli sussurrò all’orecchio a punta –Amore della mia vita- rispose lui, prima di tendere le sue labbra verso quelle pallide della maga, ricevendo così un dolce bacio continuo in risposta.
-Ehi! Qui sono io la festeggiata!- disse April non proprio felice di vedere i suoi limonare come due adolescenti, in quel momento irruppero nella sala anche Stella Rubia e i gemelli.
-Sorellona!!- tuonarono in coro andando ad unirsi all’abbraccio di gruppo, completando il quadretto familiare.
Ultima ma non per sua volontà arrivò Iella, che si era presa l’ascensore.
Era zuppa d’acqua fino alla punta dei capelli, il vestito da eroina era coperto di tagli, graffi e slabbrature, era tutta scompigliata e con una faccia di chi proprio è al limite della pazienza.
-Ti avviso testa d’insalata, tu prova a sbolognarmi un’altra volta quei due cuccioli di tigre ed io…- ma anche lei si calmò e si lasciò sfuggire un tenero sorriso davanti a quella dolcissima scena di ricongiungimento familiare.
-Va bè, per stavolta lascio correre-
 
Poco dopo, nonostante l’ora tarda, erano tutti seduti a tavola, ad eccezione dei gemelli che vinti dalla stanchezza si erano addormentati sul sofà
Erano tutti a tavola ma solo una mangiava, come aveva detto di essere stata tenuta digiuna per giorni subito April si era ritrovata la tavola imbandita di ogni tipo di carne che Cyborg era in grado di cucinare, il cibo necessario per crescere sani e forti come disse lui quando il padre della ragazzina protestò, per così tanta carnazza sul fuoco e neppure una foglia di insalata in tavola.
Quanto ad April, appena gli fu messo sotto il naso il primo hamburger trifarcito lo divorò in un batter d’occhio e molto meno discretamente di quando si addica ad una signorina.
Tutti vollero sapere come aveva fatto a liberarsi, ed April, fedele alla sua promessa, inventò una storia di come lei, mantenendo il sangue freddo nonostante la situazione, e sfruttando i suoi poteri e la distrazione dei suoi carcerieri fosse riuscita ad evadere, il tutto arricchito da parecchi particolari autocelebrativi.
Mentre tutti stavano lì in allegria Corvina, alzatasi per andare in bagnò si trovò faccia a faccia con Iella, e subito cadde nell’imbarazzo più profondo.
-Senti Iella…mi dispiace per come ti ho trattata in questi giorni, per quello che ti ho detto…e per quel pugno. Scusa- poi rivolse anche agli altri compagni –Scusatemi tutti per come mi sono comportata ultimamente, mi dispiace davvero tantissimo. Ero preoccupata, alterata…non sapevo quello che facevo. Potete perdonarmi?-
Iella si picchiettò l’indice sul mento tentennando, poi rispose divertita –Ah, non posso essere arrabbiata con te- disse dandole un’amichevole pungo sulla spalla. –Non prima di partire per le Fiji- aggiunse.
-Fiji?- ripeté incuriosito Robin.
-Esatto- sorrise Cyborg soddisfatto –Io e la mia gattina ci prendiamo un mese tutto per noi, partiamo venerdì mattina! Rotta per le Fiji!-
Stella era l’unica ancora un po’ confusa –Cosa sono le Fiji?- ma nessuno le rispose.
Solo April era rimasta spiacevolmente sorpresa di questa nuova –Ma come!? State via tutto il prossimo mese? Ma così vi perdete il mio compleanno!- disse con gli occhietti mogi all’idea.
-Su, su non fare così- la consolò Iella –Ti porteremo un regalino dalle isole-
-Non è per questo- sbuffò la maghetta – E che senza di voi mi condannate a tre opzioni una peggiore dell’altra: la torta bruciata di mamma, la torta di soia di papà o la torta “cosacavoloè?” di zia Stella- si attaccò alla gamba bionica del ragazzo afroamericano –Dai, perché mi odi tanto? Che ti ho fatto io?- Cyborg scoppiò in una grassa risata -Niente da fare, piccoletta, sono mesi che lo programmiamo e tu hai già ritardato abbastanza facendoti rapire…ma non disperare, Robin è un tipo pieno di risorse, vedrai che si inventerà qualcosa-
-A proposito- s’intromise il leader –Penso che, visti i recenti avvenimenti, forse sarebbe il caso che tu e Corvina vi traferiste per un po’ qui alla Torre, coi bambini ovviamente. Che ne dici BB?-
Il mutaforma lanciò un’occhiata interrogativa alla moglie che rispose con un leggero cenno del capo –Sì penso che in effetti sarebbe il caso di passare qualche giorno qui alla T-Tower- rispose BB allegramente, ma dicendo ciò non poteva fare a meno di pensare allo sconosciuto che pochi giorni prima si era introdotto in casa loro, e se quell’irruzione e il rapimento di April fossero…collegati? Quest’idea lo rese ancor più pensieroso, tuttavia mascherò bene la sua preoccupazione al punto che nessuno la notò…eccetto una persona empatica.
-In questo caso- disse Corvina alzandosi – Penso che farò una capatina a casa a prendere il necessario per stanotte, guai se Rick si sveglia senza il suo peluche…-
-ok, amore. Ma non metterci troppo- si raccomandò BB accarezzandole la mano mentre si dirigeva all’uscita.
-Tranquillo-
 
Nello stesso momento qualcun’altro non se la passava così bene.
Ghostface era seduto su una sedia a torso nudo davanti ad una telecamera.
Il braccio sinistro , stretto da una cintura all’altezza del bicipite, era ridotto a una gonfia protuberanza nera e violastra che dava l’idea di essere molto dolorosa.
Apparve Salde con in mano siringa di liquido, iniziando a parlare ad alta voce in modo che la telecamera immortalasse anche la spiegazione del suo procedimento oltre che le immagini.
-Siero Neo-Bios. Test 1- disse davanti all’apparecchio – Come vediamo, l’arto del soggetto è andato in cancrena per mancanza di ossigeno- disse mostrando il turpe braccio macilento dell’amico.
-Non ce bisogno che me lo ricordi- ribattè quello a denti stretti, sì, faceva un male cane.
Ignorando l’interruzione Slade riprese il discorso –la cancrena simula abbastanza fedelmente lo stato di coma di Terra, se il soggetto risponderà bene agli stimoli o ne sarà completamente risanato allora il siero sarà compatibile. Vai con il siero numero 1-
Detto questo, senza perdere ulteriore tempo in chiacchiere e spiegazioni, Slade procedette con l’iniezione del siero.
All’iniziò non accadde nulla, poi a poco a poco la pelle iniziò a riprendere colore, il braccio prese a sgonfiarsi tornando alla sua forma originale.
Dopo dieci minuti il braccio pareva come nuovo –Incredibile, c’è l’hai fatta l primo colpo!- esclamò Ghostface sorpreso.
-Così sembra- replicò il degno compare, restando tuttavia scettico, senza staccare gli occhi dal braccio studiato.
I sospetti del guercio erano infatti fondati, di lì a poco la pelle pallida di Ghostface iniziò a ritirarsi, i muscoli si contrassero allo spasmo, l’epidermide era talmente tirata che prese a strapparsi.
-Che cazzo mi sta succedendo!!- urlò Ghostface spaventato –Si chiamano effetti collaterali. Molti non guariscono bene come te, il tuo scopo è appunto quello di testarli- si limitò a rispondere Slade osservando attentamente quanto accadeva.
-AARRG!!!- Ghostface ringhiò di dolore mentre  sul braccio iniziavano a comparirgli chiazze e slabbrature di carne viva, la pelle si stava lacerando lasciando scoperti muscoli e tendini, a loro volta contratti e tesi come corde di violino.
-È terribile! Non lo sopporto aah!!-
Era come se un poco a poco stesse perdendo tuta la pelle, sbucciato come fosse un’arancia.
La mano buona affondava nel bracciolo della sedia, scavando solchi nel legno con le unghie, tanto era il dolore, una sensazione atroce, al punto che tutte le vene del collo gli pulsavano quasi volessero scoppiare, e la mascella era contratta al punto da far arricciare le labbra e sbiancare le gengive.
-E che cazzo!- tuonò Ghostface al limite della sopportazione, alzandosi di colpo e strappandosi via la cintura dal braccio, in modo che riprendesse la circolazione sanguigna e il suo fattore rigenerante aggiustasse il danno fatto.
Slade gli si parò davanti cercando di fermarlo –Aspetta dobbiamo veder e cosa succede-
-Cosa succede?! Ecco cosa succede!!- ruggì quello mostrando il braccio scorticato grondante di sangue nerastro. –Mi sembra ovvio che non funziona!- continuò imbufalito, sbuffava come un toro, cercando di fare lenti respiri per clamarsi –Io ho mantenuto la mia parte, ora tocca a te- disse indossando il suo cappotto “da becchino” come l’aveva definito il criminale mascherato.
-Dove vai? Abbiamo altri sieri da testare!-
-Forse dopo, caro il mio aguzzino- ribatté quello dirigendosi verso la porta adesso ho un impegno.
Sbattendo l’uscio Ghostface sparì nella notte, diretto chissà dove a fare chissà cosa.
 
 
Un bel bagno caldo e un po’ di relax era proprio quello che le ci voleva prima di tornare alla Torre, pensò Corvina.
Uscita dalla vasca avvolta nella vestaglia scura che le arrivava al ginocchio, Corvina aprì la porta del bagno e subito una nube di caldo vapore ne uscì scontrandosi contro al più fredda aria esterna.
Ad ogni passo le ciabatte seminavano leggere tracce d’acqua lungo il corridoio.
Oh Azar! Quanto le ci voleva un bel bagno rilassante.
Era felicissima ed entusiasta per il ritorno di April, non vedeva l’ora di tornare alla Torre, dalla sua famiglia…ma erano giorni che non si riposava, giorni passati in strenue ricerche in preda all’ansia senza un minuto di riposo: insomma aveva proprio bisogno di un momento per sé.
Si lasciò cadere sul divano sospirando, appoggiò i piedi sul pouf e chiuse gli occhi stanchi, restando sola al buio, in silenzio; rilassandosi in quella quiete che solo la sua casa buia e deserta sapeva darle.
Restava immobile a contare i battiti del suo cuore, a enumerare i suoi calmi e regolari respiri che in quel silenzio le risuonavano come il soffio della Bora.
Dopo pochi minuti passati immersa nel suo vuoto Corvina avvertì un altro respiro vicino a lei, a meno di un metro dai suoi piedi: realizzò subito cosa questo significasse…non era più sola.
Spalancò gli occhi d’ametista e si trovò davanti uno spettro bianco, solo molto più spaventoso perché almeno i fantasmi sono incorporei, non possono toccarti, quello invece era fin troppo reale.
-G-Ghostface- balbettò Corvina incredula, balzando di colpo in piedi arretrando in cerca di una via di fuga, ma trovò solo il muro alle sue spalle.
Davanti a lei stava il misterioso uomo, indosso la solita lunga giacca nera, pantaloni e stivali color pece e occhiali come la notte sul viso, tuttavia lo sploverino semiaperto rivelava il torace scolpito, il petto nudo sembrava una vera e propria statua di marmo per la perfezione delle forme di quei muscoli temprati da mille fatiche e per l’innaturale chiarore della pelle.
Li portava bene i suoi due secoli, non c’era dubbio.
Avanzò lentamente verso di lei –Ciao Corvina…-
Spaventata la ragazza si appoggiò ancor più a ridosso della parete, pessima mossa perché in quella posizione, facendo scattare le mani in avanti, lui potè facilmente inchiodarla al muro, puntandole i palmi ai lati della testa, quasi sfiorandole i capelli, con le dita aperte a raggera che arrivavano poca distanza dal collo esile della maga.
-Che cosa vuoi?- domandò Corvina con un fil di voce, cercando disperatamente con gli occhi qualcosa che potesse servirle per difendersi ma il buio della stanza occultava tutto attorno a lei, solo i loro corpi così pallidi risultavano nel nero dell’ambiente.
-Te-fu la risposta dell’uomo prima che spingesse con violenza le sue labbra contro quelle della maga, con fare prepotente la sua lingua forzò prima le labbra sottili e contratte di lei, poi le file serrate dei denti, inutilmente stretti per non far passare l’invasore, incontrando finalmente la lingua di Corvina, sentendo quel corpo estraneo girare attorno alla sua linguetta, danzare con essa, toccarla con abilità, a poco a poco, Corvina sentì sciogliersi al bacio.
Quando si separarono la giovane maga aveva le guance che le avvampavano e il cuore che le batteva a mille, per quanto detestasse ammetterlo persino a se stessa…era eccitata.
Lui tornò alla carica, baciandola con più voga sul collo, Corvina percepiva la lingua del criminale correrle sulla pelle, incapace di fermarla, spinta dalla disperazione, tentò di opporre una strenua resistenza, una misera e fragile difesa che non avrebbe mai retto l’impeto di quel focoso assalto, ma doveva comunque provarci per non perdere ogni briciolo di dignità.
Lo spinse via con entrambe le mani –NO! Stammi lontano!- Ghostface non si scompose, anzi sorrise.
Allungò la mano buona verso di lei, che cercò di tenerla lontana, di ritrarsi, ma le dita che avevano bloccato la mano dell’uomo si fecero vincere da quel tocco così etereo e vellutato, il palmo color neve raggiunse, facendo sussultare al giovane maga con una dolce carezza che dagli angoli delle labbra le arrivò fino ai corti capelli viola.
-Davvero, Corvina? Davvero vuoi questo?- disse con voce melliflua –Dì la verità. Quante volte hai goduto come quella volta 13 anni fa?-
La maga umiliata abbassò al testa, incapace di negare –Mai, non ho mai provato nulla di paragonabile a quell’unica volta- senza bisogno di aggiungere altro, Ghostface tornò a baciarla afferrandole i polsi, inchiodandoli in alto sulla parete, con la sua stretta possessiva e delicata allo stesso tempo.
-No ti prego…- cercò di protestare –Non posso…sono sposata…John smettila ti supplico- ma erano parole deboli a cui neppure la stessa Corvina che ora le pronunciava, più per dovere che per reale convinzione, poteva negare a se stessa che nonostante fosse accaduto 13 ani prima non aveva mai dimenticato quell’unica notte in cui Ghostface l’aveva presa…o per meglio dire quando lei si era donata a lui.
Chiamandolo per nome non aveva che confermato tutto questo.
-Sindrome di Stoccolma, vero?- sussurrò l’assassino al suo orecchio piccolo e leggermente affusolato –Sviluppa un’attrazione nei confronti dei propri aguzzini…e non mi pare che te ne sia pentita, vero? So come dare piacere alle donne, so come farle godere-
Si sfilò il soprabito nero, rivelando le braccia forti, muscolose e nivee che non avevano nulla da invidiare a uno con un quindicesimo dei suoi anni.
Si staccò dalle sue labbra adagio, scendendo lentamente, ma non troppo, prima sul mento poi sul collo e poi ancora più giù.
 
(avviso ai lettori. Inizio contenuti spinti, per chi volesse saltare al storia riprende sotto il mio commento scritto in grassetto. Ps io non lo salterei fossi in voi)
 
Le mani lasciarono i polsi di lei scivolando lungo le braccia fino a chiudersi sui seni sodi, premendone le punte; scostando la vestaglia col viso Ghostface continuò a baciare e leccare fino ad arrivare all’ombelico , scese ulteriormente su quel corpo perlaceo, stupendo, trovandosi infine con gli occhi all’altezza delle mutandine di pizzo nero, l’unico indumento che la strega indossasse oltre l’accappatoio.
-John…non possiamo. Tu sei malvagio-
-Io sono cattivo, eh? Hai ragione, non sai quanto. Ma quello che sto per farti sarà molto molto bello…- lasciando il petto di Corvina le mani si poggiarono sui fianchi alti, sotto la vestaglia aperta, attaccandosi direttamente alla pelle.
I pollici passarono sotto il sottile lembo di stoffa nera abbassandolo fino alle ginocchia.
Corvina sentì il caldo respiro di lui sul suo sesso già umido, il fiato le divenne pesante e il battito accelerò per la tensione di quel momento.
Dopo pochi, interminabili e tesissimi istanti in cui si soffermò a guardare quella splendida visione che la maga teneva nascosta tra le gambe, invitante come un frutto maturo appena colto, Ghostface tuffò le sue labbra in quelle della ragazza…ma erano un altro tipo di labbra, ben più in basso di quelle facciali.
<Che fica fantastica> pensò leccando come un forsennato.
-AH!- sussultò Corvina mentre sentiva la lingua inoltrarsi in lei, scavare a fondo nel suo corpo con perizia e abilità, facendola impazzire di piacere.
Andarono avanti così per almeno una ventina di minuti, tra baci e gemiti, lei era in preda all’orgasmo, con la vestaglia spalancata che ormai non copriva più nulla, e le gambe divaricate per facilitare il compito al suo “ospite”.
Le dita contratte come artigli cercavano disperatamente un appiglio sulla parete liscia alle sue spalle.
Le gambe non la sorressero più, scosse da una serie di tremiti, sarebbe scuramente caduta se non fosse stato per quelle forti braccia che la reggevano attaccate come artiglia alle sue natiche di madreperla; non senza piacere Ghostface affondava le sue dita nei glutei tondi e invitanti, accarezzandone il solco in mezzo.
Infine Corvina venne guaendo di piacere.
Le gambe cedettero definitivamente e la strega si accasciò al suolo come un corpo morto.
Ghostface si rialzò guardandola con quel suo sorriso beffardo e soddisfatto e ovviamente cattivo.
Si passò un dito sui baffi umidi di umori, che poi leccò ghignando divertito ed eccitato per quello che aveva provocato nella Titans…di nuovo.
La maga, consapevole di ciò che aveva permesso che succedesse, se ne vergognava terribilmente e si sentiva profondamente  in colpa nei confronti di BB, nascose il viso tra le mani, mormorando con le lacrime che le solcavano le guance purpuree –Vattene via…vattene via…ti prego…-
Seduto sui talloni, Ghostface avvicinò il suo viso a quello rosso fuoco della persona di fronte a lui, le abbassò le amni dal volto e sollevò il mento affusolato con un dito, asciugandole gli occhi con delicatezza.
-Sai Corvina, 13 anni fa la tua bella boccuccia petulante sapeva fare cose più divertenti oltre che lamentarsi….-
Senza aver bisogno di rispondere l’eroina annuì, mettendosi in ginocchio davanti a lui mentre lui si era rialzato in tuta la sua altezza, premette il viso contro il cavallo del criminale.
Sentì il rigonfiamento dentro i pantaloni scuri, e ne fu eccitata.
Cercò il membro rigido all’interno degli indumenti, e quando la sua mano si strinse attorno alla spessa e grande asta di carne si sentì avvampare dentro.
Come tredici anni prima lo tirò furi dai calzoni, ammirandolo per pochi istanti svettare verso l’alto e si sentì un poco orgogliosa di essere stata lei a provocare quell’erezione così impressionante.
<Chi ha detto che i vecchi sono impotenti?> pensò avvicinando il viso a quello scettro d’avorio.
Quando infine la punta entrò nelle sue labbra Corvina raggiunse l’apice del piacere.
Era così bello sentirsi nuovamente così piena e presto lo sarebbe stata ancora di più.
Iniziò a pompare con lena, succhiava, baciava e leccava dando il meglio di sé per far godere l’uomo che presto l’avrebbe posseduta.
Prolungò il piacere di Ghostface rendendolo più intenso, più profondo, al punto che anche lui prese ad ansimare di goduria.
Quando si sentì vicino a venire, Jonathan le prese la nuca con le mani, spingendole il membro in gola con forza, in profondità fino a farla soffocare, costringendola ad ingoiare tuto quello che le riversò nell’esofago.
Un po’ rintronata per il trattamento violento eppure così eccitante Corvina si alzò prendendolo per mano –Vieni- disse sensuale con le labbra ancora sporche di sperma –Andiamo in camera da letto-
Che notte indimenticabile fu quella.
Appena sul letto si saltarono addosso reciprocamente, presi da una folle passione erotica, si denudarono, in pochi secondi, si baciarono, si leccarono e si toccarono in tutto il corpo.
Lui al penetrò con forza possessiva, spingendo e spingendo sempre di più, poi fu il turno di Corvina di cavalcare il suo amante nella posizione dell’amazzone.
Si scambiarono l’un l’altro erotici piaceri quasi senza interruzione, Corvina concesse a quel pazzo omicida che aveva tentato di ucciderla persino quella parte di sé che aveva sempre negato anche al marito.  
-Avanti John…- disse ansimante, sudata per l’intensa attività ma ancora arrapata e vogliosa come mai lo era stata finora –Ficcamelo nel culo, sono ancora vergine lì…sfondami- e detto questo si mise a quattro zampe aspettando di essere violata anche nella sua parte più riservata.
Cosa che non tardò ad accadere, Ghostface certo non se lo fece ripetere.
Le fu addosso come un mastino monta una cagna, facendola strillare di dolore al momento della penetrazione, quando la forzò senza alcuna delicatezza, e facendola guaire di piacere per il resto dell’amplesso erotico finché entrambi non giunsero all'orgasmo definitivo.
-Ti amo Jonathan…- disse la maga riprendendo fiato, accoccolata sull'ampio petto muscoloso dell’assassino.
-Neanche tu sei tanto male, bella- sorrise quello accarezzandole i capelli.
-Il miglior sesso della mia vita- commentò la donna dalla pelle perlacea –Dimmi, perché sei tornato?-
-Ho dei lavori da fare qui a Jump city…persone da ammazzare, luoghi da distruggere, roba da rubare…-
-E dopo che farai?- chiese nuovamente la maga massaggiando da sotto le lenzuola il cavallo dell’uomo, sperando in un secondo round.
-Quello che faccio sempre…sparirò dalla circolazione prima che scoprano un modo per uccidermi-
A quelle parole Corvina ebbe un sussulto, divorata dall’incertezza tentennò per diversi minuti in silenzio, ascoltando il cure che da troppo tempo batteva nel petto sotto la sua testa.
Si decise.
-Portami con te- disse chiaramente fissandolo in quei freddi occhi di ghiaccio, ma fu costretta ad abbassare lo sguardo poco dopo, in tutti quegli anni non erano ambiati minimamente, erano ancora terrorizzanti, glaciali… insostenibili
Ghostface la guardò a sua volta stupito e divertito allo stesso tempo –Non eri quella sposata, tu? Che fine ha fatto la fedele mogliettina?-
-Io voglio bene a BB…ma non lo amo…- confessò Corvina chinando il capo tra le ginocchia.
-Ho corso troppo quando mi ha chiesto di sposarlo, ero presa dal momento, mi sono reso conto che non è lui quello adatto a me…volevo lasciarlo ma poi sono giunti i bambini…ormai però la situazione è insostenibile.
Io non posso far finta di essere in una famiglia felice quanto io e lui a stento ci parliamo, quando lui non riesce mai a sorprendermi, nonostante i suoi sforzi non sa come rendermi felice, e ne soffre.
Non riesce ad appagarmi, ogni volta, dico ogni volta, che facciamo l’amore, lui non regge il mio ritmo e alla fine devo sempre soddisfarmi da sola- sospirò – io non ce la faccio più…ti prego John…promettimi che dovunque andrai io verrò con te-
Ghostface rimase a lungo in silenzio, tamburellando le dita di una mano contro le reciproche dell’altra, con fare pensieroso.
Era una bella promessa da fare, certo Corvina le piaceva e anche molto, una vera bomba sexy per uno della sua età ed era anche una pantera a letto…ma conviverci…non era sicuro di essere pronto.
Non lo spaventavano le ripercussioni che sicuramente questa fuga gli avrebbe causato, avrebbe lottato come al solito contro tutto e contro tutti, e avrebbe vinto ancora un volta.
Ad impensierirlo era invece la possibilità di legarsi di nuovo, quante volte aveva messo su famiglia, quante volte aveva dovuto seppellire i suoi figli, quanto dolore e quanta gioia gli avevano portato tutti quei momenti…la morte forse non poteva prendere lui, ma era perfettamente in grado di afferrare i suoi cari, facendolo soffrire come tanto tempo prima, per questo aveva smesso di avere rapporti umani, per smettere soffrire…e di amare.
Ma Corvina…lei era diversa, era unica nel suo genere…proprio come lui. E allora perché no? Perché non rifarlo? Perché non tentare nuovamente e vedere cosa succede?
-Te lo prometto- disse infine dandole un lungo, tenero e appassionato bacio sulle labbra, intrecciarono le loro lingue in quel gesto per suggellare il loro patto, il loro amore.
Quando il bisogno d’aria si fece impellente allora si separano e Ghostface tornò ad accarezzarle prima al schiena, poi i seni e infine le natiche sode –Ma ora perché non facciamo un altro gioco, un po’ più adatto alla mia età? Ti piace la tombola?...comincio io: 69-
Corvina capendo al volo si girò e si mise a cavalcioni sopra di lui, mettendo la testa sotto le lenzuola tra le gambe marmoree del criminale, incrociando l’oggetto del desiderio.
Con voce eccitata e seducente disse –Tombola-
 
Il video si spense.
Ghostface guardava allibito a bocca spalancata, ancora incredulo per quanto aveva visto.
Dietro le lenti affumicate gli occhi parevano dover schizzare fuori dalle orbite.
-Q-quello sembravo proprio io…- mormorò appena riebbe la capacità di parola.
-Lo so- sorrise Slade da dietro l’inseparabile maschera nera e rame.
-E lei…lei era identica a Corvina….- aggiunse ancora imbambolato a fissare il monitor ormai nero.
-Precisamente, perfetta nei minimi dettagli-
-Come cazzo ci sei riuscito?!- domandò voltando la testa verso il suo vecchio allievo.
-Non è stato così complicato. Ho assoldato due pornostar dilettanti perché recitassero i copioni che io avevo scritto, dopodiché, ottenuto il filmato, mi è bastato sostituite pixel per pixel in ogni singolo fotogramma l’immagine dei due attori con quelle di te e Corvina.
Grazie al mio personale impianto di videocamere nella città ne possiedo in enorme quantità di vostre immagini.
Infine sempre grazie alla mia svariata raccolta audio ho cambiato le voci e ho montato il tutto ottenendo come risultato questo- concluse Slade tenendo in mano il DVD che raffigurava quella falsa sequenza di sesso sfrenato tra Ghostface e Corvina.
-Non è stato così complicato coi giusti programmi- aggiunse il guercio soddisfatto ed appagato dia ver finalmente realizzato un suo vecchio desiderio, lasciare stupefatto il suo maestro.
Anche se sperava per qualcosa di più di un porno taroccato, ma chi si accontenta gode.
E Slade se l’era goduta proprio quell’espressione smarrita del suo istruttore davanti al filmino a luci rosse che lo ritraeva.
 
((FREGATI!!!! Credevate che Ghostface e Corvina avessero scopato, eh? Mi stavate già maledicendo mordendomi le dita, non è così? E invece…scherzetto!! Ah ah ah quando si ah a che fare con me nulla è come sembra…))
 
Ghostface prese il disco traslucido tra le mani –Inizio a credere di aver fatto realmente sesso con quella troietta-
-Lo scopo è quello- ribadì Slade –Far sì che sembri il più realistico possibile. E il meglio è che agli esami di scanner e alle analisi di formato risulta perfettamente autentico, è impossibile dimostrare che questo video è un falso, neppure il loro caro Cyborg riuscirà a far saltare la mia copertura di hardisk-
Ghostface se lo rigirò con attenzione tra le dita –Ottimo lavoro Willy, sul serio. Certo prima di darlo  i Titans devi masterizzarmene una copia-
Slade punto i pugni sul tavolo, assaporando quella che presta sarebbe stata al sua terribile vendetta –Riesci ad immaginare la faccia di quell’omino verde quando vedrà la mogli fottuta come una cagna in calore dal suo peggior nemico? Gli si spezzerà il cuore e questo spezzerà anche la squadra, distruggendola dall’interno…e allora noi li attaccheremo uno ad uno, eliminandoli definitivamente.-
-A proposito…- lo interruppe Ghostface arrestando il suo giro di fantasie vendicative –Non credi di aver fatto Corvina un po’ troppo…come dire…troia? Sembra una morta di cazzo che non vede un uomo da anni. Cioè, so di far questo effetto alle donne però non pensi di aver strafatto un pochino?-
Slade sbuffò irritato dalla critica al suo duro lavoro di sceneggiatore, regista, grafico, audio-tecnico e addetto al montaggio –Doveva sembrare cotta di te, no? Se filmavo uno stupro cosa avremmo ottenuto? Deve sembrare una obbediente e sottomessa cagnolina ai tuoi piedi-
-Se lo dici tu…comunque rende l’idea. Come sapevi che è vergine da dietro?- chiese incuriosito il vecchio dai capelli bianchi per antico pelo.
-Anche i muri hanno le orecchie, e in questa città tutte le voci convergono ad un solo paio di orecchi: le mie. Quanto a te ho tirato a indovinare, tutti i maschi vanno pazzi per il culo di una donna- con un gesto fulmineo delle mani, l’ombra guercia sottrasse il DVD dalle dita di Ghostface riponendolo al sicuro in una custodia.
-Io ti ho svelato il mio trucco. Ora perché non mi dici cosa sei andato a fare poco fa, quando sei uscito dopo il test del siero numero 1?-
Il vecchio sorrise –Vieni, te lo mostro-
I due andarono nel garage della base segreta, un enorme stanzone squadrato di grigio cemento, illuminato da neon ronzanti, la via d’accesso era sbarrata da portoni automatici di metallo che nascondevano la salita esterna per uscire dalla sala interrata.
Era pieno dei mezzi più diversi che Slade aveva collezionato nel tempo.
Conteneva al suo interno anche una copia perfetta della R-cycle e il motore appartenuto alla Bat-mobile.
Ora spiccava in mezzo agli altri anche un nuovo veicolo, un imponente pick-up nero.
Era veramente grosso, e spesso. Quell’auto trasudava potenza.
-Taa-daa…ecco a te il Warthog, il mezzo a quattroruote  più potente e pesante dell’autoconcessionaria, meglio nota come “ ecco dove sono finiti i 100.000 dollari che mi hai prestato ieri”-
Ammirando il mezzo Ghostface gli tirò soddisfatto una pacca sulla portiera –Certo non sarà una ferrai, ma con qualche piccolo ritocchino riuscirò a mettergli le ali alle ruote, poco me sicuro. Ho riparato jeep, carroarmati e aerei in afghanistan-
Slade non era arrabbiato, era solo esasperato.
Lui lavorava come uno schiavo per mettere i Titans l’uno contro l’altro e il suo socio andava a far shopping con i SUOI soldi!!
Rimase composto come suo solito, controllando le sue emozioni, ma strinse i pugni talmente forte da far trasparire i nervi e sbiancare le nocche, affondò le unghie nel palmo fino a ferirsi.
-Dove pensi che li peschi io i soldi? Non è che crescano su gli alberi! Posso permettermi un esborso di 100.000 dollari ma non sono un colpo leggero neanche per me! Sono solo milionario!
E quel che è peggio è che li hai spesi per comprarti un’auto anziché per vendicarti nei nostri avversari!-
-Cosa?- disse Ghostface con aria interrogativa –Se avessi saputo che sei milionario ti avrei chiesto molto di più! Comunque non devi preoccuparti, Warthog non è per me, anzi se vuoi farci un giro ti consiglio di farlo subito, presto non sarà più disponibile per giri di piacere.
Capirai che ho speso bene quei soldi…e poi…- disse avvicinandosi a un altro ciclomotore nascosto da un lenzuolo giallognolo –Questo l’ho preso per me!- disse sollevando il telone, rivelando una Harley Davidson rilucente come fosse d’argento –Ti presento Alighieri, un autentico chopper del ’58 proprio come quello che avevo tanto tempo fa- commosso dalla visione della stupenda e massiccia moto dall’alto manubrio ripiegato all’indietro come fossero corna e dalla lucente ruota prominente, Ghostface si chinò dando un affettuoso bacio al fanale della motocicletta, abbracciandola come una figlia.
Slade sbuffò rassegnato ad avere uno squilibrato imprevedibile come alleato.
-L’hai chiamata “Alighieri”. Non è che esprima molta paura…- si limitò a commentare saccente.
Subito Ghsotface si alzò puntandogli il dito in faccia, e serio lo ammonì –Non toccarmi Dante, sai? L’inferno è stato l’unico libro che per miracolo sono riuscito a conservare ad Auschwitz, l’unica cosa che mi ha mantenuto umano in quell’inferno molto più realistico, inoltre era l’unico libro che avevo con me quando fui portato su Tamaran dopo essere scappato e quindi l’unica cosa che potessi leggere per anni. Adoro quel libro-
-Fa come preferisci- replicò il guercio –Ora torniamo di sopra però, ti sei divertito a far compere ma ci sono ancora altri nove sieri da testare-
 
 
Una settimana dopo
 
 
-Here to the blaze
I wander
Through this black night
I thunder
The edge of our mighty swords
Did clash
Fallen by our axes
Helmets smash…-
Ghostface iniziò a cantare con lo stereo
 -Glory and fame
Blood is our name
Souls full of thunder
Hearts of steel
Killers of men
Of warriors friend
Sworn to avenge our fallen brothers
To the end !!-
Slade entrò nel garage interrompendolo.
-Vedo che hai finito-
-Quasi- rispose il vecchio tornando a immergersi sotto il pick-up.
Per tutta la settimana aveva armeggiato con l’imponente automezzo, potenziandone i motori, rinforzando al carrozzeria, sostituendo sedili e cinture e parabrezza con pezzi provenienti dalle auto usate dei tamponamenti dei film, il bestione era diventato ancora più grosso e potente e reso assolutamente a prova di morte…dall’interno.
Ispirato dal nome Ghostface aveva anche montato sul paraurti anteriore una robusta gabbia di ferro battuto che si diramava sul cofano come una sorta di corazza difensiva e da cui spuntavano due spessi rostri di metallo ricurvi, sporgenti in avanti, come le zanne di un facocero. 
Il tutto ascoltando musica rock al massimo volume.
Strinse gli ultimi bulloni ed uscì da sotto l’auto, era in pantaloni scuri e canottiera bianca, ed era anche tutto sporco di grasso e olio per motori.
Mentre si lavava le mani chiese –Che ore sono, Willy?-
-Sette in punto, del mattino-
-In perfetto orario- commentò.
-Qual’è il tuo piano?- domandò l’amico cieco da un occhio.
Svelto s’infilò una tuta ignifuga da stuntman e prese con se un caso nero, su cui aveva dipinto il mezzo teschio ghignante che aveva anche sulla sua vecchia maschera, ormai in disuso. 
-Forza peso unita ad accelerazione per velocità costante e potenza d’impatto…lo vedrai domani sui notiziari. Non aspettarmi per pranzo- sorrise premendo l’acceleratore.
Slade aspettò in silenzio che il pick-up corazzato uscisse dalla base segreta per tornare a immergersi nei suoi studi.
<Ridi John, ridi e divertiti finché puoi. Grazie a te ho finalmente scoperto come risvegliare Terra…ma a dirtelo non ci guadagno niente…non finché non avrò trovato un modo per assimilare il tuo fattore di guarigione per farlo mio…e neutralizzare il tuo>
 
Erano partiti da Jump city alle sette in punto, alle 8 e mezza sarebbero arrivati all’aereoporto e alle 9 sarebbe partito il loro volo per le Fiji (o almeno lo speravano vista l’efficienza dei servizi pubblici)
La t-car divorava l’asfalto dell’autostrada, superando uno dopo l’altro tutti i vari guidatori, il motore rombava imperioso, e cyborg tutto orgoglioso della sua bambina, non perdeva occasione per mostrare l’insuperabile efficienza della sua macchina a chiunque incontrasse lungo la via con numeri di guida poco raccomandabili in autostrada..
Mancavano ancora 40 minuti a destinazione, ma Iella già non stava più nella pelle, si sporgeva a mezzo busto dal finestrino con in collo una collana di fiori.
Sarebbe voluta partire già con reggiseno di cocco e gonnella di frasche ma alla fine aveva desistito per evitare problemi con qualche vecchietta benpensante e quindi ritardi sul volo.
 
-Sopra un’isola tropicale,
sotto una luna di lava fusa.
Con ballerine a far domande,
e che sanno tutte risposte.
Metto la protezione,
seduta in riva al mare,
me la spalmo addosso
me la spalmo addosso!-
Iella cantava ancheggiando e muovendo torno e braccia come una ballerina di ola, tutto questo per metà fuori dal finestrino.
Cyborg l’afferrò per il vestito rimettendola a sedere sul sedile.
-Vuoi volare di sotto?- gli disse con un sorriso di chi ormai ha perso ogni speranza di cambiare la partner.
-Me la stavo solo spassando un po’. Ma perché non ci siamo andati con T-jet alle Fiji? Come avevo detto io. Avremmo fatto molto prima- domandò la ragazza aggiustandosi il fiore tropicale tra i capelli fucsia.
-Perché voglio godermi questa vacanza, non stare a pensare a dove parcheggiare quell’astronave e poi pensa a tutti i curiosi che ci toccherebbe scacciare ogni giorno. Inoltre con un aereo di linea posso dormire e mi danno pure le noccioline!-
-Sei sempre il solito- borbottò la ragazza ma era troppo allegra per tenere il broncio –Ci pensi mi piccolo tostapane ripieno? Tra poco saremo alle Fiji!- e riprese a muovere le braccia a tempo come per simulare le onde del mare, imitando i tipici balli hawaiani.
-Haloa-hei, haloa-hoi
Haloa-hei, haloa-hoi…-
-Gattina, “haloa” lo dicono alle Hawai, non alle Fiji- precisò Cyborg, con le amni ben salde sul volante.
-Uff…sai chi se ne frega. Un paradiso terrestre vale l’altro, no?-
-Pensa a legarti la cintura piuttosto che a dire scemenze- ribatté Cyborg notando che la fidanzata era slacciata sul sedile.
-Pfui, cinture- fece scettica Iella con una smorfia –Ne ammazzano più di quanti ne salvin…-
Non potè finire la frase che si scatenò l’inferno in terra.
Un colpo violentissimo la sbalzò dal sedile facendole fracassare il vetro del parabrezza con al testa, cyborg perse l controllo dell’auto che subito deviò a lato spinta da qualcosa di grosso e forte,  nessuno capì più nulla.
Un enorme pick-up nero, irto di speroni di ferro era uscito dall’imbocco di una statale andando addosso alla T-car con tutta la sua forza e il suo peso.
L’enorme mezzo aveva speronato la fiancata della T-car piegando le lamiere rinforzate, i rostri d’acciaio penetrarono all’interno dell’auto squarciando qualsiasi cosa sul loro cammino, l’urto fu talmente forte che l’auto Titans sbandò andando a schiantarsi a 80 miglia orarie contro i divisori di cemento delle corsie e il pick-up con le sue due tonnellate di peso scavalcò il tettuccio della T-car appiattendolo e deformando l’intera vettura.
Inevitabili furono i tre tamponamenti di civili che seguirono all’incidente in autostrada, andando a colpire per due volte le due auto, l’una sopra l’altra, scontrandosi col retro del T-car e del pick-up.
In meno di un battito di ciglia delle due macchine non restava che un grovigli fumante di scheletri metallici e lamiere contorte, taglienti e deformate come una trappola mortale che imprigionava chiunque fosse sopravvissuto al loro interno.
Ammesso che ci fossero sopravvissuti.
 
 
 
 
 
Ok, sicuramente vis tare chiedendo perché mai ho aggiornato così presto e soprattutto con un capitolone così.
Questo è il non plus-ultra di tutti i miei capitoli, non scriverò mai più nessun capitolo così lungo, poco ma sicuro.
Ci ho messo dentro di tutto: ambientazioni dark, amore, tenerezza, sesso selvaggio, misteri, scienza, motori, piani malefici ancora in parte da rivelare, canzoni, momenti comici e ironici e ovviamente il segno distintivo della serie Rigor Mortis che ancora non si era presentato in questa storia…la morte!
È tempo di movimentare un po’ le cose!
Ma il motivo per cui ho fatto questo giga-capitolone (che spero sia piacuto a tutti, e di non essere stato troppo spinto nella descrizioni xxx) è che devo festeggiare i 1000 lettori!!!
Yuupee!!!! Vi adoro, gente. Smack!
 
Ghostface

p.s. le canzoni sono rispettivamene "Sons of Odin" dei Manowar e la canzone di Jake il cane di Adventure Time in "Re Lotta" 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9 ***


CAPITOLO 9
 
Dopo gli schianti, le grida, e il frastuono solo il silenzio regnava tra le lamiere contorte, solo un lungo impenetrabile silenzio.
Una portiera fu sbalzata via, e un uomo cadde a terra dal pick-up nero che aveva provocato l’incidente.
Il viso era coperto da un grande casco nero, l’intero corpo da una tuta dello stesso colore ma era evidente da come si muoveva che era tutt’altro che illeso.
A fatica scavalcò il divisore della corsia barcollò verso la prima auto fermatasi lì in mezzo per vedere cos’era accaduto, sulla strada diretta a  Jump city.
Spalancò la portiera e, afferrato il guidatore, lo scaraventò a terra co un gesto violento.
-Cavati! Ho un appuntamento- grugnì sputando a terra un grumo di sangue, salì in auto ancora intontito dal colpo e col volto bagnato di sangue, sotto il casco.
Chiuse la portiera e partì ingranando la quarta verso la città.
L’uomo che di colpo si era trovato col culo sull’asfalto aveva assistito a tutto incredulo e incapace di reagire.
-Chi cazzo era quello?-
 
-Fottiti!!! Fottiti!! Beccati questo bambaccione! Ma vieni!! Ma vieni!! Ma chi sono!!?- April saltellava come un’ossessa attorno a Bruce, che con una faccia da chiodi sopportava, sbuffando come un toro, le parole di sfottimento della ragazzina.
-Tredici a zero! Tredici a zero!!Fai schifo, fai! Fai schifo!! - continuò lei agitando la console davanti all’amico – È la tredicesima volta che ti faccio il culo a Call of Duty MW2. Crepa schiappa!!!-
I due ragazzi avevano un modo tutto loro di giocare al videogioco, stancatisi rapidamente delle normali missioni avevano approfittato del “fuoco amico” per trasformare tutto in un unico campo di battaglia tra loro due.
Si divertivano ad ammazzarsi a vicenda, facendo ovviamente attenzione ai normali nemici virtuali, in modo da essere da soli contro tutti e l’uno contro l’altra.
E per la tredicesima volta April aveva ammazzato l’avatar di Bruce, anzi per umiliarlo particolarmente stavolta l’aveva ucciso non con un fucile, non con una granata, ma con un coltello!
Dopo questo non tanto breve lasso di tempo i due si lasciarono andare sul divano semi circolare della Ops Mains Room.
Erano quasi le sette di sera, il giorno era trascorso senza che nulla di particolare accadesse: Cyborg e Iella erano partiti di buon mattino e da allora nessuno li aveva più sentiti, probabilmente avevano qualcosa di meglio da fare, Robin e Stella erano usciti per i fatti propri mentre Corvina e BB erano andati a far la spesa con Ruby.
Il piccolo Rick con l’influenza era rimasto alla Torre coi due adolescenti, che l’aveva prontamente messo in quarantena rinchiudendolo nella stanza che un tempo era appartenuta a suo padre, incuranti delle lamentele e dei pianti del bambino. 
Il resto del pomeriggio lo avevano passato a divertirsi tra loro da buoni amici.
Ora insieme si riposavano stravaccati l’uno accanto all’altra sul divano.
Si sorrisero a vicenda.
-Che hai, Bruce?- chiese April ansimando leggermente per lo sprizzante ballo della vittoria –Di solito ti batto undici a cinque, ma oggi ti ho davvero stracciato e non è che mi sia impegnata più del solito. Sei fuori allenamento?-
Il ragazzo arrossì volgendo lo sguardo dall’altra parte.
-Non è niente…- bofonchiò- Sono solo distratto…-
-E da chi? Non sarai mica innamorato???- ridacchiò lei balzandogli addosso, scompigliandogli i capelli rosso fiamma e ribelli come quelli del padre.
I due iniziarono a lottare giocosamente sul divano, cercano di immobilizzarsi a vicenda –Dimmi chi è!  Dimmi chi è!- rideva April cercando di far parlare l’amico, che si ostinava a negare l’evidenza.
Alla fine Bruce riuscì a bloccare l’amica afferrandole i polsi, e grazie alla sua forza era lui a dirigere le braccia di lei.
April, restava però a cavalcioni sul petto di Bruce, col petto che le batteva, se non a mille almeno a 500, e i capelli tutti scompigliati che le cadevano paralleli al capo, chino su quello del mezzo sangue alieno.
-Ho vinto io- sorrise Bruce, lieto di averla scampata.
-No- replicò April –Sopra ci sono io, quindi secondo le regole a tappeto ci sei finito tu. E ora vuota il sacco!-
Abbassando un momento lo sguardo, Bruce sospirò, in fondo prima o poi doveva accadere….perché non ora allora? Dopotutto era una ottima occasione quella.
Ed era da tanto che si teneva quel peso dentro.
-Vedi April…quando ti hanno rapita…io ho avuto tanta paura…-
-Non certo quanto me- ribatte lei spensierata, troppo spensierata per accorgersi di cosa stava accadendo –Su, non divagare- lo incitò ascoltandolo attentamente.
-April…io non so come dirtelo- ammise imbarazzatissimo il ragazzo che mai si era trovato in una situazione più scomoda di quella.
-Dirmi cosa?- lo incalzò ancora lei, avvicinando di più il suo viso a quello dell’amico.
I lunghi capelli viola pendevano nascondendo entrambi i visi come dietro una tenda di fili lisci e setosi che generava in loro un sentimento di profonda intimità.
Bruce sentiva il cuore scoppiargli, ormai non ce la faceva più…e non si trattenne.
<Vada come vada, io mi butto!>
Allungò il collo, e più rapidamente di quanto April si aspettasse, appoggio le sue labbra su quelle pallide della ragazza.
In breve anche la lingua chiese di entrare, e non incontrò resistenza, ma nemmeno accoglienza: la lingua di April restava immobile nonostante tutto.
La cosa l’aveva lasciata allibita, stupefatta…con gli occhi sgranati vedeva il ragazzo sotto di lei che le aveva preso il suo primo vero bacio.
A poco a poco la ragazza iniziò a reagire agli stimoli di lui, rispondendo colpo su colpo all’intreccio delle lingue tra le loro labbra, chiuse gli occhioni viola e sentì la mano di Bruce risalirle i capelli e accarezzarle la nuca, un tocco che le parve molto molto più caldo e delicato di quando poco prima si erano rotolati l’uno sull’altra…non sapeva dire a se stessa se la cosa le piacesse davvero…ma era un bella sensazione.
I visi si separarono, uno più rosso dell’altro, infiammati sulle gote dall’imbarazzo del momento e dai raggi del sole del venerdì che tramontava, la cui luce vermiglia oltrepassava la barriera dei capelli di lei, accendendo di luce rossa entrambi i volti incerti e insicuri, che si guardavano profondamente negli occhi.
Col cuore che le batteva all’impazzata, così quasi per caso, ad April riemerse un pensiero riguardo al tramonto del venerdì che ora li abbracciava caldo coi suoi raggi.
-April, io…- la ragazza scattò in piedi interrompendo il giovane.
Afferrò il mantello di Midnight, che teneva sempre a portata di mano, e corse verso la porta.
La sciando Bruce ammutolito ancora steso sul divano.
-Mi dispiace- gli disse sulla soglia –Devo andare- pochi secondi dopo era già svanita, forse inghiottita da una delle sue illusioni ottiche per sfuggire alla tensione e all’imbarazzo del momento.
Ma non sarebbe certo riuscita a fuggire altrettanto facilmente dalla vera e propria rivoluzione che le sue emozioni stavano compiendo in lei, scompigliandole l’animo e mettendole a ferro e fuoco il cuoricino.
Bruce si rimise seduto sospirando deluso.
Aveva rovinato tutto.
Afflitto per le sue delusioni amorose, guardò quasi con svogliatezza il piccolo rinoceronte verde col moccio al naso che era apparso di colpo trottando del salone, calpestando quanto incontrava sul suo cammino.
-Dà retta a me, Rick. Non crescere mai-
 
 
-Vieni, amore mio- Slade si protese verso la giovane donna che finalmente, dopo tanti anni di coma, usciva dal suo stato vegetativo.
Terra avanzò smarrita i primi passi incerti, uscendo dalla capsula d’incubazione, svuotata del suo liquido, dopo tanto tempo usciva da quell’utero artificiale, entrando di nuovo in contatto col freddo e duro mondo esterno.
Era come nascere di nuovo.
La pelle nuda rabbrividì a contatto con l’aria, Terra arretrò tornando in quel loculo di sicurezza che aveva abitato per tutti questi anni.
Era come una bambina smarrita.
-Su, non aver paura- la incoraggio ancora lui.
La giovane si fece coraggio ed uscì dalla capsula d’incubazione, percorrendo la corta passerella che l’avrebbe condotta fino al suolo.
Vacillò.
Slade fu pronto a sorreggerla affinché non cadesse, per la prima mezz’ora sarebbe stata come una neonata, con le ossa deboli, la pelle fragile e delicata, e completamente dimentica di tutto ciò che le era accaduto, sperduta come un animaletto, come un cucciolo dimenticato, incapace persino di emettere suoni se non qualche verso spaurito.
Poi il suo corpo avrebbe reagito alla vita, adattandosi rapidamente all’età che possedeva, anche il suo cervello avrebbe riacquistato tutte le sue facoltà intellettive…o quasi.
Ben memore di quanto era accaduto anni orsono, il criminale aveva provveduto a rimuovere dalla mente della ragazza i bei momenti passati coi Titans, le giornata felici di una vita passata, facendole dimenticare il modo in cui l’aveva sconfitto e quello in cui lui l’aveva trattata.
Erano però rimasti ben in pressi nella sua memoria l’odio nei confronti dei suoi vecchi amici, e la focosa passione nei confronti di quell’uomo innanzi a lei, quell’amore proibito che l’aveva spinta a tradirli.
-Coraggio, prendi la mia mano- disse lui con voce calda, tendendo il palmo scoperto, senza i suoi fedeli guanti  a coprirlo.
Anche il viso era allo scoperto, senza la maschera a celarle il viso.
Un bel viso, solcato da una benda sull’occhio destro, dai capelli argentati dal ciuffo ribelle e dalla corta barba.
Un’espressione dolce e rassicurante dipinta sopra, un’espressione che da anni non compariva su quel viso indurito dalla vita del ricercato.
La ragazza, titubante, avvolta nei lunghissimi capelli d’oro per nascondere le nudità, tese la mano piccola e affusolata fino a stringere quella di lui, grande, callosa ma dal tocco incredibilmente vellutato.
-Brava. Vedrai, presto starai meglio-
 
 
La Roccia del Gufo.
Un monolito di circa due metri, un tempo era stato più alto, scolpito a forma di gufo, patrimonio archeologico della città.
Era situato al centro del bosco di Jump city, in una piccola radura non più larga di una quarantina di metri quadri, circondata ovunque da alti alberi spogli dal tronco nero, le foglie gialle, rosse e arancioni tappezzavano il suolo tutt’intorno alla roccia.
Pareva proprio che gli alberi si fossero capovolti, con le chiome a terra e le radici per aria.
La leggenda diceva che le tribù indigene venerassero quel luogo come Swikiswat “il-luogo –ove-gli-spirti-toccano-la-terra” dove Manitu risiedeva durante l’autunno, un luogo sacro a tutte le tribù.
Ora il culetto di April poggiava sulla testa di pietra del Gufo, in mezzo alle due orecchie appuntite che svettavano sulla testa della scultura.
Con le gambe a penzoloni e i gomiti sulle ginocchia aspettava che il suo “amico” si presentasse.
Coi pugni pigiati sulle guance cercava di non pensare a quello che era appena successo.
Bruce era innamorato di lei…ma lei poteva ricambiarlo?
O era solo un amico?
Gli voleva bene, bene come un fratello e forse anche di più…ma non sapeva se poteva amarlo in quel modo, se tra loro avrebbe funzionato o avrebbe solo rovinato il loro legame così profondo e stretto.
Era sola e stranita in quel confronto con se stessa, era tutto così nuovo, coì diverso ed era accaduto dannatamente in fretta!
Ormai non ci capiva più niente, le sue emozioni erano tutte in subbuglio, ognuna diceva la sua e nessuna riusciva a prevalere.
Sperava che andando ad allenarsi avrebbe liberato la mente, ma lui non si presentava.
April, sola con se stessa credeva di dover impazzire.
All’interno del suo piccolo petto il cuore le scalpitava come uno stallone per l’emozione, per l’insicurezza, per l’ansia di quello che era successo che non si accorse nemmeno della stoccata che la buttò giù dalla Roccia del Gufo, facendola cadere a terra, dentro una buca profonda, abilmente scavata e coperta di foglie fino ad essere invisibile.
April si mise seduta massaggiandosi la testa dolorante, mugugnando per il colpo ricevuto, ma almeno era servito a riscuoterla dai suoi pensieri.
Guardò verso l’alto e lo vide, avvolto in quel suo tetro abito da becchino, che si stagliava contro il cielo che andava oscurandosi.
Nella destra stringeva un lungo bastone di legno levigato e la fissava da dietro quegli impenetrabili occhiali scuri.
-Jonathan!- tuonò April –Ma si può sapere che diavolo ti passa per la testa!! Prima arrivi in ritardo, poi questo! Sei pazzo o cosa?!- sbraitò offesa a dir poco.
-Diciamo che per te sono stato un “angelo” ma puoi chiamarmi “matto” – rispose quello –Prima lezione: effetto sorpresa. Non penserai che i tuoi avversari ti manderanno un bigliettino con data e ora dello scontro, vero? Devi sempre essere preparata, ti sei fatta cogliere alle spalle come fossi una…una carota. Seconda lezione: sempre controllare il campo di battaglia. Bastava qualche palo appuntito e la nostra carotina diventava uno spiedino- detto questo allungò il bastone nella fossa, April lo afferrò e iniziò a risalire puntando i piedi contro la parete di terra in verticale, reggendosi con le braccia al bastone, era salita solo di un metro e mezzo che Ghostface mollò il bastone, facendola precipitare rovinosamente a terra, non senza dolori.
-Ah!- esclamò lei dolorante.
-Terza lezione- concluse Ghostface –Non fidarti di nessuno, conta solo su te stessa-
April allora fluttuò fuori dal buco atterrando di fronte a lui, che la squadrò da cima a fondo.
-Jeans attillati e maglietta righe gialle e rosa non sono l’ideale per combattere in un bosco né per passare inosservati- commentò.
-Non è che tu sia poi così preparato. Combatti in spolverino, mocassini e pantaloni da matrimonio!- replicò quella, infastidita dalle critiche al suo look.
-Io so badare a me stesso al contrario di te. Se mai sarai al mio livello potrai essere una minaccia che vestita da hamburger. E comunque questi sono pantaloni da funerale-
April decise che era meglio lasciar perdere e rimediare al suo pessimo inizio cercando di far bella figura.
-Comunque mi sono preparata- sorrise sfilandosi jeans e maglietta, rivelando che sotto gli abiti borghesi teneva pronto il costume immacolato di Midnight, eccezion fatta per gli stivali troppo ingombranti per essere ignorati da chi le fosse passato accanto per le vie.
-Taa-daa-  disse aspettandosi almeno un’accendo di complimento.
-Fa sparire quegli orecchini e la collana. E togliti quel mantello ridicolo-
La ragazza era davvero sorpresa da quell’aspro commento, non sui gioielli, ma sul mantello.
Tutti i migliori supereroi hanno il mantello!!
-Ma mia madre lo porta sempre e…-
-Taci- la zittì lui- Eravamo d’accordo che avesti obbedito senza fiatare-
-Il mantello è pensate e ingombrante- continuò Ghostface – Ti ostacola e ti rallenta. Niente mantello-
Rassegnata si sciolse il mantello lasciandolo cadere a terra, tra le foglie, assieme agli orecchini e la collanina.
-E non provare più a mettere le tue chiappette su i luoghi sacri delle altre civiltà, ci siamo intesi? Se ti ribecco seduta su quel monolito ti rifilo tante di quelle sberle che le tue melette posteriori diventeranno rosse e mature come mai prima d’ora-
Detto questo le porse un secondo bastone, più adatto alla minuta statura di lei.
-Avanti- la incitò- Colpiscimi. Vediamo che sai fare-
Si allenavano ormai da un’ora e mezza.
April, stanca, rossa in viso per la fatica e la frustrazione, con le dita serrate fino a far sbiancare le nocche sul manico del bastone, era al limite della sopportazione.
Un’ora e mezza passata ad attaccare senza interruzione e non era riuscita a sfiorarlo neppure una volta, anzi dopo ogni attacco era lei che, con un semplice gioco di mano del suo istruttore, finiva col culo per terra.
Era piena di acciacchi.
Ghostface non era neppure sudato né tanto meno aveva avuto bisogno di riprendere la sua arma.
-Ti vedo assente, April. Non riesci a concentrarti.
C’è qualcosa che ti turba?- le chiese mentre la ragazzina, tutta un livido ormai, trovava la forza di rialzarsi ancora una volta.
-In effetti…sì- ammise April, sfinita.
-Qualcosa di brutto?- azzardò Ghostface, il quale rimase parecchio stupito quando ricevette in risposta un commentò non addolorato, la ragazzina aveva solo detto “qualcosa di strano”.
<Possibile che tenga così poco ai suoi due amici?> rifletté tra sé e sé il vecchio, pensando a Cyborg e Iella, ma la ragazzina era totalmente all’oscuro di quanto era accaduto ai suoi zii
-C’è un ragazzo…- iniziò April, fiduciosa in un consiglio –Io gli piaccio, gli piaccio molto intendo. E anche io gli voglio bene, un mondo di bene…ma non so…non so se nello stesso modo in cui lui ne vuole a me…- sospirò alzando gli occhi verso Jonathan –Tu che faresti?-
Ghostface rimase sorpreso da quella risposta, che dirle?
-Vedi, piccola. L’amore non è né bianco né nero. È difficile sapere cosa si prova per una persona se non ti ci metti direttamente, ma mantenere le distanze non credo che aiuterà. Che tu lo ami o no dovrai parlargli faccia a faccia di questo.
Credimi, le emozioni sono traditrici, capaci di pugnalarti alle spalle da un momento all’altro.
Non posso dirti se tra voi funzionerà, non posso dirti se tu lo ami o no, dovrai scoprirlo da te. Ma se l’indecisione persiste, ascolta le parole di chi abita questo mondo da più tempo di te….meglio avere rimorsi che rimpianti.
La vita è un’avventura, vivila. Non stare ferma a guardare-
April sorrise rincuorata da quelle parole.
Ormai era buio, il buio freddo dell’autunno inoltrato che già apriva le porte all’inverno.
-Grazie, Jonathan. Lo terrò a mente. Ma ora è tardi, devo proprio andare- disse raccogliendo la sua roba da terra, rivestendosi con gli abiti civili sul costume sporco di terriccio.
Indossò il mantello e sforzando le gambette doloranti per le molte cadute si diresse verso il sentierino che conduceva alla civiltà.
-Ah, cucciola- la richiamò il vecchio prima che se ne andasse –Lezione numero quarantadue: mai dare le spalle al nemico ancora in piedi. E poi non preoccuparti delle tue relazioni: amici e fidanzati vanno e vengono….i nemici, quelli si accumulano. È di loro che devi preoccuparti-
April ricambiò la “perla di saggezza” con un sorriso e dopo pochi passi sparì tra gli alberi.
Ghostface rimase immobile nel buio a fissare il vuoto.
Sospirò stanco della sua vita.
-E ora al lavoro- si disse.
April arrivò alla Torre sudata, dolorante ma felice, era riuscita almeno un po’ a schiarirsi le idee e a sgombrarsi la mente.
Quando la porta dell’ascensore si aprì sulla Ops-Mains Room rimase a bocca aperta per lo stupore.
Sua madre era in piedi, appoggiata con la schiena contro il muro, con un’espressione così afflitta in viso che mai April credette di averla vista più triste di allora.
Stringeva ancora nella destra il telefono.
Suo padre invece, col viso nascosto tra le mani le dava le spalle, e piangeva in silenzio.
C’erano anche Stella Rubia e Bruce, il figlio cercava di consolare la madre, che versava lacrime amare, affondando il viso in un cuscino.
Come entrò Corvina si girò subito verso di lei –April, dove sei stata? Perché sei ridotta così?-
-Ero andata a fare una passeggiata nel bosco, per schiarirmi le idee e sono caduta in una trappola per conigli. Ma piuttosto che è successo qui? Perché piangete? Dov’è  zio Rob?-
-Robin sta bene…è nella sua stanza. Vuole stare solo- rispose Corvina amareggiata, coi lucciconi agli occhi.
-Siediti April. Dobbiamo parlare- lei obbedì in silenzio sempre più preoccupata da quel tono pesante, mesto e spezzato che aveva la madre.
-I tuoi fratelli ancora non lo sanno, ti prego quindi di non dire loro nulla-
-Insomma vuoi dirmi che succede?- disse April che non sopportava quella sensazione così opprimente, essere tenuta sulle spine in quel momento era una situazione per lei insostenibile.
Voleva sapere cos’era accaduto e subito.
La madre la guardò con occhi spenti -…c’è stato un incidente….-
 
 
Chiuso nella sua stanza Robin guardava il buio, il vento freddo entrava dalla finestra schiaffeggiandogli il viso.
-Non può essere- pensava ad alta voce -Cyborg non può essere morto…no. Qualcosa non quadra…lui non si sarebbe mai fatto coinvolgere in uno sbaglio di precedenza. Era un guidatore troppo attento.
Qualcosa deve essere andato storto…io non posso credere.. che lui…che lui sia…-
-BU!- alla finestra apparve il viso spettrale di Ghostface.
-AAAAA!!!- Robin arretrò spaventato, cadendo sul letto alle sue spalle, il vecchio ridacchiò malevolo.
Era appeso a testa in giù fuori dalla finestra, si reggeva solo con la mano sinistra all’architrave leggermente sporgente della finestra, dando prova di grandi doti ginniche.
Le gambe rannicchiate e l’altra mano sospesa a mezz’aria.
In quella posizione pareva quasi quel famoso eroe di New York, “l’arrampicamuri”.
Da quella scomoda ma appariscente posizione Ghostface si calò dentro la stanza.
-Ciao Robin che bello vederti-
-Che ci fai tu qui!?- disse quello atterrito e incredulo – Dovresti essere…-
-Nel Tartaro?- completò il vecchio- Quel cumulo di rottami è precipitato nel Kansas settimane orsono-
Riscossosi dallo spavento iniziale Robin passò all’attacco, scattando in avanti e inchiodando il vecchio contro la parete, schiacciandogli la gola col gomito con tutto il suo peso.
-Perché sei tornato!? Che cosa vuoi!!??-
-Calma, clama. Sono qui solo per parlare- biasciò quello, con la trachea strozzata.
-Perché mai dovrei voler parlare con te??!-
Ghostface lo guardò in quegli occhi, nascosti dalla mascherina bianca  e nera.
-Dimmi come hai fatto, Robin- gli chiese con l’aria di chi non si aspetta una risposta.
-A fare che??!-
-A dimenticare- Robin lo guardò interdetto –Sono passati tredici anni, lo so, sembra un sacco di tempo. Ma non è così. Ho duecento anni, ho avuto27 figli e 26 ne ho seppelliti. E tutt’ora non passa notte in cui io non riveda uno per uno i loro volti, in cui non riviva ogni singolo istante passato insieme. Eppure tu, la mia cara nipotina, e tutti qui dentro sembrate esservi dimenticati di lei in così poco tempo. Vi ho osservati, sai? Niente foto, niente discorsi su di lei, niente lapidi commemorative, nemmeno una tomba al cimitero, sono sicuro che il fratello non sa neppure che è esistita …com’è possibile?-
Robin non capiva, spinse ancora più forte il braccio contro la parete –Di chi diavolo stai parlando, vecchio pazzo!!??- ringhiò schiumante di rabbia.
-Di Mar’i-
Il ragazzo mascherato ebbe un tuffo al cuore.
Mar’i.
Quell’unico nome fece riaffiorare nel suo animo, già sconvolto per l’incidente accaduto ai suoi amici, tutti i ricordi che la magia di Corvina aveva occultato.
-M-Mar’i…- balbettò lasciando andare il vecchio, che trasse un roco respiro, tossendo.
-Mar’i…- cadde in ginocchio col cuore straziato al ricordo.
Una lacrime cristallina gli solcò le guance rosee.
-Già, la tua primogenita…ora ricordi tuto, vero?-
Robin alzò il viso con uno sguardo assatanato sopra, dietro la maschera gli occhi erano iniettati di sangue, intrisi di odio nero come la pece.
-Ricordo che tu l’hai ammazzata, figlio di puttana!!- si slanciò verso di lui, ma dovette fermarsi quando si ritrovò un coltellaccio lungo e sottile, di una cinquantina di centimetri puntato alla gola.
-Fermo là- lo ammonì Ghostface –Io non volevo che lei morisse. Avevo mirato alla troia col mantello. Ora sta buono e rifletti- disse con voce di ghiaccio, fredda quasi quanto la sua postura apatica e i suoi occhi cadaverici – Vuoi che Stella ricordi? Non so come ma la vostra mente pare aver rimosso tutto, eppure basta pronunciare quel nome per farvi tornare la memoria. Ho sentito quella canzoncina che Corvina cantava ai suoi figli, la sciocca “filastrocca dell’uomo che fa paura”.
Ormai io per voi appartengo al passato, non è così? Ebbene sono tornato dal passato per rievocarti un ricordo, il ricordo di tua figlia.
Devo farlo anche a tua moglie? Vuoi costringermi a darle questo dolore?!
Sai bene quanto me cosa succede alle tamaraniane che perdono il frutto del proprio grembo…-
-Non funzionerà…- disse Robin a denti stretti, con la punta della lama sul pomo d’Adamo.
-Abbiamo un altro figlio ora. Stella non si lascerà morire, non lo farà. Ama troppo Bruce-
Ghostface ghignò, un ghigno spaventoso e raccapricciante –Allora mi costringi a ripetermi…- con l’altra mano estrasse da una tasca interna al soprabito un piccolo detonatore.
-Prendendo ispirazione da un mio collega*, ho iniettato all’interno del tuo caro figlioletto delle micro sonde, un po’ diverse da quelle dell’ultima volta. Si tratta di bio-sonde automatiche, una specie di virus artificiale per così dire. Si attaccano alle cellule sane e restano latenti fino al comando, dato loro da questo detonatore, il comando di distruggere le cellule cerebrali di un corpo provocando una dolorosissima ma tuttavia rapida morte.
Il tuo ragazzo ne è pieno.
E dato che c’ero ne ho messo un paio anche dentro i marmocchi della strega.
Un vero peccato che il vostro esperto di robotica abbia avuto un piccolo incidente-
Robin sgranò gli occhi fissandolo allibito –Tu….-
-Esatto- sorrise quello.
Robin si sarebbe slanciato su di lui con tutta la sua forza, gli avrebbe cavato gli occhi, spaccato i denti, e strappato quel cuore nero che aveva, ma fu costretto a trattenersi, per Bruce e per Stella.
Dovette ingoiare lacrime e rabbia in un unico amaro boccone ….Il leader dei Titans si rese conto di avere le mani legate.
Con la testa bassa e la voce  debole disse –Che cosa vuoi?-
-Devi fare alcuni lavoretti per me.
Il primo è consegnare questo disco al tuo amico mutaforma, e dire che Cyborg te lo aveva dato prima di partire, dicendo che non poteva tenersi un simile segreto dentro- e gli porse un DVD che teneva nella tasca in cui custodiva il detonatore.
Robin lo prese gettandogli una rapida occhiata.
-Di cosa si tratta?- gli chiese il ragazzo fissandolo con odio e disprezzo.
-Diciamo che è un filmino amatoriale…dai contenuti molto interessanti, in grado di…vediamo…rovinare un matrimonio. Guardalo e reggimi il gioco altrimenti…- alzò il pollice sul detonatore pronto a calarlo su esso –Intesi?-
-Perché fai queste cose? Cosa conti di ottenere così?!- gli rispose quello duro e serio.
-Sono affari miei- gli rinfacciò il vecchio, tenendo sempre salda in mano la lama.
-Tu sei malato-
-Non più, sono guarito. Tredici anni passati nel Tartaro come cavia umana per esperimenti indicibili sono traumatizzanti per chiunque…tuttavia nel mio caso devo dire che sono stati terapeutici. Sono stato sottoposto tante di quelle volte alle angherie del Dottor Tod che un giorno, operandomi a cranio aperto senza anestesia, senza saperlo raschiò via il cancro radicato nel mio cervello.
Quando mi rigenerai le mie cellule erano sane. Ora ragiono in modo lucido, so perfettamente quello che faccio…e non vedo più rosso. Tu non fare domande, non dire niente a nessuno di noi…e la tua famiglia resterà intatta. Te lo giuro. In fondo, anch’io voglio bene a Stella. Non la farò soffrire se non mi obbligherai a farlo. Obbediscimi e andrà tutto bene, per te. Pensa a tuo figlio, e fa la scelta giusta-
Detto questo arretrò fino alla finestra, pronto a fuggire come un’ombra nella notte.
Robin premette l’allarme.
Le uscite si barricarono, spesse saracinesche di metallo scesero velocissime da ogni entrata, sigillando ermeticamente la stanza.
-Non cederò al tuo ricatto, Ghostface- lo minacciò Robin –Questa stanza è sigillata con me e te dentro e quando si aprirà, la fuori ci sarà una marea di eroi pronti per te.
Queste saracinesche sono di vibranio, un metallo che respinge qualsiasi tipo di vibrazione, il tuo detonatore non può inviare il suo messaggio, non serve a nulla ora.
Inoltre questo metallo è pressoché infrangibile, non c’è un materiale al mondo in grado di perforarlo-
Robin sapeva che i suoi amici sarebbero giunti di lì a pochi secondi.
Si mise in posizione d’attacco aspettandosi la violenta reazione del folle intrappolato.
Tuttavia, Ghostface, con molta calma, si avvicinò alla finestra corazzata accarezzando il liscio metallo.
-Vibranio, hai detto? Non male, dev’esservi costato un occhio della testa. In tutta la mia vita ho sempre avuto penuria di grana, ma che ci vuoi fare, nessuno è perfetto-
Estrasse il lungo coltello e passò l’indice sul filo della lama affilata, tagliandosi.
Il sangue percorse l’arma fino all’elsa e gocciolò in terra.
-Dimmi, non è che per caso quell’unico materiale in grado di tagliare il vibranio è l’adamantio?- detto questo infilzò la saracinesca col coltellaccio, passandola da parte a parte come fosse di burro.
Robin restò sbalordito davanti a questa scena assolutamente inaspettata.
L’adamantio era il metallo più raro e prezioso che esistesse, come aveva fatto un evaso senza mezzi né soldi come lui a procurarselo?!
-Carino, eh?- sorrise Ghostface ritraendo la lama e iniziando a giocarci facendola roteare vorticosamente tra le dita –Certo, l’avevo chiesta un po’ più lunga per Natale, ma sono stato cattivo e Babbo Natale mi ha portato solo questo bel coltello, io però mi so accontentare-
Il vecchio tornò di colpo serio, tagliando una via d’uscita nella finestra come se affettasse l’aria.
Appollaiato sul davanzale gettò un’ultima gelida occhiata a Robin, abbassandosi gli occhiali e pietrificandolo con quello sguardo atroce che priva della volontà, rendendolo incapace di reagire, di provare a fermarlo.
Puro terrore nero che attanaglia il cuore con fredde dita di ghiaccio.
Così poteva essere definito lo sguardo della Morte,.. lo sguardo di Ghostface.
Poi saltò nel vuoto, nel buio della notte.
Robin si affacciò dalla finestra ma non vide nulla, pareva essersi volatilizzato come quando ancora possedeva le sue qualità evaporative.
E se l’effetto dell’azoto nel sangue stesse finendo?
 
I Titans accorsero pochi attimi dopo, disattivando le saracinesche in vibranio.
-Cos’è successo?!- domandò Stella allarmata.
-Niente- rispose con la voce roca e con la testa bassa –Ho…ho solo sbagliato a premere il pulsante. Scusate-
Non era mai successo prima che Robin si confondesse in quella Torre che lui stesso aveva contribuito a costruire, ma visto la tragedia che li aveva colpiti nessuno si stupì che anche il loro leader avesse vacillato un attimo nella sua afflizione.
 
 
Terra guardava il soffitto, era stanca, sudata  e terribilmente a disagio.
Stesa con le gambe leggermente divaricate sotto le lenzuola alternava la vista tra l’intonaco delle pareti e il corpo caldo che giaceva accanto al suo.
Doveva amarla davvero molto visto con quanta cura si era occupato di lei per tutti quegli anni.
Appena era tornata in sé Slade aveva ceduto alla passione e presto si erano ritrovai entrambi nudi su un letto color zafferano, un letto nel quale i capelli d’oro di lei si disperdevano e si confondevano tra le lenzuola.
Con quale voga l’aveva presa, con un cieco e violento e sensuale desiderio che anni fa l’avrebbe estasiata, ma ora, dopo aver passato anni e anni chiusa in se stessa, avendo solo la propria mente su cui basarsi Terra aveva finalmente trovato la risposta alle tre persone che si contendevano il suo cuore.
Sapeva chi realmente desiderava al suo fianco, e non era quell’uomo che vi si trovava, dopo tanti anni di solitudine, di pre-morte, avrebbe fatto di tutto per averla; aveva sperimentato la morte, ora si sarebbe goduta ogni singolo giorno della sua nuova vita.
Ripensò a quei tre volti.
Il primo nascosto e misterioso di Slade, quella tra loro era stata una breve e frastagliata relazione, conclusasi violentemente per entrambi, era rimasta attratta dai suoi modi, dal suo fare educato e malvagio allo stesso tempo, dal misterioso fascino che si portava dietro…ma aveva imparato a conoscere che tipo di crudele uomo fosse, e quel desiderio si era dissolto come cenere nel vento.
BB…quella con lui era stata solo una breve cotta adolescenziale, giusto per distrarsi in quel buio periodo della sua vita, per alleggerirsi un po’ ed essere più integrata nella squadra, per avere qualcuno su cui contare all’interno dei Titans.
Poi c’era lei.
Lei con i suoi modi scontrosi, il suo fare distaccato e saccente.
Ironica e tagliente allo stesso tempo, chiusa e riservata, affasciante e misteriosa ancor più di Slade, un mistero profondo e impenetrabile che persiste nel tempo.
Lei, così delicata, e sensibile, così dura e sfrontata, così integra, così contradditoria, così acida, così fragile, così diffidente e così intima….lei.
Non pensava ad altro.
Ricordava bene com’era iniziato tutto, lei le aveva chiesto quasi per gioco di fare l’amore insieme, solo sesso, così per divertirsi, erano entrambe vergini e tra donne sarebbe stato più…delicato.
Non seppe mai quale follia la spinse ad accettare, sarà che aveva sempre avuto una morbosa attenzione per le donne, sin da quando nel collegio rubava le mutandine alle compagne per masturbarsi pensando a loro, non seppe mai il perché, lei la spaventava all’epoca, ma lo fece.
Fu una notte magica per entrambe.
Si incontrarono molto molto più spesso da allora, unite sì dal desiderio ma anche da qualcosa di più che stava nascendo tra loro, che entrambe sentivano.
Si era resa conto di essersi innamorata di quella eterea figura dalla pelle perlacea.
E quando glielo confessò, Terra svenne letteralmente sapendo di essere ricambiata, sapendo che lei era pronta a starle accanto per sempre, ad amarla; quando le aveva aperto il suo cuore lei aveva fatto altrettanto, le disse che era pronta a rinunciare alla loro relazione segreta e a confessare al mondo il loro unico vero e sincero amore e non lasciarla mai più….tutto sembrava dover essere perfetto.
Ma poi venne Slade, che le corruppe l’animo e il cuore con le sue parole avvelenate, e le sue droghe mentali.
La deviò al punto da spingerla ad attaccare, a tentare di uccidere la donna che amava, entrambe le ragazze si erano violentemente scontrate, nessuno era stato più agguerrito di loro, perché erano spinte  non dall’odio ma da una forza più grande, dal dolore di vedersi l’una schierata contro l’altra.
Per lei doveva essere stato durissimo: il suo tradimento, lo scontro, sapere che la tradiva con un altro in tutti i sensi…doveva averle spezzato il cuore, era senz’atro quella che più di tutti aveva ferito…e lei era rimasta in silenzio, preservando nel suo cuore il loro segreto, custodendo gelosamente i preziosissimi ricordi di quei giorni e quelle notti passate insieme, passate nella felicità e nell’amore. L’aveva fatto solo per lei, perché in fondo sapeva che la sua Terra era ancora lì, era ancora la ragazza che amava e lei l’avrebbe aspettata.
Di questo Terra era certa, il loro amore era stato troppo sincero perché potesse essere sostituito.
Lei la stava aspettando.
Si maledisse per tutti gli errori che aveva fatto.
Con due mute lacrime che le solcavano il viso guardò un’ultima volta il corpo lui che dormiva rigirato nel letto, stanco per il desiderio consumato con lei.
Si volse ancora verso quell’intonaco grigio come la morbida pelle della ragazza che amava, chissà com’era cambiata in quegli anni, ma una cosa era certa, l’avrebbe ritrovata e non si sarebbero separate mai più.
Il sonno e la stanchezza ebbero la meglio su di lei, sentì le membra intorpidirsi e le palpebre farsi pesanti, poco prima di assopirsi, Terra trovò la forza di mormorare con un fil di voce quell’unico nome che in tanti anni di coma le aveva permesso di tirare avanti, di lottare per continuare a vivere:
-…Corvina…-
 
 
*Vedi  “l’apprendista 1 e 2”
 
Aspettatevi altre sorprese nei prossimi capitoli, i Titans dovranno mettercela tutta per restare uniti, fidarsi gli uni degli altri e vincere mentre le forze del male combattono per separarli.
Ce la faranno?
 
Io non ci giurerei
 
Ah, BUONA PASQUA!!
 
Ghostface

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10 ***


CAPITOLO 10
 
Il funerale si svolse in una grigia mattina d’autunno, all’aperto e direttamente al cimitero.
Non c’era il prete: lei non credeva.
Ma molta gente era ugualmente giunta a darle l’estremo saluto e a sussurrarle una preghiera per quell’ultimo viaggio.
Adagiato nella bara, giaceva il cadavere di Iella, solo il viso era scoperto, i chirurgi dell’obitorio avevano fatto del loro meglio per ricucirla e tentare di ridare al suo viso la bellezza che un tempo gli era appartenuta, ma per il resto del corpo c’era stato poco da fare.
Uno ad uno tutti gli eroi della regione che l’avevano conosciuta nel suo breve ma intenso periodo di redenzione sfilarono vicino alla bara, per dire due parole, per gettarle un fiore, darle un addio, versare qualche lacrima o semplicemente assistere in silenzio a quel triste esempio di gioventù spezzata nel fiore degli anni, un monito per tutti loro.
Ognuno di essi rifletteva in silenzio su quanto era accaduto.
I Teen Titans, si chiamavano.
Nome pericoloso.
Spesso i giovani si dimenticano che la morte è sempre dietro l’angolo, che non importa quante vite tu possa salvare, quanto giovane tu possa essere, quanto amore alberghi nel tuo cuore…lei è lì che aspetta in silenzio, paziente, e ti colpirà se ne avrà l’occasione.
Un colpo da cui non si può sperare di guarire.
April e la sua famiglia giunsero davanti alla bara.
Nonostante le cicatrici sulla fronte e il pallore innaturale su quel viso già chiaro di suo, il volto di iella restava di una bellezza unica e strana, quasi eterea, come se la ragazza morta in quella bara non fosse mai esistita realmente, come se stesse dormendo lì da sempre, come una statua assopita nel marmo che attende di essere scolpita, di prendere forma…e vita.
-Scusa se non sono mai riuscita ad esserti vicina, scusa se non siamo mai state amiche. Avrei voluto che le cose fossero andate diversamente, vorrei che tu fossi qui per sentirmi. Iella…perché te ne sei andata? Perché proprio ora che c’è bisogno di te qui? Dannazione…avevo anche deciso di accettare il tuo invito al pigiama-party tra ragazze… vorrei averti detto che in fondo ti sono grata per tutto quello che hai fatto per me, per la mia famiglia, che anche se non te l’ho mai dimostrato…ti voglio bene. Tutte queste cose avrei dovuto dirtele prima…adesso è tardi-
Corvina concluse il suo triste discorso, l’aveva pronunciato a bassa voce, perché gli altri non lo sentissero, voleva che solo Iella fosse partecipe di quanto le aveva detto.
Depositò una rosa nera a fianco del viso ovale della ragazza, i cui capelli rosa, lisci e pettinati cadevano sulle spalle e gli occhi chiusi davano un’aria di assoluta quiete.
Depositò un fiore ma le sue guance restarono asciutte.
Avrebbe voluto piangere per lei ma non ci riusciva, le lacrime si rifiutavano di scendere per quella giovane che conosceva così poco…le avrebbe conservate per Cyborg.
-Belle parole- le disse BB cingendole le spalle con un braccio, il suono risuonava grave, strozzato a causa del groppo alla gola che gli era venuto per la tristezza.
Non aveva perso una delle parole della moglie era inevitabile che il suo udito sviluppato non le sentisse, la guardava con un sorriso mesto e gli occhi appannati, gonfi di lacrime he cercava di trattenere.
Lui era senz’altro quello che più di tutti era rimasto ferito dall’incidente accaduto ai loro amici.
Non poteva sopportare di essere privato a forza del suo amico, del suo inseparabile compagno, della sua metà, del suo alter-ego.
-Grazie- rispose lei con un filo di voce roca, abbandonando per un momento la mano di April, che si avvicinò alla bara, sporgendosi sul viso della giovane zia deceduta.
A dispetto di quanto tutti pensassero lei era sempre stata la sua preferita.
Coi lucciconi che le brillavano sulle iridi d’ametista e grosse lacrime a solcarle il viso April depositò sul petto della ex-criminale il disco d’argento appartenuto al suo costume da Midnight.
-Tieni zia. Non siamo mai riuscite a cucirlo bene…ora non rischierò più di perderlo…perché sarai tu a custodirlo…- singhiozzò sforzandosi di finire la frase ma più guardava quel volto spento più continuare a parlare le diveniva difficile, impossibile – Così come… io ti custodirò sempre nel m-mio…cuoree…- gettandosi col busto sulla bara, April scoppiò in una violenta crisi di pianto, gemendo rumorosamente, e rifiutandosi di staccarsi da lei, dalla zia che giaceva inalterata da quanto le accadeva intorno.
I suoi genitori la portarono via, sostenendola per le spalle, fino in un angolino vicino ad un albero in disparte devo potè sfogarsi affondando nel corpo di sua madre con una forte e disperato abbraccio, non riusciva a calmarsi a smettere di piangere.
Proprio non ce la faceva, non dopo quello che era accaduto.
Come avrebbero fatto a dirlo ai gemelli?
Rick e Ruby erano ancora all’oscuro di tutto, pensavano che i loro zii si divertissero in vacanza sotto il sole in un'isola tropicale…lasciarli a casa dal funerale era stato facile ma fino a quanto potevano reggere la farsa prima di dir loro la triste verità?
Cinque figure in nero si accostarono meste alla bara.
-Andate via! Non stiamo soffrendo abbastanza per oggi? Sparite! Non fatevi più vedere- Robin aggredì a parole quelle facce a lui note ma per nulla gradite, spinto più dal dolore della perdita che dall’antipatia, un dolore che andava sfogato in qualche modo.
-Ehi, calmati- rispose senza ostilità né energia l’energumeno dai capelli fulvi, elegante nel suo smoking fuori misura, così curato nel vestire Mammut pareva perdere gran parte del suo lato selvaggio–Non siamo in cerca di guai-
-Già- aggiunse Gizmo a sua volta vestito a lutto, senza aggiungere nulla di offensivo nei riguardi dell’eroe, quegli occhietti vivaci e minacciosi erano ora colmi di una tristezza insondabile.
Billy e altri suoi due cloni, mogi e cupi, portavano ognuno una enorme ghirlanda di fiori, decorata con decine di foto raffiguranti Iella in momenti di allegria e spensieratezza coi suoi vecchi compagni.
-Siamo qui solo per lei. Vogliamo esserci al suo funerale- aggiunse See-More, il cui unico occhio era puntato verso il basso per non far trasparire il dolore del suo cuore spezzato agli altri.
-È nostra amica- precisò l’ancor più tetro Wykkyd.
-Perché siete qui se lei vi ha traditi?-incalzò l’eroe diffidente come al solito.
-È vero, è passata dalla vostra parte, è diventata un’eroina…ma tutti commettiamo degli errori- Mammut parlò a nome di tutto l’Hive Five –Questo però non è sufficiente a cancellare tutti i bei momenti passati insieme. Noi le abbiamo sempre voluto bene e tutt’ora gliene vogliamo, ora più che mai. E vogliamo piangere la nostra amica scomparsa. Te lo chiediamo per favore, col cuore infranto, lascia che le porgiamo l’ultimo addio. Solo quando perdi qualcuno ti rendi conto di quanto realmente tenessi a lui-
Robin tentennò, attanagliato dall’indecisione, ad un tratto sentì la delicata mano di Stella Rubia sulla sua spalla, lo tirava senza forza, intimandogli con quel gesto impercettibile disfarsi da parte.
-Lascia che restino- disse con voce dolce e tenera, commossa –Lei l’avrebbe voluto-
 
Il funerale fu una cosa veloce, si svolse sotto una fredda e sottile grandinata d’acqua, nessuno aveva voglia di stare lì immobile a guardare impotenti quel corpo morto che un tempo avevano amato.
Ma tutti, eroi e non, volevano trovare il responsabile dell’accaduto…e fargliela pagare.
Cerimonia conclusa Robin si avviò assieme alla sua famiglia verso l’auto, lo sguardo triste, frustrato più che altro dall’impotenza di sapere e non poter fare, puntato a terra.
Era ancora sul verde prato del cimitero quando una mano, grossa oltre misura, gli si appoggiò sulla spalla, facendolo voltare di scatto.
Per poco non sbatté contro il petto ampio e muscoloso di Mammut, col passare degli anni il ragazzo era cresciuto in proporzione alla sua stazza, Robin non gli arrivava neppure alle spalle.
-Possiamo scambiarci due parole in privato?- gli chiese senza simpatia e senza odio…non nei suoi confronti almeno, ma si leggeva nel profondo dei suoi occhi una scintilla di rabbia mista a dolore, una miscela potente e quanto mai pericolosa.
Robin lo sapeva bene.
Rimase qualche secondo in silenzio, riflettendo se fosse meglio dargli retta o andarsene, gettò uno sguardo a Stella, che lo fissava a sua volta senza capire cosa stava accadendo, perché Mammut ce l’avesse con suo marito.
Più guardava l’aliena e più nella sua mente si faceva largo il ricordo della minaccia di Ghostface, il rischio di vedere la sua amata Stellina adagiata a sua volta in una bara.
Gli occhi ruotarono ancora incrociando quelli del mutante, scrutandoli a fondo con fare indagatore.
In fondo cosa aveva da perdere?
-...ok-
Mammut lo trasse in disparte, infilandosi nei labirinti di lapidi del cimitero.
-So che siamo nemici, e che non ti fidi di noi. Ma voi come noi volete scoprire chi è stato.
Siamo alleati su questo fronte.
Noi siamo decisi a trovare chi le ha fatto questo, chiunque esso sia, fosse anche il Joker in persona. E una volta trovato…ci assicureremo che non faccia più del male a nessuno. Perciò se ti serve una mano o se scopri qualcosa…facci un fischio- disse guardandolo negli occhi, perennemente nascosti da quella maschera così piccola e così enigmatica.
Robin lo fissò a sua volta, interrogativo, cercando di intuire cosa si celasse nella mente di quel grosso idiota, che poi così stupido non era.
-Avete intenzione di uccidere chi guidava quel pick-up, ho ragione?- disse col tono di chi sa già la risposta.
- Mi sembra ovvio che non si è trattato di un incidente. Tu faresti diversamente dopo quello che è successo?-
Oh, l’avrebbe fatto, eccome se l’avrebbe fatto!! Peccato che il pilota non si potesse uccidere, e anche se ne conosceva l’identità, Ghostface teneva in pugno la sua famiglia.
Aizzargli contro l’Hive Five non lo avrebbe certo ostacolato, l’avrebbe solo fatto arrabbiare.
-Gli eroi non uccidono-disse pacato.
Dalla sua espressione si capiva che per quanto lo riguardava il discorso era concluso.
Mammut, intuendolo, gli diede le spalle e fece per andarsene, ma prima di farlo si voltò un’ultima volta con un’espressione dura e feroce -Noi non siamo eroi-
L’eroe tornò verso i suoi compagni, fermatisi ad aspettarlo all’uscita del camposanto.
-Cosa ti ha detto?- domandò Stella Rubia preoccupata, aveva un presentimento a riguardo, di quelli che solo le tamaraniane sanno avere, e non era nulla di buono.
Lui guardò lei, guardò suo figlio, guardò i suoi amici lì presenti, pensò a quelli assenti…dovete ricacciare indietro le lacrime quando si focalizzò nella sua mente il viso tondo e sorridente di Mar’i.
La piccola non aveva neppure una lapide.
-Lascia perdere. Andiamo da Cyborg- rispose spento.
 
 
-Allora?- domandò Gizmo appena Mammut entrò nell’auto.
-Non ci aiuterà-
-Cosa conti di fare, ora?- chiese un Billy insolitamente triste.
-Trovare quello stronzo e accopparlo- fu la risposta che ricevette.
-E come conti di farlo? Non siamo dei detective, non sappiamo neppure da dove iniziare. I Titans invece sono esperti-
-Sì…- annuì Mammut a denti stretti –Esperti e rammolliti. La giustizia ha i suoi mezzi, il crimine anche. E io so chi può procurarceli…- concluse cupo.
L’auto partì in direzione della periferia.
 
Robin, Stella, Bruce, April, Corvina, BB e BumbleBee.
Tutti loro erano al capezzale del mezzo robot.
Cyborg era sopravvissuto all’urto ma ne era uscito in stato vegetativo: lo sperone di metallo gli aveva trapassato il petto danneggiandogli i sistemi e impedendogli di fuggire quando le marmitte piene di carburante esplosero.
Trasportato con la massima urgenza all’ospedale: medici, chirurgi, meccanici e un tecnico informatico avevano fatto del loro meglio per salvarlo.
Buona parte della pelle era gravemente ustionata, di quel poco che gli rimaneva di pelle, il resto era irrecuperabile.
La parte meccanica, gravemente danneggiata, era stata in buona parte sostituita da ampi macchinari della stazza di un armadio che lavoravano giorno e notte per tenerlo in vita.
Un blackout gli sarebbe stato fatale.
Non parlava, non mangiava, non batteva la palpebra forse non sognava neppure in quel sonno di morte.
I medici non sapevano dire se mai si sarebbe risvegliato.
-Certo che lo farà!!- aveva risposto BB che non poteva tollerare, non poteva accettare che il suo amico morisse.
-Lui è Cyborg….non può morire…- gli occhi del mutaforma luccicavano a vedere la sua “lattina” accartocciata in quel modo.
Il medico aveva risposto, con voce greve –Purtroppo il vostro amico ha pochissime probabilità di uscire dal coma o di sopravvivere…è attaccato a una macchina per vivere-
BB l’aveva fissato truce negli occhi, commentando –Lo è sempre stato. E questo non l’ha fermato- da allora non parlò più con nessuno, se non col suo amico bionico, rimase al suo capezzale per due gironi di fila, parlandogli, raccontandogli storie divertenti, minacciandolo che se non si svegliava subito avrebbe rifilato la T-car allo sfasciacarrozze (visto lo stato in cui era ridotta nessuno si sarebbe stupito) mentre gli altri eroi di alternavano per tenere compagnia a entrambi.
-Sta tranquillo BB, vedrai che se la caverà- disse Robin tirandogli una pacca sulle spalle.
-Dimmi qualcosa che non so- aveva risposto quello senza degnarlo di uno sguardo –È ovvio che se la caverà. Anzi non so nemmeno perché perdo tempo qui, tanto tra poco aprirà gli occhi e mi prenderà in giro perché mi preoccupavo tanto per lui-
Ma nonostante queste parole, BB non si allontanava un attimo dal lettino d’ospedale.
-Hai ragione BB, presto sarà come nuovo- lo assecondò tristemente il leader dei Titans.
Mentre si dirigeva all’uscita incontrò Corvina, venuta a dargli il cambio.
Come entrò la maga appoggiò amorevolmente le mani sulle spalle, piegate dall’opprimente senso di impotenza, del marito.
-Come sta il ragazzone?-
-Ancora in coma…- rispose BB, senza staccare gli occhi da viso bendato di Cyborg.
-Mi riferivo a te- disse la maga, accarezzandolo, guidando il suo viso verso l’alto, fino a incrociare i suoi occhi d’ametista, segnata da profonda tristezza –Da quanto non dormi, BB? Torna a casa, la tua famiglia ha bisogno di te. So che sei affranto per questa disgrazia, lo sono anch’io: Cyborg era il mio fratellone. Ma i tuoi figli vogliono vederti, vogliono il loro papà…e io…io non sono in grado di sostituirti, sarò una pessima madre ma senza di te sono smarrita…non so come fare-
Per la prima volta dopo due giorni il mutaforma si alzò dalla sedia, prese nelle sue le mani di Corvina, e seppure per pochi secondi voltò le spalle a Cyborg, per guardarla negli occhi.
Faccia a faccia.
-No. Non è vero, non dire così. Tu sei un’ottima madre, sono io che…-
Robin smise di ascoltare e si diresse verso il cortiletto esterno, dove April e Bruce lo aspettavano.
 
Seduti a poca distanza l’uno dall’altra sulla stessa panchina, i due adolescenti restavano in silenzio, senza il coraggio di guardarsi di nuovo in viso, loro che erano sempre stati così legati.
April dondolava le gambe per distrarsi, Bruce si mordeva il labbro inferiore cercando qualcosa di intelligente da dire per spezzare il silenzio opprimente.
-April io…-
-No- lo interruppe subito lei –Ti prego Bruce, non adesso. Parliamone un’altra volta di quello che è successo…ora non me la sento-disse con voce fievole, senza guardarlo.
-V-va bene- e il silenziò calò nuovamente tra di loro, ancora più forte e profondo.
 
Robin stava scendendo le scale bianche dell’edificio, non c’era nessuno tranne lui in quella rampa, l’ospedale pareva stranamente vuoto quel giorno.
-Senta, odio doverglielo dire io, ma non è permesso dormire nella clinica assieme alla madre, purtroppo non si fanno eccezioni neanche per i supereroi. Può essere pericoloso-
Quella voce alle sue spalle.
Quella frase identica parola per parola a quella pronunciata in quello stesso ospedale quindici anni fa, quando tutto era iniziato.
Robin si voltò rifiutando di credere alle sue orecchie, ma i suoi occhi non fecero che confermare quanto già sapeva.
Appoggiato alla ringhiera, in cima alla rampa di scale, avvolto in un camice bianco da medico, stava Ghostface.
Il vecchio ghignò.
Scivolando seduto sulla ringhiera arrivò in pochi attimi sul pianerottolo dove Robin lo guardava pietrificato.
-Sai cos’altro può essere pericoloso? Non rispettare i patti- aggiunse minaccioso.
-Che cosa ci fai tu qui? Come hai fatto ad entrare?!-
L’assassino sorrise divertito –C’è tanta gente che va e viene ogni giorno in un ospedale, non possono conoscersi tutti e, diciamocelo, la direzione dovrebbe investire di più nelle serrature del guardaroba- il sorriso morì su quelle labbra di ghiaccio, di colpo tornò serio, imperscrutabile dietro quelle lenti nere.
Uno aveva i suoi occhiali, l’altro la maschera, nessuno dei due leggeva dentro l’altro –Vi ho osservati, sai? Per diversi giorni. Così mi stavo chiedendo…quanto ha intenzione di consegnare quel dannato DVD?! Non ho tutta la vita davanti, vedi di accelerare i tempi-
Robin lo guardò allibito, gli sembrò di essere senza parole ma invece qualcosa da dirgli lo trovò –Come puoi chiedermi una cosa del genere? Come puoi farlo dopo quello che è successo! Una mia amica è morta pochi gironi fa, un altro potrebbe seguirla da un momento all’altro….e tu mi chiedi di distruggere adesso il matrimonio di BB e Corvina?!-
-Non farmi la morale- sbuffò quello annoiato –Ti ricordo che sono stato io a ridurre così i tuoi cari amici, e a meno che su quel letto d’ospedale tu non voglia trovarci tuo figlio, ti consiglio di agire repentinamente-
Il ragazzo sostenne a fatica quello sguardo freddo, seppur celato, il ricatto gli schiacciava il cuore come una pressa…non voleva cedere ma che altro poteva fare? Ne andava della vita di Bruce.
Se avesse obbedito almeno nessun’altro sarebbe morto…forse.
Sentiva il respiro farsi pensante e affannoso.
-Non hai un po’ di pietà?-
-Aspetta fammi controllare- rispose.
Ghostface si mise le mani in tasca, si tastò frettolosamente tutto il corpo poi facendo spallucce disse –No, mi dispiace l’ho finita- disse con quel sorrisetto che faceva sorgere in Robin il desiderio di fargli ingoiare tutti i denti a forza di cazzotti –E anche la mia pazienza è agli sgoccioli. Quindi smetti di fare il bambino e muovi il culo…altrimenti il povero BB non potrà vedere come la sua cara mogliettina è brava a muovere il proprio- detto questo fece retromarcia e risalì le scale, voltando al primo angolo.
Robin lo inseguì di corsa, non gli avrebbe permesso di andarsene così, doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa pur di non dargliela vinta, di non cedere a quel orribile ricatto, doveva assolutamente intevenire!
Ma non appena voltò l’angolo incappato da Ghostface trovò solo un lungo corridoio deserto.
Era sparito.
 
 
“Lei mi guardò negli occhi fissandomi a lungo e in silenzio, io ricambio l’intensità del suo sguardo, vedo nei suoi occhi la sua tristezza, i suoi dubbi e le incertezze, poi tutto ad un tratto le sue labbra scattano in avanti, appoggiandosi sulle mie.
Resto allibita, sconcertata, paralizzata.
In un attimo mi rendo conto che mi sta baciando, anzi che ci stiamo baciando.
Lento le sue labbra umide e morbide incollarsi sulle mie, sento la sua lingua bussare contro i miei denti per chiedere di entrare e incontrare la mia.
Dopo un attimo di esitazione la lascio entrare.
Il bacio è lungo e travolgente.
È il mio primo bacio!! E l’ho dato a una sirena!
Non so se esserne felice o spaventata o disgustata…ma per ora mi godo semplicemente il momento, lei ha delle labbra morbissime, è molto brava con la lingua…assaporo fino in fondo il mio primo vero bacio.
Infine le nostre lingue si separano.
-Era da tanto che volevo farlo- dice spostandosi i capelli ramati dietro l’orecchio.
-N-non sono sicura di questo, come faccio a sapere che è la cosa giusta per me?- le sussurro.
-Gli uomini ti soddisfano?- mi risponde a bassa voce.
-Non ho mai pensato agli uomini…né alle donne-
-Allora dimmi se ti piace- e torna a baciarmi, con più focosa passione di prima stringendomi a se, passandomi le mani tra i capelli corti e accarezzandomi il viso e il collo.
Chiudo gli occhi assieme a lei, cingendola con le braccia.
-Ti è piaciuto?-
-Non lo so…-
-Ti è dispiaciuto?-
-No…-
Resto in silenzio per un po’ sento il viso infiammarsi poi rispondo…
-Sì, mi è piaciuto-
-Allora penso che anche tu sia lesbica-
Le accarezzo il viso.
-E se ti sbagliassi? Dopotutto è solo un bacio…- ma sapevo benissimo che aveva ragione, ecco perché non ero mai stata minimamente interessata ai ragazzi della mia squadra.
Ecco perché mi sento così strana e così bene con lei.
Ecco perché penso così spesso a Paloma, ogni cosa mi sembra parlare di lei.
-C’è un solo modo per scoprirlo…- risponde.
Per la terza volta le nostre bocche si uniscono, le lingue si incrociano, ci abbracciamo a vicenda stringendo i nostri corpi l’uno contro l’altro in un unico dolce amplesso.
Ci separiamo solo quando il bisogno d’aria si fa impellente.
-Non smettere- le dico, lei sorride e riprendiamo a baciarci con avidità, ad accarezzarci il corpo a vicenda a saziare i primi dei nostri desideri a lungo celati a noi stesse, mi bacia il collo, e discende lungo la schiena con le mani, fino ai glutei sodi che afferra dolcemente, ma con fermezza.
Le mie mani si perdono sulla vasta pianura della sua schiena vellutata accarezzandola dolcemente.
La notte scende veloce.”
 
-Puro genio!- si disse da solo Ghostface rileggendo la sua opera, era da due ore che batteva le dita sulle tastiera per completare quel paragrafo.
-Jonathan vecchio mio, scrittore dovevi diventare, mica assassino! E ora…aggiungi capitolo!- aggiunse premendolo con la freccetta del mouse.
Ammirò soddisfatto il suo operato sul monitor, quella storia gli stava venendo proprio bene.
-Che stai facendo?- la voce di Slade risuonò alle sue spalle.
Veloce come una vipera Ghostface chiuse il portatile, e la sua pelle prese uno strano colorito roseo.
-Niente! Niente!!- si affrettò a rispondere –Era….era…pornografia! Sì, pornografia!-
Disse impappinandosi e mangiandosi le parole, afferrando saldamente il computer con entrambe le mani, nascondendolo dietro la schiena.
-Ma davvero?- domandò Slade che non se l’era minimamente bevuta.
-Ehi, non tutti abbiamo una ragazza rediviva da scoparci. A proposito lei dov’è? Non ci hai ancora presentati-
Terra apparve alle sue spalle con un sorrisetto divertito –A questo si rimedia-
Ghostface si voltò di colpo in direzione della ragazza.
Terra era lì, bellissima con quei capelli biondi, li aveva tagliati ad altezza vita ma erano comunque molto lunghi, indossava una maglietta scura e pantaloncini, un sorrisetto furbesco dipinto sul viso ovale, ornato da due grandi occhi color zaffiro.
Pure il corpo non lasciava desiderare, il tempo trascorso nella capsula d’incubazione, immersa nei fermenti, aveva compensato tutte le carenze dell’adolescenza.
<'A gnocca> pensò il vecchio.
Appoggiò il computer sul tavolo e sorrise spavaldo a sua volta –Tu devi essere Tara, o meglio dire Terra, giusto? Incantato.
Il mio nome è Jonathan Argenti ma tutti mi conoscono col nome d’arte: Ghostface-
Disse con un cavalleresco inchino.
Lei ricambiò con un altrettanto finto inchino da damigella, divertita da quel buffo individuo –Il piacere è tutto mio-
Ghostface allungò il collo in direzione del suo ex-allievo, ma parlò a voce abbastanza alta perché la ragazza potesse sentirlo –Ora capisco perché hai faticato tanto per riesumarla, mettile un anello al dito prima che lo faccia io-
Terra scoppiò in un allegra risata.
-Signorina vuole farmi l’onore di accompagnarmi davanti alla tv?- chiese tendendole la mano.
-Indubbiamente- rispose Terra rimponendo la sua mano in quella grande e pallida di Ghostface, ricevendo in cambio un baciamano.
Slade sbuffò.
I due a braccetto si voltarono verso di lui –Non hai qualcun’altro da andare a importunare? Amici? Parenti? Serpenti velenosi?- disse Ghostface desideroso di restare solo con la ragazza.
-In effetti avrei qualcosa da fare…- disse il guercio stringendo i denti.
-E allora falla, intanto io e la qui presente fanciulla impareremo a conoscerci meglio. Tranquillo te la ridarò ancora tutta d’un pezzo-
Slade sempre posato nei suoi movimenti fece per tornare nel suo studio, con le mani strette a pugno fino a conficcarsi le unghie nella carne.
-Suppongo che avrete molto da dirvi- disse, sbattendo l’unico occhio buono prima di chiudere la porta.
-Puoi giurarci- sorrise il vecchio.
Appena l’uscio si chiuse Ghostface guardò Terra –Sai, non capisco mai se sbatte le palpebre o se ha ammiccato-
 
Slade accese il monitor dopo aver indossato nuovamente la maschera nera e rame.
C’era una video chiamata per lui.
-Da quanto tempo…- disse non appena riconobbe il viso sul monitor.
 
Ghostface e Terra si sedettero assieme sul divano.
Lui accese la tv per coprire i loro dialoghi da orecchie indiscrete.
-Tu sai tutto, vero? Ricordi tutto-
Terra annuì.
-I Titans, Slade, il tuo tradimento…il tuo odio per quello che ti ha fatto fare…i tuoi amori…li ricordi?-
-Sì- rispose Terra- Ricordo tutto quanto, ogni persona ogni momento…e mi ricordo che detesto Slade-
-Allora perché ci sei andata a letto?- gli chiese Ghostface osservando attentamente il suo viso, in cerca di qualcosa che potesse tradire i pensieri che albergavano in lei.
-Perché ora si fida di me. A fargli sapere che ricordo tutto non ci guadagno niente-
-Qui ognuno fa il suo gioco…- fece il vecchio pensieroso –I Titans sono una squadra, lavorano insieme per un obbiettivo comune, noi invece collaboriamo ma ognuno ha il suo scopo da raggiungere, si serve degli altri finché gli fanno comodo. Ecco perché cerchiamo di metterli uno contro l’altro. Se i Titans si dividono la loro forza si spezza e possono essere eliminati uno ad uno-
Terra si alzò dal divano, venendo prontamente raggiunta dal vecchio, si poteva dire che combattevano un duello psicologico con volti corazzati di indifferenza e lingue affilate come spade.
-Perché mi dici queste cose, se sai che in fondo io parteggio per loro?- gli chiese la bionda spezzando quegli interminabili attimi di silenzio.
-Per lo stesso motivo per cui ti ho ridato la memoria- rispose Ghostface, girandole intorno come un felino con la preda.
-Sei stato tu?-
-Ho visto che Slade ti aveva rimosso i ricordi, interrompendo un legame celebrale, mi è bastato dire al database della capsula di incubazione di ripararti anche la testolina e sei tornata quella di un tempo-
Terra lo seguiva dubbiosa con lo sguardo –Perché l’hai fatto?-
-Perché mi sei sembrata una ragazza sveglia e onesta, almeno abbastanza da saper ricambiare il favore….- sogghignò tamburellano le dita tra loro.
-Che cosa vuoi che faccia, sentiamo?-
-Sono sicuro che lo capirai al momento giusto, quando avrò bisogno di te saprai cosa fare.
Vedi Terra, io e te abbiamo un obbiettivo in comune- rispose il vecchio con voce distaccata –Sono a conoscenza dei tuoi sentimenti per quel puffo avariato. Purtroppo lui è già sposato. Sia io che te vogliamo la stessa cosa quindi, seppur per scopi diversi: che BB e Corvina divorzino-
-Tu perché lo vuoi?- domandò la ragazza con in viso un’espressione poco rassicurante.
Ghostface tentennò un istante indeciso sul da farsi, poi si ricordò che non giocava in una squadra, lui stesso era la sola squadra di cui aveva bisogno, di cui poteva fidarsi –Questi non sono affari che ti riguardano. Né te né il tuo amichetto verde, tranquilla- sorrise, un sorriso minaccioso che gelò il sangue nelle vene alla giovane, Terra capì in quel momento, da quel sorriso, che si trovava davanti a qualcuno cattivo come pochi, qualcuno che non avrebbe esitato a falciare chiunque avrebbe trovato sulla sua strada, a spazzar via chi l’avrebbe ostacolato, senza pietà.
Distolse per un secondo lo sguardo e pregò di non essere su quella strada che intendeva percorrere.
-Gioca bene le tue carte Terra, ormai siamo all’ultima mance. Chissà, se fai bene le tue mosse potresti addirittura finire assieme al tuo amato mutaforma, finalmente in pace, felice e contenta-
Terra non rispose
<Non è BB che voglio, ma Corvina. E qualcosa mi dice che la vuoi anche tu. Attento a te Ghostface, non sei il solo a saper essere cattivo. Falle del male e te la vedrai con me>
 
-Edison fu l’inventore della lampadina e di tante altre invenzioni che hanno permesso lo stile di vita a cui tutti noi oggi siamo abituati-
-Se era così intelligente perché è morto, eh?-
 
Ghostface scoppiò a ridere.
-Ah ah ah…oh Zeus! Homer non invecchierà mai!-
Quando Slade tornò nella sala, lui e Terra erano stravaccati sul divano davanti alla tv.
-John, non mi hai ancora detto cosa ci facevi all’ospedale. Eramo d’accordo riguardo a “niente segreti”-
-Aspetta un attimo, Willy. Ci sono i Simpson. Dopo vuoto il sacco, promesso- girò verso di lui il capo pallido come le ossa del cranio ghignando –Non ti fidi di me?-
-Tutt’altro John, tutt’altro-
Tre persone che lavoravano insieme, convivevano e fingevano di andare d’accordo ma mai c’era stato qualcuno più distante di quei tre.
Ognuno col suo obbiettivo, col suo disegno da seguire.
Disegni che si intrecciavano tra loro, che avevano bisogno degli altri due per essere completi…ma comunque ben distinti.
Tutti facevano finta di fidarsi reciprocamente, tutti erano consapevoli che una pugnalata alle spalle sarebbe potuta giungere da qualsiasi parte in qualsiasi momento.
Un vecchio, un uomo, una giovane…tre generazioni chi sarebbero scontrate da lì a poco, ognuna per il proprio trionfo…quale sarebbe risultata la migliore?
 
 
Passarono tre giorni.
Il tempo concesso a Robin da Ghostface per architettare una scusa plausibile per giustificare la venuta del DVD nelle loro vite.
Poi arrivò il momento fatidico.
Era tarda notte.
Una notte gelida e il vento soffiava impetuoso, al punto che gli ululati si sentivano fin dentro le stanze.
La Torre era avvolta nel silenzio.
Stella dormiva nel letto matrimoniale assieme ai gemelli, che non potendo stare con la madre avevano scelto di dormire con l’amata zietta, Bruce era nella sua stanza e April in quella appartenuta a sua madre, nonostante la inquietasse un po’.
Corvina infatti aveva deciso di passare la notte con Cyborg, per concedere a BB almeno una notte di riposo dalla sua costante e premurosa veglia all’amico bionico.
BB desiderava proprio passare una notte con Corvina, una notte focosa che lo aiutasse a dimenticare almeno per poco tempo quella tragedia che gli era piombata addosso dal nulla con una forza devastante.
Tuttavia per avere quella notte di riposo aveva dovuto rinunciare alla stessa Corvina.
Tra i mille pensieri che gli turbinavano per la mente come sballottati dalla dantesca tempesta infernale gli era stato impossibile chiudere occhio.
Così, stanco e mezzo addormento il mutaforma si annoiava davanti alla tv, con le cuffie in testa per non disturbare chi, al contrario di lui, riusciva a dormire.
Robin gli si parò davanti.
-Hey amico. Notte in bianco anche per te?- sorrise il mutafoma, notando l’espressione greve di Robin, cercando di risollevargli il morale –Ti manca Stella, eh? Ti capisco, niente e peggio di un letto vuoto…o troppo affollato…in una nottataccia del genere. Ecco perché sei così giù di corda, ho ragione?- deboli e vani tentativi fatti da chi non aveva voglia di ridere, BB si era incupito molto dall’incidente ma si sforzava di non darlo a vedere… non che fosse un gran attore ma per lo meno coi gemelli funzionava.
-BB c’è una cosa che dovevo dirti tempo fa…- iniziò Robin sedendosi accanto a lui.
-Sentiamo-
Il ragazzo fece un grande sospiro, stava per tradire il suo amico, per distruggere la famiglia di quello…ma se non lo avesse fatto sarebbe stata la sua a venire schiacciata.
-Non volevo dirtelo ora, dopo quello che è successo a Cyb è proprio il momento peggiore…ma non ce la faccio più a tenermi dentro una cosa del genere, non posso…- non c’era alcun dubbio, Robin era decisamente un attore migliore di BB.
BB si sistemò coi gomiti sulle ginocchia –Che succede…inizio a preoccuparmi-
Robin estrasse dal mantello un DVD argentato in una custodia di plastica.
-Me lo diede Cyborg prima di partire. Mi disse che era sconvolto, che non sapeva cosa fare, come comportarsi e lo affidò a me affinché facessi quello che ritenevo più giusto: cioè dartelo. Io e lui siamo i soli ad averlo visto, nessun’altro lo sa-
-Cyborg? Sconvolto? E per cosa? Cos’è questo DVD? Perché lo dai a me?- il ragazzo verde ci capiva sempre meno in tutta quella storia.
Che cosa cazzo era quel misterioso DVD e perché Cyborg ne era così spaventato? Perché Robin era così triste?
-Guardalo e capirai ogni cosa- concluse Robin.
-Puoi giurarci che lo faccio!- ribattè BB che brancicava nel buio più totale, non capiva il perché di quei giri di parole ma gli piacevano molto poco.
Non vedeva l’ora di far luce sulla faccenda.
Mise su il disco e decise di guardarlo con Robin, il ragazzo voleva stargli vicino in quel momento così arduo da sostenere.
Poco prima che iniziasse l’eroe mascherato lo guardò negli occhi e con una lacrima che gli divideva le guance, dolorosa come se ci fosse una lama a tagliargli la pelle, disse –Mi dispiace-
Il video partì.
 
BB lo guardò tutto incredulo, paralizzato e ammutolito.
Incapace persino di pensare.
Solo una cosa lasciava intendere che non era del tutto pietrificato: l’inarrestabile cascata di lacrime che gli colavano lungo il viso fino al meno, in silenzio, direttamente dagli occhi sgranati, occhi vacui e smarriti.
Il filmino era finito da almeno dieci minuti e lui era rimasto lì, immobile, con lo sguardo perso nel vuoto, nel buio della notte tetra.
Solo dopo quei dieci minuti trovò la forza di balbettare -:..n-no…- un suono così debole che fu rapito dall’ululare del vento, e si dissolse nell’aria.
Se l’incidente di Cyborg l’aveva colpito…scoprire che sua moglie lo tradiva con Ghostface fu per lui come venire investito inerme da una valanga con tutta al sua inarrestabile furia distruttrice.
Sì, fu molto molto doloroso.
 
Dall’altro lato dello stretto che separava la T-Tower dalla terra ferma due figure si stagliavano contro il vento sul tetto del grande grattacielo E.X.P.O. in direzione della Torre.
Avevano assistito a tutta la scena grazie a potenti binocoli a infrarossi.
Con la tempesta che gli scompigliava i bianchi capelli nel vento Ghostface alzò la mano dicendo un semplice –Dia…-
Slade alzò la sua battendo il cinque al suo mentore -…bolico- completò.
 
 
L’Hive Five restava sotto il fascio di luce, in piedi mentre lui li osservava nascosto da un cono d’ombra, seduto sul suo trono di ferro.
-Questo è tutto. Tu sei l’unico abbastanza bravo da scoprire chi è stato ad ucciderla. L’unico abbastanza veloce e affidabile. L’unico a cui possiamo rivolgerci. Ti prego aiutaci- chiese Mammut cadendo in ginocchio.
-Perché dovrei?-
-Noi ti abbiamo servito fedelmente in passato. E siamo ben disposti a rifarlo. Tu sei una leggenda del crimine, uno come te può comprendere il desiderio di vendetta che ci anima. Non puoi voltarci le spalle adesso. Chiedici qualunque cosa vorrai, e noi la faremo-
Tutte parole che normalmente non gli avrebbero fato alzare un dito…ma l’ultima frase lo interessò molto.
-Bene- rispose la voce calma e pacata–Mi avete convinto. Sparite adesso. Vi farò sapere quando avrò trovato il responsabile…e quando richiederò i vostri servigi-
Con un gesto della mano l’uomo in nero congedò il gruppo di giovani fuorilegge, che giustamente intimoriti da quell’individuo si dileguarono rapidi e in silenzio.
Avvolto nelle tenebre e nel silenzio di quel vecchio covo diroccato, quella parte che ancora restava ignoto alle autorità, l’uomo si mise a fissare il buio e a pensare.
Ancora poco tempo e tutto sarebbe stato pronto.
Avrebbe finalmente fatto la sua mossa che meditava da tempo.
-Che i giochi abbiano inizio-

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11 ***


CAPITOLO 11
 
-COME PUOI INSINUARE UNA COSA DEL GENERE !!!!!????? SONO TUA MOGLIE!!!!!- urlò Corvina con quanto fiato aveva in gola, con la voce roca a forza di sbraitare, paonazza in viso per la rabbia.
-SEI UNA PUTTANA!!- rispose BB nel medesimo tono.
Entrambi coi nervi tesi e le vene pulsanti si guardavano pieni di furia incrociando i loro sguardi feroci, come se si stessero scannando con lo sguardo.
I visi trasformati in maschere di odio e dolore facevano paura a vedersi, mostravano i denti ringhiati fino alle gengive, le bocce sparavano una dopo l’altra raffiche di parole di fuoco, poco ci mancava che venissero alle mani.
La Ops Mains Room era letteralmente devastata: la tempesta emotiva della maga esigeva sempre il suo tributo.
Il divano era stato letteralmente sparato fuori dalla vetrata, non c’era più un monitor o un vetro intatto, i tavoli metallo erano accartocciati come pezzi di carta, le lampadine tutte esplose, gli elettrodomestici smembrati e tutto il resto era ridotto in frantumi, se era fragile, oppure orbitava pericolosamente attorno alla maga, come un sinistro satellite avvolto di un aura nera, pronto a scagliarsi sul mutaforma non appena abbassava la guardia.
BB aveva già evitato tre sedie, due sgabelli e la palla da bowling di Cyborg…non era stato altrettanto abile a schivare la tastiera del computer, che l’aveva centrato in pieno viso.
In pochi minuti il confortevole salone era diventato un luogo poco adatto ai bambini, i quali erano stati portati via da Stella, in fretta e furia.
Tutti tranne April, che era scappata via non appena la violenta lite era iniziata e nessuno sapeva che fine avesse fatto.
L’ennesimo soprammobile s’infranse contro la parete, che neppure se la passava benissimo date le crepe scavate nel muro dalle saette nere della mezzo-demone.
Di questo passo Corvina avrebbe demolito l’intera Torre, nessuno l’aveva mai vista così arrabbiata.
Come erano potuti arrivare a questo punto?
Come?....
 
Sonnecchiava pigramente dondolandosi con un piede, seduta sulla sedia bianca nell’ambulatorio.
A poco erano servite le sue magie curative, il salvabile dell’organico era già stato salvato, per quanto continuasse ad essere instabile, ma la parte meccanica, quella che si occupava di tutte le funzioni vitali, era a stento funzionante.
Nessuno sapeva connettersi al database di Cyborg, nessuno sapeva come aggiustare quei bizzarri e avanzatissimi congegni progettati dallo stesso mezzo-robot, congegni che lo animavano.
Cioè quasi nessuno…subito Robin aveva pensato a Gizmo, pur sapendo cosa l’Hive Five gli avrebbe chiesto in cambio ma era un prezzo che era disposto a pagare per far ridestare il suo amico…solo che gli Hive parevano essere spariti dalla circolazione.
Computer grandi come armadi lavoravano giorno e notte, rischiando un sovraccarico, per fornire al corpo menomato del ragazzo l’energia sufficiente per tirare avanti, in stato vegetativo.
Non restava che sperare che si svegliasse e insegnasse a qualcuno come riparlo.
Neppure tra le pagine del Libro degli Eroi, Corvina, aveva trovato qualcosa di utile.
Sì, c’erano le lacrime magiche di ciclope…ma come se le procurava lei?
La maga posò sul mobiletto l’Enchiridion, potentissimo libro di cui era riuscita ad entrare in possesso, e accarezzò il volto bendato del ragazzone nero.
Avrebbe voluto parlargli, dirgli qualcosa, ma cosa? Cosa avrebbe potuto ridestare Cyborg da quel sonno di morte?
Stava per raccontargli delle sue preoccupazioni riguardo April, in modo da sfogarsi con qualcuno, era evidente che ne avrebbe tratto più beneficio lei che Cyborg ma se al ragazzo bionico non andava bene di ascoltarla non doveva far altro che dirlo.
Come ogni madre, Corvina era sempre più crucciata dal comportamento della figlia adolescente: la ragazzina diventava sempre più sfuggente, ogni tanto leggeva accidentalmente le sue emozioni, benché si fosse ripromessa di non farlo, visto che ciò che frulla nella mente degli adolescenti dovrebbero essere solo fatti loro, inoltre a volte April poteva avvertire se la madre le entrava nella testa, ma ogni tanto, passandole di fianco, qualcosa delle emozioni della ragazza entravano nella madre, impensierendola ancora di più .
Una notte le era capitato di avvertite le sue emozioni dalla stanza comunicante, mentre April era intenta a far altro anziché dormire, scoprendo così che la sua figlioletta si masturbava pensando a chi, lei, non si sarebbe mai immaginato.
Tuttavia, prima che potesse aprir bocca, BB aveva fatto irruzione nella stanza, nel cuore della notte, coi capelli stravolti dal vento e le guance segnate dal pianto, con un disco in mano e un’espressione in volto che l’atterrì appena la vide.
Si voltò verso di lui, con un espressione interrogativa ma serena –BB, amore, che ci fai qui? Pensavo fossi alla Torre-
-E io pensavo che tu non fossi una zoccola!- fu l’aggressiva risposta che ricevette.
Corvina sgranò gli occhi, non le aveva mai rivolto un insulto da quando si conoscevano e ora, dopo tre figli e tredici anni di matrimonio le dava della baldracca?
-Ma come ti permetti!? Cos’è questa storia?!- replicò alzandosi in piedi, lei più sorpresa che arrabbiata.
BB si prese la fronte tra le dita della mano, coprendosi gli occhi verdi come smeraldi –Sii sincera Corvina, almeno per una volta, sii sincera: me lo avresti detto? Mi avresti guardato negli occhi e avresti avuto il coraggio di confessarlo? O saresti fuggita di notte, in silenzio, come una ladra?-
Corvina, per quanto si sforzasse, non riusciva a capire -Ma di che stai parlando?
A quelle parole il mutaforma, che ormai era una pentola a pressione di rabbia e dolore, esplose -Di Ghostface! Del tuo amante! Chi altro dovrei parlare!!?? Quanti altri ne hai ancora??!!-
Lei continuava a guardalo smarrita, quasi non lo riconosceva e sicuramente non lo aveva mai visto così arrabbiato.
-Ma quale amante?! Che stai dicendo?!- la maga ce la metteva tutta per comprendere ma quella valanga di rabbia che le stava venendo addosso proprio non se la spiegava.
-BASTA MENTIRE!!!!- urlò il ragazzo con quanto fiato aveva in gola.
Medici e infermieri si affacciarono alla porta, finché un dottore, visto che il litigio proseguiva li cacciò fuori dall’ambulatorio, in sala d’aspetto.
Una volta soli, Corvina cercò di farlo ragionare, di calmarlo, avvertiva una rabbia feroce in lui, ma soprattutto una terribile agonia nel profondo del suo animo che gli squarciava il cuore senza sosta.
-BB calmati, mettiti seduto solo un secondo è raccontami cos’è successo- disse mettendogli le mani sulle spalle, ma lui le scacciò con un movimento brusco.
-Raccontartelo?!- ribattè quello fissandola di traverso con un mezzo sorriso isterico, come uno psicopatico –Te lo mostro! Perché tanto ho le prove adesso, cara la mia puttanella. Hai finito di ingannarmi! Avanti, andiamo alla Torre!-
 
Poco dopo Corvina era in piedi nella Ops Mains Room, senza più parole in bocca.
Quel video l’aveva a dir poco sconvolta.
Il suo sguardo si spostò dal monitor agli occhi del marito.
-C-come puoi credere a una cosa simile?- nel suo tono non si leggeva rabbia o frustrazione ma solo una piatta e fredda delusione, i suoi lucenti occhioni d’ametista erano il riflesso dell’incredulità.
-Innanzi tutto come fai a sapere che lui è veramente tornato? Non dovrebbe essere nel Tartaro? Qualcuno l’ha forse visto di recente? E se anche fosse qui…come puoi anche solo concepire che io abbia fatto l’amore con lui? dopo tutto quello che mi ha fatto…che ci ha fatto? Lui mi ha rapita, picchiata, umiliata, torturata e per poco non mi ha uccisa…e io per ringraziarlo gli avrei succhiato il cazzo, secondo te?- trasse un respiro mantenendo una spaventosa, innaturale e irreale calma, Robin e Stella assistevano increduli a quella perfetta forma di autocontrollo della mezzo-demone.
-No, l’hai anche preso nel culo, infatti- precisò quello, sibilante e tagliente, guardandola con odio, dopo quello che gli aveva fatto, BB non vedeva l’ora di sputtanarla davanti a tutti i loro amici per la gran vacca che era.
Corvina sospirò pesantemente, sempre con gravosa calma inspirò a pieni polmoni…e con quanto fiato aveva in gola urlò fino a irritarsi la trachea –MAI SEI CRETINO O COSA??!! CI SEI NATO COSÌ COGLIONE O HAI STUDIATO PER DIVENTARLO???!!! È OVVIO CHE È UN FALSO!!!!- eccola la cara Corvina che una volta di più era uscita dai gangheri, rossa in viso e coi capelli che le si rizzavano per la rabbia.
-Volevo credere che fosse un falso, Corvina! C’ho sperato disperatamente, fino all’ultimo! Ma ho fatto i controlli, 37 fottutissimi controlli col super-computer della Torre e sai una cosa… per 37 volte mi ha confermato l’autenticità del filmato!! Mi sono rovinato la vista a scrutare per ore tutti quei dati a confrontarli uno ad uno, ostinatamente attaccato alla falsa speranza della tua innocenza, perché non volevo credere a quello che avevo visto…risultato? Non c’è una sola minima variazione!! Tutto combacia perfettamente!! TUTTO!! Quel video è autentico!-
La risposta a tono fece solo ammattire ancor di più la maga –Se Cyborg fosse qui ti dimostrerebbe che ti sbagli!! Come sempre.-
Oh come avrebbe voluto BB che Cyborg fosse lì –Sarebbe veramente strano visto che è stato lui a darmelo!!-
Corvina rimase scioccata da quelle parole –Te l’ha dato lui?- la cosa si faceva sempre più irreale, perché mai il suo “fratellone” avrebbe fatto una cosa del genere?
-Lui l’ha dato a Robin, e Robin l’ha dato a me- precisò il mutaforma, restando arroccato nei suoi bastioni di rabbia e sordità, si rifiutava di sentire ragioni di qualsiasi tipo.
La strega guardò Robin –Anche tu? Ma cos’è?! Un complotto!!??-
<Ci hai quasi azzeccato> pensò Robin, ringraziando di avere la maschera in viso, affinché i suoi amici non potessero vedere l’espressione dei suoi occhi, profondamente segnata da tutto quel dolore che aveva provocato.
Ma doveva riuscire a non fa trasparire nulla, a tenersi tutto dentro, per Stella e per Bruce.
-Come fate ad essere così ciechi?!- continuò la maga rivolta a un’immaginaria platea inquisitrice, difendendosi come poteva da quelle accuse che sapeva essere immeritate –Io non l’ho fatto! BB, credimi, non lo farei mai, non potrei mai tradirti, tantomeno con Ghostface! Per Azar! Abbiamo tre figli, tre! Non ti basta come prova del mio amore? Non ti bastano tutti questi anni passati insieme?-
Parole sincere, parole dolorose che non fecero altro che aprire ulteriormente le profonde piaghe nell’animo del mutaforma.
Soffriva a vedere la sua amata Corvina ridotta così, a implorarlo di avere fiducia in lei, ma non poteva dargliene, non dopo quello che era successo…in tutti questi anni l’aveva solo preso in giro.
Chiudendosi ancor di più in se stesso, blindando letteralmente il proprio cuore BB rispose con parole di fuoco -Non negare l’evidenza Corvina! Ci sono le prove: quella nel video sei tu! È identica a te in ogni particolare, da quella gemma che hai in fronte al tatuaggio sul culo! Identica in ogni singolo dettaglio, se è una falso come facevano a sapere che ti depili sempre? Come sapevano del piercing al capezzolo? E di quello all’ombelico? O com’è fatto quel tuo tatuaggio? Mi hai detto di averlo disegnato tu, o è solo un’altra balla??!!-
Il breve momento di tristezza, in cui lei aveva provato a farlo ragionare fu spazzato via da un nuovo tornado di rabbia, seguito dai devastanti effetti della magia fuori controllo della maga.
Corvina sclerò ancora -Se sanno queste cose devi ringraziare solo te stesso e la tua coglionaggine! Sei tu che hai messo le mie foto erotiche su internet*! E lì si vedeva bene com’era fatto il mio tatuaggio…e anche molto altro. Ci sono voluti mesi per eliminare tutte quelle in rete, ma basterebbe che un qualche pervertito…un maniaco…che qualcuno avesse salvato l’immagine e buona notte!! E vedi di smettere di sbandierare in giro come tengo le mie parti intime o giuro che nemmeno tu le vedrai più! –
-Oh tanto ci pensa già Ghostface a soddisfartele! Che c’è sei così agitata perché ti manca il suo cazzone su per il culo?-
-Sei uno stronzo, BB!! Uno stronzo!! Meriteresti che ti tradissi, e chissà adesso forse forse lo faccio!-
Il mutaforma piegò la testa di lato evitando il vaso lanciatogli contro dalla moglie, non fu però abbastanza svelto da schivare il sottovaso, che avvolto nella magia nera gli fece piuttosto male quando lo centrò sul pancreas.
Ma strinse i denti e tornò a ringhiarle contro come una bestia, come la Bestia –Non c’è bisogno che mi minacci, so già che mi fai le corna! Io l’ho visto, tu l’hai visto, tutti qui l’hanno visto!! Sei solo una troia infedele, una succhia-cazzi depravata! E quel che è peggio è che lo fai a Ghostface, a quel pazzo assassino! Tu sei malata, Corvina. Malata!!-
Lei gli si avventò contro spintonandolo con forza, facendolo arretrare, aveva gli occhi lucidi di lacrime, il viso rosso di rabbia e i denti serrati parevano doversi frantumare gli uni contro gli altri da un momento all’altro.
Le feroci parole, il crudele scambio di sillabe atte a ferire, facevano più male a chi le pronunciava che a chi le udiva.
Insultarsi l’un l’altro in quel modo, loro due che si erano sempre sentiti prima così distanti eppure attratti, poi così vicini, così legati…così innamorati...era quanto di peggio potessero farsi.
-Non ti sembravo così deviata quando era il tuo cazzo che avevo in gola! Che per giunta…- disse agitando il mignolo con sfottimento -È talmente piccolo che non serve una foglia di fico per coprirlo, ne basta una d’ulivo!! Sai mi chiedevo sempre se mi stavi scopando o masturbando non c’era molta differenza, solo che con la seconda godevo di più!!-
BB sbuffò altezzoso –Usando insulti di questo livello non fai che umiliare te stessa. Sei così disperata da ricorrere a cliché come questi per ribattere…fai proprio pena!!- disse pieno di disprezzo.
-Sei una puttana- aggiunse sputando a terra.
-E tu un miserabile verme che non ha un briciolo di fiducia nella propria moglie!! Come ho fatto ad essere così cieca e a sposarti!!?? COME!!?? Se potessi tornare indietro…NON COMMETTEREI DUE VOLTE LO STESSO SBAGLIO!!!-
-Io invece…- replicò BB sempre più aggressivo, avvicinando il viso, una maschera di bronzo,  ancor di più a quello tesissimo della maga, ormai i loro nasi distavano solo una decina di centimetri, e i loro sguardi si combattevano, scontrandosi l’un l’altro come auto in corsa –Non alzerei un dito per salvarti. Ti lascerei in quel tugurio dove ti avevo trovata, ammanettata a quella croce col tuo degno amante depravato! Ma tanto a te il sadomaso piace…troia rotta in culo!!
Eri disposta a fuggire con lui! CON GHOSTFACE!!!
Vorrei sapere cosa pensi realmente, con quali schifosi desideri ti sdrai succube ai suoi piedi, bramosa di essere trattata come la cagna in calore che sei… come ho potuto innamorarmi di te?! Chissà con quali perversioni nella mente pensi a lui…- BB la fissò dritto nelle pupille pronto a sferrare il suo attacco decisivo - …Magari con lo stesso malato sguardo libidinoso con cui guardi nostra figlia!-
Quelle parole furono troppo per Corvina.
La maga gli balzò addosso, gettandolo al suolo, tirandogli uno schiaffo tale che gli girò il viso dall’altro lato.
-STRONZO!!!- gridò piangendo la maga, colpendolo ancora –Bastardo!! Io non ho mai fatto nulla del genere!! Lo sai, maledetto, tu lo sai!! Come osi accusarmi così!!???!?! Sei una BESTIA!! Un ANIMALE!!!-
Con uno spintone il mutaforma si liberò della strega sopra di lui, mandandola a sua volta per terra,
la maga si rialzò fulminea mentre lunghi artigli di tenebra le si formavano sulle dita, prolungandosi oltre venti centimetri, sembrava decisa farlo a pezzi.
E l’enorme gorilla verde che si batteva furiosamente il petto, ruggendo come se posseduto dal diavolo, non fu da meno.
Si leggeva negli occhi di entrambi una profonda rabbia alimentata dal dolore.
Ma sarebbero realmente giunti alle mani?
Si sarebbero davvero spinti a tanto?
Robin, non lo sapeva e non voleva saperlo, in ogni caso sapeva di dover fermarli prima che la cosa sfuggisse di mano.
Stella Rubia fu rapida a interporsi tra i due contendenti, afferrando saldamente i polsi della scimmia costringendola ad arretrare grazie alla sua forza sovrumana.
Robin a sua volta, scattante come un serpente, balzò dietro Corvina, bloccandole le braccia nonostante i tentativi di lei di divincolarsi.
Robin non riusciva a parlare, le parole gli erano morte in gola quando il litigio era partito.
Lui era stato costretto a causare questo male ma non avrebbe permesso che degenerasse.
-BASTA!!!- urlò sbattendo la maga a terra, immobilizzandola, Stella fece lo stesso col mutaforma, che riprese sembianze umane.
-Vi state comportando come degli animali! Tutti e due!!- disse incapace di credere a quello che aveva appena visto, a quello che aveva appena causato, BB e Corvina, una coppia che non aveva mai litigato per nulla di più serio dei programmi televisivi erano giunti ad aggredirsi l’un l’altro.
-Non so cosa sia successo, non so se quel video è vero o no ma so che ammazzandovi tra di voi non risolverete nulla!!- sospirò- Adesso vi lasciamo andare e voi…voi vi scuserete e vi stringerete la mano. Poi parlerete di quanto è accaduto come persone civili! Siete eroi! Siete i Titans! E vi amate! Non dimenticatelo, dannazione, voi due vi amate a prescindere da quanto è o non è successo!! Questo non potete ignorarlo!!-
Tutti si calmarono, BB e Corvina rimasero ancora a terra qualche minuto, intrappolati lì dai loro amici poi furono lasciati andare.
Si guardarono negli occhi con sguardi freddi e gelidi, lame di spade intrise di un veleno fatto di odio e diffidenza.
Nessuno strinse la mano a nessuno.
Rimasero in silenzio, un lungo, profondo, pensate e intenso silenzio tombale.
Ci vollero dieci minuti buoni prima che BB ritrovasse l’uso della parola, infrangendo quel muro di non-suono.
-Animale…è tutto quello che non fa le uova: ci siamo dentro anche io e te, Corvina-
-Quello è il mammifero, idiota- precisò lei, senza mutare di un millimetro la sua espressione di freddezza.
-Non voglio più vederti- aggiunse la maga –Ho bisogno di stare per conto mio. Forse allora, dopo essermi tranquillizzata, forse potrò perdonarti BB. In fondo Robin non ha tutti i torti…io tengo a te, ma ora come ora è meglio se stiamo ognuno per conto suo- era impassibile, una statua di marmo avvolta nel suo mantello di tenebra, altezzosa nella sua superiorità…nel suo dolore.
-Tu dovresti perdonare me?! E per cosa?!- fece il ragazzo verde che sentiva la bile salirgli di nuovo, ma memore di quanto era appena successo soffocò la rabbia e ingoiò l’amaro boccone.
-Anzi, no. Non lo voglio sapere. Tu ormai sei grande Corvina, puoi fare quel cazzo che ti pare! Vuoi scappare con quell’assassino?! Bene! fallo!  Non me ne frega più niente ormai! Ma non disturbarti a tornare a casa stanotte, io e i ragazzi non ti apriremo-
-Non puoi portarmi via i miei figli!!-esclamò Corvina, scioccata all’idea.
-Se tu non vedi l’ora di diventare la cagna di Ghostface fa pure, però non credere che ti lascerò i bambini, specie sapendo che razza di maniaci frequenti-
Corvina aveva un solo punto debole: i suoi figli. Separarla da essi sarebbe stata la cosa peggiore che si potesse fare.
Lei avanzò guardandolo truce, puntandogli il dito contro.
-Ti avviso BB: tu non provare a togliermi i miei figli o giuro su Azar che l’ascesa di Trigon ti sembrerà la notte di Natale rispetto a quello che ti farò!!- i suoi occhi, i suoi gesti, il suo tono… tutto mandava un evidente messaggio: non è un bluff.
Lui la guardò imperturbato.
-Ti faccio trovare le valige fuori dalla porta- detto questo, senza aspettare risposta, BB le diede le spalle e se ne andò.
-Non puoi buttarmi fuori casa! È intestata a me! Sono io che pago il mutuo!- gli urlò lei mentre le porte dell’ascensore si chiudevano, ma lui non la udì, o non volle udirla, che in fondo son più o meno la stessa cosa, perché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
 
 
Quando a tarda sera Corvina tornò a casa trovò la porta chiusa e un paio di valige nella veranda.
Le oltrepassò senza degnarle di uno sguardo, girò le chiavi nel pomello ma lo trovò chiuso col chiavistello.
Non si scoraggiò, le porte chiuse non erano mai state un problema per lei.
La oltrepassò come si oltrepassa un muro d’aria.
-Mamma!- Rick e Ruby le corsero incontro abbracciandola.
L’accoglienza era più calda di quanto sperasse.
Lei si piegò stringendoli forte a sé, sorridendo dolcemente come non le capitava da tempo, come solo i suoi bambini sapevano farla sorridere.
Non avrebbe permesso a nessuno di portarglieli via.
Li baciò entrambi sulle guance e sulla fronte –Cucciolotti miei, come state? Qui non è successo niente, vero?-
-No, no- disse Ruby scuotendo il capo con le treccine che danzavano da destra a sinistra, assecondando il movimento.
L’eroina si tranquillizzò un po’.
-Però papà è tanto strano…- aggiunse Rick indicando la cucina, dove stava il padre.
Corvina tacque pensierosa sul da farsi.
-April è in casa?- domandò.
-No, non è ancora tornata-
-Scommetto che è con Bruce a darsi tanti bacini come mamma e papà- ridacchiò la bambina, Ruby era sempre stata convinta che la sorella e il mezzo-tamaraniano fossero sposati dalla nascita.
-Baciare le femmine?! Che schifo!!- replicò il fratellino.
-Non è vero! È una cosa romantica, lo fanno tutte le principesse coi loro principi!-
-Pfui alle tue principuzze! I Gormiti non baciano le femmine!-
La maga si rialzò lasciando i bambini a litigare come loro solito, si diresse verso la cucina.
-Ciao BB. Sono a casa- disse appena entrò.
Il ragazzo era immerso nel buio, si dondolava su una sedia con una bottiglia di birra quasi vuota tra le dita verdi e un’altra vuota sul tavolo.
-Che ci fai tu qui?- replicò quello scontroso.
Corvina evitò di arrabbiarsi, non voleva aggravare ulteriormente la già delicata situazione, doveva farlo per i suoi figli, per il suo amore per quell’idiota di fronte a lei e anche per se stessa.
-Finché sono io a firmare gli assegni alla banca, legalmente la casa è mia. Comunque ritengo tu abbia ragione: per un po’ di tempo faremo meglio a vivere separati…-
-Così ti sarà più comodo far visita ai tuoi amanti, eh?- incalzò di nuovo il mutaforma ma lei lo ignorò, non si sarebbe fatta trascinare di nuovo in quel vortice di pazzia.
-BB, io non ti ho mai tradito, né col corpo né con la mente. Ti sono sempre stata fedele e nonostante il modo stupido in cui ti comporti continuerò ad esserlo, come ho giurato sull’altare tredici anni fa. Ti amo e so che tu ami me. Questa è solo una burrasca, ma so che passerà, dobbiamo solo restare a galla fino a quel momento. Lo capisci questo? Vuoi provare a stare a galla con me?-
Lui neppure la guardò, non abbassò lo sguardo dalla parete nella penombra che fissava dondolandosi –Vattene- disse soltanto.
-Bene…se è questo che vuoi- sospirò lei afflitta, imponendosi di non piangere –Domani tornerò, quando ti sarai calmato e non sarai ubriaco, e ti dimostrerò che sei stato ingannato. Io non ti tradirei mai, e poi Ghostface probabilmente, anzi sicuramente non è neppure sulla Terra, nessuno è mai evaso dal Tartaro, è impossibile. Ti dimostrerò che tra me è Ghostface non è mai successo niente. Ti chiedo solo di avere fiducia in me, come moglie, come amica, come compagna di squadra e di vita…ti prego, amore…credimi-
BB mandò giù un altro sorso –Vorrei tanto crederti, Corvina. Davvero. Ma non ci riesco…adesso vattene!-
A malincuore la maga uscì dalla cucina, diretta verso la porta, diede un caloroso saluto ai suoi gemelli, raccomandando loro di chiamarla ogni due ore e di dire ad April di telefonarle appena sarebbe tornata.
Rimpianse grandemente di non poter salutare anche la figlia maggiore, anche se probabilmente, dopo il litigio a cui aveva parzialmente assistito non l’avrebbero vista prima di domani, e in fondo era solo per qualche giorno…non stava partendo per un viaggio né stavano divorziando…no sarebbe andata a vivere a soli pochi isolati da lì… è normale nel cuore di una madre che ogni isolato sia lungo quanto un oceano?
Aprì l’uscio, e sulla soglia si voltò un’ultima volta a dare un bacione ai suoi figlioletti che non capivano perché la mamma se ne dovesse andare, ma la cosa li rattristava molto.
Raccomandò loro che dovevano essere forti, e non piangere per nessun motivo altrimenti il papà non avrebbe saputo farli smettere.
Rick e Ruby promisero in coro, e l’abbracciarono un’ultima volta.
Dopo quel lungo, passionale e intenso abbraccio Corvina si alzò in piedi, asciugandosi una lacrima sulle guance, attraversando l’atrio, prima di uscire però, gettò l’occhio sulla libreria all’ingresso, tentennò qualche secondo e infine prese un vecchio tomo, rilegato di bianco e lo mise sottobraccio.
-Non ne ha mai abbastanza, allora?- sentì la voce tagliente del marito alle sue spalle.
Si volse verso di lui, restando in silenzio a guardarlo, rattristata da come il dolore e la gelosia lo facevano comportare.
-Che c’è? Mi tradisci anche con Malchior? Non mi hai mai detto perché l’hai tenuto così a lungo dopo quello che ti ha fatto, ma penso di averlo capito da me…certo che i cattivi ragazzi ti eccitano proprio-
Lei mantenne la calma, i gemelli erano lì vicino, nella stanza comunicante, non dovevano assolutamente vederli litigare.
-Malchior sarà anche un drago malvagio, un bugiardo e un pericoloso ingannatore…ma sa ascoltare e consigliare. E io ho bisogno di parlare con qualcuno, qualcuno che sappia tenere i segreti per sé-
Lui si avvicinò a lei, guardandola duro… minaccioso.
-Fuori da questa casa!-
-Puoi mandarmi via…- iniziò lei –Ma questo non ti farà stare meglio. Io non ho colpa e finché non mi crederai resterai a consumarti dall’interno. Ti rifiuti di vedermi, di ascoltarmi…come puoi pretendere che mi difenda dalle false accuse che mi lanci. Tu sei soltanto un debole-
-Un debole farebbe questo!!??- Ringhiò BB in preda ad uno scatto d’ira, la mano si chiuse e divenne pugno, le dita si serrarono tra loro e le nocche sbiancarono, dopo aver preso un minimo di rincorsa il bicipite si tese e il colpo partì.
Era ben mirato, ben calibrato ma il pugno non sfiorò mai le guance tristi della bella maga, per caso o per destino la manica si impigliò nel pomello della porta aperta, bloccando così la folle corsa del pugno a pochi centimetri da Corvina.
-Precisamente…- rispose la maga tirando su col naso, quel gesto così violento e così spontaneo da parte della persona che amava l’aveva ferita profondamente.
In fondo…è il pensiero che conta.
Per BB udire quella voce tanto amata strozzata dalle lacrime fu come riscuotersi da una trance, guardò con orrore la sua mano chiusa e la ritrasse spaventato da se stesso.
Cosa aveva fatto? Aveva quasi picchiato Corvina e l’avrebbe fatto se non fosse stato per quel provvidenziale pomello.
Si fece disgusto da solo…la rabbia e la gelosia sparirono di punto in bianco, lasciando in lui solo un immenso dolore e un profondo senso di autocommiserazione.
Ancora incredulo per questo suo gesto guardò gli occhi d’ametista della maga, grondanti di mute lacrime, come aveva potuto pensare di alzare le mani su quella splendida e innocente creatura.
Col cuore di piombo per quanto aveva fatto, BB si sentì un verme come mai prima d’ora, anche quando si trasformava nell’animale in questione si sentiva più umano che in quel momento.
Con occhi persi disperati cercò aiuto nel volto della moglie –Corvina…io…ti prego…p-posso spiegar…- lei lo interruppe asciugandosi gli occhi –Non c’è bisogno che ti spieghi…sei stato chiarissimo- detto questo, sollevò le valige con la telecinesi, girò i tacchi e corse via piangendo, sola nella notte.
Il mutaforma cadde in ginocchio, maledicendosi per come si era comportato, per quello che aveva detto, perché era stato così abbagliato da non darle ascolto, a lei! La donna più importante della sua vita, la persona di cui più si fidava al mondo…l’unica che rendesse la sua vita tale da essere vissuta.
Gridò il suo dolore alle stelle, come un’animale ferito…ossia quello che sapeva di essere
 
 
-Grazie mille, Stella. Non ho altro posto dove andare e alla Torre non mi va di tornarci, non dopo il casino che ho combinato-
L’aliena dai capelli rossi l’abbracciò in una stretta stritolante –Non ti preoccupare, amica Corvina! Tutto si sistemerà- le due ragazze si separarono restando però con l’una con le mani in quelle dell’altra –Io non creduto un solo istante a quello che ho visto. Tu non faresti mai una cosa del genere, io lo so. Ti conosco. Vogliono incastrarti e sono certa che anche BB presto lo capirà- disse la rossa guardandola dolce.
-Spero proprio tu abbia ragione- rispose la maga forzando un sorrisetto.
-Vieni ti mostro la casa..- riprese Stella girando le chiavi nella serratura.
Corvina avrebbe alloggiato per qualche tempo nell’appartamentino privato di Stella e Robin, il leader aveva proposto l’idea, era il minimo che poteva fare dopo tutto quello che aveva causato.
La casa era piccola, una cucina, un bagno, stanza soggiorno, stanzino/dispensa e una camera da letto matrimoniale: quanto bastava per un nido d’amore… o chi voleva stare da solo.
Finito il breve tour le amiche si separarono, nonostante le insistenti richieste Corvina non aveva alcuna voglia di parlare dell’accaduto.
Pregò solo Stella di vigilare sui suoi figli, di dire loro che la loro madre li ama più del calcolabile e riferire ad April dove si trovava, chiedendole di recarsi da lei il prima possibile…avevano molto di cui parlare.
Quando Stella se fu andata la mezzo-demone si buttò sul lettone viola scuro, con ancora indosso il body nero.
Pianse in silenzio per alcuni minuti, immersa nel buio e nel silenzio più profondo, cullata da quei eterei e delicati guardiani che la vegliavano ogni notte, in seguito, vinta dallo stress e dalla stanchezza si addormentò.
Si svegliò che erano le due del mattino…e non era sola.
Percepì altre emozioni attorno a lei, emozioni che mai avrebbe giurato di risentire.
Si voltò e la vide lì, seduta sul letto di fianco a lei nel buio, ma i suoi occhi scintillavano e il viso era sorridente.
Come aveva fatto ad entrare?
Corvina la guardò incredula, certa di stare ancora sognando ma non era così.
-Com…?- Corvina venne interrotta da un delicato dito che si posò sulle sue labbra, zittendola teneramente.
-Come? Dove? Quando?...tutte belle domande- iniziò la persona nel buio –Ma in fin dei conti inutili, non è vero?-
La mezzo-demone annuì ancora stupita di chi aveva davanti.
Lei continuò con voce melliflua -Quello che ti deve interessare…è il perché-
Corvina incrociò quello sguardo ammaliante, quel sorriso dolce e le labbra sottili, ripose i suoi dubbi e rimase in silenzio.
Ascoltò.
 
 
 
 
*Vedi capitolo 3 di Alive.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12 ***


CAPITOLO 12
 
Aveva visto BB entrare nella Ops Mains Rooms trascinando Corvina, rimasta basita da quel comportamento anomalo, per il polso, strattonandola come una furia, con un violento gesto del braccio l’aveva letteralmente sbattuta sul divano e lì, afferrato il telecomando, aveva ringhiato –Ecco le prove! Questo video dimostra quanto tu sia troia!-dopo aver udito quelle parole pronunciate con tale rabbia e tale struggente sicurezza dal padre, April non aveva voluto sapere altro, era fuggita per le scale più veloce che poteva, conciata così com’era: una camicetta bianca, col colletto sbottonato e leggings neri.
Si era fiondata giù per le scale, correndo a perdifiato.
Non aveva visto neppure il primo fotogramma del video…se così fosse stato avrebbe prontamente riconosciuto nel volto dello pseudo-amante della madre: quello del suo nuovo mentore, avrebbe forse impedito alla lite di degenerare, avrebbe forse fatto il modo che i Titans trovassero subito il loro vecchio avversario e lo neutralizzassero…ma il destino ha una strana ironia, l’unica che poteva evitare quel terribile equivoco fu l’unica a non vedere il video.
Non certo per il genere, tv e internet avevano spazzato via quando di innocente era rimasto in lei, April era ben consapevole di cosa si trovasse tra le sue gambe, a cosa servisse e come si usasse; era scappata perché non sopportava l’idea di quelle accuse, che sapeva essere false a prescindere, rivolte alla madre.
Sua madre non era una “morta di cazzo”, non era una troia e sicuramente non avrebbe mai e poi mai tradito suo padre!!
Per quanto ci litigasse, per quanto fossero evidenti i suoi difetti…Corvina restava il maggior idolo della figlia.
Dove andare?
Cosa fare?
Come dimenticare?
Non lo sapeva.
Non era venerdì, ma il tramonto si avvicinava…probabilmente non lo avrebbe trovato ma cosa aveva da perdere a cercarlo?
Jonathan, quanto di più vicino avesse a un amico in quel momento.
I suoi compagni di scuola non le piacevano, sciocchi, inutili ragazzini sempre persi dietro la moda o discorsi scemi, privi di obbiettivi, di veri interessi, burattini creati dai modelli sociali e dalla tv e lei neppure gli stava simpatica, si era “integrata” a scuola solo grazie al suo nome.
E quelle poche ragazze con cui chiacchierava non avrebbero certo saputo aiutarla.
Bruce…lui sarebbe stato perfetto…ma da quel bacio ancora non gli aveva parlato, era ancora molto insicura su come comportarsi, su come non ferirlo…su cosa realmente provava. Non avrebbe avuto il coraggio di confidarsi con lui non dopo quanto era successo.
In questi casi, quanto le amiche non servivano e i maschi erano fuori luogo, era sempre zia Iella ad occuparsi di lei, specie per i segreti più intimi e privati che non poteva confessare alla madre, ma alla defunta amica April non volle neppure pensare.
Sapeva che se l’avesse fatto non avrebbe più smesso di piangere.
Arrivò alla Roccia del Gufo, e contro ogni probabilità lo trovò lì, vestito sempre di scuro, inquietante nella sua quiete.
Appollaiato sulla testa del monolite, Ghostface fumava lentamente un sigaro disegnando con la bocca grossi cerchi di fumo in direzione della città.
Senza saperlo, April aveva fatto un giro largo arrivandogli alle spalle, il vecchio non si accorse della ragazzina dal petto scalpitante per la corsa.
Senza far rumore April si avvicinò a lui fino a giungere ai piedi del monolito, cercando di sembrare più allegra e tranquilla di quanto non fosse gli disse, rimproverandolo con le stesse parole usate dal vecchio quando era lei a star seduta sul gufo di pietra –Ehi tu! Non provare più a mettere le tue chiappette su i luoghi sacri delle altre civiltà, ci siamo intesi?!-
Ghostface quasi la ignorò, si limitò a ruotare la testa di nemmeno 90°, quanto bastava per scrutarla con la coda dell’occhio da dietro le lenti affumicate.
Soffiò un altro anello di fumo nell’aria e commentò con voce piatta –Io posso, succhia-latte…sono razzista-
-Perché sei qui?- chiese April arrampicandosi a sua volta sul monolite, cercando di far presa con le dita sulla roccia liscia e levigata dal tempo.
-Diciamo che i miei coinquilini non amano il fumo, e io non amo farmi vedere in giro- rispose quello, restando immobile a fissare la città, che come invasa da un esercito accendeva migliaia di luci, ma non erano fuochi d’accampamento bensì fanali delle auto, fari dei lampioni e luci delle case.
Quei bagliori in lontananza parevano proprio un esercito accampato…oppure i lumini di un cimitero.
April raggiunse il suo mentore, sedendosi assieme a lui sul testone piatto del simulacro, non c’era molto spazio ma lei era minuta, si seppe adattare al fisico massiccio di Ghostface.
-E tu?- gli chiese il vecchio –Perché sei qui?-
Con le gambe raccolte al petto, la giovane tentennò qualche secondo poi, guardandolo implorante coi suo grandi occhioni neri, riflessi nelle impassibili lenti enigmatiche, gli domandò –Jonathan…possiamo anticipare la lezione...ad adesso?-  
A quelle parole Ghostface tornò a guardare il vuoto sospirando, stanco di essere stanco -Allora sarà meglio spegnere questa porcheria – esordì premendosi la punta del sigaro sul palmo della mano, soffocandolo nella carne come se nulla fosse.
Agile come un felino balzò giù dalla statua, atterrando sul suolo tappezzato di foglie, e finalmente rivolse ad April la visuale completa del suo viso, e su di esso compariva un mezzo sorrisetto furbesco e allegro che rincuorò almeno in parte l’animo sconvolto della ragazzina, così piccola e smarrita e con così poche cose a cui aggrapparsi mentre in pochi giorni il suo mondo le franava addosso.
Ma quell’uomo, quell’uomo che ora le sorrideva, con le braccia sui fianchi e la postura da supereroe, quel giovane vecchio dalle mille sorprese, lui era uno dei pochi di cui April sentiva di potersi fidare.
Lo conosceva da poco, anzi praticamente non lo conosceva, ma qualcosa dentro di lei la spingeva verso di lui, dicendole che l’avrebbe protetta.
Forse le sue voci interiori gli avrebbero urlato altro se avessero saputo con chi avevano a che fare.
-Avanti, succhia-latte!- l’incitamento di Ghostface la riscosse dai suoi pensieri –Cominciamo!-
Anche April scese dal monolito con un balzo, meno aggraziato e silenzioso del precedente ma comunque bel fatto –Pronta!- esclamò –E non sono una succhia-latte, ho smesso di poppare i capezzoli a due anni!-
-Buon per te- sorrise Ghostface, inoltrandosi nella foresta, seguito dall’allieva –Io continuo tutt’ora, quando posso-
 
-“Pape Satàn, pape Satàn aleppe!”
Cominciò Pluto con la voce chioccia;
e quel savio gentil, che tutto seppe,
disse per confortarmi: “Non ti noccia
la tua paura; chè, poder ch’elli abbia,
non ci torrà lo scender questa roccia” -
Ghostface smise di recitare i versi, rivolgendosi alla ragazzina ansante ai suoi piedi –Allora di chi stiamo parlando? Di che opera si tratta?-
April aveva la fronte mandita di sudore, il viso contratto in una smorfia per lo sforzo e i bicipiti che le dolevano terribilmente, ma non smise di fare le flessioni impostele dal suo istruttore, né voleva smettere, anzi.
A denti stretti, rispose quasi ringhiando –Lo capisce anche una scopa che si tratta della Divina Commedia…arg!...di Dante-
Il vecchio continuava a girargli attorno, imperturbato –Bene. Libro?-
-Inferno-
-Perfetto. Passiamo ad un altro autore adesso…-
Parlare era ormai una tortura per la ragazzina, ma si sforzò e con voce roca disse con un aggressività che lasciò sorpreso Ghostface –Si può sapere perché diavolo perdi tempo con coi classici anziché allenarmi?!-
Lui si fermò a guardarla dall’alto in basso –Mens sana in corpore sano. Tienilo a mente, carotina. Non sperare di diventare una vera eroina senza una formazione culturale. Ah, non hai idea di quanti anni io abbia passato con la mente offuscata, di quante cose orribili abbia passato…ma ora è diverso-
April storse il naso sbuffando con disapprovazione –Dammi un altro peso!- urlò continuando a piegarsi sugli avambracci con lena, seppur ogni movimento le costasse profonde fitte ad ogni muscolo.
-Penso siano già abbastanza- commentò il più saggio assassino.
-Fallo!- sbraitò ancora una volta April.
Ghostface sospirò facendo spallucce –Come vuoi…voi giovani preferite sperimentare sulla pelle le vostre decisioni...- e detto questo aggiunse un'altra pietra, massiccia e piatta a quelle che già ricoprivano la schiena della ragazzina.
Facendo ricorso a tutte le sue forze April si sollevò sugli avambracci ancora una volta, ma non durò che pochi istanti prima che il peso delle pietre e la fatica avessero la meglio su di lei.
Stramazzò a terra affondando il bel visetto ovale nel morbido fogliame umido che ricopriva il suolo, le sue narici furono invase da un forte odore di pioggia, muschio e foglie in decomposizione…odore d’autunno.
Scoppiò in lacrime, nascose il viso tra le braccia e si raggomitolò su se stessa, le pietre che aveva sulla schiena caddero attutite dal cuscino vermiglio e arancione delle chiome degli alberi, restando sdraiata sul terriccio scuro che le sporcava l’ormai sudatissima camicetta.
Singhiozzava rumorosamente, i capelli viola, raccolti in bagnate e sporche ciocche le cadevano sul volto coprendolo completamente, uno spettacolo veramente avvilente vedere ridotta così quell’allegra e vivace ragazza, sempre piena di vita ed emozioni.
Un altro sospirò uscì dalle labbra gelide e sottili del vecchio, un alito di rassegnazione, seduto sui talloni si avvicinò a lei, accarezzandole la testa con le dita dell’unica mano buona.
-Dai, non fare così…- disse dolcemente –Sei andata benissimo, non è da tutti riuscire a far quel numero di flessioni con quindici chili di pietre sulla schiena. Sei stata grande per una ragazzina della tua età- bisognava riconoscere che nonostante la tenera età e benché  prima del mese scorso la madre non le avesse mai permesso di andare in missione, April aveva un fisico ben formato è molto forte per una tredicenne, aveva cominciato un allenamento fisico costante all’età di nove anni.
-Sul serio…- riprese Jonathan visto che le lacrime non accennavano a fermarsi –Oggi avevi dell’energia da vendere, non ho mai visto un tale impeto in un simile eserciz…- non fece in tempo a finire la frase.
April era scattata in piedi balzandogli addosso, coprendolo di pugni, pugni rabbiosi, poco mirati, atti solo a consumare energie.
Lo scatto d’ira non aveva però soffocato la tristezza –PERCHÉ!!???- gridava con voce acuta, affilata dal pianto, quasi isterica –Perché!!? Perché!?PERCHÈ??!!-  
Gli tempestò il petto di colpi senza sosta per diversi secondi finché un colpo mal dato, anziché colpire i saldi pettorali dall’uomo non andò a scontrarsi contro una dura roccia, di quelle disseminate tutt’intorno a loro.
-AAAH!- urlò tenendosi le dita doloranti nell’altra mano, interrompendo così il suo furioso attacco, le nocche erano spellate e sanguinavano, le dita le facevano malissimo, temette persino di essersi spezzata una falange mentre guardava la mano sinistra, il cui polso era stretto nella destra.
Ignorò il dolore fisico, e si accasciò senza forze sul corpo le vecchio, rimasto immobile.
I singulti si fecero più forti, sentì le forti braccia del suo mentore risalirle la schiena e la nuca stringendola forte, in caldo un imprevisto, impensato e rassicurante abbraccio.
Lasciandosi andare a quel gesto d’affetto, April appoggiò la testa nell’incavo delle spalle di Jonathan, continuando a piangere in silenzio mentre le sue lacrime andavano a bagnare ulteriormente il terreno già saturo d’umidità.
-Ti sei sfogata?- le chiese lui dopo alcuni minuti passati in quella posizione.
April si rimise in ginocchio per terra, asciugandosi gli occhi col dorso della mano e tirando su col nasino.
Annuì, la voce era ancora troppo rotta dal pianto per poter uscire senza che esso ricominciasse.
Anche Ghostface si rialzò, sedendosi su talloni, guardandola dritta negli occhi da dietro gli impenetrabili occhiali scuri.
-Che è successo?- le domandò, benché potesse ben immaginarlo.
La ragazza volse il capo di lato, e con gli occhi bassi confessò –Io…io speravo di poter dimenticare…speravo che con la fatica averi liberato la mente…ma non funziona…io…-
Ghostface la interruppe, prendendola per le spalle –Cos’è successo?- ripeté scandendo le parole, le stava dicendo un più accomodante “vieni al punto” ed April intese il messaggio.
Sollevò lo sguardo, da dietro una tendina di capelli violetti i suoi occhioni neri e lucidi di lacrime incrociarono quel volto di un pallore inumano.
-I-i…i miei genitori…- iniziò con voce tremante –Stanno divorziando!- si gettò nuovamente al collo del vecchio, che fu pronto a prenderla senza che entrambi finissero nuovamente distesi a terra.
Consolare una ragazzina in lacrime non era proprio quello che Ghostface si aspettava quando era uscito per fumarsi un cubano.
Le accarezzò i capelli, la testa, scendendo dalle orecchie fino all’esile collo –Mi spiace bambina, a volte succede. Le mamme e i papà litigano, sbagliano… e a volte smettono di amarsi- lui la risollevò tenendola per le spalle –Ma non è colpa tua- le disse chiaramente.
-Che cosa posso fare?- gli domandò lei supplice, era fradicia di sudore, zuppa di lacrime, col terriccio tutto attaccato agli abiti, resi umidi dal terreno bagnato e con foglie attaccate sulle ginocchia e sui gomiti, intrecciate tra i capelli sporchi e in disordine.
Per la terza volta Ghostface sospirò grattandosi la nuca –Aiutali. Stagli vicino, a entrambi, falli capire che hanno bisogno l’uno dell’altra, devi far sì che sentano di aver bisogno l’uno dell’altra. Non so cosa li abbia divisi, ma la tua unica speranza è tenerli uniti, di più non posso dirti-
-G-grazie… sei un amico prezioso- mormorò April con un piccolo, impercettibile ma sincero sorriso sulle labbra.
Quella parola…”amico” quella parola lasciò Ghostface ammutolito, incapace di rispondere a quel semplice ringraziamento, lui che aveva sempre la battuta pronta era rimasto senza parole davanti a un umile gesto d’affetto e riconoscenza di una ragazza.
-April! April!-
La streghetta si voltò in direzione della voce, incapace di credere alle sue orecchie –Bruce?-
Sentì alcuni passi, e la voce che si avvicinava.
Era venuto a cercarla e soprattutto…l’aveva trovata!
Girò di scatto la testa di nuovo verso Jonathan, ma quando lo fece non vide nessuno davanti a lei.
Si guardò intorno, smarrita, ma in quella moltitudine di alberi dal tronco scuro non riuscì a scorgere la tetra figura del suo strano ma affascinante amico.
Era svanito.
-April!!- quella parola pronunciata alle sue spalle la riscosse dai suoi pensieri.
Si voltò nuovamente verso il suono, e vide Bruce, in piedi che la fissava, cercando di capire cosa le fosse successo.
Era lì, sola, inginocchiata in mezzo al bosco, sporca di terra e foglie, con gli abiti rovinati e strappati su gomiti e ginocchia, sudata, tutta in disordine e con le guance segnate dal pianto.
Lui si inginocchiò di fronte a lei –April…che ti è successo?- domandò scostandole delicatamente una ciocca violacea –Dov’eri finita?... Come ti senti?-
Sforzandosi per ricacciare le lacrime April si alzò in piedi di scatto, lo guardò fredda e altezzosa –Lasciami sola! Non ho bisogno della tua pietà!!- dette queste feroci parole spiccò il volo, alzandosi nel cielo fino a sparire nel firmamento, coperto di pesanti nuvole basse e grigie, cariche di acqua …ancora una volta minacciava pioggia.
 
April rientrò in casa che era ormai tarda sera, quasi le nove e mezza, il buio aveva già sommerso Jump City ma a lei questo non importava, a lei piaceva il buio, quello che l’interessava davvero era che purtroppo sua madre fosse già andata via di casa, non aveva fatto in tempo neppure a salutarla.
Come entrò in casa subito si fiondò al piano di sopra, diretta verso la sua camera.
-April! Dove ti eri cacciata!? Ma come ti sei conciata?!- la voce di suo padre risuonò alle sue spalle.
-Affari miei!- gli urlò lei, senza nemmeno voltarsi, divorando gli scalini tre a tre.
-Non osare parlare così a tuo padre!- ribatté BB guardandola dai piedi della scala, allora April, giunta in cima, si voltò affacciandosi dalla ringhiera –Va’ al diavolo!!- strillò e si chiuse in camera sua, sbattendo la porta con quanta forza aveva.
-Ora basta!- tuonò la voce di BB dal pian terreno, risuonava più marcata di quanto realmente non fosse –Vai in camera tua!!-
-Io ci sono già in camera mia!!-rispose quella a tono, sbraitando a pieni polmoni contro il legno della porta.
Esasperata April si tuffò sul letto e soffocò nel cuscino l’ennesimo grido.
Urlare la faceva stare meglio, l’aiutava a sfogarsi…le lampadine della sua camera esplosero in mille frammenti, il vetro dei quadri si riempì di crepe e la finestra si spalancò, lasciando entrare una folata d’aria fredda nella stanzetta.
Se lo dimenticava sempre… era in parte demone, aveva ereditato i poteri di sua madre e benché sapesse padroneggiarli maggiormente di lei…non poteva sfogarsi.
Mai come voleva.
A furia di respiri pesanti riuscì a calmarsi quel tanto che bastava per farla tornare in sé.
Si rialzò dal letto guardandosi al grosso specchio sulla scrivania.
Osservò un attimo la sua immagine riflessa e non le piacque per nulla quello che vide, Bruce e suo padre avevano ragione, sembrava un cencio inzuppato di fango.
pensò guardando il pietoso stato in cui era ridotta la sua t-shirt.
Sospirando rassegnata si tolse la camicetta e la gettò nel cestino dei rifiuti, forse forse i pantaloni erano ancora salvabili se Stella ci metteva le mani.
Si ripulì alla bell’è meglio i capelli con pochi colpi di spazzola, poi così com’era si mise in posizione meditativa, incrociando le gambe iniziò a levitare, pronta a proiettarsi nella sua mente e a mettere a tacere qualche emozione troppo esuberante.
Il vento soffiava docile ma freddo contro la sua schiena nuda, facendola rabbrividire, ma questo non la turbò poi più di tanto, era segno che era ancora viva, in fondo.
Stava per immergersi nella meditazione quando avvertì un’altra aura alle sue spalle, qualcuno era entrato dalla finestra!
Smise di fluttuare e senza bisogno di voltarsi a guardare chi fosse l’intruso disse, annoiata- Bruce, ti avevo detto che volevo restare da sola-
-Voglio solo parlare con te- disse lui, sedendosi dietro di lei.
April allora ruotò da seduta fino a trovarsi faccia a faccia col mezzo-tamaraniano –Bene! Allora parliamo!- disse poco accomodante, poi si ricordò di essere in reggiseno, svelta si coprì il petto con entrambe le braccia mentre le gote le si coloravano di rosso e sul viso di Bruce compariva un piccolo sorrisetto furbesco.
-E tieni gli occhi incollati sui miei, che sono più in alto di dove guardi ora!-
Prese un grande respiro e cacciò fuori tutta la sua tensione –Vuoi che parlare?...allora da dove comincio…la mia miglior amica è morta, ho avuto una sospensione a scuola e nessuno ancora lo sa, i miei genitori si stanno separando e poi tu… tu con quel bacio mi stai facendo scoppiare la testa!! In parole povere: il mondo mi sta crollando addosso!! E io sono qui, ferma come un’idiota a lasciare che mi schiacci!!- nascose il viso tra le mani –Io…io non so cosa fare!! Jonathan mi aveva…-
Bruce la interruppe –Jonathan? Chi è questo tipo?-   
April ritrasse le ginocchia al petto, mordendosi la lingua per aver fatto quel nome.
-Chi è?- insistette l’altro.
-Nessuno- rispose prontamente la ragazza, per poi aggiungere, abbassando il tono della voce ad ogni parola –Un amico…non quel tipo di “amico”…è di un tipo…ehm…tutto suo-
Bruce la squardò ancora senza smettere di fissare il contradditorio rossore comparso sulle pallide guance dell’amica, amica di cui da tempo era innamorato.
Rifletté un attimo, un “signor nessuno” l’avrebbe fatta arrossire così?
-Dimmi chi è, dai April di me puoi fidarti, lo sai-
Lei era sempre più a disagio, stringendosi forte le ginocchia con le braccia sospirò –Io vorrei farlo, Bruce, lo vorrei davvero. Ma ho giurato di non dirlo a nessuno, nemmeno a mia madre, neppure a te. Mi dispiace-
Bruce allora prese in mano la situazione, la fece rialzare da terra ed entrambi si trovarono in piedi l’uno di fronte all’altra immersi nel buio.
Lui le prese le mani nelle sue, e guardandola negli occhi con un sorriso dolce le sussurrò all’orecchio –Non importa. Ma qualsiasi cosa succeda, qualsiasi, io ci sono per te. Non dimenticarlo mai, mi dispiace per quello che ti sta succedendo, lo sai, anche io ne sono coinvolto, Cyborg e Iella mancano tanto anche a me…e i tuoi genitori…sono sicuro che risolveranno la cosa. Ma se così non fosse, ricordati che sarò sempre qui per te, e se non verrai, allora sarò io a venirti a cercare…- le accarezzò la guancia con quel suo tocco incredibilmente morbido e delicato –Tu non sei sola, April- lei mosse delicatamente le dita fino a raggiungere la mano di Bruce sulla sua guancia, fermandone la lenta discesa, lasciando quel tocco soffice sulla sua pelle.
Lo fissò dal basso verso l’alto, era così bello con quei capelli ribelli come il padre, e occhi profondi e luminosi come quelli della madre…come aveva fatto a non notare mai questo lato di lui prima?
Le sue emozioni erano in subbuglio, se non si fosse calmata presto avrebbe demolito qualcos’altro…ma c’è modo e modo di calmarsi.
Lo abbracciò forte, premendo il viso contro il suo petto, e poi prima che potesse dire qualcosa, April alzò il collo e muovendo rapidamente le labbra lo baciò.
Dapprima sorpreso Bruce reagì prontamente a quel bacio, ricambiandolo a pieno, giocarono con le loro lingue goffe e impacciate per diversi minuti finché entrambi non si separarono rossi in volto, un po’ insoddisfatti a causa della loro inesperienza ma comunque molto più sereni, felici ed eccitati.
-Senti, Bruce…- disse April con falsa non curanza, cercando inutilmente di sembrare tranquilla –Scusa se prima ho sclerato in quel modo, è che è un periodo difficile…s-se non hai nulla da fare, ti va di restare con me a vedere un episodio di Walking Dead?- gli chiese timidamente.
Altrettanto imbarazzato il ragazzo rispose titubante, massaggiandosi dietro la nuca –C-certo…perché no?-
Poco dopo erano entrambi stesi sul letto uno accanto all’altra, a guardare la tv in camera di April, abbracciati tra loro, lei ancora in reggiseno e leggings rovinati e lui con la mano che accarezzava le spalle nude della ragazza.
Erano passati solo venti minuti dall’inizio dell’episodio che April, a malincuore, fermò il dolce massaggino ricevuto poco più in altro del gancetto del reggiseno.
Guardò l’amico dritto negli occhi, nonostante il buio –Bruce…quel bacio…tutto questo…n-non vuol dire che stiamo insieme…io…io non so cosa provo per te, cosa voglio veramente…sono troppo sconvolta in questo periodo…ti prego, perdonami-
Benché quelle fossero dolorose parole, il metà-alieno incassò il duro colpo senza darlo a vedere, sopportando in silenzio la profonda delusione ricevuta.
-Lo capisco…è un brutto periodo per tutti-
-Non vuol dire “no”…- precisò svelta la ragazza, per rassicurarlo –Ho solo bisogno di tempo…mi dispiace- aggiunse rigirandosi nervosamente una ciocca di capelli tra le dita.
Il ragazzo stava per aggiungere qualcosa quando si udì bussare alla porta.
-Mio padre!!- esclamò sottovoce la maghetta, veloce come un topo Bruce s’infilò sotto il letto, l’ultima cosa che entrambi volevano era essere sorpresi in quella situazione mentre fuori infuriava una guerra civile che dilaniava i Titans dall’interno.
-April?- sentì la voce di suo padre da dietro la porta –April posso entrare?- una voce molto più dolce e accomodante di prima.
-No!- esclamò subito quella, non perché volesse mantenergli il broncio, solo non voleva che entrasse nella sua stanza in quel momento.
-April, ti prego…- continuò BB triste, triste e molto addolorato per il rifiuto della figlia.
-So che sei arrabbiata…e mi dispiace. Tu…tu non sai quanto mi dispiace per tutto quello che sta accadendo alla nostra famiglia. Ti giuro che cercherò di rimediare ma ti prego…non fare così…è difficile anche per me, molto difficile. Io non odio tua madre, è solo che lei…lei ha fatto una cosa molto brutta, ma sistemeremo tutto, vedrai. Per favore April, per favore…lasciami entrare, colombella…-
-No- fu la secca risposta che ricevette.
-April, io…- la figlia da dietro l’uscio interruppe il mutaforma, il più svelta possibile si sfilò i leggings restando in intimo –Papà non hai capito niente…- disse aprendo la porta quanto bastava per far vedere la testa e le spalle nude e un piedino che sporgeva oltre la soglia.
Quello che vide davanti a sé fu l’immagine di un uomo distrutto, suo padre era rimasto devastato da quella storia molto più di quanto non sembrasse, aveva gli occhi spenti, il viso smorto, sembrava avere un colorito di un verde meno brillante, un verdognolo sgradevole, anche la postura lasciava intendere quanto gli gravasse quella situazione…era sconvolto, debole, confuso...spezzato.
April abbozzò un sorriso, impietosita da quella mesta figura delle sembianze paterne ma in cui  non riconosceva l’allegro e solare individuo che chiamava “papà” il bambinone che perdeva ore a guardare saghe di cartoni animati demenziali con i suoi fratellini, che si lanciava sempre in assurde imprese lavorative che si rivelavano fallimentari, eppure ritentava in continuazione, che riusciva sempre a farle far pace con sua madre ogni volta che litigavano…che riusciva a far gemere sua madre di notte, quando a volte nel silenzio della sua stanza, April restava sveglia, sentendoli far l’amore.
 –Non ce l’ho con te…so cosa stai passando e non te ne faccio una colpa…siamo tutte vittime qui- sospirò con gli occhi bassi –Non ti faccio entrare perché…sono nuda, stavo andando a farmi un bagno-
Il volto del padre riprese colore, un rosso imbarazzato per la precisione.
-Ah…ehm…ok. Scusa l’interruzione…volevo dirti che se hai fame in cucina c’è della pizza, se vuoi te la metto in caldo e magari dopo…beh…parliamo un po’…-
Si muoveva impacciato come al solito quando si trattava di fare il padre dell’adolescente, coi bambini era un mago, ma la figlia maggiore…gli sembrava di essere su un campo minato.
April sorrise dolce, quel semplice gesto servì a rincuorare fortemente il già abbastanza stressato mutaforma, che fu infinitamente grato al cielo per aver fatto pace almeno con la figlioletta.
-Va bene…quand’ho finito scendo-
-O-ok…-
Suo padre si voltò ma prima di andarsene aggiunse, guardandola negli occhi –Prima di andarsene tua madre ha chiesto di dirti di chiamare zia Stella. Ha un messaggio per te…- mentre lo diceva gli occhi lasciavano intendere quanto desiderasse conoscere il contenuto del suddetto messaggio, April capì che le stava chiedendo di rivelarglielo una volta saputo.
-Poi la chiamo…- rispose lei senza far intendere una risposta positiva alla tacita domanda.
-Ma adesso ho proprio bisogno di un bel bagno caldo- e detto questo chiuse la porta.
Sospirò prendendosi il viso tra le mani.
In quel momento si ricordò dell’amico sotto il letto –Avanti, Bruce. Puoi uscire- disse sollevando le lenzuola che quasi toccavano terra, nascondendo così il mezzo-tamaraniano.
Bruce sgusciò fuori dal letto scuotendosi la polvere di dosso, e restò colpito nel trovarsi di fronte April in reggiseno e mutandine, la ragazza per quanto giovane spiccava non poco con la sua pelle bianco-latte e quel sexy intimo nero…che poi sexy non era ma agli occhi degli adolescenti basta poco per esser felici.
April dal canto suo non si vergognò troppo, Bruce l’aveva già vista più volte in bikini sulla spiaggia, anche se farsi vedere in mutande le dava una strana sensazione che non seppe descrive.
Come una specie di fastidioso formicolio in tutto il corpo.
Era a disagio… o eccitata?
-E dato che ci sei puoi anche andare fuori- aggiunse indicando la finestra.
-Ma…l’episodio non è ancora finito – protestò quello cercando disperatamente un pretesto per restare in compagnia di quella bella e seminuda figura.
-Fuori- ripetè la ragazza tenendo il dito puntato sulla finestra con fare imperioso.
Bruce aveva capito che ormai la partita era persa, ma perché non fare l’idiota una volta di più?
-Ma come? Non mi fai dare neanche una palpatina alle tue belle tettine??- scherzò con un sorriso ebete.
A quel punto la maghetta prese a spintonarlo verso la finestra, scacciando letteralmente fuori dalla sua stanza il ragazzo che se la rideva –Via! Porco pervertito, aria! Sciò!-
Non appena fu uscito dalla finestra, April però si affacciò sorridente –Ci vediamo domani, va bene?-
-Benissimo!- rispose Bruce che intanto era disceso dall’albero, usato per salire, fino a terra.
Alla luce dei lampioni il ragazzo si incamminò fischiettando lungo il viale diretto verso casa, fatti pochi passì però si voltò sghignazzante in direzione della voce di April che gli urlava dietro –E comunque prima o poi mi crescono! Allora sarò io a ridere!-
 
Erano quasi le dieci del mattino, BB si era già recato all’ospedale, a parlare con il suo amico bionico, ancora immerso nel coma profondo, e poi alla Torre, dov’era immerso in una discussione con Robin e Stella.
La tamaraniana stava cercando in tutti i modi di far ragionare il verde, adoperandosi senz’altro più del marito per far ricongiungere la coppia d’amici.
-Amico BB, rifletti: perché mai Corvina avrebbe dovuto farlo? Pensaci bene.
Tu la conosci meglio di chiunque altro, è forse pazza?-
-No- rispose BB –È la persona più lucida che abbia mai incontrato-
-Allora forse è solo schiava delle sue passioni- continuò Stella Rubia, venendo nuovamente smentita dal mutaforma –Lo sai benissimo che non è così, nessuno ha più autocontrollo di Corvina, nonostante la sua matrice demoniaca ha pieno controllo su ogni sua emozione, lo so io e lo sapete anche voi-
Stella riprese a parlare, sfruttava una tecnica che aveva imparato da poco leggendo un libro, lo chiamavano il “dialogo socratico” il modo migliore per far ragionare qualcuno –Può darsi che sia tu a non soddisfarla a letto?-
BB negò nuovamente, spesso era lei a prendere l’iniziativa e la passione tra le lenzuola era come se ogni volta fosse la prima volta che avevano fatto l’amore.
-Forse si è innamorata dell’uomo che ti ha quasi ucciso, benché lei stessa l’abbia a dir poco devastato nel nostro ultimo incontro e si sia buttata ai tuoi piedi in lacrime quando i ha visto in pericolo di vita dicendo ripetutamente di amarti…-
-Lo capisci anche tu che non ha senso! E Corvina è dannatamente piena di buon senso!- sbraitò BB che vedeva ogni sua convinzione messa in dubbio, sbriciolata nell’aria come carta bruciata.
-Nonostante il suo comportamento abbiamo imparato che Ghostface difende chi ama, lo fa a modo suo ma non puoi negare che non metta a rischio la vita delle persone che ama …-
BB ormai aveva il cranio che gli scoppiava, non ci capiva più niente e si limitava a rispondere –Anche questo è vero…-
Stella riprese il suo gioco filosofico, stava smantellando ogni sbagliato pensiero generatosi in BB –Eppure ha provato più volte, ed esplicitamente ad uccidere Corvina, nel nostro ultimo scontro, l’ultima volta che si sono visti, a provato ad accoltellarla e lui non avrebbe mai rischiato di ferirla realmente se davvero l’avesse amata…però…-
-Però lui c’ha provato lo stesso- completò il verde pensieroso.
-E quella è stata l’ultima volta che si sono visti perché io, te, Robin, Corvina, Cyborg…tutti sappiamo che lui è rinchiuso nel Tartaro, orbita in mezzo allo spazio.
Tu però sei certo che Ghostface sia qui e che abbia scopato tua moglie, con il suo consenso…-
 L’aliena tentennò un attimo tamburellandosi il mento affusolato con le dita, creando un’attesa di cui proprio non c’era bisogno –Capisci anche tu che i conti non tornano…-
Immerso nei suoi pensieri BB non rispose, tacque per diversi minuti, chiuso in se stesso a far lavorare le sue meningi come mai prima d’ora.
-Forse hai ragione…- disse ad un certo punto, si risollevò dal divano su cui era seduto balzando in piedi –Ma certo! È senz’altro un falso ben fatto Dev’essere andata così! Non c’è altra spiegazione!! Sono stato un idiota non capirlo prima!!!- corse ad abbracciare Stella Rubia, stringendola forte come mai prima d’ora, facendola volteggiare per aria –GRAZIE!! Grazie Stellina! Tu mi hai aperto gli occhi una volta di più!!-
Stella rise di gioia, e anche Robin era felicissimo per l’accaduto…dopotutto Ghostface non poteva prendersela con lui se si erano riconciliati.
-Io non ho fatto niente BB- sorrise l’aliena –Il video non può essere vero per il semplice fatto che lui non è qui! – il mutaforma la mise a terra e corse verso l’ascensore della Torre –Hai ragione, lui non è qui! Lui non è qui è mai ci tornerà !!Yuu-huu!!!Adesso…adesso andrò da lei, e mi tratterò da quel verme che sono, la supplicherò di perdonarmi e poi…poi…-
Suonò l’allarme.
Un attacco al mega-centro commerciale.
Robin fulmineo accese il computer e sul monitor comparve l’immagine di chi stava mettendo a ferro e fuoco l’intero edificio.
Dottor Luce? Jonny il rancido? Punk Rocker o qualche altro sfigato?
Magari gli Hive Five così avrebbero potuto catturare Gizmo e costringerlo a riparare Cyborg.
No…non era nessuno di loro.
Tutti e tre rimasero ammutoliti a guardare quella scena davanti ai loro occhi…non ci potevano credere.
Perché un centro commerciale?
Perché un banalissimo attacco per far manbassa?
Perché in un modo così esplicito e appariscente, senza secondi fini?
Perché proprio ora che BB aveva quasi rimediato ai suoi sbagli.
La sirena dall’allarme soffocò le grida di gioia del mutaforma, che da quel momento cessarono del tutto, sostituite da un enorme sensazione di rabbia crescente e risentimento.
Tutte le idee che aveva appena rinnegato tornarono a farsi strada in lui più forti di prima.
Ma quale equivoco? Quale inganno? Quel video era vero!!
Le immagini delle telecamere del centro commerciale lo testimoniavano.
BB lanciò un’occhiata truce, piena di risentimento, a Stella, che sicuramente su ordine di Corvina, l’aveva quasi raggirato, per farlo strisciare ai suoi piedi implorando il perdono.
Che stupido era stato! Quasi ci cascava.
Ma la sua cara mogliettina non aveva considerato le folli voglie del suo amante…
-Chi è che non poteva essere qui?- ringhiò a denti stretti il mutaforma, colmo di frustrazione e assetato di vendetta.
 
 
-Terra, no ti prego…-
-Ti è sempre piaciuto tanto...io ti sono sempre piaciuta tanto…- rispose la bionda sensuale, strofinandosi contro il corpo della mezzo-demone.
Avevano passato tutta la notte a raccontare l’una all’altra di cos’era accaduto in quegli anni di lontananza, benché Terra avesse saggiamente omesso le parti riguardanti Slade, Ghostface e ovviamente il video, che lei sapeva essere falso.
E approfittava della situazione a lei vantaggiosa.
Si era spogliata restando in eccitantissimo intimo turchese, appositamente indossato per l’occasione, il suo corpo invitante giaceva semisdraiato sul letto, circondando Corvina con le braccia, desiderose di sesso.
La maga si era lasciata abbassare la lampo del body, ipnotizzata da quei luminosi occhioni azzurri, aveva lasciato che Terra giocasse sul suo corpo, che l’accarezzasse, che la stringesse, che la baciasse sul collo e sulle spalle…ma non aveva mai ricambiato alcuno di quei gesti.
Terre le aveva confessato quanto l’amava, quanto pensava a lei, quanto la desiderasse…e Corvina dovette riconoscere a se stessa di non essere rimasta intoccata da quella dichiarazione.
Anzi, sentiva che stava facendo breccia in lei il fiume dei ricordi, ricordi di un’allegra e dolce relazione adolescenziale, la prima per entrambe, forse la più profonda…
-Terra…non posso…sono sposata. Io sono fedele a mio marito-
-Lo stesso marito che ti ha accusato di essere una puttana ai piedi di un assassino? Lui ti tratta come uno straccio, sono anni che mandi avanti la famiglia, che lo mantieni, che gli sei fedele…e alla prima occasione ti ha preso a calci come un sacco di rifiuti…visto quanto ci ha messo per sbatterti fuori casa? Dalla tua casa? Uno che ti tratta così non merita il tuo rispetto, non merita la tua fedeltà…BB non ti merita.
Tu sei stupenda Corvina…- continuò Terra, ammaliante, con voce calda e melliflua e sguardo magnetico che inchiodava le luminose iridi d’ametista della maga con le sue: chiare, fresche e dolci acque incastonate in un volto angelico–Sei unica…sei incompresa… lui non ti capisce, non capisce quanto tu sia perfetta…io sì…dammi un’occasione per dimostrarti quanto tu valga per me…per farti sentire cosa voglia dire essere amata…-
Arrampicandosi con le braccia sul corpo formoso della maga, Terra avvicinò il suo viso a quello di lei, le sue labbra a quelle di Corvina, e chiuse gli occhi, non attese una reazione ma fu lei a prendere in mano la situazione, condusse il gioco e la baciò.
Fu un bacio ambivalente: scioccante per una, stupendo per l’altra.
Ma nonostante i suoi dubbi e il suo rifiuto, Corvina si trovò disarmata davanti a un simile approccio, non poté fare altro se non assecondare quella danza delle lingue.
Senza però perdersi nel bacio, Corvina poteva percepire a pieno quanto Terra ardesse di desiderio per lei; non era necessario essere un empate per farlo, bastava guardare i suoi occhi, chiusi nella serenità, la sua avida bocca, completamente rapita da quel bacio, le sue dita, strette sulla schiena e sulle cosce della maga, eppure incredibilmente morbide e delicate.
Tutto in quel corpo rinato urlava il desiderio d’amore che provava dentro, ogni poro sprigionava quel calore umano di cui Corvina aveva tanto bisogno in quel momento, e di cui era privata.
Si sentì ancora peggio di prima, non voleva tradire BB, come avrebbe potuto dirgli che tra lei e Ghostface non c’era stato niente quanto poi gli faceva le corna con Terra?
Che tra l’altro era stata un ex-fiamma di entrambi.
Ma non voleva neppure spezzare il cuore a Terra, aveva passato mille difficoltà per tornare da lei…non poteva liquidarla con un semplice “no grazie, ma restiamo amiche” l’avrebbe distrutta.
Avrebbe dovuto trovare il modo per farle capire che nonostante quello che c’era stato tra loro, le stupende sensazioni provate, i progetti per una vita futura fatti assieme, e i giuramenti d’amore che c’erano stati tra loro…il suo cuore apparteneva ad un altro.
Doveva dirglielo facendole il minor male possibile, sperando che non reagisse al rifiuto con la violenza, una rappresaglia vendicativa di una coi poteri di Terra era l’ultima cosa che la maga volesse.
Ma intanto, a poco a poco, si abbandonò al bacio, perdendo le inibizioni, gustandosi il momento…desiderando prolungarlo.
Così, nonostante si fosse dimostrata restia a ricambiare all’inizio, Corvina si stese sul letto con Terra sopra, senza che le loro labbra si separassero un istante.
Le mani perlacee percorsero quel corpo seminudo sopra il suo, soffermandosi ad accarezzarle i fianchi.
Con una mano Terra si sfilò il reggiseno, premette ancora di più il suo corpo su quello della mezzo-demone.
In quel momento, sul comodino squillò il comunicatore Titans, era una chiamata d’aiuto: qualcuno stava assaltando il mega-centro commerciale in centro.
Continuando a strofinarsi con la bionda Corvina allungò la mano per afferrarlo e per farlo dovette allontanare la sua bocca da quella di Terra, riluttante a lasciarla andar via, ma che fu pronta a ricoprirle il collo di baci sensuali e possessivi.
Le stava già accarezzando un seno da sopra il body quando Corvina la fermò allontanandole la testa con una manata poco garbata.
Terra non capiva, di colpo la strega era divenuta un’impassibile, fredda e insensibile statua di marmo, color della sua pelle, pietrificata con la bocca aperta davanti a quel dannato aggeggio che aveva interrotto la sua così efficace seduzione, chissà se sarebbe riuscita di nuovo a buttare la maga su un letto o se aveva perso la sua unica occasione.
Terra temeva proprio che ora, spezzato l’incantesimo del bacio, la maga sarebbe tornata in sé, sarebbe tornata la brava mogliettina fedele al marito coglione, mandando a monte i suoi progetti.
Dal canto suo Corvina era ora troppo presa da quanto aveva appena scoperto per poter prestare un minimo di attenzione a quanto la circondava.
Finalmente dopo attimi di interminabile silenzio dalla bocca della maga, paralizzata per lo stupore uscì un suono, un fievole sussurro appena udibile…ma che fece saltare il cuore in gola a Terra.
-G-Ghostface…-
 
 
 
 
 
E finalmente, dopo tanti capitoli si può inaugurare, col prossimo capitolo, il via delle danze.
È tempo di sangue!
12 capitoli…è stata una preparazione lunga ma essenziale, perché? Lo scoprirete leggendo…
 
Chiedo scusa per aver aggiornato con un po’ di ritardo rispetto al solito.
 
Ghostface

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13 ***


CAPITOLO 13
 
Ok ok mi scuso tantissimo per aver aggiornato così tardi, ma ho passato il ponte del primo maggio a Milano per vedere la S. Sindone e quindi non ho lavorato.
Una volta tornato ho accidentalmente cancellato tutta la cartella coi miei progetti, tra cui Alive, e ho patito le pene dell’inferno per recuperarla.
Ma ora sono qui e per farmi perdonare….leggete.
 
Quella maschera…erano passati quindici anni dall’ultima volta che l’aveva indossata.
Se l’era calata subito, alla prima occasione, neanche lui sapeva il perché…forse perché in fondo il suo viso spettrale era l’unica maschera di cui aveva bisogno.
La guardò e la maschera guardò lui.
Un volto nero, un rozzo mezzo teschio dipinto sopra, la parte destra era bianca raffigurante un cranio sproporzionato che al posto di denti aveva zanne il cui unico occhio era troppo grande e dall’espressione accigliata, nella parte sinistra il bianco del teschio sfumava in grigio e poi in nero, dissolvendosi man mano in quella metà completamente buia.
Una maschera inquietante, capace di mettere in soggezione chi la osservava, non c’era da stupirsi che il suo apprendista si fosse ispirato ad essa per la propria.
Solo che Ghostface riteneva la maschera di Slade troppo…espressiva.
Quell’unico occhio visibile l’avrebbe tradito un giorno o l’altro, nella sua maschera invece le fessure degli occhi erano oscurate da lenti affumicate, quasi indistinguibili nell’orbita scura del mezzo teschio e nella metà nera della maschera.
Ma basta tentennare, era ora di agire!
Si legò i lunghi capelli bianchi in una pratica coda e indossò la tetra maschera.
Era tornato quello di una volta!
Beh quasi…il suo costume originale era andato perduto, seppellito in chissà quale archivio della polizia ma se ne era procurato uno nuovo, nero sul dorso e grigio scuro sul ventre.
Tessuto in fibra traspirante, perfettamente adatto al suo corpo, fatto di un derivato della ragnatela: leggerissimo, elastico e dieci volte più resistente dell’acciaio.
Non era stato troppo complicato procurarsi un simile indumento…diciamo che il Pentagono dovrebbe investire di più in serrature per i suoi magazzini.
Secondo Slade gli dava l’aspetto di un pinguino, secondo Terra della nebbia…preferì la seconda.
Assieme a quell’abito scuro, il mezzo teschio bianco risultava ancora di più.
Non gli era stato difficile rimpiazzare coltelli balistici e pistoloni, era roba facile da procurarsi, alla cintola gli pendevano le due pistole più grandi del mondo…o forse erano i cannoni più piccoli.
Portava anche pesanti stivali scuri e guanti neri dai palmi grigi…guanti davvero molto speciali.
Immancabili, tenute nei loro foderi sulla schiena stavano le lunghe spade dalla bianca lama lucente, sottili e affilate.
Aveva corso un bel rischio per recuperarle assieme alla maschera ma certe cose non si possono sostituire.
Rimase indeciso fino all’ultimo se fosse il caso di portarsi anche il coltellaccio d’adamantio, infine decise che era meglio conservare quel giocattolo per un’occasione più succosa.
-Io vado al centro commerciale, ti serve qualcosa?- domandò a Slade, nella cabina di pilotaggio.
-Mi servirebbe un socio che non mandi così a puttane l’effetto sorpresa! Perché diavolo vuoi dargli conferma che sei davvero qui?!-
-Perché se no dove sarebbe il divertimento?- sorrise quello da dietro l’impassibile volto dipinto, aprì il portellone dell’elicottero e il risucchio del vento lo investì, senza però riuscire a strapparlo dal mezzo –Chi vuoi che distrugga i Titans agli occhi della gente?!- urlò sovrastando il fragore delle eliche –Vuoi che pensiono che si sono sciolti per una crisi intestina o che sono stati distrutti dai più grandi assassini della storia?- si sporse dal portellone –Io vado a prendermi la mia gloria!!- detto questo si lanciò nel vuoto.
Adorava precipitare, quella sensazione di vuoto assoluto, di completa leggerezza…purtroppo il soffitto del mega-centro commerciale si avvicinava sempre più.
Mancavano pochi metri all’impatto col grigio e piatta superficie di cemento.
-Adoro il mio lavoro-
 
Quando i Titans arrivarono Ghostface aveva già avuto il tempo di svagarsi un po’.
La giovane commessa era legata con mani e piedi divaricati a uno dei tavoli circolari del bar, incastrato a forza in una parete, grazie alla basa ruotabile la poveretta era fatta girare come fosse attaccata ad una ruota verticale, con la bocca tappata dal suo stesso capellino da lavoro.
Dal canto suo Ghostface era seduto su una sedia del locale dondolandosi con piede, di fianco a lui erano posati decine di coltelli da lavoro, lunghi, sottili, grossi, corti, seghettati, lisci, persino una mannaia.  
-M’ama- disse tirando un coltello che si conficcò nel tavolino di lamiera a pochi millimetri dall’orecchio della commessa in lacrime, che tentava disperatamente di urlare ma dalla bocca tappata non uscivano che soffocati gemiti.
-Non m’ama- un altro coltello tagliò l’aria arrivando in mezzo alle gambe della ragazza.
Il pazzo continuò il suo gioco crudele fino all’arrivo dei ragazzi che tanto desiderava incontrare.
-M’ama-
-Non m’ama-
-M’ama-
-Non m’ama-
-M’ama-
-Fermo dove sei, Ghostface!- urlò Robin, arrivato assieme al resto della squadra sul posto, era bastato seguire al contrario il percorso della folla urlante per trovare il vecchio assassino.
Quello girò svogliato la testa verso di lui, molto lentamente.
Eccoli lì, i Teen Titans.
Robin, BB, Stella e Corvina…più altre due figure, una pareva un misto tra Corvina e Robin il cui costume era stato stinto fino a diventare bianco, ma lui la conosceva già la giovane Midnight.
Quello che gli mancava era il ragazzo con indosso i tipici abiti da battaglia tamariani, pressoché uguali a quelli civili ma con le parti normalmente lasciate nude coperte da placche di lucido e flessibile metallo.
Si vede che era stato su Tamaran per procurarsela.
La sua nipotina Stella Nera vestiva praticamente sempre la sua armatura…non che le fosse servita a molto quando si era stancato di lei.
Facendo due più due Ghostface giunse alla conclusione che si trattava di Bruce, il ragazzino che aveva avvelenato a sua insaputa, o come si faceva chiamare in missione: Astro Notturno.
Li vedeva tutti e vedeva i loro difetti.
Robin: faceva tanto il coraggioso, ma sapeva benissimo di non poter fare nulla, lui aveva in mano al sua famiglia, e il ragazzo mascherato pareva tremare davanti al suo atteggiamento così rilassato.
BB: consumato dal rancore e dall’odio verso di lui e dalla diffidenza nei riguardi della moglie. Mai stato così fragile.
Corvina: disagiata, si sentiva addosso gli occhi di tutti i Titans, come se la tenessero d’occhio, sorvegliandola in attesa del momento in cui avrebbe tradito la squadra per schierarsi al fianco del suo amante.
April: piccola, ingenua, inesperta, confusa, debole… sapeva benissimo cosa aspettarsi da lei ma per la ragazzina il fantomatico Ghostface era un mistero avvolto nella nebbia.
Gli unici che parevano essere tutti d’un pezzo erano Bruce e sua madre.
Ovvio.
I tamaraniani non sono gente facile da spezzare.
-Perché sei qui?- ringhiò Robin a denti stretti.
Ghostface si alzò dalla sua sedia, passando il polpastrello sul filo della lama della mannaia –Non telefonate, non scrivete, neppure un messaggino…come altro potevo fare per attirare la vostra attenzione?
L’unica che si è ricordata di me è stata Corvina, certo anche lei ha voluto “qualcosa” in cambio delle sue “gentilezze”…- si batté la mano sul cavallo -…se mi capite-
-Bastardo!!- urlò BB con quanto fiato aveva in gola, senza però muoversi.
Tutti osservavano Ghostface camminare lentamente verso di loro, sentivano l’ansia crescere dentro i corpi, la paura farsi strada nei loro cuori, aspettavano immobili, tesi come corde di violino messe su un contrabbasso.
I mugugni della supplice commessa, che invocava aiuto, richiamarono l’attenzione del killer –Ah, giusto tesoro. Prima devo finire con te…- cagliò fulmineo l’arma in direzione della giovane -Non m’ama-
La mannaia roteò nell’aria così come la ragazza roteava legata al tavolo.
Lo spesso coltellaccio affondò nel cervello della donna, spezzando le ossa del cranio e mandando schizzi di sangue e meningi tutt’intorno.
April gridò terrorizzata, era la prima volta che vedeva la morte in faccia.
Non fu un bell’incontro.
Il bel viso di quella sconosciuta era ora una orrenda maschera di sangue spaccata in due, la lama del coltellaccio sporgeva aprendole la testa dalla fronte al naso, divaricandole oscenamente gli occhi l’uno dall’altro.
-Ti pareva…- commentò Ghostface –Di questo passo resterò sempre single. Vedete perché è pericoloso lavorare in un sushi-bar? È pieno di coltelli prima o poi finisci col tagliarti…e a me il sushi neppure piace, lo vogliono capire o no quei nipponici che il pesce va cotto!!-
-Mostro!!- Bruce si slanciò in avanti, in preda all’ira e all’orrore di quanto aveva appena visto.
-Bruce NO!!- gridò Stella col cuore in gola a veder il figlio gettarsi tra le braccia della morte.
Ma la morte lo evitò.
Ghostface balzò sul bancone, e da lì passò al secondo paino tramite un foro nel soffitto, probabilmente lo stesso usato per entrare nel bar, superando così lo sbarramento fatto dai giovani eroi.
-Non prendertela tanto, i gusti son gusti!- lo canzonò affacciandosi dal secondo piano.
Incurante delle grida della madre, che tentò pure di afferrarlo, Bruce lo inseguì passando per le scale mobili lì vicine che portavano al piano soprelevato.
Ghostface si sporse dalla ringhiera reggendo tra le braccia un basso elettrico preso nel negozio di musica sopra il sushi bar, iniziò a strimpellare note a caso divertito dal ragazzino che cercava di raggiungerlo divorando due a due i gradini della scala mobile per scendere.
-Scala sbagliata, fanciullo- fece notare malevolo.
-Assisterete ora al mortal duello tra il l’allegro vecchierel e il mezzosangue ridicolo, 
duello che Ghostface vinse senza neppure un graffio-
Bruce era intanto riuscito a raggiungere il secondo piano e già gli occhi e le mani gli brillavano di energia.
-E questo è forse il titolo?!- ringhiò.
-No. È il tuo epitaffio-
Con un urlò di rabbia Bruce scagliò i suoi starbolts, colpi vani, andati tutti a vuoto.
Al contrario di quello del vecchio, che roteando aggraziatamente tra quella grandine di colpi luminosi si avvicinò abbastanza al ragazzo da poterlo colpire proprio nello stomaco usando il pesante basso come mazza.
Il dolore lo stroncò.
Bruce si piegò in due, cadde finendo a quattro zampe, reggendosi con una mano e premendosi il ventre con l’altra, a bocca aperta e con gli occhi sgranati guardava la sua saliva colare a terra, incapace di proferir parola e col respiro spezzato.
Dalla sua bocca gocciolava saliva mista a sangue.
Stella cacciò un grido disumano.
Un altro colpo si abbatté impietoso su di lui, ancora più forte del precedente, il basso si schiantò sulla sua spina dorsale, facendolo strillare di dolore.
Senza più forze Bruce stramazzò a terra, dove Ghostface lo prese a calci fino a farlo ruotare con la pancia all’aria.
Il ragazzo ansimante lo guardava incapace di reagire, conscio che i suo genitori e la ragazza che amava assistevano sgomenti alla sua morte.
Ghostface gli premette il piede sul pomo d’adamo soffocandolo, mentre con uno schizofrenico quanto invisibile sguardo omicida dietro la maschera sollevava lo strumento con ambo le mani, pronto a fracassargli la testa come una noce.
-Spacca la chitarra, spacca la chitarra…- canticchiava da solo il pazzo imitando una platea di voci incitanti.
Una saetta, un dolore lancinante alla schiena…e un terribile odore di gomma bruciata.
Senza neppure capire cosa l’aveva colpito Ghostface si ritrovò lungo disteso sul pian terreno, sbalzato da dove si trovava da qualcosa di molto simile a un fulmine.
Al suo posto, in piedi davanti a Bruce, stava una giovane donna color cioccolato che aiutava il metà-alieno a rialzarsi.
Una splendida donna coi neri capelli raccolti in due pipulli ai lati della testa, labbra rosse e carnose e un buffo quanto intrigante top color a strisce gialle e nere che gli dava proprio l’aria di un apetta infuriata.
Il tutto coronato da pantaloni neri attillati e da un paio di ali trasparenti da insetto che le spuntavano dalla schiena.
In una mano reggeva uno strano oggetto che Ghostface non aveva mai visto, pareva una B di metallo dorato, ancora fumante.
Lei ci soffiò sopra, come un cowboy sulla colt.
-L’unica cosa ad essere spaccata oggi sarà la tua faccia- sorrise la donna posandosi le mani sui fianchi con fare spavaldo.
-Bumblebee!- esclamarono in coro i Titans, con voci miste di stupore e felicità!
Capitava proprio a fagiolo!
Bumblebee era giunta a Jump City non appena aveva saputo dell’incidente di Cyborg, per il quale provava ancora qualcosa, e da allora non se n’era più andata.
I Titans le aveva offerto ospitalità ma lei aveva preferito starsene per conto proprio in un momento simile, affittando una stanza d’albergo… che casualmente dava proprio sulla T-Tower, ecco perché quando aveva visto i suoi amici schizzare fuori da essa alla velocità della luce, si era subito preparata all’azione, sentendo saggiamente odore di guai.
Il suo arrivo era stato a dir poco provvidenziale.
Il vecchio, ancora inginocchiato al suolo, alzò lo sguardo verso quella ragazza, confuso ma soprattutto incazzato nero -Tu chi cazzo sei, puttana negra?!- sbraitò carico d’odio con quanto fiato aveva in gola.
Bumblebee restò a bocca spalancata con gli occhi che riflettevano incredulità e una profonda e radicata rabbia, si alzò in volo sfoderando le sue armi.
-COSA!!? A me della negra non me l’ha mai dato nessuno!!-
-Alla puttana invece ci sei abituata?- ribattè il vecchio rialzandosi a sua volta.
-Brutto stronzo razzista! Vedremo chi avrà la pelle più scura quando avrò finito con te, mozzarella!-
Come videro Bumblebee lanciarsi in picchiata contro Ghostface, i Titans si riscossero dalla trance in cui erano caduti, Robin prese subito il comando della situazione.
- BB, Stella! Voi con me! Corvina tu occupati di Bruce, April…dattela a gambe. Titans in azione!-
Ma qualcosa andò storto…nulla avrebbe separato Stella dal figlio agonizzante, né April per quanto spaventata voleva fuggire.
Ormai lei era un’eroina, gli eroi non scappano, ecco perché sono eroi.
Stella e Corvina si ritrovarono entrambe chine sul ragazzo, che faticava a respirare, il colpo del basso ricevuto nell’alto ventre gli aveva rotto un paio di costole, ma il vero dolore proveniva dalla mazzata ricevuta alla spina dorsale.
-Va tutto bene, amore mio…ci sono qui io adesso…- cercava di rassicurarlo Stella accarezzandogli la testa che teneva in grembo -Aiutalo! Corvina, aiutalo!- gridò quasi spaventando l’amica.
Per fortuna non dava l’idea di essere ridotto troppo male, Corvina distese le mani sul corpo dolorante, gli occhi le si illuminarono di bianco e iniziò a recitare il suo mantra curativo.
Nello stesso momento, un piano più in basso, Ghostface si stava azzuffando con Bumblebee.
La ragazza gli era piombata addosso come una meteora, in pochi istanti i due erano finiti avvinghiati a terra, scazzottandosi a vicenda.
Ghostface sapeva come colpire ma Bumblebee era avvantaggiata dalla sua forza sovrumana.
Cogliendo l’occasione la ragazza dalla pelle scura riuscì ad afferrare la bianca coda di cavallo, tirando indietro il volto dell’uomo con uno strattone accompagnato da una scarica di violenti pugni dritti sul volto, coperto da quella maschera informe.
-Chi è il più forte? Eh?- ringhiò la ragazza colpendolo ancora, la lente dell’occhio destro si era rotta sotto i colpi impetuosi della mutante, e un rivolo di sangue colava dall’orbita bianca del mezzo teschio, la testa era reclinata di lato , inerme, incosciente.
Bumblebee lo colpì ancora una volta, poi stanca per l’affaticamento gli posò un ginocchio sul petto, convinta di averlo sconfitto –Quanto ti senti superiore adesso?!-
Il capo girò di scatto, una sinistra risata ghignate uscì da dietro quel volto fittizio –Quanto basta per distrarti!-
Presa dalla sua voga Bumblebee non aveva notato le Ghostface non la colpiva non perché stordito dai colpi…ma perché aveva le mani occupate.
Mentre la mano artigliata cercava di frenare i pugni dell’apetta, la destra scivolava lungo i fianchi, fino a raggiungere indisturbata la cintura…e l’impugnatura di una pistola.
Bang!
Bang!
Bang!
I primo proiettile le trapassò il polso ancora sollevato a mezz’aria, chiuso a pungo.
Il secondo e il terzo la centrarono nel basso ventre.
Bumblebee gridò di dolore, e con uno spintone Ghostface si liberò di lei, balzando in piedi.
-Stammi bene a sentire, negra: il primo proiettile ti ha spezzato il polso destro, spero tu sia mancina; il secondo ti ha perforato il pancreas… sopravvivrai; il terzo ti ha aperto un rene…per fortuna ne hai due. Indovina dove cadono i prossimi-
Altri sei colpi, seguiti da un urlo straziante, Bumblebee si guardava con orrore le ginocchia maciullate da quella scarica di colpi, le rotule erano ridotte in poltiglia, i polpacci si mantenevano attaccati alle cosce solo grazie ai tendini e a sottili lembi di pelle ancora attaccata tra i muscoli.
Il sangue sgorgava a flutti, non accennava a fermarsi e il dolore era accecante. 
L’arteria femorale!!
Pregò affinché non l’avesse recisa…ma visto il lago di sangue scuro e denso in cui annaspava era un’ipotesi molto poco probabile.
Ghostface, erigendosi in tutta la sua longilinea figura, puntò la canna della pistola contro il viso sgomento della ragazza.
-Che spreco di piombo…dovrei lasciarti dissanguare. Ma oggi mi sento caritatevole…-
Un rumore.
Scalpitio di zoccoli.
Da dietro la maschera enigmatica Ghostface sorrise divertito.
Agile come una cavalletta saltò il toro verde che invano aveva tentato di coglierlo alle spalle.
Senza scomporsi minimamente riatterrò sul posto, con una mano a terra e le gambe piegate di lato, pronte a scattare nuovamente.
Le dita della destra restavano saldamente strette sull’impugnatura della pistola.
Si girò di scatto, evitando così la bastonata di Robin, un secondo di ritardo e l’asta telescopica l’avrebbe centrato in pieno.
Ruotò colpendo il ragazzo mascherato in pieno viso con manico dell’arma.
Saltò ancora senza neppure bisogno di guardarsi le spalle, e per la seconda volta il toro colpì l’aria a vuoto, evitando per un soffio di trapassare Robin con le lunghe corna ricurve.
-Avanti, BB…- scherzò il vecchio- Non mi dirai che speravi veramente che non mi accorgessi di un toro in piena carica…suvvia, pensavo mi conoscessi…però bell’animale, avete diverse cose in comune: siete erbivori, stupidi e cornuti…ah, e entrambe le vostre signore sono delle vacche-
Parole taglienti, parole avvelenate…ben più dolorose di un proiettile.
-Sta zitto! Sta zitto!! STA ZITTO!!!- urlò BB tornato in forma umana, reggendosi la testa tra le mani, sforzandosi di non credere a ciò che credeva, schiumante di rabbia, con la mente pesante e appannata.
Bang.
Il proiettile frantumò a mezz’aria il disco lamato lanciatogli da Robin.
Ghostface soffiò sulla canna fumante e rinfoderò l’arma ormai scarica.
Era tempo di qualcosa di più classico…
Le spade sibilarono e alla luce del sole mattutino rifulsero di luce abbagliante appena furono sguainate.
-Giochiamo- ghignò Ghostface, e il suo ghignò era la copia perfetta di quello sconnesso e mostruoso rozzamente dipinto sulla maschera.
 
-Stella qui ho fatto il possibile, Bruce se la caverà, ma ora dobbiamo aiutare BB e Robin! Subito!-
-S-sì…- rispose esitante la bella principessa adagiando delicatamente il figlio boccheggiante a terra.
Si sollevarono in volo e inorridirono.
La loro amica Bumblebee, giunta quasi come una salvatrice celeste giaceva incosciente nel grumo appiccicaticcio del suo sangue che iniziava a coagulare, April era svanita, Robin a terra dolorante e BB…BB stava avendo un incontro ravvicinato con le suole chiodate di Ghostface.
Un incontro “piede a faccia”.
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7!!
7 calci rotanti tutti di seguito colpirono la mascella del mutaforma.
Calci dalla potenza devastante.
Al quinto si udì un macabro e sordo suono di ossa spezzate, al sesto il ragazzo verde iniziò a vedere tutto rosso, al settimo cadde a terra e non si rialzò.
Il pazzo assassino invece atterrò aggraziato come un gatto, dopo aver fatto quella serie di calci aerei, a vederlo compiere quelle mosse pareva un vero e proprio elicottero che roteava le pale.
-Oh sì!- Esclamò alzando i posizione d’attacco le due spade che reggeva nelle mani, rivolto verso Robin –Chuk Norris insegna. È stato l’unico che, dopo esser stato bastonato da lui, non ho più avuto il coraggio di risfidare. Un solo calcio rotante dei suoi  e zac! Mi sembrava di essere morto…-
Mulinò le lame lucenti avvicinandosi al ragazzo che stringeva tra le mani l’asta telescopica, era coi muscoli indolenziti e pieno di lividi, incapace di prevedere la mossa dell’avversario.
Era impossibile anticiparlo.
-Certamente però tu ti sentirai molto più morto di quanto non mi sia mai sentito io quando avrò rinfoderato le mie sorelle nel tuo cuore-
Robin evitò di pochissimo la lama delle spade, che agivano incrociate, piegandosi a 90°, il titanio delle lame gli mozzò il ciuffo.
Un altro saettare di lame terribilmente vicino alla sua pelle.
-Che c’è, Robin? Ti eri dimenticato delle mie tesorucce? Ho rischiato di farmi scoprire subito per rubarle dalla Torre, ma un uomo deve avere i suoi valori, no?-
-Non è possibile!- ribattè Robin, rispose solo perché a furia di schiavare per un pelo un colpo dopo l’altro, quello verbale era l’unico modo che aveva per attaccarlo.
-Le tue vere spade sono ancora nella nostra sala dei trofei!-
-Ti consiglio di controllarle allora, perché non mi risulta che le mie vecchie spade fossero di semplice alluminio, come quelle che hai nella tua Torre- replicò il vecchio calando un nuovo fendente, la punta aguzza dell’arma lacerò il petto del giovane lasciando un taglio lungo ma leggero che lo attraversava dalla spalla destra al capezzolo sinistro.
Robin sopportò in silenzio, non avrebbe gridato, non questa volta.
Scattò in avanti tirandogli un doppio calcio al ventre, ma gli addominali scolpiti del vecchio incassarono bene il colpo, senza troppo danno.
Ghostface conficcò le lame nel pavimento del centro commerciale, fulmineo aggirò Robin e lo afferrò per i capelli torcendogli il braccio dietro la schiena.
Lo spinse contro il muro e sbattè con forza il volto del ragazzo contro la parete intonacata.
Lo fece di nuovo, e ancora e ancora finché il viso non fu grondante di sangue, tumefatto, il ragazzo faticava a reggersi in piedi, intontito com’era da tutti quei colpi al cranio, Ghostface gli torse con spietata forza il braccio dietro la schiena, facendolo gemere a denti stretti, ma non gli bastò, ruotò con ancor più decisione e si udì un sordo “crak”…poco dopo Robin era steso a terra col braccio spezzato, piegato in maniera innaturale.
-Così impari stupido moccioso, i calci si danno alle costole- e gli tirò un colpo dritto nel costato –Oppure sul viso- e un secondo calcio ruotò il viso di Robin da destra a sinistra, facendogli sputare due denti.
-So cosa stai pensando, e conosci già la risposta. Praticamente posso entrare e uscire dalla T-Tower a mio piacere, anche attivando il protocollo di sicurezza non sei riuscito a impedirmi di fare i comodi miei… ammettilo a te stesso: la Torre non è più sicura. Io posso entrare quando voglio…che ti aspettavi? Dopotutto sono anche entrato tra le gambe di Corv…-
Un condizionatore avvolto d’energia nera lo investì centrandolo sulla schiena, interrompendo l’ennesima cazzata del vecchio.
Ghostface si rialzò dal suolo con dorso sanguinante e vide Corvina volteggiare nell’aria col mantello spalancato, con gli occhi che avvampavano d’energia maligna, come fosse l’angelo dell’oscurità.
Una serie di ustionanti raggi verde smeraldo lo travolse dall’altro lato, ed ora alle sue spalle fluttuava la nipotina dalla folta chioma di fuoco, i cui pugni rilucevano d’energia.
Ghostface si trovò accerchiato su due lati.
Sorrise, finalmente le cose si facevano un po’ interessanti.
Una pioggia d’oggetti energizzati di magia nera gli cadde addosso, ma lui era troppo veloce, troppo agile e coordinato, balzando di oggetto in oggetto riuscì a raggiungere la maga, gli piombò addosso con le game divaricate, facendola cadere con un grido.
Le cosce muscolose dell’assassino si strinsero attorno all’esile collo della maga, minacciando di spezzarlo da un momento all’altro.
Ruotando su se stesso, per terra, il vecchio costringeva la strega ad assecondare i suoi violenti e fulminei movimenti –Cazzo, Corvina! Di nuovo la tua testa tra le mie gambe…se proprio affamata oggi…-
La maga si rese incorporea passando a traverso quelle travi di ossa e muscoli, bande nere simili ad artigli si avvinghiavano attorno alle sue braccia diventando enormi mani di tenebra, tentacoli d’oscurità –Sta zitto! Tu non sai niente!!- gridò con voce inumana, afferrandolo e scagliandolo contro una vetrina come fosse un corpo senza peso.
Un po’ barcollante Ghostface si rialzò, Corvina e Stella non potevano vederlo ma da dietro la maschera il vecchio ghignava compiaciuto…erano anni che non si divertiva così.
-Io non so niente?- sghignazzò –Io so tutto di voi. So dove abitate, che cosa mangiate, so come vestite, come parlate, so chi vi sta a cuore, so in che chiesa andate la domenica, so in che scuola vanno i vostri figli, so per chi votate, so dove tenete le chiavi della vostra auto, so cosa leggete, cosa cercate su internet, cosa guardate alla TV… a proposito Corvina, so che sei arrivata a metà del 5° film di Star Wars…ebbene sappi una cosa: Darth Vader è il padre di Luke Shywalker!-
Fece alcuni passi in tutta tranquillità verso di loro.
Era calmo, posato, tranquillo…eppure terribilmente minaccioso.
-La miglior difesa è l’attacco- sussurrò Corvina all’amica.
-Concordo- rispose quella a denti stretti con gli occhi che le brillavano di verde smeraldo.
Come fosse un proiettile vivente Stella si gettò volando ad altissima velocità contro Ghostface, quello non fece nulla per evitarla, anzi spalancò le braccia pronto a incassare il colpo.
L’impatto fu terribile, l’aliena infuriata sfondò ben tre pareti di tre negozi usando il vecchio come scudo umano, poi… Ghostface l’afferrò per la schiena, toccandola coi guanti sulla carne nuda, di colpo Stella sentì le forze venirgli meno, i muscoli si rilassavano contro la sua volontà di colpire, tutto il suo corpo si ribellava al suo controllo, accasciandosi inerme al suolo, accompagnato dalle robuste braccia del vecchio proprio come lei aveva adagiato il corpo di Bruce poco prima.
Annaspando nella sua impotenza e frustrazione Stella Rubia perse i sensi.
Corvina, volata subito dietro l’amica, aveva assistito a tutto incredula.
-Che cosa le hai fatto!!-sbraitò minacciosa mentre gli occhi le brillavano di rosso.
-Tranquilla- rispose quello rilassato, ma il ghigno disumano sulla maschera rendeva ogni parola ambigua e sinistra, parlava a fatica, per quanto il suo fattore rigenerante lavorasse senza tregua si vedeva dalla postura e dalla voce che non era uscito affatto illeso da quell’attacco – Figurati se faccio del male al mio fiorellino… vedi questi guanti?- disse mostrandole i palmi grigi non lisci ma come se rivestiti di carta vetrata –Hanno i palmi rivestiti di una neurotossina estratta dalla Caravella Portoghese, una medusa che paralizza le sue vittime e le divora.
Normalmente lo svenimento provoca la morte per annegamento, ma per fortuna di Stella non siamo in mezzo al mare.
Data la dose somministrata…in circa mezz’ora sarà di nuovo in piedi…peccato che tu non abbia mezz’ora-
Estrasse uno dei pugnali, stringendolo saldamente in mano con una stretta di ferro.
Corvina, tesissima, poteva contare ogni goccia di sudore che le imperlava il viso contratto dall’ansia, semi-nascosto dal cappuccio.
Il silenzio era rotto solo da gemiti di dolore dei Titans sconfitti e da respiri irregolari.
-…mamma…- sussurrò una vocina quasi impercettibile…quasi.
Ghostface scattò improvvisamente come una molla, indietreggiando di tre metri, sembrò afferrare l’aria ma quando la sua mano sbatté il nulla sul pavimento il nulla gemetté.
-Ah!- la sagoma di April comparve laddove prima c’era solo il vuoto.
La ragazzina avrebbe voluto lottare…ma quando aveva visto con quale spietata follia avesse aggredito Bruce e Bumblebee, come avesse ucciso a sangue freddo quella donna nel locale…il suo cuoricino vacillò, la paura prese il sopravvento, tutto quello che fu in grado di fare fu rendersi invisibile e nascondersi.
Bell’eroina che era, i suoi cari rischiavano la vita e tutto quello che sapeva fare era restare nascosta in un angolo a tremare.
Non era stata in grado di fare neppure quello.
Si fece schifo da sola e sentiva le lacrime salirle agli occhi.
Era sdraiata a terra pancia in giù, col peso del killer sulla schiena che le impediva di rialzarsi e il pugnale premuto sulla gola.
Non aveva seguito i consigli ricevuti riguardo al mantello e il vecchio glielo aveva tirato in avanti, coprendole la faccia, April non vedeva niente accecata dalla stoffa bianca ma sentiva qualcosa premerle contro la trachea.
-Non una mossa!- disse Ghostface alzando gli occhi verso la maga.
E per la prima volta, dopo tanti anni, Corvina ebbe di nuovo paura.
Alzò le mani e rimase immobile sul posto, con lo sguardo implorante – T-ti prego non farle del male…è solo una bambina…è-è mia figlia..- balbettò con voce spezzata, satura di lacrime.
-Credi che non lo sappia? So molte cose di lei. Racchiude un segreto questa ragazzina…un terribile segreto che solo io e te conosciamo…-
Corvina lo fissò con occhi sbarrati –Non farlo…-
Ghostface rise sommessamente a quelle parole –Non lo farò certo ora che la metà dei tuoi amici sono svenuti o troppo doloranti per ascoltare…voglio che sentano, che sappiano la verità che questa ragazzina si porta dentro-
April farfugliò qualcosa ma il mantello premuto sul viso rendeva incomprensibili le parole.
-Sono deluso Titans, vi siete rammolliti. Guardatevi: avrei potuto uccidervi tutti, ma non l’ho fatto.
Vi darò una seconda occasione, considerate questo come uno “ scontro di prova” e vedete di non deludermi la prossima volta o giuro, e ve lo dico chiaramente, che vi ammazzo-
Corvina restava immobile, ascoltando indifesa quelle parole.
Ghostface guardò la distesa di ragazzi agonizzanti sul pavimento del centro commerciale.
-Fossi in te li porterei all’ospedale…soprattutto la l’ape Maia…non ha una bella cera-
-Prima lascia andare April- rispose Corvina con parole di ghiaccio, minacce mute ma terrificanti erano taciute in quella frase.
Chiunque più saggio non avrebbe esagerato col tirare la corda…ma lui era Ghostface
-Rivuoi tua figlia?-
-SÌ!!- esclamò la maga tutto d’un fiato.
-Allora paga pegno. Dammi un bacio…e la lascerò andare-
Che poteva fare la povera maga?
Assecondarlo.
Piena di disprezzo si incamminò molto lentamente verso il pazzo assassino che teneva in ostaggio sua figlia.
-Va bene sulla guancia?- chiese con parole acide e sguardo di disgusto.
-Dai, non scherziamo – disse il vecchio sollevandosi la maschera, rivelando quel volto, proprio ora che April non poteva vederlo.
Aveva duecento anni, sì…ma neppure una ruga, anzi i lineamenti erano secchi, scavati, la pelle tirata e bianca come i suoi capelli.
Un tempo era sicuramente stato un bell’uomo…ora sembrava uno spettro.
Teneva un occhio chiuso su cui si era raggrumato del sangue, l’altro invece era nascosto dalla lente scura ancora intatta.
Ghignava.
Corvina strinse le sue mani attorno alle spalle di April, tenuta tra i loro due corpi, rassicurandola con quel tocco familiare, chiuse gli occhi e baciò quel pazzo criminale, fu una cosa veloce, senza passione né lingua ma a Ghostface bastava quello.
Si ritrasse di scatto lasciando andare April.
-Bel lavoro, tesoro- sorrise ricalando la maschera sul viso prima che la ragazzina potesse riconoscerlo – Peccato che tuo marito ci abbia scoperti-
Corvina si voltò di scatto.
BB era lì, furioso e incredulo…il mutaforma aveva ripreso i sensi proprio mentre lei baciava Ghostface…proprio come che il criminale voleva…il mantello ampio della moglie gli aveva impedito di vedere April in ostaggio…ma non di perdersi quel bacio.
-Tu…- biascicò BB con la mascella sconnessa.
Ogni parole pronunciata era una dolorosa fitta profonda… ma mai quanto quelle del suo cuore spezzato.
-BB…amore…ti posso spiegare! Non è come sembra…tu…tu non capisci, mi ha obbligata…avrebbe ucciso April!-
La ragazzina si era intanto liberata dal proprio mantello schierandosi subito a difesa della madre –Papà devi ascoltarla! Mamma l’ha fatto solo per salvarmi… è colpa mia! Mi sono fatta catturare come una carota… lei non ha colpa se non di amarmi troppo…e di amarti-
BB non disse niente, non volle sentire, non volle vedere, si volse solo di spalle, inarcandole carico di rabbia e frustrazione repressa che non poteva sfogare.
Borbottò- Porta gli altri all’ospedale…e non tornare a casa-
Corvina gli corse incontro, mettendogli delicatamente un mano sulla guancia gonfia e violacea.
-Sei ferito…aspetta forse posso-
-Non toccarmi- ringhiò quello, ma dalla mascella scomposta non uscì che un fievole lamento, la scacciò con un movimento brusco delle braccia –So badare a me stesso-
Si tramutò in un piccione verde dal becco asimmetrico e volò via.
Lasciandola lì, con le lacrime che lottavano per uscire, senza riuscirci, e allora ricadevano al suo interno tramutandosi in lacrime di sangue per il suo cuore.
Solo allora si ricordarono di chi aveva causato tutto: Ghostface!
April e Corvina si colsero all’unisono…ma che il criminale pareva essersi dimenticato di loro.
Era sparito.
-Stronzo- disse Corvina a denti stretti.
-Uno che ti spoilera così il finale di Star Wars non può essere altrimenti- commentò la figlia.
Rassegnata la maga accorse da Bumblebee, ormai più morta che viva, pronunciò il mantra curativo, arrestando così l’emorragia ma aveva urgente bisogno di cure mediche, e come lei molti altri dei Titans.
-April ricordi l’incantesimo del teletrasporto?- disse Corvina prendendo per mano Bumblebee, svenuta, e Robin, ancora cosciente, che a fatica, sputando sangue, si era rialzato.
-S-sì…ma non l’ho mai provato-
-È arrivato il momento di farlo. Prendi per mano Bruce e pensa intensamente all’ospedale. Ci vediamo lì-
-E Stella?-
-Starà bene. vedrai, saprà come trovarci-  
 
 
-Ecco- disse Slade da sopra un cornicione.
-Devi colpire quel piccione in volo- e gli indicò l’uccello che si era sollevato in volo dal centro commerciale.
Volava secondo una traiettoria imprevedibile, quasi fosse ubriaco.
Ghostface era di fianco a lui, impugnava una balestra militare –Nessun problema, Willy-
Inforcò l’arma, prese la mira e tirò.
Il piccone nel mirino.
La corda scattò violenta, il dardo partì come un fulmine, preciso, inesorabile.
La punta in fibra di carbonio trapassò da parte a parte l’uccello che precipitò a terra, trasformato in un grumo di sangue e penne.
Il piccone che poco fa si era librato dall’entrata del mega-store non seppe mai cosa lo colpì.
Era già morto prima che toccasse terra.
-Visto!- esclamò Ghostface esibendosi in un balletto della vittoria – L’ho colpito! L’ho colpito! Sono un super cecchino, tu fai schifo! Sei vergognoso! -
Slade sbuffò frustrato…lui il suo bersaglio l’aveva mancato.
-Ho qualche difficolta…solo con archi e balestre, però!
Ho problemi con la percezione della  profondità ma impugniamo un fucile e vedremo chi spara meglio!-
-“Ho problemi con la percezione della profondità”- lo canzonò quello facendo una bocca con la mano –E poi i fucili…pfui- replicò Ghostface disgustato –Armi prive di qualsiasi poesia. Non come le balestre…- sorrise accarezzando l’arma come fosse un gattino.
-Stupenda creazione…bella, silenziosa, letale ed elegante…esiste un’arma migliore?-
Al guercio stavano per esplodere le vene tanto aveva i pugni contratti –Tu…- disse puntandogli il dito contro –Sei una contraddizione vivente! Sei vecchio ma sei “giovane”, hai toccato la Morte ma sei vivo, sei pazzo ma geniale, sei un killer e fai il moralista, eri partigiano e sei razzista, disprezzi le armi da fuoco e usi le pistole, vuoi distruggere i Titans e aiuti quella mocciosetta…deciditi una buona volta! Non sopporto le persone che non sono tutte d’un pezzo!-
-Dai non ti scaldare solo perché hai perso la scommessa.- sorrise quello mettendogli una mano sulle spalle, che prontamente Slade allontanò.
Incurante Ghostface continuò
–Sai mi piace, “Ghostface: una contraddizione vivente,
che in vita sua fu tutto e non fu niente”…promettimi che me lo fai incidere sulla lapide…se mai l’avrò-
-Lascia perdere, torniamo al covo. Forse è tornata Terra, è da ieri che non la vedo-replicò Slade.
Avrebbe dovuto sopportarlo ancora per poco…poi finalmente si sarebbe sbarazzato di lui e dei Titans…
 
 
Era ormai notte quando Corvina uscì dall’ospedale.
Quasi tutti i suoi amici erano lì.
Ma non BB.
Non era nemmeno a casa, lei aveva riaccompagnato April e Bruce, che tutto sommato stava bene, aveva fatto la cena per loro e i gemelli, affidandoli alle cure della sorella maggiore, e si era assicurata che tutti e quattro si fossero addormentati, ma di lui neppure l’ombra.
<Sarà andato nell’infermeria della Torre per star da solo…perché quell’idiota non mi crede?! Perché non crede neppure a nostra figlia?!! Idiota! Idiota! Idiota! Perché lo amo così tanto?!>
Camminava alla fioca luce dei lampioni diretta verso l’appartamento che occupava, aveva lasciato un bigliettino sul comò di April, dicendo di chiamarla se BB tornava…
Ripensando a tutto quello che le era accaduto in così poco tempo…le venne da piangere.
Mentre camminava mestamente incontrò a lato del marciapiede una polpetta di penne e sangue, trafitta da un dardo come fosse uno spiedo.
Un normalissimo piccione, dalle penne grigie.
<Povera bestia…chi può averti conciato così?>
Proseguì per la sua strada e finalmente stanca e affamata rientrò in quella che era la sua nuova casa.
L’appartamento profumava di uno squisito odore di pancake che le fece brontolare lo stomaco.
Qualcuno canticchiava nel cucinotto.
Corvina si affacciò e vide Terra, con indosso un grembiule azzurro che stava cucinando i pancake nella padella.
Anche la bionda s’accorse di lei –Ah Corvina, sei tornata finalmente!- esclamò tutta felice, fece per abbracciarla ma si fermò di colpo, memore di cos’era accaduto prima e arrossendo timidamente aggiunse, mentre giocava nervosamente con una ciocca color oro –Cioè…stamattina…ti sei smaterializzata così di botto senza neppure dirmi dove andavi…e pensavo di aver esagerato. Volevo scusarmi così ti ho aspettata qui, dato che c’ero ti ho rassettato un po’ la casa e visto che non sapevo cosa ti piacesse…ti ho fatto i pancake!- sorrise porgendole in piatto fumante di dolci frittelle affogate nello sciroppo d’acero e nel burro semifuso.
Corvina guardò il piatto e poi guardò Terra, dritta negli occhi.
Lei non conosceva bene i suoi gusti…ma le faceva delle piacevoli sorprese. BB sapeva tutto di lei ma non la sorprendeva mai. Terra era pronta a scusarsi per una colpa minima che neppure aveva…BB non accennava  cedere, pur sapendo di essere nel torto; Terra era lì pronta ad accoglierla dopo una simile giornata con un piatto di pancake fumanti e un sorriso dolce sulle labbra…BB l’aveva scacciata di casa. Terra l’aveva spettata pazientemente per tutto il giorno...BB si era senz’altro rintanato in qualche bar a bere.
Di colpo tutte le parole dette in precedenza da Terra riguardo amore e meriti e fiducia brillarono sotto una luce diversa…la osservò di nuovo, così dolce, così carina, così speranzosa, con gli occhi luminosi, e il visetto leggermente arrossito d’imbarazzo.
Pronta a darle il calore umano di cui aveva disperatamente bisogno.
Con la telecinesi Corvina spostò il piatto di pancake sul tavolo –Questo lo mangio dopo…- disse –Adesso ho fame di qualcos’altro…- le strappò di dosso il grembiule azzurro, la strinse con una forza possessiva che lasciò stupita sia lei che la bionda, affondò le dita in quelle natiche così sode coperte dai pantaloncini gialli, infine la baciò ardente di desiderio ficcandole tutta la lingua in gola.
Baciandola finché l’aria non le mancò.
-Wow- esclamò Terra appena le loro bocche si separarono –È stato mitico!-
-Scopiamo!- replicò Corvina ancora ansante e incredula di quello che aveva appena detto…e di quello che voleva fare.
Non sembrava lei…ma dentro di se era scoccata la scintilla e le polveri avevano preso fuoco.
Si sarebbe fermata, rimanendo fedele a BB?
No.
 
Senza farselo ripetere due volte Terra la prese per mano e le due si catapultarono in camera da letto.
Si spogliarono a vicenda, restando solo in mutandine nel buio della stanza.
Terra sorrise maliziosa…da quanto tempo aspettava questo momento.
Prese tra i denti il sottile lembo di stoffa nera che celava il pube di Corvina abbassandoglielo quanto bastava per scoprirle quella calda fessura e vi ci affondò il viso.
Non fu troppo dolce, anzi scavava sempre più in profondità con le labbra e la lingua, sempre più audace e possessiva, masturbandosi con l’altra mano dentro l’intimo azzurro accrescendo il piacere suo e della maga.
Corvina non riuscì a stare in piedi e premendosi la testa dalla bionda sull’inguine con entrambe le amni, senza permetterle di staccarsi, si sedette sul letto, divaricando le cosce il più possibile per semplificarle il lavoro.
Venne con un forte orgasmo tra i gemiti di piacere.
Terra emerse dalle sue gambe con un sorrisetto compiaciuto, asciugandosi le labbra col dorso della mano.
Si mise in piedi sfilandosi a sua volta le mutandine ed entrambe rimasero completamente nude.
Con movimenti sensuali e felini la bionda si mise a fianco della ragazza dai corti capelli viola, baciandola, un bacio molto più dolce ed erotico del precedente, giocarono a lungo con le loro bocche senza mai staccarsi mentre adagio adagio si stendevano assieme sul letto.
Con gli occhi chiusi e la lingue intrecciata con quella di Terra, Corvina percepiva ogni centimetro della sua pelle sfiorato dalle sottili dita affusolate della bionda, le sue mani le correvano su tutto il suo corpo perlaceo, accarezzandole i fianchi, addentandogli le natiche, divaricandole fino a scoprire la calda fessura nel mezzo, affondando nei seni morbidi, massaggiandoli con desiderio, strizzandone le punte.
La sentiva alitarle con desiderio sul corpo mentre a sua volta la maga esplorava e palpava tutto il corpo dell’altra, affondò due dita dentro di lei, quasi di sorpresa e Terra gemette, separandosi leggermente dalla bocca di Corvina.
-Non smettere…- le sussurrò all’orecchio e la maga riprese il suo gioco ancor più intensamente mentre Terra in preda al piacere si aggrappava al suo corpo come un koala, abbracciandola con le gambe e le braccia.
Quando anche Terra raggiunse l’apice del piacere le due continuarono a rotolarsi a lungo l’una sull’altra, baciandosi e toccandosi in preda all’esigente fuoco carnale.
Dopo diverse decine di minuti Terra alzò il viso dal seno di Corvina, sorridendole tutta sudata e coi capelli scompigliati, ma con in viso un’espressione così felice che non aveva da tantissimi anni.
-Di un po’…- domandò più allegra che sensuale ma ugualmente molto maliziosa –La conosci la posizione del 69?-
Corvina sorrise a sua volta, anche lei stanca e sudata, ma serena, il sorriso non era estasiato come quello della bionda ma tranquillo, calmo e sincero, poco appariscente ma molto profondo.
Sembrava che il sesso avesse spazzato via tutte le sue precedenti inibizioni, come se si fosse dimenticata tutti i suoi problemi.
Ghostface, BB, Cyborg la sua famiglia…tutto era svanito in un vortice di accecante piacere carnale.
Terra lo sapeva cosa significava quel sorriso sottile, quante volte aveva lo aveva visto quando erano solo due ragazzine che scopavano per divertimento e quante volte aveva sognato di rivederlo nelle sue fantasie.
Ora era lì, davanti a lei…tutto per lei.
-Che birichina…- commentò la maga rialzandosi sui gomiti –Ricordami che devo sculacciarti dopo-
Anche Terra si alzò a quattro zampe –Adoro quando mi sculacci…ma ora…lecchiamoci le fiche…-
Le due s’invertirono di posto immergendo l’una il viso nelle gambe dell’altra, riprendendo il loro dolce eccitante ed erotico amplesso, saziandosi a vicenda della carne e dei succhi dell’altra.
Continuarono tutta la notte, senza volersi fermare neppure per un bicchier d’acqua, non ci fu una sola parte dei loro corpi che non fu baciata e assaporata dall’altra, ogni singola parte di loro fu coinvolta in quell’intenso gioco erotico, dalle labbra alle dita dei piedi, e tutto ciò che c’era in mezzo.
Stanche, sudate, spossate ma felici si addormentarono l’una accanto all’altra, ancora abbracciate ed esauste.
Terra, leggermente stesa su Corvina, appoggiava la testa su quei morbidi e invitanti seni che ancora portavano i segni delle sue labbra voraci, mai si sentì più felice che in quel momento.
Il sole filtrava a sottili raggi dalle tapparelle calate, irradiando la stanza di una luce debole e soffusa, che non turbò il sonno delle due giovani amanti, anzi quando il sole depose uno spiraglio di calore, un bacio, sulla guancia di Terra, quella si raggomitolò inconsciamente ancora più a ridosso di Corvina, sorridendo di cuore.
La maga restava a sonnecchiare tranquilla col viso in ombra, nel suo elemento, col corpo di Terra sul suo che le faceva a coperta, riscaldandola, per la prima volta da quando April era scappata si sentì serena, al sicuro….felice.
Mosse nel sonno una mano che andò delicatamente ad accarezzare il viso di Terra, posandosi dolcemente sulla sua guancia vellutata, baciata dal sole, riconoscendo quel dolce tocco anche nel sonno, sia Terra che Corvina sorrisero nuovamente, stringendosi tra loro ancor più intensamente.  
 
 
 
Immerso nel buio, sul suo freddo trono di metallo, l’uomo osservava il video proiettato sul mega-schermo innanzi a se, ai piedi dell’imperiale sedia soprelevata stavano gli Hive Five, increduli davanti a quel filmato.
L’uomo aveva criptato le telecamere del mega-centro commerciale, ottenendo per sé il filmato di Ghostface che massacrava i Teen Titans, fermò l’immagine poco prima che Ghostface ottenesse il bacio da Corvina, quando si era calato la maschera.
Aumentò lo zoom e il viso spettrale del vecchio si trovò in primo piano sullo schermo.
-Costui è l’uomo che ha ucciso la vostra compagna…il suo nome è Ghostface- disse secco e distaccato.
Gli Hive rimasero ammutoliti, quel tipo aveva praticamente ucciso tutti i Titans…da solo.
L’uomo si alzò scegli gli scalini di ferro, i passi riecheggiarono metallici nel vecchio covo mezzo in rovina.
Nella caverna c’era un silenzio assordante.
-Capite anche voi che da soli non avreste alcuna possibilità di sconfiggerlo- continuò con voce pacata, indifferente – Tuttavia si dà il caso che io conosca qualcuno che possa aiutarvi…-
-Chi?- domandò Mammut senza osare guardarlo in quell’unico occhio umano.
-Lo saprete a tempo debito…abbiate fiducia, è una vostra vecchia conoscenza…-
Si volse dando le spalle ai giovani e smarriti ladruncoli, guardando il buio innanzi a sé.
Una luce rossa brillò a fianco del suo occhio.
Un’unica luce nelle tenebre.
Gli Hive si persero a guardare quel mortuario viso sullo schermo.
Lui si perse a guardare il buio.
Il buio si perse a guardare in lui.
-È tempo che la mia ascesa abbia inizio-
 
 
 
 
 
Lo so, lo so… mi sono dimentica l’avviso “scena pornografica” ma oggettivamente parlando penso che quando Corvina dice in grassetto “scopiamo!” renda perfettamente l’idea di cosa succederà nel paragrafo seguente.
Mi scuso se ho offeso qualcuno…ma che lo vogliate o no sono 3 le S che occorrono per scrivere la parola “successo”
Sangue.
Sesso.
Sentimenti.
Ora tutte presenti in questa storia.
 
 
Ghostface

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14 ***


CAPITOLO 14
 
Erano passate due settimane e di Ghostface nessuno notizia.
Nessuno l’aveva visto, nessuno trovava indizi, nessuno sapeva dov’era.
Tutti lo cercavano.
Era partita una spietata caccia all’uomo, i Titans seguirono qualsiasi traccia a loro disposizione, interrogarono ogni singolo eroe, passante o criminale che incontravano…nessuno sapeva niente, e chi sapeva taceva per paura delle conseguenze.
Intanto all’interno dei Teen Titans si andava allargando una terribile spaccatura, una crisi che stava portando al collasso dell’intera squadra.
BB e Corvina quasi non si vedevano, vivevano ancora separati seppure nessuno dei due avesse accennato al divorzio, parlavano tra loro al telefono ma rifiutavano di incontrarsi finché l’altro non avesse ammesso la sua colpa.
Corvina voleva delle scuse, vere e sincere per le accuse ricevute.
BB voleva una confessione che però dimostrasse il pentimento della moglie…e sperava ancora segretamente in qualcosa che potesse smentire i suoi ormai radicatissimi sospetti.
Perlomeno avevano ripreso a dialogare da persone civili ma praticamente non accennavano mai alla loro situazione, la vivevano nel reciproco silenzio e solitudine…anche se Corvina qualcuno con cui passare la “solitudine” l’aveva; il tema dei loro discorsi era principalmente come spartirsi il tempo da trascorrere coi loro bambini.
Bambini che erano usciti tutt’altro che illesi da questa separazione: i gemelli erano ormai intrattabili, nessuno era in grado di tenerli buoni, il minimo pretesto era buono per diventare delle furie selvagge e sfogare la loro infantile frustrazione con la rabbia.
Solo quando i genitori stavano assieme, anche solo nella stessa stanza, di colpo si rasserenavano tornando i solari bambini che erano sempre stati.
April dal canto suo si era chiusa in una profonda depressione, dall’incontro con Ghostface aveva smesso di venire in missione, aveva scoperto di avere paura: paura della morte e ancor più del dolore.
Si malediceva per questo, perché voleva davvero essere un’eroina ma si sentiva debole, vigliacca…una codarda.
A prendere a calci dei vecchietti in sedia a rotelle son buoni tutti…ma quando un vero nemico era comparso all’orizzonte lei si era subito rintanata in un angolo tremante come una foglia nelle tempesta, lasciando che quel pazzo massacrasse i suoi cari.
Si faceva schifo da sola.
Per vincere le sue paure aveva intensificato i suoi sforzi, cercando di dominarle tramite la meditazione come sua madre, dando ogni volta il 110% durante gli allenamenti coi Titans per diventare più forte, impegnandosi ogni volta al massimo quando si incontrava con Jonathan, chiedendogli come trovasse la forza di uccidere e di insegnarle come fare, per diventare pericolosa.
Ma quello che voleva era più di qualche semplice mossa per bloccare il cuore, mosse che tra l’atro ancora non riusciva a fare, quello che voleva davvero era smettere di avere paura.
Solo Bruce riusciva ancora a farla sorridere ogni tanto, ma anche lui la spaventava: non maneggiava spade affilate, non portava pistole alla cintola, non aveva uno sguardo assassino e non le avrebbe mai puntato un pugnale alla gola….era proprio questa sua dolcezza a spaventarla, April aveva paura di ferirlo perché ancora non sapeva cosa provare per lui.
Anche Robin era sempre più introverso, consumato dal senso di colpa, lavorava settimane a prototipi di antidoti alle bio-sonde iniettate a suo figlio, ma temeva a provarli per paura di risvegliare il virus latente anziché eliminarlo e quindi gli antidoti andavano ad accumularsi sullo scaffale contrassegnato col cartellino “da testare”.
A quest’opprimente ansia, generata dalla paura che un giorno Ghostface si alzasse e decidesse di attivare le bio-sonde, così per noia, e dalla frustrante d’impotenza nella situazione frastagliata che attraversavano i suoi migliori amici, situazione che lui aveva creato, si sommava il dolore al lungo dimenticato ma mai del tutto sfogato della perdita della suo primogenita.
Come aveva potuto dimenticare Mar’i? Non se lo spiegava neppure lui, ma tutti parevano esserci riusciti.
Stella non era stupida, capiva che qualcosa non andava in suo marito, lo vedeva incupirsi ogni giorno di più e nonostante tutti i suoi sforzi non c’era nulla che potesse fare per risollevarlo.
Lui si rifiutava di parlare riguardo a cosa provava, non voleva metterla in pericolo.
Le ripeteva quasi ossessivamente che l’amava e che tutto quello che faceva lo faceva solo per il suo bene e che tutto si sarebbe concluso per il meglio.
Ma queste parole anziché rassicurarla la inquietavano…ormai non lo riconosceva più.
Nessuno sapeva più di chi potersi fidare…il piano dei due killer stava funzionando, i Teen Titans non erano più una squadra, non pensavano come una squadra, non agivano come una squadra.
Erano un gruppo di persone differenti, ognuna coi suoi interessi e coi suoi segreti, che agiva come meglio riteneva.
L’affetto che li aveva sempre saldamente tenuti insieme sembrava scomparso con l’arrivo di quel maledetto video.
E di questa diffidenza interna tutta la città ne risentiva.
Come speravano di aiutare gli altri se non sapevano aiutare neppure se stessi?
 
Corvina era nuda, un dolce vento le solleticava le natiche e i seni giovanili, mentre passeggiava in quella sconfinata distesa di erba verde, alta e fitta, che pareva estendersi all’infinito, s’accorse di essere di nuovo nel suo corpo da quindicenne.
Lo stesso corpo mingherlino e atletico, non ancora provato dalle gravidanze e dalle troppe battaglie.
Le piacque molto quella sorpresa.
Camminava senza un pensiero al mondo, guardando il verde acceso fondersi con l’azzurro abbagliante di quel cielo senza nuvole.
Si sentiva felice, libera da ogni oppressione, con la mente finalmente leggera.
Era serena…dopo tanto tempo finalmente lo era di nuovo.
Ad un tratto sentì il frusciare dell’erba alle sue spalle farsi più intenso, si girò e dai lunghi steli, che le arrivavano fino all’inguine, sbucò fuori un grosso panda, molto più grosso dell’ultima volta.
Si chiese come aveva fatto a nascondersi in quell’erba troppo piccola per lui, ma si ricordò che stava sognando: quelli erano solo dettagli.
-Ancora tu?- disse rivolta al suo spirito animale, coprendosi i seni con le braccia.
-Ancora io. Come vedi niente corvi o pantere – rispose quello sedendosi a terra.
Era alto circa tre metri, zoppicava un po’ aveva la schiena coperta di ferite e la spalla destra sanguinava copiosamente.
Anche dai denti e dagli artigli gocciolava sangue scuro…ma non suo.
-Messo su qualche chiletto?- disse lei quadrandolo dal basso in alto.
-Anche tu- replicò quello, con parole calme, mentre tra loro si proiettava, come un miraggio, l’immagine del corpo trentenne di Corvina, per poi svanire nell’aria subito dopo.
Corvina s’accorse delle ferite, allungò titubante la mano verso la spalla da cui zampillava rosso il sangue toccandola delicatamente, il panda la lasciò fare –Per Azar…che ti è successo?-
Il panda tossì violentemente, con voce roca, una tosse intensa e grossa, pareva che stesse per vomitare, e infatti, pochi colpi di tosse dopo risputò a terra un grumo di penne nere, zampe contorte e artigli.
La testa dell’uccello pendeva a lato priva di vita, dal collo spezzato ricoperto di arruffate e scomposte penne nere spuntava un cranio deforme su cui spiccavano quattro occhi rossi, sbarrati e spalancati; dal lungo becco aguzzo sporgevano innumerevoli denti affilati.
Il cadavere giaceva ai piedi di Corvina che lo guardava con ribrezzo, sapeva benissimo da dove venivano simili creature.
-Ho incontrato un po’ di resistenza stavolta per accedere al tuo subconscio…- disse il panda mentre si leccava le ferite, sdraiatosi a terra esausto per la lunga lotta sostenuta contro lo stormo demoniaco.
-Aspetta forse posso fare qualc…-
Il panda la interruppe –Ricordi il nostro primo incontro? Mi chiedesti cos’è bianco e nero e tutto coperto di rosso? C’è l’hai davanti…- tossì ancora affannosamente –Corvina, non mi resta molto tempo, ascoltami: la ragazza con cui dividi il letto, la bionda, non è quello che sembra.
Non fidarti di lei, ti ama è vero, ma nasconde un oscuro segreto, lo custodisce gelosamente, un segreto molto importante per te e per i tuoi amici.
Devi scoprirlo, Corvina, a tutti i costi-
Detto questo il panda si rialzò sulle quattro possenti zampe, e prese a camminare rivolto verso il nulla.
-Aspetta- lo richiamò la maga, confusa da quelle parole sibilline –Dimmi di più!-
Il panda si voltò e le sorrise, per quanto possa sorridere un panda –Pensavo fossi tu l’esperta di inganni e misteri, dopotutto io sono solo la tua parte repressa che non riceve abbastanza coccole, un tenero puppolo-coccolo panda-
Corvina avrebbe voluto ribattere, trattenerlo, ma il panda aveva ricominciato a camminare, lasciandola senza parole: benché l’orizzonte s’inclinasse il panda procedeva in linea retta, salendo nel cielo come se avesse la terra sotto le zampe, ad ogni passo le parti nere si sbiadivano, divennero prima grigio cupo, poi cinerine, color nebbia e infine candide, il panda perse progressivamente la sua forma e compattezza finché non si trasformò in una nuvola in cielo.
Una passeggera nuvola bianca in quel cielo senza nuvole.
Corvina si svegliò di soprassalto. 
Si guardò attorno, c’era solo il buio.
Doveva essere tarda notte.
Terra dormiva tranquilla accanto a lei, nuda e raggomitolata sui suoi seni.
Avevano fatto nuovamente sesso quella sera, e già Corvina si sentiva in colpa: lo avevano fatto spesso in quelle due settimane, e ogni che volta Corvina cedeva alla tentazione poi sentiva i sensi di colpa attanagliarla, torturarle l’animo senza pietà alcuna, allora per placarli chiamava BB desiderosa di scusarsi e confessare di lei e Terra, ma prima che ciò accadesse riprendeva a litigare col marito e riattaccava più furiosa di prima, pronta a tradirlo nuovamente ed avviare ancora il circolo vizioso in cui era finita.
Circolo che forse stava per spezzarsi.
Cosa aveva voluto suggerirle il panda?
Bhe c’era un solo modo per scoprirlo…
-Terra, Terra…- la chiamò scuotendole delicatamente le spalle.
La bionda si svegliò sbadigliando –Che c’è? Che ore sono? Vorrei un panino con la porchetta…- si stropicciò gli occhi intontita dal sonno, praticamente non riusciva a mettere in fila due pensieri.
-Terra dobbiamo parlare- ripeté Corvina con molta calma ma anche serietà, la maga levitava sul letto a gambe incrociate, osservandola attentamente.
La posizione non prometteva nulla i buono e la bionda lo intuì subito.
Terra si fece seria a sua volta- Va bene, parliamo. Che succede?-
La maga sospirò, forse stava per mandare all’aria anche l’ultimo rapporto umano che aveva –Questa notte…ho fatto un sogno…-
-Oh! Anch’io!- la interruppe rumorosamente l’altra, partendo a raccontare il suo –C’era una città bellissima che si specchiava su un lago, tutti gli abitanti però erano ombrelli e vivevano nel riflesso della città, e il cielo era solcato da centinaia di pinguini laser che cavalcavano arcobaleni che hanno iniziato ad attaccar…-
-Terra!- la zittì la strega, un po’ su di giri –È una cosa seria!-
La bionda s’ammutolì impaurita, restando ad ascoltare.
-Ho avuto un sogno premonitore…o qualcosa del genere…nel sogno mi hanno detto cose, cose su di te. Terra, se davvero tieni a me devi essere sincera: tu sai qualcosa che mi riguarda, qualcosa di importante…vuoi dirmelo?-
La ragazza dagli occhi azzurri rimase sbigottita, tutta la sua copertura, i suoi segreti, i suoi piani… tutto saltato a causa di un sogno?
La paura si fece largo in lei.
Com’era possibile? Forse Corvina aveva un informatore, o forse lei parlava nel sonno…non aveva idea di come ma per una qualche ragione adesso Corvina sapeva che lei sapeva qualcosa.
Per sua fortuna non sapeva cosa.
Nascose l’ansia che le accelerava il battito con una maschera di imperturbabilità.
-Corvina ti rendi conto di quello che dici? Sono le due di notte e tu sei qui a farmi il quarto grado basandoti su un sogno che hai fatto…è assurdo!-
-No, Terra. Io so che è reale. Mi è già capitato in passato- insistette la maga guardandola fermamente con occhi glaciali.
Terra ne fu intimorita-P-penso sia meglio se ora vado a casa…- disse alzandosi e raccattando in fretta e furia i vestiti sparsi al suolo.
Corvina l’afferrò per un braccio –NO! Adesso mi rispondi! È vero che mi nascondi qualcosa!?-
L’altra si divincolò liberandosi dalla presa, iniziando a rivestirsi –Ma che cos’hai!? Così mi fai male!- le disse aggressiva la bionda –Senti, so che per te è un periodo difficile ma non farmi partecipe delle tue paranoie. Io non sono una 007 al soldo dei russi…- le disse infilandosi maglietta e pantaloncini, incrociò il suo sguardo d’ametista e tutta la paura di essere scoperta e la rabbia difensiva sparirono dai suoi occhi azzurri, non poteva avere paura della donna che amava, non poteva odiarla.
Sospirò maledicendosi per essere così debole.
Si sedette al suo fianco sul letto, circondandole le spalle con un braccio –Sei solo stressata, Corvina. È normale, chi non lo sarebbe al tuo posto? Stai affrontando un sacco di disgrazie una dietro l’altra…il rapimento di tua figlia, l’incidente di Cyborg, poi quel video maledetto che ti ha distrutto la vita, i tuo litigi con BB e adesso il ritorno di questo Ghostface…da come me ne hai parlato si direbbe un tipo molto pericoloso. Sei solo un po’ esaurita. Vedrai, tutto passerà, io sono sempre qui per te…e ti amo-
Corvina guardò in basso, con la testa in preda alla più caotica confusione.
-Lo so…ma “lui”…è molto più pericoloso di quanto immagini…- disse la maga con un fil di voce.
Terra l’abbracciò teneramente –Non ti preoccupare…- le sussurrò rassicurante –Sono sicura che Jonathan non si farà più vedere…-
Quelle parole, anzi…quel nome!
Per la maga fu come se un fulmine a ciel sereno avesse squarciato la sua mente…incenerendola!
Corvina alzò la testa di scatto, liberandosi dalla dolce stretta della sua amante, balzò in piedi fissando Terra sbigottita, incredula…il suo volto era una maschera di sorpresa.
-I-io non ti ho mai detto che si chiama Jonathan….- disse stentando a credere alle sue parole.
Di colpo la nebbia nella sua testa si fece un po’ più rada e  i discorsi criptici del panda iniziarono a prendere forma.
Terra si morse la lingua, si era tradita da sola.
Cosa poteva fare? Negare? No di certo.
Attaccare? No.
Confessare?....poteva trovare un’idea migliore….
Scappare? Sì.
S’alzò di scatto facendosi largo verso la porta, correndo letteralmente –Devo andare! Mi dispiace!- urlò mentre sbatteva la porta alle sue spalle.
Corvina la inseguì, precipitandosi giù per le scale ma le trovò deserte.
Tornò subito sui suoi passi, al pianerottolo dove c’era il suo appartamento si affacciava una delle uscite d’emergenza che portavano alla metallica scala anti-incendio.
Una struttura simile a un’edera di metallo che si aggrappava all’edifico, da lì era semplice arrampicarsi sulla scala d’emergenza della palazzina di fianco, tutti gli edifici di quel quartiere sembravano fatti con lo stampino, distavano neppure tre metri l’uno dall’altro.
Sicuramente Terra era uscita da lì, era balzata sulla scala dell’altro palazzo ed era fuggita chissà dove.
Corvina bestemmiò il nome di Azar, battendo i pungi sulla parete…proprio lei si era fatta fregare come una principiante.
Non voleva ammetterlo neppure a se stessa, non voleva credere di provare qualcosa per Terra ma dovette riconoscere che le calde lacrime che ora le rigavano il viso erano dovute al dolore di essere stata tradita da lei…di nuovo.
Per tutto questo tempo Terra l’aveva solo sfruttata, presa in giro.
 
Terra giunse trafelata al covo segreto.
Le gambe le tremavano, il respiro era pesante e affannoso ed era mandida di sudore, aveva fatto un giro ampio per seminare eventuali pedinatori e solo quando fu certa di non essere stata seguita si diresse alla zona delle centrali nucleari, senza mai smettere di correre.
Ora finalmente era al sicuro.
-Eccoti finalmente- disse Slade appena entrò, era rimasto in piedi tutta la notte ad aspettarla.
-Ho notato che da un po’ di tempo sei solita a sparire di punto in bianco, a volte anche per giorni-
-Ho dei casini- rispose quella evasiva.
Era appena scampata all’interrogatorio di Corvina, non aveva alcuna intenzione di sottoporsi a quello di Slade.
-Vuoi parlarmene?- le chiese quello, non per gentilezza, ma per timore che stesse riacquistando i ricordi che credeva di averle cancellato.
-No. Si tratta di “casini” da donne. Preferisco starmene da sola in questo periodo - disse lei facendo ben intendere a cosa alludeva, sospirò per la stanchezza.
Slade decise di lasciar perdere, aveva qualcosa di molto più importante da discutere con lei, qualcosa che lo premeva terribilmente.
-Ti ricordi quando di ho raccontato la storia di Jonathan? Di quanto sia instabile la sua pazzia? –le domandò l’uomo, restando impassibile.
Terra annuì chiedendosi cosa questo centrasse al momento.
-Terra, è giunto il momento di cui ti parlavo…-
La ragazza sgranò gli occhi –Di già!?-
Slade non si curò di risponderle, continuando a parlare–Hai visto con che ferocia ha sgomitato i Titans? Fosse solo quello non mi preoccuperei…ma la fatto con totale non curanza delle conseguenze, poco ci mancava che mandasse all’aira tutto! Si fa sempre più irrequieto, più aggressivo  e imprevedibile…sta diventando una minaccia anche per noi. Dobbiamo liberarcene ora che non se lo aspetta, prima che sia troppo tardi. Tu mi capisci, vero?-
 La ragazza deglutì, sudando freddo, col tempo si era affezionata all’arzillo nonnetto molto più di quanto non si fosse legata all’uomo che aveva davanti, che ancora detestava con tutta se stessa.
Gli voleva bene a quel canuto compagno d’avventura ed era anche un suo prezioso alleato e informatore.
Ma su una cosa Slade aveva ragione, ormai Ghostface era una minaccia…non per lei ma per Corvina, e lei non avrebbe permesso che la sua dolce maga corresse altri rischi.
Andava fermato.
-S-sì- rispose col cuore pesante, l’idea di avercelo contro la inquietava e la rattristava al contempo…ma la vita è come una partita a scacchi. Non sperare di vincere se non sacrifichi qualche pezzo.
- Ora però ho proprio bisogno del bagno…- concluse la bionda dileguandosi e si diresse a grandi falcate verso la toilette lasciando Slade da solo nella sala principale.
S’incamminò silenziosamente, sicuramente Ghostface dormiva e lei aveva un disperato bisogno di una doccia che le liberasse la testa da tutti quei pensieri inopportuni.
 
La figura dai lunghi capelli canticchiava sotto il getto d’acqua calda.
-Son così
crudele, sì!
Tutto quanto sai, mi fa impazzir!
Ooo lalalalalala
Ooo lalalalalala-
La porta si aprì di scatto.
Un strillo femmineo risuonò in tutta la base.
-YYYAAAAAAAAAAA!!!-
Slade strabuzzò l’unico occhio buono, c’era una sola persona lì dentro in grado di gridare con una voce così acuta.
-Terra!!!- urlò precipitandosi come un tornado verso la zona da cui proveniva il suono: il bagno.
Correva a perdifiato per salvare la ragazza che amava dalle grinfie del suo aggressore… non ce ne fu bisogno.
S’inchiodò davanti alla porta del bagno, chiusa: appoggiata alla parete stava Terra rossa in volto, che si dondolava sui talloni.
Svelto il guercio tornò ad assumere i suoi soliti toni calmi e controllati che non lasciavano trasparire nulla… ma quando Terra gli era sembra in pericolo non aveva esitato a scattare in suo soccorso.
-Cos’è successo? Perché hai gridato?- le chiese con quella voce calda e pacata…apatica.
-S-sono entrata in bagno…solo che era occupato-rispose picchiando le punte degli indici l’una contro l’altra –Ma non sono io che ho gridato-
-Già sono stato io- intervenne Ghostface uscendo in quel momento dal bagno, stringendosi l’accappatoio color ghiaccio in vita, i lunghi capelli bianchi gli cadevano sulle spalle, fradici.
Gli occhi erano allo scoperto, freddi, glaciali, cadaverici, bastava uno sguardo per sentire il midollo congelare nelle ossa.
Fissò turpe la ragazza bionda che incapace di sopportare quei cristalli di morte chiuse gli occhi storcendo il viso dall’altro lato.
-Hai miei tempi si usava bussare prima di andare in bagno, ragazzina!-
-M-mi dispiace…- balbettò lei
-Lasciala stare. È stato un incidente- replicò Slade allontanando Ghostface dalla bionda con un gesto della mano, un gesto forte  e deciso.
Il vecchio lo fissò con aria di sfida.
Slade fece ricorso a tutta la sua forza di volontà per sostenere quel terribile sguardo, lo stesso sguardo che il suo mentore gli rivolgeva quand’era solo un ragazzo, quando falliva...o quando osava contraddirlo.
Ma un unico occhio non poteva sostenere due pupille così bianche, iridi così fredde…occhi così vuoti.
Rabbrividì chiudendo l’occhio.
Ghostface ghignò.
Si fece strada tra i due –Con permesso, signorine, vado ad asciugarmi i capelli-
Terra e Slade rimasero soli –Che ti dicevo?- incalzò lui –Sta solo giocando con noi. Non ha rispetto di nessuno, non ha a cuore nessuno, dobbiamo sbarazzarci di lui prima che lui si sbarazzi di noi e credimi…potrebbe accadere da un momento all’altro. Non sai cosa aspettarti da quel folle-
Terra annuì, insicura.
 
Il rumore assordante del fon si mischiava alle note malcantate dell’ennesimo motivetto.
- When there's trouble you know who to call…Teen Titans!!
From their tower they can see it all, Teen Titans!!-
-Ma tu canti sempre?- gli chiese ridacchiando la ragazza bionda sedendosi alle sue spalle.
Ghostface si voltò sorridente, spegnendo l’attrezzo, aveva nuovamente gli occhiali indosso e si era già lasciato dietro alle spalle quel piccolo battibecco di prima –Mi tiene libera la mente dalle voci – rispose.
-Quali voci?-
-Brutte voci. Ma molto persuasive. Mi fanno fare cose cattive-
Terra era ancora più confusa, ma che Jonathan avesse qualche rotella fuori posto ormai l’aveva capito.
-Perché ti fai la doccia alle tre del mattino?- domandò la ragazza cambiando discorso.
-Di solito non lo faccio, ma Slade mi ha svegliato dicendo che c’era un lavoro da fare, ma non mi ha detto cosa.
 Però senza una doccia e mezzo litro di caffè Ghostface non funziona a quest’ora. Dal momento che ho una certa età la cosa mi sembra fattibile-
-Ok…comunque lui mi ha mandato qui. Vuole che ti sbrighi e che ti prepari è quasi ora di andare- lo informò Terra.
-Vieni anche tu?- domandò quello
-No. Io no-
 
Poco dopo Slade e Ghostface si trovavano davanti a un vecchio capannone abbandonato, un tempo avrebbe dovuto essere una piscina ma il progetto era stato abbandonato, oramai era solo parte di un cantiere in rovina.
Il buio regnava sovrano, non c’era la luna quella notte e il cielo nuvoloso oscurava le stelle, il buio e il silenzio.
Pareva di essere in un tetro cimitero di gru e bulldozer.
Imponenti carcasse di elefanti meccanici…si dice che chi entra nei cimiteri degli elefanti non ne esca più.
Erano lì, soli, con indosso i loro costumi, Ghostface era disarmato, Slade gli aveva assicurato che non gli sarebbero servite armi per quel genere di lavoro, né le armi né la maschera.
Ma stranamente lui le sue le aveva portate.
Comunque Ghostface l’aveva assecondato senza problemi, non aveva certo paura di Slade, tutto quello che sapeva era stato lui ad insegnarglielo.
-Che ci facciamo qui?- domandò il vecchio al suo ex-allievo.
-Vedrai- rispose quello aprendo il portone di lamiera del prefabbricato, l’anta cigolò sinistramente ferendo le orecchie dell’albino.
-Entriamo-
L’interno era ancora più tetro dell’esterno.
Nell’ambiente non filtrava uno spiraglio di luce, all’interno c’era solo una profonda piscina interrata, senz’acqua, rivestita di mattonelle di ceramica, rotte o sporche.
La vasca era lunga circa diciotto metri e profonda tre con due condotti interni per far affluire l’acqua all’interno.
Dentro la vasca c’erano pezzi di cartone, resti di giornali stracciati, latine di birra vuote e altri rifiuti maleodoranti, tra cui frugavano dei topi di fogna, il tanfo era rivoltante… una desolazione senza pari.
-Che squallore!-esclamò Ghostface –Che ci facciamo qui?-
Slade ghignò da dietro la maschera bicolore.
-Oh, tu non devi fare assolutamente niente John…-
-A parte morire!!- urlò Mammut sbucato da nulla all’improvviso, caricandolo come una furia.
Colto di sorpresa Ghostface non riuscì ad evitare il colpo che lo spedì in mezzo alla vasca diroccata.
Le pallide dita si contrassero a pugno mentre si rialzava, col dorso della mano si pulì dal sottile rivolo di sangue che gli fuorusciva dal labbro.
Rimessosi in piedi, puntò lo sguardo su chi lo aveva aggredito, nonostante il buio riusciva a distinguere la massiccia sagoma al fianco di Slade.
Senza perdere le staffe fece alcuni lenti passi verso i due come un felino con la preda.
-Cosa significa questo, Willy?-
-Significa…- rispose quello – Che sei impulsivo, irruento, distratto, imprevedibile e disorganizzato. Certo sei riuscito a evadere dal Tartaro senza che nessuno lo scoprisse, assieme abbiamo architettato un piano geniale, grazie a te ho resuscitato Terra e diviso inesorabilmente i Titans, che ora ti affibbiano la colpa di tutto, al punto da non essere più una minaccia –
Ghostface sorrise sarcastico –Suvvia, Willy. Così mi lusinghi…-
Slade continuò a fissarlo imperturbato col suo unico occhio, uno sguardo crudele, bramoso di una lunga e agognata vendetta –Non ti sto facendo i complimenti… sto solo dicendo che a questo punto sei diventato superfluo: e quindi eliminabile-
Il vecchio rise sommessamente prendendosi la fronte tra le dita –E come conti fare? Con l’aiuto di quell’armadio alle tue spalle?- dallo stivale Ghostface estrasse un pugnale a doppio taglio, un lato con la lama liscia l’altro seghettato.
Non si era fidato di Slade, non lo aveva mai fatto.
-Avanti, fatevi sotto! Vi sgozzo tutti e due prima che riusciate a sfiorarmi!-
-Non siamo in due- grugnì Mammut a denti stretti, schiumante di rabbia e assetato di sangue, sangue che avrebbe lavato quello di Iella, crudelmente versato.
Alle sue spalle, appena sull’orlo della vasca, apparve See-More che lo fissava minaccioso, sul bordo destro stavano Wykkyd e Gizmo mentre quello sinistro era interamente ricoperto da una schiera di Billy.
Ghostface si guardò intorno per nulla impressionato.
-Speri davvero che questi cinque coglionazzi possano mettermi in difficoltà? Per uccidere me ti sei rivolto alla legione degli sfigati??- ridacchiò un po’ ironico un po’ sorpreso –Mi aspettavo qualcosa di più da te…-
-Per questo ci sono io!- il vecchio si volse e alle sue spalle, al fianco di See-More, stava una bellissima ragazza bionda.
-È così che ringrazi chi ti ha fatto superare l’ultimo livello di Kompy’s Kastle, Terra?-  Ghostface si tamburellò il mento barbuto col piatto della lama, il fatto che Terra avesse scelto di dargli addosso lo infastidiva molto –Anche se ammetto che forse tu e Willy renderete le cose un po’ interessanti…-
Il guercio riprese la parola –So benissimo che se ora entrassimo in quella vasca non ne usciremmo più…ma ci sono diverse tecniche di combattimento: se non puoi vincere il corpo a corpo, prova con un attacco a  distanza-
Schioccò le dita, a quel gesto gli Hive Five agirono, si udì il sordo suono di un cavo metallico che si tendeva.
Ghostface avvertì un improvviso quanto lancinante dolore alla mano desta.
La sollevò  e la trovò trafitta da un piccolo arpione, uno di quelli che si usavano per la pesca al tonno, lungo una trentina di centimetri.
L’arpione era collegato a un cavo metallico che a sua volta si attaccava alle carrucola del fucile che l’aveva sparato.
Un Billy reggeva l’arma.
Il ragazzo tolse l’assicura e il cavo venne riavvolto tendendosi al massimo.
Di colpo Ghostface si trovò tutto il braccio tirato in quella direzione, stava per andargli addosso quando un altro arpione scoccò silenzioso, trafiggendogli il polpaccio sinistro, stavolta era stato Gizmo a sparare.
Ora il suo corpo era conteso tra due forze opposte come una bambola in mano a due bambini litigiosi.
Messo il pugnale tra i denti, il vecchio killer prese a tirare la corda che gli bloccava la mano destra con l’altra, cercando di liberarsi, ma anche See-More scoccò il suo dardo, trapassandogli il bicipite sinistro e tirandolo a sé.
Anche Mammut impugnò  la sua arma, prese la mira  e premette il grilletto.
Assieme a lui anche Wykkyd, Terra, See-More e una mezza dozzina di Billy.
Tutto accadde molto velocemente, Ghostface si trovò di colpo col corpo trapassato da  dodici arpioni i cui cavi gli tiravano le membra ognuno in direzione diversa, non c’era modo di muovere un arto che subito il cavo si tendeva costringendolo a stirare il muscolo il più possibile, manco fosse l’Uomo di Da Vinci.
Era stato immobilizzato come una mosca nella ragnatela.
-Terra, vuoi farci il piacere?- domandò Slade, senza accettare un rifiuto.
La ragazza ghignò e si calò gli occhialini che portava intesta sul volto, gli occhi le si illuminarono di un giallo intenso e i lunghi capelli biondi e setosi iniziarono a fluttuare nell’etere come in assenza di gravità.
Con inaudita violenza da condotti che solitamente conducevano l’acqua nella vasca, uscì una valanga di cemento liquido che investì il vecchio, senza che però gli arpioni gli consentissero di cadere, talmente il suo corpo era litigato tra le forze.
Terra brillò ancora di più intensificando i suoi sforzi, in poche decine di secondi il livello del cemento arrivò alla vita di Ghostface, senza accennare a smettere di salire.
-Vi avviso, stronzi! Liberatemi subito o faccio un macello! Divento una bestiaccia!- urlò l’uomo strattonano i cavi quanto più poteva nel tentativo di liberarsi.
-Lasciatemi andare, ragazzini- disse rivolto agli ormai maturi Hive Five –E prometto che ci andrò piano con voi!-
Ruggì come un’animale in  gabbia, divincolandosi come posseduto dal demonio.
-Vi ammazzo, stronzi! Vi ammazzo tutti!!-
Ma nessuno sembrò dar preso alle minacce…e il cemento continuava a salire inesorabile.
-Vi faccio a pezzi, figli di puttana! Vi strappo il cuore!! Tu per primo Slade, GIURO CHE TI AMMAZZO!!!-
-Sei sempre stato un pessimo insegante- commentò quello, quasi assente.
-E tu si vede che non hai imparato niente dai miei insegnamenti…e non hai imparato un cazzo di me!-
In preda a una furia senza pari, Ghostface tirò così forte il braccio destro che gli arpioni uscirono da esso lacerando la carne.
-AAARG!!!-
Il dolore era allucinante, aveva tutti i tendini squarciati, ma adesso aveva un braccio libero e quel che meglio, leggeva nell’unico occhio di Slade un’espressione di assoluto sbigottimento …e paura.
Con rabbia inumana si strappò anche gli altri arpioni dal corpo, ferendosi gravemente ma senza curarsene un minimo, sopportando il dolore, accecato com’era dall’ira e dalla voglia di sangue.
Ora l’espressione di sgomento si era diffusa sul volto di tutti i presenti, arrancando col cemento che gli arrivava al basso ventre Ghostface si diresse il più velocemente possibile verso Slade, schiumante dal desiderio di vendetta.
-Sei fottuto, amico! Fottuto!-  ringhiò mentre costringeva le proprie gambe ad avanzare speditamente in quel denso pantano che continuava a crescere.
-Terra, fermalo!- urlò l’uomo mascherato, che iniziava davvero a preoccuparsi, forse aveva sottovalutato la forza e la determinazione di Ghostface…non osò pensare alle conseguenze di un simile errore.
Lei obbedì: numerose mani di cemento liquefatto uscirono dal pantano che riempiva la piscina andando ad afferrare Ghostface, tirandolo indietro, cercavano disperatamente di arrestare la sua avanzata di morte.
Ma per quanto Terra si sforzasse sembra che nulla potesse contenerlo!
Né i suoi arti di pietra né i raggi con cui Gizmo e See-More lo bersagliavano.
Incazzato com’era neppure si accorgeva di simili quisquilie.
C’era una pena ben precisa per chi lo prendeva in giro, per chi lo sfruttava o cercava di assassinarlo: morte.
Furente, richiamando a  sé tutte le forze residue, Ghostface riuscì a raggiungere il bordo e ad issare il torace oltre di esso, aggrappandosi con entrambe le mani alla caviglia di Slade che aveva assistito impietrito alla scena.
Non pensava che il vecchio fosse in grado di compiere un simile sforzo, ma si sbagliava…l’aveva sottovalutato.
-Incontra il tuo destino, bastardo!!- gli urlò l’assassino bianco, affondando le dita nello stivale.
-Non oggi!- ringhiò Slade tirandogli una pedata in faccia col piede libero, colpo che fece scivolare Ghostface ulteriormente nella fossa, ormai quasi colma di cemento.
Ma il vecchio non mollava la presa, ruggiva come un leone, braccato, senza curarsi di nulla se non di ammazzare Slade con le sue mani.
-Ti ammazzo, stronzo! Sei morto, sei morto! SEI MORTO!!-
Slade continuava a impedirgli di risalire a furia di calci sui denti, annegandolo in quella melma di calcestruzzo.
Col viso pesto e tumefatto, Ghostface lasciò la presa della caviglia con la mano destra solo per poter impugnare il suo coltello a  doppio taglio, lo affondò nel polpaccio di Slade fino all’elsa, l’uomo gridò mentre un fiotto di sangue scuro gli usciva dalla gamba, accecato dal sangue Ghostface continuò ad accoltellare l’arto lacerando i tessuti, strappando la carne, squarciando i tendini.
-Ti scanno come un porco!! E poi tutti i tuoi amichetti con te!!-
Il guercio raccolse tutte le sue forze, obbligandosi a ignorare il dolore, con l’unica gamba buona, gli tirò un calcio sotto il mento tale che il vecchio lasciò finalmente la presa, scivolando ancor di più nella melma, finendo con la testa, sotto il cemento, ma restando ancora disperatamente aggrappato al bordo con le dita, contratte allo spasmo per lo sforzo.
Slade arretrò a fatica reggendosi alla parete di lamiera, aveva una gamba maciullata ma almeno questa storia era finita….
-NON È FINITA!!!-
La voce che disse quella frase non era nulla di umano.
Grazie a chissà qualche inarrestabile forza della disperazione, Ghostface era riuscito a balzare completamente fuori dal cemento che iniziava a solidificare.
Grondante dell’impasto che si raggrumava sul suo corpo, si erigeva lì, davanti al suo vecchio apprendista, schiumante di rabia, con un coltellaccio in mano e uno sguardo insostenibile, strabordante, d’ira e sete di sangue.
-Sei sempre stato un pessimo apprendista…e adesso….-
-MUORI!!- urlò a squarciagola sollevando il pugnale con ambo le mani sopra Slade, come fosse un agnello sacrificale.
-AARGG!!-
Il metallo affondò nella carne.
Ma a cadere come un corpo morto cade, non fu il guercio, bensì Ghostface.
Il corpo privo di sensi dell’assassino albino giaceva a terra, impiastricciando le piastrelle di ceramica azzurra.
Il corpo fumava per l’elevatissima scarica elettrica ricevuta.
Slade, chino sulla propria ferita, alzò l’occhio.
In piedi davanti a lui si stagliava la longilinea figura che l’aveva salvato, gli artigli metallici della sua mano grondavano di sangue e ancora guizzavano d’energia, la stessa energia che aveva messo a tappeto Ghostface quando l’aveva colpito alle spalle.
Non gli tese la mano per aiutarlo a rialzarsi, non gli sorrise, non fece nulla che potesse intaccare quella sua maschera di freddezza.
L’uomo era rimasto nel buio fino ad ora, valutando se fosse il caso o meno di intervenire.
Smise di fissare Slade, spostando il suo unico occhio rimastogli dal guercio a Mammut.
-Ti dispiace liberarci di lui?- disse cortesemente indicando il corpo del vecchio.
Il gigante fulvo aveva assistito come paralizzato allo scontro, incapace di reagire, quelle parole sembrarono riscuoterlo da un trance.
-S-sì….maestro- balbettò intimorito da quell’individuo a lungo sottovalutato dal resto della comunità criminale, un uomo che aveva ingannato persino la morte.
Mammut sollevò Ghostface incosciente e con un lancio lo scagliò in mezzo alla vasca come fosse senza peso.
Il corpo iniziò lentamente ad affondare in quelle sabbie mobili artificiali, in pochi minuti solo la testa sporgeva da quella fanga e poi neppure più quella.
Attesero alcuni minuti per accertarsi che il corpo avesse raggiunto il fondo poi, come concordato, Terra solidificò tutto il cemento che colmava per intero la profonda piscina.
Slade ghignò da sotto la maschera.
-Mi ha detto “muori”…l’ho già fatto e sono sopravvissuto. Vediamo come se la cava lui all’inferno-
Ma non potè continuare a sollazzarsi nella soddisfazione, l’atroce dolore della gamba gli fece stringere i denti fino quasi a frantumarli tra loro.
-Brutta ferita…- commentò  l’uomo che aveva condotto lì gli Hive Five, a lui era bastato solo un’occhiata per riuscire ad esaminarla nei minimi dettagli.
-Il tuo tendine d’Achille è andato, così come i tuoi giorni da combattente immagino- aggiunse con noncuranza, anzi con una puntina di malizia.
-Tu hai troppa fantasia- replicò Slade; dalla cintura estrasse una piccola siringa, non più luna di un dito mignolo contenete un liquido di un acceso colore rosso.
Se la iniettò nella coscia.
Tolse lo stivale e tutti i presenti assistettero prima disgustati dallo spettacolo di quel polpaccio macellato e scarnificato fino all’osso, grondante di sangue, e poi increduli, alcuni dandolo a vedere, altri rimanendo posati ma ugualmente sorpresi, a quello che sembrava essere un prodigio: la ferita, a poco a poco, iniziava a rimarginarsi, i tendini si riallacciavano tra loro, i muscoli tornavano a ricoprire le ossa, i tessuti si legavano l’un’l’altro e la pelle tornò a ricoprire tutto espandendosi come un macchia di petrolio.
Pochi secondi dopo, Slade era di nuovo in piedi, con entrambi gli stivali, e le braccia conserte dietro la schiena.
Impassibile dietro quel volto nero e rame, pacato come se nulla fosse successo, sembrava del tutto dimentico del pericolo corso soli pochi istanti prima.
Era tornato il silenzioso, misterioso, imperscrutabile e minaccioso Slade di sempre.
E quel che più lo appagava…era che finalmente era riuscito ad uccidere il suo vecchio maestro, che tempo addietro fu con lui e altri ragazzi un vero despota.
Una soddisfazione che da tempo desiderava togliersi.
-Cos’era quella roba?- domandò Terra che l’aveva raggiunto ancora con gli occhi spalancati.
-È Ghostface- rispose il guercio –Un estratto che ho ricavato dal suo sangue che permette a chi lo assume di assimilare temporaneamente il suo fattore di guarigione-
Terra stentava a crederci come il resto dei presenti.
Solo uno non era rimasto colpito dall’accaduto, lui.
La figura nell’ombra.
Essa passeggiava sul blocco di cemento solidificato immerso nel buio…erano quasi le quattro e mezza del mattino.
Ogni passo risuonava sordo e metallico sul lastrone di pietra.
-Sei sicuro che sia morto?-
-Sicuro- assicurò Slade –Ho avuto modo di studiarlo a lungo, il suo fattore rigenerante lo guarisce anche delle ferite più gravi, lo rende immune ai veleni e alle malattie, lo rende  resistente alle condizioni di vita estreme, solo il fuoco può arrestare questo potere…ma esistono altri modi per uccidere un uomo.
E sebbene Ghostface non lo sia più da un punto di vista morale lo resta da un punto di vista pratico, e un uomo ha bisogno di due cose principalmente; cibo e aria.
Il suo fattore rigenerante non può fornirglieli, togliglieli e morirà.
È probabile che ora il suo processo guaritivo stia utilizzando ogni molecola d’ossigeno nel suo corpo per autoalimentarsi e mantenerlo in vita, cosa che funzionerà per circa due ore poi esaurirà l’ossigeno a disposizione e morirà. Una volta per tutte. Questa è la fine di Ghostface.-
L’uomo nell’ombra accanto a lui non disse nulla, ma sorrise.
Slade estrasse un’altra siringa di siero R*, come l’aveva chiamato, e la porse allo strano figuro.
-Una di queste potrebbe farti tornare normale-
Quello prese la fialetta in mano, sbuffò pieno di disprezzo schiacciandola tra le dita metalliche.
Il liquido rosso gocciolò a terra infrangendosi sulla dura scorza del cemento sottostante.
-Normale? Vuoi dire debole. No grazie. Quello che mi aspetto da te è che rispetti i patti, come li ho rispettati io. Nulla di più nulla di meno-
-Sono un uomo d’onore- ripose schietto e piatto Slade.
-Sarà meglio…io invece sono un uomo vendicativo. E non credere che mi faccia intimorire dai tuoi modi di “signore del male” come vedi anche i migliori possono essere uccisi.
Rispetta i patti, Slade. Non chiedo altro-
 
 
Esatto cari lettori, dopo tanto tempo ho deciso di mandare Ghostface in “pensione”…
Ma la storia non finirà qui.
Non perdete il prossimo capitolo per altri colpi di scena!!
 
*R sta per “Reset” ossia “ricomincia, riprova”; l’alternativa era siero 2C…seconda chance.
 
Ghostface

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15 ***


CAPITOLO 15
 
-Anche questa sera la luna è sorta affogata in un colore troppo rosso e vago…Vespero non si vede che offuscata…la punta del mio stilo si è spezzata. Che oroscopo puoi darmi questa sera, mamma?-
Corvina mise le mani sulle spalle di April, ed entrambe scrutarono lo sconfinato abisso di tenebra costellato di astri che era il cielo notturno.
Sospirò afflitta.
-È difficile da credere… io, una sacerdotessa di Azar, protomedica, maga oscura e astrologa…forse saggia; ridotta come una cieca a brancicare al buio.
Non ho la conoscenza, od il coraggio, per farti questo oroscopo, per divinar responso.
Osserva il cielo- le disse indicando le stelle- Gli astri stanno ruotando, l’equinozio è prossimo e il cielo si rinnova con gli astri delle nevi-
April osservò i misteriosi lumini nel cielo, così spendenti e così distanti, ipnotici –Perché non puoi leggermi il futuro?- insistette la ragazzina.
-Vorrei April, vorrei poter farlo davvero…- rispose calma ma con voce triste la madre, ripensò a tutto quello che le era successo, quanto l’aveva sconvolta e quanto poco ci aveva meditato sopra: stava perdendo il controllo di sé.
-Non sono in grado di farlo. Ho consumato la mia mente in chissà quale abuso dei tanti che ho fatto, sono troppo stanca. April tu capisci che sta succedendo? Ti ho introdotta da poco alla divinazione però anche tu lo vedi, in me e nei segni, che qualcosa sta cambiando.
Ma è un debole presagio che non dice come e quando!- Corvina strinse per la rabbia le dita sulle spalle di April, facendole male, ma lei non lo diede a vedere e sopportò in silenzio.
-Ogni oracolo può essere interpretato in mille e uno modi diversi, spesso anche contradditori….Vorrei che le stelle non fossero sempre così criptiche-
Osservarono in silenzio gli occhi della notte per qualche minuto, interrogandosi al cospetto della maestosità del cielo.
Le due figure si stagliavano contro l’infinito dal tetto della T-tower, avvolte nei loro mantelli svolazzanti nella brezza notturna, quello bianco di April che subito balzava all’occhio e quel di Corvina, scuro come la notte rendendola quasi invisibile :nero su nero, mimetismo perfetto.
-Guarda…- disse la mezzodemone spezzando quel silenzio di vetro, indicandole una stella appena apparsa nel cielo- Lucifero è già sorto, il tempo per gli oroscopi è finito. Si sta alzando il vento, c’è freddo sulla Torre e non voglio che ti prenda un  malore, torniamo dentro-
U po’ a malincuore April obbedì, seguendo la madre all’interno dell’edificio.
Poco dopo erano entrambe nella Ops-Mains Room.
-Tuo padre sarà qui tra poco, è meglio se ora me ne vado- disse Corvina calandosi il cappuccio dal viso.
-Aspetta!- esclamò April –Rimani ancora un po’, almeno finché non torna, ti prego- la supplicò con gli occhioni da cagnolina bastonata.
La maga sospirò –Non posso, April. Non ho voglia di vederlo. Non oggi. Ho già abbastanza cose per la testa non me la sento di litigare di nuovo. È già un miracolo che sia riuscita a far addormentare Rick e Ruby, è quasi l’alba e non ho dormito: sono esausta-
-Ma sentiti!- replicò April acida –Parli già come una donna divorziata!-
-Quella tra me e tuo padre è una situazione complicata, e tu sei abbastanza grande per capire che forse….forse potrebbe finire in quel modo, la parola con la “d” intendo-
-Forse? Forse?! Tu sai benissimo cosa  vuoi, mamma, e sé questo che vuoi allora perché non lo richiedi in tribunale! Divorzio! Si chiama, divorzio! Hai paura persino a pronunciarla!-
Corvina sopportò quelle crudeli frecciatine lanciatele dalla figlia senza batter ciglio – April, sei sconvolta. Lo siamo tutti. Da quanto non mediti? Io da settimane ormai e mi sembra di impazzire. Abbiamo bisogno di calmarci tutti- disse con voce calda e rassicurante –Perché adesso non ci prepariamo una tisana calda, poi ci chiudiamo in camera e raggiungiamo assieme la dimensione astrale? Come quando eri piccola, ti va?-
April rimase allibita.
-Il mondo intero sta cadendo a pezzi, le nostre vite vanno a puttane…e il meglio che sai fare è una seduta meditativa?- ogni sillaba era pronunciata con un tono così aspro da far arricciare le labbra.
-Quello che è successo…- rispose la madre con voce pesante per la tristezza -…non è colpa mia-
-Colpa tua!!? TUTTO È SOLO COLPA TUA!!!- strillò April in preda alla rabbia, dando sfogo a tutta la sua frustrazione repressa su chi effettivamente non ne era responsabile.
-TI ODIO!!!!- 
In quel momento entrò BB, piuttosto scioccato da quelle feroci parole uscite come fuoco dalla bocca di sua figlia.
Subito le si fece incontro, accarezzandole le guance paonazze e fissandola in quei neri occhi lucidi di pianto.
-Ehi, tesoro, che succede? Tu e mamma state di nuovo litigando?-
April restò in silenzio, limitandosi a storcere il viso verso sinistra.
BB la abbracciò, lei rimase immobile e gelida come una statua di ghiaccio, ma a poco a poco il calore dell’abbraccio riuscì a sciogliere l’armatura di pietra di quel cuore troppo tenero… April non riusciva a ricordare l’ultima volta che suo padre l’aveva abbracciata in quel modo, quanto la facesse sentire bene e sicura…solo ora si rese conto di quanto le mancassero quegli abbracci.
Gli saltò al collo, cingendolo con entrambe le braccia.
Restarono avvinghiati l’un l’altra per un tempo incalcolabile, BB non ne fu certo ma gli parve di sentire come delle piccole e silenziose gocce d’acqua che cadevano sulla sua schiena, assorbite dal vestito.
Quando si separarono April era tornata se non serena almeno un po’ più tranquilla.
-Fate la pace adesso- suggerì il verde.
Entrambe mossero i primi passi incerti l’una verso l’altra poi, persa la titubanza, si abbracciarono a loro volta stringendosi con quanta forza avevano, come se dovessero stritolarsi, un anaconda non avrebbe saputo fare di meglio.
-Scusa se ti ho detto quelle cose…non le pensavo davvero, è che sono così…esaurita. Mamma io non ce la faccio più!- singhiozzò la ragazzina immergendo la faccia nel body della maga.
-Perdonami tu se non riesco a starti vicino, a capirti…- rispose lei mentre chinava il capo sui capelli setosi della figlia.
-Nessuno mi capisce bene quanto te….non litighiamo più-
-Mai più- rispose Corvina rassicurante accarezzandole la nuca.
Per un momento, in quel commovente quadretto familiare, a tutti e tre sembrò di essere tornati a prima che tutto questo iniziasse, quando ancora vivevano come un’unica grande famiglia felice, quando April e Corvina non facevano che litigare e solo BB riusciva a riappacificarle a far tornare la voglia di sorridere a entrambe.
Ma quei tempi erano ormai morti.
Solo dopo molte, molte, molte svariate suppliche April riuscì ad ottenere di passare un paio d’ore assieme a entrambi i suoi genitori.
Restarono tutti e tre accoccolati sul divano semicircolare, mentre fuori iniziava a schiarirsi il cielo, BB a destra, Corvina a sinistra ed April nel mezzo.
April si sentì finalmente felice stretta tra quei due corpi così rassicuranti, pregò affinché il film che stavano guardando non finisse mai…ma tutto ha una fine, anche quell’incanto.
Come apparve la parola “The End” sullo schermo, April fu mandata a letto con la scusa che il giorno dopo aveva scuola, e la maghetta fu così costretta a chiudersi nella tenebrosa stanza un tempo appartenuta alla madre e a infilarsi sotto le coperte ma non dormì, non ne aveva la forza, restò sveglia con gli occhi spalancati, a scrutare il buio della stanza…vide tenebre e nulla più.
Cercò di origliare cosa accadeva oltre l’uscio ma non ci riuscì, le stanze della Torre erano tutte insonorizzate.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere cosa stava succedendo nel salone centrale, pregò Azar affinché tutta quella disastrata situazione finisse…ma non aveva specificato se bene o male.
 
Corvina e BB sedevano ancora sul divano, senza trovare il coraggio di guardarsi negli occhi, non senza arrossire come due sciocchi adolescenti alle prime armi.
Avevano fatto tante di quelle cose insieme, avevano persino avuto dei figli, Corvina si sentì stupida a pensare a quante volte si erano visti nudi, a quante volte lui le era venuto dentro, a quante volte lei aveva gridato nell’orgasmo parole che mai avrebbe pensato potesse dire, si sentì un idiota ripensando ai momenti della gravidanza, quando lui si alzava nel cuore della notte per portarle una bacinella in cui vomitare, quando accontentava ogni sua voglia all’istante, quando lui l’abbracciava da dietro mentre stava allattando April e le copriva il collo di baci sussurrandole frasi d’amore…e ora non riuscivano neppure a sostenere il reciproco sguardo.
-S-sei stato bravo prima con April…io non avrei saputo come calmarla…- disse ad un certo punto Corvina, mandando in frantumi il silenzio che pareva aver congelato il tempo, bloccando tutto.
-Non ho fatto niente- rispose BB grattandosi imbarazzato dietro la testa –Siete state voi a far tutto. Quell’abbraccio…è stato davvero commovente-
Corvina sorrise teneramente.
-Se non fossi arrivato tu non ci sarebbe stato nessun abbraccio. Grazie-
Anche il mutaforma accennò un sorriso –Di niente…sono sempre pronto a darne uno-
La maga tentennò, doveva dirlo oppure no? Forse era ancora troppo presto, la ferita poteva essere ancora aperta…o forse poteva essere la sua ultima occasione.
-L-lo daresti anche a me?- domandò titubante, tremando al pensiero di una possibile risposta negativa.
BB sghignazzò –Come quello in luna di miele? Te lo ricordi?-
-Eccome- gli fece eco Corvina –A Parigi. Ti eri trasformato in un pitone e per poco non mi stritolavi-
-Era un anaconda- precisò quello –Volevo far colpo su di te con qualcosa di “inquietante”, sai quelle cose che ti piacciono tanto, ero indeciso tra corvo o serpente, ma i corvi non son bravi a stringere la gente. E comunque non ci siamo solo abbracciati…- aggiunse sibilando con la lingua di fuori.
Questa volta fu la maga a ridacchiare sommessamente coprendosi il le labbra con una mano –Ammetto che è stato strano…un po’ perverso se vogliamo…ma molto divertente-
-Beh ne abbiam fatte tante di  cose divertenti assieme…- BB tamburellò imbarazzato le dita sui cuscini del divano –Senti…lo vuoi ancora quell’abbraccio?-
Corvina lo fissò dritto in quelle smeraldine iridi, così segnate da profonda tristezza.
Annuì.
Si avvicinarono a poco a poco l’uno all’altra, facendosi più sicuri ad ogni centimetro.
Coi volti coloriti di rosso si abbracciarono prima sfiorandosi appena, poi sempre con più forza e decisione fino a far combaciare perfettamente i loro corpi in un incastro indivisibile.
Fu un gesto spontaneo, nessuno dei due se ne rese conto finché non lo stavano già facendo…si stavano baciando!!
Si baciavano proprio come prima che tutto iniziasse, con passione, con voglia, con desiderio…con amore.
Adagio, lentamente, si separarono controvoglia, guardandosi negli occhi e arrossendo ancora di più…e le loro labbra tornarono ad incastrarsi senza più volersi separare, le loro lingue danzarono tra loro avvinghiandosi l’una all’altra mentre le mani di uno stringevano con dita rapaci il corpo dell’altra e viceversa, in modo possessivo, dopo la tanta sofferta lontananza.
Persino i loro cuori smisero di sanguinare e divennero una cosa sola, finché non batterono all’unisono…un ritmo in costante accelerazione.
-Cosa ci è successo BB? Come siamo potuti arrivare a tanto?- chiese Corvina, incredula al pensiero di tutto quello che si erano fatti.
-I-io non lo so…- rispose quello, si rivedeva in quei litigi, ricordò tutto quello che aveva fatto e detto a Corvina… neppure si riconobbe in sé stesso.
-Sono stato un idiota a non darti fiducia… quel bacio…so che ti ha obbligata, me l’ha detto April, e Robin...e tu. Avrei dovuto crederti più dall’inizio. Perdonami, amore, ti prego perdonami…ho voluto credere ai miei occhi ma me li strapperò se sarà necessario, così dovrò sempre fidarmi di te…-
-I tuoi occhi stanno benissimo dove sono…- sorrise Corvina- E il video? Quello che hai detto vale anche per questo?- chiese confidando che finalmente avesse ritrovato il lume della ragione.
Ma nulla è più difficile che dissipare le immense tenebre della diffidenza con un tenue e fioco barlume appena riacceso.
Tuttavia anche una misera fiammella può allontanare, seppur di poco, il buio più nero, mentre neppure le tenebre più soffocanti possono offuscare la luce.
La luce di speranza che brillava negli occhi della strega.
Ma BB restò in silenziò, abbassando il volto.
La maga capì al volo cosa intendeva dire con quel gesto, fulminea si staccò da lui – Credi ancora in quel filmato, non è così?! – disse mentre sentiva in se già crescere la rabbia.
Come poteva? Come, dopo tutto quello che si erano appena detti? Dopo quel bacio!? Come poteva ancora dubitare di lei?
-C-Corvina io…- balbettò quello senza però poter negare l’evidenza.
-Bene! Non credi alle mie parole? In questo caso ti porterò le prove! Le prove che è falso, lo farò ad ogni costo, anche se dovessi trascinare qui Ghostface per fargli confessare tutto! Io ti amo BB…ma se vuoi che tutto torni come prima…devi avere fiducia in me-
Detto questo un nero portale si aprì alla spalle di Corvina, inghiottendola.
La maga svanì nel nulla.
BB rimase solo, all’orizzonte il sole sorgeva infiammando tutta la vetrata della T-Tower, pareva che languide fiamme divorassero ogni cosa, un fuoco vivo e danzante che avvolgeva tutto e  non bruciava niente, un gioco di luci e colori stupendo…il mutaforma neppure lo notò.
Si maledisse, avrebbe dovuto dire “Mi fido dite” o qualcosa del genere…ma sarebbe stata una menzogna.
E lui era stufo di mentire.
Corvina gli avrebbe portato le prove della sua innocenza, aveva detto, sperò con tutto il cuore che ci riuscisse.
<Non ho ancora fiducia in te, Corvina…ma proverò ad averne>
 
Robin e Stella Rubia erano all’ospedale, Bruce si era sentito male, aveva problemi al terzo stomaco da quando Ghostface l’aveva colpito col basso, e lo avevano portalo lì  e dato che c’erano avevano anche fatto una visita a tutti i loro amici costretti in quel luogo.
Cyborg era ancora in coma, nessun peggioramento…nessun miglioramento. Stabile, come fosse morto eppure era vivo. Più vegetale che uomo.
Ciò che il mezzo robot temeva di più si stava avverando: stava perdendo quel poco di vita vera che gli rimaneva in corpo, ora era soltanto un pezzo di carne incapace del più piccolo movimento autonomo, tenuto in “vita” da una macchina: quella non era vita.
Vita è svegliarsi la mattina con l’odore delle cialde nel naso, vita è correre fino allo sfinimento dietro un pallone, vita è mangiare fino a star male, vita è fare delle assurde cazzate per una scommessa, vita è muoversi, ballare, ridere, soffrire, ubriacarsi e vomitare, fare gestacci all’arbitro e affondare il viso nel maggior numero di tette possibile….magari non solo il viso.
Tutte cose che Cyborg ora poteva solo sognare.
L’incidente aveva ulteriormente peggiorato la sua situazione: il braccio destro non aveva più nulla di umano, il naso era solcato da una cicatrice e aveva perso il senso del gusto: la sua lingua era rimasta troncata dai denti durante lo schianto, se l’era era mozzata di netto.
Non avrebbe mai più potuto assaporare un pezzo di pizza fumante.
Anche l’unico occhio buono era rimasto danneggiato dalle schegge, forse avrebbe perso la vista, nessuno poteva dirlo: quell’occhio non si era ancora riaperto dall’incidente.
Bumblebee se la passava peggio: era viva, cosciente…e mutilata.
Non c’era stato altro da fare per lei.
Le lunghe e formose cosce terminavano in due moncherini all’altezza del ginocchio che la ragazza non osava guardare per ribrezzo.
Il fatto di essere consapevole del suo stato era quasi peggiore delle ferite in sé, almeno Cyborg non sapeva cosa gli era successo, ciò che ora gli era negato,  lei sì… e la realtà le sembrò crudele come mai prima d’allora.
Quei due tronconi erano il marchio indelebile della sua sconfitta, tutta la sua vita era finita con quell’amputazione, cosa avrebbe potuto fare adesso? Non lo sapeva, non voleva pensarci, tutti i suoi progetti erano stati stroncati come le sue gambe.
<La mia vita è stroncata…> Bumblebee singhiozzò vedendo come Ghostface l’aveva ridotta.
Lui le aveva tolto le gambe…lei giurò di togliergli qualcosa di altrettanto prezioso.
 
Robin era stato guarito da Corvina e Stella si era completamente ripresa dalla neurotossina, era ben più coriacea di quanto sembrasse, la ragazza..
Loro almeno stavano bene.
Sedevano soli nella sala d’aspetto, senza sapere cosa dirsi, è da quando Ghostface era tornato in circolazione che il dialogo era morto tra i due…o meglio Robin sapeva perfettamente cosa dirle, voleva dirglielo…ma non poteva: aveva paura, tanta paura, la posta in gioco era terribilmente alta: sua moglie e suo figlio…ma è solo nella paura che può emergere il vero coraggio.
-Stella…- iniziò –Io devo confessarti una cosa…-
L’aliena lo guardò incuriosita e preoccupata –A me puoi dire tutto…-
-Il video…quel porno che ha distrutto BB e Corvina…è un falso-
-Io l’ho sempre detto.- replicò quella- Solo che BB non vuole capirlo-
Robin fece un grande respiro per calmarsi, col cuore in gola disse con voce fievole e vergognosa.
-Intendo dire che io l’ho sempre saputo che era un falso, anche prima di vederlo, Ghostface in persona me l’ha consegnato affinché io lo dessi a BB, scaricando la colpa su Cyborg. Io sapevo che lui era tornato già da prima che attaccasse il centro commerciale. Io non so cosa stia architettando, ma si comporta in modo più strano del solito, trama qualcosa, sono sicuro che tutto…”questo”…faccia parte del suo piano, qualunque esso sia-
Stella lo guardava incredula, spaventata…delusa.
Lo guardò con uno sguardo acido, carico di disprezzo.
-Come hai potuto fare una cosa del genere?! Ai nostri migliori amici!?- lo incalzò piena di sdegno, era la prima volta che vedeva un simile ripugnanza nei suoi confronti in quei profondi occhi verdi, neppure quando, preso d auna sbronza, l’aveva tradita con una sciacquetta bionda che era bella neanche la metà dell’aliena e decisamente molto molto molto meno soddisfacente, neppure in quell’occasione Robin aveva visto una tale repulsione negli occhi di Stella Rubia.
–Su Tamaran quelli come te li chiamiamo “Snorkalah”, non esiste una parola terrestre per esprimerlo ma “traditore” ci va abbastanza vicino! E nessuno snorkalah è mai morto di vecchiaia…o con qualcuno al suo fianco- Stella scattò in piedi e girò sui tacchi per andarsene, piena di rabbia e delusione.
Quello che sentiva era una terribile sensazione vuoto, come un vento che soffia nel deserto, e la faceva star male, le risucchiava le forze.
Suo marito, il loro leader, quello che lei e tutti i suoi amici avevano sempre visto come una guida e un modello…era un vigliacco venduto al soldo di un criminale, che aveva tradito i suoi amici riversando la colpa su di un altro, incapace di difendersi.
Robin sopportò in silenzio quelle parole, se le meritava tutte…ma non meritava quel disprezzo.
Tutto quello che aveva fatto lo aveva fatto per amore, per lei.
La prese per le spalle, senza lasciarla andar via, ma quella si girò verso di lui allontanandolo con le braccia, divincolandosi per liberarsi dalla presa, che però il ragazzo mantenne salda e delicata attorno a quel corpo sottile.
-Aspetta, lascia che ti spieghi. Lui mi ha obbligato!- esclamò mentre l’aliena rinnovava i suoi sforzi per separarsi da lui.
Stella lottò ancora qualche secondo, poi, continuando a guardarlo trucemente di traverso, decise di fermarsi e ascoltare, se l’accaduto tra BB e Corvina gli aveva insegnato qualcosa era che tutti avevano il diritto di giustificare le proprie azioni.
Incrociò le braccia, guardandolo con una durezza che mai prima d’ora era stata in quegli occhi scintillanti –Ti concedo cinque minuti, poi andrò a dire tutto a BB e Corvina-
Cinque minuti…un po’ pochi per raccontare tutto quello che gli era capitato ma se li sarebbe fatti bastare.
Robin prese a raccontare, le disse tutto dal suo primo incontro con Ghostface fino all’ultimo contatto avuto con lui, l’unica parte che tralasciò fu quella riguardante Mar’i…non poteva permettere che Stella soffrisse di nuovo come allora.
La principessa aliena ascoltò molto attentamente, non perse una sola sillaba di quelle che uscirono dalla bocca del ragazzo mascherato, e ad ogni parola la sua espressione si faceva sempre più stupita e angosciata.
 
-Ora sai tutto. Per questo ho dovuto obbedirgli…ha in pugno Bruce e i gemelli-
Stella era scioccata, non più arrabbiata con Robin ma tormentata, ora il suo cuore era oppresso da un’ansia senza confini…sapere che suo figlio poteva morire da un momento all’altro le toglieva il respiro… non sarebbe più riuscita a darsi pace in questa situazione.
-N-noi dobbiamo fare qualcosa…- balbettò svolazzando nervosamente avanti e indietro per la stanza –N-non resteremo c-con le mani in mano a s-subire e basta…d-dobbiamo dirlo a BB e a Corvina…-
-No, non possiamo- rispose Robin con la testa china tra le ginocchia –Ghostface mi ha ordinato di non dirlo a nessuno o lo avrebbe scoperto…e avrebbe punito i bambini per la mia disobbedienza.
Ho già corso un grande rischio a dirlo a te…ma non ce la facevo più a tenermi tutto dentro, mi sentivo come consumato da un tarlo, dall’interno, che continuava a scavare e scavare in me, rendendomi solo un guscio vuoto.
Hai sentito anche tu quello che ha detto al centro commerciale, lui ci osserva, ci spia…sa tutto di noi e noi non abbiamo neppure un indizio su dove si trovi adesso-
Un greve respiro risuonò come un sordo tonfo mentre usciva dalla sua bocca, una sottile fessura tra i denti –Mi sento sempre il suo sguardo addosso, se venisse a sapere che l’ho raccontato a qualcuno…non oso pensare a cosa farebbe…ma puoi immaginarlo anche tu.
Non possiamo rischiare, Stella-
Se solo Robin avesse saputo che Ghostface giaceva inerme in una tomba di cemento probabilmente avrebbe corso fino a farsi scoppiare il cuore e giunto alla T-Tower avrebbe raccontato tutto e tutto sarebbe finito in pace e armonia e tutti i Titans avrebbero vissuto per sempre felici e contenti…eppure per quell’unico dato mancante il lieto fine di quell’avventura si dissipava come un miraggio.
Cosa non avrebbe dato per sapere…
Il sapere è la chiave del potere.
Ogni volta che si scontrava con Ghostface, Robin, lo capiva sempre più a fondo: conosci il tuo avversario e sfrutta le sue debolezze.
Tuttavia era sempre il vecchio quello che sapeva più cose, quello più preparato…quello più esperto.
200 anni di esperienza…non c’era da stupirsi che fosse sempre venti passi avanti a loro.
-Che cosa possiamo fare, Robin?- più che una domanda era un’implorazione fatta dalla voce spezzata di una madre che rischiava di perdere ciò che più amava al mondo…di nuovo.
A Robin parve di rivivere gli orribili momenti della morte di Mar’i, uno spaventoso deja-vu, tutto era come allora, tutto era così simile e così diverso.
-Non lo so, amore…non lo so- mormorò lui , trovando la forza per guardarla negli occhi e dirle quelle meste parole –S-se fossero delle normali sonde, come quelle utilizzate da Slade quand’eravamo ragazzi, potremmo disattivarle con lo stesso macchinario, o far passare i bambini in un campo elettromagnetico che disattiverebbe le sonde…ma qui si tratta di bio-sonde, virus latenti tenuti sotto controllo dalle parti meccaniche, se le disattiviamo il virus si sveglia…e uccide in pochi secondi.
Dobbiamo trovare il modo di estrarle completamente dal loro corpo, o di trovare un antidoto abbastanza veloce ed efficace- picchiò i pugni contro la parete con forza tale da farsi sanguinare le nocche – Ho decine di antidoti nel mio studio, Stella, ma tutti con un margine di fallimento del 12%.....-
-Non mi sembra molto- disse la rossa quasi istintivamente, con un barlume di speranza, ma lui stroncò subito quelle aspettative con una semplice analogia –Se tu non sapessi volare…andresti su un aereo che ha il 12% di possibilità di precipitare? Non possiamo rischiare, se l’antidoto fallisse…Bruce morirebbe.
Ghostface ha pensato proprio a tutto, ci tiene in scacco, sa che noi non possiamo disobbedirgli, ha fatto si che BB e Corvina si distruggessero l’un l’altra nella diffidenza…sapeva anche che Cyborg avrebbe potuto dimostrare che il video era falso, avrebbe potuto espellere le bio-sonde…per questo si è sbarazzato di lui per primo- ripensò a tutti i bei momenti passati con l’inseparabile robot dalla pelle scura –Se solo lui fosse sveglio saprebbe trovare una soluzione dove io non vedo altro che vicoli ciechi…-
Un’idea lampante illuminò la mente di Stella Rubia –Ho trovato! Se Cyborg non può aiutarci può farlo Gizmo! Ha già avuto a che fare con virus elettro-organici, ricordi? Forse lui ha la soluzione!-
Ancora una volta Robin smorzò l’entusiasmo della compagna –Credi che non ci abbia già pensato? Ho cercato disperatamente gli Hive Five, in lungo e in largo, ho tentato di contattarli in ogni modo ma sembrano essersi volatilizzati.
Non parlo solo di Jump-city ma anche di tutte le altre città dello stato. Nessuno li ha visti. L’ultimo di cui si abbia notizia sono stato io, al funerale di Iella…se solo avessi accettato la loro offerta ora forse Bruce e i gemelli sarebbero in salvo, BB e Corvina insieme e Cyborg sveglio....e magari Ghostface in una bara.
Sono stato un idiota, Stella, mi sono lasciato sfuggire quell’occasione tra le dita, ho avuto pietà di lui…un’altra volta.
Ho rovinato tutto….tutto questo è solo colpa mia…io sono il leader e guarda dove ci hanno portato le mie scelte, sono un disastro…è solo colpa mia…solo colpa mia.
Tu, Bruce, i nostri amici… tutti nel baratro per colpa mia…-
Si lasciò cadere sulla sedia, rannicchiato su se stesso, chiuso in una profonda e invalicabile depressione.
Tutta quell’enorme responsabilità, quell’immane fardello, gravava sulle sue spalle…e per la prima volta Robin sentì tutto quel peso farsi insostenibile, schiacciarlo.
Tutti contavano su di lui…e lui li aveva delusi.
Tutti…BB, Stella, Bruce, Corvina, April, Rick, Ruby, Cyborg, Bumblebee, Iella…tutti stavano pagando per la sua incompetenza.
Stella lo abbracciò consolandolo, accarezzandogli il viso dolcemente per quanto anche lei si sentisse partecipe di quel dolore –No, amore mio…non è vero. Non c’è da odiarsi per aver avuto pietà…non hai sbagliato, hai fatto ciò che ritenevi giusto.
Non potevi sapere dichi si trattasse allora, non potevi immaginare le conseguenze…non è colpa tua.-
Questa volta fu Robin a guardare dal basso verso l’alto la moglie e a chiederle con voce strozzata
–Cosa possiamo fare?-
-Solo aspettare e pregare-

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 16 ***


CAPITOLO 16
 
<Cos’ho fatto?>
Continuava ad affliggersi mentre guidava la motocicletta.
Il rombo del motore era come il tumulto del mare, il manubrio rialzato le dava un senso di forza quando inforcava quel cavallo di ferro, l’Harley Davidson divorava la strada kilometro dopo kilometro senza nemmeno accorgersene, tutto sembrava indicare una sola cosa, in quella moto: potenza.
Eppure il vento che le scompigliava i lunghi capelli non riusciva a spazzar via dalla sua testa quei cupi pensieri.
L’amava, oh cazzo quanto l’amava… quanto le mancava Corvina.
Terra non poté fare a meno di pensarci: quegli occhi d’ametista, quei capelli così soffici, quel profumo inebriante, quella voce roca e seducente, quelle sue cosce color madreperla che sembravano non dover finir mai…
Aveva perso tutto.
Tutto per un unico nome.
Ed era scappata.
Ma che altro avrebbe potuto fare? O fuggire o confessare.
Confessare… quando aveva desiderato in quei due giorni di poter tornare indietro e dire tutto ciò che sapeva…un’infinità di volte.
Forse se l’avesse fatto questa notte l’avrebbe passata a scoparsi Corvina, ma anziché essere a cavalcioni della maga, era una sella di pelle quella che aveva tra le gambe.
<Perché sono stata così impulsiva?! Forse così si sarebbe resa conto di quanto la amo… forse saremmo andate oltre al sesso e alle coccole… avremmo avuto qualcosa di davvero profondo a legarci, come da ragazze…perché ho lasciato i Titans, perché proprio quando lei era disposta a far partire una relazione, una vera…è inutile commiserarmi, ma non posso fare nient’altro: quel triste fiore scuro ormai l’ho perso>
Il motore smise di cantare, e anche la testa di Terra fu riscossa dai suoi tortuosi pensieri.
Scese dalla moto guardandosi intorno, la luna era a tre quarti, brillava fioca avvolta delle nuvole, l’inquinamento luminoso non faceva vedere una stella.
Che cielo schifoso.
<Eccomi. Sono arrivata>
Era arrivata al vecchio cantiere abbandonato, dove solo due giorni fa avevano assassinato Ghostface…o almeno questo era quello che lui voleva fagli credere.
Avanzò furtiva nel buio, senza far rumore si introdusse nel capannone che un tempo conteneva la vasca, ora colma di duro cemento e sotto quella corazza di pietra stava lui…Ghostface.
Stese le mani sul cemento, distese la mente, appianò ogni suo pensiero, concentrandosi al massimo: gli occhi e i palmi le brillarono di una luce innaturale, i capelli si sollevarono come in assenza di gravità, strinse i denti e adagio alzò le mani verso l’alto.
Un blocco di forma circolare si staccò lentamente dal resto, brillando come le sue mani ed imitandone il movimento.
Era di forma cilindrica largo circa un metro, lungo due, saliva con estrema lentezza, centimetro dopo centimetro dopo centimetro ma alla fine Terra riuscì a sollevarlo completamente per aria una volta fatto questo lo posò al suolo e attese.
Una mano emerse dall’apertura.
Le dita scheletriche si chiusero attorno al bordo, come artigli.
Un’altra mano la raggiuse, stavolta realmente munita d’artigli, attaccate alle mani uscirono poi le braccia e dopo di esse, preceduta da un’imprecazione, spuntò fuori il canuto capo di Ghostface.
Il vecchio sgusciò completamente fuori dalla sua tomba raddrizzandosi in tutta la sua altezza, ad ogni movimento la colonna vertebrale scrocchiava rudemente.
Terra storse il viso all’udire tali suoni.
 Ghostface si stiracchiò ancora una volta per il lungo facendo stridere ogni vertebra del suo corpo.
Crack.
-Ahh…era ora!- commentò dopo che si fu rimesso a nuovo –Dopo 51 ore passate lì dentro uno si ritrova con collo tutto incriccato! 51 ore passate rannicchiato su me stesso, senza un cazzo da fare, senza nulla da bere o mangiare…mi sembrava di essere tornato nei lager. Cazzo, sto morendo di sete, hai mica da bere?-
Terra, che si era premunita, andò a prendere una bottiglietta d’acqua dai borsoni che pendevano a lato della moto, Ghostface se la scolò tutta in un sol fiato.
-Ci voleva proprio!- esclamò passandosi il dorso della mano sui baffi ancora gocciolanti –C’era un caldo infernale lì dentro, e che buio. Pensavo ti fossi dimenticata di me, sai l’ossigeno iniziava a scarseggiare-
La bionda, ormai abituata all’eccentrico individuo, si passò una ciocca dietro l’orecchio –Esagerato. C’era aria a sufficienza per tre giorni-
-C’erto che però potevi fare un po’ più di spazio-
-Ti ho lasciato dei cunicoli per l’aria…che altro volevi, non siamo mica al Grand Hotel-
Ghostface sbuffò, sollevando un ciuffo di capelli bianchi –Credimi, l’ho notato- ribatté con le braccia incrociate.
Senza far caso alla risposta sarcastica, Terra gli pose la domanda che da tempo gli frullava in testa –Jonathan…come facevi a sapere che ti avrei aiutato? Insomma, non sapevi neanche cosa ci facevamo qui, quella sera, non avevamo predisposto nulla, io ti ho aiutato d’istinto ma cosa ti ha fatto supporre che avrei lasciato uno spazio vuoto sotto lo strato di cemento?-
Ghostface sorrise, nonostante il buio della sua “cella” e le tenebre della notte portava ancora i misteriosi occhiali scuri sul viso…la ragazza fu grata per questo, non riusciva a immaginare nulla di più raccapricciante di quegli occhi di ghiaccio illuminati dalla tremolante luce lunare che filtrava dalle lamiere.
-Ho sperato che ti ricordassi del favore che ti ho fatto. E visto che sei una ragazza sveglia ho immaginato che avresti capito il momento in cui avrei avuto bisogno di te, e ho contato sul fatto che fossi anche abbastanza onesta da pagare il tuo debito, cosa che è avvenuta. Lo so, è stato un gioco rischioso ma ha funzionato, quando sei come me la vita perde valore, sono questi rari rischi che corro che mi fanno sentire ancora l’aria che respiro e non come un fantasma che si rifiuta di lasciare il suo corpo-
Terra lo guardò, indecisa se essere giudicarlo completamente pazzo o ammirare quella sua bizzarra ma sensata filosofia.
Ghostface lo notò, con un gesto quasi paterno le scompigliò i capelli, già arruffati per la corsa in moto –Bel lavoro, biondina-
Terra sorrise lisciandosi la chioma poi, quasi distrattamente, gli occhi le caddero sul costume indossato da Ghostface, sporco, strappato in più punti e con pezzi di cemento raggrumato che gli davano un’aria da cotoletta impanata.
-Ti ho portato degli abiti nuovi- svelta si diresse nuovamente verso i borsoni della moto, tirando fuori un paio di pantaloni neri, una maglia pesante grigia dal collo alto e lo spolverino da becchino che indossava sempre quando non era in costume –Spero che non compromettano il tuo look- aggiunse scherzosa, porgendoglieli.
Ghostface li guardò, non proprio entusiasta-Ah…ben gentile- senza però prenderli, superò la ragazza e il suo sguardo andò a posarsi sulla possente moto parcheggiata lì vicino.
-Alighieri!- esclamò andando ad abbracciare il mezzo –La mia bella Harley, la mia piccina…mi sei mancata, sai? Papà ti ha pensato tanto tanto tanto…-
-Uh-uhm- il commento seccato della geocinetica interruppe il tenero quadretto di ricongiungimento familiare; a quanto pare era più felice di vedere la moto che lei.
Il vecchio pazzo balzò in piedi, schiarendosi nervosamente la gola con un paio di colpi di tosse soffusi, imbarazzato dalla situazione –Ehm…grazie per averla portata qui…e per i vestiti…e per avermi salvato la vita. Suppongo che ora siamo pari-
-Non c’è di che-
-Come hai fatto ad avere le chiavi?-
-Semplice- un sorrisetto furbesco comparve sul viso di Terra mentre estraeva le chiavi dalla tasca e ne faceva roteare l’anella che le teneva insieme nell’indice –Da quando sei “morto” Slade ha pensato bene di risparmiare sui regali dandomi la tua moto- con un gesto della mano lanciò il mazzo di chiavi al vecchio, che l’afferrò al volo.
-Però ha tolto le chiavi del covo, visto che io ho le mie. E per favore, cambia portachiavi, quello è a dir poco osceno e degradante-
Ghostface non diede peso alle parole e ribatté tenendo ben saldo tra due dita il portachiavi metallico raffigurante una donnina nuda un po’ scolorita –Questo portachiavi è stata l’unica figura femminile che io e i miei compagni abbiamo visto per mesi, in Vietnam, e il soldato a cui l’ho preso probabilmente ci teneva ancor di più visto che la troietta in questione stampata quassù è sua moglie…cioè, vedova-
A questo Terra non seppe cosa rispondere, dimenticava fin troppo facilmente che troppi orrori e troppe guerre avevano ridotto in poltiglia la psiche di quell’uomo.
Non riusciva a capirlo ma per lo meno provava a compatirlo.
-Ti anche portato qualcos’altro- iniziò per cambiare discorso –Ta-daa!- esclamò tirando fuori dal borsone la spettrale maschera deforme.
-La mia maschera…- Ghostface la guardò quasi non la riconoscesse, come se quel volto inciso sul metallo fosse solo l’altra faccia della medaglia… Ghostface e Jonathan…non sapeva neppure più lui chi era, anzi, lo sapeva: Jonathan era morto nei lager nazisti… lui era Ghostface!
-Fa sempre piacere vedersi allo specchio- commentò quello prendendola – Ma mi chiedevo non è che hai anche portato…-
Non ci fu bisogno di finire la frase –Nel bagagliaio- lo interruppe lei indicandolo col pollice, con l’aria soddisfatta di chi sa di aver studiato il giorno dell’interrogazione.
-Ti adoro-  il vecchio alzò il sellino della moto e all’interno trovò i suoi pistoloni, due pugnali (tra cui quello con cui aveva accoltellato Slade) una mazzetta di soldi e il suo caro coltellaccio d’adamantio, che nonostante il cielo cupo scintillò come in un assolato pomeriggio d’agosto.
-Bene…- ghignò –Ehi! Mancano le mie spade! E la balestra!-
-Quelle non ci stavano, ho dovuto lasciarle al covo, e già ne passerò di brutte quando Slade si renderà conto che è sparito il tuo spadino di adamantio…ma inventerò una scusa- si giustificò la bionda.
-A proposito di Willy…come sta? L’ultima volta se non sbaglio gli avevo scarnificato la gamba- domandò il vecchio, passando il polpastrello sul filo della lama indistruttibile, tagliandosi, manteneva il filo in modo incomparabile quell’arma.
-È guarito- rispose quella facendo spallucce.
Ghostface si voltò incredulo verso di lei-Come? In soli due gironi?-
-In soli due minuti- lo corresse lei –Ti ha fatto qualcosa, non so bene cosa, ma ha estratto un concentrato del tuo fattore di guarigione e l’ha chiuso in provetta, basta iniettarselo per guarire sul momento da ferite o malattie. Ne ha una bella scorta-
-Bastardo- ringhiò a denti stretti il vecchio –Ho passato ore in quella camera di tortura per diventare un medicinale, pensavo servisse solo per te…-
Terra lo guardò per nulla sorpresa, anzi, con uno sguardo scontato –Da lui ti aspettavi altro? Ognuno gioca per sé ricordi?-
-Ben detto- rispose Ghostface – Mi sono perso altro?-
-Nulla di che…ti ricordi quando ti ho raccontato che andavo a letto con Corvina?-
Il vecchio sorrise –Quest’immagine ha popolato le mie fantasie per parecchi giorni-
Terra sospirò con dolore, ripensando a quanto le era successo –Beh ho rovinato tutto…e ora non so più cosa fare della mia vita- abbassò il capo, cadendo nuovamente nella depressione che ormai l’accompagnava sempre da quando si erano lasciate.
-Ti sei risposta da sola- intervenne lui –Questa è la TUA vita, Terra: fai quel cazzo che ti pare e fottitene degli altri. Si vive una volta sola e, almeno per voi, non così a lungo.
Goditi la giovinezza e gioca la tua partita…- di colpo il viso dell’uomo si fece più cupo…minaccioso- E d’ora in poi anch’io giocherò da solo. Ho perso fi troppo tempo con queste scaramucce tra colleghi, adesso andrò dritto al mio obbiettivo- non c’era nulla di divertente nel suo tono, per nulla rassicurante, sembrava quasi una minaccia velata che inquietò Terra nel profondo del suo animo, anche se la ragazza si sforzò di non darlo a vedere.
Lo guardò smarrita –E quindi ora che farai? Sparirai dalla circolazione?-
-Sparire?- rise sarcastico – No, non ho mai messo nulla da parte per la pensione-
Indossò gli abiti puliti datigli da Terra, che girò lo sguardo, di uomini nudi ne aveva visti più di quanti una lesbica potesse desiderare.
-E allora che farai?-
Il vecchio si sistemò lo spolverino sulle spalle e inforcò la Harley; bisognava ammettere che, nonostante i timori della bionda, i vestiti nuovi erano in perfetta sintonia col suo macabro stile.
-Farò quello per cui sono tornato a Jump City. Ho atteso fin troppo per attuare i miei veri progetti-
Il motore tuonò e il fanale si accese, il mostro di ferro riprese a pulsare di vita.
-Qui le nostre strade si separano, ti auguro buona fortuna, biondina. Mi raccomando: non metterti sulla mia strada, è una pessima strada e io non freno mai. Se mi capisci…-
Terra deglutì, aveva capito eccome cosa Ghostface intendesse dire.
Il vecchio ruotò l’impugnatura del manubrio e la motocicletta si mosse, l’Alighieri fece due giri attorno a Terra, schizzando fango dappertutto.
-Aspetta! E io come torno a casa?!- esclamò la ragazza.
-C’è un sacco di terra attorno a te, inventati qualcosa!-
Ghostface diede un altro colpo d’acceleratore e la moto si diresse sull’asfalto, in breve non fu più distinguibile tra le ombre dei pioppi che costeggiavano la strada, anche le luci dei fanali si fondevano con quelle della città notturna.
Terra lo perse di vista e rimase sola, nel buio e nel silenzio, a riflettere <Vivi la tua vita… che posso dire? Ha dannatamente senso, in fondo che ho da perdere? Alla peggio mi sbattono in galera che è sempre meglio che restare con quel bastardo di Slade.
Quello stronzo! Si crede tanto sveglio ma non si è ancora accorto che mi piace la fica.
Cielo, quanto lo odio!! Beh, se questo è il mio destino tanto vale giocare fino all’ultima carta per cambiarlo…e far innamorare di me Corvina.
Mi dispiace per te, BB, ma siamo tu o io: e come dice un vecchio saggio “ questa è la MIA vita>
 
-Azarath metrion zinthos-
Le parole più dolci che potesse udire.
La Torre era illuminata, come ogni notte; chissà quanto spendevano di bollette…
C’era solo una persona sul tetto, non si vedeva bene il viso ma chi altri poteva essere sul tetto a quell’ora della notte se non lei?
Si avvicinò.
-Azarath metrion zinthos-
Tre parole un solo significato: pace.
Assoluta e profondissima pace.
Finalmente Corvina non sentiva altro, nulla avrebbe potuto smuoverla da quella dimensione trascendente di quiete assoluta, eccetto…
-Ciao-
…una voce.
Corvina spalancò gli occhi, davanti a lei, in piedi su di un blocco di roccia levitante stava lei: Terra.
Aveva un sorriso enigmatico, pareva essere triste, allegra, determinata, intimorita e coraggiosa allo stesso tempo.
Gli occhi azzurri, chiari come il cielo, ispiravano innocenza e sincerità; doti che alla ragazza in questione mancavano.
La maga balzò in piedi, da sotto il cappuccio il viso color luna si contrasse in una smorfia d’ira, perdendo tutte le sue fattezze umane: la bocca si allargò a dismisura, zanne ricurve sostituirono i suoi bei denti bianchi ben allineati, perle in fila tra le sue labbra, al posto della lingua piatta e tenera che più volte aveva baciato, Terra vide uscire da quelle fauci orchesche ben tre lingue squamose, serpentiformi, a loro volta munite all’estremità di  piccole bocche irte di minacciosi denti aguzzi.
Sibilavano e stridevano come unghie sulla lavagna.
Era diventata incredibilmente alta, oltre i quattro metri, completamente nascosta dal suo mantello, divenuto sempre più scuro, da cui però s’intravvedevano sporgenze tutt’altro che ordinarie in un corpo umano.
Ma la cosa più spaventosa di quell’infernale trasfigurazione erano i quattro occhi demoniaci che brillavano da otto il cappuccio di una luce inumana, talmente forte che pareva bruciare l’anima.
Prima ancora che potesse accorgersene, Terra si ritrovò avvolta tra le spire di uno spigoloso tentacolo di tenebra sgusciato fuori dal mantello della maga.
L’arto oscuro la stava stritolando, una minima pressione in più le avrebbe spezzato tutte le ossa, la punta, avvinghiata attorno alla gola, le soffocava la voce e le smorzava il respiro.
-Perché sei tornata?!? Come osi farti vedere dopo quello che mi hai fatto!!?? Tu sapevi tutto!!- la voce cavernosa e distorta non aveva più nulla di umano in sé.
Terra avrebbe voluto parlarle, spiegarle, ma le sue corde vocali erano strozzate contro l’esofago, non riusciva ad emettere un fiato.
Sentiva il bisogno d’aria farsi sempre più impellente.
Gli occhi le lacrimarono rigandole le guance, cadendo sul tentacolo scuro.
Quando Corvina sentì quelle lacrime bagnarle la pelle qualcosa in lei cambiò, la stretta si allentò leggermente permettendo a Terra di svuotare i polmoni e riprender fiato.
Ma il sollievo durò poco, la strega tornò a strangolarla, stringendo con maggiore forza attorno al corpo facendola gemere di dolore; Corvina avvicinò furiosamente il suo viso, schiumate di rabbia, a quello paonazzo di Terra.
–Cosa vuoi?!- ruggì tenebrosa
-S-solo…arf…parla...re- biascicò a stento la bionda –Ho…t...tante cossse da…dir…ti- riusciva a stento a respirare, le parole erano appena sussurrate, quasi incomprensibili, e pronunciarle le costava fatica e dolore.
Il demone davanti a lei sembrò turbato, tentennò un poco poi il tentacolo oscuro lasciò la presa, il viso mostruoso tornò alle sue affascinanti fattezze, Corvina tornò alla sua altezza naturale e al suo solito bellissimo aspetto…ma lo sguardo truce era rimasto immutato dagli occhi rosso sangue a quelli freddi d’ametista, uno sguardo per Terra insostenibile.
Incrociò le braccia piena di sdegno, guardando la bionda dall’alto in basso, lei era caduta a carponi tossendo violentemente con voce così roca che pareva si stesse raschiando la gola dall’interno.
-Sentiamo- tagliente, avvelenato, freddo, crudele, sferzante, carico d’odio…il tono sembrava qualcosa di simile a questo, ma molto peggiore.
A fatica Terra trovò la forza di alzarsi, le gambe non la sorreggevano, mosse alcuni passi insicuri e barcollanti ma Corvina anziché prestarle aiuto si allontanò da lei, arretrando.
-Io…coff coff…ho fat-to un sacco di caz…ergh…zate, prima di tut-te: ti ho mentito. Ma ti prego- supplicò gettandosi in ginocchio ai suoi piedi, con gli occhi lucidi e le mani congiunte –Lascia che provi a rimediare. Io ti amo Corvina, TI AMO!! Lo sai cosa significa? Cosa provo per te? Quello che ho fatto…non ho avuto altra scelta, mi hanno costretta, ho dovuto, non ho mai voluto farti del male, io non voglio che tu soffra…lascia che te lo dimostri. Chiedimi qualsiasi cosa, qualsiasi! Dovessi morire, la farò!-
Corvina l’osservò dubbiosa, un’altra accurata recita? No, le sue emozioni erano sincere, il suo sguardo era sincero, il suo cuore era sincero, tutto in lei era sincero…lo si leggeva con chiarezza solo guardandola.
Ma il cuore dell’uomo (e della donna) è instabile e volubile, Corvina questo lo sapeva e sapeva che non si sarebbe fidata stavolta…ma le avrebbe comunque dato una possibilità.
-Vuoi farti perdonare?- la bionda annuì tre le lacrime –Allora devi raccontarmi tutto. Tutto per filo e per segno. Non tralasciare nulla, neppure il più piccolo dettaglio. Dimmi tutto quello che sai di questa storia…se mentirai, lo saprò-
-V-va bene…ma non ti piacerà quello che sentirai- l’avviso l’altra.
Terra raccontò tutto ciò che era successo dal suo risveglio, e quanto le avevano raccontato in seguito.
Disse dell’alleanza tra Ghostface e Slade, delle minacce fatte a Robin, delle bio-sonde iniettate ai suoi figli; ammise che l’omicidio di Iella era pianificato anche se doveva essere Cyborg la vittima designata, però lei non era coinvolta in questo.
Le disse dell’intromissione degli Hive e del loro accordo con Slade per sbarazzarsi del vecchio, di quel tenebroso uomo che accompagnava i cinque giovani fuorilegge, lei non lo conosceva e non seppe descriverlo se non come “misterioso, astuto e pericoloso”, parlò dell’adamantio, di come Jonathan le avesse restituito i ricordi, e infine racconto di come lei, Slade e gli Hive avessero ucciso Ghostface… a quelle parole un sorriso estasiato apparve sulle labbra della maga, un sorriso che fece sentir male Corvina: come poteva provar gioia per la morte di un uomo? Tredici anni fa non sarebbe mai successa una cosa del genere. Eppure era vero, lei era felice che fosse morto.
Ma la felicità fu subito smorzata quanto Terra dovette confessare che proprio lei l’aveva salvato.
Aveva salvato la Morte incarnata.
Corvina era allibita, non pensava ci fosse un disegno così complesso e ben pianificato dietro gli eventi che le stavano distruggendo la vita, apparentemente una serie di sfortunate situazioni, invece…tutto era stato studiato nei minimi particolari da due brillanti menti del crimine, tuttavia troppo diverse per poter coesistere, per fortuna sua e dei suoi amici.
Slade era subdolo, schematico, preciso, misterioso e attento, agiva nell’ombra senza frasi notare fino all’ultimo.
Ghostface predisponeva le sue trappole e i suoi intrighi, era cinico ed emotivo, studiava l’avversario, era imprevedibile e molto astuto, ma non pianificava mai una fine, lasciava che fosse il corso degli eventi a concludere ciò che lui aveva messo in moto.
Scosse la testa nervosa, con le dita premute sulla tempia –Quindi anche Slade è coinvolto?-
-Sì- rispose la geocinetica –È stato lui a girare quel video. Lui ha scritto il copione, ricreato l’ambiente del tuo salotto, scritturato gli attori e infine con un programma speciale ha modificato le immagini facendole passare per autentiche agli scanner. È tutto finto, organizzato e studiato per dividervi. Insieme siete forti ma divisi perdete gran parte del vostro potenziale… se poi vi mettete l’uno contro l’altro diventate facili prede.
Robin sa queste cose ma non può dirvele, Ghostface ha in mano i suoi figli…e i tuoi-
-E tu lo hai liberato!!- ringhiò Corvina afferrandola per il bavero della maglietta –Non volevo! Me l’ero dimenticata!...mi sono successe talmente tante cose in così poco tempo…mi è passato di mente- Terra la stava implorando, cercando di giustificarsi, ma la maga rimase inclemente, alzò l’altra mano col pugno serrato da far sbiancar le nocche, già pallide di loro.
Terra chiuse gli occhi e strinse i denti, pronta a incassare il meritato colpo…che però non arrivò mai.
Corvina si placò da sé e la lasciò andare, era come se tutta la sua energia vitale fosse fluita via in un batter di ciglia, con sorpresa della bionda si accasciò in ginocchio di fronte a lei.
Rimasero in silenzio.
Immobili per alcuni minuti, nella più completa staticità, tutto taceva, Corvina col capo reclinato su se stessa, coi capelli che le cadevano in faccia, nascondendo il bel viso, e Terra rimasta lì imbarazzata, inginocchiata a sua volta di fronte alla ragazza che amava, a fissarla senza capire –Corvina…- disse timorosa allungando una mano come per accarezzare un cane feroce, gliela mise sulla spalla, stringendola saldamente ma con gentilezza, era lì per lei, questo Corvina doveva capirlo.
Il tocco rassicurante e la voce delicata ruppero quel momento, erano rimaste ferme e silenziose come una fotografia per chissà quanto tempo, quel gesto riscosse la maga dal suo sonno cosciente.
-N-non posso prendermela con te…- mormorò con voce strozzata -Ma sapere che Ghostface...p-può uccidere i miei figli in qualsiasi momento…mi uccide l’anima…- iniziò a singhiozzare.
-No! Non può più- intervenne Terra rassicurante, sollevandole il viso e asciugandole gli occhi, ora la bionda sorrideva serenamente.
Corvina smise subito di disperarsi, alzò gli occhi fissandola incerta ma in fondo a quegli occhi tristi brillava la speranza.
-Il detonatore è ancora al covo di Slade, sotto la centrale nucleare abbandonata, Ghostface non può tornarci, non senza far saltare la sua copertura e lui di sicuro non vuole perdere questo vantaggio. È ancora lì ne sono sicura…- tentennò un attimo poi aggiunse con parole salde, senza ombra di esitazione –Io posso portartelo-
Corvina sgranò gli occhi, la bocca spalancata per l’insperata sorpresa era incurvata in un sorriso così sentito da spaccare i timpani.
-T-tu faresti questo per me? Dopo tutte quelle cose che ti ho detto, dopo che per poco non ti ammazzavo?- senza perder tempo a risponderle, Terra scattò in avanti e la strinse forte in un caldo abbraccio che la riscaldò dal freddo vento notturno .
-Io ti amo Corvina. Per te farei qualsiasi cosa- le due si alzarono restando una con le braccia intrecciate attorno alla vita dell’altra.
Restarono così a fissarsi per alcuni secondi,  loro visi erano così vicini che potevano sentire il reciproco respiro sulle labbra.
Terra la strinse più forte, senza però farle male, chiuse gli occhi e allungò le labbra.
Corvina poggiò un dito su di esse, arrestandone la corsa verso le sue, fermando il bacio.
La bionda aprì gli occhi fissandola confusa con quegli specchi d’acqua.
-Devi fare un’altra cosa per me…- disse soffusamente la mezzo-demone –Portami le prove che quel video è falso…ti prego-
All’altra finì il cuore in gola all’udire queste parole: sapeva fin troppo bene le conseguenze che avrebbero portato quelle prove.
-S-se io te le consegno…- la voce della bionda era fievole e tremolante come la fiamma di una candela, un sussulto sarebbe bastato a spezzarla –Tornerai da lui?-
Terra avrebbe dato qualsiasi cosa per non doverla guardare negli occhi ma sapeva che fissarla in quelle ipnotiche iridi viola era l’unico modo per ottenere una risposta, una sincera.
Ferendosi il cuore si costrinse a guardarla.
Non si era mai sentita così nervosa come in quel momento, era messa faccia a faccia col destino, col futuro suo…e del suo amore.
Da quell’unica risposta sarebbe dipeso tutto.
Quasi non riusciva a sostenere quello sguardo, perché ci metteva tanto a rispondere? Forse anche lei era dubbiosa? Anche lei in contrasto con se stessa?
Ma mentre Terra si perdeva in queste false speranze la risposta arrivò sicura e tagliente, una frustata morale.
-Sì-
Abbassò la testa, serrando i denti tra loro, sentì il cuore andargli in frantumi nel petto, la lama di un coltello in visibile dilaniarlo e poi affondare ancora e ancora in quel che ne restava.
Non seppe soffocare il dolore e silenziosi cristalli d’acqua iniziarono a gocciolare dai suoi occhi del medesimo colore.
-P-perché dovrei farlo…- biascicò con voce rotta –Se…se so che così ti perderò…-
Con un gesto delicato della mano Corvina sollevò il viso della giovane in lacrime davanti a lei, dolcemente le asciugò gli occhi, le loro iridi si incontrarono ancora una volta.
-Perché so che tu mi ami…- disse avvicinando la sua bocca a quella di Terra,
Un ultimo bacio.
Un bacio d’addio con cui chiudevano quella che era stata un breve e intensissima relazione.
Con quel gesto Terra capì quello che non aveva capito in tutti quegli anni: tra loro era finita.
Fu un bacio lungo, prolungato da entrambe, goduto da entrambe, a Terra sembrò il più dolce e il più doloroso che avesse mai ricevuto.
Un delizioso veleno.
Quando infine le loro labbra si separarono, dopo tanti e tanti sussurrati bacetti per rendere meno dura la definitiva separazione, la bionda abbracciò con quanta forza aveva la maga, che superati i primi istanti d’incertezza ricambiò con un più tenero abbraccio.
-Perché non puoi amarmi come ti amo io?- singhiozzò Terra soffocando lacrime e singulti sul mantello di Corvina.
Lei le accarezzò i lunghi capelli di grano, morbidi e delicati –Una forza maggiore me lo impedisce. Io vorrei ricambiarti, Terra, ma non posso. Quella forza che ti spinge implacabile verso di me, mi spinge a mia volta verso BB. Non posso fare a meno di assecondarla, è come un fuoco che mi arde dentro, che ci arde dentro. E fa male. L’unico modo per spegnerlo è andare verso colui o colei a cui siamo spinti -
-Ma chi spegnerà il mio di fuoco se tu vai via…?- insistette l’altra senza accennare a volersi separare dal corpo sinuoso della maga –Come farò senza di te?-
Corvina continuò a consolarla, sussurrandole all’orecchio –Il tempo è medico di tutti i mali, estinguerà anche questo fuoco. E un giorno, prima di quanto immagini ti innamorerai di nuovo, della più bella ragazza del mondo e lei s’innamorerà di te- le due si separarono un poco, tenendosi sempre per gli avambracci alla fioca luce lunare, filtrata dalla coltre di nubi –Ma quella donna non sono io. Terra avrai sempre un posto nel mio cuore…- le disse sincera, col cuore in mano.
-E nulla più?- domandò la bionda, ben conscia della risposta.
-E nulla più-
Terra si separò definitivamente, si girò guardando la città dall’altro della T-Tower mentre una delicata brezza notturna le asciugava le guance.
Tutte le luci delle città si specchiavano sul mare nero…una vista stupenda per darsi un’addio.
-Capisco…- mormorò con un fil di voce – Avrei tanto voluto tornare nei Titans…ma pensò che farò meglio a lasciare Jump City, quando tutto questo sarà finito…-
La mano rassicurante di Corvina si appoggiò sulla sua spalla –Mi dispiace che tu debba soffrire così…non lo meriti- disse la maga profondamente toccata, si sentiva responsabile di quel dolore e ne soffriva a sua volta ma anche lei doveva vivere la sua vita e seguire il suo cuore.
-N-Non importa…- rispose Terra massaggiandosi il gomito –Almeno tu sarai felice…io sopravvivrò- un debole sorriso affiorò sulle sue labbra sottili, ma era sincero, sincero e sentito quel sorrisetto triste appena accennato.
-Domani sera, alle sette- aggiunse –Incontriamoci al Pizza Arriba. Lì ti darò tutto-
-Grazie, Terra- disse Corvina abbracciandola un’ultima volta –So quanto tu stia soffrendo…ma così mi stai veramente salvando la vita. Grazie di cuore…- alzò il viso e  incrociò i suoi occhi lucidi di pianto –M-magari dopo ci prendiamo una pizza insieme…-
-Sarebbe fantastico- rispose Terra nascondendo sofferenza e delusione dietro un traballante sorriso triste.
Un sorriso, un po’ più forte del primo, comparso su quel viso felice eppure affranto.
-A-adesso devo andare…- disse la bionda risalendo sul suo blocco di terra –Ho…ho bisogno di stare un po’ da sola- il blocco si allontanò lentamente, ma non troppo, dal tetto della Torre.
-Ti chiamo io, Corvina. A presto…amore mio- le ultime due parole furono solo accennata, troppo fievoli perché la maga potesse udirle.
Si persero nel vento.
-A presto-
 
 
 
Vi ricordate quando nel capitolo 14 ho detto che avevo mandato Ghostface in pensione?
Lo Stato, il diavolo lo porti, ha spostato l’età di pensionamento a 300 anni e quindi l’ho riassunto.
Era troppo presto per farla finita, no?
Comunque, ultimamente sono andato a rileggermi i capitoli di Ghostface e Revenge, e tralasciando i primi capitoli di Ghostface (scritti ancora da un inesperto dilettante) mi sono reso conto che erano molto più corti e anche “scorrevoli” rispetto agli ultimi capitoli di Alive.
Perciò ho deciso di fare un “ritorno alle origini” semplificando un po’ i capitoli e abbreviandoli per renderli più leggeri.
È solo un esperimento (fatemi sapere se sbaglio) ma tentar non nuoce.
 
Ghostface.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 17 ***


CAPITOLO 17
 
In un vicolo di periferia Ghostface stava perlustrando bullone dopo bullone, vite dopo vite, ogni anfratto di Alighieri.
-Non è possibile!- sbraitò –Come può essersi dimenticata il mio detonatore, cazzo?! Senza quello non ho alcun potere sui Titans!-
Il vecchi aveva cercato in ogni possibile nascondiglio: niente. Il detonatore delle bio-sonde non c’era.
Si sedette sul marciapiede a rimuginare.
< Non può essere così scema da averlo lasciato a Slade, probabilmente l’ha portato via con sé…ma dove? Ah certo! Mi aveva detto di un certo appartamento che frequentava in questi giorni…dove andava a sbattersi Corvina…se Willy lo sapesse eh eh… >
Ghostface prese a frugare nelle tasche del soprabito e infine lo trovò, un bigliettino con su scritto l’indirizzo dell’appartamento.
Qualche giorno fa, e dopo qualche birra, Terra gli aveva lasciato l’indirizzo in merito a chissà quale stupida scommessa tra i due, il killer però era completamente sobrio e sapeva cosa faceva.
Conoscere è potere, in fondo.
<Craven Road 7, appartamento C17. Trovato. Ricordavo bene allora…per fortuna la biondina non i è presa la briga di controllare il mio spolverino>
- Quella ragazza ha la lingua troppo lunga, dovrebbe imparare a tenere più per sé i fatti della sua vita privata- commentò da solo.
-Con chi cazzo stai parlando, vecchio?- chiese un ubriacone a lato della strada.
Ghostface odiava i bassifondi, sede della peggior feccia, non gente pericolosa…gente disperata.
C’era una bella differenza, anche se il confine tra i due era sottile e sfumato.
Lui era pericoloso, molto pericoloso, ma da lì a poco avrebbe avuto un nuovo inizio…e non sarebbe stato da solo.
 -Affari miei!!-ringhiò in risposta.
Il dialogo finì lì.
 
Erano le cinque in punto del giorno dopo, a dispetto della stagione il clima aveva regalato un cielo azzurro e un bel sole caldo e raggiante.
Tutti si stavano godendo quel pomeriggio di Sabato.
Le auto si muovevano pigramente per le vie, gli uccelletti canterini solcavano i cieli, i bambini correvano per i parchi dietro a un freesbee o a una palla in compagnai di qualche cane…. E i giovani adolescenti di Jump City si incontravano per stare assieme ai loro coetanei dell’altro sesso.
Buck era un giovane ragazzo di 16 anni.
Studiava al liceo scientifico e lavorava sodo per ottenere buoni risultati con cui rendere orgogliosa la madre.
La vita non era stata facile per lui: arrivato in America a 3 anni, per sfuggire dalla guerra in Nigeria; aveva perso il padre a soli 7 anni.
Da allora era stata sua madre a mantenerlo, cosa non facile per una donna sola, Buck non aveva molti amici, né una gran vita sociale e anche i primi approcci con la scuola non erano stati dei migliori.
Era mingherlino e anche un po’ impacciato, spesso vittima di bulli più grandi e cattivi di lui, perché nonostante tutto restava un ragazzo mite e tranquillo.
Forse un po’ troppo appassionato di videogiochi, ma coi piedi per terra.
Quel giorno era il più bello della sua vita.
Finalmente Kelly, la più bella ragazza della scuola aveva deciso di accettare il suo invito!
Era dalla prima che le faceva il filo, ma la sua scarsa disponibilità economica, il suo aspetto poco attraente e la sua media per nulla eccezionale l’avevano sempre lasciato nell’ombra.
Ma quella mattina a scuola, Kelly gli aveva che sarebbe volentieri venuta a prendere un frullato con lui, un invito ricevuto la settimana prima ma comunque valido, Buck non se l’era fatto ripetere!
Ah Kelly… lunghi capelli rossi e smossi, corpo non slanciato ma proporzionato e ben “curvilineo”, gambe lunghe sempre avvolte in jeans attillati che lasciavano poco all’immaginazione, occhioni verdi pieni d’astuzia, un visetto ovale color latte, tempestato di lentiggini e sempre sorridente…e che sorriso! Tutto rose, campi di fragole, coniglietti, fiumi di caramello e pinguini cavalca-arcobaleni.
Era impossibile non perdersi in quella splendida visione.
Buck era sicuro che quel giorno sarebbe stato memorabile, per la prima volta qualcosa nella sua vita andava per il verso giusto: Kelly si sarebbe innamorata, si sarebbero sposati e avrebbero vissuto per sempre felici e contenti… e che più conta, quel giorno lui avrebbe avuto il suo primo bacio, e lo avrebbe avuto da Kelly! Una volta accaduto ciò, il ragazzo sapeva che tutto per lui si sarebbe aggiustato…finalmente.
Perso a far castelli in aria, ipnotizzato da quei magnetici occhioni verdi, Buck quasi non si accorse dell’espressione terrorizzata di Kelly che gli urlava di spostarsi.
Ancora imbambolato Buck volse il viso verso la vetrina di fianco al loro tavolino, che dava sulla tangenziale, quella che la ragazza indicava con tanto fervore… e il suo sorriso ebete si trasformò in una maschera di panico.
La ruota anteriore della Harley Davidson sfondò la vetrina, atterrandogli dritta sul viso, la faccia gli venne letteralmente raschiata via.
Pochi istanti dopo, l’imponente motocicletta, atterrata dal nulla in mezzo al locale, riduceva in poltiglia il giovane corpo adolescente.
Sì…la vita era sempre stata crudele con Buck.
 E anche la morte non fu molto gentile.
 
Tutti si volsero a guardare sgomenti; utilizzando un’altra auto come rampa, un pazzo era saltato sopra la corsia trasversale, evitando il fiume di macchine che scorreva sotto di lui, e atterrando nel mezzo del locale, uccidendo sul colpo un povero ragazzo che era lì completamente a caso, nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Per nulla turbato, l’uomo alla guida scese dalla moto, alto oltre la norma, avvolto da un tetro spolverino nero, aperto sul davanti, con una maglia a collo alto grigia e pantaloni neri lunghi oltre la caviglia.
Il casco nero sul viso impediva di vedere la faccia.
L’uomo scese dalla moto senza nemmeno spegnerla, e senza badare a quel che restava del cranio spappolato del sedicenne finito sotto le sue suole.
Mosse alcuni passi nel più completo silenzio avvicinandosi adagio a un tavolo più interno nel locale.
Cinque ragazzi seduti lì stavano festeggiando un lavoro ben fatto.
-Gli Hive Five?- domandò il misterioso motociclista ai cinque.
Mammut, Gizmo, See-More, Wykkyd e Billy Numerous erano andati lì a brindare alla morte di Ghostface e alla vendetta di Iella, finalmente compiuta, con il frullato preferito dalla ragazza: quello ai mirtilli.
E Ghostface decise di unirsi a loro.
Non era stato difficile rintracciarli, See-More dovrebbe aggiornare meno dettagliatamente la sua pagina twitter.
-Chi lo vuole sapere?- ringhiò minaccioso Billy alzandosi dalla sua sedia, mentre un suo sosia compariva alle sue spalle, picchiando il pugno nel palmo dell’altra mano.
Il motociclista sfoderò veloce come un serpente una pistola.
Bang! Bang!
I due morirono ancor prima di toccar terra.
Doveva essere un pigro sabato pomeriggio allo Smooty Bar, invece in meno di un minuto al suolo giacevano tre cadaveri, di cui due della stessa persona, coi visi orribilmente deturpati dai fori di proiettile.
Si scatenò il pandemonio.
L’uomo estrasse dal soprabito un lungo e sottile coltello, dalla lucentezza innaturale, affondò l’arma nel palmo di Wykkyd inchiodandolo al tavolo prima ancora che il ragazzo potesse capire cosa stava accadendo, la lama trapassò ossa e tavolo come foglie d’insalata.
-AAAH!!!- gridò di dolore mentre il sangue zampillava come il petrolio dalla terra, le sue urla si mischiarono a quelle dei presenti che fuggivano terrorizzati.
L’uomo col casco scaricò l’intero caricatore sugli inermi civili che si davano alla fuga, una dozzina caddero senza rialzarsi, solo una persona riuscì a rimanere ferita, senza morire sul colpo.
<Quindici colpi. Cariche esaurite> ruotò di scattò il braccio nuovamente verso gli Hive sbattendo con quanta forza aveva la pistola contro il cranio di See-More che aveva tentato di balzargli alle spalle.
<Ma la pistola resta utile>
Mammut ruggì come un animale, sollevò il tavolo sopra lo sconosciuto, incurante del fatto che Wykkyd ci fosse ancora inchiodato, e glielo scaraventò addosso.
Ghostface balzò all’indietro, atterrando sulle mani e con incredibile agilità felina ruotò posandosi sui piedi, un altro salto ed era di nuovo sulle mani e infine riatterrò proprio sul tavolo lanciatogli, che era caduto alle sue spalle, mancandolo.
Tutto era avvenuto in una frazione di secondi: una serie rapidissima di flic flac*.
Afferrò l’impugnatura del coltellaccio di adamantio, con un unico gesto ben calibrato tagliò per il lungo il braccio del ragazzo agonizzante, dividendolo in due dal palmo alla spalla.
-AAAYYYAAAA- strillò terrorizzato Wykkyd per il dolore  per l’effetto che gli faceva vedere il suo braccio destro e le ossa sbucciate come una banana.
-Avanti, fatevi sotto- ghignò il vecchio da sotto il casco nero.
Evitò con grazia e grazie al suo longilineo corpo snodabile, raggi e micro razzi sparatigli in abbondanza da Gizmo, alzatosi sulle sue quattro zampe robotiche da aracnide.
Non lo salvarono.
Ghostface spiccò l’ennesimo salto proprio davanti al viso di Mammut, il mutante tentò di afferrarlo ma le sue mani si chiusero sul vuoto, il vecchio atterrò dritto sul suo viso, mandandolo a terra dopo quell’incontro “piedi a faccia” e da lì si slanciò contro il genio della squadra.
La lama saettò silenziosa fendendo l’aria a tutto ciò che c’era sulla sua traiettoria.
Ghostface atterrò con le gambe piegate e pronte a scattare come una rana, con una mano aperta sul suolo a bilanciarlo e l’altra che reggeva la corta spada insanguinata, a fianco a lui giacevano le braccia mozzate di Gizmo.
Come si ritrovò mutilato il ragazzo pelato andò giustamente nel panico, non poteva più governare il suo esoscheletro robotico che dopo aver barcollato alcuni passi rovinò  a terra  schiantandosi sui resti dei Billy.
Tese la gamba e la spostò compiendo ampio un arco, rasente al suolo; Mammut, appena rialzatosi col naso rotto e sanguinate, e l’occhio pesto, non riuscì a evitare il colpo e cadde sul pavimento.
Senza perdere un istante Ghostface li fu addosso affondando la lama del coltellaccio nelle caviglie pelose del gigante, incurante di tormenti del nuovo leader degli Hive, il vecchio gli mozzò entrambi i piedi, lasciandolo a strisciare nel suo lago di sangue.
Si alzò in piedi e gli tirò un calcio in pieno volto, che gli fece sputare i denti.
Affondò ancora una volta la lama in lui, perforandogli la spalla.
-Così la prossima rapina la farai in sedia a rotelle- sbuffò altezzoso, rimettendosi in posizione eretta, guardando soddisfatto il massacro di cui era l’artefice.
Un urlo rabbioso alle sue spalle.
A Ghostface bastò un rapido movimento delle dita per trasformare quel grido di battaglia in uno di dolore.
See-More brancicava a terra, a quattro zampe, tastando tutto attorno a sé, probabilmente avrebbe pianto ma non poteva
–Il mio occhio! Non ci vedo! Non ci vedo! Mi ha strappato l’occhio!!-  l’orbita vuota e sanguinate era come una voragine di carne pulsante nera e rossa da cui colavano incessanti lacrime di sangue di un pianto inarrestabile.
La mano artigliata di Ghostface stringeva tra le dita l’unico occhio del ciclope.
Gli era bastato allungare la mano per conficcare gli artigli nel cranio dello sventurato fuorilegge, da lì cavargli l’occhio era stato facile.
Strinse il pugno e uno schifoso liquido molliccio colò tra le sue dita mentre il bulbo oculare veniva ridotto a una nauseabonda poltiglia biancastra sul pavimento lordo di sangue e frullato al mirtillo.
-Sei patetico- disse, un rapido gesto della mano e la lama d’adamantio si abbatté sul ragazzo inerme mozzandogli il braccio sinistro all’altezza del bicipite.
-AAARGG!- anche l’ultimo degli Hive stramazzò al suo, affondando il viso nel viscoso fluido caldo e  rosso dall’odore acre, versato da lui e dai suoi compagni.
Ormai l’intero pavimento de locale era ricoperto di tale liquido.
Ghostface salì in piedi sul bancone e urlò a gran voce –Quelli di voi che hanno ancora una vita ringrazino per essa e se ne vadano! Ma i vostri arti lasciateli qui. Ora sono miei. Potete venirli a prendere quando volete, ma se fallite ve ne strapperò altri, statene certi- si calò il casco scuro dal volto rivelando lo spettrale aspetto della sua faccia, i capelli erano sudati e attaccati al volto, gli occhi scoperti, agghiaccianti, insostenibili.
-T-tu..- mormorò Mammut arrancando al suolo sulle braccia possenti.
Il vecchio gli gettò addosso il casco con non curanza, non lo degnò di uno sguardo ma per mammut fu una fortuna non vedere quegli spettrali occhi di ghiaccio, occhi freddi, morti insensibili, pietrificanti come quelli di una Gorgone…occhi senza lacrime.
Balzò a terra a pochi metri da lui…comunque troppi per il novello storpio.
-Quando vi chiederanno chi è stato…rispondetegli che è opera di Ghostface-
Detto questo il vecchio scoppiò in una macabra risata, pulì l’arma con le maniche ( e le braccia) di Gizmo e si diresse verso la vetrina sfondata, inforcando la moto.
Scorse casualmente, con la coda dell’occhio, una ragazzina raggomitolata sotto il tavolo, dai folti capelli rossi.
-Come ti chiami, piccola?- chiese quello estraendo da una tasca interna dello spolverino gli occhiali da sole e mettendoseli sul naso.
-K-Kelly…Kelly Stuart- rispose quella con un fil di voce, tremante come una foglia nella Bora, quando aveva visto il cranio di Buck venire spappolato da quel motociclista assatanato le gambe l’avevano abbandonata, non era stata in grado di fuggire e si era rintanata sotto il tavolo, assistendo alla strage.
15 morti, più 5 feriti…15 di loro erano persone innocenti, come Buck.
Ghostface si accese un sigaro e continuò –Lo conosci?- domandò indicando con un rapido movimento della testa i resti del corpo straziato di Buck.
Kelly annuì terrorizzata come mai prima d’ora.
-Mezzasega- sbuffò rivolto al cadavere –Credimi ragazzina, puoi avere di meglio. Qualcuno grande e grosso, che ti stringa tra le sue braccia e ti faccia sentire sicura, qualcuno con lunghi capelli, una folta barba e un fascino vichingo, più o meno com’ero io alla tua età. Sono sicuro che con quel faccino puoi avere che vuoi- detto questo diede un colpo d’acceleratore e l’Alighieri sgommò in avanti, slittando sul sangue, fece un’inversione a U passando sulle ginocchia di Wykkyd, che gridò in maniera disumana il suo dolore lancinante di trovarsi le ossa e i muscoli schiacciati da quei tre quintali di ferro e acciaio rombante, infine la motocicletta scattò in avanti sfondando la porta con un rombo assordente, sollevando schizzi di sangue ovunque che investirono Kelly e gli Hive.
In breve l’Alighieri portò Ghostface lontano da quella bolgia infernale prima che sopraggiungessero i Titans o le autorità e il ruggito del motore sostituì in breve le urla strazianti dei mutilati che agonizzavano a terra, immersi nel loro sangue sempre più scuro, sempre più denso.
 
Terra diede un’ultima controllata al suo zainetto.
<Allora, il copione l’ho preso, ho preso la chiavetta, la lettera di Striker allegata all’adamantio, le chiavi del covo le ho in tasca…manca solo quello>
Non era stato complicato per lei impossessarsi del copione scritto da Slade, buttato in un angolo assieme alle altre centinaia di scartoffie dimenticate che si ammucchiavano nello studio del guercio, infatti lui aveva preferito non archiviare quel documento, non voleva che tra le sue referenze comparisse “sceneggiatore porno”.
Neppure copiare sulla chiavetta le varie prove aveva richiesto troppo impegno, visto che possedeva la password del computer e Slade non era in casa, per precauzione la bionda si era curata di salvare anche i primi tentativi del video, in cui ancora c’erano gli attori prima che l’immagine fosse modificata.
Assieme ad esse sulla chiavetta c’erano anche il programma utilizzato da Slade per sostituire i pixel e camuffare la falsità del suo operato, e la vasta e approfondita collezione fotografica di Ghostface e Corvina, collezione tra cui comparivano le famigerate foto erotiche messe online da BB…quelle però Terra le copiò anche su un’altra chiavetta a parte tutta per sé.
Mancava solo una cosa, la più importante: il detonatore.
Quello però non aveva idea di dove fosse, se Ghostface l’avesse nascosto da qualche parte o se Slade ne fosse entrato in possesso.
L’aveva cercato dappertutto senza trovarlo, erano già le sei e mezza, le restava solo mezz’ora di tempo e non aveva idea di dove guardare.
-Cerchi qualcosa?- la voce cupa dell’uomo alle sue spalle la fece sobbalzare.
Si volse di scatto trovandosi faccia a faccia con quella fredda maschera inespressiva.
Slade era sgusciato alle sue spalle furtivo come un ombra, silenzioso come un fiocco di neve…chissà da quanto la osservava.
-Allora?- Terra deglutì in preda al panico, la tensione cresceva sempre più ad ogni secondo che passava  e quello sguardo così penetrante di quell’unico occhio la terrorizzava al punto da spingerla a confessare tutto.
Non le venne in mente nient’altro da dire se non –Sì…- si fece coraggio e continuò –Stavo cercando qualcosa…- si avvicinò a lui sensuale, passandogli un dito su quel petto scolpito, risalendolo adagio fino a circondargli il collo taurino con entrambe le braccia –Ma ora l’ho trovata…- socchiuse le labbra sollevando la maschera appena sopra il naso del guercio, ma quella la fermò afferrandola saldamente per i polsi, una stretta d’acciaio l’attanagliava.
-Questi giochetti non funzionano con me. Dimmi la verità- quel tono così duro la spaventò più di quanto già non fosse… ricordava bene cosa significava quel tono: dolore.
Ricordò quand’era solo una ragazzina, aveva 15 anni quando l’aveva presa come apprendista…e l’aveva costretta a diventare la sua amante.
All’inizio era stato orribile, lei non voleva e lui la forzava: le faceva male, ogni volta.
Il sesso era diventato qualcosa di terribile e doloroso…molto diverso dalle dolci carezze che si scambiava di nascosto con Corvina, nel buio della sua stanza.
Poi, un po’ per abitudine un po’ per l’innegabile fascino magnetico dell’uomo, arrivò a piacerle, affascinata com’era da quel suo essere così oscuro e misterioso…ma col tempo il piacere lasciò nuovamente posto al dolore, l’attrazione alla repulsione, il desiderio alla paura.
Le carezze divennero schiaffi, a baciarla non fu più la sua bocca ma il cuoio di una frusta…ogni volta, per quanto cercasse di dimostrarsi forte, lei gridava, strillava mentre veniva violata in ogni suo orifizio.
Quante lacrime e quanto sangue aveva versato in quei mesi “d’addestramento”?
Aveva solo 15 anni….
Lui diceva di amarla…ma a trattava come una schiava, non esitava a colpirla, a picchiarla a sangue ogni volta che falliva o che lo deludeva…o che  non era abbastanza brava.
Lei sapeva cos’era l’amore, Corvina gliela aveva insegnato, se lo erano sussurrate da ragazze, avvinghiate assieme sotto le lenzuola, se l’erano trasmesso l’un l’altra tramite le loro lingue, l’avevano visto riflesso nei reciproci occhi.
L’amore è rendere felici chi si ama ad ogni costo, amore è sacrificare la propria felicità per quella della persona amata, amore è non osare sfiorarla neppure con un fiore, amore è dare la vita per chi si ama.
Sì, Terra conosceva ben cos’era l’amore…e quello non era amore.
Per lui era solo una graziosa bambola da fottere e seviziare a piacimento, dietro tutte quelle calde parole vellutate Terra aveva sempre saputo che quello che c’era tra lei e Slade non era nulla di più.
Lui le strinse i polsi facendola gemere di dolore, le fitte alle ossa che scrocchiavano la riscossero dai suoi pensieri –Ti decidi  a parlare?!- insistette minaccioso.
-È…è che…non mi sento sicura!- disse tutto d’un fiato.
-Che vuoi dire? Spiegati!-
-R-ricordi il detonatore di Ghostface?- iniziò lei tremante come una fogliolina –Ebbene, visto di cosa è capace, non mi sento affatto tranquilla sapendo che può essere in una qualsiasi parte di questo posto, ovunque l’abbia intanato Ghostface, il pensiero che potrebbe essere attivato…o peggio, distrutto...accidentalmente mi inquieta. Volevo trovarlo-
Terra sperò con tutto il cuore che si bevesse quella mezza verità.
-Fatica sprecata- commentò l’assassino lasciandole i polsi –Ce l’ho io. Era nascosto in uno dei 3562 contenitori di barre al plutonio, al terzo piano della centrale…prevedibile. Era lo stesso con le prime tre cifre del suo numero di matricola ad Auschwitz , quello che ha marchiato sull’avambraccio. Mi è bastato controllarne una decina per trovarlo.
-E adesso dov’è?- domandò Terra con fare sornione, cercando di ottenere col miele informazioni che mai avrebbe ottenuto con l’aceto.
-In un posto sicuro- fu la criptica risposta che ricevette.
-Quale posto?- insistette la bionda.
-Uno sicuro- replicò l’uomo, impassibile come una statua, e il timbro della sua voce disse molto più di quanto non facessero le parole, il messaggio era chiaro: fine discussione.
 
Otto in punto.
Terra girava nervosa la forchetta nel piatto, era in ritardo per l’appuntamento più importante della sua vita, Corvina la stava aspettando, contava su di lei, ma Terra sapeva di non poter andarsene, non senza il detonatore.
Decise di tirare di nuovo in ballo l’argomento.
-Che progetti hai per i Titans? Cioè, adesso che Ghostface è morto, che farai? Continuerai a ricattarli o intendi colpire?-
-Ancora non lo so…- rispose svogliato Slade.
Odiava le chiacchiere a cena, e quando Jonathan era con loro la tavola diventava un vero e proprio simposio filosofico, lui e Terra non facevano che dibattere e discutere del più e del meno, praticamente tutti gli argomenti erano stati tirati in ballo: della poetica di Aristotele al perché i Simpson fossero gialli, dal primo colore della pelle di Hulk al sesso degli angeli, prima parlavano di quanto fosse alto un puffo e poi di cosa fosse per loro l’amore (e nonostante Ghostface fosse a conoscenza del rapporto lesbo che aveva instaurato con Corvina, Terra, dovette stare attenta dosare bene le parole a causa della presenza di Slade)  l’ultimo discorso che avevano fatto era più uno scambio di pareri: preferiresti fare sesso con l’uomo più bello del mondo o con la donna più brutta?
Entrambi avevano optato per l’uomo.
Slade era così simile eppure così diverso dal vecchio.
Lui non prendeva mai parte ai loro dibattiti, e odiava sentirsi escluso da quella che riteneva essere la SUA squadra.
-Tu non hai un piano?- Terra accompagnò il commento ad una risatina sarcastica.
-Forse non ho voglia di dirtelo- replicò il guercio.
-Forse non ti fidi di me- continuò la bionda pungente.
-Forse non ti riguarda!- l’uomo sbattè il pugno sul tavolo facendo sobbalzare Terra e le stoviglie.
La ragazza si ammutolì fissandolo spaventata con occhi straniti, allora, colpito da quegli occhi a lui così cari, Slade frenò la sua collera, non aveva voglia né tempo di litigare, aveva un importante lavoro da svolgere.
Si calmò e riprese il controllo di sé con la stessa rapidità di come l’aveva perso.
-Non hai toccato cibo…che c’è non ti piace?- disse con voce tranquilla, udirla così pacata dopo quello scatto d’ira terrorizzò ancor di più la giovane: quell’uomo era in grado di simulare e dissimulare qualsiasi cosa, era impossibile sapere cosa stesse pensando…davvero inquietante vivere soli con lui.
-N-non ho fame…- mormorò –Da quando Jonathan se ne andato qui è un tale mortorio…-
-Dovresti essermi grata per averlo fatto sparire- la interruppe lui.
-E lo sono- si affrettò a precisare –So bene quanto fosse pericoloso. Solo che ora è tuto così…silenzioso-
-Presto cambierà. Ho grandi progetti per noi. Adesso portami del vino, ho sete-
Terra si alzò al comando imperioso, sempre più nervosa, l’orologio batteva il minuto senza pietà, il rumore della lancetta che si spostava le pareva assordante, ogni movimento era come una scudisciata sulla pelle nuda.
Chissà cosa stava pensando in quel momento Corvina, come si sentiva, se era arrabbiata o triste o delusa o in pensiero per lei…
<Tu sia maledetto, Slade!> quanto lo detestava, e non solo per quello struggente ritardo.
<Vuoi il vino, eh? Spero ti piaccia “speziato”!>
Ghostface non c’era più ma il suo disordine sì: il vecchio lasciava oggetti sparsi ovunque.
“Solo i fessi tengono in ordine, i geni vivono nel caos!” a sentir lui.
Terra si ricordò di aver visto poco prima una siringa di narcotico tra le spezie, conteneva parte della neurotossina della Caravella Portoghese, la ruppe e versò l’intero contenuto nella bottiglia, scosse il tutto per mescolarlo e con un sorriso smagliante in viso tornò alla tavola.
Con gesti melliflui riempì il bicchiere di Slade fino all’orlo, assestandogli un bacio sulla guancia ispida di barba.
-Ecco a te- sorrise tra mille moine.
Terra era una ragazza volubile, dai rapidi cambi d’umore, questo il guercio lo sapeva bene, ma nulla lo insospettiva di più di quando lei gli sorrideva in quel modo.
Annusò dubbioso ma non rilevò nulla di anomalo.
-Tu non bevi?-
-No…non ho voglia- disse quella evasiva.
-Un bicchiere non potrà certo farti male- instette lui più deciso e sempre meno convinto dal comportamento della geocinetica.
-No, davvero…-
-BEVI!- tuonò.
Un comando scoccato come un colpo di frusta.
-V-va bene…- Terra si versò un mezzo bicchiere di vino e lo bevve annacquato tutto d’un fiato.
-Contento adesso?- Slade non rispose  facendo ondeggiare il calice tra le dita, poi bevve adagio.
Al primo bicchiere seguì un secondo, e un terzo…pochi minuti dopo l’uomo era disteso a col busto sul tavolo, privo di sensi.

Tuttavia anche la piccola quantità di narcotico ingerita dalla bionda si stava rivelando troppo pesante per il suo organismo, Terra capì che non sarebbe riuscita a resistere a lungo agli effetti della tossina.
<Devo…andare…da…C-Corvina>
Trascinandosi a fatica con le braccia riuscì a raggiungere la sedia di Slade, strisciando per terra, ormai non vedeva nient’altro che un bianco cupo attorno a sè, ogni cosa aveva perso colore, forma dimensione, non distingueva nulla, allungando la mano dove ricordava ci fosse il corpo dell’uomo riuscì ad aggrapparsi alla cintura di questo, sentiva delle nenie inesistenti nella sua testa che la intontivano, la rilassavano, le intorpidivano il cervello…aveva una voglia matta di addormentarsi in un sonno senza sogni.
Ma non poteva!
Corvina contava su di lei!
Questo pensiero le diede la forza di non cedere all’oblio, di costringersi a ignorare  quei caldi inviti al nulla.
Le dita erano anchilosate, il tatto informicolito ma a tentoni riuscì a trovare quello che cercava: la siringa del siero R!
O almeno lo sperava, non vedeva niente ma sapeva che Slade ne teneva sempre una co sé…assieme ad altre 5 diverse siringhe, tre delle quali cariche di veleno mortale, una di narcotico e una di adrenalina pura.
Quattro siringhe su sei l’avrebbero uccisa, e non sapeva che effetto avrebbe avuto l’adrenalina in quelle condizioni.
Prese la siringa e se la iniettò sulla coscia, pregando che fosse quella giusta, aveva paura, una terribile paura di sbagliare, di morire!
Ma per Corvina avrebbe corso il rischio.
L’avrebbe raggiunta con il detonatore o sarebbe morta nel tentativo.
 
-Uffa..- sbottò Corvina tamburellando infastidita le dita sul tavolo della pizzeria all’aperto.
L’appuntamento con Terra, l’appuntamento della sua vita, era per le sette di sera, ma erano già le otto e mezza e della bionda neppure l’ombra.
Neppure una chiamata.
<Basta, la chiamo io> decise la maga accendendo il T-caller.
Terra infatti possedeva ancora il suo comunicatore Titans, Corvina in persona glielo aveva restituito per tenersi in contatto.
Caso volle che quando Terra era fuggita dall’appartamento a Craven Road l’avesse però dimenticato sul comò.
E caso volle che nel momento in cui Corvina chiamò, l’appartamento non fosse vuoto.
La maga ascoltò la voce dall’altro capo, fortunatamente Terra teneva sempre il viva voce.
-Dov’è!? Dove cazzo è?!  Dove cazzo ha nascosto il mio detonatore quella dannata lesbica!-
Una voce che seppur distorta dall’apparecchio risuonò inconfondibile a quelle orecchie che tante volte l’avevano udita.
-Ghostface- mormorò con una mano davanti alla bocca per non farsi udire.
-Ho frugato ovunque in questo fottuto appartamento! Dov’è!!?-
<È a casa di Stella e Robin!!>
La mezzo-demone sentì la rabbia crescerle dentro al punto da soffocarle la ragione e ogni altra emozione dentro di sé, persino la paura.
Gli occhi le brillarono nuovamente come il fuoco infernale, le mani si contrassero e le nocche sbiancarono.
Il viso era una smorfia di furia: i denti serrati e i capelli sparsi nell’etere come il mantello, fu come se un vento impetuoso la sollevasse verso l’alto.
Neppure Medusa avrebbe saputo assumere uno sguardo più pietrificante di quello dei quattro occhi demoniaci che le coronavano il viso.
-Sei morto!!- ruggì con voce gutturale prima di sparire nel nulla, avvolta dal suo stesso mantello, davanti agli altri clienti che assistettero sbigottiti all’insolita scena.
Corvina si materializzò davanti alla porta C17 del numero 7 di Craven Road.
Attorno a lei le finestre esplodevano, i muri si riempivano di crepe e la ringhiera metallica delle scale si attorcigliava su se stessa.
-GHOSTFACE!!- gridò con quanto fiato aveva in gola, una voce che riecheggiò potente e intimidatoria, senza ricevere risposta –SONO QUI PER UCCIDERT…-
KA-POOW!!
Corvina stramazzò al suolo, sul pianerottolo a tre metri dalla porta, sbalzata via dal colpo di fucile a pompa che aveva sfondando l’uscio centrandola in pieno petto.
Un colpo troppo potente e vicino perché potesse andare a vuoto.
Era caduta a terra senza un lamento, incapace di reagire mentre dal body nero il sangue sgorgava copioso.
Sentiva solo il dolore…un atroce dolore…
E una voce…proveniva dall’interno dell’appartamento -Le tigri non ringhiano finché non hanno ucciso la preda. Dovresti imparare da loro- Ghostface aprì l’uscio sfondato dalla fucilata, ghignando davanti alla sua nemica esanime che ancora rantolava a terra con le ultime energie, a fatica il torace vermiglio assecondava il respiro che si faceva sempre più debole…
Il battito divenne impercettibile.
Con un sordo “c-ckalk” Ghostface ricaricò l’arma da fuoco e la puntò nuovamente su Corvina.
Un agghiacciante sorriso crudele  si dipinse sul volto dell’uomo.
 
 
*Lo so, è un nome scemo e fa ridere ma si chiama così, non l’ho inventato io. È quella acrobazia figa che non può mancare nel repertorio di un killer ginnasta.
 
Come avete letto Ghostface non è morto…e questo al dio Morte non è piaciuto.
Solo una vita può ripagare la morte.
Qualcuno andava sacrificato, mi spiace.
So che ora mi detestate, la morte è morte…ma era da un po’ che non scrivevo un capitolo decente.
 
Ghostface

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 18 ***


CAPITOLO 18
 
-Non avendo io delle tette grandi e morbide come le tue, non nemmeno immaginare il dolore che stai provando ad avercele imbottite di sale grosso- ghignò Ghostface guardando la giovane annaspate ai suoi piedi –Brucia, vero? Certo che lo fa. Guarda il alto positivo, non è piombo: non morirai-
Corvina non riusciva a parlare, a stento era in grado si sollevare il costato per respirare, il dolore al petto era lacerante, bruciava come ferro rovente, le attanagliava la mente, non sentiva nient’altro che il dolore e la rabbia crescerle dentro.
Non riusciva a concentrarsi, neppure a lanciare il più semplice degli incantesimi, la gola era muta, la mente appannata, il dolore le impediva di ragionare con lucidità, di reagire.
Era completamente impotente, inerme nelle sue mani.
Strinse i denti e si costrinse a lanciare uno sguardo impregnato d’odio al vecchio.
Quello lo notò e si fece più serio –Sappi che il dolore che senti adesso non sarà neppure paragonabile a quello che proverai se cercherai di fare una cazzata-
Reggeva l’impugnatura del fucile con una sola mano, spostò la canna puntata sul viso della maga verso l’inguine e la spinse dentro le sue cosce, penetrandola di pochi dolorosi centimetri.
Nonostante fosse avvolta dallo stoffa del body, Corvina sentì appieno la freddezza di quel tubo di metallo che la violava nell’intimità, senza alcun riguardo, era entrato solo di tre dita ma lei ne aveva sentito, e sofferto, ogni millimetro.
-Fa una mossa falsa…e io ti sparo- l’ammonì accarezzando il grilletto col dito –Chissà che male deve fare trovarsi la fica sfondata così…quando si dice penetrazione violenta…-sghignazzò –Una fucilata lì dentro…urg! Non voglio nemmeno pensarci! Spero che tu non abbai in programma di avere altri figli perché la vedo male per le tue ovaie, se premo il grilletto. Sai, il sale è famoso per rendere sterili… -
-S-stronzo…- biasciò lei tra i gemiti di dolore.
Ad ogni secondo che passava i cristalli di sale le bruciavano sempre di più la carne tenera al punto che desiderò mozzarsi entrambi i seni, sentiva quei bianchi chicchi straziarla dall’interno mentre la canna del fucile le forzava la vagina sempre più a fondo, una canna dura, lunga, fredda e spropositatamente grande che il pazzo si divertiva a ruotare dentro di lei, ad ogni giro sentiva il lembo delle mutandine tirare sempre più forte, affondandole nei fianchi e nel solco delle natiche.
Il sottile tanga nero, infatti, si avvolgeva ogni volta di più, assieme al body, attorno alla canna del fucile a pompa ad ogni giro che essa compiva, scoprendo sempre più carne.
-Oh oh…qualcuna non si è rasata- ridacchiò il vecchio quando i primi peli pubici furono visibili –Eri molto più attenta alla tua fighetta a 16 anni; completamente glabra se non ricordo male-
Ghostface poteva vedere la punta del fucile  entrarle nelle grandi labbra messe a nudo.
-E che cazzo, Corvina! Non sei nemmeno un po’ umidiccia! Lasciati andare, forse ti piace anche. Sappi che a me un po’ di attrito non ha mai dato fastidio-
Quei commenti la facevano fremere di accidia, di un ira che non poteva sfogare, raccattò la poca saliva nella sua gola secca e sputò, mirando al viso del vecchio.
Ma lui era troppo alto, troppo lontano, lei stesa a terra, senza forze…lo sputo le atterrò sulla coscia destra, completamente nuda e pallida come il marmo; per forme e colori poteva benissimo appartenere a qualche stupenda scultura greca o rinascimentale.
Il grumo di saliva le colò lentamente all’interno, un patetico tentativo di ribellione, tutto ciò che riuscì a sollevare con quel gesto fu l’ilarità dell’assassino.
Doveva divertirsi da pazzi a vederla così indifesa.
-È bello sapere che almeno una parte di te è succosa- commentò.
Se voleva umiliarla ci stava riuscendo benissimo.
-Te lo hanno mai detto che sei piuttosto carina, “Tette di Pandoro”? Dammi un bacio bella vedova…-
-I-io..no-n s-sono …vedo-va…- rispose quella acida con le mascelle serrate per il dolore.
-Non ancora- ghignò l’altro.
Dopo qualche altro minuto di “divertimento”, Ghostface ritrasse il fucile dalla vagina della strega, caricandoselo in spalla, completamente asciutto.
-Oh! Che sgarbato che sono! Perché non entri a fare quatto chiacchiere?- senza bisogno di ricevere una risposta il killer l’afferrò per le caviglie, trascinandola dentro l’appartamento.
Perché nessuno accorreva dalle altre porte? Perché nessuno veniva a vedere? Ad aiutarla? A salvarla?!
Possibile che non sentissero tutti quei rumori?
Come facevano a non accorgersi di nulla?!
Un terribile pensiero le balenò per la mente: cosa aveva fatto Ghostface a tutte quelle famiglie innocenti?
Ma la realtà era ben diversa, il vecchio non era responsabile di un negato soccorso, un’altra era la turpe verità, introdotta dalla società, che impediva agli inquilini delle altre case di andare a vedere cos’era accaduto sul pianerottolo, si chiamava indifferenza, menefreghismo, paura, insofferenza, egoismo…morbi che attanagliavano quella società formata non da un popolo ma da un insieme di individui che pensavano solo a se stessi.
Un colpo di fucile era un pretesto più che buono per non immischiarsi.
Il corpo perlaceo della maga lasciò una scia di sangue ancora fresco sul pianerottolo e sugli interni mentre quel pazzo psicopatico la trascinava a peso morto, e lei, completamente incapace di reagire era costretta ad assistere indifesa alla profanazione di sé…era di nuovo debole, spaventata, in suo completo potere…come 13 anni prima.
I ricordi delle sevizie subite durante la sua prigionia riaffiorarono più vividi che mai, la fecero rabbrividire nel profondo, le tremarono le ossa e i nervi fremettero a fior di pelle.
Ghostface la sollevò di peso e la mise seduta sul divano.
Corvina provò ad approfittare di quella propizia vicinanza ma non riuscì neppure muovere un dito, il sale era affondato nel profondo del suo seno, dei suoi pettorali, delle addominali, delle spalle, infilandosi tra le costole e provocandole fitte atroci ad ogni respiro, quando provò a muovere il braccio dovette desistere con un grido di dolore, pareva che i muscoli lesi si lacerassero dall’interno tra fiammeggianti tormenti.
Ghostface ridacchiò divertito dall’ennesimo tentativo di sottrarsi a quella situazione, si mise di fronte a lei, a cavalcioni di una sedia messa al contrario, con lo schienale davanti al petto su cui appoggiava gli avambracci incrociati, in una mano reggeva un coltello, nell’altra una bomboletta spray.
-Ora non fare scherzi, Corvina, o giuro che ti scarico tutto il tubetto di spray orticante negli occhi… e allora sarai cieca, a strisciare come una cagna con la fica grondante di sangue, dopo che ci avrò scaricato dentro l’intero caricatore, e con un fucile ficcato su per il culo fino al calcio.
Sarebbe un peccato rovinare così i tuoi bellissimi occhioni viola…o il tuo fondoschiena sexy-
La strega ringhiò piena di rabbia impotente, schiumante di frustrazione, ma non tentò di muoversi…raramente Ghostface minacciava a vuoto.
-Bene, vedo che ci siamo capiti. Adesso perché non parliamo un po’ solo io e te? Come ai vecchi tempi-
-N…non …abb-biamo…nulla da d-dirci…io e…te- grugnì a denti stretti la maga, arrossendo mentre inchiodava quegli occhi carichi d’odio e disprezzo sulle inespressive e criptiche lenti scure.
-NIENTE!- aggiunse nonostante significasse un supplizio per lei, scandire con chiarezza le parole.
-Oh ma davvero? Io non credo. Abbiamo molto da raccontarci, siamo stati lontani 13 anni ma questo non cancella quello che abbiamo fatto, quello che io ho fatto a te…e quello che tu hai fatto a me. Io forse sono il vero colpevole in questa storia…ma tu sei complice di non aver impedito che ciò accadesse quando avresti potuto.
Un anno di tempo hai avuto…e non hai fatto nulla.
Non importa quanto tempo passi, quanto lontano tu possa nasconderti: il passato torna sempre a tormentarti!-
-Io non voglio averci nulla a che fare! Vattene!-
-Tu ti sei cacciata in questa situazione!- la rimbeccò il vecchio più duro che mai –Pensavo che avessi fegato, Corvina, invece sei solo una stupida ragazzina, debole oggi come allora!-
-Sta zittto!- urlò lei con quanto fiato aveva in gola –Tu hai iniziato tutto! TU!! Tu…- singhiozzò mentre grossi lacrimoni le comparivano sugli occhi –E io non potrò mai perdonarti per quello che mi hai fatto…- chinò il capo rifiutandosi di guardare oltre il suo aguzzino.
Ghostface sospirò passandosi una mano sul volto
–Lo so, ho sbagliato. Ho fatto una cazzata madornale, forse la più grande della storia, tutto perché non ho ragionato.
Certe forze non dovrebbero mai entrare in contatto, ma quel girono…quel giorno vedevo rosso, non ero in me, ed è accaduto.
E ora dobbiamo affrontarne le conseguenze…entrambi-
Corvina lo guardò truce sbuffando come una puledra indomita presa al laccio –E allora cosa conti di fare per porvi rimedio?-
Questa volta fu Ghostface a sentirsi messo all’angolo, si prese la fronte nella mano, scuotendo la testa assorto nei suoi pensieri ma senza mai abbassare la guardia.
Il vecchi rimase in silenzio.
-Dimmelo!!- urlò Corvina con voce roca.
-Non lo so, cazzo! Non lo so! Non so nemmeno che tu abbia fatto a vivere così a lungo con questo segreto, con un simile peso per così tanto tempo-
Corvina alzò il capo sdegnosa –Sono più forte di quanto sembro. Io non fuggo dai problemi, come te-
Il vecchio la fissò pieno di triste ilarità, un macabro sorriso nato dall’incredulità –Io…io sarei fuggito? No, scusa, ce l’hai con me? Devo forse ricordarti che siete stati voi a spedirmi nel Tartaro??!!-
-E siamo anche stati generosi!- ruggì Corvina, coi nervi del collo che sembravano rigidi tubi di bronzo.
-Generosi!? Come hai passato questi ultimi tredici anni, Corvina, sentiamo? Salvando il mondo due volte a settimana, scrivendo racconti di successo, guadagnando migliaia di dollari, guardando il sole albeggiare e tramontare ogni giorno, la neve cadere nelle noti fredde che passavi abbracciata al tuo principe verde dopo che i vostri corpi si erano scaldati l’uno con l’altro, potevi mangiare quello che volevi, potevi leggere qualsiasi libro desiderassi, potevi andare in giro dove preferivi…potevi sentire la forza del vento che ti accarezza la pelle!! Quanto ho rimpianto il vento e la pioggia in quella prigione!
Persino l’aria mi era negata! L’aria! Ossigeno vecchio e stantio, caldo, umido e soffocante tenuto per anni stipato in una bombola,  ecco di cosa erano piene quelle fetide celle!- le portò il coltello alla gola –Lo vuoi sapere come li ho passati io questi tredici anni? Li ho passati pensando a te, a quello che avevamo fatto, e a quando sarai riuscito a tornare…la tua email, l’unico contatto umano che ho ricevuto in tredici anni, mi ha dato la carica necessaria per farlo.
Ma quei tredici anni nel Tartaro…li ho passati chiuso in una cella di due metri per due, perennemente recluso a soffocare di noia in uno spazio in cui neppure un cane sarebbe stato rinchiuso, mai una boccata d’aria, mai una luce diversa da quel neon ronzante, un ronzio perpetuo che mi stava facendo ammattire!
Nessuno con cui parlare, 13 anni di assordante isolamento! 13 anni di torture nel fisico e nella mente, Corvina, di torture! Non passava giorno che le guardie non infierissero i più fantasiosi supplizi a quelli come me, rinchiusi e inermi, credimi, nel Tartaro i criminali degni di morte erano sia quelli dietro le sbarre sia quelli fuori.
Mi hanno insultato, straziato ed umiliato, picchiato, mutilato, hanno spezzato ogni mio osso, mi hanno fatto patire la fame per settimane, mi hanno bruciato col ferro e l’elettricità, mi hanno spremuto la mente, hanno condotto esperimenti disumani su di me, mi hanno operato a cranio e a cuore aperto mentre ero cosciente- un colpo del pugnale squarciò il costume di Corvina all’altezza del petto, recidendo il body e il reggiseno.
Ghostface le afferrò un seno ancora gocciolante di sangue, premendo il filo della lama sul capezzolo.
-Mentre tu allattavi la vita coi tuoi seni di madre io venivo vivisezionato!-
-Tredici anni di sofferenza…- riprese lui mentre Corvina restava a guardarlo ammutolita.
Il coltello le accarezzò la pelle turgida dell’aureola senza tagliarla e la punta risalì il torace in mezzo ai seni.
-Tredici anni di solitudine…- la lama le sfiorò la gola.
-Tredici anni senza vedere una donna…- Corvina alzò lo guardo dal coltello al viso di Ghostface, più serio e inquietante che mai, sentì il cuore battere a mille nel petto, la paura di quello che stava per accadere la lasciava già senza fiato, a dispetto del dolore le dita affondavano nei cuscini del divano.
-Ti è accelerato il battito, allora il sentimento è reciproco- sorrise Ghostface, un sorriso sottile e scintillante, freddo e crudele, sadico.
Sembrava un rasoio che sta squarciare la gola della vittima.
Da dietro le lenti nere il vecchio poteva vedere il proprio sorriso riflesso negli occhi sbarrati della maga, colorato da tutta l’angoscia che contenevano.
-Checché tu ne dica, sono umano anch’io… ho degli istinti-
Senza aggiungere altro la mano destra premette con più decisione il coltello sul collo di Corvina, costringendola ad alzare il capo verso il soffitto, contemporaneamente la mano sinistra si fiondava sul seno più vicino, artigliandolo con libidinoso desiderio mentre la bocca di Ghostface si chiudeva sull’altro, fagocitandone il capezzolo.
-Lasciami! Lasciami subito stare, animale!-
Lui la colpì con l’impugnatura dell’arma, facendole zampillare il sangue dal naso, Corvina tacque.
Doveva essere forte, quello che stava subendo…era un orrore inenarrabile ma lei non si sarebbe piegata.
Spezzata forse ma non piegata.
-Hai delle poppe stupende, Tette di Pandoro, sono così grandi e sode…hmmm…profumate…-
Il respiro le si faceva sempre più affannoso mentre sentiva la lingua di lui giocare attorno al suo petto, la mano monca scendeva nel suo corpo, oltre l’ombelico, oltre la vita, sempre più in basso…cercando quel frutto bramato e proibito che si nascondeva tra le cosce perlacee.
Lo trovò.
Sentiva il ferro sulla gola, sentiva la lingua sulla carne, sentiva le lunghe dita fredde dentro di sé.
Avrebbe fatto di lei quello che voleva e lei non poteva impedirlo.
Corvina si maledisse per essere nata donna, voleva piangere ma ricacciò indietro le lacrime, era sempre più spaventata e sempre più nervosa, guardava il soffitto immobile, sforzandosi di trovare un modo per reagire, ma la sua psiche e il suo corpo erano a pezzi, pensò a tutto quello che le era successo, pensò a Terra, pensò a BB, pensò ai gemelli…pensò ad April.
Il suo corpo sarebbe stato sottoposta a chissà quali abusi ma lei non si sarebbe piegata, non poteva, avrebbe sopportato tutto in silenzio senza concedergli nulla, avrebbe resistito per tutte le persone che amava!
Doveva resistere ad ogni costo!!
-AH!- gridò di dolore, stringendo forte gli occhi per attutirlo, quando li riaprì si trovò faccia a faccia col volto ghignate del fantasma.
Aveva ritratto le dita dalla sua intimità, ora teneva la mano dietro la schiena, a reggere chissà cosa.
Un rigagnolo di sangue gli colava dal labbro inferiore, tingendo di vermiglio quella corta barba nivea.
Si rese conto dopo alcuni secondi di provare un terribile dolore al capezzolo, abbassò lo sguardo e lo vide rosso di sangue.
Rabbrividì vedendo il fluido vermiglio sgorgare fuori dalla punta del suo seno colandole sul petto nudo e sul costume stracciato.
Il coltello allentò la sua presa attorno alla trachea, il vecchio depose l’arma e prese con entrambe le mani l’oggetto che nascondeva dietro la schiena, una scatola di legno, con dei fori sul coperchio.
Corvina avrebbe voluto saltargli addosso fargli sputare quei denti scintillanti a suon di botte e cavargli i suoi occhi spettrali…ma non poteva adesso, non era in grado di fronteggiarlo…tuttavia il dolore andava attutendosi…presto, molto presto, avrebbe potuto scatenare la sua furia sul vecchio.
Era questione di minuti.
-Non sarà latte ma penso che andrà bene lo stesso per il mio piccolo amico…-
Ghostface aprì la scatola e con orrore della maga ne tirò fuori uno scolopendra gigante.
L’insetto si contorceva forsennatamente  tra le mani albine, ma le dita erano saldamente strette attorno alla testa e alla coda della bestia, un corpo lungo una trentina di centimetri, anche di più, brulicante di zampe che si divincolavano minacciose e con tenaglie possenti grandi quanto un dito mignolo era proteso verso di lei.
Quando se lo vide a pochi centimetri dalla pelle Corvina urlò di ribrezzo trovando la forza di alzare le braccia per difendere il viso da quelle cesoie che si dibattevano nell’aria.
Ghostface fu rapido e preciso, Corvina sentì una fitta lancinante al petto, l’artopode le era appena stato posato proprio sopra il capezzolo sanguinante e come aveva sentito il calore di quel corpo vivo, l’insetto, aveva stretto le sue molteplici zampe attorno alla carne morbida dei seni, affondando quelle punte aguzze nella pelle sensibile.
-AAA!!!- era come se mille tenaglie fossero chiuse sulle sue le tette!
-Levamelo! Levamelo!!- gridò Corvina allungando le mani per strapparselo via di dosso ma Ghostface le bloccò i polsi costringendola a restare composta.
-Calmati, Corvina, calmati. È meglio per tutti se ora non ti muovi-
Il cuore le martellava nel petto, era a dir poco in iperventilazione e lo scolopendra si avvolgeva sempre più attorno al suo corpo, attratto dal sangue caldo, le zampe si serravano in una presa ferrea e dolorosa, impossibile da ignorare, ma Corvina si costrinse a rimanere immobile.
Lei amava gli animali, visto il marito non poteva essere altrimenti, ma i millepiedi non li poteva soffrire, non si riferiva ai piccoli insettini che si trovano nelle vecchie case ma alle scolopendre quelle orride creature grosse e ripugnati che popolano giungle e paludi, aveva una terribile fobia a riguardo legata a brutti ricordi della sua infanzia.
Poche cose la terrorizzavano più di un millepiedi sulla pelle.
E Ghostface lo sapeva.*
-Scolopendra Gigantea- sorrise il vecchio orgoglioso – Carina, eh? È il membro più grande della sua specie.
Il poveretto è mezzo congelato quindi penso che resterà attorno alla fonte di calore più vicina per parecchio tempo, cioè tu-
-Toglimelo…- disse Corvina con le narici che sbuffavano forsennatamente –Toglimelo, toglimelo o non so cosa potrei fare!-
-Mantieni la calma- rispose quello –Sei una maestra a farlo. Immagino ti stia chiedendo che ci faccia qui il piccolo Chompy, così lontano dall’Amazzonia. L’ho preso per te- ghignò.
Fece scivolare un polpastrello pallido sulle placche color caramello che costituivano l’esoscheletro dell’insetto.
Il vecchio si fece più riflessivo, non serio ma assorto –Sei una ragazza forte, Corvina. Molto forte. Non ho dubbi che tra pochi minuti il dolore provocato dal sale non sarà più un ostacolo per te quindi, per assicurarmi che tu resti buona buona lì dove sei, ho portato Chompy.
Le scolopendre sono creature affascinanti, lo sapevi che con un morso delle loro tenaglie possono troncare un dito senza fatica?
Ti consiglio di stare immobile, ragazza, Chompy è mezzo assiderato e molto molto spaventato, diventa nervoso quando ha paura.
Un suo morso, a parte il terribile dolore che provoca, lo paragonano a un ferro arroventato, ti inietterebbe un potente veleno, sicuramente non ne resterai uccisa ma non sarebbe una bella esperienza.
I recettori sotto il suo esoscheletro gli permettono di percepire anche le più piccole variazioni, come l’accelerazione di un battito, e questo potrebbe spaventarlo e renderlo aggressivo…ti conviene rilassarti e ascoltare quanto ho da dire.
Se sarai brava forse porterò Chompy con me quando andrò via-
Messa con le spalle al muro Corvina non potette che assecondare le richiese del vecchio, si sforzò in tutti i modi di non guardare l’essere che zampettava in mezzo ai suoi seni in cerca di calore, lo sentì muoversi sotto le ascelle, entrare nel costume e finire nella sua schiena.
Lo scolopendra scese ancora più in basso.
-S-si sta m-muovendo- balbettò la maga in preda a brividi freddi.
-È ovvio- rispose il pazzo per nulla turbato, anzi si alzò dalla sedia andandole più vicino, tenendole fermo il viso con una mano la costrinse a guardarlo –Non farci caso, Corvina, è a sangue freddo. Cerca solo il posto più caldo in cui rintanarsi-
-V-vuoi d-dire che…-
-Ti entrerà nel culo? Naa, è un po’ troppo stretto e privo d’aria per lui, penso che punterà alla tua fica, certo potrebbe sempre pensare di “allargare l’entrata” scavandosi una via d’accesso con le cesoie, sono abilissimi nel farsi le tane-
-Ti prego, ti prego, toglimelo!-
-A tempo debito!- ribattè lui freddo più che mai.
-Ho da farti un offerta…- continuò – Io e te abbiamo scatenato forze inenarrabili in questo mondo, forze che potrebbero sguinzagliarsi da un momento all’altro, questo è un periodo molto delicato lo sai benissimo-
Corvina sbuffò ma continuò a restare calma, sempre più calma mentre lo scolopendra si insinuava nel solco tra le natiche –Il tuo arrivo non ha certo facilitato le cose-
-Ma potrebbe- replicò quello –Io ti offro una scappatoia, tu non sei in grado di gestire questo potere, consegnamela e io me ne andrò-
La maga dai corti capelli viola dovette mettercela tutta per non esplodere e sfasciare tutto…ma un morso di scolopendra sul clitoride era l’ultima cosa che voleva.
-Tu invece saresti in grado di gestirla?!- sibilò acida –Non sai nulla di lei, non la conosci nemmeno!-
-So come comportarmi. E so più cose di quanto immagini a riguardo. Io sono l’unica speranza per ritardare l’inevitabile. Sai bene che l’aura di Azar è forte in me, conservo il suo dono da secoli, tu invece, sei la figlia di Trigon, come conti di mantenere l’equilibrio?
Basterebbe la mia influenza e forse l’aura di Azar potrebbe contenere il suo potere per altri vent’anni, forse trenta…lo so, non è molto ma anche un’ora di vita è pur sempre vita.
Questa è la mia offerta Corvina- il tono di voce dell’uomo era cupo, serio, greve, quasi fosse oppresso da un enorme peso, ma la maga sapeva che nessuno poteva portare un fardello più gravoso del suo.
-Tu non puoi capire…- disse guardandolo con occhi lucidi carici di odio, disprezzo e tristezza –Non saprai mai cosa si prova, è impossibile. Solo chi da la vita può capire a pieno il suo valore. Non sai cosa mi stai chiedendo. No, Jonathan. Non accetto. Non lascerò che tu la porti via da me-
-Non penso che tu abbia scelta- ringhiò quello a denti stretti –Stiamo parlando del destino dell’intero pianeta! Questo va oltre quello che tu o io vogliam…-
-Ho io un offerta per te, Jonathan- lo interruppe Corvina –Ti piacerà, vedrai-
Ghostface fece qualche passo indietro, sospettoso –Sentiamo- disse studiando la strana luce che brillava negli occhi della mezzo-demone, le dita della mano accarezzarono l’impugnatura della pistola.
-Prima devi togliermi Chompy- ribattè la strega con voce quasi canzonatoria.
-Chi mi assicura che una volta libera non mi attaccherai? Tu non mi fai paura Corvina, ma voglio una garanzia. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio-
-Che cosa vuoi che faccia?- chiese lei, scontrosa più del solito.
Non sopportava il lato sospettoso di Ghostface, lo preferiva di gran lunga pazzo e psicopatico che lucido e attento, era molto molto difficile ingannarlo quando decideva di seguire la ragione.
-Giura su Azar- rispose il vecchio, calandosi le lenti dagli occhi –Davanti a me-
Mossa astuta.
Corvina era sacerdotessa di Azarath, non poteva mentire sotto quel giuramento, forze maggiori glielo impedivano, inoltre, non sarebbe mai stata capace di raccontare una bugia credibile con quegli occhi di ghiaccio puntati addosso.
Rabbrividì solo a vederli, e fulminea distolse lo sguardo.
Ghostface le assestò un ceffone –Guardami!- il colpo la fece sussultare senza però che lei cedesse all’istinto di restituirglielo con gli interessi, le placche della creatura che stava saggiando con un improponibile lentezza e cura il suo fondoschiena erano un ottima ragione per costringersi a restare calmi.
Sentiva quelle zampette affondarle nella carne soffice e calda della vagina, le stava passando sopra, e pregò che non decidessi di entrarci dentro.
-Non ce la faccio…mi fai ribrezzo- ammise Corvina storcendo il viso.
Lui le prese le guance nella mano costringendola a volgere lo sguardo dritto in quelle pupille di un bianco abbagliante contornate da iridi colo ghiaccio, fredde e morte.
-Guardami e giura-
-G-giuro su Azar c-che non ti sto i-ingannando-
Ogni parola era pronunciata come se avesse un fucile puntato alla tempia, costretta ad uscire a forza delle sue labbra, con tono fievole come un sussurro, insicuro e fragile, spaventato e debole.
Le disse tutto d’un fiato per far finire il prima possibile quell’odiata visione e come l’ultima sillaba uscì dalle sue labbra serrate, le palpebre scattarono più veloci che mai a sottrarre agli occhi d’ametista, stupendi e pieni di vita quell’orrenda visione che nessuno dovrebbe mai trovarsi davanti.
Se guardi a fondo negli occhi di Ghostface vedi la tua morte…e qualcosa Corvina aveva visto.
Dovette usare tutta la sua forza d’animo e l’esperienza acquisita in decenni di meditazione e autocontrollo per convincersi che quanto aveva visto non era vero…eppure le rimase un piccolo dubbio, un pulce nell’orecchio che sarebbe tornata a tormentarla in futuro.
-Bene- sorrise Ghostface rimettendosi gli occhiali sul naso.
Appoggiò una mano sull’interno delle cosce di Corvina e fischiò una strana quanto delicata nota.
Come un cagnolino obbediente, quando Chompy sentì il richiamo smise di esplorare il sedere di Corvina, proprio quando aveva finalmente deciso in quale orifizio infilarsi, e sgusciando sotto le mutandine nere uscì dal cavallo del bodi, scendendo lungo la coscia fino a risalire sulla mano cadaverica del padrone, lì s’arrampicò fino sull’avambraccio e vi rimase attorcigliato.
Come fu liberata da quello sgraditissimo ospite Corvina tirò un sospiro di sollievo, era finalmente libera di muoversi!
E di attaccare…ma aveva giurato.
Era vincolata dagli Antichi a rispettarlo.
Balzò in piedi lieta di poter sgranchirsi le gambe e istintivamente le mani corsero a coprirle le tette rimaste esposte fin troppo a lungo alla vista del killer, che sicuramente ne aveva goduto.
-Qual è la tua offerta?- la incalzò Ghostface, sempre più sospettoso, da bravo conoscitore dell’animo umano sapeva che fidarsi era bene e non fidarsi decisamente meglio.
Non poteva credere a quello che stava per fare, sarebbe stata la cosa più umiliante della sua vita.
Più umiliante che ritrovarsi con la torta  di cinque piani rovesciata addosso durante il matrimonio, più umiliante di quando le si erano aperte le acque al Colosseo, più di quando April le aveva vomitato nella borsetta a tre anni, più di avere delle foto erotiche su internet, più di essere sputtanata davanti ai suoi amici in un video porno, più umiliante di quando Ghostface aveva giocato a suo piacere col suo corpo….ma aveva ottime ragioni per compiere un simile gesto.
Avvicinatasi alla parete poggiò la fronte contro il muro, inarcò la schiena e con le gambe ben divaricate protese il sedere il più possibile verso l’esterno.
-Ecco la mia offerta – disse scostandosi il lembo del costume dal solco delle natiche, mettendo a nudo la sua intimità –io ti offro il mio corpo, lascio che le tue palle si scarichino dentro di me, dove preferisci, potrai scoparmi fin quanto resisterai io non opporrò alcuna resistenza…in cambio tu sparisci dalla circolazione-
Ghostface deglutì restando impalato lì dov’era, dubitando di quanto aveva appena visto e sentito.
Che Corvina prendesse l’iniziativa era decisamente l’ultima cosa che sia spettava.
Dal canto suo, tutto quello che voleva la maga era che tutto questo finisse al più presto, perciò andò strofinare il fondoschiena sul cavallo dell’uomo, sentendo l’evidente erezione di lui premere da sotto i pantaloni contro il suo sesso.
-Che c’è, hai bisogno di un invito scritto? Avanti, fottimi! È questo che vuoi, no? Per questo sei tornato! Fallo e divertiti, dimostra che sei ancora uno stallone, poi vattene e non tornare mai più!- lo incitò lei.
Ghostface si avvicinò, lentamente saggiò le tonde natiche con le dita, che le artigliarono con decisione…si sentiva fremere dentro, con gli anni il desiderio non lo aveva abbandonato, da quanto tempo non scopava una così bella donna, e vedere quel bellissimo culo a sua disposizione, così morbido e invitante lo rendeva terribilmente nervoso ed eccitato.
< Così bella…così giovane…>
Ogni suo nervo era teso allo spasmo, non riusciva staccare gli occhi da quella calda fessura tra le cosce afrodisiache… si morse il labbro e si maledisse.
Allontanò le natiche dalla sua vista con un gesto delle braccia, facendo raddrizzare Corvina.
-No, no, no…copriti- disse scuotendo il capo pieno di rimpianti per aver rinunciato a quella sicuramente stupenda occasione- Non tentarmi, Corvina. Sono uno molto incline al peccato. Ma non è per fottere la tua bella fica calda che sono qui, né per godere del tuo culo sfondato…  per quanto quel buchetto pulsante mi attizzi….sarà per un’altra volta, Tette di Pandoro –
Ancora quel volgare nomignolo!
La prese per le spalle e la girò, i loro visi distavano pochi, pochissimi centimetri l’uno dall’altro.
Non era servito a niente, la mezzo demone sentì la punta del pugnale pungolarle il bassoventre laddove Ghostface le puntava l’arma senza alcuna gentilezza.
-Sai perché sono tornato, e te lo ripeterò molto chiaramente: io voglio…-
La porta si aprì di scatto.
Entrambi si voltarono, e con lo stesso tono sorpreso dissero all’unisono.
-Terra!-
 
La bionda era riuscita a trovare la giusta siringa, e non trovando Corvina in pizzeria, quello era il primo posto che le era venuto in mente di controllare.
Con la bocca spalancata e gli occhi sgranati la giovane non credeva ai suoi occhi.
Ghostface stava puntando un coltello alla sua amata, denudata e con tracce di sangue secco sul corpo, probabilmente lo stesso sangue che aveva imbrattato il pianerottolo.
Seguirono alcuni attimi di interminabile silenzio, un silenzio assordante, tangibile e opprimente, pareva che nessuno dei tre potesse sopportarlo eppure nessuno voleva spezzarlo per primo.
-Mi avevi promesso che non le avresti fatto del male…- mormorò Terra sollevando il sudario di silenzio che li avvolgeva, il tempo riprese a scorrere, il mondo a girare, le cose ad andar male.
Buttò al suolo lo zainetto che teneva in spalla –Me lo avevi promesso!- ringhiò a denti stretti, piena di rabbia nei confronti di quel vecchio che l’aveva usata per i suoi scopi…non era affatto diverso da Slade!
-So che è una frase molto abusata, ma non è affatto come sembra…- iniziò Ghostface con molta cautela alzando in alto l’arma.
Gli occhi della geocinetica assunsero lo stesso colore dei suoi capelli sparsi nell’aria.
Distese il braccio con la mano aperta…poi chiuse il pugno.
Un ammasso di terra, rocce, detriti e asfalto, alto poco meno di Ghostface, sfondò il pavimento dell’appartamento centrando in pieno il vecchio con una potenza d’urto devastante, tale che masso e killer vennero entrambi fiondati fuori dalla palazzina, sfondando la parete.
Mattoni e polvere finirono da tutte le parti ma di questo Terra non si curò, balzando su un secondo macigno si lanciò all’inseguimento del primo che continuava a volare in linea retta ad altissima velocità, col vecchio spiaccicato sopra come un moscerino sul parabrezza.
Corvina avrebbe voluto volar dietro al pazzo assieme alla bionda, aiutarla in quella battaglia…ma qualcosa glielo impedì.
L’impatto tra Ghostface e il masso era stato così violento che Chompy era stato strappato via dall’avambraccio su cui era attorcigliato, lo scolopendra volteggiò in aria per alcuni secondi, contorcendosi nel nulla, poi le sue mille zampette si chiusero come una morsa attorno al collo di Corvina.
-AAAHH!!!!-
 
Terra era troppo lontana per sentire il grido, o le bestemmie grugnite dal vecchio.
-Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo….- Ghostface aveva il torace pressato contro il macigno volante, e parecchie costole rotte, poteva vedere la ragazza che a bordo di un secondo blocco di pietra gli veniva dietro, ruggendo come un leone, trovò la forza di girare il capo per vedere a cosa stava andando in contro.
Vide un terzo masso volare a incredibile velocità in direzione opposta alla sua, diretto dritto dritto su di lui.
Sospirò –Cazzo infinito…-
Aveva solo pochi secondi prima che l’impatto tra i due macigni lo spremesse come un tubetto di dentifricio.
Sfoderò il coltello d’adamantio affondandolo della pietra senza incontrare alcuna resistenza, facendo forza su quell’appiglio Ghostface riuscì ad issarsi in piedi sul masso.
Im momento dell’impatto era sempre più vicino, le gambe barcollavano instabili sul masso volteggiante, i capelli erano sparati all’indietro dal vento contrario che si opponeva con forza devastante, al punto che il vecchio dovette proteggersi il volto con le braccia.
Doveva attendere il momento opportuno, aveva una sola possibilità.
Due secondi all’impatto.
L’adamantio saettò affettando in due il macigno su cui Ghostface poggiava i piedi, il violentissimo scontro mandò in frantumi la prima metà del blocco ma la seconda, quella su cui stava il killer, venne invece sbalzata nel verso opposto, diretta verso terra, con Ghostface a ghignate sopra, il concetto delle sfere di newton aveva funzionato.
Ora Ghostface sfrecciava nell’aria in direzione della bionda che inconsciamente gli stava volando in contro, gettandosi tra le braccia della morte.
Terra s’accorse tempestivamente di cosa stava accadendo, cercò di arrestare la corsa del vecchio ordinando al masso su cui esso stava di inchiodare, ma ottenne solo l’effetto inverso di quello desiderato.
Il masso si fermò bruscamente, bloccandosi di colpo, ma come in un incidente d’auto chi non è legato con la cintura viene scaraventato in avanti così Ghostface fu sbalzato verso la geocinetica ad una velocità ancora maggiore e senza alcun impedimento.
Agile come un felino il vecchio capellone atterrò in piedi sul masso usato da Terra per spostarsi, piegandosi all’indietro evitò il cazzotto con cui la ragazza cercava di accoglierlo e la disarcionò dal suo destriero di roccia con un calcio in pieno ventre.
Terra perse l’equilibrio e cadde dal macigno, Ghostface la inseguì buttandosi nel vuoto.
Lei precipitava in maniera sconnessa gridando di paura.
Lui senza emettere un fiato, col viso perpendicolare al terreno che si avvicinava sempre più. Aereodinamico precipitava sempre più velocemente, puntando Terra come un falco in picchiata con un passerotto.
-Sei mia!-
 
-AAAAAAA!!!!-
Le numerose zampe si avvinghiarono dolorosamente attorno alla gola delicata della maga, ma Corvina era troppo spaventata per pensare al dolore, ora quelle terribili tenaglie si agitavano a pochi centimetri dal suo naso, la testa dello scolopendra ondeggiava avanti e indietro sul suo viso chiudendo le cesoie nel vuoto, ma mirando a colpire la tenera carne del viso della maga.
Corvina era come impazzita a trovarselo così vicino.
Gridava agitandosi come un’indemoniata, cercando di strapparsi quel corpo oblungo di dosso, senza riuscirci, più le mani tiravano le placche dell’esoscheletro più le zampe si stringevano ferrea attorno al collo, strozzandola.
-AAAAAA!!!!-
Forse fu proprio grazie alla paura che riuscì a liberarsi dall’artopode senza danno ricevere, una scarica di adrenalina generata da quella violenta fuoriuscita di emozioni agì autonomamente sul corpo della mezzo demone.
Una saetta nera scaturì dalla Gemma di Trigon che Corvina teneva incastonata in fronte, guizzò nell’aria e si abbatté impietosa sull’insetto che subito mollò la presa, smise di contorcersi e cadde a terra morto.
Corvina rimase immobile alcuni istanti a guardare quella creatura morta ai suoi piedi, a cercare di capire cos’era successo, come avesse fatto a partire un “raggio della morte” dalla sua fronte completamente da solo, le venne in mente quando aveva inconsciamente bloccato il tempo durante l’ascesa di Trigon…doveva essere successo qualcosa del genere, scatenata dalla fobia radicata nel suo subconscio.
Il resto fu quasi automatico.
-Schifo! Schifo! Schifo!- disse storcendo il viso e pestando ripetutamente il cadavere della scolopendra, spiaccicandolo bene a modo su tutto il pavimento.
-Bestiaccia schifosa!!- urlò pestando i piedi su quel corpo ormai informe.
Scosse la testa e rabbrividì –Io li detesto i millepiedi!-
Il collo le doleva terribilmente, alcuni rigagnoli di sangue le facevano da collana, così come il petto, ma non c’era tempo per leccarsi le ferite, doveva subito andare a soccorrere Terra!
Si tirò il mantello sul corpo per coprire il body slabbrato e si lanciò all’inseguimento.
Seguendo la scia di antenne paraboliche abbattute e di cartelloni pubblicitari sfondati, Corvina arrivò fino al luogo dell’impatto tra i due macigni, da lì le bastò guardarsi attorno per individuare che fine avesse fatto la bionda.
Di Ghostface neppure l’ombra, svanito.
Una folla di curiosi circondava spaventatissima il corpo della ragazza esanime stesa sull’asfalto.
La maga si fece largo a gomitate tra i civili per accorrere in aiuto della giovane che aveva sacrificato tuto per lei.
-C-corvina…- biasciò con voce impastata sputando sangue.
-Terra…Terra…mi dispiace…non doveva andare così, avrei dovuto aspettarti…-
La giovane aveva il viso pesto e sanguinante, una gamba piegata in modo innaturale, spezzata ma la cosa più raccapricciante, era il torace orribilmente svetrato.
Il colpo non era troppo profondo, aveva colpito solo superficialmente gli organi ma le aveva sfracellato lo sterno e i muscoli.
Era un bagno di sangue.
La bionda allungò un mano tremante ad accarezzare il volto perlaceo della mezzodemone china su di lei, che le sosteneva la testa e le bagnava le guance con le sue lacrime –La mia Corvina non piange…- mormorò –Mi aveva avvisata di non mettermi sulla sua strada…sapevo a cosa andavo in contro… forse è meglio così…adesso potrai tornare da BB senza che io ne soffra- spuntò un altro grumo di sangue sull’asfalto –S-sto morendo…-
Solo allora Corvina si rese conto di quanto gravi fossero le ferite riportare da Terra, entrambi i polmoni erano perforati, stava affogando nel suo stesso sangue, e il cuore utilizzava tutte le sue energie per concedere quegli ultimi, estremi, disperati battiti necessari per un addio.
-N-non dire così…- singhiozzò la maga con la voce strozzata dalle lacrime, premendo la sua fronte contro quella della bionda –Hanno chiamato un ambulanza, proverò a guarirti…- si guardarono negli occhi sofferenti eppure entrambe si sentirono rasserenate quando le iridi azzurre e viola si incontrarono un’ultima volta.
-Dev-vi tornare indietr…amore mio- ogni parola era più fievole della precedente, la voce impastata era difficile da comprendere ed ogni sillaba spiccicata era una atroce fitta al petto squarciato; ma la geocinetica voleva a tutti i costi portare a termine il compito per cui aveva dato la vita: salvare la vita della sua amata.
-I-il mi..o…zaino…le prove…s-sono tutte …lì-
Ma Corvina neppure l’ascoltava, piangeva disperata china su di lei, solo ora si rendeva conto di quanto tenesse a Terra, solo ora che era troppo tardi, ora che l’aveva persa.
Non voleva ammetterlo neppure a se stessa, ma sapeva che la ferita di Terra era troppo grave e profonda per essere guarita, era solo questione di secondi prima che spirasse.
E lei era lì, costretta ad assistere impotente.
-T-ti prego, amore…perdonami per tutte le vo-lte …c-che ti ho fatt…coff-coff…soffrire-
-Ti perdono, terra! Ti perdono! Ti ho sempre perdonata… non lasciarmi- la implorò stringendola forte mentre i singulti si facevano sempre più intensi.
-T-ti amo…-
La mano moribonda scivolò giù dalla guancia di Corvina, sfiorando un’ultima volta qui setosi capelli viola che tanto aveva apprezzato in vita, un ricordo da portare con sé ovunque si vada dopo la morte.
-Anch’io ti amo- singhiozzò la maga e, incurante degli sguardi sconcertati della folla riunitasi attorno a loro, esaudì l’ultimo tacito desiderio supplicato da quegli occhi azzurri che andavano spegnendosi.
La baciò.
Un ultimo bacio d’addio, per alleggerirle la paura della dipartita, agevolare il passaggio tra la vita e la morte.
Non fu un bel bacio: Terra aveva la bocca impastata di sangue, le mancavano alcuni denti, la lingua non si muoveva e le labbra erano secche e screpolate, uno persino spezzato, ma Corvina insisté affinché almeno per l’altra questo bacio fosse stupendo e indimenticabile, e continuò ad appoggiare la sua bocca morbida e fresca su quella della sua amante, morta per lei, un sacrificio talmente grande che non può essere capito se non da chi l’ha sperimentato direttamente.
Non esiste amore più grande che dare la vita per i propri amici.
Questo Terra lo aveva fatto, due volte.
Terra: una Teen Titans, una vera amica.
Quando infine si separò da lei, Terra era già morta.
Morta con un sorriso sulle labbra.
Morta ma viva nel suo cuore, e sempre lo sarebbe rimasta finché il cuore della maga avrebbe pulsato.
Corvina si alzò in piedi, il mantello la copriva completamente, ma il cappuccio calato sul viso non riusciva a nascondere le labbra vermiglie di sangue e le silenziose lacrime che le solcavano le guance apollinee.
Si guardò intorno, tutti la guardavo allibiti, spaventati, ma lei li ignorò, cercava una faccia tra quella miriade di espressioni, il volto di un fantasma.
Sapeva che da qualche parte, invisibile sopra un tetto, da una finestra, in un tombino, dietro un angolo, dentro un’auto, nascosto tra quella moltitudine di facce…sapeva che lui stava osservando la scena.
Sapeva anche che non stava sorridendo, se lo sentiva dentro, non avrebbe voluto ucciderla ma Ghostface giocava solo il suo gioco, andava avanti nella sua corsa...e non frenava mai.
Alzò gli occhi contro il cielo, col viso contratto in una maschera di rabbia e dolore, le lacrime scintillarono illuminandole gli occhi.
-Mi senti, bastardo?! So che mi senti!! Non me ne fotte un cazzo di quello che abbiamo fatto tredici anni fa, il presente è diverso, io sono diversa! E tu…tu non sei nel mio futuro! Ascoltami Ghostface, ti giuro che presto, molto presto, ti troverò e allora per te sarà finita!! Hai sentito, stronzo?!!?
È FINITA!!!-
 
 
 
*vedi capitolo 16 di Ghostface
 
Questo capitolo è dedicato a tutti gli eroici scolopendra morti nell’adempiere il loro dovere di insetto.
Avviso i cari lettori che lunedì parto e torno giovedì quindi l'aggiornamento del prossimo capitolo arriverà un po' in ritardo purtroppo...ma ne sarà valsa la pena.
Buone vacanze!!
Anche quest’anno è andato, non pensavo che ci sarei arrivato ma è successo: la scuola è finita!!
EVVIVA!!
 
Ghostface

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 19 ***


CAPITOLO 19
 
BB guardava incredulo il contenuto dello zainetto appartenuto a Terra.
-C-c’è proprio tutto!- esclamò dopo aver esaminato ogni singolo dettaglio di quanto la moglie gli aveva portato, aveva anche guardato ad una ad una tutte le foto salvate sulla chiavetta che ora reggeva tra le dita.
L’appoggiò sul tavolo assieme al resto e si voltò verso la moglie.
-C’è proprio tutto- ripeté abbassando lo sguardo sul sinistro detonatore posato assieme agli altri oggetti, lo osservò come ipnotizzato.
-Visto?! Che ti avevo detto?!- gli rinfacciò Corvina sorridente –Penso che lì in mezzo ci sia anche il tuo buon senso, da qualche parte- assunse la solita aria di superiorità che prendeva ogni volta che umiliava il marito, quindi abbastanza spesso, solo che stavolta era intensificata per mille.
-Penso che tu mi debba delle scuse…e un anello con diamant…-
Non fece in tempo a finire la frase, il mutaforma si era già fiondato su di lei circondandole la vita con entrambe le braccia, stritolandola in un fortissimo abbraccio, la fece volteggiare per aria una, due, tre…mille volte! Finché le braccia muscolose non gli dolsero e anche dopo!
-Scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami!!!- riprese fiato –Sono un coglione! Il re degli idioti!-
-Sì lo sei- sorrise dolcemente la maga quando poggiò nuovamente i piedi in terra –Ma sei il mio idiota, e nonostante tutto ti amo…- lo baciò saltandogli al collo. -…anche se non te lo meriti affatto-
-È il compleanno di qualcuno!!-
April irruppe nella stanza nella stanza saltellando allegramente, di solito il giorno del suo compleanno la madre la svegliava con un bacio sulla fronte e suo padre portava in braccio la sua “principessa” fino al tavolo della colazione, che trovava imbandito di ogni leccornia e prelibatezza dolce e salata, fresca e calda…tutte ovviamente comperate.
Poi venivano i Titans, gli amici, la festa, i regali… (ma mai i parenti).
Tuttavia quel giorno i suoi genitori avevano cose più urgenti ed importanti di cui occuparsi, entrambi la ignorarono troppo presi da quel che avevano per le mani.
-Dobbiamo dirlo subito agli altri! Adesso!-
-Chi compie gli anni oggi??-
-Hai ragione BB. Dobbiamo assolutamente dire a Robin che sappiamo, che abbiamo il detonatore, che non dovrà più ubbidire ai ricatti di Ghostface!-
-Quattordici! Quattordici! Quattordici anni! È proprio un bel numero!- trillò incessante la vocetta della ragazzina desiderosa di attenzioni.
BB continuò a rigirarsi tra le dita i vari oggetti e a riporli poi sul leggero tavolino di legno –Come hai fatto a procurartele?- domandò rivolto alla moglie.
Un tasto dolente che Corvina avrebbe preferito rimanesse intoccato.
Che rispondergli? Che dire? Che fare?
Doveva raccontargli tutto di Terra?
Essere sinceri, ecco cosa avevano giurato sull’altare…ma dirgli che per provare di non averlo tradito con Ghostface, gli aveva messo le corna con Terra non era forse la migliore delle idee, specie ora che si erano appena riconciliati.
Lo avrebbe fatto, si promise…più avanti.
-BB, amore mio…- sospirò mesta passandosi una mano sul volto stanco e provato da molte fatiche e da troppo dolore –Sapessi che prezzo è stato pagato per portartele…e la parte maggiore non l’ho neppure pagata io…-
-Che vuoi dire?- domandò lui senza capire.
I due continuarono imperturbati la loro conversazione, BB desideroso di sapere, Corvina desiderosa di omettere; alla fine riuscì a sfornagli una versione plausibile tralasciando ogni dettaglio riguardante la bionda…ma dentro di sé sentiva accrescersi il dolore che dalla morte della sua amante non l’aveva più abbandonata.
Dovette usare tutto il suo autocontrollo affinché nulla trasparisse.
Intanto la cantilenante voce della neo-quattordicenne faceva da sottofondo ai discorsi dei due, cercando in tutti i modi di ricordargli che giorno speciale era quello.
April si dondolava avanti e indietro attaccata di peso alla maniglia della porta canticchiando ad alta voce “tanti auguri a me, tanti auguri a me…” per farsi notare…il che funzionò ma non come lei avrebbe voluto.
La madre la folgorò con lo sguardo –Vuoi stare zitta?! Io e tuo padre stiamo cercando di parlare di cose importanti!- esclamò esasperata coi nervi facciali e i muscoli contratti in una smorfia acida – Hai quattordici anni? Allora mantieni un comportamento adeguato!-
April sbuffò, la stavano rimproverando così duramente il giorno del suo compleanno e ciò la irritava molto, ma fu abbastanza saggia da restare in silenzio.
< I quattordici anni della vostra primogenita non sono importanti?> pensò senza però osar spiccicar parola, si spinse un’ultima volta in avanti, con tutto il suo peso che gravava sull’inadeguato sostegno, diede un forte strattone alla porta: fu troppo per il povero pomello che, gravato dal peso della ragazza, cedette.
Improvvisamente priva d’appiglio, la ragazzina si trovò a cadere verso il pavimento a meno di un metro da lei, istintivamente protese le braccia in avanti , aggrappandosi disperatamente alla prima cosa che le capitò sottomano: il leggero tavolino di legno su cui erano appoggiato le tanto famigerate prove.
Ma il mobiletto anziché sostenerla venne giù con lei, trascinato dal peso dell’adolescente, e cadde verso destra.
April battè forte la testa e le prove furono sbalzate via.
BB e Corvina rimasero ammutoliti, immobili, a fissarle volteggiare nell’aria per tutti quegli interminabili attimi, tutto durò un battito di ciglia ma sembrava che non dovessero toccar terra mai più.
Caddero nel lavello.
-Il tritarifiuti!!- strillò Corvina disperata mentre BB si slanciava in avanti cercando di afferrare il salvabile: fu tutto inutile.
Prima che il verde potesse intervenire sia la chiavetta, sia il copione, sia la lettera firmata da Stryker e Slade, sia le chiavi del covo segreto erano già state risucchiate nello scarico e trasformate in coriandoli.
Fu solo grazie a un miracolo che il mutaforma riuscì ad afferrare, appena in tempo, il detonatore, tenendolo sospeso tra l’indice e il medio sopra il trita-rifiuti.
Pochi millimetri più in basso e anche quello sarebbe divenuto una manciata di inutili rottami.
Il tempo si fermò.
In pochi istanti la maga aveva visto entrambi i suoi gemelli morti, il cuore aveva cessato di batterle, solo quando BB si tirò al petto il detonatore, stringendolo saldamente con un respiro di sollievo, il cuore della mezzo-demone riprese a pulsare al doppiò dell’intensità, facendole salire la pressione…e la rabbia.
-Che cazzo ti è saltato in mente!!??- tuonò coi capelli drizzati sulla testa, con gli occhi pieni d’ira da sembrare una Furia, e le dita serrate tanto da far sbiancare le nocche e affondar le unghie nella carne.
Afferrò April per il bavero della maglia e le tirò un ceffone tale che le girò la faccia dell’altro lato.
Sentì la guancia andarle a fuoco, il dolore era lancinante, improvviso, e l’impronta rossa e pulsante delle 5 dita della madre spiccava evidente sulla pelle perlacea della ragazzina.
Tutto ciò si sommava al dolore che la caduta le aveva procurato, sentiva la fronte pulsare violentemente regalandole ogni volta profonde fitte da farle stringere i denti.
Sentì le lacrime salirle agli occhi, lottò affinché non uscissero.
Persino BB si bloccò smarrito da tale gesto –Corvina, amore…- cercò di calmarla.
-TACI- lo zittì lei, senza però schiodare lo sguardo cagnesco delle iridi profonde, traslucide, spaventate e nerissime della figlia.
-Ti rendi conto del danno che hai fatto?! Della tragedia che per poco non hai causato!?! No, sei troppo stupida per capirlo!!-
April trattenne i lucciconi ricacciandoli indietro.
-Perché l’hai fatto?!- le urlò in faccia la madre, con tono crudo e inquisitore –Dimmi perché diavolo l’hai fatto!!?-
-È…è…è stato u-un i-i-incidente…- balbettò a stento April tentando se non di giustificarsi almeno di difendersi.
Corvina conficcò le sue pupille in quelle della giovane come dei pugnali –TU SEI UN INCIDENTE!!!-  strillò con quanto fiato aveva in gola, fino a farsi male alle corde vocali.
Parole dure, non semplici parole crudeli atte a ferire: erano parole crudeli…e sincere.
April l’aveva capito benissimo, anche lei era un’empate, sua madre stava dicendo la verità, quindi…quindi lei…lei era solo un incidente di percorso, uno sbaglio forse dovuto alla fretta o alla disattenzione, un peso che aveva bloccato le vita da novelli sposi dei suoi genitori, non l’avevano voluta…erano stati costretti dal destino a tenerla.
Quindi, se fosse dipeso da loro…lei non sarebbe mai nata.
In tutti questi anni April era sempre stata certa di essere stata a lungo desiderata dai suoi, per i gemelli era stato così, tutto era pronto per loro prima ancora che Corvina restasse gravida…ma lei…lei era solo un incidente.
Una storpiatura non un dono, qualcosa di fastidioso non di desiderato.
Le si aprirono gli occhi e capì cos’era sempre stata per i suoi genitori: solo un peso.
Peso che erano stati costretti a portare e che probabilmente non avrebbero mai voluto.
Non potevano dirle cosa peggiore.
Anche Corvina lo capì, e quando si rese conto di cosa aveva detto era già troppo tardi.
April era lì, ferma immobile, pallida, fredda… tutto il suo entusiasmo di poco prima era svanito nel nulla…un cadavere in piedi.
Gli occhi erano vacui, spenti, puntati a terra.
Le mani ciondolavano morte lungo i fianchi.
Silenti lacrime che le solcavano le gote erano l’unica cosa che desse segni di vita, oltre al debole movimento del torace che si alzava ed abbassava al ritmo di un respiro impercettibile.
Corvina sentì il cuore della figlia spezzarsi in mille frammenti all’interno del suo giovane petto…e sentì anche la stretta impietosa del rimorso attanagliare il suo, strizzandolo come una vecchia spugna lacera da cui sprizzava sangue e veleno.
-A-April, ti prego…aspetta…- mormorò in direzione della primogenita che pareva isolata in un mondo a parte.
La voce fievole, strozzata dalle lacrime, della madre parve riscuoterla dalla sua trance; alzò lo sguardo e fissò la donna che l’aveva involontariamente generata con occhi gonfi di dolore –Perché?- disse con tono quasi impercettibile, la sua voce era un sussurro spezzato ancor più delicato di quello della madre, un battito d’ali di falena.
-Sei stata costretta ad aspettare quest’ “incidente” per nove mesi…non voglio più esserti di peso-
Prima che la mezzo-demone potesse aggiungere qualcosa la quattordicenne si era già dissolta nell’aria.
Quando April usava i suoi poteri illusionistici era impossibile trovarla.
Corvina cadde in ginocchio, a nulla servirono le parole del marito, cadde in ginocchio e restò lì.
 
Sola.
Ecco cos’era, lo era sempre stata: sola.
Sua madre la odiava, suo padre non la voleva, i suoi compagni la ignoravano, i Titans la sopportavano a stento solo perché era figlia di chi era figlia.
Tre soli amici aveva avuto…e ora neppure uno.
Iella era morta.
Bruce…oh Bruce, l’aveva cercato disperatamente, chiamandolo ogni minuto del giorno: nulla.
Nessuno sapeva dove fosse.
E Jonathan…anche lui l’aveva abbandonata.
Aveva saltato l’ultimo appuntamento e non si era più fatto sentire, probabilmente ea venuta a noia anche a lui.
Voleva solo piangere.
E lo faceva, lo faceva ormai da ore rannicchiata contro le mastodontiche ali di granito della Roccia del Gufo, in cerca di riparo, di protezione dal freddo che iniziava a calare con la sera, dal dolore che la consumava.
Desiderò che l’enorme uccellone di pietra si animasse per portarla via, lontano, sulla Luna, via da tutto e da tutti, lontana dal dolore e dalla sofferenza.
Come in risposta alle sue preghiere qualcosa le sfiorò i capelli, non erano gelide penne di roccia, era una mano, una calda mano che l’accarezzava dolcemente.
-Buon compleanno- disse una voce calda, rassicurante…che conosceva molto bene.
April si voltò verso l’uomo che aveva parlato, asciugandosi gli occhi col palmo della mano.
-J-Jonathan?-
-In carne ed ossa- sorrise il vecchio.
April non ricambiò il sorriso, anzi si girò e tornò a nascondere la testa tra le ginocchia.
-Vattene via-
Ma lui non le diede retta e si sedette accanto a lei.
Restarono in silenzio per alcuni minuti finché Ghostface non fece la prima mossa.
-Mi dispiace non esser venuto al nostro appuntamento, April, e ancor di più non aver potuto avvisarti…-
-Per tre ore!- esclamò la ragazzina voltandosi di scatto verso di lui, carica di rabbia repressa da sfogare sul primo che passa – Ti ho aspettato per tre ore! E tu niente!! NIENTE!-
-Scusami…- disse lui asciugandole le lacrime con un dito –Ho avuto un “imprevisto”-
Solo allora April notò la bianca benda sull’occhio destro di Jonathan, e per la prima volta vide quello sinistro senza la lente nera davanti.
Era bellissimo.
Nero come lo spazio siderale, più scuro del buio, più penetrante di qualsiasi altra cosa, ipnotico.
Faticò un attimo a distogliere lo sguardo da quella pupilla che pareva risucchiare tutto come un buco nero.
-C-cos’hai fatto all’occhio?- chiese un po’ imbarazzata per il comportamento di prima.
-Fa parte dell’imprevisto- rispose quello.
-Pensavo che tu potessi rigenerare ogni parte del tuo corpo…- commentò April, con una puntina di scetticismo.
-Questo è un occhio, piccola, non stiam parlando di un dito o un polmone, è un organo delicato, ci vuole un po’ di tempo- e aggiunse- Inoltre in questi giorni ho scoperto che mi hanno somministrato un sacco di robaccia senza che me ne accorgessi, per qualche giorno resterò arrugginito.
Ma non abbastanza da non poterti spolverare il fondoschiena, all’occasione-
April sorrise, un sorrisetto debole ma divertito e vero.
-Sei una brava allieva, April, la migliore che ho avuto. Impari in fretta e diventi sempre più abile. Oggi però niente botte per te, dobbiamo festeggiare i quattrodici anni di qualcuno, no?- disse alzandosi in piedi, le tese la mano.
La maghetta sollevò il capo, lei e Jonathan parlavano molto durante l’addestramento, avevano imparato a conoscere molto l’uno dell’altra.
Ma c’era una parte del vecchio che April completamente ignorava.
Non si aspettava un simile invito…ma forse avrebbe potuto risollevarle il morale dopo una simile giornataccia…anche se dubitava fortemente che potesse ritrovare l’allegria dopo quello che sua madre le aveva detto.
Afferrò la mano bianca e forte.
Si trovarono uno di fronte all’altra.
-Avanti, cucciola- sorrise lui lisciandole i capelli pieni di foglioline arancioni e rosse –Vatti a cambiare, ti porto fuori a cena.  E mi raccomando, non farti notare-
Si scambiarono una complice occhiata d’intesta poi April svanì.
-Nessuno s’accorgerà di me- disse la voce di lei, che pareva provenire da ogni albero del bosco.
-Ti aspetto tra mezz’ora- rispose il vecchio con le mani in tasca, col sorriso furbesco sul volto e l’occhio nero che scrutava ogni angolo della piccola Radura del Gufo.
 
Poco dopo April si era cambiata d’abito, indossava un bel vestito bianco, senza spalline, tenuto su solo dai seni acerbi, le arrivava al ginocchio, anche le scarpette con appena un accenno di tacco erano bianche, portava attorno all’esile collo una collanina d’argento donatale da Bruce il suo scorso compleanno, e dalle spalle scoperte le pendeva una piccola borsetta lunga e stretta, completamente nera.
Era apparsa dal nulla lungo la strada che costeggiava il bosco, Ghostface la stava aspettando a cavallo dell’Alighieri.
Anche lui in borghese, con una camicia bianca le cui maniche erano arrotolate fino ai gomiti, mettendo in risalto i fasci di muscoli che ricoprivano gli avambracci, e pantaloni lunghi e neri.
I capelli bianchi gli cadevano sulle spalle, il viso era scoperto, immacolato se non per l’iride scura dell’occhio buono.
April si chiese perchè tenesse sempre nascosti occhi così belli, forse nascondere il suo sguardo gli dava un senso di sicurezza.
-Come sto?- chiese la maghetta appena divenne visibile.
-Ai miei tempi una neo-quattordicenne non si sarebbe mai vestita così- replicò quello scuotendo la testa con falso disappunto.
-Tu sei vecchio- ribatté la ragazzina sforzandosi si salire sulla moto senza far vedere troppa carne a chi li avrebbe visti passare, ma sedersi su quell’enorme sellino con quel vestito era una vera impresa.
Si calò il più possibile il tessuto sul sedere e lungo le cosce poi, avvinghiandosi attorno alla vita del guidatore, esclamò –Andiamo!-
Jonathan era stato gentile con lei, molto gentile, e non avrebbe permesso che sua madre le rovinasse quella festa insperata, giurò a se stessa che non avrebbe fatto trasparire nulla del dolore che covava dentro sé.
 
La portò alla fiera sempre brulicante di persone che animava il molo di Jump City.
April adorava quel posto, pieno di bei ricordi.
-Ti sei vestita fin troppo elegante- sbuffò il vecchio appoggiato al tavolino di un chiosco stile “Old Wild West”.
Lei rispose con una linguaccia –Vedrai che ti ricrederai entro la fine della serata- e con fare molto adolescenziale e poco signorile addentò la bistecca che aveva davanti al naso, pur non volendo ammetterlo April moriva di fame, quel giorno aveva saltato pranzo e colazione a causa di quel…di quel…di quel “litigio”.
Quella confessione.
<Cazzo>
Per un attimo le odiose parole pronunciate da sua madre le erano passate di mente, ma ora erano tornate più forti di prima, sentì lo stomaco attorcigliarsi e il cuore salirle in gola, soffocandola.
Smise di masticare e si sforzò di ingollare il boccone, ancora quasi intero, dopodiché allontanò il piatto da sé con ancora la carne quasi intera.
-Non ho fame- disse mesta, con gli occhi bassi, incupitasi nei suoi pensieri.
Ancora non ci credeva…come poteva averle detto una cosa simile, lei, sua madre! Come poteva verla chiamata “incidente”…il suo giovane cuoricino probabilmente non sarebbe mai guarito da un simile colpo, ora una cicatrice indelebile lo sfregiava e l’avrebbe sfregiato per sempre, una cicatrice può sbiadire…ma non scompare mai.
E ciò che più di tutto la faceva soffrire era che era stata sua madre a infliggerle quella ferita.
Se le avessero detto che era nata per una disattenzione dei suoi genitori…sicuramente non l’avrebbe presa bene ma dopo un primo momento di depressione si sarebbe ripresa senza troppe conseguenze, un sacco di gente era nata così in fondo, e loro l’amavano comunque.
Ma l’espressione, il tono la voce con cui sua madre glielo aveva detto, anzi con cui l’aveva accusata di essere nata…questo l’aveva distrutta.
Sembrava che Corvina gliene facesse una colpa e quel che è peggio era che April se ne assumeva la responsabilità: si era convinta di essere un peso, un errore, di essere indesiderata, che i suoi genitori sarebbero stati più felici se lei non fosse mai nata.
Sua madre aveva ragione, era rea del più atroce dei delitti…esisteva.
 
Ghostface non era stupido, pazzo certamente, la sua mente malata si alternava da momenti di folle esibizionistica impulsività, raptus di furia omicida, sadica ilarità e totale imprevedibilità a periodi di una lucidità abbagliante, di una freddezza inumana, in cui una logica gelida e stringente , crudele e approfittatrice, prendeva il controllo della sua mente.
Quelli erano i momenti peggiori, quando ragionava era dieci volte più pericoloso di quando agiva d’istinto.
Quando accadeva era ancor più imprevedibile, e in più riusciva sempre sempre sempre ad anticipare le mosse del suo avversario, anche di giorni.
Ma per quanto variegata, contorta e multiforme era innegabile l’acuta l’intelligenza nascosta dietro quegli occhi di vetro, era impossibile non notare la fine astuzia che lo animava, forse la più letale delle sue armi, un  astuzia resa ancor più pericolosa dal fatto che sapeva di possederla e dalla piena capacità di controllo che Ghostface aveva su essa.
Jonathan era un pazzo, un genio…ma non uno stupido.
Al suo notevole intuito non potè sfuggire la profonda crisi interiore che logorava l’animo e il corpo di April.
-Sei turbata-
-No…tranquillo, sto bene- rispose lei senza alzare gli occhi.
-Non era una domanda. Tu sei turbata-
Stavolta la ragazza sollevò lo sguardo incrociandolo con quello dell’anziano individuo, ricordandosi della promessa fatta a se stessa cercò di assumere un’aria più serena possibile, ma non le riuscì granché –Davvero, John, sto bene. Sono solo un po’ stanca…- 
A dispetto di quel che poteva sembrare Ghostface sapeva trattare con le adolescenti, dei suoi 27 figli alcuni li aveva seguiti lungo la loro crescita, non tanti quanti avrebbe voluto, ma aveva imparato lo stesso qualcosa dall’esperienza.
-Voi donne finirete tutte all’inferno per le bugie che dite…ti va di raccontarmi cos’è successo? O se preferisci, cosa provi adesso?-
Guardando quell’unico occhio così nero e comprensivo, April sentì sciogliersi, le inibizioni e la timidezza che sempre l’accompagnavano si dileguarono come ombre nella notte.
-Ho…ho litigato con mia madre…- ammise dopo pochi secondi di silenziosa incertezza.
Lui rimase in silenzio, accarezzandosi il ciuffo di peli bianchi sul mento, da quel che sapeva i litigi tra April e Corvina erano tutt’altro che rari…se aveva reagito così doveva esserci sotto qualcosa di delicato.
-Su cosa avete litigato?-
Una domanda ben posta, con una risposta molto più criptica –Non…non abbiamo esattamente litigato… mi ha più accusata di…di “una cosa”…-
-Che cosa?- insistette lui.
-Una cosa!…dovevi vederla...come mi ha aggredita…io…io la odio!- April distolse lo sguardo da quell’occhio color carbone- Non mi va di parlarne, ora come ora…voglio solo dimenticare-
I denti aguzzi e luccicanti dell’assassino strapparono la carne infilzata sul coltello, quanto adorava le bistecche al sangue, quanto adorava il sapore della morte.
Lo gustò appieno quel boccone di carne grigliata ma ancora intrisa di sangue.
-Quando avevo dodici anni e provavo a rubare qualcosa dalla dispensa…lo sai cosa faceva mio padre se mi beccava?- domandò affettando un altro pezzo di carne.
-Ti spediva a letto senza cena?- azzardò lei ripensando alle punizioni peggiori che subiva a quell’età.
Lui ridacchio scuotendo il capo –No, no…magari l’avesse fatto…mi spaccava la schiena con un bastone. E come le dava…a quei tempi credevo di odiarlo.
Poi a quindici anni litigai con lui e scappai di casa, mi rifugiai nel fienile di alcuni vicini.
Pochi giorni dopo tornai, non potevo fare altrimenti, avevo fatto una cazzata con una ragazza del luogo*, ero sicuro che mi avrebbe ammazzato di botte…invece non fui io a morire.
Era il 1940, appena iniziata la Guerra, ci fu un rastrellamento…trovai mio padre impiccato a un lampione sulla via del ritorno.
E sai cosa feci? Divenni partigiano per lui, per vendicarlo…solo quando lo vidi appeso per il collo, con gli occhi sbarrati e la lingua di fuori, il viso gonfio e livido, solo allora mi resi conto di quanto tenessi a lui.
Solo quando lo persi.
Ci sono cose che diamo per scontato, April, parole che diciamo senza pensare: amore, odio, morte…inferno…quante volte abusiamo di questi termini? Quante volte le pronunciamo incuranti del loro vero significato? Troppe, bimba mia…troppe.
La gente sottovaluta l’enorme significato che certe parole racchiudono, e le sua senza pensare a ciò che dice…tu non sai cosa vuol dire odio, April…e ti auguro di non scoprirlo mai-
Un'altra fetta di carne sparì tra quelle labbra sottili e fredde.
-Quando torni a casa, va da tua madre e non importa come ma fa la pace con lei, dille che la ami e vedrai che lei farà lo stesso.
Hai sperimentato quanto rapidamente possono colpire le tragedie, se qualcuno o qualcosa vi separasse e l’ultimo vostro ricordo fosse un litigio, credimi: non te lo perdoneresti mai-
Chissà come avvenne, sarà che mentre pronunciava quelle parole, Ghostface aveva gli occhi bassi, sarà che erano effettivamente molto vicini l’uno all’altra…ma tutto d’un tratto il vecchio sentì qualcosa di soffice e caldo cingergli il petto.
Un calore a lungo dimenticato…a lungo desiderato.
Un abbraccio.
April lo stava abbracciando.
Per poco il boccone non gli andò di traverso.
-Grazie…- mormorò lei strusciando quel musetto da gattina contro le spalle larghe del vecchio.
Sì, ancora una volta Ghostface ebbe conferma dell’enorme potere le parole.
Un po’ adagio, forse impacciato, forse imbarazzato anche lui ricambiò l’abbraccio, stringendo forte ma con delicatezza quell’esile figura così fragile e così piena di voglia di vivere.
Sciocca!
Non aveva idea di cosa l’aspettava.
April gli ricordava terribilmente Stella Rubia, quando ancora andavano d’accordo, tanti e tanti anni addietro, allora lo abbracciavano entrambe le sue nipotine, ma le dita pallide dell’anziano fluivano gentili solo tra i capelli rossi della secondo genita…per Stella Nera c’erano sempre stati gli artigli, sia che si mettesse a destra o a sinistra.
Ogni tanto la sognava ancora…le chiedeva scusa…scusa per essere stato così insofferente nei suoi confronti, per averla usata, per averla schierata contro la sua famiglia, per averla abbandonata…per averla uccisa.
Ma ogni sua supplica, ogni invocazione restava sorda all’orecchio della defunta nipote, che restava immersa come l’omerico Aiace in uno sferzante silenzio, aleggiando pallida di ragnatela lunare assieme alla moltitudine di spettri che popolavano i suoi incubi.
Come con suo padre, Ghostface si era reso conto troppo tardi i quanto fosse legato alla sua piccola Amalia, fiore nero, dopotutto erano molto, troppo, simili.
<Se solo potessi tornare indietro…>
Ma del senno di poi son piene le fosse…questo lui lo sapeva bene.
<Perché mi hai salvato, Terra? Sarebbe stato meglio per tutti, per te soprattutto, se fossi rimasto a morire in quella tomba di cemento…ma ora sono libero, con un obbiettivo davanti che dovrò portare a termine…troppo codardo per suicidarmi, troppo determinato per desistere, troppo sicuro di me per fermarmi>
-Jonathan- la voce squillante di April lo riscosse dai suoi tetri pensieri.
-Jonathan- lo chiamò di nuovo lei richiamandone l’attenzione.
Quando l’occhio nero di lui fu di nuovo posato sulle iridi ancor più scure della quattordicenne, essa riprese a parlare –S-so che non ci conosciamo da molto….ma…ma tu mi hai salvata- balbettò timidamente, giocando nervosa con una ciocca di capelli come fosse una ragazzina, cosa che effettivamente era –Mi hai salvata senza sapere il perché, o chi fossi, l’hai fatto e basta… ti voglio bene-
-Anch’io- sorrise il vecchio passandole le dita callose sulla nuca, quei lunghi capelli setosi erano identici a quelli di Corvina, solo molto più lunghi.
-Tu…tu per me sei molto più di un maestro, più di un amico…tu per me sei qualcosa di speciale, qualcosa di…di diverso. Sei come un…un…-
-Un padre?- azzardò lui interrompendola.
-Un padre? Naaa- sorrise April con una smorfia-Quello ce l’ho già, e poi sei troppo vecchio. Tu sei come un nonno, per me-
-Già…un nonno- ripeté Jonathan con lo sguardo basso, dal tono sembrava quasi deluso.
 -Devi volergli bene a tuo padre- aggiunse –Ne ha a fatti di sacrifici per te…-
<E molti ancora ne farà>
Si diedero un’ultima abbracciatona e poi si separarono, nel farlo April notò un numero marchiato sull’avambraccio di Ghostface.
7389965.
-Cos’è questo?- domandò ingenuamente indicandolo col dito.
Se avesse riflettuto un attimo probabilmente si sarebbe risposta da sola ma invece era andata a toccare quel tasto dolente.
-Un ricordo…- rispose Ghostface posando la pupilla su quel numero impresso su di lui.
-Un marchio che ho portato con me dai lager…- a quelle parole April sbiancò, anche se vista la sua carnagione fu un cambiamento impercettibile, come poteva essere stata così scema da chiedergli di un simile argomento??!!
-Io adoro Dante…- riprese il vecchio –Tuttavia c’è un difetto nella Divina Commedia: Il Purgatorio e il Paradiso saran come ha detto lui…ma l’Inferno…quello l’ha completamente sbagliato.
L’inferno io l’ho visto, l’ho vissuto.
L’inferno è aver fame e non poter mangiare, aver sete e non poter bere, aver freddo ed essere nudi, chiedere aiuto e trovare botte, vedere la morte che sempre ti cammina a fianco senza sapere quando colpirà te o la persona che hai a lato, essere esausti e restare in piedi per ore al freddo pregando di evitare l’ennesima fucilazione, fare una doccia e venire divorati dall’angoscia che anziché gelida acqua esca gas, vedere cadaveri putrefatti ammassarsi ogni giorno di più, stagliarsi contro il debole sole che vedi solo da dietro le barriere di filo spinato fino a nasconderlo, cercare un viso amico e trovare solo altre decine, centinaia, migliaia di topi, un tempo uomini, messi l’uno contro l’altro, che lottavano a morte nel fango per un tozzo di pane, che come te vagano disperati nella neve, scheletri ricoperti di pelle che tossiscono per il fumo dei fuochi che alimentano coi loro stessi corpi, fuochi che non scaldano, fuochi che bruciano e avvelenano.
Quanti orrori…cose che nemmeno puoi immaginare, i documentari, i resti dei campi, le testimonianze di chi come me è sopravvissuto…non sono niente rispetto a quello che si passava in quei ritagli d’Inferno.
Ho visto angeli cadere sul filo spinato, soffocare…nelle camere a gas.
Ho visto padri, madri, figli, nonni, fratelli…come bestie sui treni partire…come Cristi con le loro croci arrivare… come fumo nel vento li ho visti salire, svanire sospinti da un gelido vento che spezzava le ossa a chi ancora respirava e spargeva quelle ceneri su tutta la terra-
April era spaventata, come poteva non esserlo dopo aver udito quelle cose, a scuola e a casa le avevano raccontato molto dell’argomento ma quello che vedeva riflesso nell’occhio di Jonathan, al rievocare di tali ricordi…era qualcosa di angosciante, indescrivibile.
-Se ti stai chiedendo se rifarei le stesse scelte, la risposta è sì, dalla prima all’ultima.
Diventare un Gufo Nero mi ha portato ad Auschwitz, ma ho combattuto a lungo sulle montagne, ho salvato vite…altre ne ho uccise.
Soldati tedeschi e italiani non più vecchi di me, alcuni probabilmente non avevano mai conosciuto le cosce di una donna, all’inizio mi sentivo in colpa, poi quando le rappresaglie delle SS si intensificarono, allora mi sentivo un eroe.
Dopo che mi deportarono non rividi più nessuno dei miei compagni partigiani, li ho cercati per decenni e non ne ho più saputo nulla.
Quelle persone erano mugnai, contadini, postini, calzolai, ladri, disertori…ma erano liberi, liberi e coraggiosi. Indomiti -
April aveva ascoltato assorta ogni singola sillaba del racconto del vecchio, gli occhi le brillavano di ammirazione, rimase in silenzio per il tempo che le parve opportuno, lasciando cadere la testa sulle spalle muscolose…
-Jonathan, non te l’ho mai detto…ma da quella note nel capannone, dove quei…quei pervertiti volevano stuprarmi, da allora anche se eri un perfetto sconosciuto, tu sei diventato il mio eroe…-
Ghostface sbuffò scettico vuotando metà del boccale di birra mentre ancora la giovane gli cingeva la vita, appoggiata contro le sue spalle ampie.
-Gli eroi non uccidono- borbottò portando nuovamente il bicchiere alle labbra, bianche di schiuma e di antico pelo.
-Sono un assassino. Posso insegnarti a difenderti, a diventare un’arma che respira…ma non ad essere un’eroina-
-Io non voglio essere un eroina- rispose April fissandolo dritto negli occhi, seria, glaciale…irremovibile.
Quelle parole erano una ferma decisione fatta a suono.
-Mia madre è un’eroina, mio padre è un eroe, sconfiggono i cattivi poi loro ritornano e li fanno soffrire…tanto soffrire, invece, quelli che tu hai ucciso nel capannone, quelli non daranno più fastidio a nessuno.
C’è un nuovo criminale in città, Ghostface lo chiamano, anche lui è stato sconfitto ed è ritornato.
Ha fatto cose orribili ai miei cari, a me, alla mia famiglia…
Io voglio essere sicura che la prossima volta che lo incontreremo…non torni più-
 
 
*vedi capitolo 15 Ghostface
 
Ok, mi scuso per l’enorme ritardo, ma nonostante siano iniziate le vacanze ho un sacco di roba per le mani, perdonatemi ma il 17 parto ancora per la route del mio gruppo scout (non posso mancare) e prima del 22 non penso ci saranno altri aggiornamenti di questa storia (posso provare a fare un capitolo e postarlo domani ma dubito) quel che più mi dispiace è che dovrete attendere per leggere il seguito di questo capitolo…perché infatti, per la prima volta nella Trilogia del Rigor Mortis, c’è un capitolo diviso a metà, questa è solo la prima parte!
(l’ho fatto semplicemente perché era troppo lungo)
Spero vi sia piaciuto, e scusate ancora, mi rifarò in un futuro molto prossimo.
Mi permetto di anticiparvi che la parte due sarà molto meno “blablablosa” e molto più “WTF?!”
Conoscerete un lato molto particolare dei nostri due personaggi…non dico di più.
 
Ghostface

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 20 ***


CAPITOLO 20
 
Eccomi tornato con la seconda parte del capitolo 19!
Onde evitare casini (come la penultima volta) tendo a precisare che il penultimo paragrafo contiene una certa descrizione che la gente facilmente impressionabile e i ben pensanti farebbero meglio a saltare.
Io vi ho avvisato.
 
-Bè, siamo qui per divertirci, no?- esclamò Ghostface drizzandosi in piedi facendo sobbalzare la sua accompagnatrice –Basta pensare alle brutte cose del passato o del futuro, godiamoci il presente e andiamo a festeggiate, “nipotina”!-
April non se lo fece ripetere due volte!
 
-Buuuu! Fate schifo! Sparate come mia nonna! Siete ei tappetti, sapete solo farvi battere!- Ghostface stava letteralmente svuotando i banchi del tiro a segno uno ad uno, lasciando a mani vuote tutti gli altri giovani giocatori.
Vinse l’ennesima volta, gli fu consegnato anche l’ultimo premio in palio, un gigantesco panda di pezza.
-C’erano sei colpi in meno di quelli che avevo pagato, il mirino era fallato, i colpi deviavano tutti a sinistra e 10 bersagli erano incollati alla base …non è stato difficile- commentò consegnando l’orsacchiottone alla sua accompagnatrice.
-Bene. Ora.. dov’è che facevano lo zucchero filato? - disse issando la carriola, presa in prestito da uno scaricatore, straripante dei vari premi che tutti i bambini attorno a loro guardavano con i lucciconi agli occhi.
Occhiate più aggressive erano quelle dei giostrai che si erano trovati i colpo coi banchi svaligiati.
-Allenatevi a sparare, nanerottoli, oppure sparatevi tra di voi- li canzonò il vecchio sfilando davanti alle decine di bambini delusi.
April non ci trovava nulla di divertente in quelle faccette mogie.
Si affiancò a Jonathan –Sai, non è necessario sbeffeggiarli così-
-Cosa?!- replicò quello mezzo stupito –Metà del divertimento sta negli sberleffi!-
Rassegnata, April si limitò ad alzare gli occhi al cielo –Almeno lascia loro i premi, tu che te ne fai?-
-Se li volevano dovevano vincerli- ribatté –E poi li ho vinti per te-
-Allora… - rispose a tono April- …visto che sono miei, ho deciso di regalarli ai bambini. Tutti-
Poi ci ripensò un attimo stringendo al petto il panda gigante –Tutti eccetto il panda- precisò.
Ghostface odiava i bambini.
Rumorosi, puzzolenti, ingenui, fastidiosi…bleah! Il peggio del peggio!
Ma volle accontentare la ragazza il giorno del suo compleanno.
-Uffa…- sbuffò rovesciando a terra il contenuto della carriola, i due si allontanarono ma rimasero a guardare la folla di bimbi che si avventava sulla montagna di balocchi abbandonata.
La scena incupiva sempre di più il vecchio che avrebbe volentieri cosparso di benzina giochi e marmocchi per poi accendersi un sigaro.
<Sì, un bell’incendio è quello che ci vuole> rimuginava tra sé e sé.
Tuttavia si trattenne, non tanto per la sua paura del fuoco quanto per la sua “nipote occasionale” che sorrideva davanti all’allegra scena, assieme a decine di altre persone attirate dal trambusto.
Tenendo a braccetto da una parte Ghostface e dall’altra il panda, April non potè fare a meno di sentirsi una gran benefattrice dell’umanità.
-Visto come sono felici?- disse mentre la massa di bambini andava scemando man mano che la catasta di regali veniva privata dei suoi componenti
-Sciacalli. Vedrai che tra tre gironi non li guarderanno neppure più quei giochi. Poi lo trovo diseducativo, non ci sarà sempre qualcuno ad elargire ciò che desiderano- replicò cinico come al solito l’uomo dai bianchi capelli.
-Per una volta non muore nessuno- commentò l’altra, che aveva sempre detestato quel tipo di ramanzina sul cavarsela con le proprie forze, ramanzina con cui la madre la tartassava fin troppo spesso.
-I giovani d’oggi devo imparare a sudarsi le cose- continuò  a brontolare Ghostface prima che April lo trainasse in un altro stand.
La ragazzina la fece da padrone per quasi tutta la serata, e nonostante il vecchio trovasse noiose o addirittura nauseanti la stragrande maggioranza delle attività da lei scelte decise di accontentarla come meglio poteva.
Voleva che quella serata fosse perfetta.
Doveva essere perfetta.
 
-Perché mi hai portata qui??- piagnucolò April davanti alla pista del bowling.
Un pista piccola, con solo sei corsie, ma ben attrezzata.
Molti amanti dello sport andavo ad allenarsi lì.
-Oggi hai scelto sempre tu…- replicò Jonathan intento a specchiarsi sulla lucida palla nera che reggeva tra le mani -…fammi fare almeno qualcosa che piaccia a me-
-Vuoi dire che non ti sei divertito prima?- una domanda decisamente ingenua da parte di una così sveglia ragazza.
-Sinceramente? No. Non mi sono divertito-
April rimase quasi sbigottita da quel cinismo così improvviso –Potresti almeno fingere il contrario!-
-Pensavo che a voi donne piacesse la sincerità…- quelle parole la fecero pensare a quanto Bruce si era dichiarato, a quando le avevano spiegato per la prima volta cosa significava quel sangue che aveva trovato tra le cosce un mattino dell’anno precedente, a quando sua madre le aveva rivelato che lei era un incidente…
I suoi guai avevano avuto inizio con la sincerità.
Abbassò lo sguardo massaggiandosi il gomito –In realtà…non è che mi piaccia poi tanto la sincerità…-
Ghostface spostò lo sguardo dell’iride nera dalla boccia, scura come l’occhio stesso, ad altre due sfere nere, gli occhi di April –So cosa stai pensando- le disse – La verità fa male, ferisce, è dura e cruda e soprattutto la verità non si può cambiare. È naturale, specie alla tua età, preferire le morbide bugie che ti fanno sembrare la vita un po’ meno difficile, che ti tengono viva la speranza… ma ignorare la realtà circondandosi di illusioni è pericoloso, è come abitare un castello fatto di nuvole: basta un soffio d’aria perché il castello si sfaldi e noi precipitiamo a schiantarci contro le asprezze della vita- infilò le tre dita della mano monca nei tre fori della palla da bowling, all’inizio quella mano mutilata faceva senso ad April, la ripugnava vedere quelle dita mozzate, eppure non poteva fare a meno di guardarla e questo la metteva ancor più a disagio, ma non poteva farci niente, i suoi occhi ne erano attratti magneticamente.
Col tempo poi si era abituata, adesso erano gli occhi, anzi l’occhio, nerissimo di Jonathan ad attirare la sua attenzione, un occhio che non aveva mai visto prima….
Anzi, sì!
Aveva già visto quegli occhi neri! Ne era sicura!
Ma dove? Dove??
Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare.
Ma sapeva di averli già visti.
Il rollare della palla sulle assi di legno la riscosse dai suoi pensieri come l’alba riscuote dal sonno.
La sfera rotolava veloce eppure sembrava non dover mai arrivare a destinazione.
-Ascoltare solo ciò che si vuole sentire sarebbe come vivere nel giardino dell’Eden senza mai toccare il frutto proibito- riprese Jonathan tenendo fisso lo sguardo sui birilli –Condurre una vita da scemi, lontano dal dolore ma immersi nella stoltezza, ignorando che al mondo c’è il bene e c’è il male-
Tutti i birilli caddero con fragore.
Strike!
Jonathan non esultò, fece alcuni passi indietro e riprese la boccia nera tornata al suo posto.
La porse ad April.
-Adesso prova tu-
La ragazza prese la palla con entrambe le amni, pesava un casino –Ma io non sono capace- cercò di dire ma Ghostface non volle sentire ragioni -È tutta questione  di esperienza, se non cominci non sarai mai in grado di farlo-
Titubante April inserì le dita nei tre fori, per poco la sfera non le cadde su un piede!
-Uff…è difficile!-
-La vita è difficile-
A fatica avvicinò la palla alla pista di lanciò e diede la spinta con quanta forza aveva, la palla barcollò pigramente sul legno, raggiungendo quasi la metà del percorso prima di scivolare in una delle corsie a lato senza essersi neppure avvicinata ai birilli.
-Visto? È impossibile!- fece April stizzita incrociando le braccia.
-Con questo atteggiamento di sicuro!- replicò lui prendendo una nuova palla, stavolta rossa e fiammante, April poteva specchiarcisi nei minimi dettagli, era buffo vedere il proprio viso deformato su quella superficie curva e liscia.
-Segui i miei consigli- le disse porgendole la boccia.
April la prese, volendo fidarsi.
-Innanzi tutto liberiamo le gambe- disse arrotolandole l’abito da sera sopra la metà delle cosce –Sei l’unica che giocherebbe a bowling vestita così- sghignazzò.
Quando sentì le dita di lui a contatto con la pelle nuda delle sue cosce April sentì un brivido percorrerle la schiena, le venne la pelle d’oca…ma non era un brivido di freddo o di paura…era qualcosa di diverso…di strano eppure piacevole, qualcosa che voleva risentire.
L’abito bianco stonava alquanto con le scarpe rosse e verdi che aveva dovuto indossare all’entrata, e l’idea di mettere i suoi piedini in suole intrise del sudore di sconosciuti non le era andato per nulla a genio.
-Una gamba avanti e una un po’indietro, assumi stabilità – la guidò con la voce e col corpo facendole assumere la giusta posizione, era alle sue spalle, premuto sopra di lei, col suo braccio che guidava quello esile di April all’indietro, facendole caricare il colpo.
Il volto di Ghostface poggiava nell’incavo delle spalle della ragazza.
Poteva sentire il suo respiro calmo e caldo sulla guancia
Le gambe dell’uno parevano essere una cosa sola con quelle dell’altra, così come la schiena di April e il ventre di Jonathan, anche il suo petto era premuto contro le scapole della ragazza in modo delicato ma indivisibile, e così il bacino di uno premeva sul sederino dell’altra.
April sentì di nuovo quel brivido.
Sentire i loro corpi a stretto contatto, così vicini l’uno con l’altro, la faceva stare bene…molto bene.
Un sorriso involontario, nato spontaneamente, le colorò il viso.
Le piaceva quella sensazione.
Ma lui si staccò pochi secondi dopo, facendo morire quel gradevole senso di calore e accettazione che aveva pervaso April poco prima.
-Bene ora che sei nella posizione corretta, concentrati!-
April deglutì.
-Ora chiudi gli occhi…-
-Ma se chiudo gli occhi come faccio a mirare?- protestò lei che non capiva il perché di tale gesto.
-Non hai bisogno di mirare, devi sentire dentro di te dove sono i birilli. Ti fidi di me?-
Lei annuì e calò le palpebre.
-Ripeti. Io sono la palla-
-Io sono la palla-
-Io sono i birilli-
-Io sono i birilli-
-I birilli sono i miei nemici-
-I birilli sono i miei nemici-
-Anche io sono il mio nemico-
-Anche io sono il mio nemico
-Solo distruggendo me stesso potrò trovare la pace e la vittoria…-
-Che stronzata…- ridacchiò la ragazzina aprendo gli occhi e perdendo la posizione assunta poco fa.
-Avanti, John, non mi sembra il momento di fare filosofia. In fondo è solo un gioco, si tira la palla e come viene, viene-
Ghostface faticò molto a mantenere la calma, sentiva i nervi affiorargli sotto la pelle.
-Il bowling non è “solo un gioco” è molto molto di più. È uno stile di vita-
Disse altezzoso prendendo un’altra boccia, stavolta azzurra.
-Vedi April ci sono molti modi per interpretar il bowling, per me il bowling è come una strada, la strada è una sola ma tu puoi percorrerla in tre modi. Puoi andare a destra, a sinistra…oppure stare nel mezzo… e vincere- tirò e fece un altro strike.
-In ogni caso devi sempre andare avanti, senza mai fermarti- concluse Jonathan mentre in fondo alla pista i macchinari risistemavano i birilli caduti, sostituendoli con dei nuovi.
-Ma è pericoloso stare in mezzo alla strada- protestò April.
-Grazie al cazzo!- sbottò lui esasperato - Questo lo so anch’io. Ma essendo una strada figurata è sott’inteso che non passino automobili.
Ora tira, intanto m’informo se Capitan Ovvio ha bisogno di una spalla.
E mi raccomando: concentrati-
April fece spallucce e tirò un po’ molto alla vacca di cane.
La sfera rossa procedette a zigzag come un serpente, per poi indirizzarsi verso la corsia a lato della pista, ben lontana dal suo obbiettivo.
April stese la mano e gli occhi le brillarono.
-Azarath Metrion Zinthos-
La palla rossa divenne nera, come avvolta da oscure lingue di fuoco, pareva un piccolo sole di tenebra che rotolava.
Cambiò improvvisamente la sua direzione, andando dritta dritta contro i birilli.
La boccia incantata sfondò la fragile barriera davanti a sè come se nemmeno ci fosse stata: tutti i birilli caddero…eccetto uno.
A quel punto la palla fece retromarcia e lo colpì buttando a terra anche l’ultimo rimasto dei suoi nemici, per poi scendere finalmente oltre il margine della pista e ritornare quindi al punto di partenza.
-Ehi! Così non vale!- protestò Ghostface, a cui non era sfuggito l’imbroglio, solo un cieco non se ne sarebbe accorto.
-Sei tu che mi hai detto di concentrami- ribatté quella con un sorrisetto furbesco sul viso.
 
Uscirono solo quando April riuscì a fare strike onestamente.
Erano quasi le due di notte.
La luce dei lampioni affievoliva l’oscurità, il soffuso sussultare delle onde contro il bagnasciuga accompagnava i passi leggeri della quattordicenne e quelli sicuri, marcati del vecchio
-Si sta facendo tardi…forse dovrei rientrare…-
-Lo capisco…-sorrise Ghostface.
April lo superò voltandosi di colpo, si trovarono faccia a faccia –Grazie per la bella serata, nonno. Ne avevo davvero bisogno- una seconda volta le braccia di April si chiusero attorno a quel corpo troppo vecchio e freddo, sciogliendolo in un tenero abbraccio prontamente ricambiato.
Quando si separarono April fece per allontanarsi ma lui la richiamò –Prima di andare…sarebbe troppo chiederti di concedere un ballo a un povero vecchio?-
Lei sorrise e gli corse incontro, insieme si recarono alla pista da ballo, sull’estremità del molo.
A dispetto dell’ora la pista pullulava di giovani scatenati.
Ragazze con toppini minuscoli, giovani strafatti di fumo e  di birra, laser che tagliavano la notte, risa e schiamazzi a tutto spaino, e con la musica sparata a palla che rendeva difficile dialogare.
April si sentì a casa ed era felicissima di aver indossato il suo sexy abito da sera.
-Aspetta qui- le disse – Scambio due parole con il “digei”- dalla tasca dei pantaloni estrasse una chiavetta.
-Cos’è quella?- gli chiese lei che non vedeva loro di gettarsi nella mischia e scatenarsi.
-Un pezzo che ora ti faccio sentire-
-Sarà mica la quinta di Beethoven – lo schernì April, anche se il sospetto che lo fosse era più che fondato.
-Ti sembro il tipo da musica classica- sorrise in risposta allontanandosi sempre più –Solo una parola bimba mia: metallo!!- esclamò facendo il segno dei metallari con la mano destra.
 
Quando Jonathan tornò il pezzo era già cominciato con un assordante assolo di batteria.
-Non male per un vecchietto come me, eh?- sorrise trainandola al centro della pista da ballo, facendosi largo a spallate.
-È forte!- annuì lei –Che pezzo è?- domandò urlando per farsi sentire.
-L’ho scritto io tredici anni fa, scritto e inciso, l’ho dedicato alla persona a cui tenevo di più allora: me stesso.
Io lo chiamo: GhostMetal!-
La voce registrata iniziò a cantare cavernosa da far paura, ma era riconoscibile a chi appartenesse.
-Scateniamoci!- trillò April iniziando una serie di movimenti asensati, sconnessi e convulsionali che la sua generazione chiamava “danza”.
Il vecchio rimase a dir poco allibito, pareva posseduta dal diavolo per come agitava quel corpicino.
Le note assordanti del GhostMetal risuonarono per tutto il lungo mare.
 
I am be dangerous now
Not me hurt
When stairs fell down
Me pushed by you me hit head
Me nose broke, soon you be dead
Soon you be dead
 
So strong my face is
You punch break fingers
Kick me, you're limping
Stab me, you're bleeding
I am be dangerous now
You throwing rock at me
Hit eye and it no hurt me
I'm strong, you're not
You're not
 
I'm making time for fighting
I'm clearing time for hitting
We'll meet and I will beat you
Our schedules permitting
I pick out fighting outfit
Don't want my pants too tight
Need clothes to breath to beat you
You'll be beaten down tonight
 
I'm so fucking tough
I'm so fucking tough
That's right
I'm so fucking tough
I'm so fucking tough
That's right
 
I will put you down
I will make you drown
I will make you bleed
I am filled with speed
I cannot feel pain
I might be insane
I am victory
I write history
Feel my fist
On your face
You hate this
I feel great
 
 
-E così…- disse April mentre si allontanavano da quella bolgia impazzita di carne sudata – Ti porti sempre dietro una chiavetta con su inciso questo brano? Strano forte!-
-Non si sa mai quando può servire- replicò lui –E poi ormai pensavo avessi capito che sono un tipo piuttosto strano-
April sorrise, lo guardò in quell’occhio scuro, scurissimo, come i suoi, e gli saltò al collo –Sei fantastico!- esclamò stringendo così forte la presa da soffocarlo, gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia scavata, poteva sentire i denti sotto la pelle.
Lui, riscossosi dall’inaspettato gesto lo ricambiò con una scompigliata di capelli…adagio adagio il sorriso sottile che aveva in volto però si capovolse, Ghostface assunse un’aria talmente seria da far paura.
-April devo confessarti una cosa…- disse dopo interi minuti di opprimente silenzio afoso.
Non attese una risposta e continuò, si fece coraggio e dopo un bel respiro ammise –Sto per lasciare Jump city-
-COSA!!??- April non credeva alle sue orecchie –NO! Non adesso! Non puoi! Non lasciarmi sola! Ti prego…ormai ho solo te…- per la seconda volta, in quel giorno così speciale i caldi lucciconi ararono le guance della giovane.
Jonathan s’inginocchiò davanti a lei mettendole le mani sulle spalle.
La fissò dritta in quegli occhioni lucidi, arrivando a sfiorarle l’anima con lo sguardo.
-Devo partire, ho dei lavori da svolgere, luoghi da visitare, persone da incontrare, vite da distruggere, roba da rubare…ascoltami, April…io non ti sto abbandonando. Ti offro un’opportunità: vieni via con me-
Quelle parole la pietrificarono.
-P-partire c-con te?- ripetè lei titubante, tremava come una foglia all’idea di partire e lasciarsi tutto alle spalle…per sempre.
-E dove?-
-Dove vorremo. Saremo solo noi due, io e te, c’è ancora molto che voglio insegnarti, molto da scoprire, sei giovane April, hai tutto un mondo da esplorare, vieni con me e ti porterò in luoghi che hai solo sognato.
Vivremo liberi, e nessuno potrà dirci cosa fare o dove andare…non saremo mai più considerati un intralcio-
Quella parola…
Quell’ultima parola…era come…come se lui sapesse…
Gli tornò in mente le crudeli parole che sua madre le aveva sputato in faccia quella stessa mattina.
Un peso.
Un’incidente.
Un’indesiderata.
Un intralcio…
Ecco cos’era…cos’era sempre stata, solo ora però lo capiva.
Per questo sua madre era sempre stata così dura con lei…
Forse lei e suo padre non si sarebbero neppure sposati se lei non fosse arrivata inavvertitamente.
Non l’aveva mai voluta e gli altri non erano da meno, si era introdotta nelle loro vite scombussolando tutti i loro piani…ma ora finalmente capiva, tutto era più chiaro.
Forse….forse era davvero meglio così.
Forse i suoi genitori, la sua famiglia, tutti i suoi cari sarebbero stati meglio se lei fosse sparita dalla circolazione definitivamente.
Com’è che si era definito Jonathan? Ah sì un matto…ma anche un angelo.
L’aveva sempre aiutata, sempre consigliata per il meglio…forse era destino che si incontrassero, che andassero via insieme e vivessero vagabondi le loro vite avventurose, due reietti insieme contro vento e contro tutti.
Però…però…però se il destino voleva così…com’era che non riusciva a sopportare l’idea di separarsi per sempre dai suoi? Com’è che le venivano le lacrime a pensare di abbandonare i suoi amati fratellini…e poi…non era vero che tutti l’odiavano…c’era Bruce, lui c’era sempre stato per lei…lui l’amava.
Ma lei amava lui? O era qualcosa di diverso?
La voce calda come caramello fuso di Jonathan la riscosse dai suoi pensieri.
-Non sei obbligata a rispondermi adesso April, se vuoi non devi neppure rispondere.
Io partirò tra tre gironi, il tempo di compiere ciò per cui sono venuto, alle nove davanti alla Roccia del Gufo.
Ti aspetterò fino al levare del sole, poi andrò.
E se vorrai tu potrai venire con me-
La mano delicata le accarezzò i capelli e poi la guancia, April ci strofinò contro il viso umido di pianto, stringendola con quanta forza aveva…perché il destino la metteva sempre davanti a simili scelte?!
Ghostface riprese a parlare, sempre inginocchiato di fronte a lei –Qualsiasi cosa tu scelga, voglio che prenda questo- estrasse un crocifisso da sotto la camicia, lo portava appeso al collo, un semplice crocifisso di ferro a croce greca, con su inciso un α nel braccio sinistro e un ω nel braccio destro, era pesante e spesso –Questa è la chiave se le cose dovessero andare male- disse tenendolo tra le dita.
Allargò il cordino del ciondolo, se lo sfilò e lo mise attorno all’esile collo di April , il pendente  era poco più grande di una moneta da un dollaro, le cadde in mezzo ai soffici seni adolescenti, battendo più volte su quel giovane petto che batteva all’impazzata…
-Ma per favore! Non dirmi he sei diventato uno di quei profeti apocalittici- disse sforzandosi di trattenere le lacrime, preferendo mostrarsi sferzante che triste.
-La fine del mondo è arrivata 14 anni fa, solo che questa società corrotta non se ne è ancora resa conto. So che non sei cristiana, April, ma tieni bene a mente questo simbolo…potrebbe salvarti la vita a te e a chi ti sta a cuore, un giorno-
April avrebbe voluto aggiungere qualcosa, qualsiasi cosa, ma una voce glielo impedì.
-APRIL!-
-Bruce?!- la ragazza si voltò di scatto e vide il mezzo-tamaraniano correrle incontro, volse nuovamente la testa verso il vecchio inginocchiato ai suoi piedi ma lui…lui non c’era più.
Era sparito, volatilizzato come un’ombra tra le ombre, evaporato…
Che si fosse sognata tutto? No…no era successo davvero, il crocifisso che le pendeva sul petto ne era la prova.
-April tutto ok?- chiese il ragazzo dopo averla raggiunta, vedendola confusa e smarrita.
Per un momento la ragazzina fece per confessare quanto era accaduto poco prima ma poi si ricordò della promessa fatta al suo bizzarro amico –Sì...è tutto ok-
-Meno male! È da quando sono tornato a casa che ti cerco! Mamma mi ha detto che volevi vedermi…scusa se non ero presente quando avevi bisogno io…- lei gli tappò la bocca con un dito –Va tutto bene…non c’è bisogno che ti scusi. Ho trascorso lo stesso una bella serata-
-Forse sono in ritardo…ma volevo darti questo- disse lui arrossendo fortemente, porgendole una scatolina incarta.
-Buon compleanno, April-
La maga aprì il pacchetto e al suo interno trovò uno splendido anello d’argento, istoriato secondo geometrie incredibili, forgiato alla maniera tamariana, c’erano almeno un centinaio di sottilissimi nastri metallici che si intersecavano tra loro formando quell’unico anello che riluceva come una stella alla luce della luna, non c’era un solo legame uguale all’altro eppure tutto era un’assoluta armonia di forme e colori.
Incastonate tra quei fili d’argento c’erano gemme di ogni forma e colore, alcune anche inesistenti sulla Terra, minuscole a vedersi ma ognuna diversa dall’altra.
Mai gli occhi della ragazza si erano posati su un gioiello più bello.
Nessun orafo sulla Terra sarebbe stato in grado di imitare una simile maestria di fattura.
-Uao….- April era senza parole –È…è magnifico. N-non so cosa dire… grazie!-
Si rimirava l’oggetto che le luccicava nel dito, era davvero splendido.
-Ti piace, allora.- sorrise lui –Ho dovuto fare un bel viaggio per procuratelo…ma adesso ogni volta che lo vedrai penserai a me…-
April gli balzò al collo, proprio come con Jonathan, e come a lui gli schioccò un bacio, stavolta però sulle labbra –Io ci penso sempre a te, Bruce- sorrise la ragazza stringendolo forte quasi per soffocarlo
 –Ti va di riaccompagnarmi a casa?- chiese quando finalmente i due giovani si separarono.
-Strada lunga?- propose lui porgendole il gomito.
-Strada lunga-
I due si allontanarono a braccetto.
 
Nell’ombra una longilinea figura aveva assistito a tutta la scena, per nulla compiaciuto.
Ghostface si tolse la benda dall’occhio, perfettamente formato, color del ghiaccio, insostenibile.
<Sette lenti a contatto ho dovuto indossare per camuffarmi l’iride> pensò imprecando mentre cercava di toglierle dall’occhio “truccato”.
Spazientitosi se lo cavò ringhiando di rabbia anziché di dolore, una rabbia e frustrazione dovute a un motivo ben più importante del fastidio delle lenti a contatto.
Mise la benda sull’orbita vuota ed essa si tinse di un rosso cupo, sempre più scuro, ma lui non ci fece caso, rimase appoggiato al muro, protetto dal buio, a spiare i ragazzi che si allontanavano mano nella mano.
Rimasto solo al freddo, Ghostface s’accese una Marlboro, inspirò a pieni polmoni l’assuefante sapore del fumo e s’incamminò per la sua strada.
Sentiva l’amaro in bocca, non della sigaretta, l’amaro di sapere di essere stato sconfitto…lui odiava la sconfitta… lei non sarebbe partita, non finché quel ragazzo l’avrebbe fatta sentire amata.
-Bene…vuoi il gioco duro? Allora giochiamo!-
-xxx-
 
April era entrata di nascosto in camera sua, passando dalla finestra, non voleva che i suoi genitori sapessero che era tornata.
Si spogliò e con indosso solo le mutandine bianche e la maglia del pigiama s’infilò sotto le coperte, esausta, non riusciva neppure a tenere alzate le palpebre.
Sfinita desiderava solo farsi un buon sonno e dimenticare almeno per un po’ tutto ciò che le era accaduto, scivolare nell’oblio, nella dolce e beata ignoranza dei sensi.
Eppure.
Eppure nonostante la stanchezza non riusciva a dormire.
Si rigirava nel letto cercando una posizione comoda senza trovarla, si sentiva agitata dentro, come se un fuoco le ardesse nel basso ventre.
Non era lo stress o l’ansia della decisione impostale da Ghostface a tenerla sveglia…era qualcosa di diverso…di molto più carnale.
Qualcosa che la tormentava da quando Jonathan le aveva sfiorato le cosce…era eccitata.
< È assurdo> si disse <Jonathan ha millanta anni più di me, è solo un amico e io per lui sono solo una “nipote” adottiva, nulla di più…>
Ma il suo corpo non volle sentire ragioni.
Non era la prima volta che lo faceva, anche se le capitava veramente molto molto raramente.
La mano scese istintivamente verso il basso, verso la sua intimità, soffermandosi solo davanti alla leggera barriera delle mutandine di lino.
Prese a tastare la calda fessura tra le gambe da sopra la stoffa, si sorprese da sé a trovarla già umida, intanto l’altra mano s’era insinuata sotto la maglia, i capezzoli erano già turgidi ed evidenti sotto la maglia lilla, svettavano dai seni sodi ancor prima che le dita giungessero a tormentarli.
Decise di gustarsi il momento.
Cominciò dedicandosi alle sue tettine piccole ma sensibilissime, ci giocò, le palpò le mosse, le strinse le accarezzò, ne tirò e ne torse le punte lasciandosi sfuggire qualche mugolio soffuso di piacere.
Adorava giocare col suo corpo, anche se spesso non ne aveva voglia, e dedicarsi ai seni l’eccitava moltissimo.
Tentò persino di leccarli ma non ce la fece, erano ancora troppo piccoli, riprese allora a seviziarne le punte con le dita, infradiciandosi le mutandine.
Quando infine i capezzoli rosei furono turgidi come chiodi le dita scesero in cerca di qualcosa di più morbido e caldo in cui infilarsi.
Non fu una ricerca impegnativa.
April si sentiva bruciare di desiderio.
S’abbassò le mutandine zuppe fino al ginocchio e le sue dita rapaci si chiusero sul frutto succoso e gonfio d’eccitazione che aveva tra le cosce.
Si accarezzò con furia tra le gambe scuotendosi la fica come un’ossessa mentre nei suoi pensieri, nelle sue fantasie era un’altra persona a sbatterla, più grande, più forte, più anziano…
-Jonathan…- invocò quel nome mentre il primo ditino si faceva largo tra le pieghe fradice della carne, penetrandola.
Non poteva credere a quello che stava facendo eppure si sentiva così bene nel farlo.
Come poteva essere sbagliata una cosa così piacevole?
Fu costretta a mordere il cuscino per soffocare i gridolini di piacere mentre un secondo dito raggiungeva il primo dentro di lei.
L’altra mano intanto si dedicava a tartassare il clitoride eretto.
Non volle inserire dentro se stessa un terzo dito, le sembrava eccessivo, si chiese come sua madre potesse accogliere dentro di sé il membro del padre, che doveva sicuramente essere ben più grosso di tre dita, che già a lei procuravano dolore, e ancor di più si stupì ricordando che da quella umida fessura un giorno sarebbe uscito un bambino…eppure si sentiva così stretta.
In breve dimenticò i suoi dubbi concentrandosi al massimo sul piacere, mugolii e gemiti soffusi uscivano dal cuscino, troppo fievoli per essere uditi troppo intensi per venire ignorati.
Dopo pochi minuti passati a masturbarsi sotto le coperte finalmente April raggiunse il culmine del piacere.
Venne affondando il viso nel cuscino per soffocarle l’urlo che nacque spontaneo dalla sua gola ansimante.
Rimase immobile a fissare il soffitto per alcuni minuti, spossata col cuore che le martellava in petto, poi dopo essersi tolta le mutandine fradice d’umori e averle nascoste sotto il letto si raggomitolò soddisfatta nelle lenzuola, nuda dalla vita in giù pronta a farsi una serena dormita.
Si sforzò di ricordarsi di cambiare le lenzuola il giorno seguente.
Diede un’ultima occhiata al panda gigante che Jonathan aveva vinto per lei, e che ora stava in un angolo della sua camera, sorrise.
Non si sentiva affatto a disagio per quello che aveva fatto, non si preoccupava di pensare a Bruce che l’amava mentre lei si toccava pensando ad un altro uomo, molto più grande di lei, non si curò del bacio che aveva dato a Bruce solo mezz’ora prima, dormì serena, tranquilla, appagata e soddisfatta.
I sensi di colpa sarebbero venuti a tormentarla con nuovo giorno.
Quella notte l’avrebbe passata in pace con se stessa; April s’assopì con un tenero sorriso da cherubino sulle labbra, stringendo forte il complice cuscino tra le braccia, il suo ultimo pensiero fu per l’audace guerriero dai lunghi capelli bianchi che le aveva cambiato la vita.
 
-xxx-
 
Dopo aver stretto l’ultimo bullone Slade si concesse un momento per ammirare i suoi artefatti.
Ci aveva lavorato per giorni, macchine stupende, ciò era innegabile.
Quanto ingegno, quanta passione quanto dolore ci aveva messo per fabbricarle… e loro, loro sarebbero state gli artefici, o meglio gli artificieri, della sua vendetta.
-I miei informatori mi hanno riferito che Corvina ha assassinato Terra a sangue freddo, dopo aver scoperto che lavorava per me. Le ha strappato la gola a morsi davanti a una folla, incurante di tutto- una fredda, insensibile lacrima secca, una lacrima fantasma, solcò il viso asciutto dell’uomo –Per ogni occhio un occhio, per ogni dente un dente…- disse sollevando tra le mani la sfera di metallo di sua creazione, mirandola alla luce della lampada –Per ogni vita…molte altre-
La poggiò sul tavolo assieme alle sue tre gemelle.
-Il tempo di darvi la voce…e tutta Jump city sentirà la mia vendetta.
Un grido che non sarà dimenticato, che durerà anni, che si leverà in tutta la città, da ogni bocca!-
 
 
 
 
Come avrete intuito dal discorso fatto dal mio caro alter-ego anche Alive si avvicina alla fine, durerà un po’ di più dei suoi prequel, ma non molto ancora.
Lo so che ci sono ancora molte domande senza risposta ma non temete, prima che appaia la parola “fine” avranno tutte risposta.
Ci risentiremo presto con un nuovo capitolo di Alive in cui vedremo formarsi un inaspettata alleanza.
Alla fine di questa storia, credetemi, i sopravvissuti non saranno molti.
 
Ghostface
 
 
p.s.- Non ho esagerato con la parte riguardante il “passatempo” notturno di April, vero?
 
p.ss- il GhostMetal è in realtà una revisione del BatMetal, per chi fosse interessato qui c’è la traduzione del pezzo sopra riportato.
Britannia delenda est!!
 
((TRAD:
Sono pericoloso adesso
Non sento male quando cado come un fesso
Mi schiacci e colpisci la testa forte
Io ho il naso rotto, tu presto la morte!
Presto sarai morto!
 
È così dura la mia faccia
Il tuo pugno si sfascia
Se mi calci, poi zoppichi
Se mi infilzi, poi sanguini
Sono incazzatissimo adesso!
Mi lanci una pietra
Colpisci l’occhio e non faccio una piega
Io sono forte! Tu no!
Tu no!
 
Ho il tempo di combattere
Ho il tempo di colpire
Ci incontriamo e a mazzate ti prendo
Sempre tempo permettendo
Prendo il mio completo da combattimento
Non voglio un pantalone troppo stretto
Ho bisogno di vestiti traspiranti
E stasera ti spacco di netto!
 
Sono così fottutamente duro
Sono così fottutamente duro
Proprio così!
Sono così fottutamente duro
Sono così fottutamente duro
Proprio così!
 
Vi stenderò tutti
Ti farò annegare 
Ti farò sanguinare
Sono pieno di velocità
Non sento il dolore
Potrei essere pazzo
Sono la vittoria
Scrivo la storia
Senti il mio pugno
Sulla tua faccia
Tu lo odi
Io mi sento grande))

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 21 ***


CAPITOLO 21
 
Giornata fiacca per Corvina.
Finalmente!!
Dopo tante settimane di ansia, tensione, sbagli, rabbia, angoscia e opprimente paura si era finalmente presa un giorno di riposo.
Era un’eroina ma anche lei doveva lavorare per mantenere la sua famiglia, pagare il mutuo, le tasse e le bollette, considerando poi che il marito non era di nessun’aiuto.
BB spendeva ma non faceva entrare.
E lei era in ritardo di un mese sulla consegna del suo nuovo romanzo “Memorie dell’Ombra: Vecchi riflessi”.
Il suo editore si era dimostrato molto comprensivo con lei, specie dopo tutto quello che aveva passato, essere un’eroina la impegnava due giorni su tre, in questo periodo poi col rapimento della figlia, la morte e convalescenza dei suoi amici, l’essere stata rapita a sua volta, tutti i vari complotti di cui era venuta a conoscenza, la sua crisi familiare e sapere che c’era un criminale del calibro di Ghostface a piede libero per Jump city, pronto a colpire chissà dove e chissà quando.
Le aveva concesso due mesi di margine aggiuntivo per la consegna più due settimane di riposo, ma allo scadere il nuovo romanzo doveva già essere pronto, aveva un contratto da rispettare e lo stesso redattore aveva dei superiori ben più in alto: il marketing non si ferma davanti a nulla.
Così si era presa un giorno di ferie dalla sua vita.
La situazione sembrava essersi stabilizzata: Rick e Ruby erano a scuola, BB era fuori casa con April e lo sarebbero rimasti a lungo, stavano aiutando i Titans nelle ricerche di Robin.
Il leader infatti si era volatilizzato dalla notte al giorno senza dare nessuna notizia di sé, non un messaggio, non una chiamata, aveva lasciato a casa persino il T-Caller, era irrintracciabile.
L’ultima che lo aveva visto era stata Stella Rubia, si era addormentato al suo fianco dopo aver fatto l’amore e dopo averle sussurrato un sospettoso numero di volte che l’amava più di ogni altra cosa e che l’avrebbe sempre protetta.
Non era da lui comportarsi in maniera così oscura, aveva imparato molti anni addietro a fidarsi ciecamente dei suoi compagni.
Anche se ora che erano tutti a conoscenza del ricatto che subiva da Ghostface era più che comprensibile un simile atteggiamento misterioso.
Lei avrebbe voluto essere là fuori coi suoi compagni, impegnandosi al massimo per rintracciare il loro leader, l’unico a ignorare che ora il detonatore si trovava al sicuro nella cassaforte della T-Tower, ma quando si era proposta sia il marito che la figlia che Bruce che Stella Rubia le avevano detto che se la sarebbero cavata bene anche da soli, conoscevano bene Robin.
Le dissero che aveva bisogno di riposo o rischiava un esaurimento, e quando Corvina aveva un esaurimento nervoso succedeva sempre cose terribili a chi le stava intorno.
Così volente o nolente era rimasta a casa a fare l’unica cosa che la rilassasse oltre alla meditazione: scrivere.
Anche se era a corto di ispirazione e battere sulla tastiera era una vera tortura sapendo che i suoi compagni erano in giro alla ricerca di Robin, senza di lui i Titans si sentivano smarriti, era il loro leader, la loro guida, la loro luce nelle tenebre…ma ora era lui ad essere smarrito.
<Speriamo che lo trovino prima che faccia qualche cazzata>
Nessuno l’aveva detto ma il tacito pensiero era comune: forse ora che non aveva più il detonatore, Ghostface aveva fatto la sua mossa spinto dalla fretta, e Robin era costretto con lui.
Corvina ci pensò su, forse era un bene, in fondo Robin faceva quasi sempre la scelta giusta, probabilmente l’avrebbero trovato in tempo oppure Ghostface si sarebbe tradito, o avrebbe fatto un errore spinto dalla mancanza di tempo, come quattordici anni prima.
-È inutile pensarci – si disse –Tanto vale darsi da fare-
Rimase immobile alcuni minuti, in piedi nel salotto a fissare il pc sul tavolo, il foglio Word era vuoto, salvo per il titolo “Vecchi Riflessi: capitolo 18”.
Sorseggiava il suo infuso di erbe amare in cerca d’ispirazione.
“Memorie dell’Ombra” era una raccolta di libri che costituivano in realtà le sue memorie, in versione romanzata, la protagonista era la giovane sedicenne Rachel, avventurosa ragazza piena di oscuri misteri e aspirante strega, figlia bastarda di un misterioso e malvagio necromante, che abitava la gotica Parigi del diciottesimo secolo con la sua nuova famiglia adottiva, che ignorava le sue doti ultraterrene.
Finì di gustarsi la tisana e si sedette davanti al monitor, riprendendo da dove si era interrotta.
 
“Rachel si costrinse ad essere forte, impugnò la lanterna e a passi felpati s’introdusse nella cantina di casa sua.
Per quanto fosse impercettibile il tocco delle pallide dita nude sulle scale, le vecchie assi di legno scuro non facevano che tradirla stridendo e gemendo come in preda a un’infernale supplizio.
Persino il suo corpo la tradiva, le tremavano le mani, i passi erano insicuri, la sua carnagione diafana risaltava molto più di quanto lei desiderasse in quel buio così fitto.
Col cuore in gola l’avventurosa sedicenne ingoiò la paura che la soffocava con dita di ghiaccio, le parve che il sangue le coagulasse nelle vene tale era la tensione.
Finalmente era arrivata, mancava solo un gradino.
Aveva paura.
Paura che dopo quel gradino non ci sarebbe stato più nulla, solo il vuoto, paura che in quel buio nulla fosse come sembra.
Temeva che oltrepassato quell’unico punto certo sarebbe sprofondata nel baratro.
Avvolta nel vuoto.
Altri gemiti soffusi le giunsero alle orecchie.
<Mamma, papà!> non poteva aspettare, doveva farsi coraggio e andare avanti.
Puntò il fascio di luce sulle tenebre che si diradarono fulminee, spaventate dall’unica cosa in grado di spezzarle.
Però Rachel continuava a non vedere.
Non riusciva ad aprire gli occhi per il troppo terrore di cosa avrebbe potuto vedere.
Gemiti, urla, invocazioni, attutite da qualcosa, forse dal buio stesso.
Una volta aperti gli occhi non ci sarebbe stato più il buio…solo la verità, ed era questa che Rachel temeva più di tutto.
Adagio la palpebra dell’occhio destro si sollevò, la pupilla era ingrandita per immagazzinare quanta più luce possibile, per vedere con chiarezza tra quelle tenebre così fitte.
Il secondo occhio imitò il primo.
Il cuore cessò di batterle.
Davanti a lei stavano i suoi genitori, legati e imbavagliati nel buio, sui loro corpi erano avvolti orribili creature striscianti sgusciate fuori dai più tetri e profondi meandri infernali, scolopendre giganti!”
-E no, così non va- s’interruppe -Va bene romanzare le mie memorie ma un minimo di fantasia devo pur mettercela. Vediamo un po’…ragni? No…scorpioni? È scontato…trovato ! “Due enormi e sinuosi mamba neri avvolgevano le membra dei suoi genitori, avviluppati attorno ai loro colli, pronti a scattare lasciando un inguaribile bacio di morte al primo passo falso della ragazza”. Geniale!-
Soddisfatta del suo lavoro la maga tronò a battere con incredibile rapidità le lettere della tastiera.
“-Cerchi i tuoi genitori?- una voce alle sue spalle.
Una voce che conosceva già da molti anni ma si convinse d’essersi sbagliata…non poteva essere lui.
Lui era morto, lei stessa l’aveva visto.
Chiunque fosse però era lì, e la stava osservando.
C’era un uomo in cima alle scale che portavano fuori dalla cantina, l’unica via d’uscita.
Rachel aguzzò la vista ma era inutile, non riusciva a distinguere i lineamenti dello sconosciuto nell’ombra, avvolto in lugubre abito nero da becchino, poteva però distinguere con chiarezza cosa reggeva in mano: una sputafuoco.
Cautamente la ragazza arretrò, stando attenta a non farlo troppo però, evitando di finire a portata dei denti veleniferi dei serpenti alle sue spalle.
Era tesa come una corda di violino messa su un contrabbasso, i suoi nervi erano a fior di pelle, ogni suo senso più vigile che mai.
-Che coincidenza- sghignazzò l’oscuro figuro scendendo di pochi scalini, solo allora l’apprendista strega si rese conto della sciabola che pendeva a fianco dell’uomo, luccicava alla luce della lanterna, abbagliante in quell’oscurità.
Un ratto le corse tra le gambe spezzando quell’agghiacciate silenzio di vetro.
Rachel rabbrividì ma non per il topo…il terrore in lei era stato instaurato dagli atroci ricordi che quella voce faceva riaffiorare nella sua mente.
L’uomo scese un altro gradino, la sua voce faticava a pronunciare certe sillabe, era sconnessa, stridula e greve ad alternanza.
- Anch’io li stavo cercando. L’unica differenza…- il cane della pistola fu tirato indietro, si udì un sordo “clack” che risuonò in tutto il locale -…è che io li ho trovati per primo-
-Chi sei tu?- chiese Rachel senza dar a vedere il minimo segno dello sconforto che la pervadeva da capo a piedi, doveva essere forte, non lasciarsi andare alla disperazione, se la sarebbe cavata in qualche modo…non poteva essere altrimenti, lei non voleva morire.
Senza attendere una risposta puntò la lanterna in faccia allo sconosciuto che ne rimase momentaneamente abbagliato.
Sbiancò quando potè vedere con chiarezza quel viso pallido e scarnificato fino all’osso, i lunghi capelli bianchi raccolti dietro la nuca ma soprattutto quell’occhio di vetro, freddo e crudele, color del diamante, che riempiva l’orbita vuota, affiancato all’altro dall’iride azzurra, un pozzo di limpida malvagità.
- Shadowhead, il redivivo!!-”
 
-Pausa caffè!-
Quelle parole erano la morte del suo lavoro, Corvina per prima ammetteva di essere un’incostante, ci metteva ore a scrivere un solo capitolo proprio a causa delle frequentissime pause che si prendeva, non che ne avesse veramente bisogno ma ormai non riusciva più a farne a meno.
Un altro vantaggio di lavorare a casa.
Si alzò dirigendosi in cucina, senza fretta, aveva tutto il giorno da perdere.
La cucina di casa Logan (in realtà Roth) era bella e molto ampia, situata di fianco alla porta d’ingresso da cui era separata solo da un corto muretto alto circa due metri, munito d’attaccapanni che fungeva da anticamera.
La spaziosa cucina era forse l’ambiente più ordinato e pulito della casa, il marchio IKEA s’intravvedeva in ogni dove.
Rasente alla parete, sotto le finestre, stava un corto ma lungo tavolo che circondava il muro dal muretto dell’anticamera all’angolo più esterno della casa, e da lì voltava di 90° prolungandosi ancora per buona parte della parete perpendicolare alla facciata.
Ricordava un po’ il bancone di un saloon.
Allineati a quel  tavolo in legno bianco c’erano tutti i vari elettrodomestici in successione, forno, lavastoviglie e frigorifero.
A quel punto la parete laterale della cucia, che dava anch’essa sull’esterno, terminava interrotta da un muro confinante con un’altra stanza.
Attaccato a quel muro c’era una base di marmo nero picchiettato di bianco, teoricamente la base di lavoro delle pietanze, ma molto poco usata, lì c’era il lavello a doppia vasca con tritarifiuti annesso (già lo stesso maledetto tritarifiuti che aveva distrutto le prove a lungo sudate) e poggiato sul marmo anche un’affettatrice, il frullatore, e un pratico riponi coltelli a forma di omino in cui affondare le lame.
Sopra e sotto infine c’erano un infinità di cassetti e sportelli, alcuni con le posate, pentole e stoviglie, altri con tovaglioli, tovaglie o teglie o ancora contenitori e piatti di plastica, cereali e cibi in scatola o che comunque potevano essere tenuti nella dispensa, e ogni altro attrezzo necessario in una buona cucina.
L’ultima parete, da cui si accedeva, composta solo dal muretto comunicante con l’anticamera era spoglia salvo per l’appendi-grembiule e le numerose foto e disegni che ornavano le pareti della stanza e del frigo.
Non aveva la porta ed era sempre illuminata dalla grandi finestre che davano una sulla facciata e una sul giardino laterale.
Al centro c’era poi un ampio tavolo rettangolare color legno con cinque sedie, una per ogni membro della famiglia.
Ma nonostante tutta quella roba la cucina restava un ambiente largo e ampio in cui muoversi liberamente anche quanto gli altri componenti delle famiglia ronzavano attorno con sguardi voraci.
Forse era così ben conservata perché in effetti nessuno in famiglia la usava molto, più che altro i genitori facevano investimenti in pizza e kebab per evitare di cucinare e pulire.
Corvina mise la moca sul fornello e aspettò appoggiata al tavolo parietale.
Il caffè aveva già iniziato a gorgogliare, la mezzo-demone si era appena staccata dal suo appoggio quando un fragoroso rombo di moto distrusse quella piccola osai di quiete facendole rovesciare addosso il caffè bollente.
La bianca porta d’ingresso esplose in un migliaio di schegge.
Qualcuno era entrato in casa sfondando la porta con una moto in corsa, subito non potè vederlo, ma appena il veicolo superò il muretto dell’anticamera, fu chiaro chi era a pilotare la motocicletta.
Ghostface, in sella all’Alighieri, si contrapponeva tra l’uscita dalla cucina e il salotto dove poco prima stava scrivendo.
La tazza blu le cadde di mano infrangendosi al suolo
Indossava il lungo spolverino nero, nero era anche ogni altro suo capo di vestiario, pareva disarmato se non per la lunga catena che reggeva in una mano, Corvina la riconobbe prontamente: era la catena del feroce rottweiler dei vicini…ma il cane dov’era?
I capelli erano ancora smossi dal vento, sciolti sulle spalle e portava gli immancabili occhiali affumicati, dalle lenti a specchio nelle quali la strega poteva vedere riflesso il suo volto sgomento.
Rimase come pietrificata davanti a quella spettrale visione.
Ghostface lì! A casa sua! E lei era completamente sola!
Era incapace di muoversi o reagire, pietrificata dal terrore come la sua protagonista Rachel davanti al suo acerrimo nemico Shadowhead.
Il vecchio non perse tempo, senza scendere dalla moto, senza neppure spegnerla, gli tese la mano in cui stringeva un’estremità della catena –Vieni con me se vuoi vivere!- le disse con un tono incredibilmente serio, la voce era ancora più cupa del solito.
Corvina rimase ancora paralizzata per alcuni istanti, poi arretrò di alcuni passi scuotendo il capo –NO! No, no! Neanche morta!-
Quello fece spallucce –Eehhh… risposta sbagliata!- sollevò la catena facendola volteggiare sopra la sua testa poi la fece schioccare come una frusta in direzione della mezzo-demone.
Corvina gridò di dolore quando sentì le gelide anelle di metallo chiuderla in un implacabile abbraccio, schiacciandole la carne, la catena si avvolse in più giri attorno alla sua vita, immobilizzandole le braccia.
Con uno strattone Ghostface la tirò a sé, facendola cadere di traverso, per il lungo, sulle sue ginocchia, legata come un salame.
Come sentì il corpo della strega su di lui Ghostface rimise mano al manubrio dando una girata d’acceleratore, l’Alighieri ruggì come un mastino infernale pronto a lanciarsi in un folle galoppo.
-Ce l’hai una porta sul retro?-  chiese lui.
La maga che non capiva nulla di cosa stava accadendo non seppe neppure rispondere.
-Nel dubbio dovremo arrangiarci- concluse lui-
Con un impennata la Harley Davidson partì alla massima velocità attraversando la casa da una parte all’altra, Corvina era impietrita, la testa e le gambe le penzolavano fuori dalla moto, tenne la testa premuta il più possibile contro il petto, e le gambe racchiuse ad esso non osava muovere un muscolo per paura di restare decapitata da uno spigolo o cadere dalla moto a quella velocità, cosa che le sarebbe costato ben più di qualche osso rotto.
Quando ormai sembrava deciso a schiantarsi contro il muro terminate della casa, il vecchio ruotò di colpo il manubrio e la moto voltò bruscamente perdendo gran parte della sua velocità, il cambio fu talmente improvviso che per poco Corvina non venne sbalzata via dalla moto.
Guidato dall’abile pilota, l’Alighieri salì la rampa di scale lignee che portava al piano di sopra, la maga era assordata dall’agghiacciate rumore dei gradini che si schiantavano sotto il peso della moto, soffocava a causa dei gas di scarico e delle nubi di schegge e segatura.
Era come andare a tutta velocità su una strada piena di buche, Ghostface e Corvina non facevano che sobbalzare, la maga usò tutte le sue forse per allungare il più possibile le dita , premute contro i fianchi e aggrapparsi ai pantaloni neri di lui per reggersi come meglio poteva alle gambe del vecchio, che imperturbato continuava ad dar giù d’acceleratore per aumentare la velocità.
-Tieniti forte!- urlò lui sovrastando il rumore del motore che saliva e delle scale che si spezzavano.
-Tenermi a cosa!?-
Era incredibile, tutto era avvenuto in una frazione di secondo ma quella scala pareva condurre alla luna, prima ancora che la mezzo demone potesse rendersene conto entrambi erano giunti al secondo piano e ora la motocicletta correva a tutta velocità in impennata contro la finestra davanti a loro.
-AAAAHH!!!- strillò con quanto fiato aveva in gola Corvina mentre si trovava sospesa nel vuoto.
Quel pazzo scriteriato di Ghostface si era lanciato a tutta velocità in sella a una moto da una finestra di casa sua, usando le scale come rampa!
Con lei sulle ginocchia come fosse un sacco di patate!!
<È la fine!> pensò chiudendo gli occhi, non osava guardare.
Rimasero in aria per un infinità di attimi, descrivendo un’ampia parabola …poi il terreno iniziò ad avvicinarsi sempre più velocemente.
-Kawabonga!!- urlò il vecchio quando l’impatto fu imminente.
 
La ruota anteriore d’Alighieri si toccò il suolo, il resto del corpo lo raggiunse un battito di ciglio dopo, con un violentissimo contraccolpo che fece incrinare i denti serrati gli uni contro gli altri di entrambi i passeggeri.
Corvina si sentì morire, aveva lo stomaco annodato, il cervello che le martellava contro le pareti del cranio, un tuffo al cuore e un dolciastro sapore di sangue in bocca.
Ma la moto era ancora intera, e continuava la sua corsa senza accennare né a fermarsi né a rallentare, anzi ora che era sul rettilineo andò ancora più veloce.
Trovò la forza di allungare il collo e girare la testa di direzione della sua casa, gettandole un ultimo disperato sguardo, quasi implorando aiuto all’erba e alle tegole.
Avevano saltato tutto il cortile posteriore, e la staccionata, ora si trovavano sul viale che conduceva alla seconda file di villette a schiera.
Un altro violento cambio di direzione impedì che si schiantassero contro la casa successiva, il movimento le fece quasi uscire gli occhi nelle orbite, per poco non sputò tutte le budella che aveva in corpo.
Sentiva la mano di Ghostface premuta saldamente sulla schiena, la teneva bloccata tra le ginocchia e il palmo in modo che non fosse sbalzata via dall’urto.
Incatenata, scioccata, Corvina desiderava solo scendere.
L’Alighieri s’inclinò spaventosamente, la maga si trovò il ruvido asfalto a due centimetri dal naso, pronto a grattugiarle la faccia, scintille rosse si sprigionavano dalla carrozzeria metallica della moto che strideva a contatto col cemento, chiuse gli occhi mentre le faville le ustionavano le guance.
Fu solo grazie a un miracolo che la moto si raddrizzò continuando a percorrere il vialetto per il lungo, anziché cadere definitivamente e rotolare in un letale incidente contro la casa di fronte a loro.
Troppe volte aveva visto i rischi di una curva presa troppo velocemente nelle corse in moto che suo marito guardava alla TV.
Ma Ghostface era un ottimo polita e invece di rovinare al suolo la moto si stabilizzò rombando, per nulla rincuorato il vecchio portò l’Alighieri alla massima velocità, appiattendosi il più possibile.
Quando aprì gli occhi la maga poté vedere la sagoma della sua casa che si allontanava sempre di più.
KAW-BOOOOMMM!!!!
 
Un esplosione improvvisa le sfondò i timpani, il rumore più forte che avesse mai sentito.
Lì, dove pochi istanti prima c’era la sua casa, ora c’era solo un cratere fumante, un enorme colonna di fuoco che si levava alta una trentina di metri con un diametro di dieci nel cielo.
Corvina non credeva ai suoi occhi, sembrava un’eruzione in miniatura, come se un piccolissimo vulcano apparso dal nulla avesse scatenato la sua furia fiammeggiante nella sua cantina.
Non poteva essere successo davvero!
-La mia casa!-
-Ringrazia che non era il tuo collo- la zittì Ghostface.
Una nube di calore investì lei e il vecchio che continuava a spronare la moto oltre ogni limite concesso dal macchinario.
-Pedala stupido catorcio! Pedala!-
Ruggendo come un animale ferito la Harley Davidson diede il massimo di sè facendo eruttare  fiamme dalla marmitta che pareva indemoniata, Corvina sentì un calore immane alle loro spalle, senza mai aver schiodato gli occhi da quell’infernale visione si era subito resa conto che la colonna di fiamme si stava abbassando espandendo tutta la sua devastate potenza attorno a sè, travolgendo qualsiasi cosa sul suo cammino, carbonizzandola all’istante, sommergendola in un onda di detriti, fuoco e lapilli.
Un’onda piroplastica artificiale li stava inseguendo viaggiando ad una velocità tre volte superiore alla loro.
Tutto alle loro spalle s’inceneriva appena l’onda di fuoco la superava, un calore tale da far esplodere le pietre, sciogliere l’asfalto, fondere il metallo e pietrificare le persone.
-Ce la facciamo..! disse a denti stretti Ghostface abbassando la testa.
Superarono come un fulmine altri tre isolati…l’onda no.
La parete di fumo e fiamme si fermò prima, aveva esaurito il suo devastante raggio d’azione.
-Salvi!!- esultò Ghostface.
-Attento!- urlò Corvina.
Troppo tardi, l’Alighieri sfondò la staccionata innanzi a sè e i due si trovarono ad attraversare un altro quartiere abitato, pieno di villette identiche  quelle di prima, ora ridotte in cenere.
-Guarda dove vai!- urlò corvina con quanto fiato aveva in gola, per farsi udire nonostante il trambusto che li avvolgeva –Puzzi come una distilleria!! Cos’è? Alcol!? Non dirmi che hai bevuto prima di guidare!!!-
-Non pensavo che avrei guidato quando mi sono scolato quelle due bottiglie di whisky, va bene!!?? Bere mi aiuta a superare le giornate!- rispose lui, sgolandosi per farsi udire.
L’alito pestilenziale confermava la veridicità delle sue parole.
-Merda…- borbottò Ghostface mentre la presa sul manubrio si faceva più insicura –Oh cazzo…sono proprio sbronzo, n-non ci vedo…- premuta così vicino al ventre dell’uomo Corvina potè sentire un tutt’altro che rassicurante gorgoglio provenire da lì.
-Mi viene da vomitare!- il vecchio si portò la mano alla bocca tentando di trattenere i conati del vomito ma così perse il controllo dell’Alighieri.
La motocicletta, il cui manubrio era tirato solo da una parte, ruotò una volta su se stessa poi la curva fu troppo inclinata e slittò di lato andando in direzione tangente verso la prima cosa che trovò.
Ghostface, Corvina e Alighieri sprofondarono nella piscina interrata del cortile che avevano accidentalmente invaso.
 
In tutto quel trambusto non se n’erano neppure accorti che in quel giardino c’era una piscina, se ne resero conto solo quanto ci finirono dentro con tutta la moto.
L’acqua li invase da ogni parte, circondandoli, inzuppando loro i vestiti e usurpando il ruolo dell’aria nei polmoni.
La piscina era fonda solo poco più di due metri, per Ghostface non fu impegnativo tornare subito a galla, ma Corvina…
Impossibilitata dalla catena la maga non riusciva a muoversi, era rimasta sotto.
Il tempo di prender fiato e il vecchio era di nuovo in apnea.
Nuotò rapido fino alla maga, che galleggiava poco distante dalla moto, era ancora viva, si dibatteva forsennatamente per liberarsi ma parte della catena, rimasta schiacciata dalla motocicletta, la imprigionava sott’acqua.
Vista poi la velocità con cui tutto era accaduto e lo stupore che ancora le faceva tremare le ossa, la mezzo-demone non era neppure riuscita a prendere un bel respiro.
Stava già esaurendo le scorte d’ossigeno quando Ghostface la raggiunse.
Afferrò la catena con entrambe le mani e tirò con quanta forza aveva, Corvina fece quanto era in suo potere per aiutarlo ma sott’acqua non poteva neppure lanciare un incantesimo.
Tirarono, strattonarono…tutto fu inutile, l’acqua attutiva gran parte delle loro energie, l’Alighieri era troppo pesante e ormai Corvina stava per affogare, le guance della maga erano rosse come mai prima d’ora, lottava disperatamente contro l’impellente bisogno d’aria del suo corpo, costringendosi a usare ogni atomo d’ossigeno disponibile.
Non c’era che una cosa da fare.
Da sotto lo spolverino Ghostface sfoderò un lungo coltello baluginante, rispendeva come nessun’altro metallo avrebbe mai potuto fare.
Era abbagliante.
Mai Corvina aveva visto un simile oggetto, neppure negli altri pianeti che aveva visitato coi Titans, in tutto l’universo non c’era nulla di paragonabile all’adamantio.
La lama si fece strada tra le acque, tra l’acciaio delle catene e la stoffa del suo body, senza però intaccarle la pelle.
Liberata da quella morse di ferro subito la maga si divincolò verso l’alto usando le sue ultime energie per percorrere le poche spanne che la separavano dalla salvezza.
-HHHHHHHHHH!-
 
Emerse svuotando completamente i polmoni e rimpinguandoli d’aria fresca, ricca di vita, il torace e la gola le bruciavano terribilmente, il cuore accelerò il battito, sentiva la circolazione sanguigna riprende più intensamente nelle braccia dove la catena l’aveva interrotta.
Il vecchio uscì poco dopo di lei dalla piscina ed entrambi si sollevarono oltre il bordo, restando stesi a terra ansimanti, tossendo frequentemente senza volersi più muovere.
Socchiusero gli occhi abbagliati dal sole del mezzogiorno che brillava su di loro.
Sia l’uno che l’altra avrebbero voluto rigirarsi nell’erba e dormire ma sapendo chi avevano di fianco per tutti e due fu evidente il da farsi.
Ghostface si mise a sedere, calandosi il soprabito zuppo, che poco prima lo stava tirando sott’acqua, dalle spalle si passò una mano sul volto cercando si asciugarlo e dopo un sospiro stanco si girò verso Corvina.
Aveva perso gli occhiali nella caduta, ma un altro paio comparve da una tasca interna a celare quello sguardo spettrale, insostenibile persino per la figlia di Trigon, il petto ampio si alzava e s’abbassava forsennatamente –Allora…- disse a fatica col fiatone –Lo sapevi che April si sente con Bruce?-
Anche Corvina si raddrizzò affannata, con le orecchie che le fischiavano in modo assordante e con la mente più incasinata che mai, prima l’aveva rapita poi quella corsa forsennata in moto, poi c’era stata quell’esplosione, la sua casa era in cenere così come l’intero quartiere e chissà quante altre persone, per poco non finiva arrostita, poi affogata e adesso,…questo?!
Parlare del gossip di sua figlia con un maniaco omicida schizofrenico?!
E fortuna che doveva essere una giornata rilassante per lei!
Gli rivolse uno sguardo indescrivibile scuotendo il capo, pareva significare : “Cosa?!”
“Davvero?!”
“Chi se ne frega!”
“Che cazzo centra ora?”
E soprattutto  “Tu come diavolo fai a saperlo?!”
 
Aveva così tante domande da porre ma non disse nulla, doveva andare con calma o si sarebbe confusa solo di più.
-M-mi hai salvata…- disse quasi incredula guardando la colonna di fumo che si sollevava verso il cielo appestando l’aria a poca distanza da loro –Grazie-
-Che vuoi che sia- rispose Ghostface trovando la forza di alzarsi a sua volta, si stiracchiò verso l’alto facendo scrocchiare la spina dorsale.
-Salvo fanciulle indifese ogni giorno-
-Perché lo hai fatto?- gli chiese lei.
-Motivi miei- rispose quello cinico.
-Dimmi almeno come hai fatto ha sapere della bomba. Ce l’hai messa tu e questo è solo un ripensamento dell’ultimo minuto?-
Intento a strizzarsi i vestiti fradici, il vecchio non sembrava neppure prestarle attenzione, però non la stava affatto ignorando –No. Non sono io l’artefice di questa strage. Ma so chi è.
Un uccellino mi ha avvisato di questa bomba e mi ha detto che tu eri il bersaglio. Una fortuna che sia arrivato appena in tempo. Stammi bene a sentire Corvina..- sollevò il capo e la fissò dritta in quelle splendide ametiste da dietro le enigmatiche lenti color carbone.
-Questa è solo la prima di una serie di esplosioni, ci sono altre tre bombe posizionate non so dove in tutta Jump city, ognuna della stessa portata di questa.
Sai cosa significa?-
-Che moriranno centinaia di innocenti- concluse la strega, mantenendo un’impressionante controllo di sé, come fosse una statua di ghiaccio.
-A meno che non le troviate e disattiviate. Non so molto a riguardo, ma i bersagli siete voi, Titans. E posso dirvi con tutta sicurezza chi è il responsabile di questo macello-
-Cosa ti fa pensare che mi fidi di te?- fece quella acida.
-Ti ho salvato la vita rischiando la mia. Mi sembra un buon motivo-
Corvina si morse il labbro, era vero, Ghostface non avrebbe rischiato la sua vita tra le fiamme per salvarla solo perché aveva cambiato idea, voleva a tutti i costi mettere i bastoni tra le ruote a qualcuno facendo il modo che lei ne uscisse incolume…oppure…oppure c’era sotto qualcosa di più profondo?
-Chi è stato?- domandò infine la strega.
-Slade. E presto tornerà a colpire-
-Slade? E perché? Cosa gli abbiamo fatto noi? –
-Si tratta di una vendetta- precisò il vecchio- Un attacco di questa portata non nasce spontaneo né si fa per vendicarsi delle passate scaramucce…qui c’è qualcosa di grosso. Il mio uccellino mi ha suggerito che Slade è certo che tu e i tuoi compagni siate i responsabili della morte di Terra, sai la bionda che vi sbattevate lui di giorno e tu di notte, quella che ho ammazzato.
Non l’ha presa bene, credo proprio che cercherà di uccidervi tutti e se nel farlo ci va di mezzo qualche borghesotto …tanto meglio-
Ghostface mosse alcuni passi verso la piscina e guardò il suo riflesso nell’acqua –Merda…la mia moto! Lo sai quanto mi costerà rimetterla in sesto? Povero Alighieri, non temere, papino ti farà tornare a correre in un battibaleno! -
Decine di persone erano appena state carbonizzate e lui si preoccupava di quella stupida moto??!!
Corvina  avrebbe tanto voluto affogarlo con le sue stesse mani, anche se probabilmente in un corpo a corpo avrebbe avuto la peggio.
-Perché se la prende con noi se l’hai uccisa tu!?-
Ghostface si chinò a raccogliere un grosso sasso e prese a giocarci tirandolo in aria e riacchiappandolo al volo –Già ma questo lui non lo sa. Anzi, fino a poco tempo fa pensava che io fossi morto, ma lui è un tipo astuto, pieno di risorse, sicuramente avrà monitorato la scena e ora si starà rodendo il fegato perché mi sono intromesso. Cosa non darei per vederlo-
-Ti pare giusto che noi subiamo queste rappresaglie per le tue colpe?-
-Non andrò a costituirmi, maghetta, tanto meno a raccontare a Slade la verità, non mi va di avercelo contro, è astuto e pericoloso, e se lui vi ammazza mi fa solo un piacere, forse non lo hai notato ma voi Titans non mi andate molto a genio. Ti ho salvata, Corvina, per motivi personali ma non credere che ripeterò la scena per i tuoi amichetti, che s’arrangino-
Corvina lo fissava allibita –S-stai dicendo che non ci aiuterai a disinnescare le bombe?-
Lui la guardò stupito, smettendo di giocare con la pietra mentre sul viso gli compariva un’espressione carica di compatimento e macabra ilarità.
Trattenne a stento una risata.
-Certo che non vi aiuterò! Non sfido la morte fiammeggiante per il primo che passa, ho già dato!-
-Ma potrebbero andarci in mezzo centinaia di innocenti, non pensi a loro? Perché dovrebbero pagare loro il prezzo della nostra guerra?-
-Gli innocenti pagano sempre i prezzi più alti e poi no, non ci penso a loro, anzi non me ne frega niente-
La mezzo-demone era senza parole –Tu..tu.. tu sei l’essere più spregevole dell’universo!! Neppure se viaggiassi per ventimila dimensioni visitandole città per città, pianeta per pianeta, galassia per galassia troverei qualcuno peggiore di te!- gli urlò in faccia paonazza di rabbia, con gli occhi iniettati di sangue, sentiva che stava per esplodere…e Ghostface avrebbe fatto meglio a non trovarsi nei paraggi quando questo sarebbe accaduto.
-Oh-ohh la streghetta ha capito che sono una persona cattiva- la canzonò lui per nulla impressionato.
-Tutto questo è colpa tua!- lo accusò lei con fare inquisitore –Tu hai assassinato Terra a sangue freddo dopo che lei ti aveva salvato! Sei un essere senza cuore!-
-E vero, io l’ho uccisa- disse lui con un’improvvisa e aggressiva serietà, quasi fosse stato toccato nell’orgoglio dalle parole di prima e rispondesse a tono all’attacco verbale - Ma l’ho fatto guardandola negli occhi.
Non ti crederai migliore di me, vero? Dimmi Corvina, pensi mai a Terra mentre tuo marito ti fotte il culo? Cosa pensi l’abbia fatta soffrire di più: il mio coltello nel suo petto o sapere il cazzo di BB nella tua fica? Risponditi e poi vediamo chi l’ha uccisa veramente.
Gli hai spiattellato in faccia che alla prima occasione saresti tornata da lui, infischiandotene altamente dei suoi sentimenti, di tutto quello che aveva passato solo per stare con te, lei ti amava come non aveva mai amato nessuno e tu l’hai liquidata come un fazzoletto usato…e poi sarei io quello senza cuore? -
Se quelle parole dovevano farla soffrire…ci riuscivano alla perfezione.
 
Aveva ragione, aveva sfruttato Terra per i suoi scopi, usandola come un giocattolo per consolarsi quando si sentiva sola, e anche ora che era morta per lei continuava a infangare la sua memoria facendo finta che non fosse mai esistita, che tra loro non fosse successo nulla.
Nascondendo a chiunque che ci fosse mai stato l’amore tra loro, e Corvina sapeva che per un breve ma intenso periodo…l’aveva amata.
Lo stomaco le si attorcigliò, si sentiva un verme.
Abbassò lo sguardo e restò immersa in un vergognoso silenzio.
-Vuoi sapere perché ti ho salvata, Corvina?- disse pacatamente Ghostface mentre le girava attorno, giocando ancora con quella pietra –Non l’ho fatto perché in fondo in fondo mi piaci, non l’ho fatto perché mi servi o perché tra noi c’è una sintonia alla “Joker-Batman” e tantomeno l’ho fatto perché sono innamorato di te.
Tu non mi piaci, non mi servi, non ti sopporto, non ti amo e vorrei vederti morta!!
Tuttavia…c’è una persona a cui voglio molto bene, la quale è inspiegabilmente affezionata a te, e se tu morissi lei ne sarebbe distrutta…e io non posso permettere che ciò avvenga, non ora almeno.
Ho fatto tutto questo per che io ci tengo alle persone che mi stanno a cuore.
Ma ora tu sei fuori pericolo, con un bel mistero tra le mani e una città da salvare e io ti ho già detto più di quanto dovessi…perciò le nostre strade si dividono…-
Corvina avrebbe voluto gridare qualcosa, avrebbe voluto combatterlo, fermarlo…ma non fece in tempo.
Con una velocità ineguagliabile Ghostface le tirò in fronte la pietra che reggeva nel palmo, tutto si fece buio.
Corvina gridava di dolore mentre sentiva la testa martellarle, un liquido denso e viscoso le imbrattava la faccia e le dita premute sul punto dove il sasso l’aveva colpita, non vedeva più niente e l’udito era frastornato…non riusciva nemmeno a reggersi in piedi.
Cadde in ginocchio nell’erba.
-A mai più rivederci, Corvina …- la voce di Ghostface era assordante e pareva provenire da ogni dove.
Attorno a lei c’era solo il buio con abbaglianti sprizzi di luce che comparivano improvvisamente e duravano solo pochi attimi.
Strinse i denti mentre il dolore si faceva più intenso e la fronte sembrava esploderle.
 
Ci vollero diversi minuti prima che si riprendesse dal colpo, la pietra l’aveva colpita con violenza, senza però scalfirle il cranio, tuttavia la fronte sanguinava copiosamente e la testa le faceva malissimo.
Barcollò a fatica verso la staccionata bianca, appoggiatasi si sforzò di lanciare un incantesimo guaritivo per rimarginare la ferita e attutire il dolore.
Essere colpita da un sasso era l’ultima cosa che si aspettava da uno col modus operandi di Ghostface….anche se il suo modus operandi era proprio l’essere imprevedibile.
 
Quando si sentì meglio mosse i primi passi malfermi che divennero poi sempre più sicuri, uscì dal cortile di quella casa da cui stranamente nessuno era uscito, forse perché fuori casa o forse perché troppo spaventato.
Si guardò intorno, di Ghostface neppure l’ombra…ovviamente.
Solo allora si ricordò del costume strappato ad altezza ombelico dalla lama del vecchio.
Tenendo insieme i pezzi del body si diresse incerta verso la desolazione fumante che gli si parava davanti.
Il silenzio soffocava ogni suono, ogni pensiero.
Il suo isolato era ridotto a un cratere di morte, nel cui vertice erano situati resti  della sua casa, l’intero quartiere che aveva abitato, dove si era espansa l’onda di fuoco, era ridotto a una novella Pompei.
I corpi carbonizzati e pietrificati di innocenti persone erano sparsi ovunque.
Scheletri anneriti e macabre statue ricoperte di detriti erano tutto ciò che restava degli amichevoli vicini che tante volte le avevano fatto da babysitter ai bambini o le avevano prestato lo zucchero.
Gente ignara persino di cosa fosse accaduto, un intero quartiere residenziale di Jump City era letteralmente saltato in aria.
Muoveva lenti passi, passi tristi, tra quelle macerie, tra quei corpi, mai aveva visto una simile desolazione.
Volò al centro del cratere, dov’era scoppiata la bomba…ormai non restava più niente.
Attorno a lei c’era solo la morte e il silenzio.
Per poco non inciampò in quello che sembrava essere una pietra tonda e liscia…
La guardò meglio…non era una pietra.
La prese tra le mani e la ruotò…era il cranio carbonizzato di un bambino…un bambino non più grande del suo Rick…morto bruciato a causa sua.
Un bambino…forse il figlio dei vicini che giocava il pomeriggio coi gemelli, forse la bambina che abitava in fondo alla via, la stessa che ad Halloween si fermava sempre ad ascoltare le sue storie dell’orrore.
Sembrava implorarla…o accusarla…con quel gelido sguardo delle sue orbite vuote.
Le dita vacillarono, il teschio le cadde dalle mani.
Tutti quei bei momenti erano scomparsi per sempre, distrutti da un folle assetato di vendetta, ormai non erano che un ricordo…vecchi riflessi del passato… o peggio: erano solo la premonizione di ciò che stava per ripetersi su vasta scala.
Sentì le lacrime salirle agli occhi.
-Corvina…-
Si volse di scatto, alle sue spalle in cima al bordo del cratere stava BB, appena tornato dalle ricerche, con viso sformato in una maschera di sgomento.
Discese la scarpata fumante e le corse incontro, i due si abbracciarono fino a farsi male.
Il dolore che provava la maga era quasi tangibile.
-C-cos’è successo qui? Ho sentito l’esplosione, abbiamo visto quella nube di fuoco e….ho avuto tanta paura, amore mio…-
Calde lacrime infradiciarono il costume del mutaforma mentre la maga premeva il viso su di esso per soffocarle.
-È…è stato terribile…- biasciò lei tra i singulti, senza accennare a volersi sciogliere da quel caldo e rassicurante abbraccio.
Ci volle molto tempo perché i due si separassero.
 
-Amore…- disse lui tenendole le mani sulle spalle una volta che si furono allontanati dalla zona dell’esplosione –Devi dirmi cos’è successo qui…-
-Dopo..- rispose lei asciugandosi gli occhi col dorso della mano –Quando ci saranno anche gli altri…- si sedettero su una panchina del parco, Corvina ripensò alle parole di Ghostface, trasse un enorme respiro, il più duro della sua vita.
Non era il momento adatto ma non poteva più aspettare, sapeva che se l’avesse fatto poi non avrebbe mai più avuto il coraggio di parlare.
<Lo faccio per te, Terra>
-T-ti ricordi di Terra?- chiese la maga con voce fievole, spezzata, senza avere il coraggio di guardarlo in volto, con il cuore che batteva a mille per il dolore che provava nel dire quelle parole, nel rievocare quei ricordi.
-Sì, certo che me ne ricordo, ma adesso cosa c’entra?- fece il verde senza capire.
-Io…io devo confessarti una cosa…-
 
-Grazie per la soffiata, amico. Sai ti avevo sempre sottovalutato, invece mi hai fatto ricredere, non sei poi quel criminale di basse vedute che credevo- Ghostface era in video chiamata con un uomo che l’aveva contattato mezz’ora prima dell’esplosione, come avesse fatto a  trovarlo neppure lui lo sapeva.
Ora era lì, proiettato sullo schermo anche se nascosto da un cono d’ombra.
La sua voce e quella meccanica dell’uomo sul monitor del pc erano gli unici suoni all’interno del tetro locale in cui Ghostface si nascondeva.
- Ma ti pare?- rispose quello -Sono un tuo grande ammiratore, per me è un onore lavorare con te-
- Allora suppongo che il nostro accordo di poco fa sia sempre valido?- ghignò il vecchio lisciandosi la chioma nivea.
-Sempre. Avrai quel che ti serve entro domani, sempre che tu sia di parola-
Non si dà nulla per nulla, questo Ghostface lo sapeva, e anche il suo “ammiratore”: gli aveva chiesto un favore in cambio di preziose informazioni.
-Di solito non lavoro su commissione, ho smesso tempo fa, ma per stavolta farò un eccezione. Sarà un piacere per me, ho anch’io dei conti in sospeso con lui-
-Non sottovalutarlo, le mie fonti mi dicono che ti ha già sconfitto in passato-
Ghostface sbuffò un po’ per l’impazienza un po’ perché ancora gli bruciava l’essersi fatto fregare in quel modo, come un principiante –C’è riuscito solo perché uno dei suoi tirapiedi mi ha preso alle spalle altrimenti sarebbe già sotto tre metri di terra. Ma non preoccuparti: mi sono occupato personalmente dei suoi scagnozzi. Non saranno più un problema-
-Attento, Ghostface- lo ammonì l’uomo oltre lo schermo –Slade ha molti trucchi-
Per tutta risposta il vecchio prese un coltello e si fece un lungo e profondo taglio nel palmo, il sangue ne sgorgò vermiglio come da una fonte.
-Io ne ho uno solo…- ribattè mettendo davanti alla webcam la mano ferita i cui tessuti si stavano già ricomponendo, in pochi secondi tendini, muscoli e legamenti erano riformati, la pelle ricopriva omogeneamente dove poco prima la lama aveva squarciato la carne come se mai l’avesse ferito
-…ma buono-
-Benissimo- concluse quello soddisfatto - Sei il migliore in quello che fai. Ora scusami, Ghostface, ho un’altra chiamata. Ci risentiremo presto-
La chiamata venne chiusa e da tutt’altra parte di Jump city, in quello che era stato l’ex covo di Slade, nella parte franata giudicata instabile e inaccessibile, un’altra ne venne aperta.
-Slade, che piacere vederti, ti sono piaciuti i miei progetti delle sfere-o-bum? Ho sentito il botto fin dalla mia postazione-
-Le tue bombe funzionano ma c’è un problema: Ghostface si è intromesso- disse il guercio senza ricambiare minimamente il saluto dell’altro criminale, restando freddo e distaccato come suo solito.
L’uomo nell’ombra fu abilissimo nel simulare stupore per ciò che già sapeva, era stato lui ad avvisare il vecchio dopo tutto.
-Che vuoi dire con “si è intromesso”? Pensavo fosse morto-
-È sopravvissuto. Lo sai cosa significa questo?- la maschera ramata e nera rendeva impossibile leggere le sue espressioni nel volto, capire cosa stesse realmente pensando.
-Abbiamo escogitato il piano B appositamente per questa evenienza- rispose il cyborg con un sorriso.
- Eccellente, vedi di non deludermi, Blood, altrimenti la morte diverrebbe un premio per te- lo minacciò Slade, il suo cinismo non era mai andato a genio all’altro criminale.
-Andrà tutto come previsto, non preoccuparti, filerà tutto liscio come l’olio, mi occupo di tutto io- lo rassicurò.
-Sarà meglio- sentenziò il guercio chiudendogli in faccia la chiamata.
Fratello Blood spense il computer per essere certo di non essere udito, strinse i denti carico di rabbia, la voce uscì calma, calda ma decisa dalle sue labbra, mantenendo una tranquillità esterna inattaccabile.
-Hai finito di minacciare Slade. Forse non te ne sei reso conto, ma c’è un nuovo gallo nel pollaio.
Dividi et impera

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 22 ***


CAPITOLO 22
 
Le ruote del R-cycle inchiodarono di colpo proprio dietro quelle dell’Alighieri.
Non era stato complicato per il vecchio recuperare la moto dal deposito mezzi sequestrati dalla polizia.
Erano nascosti dietro un alto palazzo mezzo diroccato e mezzo incompleto, i lavori erano stati interrotti prima che venisse ultimato e il luogo giaceva abbandonato da anni, lì nascosero le moto.
Scrutarono il loro bersaglio da una finestra del primo piano con una incrinatura sul vetro lercio che si espandeva come una sinistra ragnatela, la crepa distorceva la visuale a loro ma anche ad eventuali pedinatori…e loro dovevano stare attenti a non farsi vedere.
-È questo il posto?-
-Oh puoi giurarci che lo è- ghignò Ghostface col sigaro in mezzo ai denti, quel sorriso sghembo era colorato da un sadico piacere che da troppo tempo non provava.
Distavano tre isolati dalla centrale nucleare, quella zona era praticamente abbandonata, abitata solo da cani randagi, gang della strada e barboni: nessuno volveva vivere vicino a un luogo simile, anche se in disuso.
Sacchi d’immondizia colmavano i marciapiedi, l’aria puzzava ed era pesante, le fogne straripavano, graffiti minacciosi ornavano le pareti di vecchi edifici ormai in rovina e siringhe di ovvia provenienza costellavano le strade mentre uomini ridotti a corpi senza storia si aggiravano tra i vicoli come morti viventi, rovistando tra i rifiuti attaccati ad una bottiglia, neppure le puttane da strada ci venivano più: troppo alto il rischio di stupri e coltellate, inoltre i clienti coi soldi certamente non bazzicavano quei luoghi.
Il degrado della società regnava sovrano in quella tetra periferia, anche se “degrado” suonava come un complimento rispetto all’amaro quadro che dipingeva quella zona.
I fanali delle moto si spensero, all’orizzonte iniziava l’imbrunire, il sole rosso come non mai scendeva proprio di fronte a loro, in mezzo alle due ciclopiche ciminiere della centrale.
-Ed era necessario portarmi via da casa un giorno prima?- una lamentale fiacca, di poco conto, ma detta a denti stretti, intrisa di odio e disprezzo, rendeva comunque l’idea dello stato d’animo del ragazzo.
Robin non perdeva occasione per ricordare a Ghostface quanto lo detestasse, il minimo pretesto era buono per instaurare una lite.
-Avevi bisogno di studiare il piano nei dettagli- rispose Ghostface col fucile a pompa posto di traverso sulle spalle–Vedrai…sarà divertente-
 
-Io non posso credere a quello che hai fatto. Come hai potuto!?-
Corvina stava dando tutta se stessa nel tentativo di riallacciare i ponti con marito, ma ogni volta che ci provava BB lo faceva collassare prima che portasse risultati, con un’astiosità del tutto estranea in lui.
-BB, ti prego. Perdonami! Non avrei dovuto farlo, lo so benissimo, sono io dalla parte del torto e ti chiedo scusa. Ero…ero confusa, sola, depressa…non mi permettevi neppure di stare in casa mia…con i miei figli…ero vulnerabile in quel momento, fragile, spezzata.
E lei era così dolce, così disponibile…ti stupisce tanto che abbia cercato un po’ di conforto nell’unica persona disposta a darmelo?-
Il mutaforma, che fino ad allora si era persino rifiutato di guardarla le lanciò uno sguardo di fuoco che avrebbe incenerito persino l’oceano.
-Un po’ di conforto?! Farsi consolare sul letto davanti a un film sui pony è cercare conforto, tu ci sei andata a letto!! Me lo sentivo dentro che mi tradivi!! Come al solito il mio istinto aveva ragione, aveva solo sbagliato persona!! Perché non gli do mai retta?! Perché ti do la mia fiducia solo per vederla fatta a pezzi?!-
Corvina si sentiva ribollire dentro <Darmi la tua fiducia? Ma se non hai creduto a una sola delle mie parole finché non ti ho mostrato le prove inequivocabili! Questa la chiami fiducia?!> tenne la rabbia e le parole feraci dentro di sé, restando la calma figura afflitta che era poco fa.
<Controllati, Corvina. È naturale che sia su di giri, la colpa è tua, però adesso dovete far pace, ci sono vite innocenti in gioco> 
-Cerca di metterti nei miei panni!- esclamò la maga –Tu non facevi che disprezzarmi, i nostri amici non potevano aiutarci per non “essere di parte”, Ghostface mi dava la caccia, April non riusciva più  guardarmi negli occhi… e lei così dolce e così insistente, non faceva che rievocare i nostri vecchi ricordi…in una situazione normale non ti avrei mai tradito ma tutte queste…cose…questi fattori messi assieme hanno avuto la meglio su di me-
-La tua fica ha avuto la meglio su di te!- ribatté BB ringhiando sempre più acido, con gli occhi smeraldini carichi di rabbia che faticava a non uscire in blocco e travolgere tutto ciò sul suo cammino, quegli occhi erano come una diga che stava per cedere eruttando un fiume di rancore.
Dopotutto la Gelosia è un mostro dagli occhi verdi.
-Sei sempre stata una ninfomane- l’accusò il verde puntandole il dito contro- Fin da ragazza- continuò lui muovendo pochi aggressivi passi verso la consorte -È così che è cominciata tra noi, no? Mi chiamavi nella tua stanza solo per farti fottere e una volta finito, tanti saluti! Chi s’è visto s’è visto! E ora scopro che lo facevi anche con Terra! E con quanti altri!? Con Acqualad? Con Speedy? Cyborg? Adone? Slade? X Rosso?- gli occhi del mutaforma si assottigliarono a due fessura –Con Robin?-
A questo punto Stella Rubia, che aveva fatto da muta spettatrice per evitare che l’animata discussione sfociasse in un violento litigio come l’ultima volta, si alzò dal divano circolare del salone della T-Tower.
La Ops Mains Rooms non le era mai sembrata così calda e soffocante.
BB spostò l’indice da Corvina all’aliena prima che una delle due potesse aprir bocca, ma le pupille restano inchiodate a quelle della moglie –Perché no, magari l’hai fatto anche con Stella!? Passavate un sacco di tempo insieme e a quanto pare non disdegni le donne-
-Ok, adesso vedete di piantarla!- s’intromise la rossa allontanando i due coniugi che si stavano avvicinando oltre il limite di sicurezza.
Li distanziò l’uno dall’altra allungando le braccia.
-Corvina ha sbagliato, ma si è pentita- disse guardando comprensiva la maga –E tu, BB, spari sentenze con troppa facilità , anche tu hai commesso i tuoi errori. Guardatevi, a momenti fate quattordici anni di matrimonio, non potete abbracciarvi e dimenticare?-
I due si guardarono negli occhi.
Corvina mosse il primo passo verso il marito, con le braccia allargate –BB… - ma lui indietreggiò fino a farsi cadere sul divano.
Sbuffò cupamente restando seduto chino su se stesso –La fai facile tu…- disse rivolto alla tamaraniana –Tu non sei mai stata tradita da tuo marito con il tuo ex-
La parte peggiore era stata venire a sapere che Corvina era andata a letto con Terra, la sua Terra, la ragazza che era convinto amasse solo lui, che l’avesse amato fino alla morte…tutto questo gli bruciava terribilmente, gli consumava l’animo tirando fuori una parte di sé così cinica e crudele che nemmeno sospettava di avere.
Si sentiva tradito ed umiliato
Forse con un’altra persona non si sarebbe sentito così male…ma con Terra era tutta un’altra storia.
Il mutaforma abbassò lo sguardo, troppo gravato dal peso di questi pensieri per poter tener sollevata la testa.
Stella riprese la parola –È vero, BB. Robin non mi ha mai tradita, neppure quando ne aveva l’occasione, neppure con mia sorella quando credeva che fossi io. Lui mi è sempre rimasto fedele…ma io no. Hai dimenticato cos’è successo tra me e X Rosso? Io non me lo perdonerò mai però Robin sì, lui mi ha perdonata. Fa come lui, dimostra la tua compassione a tua moglie che ti chiede scusa, è pentita, come puoi non capirlo?! Dimentica questa vicenda e lascia che sia lei a giudicarsi da sé-
Inutili.
Quelle parole erano assolutamente inutili.
BB poteva essere più cocciuto di un mulo senza bisogno di cambiar forma.
-Lasciare che si giudichi da sola?- disse lui ridendo sarcastico, si alzò più sprezzante che mai –So benissimo cosa si direbbe…- prese a parlare in falsetto facendo una grottesca imitazione della moglie -“Assolta! E adesso che l’ho fatta franca chi sarà il prossimo con cui tromberò? Slade? O forse Ghostface, ci son talmente tante voci su di noi che sarebbe un peccato sprecarle”-
La maga rimase impassibile davanti a quella sbeffeggiante scenetta, non gli avrebbe dato la soddisfazione di arrabbiarsi.
No, questa volta sarebbe rimasta una statua di ghiaccio.
-La satira è il meglio che sai fare? Mi deludi BB, ma ormai dovrei esserci abituata. Sai, se reagisci così ogni volta che commetto, o che pensi che abbia commesso uno sbaglio, allora penso che il nostro rapporto non sia poi così solido-
Abbassò il capo e il cappuccio le nascose completamente il viso, la parte peggiore di quelle parole…era che le pensava realmente.
-Forse non siamo fatti per stare insieme…ci siamo sposati troppo presto. E quelle parole sull’altare…non vorrei averle dette sovrappensiero…-
-La colpa è solo tua se il nostro matrimonio sta cadendo a pezzi!- ringhiò quello, le parole di Corvina, così fredde, distaccate e sincere l’aveva colpito nel profondo, urtando il suo animo ben più sensibile di quanto non sembrasse.
Lei…lei lo aveva ferito…di nuovo.
Soffocò il dolore con la rabbia, tentando di restituire il colpo con le parole, parole aggressive, crudeli…ma vuote, prive di peso…quelle della maga invece gli gravavano ancora sull’animo e sarebbero rimaste lì per molto molto tempo.
-Sei solo una troia!  Una schiava del sesso succhia-fighe!! Una zoccola frocia-
-E tu un coglione omofobo!- rispose a tono la mezzo-demone.
-Questo “coglione” fatica come uno schiavo per tenere insieme questa famiglia-
-Ma per favore!- esclamò Corvina esasperata- Non potevi spararne una più grossa! Non lavori, non pulisci, non passi del tempo coi bambini, non comunichi con April, al primo problema vai a ubriacarti al bar e non ti curi minimamente di me!
Forse ti ho tradito perché ero stanca di essere ignorata da te, ti ricordi che esisto solo quando quel verme che hai in mezzo alle gambe ti si drizza!
Terra! Lei si che aveva a cuore i miei sentimenti! Si preoccupava di cosa provavo, voleva che stessi bene! Ha dato la vita per me, per noi, perché tornassimo insieme! Ma anche lei ha fatto un’errore…me ne rendo conto solo ora: se davvero voleva farmi felice non doveva portarmi le prove…doveva portami via da Jump city con sé, lontana da questa città di ingrati e soprattutto da te!! -
-Magari l’avesse fatto! Sei la puttana più stronz….- non riuscì a finire la frase , il campanello di allarme era suonato in Stella già alla parola “Terra” e non sapendo cosa fare per smettere di farli litigare aveva fatto l’unica cosa che le era venuta in mente, si era messa a gridare.
-YYYYYYYYYY AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA AAA AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!- Si fermò solo quando non ebbe più fiato nei polmoni.
L’urlo era stato così forte, lungo e acuto da sfondare i timpani sia al mutaforma che alla mezzo-demone, colti alla sprovvista, talmente intenso da sovrastare ogni altra parola, da smorzare le voci nelle gole e far tacere le lingue.
Quando a poco a poco lo stridulo suono ebbe un progressivo decrescendo fino a terminare del tutto nessuno osò più aprir bocca per diversi minuti.
Era stato un grido disumano, come se un gatto venisse scorticato vivo, come se Freddy Krueger avesse deciso di limarsi le unghie fino all’osso su una lavagna.
L’intera vetrata che dava su Jump city andò in frantumi.
Entrambi i litiganti avevano le orecchie che fischiavano assordate e la testa che gli martellava.
Stella li guardò entrambi sbuffando come un toro imbizzarrito mentre il suo torace si gonfiava e sgonfiava ad un ritmo impressionate.
Sentì le gambe vacillarle e cercò di regolare la respirazione, doveva ossigenare il cervello dopo aver urlato per così tanto tempo.
-Ora basta, sono stata chiara!! Siamo tutti delle persone e come tali litighiamo, amiamo, odiamo e sbagliamo…ma noi non siamo solo persone: siamo anche eroi.
Siamo i Teen Titans!
Ci siamo presi il compito di proteggere gli innocenti da ogni minaccia ebbene lasciate che vi dica una cosa: io non lascerò che centinaia di persone perdano la vita a causa della nostra negligenza! Ma non capite? È questo che i nostri nemici vogliono, che ci scanniamo a vicenda, messi l’uno contro l’altro siamo come dei bastoncini, deboli, e posso spezzarci con facilità, ma uniti, quando lavoriamo insieme, allora siamo solidi come il tronco di una quercia.
Mentre voi state qui a litigare inutilmente Slade semina le sue bombe di morte nella casa di persone che non hanno fatto nulla di male e Ghostface se la ride continuando a dirigere lui il suo gioco, un gioco che stiamo giocando sulla nostra pelle e ultime notizie: stiamo perdendo!!
Non possiamo fronteggiare due simili avversari se non siamo uniti, Ghostface da solo è riuscito a sgominarci più di una volta quando eravamo tutti insieme…che possibilità abbiamo se ora ci dividiamo?
Separati verremo fatti a pezzi ma io preferisco morire così che assistere alla vostra autodistruzione!
Quindi mettete da parte le vostre divergenze e aiutatemi, altrimenti andrò da sola!-
BB e Corvina si fissarono mogi, immersi in un vergognoso silenzio, si erano lasciati trasportare dai loro sentimenti dimenticandosi dell’enorme pericolo che gravava su tutta la città, altre bombe erano sparse e potevano esplodere in qualsiasi momento.
Quale eroe si sarebbe comportato in maniera così infantile e menefreghista?
-Stella ha ragione. Innanzitutto dobbiamo proteggere la città, poi penseremo a noi- disse la maga.
-Sì- concordò l’altro, Corvina volse lo sguardo all’amica dai capelli rossi –Ghostface ha detto che le bombe rimaste sono tre e che i bersagli siamo noi Titans, io sono già andata dobbiamo pensare a quali altri luoghi strategici potrebbero contenere uno di questi ordigni…-
Non ci fu neppure bisogno di pensarlo, la risposta venne istintiva a tutti e tre nello stesso momento, con gli occhi sbarrati i tre eroi pronunciarono sgomenti quella parola all’unisono.
-La Torre!!!-
 
-Quindi quando non sei in giro a massacrar la gente tu scavi tunnel che collegano covi segreti all’esterno?- chiese Robin avanzando dietro Ghostface in un cunicolo sotterraneo scavato dal vecchio che conduceva dalla cantina di un palazzo abbandonato, lo stesso dove si erano fermati, all’interno della centrale nucleare.
-Ho una passione per i passaggi segreti, mi annoio facilmente e ho anche un sacco di tempo libero- rispose quello –E poi quando vivi con uno come Willy fa sempre comodo un piano di riserva per una rapida fuga-
Continuarono a gattonare in silenzio per diversi minuti, procedendo a tentoni nella più completa oscurità, inoltrandosi sempre di più in quella galleria stretta e umida.
Le dita del vecchio incapparono in qualcosa di metallico.
<Una grata!>
-Siamo arrivati- il suo tono era malevolo e tagliente, sembrava la voce che avrebbe avuto una vecchia falce.
Tirando prima verso l’alto e poi verso di sé Ghostface riuscì a far scattare il meccanismo a incastro che bloccava la grata.
Erano ancora in un cunicolo, stavolta però più largo e più luminoso, ricco d’aria fresca mentre quello di prima sembrava essere una fornace, non era cilindrico ma rettangolare e anziché di umido terriccio le pareti erano rivestite d’acciaio lucente.
Appena il ragazzo meraviglia ci mise mano* dentro rimase smarrito per una frazione di secondo prima di focalizzare dove si trovava.
-Siamo nei condotti d’areazione- gli sussurrò il vecchio all’orecchio –Ora inizia la parte più rischiosa: arrivare a Slade senza farci scoprire-
Procedettero in fila indiana silenziosi come ombre passando davanti a numerose grate che davano su uffici vuoti e sale deserte, man mano che scendevano di livello però i locali si riempivano sempre più di robot guardiani, col tempo Slade non aveva smesso di sfruttare gli automi per i lavori sporchi tuttavia…questi avevano qualcosa di diverso dai soliti robot, Robin lo notò subito ma non seppe rispondersi cosa li rendesse così diversi eppure familiari, non si vedeva bene e lui non aveva il tempo di soffermarsi a guardare dalle grate.
Ghostface semplicemente li ignorava.
Scendere di livello tramite i condotti d’areazione significava buttarsi in una voragine artificiale dove sbucavano numerosi condotti e aggrapparsi in caduta libera a quello giusto evitando così di venire prontamente sminuzzati dalle affilatissime eliche che si trovavano in fondo al tunnel in verticale.
E questo era da fare ad ogni dislivello…non fu difficile per due come loro, sia l’uno che l’altro sapevano bene come muoversi.
Dopo un’altra decina di minuti passati in quegli angusti cunicoli di metallo Ghostface si volse verso di lui.
-Ascoltami bene- gli disse a voce bassissima – Dietro l’angolo c’è un enorme salone: è la sala del reattore. Parte di  esso è ancora in funzione, Slade lo usa per alimentare un po’ tutto qui dentro.
È sorvegliato da non so quante telecamere ma una volta superato questo punto saremo finalmente nei sotterranei dove si nasconde quel topo.
Fin qui è andato tutto liscio, vedi di non rovinare le cose proprio ora, pivello-
Robin rispose digrignando i denti, gli occhi corrucciati da dietro la maschera ormai si erano abituati alla penombra dei condotti ma non ancora a quella spettrale presenza sempre innanzi a lui.
Ghostface voltò l’angolo e lui gli andò dietro, ma aveva appena fatto la curva che andò  sbattere la faccia contro il sodo fondoschiena del vecchio.
-Grazie ma non sei il mio tipo!- disse il leader dei Titans stando però attento a mantenere un basso tono di voce.
Con un pugno tentò di allontanare i pantaloni neri di Ghostface dalla sua faccia ma lui non si mosse, non gli rispose, era come paralizzato.
Nonostante l’età Ghostface era ben piantato e la sua imponente figura occupava tutto il condotto, per quanto si sforzasse Robin non poteva vedere chi o cosa avesse fermato l’avanzata del vecchio.
-Hey..tutto bene lì avanti?- chiese un po’ perché spinto dalla curiosità un po’ perché tediato dall’attesa: la lamiera dei condotti d’areazione non poteva reggere a lungo il loro peso concentrato, per evitare che crollare dovevano sempre stare in movimento.
Finalmente dopo interinabili attimi di silenzio Ghostface rispose con un fil di voce, una voce sottile come un filo di ragnatela e non era la cautela a farlo parlare così…ma la paura.
-Oh merda…- mormorò il vecchio.
Il vecchio era sbiancato ma il cambiamento di colore fu impercettibile su quella pelle albina.
Robin lo capì dal tono della voce e realizzò al volo che qualsiasi cosa fosse capace di spaventare uno come Ghostface…non doveva essere nulla di buono.
 
I sospetti dei Titans erano fondati: qualcuno aveva violato il perimetro della Torre.
Dopo brevi ricerche, grazie allo scanner completo dell’isola, avevano trovato il luogo dov’era nascosto l’ordigno.
Non era all’interno della T-Tower, altrimenti se ne sarebbero sicuramente accorti, era stato seppellito in un aiuola a meno di un metro dall’ingresso principale…ma quella bomba era talmente potente da spazzar via l’intera isola Titans!
Non avevano dovuto scavare molto per trovarla, era solo dieci centimetri sotto il suolo così nulla avrebbe attutito l’esplosione, come avesse fatto Slade ad avvicinarsi così tanto a loro senza che se ne accorgessero era un mistero per i tre eroi ma al momento avevano cose più urgenti a cui pensare: come scongiurare il disastro.
BB teneva tra le mani la bomba, era una sfera rivestita di metallo color rame lucente grande circa come un pallone da calcio leggermente schiacciata sui poli.
Al centro aveva un piccolo timer elettrico rettangolare, le cifre verdi indicavano ore minuti e secondi…mancava solo mezz’ora e l’indice dei secondi continuava a calare inesorabile.
Due tubi di bronzo dorato partivano dal timer in direzione opposta e circondavano la sfera metallica per tutta la sua circonferenza, fungendo da equatore, quando erano sul punto di incontrarsi anziché toccarsi i due tubi entravano all’interno della sfera senza venire a contatto tra loro..
C’era un bottone rosso sotto il timer e sopra la bomba svettava una corta antenna circondata da due anelli dorati terminante in un pallino di vetro che lampeggiava di rosso a intermittenza.
Era assolutamente silenziosa.
-C-che cazzo facciamo adesso?- balbettò BB divenuto di un colorito pallido pallido per l’ansia che gli provocava aver tra le mani un simile artefatto. 
Aveva la stessa tonalità di verde che assumeva il latte quando April ci mescolava dentro lo sciroppo di menta.
Il mutaforma non era il solo a sudar freddo, anche le due ragazze alle sue spalle sentivano il cuore risalirgli l’esofago.
Non potevano gettarlo in acqua, l’esplosione avrebbe provocato uno tsunami che avrebbe travolto Jump city, romperlo era troppo rischioso: sarebbe potuto scoppiare all’istante, non restava che una cosa da fare.
-Dobbiamo disinnescarlo- sentenziò Corvina.
-Questo e altri due- precisò BB.
Dovevano assolutamente scoprire dove fossero nascoste le altre bombe…e avevano solo 28 minuti per farlo.
-Punti strategici…punti strategici…- continuava a ripetersi Stella cercando di pensare ai luoghi più adatti, il mutaforma invece era troppo preso dal cercare di capire come funzionava l’ordigno innanzi a sé per preoccuparsi di qualsiasi altra cosa, quanto a Corvina…lei provò a immaginare dove avrebbe messo delle bombe se avesse voluto uccidere i suoi compagni.
-Eureka!- esclamò dopo pochi minuti, gli altri due si volsero a guardarla senza capire –Riflettete: il primo bersaglio era casa mia, dove saremmo dovuti morire io e BB, solitamente ci siamo solo io e lui a casa la mattina di un giorno feriale, ma questa volta tu eri fuori con April in via del tutto eccezionale- disse rivolta al marito e continuò –Il secondo bersaglio era la Torre, dove tu e Robin dovevate trovarvi a indagare su Ghostface- aggiunse spostando gli occhi dal verde alla rossa.
-Allora…- mormorò Stella intenta a ragionare -…il prossimo bersaglio sarà sicuramente l’ospedale dove si trovano Cyborg e Bumblebee!-
-E la scuola!- esclamò a sua volta BB- Tutti i nostri figli vanno alla scuola Giovanni Boccaccio!-
Quest’ultima affermazione però mise la pulce nell’orecchio alla maga.
-Non è detto BB…Rick e Ruby oggi sono in gita al Museo della Bilancia, Slade potrebbe colpire lì-
-Ammesso che lo sappia- replicò BB- Non sapeva che ieri io non ero in casa e probabilmente non sa neppure che Robin è scomparso-
-Non possiamo correre il rischio, si tratta dei nostri figli!- il tono della mezzo demone lasciava intendere che non avrebbe tollerato una sola parola in più sull’argomento, d’altronde BB teneva ai gemelli quanto lei, non avrebbe messo a repentaglio la loro vita per un sospetto.
Stella prese in mano la situazione –Ok, dobbiamo dividerci.
BB tu resta qui e cerca di disinnescare la bomba, se vedi che non ce la fai, scappa. Corvina tu vai alla scuola, avvisa la segreteria, bisogna evacuare tutto il quartiere. Io andrò all’ospedale e farò lo stesso, il museo è lì vicino, farò tappa per controllare-
Nessuno ebbe da ridire, dovevano essere rapidi ed efficienti, la loro era una lotta contro il tempo.
 
-Che succede? Sei incastrato?- chiese Robin.
Senza osare muoversi Ghostface rispose –N-non posso muovermi…-
-Perché?!?- insistette l’altro al limite della pazienza.
Prima che il vecchio potesse rispondergli, l’intralcio della loro avanzata si rivelò da sé.
-Cooo…cococococooo…coccodè!-
Robin si rifiutò di credere alle sue orecchie –Non dirmi che c’è una gallina…- disse quasi implorandolo.
-Non è una gallina è un gallo! E con degli speroni per nulla rassicuranti- rispose il vecchio arretrando ma trovò la ritirata impedita dal leader dei Titans.
-Non possiamo proseguire!- disse sempre più nervoso scalciando per far indietreggiare il suo forzato compagno d’avventura.
-Vorrai scherzare, spero!- esclamò quello a denti stretti bloccandogli le caviglie contro la lamiera che li sosteneva, stava per impazzire in quella situazione, esasperato si passò una mano sul viso imponendosi di mantenere la calma –È solo uno stupido pollo, mandalo via!-
Ghostface si voltò verso di lui continuando però a sorvegliare l’uccello davanti a sé con la coda dell’occhio forse non ti ricordi ma io sono ornitofobico**! Non ce la faccio ad avvicinarmi a quel coso!-
Un sorrisetto divertito nacque spontaneo sul volto dell’eroe che dovette soffocare una risata <Aspetta che lo dica a BB, stronzo, e la prossima volta che ci vediamo ti faccio ripassare tutta la famiglia del pollame!!> ma quello non era il momento per divertirsi, per quanto detestasse ammetterlo erano sulla stessa barca, lì sotto era pieno di droidi assassini e Slade sicuramente li stava aspettando altrimenti come si spiegava il pollo nei condotti d’areazione?
Evidentemente anche il suo acerrimo nemico era a conoscenza della fobia del vecchio.
Con Slade pronto alla battaglia e un esercito di robot a spalleggiarlo, Robin non impiegò molto a focalizzare che Ghostface era il suo unico alleato e che se voleva uscirne vivo doveva collaborare con lui.
<Tu mi hai trascinato in questa merda, perché non dovrei abbandonarti qui? Magari Slade ti ammazza>
Poi si ricordò del detonatore che Ghostface custodiva e la risposta alla sua domanda fu istintiva.
Il loro unico vantaggio sul guercio era che Slade non sapeva quando e dove avrebbero colpito, probabilmente non sapeva neanche che erano già dentro la centrale o i robot li avrebbero già attaccati e sicuramente non sospettava che Robin fosse col pazzo canuto.
Quelli che avevano incontrato fin ora erano solo ostacoli preventivi nel caso qualcuno avesse tentato di infiltrarsi.
Dovevano sfruttare al massimo il fattore sorpresa.
Maledicendosi, il ragazzo si tirò una pacca in fronte, sussurrando –Maledizione, Ghostface! Sei uno dei più pericolosi assassini del mondo e hai paura di un gallo? Sei grande e grosso e armato fino ai denti, lui non può nemmeno ferirti! Dagli una sberla e spingilo via prima che…-
Scch-creeeeek!!!
Lo stridulo cigolio anticipò quanto Robin stava per dire: il condotto d’areazione sottoposto a troppo peso cedette e s’inclinò sopra la sala del reattore; in men che non si dica Robin, Ghostface e il gallo si ritrovarono senza più nulla su cui appoggiarsi.
La lamiera si piegò come carta sotto i loro pesi combinati.
-Merda!- esclamò il ragazzo mentre cadeva, il vecchio invece rimase in silenzio, preparandosi all’impatto.
-Squeeekk!! Coccoccococodeèè!!- il povero pollo fu sicuramente quello che si spaventò più di tutti.
Caddero per sei metri,  Robin si stupì di essere così in alto, prontamente il ragazzo fletté gambe e braccia per ammortizzare la caduta, piombò sul pavimento di cemento poggiando a terra palmi e piedi, l’urto gli fece dolere le giunture.
Ghostface invece atterrò con le gambe piegate come un rana, dando ancora segno della sua incredibile agilità, senza danno ricevere.
Anche il galletto se la cavò con svolazzando rozzamente e gracchiando di terrore.
I due uomini si sollevarono.
Attorno a loro c’era solo il silenzio, tutto era buio salvo una piccola luce rossa in una angolo in alto: una telecamera.
-Sa che siamo qui- dichiarò il vecchio scrutando quel puntino nell’oscurità.
-Se quel pollo era lì vuol dire che ci aspettava…- gli fece notare il ragazzo.
-In questo caso non serve più nascondersi- sorrise il vecchio imbracciando il fucile a pompa, un sordo “c-clak” segnalò che l’arma aera stata caricata - Ah…per quanto riguarda la storia del pollo…ti sarei grato se…-
-Credi che racconterò in giro che sono stato bloccato da un gallinaceo?- lo interruppe Robin –Sono già lo zimbello di Batman, evito di diventare quello della J.L. se posso-
-Meglio così, reputazione salva- stava per aggiungere qualcosa ma un rumore li fece ammutolire entrambi.
Non erano soli.
Decine, no! Centinaia di luci si accesero nell’oscurità tutti attorno a loro, luci piccole ad altezza viso...sembravano proprio…occhi!
Le luci si accesero improvvisamente.
Slade!
Tanti Slade! Troppi!
Erano circondati da robot con le sembianze del loro creatore, Robin aveva già avuto a che fare con questo tipo di droide e sapeva che erano tutt’altro che facili da abbattere, molto più pericolosi e resistenti dei loro colleghi.
Il vecchio e il giovane si misero spalla contro spalla, uno stringeva tra le dita l’asta telescopica fino a far sbiancare le nocche, l’altro imbracciava il fucile tenendo sotto tiro ogni volta un robot diverso dei numerosi che gli giravano attorno come avvoltoi.
-Qui si mette male…-
 
Corvina si materializzò nell’ufficio del preside del Boccaccio, senza fornire alcuna spiegazione all’uomo interdetto si precipitò sul microfono usato per fare gli annunci scolastici.
-Tutti fuori! C’è una bomba nella scuola!!- gridò più seria che mai.
Si scatenò il pandemonio.
-Ma che…- Corvina zittì il direttore prima che potesse aggiungere altro –Non ha sentito?! Questo posto sta per saltare in aira! Porti in salvo gli alunni, il più lontano possibile da qui, molto molto lontano! Ora! Si muova!!-
Spaventato da quell’autoritaria quanto nefasta apparizione il preside si precipitò in giardino a coordinare l’esodo degli studenti.
<Non ce la faranno mai…> pensò Corvina guardando dalla finestra la turba di ragazzi terrorizzati sparpagliatasi nel cortile, e i pochi professori che cercavano di mantenere la calma e l’ordine per far un’evacuazione controllata anziché una folle fuga sconsiderata.
<Anche se ripristinassero l’ordine non farebbero comunque in tempo, la bomba ha un raggio d’azione troppo ampio e io ho perso già troppo tempo…ma April e Bruce sono tra loro….>
Il suo ruolo di eroina e il suo profondo amore materno non le lasciavano alternativa, doveva trovare e disinnescare la bomba il prima possibile.
Trovarla non fu difficile, dopo aver scannerizzato l’ordigno trovato alla T-Tower le bastava puntare il comunicatore Titans attorno a sé per ricevere una mappa virtuale dell’edificio con indicato se e dove era nascosta una bomba simile a quella rinvenuta alla Torre.
La trovò nell’atrio della scuola, nascosta in uno dei molteplici vasi di fiori che ornavano l’ambiente.
Scaraventò via piante e terriccio, trovandosi sola faccia a faccia con l’ordigno il cui timer continuava inesorabile la sua decrescita.
Dieci minuti.
<Ok…adesso tocca a me>
 
-Ok…adesso tocca a me- il mutaforma deglutì –Sangue freddo BB… ce la puoi fare. Dopotutto hai a che fare con alta tecnologia ogni giorno…- si disse per incoraggiarsi.
Premette il bottone rosso sotto il timer e un pannello color rame grande quanto un sesto della sfera si sollevò rivelando gli interni della bomba.
Un dedalo infinito di cavi tutti uguali, tutti dello stesso color verde melma, che si intersecavano, s’ingarbugliavano e si intricavano tra circuiti e ingranaggi rendendo del tutto impossibile capire dove iniziasse uno e dove finne l’altro.
BB ebbe un tuffo al cuore, le tenaglie con cui contava di tagliare il solito “filo rosso” gli caddero dalle mani.
<Cyborg dove sei…??>
 
Stella aveva già sondato il museo per intero.
<Maledizione! Non è qui!>
Lo scanner parlava chiaro, il terzo ordigno non si trovava nel museo, si limitò a dire che l’edificio non era a rischio e schizzò via in cielo, più veloce che mai,
L’ospedale era vicino e aveva già dato ordine di evacuare ma era anche tanto grande e pieno di persone.
Se fosse esploso sicuramente sarebbero rimaste coinvolte molte vittime, troppe, e doveva ancor trovare la bomba!
Il tempo non accennava a voler rallentare la sua corsa.
Cinque minuti.
Eccolo che compariva all’orizzonte mentre un fiume di malati veniva scortato fuori da ogni uscita disponibile accompagnato da medici, infermieri, parenti, poliziotti e pompieri.
Stella si precipitò all’interno dell’edificio sfondando una parete.
Afferrò precipitosamente il T-Caller che per la fretta e la tensione le cadde dalle mani tremanti, lo raccolse e individuò la bomba…reparto pediatria, di fianco a quello dove stavano Cyborg e Bumblebee!
Tre minuti.
Energizzandosi al massimo volò attraverso muri e ambulatori diretta nel reparto pediatrico, incurante dei colpi che riceveva ad ogni parete che abbatteva.
Notò con orrore che i corridoi e molte delle sale erano ancora occupate da pazienti e dottori, il messaggio di evacuazione era arrivato troppo tardi, c’erano centinaia di persone in quell’ospedale…troppe da salvare in dieci minuti.
<L’unico modo per aiutarli e disinnescare quella bomba!>
In mezzo a quella folla c’erano anche Cyborg e Bumblebee, ridotti all’impotenza da quel pazzo omicida che andava a zonzo per Jump city, doveva farcela per i suoi amici inermi che contavano su di lei, era la loro unica speranza.
Quando riuscì a mettere le sue mani sull’ordigno mancava solo un minuto.
<Che faccio?!!??> pensò guardando il timer più angosciata che mai, l’ansia la divorava , il peso della responsabilità di centinaia di vite la opprimeva rendendola incapace di ragionare.
Le dita le tremavano, lo sguardo balzava da una parte all’altra in cerca di una qualsiasi risposta celeste, sudava freddo e sentiva le ginocchia vacillare e sciogliersi, tutti i suoi stomaci si attorcigliarono tra loro e il cuore le balzò in gola strozzandola mentre il cervello le martellava la testa senza tregua.
<Che cazzo faccio adesso??!>
 
<Che cazzo faccio adesso??!> pensò Corvina trovandosi davanti quel Nodo di Gordio versione cavetti.
 
-Che cazzo faccio adesso??!- imprecò BB divorato dall’ansia, dall’indecisione e dalla paura senza sapere che cavo recidere.
 
20 secondi.
10secondi
3,2….1
 
KAW-BOOOOMMM!!!!
 
Robin volse lo sguardo verso Ghostface, mantenendo il sangue freddo –Ok, so di non starti simpatico ma se hai un piano B questo è il momento di dirmelo!-
-Piano B?- fece quello confuso –Ah…sì…un attimo che ci penso…-
-Non hai un piano B!?- urlò Robin fuori di sé…presto centinaia di robot l’avrebbero smembrato come un agnello al macello ma prima che ciò accadesse lui avrebbe smembrato Ghostface se non lo avesse tirato subito fuori da quella situazione.
-Ci sto ancora lavorando!- rispose Ghostface sgarbato mentre i robot ciclopi si addensavano sempre più attorno a loro.
-Odio quella maschera..- commentò il ragazzo a denti stretti trovandosi circondato da centinaia di  volti neri e ramati da un occhio solo, nessuno di loro era il vero Slade eppure lui li stava monitorando, era onnipresente e loro erano caduti nella sua trappola.
Ka-pow!
Ka-pow!
La canna del fucile a pompa prese a fumare due droidi che si erano avvicinati troppo stramazzarono al suolo senza più la testa.
-Il piano è questo – disse il vecchio richiamando l’attenzione di Robin –Vedi tutti questi robot attorno a noi?-
-Ah-ahn- annuì il ragazzo.
-Ebbene, dobbiamo farli a pezzi prima che loro facciano a pezzi noi-
-Que-questo è il tuo piano?!?- balbettò lui incredulo.
-Ci sono due porte, quella principale fondo alla sala e una più piccola situata su una passerella sopraelevata…- rispose Ghostface indicando una lunga passerella di ferro sospesa sopra di loro, che passava proprio sul reattore conducendo a una porticina rossa di servizio.
Il vecchio ricaricò l’arma e aggiunse –Qui ci separiamo, io passo per la via principale tu la secondaria- ghignò divertito mentre da dietro le lenti gli occhi gli brillavano di sadico piacere –Precedimi se ci riesci, vince il primo che arriva a Slade!-
 
BB aprì gli occhi.
Il timer davanti a lui era bloccato sui 20 secondi…ce l’aveva fatta!
-C-ce l’ho fatta…- balbettò incredulo rialzandosi da terra, dove si era rannicchiato in attesa di essere spazzato via.
Non lo credeva neppure lui ma ce l’aveva fatta!! Era riuscito a disinnescare la bomba tagliando a occhi chiusi un cavetto completamente a caso tra la marea che aveva davanti!
Alzò entrambi i pugni al cielo –SSSÌÌÌÌ!!! Cazzo! Sìììì!! Ce l’ho fatta, ce l’ho fatta!!- iniziò a saltellare attorno alla bomba esultante, felice come una pasqua.
Rivolse gli occhi al cielo limpido –Grazie, divinità a piacere, grazie! Io ce l’ho fatta, io ce l’ho fatta…sono il migliore, sono il migliore…!!-
Ma le sue grida di vittoria gli morirono in gola quando, spostando lo sguardo sulla città, vide innalzarsi dal nucleo di case un enorme colonna di fuoco.
Fu un colpo durissimo che lo pietrificò sul colpo.
Osservò immobile, impotente, con occhi vitrei il fungo di fiamme rovesciarsi come un’onda su Corvina o su Stella e su molti altri innocenti.
-No…- mormorò senza più forza nella voce.
 
Utilizzando il suo arpione Robin era riuscito a catapultarsi nella passerella soprelevata prima che i robot potessero agguantarlo, ora si stava precipitando più veloce che mai mentre sotto di lui Ghostface scatenava l’inferno.
Neppure la passerella era sgombra, Robin dovette farsi strada a colpi di bastone per liberarsi dei droidi che la infestavano, alcuni li distrusse coi suoi dischi esplosivi, altri li fece cadere dalla passerella, ad altri ancora fracassò la tanto odiata maschera a bastonate, sollevando ogni volta una nube di scintille e circuiti.
Quando finalmente riuscì a chiudere la mano sulla maniglia della porticina di metallo rosso, il vecchio aveva già da tempo esaurito le scariche del fucile e si apriva una strada in quel fiume di automi a colpi di katane.
Ma per ogni passo che faceva Ghostface doveva arretrare di due tanto il numero dei nemici lo soverchiava, per ogni fendente tirato doveva pararne quattro, ogni due colpi andati a segno era lui a ricevere un livido.
Ruggiva come una bestia ferita, rinchiusa in una gabbia e tormentata dai suoi aguzzini.
Circondato da ogni parte, i robot che lo assediavano erano impossibili da numerare, mulinava le spade a destra e a manca ma ogni caduto era sostituito da un suo sosia ed era come se nulla fosse cambiato, solo il vecchio spendeva energie preziose, i corpi dei nemici, incuranti della propria conservazione lo opprimevano da tutte le parti, non c’era spazio per muoversi in quel salone infestato dalle macchine.
Questa fu l’ultima cosa che Robin vide quando si chiuse la porta alle spalle.
<Che muoia pure quel figlio di puttana>
 
Corvina era ansimante per la paura, sdraiata sul pavimento della palestra con la schiena premuta contro il muro.
Anche in quel momento di estrema  delicatezza e tensione era riuscita a mantenere il sangue freddo.
Consapevole che non sarebbe riuscita a disinnescare la bomba la maga aveva optato per un’alternativa, aveva spalancato un portale dimensionale che dava sulla dimensione del Vuoto Assoluto, aveva dovuto combattere con tutte le sue forze per resistere al risucchio che quella dimensione esercitava sulle altre ma era anche riuscita a cacciarci dentro la sfera-o-bum senza venire aspirata nel nulla a sua volta.
Quando aveva richiuso il portale l’atrio della scuola aveva perso buona parte della sua mobilia e decorazioni ma la bomba era scomparsa dieci secondi prima del disastro.
Ora esausta stava recuperando le forze appoggiata alla parete, fissò il sole dalle finestre della scuola e ne restò abbagliata.
Era sfinita ma felice, aveva salvato i suoi figli e tutti gli altri bambini…iniziò a sorridere di gusto come raramente le succedeva.
Un rumore assordate la colse di sorpresa spaccandole i timpani e facendola strillare a sua volta di paura.
Un rumore così fragoroso l’aveva sentito solo un’altra volta…il giorno prima.
Scattò in piedi senza saper dove guardare, le orecchie le fischiavano terribilmente e il botto sarebbe potuto arrivare da qualsiasi direzione.
Smarrita iniziò a girare la testa in ogni direzione, ruotando su se stessa e perdendo l’equilibrio.
Cadde a quattro zampe.
Trovò solo la forza di alzare il viso coperto di lacrime al cielo e implorare –No…ti prego Azar, no…-
 
Schiumante di rabbia il vecchio si liberò dall’ennesima presa fattagli dall’ennesimo robot, piantandogli la lama della spada nella scheda madre.
-Avanti!- li incitò sputando sangue, aveva ferite su tutto il corpo, il suo fattore rigenerate lavorava più che mai per guarirne la maggior parte ma ogni volta che si curava un’emorragia un’altra era prontamente riaperta.
-Volete un pezzo di me? Venite a prenderlo!!-
Il rumore di una porta metallica che si chiudeva era impercettibile in mezzo a quel fragore eppure tutti i robot lo percepirono istantaneamente.
Non appena Robin chiuse la porta i droidi si inchiodarono di colpo, presero gli uni le distanze dagli altri, allineandosi come soldatini di piombo, immobili come statue.
Calò il silenzio.
Senza alcuna ragione gli automi avevano smesso di combattere, di muoversi, di attaccare, anche solo di difendersi, si erano disposti l’uno accanto all’altro, dritti e immobili come statue con le braccia conserte dietro la schiena e lo sguardo fisso davanti a loro.
Nessuno accennava a dare segni di funzionamento.
Ghostface osservò attentamente il droide più vicino a sé, con un rapido movimento della spada gli mozzò un braccio…circuiti e scintille rischiararono l’ambiente, il braccio cadde con rumore assordante in quel silenzio che aveva avvolto il salone...ma il droide non ebbe alcuna reazione.
Ne decapitò tre in un colpo…ma nessuno si mosse.
Non capiva.
 
Stella aprì gli occhi.
Vedeva tutto verde.
Con una lentezza irreale abbassò le braccia tese e chiuse i palmi aperti… la barriera creata dai sui starbolts*** attorno a lei svanì nell’aria.
Come il suo scudo protettivo si dissolse il mondo riprese colore vide l’azzurro del cielo…e il grigio tutto attorno a lei.
Si alzo in tutta la sua altezza dalla posizione raggomitolata che aveva assunto per proteggersi dall’esplosione.
Ovunque guardasse, in qualsiasi direzione vedeva solo cenere e desolazione, un cimitero di corpi diroccati di edifici, di scheletri d’auto, di cadaveri umani.
Solo lei era sopravvissuta…intorno a sé per centinaia di metri non c’era altro che la desolazione, la morte e il silenzio più rintronante.
 
Sospettoso si mosse furtivo tra quelle file di replicanti stringendo l’impugnatura delle spade fino allo spasmo.
Le dita gli dolevano, le vene pulsavano e le nocche parevano dovergli uscire dalla pelle da un momento all’altro
Cauto e smarrito allo stesso tempo Ghostface avanzò in quel reticolato di androidi senza sapere cosa aspettarsi, tutti i suoi sensi erano tesi al massimo, gocce di sudore gli imperlavano la fronte colandogli nell’incavo degli occhi e sul naso ma non osò abbassare la guardia per asciugarsele…perché si erano fermati di colpo? Perché avevano smesso di attaccare?
Non appena la calma fu tale da permettergli di ragionare tutto si fece chiaro.
Il vecchio protese le lame in avanti –Sei qui, vero?- urlò rivolto alla marea di Slade schierati tutt’intorno a lui.
Silenzioso come un fiocco di neve un’ombra alle sue spalle si spostò tra centinaia dei suoi sosia.
Qualcosa fendette l’aria, Ghostface si voltò ma non fece in tempo, lui era già lì.
Un calcio partì fulmineo e inevitabile, Ghostface stramazzò a terra diversi metri più in la di dove si trovava prima, un dolore lancinante gli attanagliava schiena dove il colpo era caduto, lungo la colonna vertebrale.
Tutto intorno a lui non c’erano altro che i robot pietrificati, era  circondando da una marea di gambe immobili, tutte uguali.
Solo un paio si muovevano nel più completo silenzio, come seta sulla sabbia.
Volse il capo sudato, ormai i capelli erano tutti attaccati al viso, all’indietro e lo vide, in piedi con le braccia incrociate, con la stessa identica postura dei robot, irriconoscibile in mezzo ai suoi cloni bionici.
Ora svettava orgoglioso davanti a lui, ma gli bastava fare un passo indietro per tornare a confondersi tra la massa dei suoi doppioni  e diventare peggio di invisibile: introvabile.
Aveva scelto bene il campo di battaglia.
Ghostface si sollevò dal suolo, la faccia era una maschera di furia omicida, lo sguardo da dietro le lenti era freddo e crudele come solo gli occhi di ghiaccio della Morte potevano essere.
Strinse i denti  quasi fino a schiantarli gli uni con gli altri.
-Slade…-
 
 
*Ricordo che Robin sta gattonando dietro a Ghostface quindi tecnicamente appoggia prima la mano del piede nel condotto, dire “appena ci mise piede” non sarebbe stato coerente.
 
** Vedi capitolo 16 “Ghostface”
 
***Forse non tutti sanno (ma dubito) che Stella Rubia può anche creare delle barriere protettive con i suoi starbolts e anche se praticamente non le usa mai possiamo vedere la sorella, Stella Nera, farne uso nel terzo episodio della terza stagione “la sposa promessa” (Betrothed)
 
 
Salve, sono sempre io, l’autore (il cannato che scrive queste storie cruente che vi piacciono tanto)
Questa è solo una comunicazione di servizio, come chiunque abbia mai scritto una storia piuttosto lunga sa, i capitoli tendono a moltiplicarsi verso la fine perciò Alive si è accresciuto di un paio di capitoli che non avevo calcolato quindi per la vostra gioia durerà un po’ di più.
Evviva…(molto sarcastico)
A presto.
 
Ghostface.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 23 ***


CAPITOLO 23
 
Avviso ai lettori. Questo capitolo contiene scene splatter.
 
-Uno, due, tre e quattro,
ho gli artigli come un gatto…-
 
La voce di Ghostface riecheggiava in ogni dove nella Sala Reattore, diffondendosi in quel dedalo di paralitici automi senza che nessuno desse segno di vita.
Nonostante stesse appena sussurrando le parole suonavano chiare e il passo felpato rimbombava ben scandito nel vuoto.
Il vecchio si aggirava tra le file di droidi furtivo come una tigre a caccia, roteando le spade e guardando ovunque e da nessuna parte, da qualsiasi parte si girasse vedeva solo Slade fasulli impietriti come soldati sull’attenti, i loro corpi allineati, alti e solidi, creavano un groviglio dall’indistricabile pianta, ogni corridoio pareva avere mille uscite eppure condurre sempre a un vicolo cieco.
Le pupille bianche vagavano disperatamente da un capo all’altro del suo campo visivo cercando l’unica tra quelle centinaia di maschere uguali che si sarebbe mossa.
 
-Tre, quattro, cinque e sei,
fossi in te io me ne andrei…-
 
Prima ancora che Ghostface si fosse rialzato, Slade era già sparito sommerso dai flutti di quel mare di cloni.
E ora si aggirava con piede leggero, sfiorando appena il terreno, cauto in ogni movimento, avvicinandosi sempre di più alla sua preda senza che essa potesse individuarlo.
Ma in quel labirinto di replicanti non era ancora ben chiaro chi dei due avversari fosse il Minotauro.
 
-Sei, sette, otto e nove,
presto vorrai tanto essere altrove…-
la nenia venne interrotta da una risatina soffusa nata sotto i baffi argentei del vecchio.
-Ma se il buio ancora dura,
tu puoi solo aver paura.
Perché non c’è modo di ammazzare,
il vecchio Ghostface, caro Slade-
Un ghigno maligno si dipinse sul volto del vecchio.
Slade era stato rapido, non aveva commesso errori, neppure un battito di ciglio, nulla che potesse tradirlo…se non che il movimento ininterrotto delle lame di Ghostface non era casuale.
Le lunghe e sottili spade, lucidate alla perfezione, rispecchiavano qualsiasi cosa incrociasse la loro traiettoria, ruotandole in continuazione Ghostface aveva ottenuto una visione periferica dell’ambiente attorno a se.
Sapeva che Slade l’avrebbe colpito alle spalle per non rischiare un approccio diretto, tenendo vigile la guardia, il vecchio si era sempre guardato la schiena grazie alle sue scintillanti lame e gli occhiali scuri sul viso impedivano che qualcuno potesse capire dove stavano puntante le sue pupille. 
Aveva visto solo con la coda dell’occhio un’ombra scattare tra le ombre…ma gli era bastato.
Fulmineo, senza emettere un suono flesse il gomito all’indietro e questo andò dritto contro il viso mascherato di Slade.
Il guercio barcollò all’indietro, sorpreso e stordito dal colpo imprevisto ma dovette riprendersi in fretta per riuscire ad evitare la lama che gli mulinò a un soffio dal viso.
Piegandosi all’indietro con grande agilità riuscì a mandare il colpo dell’avversario a vuoto.
A quello se ne susseguirono molti altri che l’ex-apprendista riuscì ad evitare sempre per il rotto della cuffia.
Ghostface continuava ad incalzarlo e lui, troppo occupato a scansarsi, non aveva il tempo di controbattere.
Il suo avversario era incredibilmente calmo, ogni colpo andato a fendere l’aria veniva subito riparato con un abile gioco di braccia, in modo che la lama procedesse sempre in avanti, senza mai spezzare l’armonia del movimento, ruotava su se stesso facendo danzare le spade tra i bagliori dei neon.
La lama procedeva indisturbata il suo sinuoso movimento in modo che un colpo a vuoto non fosse un colpo sbagliato, ma servisse solo a farle assumere velocità.
Non importa quante volte Slade riuscisse a evitare di un soffio la morte, Ghostface mulinava le spade senza sforzo ma con atroce precisione, il suo braccio non era mai dovuto tornare indietro, o rialzarsi dopo essersi abbassato, comunque andasse il colpo era sempre una la sua direzione: avanti.
E avanti andava roteando corpo e braccia e lame come una cosa sola in affascinanti movimenti curvilinei senza mai compierne uno spezzato.
Non era un mistero chi avrebbe resistito più a lungo in quel duello.
Quella tempesta di lame baluginanti in movimento era uno spettacolo sensazionale…peccato che Slade fosse troppo occupato a evitare di diventarne parte per goderselo.
Sapeva bene che non avrebbe retto a lungo quel ritmo, ogni attacco era sempre più rapido del precedente.
Doveva interrompere quella danza di morte e sapeva bene come fare.
Gli bastò toccarsi un punto a lato della maschera, all’altezza dell’orecchio e sussurrare un’unica parola –Emèt-*
A quel comando i droidi parvero riscuotersi istantaneamente dalla trance in cui erano caduti, tutte le pupille bioniche, prima fisse nel nulla, puntarono il loro bersaglio.
Jonathan non parlò, si limitò a restare serio e silenzioso mentre la schiera di robot gli dava l’assalto una seconda volta.
Con quell’orda di suoi sosia a dar battaglia, al guercio non fu difficile allontanarsi dal suo rivale per riprender fiato e tornare irriconoscibile come una goccia d’acqua nella pioggia.
<Perché non parla? Perché non ringhia e non impreca? Perché è così dannatamente silenzioso, impassibile?>
Non riusciva a spiegarselo.
Non era abituato ad un Ghostface così distante, così calmo e riflessivo.
Ma certo!
Come aveva fatto a non pensarci prima!
Lui conosceva le tecniche di combattimento di Ghostface meglio di chiunque altro e il vecchio ne era consapevole…stava cambiando il suo modus operandi per confonderlo.
<Vecchio bastardo…>
-Mèt*- sussurrò a denti stretti con le dita premute alla tempia.
I robot s’impietrirono nuovamente, interruppero qualsiasi cosa stessero facendo per riformare le righe, ricreando l’indistricabile labirinto di prima.
E Slade era tra loro.
Col fiato pesante, il vecchio trovò al forza di sollevare la fronte mandida di sudore, attorno a lui erano disseminati arti bionici e circuiti dei replicati…e sangue.
Fronteggiare quell’immane numero i droidi da battaglia gli era costato non poca energia, ma fece di tutto per non dare a vedere la sua spossatezza.
Gli occhi vagavano da dietro le lenti fissando ogni singola maschera bicolore che incontrava, senza riuscir a notare nessuna differenza l’una dall’altra.
Si passò una mano sui capelli attaccati al cranio…e il droide accanto a lui, che un droide non era, gli tirò un calcio dritto nel ventre, un colpo che non riuscì a incassare.
Cadde piegato in due per le terribili fitte allo stomaco e un secondo calcio del suo avversario lo colpì in pieno volto, mandandolo lungo disteso.
Tossì rocamente e i suoni rimbombarono ancora più cupi sulle pareti spoglie della Sala Reattore.
 <Così però non può mica andare avanti…> pensò il vecchio rialzandosi più svelto che mai…ma Slade era già scomparso.
-Dimmi una cosa…- iniziò il canuto rivolto alla platea di suoi avversari, spendo di essere ascoltato.
Non roteava più le spade, le teneva in mano senza neppure esercitare una grande presa, le punte sfioravano il terreno.
-Non sono stato via molto e prima questi giocattoloni non c’erano. Come hai fatto a procurarteli?-
Ghostface non sbagliava, non era stato Slade a fabbricare gli automi bensì Fratello Blood, gentilmente offertosi di sostenere la causa del guercio gli aveva procurato un esercito di droidi ibridi, ottenuti mischiando gli schemi iniziali dei normali robot al servizio di Slade e modificandoli con più moderni ed efficienti sistemi presi direttamente dai progetti personali di Cyborg, creando così una nuova generazione di robot senza precedenti.
Soltanto l’eco della sua voce rispose.
E poi un grido di dolore.
Scattato alle sue spalle il guercio era riuscito ad afferrargli il polso destro e tirargli con l’altra mano un terribile colpo al gomito per poi sparire nuovamente tra le schiere di replicanti.
Ghostface si guardò l’osso che usciva dal braccio e senza dire una parola, strinse i denti fino a schiantarli e, sbuffando come un toro ferito,  se lo ricacciò dentro a forza.
-Sai…- disse col respiro pesante –Fa un male cane…ma guarirò. Al contrario di te-
Un altro colpo scatto davanti a lui, ma questa volta il vecchio fu abbastanza pronto da afferrare al caviglia prima che il piede del suo rivale si abbattesse sul su pomo d’Adamo.
Glielo torse all’indietro affondando gli artigli della mano monca nello stivale, il vero Slade gemette di dolore cadendo a terra, Ghostface teneva ancora saldamente in pungo la sua caviglia.
Fu il momento di restituire il dovuto.
-Non sei poi così minaccioso una volta a terra, vero?- ghignò pestandogli lo sterno con tutto il suo peso, il guercio tento di afferrarlo con le braccia  ribaltare al situazione a suo favore, ma fu troppo lento, iniziò per lui una serie di dolorosissimi calci alle costole, senti le ossa tremare e spezzarsi sotto le suole chiodate del suo nemico.
Come se non bastasse i legamenti del braccio messo a nudo si stavano già ricomponendo.
Per salvarsi d a quella situazione agì d’impulso, afferrando dalla sua cintura uno dei suoi affilatissimi dischi lamati.
Il colpo fu preciso, rapido, e per la distanza praticamente nulla, anche impossibile da evitare.
Le lame ricurve, sottili e nere, si conficcarono in profondità nel ventre del vecchio, che rispose con un truce mugugno a denti stretti.
La “S” impressa sul dischetto iniziò a lampeggiare sempre più velocemente...
Col braccio destro ancora fuori uso e una bomba sullo stomaco a Ghostface fu chiaro come agire e per quanto riluttante mollò la presa attorno alla caviglia di Slade, che subito si sottrasse alla vista, per afferrare quel disco lamato esplosivo e scagliarlo il più lontano possibile da sé appena prima che esplodesse.
Nel fare questo si era aperto una profonda lacerazione nel basso ventre, avendolo strappato via di forza, nonostante le lame uncinate opponessero una dolorosa resistenza, tuttavia era riuscito ad allontanarlo da sè prima che l’ordigno detonasse.
Lanciato sopra le ordinate ed impassibili file di androidi il dischetto esplose in una sconcertante nuvola di fuoco che avvolse tutto attorno a sé nel raggio di due metri, più di un volto d’automa rimase sciolto nella nube fiammeggiante, rivelando lo scheletro metallico interno prima che anch’esso si liquefacesse e il corpo cadesse a terra privo di vita, ammesso che prima ne avesse.
La temperatura di quell’ordigno doveva raggiungere come minimo i 1800 gradi per fondere con tanta facilità gli strati protettivi del robot fino a giungere al centro di comando, protetto da un cranio metallico spesso due centimetri.
Lo sfrigolante e assordante rumore che emise assordò entrambi gli umani.
Ghostface guardò quell’inferno fiammeggiante espandersi nell’aria, appena sopra la testa dei droidi e poi dissolversi nel nulla pochi istanti dopo.
Le lingue di fuoco si specchiarono sulle sue lenti nere, protendendosi verso di esse come  fameliche dita infernali, senza però riuscire a raggiungerle, Ghostface arretrò rabbrividendo fino ad andar a sbattere contro un robot alle sue spalle.
Fuoco…lo temeva più di ogni altra cosa…e al contempo ne era affascinato dalla sua potenza e dalla sua incredibile forza distruttrice.
Quelle armi erano state create appositamente per lui.
Come la nube incendiaria si estinse anche la luce e il suono si dissolsero, facendo piombare nuovamente la sala in un freddo silenzio mortuario.
Ghostface si guardò intorno, un’occhiata veloce, sapeva che rovinarsi la vista su quei corpi uguali sarebbe solo servito a fornire al vero Slade l’occasione di colpire.
-Termite, non è vero? Ammirevole!- sorrise il vecchio articolando lenti cerchi col braccio destro, finalmente risanato, i passi riecheggiarono pesanti, scandendo il tempo del suo respiro.
-La tecnica del “mordi e fuggi” non è da te, Willy…mi aspettavo qualcosa di più…-
Rinfoderò le spade, continuando a ad aggirarsi predatore tra quei volti indistinti - Cosa conti di ottenere? Cerchi di stancarmi?
Avanti, sai benissimo che sono troppo forte per te, non puoi battermi…-
La voce del guercio si fece udire, pareva provenire da ogni parte, l’eco ingannava e confondeva, Ghostface si girò verso ogni direzione senza ottenere nulla di utile dai suoi sensi, tutti all’erta.
-Conto di ucciderti!- tuonò imperiosa la voce nemica.
E aggiunse anche qualcos’altro, una muta parola indistinta che Ghostface non riuscì a capire.
All’udire il comando sussurrato i robot si riattivarono e tutto fu chiaro.
-Non questa volta…- ringhiò a denti stretti.
Prima che l’esercito di metallo gli si rovesciasse addosso una terza volta con tutta la sua furia, Ghostface sollevò entrambi i pugni al cielo, rivelando la sua arma segreta.
Due sottili bracciali dorati, con una gemma bianca e ovale incastonata al centro, bordati con linee di un blu intenso che attraversavano tutto il bracciale.
Ormai i droidi gli erano praticamente addosso quando dalle gemme, grandi come un uovo di gallina, si sprigionò una luce abbagliante.
Terribili folgori di pura energia guizzarono fuori da esse diradandosi in ogni direzione, attirate dal metallo che le circondava in ogni dove.
Veri e propri fulmini erano scaturiti da quei bracciali, e con la velocità ineguagliabile che solo il fulmine stesso possiede, si erano dispersi in ogni direzione, entrando dentro i corpi metallici, diffondendosi da uno all’altro.
Nella confusione dell’attacco i robot erano a stretto contatto l’uno con l’altro passandosi così involontariamente la scarica elettrica di devastante potenza.
Tutto era successo in un batter d’occhio.
Dell’esercito di replicanti non restava che un ammasso di corpi fumanti, sfrigolanti, inattivi, da cui si sprigionavano scintille e cigolii simili a rantoli di sofferenza.
Solo uno era rimasto in piedi…l’unico che non era di metallo.
Un sadico e raccapricciante sorriso si aprì sul viso scavato del vecchio, rivelando la fila di denti scintillanti dai canini aguzzi.
 
Robin avanzava nel buio.
La stretta attorno all’asta era tale da farla diventar parte stessa del ragazzo.
Ormai era da una decina di minuti che camminava senza meta in quel corridoio, scendendo rampe di scale, percorrendo una criptica pianta immerso nella più completa oscurità.
Finalmente incrociò qualcosa di familiare sul suo cammino: una porta.
L’aprì e si trovò davanti…il covo di Slade.
Cauto come mai prima d’allora s’introdusse all’interno dell’ambiente.
Tutto taceva.
Sembrava deserto ma Robin aveva imparato molto tempo fa che Slade era un maestro degli inganni.
Iniziò a perlustrare la zona.
Vide molte cose bizzarre e interessanti, alcune le conosceva, altre no: subito gli balzò all’occhio, al centro della sala principale, una specie di enorme tubo di vetro con uno strano macchinario fissato ad esso come un fungo ad un albero, pareva…Robin non seppe paragonarlo a nient’altro che a una futuristica capsula d’incubazione.
Quali diabolici esperimenti conduceva Slade dentro quel posto?
Vide una sorta di frigorifero viola con l’anta di cristallo, al suo interno conteneva centinaia di provette tutte uguali, contenenti un liquido rosso e luminoso, tutte marchiate con una “R”.
<R…? Ma che vuol dire? Forse sta per “Robin”?> si chiese osservandole senza capire il motivo di ciò…sembrava succo d’arancia rossa o sangue distillato…ma perché tenere simili liquidi in un contenitore come quello?
Un rumore alle sue spalle gli fece girare la testa di scatto e già tre dei suoi birdarang gli comparvero tra le dita…un falso allarme.
Era solo un timer che aveva suonato su una scrivania, Robin ci si avvicinò.
L’ampio tavolo da lavoro era interamente coperto di complicatissimi progetti e ingranaggi vari…c’erano ad esempio un paio dei dischetti esplosivi usati da Slade aperti per metà ed evidentemente non funzionanti, ma soprattutto c’era una specie di…di zucca di metallo ancora per metà incompleta.
Grande all’incirca come un mezzo pallone da calcio, rivestita in rame e con dentro il più intricato groviglio di cavi verdastri e circuiti che Robin avesse mai visto.
Appoggiò l’arma sul tavolo e osservò con cura lo strano artefatto, rigirandoselo tra le mani senza ottenere alcun risultato.
Gli bruciò terribilmente ammetterlo a se stesso ma neppure lui ci capiva molto, osservò l’oggetto e  i progetti riguardanti ma tutto restava ugualmente criptico e misterioso.
-Così su due piedi…- si disse dopo aver riposto la sfera ancora non ultimata e aver preso tra le mani l’ampio foglio con illustrazioni del detonatore automatico interno all’apparecchio schematizzate nei minimi dettagli -…direi che è una bomba-.
-E diresti bene, caro Robin-
Vestito di nero emerse dal buio che poco prima lo avvolgeva, un incubo nella notte, mentre la luce soffusa illuminava la metà ramata della sua minacciosa maschera.
Alto, muscoloso, impassibile, sempre tranquillo e posato, pareva imperturbabile nella sua statuaria e minacciosa postura.
Le braccia sempre dietro la schiena, le gambe dritte come pilastri, lo sguardo freddo e inquisitore.
E quella voce pacata, calda e inquietante.
-Slade!- ringhiò Robin afferrando fulmineo l’asta con entrambe le mani fino a far sbiancare le nocche.
 
Ghostface scoppiò in una risata scomposta, nonostante la maschera era evidente lo stupore del guercio davanti a ciò che era appena accaduto.
-Carini non trovi?- sorrise il vecchio battendo l’artiglio dell’indice sul bracciale, che tintinnò limpidamente.
Il sorriso sul volto dell’uomo pallido era qualcosa di agghiacciante, un sorriso a trentadue denti da casalinga di beverly hills misto al ghigno di un sadico, spietato, perverso e crudele maniaco omicida dalla mente malata davanti alla sua vittima inerme.
 Ricordava un po’ quello di uno scienziato pazzo, largo e sottile, tagliente come un coltello.
-Certo, il colore è terribile- riprese a commentare –Stona non poco con il mio look, ma a quanto mi hanno detto è necessario per immagazzinare l’energia necessaria al suo funzionamento.
Quindi correrò il rischio di assomigliare a Sailor Moon se questo mi permette di scagliare folgori contro i miei avversari-
Slade si ricompose scrutando minaccioso il suo avversario, attento a qualsiasi segnale del corpo di lui che potesse preannunciare una qualunque sua mossa.
-Da dove vengono quelle cose?- gli chiese cercando di aggirarlo furtivamente, senza che lui se ne accorgesse.
Doveva assolutamente prendere tempo, farlo parlare, distrarlo…si era appena verificata un’evenienza che non aveva calcolato.
Ghostface aveva spazzato via il suo esercito con la rapidità…b’è…di un fulmine.
E questo lo rendeva temerario, sicuro di sé… tutto di guadagnato per Slade.
-Ognuno ha i suoi mezzi, Wilson. Tu hai i tuoi tirapiedi, i tuoi  robottini e chi te li costruisce…io ho questi- sorrise battendo i bracciali l’uno con l’altro, l’oro di cui erano composti lanciò un trillo acuto.
-Io e te non siamo gli unici cattivi in questa città…- aggiunse – E sicuramente non siamo i più tecnologici…-
Slade intanto si muoveva millimetro per millimetro sempre più distante dal vecchio, che pareva non prestare alcuna attenzione all’ex-allievo, troppo preso nel rimirare il suo riflesso nelle gemme bianche.
-Questi gioiellini…- riprese Ghostface, che a dire il vero sembrava parlare con la sua immagine riflessa- …riescono a immagazzinare energia solare e usarla per rendere l’aria circostante satura di elettroni che vengono attratti dall’oro dei bracciali, a questo punto tramite un magnete sono spinti in questi bei tubicini azzurri che circondano il bracciali e spinti in questa pietra…che a essere sincero non so bene cosa sia ma funziona da catalizzatore permettendomi di creare e indirizzare folgori ogni centoventi secondi senza danno ricevere-
Mosse lo sguardo verso il guercio –Ora capisci come ho messo fuori gioco i tuoi omarelli di latta?-
<Impossibile…> pensò Slade continuando a guadagnar terreno palmo dopo palmo <Blood mi aveva assicurato che erano a prova di scossa elettrica>
<Eccellente> si disse Ghostface nella sua testa <Fratello Blood aveva detto il vero: una forte dose di elettricità può mandare in tilt i circuiti dei replicanti, fortuna che ha tenuto sotto sorveglianza Slade. Vorrei proprio sapere chi gli ha fornito quei cloni meccanici>
Slade continuava ad aggrovigliarsi la mente <Chi può avergli fornito simili armi? Fratello Blood è abile in queste cose ma siamo dalla stessa parte, inoltre hanno messo fuori gioco le sue invenzioni, si tratta di qualcun altro; lo stesso discorso vale per Gizmo, dopo quello che ha fatto alla sua compagna di squadra non lo aiuterebbe mai; il Dottor Luce non ha i mezzi per una simile creazione, e poi l’avrebbe usata per i suoi scopi…chi può essere stato?>
<Allora…> rifletté il vecchio  <Bloody sta con me, Gizmo fa un po’ poco senza pollici…non rimane che…>
<Il Professor Chang!> pensarono all’unisono <Quel dannato muso giallo…pensavo fosse in carcere…dopo lo ammazzo>
A nessuno dei due venne in mente che forse Fratello Blood stava facendo la spola tra loro giocando la sua partita.
Ma altri pensieri scacciarono i precedenti, cose più urgenti occuparono le loro menti…prima tra tutte: uccidere l’uomo che avevano di fronte.
 
<Mantieni la calma Robin…forse è solo un replicante> il ragazzo volle costringersi a credere che fosse così…ma non ci riuscì.
-Io le chiamo “sfere-o-bum”. Hanno un altissimo potenziale esplosivo…potenziale che questa città sta per conoscere in prima persona…- disse l’uomo riferendosi alla bomba sulla scrivania.
-Che cosa vuoi dire?!- ringhiò Robin protendendo l’asta in avanti.
-Lo capirai molto presto- la voce dell’uomo era tutt’altro che rassicurante.
E visto che qualcosa di brutto sarebbe capitato di lì a poco, Robin ritenne giusto accelerare le cose.
-AAAAHH!!!-
Gli si fiondò addosso mulinando il bastone metallico, ma Slade era troppo veloce per essere colpito, troppo abile…lo era sempre stato.
Uno, due, tre, quattro, cinque, dieci, venti, trenta, quaranta…quaranta colpi andati  tutti a vuoto, Slade non si era minimamente scomposto e lui aveva già il fiatone.
Il guercio evitò l’ennesimo colpo saltandoci sopra e finalmente si decise a fare la sua prima mossa: un dolorosissimo calcio sotto il mento del ragazzo.
Troppo affaticato per essere del tutto vigile il leader dei Titans non riuscì ad evitarlo.
Robin indietreggiò…la bocca gli faceva malissimo ed era impastata di sangue, ma non per questo si diede per vinto.
Subito ritornò all’assalto…Slade afferrò l’asta a sua volta, posando le sue grandi mani calde su quelle più piccole dell’eroe e richiudendole su di esse, avvolgendole completamente come un mantello.
I due rimasero a fronteggiarsi faccia a faccia spingendo l’asta, ora in orizzontale, verso l’avversario con tutte le proprie forze…almeno finché Slade non riuscì a prevalere piegando all’indietro i polsi del ragazzo.
Robin urlò per il dolore atroce di quella stretta così ferrea e robusta, sembrava che il dorso della mano dovesse toccare il braccio da un momento all’altro, sentiva i tendini tesi fino a strapparsi, fitte profonde lacerargli la carne, il sangue faticava ad affluire nelle dita…cadde in ginocchio.
Per poco non si si spezzarono entrambi i polsi.
-Ti fai fregare sempre con gli stessi trucchi- sorrise l’uomo da dietro la maschera.
Strappò via l’asta dalle mani di Robin e la usò per colpirlo immediatamente dopo alla testa.
Il ragazzo cadde a terra con la tempia che gli martellava senza tregua, rendendogli difficile pensare, sentiva sulle dita un liquido caldo e viscoso che usciva dalla sua testa ad altezza orecchio e un dolore lancinante.
Ricevette un calcio in pieno ventre che gli smorzò i lamenti e la voce.
Tentò disperatamente di rialzarsi ma il dolore alla testa era troppo forte, non capiva, non riusciva a reagire, a stento focalizzava dove si trovava il suo avversario…la vista si annebbiava sempre di più.
Una bastonata sulla schiena lo ributtò lungo disteso sul suolo di cemento.
Slade lo sollevò afferrandolo per il collo come un fantoccio privo di volontà.
-Hai fatto male a immischiarti in questa storia- disse quasi divertito mentre l’aria nei polmoni del ragazzo meraviglia iniziava a mancare, provò ad allentare la presa ferrea di quelle dita attorno alla trachea con tutte le sue forze…ma sentiva le dita intorpidite, deboli…non coordinava i movimenti, non sentiva più le gambe che divennero molli, abbandonate dal resto del corpo, e la testa gli doleva sempre più intensamente, martellava sempre più forte al punto che faticava a sentire la voce del suo nemico…una voce che diventa sempre più indistinta, distante, vaga…come se un coro di eco ripetesse parole insensate nella sua mente.
Il colpo alla tempia gli aveva causato più danni di quanti non credesse.
-Saresti dovuto restarne fuori!- ruggì Slade scaraventandolo contro il contenitore del Siero R, alto più di due metri.
Robin cadde a terra venendo innaffiato dalle provette che esplosero in mille frammenti quando il suo corpo venne scagliato contro l’anta di cristallo.
Non riusciva a reggersi in piedi, neppure a parlare o a pensare…voleva solo morire.
Slade invece non pareva minimamente provato dallo scontro.
Senza fretta si avvicinò a lui, steso tra cocci di vetro, camminava come cammina la gente per strada, con calma e assoluta quiete.
-Sogni d’ossa- si augurò mettendo la mano dietro il pesante contenitore viola.
Lo spinse giù con una disinvoltura tale da far sembrare quella specie di frigorifero una piuma…cosa che non era.
L’immenso elettrodomestico cadde schiacciando sotto il suo peso il corpo martoriato del ragazzo mascherato.
Slade osservò impassibile la sua opera.
Robin non aveva emesso neppure un gemito, da sotto il contenitore, molto profondo, sporgeva solo parte della gamba destra dell’eroe, piegata in modo innaturale, spezzata dal troppo peso.
Il sangue di Robin si mischiò al rosso siero R sparso sul pavimento, creando un’unica pozza rossa che andava allargandosi.
-E uno è andato- commentò riassumendo la sua solita posa di rilassamento, con le braccia ripiegate dietro l’ampia schiena.
Si avviò senza fretta nel condotto imboccato prima da Robin, che conduceva alla sala Reattore.
-Ora tocca all’altro…-il tono di gelida minaccia lasciava intendere molto meglio del significato delle parole quanto ogni speranza di vittoria dei suoi avversari fosse solo un’illusione.
 
- Vestiti isolanti, per questo non sei morto quando la scarica elettrica ha attraversato i tuoi sosia, vero? Sapevo che li avresti indossati, sei sempre stato pieno di precauzioni…- un  ghigno da schizofrenico gli allargò le labbra nivee.
Sollevò il braccio puntando il bracciale contro di lui…la gemma s’illumino d’energia mentre piccole folgori iniziavano a guizzare fuori da essa.
-Fermo dove sei, Willy- Slade s’arrestò all’istate…dannazione! Si era accorto che si stava allontanando.
-Non avrai creduto veramente che mi facessi fregare da questo vecchio trucchetto, vero? Ti ho tenuto d’occhio fino ad ora.
Ho fatto finta di distrarmi solo per permettere ai bracciali di ricaricarsi…e ora che lo sono posso usarli di nuovo e, credimi, nessun vestito potrà difenderti da un colpo diretto…- con un gesto della mano sinistra si slacciò il bracciale che cadde a terra tintinnando, l’altro lo imitò poco dopo.
 -Solo che non sarebbe altrettanto divertente- aggiunse.
Slade continuò a non capire il perché di un simile gesto…l’aveva messo con le spalle al muro e ora…rinunciava al suo vantaggio?
-Avanti, Slade!- lo incalzò –Fatti sotto, solo tu e io: niente armi. Allievo contro maestro fino alla morte!-
I due contendenti si scrutarono a lungo, in silenzio, uno da dietro una maschera impassibile, l’altro con gli occhi celati dalle lenti affumicate.
Entrambi scattarono l’uno contro l’altro all’unisono.
Mai…mai si era vista una simile danza mortale dei corpi.
Mani, piedi, pungi, calci, qualsiasi arte marziale terrestre e non veniva impiegata in quel tumulto di carne.
Colpivano, paravano, evitavano, saltavano, schivavano, si ferivano e colpivano di nuovo.
Quasi tutti i colpi diretti finivano a vuoto, le rare volte che i due contendenti ricevevano una ferita era sempre di rimando.
Slade riuscì a slogare un polso a Ghostface, ma quello approfittando della vicinanza del suo avversario gli conficcò i tre artigli superstiti nella schiena.
Ritrattosi Slade tentò di sferragli un calcio alla gola ma quello lo evitò, rispondendo un con un pugno che s’abbatté sotto il mento dell’uomo.
Un doppio avvitamento del vecchio si concluse con due costole rotte per il medesimo mentre il secondo calcio rotante del guercio gli fece sputare sangue e tre denti.
Slade cadde a terra quando Ghostface riuscì a colpirgli le ginocchia con la sua gamba ma si rialzò fulmineo prima che il vecchio potesse approfittarne.
L’ex-allievo afferrò le braccia del maestro da dietro e lo ruotò su se stesso facendolo sbattere di peso sul pavimento
Ma una ginocchiata al pancreas gli impedì di giacere sugli allori a lungo.
Per poco Slade non riuscì a spezzare il collo del vecchio ma quello non esitò ad azzannargli la mano, strappandogli via un pezzo di carne, per liberarsi dalla presa.
Infine Ghostface s’impossessò del polso di Slade, torcendoglielo dietro la schiena, minacciano di spezzarglielo.
-Ti ho insegnato io tutto quello che sai!- ringhiò sbattendogli la testa contro la parete lì vicina.
-Come conti di battermi?!.- la voce era roca, furente…simile a quella di una bestia.
Il cranio del guercio picchiò ancora con forza contro la parete di cemento, il vecchio continuò a pestare la faccia di Slade contro il muro per altre tre volte, poi mentre era intontito lo scaraventò più lontano che potè.
Incapace di reggersi in piedi, il guercio rovinò al suolo, a dieci metri dal suo nemico.
-È stato divertente…ma è giunto il momento di farla finita…-
Slade trovò la forza di mettersi in ginocchio e si obbligò a sollevare l’unico occhio, dal quale colava del sangue, verso il suo rivale.
-Sono d’accordo- rispose sfoderando dalla cintura una pistola, una luccicante rivoltella dalla canna lunga.
Reggeva l’impugnatura con entrambe le mani, nonostante la lotta di poco prima la presa era salda e sicura…e la canna puntata in mezzo agli occhi del vecchio.
Ghostface si calò dal viso gli occhiali scuri pulendone le lenti schizzate di sangue.
I due rimasero in silenzio a fissarsi.
Erano sudati, feriti, esausti, spostati…e più agguerriti che mai.
Era da anni che non si trovavano davanti un avversario del loro livello.
Erano conciati male entrambi: lividi, ossa rotte, articolazioni slogate, traumi cranici, ematomi, denti scheggiati o mancanti, emorragie interne e  persino mutilazioni.
Il vecchio ci aveva rimesso un orecchio e il medio della mano destra mentre la mano di Slade era priva del lembo di pelle che unisce il pollice all’indice e dal suo unico occhio buono colava un liquido denso e caldo.
Ma Ghostface aveva dalla sua il portentoso fattore rigenerante di cui era dotato, che già stava fermando le perdite di sangue e guarendo le ossa rotte.
Slade poteva farlo solo una volta, sapeva di dover utilizzare il siero R che aveva nella cintura al momento opportuno e finché Ghostface era in piedi…non era il momento opportuno.
-Una pistola?- rise Ghostface –Conti di uccidermi con una pistola?- il suo tono divenne improvvisamente serio, vuoto…come morto -Vana speranza- commentò sfoderando con un sibilo una delle due katane lucenti, impugnandola con una sola mano.
Slade lo guardò ancora…non sarebbe riuscito a reggere più a lungo il peso di quegli orridi occhi cadaverici, doveva agire subito e premette il grilletto.
Il colpo partì.
Senza scomporsi minimamente, senza muovere un muscolo più del necessario, Ghostface calò la spada per deviare il proiettile, come solo lui sapeva fare e con sommo stupore del vecchio…la lama che avrebbe dovuto tagliare in due la pallottola si spezzò quando essa la colpì
Era tuttavia riuscito a deviare la traiettoria del colpo che anziché aprirgli un buco in testa gli passò la spalla da parte a parte.
-AARG!- ringhiò di dolore…quella pallottola era diversa, bruciava terribilmente e aveva attraversato muscoli e ossa come se non ci fossero mai stati, aveva persino spezzato la lega speciale di cui erano fatte le sue spade, una lega che un colpo di pistola non avrebbe mai infranto, neppure a bruciapelo.
Fortunatamente il proiettile era uscito dal corpo e la feritasi richiuse senza procurare danni fisici all’uomo, solo un intenso dolore alla spalla e un’enorme stupore.
Ghostface guardava allibito prima la pistola poi il troncone di spada che ancora stringeva tra le dita.
Slade si rialzò leggendo divertito l’espressione sbigottita sul volto spettrale del vecchio.
-Questi…- disse con voce rotta per la fatica –Sono proiettili di adamantio…non avrai creduto davvero che te lo avessi dato senza prendermi una precauzione?
Perché vedi, Jonathan, mentre tu te ne stai lì a fare il figo con le tue spade e i tuoi coltelli...io ho una pistola e posso colpirti prima ancora che tu mi raggiunga-
-Una pistola che non può uccidermi!- precisò Ghostface gettando via il manico rotto della spada e sfoderando da sotto il soprabito il coltellaccio d’adamantio.
-Questo invece può uccidere te-
-È vero- sorrise Slade- Neppure un proiettile d’adamantio può ucciderti…però può  passarti il cranio da parte a parte con un risucchio tale da svuotartelo completamente dalla tua materia grigia…certo ti ricrescerà…ma io avrò il tempo necessario per assicurami che ciò non accada-
Un sadico ghigno mise in mostra i canini sanguinanti del vecchio –Bel piano…ma ha un piccolo difetto…- si risistemò gli occhiali neri sul bianco volto scarno - Devi prima riuscire a colpirmi-
Slade deglutì, sapeva che non era poi così facile colpire Ghostface, non in testa almeno, non se lui non voleva farsi colpire, ma non si fece prendere dal panico, aveva una rivoltella a sei colpi e uno era già andato, gliene restavano cinque ma a lui bastava colpirlo solo una volta.
Rimasero immobili a  studiarsi…solo una decina di metri li separava.
Il respiro pesante dei due avversari rimbombava all’interno della stanza dov’era calato il più assordante silenzio.
La tensione era tale che si potevano sentire i pensieri dei due avversari.
<Respira> pensava il guercio <Devi calmarti. Si tratta solo di un colpo…devi colpirlo solo una volta  e tutto sarà finito…avrai vinto. Vittoria o morte. Coraggio…io sono Slade Wilson, Deathstroke, il Terminator…il miglior assassino del mondo. Non sbaglierò, non posso sbagliare!!>
Ghostface guardò Slade, poi il suo riflesso nella lama scintillante.
L’altro non potè fare a meno di chiedersi cosa stesse frullando in quella mente malata e contorta…
<Babbarababbababbabàm coltello lucente! Babbarababbababbabàm ora lo faccio a pezzi!>
Senza che nulla potesse preannunciare un simile gesto Ghostface si gettò in avanti compiendo una capriola,  Slade sempre all’erta reagì prontamente sparando due colpi letali ma solo un proiettile riuscì a trapassare il corpo raggomitolato senza però ferirne la testa.
Rialzatosi senza fatica Ghostface scattò rapido come un serpente, balzando verso Slade, brandendo la sua arma nel vuoto e ruggendo e sbraitando come un demone assetato di sangue.
Il tempo gli sembrò rallentare incredibilmente.
Distava solo due metri da Slade, era sospeso a mezz’aria col coltello in mano e la faccia deformata in una maschera di furia cieca.
I capelli sparsi nel vento e gli occhi ghiaccio saturi di sangue, la bocca spalancata in un urlo di morte e i nervi testi allo spasmo mentre le sopracciglia si accigliavano sempre di più.
Vide un quarto proiettile andare verso il suo viso con immane lentezza, come in un video a rallentatore, abbassò l’arma troncandolo in due…le due metà della pallottola gli sfiorarono entrambe le tempie, facendogli fischiare le orecchie…
Il tempo riprese a trascorrere ancora più velocemente, Ghostface sentì l’adrenalina entrargli in circolazione colmandogli il corpo sfinito di sprizzante energia.
Atterrò a terra poco distante dal suo nemico e prima che esso potesse premere il grilletto, il vecchio gli alzò la pistola verso il soffitto.
Bang!
Il quinto colpo fu sprecato.
Tirò una gomitata in faccia al guercio senza dagli il tempo di reagire e tenendo il polso di lui stretto tra le dita glielo troncò con un sol colpo del coltello d’adamantio.
-AAARRRGG!!!- Slade ruggì tutto il suo dolore.
La mano con la pistola scivolò via e Ghostface assestò un doloroso calcio al ventre del suo nemico che cadde in ginocchio, piegato in due.
L’occhio del mercenario si posò sul moncone che un tempo era stata la sua mano destra…ora era solo un taglio trasversale da cui sgorgava sangue a flutti, la carne rossa e pulsante laddove il metallo l’aveva ghermita, i tendini dove erano stati recisi…e ovviamente le ossa, l’ulna e il radio spiccavano oltre i resti granguignoleschi del braccio.
Quanto aveva patito per riavere la sua carne e il suo sangue durante l’ascesa di Trigon…tutto ciò solo per farselo portare via così?
Tenne la pupilla incollata sull’osso sporgente…sporgente e appuntito.
Ghostface sollevò il coltellaccio pronto  calarlo sul collo dell’uomo e a finirlo, ma Slade balzò in avanti, con la mano buona lottò contro il polso del vecchio affinchè la lama non calasse, nello stesso istante affondò le ossa spezzate nel ventre del vecchio squarciandolo completamente da destra a sinistra.
Ghostface gridò in maniera disumana ma le sue urla furono interrotte da un fiotti di sangue scuro che fuoriuscì dalla sua gola riversandosi sopra Slade che venne inondato di sangue sia dalla ferita all’addome, dalla quale il sangue si riversò come il vino da un otre, sia da quel vomito rosso misto a succhi gastrici.
Mai si sentì un odore più nauseabondo.
Lo spinse a terra, sbuffando come una locomotiva a vapore per la rabbia cieca che lo prendeva e il dolore lancinante al ventre.
Mentre con una mano si reggeva le budella che premevano per uscire dallo squarcio nella pelle assestò un calcio alla faccia di Slade con una forza tale che gli fece voltar il corpo di 180° e gli tolse la maschera, lasciandolo a viso scoperto, con la benda sull’occhio.
Gli balzò sopra inchiodandolo al suolo col suo peso e con assoluto menefreghismo del proprio atroce dolore fisico, si tirò fuori gli intestini avvolgendoli ripetutamente attorno al collo nudo dell’uomo immobilizzato e tirando poi verso l’alto con quanta forza aveva.
Latrava schiumante di rabbia come un cane rabbioso, una schiuma rossa per il sangue, mentre dalla gola del guercio non uscivano che sordi rantoli strozzati mentre la sua trachea veniva soffocata dalle improvvisate corde di carne.
Ghostface stava strangolando Slade coi suoi intestini!!!
Fu questa la raccapricciante scena che si parò davanti all’unico occhio di un altro Slade, lo stesso che aveva schiacciato Robin sotto quel frigo viola, lo stesso che era appena uscito dalla porticina rossa nella quale era entrato prima il ragazzo mascherato…e che ora assisteva impietrito a  quel bagno di sangue proprio sotto la passerella soprelevata dove ora si trovava.
 
-Muori, stronzo! MUORI!!!- ruggì Ghostface aumentando la stretta attorno alla gola di Slade.
Rimase a dir poco sorpreso quando ruotando la testa si trovò un altro Slade alle sue spalle.
Aveva visto qualcuno saltar giù dalla passerella ma era sicuro si trattasse di Robin.
Il nuovo Slade gli assestò un doppio pugno in faccia, ruotandogliela oltre il normale, dopodiché, scattante come una vipera gli afferrò le braccia immobilizzandole dietro la schiena del vecchio.
Il guercio rimasto a terra, non sentendo più le budella tirare si liberò da quel cappio organico, si rialzò tossendo violentemente come se gli avessero appena raschiato la gola con una piccozza  trovandosi faccia a faccia con se stesso e con un Ghostface che vomitava sangue e le parole più impronunciabili, accecato di furia omicida.
-Alla buon’ora- disse rivolto al suo sosia.
Con passi insicuri e malfermi si diresse verso la mano perduta, tolse dalle dita fredde e rigide la pistola d’adamantio e la puntò dritta contro la fronte del vecchio.
-Sei stato un bravo insegnate tutto sommato…ma sei invecchiato- disse accarezzando il grilletto col dito.
-Baciami il culo!! Brutto figlio di…-
Lo sparò interruppe la frase.
Il proiettile di adamantio trapassò il cranio e il cervello di Ghostface, passò anche attraverso il petto dello Slade che lo teneva fermo ma quello non battè ciglio.
Il risucchio fu tale che il cranio del vecchio fu completamente svuotato.
Senza più forza né coscienza il longilineo corpo di Ghostface si accasciò cadaverico più che mai con un foro in fronte e le budella che si riversavano sul pavimento lordo di morte.
I due Slade rimasero in silenzio a guardarsi.
-Perché c’hai messo tanto?- chiese il mutilato al compare.
La voce di Fratello Blood uscì chiara dalla bocca dell’automa –Ho avuto un piccolo contrattempo. Ma ora è tutto sistemato. Sai, questi replicanti a comando a distanza sono spettacolari. È stato come essere lì, solo che non avevo bisogno di combattere, in questo database ho salvato goni tua mossa di combattiment…-
-E chi se ne frega!- ringhiò Slade interrompendolo.
Il dolore lo stava accecando, l’adrenalina stava svanendo dal corpo lasciandolo stremato e gravemente ferito…aveva perso moltissimo sangue.
Ma rimase in piedi, orgoglioso e silente nella sua sofferenza.
-Vammi a prendere una tanica di benzina, la trovi nel magazzino. Svelto! Non abbiamo molto tempo. Il suo fattore rigenerante reagisce meglio se sovrastimolat…- una fitta si fece sentire più acuta delle altre –Merda!- imprecò.
Le dita corsero alla cintura cercando la fiala di siero R.
Grazie al cielo era ancora intatta.
Stava per iniettarsela nel bicipite quando il replicante richiamò la sua attenzione.
-Scusa, ma non posso lasciartelo fare- disse con beffarda gentilezza.
-Come?- fece Slade senza capire.
-Se tu prendi quella fiala…sopravvivrai. E io non posso permettere che ciò avvenga perché…vedi, sarebbe contrario ai miei piani-
L’unico occhio del guercio squadrò l’androide sempre più truce –Era previsto che tu morissi ma il fato mi è stato propizio… Ghostface è fuori gioco, e presto morto, ho ucciso il leader dei Titans, e ora rimani solo te…vecchio, esausto e ferito contro un corpo di acciaio e titanio che conosce tutte le tue mosse…ma non temere, tutti penseranno che tu e Ghostface vi siate ammazzati a vicenda, una morte eroica per entrambi…e vantaggiosa per me-
<Figlio di puttana> pensò ma non diede a vedere minimamente il suo rancore, si limitò a scrocchiarsi il collo.
-Ma fammi il piacere!- un commento sprezzante uscì dalla bocca di Slade, rapido più della sua stessa ombra puntò la pistola teoricamente scarica al viso del robot.
Sparò.
L’adamantio sfracellò qualsiasi cosa si trovasse sul suo cammino.
La maschera del replicante esplose in una mare di circuiti e scintille ed esso cadde come un corpo morto cade.
 
-NOO!- tuonò Blood dalla sua postazione, al sicuro nella sua base.
-Non è possibile! Aveva finito i colpi!!- imprecò battendo i pugni bionici sul computer dal quale aveva monitorato tutto.
 
<Partire sempre con un colpo in canna per averne uno in più> Slade guardò il corpo esanime di Ghostface.
 –Grazie, John. Questo me lo hai insegnato tu-
Ma il dolore opprimente al braccio gli ricordò la sua attuale condizione e senza perdere altro tempo si iniettò il siero R nelle vene.
Non era un bello spettacolo e neppure indolore ma si costrinse a guardare le ossa che ricrescevano a vista d’occhio, la carne che tornava a coprirle, i legamenti che si ricomponevano riallacciandosi coi brandelli di pelle e nervi mutilati, con una rapidità impressionante quella e le molte altre ferite che portava sul corpo si rimarginarono, vide la pelle ricrescere e chiudersi sopra la carne nuda, il sangue arrestò la sua fuoriuscita dal corpo e rirese a respirare correttamente.
Quando gli sembrò d’esser completamente guarito provò a muover adagio le dita della mano ricresciuta…non provava alcun dolore.
Riusciva ad articolare le dita senza problema come se avesse sempre avuto quell’arto, ma la sua nuova mano era diversa: sembrava più giovane, più pallida, se messa a confronto con l’altra nessuno avrebbe detto che appartenevano alla stessa persona, ma quelli erano dettagli trascurabili per Slade, adesso aveva un lavoro da finire e aveva già perso troppo tempo.
Il siero R era un fattore di guarigione concentrato, ancor più rapido dell’originale, ma ci metteva comunque i suoi tempi, e lui non era conciato poi così bene.
Ma Ghostface continuava a giacere supino senza dar segni di coscienza.
 
<Stronzo traditore!> pensò il guercio versando la tanica di benzina sul corpo del vecchio <Dev’essere stato lui a fornire a Jonathan quei bracciali, scommetto che aveva previsto tutto sabotando i suoi stessi automi…spero che Blood apprezzi l’ironia di quando lo incenerirò con essi, dopo aver finito qui, ovviamente>
Gettò via la tanica ormai vuota.
Ghostface era fradicio di benzina, sia i vestiti che i capelli ne grondavano letteralmente, non reagiva ancora ma il sangue fuoriuscito a causa dello sparo si era già seccato.
<Devo far veloce, presto tornerà cosciente>
Sapeva che Ghostface era un fumatore, non gli fu difficile trovare l’accendisigari nella tasca del soprabito.
Lui era sano come un pesce, e il suo vecchio maestro, il suo eterno rivale, stava per essere cancellato dalla faccia della terra.
Una leggerissima brezza gli accarezzo la pelle delle guance, rese ispide dalla barba quasi bianca.
Anche lui era invecchiato.
Guardò malinconico il corpo del vecchio impregnato di carburante.
Era forse questa la fine di tutti i grandi del passato? Venire sconfitti con un trucco ignobile da gente più giovane e inesperta?
Anche lui sarebbe morto così? Ucciso da un suo futuro apprendista?
Non volle pensarci.
Non era il caso di diventare sentimentali in quel momento.
<Adesso finisco qui, poi mi occupo di Blood, e infine spazzo via quel che resta dei Titans…dopo potrei anche morir felice>
Sollevò l’accendino sul corpo del vecchio –Addio, Jonathan. Ti farò un funeral vichingo, te lo sei meritato. E come ultimo segno del mio rispetto per te farò incidere sulla tua lapide ciò che mi avevi chiesto “Jonathan Argenti: una contraddizione vivente, che in vita sua fu tutto…e non fu niente”-
Non riuscì a dire una parola di più, non seppe neppure reggersi in piedi.
Stramazzò al suolo con una velocità impressionante.
Sentiva il cuore battergli a mille nel petto, la testa sembrava scoppiargli ma soprattutto ciò che più lo faceva contorcere dal dolore era la colonna vertebrale dalla quale provenivano fitte senza pari…Slade portò la mano al petto, dove sentiva l’atroce dolore che l’aveva spezzato.
Le dita cercarono perlustrando ogni singola parte del suo torace finchè non trovarono il corpo estraneo…una punta.
Un spessa punta i metallo, corta e larga dalla forma piramidale.
L’orrendo sospetto era quindi verità!
Le mani corsero dietro la schiena e trovarono una corta asticella che sporgeva da essa…una freccia…no…un dardo.
Un dardo di balestra.
Trovò la forza di ruotare il capo per guardarsi le spalle…ma non c’era nessuno.
Solo quando alzò l’occhio al cielo potè vedere Robin in piedi sulla passerella soprelevata che reggeva tra le mani la balestra appartenuta a Ghostface.
Il dardo gli aveva spezzato la colonna vertebrale, perforato un polmone e reciso la vena secondaria del cuore… passandolo da parte a parte.
La gola era secca, impastata di sangue ma il mercenario si costrinse a rantolare le ultime parole –Perché sei qui?-
Il silenzio che regnava nella Sala reattori permise a Robin di ascoltare quelle parole appena sussurrate –Per proteggere la mia famiglia da quelli come te- ricaricò la balestra – E da quelli come lui- rispose indicando Ghostface.
-Va all’inferno, Slade. E stavolta restaci-
Il secondo dardo fendette l’aria andando a conficcarsi vicino al primo.
Un terso e ultimo li raggiunse poco dopo.
Senza più forza…senza più speranza Slade si accasciò in silenzio a terra e vi rimase immobile.
Robin saltò giù dalla passerella, non aveva alcun segno delle precedenti ferite…il siero R si era mescolato al suo sangue, guarendolo.
Ci aveva messo un po’ a capire cos’era successo e a escogitare un modo per liberarsi dal peso che lo schiacciava ma era comunque riuscito a uscire dal contenitore viola delle provette, abbastanza grosso da contenerlo per intero.
E ora era lì.
Slade giaceva morto ai suoi piedi…era la prima volta nella sua vita che uccideva…ed era stato…facile.
Era bastato prendere la mira e premere il grilletto.
Un lavoro facile…e terribile.
Si sentiva malissimo…angosciato.
<È dunque questa la fine di tutti i grandi? Invecchiare per essere uccisi alle spalle da coloro che vedevamo come nostri successori?>
Scavalcò il cadavere del suo acerrimo nemico osservandolo con amarezza.
In fondo non era questo che aveva sempre desiderato…?
Si rese conto che non lo era.
 
Tenendo sempre la balestra puntata diede un paio di delicati calci alla spalla del vecchio.
Nessuna reazione.
Di per sé sembrava sano, la ferita al ventre era rimarginata, così come il foro della pallottola e gli altri segni di lotta…ma non si svegliava.
Allora s’inginocchiò tirandogli un paio di ceffoni sulle guance scarne, mandide di sudore e bagnate di benzina.
-Ghostface! Ghostface! Sei vivo?! Ghostface, rispondi!- inutile, il corpo restava ancora giacente al suolo, lo afferrò per le spalle scuotendolo, chiamandolo un’ultima volta.
Non poteva morire…non finchè aveva il detonatore.
Aveva imparato a conoscerlo, sicuramente aveva un piano di riserva, nel caso fosse stato tradito probabilmente il detonatore si sarebbe attivato da sè.
O forse no.
Ma era comunque un rischio che non poteva correre.
-GHOSTFACE!!- urlò rabbioso…quando avrebbe voluto dargli fuoco lui stesso…
Da dietro le lenti gli occhi di ghiaccio si spalancarono!
Dalla posizione supina il vecchio scattò a sedere più velocemente del credibile urlando con quanto fiato aveva in gola -Malatipafustani!!!-
Robin cadde all’indietro per la sorpresa, e la paura, gridando a sua volta.
Gli ci volle qualche secondo per riprendersi dallo spavento, il leader dei Titans era di nuovo in piedi, aveva  racquistato il controllo di sé, cosa essenziale quando si aveva a che fare con Ghostface.
Afferrò la balestra lasciata a terra e puntò l’ultima freccia rimasta contro di lui.
-Che hai detto?!-  gli chiese quasi come un ordine –Dimmi che hai detto!-
Ghostface ruotò la testa verso di lui, sembrava scioccato, traumatizzato…la fronte era imperlata di sudore.
Ripetè con voce spezzata –Ma…la tipa-a…ha i-il frusta-nani…-
Robin lo guardò a dir poco confuso –Eh?- quel verso interrogativo fu tutto ciò che riuscì a formulare la sua mente già abbastanza provata dai recenti avvenimenti.
-Katherine non era una donna…- disse scuotendo la testa con lo sguardo da pazzo, gli occhiali erano infatti caduti sul naso -…era un uomo!-
-Chi è questa Katherine?- domandò Robin tenendolo sotto tiro con l’arma.
-La domanda giusta è: chi sei tu?- replicò il vecchio guardandolo dal basso verso l’alto.
-Come sarebbe a dire chi sono io?- rispose Robin sempre più confuso –Sono Robin, non ti ricordi? Sono sempre lo stesso, sono io-
La voce del vecchio era allegra, quasi da demente…anzi, senza il “quasi”.
-Noooo. Io sono io, tu sei tu. A proposito…chi sono io?-
Il ragazzo si tirò una pacca sulla fronte –Non dirmi che hai perso la memoria…-
Ghostface rimase in silenzio per diversi minuti, fermo a fissare il vuoto, poi man mano che le sue cellule cerebrali venivano ripristinate riprese il coscienzioso uso della parola.
-Io…ricordare…te. E me. No ricorda perché io qui… m-mi sentire molto contrario di bene…perché Willy muore?- aggiunse guardando il cadavere al suo fianco, sotto il quale si allargava una chiazza di sangue sempre più denso e scuro.
-Ti ha ridotto il cervello in poltiglia…- commentò esasperato Robin…ci mancava solo questa per rendergli la giornata più allegra.
Ghostface tentò di rialzarsi ma non coordinava bene i movimenti e cadde a terra.
Ci riprovò e cadde di nuovo.
Al terzo tentativo Robin corse in suo aiuto sorreggendolo.
-Dobbiamo andar via di qui- disse tenendo il braccio del vecchio attorno al collo, guidandolo passo per passo verso l’uscita, facendo attenzione a muoversi tra quel cimitero di corpi robotici disseminati su tutto il pavimento.
-Che macello… che cazzo è successo qui?-
-L’area del triangolo si ottiene moltiplicando la base per l’altezza e dividendo per due-
-Sì, sì- lo assecondò l’eroe facendo ricorso a tutta al sua buona volontà per non gettarlo a terra e dargli fuoco sul momento.
Il Ghostface demente era ancor più esasperante di quello lucido o schizofrenico.
Ma almeno non era pericoloso.
-Criedo di sentirme un pochetto melio…- borbottò portandosi la mano monca alla fronte, al cui interno, a poco a poco, il cervello ormai completamente riformato stava riprendendo le sue funzioni e conoscenze abituali.
Il vecchio continuava a farfugliare ovvietà e vecchi ricordi finché una frase tra le molte, una che non aveva nulla di speciale, scomposta e sgrammaticata come le altre, richiamò l’attenzione di Robin come nulla prima d’allora.
-Debbo ritrobare lo mio detonatore altrimenti  non potò più ricattare te-
-C-cosa?!- mormorò Robin incredulo.
-Persi lo detonatore, e nu saccè che fine fece-
Robin avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa…ma non potè.
Un rumore assordante gli spaccò i timpani e soverchiò ogni altro rumore in tutta Jump city.
 
KAW-BOOOOMMM!!!!
 
-Che cazzo era!?- urlò col cuore in gola.
C’era mancato un soffio che non gli venisse un  infarto.
Le orecchie gli fischiavano in modo atroce tuttavia riuscì comunque a udire una risatina sconnessa e roca.
Si volse istintivamente verso l direzione da cui proveniva e vide Slade che lo osservava con le sue ultime forze, ridendo.
-Era una bomba!- biascicò con la voce impastata di sangue.
-Le ho piazzate io stesso. Una alla Torre, una all’ospedale ma spero che questa sia quella che ho nascosto nella scuola.
La stessa scuola dove va tuo figlio!-
Il guercio rise ancora guardando l’espressione sgomenta sul viso di Robin…una bella immagine con cui tirare le cuoia.
-Ho fatto un piccolo trapianto di materiale la notte scorsa, al posto delle margherite ora nell’atrio scolastico…ci sono cariche esplosive.
Di pure addio ai tuoi cari…te li saluterò nell’aldilà-
Quelle furono le ultime parole di Slade, prima che la Morte lo avvolgesse col suo eterno mantello di tenebra.
Anche Robin fu avvolto nell’oblio, qualcosa di inferiore alla morte ma molto simile.
Senti la mente vacillargli udite quelle parole, quella macabra profezia, il cuore cessò di battere.
Tutto divenne nero.
 
 
 
*”Emèt” e “mèt” sono due parole ebraiche che significano rispettivamente “verità” e “morte”. Secondo la leggenda sono queste le parole che se incise sulla fronte del Golem di Praga erano in grado di animarlo. Scrivendo “emèt” il Golem prendeva vita, cancellando la prima lettera (in realtà l’ultima poiché scrivono da destra verso sinistra) che sarebbe “l’alef” la lettera di Dio, si otteneva la parola “morte” e il Golem cadeva in uno stato di trance.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** 24 ***


CAPITOLO 24
 
Ok, premetto che questo capitolo è un papiro senza pari.
Sono la bellezza di 16 fogli word quando un normale capitolo sono in media 8, praticamente vale doppio.
Scoprirete che ci sono colpi di scena e frasi cazzute che avrebbero potuto fornire un buon “punto di stacco” in modo da dividerlo in due capitoli ma non ho voluto farlo per non allungare la storia più di quanto già non fosse.
Sarà un po’ impegnativo da leggere ma credetemi…merita.
 
Quando Robin tornò in sé era nell’infermeria della T-Tower.
A poco a poco le tenebre innanzi a lui si dissiparono lasciando il posto a sottili spiragli di luce che gli ferirono gli occhi, offuscati da una coltre grigia che diveniva lentamente sempre più chiara.
Voci.
Sentiva delle voci.
Le sentiva anche prima ma erano solo suoni indistinti, versi sconosciuti e familiari immersi nell’oscurità che l’avvolgeva tutto.
Ma ora riusciva a capirle, erano distorte, molli o gracchianti o cavernose o squillanti al punto da fargli dolere la testa, ma riusciva a capirle.
-Se la caverà!?-
-Tranquilla, si tratta di uno shock dovuto allo stress, non ha riportato alcun trauma fisico: non l’hanno tramortito, è solo svenuto-
-Come sarebbe a dire “solo svenuto”?-
-Non lo so. Forse uno spavento improvviso, una droga…. forse una forte emozione…-
-Ma…-
Una seconda voce che prima non si era fatta udire, interruppe la prima.
-Guardate! Sta aprendo gli occhi!-
La luce si fece bianca e accecante, per un momento l’eroe ne fu intimorito.
-Pà! Pà, mi senti!? Svegliati papà, svegliati!!-
Quella voce…quel tono triste e soffocato…
-B-Bruce…- fu la prima parola che pronunciò quando finalmente riuscì ad alzare le palpebre.
Mosse adagio entrambe le braccia verso il mezzosangue chino su di lui coi lucciconi agli occhi, cercando di stringere quella figura dai colori spenti e dai contorni sfocati che ancora non distingueva bene ma riconosceva come suo figlio.
Il ragazzo gli balzò letteralmente addosso stritolandolo in una abbraccio soffocante.
-Papà stai bene!!- esclamò con quanto fiato aveva in gola, piangendo di felicità.
-Non per molto se continui così!- ridacchiò lui mettendosi a sedere sul letto e ricambiando il gesto del figlio.
Quando alzò lo sguardo dalla chioma nera del ragazzo, così simile alla sua, riuscì a identificare anche le altre figure che lo circondavano, divenute ora chiare e nitide ai suoi occhi.
C’era Stella, la sua amata e insostituibile Stella, c’era la giovane April e al suo fianco BB che gli sorrideva di cuore.
Non vide Corvina da nessuna parte, il che lo lasciò molto perplesso: da quando Cyborg era in coma era sempre lei ad occuparsi dei feriti.
Le sue preoccupazioni furono spazzate via da un urlo di gioia della rossa che fiondò su di lui tempestandolo di baci e facendo a gara col figlio per il numero di costole rotte in un abbraccio.
Il viso di Robin divenne paonazzo ma sorridente e luminoso come poche volte nella sua vita.
Placato che si fu l’impeto dei familiari, il leader dei Titans si trovò finalmente faccia a faccia con la sua bella: lei gli sorrise teneramente sbattendo i luminosi occhioni verdi, scintillavano di felicità.
Robin si perse ad osservare quel viso angelico, travolto dal mare di ricordi, gli tornò in mente come si erano sentiti quando avevano sconfitto Ghostface per la prima volta, prima ancora che tornasse a vendicarsi spalleggiato da Stella Nera, quando Mar’i era ancora con loro.
Rivide nel viso della moglie gli stessi tratti delicati dell’adolescente che aveva baciato sedici anni fa, il viso morbido e ovale la pelle di un dorato color pesca così profumata e soffice al tatto, pareva impossibile che una persona che ne aveva passate tante come lei potesse conservare una pelle così pura, vide i boccoli d’oro rosso caderle sulle spalle e sulla schiena, adesso più lunghi di allora e la corta frangetta, che aveva conservato negli anni, caderle deliziosamente sul viso.
Emulò con tutto se stesso il dolce gesto del passato, le labbra screpolate del ragazzo si posarono su quelle umide e profumate della tamaraniana, così morbide da sembrare petali di rosa, calde al tocco eppure più rinfrescanti di qualsiasi cosa per quella bocca assetata che gli si accostava.
La danza delle lingue ebbe inizio nelle loro bocche, ognuna invadeva la cavità orale dell’altra, intrecciandosi tra loro e trasmettendo le sensazioni più intense e incredibili che avessero mai provato.
Era come il loro primo bacio…ogni volta era esattamente come la prima.
La passione non era mai venuta a meno tra loro.
Separarono le labbra solo quanto bastava per riprender fiato, sottili ponti di saliva mantenevano il contatto tra le due bocche prima che le labbra dei giovani innamorati tornassero a riallacciarsi ancor una volta, si strinsero con forza e desiderio fino a farsi male, lei aggrappata alle spalle del suo uomo, lui che affondava le dita in quei glutei sodi, inebrianti, coperti solo dalla corta gonnella lilla.
-Trovatevi una camera!- li interruppe lo scomodo commento di April.
Bruce si affiancò a lei sussurrandole –Non sarai mica invidiosa?-
La ragazzina non potè fare a meno di arrossire e fece di tutto per nasconderlo, specialmente alla vista del padre, tirandosi su il cappuccio del mantello bianco.
-Non ti montare la testa- rispose con un sorrisetto –Secondo me lui è più bravo di te- aggiunse indicando il padre del ragazzo che non accennava a voler staccare le labbra da quelle soffici dell’aliena.
Ma le coccole dovettero attendere, c’era molto di cui discutere.
Separatosi a malincuore dalla compagna, Robin dovette riassumere il ruolo di leader e mettere davanti le priorità.
-Come sono arrivato qui?- chiese incrociando le gambe sul letto, non era più in costume, portava il camice azzurro dell’infermeria e anche della maschera non c’era traccia.
Gli occhi azzurri brillavano alla luce bianca e intensa delle lampade.
Fuori era notte.
-Non lo sappiamo, ti abbiano trovato svenuto davanti al portone della Torre- rispose Stella Rubia accarezzandogli dolcemente i capelli, quel bacio aveva riacceso in lei la passione e il desiderio che ansia e paura avevano a lungo frenato.
-Le telecamere non hanno ripreso niente, qualcuno aveva tagliato i cavi- aggiunse BB, con una puntina di amarezza.
-Dov’eri finito, amore?- riprese la rossa -Il tuo comunicatore era qui, non rispondevi alle chiamate, non hai lasciato scritto nulla… cos’è successo?-
-Eravamo molto in pensiero per te-
Li guardò tutti col cuore a pezzi…come poteva dire loro ciò che aveva appena fatto…come poteva non dirglielo?
Ricordava tutto di quel terribile giorno, i ricordi erano chiari fino al punto in cui sveniva… sapeva che mai avrebbe potuto scordare il giorno del suo gesto più spregevole: il suo battesimo di sangue.
-Bruce, April…andate nella Mains Room per favore…-
Incuriositi e amareggiati allo stesso tempo i due ragazzini si allontanarono in silenzio e con riluttanza, sapevano che non doveva trattarsi di nulla di bello per averli mandati via così…ma volvano comunque conoscere di cosa si trattava.
Quando i due adolescenti se ne furono andati chiudendo la porta, Robin si mise una mano davanti agli occhi e raccontò, raccontò le pene che aveva patito, raccontò del ricatto che subiva da parte del sadico folle, raccontò di come lo aveva aiutato nei suoi piani e raccontò infine il giorno precedente, quando avevano combattuto spalla a spalla contro Slade…
Due lacrime gli solcarono le guance mentre le parole fuoriuscivano come un fiume dalla sua bocca, sincere e pesanti.
 
-Quindi…Slade è morto- quella frase era asettica, priva di qualsiasi peso, come se a pronunciarla fosse stato un insensibile computer, Robin si stupì nel sentire un simile tono provenire dalla sua Stella, la persona più emotiva che conosceva.
Non sembrava dispiaciuta ma nemmeno contenta, era…assente.
Anche la frase in questione non era né una domanda né un affermazione, sembrava esserselo ripetuta da sola per convincersi che fosse  vero o per ottenere una risposta da se stessa.
-Sì…l’ho ucciso io- confermò Robin  -Gli ho piantato una freccia nella schiena…-
-Ghostface ha perso il detonatore…e le facoltà cerebrali…-
-Non per molto- replicò il ragazzo meraviglia –Il suo cervello ormai si sarà già ricostruito perfettamente, facendolo tornare quello di prima, forse un po’ più disturbato, quanto al detonatore…questo non lo rende certo meno pericoloso. Prima o poi gli tornerà in mente dov’è-
Fece un sospiro pesante –L’ultima cosa che ricordo è stato un botto fragoroso e Slade che rideva…ha parlato di bombe sparse per Jump city…una alla Torre, una alla scuola e una all’ospedale…cos’è successo?-
Stella Rubia lo guardò abbassando gli occhi, la sua dorata pelle sembrò divenire grigia e gli occhi le luccicarono-BB e Corvina hanno scongiurato il disastro alla Torre e al Boccaccio…ma io non sono riuscita a impedire che l’ospedale esplodesse…-
Robin la guardò con occhi sbarrati, il cuore cessò per diversi istanti di battere, procedendo a lunghi intervalli di nulla –C-Cyborg e Bumble….-
-Loro stanno bene, hanno evacuato prima i pazienti impossibilitati a muoversi, sono stati trasferiti nell’ospedale a Nord della città…ma centinaia di persone hanno comunque perso la vita.
-Si contano 340 vittime tra i due attentati, la colpa è andata ai terroristi, come ogni volta che esplode qualcosa, e noi abbiamo preferito non allarmare la popolazione dicendo che un genio del crimine voleva vendicarsi di noi sulla loro pelle. Oggi ci sarà un minuto di silenzio per il lutto nazionale-
Furono invece molti di più i minuti di silenzio che regnarono sovrani nell’infermeria.
Ognuno dei Titans era preso a pensare a tutte quelle vie che non erano riusciti a proteggere…come potevano ancora definirsi eroi e 340 persone erano morte sotto i loro occhi?
Toccò al mutaforma spezzare quella mesta atmosfera o sapeva che non avrebbe retto all’opprimente senso di colpa che gravava su tutto il gruppo.
-E…e ..e tutta quella storia di quel video porno…eri stato tu a darmelo, incolpando Cyborg…perché non me lo hai detto?- BB non era arrabbiato, sapeva che era tutto un piano architettato da Ghostface, quel che lo lasciava basito era che il leader si fosse piegato così facilmente al volere del suo nemico, il Robin che conosceva….non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
Ma quello era un Robin diverso, maturo, più responsabile e meno orgoglioso.
-Atti orribili. Ho compiuto atti orribili e mi dispiace, mi dispiace…ma ho dovuto…Bruce, Rick, Ruby…sarebbero tutti morti se non avessi obbedito e moriranno se non obbedirò in futuro.
C’è una vecchia favola greca che racconta di una superba quercia e di una sottile canna, la quercia rimproverava la canna per essere così debole ma quando soffiò il vento dell’Ovest, scatenando la sua furia, la quercia si oppose con coraggio…e venne sradicata.
La canna invece si piegò alla forza del vento fino a terra, assecondandolo, e quando la bufera passò era ancora lì, viva.
Ghostface era il vento dell’Ovest.
Ho dovuto sceglierle se fare la quercia o la canna…
Fosse stato per me, non avrei esitato ad affrontarlo faccia a faccia…ma qui si trattava della vita dei bambini, bambini innocenti, i nostri figli! Ho dovuto piegarmi…per potermi, un giorno, rialzare.
Perdonatemi tutti per quello che ho fatto e per quello che farò…perdonami BB…ho rovinato la vostra relazione…-
BB si grattò la nuca, era fortemente a disagio, un conflitto interiore si svolgeva in lui, tuttavia alla faccia depressa dell’amico rispose con un sorriso.
-Sta, tranquillo, eravamo incasinati anche prima che arrivasse il vecchio- forse non era il momento né l’argomento adatto per fare ironia…ma l’ironia era l’unica cosa che gli impedisse di sprofondare nel baratro dell’angoscia e della pazzia.
-Noi ti perdoniamo, hai dovuto farlo, anche io avrei agito come te davanti a un simile bivio…e poi sapevo che quel video era un falso, così come il resto della storia. C’ho solo messo un po’ a capirlo…-
-Spero che qualsiasi cosa io faccia in futuro…ricordiate che lo faccio solo per un bene maggiore- si era sentito meglio a parlare del ricatto coi suoi amici, e venire assolto da essi l’aveva sollevato da un enorme peso…ma non era ancora finita per lui.
-Ci puoi giurare che lo farai!-esclamò BB –E scommetto che la prima cosa che farai sarà mandare in quel posto Ghostface-
Robin lo guardò confuso…forse il verde non capiva esattamente la gravità della situazione…
Ma anche sul volto di Stella si era dipinto un sorriso a sessantaquattro denti.
Lui li guardava sempre più smarrito…forse nell’aria si era liberata della morfina?
BB lanciò un occhiata complice all’aliena, fremente d’impazienza –Dai, diglielo t…- non potè nemmeno finire la frase che Stella si era già fiondata su Robin ributtandolo lungo disteso sul letto.
-È qui! Non dovrai più cedere ai suoi ricatti perché è qui!!- trillò di gioia la tamaraniana.
-Chi o cosa è qui??- domandò Robin a denti stretti a causa del dolore provocatogli dall’energica stretta della moglie sulle sue spalle.
-Il detonatore!! È nella cassaforte della T-Tower!- la rossa era a dir poco sprizzante di gioia, mentre volteggiava in aria portando con sé il nolente marito.
Dopo un paio di giravolte aeree lo rimise sul letto, Robin si sentì da vomitare.
- COSA?!-
-È qui! È  al sicuro! Non dovrai più ubbidire a Ghostface! Lui non ha più potere su nessuno di noi ora!!-
Non gli sembrava vero…doveva essere uno splendido sogno…perché l’incubo era finito!! Era libero!!
Dovette usare tutto il suo autocontrollo per non gridare di gioia a sua volta, era troppo presto per cantar vittoria.
Ghostface era ancora a piede libero.
E c’erano ancora tante cose che voleva sapere.
-Come avete fatto ad averlo?- chiese con un sorriso luminoso stampato in faccia, incredulo dalla felicità.
-L’ha portato Corvina, sottraendolo di nascosto a Ghostface !- rispose la moglie ancora tutta elettrizzata all’idea che il suo amato stesse bene.
-Già…l’ha fregato a Ghostface…-  il tono del mutaforma era basso quanto i suoi occhi…lui sapeva bene com’erano andate realmente le cose e non sapeva se essere grato a Terra per il suo sacrificio o se detestarla per quello che aveva fatto…di certo c’era soltanto che l’argomento era un punto dolente e ancora scoperto nel suo animo, una ferita che ancora sanguinava e faceva male…un sacco.
Ma tra tutti i mali che stavano capitando alla sua famiglia, ai Titans e alla città, BB scelse di mantenere il suo rancore dentro di sé ancora per un po’, l’ultima volta che aveva litigato apertamente con Corvina era successo il finimondo, decise che ne avrebbe parlato ragionevolmente con lei…in privato.
-Il cielo benedica quella donna!- esclamò il ragazzo dai capelli neri -A proposito dov’è? Voglio ringraziarla di persona!-
-Era andata a mettere a letto i gemelli, ormai è tardi per loro- rispose il mutaforma, assumendo un’aria serena e di falsa spensieratezza.
-Vado subito da lei!- ma come cercò di scendere una vertigine lo colse impedendogli di scendere dalla branda.
Stella corse subito a sorreggerlo prima che cadesse dal letto –Calmati, bumflorgh!- ridacchiò lei –Hai bisogno di riposo-
-Vado a chiamartela- propose il verde dirigendosi verso la porta e uscendo dalla stanza.
Stella Rubia rimase sola con Robin, lei gli accarezzò teneramente il naso con la punta dell’indice, in faccia aveva il sorriso più armonioso che potesse esistere e gli occhi baluginavano di malizia.
-Allora…dov’eravamo rimasti prima che ci interrompessero?-
Robin ricambiò il sorriso e si perse tra le braccia della moglie…più che altro tra le tette, poiché il suo viso affondò letteralmente in quei grandi seni color pesca, soffici e profumanti che ebbero un effetto a dir poco miracoloso nel fargli dimenticare ogni preoccupazione.
Potè sentire i capezzoli turgidi premergli sul petto mentre la lingua violacea della tamaraniana cercava avida la sua.
Se le pareti non fossero state insonorizzate in tutta la Torre sarebbero risuonate risatine e gridolini di dubbia provenienza (per i minori di 14) e di ovvia per i maggiori.
 
Anche un’altra voce cantava melodiosa in una stanza buia.
La loro casa era saltata in aria, così la famiglia Logan si era spostata alla torre…ora Rick e Ruby dormivano nello stesso lettone, sotto gli occhi della madre che li vegliava quasi ipnotizzata da quei faccini angelici, cullandoli con le note delicate di una filastrocca.
 
- Se nel buio tutto tace
Sentirai arrivar Ghostface
Arrivar senza rumore
Con il passo del terrore!
Sguardo cieco e riso torvo,
l’han sepolto e non è morto!
No ce modo di scappare
Non se lui ti vuol acchiappare.
Pelle morta e cuor di legno,
Nella notte sta il suo regno.
Finchè il buio ancora dura
Si può solo aver paura.
Perché soltanto può la fiamma
Ammazzar quella canaglia-
 
- Gli canti ancora quella filastrocca?-
Corvina si voltò in direzione della voce, veniva dalle sue spalle.
Come volse il capo vide BB appoggiato sulla soglia, nella penombra…il buio gli confondeva lo sguardo ma lei sapeva che non l’aveva ancora perdonata, e forse non lo avrebbe mai fatto.
-Perché continui dopo tutto quello che è successo?-
Prima di rispondere la madre passò una vellutata carezza sule volto dei bambini, per assicurarsi che fossero addormentati, poi a bassa voce disse
–Queste filastrocche sono l’unica cosa che ha mantenuto vivo il ricordo di Ghostface in tutti questi anni.
Servono a far addormentare i bambini…e a ricordarci chi era lui. –
- So benissimo chi è- sbuffò l’altro per nulla accomodante.
- Adesso lo sai- precisò lei –Ma tu e gli altri vi eravate dimenticati chi fosse realmente, di quali orrori fosse capace.
 Io penso che se…se non avessi mantenuto viva la paura di Ghostface dentro di me, se non l’avessi alimentata ricordandomi ogni giorno quello che ci aveva fatto…temo che anch’io avrei scordato che persona era veramente, trasformandolo in uno stereotipo, un fantasma del passato…un riflesso . Tredici anni sono tanti e nessuno ci ha mai fatto penare quanto lui…abbiamo abbassato la guardia, è vero, ma non l’abbiamo mai persa del tutto.
Se non avessimo ricordato con chi avevamo a che fare, ora che è tornato, ci avrebbe già spazzato via-
Il mutaforma non rispose.
Non c’era nulla da dire, Corvina aveva ragione, rimase a lungo in silenzio nel buio a guardare prima lei poi Rick e Ruby.
Come poteva amarla dopo quello che aveva fatto? Dopo che l’aveva tradito…
Come poteva odiarla dopo che gli aveva dato tre figli?
Pensieri oscuri si aggirarono nella sua mente, problemi troppo profondi che non avrebbe mai voluto affrontare.
Fuggire.
Voleva solo fuggire, tornare ai bei tempi prima che Ghostface facesse il suo ritorno, quando la sua unica preoccupazione era non spaventare troppo i bambini durante Halloween e ricordarsi l’anniversario di matrimonio.
Ma quei tempi erano passati per sempre.
Anche se fossero usciti vivi e vincitori da questo confronto mortale con quel pazzo omicida…il loro rapporto non sarebbe stato mai più lo stesso.
Ora come allora Ghostface era riuscito a tirar fuori lati sepolti della loro personalità che neppure credevano di avere.
Quella contro di lui era sempre una battaglia su due fronti: fisico e psicologico.
E non sempre la vittoria di uno comportava la vittoria dell’altro.
Sospirò cercando invano di scacciare le inquietudini che gli opprimevano l’animo.
-Dai, vieni di là. Robin vuole ringraziarti-
 
-Ok, Titans. Se vogliamo acciuffare Ghostface dobbiamo sforzarci di pensare come lui-
Ripresosi dallo shock Robin aveva subito riassunto il ruolo di leader e nonostante l’ora tarda aveva convocato una riunione di tutti i Titani nella Mains Room.
Obbiettivo: neutralizzare Ghostface.
La scoperta di essere finalmente libero di agire come desiderava gli aveva messo addosso un fretta e un desiderio irrefrenabile di acciuffarlo il prima possibile, prima che la situazione cambiasse nuovamente a favore del vecchio.
Ora era solo, senza alleati, senza nulla a guardargli le spalle e forse ancora disorientato.
Ma non certo meno pericoloso.
-La fai facile tu! Ma a meno che qualcuno qui non abbia un tumore al cervello o abbia subito un paio di lobotomie non sarà facile capire cosa gli frulla in quella zucca marcia- replicò il mutaforma.
-BB ha ragione- disse Corvina- la sua mente è malata e al contempo geniale, completamente fuori dagli schemi. Dubito che riusciremo ad assimilare un pensiero così distorto. È proprio questo che lo rende così pericoloso: è imprevedibile-
-È vero- confermò Robin –Cercare di anticipare la sua prossima mossa sarebbe del tutto inutile…tuttavia abbiamo anche imparato che, all’occasione, a Ghostface piace prendersela comoda.
Non ci incalza mai se non è messo alle strette e spesso perde tempo prezioso in attività…normali o inutili-
-In effetti ricordo quando mi rapì che passava un sacco di tempo a progettare la sua prossima entrata in scena, senza prestar troppa attenzione a ciò che aveva per le mani al momento, fortunatamente per noi- le parole della mezzo demone furono di buon auspicio per tutti.
Robin li guardò uno ad uno, seduti sul divano semi-circolare.
Gli occhi verdi di BB, quelli lucenti e smeraldini di Stella e Bruce, le ipnotiche ametiste di Corvina e i cupi pozzi senza fondo di April.
In quegli sguardi leggeva la stessa cosa che era incisa nei suoi occhi, azzurri come zaffiri: determinazione!
-Pensate…- disse il leader -….ora che il suo rivale è morto dove andrebbe uno come Ghostface?
Focalizzate nella mente che tipo di persona è e provate a immaginare: cosa farebbe Ghostface?-
- 10 a 1 che va a ubriacarsi- commentò Corvina, accavallando le gambe, non si era nemmeno sforzata, sapeva bene che era un alcolizzato cronico.
Peccato solo che il suo fegato non potesse scoppiare.
BB ci pensò un po’ più a lungo ma anche a lui la risposta sorse quasi spontanea
- Per me è a puttane-
La risposta di April fu invece influenzata dalle precedenti, lei che poco conosceva il killer, o almeno così credeva…
- Io al suo posto andrei a fumarmi una sigaretta all’ombra delle siepi gustandomi il momento-
Tutti la guardano storto e la ragazzina dovette giustificarsi
-Beh… uno che va a puttane e beve pensavo fumasse anche-
-Confermo le puttane- disse Bruce
Stella fu forse quella che diede la risposta più naturale, ed era anche quella che conosceva meglio il vecchio – Scommetto che è a guardare la 5° stagione del Trono di Spade- fece intenta a limarsi le unghie.
 
In quel momento invece Ghostface stava puntando una pistola alla tempia di un fabbro.
-Allora?- chiese ringhiando minaccioso.
Il pover uomo, rapito nottetempo dalla sua casa, non potè far altro che presentargli la spada così come lui gliela aveva consegnata: spezzata in due.
-M-mi dispiace…ma la spaccatura è troppo netta, se la saldassi non sarebbe solida e di riforgiarla non sono capace, è di una lega che non conosco e non ho i mezzi per fondere una spada giapponese, ci vuole un metodo speciale per forgiare quel tipo di armi…-
-Cazzo!- imprecò Ghostface rovesciando a terra l’incudine più vicina.
-Cazzo! Cazzo! Cazzo!!-
Si calmò solo dopo aver buttato all’aria metà dell’officina, sbuffava infuriato, sudato e col petto che gli si alzava e abbassava affannosamente.
Il cuore gli martellava in petto.
Le sue spade erano gli oggetti a cui teneva di più e non riusciva ad accettare di averne persa una.
<Fotuttissimo Slade! Se tu non fossi già morto ti ammazzerei adesso!>
-Al diavolo!- urlò afferrando il manico e la lama dalle mani del fabbro –Vorrà dire che tornerò in Giappone, finito qui!-
E detto questo se ne andò a grandi falcate dall’officina sbattendo la porta nel cuore della notte, incazzato nero.
<Prima però vado a casa a guardarmi il Trono di Spade, ho bisogno di sbollire>
 
Era mezzanotte in punto, i ragazzi dormivano e anche i Titans più grandi erano già nei loro letti, avevano passato tutta la serata a discutere un piano d’azione e chi più chi meno erano riusciti a trovare qualcosa di soddisfacente.
Robin e BB erano a letto con le rispettive compagne…ma nessuno dei due si stava godendo i piaceri che quella camera sapeva fornire.
Nessuna delle due coppie si stava riposando e tantomeno c’era “calor di corpi” quella sera nella T-Tower.
 
-BB, ti prego, non ne voglio parlare…- Corvina se ne stava rigirata tra le lenzuola con lo sguardo fisso contro la parete, mentre il mutaforma, seduto sul letto a guardarla in modo poco carino la spronava ad esser più chiara.
-Devi parlarne! Devi dirmi com’è successo. È il minimo che puoi fare, me lo devi!-
-È successo e basta, fine della storia- replicò lei senza guardarlo.
-Ooohh…fine della storia un corno! Avrei potuto credere alla favola del “è successo e basta” se fosse accaduto una volta sola, ma tu mi hai chiaramente detto di esserci andata a letto quasi ogni sera!-
-Ero sconvolta!-
-E come credi che mi senta io? Mi hai tradito con la mia ex! Con un’altra donna, poi! E non sei neppure lesbica!-
-Forse sono bisex!- lo rimbeccò la maga che iniziava a innervosirsi per le accuse del marito.
-Forse sei soltanto una troia!- disse quello alzando la voce con tono minaccioso –E guardami quando ti parlo!-
Lei si voltò di scatto folgorandolo con lo sguardo, occhi rossi e demoniaci brillavano in quel viso perlaceo mentre la bocca era una smorfia di denti aguzzi e serrati tra loro…il coraggio morì in gola al verde, che mai si sentì più simile ad un micetto spaurito di allora.
-Primo…- ringhiò lei furibonda, almeno la voce era rimasta la stessa di sempre, solo molto più incacchiata –Non ti azzardare mai più e dico MAI PIÙ a darmi della troia o sinonimi! Ho sopportato fin troppo a lungo i tuoi insulti gratuiti!
Secondo: quello che è successo tra me è Terra è stato qualcosa di automatico, ho agito di istinto ed è successo quel che è successo!
E per quanto sia sbagliata come cosa non posso negare che sia stata meravigliosa!
Terzo: se sono così “affamata di cazzo” vuol dire che forse sei tu a non saper utilizzare bene il tuo!!
E se ti credi che io goda tanto nel farmi fottere, la prossima volta sarò io a inculare te! Così vedrai cosa si prova ad essere scopati!!-
Dalla bocca ferina uscì un sibilo minaccioso che fece correre un brivido lungo la schiena del mutaforma
–Sono stata sufficientemente chiara?!- sbraitò la mezzo demone.
-Cristallina…- mormorò quello nascosto sotto le lenzuola.
 
Quel litigio però non era passato inosservato alle orecchie di tutti, rannicchiata tra le lenzuola, nella stanza comunicante, April aveva ascoltato ogni singola parola di quanto era appena avvenuto nella stanza dei suoi genitori.
Non seppe il perché ma non potè fare a meno di sentirsi responsabile almeno in parte del litigio.
Di tutti i litigi che erano scaturiti tra i due da quando era nata.
Gli tornarono in mente le parole che la madre le aveva urlato pochi giorni prima…non le avrebbe mai dimenticate: Tu sei solo un incidente!!
Un’incidente, un peso, una palla al piede, un’indesiderata, un imprevisto…ecco cos’era lei…nient’altro che una tediosa zavorra nella vita di chiunque la conoscesse…e nulla più.
<Sarebbero stati sicuramente più felici se io non fossi mai nata…>
Calde lacrime andarono a bagnarle il cuscino.
 
Mentre April piangeva in silenzio sul guanciale, un’altra persona versava lacrime amare.
Robin aveva la testa china tra le ginocchia…singhiozzava stretto tra le braccia della moglie che cercava in tutti i modi di consolarlo.
Quella sera…appena aveva chiuso gli occhi aveva rivisto tutto…la balestra…lui che premeva il grilletto…il guercio che stramazzava al suolo, colpito…il sangue che fuoriusciva senza tregua dalla ferita…la vita che scappava da quel corpo così possente e minaccioso…lo sguardo sbarrato di Slade mentre moriva…era diventato ciò che aveva sempre detestato di più nella vita: un assassino.
- Era malvagio…- gli sussurrò con voce fievole la rossa accarezzandogli i capelli, con la testa china nell’incavo delle spalle di lui.
-Gli ho piantato una freccia nella schiena come fosse un cinghiale…non ho neppure avuto il coraggio di guardarlo negli occhi quando l’ho fatto…l’ho ammazzato come un cane…ma lui era un uomo, malvagio sì, ma un uomo.
Non era un animale…non era un animale…era un uomo come me…e io l’ho ucciso. Non credo che mi sentirò mai più pulito…so che non potrò più chiudere occhio senza rivederlo mentre muore…- la voce del ragazzo era sorda, spezzata dai singulti, resa roca dal pianto…la voce del pentimento.
-Hai fatto ciò che era necessario per proteggere la tua famiglia, per proteggere me- cercò di rasserenarlo Stella con queste parole ma lui sembrò non udirle.
-Mi sono macchiato le mani di sangue! Ho ucciso! Ucciso!! Non sono migliore di loro…- nulla sembrava in grado di rischiarare la nera disperazione in cui stava lentamente affogando Robin…il suo acerrimo nemico era morto…e lui ne piangeva la dipartita.
-Lui ti avrebbe ucciso se non lo avessi fatto tu-
-Gli eroi muoiono…ma non uccidono- rispose con gli occhi lucidi aperti nel vuoto.
–Io avrei fatto lo stesso- le braccia di lei lo strinsero con dolcezza e forza, voleva che lui sapesse a tutti i costi che lei era lì per aiutarlo, che c’era e ci sarebbe sempre stata…che non gliene faceva una colpa -Meritava quella fine…-
-No! Non importa quanto male tu faccia in questo mondo…nessuno merita di venire ammazzato…e nessuno dovrebbe mai farlo-
 
-Q-quindi se tu potessi lo rifaresti?- domandò timidamente BB alla moglie, che si era calmata, la rabbia di entrambi aveva lasciato il posto ad una malinconica consapevolezza di come stavano le cose.
Erano arrivati a parlarsi sinceramente, ascoltandosi nonostante si facessero male a vicenda nel farlo.
-Penso di sì…- ammise Corvina –Fin da ragazza ho sempre avuto un rapporto speciale con Terra… è stata la prima persona di cui mi sia mai innamorata, ero disposta a confessare la nostra relazione dopo solo due mesi…una ragazza non scorda mai il primo amore…-
Il mutaforma abbassò gli occhi e le orecchie –T-tu pensi che…visti questi violenti litigi durante la nostra crisi, tutte queste incomprensioni e diffidenze…quest’incapacità di perdonarci…pensi che forse non siamo fatti per stare insieme?-
Lei non rispose ma spostò lo sguardo sulle ginocchia raccolte al petto.
Lui fece un pesante respiro, gravoso come mille macigni -È inutile girarci attorno; io ti amo ancora. Ti amo davvero e sempre ti amerò. Perdonami se mi sono comportato così da idiota.
Io ti amo Corvina …ma tu devi seguire il tuo cuore.
Perciò te lo chiederò molto chiaramente…- gli vennero le lacrime agli occhi, non poteva credere che stava per pronunciare quelle parole, parole che se fossero divenute realtà non sarebbe mai riuscito a sopportare.
A stento riuscì  a biasciarle, il suono era spezzato, debole, quasi un battito d’ala di una civetta.
Impercettibili…ma lei le sentì.
-Corvina…vuoi il divorzio?-
Gli occhi divennero acquosi anche alla maga, la quale si alzò dal letto, dandogli le spalle.
Mosse alcuni passi incerti verso la porta, con indosso il suo lungo pigiama blu notte. Che la copriva dalle caviglie al collo.
I piedi nudi entrarono a contatto col pavimento gelido ma lei neppure se ne accorse, troppe cose le ronzavano in testa per badare a quello che succedeva intorno a lei.
-Non lo so…- rispose dopo un’interminabile silenzio nel quale il cuore di BB aveva saltato un infinità di battiti, stressato da quel fatidico tentennamento
 –Io…io penso che…- iniziò la maga mordendosi la falange dell’indice mentre si massaggiava nervosamente il gomito  -Penso che…- ancora silenzio.
-Penso che andrò a dare la buona notte ad April-
E senza che nessuno dei due aggiungesse altro, non per mancanza di tempo ma per mancanza di bisogno, la mezzo-demone si dileguò nel buio.
 
Di lì a poco Corvina cacciò un grido disumano.
Tutti gli abitanti della Torre, compresi Rick e Ruby destati di colpo dal sonno, si precipitarono verso la fonte di quell’urlo come falene attratte dalla luce.
-Corvina!- esclamò BB afferrandola  –Corvina che succede?!- lei ancora gridava e dovette scuoterla per le spalle per riuscire a farla smettere.
Le dita perlacee della strega erano serrate su un foglio di carta tutto stropicciato.
-A-April è scapapta-
-COSA!!??-
-H-ha scritto q-questo- balbettò appena mostrando il foglietto, senza riuscire però ad aprire il pugno.
-Di che si tratta?- chiese Robin appena arrivato assieme a Stella, prendendo la mano della mezzo-demone tra le sue, non c’era traccia del pianto precedente sul suo viso, lui doveva sempre dimostrarsi un leader integerrimo, deciso e sicuro di sé.
Sapeva quanto la sua immagine fosse importante per il morale della squadra.
Non fu facile districare le dita di Corvina, ma alla fine il ragazzo mascherato riuscì a separare il palmo pallido dal foglio di carta da lettere giallo.
Era una lettera d’addio per i suoi genitori, scritta di suo pugno da April.
Robin iniziò a leggere ad alta voce.
-“Cari mamma e papà, vi amo ora più che mai e appunto perché vi voglio così bene non posso sopportare di vedervi litigare a causa mia.
Nonostante ce l’abbiate messa tutta per convincermi del contrario so di essere solo un…incidente…so che non mi volevate e non mi volete tutt’ora ma vi sono grata per avermi fatto credere così a lungo il contrario.
Ho deciso di andarmene per la mia strada, stasera stessa lascerò Jump City così voi sarete liberi di vivere la vostra vita senza più questo peso a frenarvi.
Vi prego, salutate da parte mia Bruce, Rick e Ruby e tutti gli altri Titans e dite loro che gli voglio un mondo di bene e che mi mancheranno moltissimo…”- Robin s’interruppe al commento del padre della ragazzina.
-Ma è terribile!- disse il verde –Si è presa la colpa per le nostre liti…-
Il leader dei Titans riprese a leggere scandendo bene le parole.
-“Non abbiate timore e non preoccupatevi per me, ma non venite neppure a cercarmi, ormai ho deciso.
Comunque non parto da sola, sarò in buona compagnia, fuggo con qualcuno che saprà accettarmi per come sono”…-
Stavolta fu Stella Rubia a spezzare il filo del racconto –Aahh è una fuga d’amore, allora- sorrise rasserenata –Sta tranquilla Corvina, starà via un paio di giorni con quel ragazzo poi si renderà conto di quanto sia stata avventata e tornerà indietro. Capita a tutte le adolescenti di sognare una fuga col principe azzurro ma non escono mai oltre la città-
Corvina era in iperventilazione e BB per quanto si sforzasse non riusciva a calmarla, respirava così velocemente che lo scambio d’aria nei polmoni non faceva in tempo ad avvenire.
-C-continua a l-leggere- riuscì a stento a mormorare col petto che si alzava ed abbassava a ritmi impressionanti, tutti i nervi erano a fior di pelle e sembrava che gli occhi sgranati dovessero schizzarle fuori dalle orbite da un momento all’altro.
Robin riprese da dove si era interrotto.
-“Lui è più grande di me ma è una bravissima persona, ho imparato a conoscerlo e state tranquilli non è quel tipo di persona a cui “piacciono” le bambine.
Si prenderà cura di me, mi insegnerà tutto ciò che avrò bisogno di sapere e sono certa che non mi farà mancare nulla.
Fidatevi se vi dico che è in grado di proteggermi da chiunque voglia farmi del male, è protettivo ma anche comprensivo, lui mi capisce.
Per questo ho accettato la sua offerta di seguirlo in giro per il mondo.
Vi voglio un mondo di bene…”- la carta era bagnata da piccole chiazze scure…lacrime asciugatesi sul foglio –“ Parlate di me ai miei fratellini e ditegli che non ho mai voluto abbandonarli…la loro sorellona li ama tanto.
E Bruce…mi dispiace ma la mia strada mi ha portata altrove, ma il mondo è piccolo, forse ci rivedremo un giorno.
Titans, questi sono stati degli anni stupendi per me, mi mancherete un sacco, date un bacio a Cyborg da parte mi quando si sveglia, arrestate Ghostface e prendetelo a calci anche per me.
Un bacio d’addio a tutti voi da parte di April Logan, la vostra figlioletta indesiderata, e dal suo compagno di viaggio…”-
Robin sbiancò non credendo alle proprie pupille.
Rilesse e rilesse quel nome dozzine di volte per essere certo di non avere le traveggole.
-Avanti! Parla!- lo incalzò BB sempre più nervoso, con l’ansia che lo divorava dall’interno.
Robin si schiarì la gola e deglutì nervosamente, stava sudando freddo,
-E-e d-dal s-ssuo compagno d-di viag-ggio…- balbettò.
-Jonathan Argenti!-
 
Sedeva appoggiato all’Harley Davidson, un sigaro tra le labbra e gli occhi glaciali scoperti, il suo sguardo mortuario era puntato sulla città illuminata.
Dalla Roccia del Gufo si poteva vedere tutta Jump City.
Era proprio una bella vista…peccato per quei due enormi crateri scuri che spezzavano il caotico gioco di luci.
Il suo bagagli non era altro che un set di coltelli da lancio, una maschera, una balestra e una spada spezzata nelle tasche esterne della moto, il resto lo teneva indosso: una spada sulla schiena, pistole alle cinta, un coltellaccio interno al soprabito e degli strani bracciali luccicanti ai polsi
Il fucile a pompa lo teneva smontato dentro il sedile della motocicletta.
Aveva portato con sé solo le sue armi e un bel malloppo sottratto all’ormai trapassato Slade, non gli sarebbe servito altro.
Il fresco vento autunnale stava lasciando il posto ai venti freddi del Nord, l’inverno stava arrivando e lui doveva partire, proprio come il vecchio.
La brezza gli accarezzò un’ultima volta i capelli bianchi, sparsi sulle spalle, quasi in segno d’intesa l’uomo soffiò una tenue nuvoletta di fumo nell’aria, che il vento disperse.
Si udiva solo lo stormire delle foglie e il grido del gufo nella foresta.
Poi un suono estraneo gli giunse alle orecchie: un delicato fruscio, come se qualcosa di più compatto del vento avesse accidentalmente sfiorato una foglia dal ramo.
Ghostface sorrise rimettendosi gli occhiali sul viso.
Si chiuse l’abito da becchino sul maglione grigio a collo alto e si volò con il più allegro dei sorrisi.
-April, ormai non ci speravo più!-
 
Poco prima…
-È assurdo!- esclamò BB –April sta fuggendo con Ghostface!!...perchè?!-
-Perché lei non sa che è Ghostface- rispose Robin, tutti lo guardarono straniti.
-Riflettete…- continuò –April non ha mai visto il volto di Ghostface, nessuno di noi gli ha mai raccontato i suoi lineamenti, salvo per gli occhi spettrali, non ha mai visto quel famoso video e l’unica volta che l’ha incontrato era mascherato-
-È vero…- concordò Corvina ancora sotto shock, sentiva le gambe tremarle –Quando si è tolto la maschera durante lo scontro lei aveva il mantello sul viso, non può averlo visto, e sicuramente lui si sarà coperto gli occhi…oh Azar! La sta ingannando!!- fu sconcertante per lei realizzare una cosa simile.
-Dobbiamo trovarla! Subito!!- tuonò BB, preoccupato più che mai per la figlioletta che stava per cacciarsi inconsciamente tra le fauci del lupo.
Bruce era rimasto in silenzio fino a quel momento…ma non potè tacere oltre –Forse io so dov’è!-
Lo sguardo della squadra al completo calò su di lui.
-Parla!-
Quasi intimorito il ragazzino continuò –Ho notato che da diverse settimane April si recava ogni venerdì verso le sette alla Roccia del Gufo, una volta l’ho anche seguita e non sembrava ridotta bene, era lacera, sporca e piena di lividi. Mi ha fatto promettere di non dirlo a nessuno ma ora lei è in pericolo!
Sono certo che la troverete là!-
I Titans si scambiarono una rapida occhiata d’intesa e annuirono, Robin prese la parola –Bruce, tu resti a casa con i bambini. Noi pensiamo ad April-
 
Ghostface strabuzzò gli occhi per la sorpresa quando anziché la simpatica ragazzina si trovò davanti la madre di lei, avvolta nel suo mantello blu al punto che s’intravvedeva solo la bocca…e a giudicare dalle contrazioni di rabbia delle sue labbra e dai denti serrati non era un bel vedere
Fluttuava a un palmo da terra per non far rumore ma il vento l’aveva ugualmente tradita.
In un batter di ciglio il vecchio si ricompose, assumendo un’aria arrogante.
-Tu non sei April- le fece notare puntandola col dito.
-No. Sono sua madre- rispose quella con voce tetra, tenendo a stento a freno la lingua.
-Se posso sapere….come hai fatto ad arrivare qui? Prima di lei. Intendo. Mi ha appena mandato un sms in cui diceva di essere partita dalla Torre senza che nessuno se ne accorgesse -
-Vedi, Jonathan…- rispose la mezzo-demone assumendo un’aria sempre più minacciosa - April sarà anche partita in vantaggio ma c’è sempre stata una cosa che mia figlia non è mai stata brava a fare…-
-E sarebbe?-
-Aprire i portali!
Come lo disse distese il palmo a lei e tre diversi portali si aprirono alle sue spalle, da essi uscirono BB, Robin e Stella.
Il vecchio si ritrovò presto circondato.
Sorrise divertito, estrasse dallo stivale il pugnale di riserva che portava sempre con sé e iniziò a rigirarselo con non curanza tra le dita.
-Avanti, Titans…- sghignazzò –Non avrete scelto di…- non potè finire la frase che gli starbolts di Stella gli bruciarono la schiena abbattendosi come grandine su di lui.
Ghostface fu letteralmente sbalzato contro un grande albero  e tirò una forte craniata sul legno duro della sequoia.
Si ritrasse massaggiandosi la testa ma aveva appena alzato gli occhi la coda di un anchilosauro verde lo catapultò contro il monolite a forma di Gufo, spezzandogli una gamba e praticamente tutte le costole.
Sorreggendosi sulle braccia sollevò il capo solo per esporlo al calcio rotante di Robin che lo rimandò a tappeto.
Tutto quello che Ghostface poté fare fu girarsi a faccia all’aria giusto in tempo per vedere un giovane albero sradicato, avvolto in una coltre di magia nera, abbattersi su di lui ancora ancora e ancora.
-Mamma!-
Corvina si volse in direzione della voce, seguita dagli occhi di BB, Robin e Stella.
Dove prima non c’era altro che il nulla comparve improvvisamente il corpo adolescente di April.
Indossava il costume di Midnight e teneva tra le dita il manico di una valigia.
Era inorridita
-Che state facendo!?- urlò senza aspettare una risposta, scioccata e spaventata.
I Titans avevano aggredito Jonathan solo perché aveva cercato di aiutarla…volevano tenerla prigioniera, quindi?
Impedirle di vivere la propria vita?
Di fare le sue scelte?
Lasciando cadere il bagaglio la ragazzina si precipitò a soccorrere il vecchio.
Gli prese delicatamente la testa tra le mani poggiandosela in grembo, gli accarezzò i capelli lordi del sangue che usciva dalla bocca.
-Noo…- mormorò mentre da dietro la maschera appartenuta a Robin gli occhi le diventavano sempre più umidi.
-A-April…- disse quello tossendo grumi di sangue –Non credo di sentirmi abbastanza in forma per guidare…- la voce spezzata non riuscì a proseguire oltre.
La ragazzina si alzò come un baluardo contro il gruppo di eroi –Cosa gli avete fatto!!??- urlò isterica –Come avete potuto fargli questo!!??-
I Titans erano rimasti impietriti, disarmati davanti a quella scena… a quella reazione.
-April allontanati da lui!- esclamò Corvina.
-NO! Lui è mio amico!-
-Non è tuo amico, lui non ha amici! È un assassino!- replicò Robin.
-Tu menti!- urlò April con la voce sempre più strozzata dalle lacrime che si sforzava di ricacciare indietro –Ha ucciso solo per difendermi! MI HA SALVATO LA VITA!!-
-Ti sta ingannando bambina mia…- il tono del mutaforma era quasi implorante
-Voi mi volete ingannare! Voi non mi volevate! Per voi sono solo un’incidente!- riprese fiato, aveva il respiro affannato –A lui piaccio per come sono! Mi vuole bene!-
-Ti sta usando, April. Non è vero che gli stai a cuore… è un bugiardo- anche Stella ce la metteva tutta per cercare di convincere la maghetta ad allontanarsi dal vecchio, ma lei non voleva sentire ragioni.
-April…- disse Corvina più seria che mai, guardandola dritta negli occhi –Lui è Ghostface!-
A quelle parole April ebbe un tuffo al cuore…le vacillarono le gambe e quasi si pietrificò.
-T-Tu menti!- urlò con voce stridula mentre sottili gocce d’acqua le rigavano il viso.
-Io mento?- replicò Corvina con voce calma –Piccola mia…se ma i ti ho mentito è stato solo per il tuo bene…- la motocicletta del killer si sollevò da terra avvolta nelle tenebre di Corvina.
-Ti voglio bene April, tutti te ne vogliamo. Come puoi pensare di essere stata un peso per noi per anche solo un giorno? È vero, tu non eri “programmata” come i tuoi fratelli…ma ti abbiamo amata dallo stesso momento in cui abbiamo saputo che il tuo piccolo cuore batteva dentro di me…sono tua madre, April…non potrei mai non amarti- Corvina aveva trovato quello che cercava, dalle tasche esterne dell’Alighieri si sollevò un oggetto ovale, metallico e sottile.
La maga lo fece levitare fino a posarlo tra le mani della figlia incredula.
-Al contrario di lui- concluse la mezzo-demone.
April non poteva credere ai suoi occhi, guardava sgomenta quel mezzo teschio che reggeva tra le dita…quel volto fittizio e beffardo che aveva visto compiere atrocità in quel centro commerciale…aveva in mano la maschera di Ghostface!
Sentì come un rumore di vetri rotti dentro di sé, si era spezzato qualcosa in lei ma non sapeva cosa.
Si volse inorridita verso il vecchio che approfittando della situazione era riuscito a rimettersi in piedi.
Lo guardò piena di delusione e disprezzo- Per tutto questo tempo...tu mi hai presa in giro…- disse tagliente come una lama.
-April ti prego, posso spiegare- rispose quello muovendo pochi passi barcollanti sulla gamba malferma.
-No! Non ti darò mai più ascolto! Sei un mostro!!- gridò la ragazza mentre turbini di foglie si sollevavano attorno a lei.
-Non ho mai voluto ingannarti, ti prego…- cercò inutilmente di giustificarsi.
-Taci!! Sei solo un assassino e io non voglio avere più nulla a che fare con te!
-Io…- mormorò il vecchio ma non trovò nulla da dire…sarebbero comunque state parole vane gettate al vento.
Corvina aprì un portale mentre April correva da lei.
-Andiamo, April. Torniamo a casa- le disse dolcemente mentre il resto dei Titans si accodava a loro inchiodando con sguardi di fuoco il vecchio.
Lasciandolo smarrito nella solitudine del bosco.
Ghostface si guardò intorno nervosamente, non sapeva come reagire, cosa fare per fermarli…poi la lama del pugnale cadutogli scintillò ai raggi della luna.
-Torna qui! – urlò con coltello tra le dita.
Corvina lo vide e capì subito le sue intenzioni.
-Tutti dentro! Ora!- esclamò mentre i suoi compagni si fiondavano dentro il portale.
Il coltello roteò nell’aria, assumendo sempre più velocità.
Proprio come quattordici anni prima…quando era morta Mar’i…adesso come allora…stavano rivivendo stessa scena.
Il portale che si chiudeva e il coltello che si avvicinava, lanciato dal suo padrone a ghermire le carni dei suoi nemici.
Il portale si richiuse con un lampo abbagliante, nonostante le lenti scure Ghostface dovette distogliere lo sguardo.
Quando riaprì gli occhi Ghostface vide il proprio pugnale conficcato nella corteccia di un albero.
-Nooooo!!!!-
Affondò le dita nel terreno schiumante di rabbia.
-Non è troppo tardi…posso ancora cambiare le cose…- ringhiò mentre una luce di sadica follia gli illuminava gli occhi color ghiaccio.
-Se i Titans pensano di essere al sicuro nella loro Torre…non mi resta che stanarli!!-
 
-Altre cialde, cucciola?- chiese Stella Rubia svolazzando in cucina con una teglia di pancake affogati nello sciroppo d’acero.
-Certo!- trillò April tirandone sul piatto una sbadilata.
Era una mattina luminosa e fredda, il cielo era limpido e il sole delle dieci si rifletteva abbagliante sulle lamiere delle auto dei cittadini di Jump city.
La città era un fervore di attività, un via vai di gente che non si fermava mai.
Suonò l’allarme.
-Che succede?!-esclamò Robin balzando subito in piedi.
Tutti i Titans lasciarono perdere la colazione e si fiondarono a vedere il monitor del computer.
-La via maestra è sotto attacco- disse Corvina guardando le telecamere.
-Sotto attacco di chi?-
Il dubbio del mutaforma fu presto chiarito.
-Ghostface…- sibilò a denti stretti.
 
Era strano…da quando il vecchio era tornato in circolazione sembrava che la stragrande maggioranza dei criminali di seri B fosse andata in pensione.
Neppure un attacco dagli Hive, da Mad Mod, da Plasmus, dal Dottor Luce o da Adone…non che la cosa li disturbasse, con Ghostface incazzato nero l’ultima cosa che volevano erano queste spine nel fianco.
 
Una serie di esplosioni aveva spinto la folla a fuggire verso destra, lungo la via maestra, ignorando che Ghostface proveniva proprio da quella parte.
Una strage era proprio quello che ci voleva per attirare l’attenzione dei Titans.
Presto il vecchio si trovò in mezzo alla mandria di avvocati e ragionieri che fuggivano terrorizzati.
Lui camminava tranquillo contro la corrente del fiume umano, in una mano reggeva un piccolo mitragliatore, nell’altro la sua spada superstite con la quale falciava chiunque gli capitasse a tiro e non esitò a scaricare un paio di caricatori sulla folla stravolta e terrorizzata che cercava in tutti i modi uno scampo inesistente.
-TITANI!!! Dove siete?- gridava a gran voce, sovrastando le grida di paura del popolo e il rumore della mitraglietta che riversava i suoi baci mortali su decine di innocenti.
-Stronzo…- disse Bruce a denti stretti mentre Stella Rubia gli faceva sorvolare la zona –Se la prende con degli innocenti per costringerci ad affrontarlo!-
-Facciamolo pentire allora!- commentò la rossa scendendo in picchiata.
April, Corvina e BB, dietro di loro, li seguirono senza esitazione.
Atterrarono tutti al termine della via principale di Jump City, ai piedi del colossale grattacielo E.X.P.O.
Dove tutto era iniziato, tutto sarebbe finito.
Ghostface arrivò fermandosi pochi metri davanti a loro, la lama della katana era grondante di sangue, i suoi vestiti ne erano macchiati ovunque, e sulla faccia….sulla faccia aveva il ghigno più avvilente, sadico e folle che si fosse mai visto.
Si intravvedeva la parte superiore degli occhi glaciali da dietro le lenti nere…brillavano come stelle di pazzia.
Era assetato di sangue come non mai.
-Consegnatemi April e forse vi lascerò vivere- disse minaccioso facendo roteare la spada tra le dita.
-Abbiamo sconfitto cattivi più grossi di te!- ribatté Corvina alzandosi in volo col mantello dispiegato come le ali di un corvo pronto ad abbattersi sulla preda.
-Avrete anche sconfitto dei cattivi ma non avete mai avuto a che fare con un super-cattivo!!- sbraitò il vecchio in risposta.
BB lo guardò truce, avrebbe difeso sua figlia a costo della vita –E quale sarebbe la differenza, sentiamo?-
Lui sorrise malevolo, dalla manica del soprabito nero gli scivolò in mano un detonatore –L’entrata in scena-
Il cuore cessò di battere a tutti quando lo premette…ma fortunatamente per Bruce e i gemelli non si trattava di quel detonatore.
Un cerchio di fuoco esplose improvvisamente con enormi vampate che raggiunsero il secondo piano del palazzo, assordando gli eroi, l’anello di termite era talmente vasto da circondare tutto il grattacielo, chiudendo il gruppo di giovani al suo interno e lasciando fuori Ghostface.
Rinfoderò la spada.
Le fiamme non si erano ancora estinte che il vecchio tirò fuori da una tasca dello spolverino nero una bottiglietta piena di uno strano liquido e la bevve tutta d’un fiato senza però ingoiarne neppure una goccia.
-M-ma quella…è benzina!- esclamò incredula Stella.
Ghostface saltò la coltre di fuoco, ora alta quanto un uomo, e la muraglia di fumo che accecava i giovani eroi e con la barriera fiammeggiante alle spalle a fargli da mantello sputò a spruzzo tutta la benzina contro i Titans, contemporaneamente scaricava gli ultimi colpi della mitraglietta su di essi.
Come le gocce di benzina entrarono a contatto coi primi proiettili un’onda di fuoco distruttrice avvolse completamente il gruppo di eroi.
Ci vollero diversi minuti perché l’anello di fuoco che imprigionava i contendenti perdesse il suo iniziale vigore e quando finalmente la nube di fumo nero si diradò permettendo al vecchio di vedere il risultato del suo operato esso rimase basito nel vedere che né il fuoco né i proiettili li avevano anche solo sfiorati.
Corvina abbassò la sua barriera magica che aveva protetto lei e tutti i suoi amici da quell’attacco a sorpresa.
-Molto appariscente…ma di scarso effetto- commentò acida –Ora tocca noi…Robin, adesso!!-
Si udì un’assordante rombo di motore e pochi attimi dopo la R-Cycle con il suo pilota a bordo saltarono il cerchio di fiamme.
Sospeso a mezz’aria il ragazzo maschero mulinava la sua asta telescopica, deciso  atterrare con tutta la moto sul vecchio, colto di sorpresa.
Ma anni di guerre e agguati avevano reso i riflessi di Ghostface praticamente istantanei, e la sua capacità di reazione non era da meno.
La ruota anteriore della R-Cycle distava solo un metro e mezzo dalla sua faccia e si avvicinava sempre di più, allora il vecchio distese le braccia contro di essa e due abbaglianti saette scaturirono con fragore dai suoi polsi, colpendo in pieno moto e pilota, scaraventandoli lontano al punto che i due attraversarono ben due parti dell’edificio più vicino.
I Titans non potevano credere a quello che avevano appena visto.
Guardavo con occhi sbarrati prima Ghostface poi il buco nella parete sfondata da Robin.
-Molto scenografico…ma di scarso effetto- sorrise il vecchio facendo eco a Corvina.
-E che cazzo!!- imprecò BB spezzando quel silenzio di vetro che li aveva avvolti –Adesso spari anche i fulmini !?!?-
Ghostface sorrise assottigliando gli occhi a due fessure –Che posso farci, sono fatto così.
Proprio quando credi che abbia finito tutte le idee…taaa daaa!- fece alcuni passi verso di loro ed essi arretrarono adagio senza mai staccargli gli occhi di dosso.
-Immagino che sappiate cosa sia la Titanomachia, vero? Corvina tu la conosci? È un mito affascinante.
Ora lasciate che vi dica una cosa, Titaniè arrivato Zeus!-
Il suo tono tornò da scherzoso a minaccioso e il volto si colorò di una truce espressione –Ve lo ripeto ancora una volta: consegnatemi April!-
Istintivamente BB scattò verso la figlia sollevandola di peso per portarla via, e Ghostface passò all’attacco.
-Non l’avrai mai!!- Corvina fu la prima a fiondarsi su di lui come un proiettile umano, artigli di tenebra le circondavano le mani, bramosi di straziare la carne dell’albino ma quello la evitò scansandosi di lato all’ultimo momento.
-Nessuno..- tuonò furioso il vecchio furioso assestandole un doppio pugno proprio sul viso che le fece sanguinare il naso e le spaccò un labbro.
Tramortita dal colpo la maga rovinò al suolo.
-…mi costringe…-
Bruce gli fu addosso ma lui lo afferrò per le spalle, lo rovesciò sulla schiena e lo sbatté con inaudita brutalità sul cemento.
Il mezzo tamaraniano rimase lungo disteso a terra senza più muoversi.
-…a lasciare…-
Stella fu la terza ad affrontarlo ma questa volta non ci fu nessun’occhio di riguardo per lei, Ghostface schivò starbolts e fendenti dell’aliena per poi colpirla con un dolorosissimo calcio appena sotto il torace, uno dei punti più delicati per i tamaraniani.
La rossa si accasciò a terra piegata in due, gemendo dal dolore.
-…ciò che è MIO!!!-
Ghostface si trovò faccia a faccia con BB, distavano meno di tre metri l’uno dall’altro.
April era in mezzo a loro, con lo sguardo rivolto verso il vecchio che un tempo reputava suo amico.
Scattante come un serpente il killer estrasse una pistola puntandola di traverso alla fronte del verde prima che lui potesse cambiare forma in una qualsiasi creatura.
Schiumante di rabbia, con gli occhi iniettati di sangue, ringhiò a denti stretti serio come non lo era mai stato.
-Consegnamela o giuro che ti ammazzo-
BB sentì April muovere il primo timido passò verso il vecchio e intuì subito cosa passava nella mente alla ragazzina…voleva sacrificarsi per i suoi amici.
No! Non poteva permetterlo! Non avrebbe più permesso che un membro della sua famiglia versasse lacrime perché non era stato in grado di proteggerlo.
L’afferrò saldamente per le spalle tenendola premuta contro il suo corpo.
-Non ti muovere, April-
Ghostface strinse i denti avvicinando la canna di metallo.
-April ascolta tuo padre!- biascicò con dolore Corvina, che aveva trovato nella disperazione la forza di mettersi in ginocchio nonostante le fitte alla testa.
-Già…- sogghignò il vecchio –Fa come dice tua madre, e vieni subito qui!- urlò con voce greve.
April lo guardò stranita, arretrando ancora di più a ridosso del corpo del verde, sbattè le palpebre confusa, senza capire…rifiutandosi di capire.
L’espressione di BB era il riflesso di quella dell’adolescente.
-Oh…non te l’hanno detto…- fece Ghostface arricciando le labbra mimando grottescamente un dispiacere non suo.
L’espressione tornò di colpo seria, glaciale come una statua di marmo.
Inspirò a pieni polmoni e disse con quanto fiato aveva in gola.
-Io sono tuo padre!-
 
 
 
 
 
Colpo di scena!! !!
Chi l’aveva già capito?
Ora tutto inizia a farsi più chiaro, non perdetevi il prossimo capitolo per altre scioccanti rivelazioni, botte violente e tutti i dettagli del concepimento di April!
Sempre che George Lucas non mi faccia causa prima, s’intende.
 
Ghostface
 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** 25 ***


CAPITOLO 25
 
Il paragrafo scritto in corsivo è un flash-back con forti contenuti sessuali per enfatizzare…beh non posso dirlo ora ma capirete leggendo qui sotto.
Comunque chi disapprova si astenga, grazie.
 
-Ma che stai dicendo!?- urlò il mutaforma che da anni aveva smesso di dar credito alle parole dell’assassino.
-April è mia figlia!!- aggiunse più deciso che mai.
-Ma davvero?- rispose Ghostface ridacchiando amareggiato –E dimmi, la rigenerazione è un tratto tipico dei tuoi geni?-
BB si paralizzò…in tutti quegli anni non ci aveva mai fatto caso ma April era sempre stata tenuta lontana dai pericoli dalla madre in modo quasi ossessivo, e quelle poche volte che si faceva male, anche solo una sbucciatura al ginocchio, Corvina era subito lì a guarirla istantaneamente col suo mantra…in tutti quegli anni non aveva mai visto sua figlia ferita.
Restò in silenzio.
-Lo immaginavo…- commentò il canuto avversario, sfilò un pugnale dal set di coltelli balistici che teneva legato in petto e lo gettò ai piedi della ragazza.
-Avanti, April!- la esortò –Dimostra a tutti chi è veramente tuo padre!-
Ghostface non potè vederlo ma alle sue spalle Corvina si era rimessa in ginocchio, con le mani piantate al suolo a sostenere il corpo e ora le sue labbra mimavano una muta parola “no”.
BB invece la vide e lesse il labiale, il cuore saltò diversi battiti.
Anche April la vide ma la ignorò, si fece coraggio e ignorando il dolore si passò il filo della lama sul palmo, aprendo un taglio lungo e leggero su tutta la mano.
Strinse i denti, la ferita bruciava e il sangue ne zampillava fuori vermiglio, poi a poco a poco la perdita di sangue s’arrestò.
La ferita iniziò a rimarginarsi, la carne e i capillari si ricomponevano sotto lo sguardo incredulo di April, orgoglioso di Ghostface, sgomento di BB e affranto di Corvina.
La pelle pallida ricoprì completamente il palmo dove prima il metallo aveva morso la carne, senza lasciare alcun segno.
La ragazza mosse le dita e non provò alcun dolore…era guarita!
Corvina era forse la più disperata per l’accaduto.
<Tutti quegli anni di sacrifici passati a nascondere il tuo segreto…e ora questo. Perdonami, April. Perdonami, BB>
-Lo sai…- disse il vecchio quasi dolcemente –Hai i miei stessi occhi, prima che diventassero le orbite vuote e morte che sono ora, quando ancora erano vivi-
April arretrò abbracciando il verde dietro di sé ma mantenendo gli occhi puntanti sull’albino.
-No…- mormorò –No! Non può essere vero, non può!- rivolse un’occhiata disperata a BB con, gli occhi colmi di lacrime –Papà, dimmi che non è vero. Ti prego, dimmi che non è vero…-
Ma nel volto del verde vedeva solo riflessa la sua angoscia, la sua incredulità…la sua paura.
-È vero- una voce alle spalle dei tre, era Corvina rialzatasi a parlare con voce rotta, disperata -  Ghostface non sta mentendo…è lui il padre naturale di April…ho fatto di tutto per nascondervelo ma non ci sono riuscita!- affranta nascose il viso tra le mani.
BB ancora non poteva crederci –M-ma…come?- balbettò a stento.
-Ehm…- fece il vecchio grattandosi dietro la nuca, imbarazzato–Non è esattamente una bella storia d’amore…-
-È successo quattordici anni fa…- lo interruppe Corvina, con lo sguardo sui piedi e la voce spezzata –Quand’ero sua prigioniera…poco prima che arrivaste a salvarmi. Lui venne da me…e…e mi…mi stuprò…-
 
Sentiva l’artiglio del pollice premere sulla trachea, l’aveva violentemente sbattuta a terra con una forza sovrumana, impossibile da contrastare per lei, il cerchio magico era sotto di lei a impedirle di difendersi.
L’altra mano le strappava di dosso il body con un solo gesto, l’uomo ansimava come un animale.
-Lasciami!-
Lui la ignorò tirandole via anche le mutandine mentre lei si dibatteva per liberarsi da quella presa ferrea…senza risultato.
Lui torreggiava sopra di lei, era a torso nudo, col volto scoperto e gli occhi da pazzo…più del solito.
Sentì la mano umana correre sul suo corpo nudo, afferrarle un seno e stringerlo fino a farle male, affondando le unghie nella carne per farla gridare…e gridò.
Le veniva da piangere ma non gli avrebbe dato anche questa soddisfazione.
-Fermati, Ghostface! Fermati!- urlò disperata – Ti servo vergine, ricordi?! Così il tuo piano va a puttane! Fermati, Jonathan!!-
L’uomo ridacchiò sadico –Non so di che stai parlando, vacchetta, non so neppure chi tu sia né chi sono io…ma so che ci divertiremo un sacco insieme…-
Il battito le accelerò nel petto al punto da sfondarle la gabbia toracica, gli occhioni d’ametista erano spalancati, specchi di terrore nel quale si rifletteva il volto ghignate dell’assassino.
-YYYYAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!-
Gridò come mai aveva gridato in vita sua quando lui la penetrò.
Neppure la sua prima notte aveva gridato così.
La presa alla trachea si allentò fino a sparire del tutto ma la stretta di quelle mani violente ricomparve sui suoi polsi, inchiodandoli al pavimento.
Lui le era sopra, incollato su di lei, e la insultava dandole della troia e della vacca, insinuando senza alcun pudore che l’esser posseduta in quel modo ferace le piacesse.
Sentiva il membro rigido trapanarle le viscere, sfondarla fino allo stomaco.
Anziché abituarsi al dolore, questo aumentava esponenzialmente.
Ad ogni affondo il membro arrivava sempre più in profondità, squarciandogli le carni in punti che nessuno aveva mai raggiunto in lei.
Spingeva, spingeva, spingeva e ogni volta lei si sentiva più piena, al punto da temere di restare divisa in due da quel cazzo che pareva non aver fine.
Sentiva il suo utero strapparsi sotto quei colpi impietosi.
Non era eccitata, non aveva usato del lubrificante, l’attiro contro le pareti della sua vagina la faceva strillare in modo straziante, ogni volta che il membro entrava e usciva le bruciavano atrocemente come se sfregate con della carta vetrata.
Pregò Azar affinché venisse il prima possibile in modo che quella tortura finisse.
Ma così non fu.
Lui andò avanti ancora, ancora e ancora, mordendole i capezzoli, graffiandola con quegli artigli ferini sul ventre e sui seni, stuprandola come un indemoniato.
I loro corpi mandidi di sudore erano completamente nudi, attaccati ormai da venti minuti, i venti minuti più lunghi e dolorosi che Corvina avesse mai provato.
L’aveva girata a quattro zampe tenendole la testa premuta contro il pavimento, picchiata selvaggiamente, la sua schiena aggraziata era tempestata di lividi, ematomi e segni di morsi e graffi, le tirava i capelli per farla inarcare all’indietro, la stava violentando senza tregua, scopandola come un mastino monta una cagna.
Con voga e rabbia.
Umiliandola.
Lei sopportava a denti stretti e con gli occhi serrati ma non poteva fare a meno di gridare, gridare e gridare.
Era come se le sue urla di dolore alimentassero la voglia dell’uomo.
Ma non piangeva.
Si sentiva l’utero ridotto a brandelli, le sue pareti interne anziché adattarsi al corpo estraneo entrato a forza sembravano restringersi sempre di più, rendendo più doloroso ogni affondo.
Ad un certo punto la sedicenne sentì il membro ingrossarsi in lei, sgranò gli occhi sapendo bene cosa ciò significasse.
Sollevò la fronte imperlata di sudore verso di lui.
-Non dentro di me!- urlò disperata con quanto fiato aveva in gola.
-Ti prego, non venirmi dentro! Non voglio! Veini fuori! Fuori! Non dentro di me!!- lo implorò supplice.
Fu tutto inutile
Il membrò aumentò ulteriormente il suo volume lacerando definitivamente la tenera fessura che lo avvolgeva poi scaricò fiotti del  bollente seme all’interno della maga.
E lei strillò ancora finché non ebbe più voce.
Quando finalmente uscì da lei, Corvina giacque a terra incapace di reagire, sperma e sangue le colavano copiosamente tra le cosce  e lacrime amare come fiele le rigavano le guance, il suo corpicino esanime, coperto solo dalle gocce del sudore, era scosso dai singulti.
Traumatizzato dalla violenza subita.
Incapace di parlare, di muoversi, anche solo di chiudere le gambe per fermare quello spettacolo osceno e pietoso che offriva il suo culetto abusato…poteva solo piangere.
E pianse, pianse a lungo  anche dopo che l’uomo se n’era andato, lasciandola lì a terra immersa tra quei tre diversi fluidi di cui solo due le appartenevano.
Avrebbe voluto scappare…ma le gambe non la reggevano, era troppo scossa anche solo per pensare.
L’aveva stuprata, aveva abusato di lei sessualmente, l’aveva umiliata come nessuno aveva mai osato fare e le aveva fatto male…tantissimo.
Desiderava solo morire ma anche quello le era negato, l’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu il corpo aggraziato di Nera che accorreva verso di lei.
 
-V-venni abusata senza alcuna pietà…- singhiozzò la maga, aveva iniziato a piangere senza neppure rendersene conto non appena aveva rivissuto quegli orribili ricordi –Mi ha stuprata per non so quanto tempo, ridendo di me…passarono giorni prima che potei tornare a chiudere le gambe, giorni interi…avevo solo sedici anni….era solo una ragazzina e lui….mi ha violentata-
Tirò su col naso asciugandosi gli occhi col dorso della mano, sollevò lo sguardo verso Ghostface, verso BB, verso April.
-Non so se rimasi gravida già allora, ma quando sconfissi la Morte fondendomi con la Vita, capii che era inevitabile che il seme avesse messo radici in me. E anche lui lo sapeva- disse indicando il vecchio –Non ho mai voluto abortire, non mi sembrava giusto che una vita innocente venisse stroncata prima ancora di nascere e poi…nessuno di voi può capire cosa significhi sentire la vita scalciare dentro di sé, che gioia e che paura ti faccia provare…tu non hai colpe April. Non ho mai detto a nessuno quello che mi aveva fatto…perché me ne vergognavo…-
Gli occhi d’ametista divennero iniettati di sangue, poi brillarono di un rosso cupo, maligno…demoniaco.
Lanciò uno sguardo mortifero che congelò il sangue nelle vene al vecchio, rimasto paralizzato da tale raccapricciante visione.
-Ma ora capisco che l’unico a doversene vergognare sei tu, Ghostface!!-
Il killer deglutì ma nonostante l’inquietudine mantenne il sangue freddo.
-Ok, siamo tutti molto dispiaciuti….ma tornando al presente- ruotò il capo dalla maga al mutaforma davanti a lui, pronto a premere il grilletto.
Solo che davanti a lui non c’era nessuno, né April, né BB.
-Ma che cazz…- non fece in tempo a finire la frase che il gorilla verde, reso invisibile finora dall’apprendista strega, lo scaraventò a una dozzina di metri di distanza con un sol pugno, disarmandolo.
-Questo è per quello che le hai fatto, mostro!- urlò BB tornato umano, riferendosi a Corvina, prima di mutarsi in triceratopo e caricarlo mentre ancora era a terra.
Come s’accorse del bestione preistorico che gli veniva addosso, Ghostface anzichè tentare di rialzarsi si appiattì più che potè al punto che BB gli passò sopra senza colpirlo, una volta sotto la pancia del dinosauro il vecchio rotolò di lato e sgusciò tra le zampe dell’animale senza venire calpestato, nonostante gli sforzi di quest’ultimo.
Si sollevò in piedi evitando di un soffio la codata del triceratopo che altrimenti gli avrebbe staccato la testa di netto e ci avrebbe fatto un fuoricampo.
La prima, e più saggia, cosa che gli venne in mente di fare fu di mettere il maggior numero di  metri possibili tra lui e quelle corna acuminate.
<Non sono attrezzato per abbattere un triceratopo!> pensò mentre si dirigeva a perdifiato verso il grattacielo E.X.P.O. 
<Dovrei farlo a pezzi un po’ per volta con l’adamantio e sarebbe davvero una tediosa perdita di tempo! Non mi resta che fargli cambiare animale!>
Dando prova di incredibili doti ginniche Ghostface si slanciò contro il grattacielo grigio e iniziò una rapida scalata del palazzo balzando da davanzale a davanzale, sfruttando ogni singolo appiglio a disposizione.
In poco tempo era già salito al terzo piano.
A BB bastò un’occhiata per realizzare che un triceratopo non sarebbe stato di nessun aiuto in quel frangente, allora il bestione perse le squame e mise le penne e una maestosa aquila reale dal lucente piumaggio smeraldino si avventò sulla schiena del vecchio.
Quello urlò di dolore e paura quando gli artigli dell’animale gli si chiusero sulla schiena.
-AA!! Un uccello!!- sfoderò istintivamente la pistola rimastagli dalla fondina, iniziando a sparare colpi alla cieca verso l’animale.
I primi proiettili andarono a vuoto perché non mirati, preso com’era dalla sua fobia, il vecchio aveva semplicemente premuto il grilletto a occhi chiusi ma il mutaforma sapeva che a quella distanza non sarebbe durato a lungo contro l’arma da fuoco.
Cambiò ancora sembianze.
Se le abilità ginniche del vecchio avevano lasciato colpitala maga, Corvina rimase ancor più stupita nel vedere l’agilità scimmiesca grazie a cui l’orango verde si destreggiava tra le finestre  senza sforzo, dimostrando che le creature di madre natura erano ancora una volta più abili nel fare ciò per cui erano state create di quanto potesse essere un uomo.
BB fu presto addosso al vecchio, affondando i lunghi canini nella sua spalla.
Ghostface perse la presa e evitò la caduta solo perché fece in tempo a serrare le dita attorno alla caviglia dell’orangotango ancora saldamente aggrappato a un davanzale.
Ma non poteva restare per molto lì appeso…anche perchè la maga stava muovendo due automobili avvolte nella magia nera verso di lui, una nella direzione opposta all’altra, pronte a ridurlo una sottiletta.
Ma Ghostface non si perse d’animo, sparò un colpo alla scimmia sopra di lui centrandola in una mano, BB sentì un dolore acuto al palmo poi di colpo si ritrovò a precipitare privo d’appiglio con Ghostface sotto di lui.
Quest’improvviso spostamento di corpi fece ribaltare la situazione, le macchine dovevano colpire il vecchio, solo che la posizione che dove si trovava prima era ora occupata da BB.
-BB!!- urlò Corvina.
Non fece in tempo a frenare le auto.
Le lamiere si accartocciarono a un soffio dallo scalpo del vecchio, imprigionando però il corpo massiccio del primate.
Sarebbe sopravvissuto senza dubbio ma un colpo del genere non era leggero nemmeno per una scimmia di quella stazza.
Ghostface atterrò a terra flettendo gambe e braccia e balzando in avanti per il lungo, scansandosi due secondi prima che le due auto accartocciate gli piombassero addosso.
A quel punto si trovò ai piedi di Corvina che levitava poco distante da terra.
Lei gli scaricò addosso una pioggia di sfere nere ma tutti i suoi colpi andarono a vuoto, Ghostface era troppo veloce, lo era sempre stato.
Si era avvicinato molto, troppo!
1,2,3,4…l’attaccò quattro volte e per quattro volte lei si difese e parò i suoi fendenti dati con arti letali quanto spade grazie alle sue barriere magiche.
Corvina gli assestò una ginocchiata nel ventre ma le addominali del vecchio incassarono bene il colpo.
-Non saresti mai dovuto tornare a Jump City!- urlò la maga tirandogli un cazzotto che gli voltò la faccia.
Ma Ghostface ruotò nuovamente la testa verso di lei, ringhiando soffusamente –E tu non avresti mai dovuto lasciarmi avvicinare tanto!-
Sfruttando la distanza nulla tra i loro corpi, Ghostface le afferrò la caviglia torcendola al punto da farla guaire di dolore, Corvina ruotò su se stessa di 360° gradi e venne sbattuta al suolo con inumana ferocia.
Fece per rialzarsi ma il vecchio calò un piede caricato con tutto il suo peso sullo sterno della maga.
Il respiro le morì in gola mentre un sordo rumore di ossa spezzate risuonava all’interno del suo organismo.
A stento riuscì ad ansimare con l’apparato respiratorio così schiacciato, la lingua le uscì dalla bocca assieme a fiotti di sangue e conati di vomito che le insozzarono il costume.
Con la lingua a penzoloni e le labbra tinte di rosso Corvina rimase supina a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua, tossiva frequentemente, una tosse roca e spezzata accompagnata da grumi di sangue che fuoriuscivano dalla sua cavità orale incapace di proferir un qualsiasi suono diverso da una sorda ansimazione.
Le braccia e le gambe allagate giacevano al suolo inerti, la strega era stata privata della forza da quel colpo terribile che le aveva sfondato la gabbia toracica, poteva dirsi fortunata che il cuore non fosse stato danneggiato nell’impatto.
Gli occhi sbarrati a fissare il vuoto.
A infrapporsi tra le sue ametiste, che ora vedevano tutto sfocato, e il cielo limpido sopra di lei comparve il sadico ghigno del vecchio.
Oh quanto si divertiva a fare il suo lavoro.
Restando in piedi, in tutta la sua spropositata altezza, tese il braccio verso il basso e puntò la pistola dritta alla fronte di Corvina.
-È finito il tempo delle mele, puttana-
Poi…di colpo tutto cambiò.
Il clima si era fatto improvvisamente più rigido, anzi batteva letteralmente i denti dal freddo…solo allora si accorse di essere a piedi nudi nella neve, e aveva le piante dei piedi coperte di geloni.
Non aveva più una pistola lucente tra le mani…ma un rozzo cucchiaio di legno.
Il suo viso era sempre il solito, pallido e scavato, ma anche il resto del suo corpo adesso era scheletrico, magro da far paura, non poteva pesare più di trenta chili.
Sembrava uno scheletro rivestito di pelle vuota.
Sentì la fame attanagliarlo come mai prima d’ora, come se fossero settimane che non mangiava e a giudicare dal suo stato poteva benissimo essere così.
I suoi vestiti…non erano i suoi! Erano tutti laceri, troppo grandi, lerci e puzzavano da far venire la nausea, erano divise da deportato!
Si guardò intorno rifiutandosi di credere ai suoi occhi…ma non erano solo gli occhi, tutti i suoi sensi gli stavano urlando la stessa cosa.
Vedeva le recinzioni di filo spinato, le squallide baracche, vedeva il pennacchio di fumo levarsi senza interruzione dai crematori, sentì il puzzo della carne umana bruciata invadergli le narici.
Per poco non vomitò.
Sentì ordini urlati in cagnesco e gemiti smorti di una folla di fantasmi un tempo uomini, che si aggirava nella neve come lui.
Migliaia di volti scarni come il suo lo circondavano in ogni dove, corpi scheletrici come il suo , con abiti come i suoi  e un numero marchiato sul braccio come lui.
Era come specchiarsi in ogni persona.
Si rifiutò di crederci, il cuore gli batteva a mille per quella raccapricciante visione, si guardò intorno angosciato vedendo solo i familiari orrori patiti in passato, scosse la testa, urlò, si stropicciò gli occhi ma il paesaggio non cambiava: era tornato ad Auschwitz !!
-NO! No no no no no!!- grido disperato, ruotando su se stesso finché non ebbe le vertigini.
Abbassò lo sguardo e si vide riflesso in una pozza d’acqua…era di nuovo giovane!
I capelli corti e neri, gli occhi erano…normali, spenti, cupi e incavati ma normali, i suoi vecchi occhi neri!
Alzò di nuovo il capo e si trovò da vanti un tedesco calzante una divisa militare della seconda guerra mondiale che gli puntava contro una baionetta.
-Schnell!!- urlò il soldato.
Ghostface rimase paralizzato nel vederlo.
- Schnell!- ripetè quello furibondo – Schnell! Schnell!-
Visto che non eseguiva il comando il tedesco lo colpì col calcio del fucile.
Cadde a terra e istintivamente protese le dita ossute verso il suolo, il freddo della neve lo fece rabbrividire.
Si guardò le mani disperato…e vide che nella sinistra, artigliata, gli mancavano due dita.
Allora capì tutto e si rialzò con un macabro sorriso.
Ignorò il tedesco che continuava ad urlargli quell’unica parola, la stessa identica parola che urlavano tutte le guardie, senza distinzione.
Sempre e solo quella.
Si guardò intorno finchè non vide tra la folla di derelitti un uomo vicino all’entrata di una baracca, ridotto anch’esso a un cadavere che cammina, trasportava una carriola piena di mattoni e lo osservava incessantemente da quando si era ritrovato lì.
Lo fissava con occhi profondi e neri.
Infischiandosene del dolore che gli provocava ogni passo, Jonathan s’affrettò a raggiungerlo a gradi falcati, l’ebreo restava immobile mentre lui si avvicinava.
Quando gli fu davanti lui era ancora lì che lo fissava spaurito.
Il ghigno sul viso di Ghostface divenne un’espressione feroce.
Con tutta la forza di cui il suo braccio rinsecchito era capace assestò un ceffone all’ebreo.
L’uomo cadde ma a finire a terra non fu lui, bensì la giovane April.
E non cadde sulla spessa coltre di neve che ricopriva il campo di sterminio ma sull’asfalto delle strade di Jump City.
-AH!- esclamò ma maghetta, la guancia le bruciava da impazzire.
Come la ragazzina ricevette lo schiaffo, perdendo così la concentrazione, tutta l’illusione che aveva creato attorno a Ghostface svanì.
Il lager immaginario si dissolse in un batter di ciglio e lui si ritrovò nuovamente  a Jump city, nuovamente armato, forte e vecchio.
-I tuoi giochetti non funzionano con me- ringhiò afferrandola per il bavero del costume  e sollevandola da terra –I tedeschi non dicevano solo “schnell” anche se probabilmente è l’unica parola che conosci, e soprattutto quando ero nei campi avevo ancora entrambe le mani normali!
Ma tu questo non potevi saperlo…così come non potevi ingannarmi con questo stupido trucchetto!
Solo chi è stato nei campi può sapere il vero orrore che nascondevano, la paura, la fame, il freddo, l’odore incessante di carne bruciata, gli spari, morti e moribondi ovunque…solo chi c‘è stato può capire cos’è l’inferno! non una stupida ragazzina che li ha solo visti nei documentari a scuola!-
Nonostante la ragazzina si scalciasse forsennatamente il vecchio le afferrò il gomito e facendo forza sul punto di pressione in breve le fece perdere i sensi., dopodiché la lasciò cadere a terra, l’avrebbe recuperata dopo essersi occupato dei Titans.
La scavalcò senza prestarle attenzione, Ghostface puntò l’arma su Corvina, ancora esanime, dalla quale si era allontanato di un paio di metri.
Ma prima che potesse premere il grilletto una scarica di starbolts lo travolse, disarmandolo e lanciandolo via da Corvina come una bambola di pezza.
Stella gli fu addosso con la furia di un ciclone tempestandolo con i suoi raggi ustori verdi.
Il vecchio accasciato al suolo fu costretto a farsi scudo con la sua stessa schiena da quella raffica incessante di dolorosissimi dardi.
Stella volteggiava su di lui come uno sparviere pronto a colpire tartassandolo senza tregua.
Ghostface sapeva che non avrebbe retto a lungo su simile attacco e che aveva a disposizione solo un colpo.
Puntò il bracciale ricaricato contro il cielo e sparò la sua folgore.
La tamaraniana fu prontissima nell’evitarlo.
-Mancata!- esclamò interrompendo per un momento la sua pioggia di starbolts –Sei invecchiato! Un tempo non avresti mai mancato il bersaglio!– lo canzonò con le braccia posate sui fianchi.
A fatica il vecchio si rimise in piedi tutto fumante, la sua resistenza era stata messa a dura prova dall’attacco della nipote e il suo fattore rigenerante lavorava già a mille per guarire ferite e ustioni.
-Io non manco mai il bersaglio!- replicò a gran voce il vecchio, con fiato corto.
Riprese il respiro e continuò –Semplicemente non stavo mirando a te, fiorellino-
Dietro di Stella un pesante palo della luce di acciaio si inclinò cigolando stridulmente, la saetta scagliata dal vecchio l’aveva colpito a metà della sua altezza e ora, dopo aver opposto una vana resistenza, la parte superiore cedeva.
L’aliena riuscì solo a sollevare gli occhi in tempo per vedere il massiccio corpo metallico arrivarle dritto in testa.
Palo e tamaraniana rovinarono assieme al suolo.
-Chi è invecchiato?- sorrise Ghostface scrocchiandosi le nocche, soddisfatto del suo operato.
Non c’era andato leggero con Stella stavolta, tuttavia non se ne preoccupò troppo: sapeva bene che la nipotina era molto più coriacea di quanto desse a vedere
Ghostface sfoderò la lunga spada riposta sulla schiena, ne osservò la lama lucente che rifletteva come uno specchio.
Strinse la presa attorno all’elsa e mulinò la spada ruotando di 180° gradi su se stesso.
Robin, sgusciato in silenzio fino alle sue spalle, si ritrovò di colpo con solo mezza asta in mano.
La katana avversaria l’aveva troncata di netto mentre la sollevava sul nemico.
-Sei silenzioso, Robin- disse il vecchio saggiando la mano destra sull’impugnatura –Ma non abbastanza!-
Lo incalzò una mezza dozzina di volte, Robin fece del suo meglio ma riuscì a evitare solo la metà dei colpi ricevuti.
Alla fine di quella serie di stoccate il bicipite sinistro gli sanguinava superficialmente, uno squarcio sottile ma doloroso lo attraversava dalla spalla alle addominali, e l’ultimo colpo gli attraversò la guancia di pochi centimetri, fortunatamente aveva la bocca aperta così la lama non gli spezzò alcun dente, né gli mozzò la lingua…ma avrebbe comunque lasciato il segno.
La bocca gli si riempì di sangue e il cuore di rabbia.
A nulla servirono i suoi dischetti esplosivi e i birdarang, i primi furono schivati e i secondi affettati con facilità dal quella lama che sembrava danzare nell’aria, così sottile e lunga eppure così manovrabile.
Mettendo mano alla cintura sfoderò un’oggetto che da molto tempo non usava: la sua spada*.
Ghostface ne sembrò compiaciuto –Avanti vediamo che sai fare!-
Robin strinse entrambe le mani intorno all’elsa e si avventò su di lui con un grido selvaggio.
Ma ogni suo fendente finì  a vuoto, non riuscì a colpire nemmeno l’ombra del vecchio.
-No, no, no. Così non ci siamo. Combatti come un barbaro! Ci vuole tecnica- replicò quello beffardo, destreggiandosi tra i colpi della lama rossa a doppio taglio.
-Guarda  e impara-
Ghostface si mise in posizione –Ruota il corpo di tre quarti così da esporre la minor parte del corpo possibile all’avversario, braccio destro teso in avanti e mano salda sull’elsa.
La mano sinistra appoggiata sul fianco, bilancia il peso della lama e dà stabilità.
Per avere una solida base d’appoggio tieni i piedi a  “triangolo” il piede destro in avanti, parallelo al braccio, e il sinistro orientato in modo da essere perpendicolare al destro.
Capito?-
Senza aspettare una risposta iniziò a tirar stoccate con la sua lama, avanzando rapidamente e mantenendo la sua posa d’attacco, combatteva come il più abile degli spadaccini, muovendo solo il braccio destro sia per attaccare sia per difendersi dai fendenti di Robin.
Il ragazzo riusciva a stento a difendersi, per l’altro invece sembrava quasi un gioco, il leader dei Titans non era riuscito a ferirlo neppure una volta, e nulla riusciva a cancellargli quel sadico ghigno dalla faccia.
Gli tirò un calcio agli stichi e Robin cadde a terra stringendo i denti.
Gli puntò la lama alla gola, da dietro le lenti i suoi occhi brillavano ci crudele follia, poi…scoppiò a ridere.
Non una risata sconnessa o isterica da pazzo, la risata di chi capisce di aver sbagliato tutto.
-Oh cielo…- sghignazzò prendendosi la fronte tra le mani –Ma che sto facendo?-  rinfoderò l’arma e tornò a ridere di se stesso.
Robin lo osservava a terra senza capire, ma approfittando di quel momento per allontanarsi da lui.
-Sai…- fece il vecchio dopo aver placato la ridarola, posando il suo sguardo nascosto su di lui – Non capisco perché mi impegno tanto: tu non puoi uccidermi! Il tuo stuzzicadenti non può farmi niente-
-Davvero?!- Robin scatto in avanti da con la lama protesa in avanti ed entrambe le mani strette sull’impugnatura.
Il metallo ghermì le carni del vecchio, passandolo da parte a parte nel bassoventre, affondando fino all’elsa.
Ghostface sollevò il capo verso di lui, il volto contratto in una smorfia di dolore, rivoli di sangue gli coloravano la barba bianca.
-Davvero…- rispose a denti stretti con voce greve per le fitte all’addome.
Il suo braccio scattò in avanti a una velocità tale che Robin nemmeno lo vide, le dita serrarono la gola di Robin un una morsa ferrea, il ragazzo potè sentire gli artigli chiudersi sulla trachea.
Prima che potesse escogitare un qualsiasi espediente per cavarsi d’impiccio le nocche della mano destra si abbatterono sul suo viso.
-Tu non puoi uccidermi!- un secondo colpo seguì il primo e un terzo, un quarto e così via, una mano gli impediva di scappare, soffocandolo, e un’altra lo tempestava senza tregue di pugni, una scarica così violenta e rapida che il ragazzo non potè in alcun modo reagire.
Quando infine lasciò la presa attorno alla trachea del ragazzo, troppo provato delle fitte provocategli dalla spada ancora nel suo ventre, quello si accasciò a terra senza emettere un suono.
Il viso era solo una maschera sformata, tumefatta e sanguinante.
Il vecchio invece posò la mano sull’impugnatura della spada che lo trapassava barcollando un po’ all’indietro, le nocche erano spellate fino all’osso e sanguinanti.
Estrasse l’arma da sé con un sol gesto  e con entrambe le mani la sollevò sul corpo del ragazzo, steso a terra con la schiena all’aria.
-Tu non puoi uccidermi, ma io sì!-
La lama calò mozzandogli il padiglione auricolare e restando conficcata nel terreno pochi millimetri a lato della sua testa.
-Per ogni occhio, un occhio. Per ogni dente, un dente- disse il vecchio rivolto all’eroe ormai privo di sensi –Tu mi hai salvato una volta…considera il mio debito pagato- dopodiché gli diede le spalle e si diresse nel luogo dove April giaceva svenuta.
Era tempo di  ultimare la sua missione.
Si chinò su di lei, delicatamente la sollevò tenendola tra le braccia e fece per andarsene…ma a quanto pare le seccature non erano ancora finite per lui.
-Fermati…- la voce strozzata di Corvina si fece udire –Lasciala…agh.. stare!-
Ghostface si voltò  e rimase lievemente sorpreso di vederla di nuovo in piedi, le gambe le tremavano come foglie al vento, con un braccio si appoggiava alla parete esterna di un edificio e teneva l’altro premuto sul torace.
La mano sul torace brillava di una tenue luce bianca, stava usando i suoi poteri per guarirsi.
Il vecchio sorrise malevolo <Di cos’è capace l’amore di una madre…>
-Non hai ancora avuto abbastanza, Corvina?- rispose quello spavaldo, aveva in poco tempo messo fuori gioco tutti i Titans, quanto poteva essere impegnativa lei da sola se a stento si reggeva in piedi.
Corvina tossì con voce rauca, vomitò, ma ignorando gli stimoli avversi del suo corpo trovò la forza di raddrizzarsi.
-È mia figlia!-
-È anche mia- replicò il vecchio acido, reggendo il corpicino incosciente sugli avambracci –E tu me l’hai sottratta per troppo tempo. Vattene Corvina, non costringermi a farti di nuovo del male-
La mezzo-demone sentì la rabbia avvamparle dentro mentre a poco a poco ma inesorabilmente  il suo mantra le rimetteva in sesto la cassa toracica sfondata –Non ti permetterò di portarla via da me!- urlò -È con me che vuole stare! Lei ti odia!-
-Molti mi odiano- fece lui senza scomporsi –Ma lei non mi odiava, anzi. Sei tu, Corvina, che mi hai fatto odiare da lei. Credevi davvero che non l’avrei presa sul personale?
A proposito, stavo pensando una cosa prima, riguardo alla nostra piccola April: se mia figlia esce col mio pronipote conta come incesto? Tu che dici?-
-Dico che devi lasciarla in pace! Lei e tutti noi! Sparisci!!-
Ghostface sbuffò caricandosi April di traverso su una spalla -Senti, farò una cosa veloce ok?- gli puntò contro il bracciale del braccio libero, la gemma incastonata al centro sfrigolava d’energia.
Ma prima anche potesse anche solo mettere in fila un pensiero, un rampicante nero sorge da terra, proprio tra i suoi piedi.
Con una rapidità impressionante si diramò in altre quattro braccia filiformi terminanti in tre acuminati artigli prensili.
Due di essi si attorcigliarono attorno ai polsi del vecchio, stritolandoglieli, i bracciali caddero a terra ridotti in frantumi.
Mentre i primi due rampicanti gli bloccavano le mani, il terzo afferrò April e la sollevò dalla spalla allungandosi oltre misura fino a riporla in cima al grattacielo E.X.P.O., al sicuro.
-Beh…questo non me lo aspettavo- commentò.
Il quarto braccio invece riversò la sua potenza sul killer immobilizzato, spedendolo dall’altro capo della via maestra, lungo disteso.
Sanguinante in più punti, con una lente rotta, Ghostface si sollevò a fatica latrando come un cane rabbioso.
-Allora vuoi proprio farmi incazzare!!- sbraitò cercano di rimettersi in piedi.
-Bene!- la lama d’adamantio comparve tra le sue mani, abbagliante nel sole mattiniero, ma prima che potesse usarla in qualsiasi modo altri tentacoli di tenebra al servizio della strega lo circondarono.
Si avvolsero alle sue gambe, gli si avvilupparono ai polsi, gli stritolarono le braccia, si annodarono al suo torace finché di lui non rimase libera che la testa, il resto del corpo era completamente sepolto da quelle spire d’oscurità dotate di una forza impareggiabile, era completamente immobilizzato, bastava che Corvina aumentasse di un briciolo la pressione dei rampicanti per spezzare ogni osso del vecchio.
Corvina si alzò in volo, furente più che mai.
Non era più lei.
Alta, più alta di qualsiasi essere umano, almeno quattro metri, la bocca era slargata, raggiungeva le dimensioni di quella di uno squalo ma munita di molti più denti, denti dalle forme minacciose, vere e proprie zanne acuminate che s’incastravano tra loro alla perfezione, senza lasciare neppure lo spazio per l’aria una volta serrate.
La sua pelle era diventata completamente nera, buia come l’abisso, il nero più intenso che Ghostface avesse mai visto.
Il corpo era esile, completamente avvolto dal mantello blu, anch’esso cresciuto a dismisura e frastagliato in più punti.
Bizzarre e spaventose sporgenze s’intravvedevano da sotto la stoffa.
In più punti spuntavano oscuri e contorti rampicanti irregolari, neri come la morte, che guizzavano fuori dal mantello senza interruzione come dozzine  di code di lucertola che si dibattevano senza tregua sgretolando qualsiasi cosa capitasse loro a tiro.
Immense ali nere sorsero dalla schiena deforme della mezzo-demone ali talmente grandi e nere da fermare la luce solare mentre nubi rosse e grigie oscuravano il cielo sprigionando terribili folgori nere, contorte e ramificate che squarciavo l’aria con un fragore assordante.
Il cappuccio era calato sul viso mostruoso ma due paia di occhi brillavano da lì sotto, completamente rossi, senza pupille o iridi, ridotti a cupe fessure pulsanti, più rosse del sangue, ardenti di fiamma viva, lo stesso fuoco infernale si proiettava sulla Terra utilizzando gli occhi della strega come portale, occhi che riflettevano tutti gli orrori dei Sette Inferi, raccapriccianti visioni si manifestavano da essi, atrocità senza tempo e senza nome, supplizi tali che nemmeno la più malata, sadica e distorta mente umana sarebbe mai riuscita neppure a partorire nei suoi incubi più oscuri.
Per la prima volta nella sua vita, fu Ghostface a dover distogliere lo sguardo per primo, sentiva i suoi occhi di ghiaccio sciogliersi al confronto dei quattro bulbi infernali della mezzo-demone.
Non c’era più nulla di umano in quella voce, se Slade fosse stato lì avrebbe sicuramente riconosciuto l’atterrente ringhio di Trigon risuonare tale quale nella bocca della figlia.
Un suono che una volta ascoltato non poteva mai più venire scordato tal era il terrore che ti instaurava nel midollo.
-Hai commesso atti orribili!!!- ringhiò la creatura, al suo comando i rampicati che avviluppavano il vecchio si sollevarono e lo sbatterono ripetutamente al suolo, senza però mai lasciarlo andare.
 Lo sballottò ancora contro qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, senza mai mollare la presa sul corpo.
-Tu sei un abominio!! Sei un mostro!!- si sollevò a centinaia di metri dal terreno con un solo battito delle smisurate ali da corvo, portando il vecchio con sé, stritolandolo nella presa indistricabile dei suoi artigli, avvolti intorno al suo corpo come migliaia di serpenti.
Si trovarono faccia a faccia a quell’altezza spropositata, da lì Jump City era poco più grande di un fazzoletto.
Sferzato dall’aria, oppresso dalla tenebra, Ghostface trovò chissà dove la forza di risollevare la testa e rispondere.
-Non sono io il mostro, Corvina, lo sai benissimo!-
-Centinaia di innocenti hanno perso la vita a causa tua!! Tu non meriti di esistere oltre!!- replicò lei aumentando la stretta.
Ghostface gemette di dolore ma non smise di parlare
-Ogni guerra ha le sue vittime. Avrò anche ucciso degli innocenti ma l’ho fatto per salvare l’intera esistenza!!-
Riprese fiato, aveva il respiro affannato per la lotta e i polmoni, schiacciati da quella forza disumana, non riuscivano a svolgere correttamente il loro compito.
-Tu puoi giocare a fare l’eroina quanto vuoi ma sai benissimo la verità, puoi continuare a illuderti che non sia così ma questo non cambierà nulla, lo sai benissimo, lo sappiamo entrambi: non sono io il cattivo qui!-
-Non ti permetterò di farle del male!!!-
-E allora moriremo tutti!- urlò quello con quanto fiato aveva in gola, finché non gli bruciarono le corde vocali.
Era di nuovo a corto d’ossigeno, fece una serie di lenti e posati sospiri e riprese con voce più clama, ma decisa per farsi udire con chiarezza.
Evidentemente la maga aveva bisogno di sentirsi ripetere ciò che già sapeva.
-Aww…abbiamo fatto un grosso errore, Corvina, io l’ho fatto, ho fatto la più grande cazzata della mia vita! Quando abusai di te…vedevo rosso, non ero in me altrimenti non avrei mai commesso un gesto talmente sconsiderato!
Credimi, se solo potessi tornare indietro cambierei le cose ma non è possibile mutare il passato!
E il mio pentimento non cambia la realtà.
Ho combinato il potere di Azar e di Trigon, poteri immani e opposti che non dovrebbero mai, mai, mai e poi MAI entrare in contatto l’uno con l’altro-
-Tu mi hai stuprata!- lo accusò la strega inferocita, il ricordo rievocato non faceva altro che farla imbestialire ulteriormente, strinse i tentacoli spezzandogli braccia e gambe.
-AAAGGH!!- ma il dolore non smorzò la voce al vecchio, anzi parlò ancora più forte.
-Non è questo che conta ora!
Tu sei un demone Corvina, io un angelo caduto o qualcosa del genere, non avremmo mai dovuto unirci ma l’abbiamo fatto!
I due poteri si sono combinati, si sono fusi diventando una cosa sola dotata di un potere incontrollabile, ed essi hanno preso corpo in April! Lei è l’incarnazione dell’apocalisse!!
I suoi poteri sono sconfinati ma instabili, non possono coesistere a lungo, potrebbe scatenare la fine del mondo in qualsiasi momento!!- quelle parole lasciavano poche opzioni sul da farsi, ma Corvina non volle arrendersi.
-Non ti permetterò di farle del male! -
-Il tuo amore di madre ti ha accecata! Sapevi a cosa andavi incontro, avresti dovuto abortire finché eri in tempo, ora è troppo tardi!!- ribattè quello mentre la presa attorno al suo corpo diventava sempre più stretta.
-Tu non la ucciderai!-
-Non c’è altro modo per fermarla- parlava a denti stretti per meglio sopportare il supplizio degli organi che si comprimevano e delle ossa che si incrinavano per la pressione.
-Allora trovalo! È anche tua figlia! Io ho sconfitto Trigon, il fato si può cambiare!! Ci deve essere un altro modo!!- la voce era terrificante, cavernosa, minacciosa…ma anche spaventata.
Quel mostro infernale era in ansia per la sua creatura, disperata al pensiero del destino di April così come aveva vissuto nell’angoscia della propria sorte.
-No! lo sai bene quanto me che ogni tentativo sarebbe vano, nessuno dispone di un potere pari al suo tra i mortali, l’unica cosa che possiamo fare è rimandare …-
Corvina smise di stringere la presa attorno a Ghostface, confusa ma incuriosita lo avvicinò ulteriormente al proprio viso, distavano l’uno dall’altra solo una trentina di centimetri.
Lo fissò dritto negli occhi, cercando di leggergli dentro…forse in fin dei conti Ghostface aveva una soluzione.
-Che cosa vuoi dire?-
Col cuore che faticava a battere il minuto il vecchio riprese fiato, boccheggiando.
-Io…coff…  ti offro una scappatoia.
 La mia aura…argh!... irradia potere benefico, sarà sufficiente a contenerla per un’altra ventina d’anni, per darle …awww…il tempo di vivere almeno in parte la sua vita, e poi…coff-coff…sarà una cosa veloce: non se ne accorgerà nemmeno-
-NO! Tu non la ucciderai!- tuonò la mezzo demone assumendo un’aria ancora più raccapricciante.
-Credi che io voglia farlo?! – urlò Ghostface costringendosi a ignorare quella terrificante visione demoniaca davanti a sé.
Ansimava per la fatica, per la paura ma mantenne i nervi saldi e a testa alta le rispose con quanto fiato aveva in corpo -È mia figlia, cazzo! Credi che non tenga a lei? Che non la ami? La mia ultima figlia rimasta in vita…ho imparato a conoscerla, a volerle bene, a proteggerla, ad amarla!
Come credi che debba sentirmi  sapendo che dovrò ucciderla dopo aver passato venti anni con lei?! Quando ogni giorno nel Tartaro sognavo la sua faccia e immaginavo come doveva essere la sua voce… per anni ho desiderato vederla!
E tu…tu credi che io mi diverta??! Che lo faccia di mia spontanea volontà?!-
Strinse i denti e reclinò il capo, il tono di voce prima furente si fece sempre più tenue e amareggiato, sembrava quasi che parlasse con se stesso.
-Sento che impazzirò completamente una volta che l’avrò fatto, non credo di poter sopportare anche questo ma lo farò!- risollevò il capo fissando con orgoglio quei pozzi d’orrore che Corvina aveva per occhi, senza vacillare.
-Lo farò perché è la cosa giusta da fare!- urlò -Perché ucciderla è l’unico modo di salvare il creato!
-Tu non le fari del male!- il ringhio divenne sempre più acuto, isterico, al punto che le orecchie del vecchio iniziarono a sanguinare quando sentirono quel suono straziante e irriproducibile.
-E allora morirai! E con te tutti i tuoi amici, tutte le altre persone, tutto l’universo!!- gridava più forte che poteva fino a sgolarsi per soverchiare, senza successo, quel suono stridulo e possente che gli stava riducendo il cervello in poltiglia.
Anche l’altra lente si frantumò davanti ai sui occhi.
-IO la salverò! Salverò tutto il mondo, troverò un altro modo!-
Era la disperazione a farla parlare così e, per quanto dolore gli avrebbe provocato, Ghostface sapeva di dover spezzare ogni speranza della madre.
-Non esiste un altro modo! Più tempo passa con te più la tua aura demoniaca rischia di liberare la parte caotica di April e scatenare cosi alla fine dell’esistenza da un momento all’altro!
Più tempo passa con te più il suo tempo si accorcia!-
-Sta zitto! Taci! Non voglio ascoltarti!- aumentò la presa attorno a Ghostface per renderlo in una millesima dose partecipe del suo dolore, strinse i denti e chiuse gli occhi scuotendo la testa freneticamente rifiutandosi di dar retta a già che da anni sapeva essere ineluttabile.
Ma non poteva crederci, non poteva separarsi da April, non poteva condannarla a morire a soli 33 anni!!
Che colpa ne aveva lei se il suo corpo, la sua vita racchiudeva un simile pericolo?!
Era solo una bambina innocente, non era giusto che soffrisse tanto! Non era giusto!!
Così come non era giusto che lei fosse condannata a servire suo padre Trigon…
Ma la vita era ingiusta e crudele, lo era sempre stata.
-Tu sai la verità, Corvina!!- biasciò Ghostface tra i gemiti di dolore - L’hai sempre saputa! Avresti dovuto impedire che ciò avvenisse a suo tempo, ma hai lasciato che lei nascesse! Ora nulla potrà sottrarci dal nostro destino!! Devi scegliere, Corvina: o lei o l’intero universo-
-TACI!!!-
Come quando si era trovata le tenaglie di Chompy a un soffio da naso**, qualcosa scattò in lei, una scarica di energia generata forse dall’odio forse dall’angoscia, un’energia che le pervase tutto il corpo facendola fremere da capo a piedi, una potente energia che prese forma e fuoriuscì da lei automaticamente, senza che la mezzo demone l’avesse anche solo pensato.
Una saetta nera si sprigionò dalla gemma di Trigon che portava incastonata in fronte, il fulmine contorto d’oscurità s’abbatté su Ghostface, il colpo fu violento e rapidissimo, non fece neppure in tempo a chiudere gli occhi o a gridare che la folgore demoniaca gli spiccò la testa dal busto.
Il capo mozzato precipitò nel vuoto e Corvina si ritrovò con in mano solo un’inutile corpo morto.
Come vide il sangue scuro zampillare senza tregua dal netto taglio del collo la sua furia iniziò  a diradarsi poco a poco.
Respirava affannosamente mentre riassumeva le sue spoglie mortali dopo quella trasfigurazione demoniaca, il torace le si alzava e abbassava come se avesse appena corso i mille metri in dieci secondi, il cuore le martellava in petto fino  a farle male.
Il mantello tornò a coprire del tutto le sue forme sinuose e femminili, perfettamente risanate.
Sollevò lo sguardo verso il corpo decapitato che ancora manteneva sospeso in aria davanti a sé avvolto da una sorta di stregonesco fluido di tenebra pura.
Fece alcuni lenti respiri per calmarsi poi, l’aura nera che avvolgeva il cadavere si dissolse e il corpo cadde giù, sempre più in basso verso il suolo.
Corvina lo guardò precipitare in modo scomposto finchè non divenne un minuscolo puntino indistinguibile.
 
Poco dopo un portale si spalancò ai piedi del grattacielo E.X.P.O., ne uscì Corvina, il suo volto era impassibile come una statua di granito, la pelle più pallida del solito e attorno a lei tutto pareva più cupo.
Stretta al petto teneva April, ancora priva di sensi ma presto sarebbe tornata in sé.
Intorno a lei si radunarono i Titans, pesti e malconci ma ancora tutti in piedi
Stella e Bruce si sorreggevano a vicenda, BB zoppicava dal piede destro, era pieno di ematomi su tutto il corpo e il palmo della mano destra era zuppo di sangue incrostato laddove il proiettile l’aveva trapassata, non sarebbe stato facile guarirlo ma la maga ce l’avrebbe fatta, lui la stava guardando e sorrideva
Robin pesto e sanguinante la osservava a sua volta con la mano premuta sull’orecchio mancante.
La guardavano allibiti, non avevano assistito al confronto col vecchio ma il cielo tinto di rosso era impossibile da non notare, l’avevano già visto una volta e loro sapevano bene chi doveva esserne la responsabile.
Adesso il cielo si era rischiarato e brillava d’azzurro, dopo la paura gli uccellini cantavano al sole splendente e gli cittadini terrorizzati di Jump City uscivano tremanti a piangere i loro morti.
Corvina si guardò intorno, i suoi amici la osservavano in silenzio, aspettandosi che dicesse chissà cosa.
Aveva sconfitto Ghostface da sola eppure non si era mai sentita più avvilita, strinse più forte il corpicino della figlia al suo.
-Torniamocene a casa- disse avviandosi verso la Torre con la figlia in braccio.
-E Ghostface?- domandò Robin.
Corvina continuò a camminare senza guardarlo –Non penso che tornerà a darci fastidio…-
 
 
-Uhm…sei conciato piuttosto male…- borbottò Fratello Blood mentre i robot suoi attendenti gli portavano uno a uno i brandelli recuperati dal corpo spappolato del vecchio.
-Ah, questo va qui!- sorrise quando posizionò il cranio mezzo fracassato sopra quel che restava delle spalle maciullate.
Stava ricomponendo il corpo del vecchio sul tavolo operatorio nel suo covo.
Nonostante tutto il cuore aveva già ripreso a battere.
-Strabiliante!- commentò vedendo come i legamenti stavano già iniziando a riallacciarsi gli uni gli altri per riformare un corpo unito.
-Un fattore di guarigione assolutamente unico! Mi chiedo come abbia fatto ad ottenerlo-
Iniziò a sistemare con cura chirurgica gli altri pezzi organici intatti nel corpo per agevolare il lavoro delle cellule rigenerative.
Dopo aver visto ciò di cui Corvina era capace aveva ritenuto più opportuno che fosse il vecchio a occuparsi di lei anziché eliminarlo subito.
-Sì, sei ridotto proprio male amico mio, a ti riprenderai, sei sopravvisto a cadute peggiori di questa***, non sarà una cosa rapida ma ce la farai, ho ancora bisogno di te-
 
 
 
*Vedi episodio 6 terza stagione, “Spellbound” (Magia Nera)
**Vedi capitolo 18 di Alive
***Vedi capitolo 2 di Alive
 
 
Ecco svelato il mistero di April!!
Esatto cari lettori e lettrici, quel bastardo dell’autore vi ha cambiato in un solo capitolo tutta la chiave di lettura della storia!
Vi lascio con questo quesito: chi è il vero eroe?
Lo spietato servo del dovere disposto a tutto per compiere la sua missione e salvare l’universo…o la protettiva madre pronta a difendere la figlia ad ogni costo, anche se per il suo amore ed egoismo non riesce ad anteporre il bene comune al proprio e non esita a mettere a repentaglio l’intero creato.
Chi è il vero eroe?
 
Vorrei scusarmi se sono stato un po’ eccessivo durante il flash-back ma volevo rendere bene la violenza, la mostruosità, la carnalità  e la brutalità del momento, e spero di esserci riuscito.
 
Ah, già …inizia il contaggio alla rovescia per la conclusione di Alive: -3!
 
Ghostface
 
 
P.s. Non avrete veramente pensato che tutto si concludesse con lo scontro finale Titans vs Ghostface vero? L’ho già fatto in “Ghostface” e poi quella è una mucca già munta e rimunta…no, stavolta ho in serbo qualcosa di più… “originale”.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** 26 ***


CAPITOLO 26
 
Il sole stava tramontando all’orizzonte, dal tetto della T-Tower sembrava che affogasse nel mare per non sorgere mai più.
I Titans avevano trascorso il resto del giorno a leccarsi le ferite e l’ora del tramonto sembrava non dover arrivare mai…ma alla fine era giunta come ogni giorno.
Era di un rosso intenso, ipnotico e colorava l’acqua rendendola simile a una sconfinata distesa di oro fuso.
Una dolce brezza accarezzò i capelli sciolti di April, la ragazzina era seduta sul tetto con le gambe a ciondoli e gli occhi rivolti all’immenso oceano, guardava malinconica il cielo spegnersi col cuore pesante. 
-Awww…- sospirò persa nei suoi mille pensieri.
-E così sei la figlia di Ghostface...- Bruce gli si era avvicinato senza che lei se ne accorgesse, si sedette accanto a lei e scrutarono insieme il sole che salutava l’Occidente.
-A quanto pare…- rispose lei, non aveva voglia di parlarne ma ne aveva bisogno.
Il suo tono era un misto tra tristezza, delusione e stanchezza: era stanca di non sapere chi era, stanca che tutti le mentissero, stanca di essere così…diversa.
-Un’incidente…- si mise a elencare sulle dita –Figlia imprevista, nata da stupro, partorita prematuramente, bastarda e figlia illegittima oltre che indesiderata… sono proprio un bel lavoro, io- sbuffò con gli occhi solcati dalla rassegnazione.
-Non dev’essere facile essere te- commentò Bruce, aveva un braccio fasciato e appeso al collo ma in realtà si trattava si una semplice slogatura, Corvina era riuscita a guarire la frattura del braccio e la lussazione ad entrambe le spalle, per qualche settimana non avrebbe potuto muoverlo.
-No, per niente- concordò lei.
Lui si fece più vicino.
Entrambi ruotarono i loro visi e si guardarono negli occhi.
-April, so che ti senti sconvolta…ma sei ti serve aiuto io ti sono sempre vicino, sappilo-
Ripensando a tutto quello che le era accaduto in così poco tempo April sentì gli occhi inondarsi di lacrime, si gettò tra le sue braccia circondandolo con un abbraccio soffocante, nascondendo il viso tra le spalle del mezzo-tamaraniano.
-Grazie…- singhiozzò.
Lui ricambiò il gesto e restarono abbracciati in silenzio per molto tempo, finchè la giovane maga non si calmò.
A quel punto Bruce le sollevò il visetto perlaceo dalle guance ancora umide con una carezza e socchiuse le labbra avvicinandole alle sue.
-No- lo respinse lei allontanandolo con entrambe le mani.
Il ragazzo rimase confuso da tale gesto, il suo sguardo interrogativo sembrava chiedere “perché”.
Ed April interpretò la domanda.
-È sbagliato- disse sconsolata tirando su col naso –Noi…siamo parenti, non possiamo. Sarebbe incesto-
Al mezzosangue venne un tuffo al cuore –M-ma allora…quello che c’è tra noi…- balbettò smarrito, forse non voleva credere a ciò che sapeva essere vero: tra loro non poteva esserci niente.
Forse aveva solo bisogno di una conferma che gli dicesse chiaramente che la loro storia era finita prima ancora di cominciare.
O forse alimentava ancora una tenue fiammella di speranza nell’amore.
April lo guardò a sua volta in quei bellissimi occhi verdi, sospirò ancora una volta, sempre più mesta e si alzò i piedi, volse lo sguardo contro il vento, verso Jump City, dandogli le spalle mentre il suo mantello bianco garriva nel vento fattosi più forte.
-Allora non lo so- rispose allontanandosi verso l’entrata nella Torre, lasciandolo solo sul tetto con il suo dolore, le sue incertezze, le sue speranze mentre l’ultimo spicchio del sole veniva inghiottito dai flutti e la notte avvolgeva la città col suo ampio mantello stellato.
Mentre scendeva le scale April non potè fare a meno di pensare a quanto gli era appena accaduto, per questa volta  era andata ma sapeva di non poter scappare in eterno.
Prima o poi avrebbe dovuto dirgli chiaramente la sua decisione.
 
Corvina trovò BB al buio nella sua vecchia stanza, era rimasta tale quale allora, solo più spoglia, senza tutti quegli oggetti e quel ciarpame che il verde si era portato dietro una volta trasferitosi e che ora erano saltati in aria assieme a tutto il resto della casa.
Il combattimento con Ghostface, lo stress emotivo e la giornata passata a curare i suoi amici l’avevano completamente spossata.
Ma aveva ancora una cosa da fare.
La più difficile: dire a BB tutta la verità.
Il mutaforma era già abbastanza sconvolto dalla verità appresa su April, quello che stava per dirgli avrebbe solo gettato benzina sul fuoco, non poteva scegliere un momento peggiore.
Ma avrebbe potuto non esserci un’altra occasione per farlo.
-Possiamo parlare?- disse entrando nell’appartamento senza accendere le luci.
BB era seduto sul suo vecchio letto a castello, in silenzio una volta tanto.
Sospirò amareggiato –Se sei venuta a scusarti per non avermi mai detto di April…ti perdono-  la guardò con la coda dell’occhio e le orecchie basse –Non dev’essere facile ammettere di essere stata violentata, specie da un verme schifoso come Ghostface-
Per quanto si dimostrasse comprensivo era evidente che la cosa l’aveva colpito molto più  a fondo di quanto non esse a vedere.
Corvina volò al suo fianco e si sedette a sua volta sul materasso più alto.
-Non è di questo che vogli parlare…- disse col cuore pesante come un macigno, era un peso che si portava dietro da troppo tempo: era giunto il momento di scaricarlo.
Prese la mano nelle sue, lei stessa gli aveva guarito la ferita infertagli dal vecchio.
Lui si voltò verso di lei, preoccupato.
-BB…- cominciò con lo sguardo basso, uno sguardo pentito, umiliato…dispiaciuto –C’è una cosa che avrei dovuto dirti molto tempo fa-
Prese un gran respiro e gli disse tutta la verità.
-Quando arrestammo Ghostface…- iniziò malinconica -…dopo che lo spedimmo nel Tartaro, ti rivelai d’essere incinta.
Avrei dovuto dirti che non eri il padre ma non ce la feci, ero spaventata.
Pensavo che tu avresti potuto tirarti indietro, ripudiarmi, che gli altri Titans mi avrebbero costretta a dar via il bambino o peggio ad abortire…cose terribili da pensare, lo so, cose che voi non fareste mai, ma come ho già detto ero spaventata e la mia mente assillata dalle paranoie.
Non potevo correre rischi, così mentii a te e a tutti gli altri affinché tu mi sposassi, sentendoti responsabile dell’accaduto- s’interruppe mentre il cuore rallentava il battito nel suo petto.
BB allungò la mano verso di lei, aprì la bocca per dire qualcosa ma la maga lo fermò –Lasciami finire, ora arriva la parte brutta-
Deglutì e  riprese a parlare.
-La cosa peggiore è che…ti ho sposato solo perché ero preoccupata per il bambino.
April occupava ogni pensiero nella mia mente e l’idea di doverla allevarla da sola mi terrorizzava, sapevo di non esserne capace.
Ero troppo giovane per farcela, troppo antipatica, saccente, tediosa...non sapevo badare nemmeno a me stessa come potevo essere una ragazza madre? Non avrei retto.
Quando tu mi chiedesti di sposarti io dissi di sì…ma solo perché April avesse una padre una volta nata.
Altrimenti non lo avrei mai fatto.
Quando mi facesti la proposta io…io avevo già smesso di amarti-
Il mutaforma la fissò incredulo con occhi vacui e sbarrati –No…non puoi sire sul serio- la parola uscì come un soffio di vento dalle sue labbra, come la tenue nota di uno zufolo.
-È la verità – ammise Corvina abbracciandosi i gomiti con gli occhi mesti, le sue iridi d’ametista non erano mai state così cupe, la voce si fece spezzata, tremante –M-mi ero resa conto di non provare più quel sentimento nei tuoi confronti già da settimane, volevo dirtelo ma poi tu mi hai fatto la proposta…e io avevo April in grembo a cui pensare…
Ero già al quarto mese di gravidanza, non avrei potuto fare altro.
Mi dispiace averti mentito…ero traumatizzata e tu eri il mio migliore amico, lo sei ancora, pensai che se non potevo avere l’amore mi sarei accontenta.
Sapevo che tu mi amavi, che avresti protetto me e il bambino ad ogni costo, che ci avresti sempre sostenuti e benché la mia passione si fosse spenta nei tuoi confronti ti volevo ancora bene, Garfield, molto bene.
Avevamo passato insieme momenti indimenticabili, ritenni che sposarti fosse la scelta migliore per me e per April, così lei avrebbe avuto un padre e se anche non ti amavo saresti stato un buon marito: gentile, delicato, attento, divertente…
Venire a letto con te anche se non ti amavo non mi creò troppi problemi, lo avevo fatto prima e non vidi perché non potevo farlo di nuovo, dovevo solo fingere che ci fosse qualcosa in più.
La parte difficile fu convincerti che ti ricambiavo, baciarti mentre ti guardavo negli occhi e dirti quelle parole, e continuare a farlo negli anni a seguire.
Tu non sei stupido, sei una persona fantastica, mi hai dato due splendidi figli di cui non potrei mai fare a meno…- iniziò a singhiozzare –E non meriti di essere preso in giro ulteriormente.
Io non ti amo BB-  tutto il suo corpo era scosso dai singulti -È da quando avevamo sedici anni che non ti amo più…quando ero prigioniera di Ghostface vivevo ogni giorno nell’angoscia e nella paura, l’unica cosa che mi impediva di impazzire era il pensiero che tu saresti venuto a salvarmi, allora ti amai veramente, ma quando Ghostface sparì, dopo alcuni mesi, mi resi conto che ciò che provavo per te non era poi così profondo.
Capii che non ero in grado di ricambiare i tuoi sentimenti per quanto volessi.
Ma rimasi in silenzio, restai con te e sopportai, finsi ciò che non provavo, ti ho ingannato per tutti questi anni e volevo che tu sapessi perché è giusto così.
Ti ho amato un tempo, non lo nego, ma ora è finita.
Se sono rimasta con te fino ad ora l’ho fatto per amore dei nostri figli, non avrei sopportato il distacco né volevo portateli via.
Non mi hai mai fatto rimpiangere nulla in questi anni di matrimonio, sei sempre stato un marito e un padre spettacolare, il migliore che si possa desiderare, ti ho sempre voluto bene, ho sempre apprezzato la tua compagnia in ogni ambito, ho vissuto momenti indimenticabili con te, davvero magnifici e romantici, e non mi sono mai sentita stanca o insoddisfatta di te, mai, ma per quanto mi sforzassi e mi sforzi tuttora…in te vedo solo il più caro degli amici.
Un amico che si è preso cura di me e dei miei figli e a cui ho mentito per tredici anni, illudendolo.
Sono un essere spregevole, senza cuore…- la voce rotta dal pianto si fece più roca –Non ti merito, non ti ho mai meritato così come non merito il tuo perdono o la tua compassione.
So che ora mi odi e fai bene! anch’io mi detesto per quello che ho fatto molto più di quanto tu non possa immaginare…ma l’ho fatto solo per i nostri figli, perché avessero una “grande famiglia felice”. So che li ami più della tua stessa vita ma nonostante questo tu non puoi capire…non puoi capire che amore provi una madre nel confronto delle sue creature, cosa significhi portare la vita dentro di te, sentirla scalciare e svilupparsi, darla alla luce, crescerla, allattarla al proprio seno…non puoi capire cosa ti spinge a fare un simile amore, solo per vedere felici i tuoi pargoli sei disposta a sopportare qualunque cosa, solo perché loro stiano bene.
Tu non puoi capire, nessuno può capire…solo una madre può.
Non c’è niente che non farei per loro.
Non sono mai stata così vicina alla morte come oggi, e non volevo morire senza averti prima detto la verità su di noi…perciò ora che sai tutto, voglio chiederti molto chiaramente…-
Alzò gli occhi arrossati dalle lacrime incrociando quelli verdi del mutaforma gonfi a loro volta di un pianto inespresso, tirò su col naso e con voce rotta dai singulti disse –Vuoi il divorzio, BB?-
BB non poteva credere a ciò che aveva appena sentito, quella confessione fatta dalla donna che amava l’aveva fatto soffrire centinaia, migliaia di volte in più di quanto Ghostface avrebbe mai potuto fare seviziandolo per mille anni.
-Tutto il nostro rapporto…il nostro amore…- balbettò mentre calde lacrime affioravano dai suoi occhi –…era una menzogna…-
Corvina avrebbe voluto consolarlo, dirgli che non era vero, che era solo uno scherzo, non poteva vederlo ridotto così…ma non poteva nemmeno continuare a mentire.
Rimase in silenzio rannicchiata su se stessa con le ginocchia raccolte al petto e la testa china tra esse.
Quel silenzio fu più eloquente di mille versi di mille poeti.
BB scese dal letto restando in piedi davanti alla vetrata, fuori era notte e pioveva, una notte buia, senza stelle, e una pioggia sottile con gocce pungenti come aghi.
Anche sul suo viso pioveva, lacrime di fiele gli aravano le guance cadendogli sul costume viola e nero.
La bocca era contratta in una smorfia di rabbia e dolore, piangeva in silenzio davanti al suo riflesso, non si era mai sentito così tradito, per tredici anni Corvina, la donna che amava, l’aveva preso in giro.
Un fulmine trafisse il cielo notturno illuminando a giorno.
BB contrasse i pugni fino a conficcarsi le unghie nella carne, si voltò e uscì dalla stanza a grandi falcate, senza dire una parola, senza che la rabbia esplodesse come la maga si aspettava, senza che le lacrime fermassero la loro corsa.
Corvina lo osservò andar via…rimase china su se stessa a singhiozzare.
 
Ghostface spalancò gli occhi alzandosi di colpo, rimase seduto sul letto di ferro su cui era adagiato con gli occhi sbarrati nel buio.
-Dove mi trovo?!- disse con voce greve, quasi spaventata.
La voce di Fratello Blood sgusciò calda e melliflua alle sue spalle, proprio come il medesimo.
L’occhio bionico rischiarò l’oscurità.
Quado si rese conto di essere ancora vivo e di non trovarsi in un cerchio infernale tirò un sospiro di sollievo.
Per un momento aveva pensato di essere morto.
-Sta tranquillo, amico mio, sei al sicuro qui. Te la sei vista brutta ma fortunatamente i Titans erano troppo presi dai loro problemi per pensare a finirti-
Il vecchio si voltò verso l’altro anziano cyborg, sempre con quel sorrisetto soddisfatto sul viso e lo sguardo astuto e provocatorio.
Blood aveva già provato a usare il suo controllo mentale su Ghostface ma la mente del killer era troppo instabile per essere controllata, inoltre non riusciva a sostenere lo sguardo di quegli occhi spettrali abbastanza a lungo da instaurare un contatto.
-Tu…mi hai salvato- disse il vecchio continuando a non capire cosa gli era capitato.
-Oh esagerato!- ridacchiò quello –Io ho solo rimesso insieme i pezzi, hai fatto tutto tu o meglio il tuo fattore rigenerante, uno spettacolo affascinante vedere con quale velocità e quale perizia il tuo corpo si ricomponeva-
Ghostface si guardò intorno, si trovavano nell’area inaccessibile del vecchio covo di Slade, ora trasformato in museo cittadino.
S’accorse di essere praticamente nudo salvo per un paio di boxer neri.
-Dove sono i miei vestiti?-
-Nel cassonetto. Erano ridotti uno straccio ma non temere, te ne ho procurati di nuovi altrettanto in linea col tuo look-
-Che ne è stato delle mie armi?-
-Sopravvissute senza danno- rispose quello schioccando le dita, una parete s’illumino al comando sonoro, appese in bella vista sotto il fascio di luce bianca stavano tutte le sue armi: la balestra, il fucile a pompa ancora smontato, i pugnali, la spada, entrambe le sue pistole e ciò che più lo interessava…il coltello d’adamantio.
Assieme ad esse al centro del muro c’era anche la sua maschera appesa ad un gancio.
Ciò gli fece dedurre che Fratello Blood non si fosse limitato a raccattare i suoi pezzi sparsi ma doveva anche aver preso la sua Harley Davidson e quanto conteneva.
-E Alighieri?- chiese ancora .-Dov’è Alighieri?-
-In un tomba a Firenze, suppongo. Anzi, a Ravenna se non vado errato…- sbuffò il cyborg annoiato da tante domande.
-No, intendo la moto- replicò l’albino –Che ne è stato della mia motocicletta-
-Ah quella. È al sicuro sul retro- rispose Blood indicando col pollice una porticina in fondo al salone.
Ghostface saltò giù dal tavolo operatorio e iniziò a vestirsi.
-Preparami la moto- disse infilandosi la maglia maniche lunghe, nera come l’inchiostro.
-Te ne vai di già?- domandò il mezzo robot visibilmente sorpreso.
Il vecchio annuì.
-E dove?- insistette l’altro desideroso di sapere di più.
-Alla Roccia del Gufo- rispose Ghostface allacciando i bottoni ad altezza vita dal soprabito scuro dal collo alto alla “conte Dracula” e con lo strascico che gli arrivava fino ai ginocchi.
Gli calzavano a pennello.
Calzò gli stivali di cuoio e si diresse verso le armi ma prima si calò un nuovo paio di occhiali scuri sugli occhi.
Erano tali quali ai suoi vecchi, lenti rettangolari, nere, a specchio e asticelle anonime, geometriche, anch’esse nere.
Così banali eppure così particolari nel loro piccolo.
Fratello Blood non si aspettava che il suo sopite se ne andasse così di botto, pensava si sarebbe fermato lì a rimettersi in sesto, a riorganizzarsi e a rivelargli molti preziosi dettagli sui suoi piani futuri.
-Alla Roccia del Gufo a quest’ora della notte? Perché?- chiese senza comprendere la ragione di un tale gesto.
Ghostface ghignò infilandosi la katana di traverso sulla schiena
-Perché è lì che mi cercheranno-
 
Correva nel sottobosco raspando il suolo con le zampe.
La pioggia gli pungeva la pelliccia, i rami spogli gli graffiavano il muso ma lui non se ne curava.
Il bosco infradiciato dalla pioggia era pieno di odori.
Marciume, foglie bagnate, escrementi di topi e uccelli, sentiva il penetrante odore del muschio sulle cortecce e il puzzo delle siringhe dei drogati.
Ma non era questo a interessarlo, stava seguendo una traccia, guidato dalla scia dell’odore, un odore un tempo misterioso ma che aveva imparato a conoscere e a temere.
Ma ora tutto sarebbe cambiato.
La sua casa era esplosa, Cyborg poteva morire da un momento all’altro, April non era sua figlia, Corvina non lo amava…questi pensieri lo fecero ringhiare di rabbia ma questa volta, questa volta la sua rabbia sarebbe servita a qualcosa.
Non aveva più nulla da perdere, il mondo gli era crollato addosso da quando lui era tornato in circolazione, farlo sparire non avrebbe risolto i suoi problemi…ma senz’altro avrebbe aiutato.
Il segugio verde giunse alla piccola radura nel cui centro svettava la Roccia del Gufo.
Annusò l’aria e ringhiò soffusamente mentre il pelo gli si rizzava sulla schiena.
Appollaiato come un avvoltoio sulla testa del monolite stava il peggior individuo che il mutaforma avesse mai conosciuto.
Ghostface stava lì, immobile, col soprabito aperto e i gomiti sulle ginocchia.
La testa era china sul volto e i capelli zuppi e cascanti ne occultavano i lineamenti.
Sembrava quasi che dormisse.
Mosse furtivamente una zampa oltre la muraglia di alberi che lo proteggeva.
-Fai un altro passo e giuro che ti ammazzo. Così come ammazzerò chiunque provi a mettersi sulla mia strada. Torna indietro e ritorna con April o non tornare affatto. Se tieni alla vita- lo ammonì il vecchio senza sollevare il capo.
BB riassunse le sembianze umane.
-Tu mi hai rovinato la vita!!-
Stavolta Ghostface sollevò il capo lasciando che l’acqua gli lavasse via la stanchezza dal volto.
-Si direbbe che io abbia un vero talento nel farlo-
Quelle risposte disinteressate, canzonatorie, non facevano altro che fare infuriare di più il ragazzo bestia.
-Mi hai strappato la mia famiglia!-
-Forse era lei a voler andarsene da te!- rispose il vecchio con fare inquisitorio –Sai, io e April abbiamo parlato molto, è venuto fuori che tu non sai niente di lei!-
-Non è vero!- ringhiò BB.
-Ah sì? Qual è il suo piatto preferito?-
Il mutaforma si trovò di colpo a non saper rispondere alla domanda, per quanto si sforzasse non aveva idea di che risposta dare e lui voleva a tutti i costi dimostrare che Ghostface sbagliava.
-Ehm…il ghiaccio?-
-Ma per favore!- esclamò l’altro- Sono le linguine allo scoglio, ne va matta!
Tu non la conosci affatto!-
-Sta zitto! Pagherai per quello che hai fatto- ringhiò a denti stretti –Per quello che hai fatto a me, a April, a Robin, a Cyborg, a Stella, a Terra, a Iella, a Bumblebee e a tutte le altre persone che hai massacrato!
Questa è la resa dei conti!!- ruggì stringendo i pugni mentre i bicipiti si gonfiavano.
-E Corvina?- disse Ghostface scrocchiandosi il collo.
Balzò giù dalla Roccia del Gufo e si diresse verso di lui, per nulla intimidito anzi sprezzante, alto quasi due metri, coi capelli bagnati che si attaccavano alla testa, lunghi oltre le spalle.
Procedeva marcando i passi con decisione, senza fretta.
Soprabito nero, ampio e svolazzante dal collo alto quasi fosse un vampiro.
Maglia nera, pantaloni neri, stivali neri, cintura nera, guanti neri, occhiali neri, pensieri neri…anima nera.
Tutto era buio in lui.
Tenebroso come non lo era mai stato, un fantasma che usciva di notte nella foresta.
Sembrava disarmato: niente corpetto coi coltelli, niente spada sulla schiena, niente cinturone con le pistole…ma il verde non abbassò la guardia: l’apparenza inganna.
-Che ne è stato di Corvina?- ripetè avvicinandosi sempre più –Non pagherò per quello che ho fatto a lei? È quella che ho tartassato di più.
Non vuoi vendicare la tua dolce mogliettina?- si fermò a una spanna da BB, guardandolo dall’alto verso il basso.
Lui lo fissò a mostrando i denti, guardava verso l’alto e il vecchio non seppe dire se quelle sulle sue guance erano lacrime o gocce di pioggia.
Ma se si trattava delle seconde, presto le prime le avrebbero raggiunte.
-Ma certo che vuoi…- rispose per lui il killer –Desideri vendicarla più di ogni altra cosa. Anche se lei ti ha fatto soffrire.
Nonostante tutto tu la ami ancora e ti maledici per questo.
Continui a stare dalla sua parte perché vuoi proteggerla, perché ti illudi di poterla riconquistare.
Dopotutto ce l’hai fatta una volta, cosa perché non dovresti riuscirci di nuovo?
È questo che stai pensando.
Ce l’hai scritto in faccia e la tua è un’espressione che ho imparato a conoscere sulla mia pelle.
Lascia che ti dica una cosa: fallirai-
BB restava in silenzio guardandolo con odio, disprezzo…ma aveva ragione, ogni parola era azzeccata come se potesse leggergli nella mente.
-Mi sono sposato dodici volte- continuò il vecchio – Tredici se contiamo la mia storia con Amistara*.
Per sette volte ho divorziato e per sette volte ho visto la tua espressione sul volto di qualcuno, a volte era la mia ex-moglie, a volte era il mio riflesso ma c’era sempre qualcuno che c’è l’aveva e io so cosa significa: significa che la persona amata di ha spezzato il cuore, che tu la odi, la detesti con tutto te stesso per come ti ha fatto soffrire e odi te stesso per esserti lasciato ingannare in quel modo…e perché la ami ancora-
Quelle parole furono troppo.
Con gli occhi umidi BB allungò il braccio più veloce che potè, mettendoci dentro quanta più forza disponeva.
Ghostface si scansò di lato e il pugnò andò a vuoto.
-Siamo permalosetti…- ghignò –Di solito chi da il primo colpo ha più possibilità di dare anche il secondo...ma non questa volta!- la mano chiusa di Ghostface saettò nel buio.
Il pugno dell’assassino lo colpì sotto la mandibola, BB inarcò la schiena e barcollò all’indietro andando a sbattere contro un albero alle sue spalle.
Il verde tornò alla carica gridando, lo prese alla vita stringendolo più forte che potè e iniziò  a correre facendo del pazzo il suo scudo.
Sbattè il corpo del vecchio contro il monolito a forma di gufo, Ghostface sussultò per il dolore ma tutt’altro che prossimo ad arrendersi gli tirò un dolorosissima gomitata sulla colonna vertebrale.
BB gridò di dolore lasciando la presa e ricevendo così una ginocchiata sul naso che lo mandò a tappeto.
Ghostface ebbe il tempo di scrocchiarsi le nocche e di acciuffarlo per il bavero del costume, rimettendolo in piedi.
Prima che BB potesse reagire gli assestò un pugno che gli voltò la faccia dall’altro lato.
-Avanti!- lo derise colpendolo ancora, stavolta nel ventre.
-Combatti da uomo! Dimostra quanto vali!- un altro pugno gli schiacciò il pancreas facendolo gemere di dolore.
E dovette incassare ancora molti colpi simili a quello.
-Dimostra che non sei più un ragazzino, che non sei l’anello debole della squadra, che meriti rispetto, che non sei più un buffone…- continuò lui picchiandolo sempre più forte nell’addome e sul volto.
Ghostface lo sollevò ancora più in alto e lo gettò a terra, lontano diversi metri da sé.
Lo guardò torreggiante su di lui, il petto si alzava e si abbassava forsennatamente e le narici dilatate sbuffavano come ciminiere, il pestaggio lo aveva stancato ma non certo più di quanto avesse sfiancato il mutaforma. 
-Dimostra che sei diventato un vero uomo…-
BB era raggomitolato su se stesso, gemente di dolore ma a quelle parole spalancò gli occhi e accigliò il viso.
A fatica riuscì a rimettersi in piedi mentre Ghostface guardava divertito quel patetico omuncolo verde andare incontro al suo destino.
-Io non sono un uomo…-disse più imbestialito che mai –SONO UN ANIMALE!!!-
Un gigantesco grizzly scaraventò il vecchio contro un albero come se non avesse peso.
L’orso lanciò il suo bramito e gli fu di nuovo addosso, squarciandogli il petto con i suoi artigli.
Con gli occhi iniettati di sangue Ghostface infilò una mano sotto il soprabito, dove teneva il coltellaccio e sfoderò la lama baluginante d’adamantio, tirando un sibilante fendente alla bestia.
Gli troncò di netto la punta degli artigli della zampa anteriore destra, l’orso mugghiò di dolore gettando a terra il nemico con l’altra zampa.
-Non sei il solo ad avere le zanne!- ringhiò Ghostface rialzandosi tempestivamente.
Dopo l’orso fu la volta della tigre, dell’elefante, del velociraptor e poi del gorilla.
Entrambi i contendenti lottavano instancabili sotto la pioggia senza che nessuno potesse prevalere sull’altro.
Un lupo balzò digrignando le zanne alle spalle del killer ma quello si girò mettendo l’arma di traverso, le possenti mascelle si chiusero sul piatto della lama indistruttibile, il vecchio rovesciò a terra il lupo verde, sbattendolo con forza e lasciandolo zampe all’aria.
Prima che questo potesse girarsi l’uomo gli pestò la gola col tacco dello stivale.
BB guaì di dolore mentre riassumeva le sue sembianze umane, tossendo in maniera spaventosa, era in ginocchio con una mano si sorreggeva con l’altra si massaggiava al trachea schiacciata da cui uscivano solo sordi rantoli.
Per nulla impietosito il vecchio gli assestò un calcio in viso facendolo ribaltare del tutto, BB rimase steso a terra supino con volto ridotto una maschera di sangue, le braccia spalancate giacevano inerti.
Non aveva più la forza di combattere né contro Ghostface né contro la vita.
Non voleva più andare avanti.
Forse era meglio così…Ghostface l’avrebbe ucciso, i suoi amici l’avrebbero pianto, Corvina si sarebbe sentita in colpa e lui avrebbe finalmente smesso di soffrire, sarebbe stato liberato da quell’opprimente senso di disperazione che gli tormentava l’animo e gli rodeva il cuore.
Non doveva fare altro che abbandonarsi e arrendersi al suo destino.
Il resto sarebbe venuto da sé.
D'altronde che cosa aveva da perdere?
-Oh ma guardati…- il sorriso sadico di Ghostface comparve davanti i suoi occhi, parlava con voce tagliente che simulava rimorso e lo scherniva -Hai la faccia determinata dei folli che credono di non avere più nulla da perdere…e poi sarei io il pazzo?
Lascia che ti dica una cosa: se c’è una cosa che ho imparato nella mia vita di esperienze è che le cose non vanno mai così male da non poter peggiorare.
Tu pensi di aver perso tutto non è così? Te lo si legge negli occhi.
Beh ti sbagli. Tu hai ancora molto per cui vivere, molto più di quanto tu possa credere, hai molto più di quanto io potrò mai avere.
Hai amici fedeli, sempre pronti ad aiutarti, una città che ti ama e ha fiducia in te, due splendidi bambini…-
Si fece di colpo più serio, si piegò su di lui flettendo le gambe come una rana.
Gli puntò il coltello alla gola.
-Dimmi, BB, prima di venire qui a firmare la tua condanna a morte…hai mai pensato a come l’avrebbero presa i tuoi figli?
O April? Sei stato suo padre per 13 anni, ti ama molto più di quanto non potrà mai amare me.
A loro hai pensato? Ti sei mai chiesto come avrebbero reagito o hai pensato solo al modo più spiccio per scappare dai tuoi problemi?!
Se non l’hai fatto pensaci ora…prima di morire-
La mano del mutaforma scattò in avanti afferrando il polso del vecchio, bloccandolo con una forza nuova prima che la lama calasse sul suo collo.
Una nuova luce brillava nei suoi occhi verde smeraldo.
Verde speranza.
Qualcosa era scattato in lui.
Qualcosa che gli fece sparire il dolore e gli ridiede la forza nelle braccia, sentì rinvigorirsi ogni cellula del suo corpo.
Un’energia nuova eppure da sempre conosciuta lo pervase, un’energia primordiale chiusa dentro di lui, che aveva sguinzagliato solo nelle situazioni più disperate in cui si era trovato.
Rispondeva perfettamente alle sue necessità.
Quelle parole, le crudeli eppur veritiere parole di Ghostface avevano innescato qualcosa in lui, una sensazione che credeva non avrebbe mai più provato.
Era la stessa sensazione che provava un albero quando da un ramo spezzato nasceva un germoglio, piccolo ma sprizzante di vita: era la forza di rialzarsi.
La forza di tirare avanti nonostante le difficoltà, di non arrendersi, di non lasciarsi abbattere dalle sventure e dalla disperazione.
Fu allora che capì di non aver mai avuto nessuna possibilità contro Ghostface perché era già sconfitto dentro quando l’aveva affrontato, era spezzato, depresso, senza un obbiettivo se non uccidere o essere ucciso.
Il vecchio invece era sempre stato sicuro di vincere, non aveva mai dubitato di sé stesso, neppure in istante immerso com’era nel suo narcisismo, BB invece, visti i recenti avvenimenti, aveva perso praticamente tutta la sua autostima.
Ma ora le cose erano cambiate, quel discorso fatto dal killer anziché avvilirlo gli aveva dato una nuova ragione di vita, una nuova ragione per alzarsi, combattere e vincere!
Ed era determinato  a farlo in nome di tutte le persone a lui care.
Per vendicare tutte le persone uccise dal vecchio e difendere tutte quelle che erano nelle sue mire future.
E l’avrebbe fatto a qualunque costo.
Sentì risvegliarsi in lui una forza primitiva, sepolta ormai da anni nella parte più profonda e oscura del suo subconscio, una forza che era rimasta latente per troppo tempo, selvaggia e indipendente eppure lui era riuscita a domarla molti anni addietro.
Era giunto il momento di scatenare il suo lato più oscuro e ferace, era tempo che la Bestia vedesse di nuovo la luce!!
-Ma guarda…- ghignò Ghostface sopra di lui, spingendo con più forza il coltello verso il suo collo -…il buffone ha messo su i muscoli!-
Ma anche le lo derideva a parole Ghostface iniziò a preoccuparsi vedendo come non riusciva  a sopraffare il suo avversario e la preoccupazione mutò in vera e propria inquietudine quando vide i bicipiti del ragazzo crescere a dismisura sotto i suoi occhi al punto da strappare i vestiti.
La pelle verde brillante iniziò a ricoprirsi di uno strato di peluria più scuro.
La stretta intorno al polso divenne insostenibile per il vecchio che spalancò la mano con un grido di dolore, lasciando cadere l’arma, dita gigantesche circondavano le sue mani, forti e villose, terminanti in lunghe unghie nere…anzi, artigli!
La sua sorpresa non potè che aumentare quando di colpo BB si rialzò da terra e la sua testa raggiungeva i tre metri, improvvisamente fu il vecchio a trovarsi sollevato dal terreno sostenuto da un peloso braccio ferino.
Le spalle si erano fatte più larghe, la schiena e il petto, così come la maggior parte del corpo erano ricoperti da un folto vello scuro, un verde tendente al nero, le gambe avevano cambiato la loro fisionomia, i piedi erano lunghi, muniti di lunghe dita prensili, le braccia spesse come tronchi e molto più resistenti.
Un’armatura di muscoli lo avvolgeva completamente da capo a piedi.
La testa conservava ancora qualche tratto d’umanità, ma i capelli gli si stavano scurendo e s’allungavano sempre più.
Il naso s’ingrossava e pure i denti sembrava stessero crescendo e cambiando forma.
La cosa non sembrava affatto essere indolore per il ragazzo mutante che ruggiva come un animale ferito, stritolando il polso del vecchio fino  a spezzarlo.
-Ven…groarrr…detta!!- farfugliò la creatura scaraventando Ghostface dall’altro lato della radura.
Il killer atterrò in malo modo con un tonfo, trovandosi una spalla lussata e diverse costole rotte.
-Arrff…- inveì in modo poco educato –Sono stufo di essere sballottato di qua e di là!-
Era appena riuscito a rialzarsi, aveva mosso solo pochi passi insicuri ed era caduto di nuovo, non per mancanza di equilibrio ma perché un’enorme mostro fatto di artigli e muscoli l’aveva rispedito a terra con un colpo delle possenti zampe.
Ghostface alzò lo sguardo verso l’alto, incombente su di lui stava l’animale più selvaggio e pericoloso che avesse mai visto, il volto non aveva più nulla di umano: ricoperto di lunghe setole verdi alle estremità, il naso era grosso e nero, fiutava incessantemente l’aria attorno a sé.
Stava digrignando i denti ma più che denti erano lunghe zanne bavose che avrebbero spezzato anche una roccia.
Gli occhi invece erano vuoti, completamente bianchi, impossibile capire da che parte guardasse eppure non ci voleva un genio per intuire chi fosse la preda di quella creatura.
Ghostface la fissava atterrito da diversi secondi, si era già confrontato con lei e anche allora non era stato facile ma in quegli anni passati era spalleggiato da oscuri poteri demoniaci sottratti a Corvina**.
Che garanzia aveva ora?
Solo un coltello d’adamantio e doveva pure recuperarlo attraversando la Radura del Gufo con quell’ammasso di muscoli e pelo tra lui e la sua arma.
Deglutì nervosamente, per nulla contento di trovarsi nuovamente faccia a faccia…con la Bestia!!
 
Anche la Bestia si ricordava di lui, e non vedeva l’ora di prendersi la sua rivincita dall’ultima volta.
 
Il vecchio si mise in ginocchio arretrando millimetro per millimetro –Buono…buono…- cercò di ammansirlo tenendo le mani aperte davanti al volto – Fa il bravo mio bel…orso…lupo…tigre …gorilla mannaro? Lo so che in fondo sei solo un cucciolone che vuole giocare…sta a cuccia…- l’animale aumentò la tonalità del ringhio che divenne ancor più cavernoso – Lo so, lo so! Sono quell’idiota che ha stuprato tua moglie, il padre della tua primogenita, l’assassino del tuo migliore amico…ma suvvia…non dirmi che l’hai presa sul personale, vero?-
La Bestia per nulla rabbonita da quelle ciance per barboncini si appoggiò sulle zampe anteriori gonfiando il petto, latrò di rabbia mostrando i denti aguzzi e Ghostface sapeva che se non si fosse sbrigato a  cavarsi da lì quei denti li avrebbe avuti sulla pelle.
All’animale non servirono che pochi secondi per passare dalle minacce ai fatti, s’avvento furibondo sul criminale, deciso a ridurlo a brani.
Peccato solo che lui non fosse della stessa idea.
Anziché scansarsi Ghostface rotolò all’indietro alzando le gambe e quando la Bestia gli saltò addosso, il suo petto smisurato entrò in contatto con le suole ferrate degli stivali neri del killer.
A quel punto l’uomo non dovette far altro che piegarle tempestivamente in avanti, catapultando la creatura contro la gigantesca sequoia alle sue spalle.
La Bestia andò a sbattere il muso contro quella corteccia dura come una pietra, fu un urto terribile che fece oscillare l’albero secolare, l’impatto era stato tanto forte da lasciare intontito il predatore per svariati secondi.
Agendo come aveva agito, Ghostface aveva sfruttato tutta la forza, il peso e la velocità con cui l’animale l’aveva assalito contro di esso.
Era un perfetto conoscitore di ogni arte marziale terrestre e non, e ben più di una gli aveva insegnato a fronteggiare avversari più grossi  e nerboruti, sfruttando la loro forza contro di loro.
Con una capriola il vecchio fu di nuovo in piedi e si mise a correre a perdifiato verso il luogo dove gli era caduto il coltellaccio.
L’adamantio era la sua unica possibilità per uscirne vivo.
La Bestia però fu più  veloce, lo precedette con un sol balzo atterrando proprio sull’oggetto bramato da Ghostface.
-Allora vuoi proprio farmi incazzare!- urlò estraendo una pistola tenuta nascosta dietro la schiena, la imbracciò a due mani e prese a sparare all’animale, mirando agli occhi, ma quello si fece da scudo alla testa coi possenti avambracci, ruggì di dolore misto a rabbia, ma per quanto i colpi andassero a segno non potevano infliggere gravi danni a quell’armatura di grasso e muscoli che fermava i colpi prima che raggiungessero le parti delicate.
I colpi di pistola non fecero altro che farlo incazzare di più, il ruggito della Bestia riecheggiò per tutto il bosco, colpì il vecchio con l’avambraccio sbattendolo contro uno dei pilastri vegetali, Ghostface si sentì venir meno, la sua ultima arma gli era scivolata tra le dita mentre la forza brutale della creatura lo sbalzava via con la stessa facilita con cui un uomo solleva un neonato.
Sollevò lo sguardo ma potè solo gridare perché lei era di nuovo sopra di lui.
Pugni e artigliate gli tempestarono il corpo senza tregua, spezzando le ossa e strappando la carne, la Bestia gli staccò un’intera gamba a morsi per poi risputargliela addosso.
Non  seppe dire per quanto tempo andò avanti questa selvaggia carneficina in cui lui era la vittima ma non doveva essere durata a lungo.
In meno di dieci minuti la creatura l’aveva ridotto all’impotenza e non vedendolo più come una minaccia si era allontanata per ammirare meglio il risultato della sua furia sconsiderata.
Quello che vedeva Ghostface, boccheggiante a terra, lordo di sangue da cima a fondo, era la propria coscia ad altezza viso.
Sogghignate la Bestia s’allontanò.
Non era il momento di perdersi d’animo, la pioggia nascondeva il suo odore, facendo ricorso alle ultime energie rimastegli, il vecchio strisciò sulle braccia fino a raggiungere l’arto maciullato e lo risistemò al giusto posto, attese in silenzio che i legamenti e i muscoli si rinsaldassero e l’anca mutilata tornasse a funzionare.
Dopodiché si mosse ancora furtivo, cercando di raggiungere il coltello...ma poco distante da lui la Bestia alzò il capo, fiutando l’aria gonfia d’umidità.
Il suo naso le stava urlando che qualcosa non andava.
A questo punto abbandonata ogni prudenza il vecchio si slanciò in una corsa disperata verso il suo obbiettivo facendo forza sulla gamba ancora sciancata, la Bestia se ne accorse e gli fu addosso con un ruggito.
Tentando il tutto per tutto Ghostface si lanciò in avanti con una capriola e nel volteggiare sul terreno impregnato d’acqua e foglie marce le sue dita si chiusero sull’impugnatura del coltello.
Tutto quello che vide fu un’enorme sagoma scura saltargli addosso schiumate di rabbia, il vecchio chiuse gli occhi e agì d’istinto.
A convincerlo a sollevare le palpebre fu l’uggiolato di dolore della creatura.
La lama del coltello, protesa in avanti, si era fatta strada nel petto della Bestia quando questa ci si era fiondata sopra, recidendo senza fatica carne e tendini, fino ad arrivare agli organi interni, senza però danneggiare nulla di vitale.
Ghostface festeggiò con un ghignò ritraendo l’arma dal corpo e infilzandola nuovamente fino all’elsa in quel torace ampio.
La estrasse di nuovo e svicolò tra le gambe spesse come colonne dell’animale.
Come gli fu alle spalle il vecchio ruotò da lama ed essa recise senza sforzò i dentini d’Achille della Bestia che ruggì di dolore mentre le gambe s’accasciavano incapaci di sostenerla, dovette reggersi sulle braccia per evitare di stramazzare al suolo.
A nulla erano serviti gli strati protettivi di muscoli e la pelle dura come cuoio, quando si aveva a che fare con l’adamantio avere una corazza di titanio o essere della stessa consistenza di un mollusco non faceva alcuna differenza.
Ridendo gli sadico piacere Ghostface affondò la lama nel bacino della Bestia, perforandogli un rene, l’animale mise un ruggito spaventoso mentre il sangue gli zampillava sulla pelliccia, tirò una feroce zampata all’indietro cercando di ghermire l’avversario alle sue spalle ma Ghostface non si fece cogliere di sorpresa un’altra volta ed evitò che gli artigli si chiudessero sulla carne, gli lacerarono parte del soprabito ma nulla di più.
Godendo nel vedere il suo nemico in difficoltà e approfittando del momento di instabilità della Bestia, che poggiava tutto il suo immenso peso su un unico braccio, il vecchio gli saltò sulla schiena avvinghiandosi al collo taurino con un braccio.
Sollevò il coltellaccio lordo di sangue a un palmo dalle fauci che si chiusero con un sordo schiocco, tentando invano di strappargli l’arto.
-Ci vediamo all’inferno!- ghignò calando l’arma.
La Bestia scansò la testa di lato, l’adamantio non le perforò il cranio come Ghostface avrebbe voluto ma la lama affondò nel collo fino all’elsa, scese nel corpo della creatura per tutti i suoi 50 cm di lunghezza, spezzandogli la clavicola, recidendo i legami e nervi della spalla, troncando costole e perforandole un polmone.
La Bestia emise un gemito strozzato poi, privata anche del suo ultimo punto d’equilibrio stramazzò al suolo, sbalzando Ghostface diversi metri più in là.
Il vecchio ci mise meno di un battito di ciglia per rialzarsi, piacevolmente sorpreso di aver sbattuto il naso contro la sua pistola ancora mezza carica.
Si scrocchiò il collo da cui perdeva sangue e zoppicò sulla gamba non ancora del tutto saldata fino al punto in cui la Bestia era caduta.
Di lei non restava che l’enorme impronta sull’erba bagnata.
Aveva smesso di piovere e il cielo notturno si stava schiarendo col sorgere del sole.
Da quanto tempo combattevano?
Improvvisamente Ghostface si sentì addosso tutta la spossatezza di una notte insonne e della lotta estenuante sostenuta contro quella forza della natura…ma non cedette alla stanchezza.
Al posto dell’enorme bestione a terra giaceva supino BB, immerso in un lago formato dal suo stesso sangue, con il coltellaccio ancora conficcato nell’incavo della spalla, la lama leggermente inclinata usciva di due centimetri laddove finivano le costole.
Aveva un colorito smorto, un verde acido biancastro, veramente sgradevole alla vista.
La ferita alla gola gli impediva di parlare chiaramente ma tutto il suo corpo era scosso da fremiti e la gola pulsava debolmente, cacciando fuori gli ultimi fiotti di sangue scuro e denso che già coagulava.
Aveva gli occhi soffusi puntati contro il fazzoletto di cielo che vedeva, tra le chiome degli alberi scuri, tingersi di rosa al dolce tocco dell’aurora.
L’ombra del vecchio torreggiante su di lui si proiettò oscurando completamente il corpo contratto dagli spasmi del mutaforma.
-M-mi…argflh.. hai colpit..kkhargg…alle spalle….vigliacco!- biasciò BB premendosi una mano sulla ferita al collo, tentando inutilmente di arrestare la fuoriuscita di sangue che continuava a fluirgli tra le dita.
Era uno spettacolo pietoso vederlo ridotto in quello stato di impotenza mentre si ostinava a opporre una patetica resistenza.
Cercò di mettersi seduto ma le braccia erano fiacche, non rispondevano ai comandi, sentiva le dita intorpidirsi e le gambe farsi sempre più fredde.
-Ancora parli…- disse Ghostface con voce greve, non aveva mai sopportato il mutaforma e vederlo in quelle condizioni non lo impietosì affatto.
S’inginocchiò su di lui, poggiando la rotula sul polmone ferito del ragazzo, provocandogli fitte ancor più lancinanti.
Gli mise le dita artigliata attorno alle guance smorte e strinse, costringendolo ad aprire la bocca arida e impastata.
A quel punto gli ficcò a forza la canna della pistola che teneva in pugno dentro la gola, facendogli saltare due denti mentre ne forzava l’entrata, la mano umana si strinse attorno all’impugnatura dell’arma e l’indice scheletrico, che per il candore della pelle pareva essere solo osso, accarezzò il grilletto, pronto a far fuoco.
-Prova a farlo con questo microfono- ringhiò a denti stretti, spingendo l’arma ancor più in profondità, facendo inarcare il collo al mutaforma.
BB lo guardò con gli occhi asciutti e carichi d’odio e disprezzo.
La fresca brezza autunnale gli accarezzò i capelli mentre una splendida alba gli si specchiava negli occhi…era un buon giorno per morire.
Lo fissò ancora, senza ombra di paura nelle pupille, inchiodando i fieri occhi smeraldi su quelli del suo carnefice, troppo spaventati da tale coraggio per mostrarsi oltre le lenti a specchio.
-Stf..stro..nfo-
 
Bang!
Bang!
Bang!
Stella Rubia, aprì gli occhi e si tirò una pacca in fronte.
-Robin, svegliati! Il telefono…- borbottò rigirandosi nelle lenzuola col cuscino sopra la faccia.
Il ragazzo al suo fianco sbatté le palpebre assonnato e allungò le mani sul comodino a fianco del lettone matrimoniale dove dormiva fino a pochi minuti fa.
Afferrò il cellulare con la bizzarra suoneria di una raffica di proiettili.
-Chi può esser a quest’ora?- sbuffò annoiato.
Quel che gli dissero dall’altro capo del telefono lo lasciò a bocca aperta e gli lavò via ogni traccia di stanchezza residua.
-Stella vestiti!- esclamò balzando giù dal letto in cerca dei pantaloni.
-Che succede?- mormorò l’aliena che non riusciva a tenere gli occhi aperti.
-Sveglia gli altri che poi te lo dico- rispose il marito affrettandosi nell’indossare il costume.
Poco dopo tutti gli abitanti della Torre erano in piedi ciondolanti e mezzi addormentati, improvvisamente si erano trovati fuori dai loro letti e seduti sul divano della Mains Room con Robin che li guardava uno ad uno.
-Spera che sia morto qualcuno!- ringhiò Corvina, l’ultima arrivata, andando a sedersi in mezzo agli altri.
-Molto meglio…- sorrise il leader mentre gli occhi stropicciati ma attenti di tutti erano su di lui.
I Titans lo osservavano incuriositi senza sapere cosa pensare.
-Amici…- iniziò Robin trattenendosi a stento dal gridare di gioia –Cyborg si è svegliato!-
Tutti lo guardarono stupefatti e ammutoliti…poi le voci iniziarono ad accavallarsi.
-Non ci posso credere!-
-Quando è successo!?-
-Che cosa magnifica!-
-Andiamo da lui!-
-Perché non ce lo hai detto subito?!-
-Cyborg sta bene!-
-Tutti all’ospedale, presto!-
-Chissà come sarà contento di rivederlo, BB!-
Tutti si guardarono intoro cercando un viso noto, senza trovarlo, allora fissarono l’un l’altro negli occhi restando paralizzati dal silenzio con le bocche aperte come pesci lessi.
-DOV’È BB!??!- esclamarono all’unisono.
 
-Avanti, ci siamo quasi!- esortava il leader correndo su per il bosco.
Midnight, Stella Rubia e Corvina, tutte e tre in costume, precedevano lui e Bruce sorvolando le chiome degli alberi.
-Il T-Caller indica che si trova nella Radura del Gufo- disse la Corvina alle compagna e tutte e tre virarono a  destra, scendendo verso lo spazio verde
Lo spettacolo che gli si parò davanti non appena atterrarono fece cessare di battere il cuore a tutte e tre.
Il corpo di BB giaceva a terra rigido e pallido, lordo di sangue secco, sopra di lui stava ancora Ghostface ansimante, infradiciato dalla testa ai piedi, col volto schizzato di sangue con in mano una pistola fumante.
Il viso del mutaforma era contratto allo spasmo, deformato in una maschera di sofferenza, con la mascella slogata, gli occhi sbarrati e la nuca sfondata.
Dietro la testa del ragazzo si espandeva per diversi centimetri una chiazza di sangue che rendeva vermigli i fili d’erba.
Grigi pezzi di cervello si confondevano tra le morte foglie autunnali.
April sentì di morire.
Suo padre…il suo vero e unico padre…era morto.
Gli occhi le si colmarono di lacrime davanti a quella raccapricciante visione…
Gridò come nessuno aveva mai gridato prima, uno straziante grido di dolore come mai ce n’erano stati e mai ce ne saranno.
Una luce abbagliante si sprigionò dal suo petto e avvolse tutto.
 
 
 
*Vedi capitolo 5 di Revenge.
**Vedi capitolo 15 di Revenge.
 
E siamo a -2!
Ammazza che capitolaccio del cavolo per il verdolo!
Non so cosa mi è preso, nemmeno mi sta antipatico, BB.
Ok che non sono mai stato un fan della coppia BB/Rae ma…woow…diamoci tutti una calmata!
Esatto, ho ucciso uno dei personaggi principali.
Sono o non sono un puzzone?
 
Ghostface

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** 27 ***


CAPITOLO 27
 
-YYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA-
April si sollevò in aira avvolta in un globo di luce bianca, sembrava una stella in miniatura, del diametro di tre metri, per l’intensità con cui brillava.
Corvina e Stella restarono ammutolite a guardarla senza sapere più cosa pensare mentre la sfera di lui si espandeva rapidamente in ogni direzione.
Ghostface invece non ebbe dubbi su come agire, si slanciò verso le due ragazze buttandole entrambe a terra poco prima che l’abbagliante aura bianca le raggiungesse.
-Rotolate!- urlò quado tutti e tre furono stesi a terra, senza chiedersi il motivo le eroine obbedirono tempestivamente e tutti e tre rotolarono verso la macchia d’alberi.
S’aggrapparono ai trochi della foresta senza osare alzarsi dal terreno.
Uno spettacolo incredibile si proponeva ai loro occhi.
Sembrava di essere nell’occhio di un ciclone, tutt’attorno alla sfera di luce si era sollevato un vento fortissimo che i tre faticavano a contrastare, qualsiasi cosa cedesse al vento veniva trasportata all’interno della sfera che continuava a cresce senza sosta, aveva già raggiunto il doppio delle sue dimensioni iniziali.
Dietro di loro un giovane albero si sradicò e dopo aver volteggiato due volte intorno al globo abbagliante vi entrò, come toccò i fasci di luce si dissolse nell’aria, sembrava fosse diventato di sabbia o cenere, veniva dissolto nel nulla man mano che il vento lo spingeva verso la sfera.
April era indistinguibile, la luce sprigionata dal suo corpo era troppo intensa per essere penetrata, i Titans non riuscivano neppure a guardarla, ma si poteva ancora udire il grido della ragazza, appariva fievole e distante in mezzo al frastuono provocato da quella tempesta di luce.
Anche il globo che racchiudeva la ragazza prese a girare vorticosamente su se stesso, le sue dimensioni aumentarono ancora, era proprio sopra la Roccia del Gufo e i primi raggi disintegranti avevano già raggiunto le chiome degli alberi al margine della radura, polverizzandole e continuando a  protendere le loro dita accecanti in ogni direzione facendo dissolvere nel nulla qualsiasi cosa entrasse a contatto con loro.
Solo il monolite a forma di rapace, completamente inglobato dalla sfera luminosa, sembrava resistere.
Persino la terra su cui camminavano si sgretolava fino a sparire quando la luce bianca la raggiungeva.
La bianca stella di morte continuava ad espandersi sempre più velocemente.
Aveva già disgregato i primi alberi fino a metà tronco, presto sarebbe arrivata alle radici dove i tre stavano appostatati a guardare increduli quel meraviglioso e terribile scenario.
Si poteva avvertire l’incalcolabile potenza sprigionata da quel globo abbagliante.
Stella Rubia non poteva credere a ciò che vedeva, gli occhi erano ridotti a due fessure per la troppa luce, i denti stretti mentre abbracciava l’enorme tronco della sequoia, affondando le dita nella corteccia per non essere trascinata via dalla furia del vento, i suoi lunghi capelli rossi turbinavano come scalmanate lingue di fuoco nell’aria.
-Che sta succedendo!?- gridò agli altri due, distavano solo una ventina di centimetri ma dovette usare tutta la voce di cui disponeva per sovrastare il fragore generato dalla sfera rotante che continuava ad espandersi senza sosta.
-È l’apocalisse!!- urlò Ghostface alla nipote –Lo shock emotivo deve aver scatenato i poteri divini di April! Questo posto è magico, “il luogo-ove-le-luci-toccano-la-terra” ha catalizzato il dolore di April sprigionando tutto il suo potenziale in una tempesta di distruzione! Questo non è che l’inizio: l’inizio della fine!!-
-Poteri divini?!- esclamò Stella –Pensavo che April creasse illusioni!! Per X’hal! Che glorbax sta facendo!?!-
-Sta distruggendo l’universo!- rispose Corvina, il mantello le era stato strappato via della furia degli elementi, ed era finito polverizzato all’interno del globo di luce.
Rimasta con il solo body addosso la maga restava avvinghiata con tutte le sue forze alle radici sporgenti degli alberi, saldamente conficcate nel terreno, che ancora opponevano una strenua e disperata resistenza a quella tempesta che presto li avrebbe spazzati via tutti.
Il globo accecante aveva già raggiunto una ampiezza tale da ricoprire tutta la Radura del Gufo e disintegrare già diversi metri della foresta circostante.
I tre furono costretti ad arretrare di parecchio per non fare la stessa fine.
-Ti sbagli Corvina! Non lo sta distruggendo!- urlò Ghostface – Lo sta trasformando!-
Volse il capo verso la sfera che ruotava vorticosa su se stessa crescendo sempre di più, inglobando sempre più cose e disgregandole, il vento si fece ancora più forte al punto che per un momento la mezzo-demone fu sollevata da terra, ma l’alinea l’afferrò prontamente riportandola al suolo.
I capelli bianchi gli volavano tutti sparpagliati sul viso e in bocca, nonostante gli occhiali scuri persino il vecchio faticava a tenere gli occhi fissi su quella sfolgorante visione, non si era mai vista una luce così intensa e pura.
-Nulla si crea e nulla si distrugge!!- riprese ad urlare - April sta scomponendo tutto ciò che è in particelle talmente piccole che per loro un elettrone sarebbe paragonabile al Sole per noi-
-Cosa succederà!?- strillò la tamaraniana per farsi udire.
-Quella specie di globo di luce continuerà a espandersi finchè non avrà smaterializzato l’intero universo! Non si fermerà finché non avrà inglobato tutto…e il tutto sarà ridotto al nulla!!- gli urlò il nonno in risposta.
-E poi?!- chiese Corvina a squarcia gola.
- E poi niente! April non ha la forza sufficiente per plasmare un nuovo universo, né la volontà per fermarsi.
Una volta scomposto tutto il creato il suo corpo mortale cederà alla fatica, il suo cuore non può reggere un simile sforzo, le esploderà in petto, morirà! Non ci sarà nessun “Nuovo Demiurgo” e per tutti noi sarà la fine, non resterà altro che il vuoto cosmico!!- col fiato corto per aver urlato così a lungo il vecchio si sforzò di mantenere gli occhi fissi sulla stella della distruzione.
-Tutto tornerà come prima del Big Bang, prima della Creazione!-
-A meno che non la fermiamo…- aggiunse.
-Come!?- strillò Stella.
-Bisogna spegnerle il cervello! Tramortirla o qualcosa del genere!- rispose il vecchio affondando gli artigli nelle radici di un altro albero, allontanandosi mentre la barriera bianca avanza inarrestabile verso di loro.
-È impossibile!- rispose la nipote di lui –Anche se tu le sparassi il proiettile verrebbe disintegrato prima ancora di penetrare quel globo! I miei starbolts non sono abbastanza potenti, quel…quel coso li assorbirebbe!-
-Stella ha ragione!!- le fece eco la maga –Nessuno potrebbe avvicinarsi ad April senza venire smaterializzato!!-
-Nessuno che non abbia la capacità di rigenerare il proprio corpo!- la corresse il vecchio stringendo i denti.
Entrambe lo guardarono sgomente in viso.
-Che vuoi fare!?-
-Andare lì e mettere fine e a tutto questo!!- ringhiò stringendo la mano normale attorno all’elsa del coltellaccio d’adamantio –Una volta fuso l’adamantio non si può più spezzare in alcun modo, io sono benedetto da Azar, ho una certa resistenza ai poteri di April, se mi sbrigo potrò raggiungerla prima di essere dissolto nel nulla. Ma non basterà!-
Si voltò verso la nipote e vide anche gli occhi viola della maga dietro di lei riempirsi di lacrime di disperazione
–Avrò bisogno del tuo aiuto, Stella! April ha il mio stesso fattore rigenerante, perché possa infliggerle una ferita da cui non potrà guarire è necessario che tu mantenga gli occhi fissi sul mio coltello, dovrai arroventarlo con i tuoi starbolts in modo che cauterizzi all’istante quando colpirò April!-
Stella guardò lui, poi l’amica il cui cuore si stava spezzando –Non posso farlo!- urlò la rossa.
-Devi farlo! E subito! Più tempo aspettiamo più la sfera cresce, più aumenta la distanza tra me e lei e meno possibilità abbiamo!!- Ghostface spostò lo sguardo su Corvina, piangeva ma non poteva sentire i suoi singulti a causa dei rumori fattisi ancora più forti.
-Corvina!!!- urlò il vecchio col cuore che sanguinava a sua volta -È l’unico modo!!- il suo tono era afflitto, disperato.
Non sarebbe stato facile per lui compiere un simile gesto, e non perché avrebbe dovuto attraversare venti metri di assoluto dolore mentre ogni sua cellula veniva sembrata… era perché amava April.
Senza aspettare una risposta si mise in piedi aggrappato all’albero ed avanzò con la lama in mano verso la luce.
Gli occhi dell’aliena s’illuminarono di verde e due raggi stellari s’abbatterono incessantemente sul coltellaccio man mano che Ghostface arrancava lottando contro il vento verso la sfera abbagliante, girava su se stessa sempre più velocemente provocando una terribile forza centrifuga, quando ci giunse davanti la lama brillava gialla, incandescente.
Corvina balzò in avanti, avrebbe voluto poter fermare  April ma era troppo sconvolta per usare i suoi poteri…allora doveva fermare Ghostface!
 –NO!!- gridò, ma Stella l’afferrò da dietro in vita tenendola inchiodata al suolo –Lasciami! Lasciami!- la guardò con gli occhi arrossati e gonfi di lacrime, il naso che le gocciolava, la bocca contratta in una smorfia gemente e il volto deformato in una maschera di dolore.
Non l’aveva mai vista così sofferente, così disperata.
Spezzata nel profondo dell’animo.
-Lasciami andare, Stella!! Devo fermarlo! La ucciderà! La ucciderà!!- gridò fino a sgolarsi.
-Morirebbe comunque- rispose l’amica stringendola in un abbraccio stritolante per impedirle di muoversi, piangeva anche lei appoggiandole la testa nell’incavo delle spalle, nel vano tentativo di calmarla.
-Almeno così la sua morte non sarà vana!-
La maga, costretta a terra alzò gli occhi e vide il padre della ragazza entrare nel globo di luce con l’arma arroventata in mano.
-NOOO!!!- gridò con quanto fiato aveva in gola, un disperato urlo straziante che spezzò il cuore all’amica dai capelli rossi -NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!-
 
Robin e Bruce sopraggiunsero in quel momento, rimasero a bocca aperta davanti a quell’astro bianco che continuava ad espandersi, videro acquattate tra le radici Stella stesa sopra Corvina, che si dibatteva e gridava come indemoniata.
Le raggiunsero.
-Stella!! Che cazzo sta succedendo!!- urlò il leader dei Titans per soverchiare gli ululati del vento.
-Te lo spiego dopo!!- rispose la moglie continuando a lottare con la maga per trattenerla, vide con la coda dell’occhio che il cadavere di BB stava per essere trascinato dentro l’ormai enorme globo rotante.
Lo indicò gridando con tuta la voce di cui disponeva –Bruce, Robin! Prendete il corpo di BB! Qualsiasi cosa accada, non avvinatevi alla luce!!-
I due non ci capivano più nulla ma vista a situazione disperata decisero di obbedire senza star a porre tante domande.
Robin sparò uno dei suoi arpioni che si avvinghiò alla caviglia del mutaforma, poi a distanza di sicurezza, padre e figlio iniziarono a tirare lottando contro il risucchio del vortice.
Fu un’impresa ardua, per poco il cavo non si spezzò, ma a poco a poco riuscirono a trainare lontando dalla sfera bianca il corpo dell’amico.
Robin si fiondò su di lui-BB! BB, amico, stai bene!?!-
Era steso di faccia, rapidamente ma con delicatezza i due lo voltarono supino…e inorridirono.
-È…è morto!!-
 
I Titans ormai non potevano più restare fermi, dovevano continuamente arretrare trascinandosi dietro la mezzo-demone scalciante, la sfera era aumenta di dieci metri in dieci secondi; quando Ghostface era entrato aveva un diametro di quaranta metri, ora era più del triplo!
 
-AAAARGGHH!!-
Man mano che avanzava in quel turbine di luce, Jonathan vedeva la pelle e la carne dissolversi nel nulla fino a mostrare le ossa, poi muscoli e tendini ricrescevano e di nuovo si scomponevano.
Era un atroce supplizio senza pari.
Ogni passo lo rendeva più debole, man mano che si avvicinava al centro della sfera il suo fattore rigenerate era costretto ad aumentare i suoi sforzi per mantenerlo in vita, non avrebbe retto a lungo.
Cadde sedici volte nel percorrere venti metri, perché le gambe non erano più in grado di sostenerlo e doveva aspettare che gli ricrescessero oppure perché gli occhi gli erano stati strappati via e non poteva permettersi di brancolare al buio.
La vista era l’unico senso che l’aiutasse in quella tempesta di luce, teneva gli occhi di ghiaccio fissi sull’unica cosa che non brillasse di luce propria e che in mezzo a quello sfolgorio appariva più cupa che mai.
Il menhir a forma di Gufo!
L’antica pietra magica, risalente ed ere dimenticate, sembra incurante di ciò che le stava accadendo intorno, sempre col suo sguardo spento e sornione, autoritario, fisso nel vuoto, impassibile.
Tutto intorno a lui era stato distrutto ma il Gufo non se ne preoccupava: era lì da prima che l’uomo perdesse la coda e ci sarebbe rimasto quando l’ultimo sarebbe diventato polvere.
Orientandosi con quell’imponente sagoma di strige, il vecchio arrancava in direzione di April.
Il manico del suo coltello era stato completamente scomposto, era stato costretto a stringere direttamente in mano la lama arroventata.
Ma nonostante il dolore proseguiva più determinato che mai, solo la morte lo avrebbe fermato.
Quando finalmente si trovò davanti alla Roccia del Gufo, alzò lo sguardo.
Là, dove il potere si faceva più intenso, levitava April, un metro sopra la testa del rapace di pietra.
Le braccia distese a più non posso, le gambe dritte e unite, i capelli si sollevavano in ogni direzione come serpi attorcigliate.
Gli occhi e la bocca erano spalancati, da essi usciva una luce potentissima e immacolata, impossibile da guardare senza restarne perennemente accecati, talmente intensa da far sembrare grigia la parte esterna del globo.
L’energia che fuoriusciva da lì era palpabile, Ghostface ne rimase terrorizzato.
La sua figlioletta non era in sé, posseduta dal suo stesso potere era diventata una fonte inesauribile di morte, dai suoi occhi e dalla sua bocca il potere continuava a fuoriuscire senza tregua, getti di luce bianca che la rendevano simile a una torcia elettrica nella notte, fiotti di pura energia si riversavano fuori dai suoi orifizi senza alcun controllo.
Nulla avrebbe fermato la sua furia distruttrice, avrebbe continuato ad emettere quel devastate potere finché il suo cuoricino avrebbe retto.
Ghostface guardò la mano, ridotta a semplici dita d’osso, stretta attorno all’arma che ancora brillava.
Gemendo di dolore la prese tra i denti e iniziò  ad arrampicarsi sul monolite.
Non seppe quanto ci mise a scalarlo, non era molto alto ma per sette volte perse la presa, dopo molti sforzi, e una sofferenza senza pari, un supplizio continuo e interminabile, sia fisico che psicologico, dopo aver patito più di qualsiasi altro essere umano abbia mai sofferto…Ghostface arrivò sulla testa del Gufo!
A fatica si eresse in tutta la sua altezza, le gambe vacillavano smembrate e rimembrate di continuo, il braccio destro faticava a sorreggere il peso dell’adamantio, la faccia gli era stata raschiata via per metà, oltre mezzo cranio era visibile ed anche questo si stava consumando.
Si trovò faccia a faccia con April che incosciente continuava ad eruttare quella luce accecante dagli occhi e dalla bocca spalancata.
Non c’era più tempo.
A quella distanza praticamente nulla non avrebbe retto più di cinque secondi.
Erano decenni, forse secoli, che non piangeva ma da quell’unico occhio rimastogli intatto silenziose lacrime cominciarono a colare percorrendo tutto il volto scavato, mutilato, bagnando la pelle albina e l’osso nudo senza distinzione.
3 secondi.
Abbracciò April con un braccio stingendola a se con tutta la forza di cui era capace mentre il suo torace si riduceva in cenere.
-Perdonami…- disse singhiozzando con voce rotta dalle lacrime, chinò il capo nell’incavo delle spalle della ragazza, che neppure se ne accorse, le sue lacrime bagnarono il costume ancora intatto della figlia appena ritrovata e già persa.
Due secondi.
La lama incandescente calò silenziosa.
April gridò di dolore, un grido assordante ed acuto, nessuna creatura mortale sarebbe mai stata in grado di emettere un simile suono, Ghostface urlò con lei mentre la lama, penetrata sotto le scapole della ragazzina le perforava i polmoni, passando da parte a parte l’esile corpicino adolescente, andando a conficcarsi in profondità nel petto del vecchio.
Il sangue di April colò lungo l’elsa fino a cadere sulla testa del gufo di pietra.
La ragazza spalancò le gambe, un’energia senza pari in tutto il creato sbalzò via da lei il vecchio, un onda generatasi da dove il metallo aveva troncato la carne scaturì da lei, più bianca del bianco, avvolgendo in meno di una frazione di secondo tutto il pianeta!!.
I Titans chiusero gli occhi e attesero la fine.
<Sto arrivando, April!>
 
Nessuno seppe dire quanto durò, per quanto tempo quell’accecante luce bianca avvolse il mondo, potevano essere passati pochi secondi o interi anni, il tempo stesso si era fermato… ma quando la coltre di luce si dissolse tutto era tornato alla normalità, gli alberi, il bosco, il cielo, persino il Gufo si stagliava indomito dal terreno come se nulla fosse successo…tutto era come prima…ad eccezione di Ghostface, steso boccheggiate sulla fresca erba a una decina di metri dal monolito…e del corpo esanime di April, accasciato sulla testa del Gufo senza dar segni di vita.
-APRIL!!!- gridò Corvina come mai aveva gridato prima, liberandosi dalla presa di Stella con un cazzotto in un occhio per la rossa e correndo verso la figlia col cuore che le scoppiava in petto.
 
Come una Madonna col Cristo, così Corvina sorreggeva la figlia in grembo, versando lacrime amare sul corpicino spento che ancora pulsava gli ultimi deboli battiti.
La ferita era troppo grave per poter essere guarita col suo mantra e in ogni caso lei era troppo sconvolta per utilizzare i suoi poteri emotivi…era stata spezzata.
-April…- biasciò tra i singulti la maga, a forza di gridare aveva perso la voce ma questo non rese quelle parole meno strazianti per chi le sentiva.
-April…April, ti prego non lasciarmi…hai solo quattordici anni….è troppo presto…troppo presto… non farmi questo ti prego…- le baciò la fronte poggiando poi la tempia sul capo della figlioletta –Scusa se non sono riuscita a capirti…se ti ho trascurata…se abbiamo litigato e non ti sono stata vicino…non voglio perdere anche, io…io non lo sopporterei…ti supplico April…non morire-
Dimentichi di tutto il resto, persino di Ghostface e BB, i suoi amici si precipitarono intorno a loro, lacrime silenziose, amare come fiele, solcavano il viso di tutti...non era vero…non poteva essere vero…April non poteva essere…
Morta.
 
-Non è morta, coglioni…coff coff- si voltarono in direzione della voce impastata che aveva biascicato quelle parole.
Ghostface era ancora vivo, esausto stava spirando gli ultimi aliti ma era ancora vivo…e anche April lo era.
-È ancora viva….- i Titans volsero tutti lo sguardo verso la ragazzina…era vero!
Il petto pulsava debolmente, ogni battito era più lento e debole del precedente ma era ancora viva!!
-C’è ancor auna speranza per lei…- disse il vecchio –Aiutatemi ad alzarmi…non c’è tempo di spiegare…- protese le mani verso l’alto.
Riluttanti sul da farsi tutti i presenti volsero lo sguardo verso l’unica che aveva il diritto di prendere decisioni in una simile situazione.
Corvina tentennò alcuni istanti, poi vedendo il corpicino frutto del suo grembo che si affievoliva sempre più tra le sue braccia scelse di rischiare il tutto per tutto.
Si asciugò le lacrime, non era ancora il momento di piangere, non finché ci sarebbe stata una speranza per cui lottare,  si alzò in piedi sorreggendo April, svenuta e inerme ma il cui cuoricino ancora batteva in petto lottando strenuamente contro la Morte con tutte le sue forze.
–Aiutatelo-
Robin e Stella afferrarono le mani di Ghostface, di per sé era come nuovo, gli occhiali sul viso, i vestiti di nuovo integri, non aveva segni di ferite sul corpo a d eccezione di quel profondo taglio al centro del torace da cui però non zampillava sangue.
-Dobbiamo…arf…raggiungere la mia moto…ora!- sostenuto dai due eroi il vecchio condusse Corvina fino al luogo dove la notte prima aveva parcheggiato l’Alighieri.
Con un gesto violento delle braccia si liberò dalla presa dei Titans ed inforcò la motocicletta –Sali…- disse rivolto alla madre di sua figlia, col una mano premuta sul petto per attenuare le fitte lancinanti che gli provocava la ferita.
Ma Corvina rimase immobile, in piedi a fianco di sella e Robin che lo guardavano senza parlare.
-Sali o morirà…chf…non ci resta molto tempo…-
Con gli occhi umidi la maga si volse verso i suoi amici –D-devo andare…-mormorò col labbro inferiore che le tremava.
Stella Rubia l’abbracciò delicatamente, attenta a non far male ad April in mezzo ai loro corpi.
-Vai. Qui ci pensiamo noi-
E senza perdere altro tempo Corvina si sedette sul sellino in cuoio nero dell’Alighieri tenendo April in grembo con una mano e aggrappandosi al vecchio con l’altra.
-Dove si va?- chiese.
-A mandare a fanculo la Morte- rispose quello stringendo identici, costringendo il suo corpo a resistere al desiderio di cedere e addormentarsi nel sonno eterno.
Diede due colpì d’acceleratore al manubrio e partì con un rombo assordante, lasciando Robin e Stella nella polvere, a guardarli scomparire all’orizzonte.
 
Kelly passeggiava tranquilla per le strade di Jump City, le piaceva sentire la fredda aria mattutina tra i capelli rossi.
Era la prima volta che usciva di casa dall’incidente.
Non era stato facile per lei riprendersi dallo shock, non tanto perché provasse qualcosa per Buck, era la prima volta che uscivano insieme e lui non faceva che guardarla come un rimbambito…ma vedergli la faccia e il corpo spappolati da un pazzo omicida in moto non era stata comunque una bella esperienza.
Attraversò le strisce pedonali mentre era verde, finalmente poteva camminare serena per le vie senza paura di incappare in qualche pazzo scriteriat…
Kelly balzò all’indietro con un grido, un folle dai lunghi capelli bianchi in moto, assieme a una ragazza svenuta e a una donna che sembrava un sacco quella Teen Titans tenebrosa, gli passò a un soffiò dal naso ad altissima velocità, scompigliandole tutti i capelli.
C’era mancato pochissimo che la motocicletta non la mettesse sotto.
Col cuore che le batteva a mille Kelly si rialzò da terra  e corse gridando a chiudersi in camera sua.
 
-Attento!! Per poco non la investivi!!- esclamò Corvina.
Ghostface rispose con un farfuglio di dolore, sbandò, ci mancò pochissimo che moto e passeggeri non rovinassero al suolo e che un camion non li travolgesse ma il vecchio riuscì a raddrizzare il veicolo attraversando sette semafori rossi senza batter ciglio, sprezzante del pericolo.
-Non…ci vedo…- biasciò a denti stretti mentre sentiva le dita divenire rigide e intorpidite.
L’Alighieri perse il controllo ancora una volta e ancora una volta Ghostface lo riprese all’ultimo.
Era la terza volta che rischiavano la vita in quelle sbandate improvvise viaggiando a 200 km/h per le trafficate strade della città.
Questa volta Corvina aveva affondato la mano nella spalla del vecchio come se le dita fossero artigli, aumentando la presa attorno al corpo di April che ancora respirava tenuemente.
-Ti senti male?!- urlò vedendo la fronte imperlata di sudore freddo del vecchio, i muscoli erano contrati allo spasmo, stringeva i denti  a imprecava di continuo tra i gemiti di dolore.
-Mi sono appena piantato 15 cm di metallo nel petto…- rispose quello a fatica -Come pensi che dovrei sentirmi!? Sto morendo Corvina…finalmente…- ringhiò per l’ennesima fitta e diede ancor giù d’acceleratore.
-Avanti, Alighieri!! È troppo presto per spedirmi all’inferno! Portiamo a termine quest’ultima corsa poi ti seguirò dove vorrai!-
 
Un rombo di tuono preannunciò l’arrivo della motocicletta.
La sottile rete di metallo non ebbe nulla da opporre alla devastante potenza dell’Alighieri lanciato contro di essa a piena velocità.
La Harley Davidson buttò giù il cancello della centrale nucleare, spezzò la sbarra lignea di sicurezza e con una curva sterzata oltre misura arrivò davanti ad una delle due ciminiere ciclopiche.
Lì inchiodò.
Ghostface aveva praticamente la testa sul fanale anteriore e una pessima cera, sembrava un cadavere vivente…più del solito.
Rimase lì con le gambe aperte a tenere in piedi la moto, ansimante.
Gli occhiali gli scivolarono sul naso per il sudore…aveva la febbre.
Corvina scese prontamente dalla moto, senza mai lasciare April.
-Che ci facciamo qui?-
-In mezzo alle ciminiere…- farfugliò lui tenendo lo sguardo morto fisso sulla ruota anteriore – C’è una costruzione in muratura, pareti di cemento alte quattro metri, una porta blindata…ma non ha il tetto.
È una tomba…la tomba di Terra, Slade gliel’ha fatta-
Un fiotto di sangue e liquidi gastrici fuoriuscì dalla bocca del vecchio.
-Come faccio ad entrare?! I miei poteri…non funzionano!- esclamò Corvina scotendogli il braccio affinchè restasse vigile.
Il vecchio non si sentiva così male da eoni, non riusciva a tenere gli occhi aperti, a pensare…la fronte gli bruciava, gli arti erano gelidi e rattrappiti.
-G-guarda...al collo di April…- balbettò –Ci dovrebbe esser….un crocifisso…bleurf- altro sangue nero gli colò dalle labbra, non riusciva più a reggersi in piedi – P-prendilo e infilalo nella..ggrnuf…serratura. capovolto però! L’α e l’ω devono puntare verso…il b-basso. È una chiave…-
-Bene, bene e poi??- insisté Corvina sempre più ansiosa mentre vedeva la figlia spegnersi ogni minuto di più tra le sue braccia.
Ma Ghostface non rispose, s’accasciò come addormentato sulla moto, Corvina gli agitò la testa –Svegliati, maledetto bastardo! Una volta nella tomba che cosa cerco!?-
Il vecchio trovò la forza si sollevare la testa di pochi centimetri e volgerla verso di lei…era ridotto in uno stato pietoso, piegato dalla febbre e dalla ferita inguaribile.
-Slade ha nascosto…lì …una siringa …c-con un liquido rosso. Sperava un giorno d-di poter-la…utilizzare p-pper ri-riesumarla…devi trovarla e iniet-tarla aad.-..April!-
-Cosa c’è i quella fiala!?- esclamò la maga sforzandosi di mantenere i nervi saldi, cosa molto ardua e necessaria allo stesso tempo perché sua figlia aveva i minuti contati.
-Ci sono io…- rispose il vecchio guardandola con occhi vacui, stralunati – Un c-concentrato del mio fattore rigg-enerante. Può curarla…anche s..e…è sta-ta f-fer-ferita dall…dal fuoco-  la testa cadde come priva di sensi sul fanale ma il torace dell’uomo si alzava ancora seppure debolmente.
Corvina fu costretta a fare dei grandi respiri per calmarsi, le stava facendo perdere un mucchio di tempo –Dov’è nascosta questa fiala?! DOVE?!-
Il corpo, un tempo così possente, era scosso da fremiti di gelo, le gambe gli vacillarono e cedettero.
Motocicletta e pilota caddero insieme verso la mezzo-demone con in braccio la figlia moribonda.
Ghostface cadde supino, le braccia aperte e gli occhi puntati verso il sole, l’Alighieri gli immobilizzava la gamba su cui era caduto.
Il vecchio emise un gemito soffocato di dolore quanto il peso del mezzo gli schiacciò le ossa già abbastanza provate.
-Dimmi dov’è!- esclamò la maga incurante.
Ghostface cercò di aprire la bocca impastata di sangue ma ne uscirono solo borbottii incomprensibili, deglutì e provò di nuovo a biasciare una frase –Ne-negli occhi del Cristo troverai la salvezza, nella paura della morte si nasconde la vita-
Girò la testa di alto e giacque immobile.
-Negli occhi del Cristo troverai la salvezza…- ripeté Corvina adagiando April la suolo–Che cazzo vuol dire?!- esclamò scuotendolo con forza per le spalle.
Lo sbattè più volte contro il terreno ma lui non diede alcun segno di vita.
-Che cosa significa, Jonathan!? Che cosa significa!? Devi dirmelo!! Jonathan! JONATHAN!!-
Nessuna reazione, Ghostface continuava ad ansimare con gli occhi chiusi, troppo spossato per rispondere.
Vedendo che così non otteneva nulla, Corvina abbandonò il vecchio dove si trovava, raccolse April tra le braccia e corse, corse più veloce che poté in mezzo alle ciminiere, corse una corsa contro il tempo per salvare sua figlia.
 
Eccolo!
Come aveva detto Ghostface! Il mausoleo di Terra!
Era un rozzo quadrato di cemento di quattro metri per lato a vedersi, le cime dei muri erano ornate di guglie affilate  e una porta metallica di cinque centimetri ostruiva l’unico ingresso.
Più che una tomba sembrava un bunker!
Corvina ci giunse davanti, infilò una mano nella scollatura di April e cominciò a cercare disperatamente con le dita il crocifisso di cui gli aveva parlato, implorando ogni divinità che non se lo fosse tolto.
Le dita vagarono nervose sotto il body bianco della ragazzina, tastarono i seni sodi e appena accennati dell’adolescente, ancora dritti e acerbi, s’impigliarono nel reggiseno a coppetta ma finalmente incapparono in un cordino, tirandolo riuscirono a riconoscere qualcosa di duro e metallico: il crocifisso!
Lo estrasse da sotto il body più veloce che poté, sfilandolo dal collo della figlia.
Lo guardò solo per un attimo, il tempo necessario per controllare che le lettere greche puntassero vero il basso, poi lo inserì nella bizzarra serratura, sporgeva solo un braccio del grosso pendente, tempestivamente girò verso destra con le dita che le tremavano, afferrò la maniglia e tirò.
Chiuse gli occhi.
Li riaprì solo quando udì uno stridulo cigolio…s’accorse che il suo braccio tirava un peso ed esso lo seguiva!
La porta si era aperta!
Risollevò April  e ci entrò a capofitto.
 
Per un momento rimase paralizzata…le sembrò di essere nel giardino dell’Eden!
Tanto era brutto e spoglio fuori tanto era vivo e rigoglioso dentro!
Piante magnifiche decoravano ogni cosa, giganteschi fiori tropicali dai mille colori, rampicanti che rivestivano le pareti interne, foglie sgargianti dei più svariati vegetali che spuntavano ovunque…e al centro una lapide.
Solo quella spiccava del terreno, il resto era tutto ricoperto di fresca erba verde, come potevano quei fiori sbocciare in una stagione simile?
Mente la maga si guardava intorno stupefatta April tossì cupamente…e allora l’angoscia si riprese il posto usurpato dalla meraviglia nel cuore della mezzo-demone.
Corvina adagiò April sul letto d’erba poi iniziò a cercare freneticamente quella dannata siringa, guardò nei vasi, agli angoli delle pareti, intorno alla lapide, dietro la porta, sotto le foglie…niente!!
Non c’era traccia di quella dannata siringa!
E il tempo scorreva inesorabile.
S’inginocchiò di fianco alla figlia, singhiozzando di disperazione.
Era giunta fino a lì per cosa?
Aveva lottato tanto per vederla morire su un letto di foglie mentre lei assisteva impotente?
Ripensò alle parole del vecchio…< Negli occhi del Cristo troverai la salvezza, nella paura della morte si nasconde la vita>
Gli occhi erano colmi di lacrime, li sollevò solo un’istante dalla figura morente di April e per puro caso essi furono catturati dal bel crocifisso di ceramica posto sopra la lapide di Terra.
Si asciugò il pianto e guardò meglio…era proprio bello: Gesù era colorato con dei bei colori, a regola d’arte, ogni dettaglio era curato nei minimi particolari, i chiodi nelle mani, le pieghe del perizoma, i capelli sciolti sulle spalle, le costole che s’intravvedevano, la ferita sul costato,  e la sofferenza sul viso…quella era resa magnificamente, rifletteva perfettamente il dolore che anche Corvina stava provando in quel momento, gli occhi erano di vetro rosso, quando il sole li illuminava sembrava piangesse sangue…
Si disse che avrebbe fatto costruire una tomba come quella per BB…ad April.
Abbassò lo sguardo sulle ginocchia piegate al petto.
Negli occhi del Cristo troverai la salvezza…
In quel mentre tutto divenne chiaro, l’illuminazione le balenò nel cervello!
Ecco cosa voleva dire Ghostface!
Avanzò inginocchiata fino al crocifisso di ceramica passò una mano sul torace del Cristo sofferente, l’altra mano invece si chiuse su una delle numerose ossidiane che abbellivano l’ambiente.
La sollevò ed abbatté con tute le sue forze la pietra sul cranio della statuetta.
La testa di ceramica andò in frantumi, da essa fuoriuscirono due siringhe rosse che caddero senza danno sulla morbida erba.
Erano le siringhe a colorare di rosso gli occhi del crocifisso!!!
Non c’era un momento da perdere, afferrò una siringa imponendo alle dita di restare calme, se avessero vacillato in quel momento tutto sarebbe stato vano.
April stava esalando gli ultimi respiri, troppo provata per resistere oltre, quando l’ago le penetrò la giugulare riversando dentro di lei il siero R.
Quelli che seguirono furono i minuti più lunghi ed atroci che Corvina avesse mai provato.
Teneva la testa della ragazzina poggiata sul grembo accarezzandole i capelli mentre calde lacrime le colavano incessanti lungo le guance.
April ancora non dava segni di ripresa…forse era arrivata troppo tardi…forse era già morta e tutto era stato inutile…
Chinò il capo singhiozzando ancora più forte, alcune lacrime colarono dai suoi occhi fino al mento e caddero sul viso della figlia, bagnandole le ciglia e inumidendole le labbra.
Disturbata da quelle fastidiose gocce d’acqua April aprì gli occhi a poco a poco.
-Mamma…- mormorò la fanciulla non appena riuscì a mettere a fuoco chi aveva davanti.
Corvina sollevò gli occhi rifiutandosi di credere alle sue orecchie…ma anche gli occhi dicevano la stessa cosa, e il naso pure sentiva il profumo della sua primogenita, le dita annuirono a loro volta quando l’accarezzarono e infine le labbra le diedero la conferma che era tutto vero quando si posarono sulla fronte della giovane.
-APRIL!!!- esclamò la maga colta da un batticuore, l’abbracciò più stretta che poteva piangendo e ridendo di gioia, per poco non la stritolò, ma Corvina si sentì rinascere quando le braccia dell’adolescente si chiusero sulla sua schiena e la testolina aggraziata si poggiò nell’incavo delle sue spalle.
Non ci sono parole per descrivere la gioia che portò la madre nel riabbracciare la figlia, non seppe dirsi quanto a lungo rimase inginocchiata nel terreno a baciarle tutto il viso e stringerla forte  a sé nel più forte degli abbracci.
Le parole non potrebbero che sminuire la magia di quel momento, l’incredibile estasi che provò nel vedere la primogenita ancora viva, sana e salva…sentimenti bellissimi che è meglio tacere.
 
Madre e figlia uscirono dal mausoleo tenendosi per mano, a giudicare dalla posizione del sole dovevano essere le nove del mattino.
Sorridevano guardandosi negli occhi, dimentiche di tutto quello che era accaduto, persino della morte di BB, troppo felici per essersi ritrovate.
Mentre camminavano in mezzo alle mastodontiche ciminiere della centrale nucleare videro un corpo seduto contro di esse, le gambe lunghe distese e la schiena appoggiata alla costruzione, le braccia pendevano inerti lungo i fianchi  e la testa giaceva riversa senza dar segni di vita.
Ghostface era risuscito a liberarsi dalla stretta di Alighieri e a strisciarsi fino a lì.
Le due eroine lo raggiunsero per accettarsi che fosse morto o se ancora era vivo.
-Ciao…- le salutò debolmente lui non appena le loro ombre gli nascosero il sole alla vista.
-Ce l’hai fatta…- sorrise nel vedere la figlia che lo guardava dall’alto in basso…era strana l’espressione sul volto di April…amareggiata.
Non fu mai stato così felice di aver spiato Slade abbastanza da scoprire dove nascondeva la scorta d’emergenza del siero.
Corvina invece lo guardava agonizzare senza provare il minimo sentimento di afflizione.
-Sì- rispose la maga –Ho fatto come hai detto tu, le ho dato una di queste- ed estrasse dalla cintura gemmata la siringa restante piena di siero R.
Ghostface la vide e abbassò lo sguardo –S-sarebbe troppo chiederti di darmela, vero?-
Corvina ripose la fiala al suo posto –Sì- rispose senza distogliere lo sguardo.
-Lo immaginavo…-mormorò mestamente il vecchio calandosi gli occhiali dal viso.
-È per BB- disse la maga.
-Non servirà a niente…- rispose con un fil di voce l’anziano assassino –Lui è già morto, e la Morte non è qualcosa che la scienza o la magia possano curare…ma ciò non ti farà cambiare idea…giusto?-
-Giusto- rispose Corvina –Tu non l’avrai. Né puoi chiedere di averla-
-P-posso almeno chiedere a mia figlia…di passare questi ultimi istanti con un povero vecchio?- domandò protendendo il braccio umano verso la fanciulla.
Corvina stava per rispondere ma April si avvicinò a lui, sedendosi di fianco a Ghostface col braccio che le circondava le spalle.
Lo abbracciò.
-Sei stato un buon amico, John- gli disse dandogli un bacio sulle guance scavate.
-Sono stato un pessimo esempio…- farfugliò lui, per nulla in vena di pietose bugie –Tua madre…- aggiunse – È a lei che devi voler bene…e anche ai tuoi amici, quei bastardi dei Titans…-ridacchiò –Sono loro che si sono presi cura di te…e sono certo che lo faranno anche in futuro…-
Un violento attacco di tosse lo colpì.
-Senti…- disse Corvina massaggiandosi a disagio il gomito –Se vuoi posso fare qualcosa per alleviare il dolore…-
-No, no- rispose quello con la voce impastata –Me lo merito fino in fondo per tutto quello che vi ho fatto passare, a voi e a molti altri. Me ne vado con molti rimpianti, Corvina, e con ancor più rimorsi…ma averti stuprata…di quello non mi pento anche se mi ha condotto qui.
Se non l’avessi fatto questa bella ragazza…coff…non sarebbe mai nata- accarezzò i lunghi capelli setosi della figlia.
-Ti prego…- disse rivolto alla strega –Portami la mia spada, è legata alla moto-
Riluttante nelle consegnare un’arma nelle mani di Ghostface, seppur moribondo Corvina acconsentì all’ultimo desiderio del suo nemico, ma si mantenne vigile e pronta ad intervenire alla prima necessità.
Il vecchio la sfoderò rimirandosi nella lama, lucidata alla perfezione.
-Un’ottimo acciaio- disse –Un po’ meno bella è la faccia che ci si specchia…-
La tenne in aria davanti a sé –Questa è la tua eredità April…fanne un uso migliore del mio-
April avrebbe voluto dire qualcosa ma Ghostface l’allontanò.
-Basta! Basta giacere inermi!- urlò cercando di rialzarsi, la ragazzina tento di aiutarlo ma lui la scacciò –Non voglio aiuti! mi basta la mia spada, non mi serve altro!- si rimise in piedi appoggiandosi all’arma conficcata nel terreno, la estrasse sollevandola contro il cielo mentre il sole faceva apparire la lama una folgore.
Assunse l’aria più orgogliosa che potè, le febbri gli stavano consumando anche quel poco di mente sana rimastagli, facendolo delirare.
Avanzò a passi malfermi verso uno spazio vuoto senza nulla intorno, April fece per seguirlo ma Corvina la fermò a distanza di sicurezza tenendole le mani sulle spalle.
-Ebbene siamo giunti al momento!- tuonò il vecchio –Al momento della resa dei conti!- e mulinò la lama nel vuoto, facendola balenare in aria la tenne dritta innanzi al viso.
-Poiché la Morte si avvicina voglio attenderla in piedi, a spada tratta-
L’agitò tirando fendenti al vento-Eccoli! Mille e mille fantasmi mi assalgono! Siete venuti tutti per la vostra rivincita, eh? Eccoti, Slade!- disse affondando la punta lucente nell’aria.
-E tu, Terra!- la spada roteò di lato, affettando i raggi del sole
-Non ti è bastato poco fa BB? Ne vuoi ancora!- la lama sibilò ancora e il colpo fu vano come i precedenti
 –E tu Iella? Ah, ma ci siete proprio tutti!  X Rosso, Stella Nera, Mar’i, Billy Numerous, Khul’a  e voi altri ancora! Mille, centomila, molti, troppi!!- urlò combattendo contro i vecchi fantasmi che popolavano le sue notti.
-Cosa dite?!- esclamò rivolto forse alle due eroine, forse a una platea immaginaria che esisteva solo per quegli occhi di ghiaccio, finalmente lasciati a nudo, nei quali brillava una luce di triste pazzia.
-Che è inutile? Ma non sempre ci si batte con la speranza del successo!- e i fendenti al vuoto tornarono a volare incessanti.
-No, no, è anche più bello battersi quando si a che è inutile. Chi siete? Chi siete voi che osata sfidarmi, voi che vedo riuniti intorno a me? Più d’un milione siete!
Ah, ora sì che vi riconosco! I miei vecchi nemici…la Menzogna!- menò una stoccata con la spada – I Pregiudizi, la Viltà! Venire a patti con voi? No, mai! In verità, mai lo feci!
Eccola, c’è anche la Stoltezza! La Pazzia! Sapevo bene che mi avreste sconfitto alla fine!
Non importa!
Io mi batto, mi batto…!- si fece mulinare la spada introno alla testa finché non gli mancò il fiato.
-Sì!- disse ansante – Tutto mi avete tolto: il corpo e la mente. Prendete, strappate quanto volete.
Ma contro il vostro volere io porto con me ancora qualcosa e questa sera, quando entrerò nella casa di Dio potrò con quello sfiorare nel mio saluto la soglia divina: qualcosa che non ha macchia né piega, ch’io porto ancora, vostro malgrado…-
Roteò  la spada così in alto da lasciarsela sfuggire di mano poi vacillò  e ricadde tra le braccia di Corvina alle sue spalle.
-È…è…- mormorò tentando di parlare, divorato dalle febbri.
-Cos’è?- chiese Corvina adagiando delicatamente il corpo verso il suolo.
Jonathan vide sopra di lui April he lo guardava triste, sentendosi in colpa per esserlo, la vide e la riconobbe…le sorrise.
Col suo ultimo soffiò mormorò –Il mio coraggio!-
Spirò.
Spirò prima ancora che la maga avesse finito di appoggiarlo a terra.
Quando si separò da lui era già morto.
 
 
-Quanto mi mancherà quella stupida, bellissima, stupenda e fantastica testa d’insalata…- la voce meccanica della macchina utilizzata da Cyborg non rendeva minimamente l’idea di quanto afflitto egli fosse in realtà.
Erano passati diversi giorni ma il dolore era acceso come quando se n’era appena andato, e ciò valeva per tutti i Titans.
Rick e Ruby furono quelli che maggiormente ne soffrirono.
Ora erano lì, chiusi nel loro silenzio mentre tutti gli altri, ugualmente depressi sedevano attorno al capezzale di Cyborg e Bumblebee, messi nella stessa stanza.
Il corpo del ragazzone nero era stato riparato e il giorno seguente sarebbero stati entrambi dimessi.
Le ferite riportate dal mezzo robot erano state un duro colpo per lui, non aveva più il naso, la lingua gli era stata mozzata e aveva perso l’uso del suo unico occhio buono ora vedeva tramite il suo sensore visivo.
Una impassibile, asettica, ronzante voce robotica comunicava i suoi pensieri ma non era affatto la stessa cosa che sentirlo esclamare il suo “Boooya!” di vittoria.
Rimasero assieme a loro per tutto il giorno, c’era molto che dovevano dirsi.
Quando fu sera e i Titans dovettero tornarsene alla loro Torre, Robin si trattenne un attimo coi suoi amici mutilati.
-Ragazzi…- disse massaggiandosi il collo imbarazzato –Capisco che siate depressi per tutto quello che vi è successo, io vorrei aiutarvi: non posso riportare in vita BB…ma posso ridarvi i vostri corpi-
-Come!?- esclamò Bumblebee mentre nei suoi splendidi occhi color nocciola si riaccendeva la speranza di tornare a camminare.
-Spiegati, amico- fece eco il marchingegno portavoce di Cyborg.
Robin estrasse dalla cintura la fiala rossa contenente il siero R.
-Questa me l’ha data Corvina, è un distillato inventato da Slade, ottenuto dal sangue di Ghostface, è in grado di rimarginare qualsiasi ferita, anche di rigenerare le parti amputate.
L’espressione stupefatta sul volto di entrambi mutò in un sorriso a sessantaquattro denti.
-Ma c’è un problema…- aggiunse mogio e subito il sorriso morì sulle labbra dei due Titani.
-C-cosa c’è?- domandò Bumblebee spaventata all’idea di veder sfumare la sua opportunità.
-Questa è la dose necessaria per una persona…ma è anche l’unica rimasta. Ho cercato di ricrearla in laboratorio…ma non ne sono stato capace. Tutti gli appunti di Slade a riguardo sono misteriosamente scomparsi…non resta che una dose-
Appoggiò la siringa sul comodino in mezzo ai due letti d’ospedale.
-Non voglio mettervi pressione così…lascio a voi la scelta.
Chiunque di voi varcherà la soglia della T-Tower tutto d’un pezzo, domani, saprò che avrete fatto la scelta giusta-
I due ragazzi guardarono il loro leader uscire dalla stanza in silenzio, seguendolo con lo sguardo.
-E adesso?- disse l’apetta guardando prima il siero poi Cyborg.
-Prendilo tu-
-Cosa? No! Tu ne hai molto più bisogno di me- disse la ragazza mettendo la siringa nella mano bionica del mezzo robot.
-Non pensarci. Tu sei una ragazza stupenda, questa non era neppure la tua guerra, non voglio vederti soffrire.
 Lo meriti molto più di me, Bumble. E poi…- aggiunse con un sorriso –Io ormai ci sono abituato ad essere un mezzo uomo, ho imparato a convivere con la mia pelle di metallo, è proprio questo che mi dà i miei super poteri, se tornassi umano come potrei essere ancora “Cyborg”?-
-Cyborg…- mormorò la ragazza dalla pelle scura con gli occhi tristi, cercando di fargli cambiare idea.
-Se non lo prendi lo rimpiangerai per tutta la vita. Fallo per me…ti prego.- le fredde dita di ferro depositarono il siero nella mani affusolate e vive di Bumblebee.
-Grazie…- disse prendendolo tra le dita, lo abbracciò improvvisamente, sporgendosi quanto più le era possibile dal letto, piangeva calde lacrime di gioia nel farlo
- Grazie di cuore…- le morbide labbra rosse si chiusero su quelle di Cyborg che anche se privato della lingua riuscì comunque a gustarsi quel bacio pienamente meritato.
 
Il giorno seguente…
 
Le porte della Mains Rooms si aprirono e due robusti piedi robotici le varcarono con orgoglio.
-Boooya! Titans!- esclamò Victor superando Bumblebee che l’aveva preceduto.
I giovani eroi lo guardarono stupefatti.
Era…era…normale.
Sotto le ginocchia della ragazza invece, scintillavano due gambe robotiche nuove di zecca.
-Che ve ne pare?- esclamarono insieme assumendo pose da modelli.
-Cyborg…tu sei…normale…- disse Stella Rubia accarezzandolo.
-Esatto Stellina- rispose lui con un sorriso.
-Avevo deciso di lasciare il siero a Bumble, ma l’apetta a preferito pungermi mentre dormivo ed eccomi qua!-
-Ma questo è stupendo- sorrise Corvina andando ad abbracciarlo…quanto gli era mancato il suo fratellone in quei giorni così cupi.
I festeggiamenti per entrambi si prolungarono a lungo finché Robin non pose la fatidica domanda.
-Cy…cioè Vic, adesso che sei normale…lascerai i Teen Titans?- domandò deglutendo nervosamente.
Cyborg si passò una mano sulla nuca, era così bello sentire su di sé il morbido tocco della pelle calda, avere di nuovo ossa e sangue, sentire i muscoli gonfiarsi quando faceva uno sforzo…non si era mai sentito così vivo.
Sospirò –Voi siete stati i migliori amici che abbia mai avuto, e sempre lo sarete. Nulla ci impedisce di continuare a vivere come prima…ma senza le mie parti robotiche io non ho nessun potere…sarei solo d’intralcio-
Tutti abbassarono gli occhi a terra, perdere BB era stato un colpo durissimo…se ora se ne andava anche Cyborg cosa restava dei Teen Titans?
Bruce smise di leggere il suo fumetto Marvel e si accostò al padre sussurrandogli qualcosa all’orecchio.
 
-Ghostface è morto…poco male- disse Fratello Blood nascosto nel suo covo –Sarebbe comunque dovuto succedere prima o poi, una grana in meno a cui pensare-
-Ma i Titans restano…- gli fece notare il suo interlocutore.
-I Titans non saranno a lungo un problema- ghignò malevolo il cyborg
-Come hai intenzione di distruggerli?- chiese il misterioso individuo nell’ombra.
-Distruggere, distruggere, distruggere…parlano sempre tutti di distruggere- fece l’ex-direttore dell’Hive agitando annoiato i polsi robotici –Io miro a controllarli, mio caro Malchior-
Setacciando l’appartamento di Robin e Stella, lo stesso dove Corvina aveva abitato per alcuni tempi, il genio criminale si era imbattuto in un interessante libro appartenuto alla maga e dimenticato lì quando Ghostface l’aveva aggredita.
-Se Ghostface ci ha insegnato qualcosa è che la tecnologia e la magia hanno un enorme potenziale assieme, e noi siamo i massimi esponenti di entrambi!
I Titans non hanno idea di cosa li aspetti!!- Fratello Blood esplose in una fragorosa risata che riecheggiò in tutto l’ex-covo di Slade.
-Ricordati il nostro patto- lo ammonì la voce proveniente dal tomo bianco -Corvina è mia. E la voglio viva. Lei è l’unica che può spezzare l’incantesimo.
-Non temere mio buon amico, l’avrai, sono proprio curioso di vederti nel tuo corpo umano, Malchior- lo rassicurò con voce melliflua il cyborg.
<Stolto umano, vedrai cosa ti succederà a te a tutti i senza-scaglie una volta liberatomi!>
-Io e te faremo grandi cose insieme- ghignò fratello Blood seduto su un frastagliato trono di ferro, parzialmente coperto da un cono d’ombra, coi polpastrelli delle mani premuti l’uno contro l’altro.
<Quando non mi servirai più ci penserò io a sbarazzarmi di te> pensò riferendosi allo stregone maledetto.
Sorrise di cuore.
- Grandi cose…-
 
-Ha fatto grandi cose…terribili, ma grandi- disse Corvina davanti alla piccola lapide.
Una semplice stele di pietra che avrebbe volentieri fatto a meno di rivedere, ma April voleva a tutti i costi tornarci.
Era stato seppellito al limitare della radura del Gufo, proprio sotto lo sguardo degli occhi rossi e penetranti del rapace di pietra.
April si voltò a vedere quelle grandi sfere sanguigne così pulsanti.
Sua madre gli aveva spiegato che quando il suo sangue si era riversato sul monolite esso lo aveva assorbito come una spugna, imprigionando al suo interno il potere malefico che lei aveva inconsciamente portato dentro di sé per anni.
Così ora le restavano solo poteri benefici, non correva più il rischio di mettere fine alla Vita e poteva godersi la sua.
Le aveva anche detto che quel silente uccello di pietra era molto più di quel che si pensava, non era frutto della primitiva arte dei pellerossa, era molto più antico di qualsiasi uomo, depositato lì da creature superiori in un epoca molto lontana, chissà per quale motivo.
Ma quando il sangue demoniaco si era riversato su di lui esso l’aveva imprigionato al suo interno dove sarebbe rimasto fino alla fine del mondo, e forse anche di più.
Per questo gli occhi spenti di pietra si erano tinti di un rosso cupo.
La Roccia del Gufo era diventata un forziere che nessuno avrebbe mai dovuto violare, per nessuna ragione.
Corvina si sarebbe assicurata personalmente che ciò non accadesse.
-La cosa peggiore…- disse April riportando occhi  e pensieri sulla tomba a i suoi piedi -…è che io gli ho anche voluto bene-
Corvina accarezzò delicatamente la figlia –Molta gente gliene ha voluto…solo che non è mai stato in grado di conservarne l’affetto-
April depositò al posto di un fiore una maschera di metallo contro la lapide, poi si allontanò in silenzio assieme alla madre.
Il sole tramontava all’orizzonte, colorando di rosso il mezzo teschio ghignate inciso sulla maschera che qualcuno aveva lasciato sulla tomba di uno sconosciuto, seppellito contrariamente alla norma, nel parco nazionale “Riserva del Gufo”.
I raggi del sole fecero brillare come oro la targa bronzea sulla lapide.
Così era inciso sull’epitaffio:
“Qui giace Jonathan Argenti, che tutti conobbero come Ghostface, nemico di molti, amico di pochi.
 Una contraddizione vivente, che in vita sua fu tutto…e non fu niente”. 
 
 
 
 
 
 
Arriviamo così al -1
 
In risposta alle domande ricevute ve lo dirò con chiarezza: BB non resusciterà.
Perché? Perché non è nato a Nazareth (pardon, Betlemme) duemila anni fa!
La gente non resuscita dalla morte, non in questa storia almeno, abbiamo avuto pseudo-morti, morti apparenti, morti simulate di proposito, morti evitate per un soffio…ma la morte è morte perciò BB resta morto.
Oltre a questo non ho nient’altro da dire…sono in lutto: la scelta di uccidere Ghostface è stata la più sofferta da quando è iniziata questa trilogia.
Mi ci ero affezionato a quel bastardo.
 
Ghostface
 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** 28 ***


CAPITOLO 28
 
Ghostface era morto…ma a quale prezzo.
Non solo la squadra di eroi ma tutta la città aveva dovuto pagarlo.
Con BB morto e Cyborg senza poteri i Teen Titans non sarebbero stati mai più gli stessi.
Cyborg però non si era dato per vinto, il cuore umano che gli batteva in petto era oppresso dai sensi di colpa si sentiva responsabile della morte di Iella, si condannava da sé per non essere stato lì, coi suoi amici, lui avrebbe saputo dimostrare che il video porno era falso in men che non si dica, lui avrebbe saputo estrarre le sonde dal corpo di Bruce e dei gemelli, avrebbe disinnescato la sfera-o-bum impedendo una strage, forse avrebbe anche potuto replicare il siero R e impedire che BB morisse, anzi era sicuro che se lui fosse stato lì BB sarebbe ancora vivo.
Forse era proprio per questo che Ghostface l’aveva eliminato per primo.
Non poteva cambiare il passato ma poteva redimersi, da colpe che non aveva, e riscattarsi nel presente.
Per prima cosa aveva disinnescato il detonatore che controllava la vita dei ragazzi, poi su consiglio di Robin e Bruce, aveva deciso di tornare a fare l’eroe.
Dopotutto non era necessario avere i super poteri, non se vantavi un’armatura hi-teck: la sua era ancora in costruzione, ma applicando tutte le sue conoscenze della robotica presto avrebbe avuto il suo esoscheletro da battaglia, non sarebbe stato forte come quello della sua fonte d’ispirazione, Iron Man, ma avrebbe comunque lasciato un bel segno nero sul didietro di molti criminali.
Robin o Nightwing continuava il suo arduo compito di leader dei Titans, si era fatto crescere i capelli per nascondere l’orecchio mancate, e per mesi aveva provato vergogna nel mostrarsi alla moglie ma Stella Rubia era riuscita a dimostrargli che lo amava così com’era e l’avrebbe amato per sempre, non importa quanti sfregi e cicatrici avrebbe collezionato negli anni, se ottenuti nel fare la cosa giusta.
Tuttavia il ragazzo mascherato non poteva dirsi felice, viveva nell’ansia e nella paura di tradirsi, il dolore profondo era riaffiorato in lui più forte che mai quando si era ricordato di Mar’i e ora temeva che anche Stella potesse ricordare, bastava che lui la nominasse una volta, nel sonno o per distrazione, e chissà quali devastanti effetti avrebbe riportato la psiche dell’aliena.
Questo segreto gli stava rodendo l’anima ma per la sua famiglia avrebbe sopportato in silenzio.
Stella Rubia, assieme a Cyborg, si assunse il compito di occuparsi dei figli di BB e Corvina, erano sempre disponibili a dare una mano alla maga rimasta vedova, fu proprio il ragazzone nero ad insegnare ai gemelli le cose che ogni padre doveva insegnare ai figli, Stella invece si dedicava di più ad April, riappacificandola con la madre durante i litigi e facendo da sua confidente personale benché ci fossero cose che neppure a lei, April, potesse dire.
Fu forse l’aliena quella che meglio uscì da quella terribile avventura.
Corvina, perso BB, non si risposò mai più, dedicò la sua vita a proteggere i deboli, agli studi arcani, e ad occuparsi dei suoi bambini, se in passato li aveva trascurati ora c’era sempre per loro e sempre ci sarebbe stata.
Ogni tanto tornava a casa con una ragazza, si frequentavano per un po’ di tempo ma si lasciavano sempre prima che qualcosa di serio sbocciasse, la mezzo-demone si era giurata che mai, mai e poi mai si sarebbe innamorata di nuovo…le persone che aveva amato giacevano ora sotto tre metri di terra, chiunque avesse amato sarebbe stato soggetto a rappresaglie dei suoi nemici.
Fu un passo duro per lei confessare ai Titans e soprattutto alla figlia adolescente di essersi riscoperta attratta dalla donne molto più che dagli uomini, ma i suoi amici non le voltarono mai le spalle e anche April, dopo un lungo periodo di rifiuto, alla fine aveva accettato la scelta della madre, ogni tanto lei, Corvina e la sua compagna di turno organizzavano anche delle uscite per sole donne.
Corvina visse serena coi suoi figli e con la sua omosessualità…almeno finchè non giunse il momento di introdurre Rick e Ruby alla meditazione per domare la loro vena demoniaca.
Bruce e April decisero di finirla lì e restare semplici amici del cuore, non potevano far partire una relazione conoscendo il loro legame di sangue…tuttavia spesso si trovavano su un letto a baciarsi e accarezzarsi in silenzio, non si erano mai spinti nell’atto vero e proprio, non si erano neppure mai visti nudi, ma ogni volta che finivano con l’unire le loro lingue le separavano dopo molti minuti pieni di rimorso, giurandosi che non l’avrebbero mai più rifatto…e puntualmente ogni volta lo rifacevano, un po’ più spinti, mentre le dita di entrambi si facevano più audaci sul corpo dell’altro, erano adolescenti, in balia del mare degli ormoni, chissà sei dolci baci e le tenere carezze al petto di April sarebbero un giorno sfociati in qualcosa di più intenso, incestuoso e magnifico?
Vivere con questo segreto era un bel peso per entrambi, non potevano ignorare il loro legame di sangue…ma nemmeno i loro sentimenti.
Rick e Ruby attraversarono una lunga fase traumatica dopo la morte del padre, in cui restarono chiusi nel loro silenzio, solo dopo molto tempo e molta terapia riuscirono a tornare i sorridenti bambini di prima, facendosi forza l’un l’altro e potendo sempre contare sulla loro famiglia adottiva, i Teen Titans.
Ma ormai un capitolo della vita del gruppo di eroi si era chiuso, con la morte di BB tutto era cambiato.
Tuttavia quando si chiude una porta si apre un portone.
E un portone si spalancò!
Quello della T-Tower quando fecero il loro ingresso i tre nuovi membri della squadra.
Erano solo bambini l’ultima volta che li aveva visti, ora il piccolo Teether era diventato un bel ragazzo di sedici anni, con una folta chioma bionda, profondi occhi azzurri e un fisico da pauuura: il sogno di ogni fanciulla.
Timmy Trantum era adesso un diciottenne scalmanato proprio come un tempo, i capelli rossi erano diventati una cresta punk, erano comparsi tatuaggi e piercing sulla sua pelle, ma sotto quell’aria da duro casinaro restava immutato il suo cuore d’oro.
E la più grande, la nuova leader della squadra, era la splendida Melvin, diciannove anni di grazia femminile e conoscenza delle arti marziali.
Sempre spalleggiata dall’inseparabile e invisibile Bobby, la ragazza era una nota spezza-ossa e spezza-cuori, tra cui si annoverava anche quello di Timmy, segretamente innamorato di lei.
Questi tre ragazzi, gli stessi pargoli di cui Corvina si era presa cura durante il complotto mondiale della Fratellanza del Male, assieme a Bruce ed April (e una volta cresciuti anche Rick e Ruby) sarebbero diventati i Nuovi Teen Titans!
Certo erano solo delle reclute inesperte ma Robin le aveva arruolate in modo che Jump City potesse sempre contare su giovani eroi al suo servizio anche quando gli attuali Titans non sarebbero più stati in grado di difenderla.
I Teen Titans non si sarebbero mai fermati, il loro nome sarebbe durato negli anni portato avanti da generazioni di giovani eroi al servizio della giustizia.
Ma per il momento erano gli attuali Titans a occuparsi dei criminali, mentre i ragazzini venivano addestrati a ciò che gli avrebbe riservato il futuro.
 
Nuovi eroi però attirano anche nuove minacce, i criminali erano appostati d’ovunque, vecchi e nuovi, e uno in particolare tramava nell’ombra…
 
Fratello Blood osservò la maschera i piedi della lapide, la prese in mano ghignando.
-In fondo “Fratello Blood” è sempre stato un nome stupido…Ghostface invece ha reso il suo immortale, un chiodo di paura che resterà per sempre fisso nella testa dei Titans.
E ora che lo ritengono morto sarà sicuramente ancor più sconvolgente per loro vederlo tornare in campo…e poi è così musicale: “Ghostface”…sublime- scoppiò in una risata malvagia posizionandosi la maschera col mezzo teschio sul volto.
-È tempo che il mondo conosca il nuovo Ghostface!!-
 
 
Fine.
 
Così si conclude l’ultimo capitolo della trilogia “Rigor Mortis” non posso crederci di esserci arrivato!
Lasciate ora che vi dica alcune cose.
Innanzi tutto i ringraziamenti a tutti i recensori di questa storia:
50shadesofLOTS_Always, Sempronia, Desert Eagle, Victus Mors, starfire02, Spinavelenosa, celeste regalo, Dreamer_13, _corvina_, Roby_rae, Kazua Koizumi, YuriMiharu, crocchia_ossa e eduardz811.
Non voglio dimenticarmi dei futuri recensori a cui lascio un “Grazie” già adesso, sperando di averne.
 
Adesso citerò tutti coloro che hanno messo me o Alive tra i preferiti, a loro un grazie ancor più intenso: 50shadesofLOTS_Always, PewdieFan, Victus Mors, _RavenEBB_, Aivilis296, arisuchan007, Calimetare, Cassiopea98, celeste regalo, crocchia_ossa, DarkLaser108, Dreamer_13, etta98, Khal Drogo, la_Gallina_Maddalena, olengu, robotpenguin, Selene99, Sempronia, Shoggot, Spinavelenosa, Thundersky, Toth e Yomi95 e chiunque altro la inserirà in futuro!
 
Un bacio a tutti voi!
E un ringraziamento particolare a tutti i lettori delle mie altre storie!!
 
VI ADORO RAGAZZI!!
Non avete idea della gioia che provo nel vedere che Ghostface, Revenge e Alive occupano il podio nelle più popolari, è commovente vedere anni di lavoro così premiati.
Io…penso che potei piangere dalla contentezza!!
Mai, mai, mai avrei sperato un risultato del genere!!
 
Questo messaggio invece è dedicato alle storie ancora in corso che sto seguendo.
Awaking, What will be, The angel of the darkness, L'inferno esiste solo per chi ne ha paura….vi decidete ad aggiornare?
So che può essere tedioso o faticoso o vi sentiate scoraggiati o abbiate altro da fare ma, per la miseria! Non smettete di scrivere!
 
Scusate se in questi anni non ho quasi mai lasciato recensioni, era una questione di scaramanzia, ma ora che Alive è terminato mi rifarò, vedrete.
 
E come vi dissi già in Revenge, un grazie anche a te, lettore!
Grazie per essere arrivato fino a qui, grazie per aver sopportato tutte le angherie a cui ti ho sottoposto, GRAZIE!!
 
E ora arrivan le dolenti note…
 
La serie del Rigor Mortis ha veramente avuto un successo insperato al punto che qualche fan sfegatato ha addirittura votato Ghostface affinché diventasse membro dei personaggi dei Teen Titans!!
All’inizio Ghostface era il personaggio più odiato che si sia mai visto nel fandom, ho ricevuto un sacco di recensioni in cui mi chiedevano di farlo crepare in modi atroci ma credo che col tempo anche lui si sia fatto i suoi fan, altrimenti come si spiega questo fatto?
Non fui io a proporlo ma il mio fratellino minore quando accidentalmente lasciai aperto l’account ma ammetto, preso dal mio cieco narcisismo, di avergli dato il mio voto.
Vorrei solo conoscere chi sono le altre 9 persone che devo ringraziare per questo traguardo.
Era l’ultima cosa che mi aspettavo, sul serio.
(anche se penso che prima o poi l’amministrazione lo toglierà)
 
Comunque quello che volevo dirvi è che tutto ha un termine, Rigor Mortis è definitivamente finito finchè ancora le sue storie erano belle e originali, avrei potuto tirare avanti chissà quanto col personaggio di Ghostface ma avrei rischiato di cadere nella banalità e nelle ripetizioni e ho preferito fermarvi finchè ancora ero in grado di sorprendervi.
Ho raggiunto una vetta insperata e, come tutte le cose belle, ho deciso che p meglio farla finita finché “Ghostface” è ancora un marchio affidabile per buone storie.
Quella passata qui è stata un’esperienza fantastica, che mi ha davvero cambiato, basta leggere i primi 5 capitoli di Ghostface e poi gli ultimi 5 di Alive per capirlo (non sembran neanche scritti dalla stessa persona!) ho ottenuto un successo che non avrei mai sperato e per tanto ho deciso di ritirarmi da campione dopo essermi lasciato alle spalle un nome degno di nota.
Vi ho dedicato la bellezza di 395 fogli word di storie sui Teen Titans e Ghostface, sorvolando sulle altre storie he ho pubblicato in questo sito, posso dire di aver scritto un vero e proprio libro su Teen Titans di quasi 400 pagine e ne sono orgoglioso.
Ma altre cose nella mia vita mi stanno portando via il mio tempo e devo ammettere che è stato davvero pesante per me scriver questi ultimi capitoli…quindi con le lacrime agli occhi che vi dico la mia avventura su EFP è finita.
Sono sempre stato uno scrittore di storie…ora mi dedicherò a leggerle.
Risponderò alle recensioni e ne lascerò a mia volta solo smetterò di pubblicare.
Non escludo che in futuro forse forse pubblicherò ancora qualcosa ma non vi prometto niente, ora come ora sono altre le priorità che ho davanti a me.
Quella che ho vissuto con voi e coi Teen Titans è stata un’esperienza stupenda che non voglio dimenticare e per tanto, visto che ho ancora molte idee che altrimenti non vedrebbero mai la luce sono pronto a regalarle a chiunque me le chieda (in cambio di un piccolo riconoscimento a inizio storia).
Avviso che le idee in questione sono in realtà poi solo 6, chi fosse interessato può chiederle in chat privata.
E con questo ho concluso ciò che avevo da dire, addio amici lettori, un saluto dal vostro Ghostface che emulando il suo alter-ego se ne va.
Non vi dimenticherò mai, voi che con le vostre incoraggianti recensioni mi avete spinto verso l’amore per la scrittura!
Grazie, un grazie a tutti voi.
Grazie e ricordatevi di me.
Addio.
 
Con affetto, per l’ultima volta su questo sito, il solo e unico The Ghostface.
 
 
 
 
 
 
 
Come in tutti i migliori film (o nei più squallidi) ecco a voi il paragrafo finale dopo i titoli di coda!
 
-Ma guarda un po’ che roba…- sbuffò l’impiegato comunale addetto alla pulizia della Riserva del Gufo.
-Che indecenza, siringhe dappertutto! Anche sulle tombe!- e detto questo si chinò a raccogliere la siringa vuota lasciata vicina alla lapide dell’unico uomo sepolto in quella riserva naturale.
-Tutta colpa di ‘sti drogati…bah!- gettò la siringa nel sacco dell’immondizia e si sollevò il cappello davanti alla tomba –Beh, signor Argenti io qui ho finito, ci vediamo la prossima settimana, sempre lo stesso posto, mi raccomando- sorrise dirigendosi verso il sentiero.
-Ho proprio bisogno di andare in ferie…- borbottò tra sé e sé il vecchio Perry –Fa te, che mentre ero vicino alla tomba dell’Argenti sentivo un soffuso battere ritmico, in continuazione, e ora che mi allontano non lo sento più, era come il tic tac delle lancette di un orologio, oppure un piccolo tamburo…anzi…era come…come il battito di un cuore-
 
 
Fine.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2880461