Noi, per sempre

di Fragolina84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Madre sta arrivando ***
Capitolo 2: *** Lei è Amaya ***
Capitolo 3: *** Ma che diavolo ti succede? ***
Capitolo 4: *** Non puoi nulla contro di me ***
Capitolo 5: *** Hai sbagliato i tuoi calcoli ***
Capitolo 6: *** Ti voglio ben oltre l’eternità ***



Capitolo 1
*** La Madre sta arrivando ***


Ci eravamo lasciati, alla fine di "Legami di sangue",
con Alexandra completamente dimentica della sua vita precedente.
Ora la ritroviamo a New York, in compagnia di Evelyn,
intenta a vivere una vita diversa.
Cosa è successo?
Buona lettura...

 


C’erano infiniti motivi per amare New York. Io non avrei saputo dire una sola ragione per non adorare quella splendida metropoli.
Aprii gli occhi: doveva essere mattino inoltrato dal modo in cui il sole sbucava da dietro i grattacieli. La mia stanza affacciava ad est sicché era la prima ad essere baciata dal sole e poi rimaneva esposta al suo calore per quasi tutta la mattina. Amavo così tanto il sole che avrei potuto rimanere tutto il giorno a crogiolarmi al suo calore. Sfiorai l’anello che portavo all’anulare sinistro: era grazie ad esso che potevo permettermi di stare al sole che altrimenti mi avrebbe ustionato la pelle più velocemente di quanto il mio sangue avrebbe potuto curarmi.
Qualcuno sospirò al mio fianco, ma non mi voltai. Mi bastava l’udito, talmente sviluppato da percepire il pulsare del suo cuore e il suono liquido e viscoso del sangue che gli scorreva nelle vene, per stabilire con chiarezza la posizione del ragazzo al mio fianco. Mi bastava l’olfatto per assorbire il suo odore, come di caramello bollente mischiato al sentore di sesso che aleggiava nella stanza.
Quando, la sera prima, l’avevo rimorchiato, non pensavo che si sarebbe rivelato così interessante tra le lenzuola. Nonostante dovesse essere piuttosto giovane, aveva dimostrato la malizia e l’inventiva di un uomo più maturo, cosa che mi aveva lasciata piacevolmente stupita.
Mi girai lentamente, puntando il gomito sul materasso e appoggiando la testa sulla mano, restando immobile ad osservarlo. Era un bel ragazzo, con il corpo forte e muscoloso. I muscoli del torace erano netti e definiti ed era stato piacevole strusciarsi contro di lui prima sulla pista della discoteca e poi in camera da letto.
I capelli neri gli ricadevano sulla fronte e glieli scostai con delicatezza, sfiorandogli la linea decisa delle sopracciglia. Le labbra morbide e carnose si tesero in un sorriso.
«Ti ho svegliato» mormorai. «Scusa».
Aprì gli occhi e mi fissò con uno sguardo azzurro quanto l’oceano.
«Buongiorno» disse, con la voce ancora piena di residui di sonno.
Si stiracchiò, facendo guizzare bicipiti e pettorali, mettendosi spudoratamente in mostra.
«Ho fame» esclamai e lui fece per alzarsi.
«Vado a prenderti qualcosa» replicò con galanteria, ma lo bloccai afferrandogli il braccio.
«Tranquillo, faccio da me».
Guardò sorpreso la mano sul suo braccio: di certo doveva avvertire la mia forza in quella stretta. Ero stata attenta tutta la notte, evitando di spaventarlo con le mie capacità. Sorrisi e lo fissai negli occhi.
«Ora sta tranquillo e non urlare» dissi con voce tesa. Sentii il mio potere sprigionarsi dagli occhi. Lui non si mosse, immobilizzato e in attesa.
Lasciai allungare i canini nella bocca mentre i miei occhi si tramutavano in quelli di un vampiro. Lui aveva paura, lo leggevo nei suoi occhi e lo sentivo dal suo odore, ma come gli avevo intimato, non si mosse né emise un fiato.
Spalancai la bocca e gliela posai sul collo. La vena venne spinta verso la superficie dalla mia suzione e i miei canini la bucarono, permettendo al sangue di riversarsi fra le mie labbra. Il suo cuore accelerò i battiti finché quell’assordante galoppata divenne il suo urlo di paura. Quei palpiti frenetici spinsero ancora più sangue nella mia gola, strappandomi un gemito di piacere.
Il sangue fluiva e dovetti faticare per mantenere il controllo, sforzandomi di allontanarmi prima di prosciugarlo del tutto. Sollevai la testa, leccando golosamente le gocce che stillavano ancora dai fori gemelli nel suo collo. Lo guardai negli occhi, scatenando ancora il mio potere su di lui.
«Non ricorderai nulla di ciò che è appena accaduto, e ora hai molto sonno e hai voglia di dormire».
Il ragazzo chiuse gli occhi e si assopì. Prima che perdesse del tutto conoscenza, mi incisi appena una vena del polso e gli feci colare fra le labbra qualche goccia del mio sangue, giusto per far richiudere la ferita sul collo.Mi stiracchiai e gettai le gambe giù dal letto. Infilai una vestaglia e uscii. Mi diedi un’occhiata nello specchio del corridoio: un piccolo rivolo di sangue aveva formato una linea cremisi all’angolo della bocca. Raccolsi quella gocciolina con il dito e la succhiai via.
Sentii una presenza dietro di me prima ancora di sentirne la voce.
«La tua colazione era buona quanto la mia?»
«Molto aromatica» replicai con un sorriso.
Mi voltai e incrociai uno sguardo corvino esattamente uguale al mio.
«Ciao, sorellina» dissi.
«Ciao tesoro» replicò lei.
Io e Evelyn eravamo gemelle. Il nostro aspetto era perfettamente identico, stessi occhi neri, stessi capelli corvini ondulati, stesso fisico atletico. Un solo particolare ci distingueva: Evelyn aveva una piccola cicatrice sul sopracciglio destro, l’unica imperfezione su un viso altrimenti perfetto.
Indossava un completo da jogging grigio e fucsia e aveva i capelli raccolti e trattenuti da un fermaglio.
«Mattiniera, eh?» constatai.
«Non tutti possono permettersi di poltrire a letto fino a tardi» mi rispose. «Dì la verità che dormi in una bara, nella più spiccata tradizione vampiresca!»
Ridacchiai. «Di quella parte della leggenda posso farne a meno. Ma nonostante io ami il sole, non posso negare che la notte sia il nostro regno». Strinsi le falde della vestaglia e sedetti sul divano di pelle nera. «In fondo anche tu dai il meglio di te quando calano le tenebre, o sbaglio?»
Evelyn non rispose, aprendo il frigo e scegliendo una bevanda energetica.
«Sei sparita molto prima di me ieri sera» insistetti.
«Sì, ma io sono già andata a correre, il che dovrebbe darti un’idea di quanto poco ne valesse la pena».
«Signorine, un po’ di contegno».
La voce profonda e graffiante di Kevin ci interruppe.
«Kevin, sei il nostro creatore, non nostro padre» esclamò Evelyn un po’ piccata.
Alzai lo sguardo: Kevin, il vampiro che aveva creato me e mia sorella, era sul pianerottolo del piano di sopra, dove lui e Malia avevano la loro stanza.
«Hai ragione. Ma sono anche il proprietario di questa casa e dei letti che entrambe avete quasi sfasciato stanotte».
«Davvero non avevi niente di meglio da fare che stare ad ascoltarci?» domandò Evelyn, il cui rapporto con Kevin era sempre stato piuttosto conflittuale.
«Buoni, ragazzi!»
Malia comparve dietro di lui, posandogli una mano sulla spalla. Aveva mantenuto nella sua seconda vita da vampira tutte le tinte e i toni della sua terra natale. Malia era colombiana sicché aveva la carnagione olivastra e gli occhi neri come pozze di petrolio, cosparsi di delicate pagliuzze dorate.
A differenza di Kevin, era molto dolce nei nostri confronti. Non che potessimo lamentarci del nostro creatore che ci aveva tenute con sé dopo averci trasformate. Ma lui era sempre severo e inflessibile, sin da quando eravamo neonate e ci aveva insegnato a nutrirci e a mantenere segreta la nostra vera identità.
Eravamo state fortunate, in effetti. Evelyn ed io eravamo orfane e una sera, mentre rientravamo da un giro di shopping, eravamo state aggredite da due vampiri in cerca di cibo. Non avevamo potuto nemmeno provare a difenderci, la loro forza era spaventosa.
Kevin e Malia ci avevano trovate per caso, attratti dalle nostre grida. Si erano sbarazzati dei due vampiri che stavano banchettando con il nostro sangue, ma le nostre ferite erano troppo profonde e l’unico modo per salvarci era stato trasformare entrambe. Ci avevano dato il loro sangue pochi istanti prima che il nostro cuore smettesse di battere e quando la morte ci aveva accolte fra le sue braccia, la trasformazione era cominciata.
Nessun vampiro dimentica il momento della sua rinascita, indelebilmente legato al dolore bruciante del sangue di vampiro che modifica e risana il suo corpo. Ciò che provai è ancora oggi il dolore più intenso che abbia mai sperimentato. Nemmeno un paletto di legno conficcato a fondo nella carne era minimamente paragonabile.
Tuttavia, dopo quelle ore di tormento agghiacciante, avevo ereditato una quasi immortalità – pur se difficili da uccidere, avevamo comunque qualche punto debole – e una giovinezza praticamente infinita, oltre a forza e velocità straordinarie e alla capacità di soggiogare gli umani con un solo sguardo. E non un solo bisogno fisico, eccettuata la fame.
«Evelyn, dovresti essere un po’ più rispettosa e tu, Kevin, non puoi lamentarti se le ragazze si portano a casa la cena. In fondo la loro discrezione è ampiamente dimostrata».
Le maniere pacate e tranquille di Malia stemperarono l’atmosfera e mentre la donna scendeva le scale con grazia, Evelyn parve rilassarsi e sedette accanto a me. Mentre la osservavo, i suoi contorni sfumarono, tremolando come fiamme davanti ai miei occhi. La sua aura cremisi ondeggiò come fumo mosso dalla brezza.
Oltre a tutte le capacità di un vampiro, il fato aveva dato a me un dono supplementare: ero in grado di percepire i vampiri e le altre creature magiche. I vampiri, come era appena accaduto con Evelyn, mi apparivano con un’aura rossa, dello stesso colore del sangue di cui avevano bisogno di nutrirsi. Per alcuni di loro, quelli più malvagi, l’aura era sfumata di nero ai bordi e maggiore era la quantità di nero, più cattivo era il vampiro in questione.
Le streghe avevano un’aura diversa, più soffusa e di colore azzurro ed erano molto più diffuse di quanto uno potesse immaginare. Anche per loro valeva lo stesso principio: se l’aura era sfumata di nero, era meglio stare alla larga.
C’erano poi altre creature: i licantropi, ad esempio. La loro aura era color ambra, così come si diceva che diventassero i loro occhi dopo la trasformazione. Da loro sì era necessario stare alla larga: il loro morso era letale per noi. Non ne avevo mai visto uno trasformato ma il solo percepire la loro aura (capitava raramente, si diceva che fossero quasi estinti) mi spaventava a morte, facendomi rizzare i capelli sulla testa.
Scrutando l’aura delle creature magiche potevo capire molte cose, come il loro umore o la loro età in anni immortali. Malia aveva circa centocinquant’anni, Kevin poco più di duecento. Io ed Evelyn, trasformate nello stesso momento, appena cinquanta.
«Quando hai intenzione di liberarti del cadavere nella tua camera da letto?» sbottò Kevin.
Malia gli lanciò un’occhiataccia, ma non disse nulla.
«Non è un cadavere, Kevin. Sta solo dormendo dopo avermi fatto da colazione» replicai. Era strano che si rivolgesse a me in quel modo. «Sei nervoso?» chiesi e “attivai” il mio potere, posando il mio sguardo su di lui.
La sua aura scoppiettava di energia nervosa, ondeggiando come una bandiera nel vento. Era decisamente teso, ma non poteva essere soltanto per i ragazzi che avevamo portato a casa. Non era la prima volta, non sarebbe stata l’ultima, e non c’erano mai stati problemi: ci aveva insegnato bene.
«Non usare i tuoi poteri su di me» ordinò e io distolsi l’attenzione dal turbinio della sua aura. Ma di fronte al suo tono arrabbiato avevo sussultato e lui se n’era accorto. Chiuse gli occhi e scosse la testa.
«Scusami» mormorò. «Hai ragione, sono nervoso. La Madre sta arrivando».
Schizzai in piedi. «Dio del cielo, cosa aspettavi a dirmelo?»
Sfrecciai in camera e svegliai il ragazzo. Era confuso e intontito dal sonno, dal precedente soggiogamento e dalla perdita di sangue. Feci lampeggiare di nuovo il mio sguardo nel suo.
«Ora vestiti e vattene» ordinai. «Non ricorderai di avermi conosciuta, né di essere stato a letto con me. Non mi hai mai vista».
Lui si mosse come un automa, si rivestì in fretta e uscì senza dire una parola né lanciarmi un’altra occhiata. Io non avevo tempo di accompagnarlo: mi infilai sotto la doccia e mi preparai in fretta ma con estrema cura. Un incontro con la Madre era cosa da non sottovalutare.
Quando uscii dal bagno, Evelyn sedeva sul mio letto, sempre sorseggiando al bevanda energetica direttamente dalla bottiglia.
«Non so come fai a bere quella roba» borbottai.
«Mi piace il sapore» rispose lei, facendo spallucce.
«Più del sangue?» chiesi, lanciandole uno sguardo allo specchio mentre mi infilavo gli orecchini. Lei non rispose, ma sogghignò e mi mostrò i canini.
«Credi che la Madre venga per te?» mi chiese, facendosi seria.
«No, direi per il criceto dei vicini» scherzai.
Evelyn sbuffò. «Credi che sarà come l’ultima volta?»
Rabbrividii istintivamente. L’ultima volta mi aveva obbligata ad usare i miei poteri magici finché ero svenuta ed ero rimasta priva di sensi per un giorno e mezzo.
«Non credo» risposi. «Non si sarebbe fatta annunciare con così poco preavviso».
Il campanello squillò e io non potei impedirmi di rabbrividire di nuovo.
«Va’ a vestirti» dissi a mia sorella, che indossava ancora il completo da jogging. «Sai che ci tiene alla forma».
Uscii dalla mia stanza e scesi velocemente al piano di sotto, proprio mentre Kevin apriva la porta. Era vestita di bianco, come sempre. I capelli erano sottili e lunghi fino a metà schiena, dritti e di un colore troppo chiaro per essere definito biondo. Gli occhi erano sempre la parte più inquietante di lei, talmente azzurri da apparire quasi bianchi. Kevin e Malia si inchinarono e lei sorrise.
«È un onore incontrarti di nuovo» disse Kevin, facendole segno di entrare. Lei non rispose se non con un lieve cenno del capo.
Si fece avanti, dominando istantaneamente l’intera stanza. La sua aura azzurra era la più potente che avessi mai visto. Sembrava quasi crepitare di energia e mentre mi si avvicinava ne sentii la terribile forza come una costrizione al petto che se fossi stata umana mi avrebbe impedito di respirare.
Chinai il capo. «Buongiorno, Madre» mormorai.
La sua vicinanza era sufficiente a farmi formicolare ogni terminazione nervosa, ma quando tese la mano e mi sfiorò il mento per farmi alzare la testa, quasi sussultai per la scarica di energia che ricevetti.
«Scusami, mia cara» rispose con una voce sottile quanto la sua figura, accorgendosi di quanto percepissi il suo potere e affrettandosi a mascherarlo con la magia. La sua aura si ridimensionò, restando a fluttuare attorno al suo corpo con la delicatezza di una piuma.
«Dov’è Evelyn, tesoro?» chiese, guardandosi intorno.
«Sono qui, Madre» rispose lei, spostando l’attenzione di tutti su di sé.
Con mio grande disappunto, mi accorsi che indossava ancora il completo da ginnastica. Il disappunto non fu comunque solo mio: percepivo le emozioni di tutti nella stanza e l’aura della strega frustò l’aria come la coda di un leone arrabbiato.
«Scendi, piccola». La voce della Madre sembrava non essere cambiata, ma io conoscevo bene quel tono e c’era veleno mascherato sotto il miele. «Così posso darti un’occhiata» aggiunse. Evelyn sfrecciò di sotto e la fronteggiò.
Per noi era la Madre, ma è chiaro che non era un genitore biologico, né tantomeno la nostra creatrice, dato che non era neanche un vampiro. Ma era una strega potentissima che ci aveva prese sotto la sua ala – me soprattutto – sin da quando eravamo neonate nella nostra seconda vita. Non ricordo se fosse stata lei a volere che la chiamassimo Madre – i primi giorni da vampiro erano confusi in un interminabile desiderio di sangue – o se l’avessimo fatto d’istinto, ma l’appellativo era rimasto.
A ben vedere, non conoscevo nemmeno il suo vero nome. Ciò che invece sapevo era che quella strega mi aveva insegnato a controllare i miei poteri e a far sì che potessi usarli per proteggermi, insegnandomi a riconoscere l’età e la forza dei vampiri con cui entravo in contatto. A suo dire, io ero l’unica vampira che avesse mai incontrato che fosse in grado di usare la magia e mi aveva insegnato diversi incantesimi.
Quando mia sorella aprì la bocca per parlare, lessi nel suo sguardo che le sue parole avrebbero fatto infuriare la Madre e pronunciai dentro di me un incantesimo che le tappò la bocca. Nessun suono uscì dalle sue labbra e mi lanciò un’occhiata più rovente del sole. Sei una guastafeste, mi stava dicendo con quello sguardo, ma mi affrettai a riportare l’attenzione sulla strega.
«Molto bene, Alexandra» mi complimentò. «Molto ben fatto, mia cara».
«Grazie, Madre» mormorai, guardando di sottecchi la mia gemella, ancora muta.
La Madre si rivolse ad Evelyn: «Puoi andare, piccola. Con te farò due chiacchiere più tardi».
Evelyn parve volersi ribellare a quel congedo, ma il mio incantesimo la zittiva ancora perciò girò sui tacchi e tornò nella sua stanza. La strega mi sfiorò la spalla e il contatto mi trasmise un fremito: nonostante stesse schermando il proprio potere, la sua aura era potentissima, talmente estesa da sfiorare la mia, ben più contenuta.
«Vieni, tesoro. Sediamoci». Poi si rivolse a Malia. «Puoi portarmi qualcosa da bere, per favore?»
Malia chinò il capo con eleganza e si diresse in cucina. Io sedetti accanto a lei, mentre Kevin si accomodò sulla poltrona di fronte a noi.
«A che dobbiamo questa visita?» domandò lui, quasi con cautela.
«Sono qui per Alexandra». Quelle quattro parole, pronunciate con calma e tranquillità, mi spaventarono più degli assassini che cinquant’anni prima avevano aggredito me e mia sorella.
«Ci sono vampiri che ti stanno cercando» disse la strega senza preamboli. «Sono potenti e ti vogliono per lo stesso motivo per cui chiunque ti cerca: i tuoi poteri e la tua capacità di usare la magia».
Era sempre la solita vecchia storia. Io e la mia “famiglia” di vampiri ci eravamo trasferiti spesso per lo stesso motivo: io ero una novità nel mondo delle creature magiche e ogni tanto qualcuno veniva a cercarmi, desideroso di mettere le mani su un tale trofeo.
La Madre proseguì: «Devo essere certa che tu sia al sicuro, tesoro. E tu sai bene che l’anonimato è tutto per te».
Sapevo bene, purtroppo, cosa significavano quelle parole: la Madre avrebbe testato la mia magia e il processo sarebbe stato tutt’altro che piacevole.
«Quando ti sei nutrita?» chiese.
«Stamattina».
«Molto bene» replicò. «Allora direi che potremmo metterci subito al lavoro, che ne dici?»
Annuii, anche se dentro di me il desiderio era quello di fuggire il più lontano possibile da quella prova.
 
Eravamo in una diramazione abbandonata della metropolitana. Non c’era corrente elettrica lì: il buio non era un problema per me, ma la Madre non era un vampiro e aveva acceso alcune fiaccole con il suo potere, fiammelle azzurre che fluttuavano ad una certa altezza da terra.
Eravamo scese in profondità perché lei potesse usare i suoi poteri senza attirare l’attenzione delle altre creature magiche. Lì avrebbe potuto scatenare la sua potenza senza correre rischi.
Ero vestita di scuro, con jeans neri e una pesante giacca di pelle: non che avessi bisogno di difendermi dal freddo, ma indossare quegli abiti mi faceva sentire a mio agio, in quel sotterraneo. La Madre indossava il solito fluttuante abito diafano.
Ci fronteggiavamo, a circa cinque metri di distanza l’una dall’altra.
«Sei pronta?» mi chiese, la voce che echeggiava stranamente nel cunicolo in penombra. «Ora, nascondi la tua aura».
Mi concentrai, facendo scemare la mia aura finché sentii che non emanava più le sue caratteristiche vibrazioni. Fu come se una barriera invisibile fosse sorta a proteggermi, rendendomi anonima. Quell’esercizio, ripetuto all’infinito, mi era diventato ormai familiare e non occupava che una minima parte della mia mente.
«Molto bene» approvò la strega. A quel punto nessuno avrebbe capito che io ero un vampiro. Nessuno poteva capirlo, se non ero io a volerlo, cosa che mi aveva salvato la vita più volte.
Improvvisamente, la Madre liberò il suo potere. La sua aura fiammeggiò verso l’alto, impressionante come mai ne avevo viste. Lei non muoveva un muscolo, ma io tenevo d’occhio quel muro magico e lo vidi mentre si curvava verso di me. Con una velocità che ingannò anche i miei riflessi vampiri, la strega scagliò il suo potere verso di me. Sebbene fossi pronta ad affrontarla, barcollai e feci un passo indietro: era come essere stata investita da un treno ad alta velocità. Mi raddrizzai velocemente, ben sapendo che l’attacco non sarebbe terminato per mano sua: ero io che dovevo respingerla.
Usai la magia per ispessire la barriera di cui mi ero circondata, cercando di renderla immune al suo attacco. L’aura della Madre sfiorò lo sbarramento che avevo creato. Sapevo che non riusciva a percepirmi come vampira: per difendere il mio anonimato (e la mia vita) era importante che chiunque avessi incontrato fosse convinto che io fossi umana e non una creatura magica.
Un formicolio mi percorse il corpo quando la strega cercò un varco nella barriera. Non lo trovò, ma la magica esplorazione durò un bel po’. Quando si ritrasse, mi sentivo spossata come non mi accadeva da quando ero umana.
«Eccellente, Alexandra» lodò e io sorrisi, rilassandomi leggermente.
Non la vidi nemmeno arrivare. La scarica di energia con cui mi colpì mi fece volare indietro e sbattei violentemente contro la parete di cemento armato del tunnel. L’osso della spalla destra uscì dalla sua sede e il dolore mi trafisse. Riuscii comunque a non perdere il controllo della magia, ma mentre mi rialzavo il suo attacco continuò, in rapide stoccate violente.
Percepii chiaramente una crepa nel mio bozzolo protettivo e seppi che non sarei durata a lungo. Mi rialzai, cercando di concentrare le energie sui punti vulnerabili. Ma come lo feci, lei seppe che stavo giocando in difesa e attaccò con più veemenza proprio nei punti che cercavo di difendere.
Mi afferrai il polso e tirai lentamente ma con forza. Strinsi i denti per non gridare, mentre la lussazione si sistemava. Quando l’osso fu al suo posto, sentii che il mio sangue iniziava a curare muscoli e tendini lesionati.
Con orrore mi resi conto di essere stremata. La Madre non si era mossa e non c’era segno evidente della quantità di energia che mi stava riversando addosso. Per lei quella era una bazzecola.
«Avanti, Alexandra. Respingimi» mormorò, mentre una nuova ondata di energia mi colpiva. La crepa sul muro magico che mi proteggeva si fece più estesa. Non avevo più forza per mantenerlo intatto, figurarsi per rispondere all’attacco.
«Non ci riesco, Madre» dissi con voce spezzata.
«Sì, che ce la fai. Devi farcela» replicò lei, continuando a martellarmi.
All’ennesimo attacco, la strega fece breccia e sentii un forte dolore alla testa: gridai e caddi in ginocchio.
«Respingimi, Alexandra» ripeté. «Alzati e combatti».
«Non ce la faccio» rantolai, mentre il dolore mi perforava il cervello come una lama incandescente.
«E allora muori» disse con severità. «Ma sai bene che se muori, non ci sarà più nessuno a proteggere Evelyn».
Ormai aveva sfondato la mia guardia e mi riempì il cervello di immagini. Sapeva quanto ero legata alla mia gemella e usò il nostro legame contro di me.
Vidi Evelyn in un vicolo mentre veniva attaccata da diversi vampiri. Si difese strenuamente, ma l’assediarono con rabbia finché uno di loro le infilò la mano nel petto, deciso a strapparle in cuore.
Mi raggomitolai su me stessa, artigliandomi la testa con le mani, cercando di fuggire a quelle visioni.
«Ti prego, Madre» supplicai.
L’immagine cambiò, ma non il soggetto. Sapevo che quelle che stava creando nella mia testa erano niente più che illusioni, eppure mi ferivano nel profondo. Mentre osservavo esterrefatta, Evelyn fu trafitta da un paletto e il suo corpo iniziò a raggrinzire.
«Evelyn, no!» gridai, ma l’immagine svanì, lasciandomi con un gelido senso di vuoto.
«È questo che succederà se lascerai che i tuoi avversari vincano» sibilò la Madre, con spietata onestà.
Un’altra tremenda fitta alla testa mi fece gemere e digrignare i denti, mentre osservavo me stessa piangere disperata davanti ad un rogo su cui Evelyn si contorceva freneticamente, cercando di sfuggire alle fiamme che la stavano uccidendo.
«La colpa della sua morte ricadrà interamente su di te» inveì, mentre le cruente allucinazioni si susseguivano, finendo per mostrare le mie mani lorde di sangue, il sangue di mia sorella.
«No!»
Quell’unica parola sgorgò dal nucleo stesso in cui nasceva la mia magia, ma non fu l’unica cosa che uscì da me. Un’esplosione di luce bianchissima scaturì dal mio petto, diretta a velocità folle verso la Madre. Fendette la sua aura e lei ebbe un istante soltanto per alzare la mano con il palmo aperto e bloccarla. Il braccio le tremò di fronte a quell’assalto, cosa che non era mai accaduta con i miei attacchi, che lei aveva sempre respinto senza nemmeno muoversi.
Così com’era comparsa, la luce si spense all’improvviso e io mi ritrovai svuotata di ogni energia. La mia vista si tinse di nero e si restrinse finché crollai a terra e mi abbandonai alle tenebre.

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Capitolo 2
*** Lei è Amaya ***


Ma come sono andate veramente le cose
quel giorno sulle rive del lago Turner?
Lo scopriamo attraverso il punto di vista
di Damon Salvatore.
E scopriremo anche come se la sta
cavando lui senza la sua Alexandra.
A voi...

 

Una sola, fragile freccia scoccò dall’arco di Jeremy e volò precisa e veloce come se fosse telecomandata. Sapevo che Jeremy era in gamba, ma non pensavo che fosse così in gamba.
La vampira mora che tanto scompiglio aveva portato a Mystic Falls fu colpita alla spalla, ma il gemito di dolore non arrivò dalla direzione che mi aspettavo.
Fu Alex a singhiozzare e mentre mi voltavo vidi che si stava accasciando sul terreno. Si teneva la spalla, la stessa colpita su Evelyn, e il sangue scuro iniziava già a bagnare il tessuto della camicia bianca che indossava. Mi guardai intorno, cercando di capire da dove fosse arrivato l’attacco.
Mi inginocchiai, mentre il grido di Alex mi trafiggeva cuore e cervello. Non riuscivo a capire cosa fosse successo, ma in quella radura c’era più di quanto i nostri occhi potessero vedere.
Udii dietro di me uno sbuffo irritato e mi resi conto che Evelyn doveva aver colpito Tyler, cercando di fuggire verso il lago. Se si fosse lanciata in acqua avremmo potuto seguirla, ma avremmo dovuto rinunciare all’aiuto di Bonnie e Jeremy.
Alexandra spalancò gli occhi e gridò, chiamando Bonnie. La ragazza intuì subito e vidi che usava la magia per bloccare Evelyn, alzando la mano e tendendola verso di lei. La vampira si bloccò come se avesse sbattuto contro un muro, portandosi subito le mani alla testa. Anche io avevo provato sulla mia pelle il suo potere e sapevo quanto dolore poteva causare solo imponendo una mano.
Ciò che mi sconcertò fu che Alexandra si contorse fra le mie braccia, preda della stessa sofferenza che aveva colpito la sua gemella. E d’improvviso capii: le due sorelle erano legate. Ciò che provava Evelyn lo sentiva anche Alexandra, con la stessa intensità.
Alzò gli occhi su di me, mentre grosse lacrime scendevano oleose dai suoi occhi.
«Ti prego. Fallo smettere» sussurrò e, come raramente mi era accaduto, mi sentii impotente. Non c’era nulla che potessi fare, ma se fosse servito, mi sarei aperto il petto e straziato il cuore, pur di farla stare bene.
«Bonnie! Fa’ qualcosa!» gridai furioso, mentre un nuovo spasmo le faceva inarcare la schiena. Poi i suoi occhi si fecero vacui e assenti. Erano spalancati, ma ero certo che non potesse vedermi.
Mentre la guardavo, la vidi tendere la mano verso il nulla, come se stesse sognando. La chiamai ma non sortii alcun effetto. Nonostante tutto, un mezzo sorriso trasognato le incurvò le labbra. Pensai che Bonnie avesse trovato una soluzione, ma d’un tratto Alexandra scomparve e io mi ritrovai a stringere l’aria.
Mi voltai per notare che anche Evelyn era scomparsa. Guardai Bonnie, ma lei scosse la testa, incredula quanto me di fronte a quel fenomeno. Abbassai gli occhi sulle mie mani, incapace di comprendere ciò che era accaduto.
Stefan fu al mio fianco in un secondo.
«Che è successo?»
«Non lo so» risposi, alzando lo sguardo su di lui.
Mi svegliai di soprassalto, gridando al buio la mia angoscia. Ansimavo e, giacché non avevo bisogno di ossigeno, ciò dava l’idea del mio turbamento. Non potevo nemmeno dire che il cuore mi martellasse nel petto perché non batteva più da decenni ma, se fossi stato umano, certo mi sarebbe uscito dalla gabbia toracica.
Mi misi a sedere sul letto, non riuscendo ad impedirmi di guardare alla mia destra dove avrebbe dovuto esserci lei. Ma l’altra metà del letto era vuota, così come vuota era la mia anima da quando l’avevo perduta.
Avevo strappato di nuovo le lenzuola durante quell’incubo ricorrente e le gettai di lato, infastidito. Con i soli pantaloni del pigiama addosso, scesi al piano di sotto. Il fuoco nel caminetto era quasi estinto, perciò presi un ciocco e lo gettai sui tizzoni, smuovendo la cenere finché il legno non s’incendiò.
Mi avvicinai al tavolino e afferrai la pesante bottiglia di whisky. Tolsi il tappo e me ne versai una dose generosa, ma la mano tremava talmente tanto che la bottiglia sbatacchiò rumorosamente contro il bordo di cristallo del bicchiere. La posai e strinsi il pugno con forza tale da sentire le ossa scricchiolare.
Sedetti sul divano, davanti al fuoco che scoppiettava, e lasciai che il calore bruciante del liquore mi invadesse. Ma né l’alcol né le fiamme nel camino riuscivano a scacciare il gelo di quella notte e del sogno che mi aveva tormentato.
Le notti erano così difficili, da quando Alex era scomparsa, peggiori di quanto lo erano state quando ancora non la conoscevo. Erano una delle parti che preferivo del nostro rapporto e non certo per la passione, che comunque non era da sottovalutare. Durante la notte avevo imparato a conoscerla, ad ascoltarla, a godere della sua mente oltre che del suo corpo, e mi ero scoperto perdutamente innamorato di lei.
Quando ancora ero umano, una donna era entrata nella mia vita, trascinandomi in un vortice di passione e lussuria. Credevo di essere innamorato di lei ma a conti fatti mi stava solo usando, seducendo allo stesso tempo anche mio fratello Stefan, colui del quale era veramente invaghita. Alla fine si era rivelata essere un vampiro e aveva trasformato entrambi, obbligandoci a una vita da non morti.
Nonostante tutto, l’amavo. O almeno lo credevo, all’epoca. Poi era stata catturata e io mi ero trovato di fronte alla convinzione che fosse morta. Pensavo di non poter sopportare un’eternità senza di lei, il dolore era troppo forte. Perciò avevo spento la mia umanità, attivando quel piccolo interruttore nel mio cervello. Ero sceso a patti con la natura più bestiale del mio essere vampiro, facendo cose di cui ora che sono tornato a vivere, mi pento. Ma non sentivo nulla, non volevo sentire nulla, e tutto si confondeva in un lungo incubo di sangue.
Poi mio fratello era tornato a Mystic Falls e aveva incontrato una ragazza che era la sosia perfetta della Katherine che ci aveva sedotti un secolo e mezzo prima, crudeltà a parte. Elena le assomigliava solo nel fisico, e il suo animo gentile era stato la mia medicina, sufficiente a farmi ritornare in me e spingendomi ad accendere di nuovo i miei sentimenti.
Avevo avuto una storia con lei, ma era successo tanto tempo prima, finché ci eravamo resi conto che la nostra era una storia malata. Ci eravamo detti che era perché ci amavamo troppo, ma con il senno di poi riconobbi che non era a me che Elena era destinata. Doveva stare con Stefan e ora, effettivamente, faceva coppia con lui.
Ma quando mi ero quasi rassegnato a stare da solo, convinto che non avrei mai potuto amare qualcun’altra oltre a Katherine ed Elena, Alex era arrivata nella mia vita. Era entrata al Grill come una cliente qualsiasi, mascherando la sua natura tanto che l’avevo scambiata per un’umana. Era bellissima, con i lunghi capelli neri sparsi sulle spalle, i pantaloni scuri che le fasciavano le gambe come una seconda pelle e una giacca nera la cui zip era aperta sul seno esuberante.
Ricordo che avevo interrotto la partita di biliardo – lasciando mio fratello e Jeremy impalati presso il tavolo verde – e mi ero seduto accanto a lei, tentando l’approccio morbido che funzionava con tutte le ragazze.
E aveva funzionato anche con lei. Fingendo di essere soggiogata, alla fine se n’era andata ma la notte stessa era tornata. Solo dopo avrei saputo che era tornata per me.
Quando era stato chiaro che non era una minaccia per noi, ci aveva raccontato di essere in fuga dal vampiro che l’aveva creata e con cui era rimasta per i due secoli successivi alla sua rinascita. Julian la voleva per la sua capacità di percepire le creature magiche e anche perché era la sua donna e non aveva digerito benissimo il fatto che lei fosse fuggita.
Alex ci aveva avvertiti che se si fosse fermata a Mystic Falls prima o poi Julian l’avrebbe trovata ma io non avevo voluto darle ascolto. In verità, a quel punto nemmeno lei aveva molta voglia di andarsene. E Julian era arrivato, deciso a riprendersi la sua donna.
Non ce l’aveva fatta, nonostante un manipolo di vampiri quasi millenari che erano la sua guardia personale. Ci aveva sottovalutati, così come avevano fatto altri prima di lui, e aveva perso. Alexandra stessa gli aveva strappato il cuore, vendicando la sua famiglia che lui aveva assassinato.
A quel punto pensavo che avessimo diritto ad essere lasciati tranquilli ma, tornati da una vacanza in Indonesia, ci eravamo trovati una nuova gatta da pelare. La sorella gemella di Alexandra, che lei credeva morta tre secoli prima per mano di Julian, era ricomparsa sulla scena, e aveva deciso di scegliersi le sue cene a Mystic Falls.
Alex era rimasta parecchio sconvolta dal ritorno della sua gemella, che lei credeva fosse stata uccisa insieme al resto della sua famiglia, ma ancor di più dal cambiamento avvenuto in lei. Il legame che avevano da ragazze si era bruscamente interrotto – al punto che Evelyn era l’unico vampiro che Alex non riuscisse a percepire – e la ragazza si era trasformata in un’assassina in cerca di vendetta. Odiava Julian per averla trasformata, incolpava Alexandra di averla abbandonata e aveva giurato a se stessa di uccidere entrambi.
L’avevamo catturata ma era furba ed era riuscita a scappare, e Alex ci aveva quasi rimesso la vita. E poi eravamo arrivati sulla riva del lago. Evelyn era in trappola ma, quando l’avevamo colpita, anche Alex era crollata a terra.
Quel legame spezzato tre secoli prima non era scomparso, aveva solo cambiato forma. Ora Alex sentiva il dolore dell’altra come proprio e quando Bonnie aveva cercato di fermare Evelyn con la magia, anche Alex ne aveva patito le conseguenze. E poi, improvvisamente erano sparite entrambe.
L’incubo che mi tormentava incessantemente non era un prodotto della mia fantasia: erano i fatti, così come erano accaduti quella disgraziata sera di un mese prima.
Alexandra era svanita mentre era fra le mie braccia. Non c’erano stati lampi di luce o eventi visibili: semplicemente, un attimo prima era lì, l’attimo successivo non c’era più.
Avevo subito chiesto spiegazioni a Bonnie perché era evidente l’intervento magico, ma la ragazza era confusa quanto me.
«Non so cosa sia successo, Damon» mi aveva detto. «È intervenuta una magia più forte della mia, ma non saprei dire di cosa si trattasse. Non ho mai sentito una cosa del genere».
Eravamo ritornati in fretta e furia alla villa e Bonnie aveva tentato un incantesimo di localizzazione. Sulla cartina che avevamo usato per individuare Evelyn c’era ancora il sangue di Alex e la strega l’aveva usato per la sua magia, ma senza risultato.
«C’è qualcosa che mi blocca» aveva concluso, dopo aver tentato invano più volte. «Come se qualcuno avesse eretto uno schermo che m’impedisce di sentirla».
«Ma sta bene?» le avevo chiesto. Quella era la mia unica preoccupazione: per il resto, avrei messo a soqquadro il mondo intero per trovarla.
«Non posso dirlo. Non sento nulla» erano state le sue parole.
Da allora era trascorso un mese di giorni bui e notti maledette. Io non ero certo stato con le mani in mano e avevo smosso anche le montagne per trovarla, ma sembrava svanita nel nulla, quasi che la sua presenza al mio fianco non fosse stata altro che un sogno.
Avevo provato con le vie convenzionali, chiedendo allo sceriffo Forbes di muovere tutti i fili a cui aveva accesso. La donna si era impegnata nella ricerca, chiedendo ai colleghi delle contee vicine notizie su eventuali strani omicidi o su due gemelle brune che si fossero fatte notare in paese. Non ne era uscito nulla, ma la cosa non mi stupiva più di tanto: se qualcuno era riuscito a farle magicamente sparire, era qualcuno di veramente molto potente, e di certo le stava tenendo nascoste.
Ciò che trovavo strano, invece, era il fatto che Alex non fosse tornata da me, ma per questo c’erano mille spiegazioni possibili. Mi rifiutavo categoricamente di pensare che le fosse successo qualcosa di grave e non mi sfiorava il cervello nemmeno il fatto che non volesse più stare con me. L’unica ipotesi plausibile era che fosse trattenuta da qualche parte contro la sua volontà, impossibilitata perciò a tornare da me. Era l’unico pensiero che il mio cervello in panne mi permettesse di elaborare.
Rovesciai la testa all’indietro quando udii dei passi. Elena stava scendendo le scale, le belle gambe che spuntavano da sotto una delle camicie di mio fratello, abbottonata in modo sbilenco. Anni prima quella visione mi avrebbe riempito di gelosia, ora non mi faceva alcun effetto.
«Non riesci a dormire neanche stanotte?» mi chiese, cercando di sistemarsi i capelli scompigliati dal cuscino.
«No» risposi. «Tu, invece?»
«Ho sentito dei rumori e sono scesa a controllare». Sedette in fondo al divano, tirando giù la camicia perché le coprisse le cosce. «Avrei dovuto immaginare che eri tu».
Le allungai il bicchiere, ma Elena scosse la testa.
«La troveremo, Damon» mi disse all’improvviso. Io annuii, ma cominciavo a pensare che la cosa fosse più complicata di quanto avessimo previsto.
«Torna a letto, o Stefan verrà a cercarti» le dissi. Avrei voluto trattenerla perché mi facesse compagnia, ma Damon Salvatore non si mostrava mai (o quasi mai) nella sua fragilità. E, dato che sentivo di aver bisogno di una dose di deprimente autocommiserazione, era meglio che tornasse di sopra.
Lei capì, perché mi conosceva bene. Sorrise dolcemente e si alzò. Si tese e mi baciò la guancia; poi, senza una parola, tornò di sopra.
La promessa dell’alba era già nel cielo e non c’era possibilità di tornare a letto, non sarei riuscito a riprendere sonno. Perciò tornai di sopra, infilai una tuta e saltai giù dalla finestra, atterrando silenziosamente sul vialetto.
Iniziai a correre a velocità umana, così come avevo imparato a fare ogni mattina. Avevo scoperto che quel passatempo era il metodo migliore per svuotare la mente, e staccare un po’ dai morbosi pensieri che infestavano il mio cervello.
Di solito evitavo i posti dove ero stato con lei, ma quel giorno, quasi inconsapevolmente, tagliai per il bosco accanto alla casa. Era ancora buio, ma i miei occhi non avevano bisogno di luce, sicché correvo in scioltezza, ascoltando i rumori che mi circondavano.
Quando sbucai sul promontorio roccioso da cui si gettava la cascata che dava il nome alla nostra cittadina, il buio stava cedendo il passo al nuovo giorno. Il sole spuntò sulla sommità dei rilievi, illuminando la zona di boschi e la pianura sottostante.
Sedetti su un masso, chiedendomi se anche Alex stesse osservando quella stessa alba. Mi sembrava così strano che non fosse al mio fianco, come se fossimo sempre stati insieme.
Il sole mi inondò di luce e istintivamente toccai l’anello che portavo sul medio della sinistra, facendolo girare attorno al dito. Era quello che mi permetteva di stare al sole senza rivelare la mia natura di non morto.
Rimasi lì a lungo, seduto sullo stesso masso dove Alex mi aveva trovato dopo che avevamo litigato. Che perdita di tempo, quella litigata! L’unico risultato era stato perdere una notte con lei e, se avessi saputo che non sarebbero state illimitate come avevamo pensato, l’avrei gestita diversamente.
Sbuffai e mi rialzai. Il momento autocommiserazione era terminato e il sole era alto nel cielo. Un altro giorno era iniziato e forse sarebbe stato quello in cui avrei ritrovato la mia donna. Era l’unico pensiero che mi aiutava a tirare avanti.
Ritornai sui miei passi e, giunto davanti a casa mia, notai l’auto di Jeremy. Quando entrai però non vidi il Cacciatore ma solo Bonnie, in compagnia di un’altra ragazza. Aveva il viso sottile, reso ancor più fine dai capelli biondi e lisci che le scivolavano fino alle spalle. Gli occhi azzurri erano profondi nonostante la sua giovane età.
«Ciao Damon» mi salutò Bonnie. «Lei è Tani» proseguì, facendo un gesto verso la ragazza bionda.
«Ciao» dissi ad entrambe, tendendo la mano verso la nuova arrivata che Bonnie si affrettò a presentare meglio.
«Tani è una strega e forse può darci informazioni importanti per ritrovare Alex».
Le sue parole mi provocarono una scarica di elettricità lungo la spina dorsale e girai lo sguardo su Tani che non aveva ancora detto nulla. Le indicai di sedersi e lei prese posto sul divano. Bonnie sedette con lei, mentre io rimasi in piedi, troppo agitato per potermi mettere comodo.
Bonnie prese la parola. «Come sai, quando Alex è scomparsa, ho chiesto aiuto alla comunità delle streghe».
Subito dopo la sparizione della mia ragazza, Bonnie aveva mosso tutte le sue conoscenze. Serviva molto potere per una magia del genere, quindi doveva trattarsi di qualcuno molto potente, qualcuno che non sarebbe passato inosservato tra le streghe.
«Tani crede di aver capito chi ha operato quella magia» concluse, guardando la ragazza e invitandola a parlare.
La biondina frugò nella borsa e ne estrasse un libro. Era vecchio e consunto, come se fosse stato sfogliato infinite volte. Le pagine erano di carta spessa e scurita dagli anni e la copertina grigia e senza simboli era macchiata e con i bordi sfrangiati.
«Questo è il grimorio di una delle mie antenate» disse Tani, con una voce bassa e musicale. Sfogliò le pagine, che frusciarono come pergamena. «Si è scontrata con qualcuno che presentava una magia simile a quella che mi ha descritto Bonnie».
Tani trovò ciò che cercava e girò il libro verso di me. La pagina era ricoperta di una fitta scrittura fatta con un inchiostro sbiadito. Le parole erano incomprensibili, scritte in latino o in chissà quale lingua, e su un lato c’era un disegno, fatto con pochi semplici tratti.
Era il disegno di una donna dalla figura sottile e flessuosa, vestita di bianco, collo alla Modigliani e lunghi capelli chiari. Il viso era appena accennato, sicché i tratti erano indistinguibili.
«Lei è Amaya» disse Tani, indicando la donna del semplice ritratto. «È una strega potentissima e la mia antenata dovette reclutare molte streghe per sconfiggerla».
Osservai la figura, cercando di ricordare se Alex me ne avesse mai parlato, ma né il nome né la fisionomia appena abbozzata eppure molto caratteristica mi dicevano nulla.
«Aspetta un momento. Quanti anni sono passati da quello scontro? Come può essere la stessa? Le streghe non sono immortali, non può essere sopravvissuta, è passato troppo tempo».
Tani abbassò gli occhi sulle pagine del grimorio. «Qui dice che, al prezzo di decine di vite, riuscirono a respingere Amaya, e non ne seppero più nulla. Ma il motivo per cui si erano messe contro di lei era che Amaya stava cercando di creare un elisir di immortalità».
Rimasi in silenzio per qualche istante, meditando su quelle rivelazioni.
«A questo punto dobbiamo dedurre che Amaya abbia creato l’elisir. Ma non capisco cosa questo abbia a che fare con Alexandra» considerai.
Tani si strinse nelle spalle.
«Alexandra non è una vampira come tutti gli altri» intervenne Bonnie. «È l’unica in grado di usare la magia, e molto probabilmente la sua abilità fa gola ad Amaya». La mia espressione dubbiosa la spinse a proseguire: «Credimi, la magia che ha usato deve essere costata un enorme dispendio di energia, anche per una strega del calibro di Amaya. Non l’avrebbe fatto per futili motivi».
Tani assentì. «Ho l’impressione che Amaya faccia raramente qualcosa senza un motivo preciso. Se ha preso la tua ragazza, non l’ha fatto a caso. Ha bisogno di lei per qualche motivo e ti consiglio di cercarla in fretta, non credo che quella strega si farebbe molti scrupoli a sacrificarla per i suoi scopi, qualsiasi siano».
 
Le nuove rivelazioni di Tani sarebbero bastate a tenermi sveglio anche senza i miei soliti incubi perciò, dopo aver congedato le due streghe, mi rifugiai al Grill. Dovevo ancora decidere se la compagnia di Matt Donovan fosse in effetti più apprezzabile di stare a crogiolarmi bovinamente nei miei problemi, ma almeno il bourbon era ottimo.
«Quindi Bonnie sta contattando altre streghe per cercare di rintracciare Amaya, giusto?» chiese Matt, asciugando un bicchiere con un canovaccio.
Annuii, il gomito appoggiato al bancone e il bicchiere davanti alle labbra.
«Pare che rintracciare questa superstrega richieda una notevole quantità di potere. Non siamo nemmeno sicuri che sia stata effettivamente lei, ma è l’unica pista che abbiamo e tanto vale seguirla».
«Non posso ancora credere che sia scomparsa nel nulla. Di magie ne ho viste parecchie in questi anni ma questa è davvero grossa» commentò.
Caroline e Tyler entrarono in quel momento: nel bar non c’era nessuno e sfrecciarono tra i tavoli. La bionda sedette sullo sgabello accanto al mio.
«Ho saputo la novità» disse senza preamboli e io sbuffai, irritato.
«Sentite, non siamo più vicini ad Alex di quanto lo fossimo ieri, perciò non montiamoci la testa».
Il mio cuore era immobile da oltre un secolo, volevo almeno tentare di evitare che andasse in pezzi alimentando false speranze.
«Hai ragione. Scusa» mormorò Caroline. Tendevo sempre a considerarla niente più che una splendida Barbie bionda, ma dimenticavo che aveva una sensibilità particolare e una profonda comprensione degli altri. Aveva capito subito che non volevo illudermi con pensieri troppo prematuri.
«Devi promettermi che mi chiamerai, se succederà qualcosa» esortò
Caroline aveva finalmente trovato la sua strada. Sin da quando frequentava il liceo si era dimostrata una meravigliosa organizzatrice di eventi. Era attenta ai dettagli e severa con i sottoposti, che faceva rigare dritto con una sola parola. Dalle feste del liceo era passata agli eventi mondani della città, che fossero il Ballo dei Fondatori o l’elezione di Miss Mystic Falls, e da lì a farne un’attività, il passo era stato brevissimo.
Quel weekend avrebbe avuto il primo vero incarico. Una ricca figlia di papà di New York voleva organizzare una sontuosa festa per i suoi ventun’anni: aveva visto il sito web di Caroline e ne era rimasta colpita, tanto da contattarla per affidarle il lavoro.
«Sta tranquilla, sarai informata di ogni sviluppo. Sempre che ce ne siano a breve. Questa Amaya non mi sembra propriamente intenzionata a farsi trovare da noi. E, ripeto, non è detto che ci sia lei dietro questa storia».
Tyler mi strinse la spalla. Era stato il primo ad accusare Alex di essere un’assassina, quando la sua gemella era arrivata in città, ma nel momento in cui la verità era salita a galla, si era scusato con la mia ragazza e aveva finalmente preso a considerarla un membro effettivo del clan, sempre che di clan potessimo parlare.
«La troveremo» disse. Mi morsi la lingua per non rispondergli male: era almeno la duecentesima volta che qualcuno mi diceva quelle stesse parole, da quando era scomparsa.
«Grazie» risposi invece. «Fate i bravi nella Grande Mela» raccomandai con un mezzo sorriso.

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Capitolo 3
*** Ma che diavolo ti succede? ***


Alexandra ancora non ricorda nulla del suo passato.
Ma qualcosa sta per cambiare.
Personaggi del suo passato si affacciano a New York
e la vampira dovrà cercare di fare un po' d'ordine
nella propria vita che sembra non appartenerle più.

 


Un leggero bussare alla porta della mia stanza mi riportò alla realtà, riscuotendomi dal sogno ad occhi aperti che il libro che stavo leggendo aveva scatenato.
«Avanti» dissi, posando sul materasso l’e-book reader.
«Ciao, tesoro» esclamò Evelyn, infilandosi nella stanza.
Sorrisi. La Madre aveva raccomandato che non venissi disturbata, ma Evelyn era la solita ribelle e se ne infischiava delle conseguenze. Sedette sul bordo del letto.
«Lo sai che se ti becca qui finirai nei guai» constatai e lei fece spallucce.
«Dirò che è colpa tua» replicò ma, di fronte alla mia espressione perplessa, sventolò una mano. «Sì, lo so che sei la sua preferita» concluse.
«Preferirei non esserlo» borbottai.
Se il trattamento riservato alla preferita comportava la tortura cui ero stata sottoposta nel tunnel della metropolitana, avrei preferito che i miei poteri mi fossero strappati seduta stante.
«Come stai?» chiese Evelyn, seria.
«Meglio» risposi, sedendomi un po’ più dritta.
Evelyn mi fissò, con un grosso punto di domanda dipinto sul volto. «Come se non ti conoscessi».
L’allenamento con la Madre, se così si poteva chiamare, non era mai stato così duro. Certo, ogni volta mi lasciava spossata per diversi giorni e richiedeva dosi supplementari di sangue, ma quello che mi sconcertava era che le ultime due volte avevo perso conoscenza per un giorno e mezzo.
«Si può sapere cos’avete combinato in quel sotterraneo?» mi chiese.
«Sai che non posso parlarne».
Evelyn aveva un’idea molto vaga dei miei poteri. Mi aveva visto fare qualche piccolo incantesimo, ma niente a che vedere con quanto era successo stavolta. Nemmeno io, a dire il vero, avevo idea di cosa fosse successo, non era mai capitata una cosa del genere. Non ero mai riuscita a mettere in difficoltà la Madre e ricordavo distintamente che il suo braccio aveva tremato nel bloccare il mio assalto.
Evelyn sbuffò. «Non capisco tutta questa segretezza» espresse, come aveva già fatto più volte. Credo si sentisse esclusa: noi eravamo gemelle, legate da un vincolo fortissimo. Eppure io avevo ricevuto quei poteri e lei no, e la Madre voleva che li esercitassi con molta discrezione.
«È per proteggerti, Evelyn» risposi per l’ennesima volta. «Ci sono persone, vampire e non, che sono interessate a ciò che io sono. Meno sai di ciò che mi consentono i miei poteri, meglio è, credimi».
Evelyn si alzò e si avvicinò alla vetrata. Il tramonto le indorava i lineamenti, rendendola ancora più bella, mascherando il naturale pallore della nostra pelle.
«C’è una festa questo sabato, al Delight».
Io non risposi. Mancavano tre giorni a sabato e speravo vivamente di essermi ripresa per allora. Ciò che non sapevo era se la Madre mi avrebbe permesso di uscire.
«Che ne dici?» insistette mia sorella, voltandosi verso di me.
«Dico che sarà terreno di caccia ideale per le gemelle Morgan!» replicai, e lei sorrise come una ragazzaccia.
Quella sera tastai il terreno con la Madre, chiedendole se potevo uscire con Evelyn per una passeggiata. La strega storse il naso, ma alla fine acconsentì.
Ci preparammo ed uscimmo insieme. Era un sollievo poter essere libere, almeno per un po’, dalla pesante influenza della Madre.
«Ma perché non se ne va?» chiese Evelyn prendendomi a braccetto.
«Dovresti portarle un po’ di rispetto in più» la rimbeccai. «Dovresti vedere la sua aura quando la sfidi» ridacchiai.
Arrivammo a Time Square chiacchierando e ridendo allegramente. Io ero felice di poter stare un po’ fuori, tra le luci di New York che stupivano e stordivano chiunque non vi fosse abituato. Era la mia città e l’amavo.
Distratta dalla conversazione con Evelyn e dalla magia di Time Square non badavo a dove andavo né stavo controllando la situazione con il mio potere. Quando gli andai a sbattere contro, era già troppo tardi.
La sua aura mi colpì con forza, forse perché ero ancora indebolita dall’incontro con la Madre. Ansimai e mi aggrappai al braccio di Evelyn. Sbirciai in fretta l’aura del vampiro sconosciuto: era rossa, percorsa da striature nere.
Il campanello di allarme nel mio cervello squillava furiosamente. Oltre all’aura di malvagità che gli aleggiava intorno, quello che mi stava davanti era un vampiro antichissimo, doveva avere quasi mille anni. Mi affrettai a mascherare la mia aura e a rialzarmi.
«Mi scusi. Non volevo colpirla» mormorai, facendo la parte della svampita con la testa sulle nuvole.
«È colpa mia, non guardavo dove mettevo i piedi» disse lui, circondandomi con un braccio per sostenermi e girandosi verso di me. Era alto e muscoloso. I capelli castani gli scendevano morbidi sul collo e gli occhi neri erano piccoli e ravvicinati.
Quando incrociò il mio sguardo, sussultò.
«Alexandra!» esclamò e stavolta fui io a trasalire. Come faceva a conoscere il mio nome?
«Chi sei?» chiese Evelyn e io le strinsi il braccio per avvertirla silenziosamente di non insistere.
Lui parve notarla solo in quel momento. «Ti sei riunita con la tua gemella, vedo» commentò.
Le sue parole non avevano senso, ma la mia unica preoccupazione era allontanare Evelyn da lui. C’era qualcosa di estremamente diabolico nel suo sguardo, qualcosa che toccava una corda profonda nel mio intimo.
«Non so di cosa stai parlando» risposi, sentendo il tremito nella mia voce. «Scusa ancora» borbottai e feci per voltarmi. La sua mano si chiuse sul mio braccio e mi trattenne con fermezza.
«Non ho ancora finito» sibilò. «Non credere che ti lascerò andare così facilmente dopo quello che hai fatto».
Abbassai gli occhi sul braccio. La forza con cui mi stringeva rifletteva il peso della sua età, ma se il mio attacco era stato in grado di impensierire la Madre, ero certa che usando la magia avrei potuto scagliarlo dall’altra parte della piazza con un minimo della forza che mi era servita nel tunnel abbandonato. Il problema era che non potevo farlo perché Time Square non era certo deserta.
«Dove sono i tuoi nuovi amichetti?» mi chiese, abbassandosi verso di me.
«Lasciami subito andare» ringhiai, spingendo Evelyn dietro di me. Lui proseguì come se non avessi parlato.
«Mi sembra ancora impossibile che siate riusciti a far fuori Julian. Prima l’hai fatto andare fuori di testa nascondendoti per oltre un secolo e poi l’hai attirato in una trappola perfetta, uccidendo lui e tutta la Legione, tranne me. I miei complimenti, Alex. Ti avevamo sottovalutata, nessuno di noi ti credeva capace di tanto».
Parte di ciò che aveva detto era un oscuro mistero, forse mi confondeva con qualcun altro. Eppure alcune parole avevano solleticato qualche reazione nel mio cervello. Quando aveva nominato Julian, un inspiegabile fremito di terrore mi era scivolato nelle vene. Dovevo allontanarmi da lì e, soprattutto, allontanare Evelyn. Poi avrei ripensato alle sue parole, stampate indelebilmente nella mia mente vampira.
«Senti» dissi all’improvviso. «Non so chi sei, né cosa vuoi da me. Ciò che so è che ora mi lascerai andare, o sarà peggio per te».
Lui sogghignò. Era bello, come tutti quelli della nostra specie, ma c’era qualcosa di profondamente sbagliato in quella bellezza. Era bello come poteva esserlo un serpente velenoso, attraente ma al tempo stesso assolutamente letale.
Si guardò intorno: «Oggi sei sola, non c’è il tuo fidanzatino vampiro. Non ho paura di te».
«Dovresti» sussurrai.
Lasciai che il mio potere fluisse fuori dal luogo nascosto in cui lo tenevo prigioniero, consentendo che prendesse a scorrermi nelle vene come fuoco liquido.
«Igni materiam praebeo [1]». Mormorai le parole magiche senza staccare gli occhi da lui, che mi teneva ancora la mano sul braccio.
Improvvisamente, la sua mano iniziò a bruciare, così come avrebbe fatto se esposta al sole senza la protezione del suo anello solare. L’anello che portava era un amuleto magico e ciò che avevo fatto era ribaltarne temporaneamente il potere.
Il vampiro gridò di dolore, ritirando in fretta la mano ustionata. Io non rimasi a guardare cosa accadeva: urlai a Evelyn di scappare e fuggii con lei, il più in fretta possibile.
Ci fermammo quando giudicai che eravamo a distanza di sicurezza, a circa cinque chilometri da Time Square.
«Chi diavolo era quello?» mi investì Evelyn non appena ci fummo fermate.
«Non lo so» replicai.
«Ti conosceva, Alex».
«Probabilmente mi ha confusa con qualcun’altra» tentai con poca convinzione.
«Ti ha chiamata per nome, direi che non ti ha confusa per nulla».
Come temevo, non c’era cascata.
«Dobbiamo dirlo a Kevin e alla Madre. Forse è uno di quelli che ti sta cercando. Dobbiamo andarcene da qui». Parlava a raffica, spaventata. Nonostante impersonasse sempre la vampira ribelle che non aveva bisogno di nessuno, era molto più fragile di me.
La afferrai per le braccia e la scossi con gentilezza. «Eve, ora ascoltami. Non possiamo dire nulla a nessuno di ciò che è successo stasera». Lei scosse la testa, ma io le impedii di parlare. «Se la Madre venisse a saperlo, mi costringerebbe a sopportare ancora il suo addestramento».
Come scusa era abbastanza fiacca, ma bastò a insinuarle il dubbio. Se c’era una cosa che Evelyn non poteva sopportare, era che mi fosse fatto del male, e aveva visto quali effetti aveva avuto l’ultimo incontro con la Madre.
«La mia magia sta crescendo, hai visto anche tu che è servita a liberarci oggi» continuai. «Andrà tutto bene, sono in grado di proteggere entrambe».
Evelyn si guardò intorno. «Sei sicura che non ci abbia seguite?»
Annuii. «Sì, non preoccuparti. Ci vorrà un po’ perché si liberi dell’incantesimo che gli ho lanciato».
Ritornammo a casa e riuscimmo ad evitare domande. La Madre poteva percepire quando usavo la magia, ma l’incantesimo che avevo fatto era talmente banale che probabilmente non ci aveva fatto caso, o forse la distanza aveva schermato il mio potere. Ad ogni modo, filò tutto liscio e ci ritirammo ognuna nella nostra stanza.
Mi stesi sul letto, ancora vestita, a braccia spalancate come un crocefisso. Era il primo momento in cui ero sola e potevo fare il punto della situazione su ciò che era accaduto quella sera.
Partii dal presupposto che ero certa di non aver mai visto il vampiro bruno in cui ci eravamo imbattute a Time Square. La memoria di un vampiro è prodigiosa, quindi potevo essere certa che quello era un dato di fatto.
L’idea che potesse avermi confusa con qualcuno strideva con il fatto che mi aveva chiamata per nome. Sapeva chi ero e conosceva anche Evelyn.
Ripensai alle sue parole: mi sembra ancora impossibile che siate riusciti a far fuori Julian. Prima l’hai fatto andare fuori di testa nascondendoti per oltre un secolo e poi l’hai attirato in una trappola perfetta, uccidendo lui e tutta la Legione, tranne me.
Ero sicura di non essere mai entrata in contatto con qualcuno che si chiamasse Julian nondimeno quel nome generava in me un sottile quanto inspiegabile sentimento di paura. Secondo questo sconosciuto, non solo io avrei dovuto conoscere Julian, ma l’avrei anche attirato in una trappola e l’avrei ucciso. Io non avevo mai ucciso nessuno, né umano né vampiro.
Aveva nominato la Legione ma anche quella parola non mi diceva molto. A quel che ne sapevo io, la legione era un’unità militare romana, ma non credo che lui l’avesse usata in quel senso.
Aveva affermato che mi ero nascosta per oltre un secolo, ma io avevo appena cinquant’anni, quindi era impossibile.
Infine aveva nominato un certo fidanzatino vampiro. Non avevo mai avuto un fidanzato, né umano né tantomeno vampiro.
Mi rialzai, scalciando via le scarpe e sedendomi a gambe incrociate in mezzo al letto. Ciò che era successo quella sera era veramente inspiegabile. Avrei dovuto essere completamente estranea alle parole del vampiro sconosciuto. Ma allora perché sentivo che in qualche modo avrei dovuto conoscere lui e il Julian che aveva nominato?
Chiusi gli occhi e cercai di rilassarmi. Frugai nella mia memoria, alla ricerca di qualche indizio che mi potesse far capire cosa stava succedendo. Avvertii l’ombra di un ricordo, ma fu un lampo brevissimo, come una lieve interruzione di corrente.
Aggrottai la fronte e mi concentrai di più.             Qualcosa mi solleticava la mente, ma era come se non riuscissi ad afferrare quel ricordo. Appena m’indirizzavo verso la fonte di quel pensiero, esso fuggiva da me, scivolando ancora più a fondo.
Riaprii gli occhi. Non sarei arrivata a nulla, non così. Avrei potuto usare i miei poteri, ma la Madre se ne sarebbe accorta subito e mi avrebbe chiesto spiegazioni. Decisi di lasciar perdere e mi preparai per dormire.
All’alba non avevo ancora preso sonno, rigirandomi inquieta fra le lenzuola. Irritata, le gettai da parte, indossai un completo da jogging e uscii. New York era una città che non si fermava mai e le strade erano già affollate a quell’ora antelucana.
Mi diressi verso Central Park, dove sapevo che avrei trovato un po’ di tranquillità. Corsi per il parco, sfiorando gli umani. Intercettai gli sguardi di un paio di ragazzi: sorrisi dentro di me al pensiero che proprio loro che mi credevano una preda, erano al cospetto di una creatura di morte.
Alla fine sedetti su una panchina, nella posizione yoga del loto. Purtroppo le parole del vampiro dagli occhi neri erano diventate un chiodo fisso. Ero abbastanza lontana da casa per tentare un nuovo approccio alla cosa.
Chiusi gli occhi. Chiunque fosse passato di lì avrebbe pensato che stavo semplicemente meditando. Mi spinsi all’interno della mia stessa mente, usando la magia per sondare i miei ricordi.
Vidi l’ultimo incontro con la Madre, nel tunnel della metropolitana, il momento del risveglio mio e di Evelyn nella nostra nuova condizione, l’aggressione di quella notte in cui Kevin ci aveva salvate. Andai ancora indietro, ai ricordi della mia vita umana, agli anni passati negli istituti dopo che i nostri genitori erano morti in un incidente d’auto. E poi, più indietro ancora, agli unici ricordi che avevo di mio padre e mia madre.
Erano i frammenti della mia vita impressi nella mia memoria eppure, per la prima volta, mi sembravano falsi. Avevo la sensazione che quello che mi passava davanti fosse un film girato ad arte. Era come se ci fosse uno schermo che mi impediva di vedere oltre.
E poi, improvvisamente, eccolo lì. Fu un attimo e non fui nemmeno sicura che non fosse niente più che un’illusione, eppure la sua immagine si impresse su di me e seppi con certezza che si trattava di Julian. Aveva i capelli castani e gli occhi nocciola e la bocca era atteggiata ad un sorriso maligno. Indossava abiti di un’altra epoca, ricchi e sontuosi, e avrebbe potuto somigliare ad un principe se non fosse stato per i canini esposti e una goccia di sangue che gli scendeva all’angolo della bocca.
Tornai in me con un sussulto. Julian era nei miei ricordi tuttavia non apparteneva ad essi. Era una sensazione stranissima, che mi scombussolava come raramente mi era capitato. Che cosa stava succedendo?
Non avevo idea di cosa fosse quella storia e non potevo sperare di chiederlo alla Madre. Avevo il terribile sospetto che ci fosse il suo zampino in tutta la faccenda, ma dovevo capire in che modo era coinvolta, prima di affrontarla.
Rientrai all’appartamento ma non avevo voglia di compagnia, sicché evitai tanto mia sorella quanto gli altri. E quando le mura della mia stanza divennero troppo strette, salii sul tetto del palazzo, dove mi ritiravo quando avevo bisogno di stare un po’ da sola.
Evelyn mi trovò lì, seduta sul piccolo prefabbricato che conteneva i macchinari necessari a far muovere l’ascensore. Salì e sedette al mio fianco, abbracciandosi le ginocchia con le braccia, senza una parola.
«Non hai dormito stanotte, vero?» chiese alla fine.
«Si vede tanto?»
«No, ti ho sentita rivoltarti tra le lenzuola».
«Non c’è proprio privacy ad abitare in una casa di vampiri!» esclamai.
Il silenzio calò di nuovo. Sapevo che voleva chiedermi se avevo indagato su quanto era successo, ma forse aveva paura della risposta, quindi taceva. Era un bene. Come avrei potuto dirle che avevo avuto l’impressione che ciò che ricordavamo dei nostri genitori fosse un falso?
«Hai mai l’impressione di vivere la vita di qualcun altro?» chiesi all’improvviso, e lei mi guardò come se improvvisamente mi fossi messa a camminare a testa in giù.
«Perché me lo chiedi?»
Mi strinsi nelle spalle, senza risponderle.
«È per quello che ha detto quel vampiro?» proseguì Evelyn.
Saltai giù dalla capanna di lamiera e mi voltai verso di lei.
«Non ci pensare» minimizzai. «Se non sbaglio dobbiamo convincere la Madre a farci andare ad una festa».
«Sei sfuggita al vampiro sconosciuto friggendogli la mano, non credo che sia più difficile» replicò Evelyn.
 
«Assolutamente no, Alexandra».
Erano almeno quaranta minuti che cercavo di convincere la Madre a lasciarci andare a questa benedetta festa. La sera prima non avevo trovato l’occasione di parlargliene. Avevo atteso fino all’ultimo e, dato che ormai era sabato mattina, ma ora non potevo più aspettare.
«Oh, andiamo, Madre. Sono stanca di stare rinchiusa qui» dissi. «Sono giorni che bevo sangue in busta e ho bisogno di cambiare dieta, di succhiare da una vena».
«Kevin può procurarti qualcuno» replicò lei, con un gesto noncurante.
«Non funziona così, e tu lo sai» dissi, con voce tesa. Non stavo dimostrando la solita dose di rispetto e la strega fissò lo sguardo nei miei occhi. La sua aura fiammeggiò per un attimo, mostrando l’irritazione per il mio comportamento.
Rimase in silenzio ed io sostenni il suo sguardo con fermezza. Non volevo cedere, anche se non ne capivo nemmeno il motivo. Volevo andare a quella festa, ma soprattutto volevo che la smettesse di comportarsi come se io fossi una sua esclusiva proprietà.
«Posso sapere cosa ti turba, mia cara?» disse la strega, alzandosi in piedi e avvicinandosi. Tese la mano per sfiorarmi il viso e io lo spostai di lato, evitando il suo tocco.
«Passi troppo tempo con Evelyn» affermò con sorpresa. «Tua sorella ha una pessima influenza su di te».
«Sta solo riprendendo in mano la propria vita, Madre» rispose Evelyn, sibilando l’ultima parola quasi fosse un insulto.
Alla fine la spuntammo, forse perché la Madre sapeva che in realtà ce ne saremmo andate comunque, a costo di saltare dalla finestra.
Quando arrivammo davanti al locale, la gente traboccava sul marciapiede, in attesa di entrare. Ci avvicinammo all’energumeno davanti all’ingresso che spuntava i nomi sulla lista degli invitati, saltando tutta la fila come se avessimo il diritto di farlo. Lui ci guardò da capo a piedi, così come la maggior parte degli uomini presenti.
Io indossavo un corto abito nero, con una profonda scollatura che mostrava il piercing all’ombelico, trattenuta da una catenella dorata appena sotto il seno. Era legato dietro il collo e a metà schiena, lasciandomi il dorso completamente nudo. Evelyn non era da meno in un miniabito blu elettrico con inserti di paillettes.
Oltre a ciò, avevamo la naturale bellezza dei predatori, qualcosa che ci era stato donato quando eravamo diventate vampire. Le nostre prede erano gli umani e, come le piante velenose, noi risultavamo indiscutibilmente attraenti per loro. Certo, la maggior parte di quegli uomini avrebbe voltato la testa per il solo fatto che indossavamo quei due miniabiti.
«Evelyn e Alexandra Morgan» mormorò mia sorella.
Lui sbirciò la lista e scosse la testa. «Mi dispiace, non siete tra gli invitati».
«Guarda bene» replicò lei, facendo lampeggiare lo sguardo.
Il tizio muscoloso guardò di nuovo e ci fece passare senza una parola. La folla che attendeva sul marciapiede mormorò irritata.
La festa era in pieno svolgimento quando entrammo. Le luci rosse e viola creavano un’atmosfera calda e sexy, sicché il nostro abbigliamento non stonava di certo. Anzi, c’erano ragazze molto meno vestite di noi due. Scandagliai il locale con il mio potere: c’erano altri vampiri in quella stanza, ma nulla che fosse preoccupante.
Erano tutti molto giovani, la festeggiata doveva avere più o meno la nostra età – per lo meno quella che avevamo quando eravamo state trasformate – e la riconoscemmo in fretta dalla piccola tiara che aveva in testa.
«Eccessivo, non credi?» mormorò mia sorella.
La musica era perfetta e conteneva tutti i ritmi sincopati dei pezzi moderni. Diversi invitati stavano ballando sulla pista e le luci colorate giocavano su di loro, accarezzandoli e rendendoli simili a strane creature magiche.
Altri erano seduti sui divanetti sparsi in maniera casuale per la stanza e la loro conversazione, che per chiunque sarebbe risultata inudibile nel frastuono della musica, alle nostre orecchie vampire creava un ronzio di sottofondo come se fossimo all’interno di un alveare.
Il resto dei giovani ciondolava per il locale, prevalentemente con un bicchiere di qualcosa di colorato e alcolico in mano. Anche io ed Evelyn ci avvicinammo al bar. Io ordinai un Mai Tai, lei optò per un più classico Martini.
Mentre il barista ci preparava i cocktail, ci guardammo intorno. L’obiettivo di quella sera non era quello di trascorrere una serata fuori – non solo, almeno. L’idea era quella di rimorchiare un paio di ragazzi che diventassero la nostra cena (e magari anche la colazione), come facevamo spesso quando uscivamo.
«Che ne dici di quello lì?» disse lei, indicando con discrezione un giovane biondo con le spalle larghe di un nuotatore.
Io feci una smorfia.
«Sì, scusa!» esclamò Evelyn, roteando gli occhi. «Dimenticavo che i tuoi devono essere tutti uguali. Mai pensato ad un cambiamento di dieta?»
Adocchiammo un paio di ragazzi che se ne stavano seduti su un divanetto in angolo, con un drink in mano. Poteva essere che le loro ragazze fossero in bagno, ma avevamo sviluppato una sorta di sesto senso che in quel momento ci diceva che erano single.
«Quelli possono andare?» chiese Evelyn e per tutta risposta presi il mio bicchiere e mi avvicinai ai ragazzi.
«Qualcosa mi dice che avete bisogno di compagnia» sussurrai.
Alzarono gli occhi su di noi e ciò che videro dovette piacergli parecchio perché su entrambi i loro volti si stampò un sorriso smagliante.
«Hai detto bene, tesoro» disse quello che avevo puntato. Aveva i capelli neri e gli occhi azzurri, così come tutti i ragazzi con cui uscivo io. Ecco il perché del commento di Evelyn di poco prima.
Ci fecero posto sul divano e io sedetti accanto al ragazzo moro, accavallando le gambe e sfiorandogli delicatamente la sua con il piede.
«Mi chiedo come mai due bei ragazzi come voi siano tutti soli ad una festa» mormorò Evelyn, addentando l’oliva del suo drink.
«La mia ragazza ha la febbre ed è dovuta restare a casa» disse il ragazzo di Evelyn.
«Oh, io non sono gelosa» replicò Evelyn.
«E io sono single» aggiunse il mio.
«Perfetto!» esclamai.
Chiacchierammo per un po’. Io ed Evelyn avevano fatto della seduzione un’arte, ed ero certa che Timothy avesse completamente dimenticato la fidanzata ammalata.
Risi ad una battuta di Ryan e alzai gli occhi. Una ragazza bionda attirò la mia attenzione. Non stava guardando verso di me, stava parlando con un paio di camerieri che si aggiravano per la sala con vassoi pieni di bicchieri di champagne. Aveva un piccolo auricolare all’orecchio sinistro cosa che la classificò subito come l’organizzatrice di quell’evento.
Aveva la bellezza perfetta di una bambola, lunghi capelli biondi e un fisico da urlo messo abilmente in risalto dal vestito turchese che indossava. I miei poteri mi dissero che era una vampira giovane, ma non era nemmeno quello ad aver colpito il mio interesse. La mia memoria faceva ancora cilecca perché avevo l’impressione di doverla conoscere ma ero certa di non averla mai vista.
«Tutto bene?»
La voce di Ryan mi riscosse. «Sì, benissimo» risposi, girandomi verso di lui. Improvvisamente, fummo vicinissimi, e io mi smarrii nei suoi occhi azzurri.
Lui si tese verso di me e mi sfiorò le labbra con delicatezza. Prima che potesse ritrarsi, gli circondai la nuca con la mano e gli trattenni la testa contro la mia. Lo baciai con passione e non mi sfuggì l’accelerazione del suo battito cardiaco. Gli succhiai dolcemente il labbro inferiore e lui mi circondò con le braccia, mugolando di piacere.
D’un tratto, qualcuno mi afferrò il braccio e mi tirò indietro.
«Alexandra?»
Era la biondissima organizzatrice della festa. Mi stringeva il polso con forza, guardandomi con gli occhi fiammeggianti di rabbia.
«Che diavolo combini?» domandò, facendo saettare lo sguardo su Ryan per un secondo.
Mi liberai con uno strattone e mi alzai in piedi con un movimento che non aveva nulla di umano. Prima che Ryan e Timothy se ne rendessero conto, io ed Evelyn eravamo in piedi e fronteggiavamo la vampira sconosciuta.
«Che problema hai?» sbottai.
«Io? Che problema ho io??» replicò lei. «Sei sparita nel nulla per oltre un mese e ora ti ritrovo fra le braccia di questo sconosciuto mentre gli infili la lingua in bocca. Pensi che Damon ne sarebbe entusiasta?»
Quel nome, Damon, suscitò qualcosa dentro di me. Il mio cervello sfarfallò come un televisore rotto, ma appena cercai di afferrare il pensiero che mi aveva sfiorato la mente, leggero come una piuma, scomparve.
Evelyn si voltò verso di me. «Ma che sta succedendo? Chi è questa tipa?»
«Non lo so» risposi, confusa e incapace di reagire.
La Barbie sbuffò e mi afferrò di nuovo il polso. «Ti darò la possibilità di spiegarmi che sta succedendo, prima di chiamare Damon».
Di nuovo quel nome. Damon. Mi suscitava qualcosa, ma non riuscivo a ricordare. C’erano troppi buchi, troppe cose che non stavano andando come mi aspettavo. Non ero più sicura di nulla e la cosa mi spaventava perché non sapevo più se la vita che stavo vivendo era davvero la mia.
Ryan si alzò e cercò di mettersi in mezzo.
«Bionda, non so cosa tu voglia ma stai esagerando» disse. Lei si mosse infastidita, voltandosi a fronteggiarlo, ma fui più veloce.
«Evelyn!» sibilai. Lei capì subito e guardò negli occhi Timothy, sussurrandogli qualcosa. Io sfiorai il viso di Ryan, facendogli abbassare lo sguardo. Non era giusto che pagasse per ciò che stava succedendo. Ero una seduttrice, non un’assassina.
«Va’ a casa. Dimentica di avermi vista, dimentica ciò che hai sentito».
Il suo sguardo si fece vacuo e si girò per prendere la giacca sullo schienale del divanetto, allontanandosi verso l’uscita, seguito dal suo amico.
Mi volsi verso la Barbie. «Senti, bionda…»
«Caroline!» sbottò. «Mi chiamo Caroline». Mi fissò negli occhi. «Ma che diavolo ti succede?»
«Caroline, io non…» cominciai, e poi successe qualcosa che non avevo assolutamente previsto.
Un ragazzo spuntò dietro Caroline. Era un bel ragazzo con i capelli corti e scuri, ma non fu quello a bloccarmi. La sua aura era così evidente ai miei occhi e scintillava di un sinistro colore ambrato. Era l’aura più pericolosa che avessi mai visto. Era la prima volta che ne vedevo una di quel genere, ma sapevo che era pericolosa perché apparteneva ad un licantropo.
Lui mi guardò e l’espressione sul suo viso era quella di qualcuno che non vedeva una persona cara da tempo. Ma la paura mi strinse la gola e mi fece dimenticare tutto, preoccupata di allontanare me stessa e Evelyn da quella minaccia.
«Alexandra» mormorò il licantropo con la sorpresa nella voce ma, sebbene stupita dal fatto che conoscesse anche lui il mio nome, non gli diedi modo di continuare.
Piroettai su me stessa, afferrai la mano di mia sorella e la trascinai via con tutta la velocità di cui ero capace. Per i vampiri presenti fummo solo una macchia sfuocata, per gli umani un soffio d’aria che li accarezzò.
 

[1] Alimentare il fuoco, in latino

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Capitolo 4
*** Non puoi nulla contro di me ***


Caroline ha ritrovato Alexandra,
ma lei non ricorda nulla del suo passato.
Ma Amaya non vuole che lei ricordi
e farà di tutto per impedirglielo.
Attendo commenti!
Buona lettura


«Ehi!» sbottò Caroline e mi affrettai a raccogliere il cellulare che mi era caduto per terra. Per fortuna non si era rotto.
«Sono qui» risposi, portandomelo di nuovo all’orecchio.
«Che è successo?» chiese preoccupata.
«Niente, mi è caduto il telefono».
La notizia era stata troppo inaspettata e mi aveva colto di sorpresa. Non appena avevo risposto, Caroline mi aveva sparato contro un “l’ho trovata” che mi aveva svuotato il cervello, mandandomi temporaneamente in standby.
«Hai sentito cosa ti ho detto?»
«Sì che ho sentito, perché credi che mi sia scivolato il telefono» replicai. «Sta bene?»
Quella era la cosa più importante. In quelle lunghissime settimane, il pensiero più angosciante era che lei fosse in pericolo, tenuta con la forza lontano da me. Noi vampiri eravamo difficili da uccidere, ma c’erano mille modi per torturarci e diverse maniere per farci fuori, se uno era determinato.
Caroline esitò a rispondermi, cosa che mi mandò fuori di testa.
«Sta bene?» urlai.
«Sta calmo, Damon» mormorò Caroline dall’altro capo, mentre Elena compariva sul ballatoio, allarmata dal mio tono di voce. Mi imposi di calmarmi.
«Alex sta bene, puoi stare tranquillo. Solo che…» lasciò in sospeso la frase, come se avesse paura di continuare.
«Cosa?» abbaiai nel microfono.
Elena mi sfiorò il braccio, spingendomi a sedermi sul divano.
«È diversa, Damon» borbottò Caroline.
«Che significa diversa?» chiesi perplesso.
«Ha detto di non conoscermi. Dapprima ho pensato che stesse fingendo, ma ho avuto l’impressione che davvero non mi conoscesse. Era con Evelyn».
Com’era possibile? Alex ci aveva messo pochissimo ad entrare in confidenza con le ragazze, quindi era impossibile che non ricordasse Caroline. Ma la cosa ancor più strana era che fosse in compagnia di Evelyn. La sua sorella gemella si era dimostrata ben diversa da lei, un’assassina senza sentimenti che aveva perfino tentato di ucciderla. Perché ora avrebbero dovuto andare d’amore e d’accordo? La cosa non aveva alcun senso e lo dissi a Caroline.
«Lo so, ma erano insieme. E c’è dell’altro».
Lo disse con uno strano tono basso e titubante.
«Altro?» la sollecitai e lei tacque. «Caroline, sto perdendo la pazienza».
«Era con un uomo, Damon».
Schizzai in piedi come un fulmine, tanto in fretta da spaventare Elena che, seduta accanto a me, ascoltava la telefonata.
No, quello era impossibile. Se c’era una cosa sicura nella mia vita era il fatto che Alexandra mi amasse al di là di qualsiasi considerazione. Era diventata mia già la prima notte che avevamo passato insieme, tanto che aveva abbandonato subito il proposito di scappare per restare con me. Poi era scomparsa ma ero certo che si trattasse di un fatto non dipendente dalla sua volontà. Per quell’assunto fondamentale, ero certo che ci fosse un equivoco, o comunque qualcosa che spiegasse ciò che Caroline aveva visto.
«Fammi capire. Alex è a New York con Evelyn, non ricorda di averti mai vista e sta con un altro uomo» enumerai. «Sei sicura che sia davvero lei?»
«Era lei, Damon. Fisicamente non è cambiata, non potrei sbagliare».
«Gli hai parlato di me?»
Il silenzio dall’altra parte fu esplicativo e quasi sperai che non rispondesse.
«Sì, ti ho nominato due volte, ma lei non ha mostrato di ricordare il tuo nome». Rimase in silenzio per un momento. «Mi dispiace» aggiunse poi, con un tono compassionevole che mi mandò in bestia, ma repressi le parole ostili che mi stavano salendo alle labbra.
«È più che evidente che ci mancano diversi tasselli di questa storia. Forse stava fingendo per proteggersi, non possiamo saperlo» dissi. Sentii il mio tono di voce ed era quello di qualcuno che cerca di convincere se stesso di fronte all’evidenza dei fatti. «Prendo il primo volo».
Riattaccai prima che potesse rispondere. Sentivo su di me lo sguardo di Elena e mi voltai a guardarla.
«Devo andare da lei» spiegai.
Lei annuì. «Chiamo Stefan. Veniamo con te» disse e io non obiettai. Sapevo di aver bisogno di loro.
«Devo chiamare Bonnie. Credo che avremo bisogno di lei» replicai, allontanandomi con il cellulare.
Le spiegai la situazione e Bonnie acconsentì subito a partire. «Se è come dice Caroline, è possibile che le sia stato fatto un incantesimo di qualche tipo, quindi avrai bisogno di me. Preparo la borsa».
Io e Bonnie non avevamo avuto un rapporto idilliaco all’inizio, principalmente perché mi ero comportato da bastardo. Ma era stato prima di conoscere Alexandra. Lei mi aveva cambiato e Bonnie le era grata per questo, oltre ad essersi affezionata a lei così come tutti gli amici di Mystic Falls. Non avrei mai potuto ringraziarla abbastanza per ciò che stava facendo.
«Grazie» dissi semplicemente. «Ti faccio sapere l’orario del volo».
Tornai da Elena la quale mi informò che Stefan stava rientrando.
«Prepara la valigia» disse, «io prenoto un volo».
Annuii e sparii al piano di sopra. Feci la doccia e infilai alcuni capi a caso in una borsa mentre sentivo Elena che cercava un volo per New York. Quando scesi, mi avvisò che il primo volo disponibile sarebbe decollato da Atlanta di lì a cinque ore.
«Bene. Avvisa Bonnie che passiamo a prenderla».
L’attesa fu estenuante e devastante. Da un lato avrei voluto essere già a New York per trovarla e stringerla fra le mie braccia, perché la desideravo con la stessa brama che noi vampiri avevamo per il sangue. Dall’altro mi distruggeva sapere che c’era sicuramente qualcosa che non andava. Caroline mi aveva detto di averla vista con un altro uomo, cosa che mi faceva fremere di rabbia.
Ma dovevo stare calmo. Qualcosa mi diceva che non sarebbe stato facile e avremmo dovuto lottare per riportarla indietro. Ero pronto, non mi spaventava. Ma purtroppo era una battaglia che non potevo sostenere da solo. Avrei dovuto coinvolgere coloro che mi stavano accanto e speravo nel mio cuore immobile che non ci fossero perdite dal mio lato della barricata.
L’impazienza mi divorava, scavandomi un solco di preoccupazione in mezzo agli occhi. Restava da capire che ruolo aveva Amaya in tutta questa storia. Non ero sicuro che fosse coinvolta, ma se lo era, doveva essere davvero potente per cancellare in quel modo tutti i ricordi di Alex.
Quei pensieri mi accompagnarono per tutto il volo verso New York, che durò un paio d’ore. Atterrammo al Kennedy alle sette e dodici del mattino successivo alla telefonata di Caroline e scendemmo all’Iroquois, dove Caroline e Tyler avevano una suite.
Dopo i saluti, ci accomodammo nel salottino della suite e di nuovo Caroline ci spiegò cos’era successo al Delight.
«Non ha riconosciuto né lei né me» intervenne Tyler. «Quando mi ha visto, ha percepito che ero un licantropo, quindi ha ancora i suoi poteri. Ma ha preso sua sorella ed è fuggita».
«Alex deve essere vittima di un incantesimo, non vedo altro motivo per cui dovrebbe comportarsi in questo modo» evidenziai, forse cercando di convincere me stesso della verità di quelle parole.
«Il problema è che ora ha diverse ore di vantaggio su di noi e non siamo nemmeno sicuri che sia ancora in città» obiettò Tyler.
«Bonnie pensa di riuscire a rintracciarla» affermò Elena, girandosi verso l’amica.
«Come spiegavo ai ragazzi durante il volo dalla Georgia, possiamo usare la magia per arrivare a lei. Prima di partire ho contattato alcune conoscenze che ho qui in città, chiedendo il loro aiuto per questa faccenda» spiegò.
«Pensi che rintracciarla sia così difficile?» domandò Caroline.
Bonnie scosse la testa. «Rintracciarla, no. Strapparla alle grinfie di Amaya, se davvero c’è lei dietro tutto questo, sì».
Le streghe che Bonnie aveva contattato sarebbero arrivate entro un’ora sicché non restava altro che aspettare.
 
***
 
«Vuoi spiegarmi che diavolo sta succedendo?» mi chiese Evelyn per l’ennesima volta e io le segnalai di nuovo di abbassare la voce.
Eravamo in camera mia, dove ci eravamo rintanate non appena rientrate furtivamente dal Delight. Ormai era l’alba, ma nessuna delle due era riuscita a calmarsi abbastanza per dormire. Io, in effetti, ero un fascio di nervi.
Nel giro di quei due giorni erano successe troppe cose strane, troppe cose incomprensibili che mi spingevano a mettermi in discussione, a riconsiderare la mia vita. Non ero più sicura di nulla e la cosa mi scombussolava più di quanto volessi ammettere. Non avevo idea del ruolo della Madre in tutto quello che stava succedendo ed ero preoccupata perché mettersi contro di lei voleva dire sfidare apertamente la morte.
«Mi stai ascoltando?» chiese Evelyn, sventolandomi una mano davanti al viso.
«Scusa» replicai, riportando l’attenzione su di lei.
Evelyn mi scrutò per alcuni istanti poi strinse gli occhi. «Cos’è che non vuoi dirmi?»
«Non so cosa stia succedendo» sussurrai infine. «Quello che so è che non credo che i nostri ricordi ci appartengano davvero». In fondo, Evelyn aveva tutto il diritto di sapere cosa mi angustiava, perché la cosa avrebbe coinvolto anche lei.
Lei fece una smorfia e non la biasimavo: io stessa non credevo alle mie parole.
«Che intendi?»
«I nostri genitori, la loro morte, l’aggressione di quella notte, Kevin che ci trasforma in vampire… forse tutto questo non è reale».
«Non ti seguo» replicò mia sorella, sempre più confusa.
E come poteva? Anche a me quella cosa sembrava così assurda che quasi mi vergognavo a parlarne con lei. Ma ormai gli indizi erano troppi e non potevo permettermi di ignorare ciò che sentivo nel mio cuore.
«Lo so, è difficile da spiegare, peggio ancora da capire» mormorai. «In pratica, credo che qualcuno abbia manomesso le nostre menti perché ricordassimo qualcosa che non corrisponde effettivamente al nostro vissuto».
«Perché avrebbero dovuto farlo?» domandò Evelyn, alzandosi in piedi e prendendo a misurare la stanza a lunghi passi. «E chi si sarebbe preso tanto disturbo?»
«La Madre è una strega potente, lei potrebbe creare un incantesimo del genere» spiegai.
«Ma perché dovrebbe?» insisté mia sorella.
A quello non avevo risposta. Non capivo perché avrebbe dovuto mentire in quel modo.
«Forse per i miei poteri» tentai, ma Evelyn mi guardò stranamente.
«L’hai detto tu stessa: la Madre è una strega potente, dubito che abbia bisogno dei tuoi poteri».
Annuii. Aveva ragione.
«Come facciamo ad essere sicure di quello che dici? Come possiamo tradurre gli indizi in prove?»
«Un modo c’è» spiegai. «Ma comporta l’utilizzo della magia, e non posso farlo qui o la Madre se ne accorgerà e si insospettirà».
Le dissi che avremmo atteso la sera e saremmo uscite. Raggiunto un posto sicuro, avrei riprovato a scandagliare i miei ricordi, nella speranza che le immagini fossero più nitide e mi permettessero di capire cosa stava succedendo.
La giornata passò lentamente. Avevo l’impressione che la Madre mi scrutasse con molta attenzione, quasi potesse leggermi dentro. Cercavo di trattarla come il solito, evitando che il tormento che mi ribolliva dentro si rendesse visibile.
A sera, io e Evelyn uscimmo e la condussi nello stesso tunnel sotterraneo che la Madre usava per il mio addestramento.
«Perché scendete qua sotto?» chiese mia sorella.
Le spiegai che era perché la nostra magia non venisse avvertita da altre creature magiche.
«Se non possono percepirti, non possono trovarti, vero?» considerò lei.
Era vero. Non ci avevo mai pensato ma era così. Che ci fosse davvero qualcuno che in quel momento mi stava cercando? Da quanto ero una vampira in realtà? Chi avevo incontrato nella mia vita umana e non morta?
Sedetti su alcuni bidoni abbandonati in un angolo.
«Il vampiro che abbiamo incontrato a Time Square ha nominato un certo Julian. Ti dice nulla?»
Evelyn scosse la testa.
«Prova a concentrarti» ordinai. «Anche io avevo l’impressione di non averlo mai sentito, ma poi l’ho visto nella mia mente».
Evelyn chiuse gli occhi e provò a cercare nei suoi ricordi.
«È inutile» sbuffò dopo un po’.
«La bionda del Delight ha nominato qualcun altro, un certo Damon».
Pronunciare quel nome mi dava una strana sensazione. Era un nome abbastanza particolare perché potessi dire con certezza di non averlo mai udito, eppure sentivo di doverlo conoscere. Anzi, sentivo di averlo conosciuto. Che fosse lui quel fidanzatino vampiro di cui aveva parlato il tizio di Time Square?
«Zero assoluto, per quanto mi riguarda».
Chiusi gli occhi e mi concentrai. Stavolta, sollevare il velo che era stato calato sui miei ricordi fu talmente semplice che mi stupii di non averlo mai fatto prima di quel mattino a Central Park.
Lo vidi subito. Mi apparve una testa di capelli scuri e spettinati e un paio di occhi azzurri come non ne avevo visti mai. Lo riconobbi immediatamente, senza bisogno di pensarci su. Era Damon ed era il mio ragazzo.
Cosa vuoi?, mi disse con gli occhi socchiusi. Era la creatura più bella che avessi mai visto.
Te, sentii sussurrare alla mia stessa voce.
Tornai alla realtà con un sussulto, guardandomi intorno spaesata. Evelyn mi stava di fronte e mi osservava preoccupata.
«Va tutto bene?» mi chiese, tendendo una mano e accarezzandomi la guancia.
Tutti i miei ricordi stavano andando in frantumi e io mi sentivo spaesata perché non riuscivo più a distinguere la verità dalla menzogna, non sapevo più discernere la mia vita dalla finzione che mi era stata messa davanti. Era terribile,  non l’avrei augurato a nessuno.
Mi riscossi e guardai negli occhi Evelyn: «Dobbiamo trovare quella bionda di nome Caroline e cercare di capire cosa sta succedendo».
Ci muovemmo per uscire dal tunnel ma ci bloccammo entrambe dopo pochi passi. La Madre era lì, davanti a noi, immobile, e ostruiva l’uscita. Come avesse fatto a trovarmi era un mistero ma a quel punto non mi stupivo più di niente. Guardava me, ignorando completamente Evelyn.
«Che stai facendo qui sotto, bambina?» mi chiese, con un sorriso appena accennato.
«Niente di che, Madre» tentai, ma era troppo furba perché potessi raggirarla.
«La tua non è una risposta, figliola» mormorò. Si comportava con gentilezza, tenendo a bada anche la sua aura, misurata e controllata come l’avevo sempre vista.
Non so se per i miei sospetti o per qualche altro motivo, ma mi parve di udire una nota stonata nelle sue parole, come una pianta velenosa si nasconde dietro fiori bellissimi. Improvvisamente la rabbia fiorì dentro di me e scoppiò come un ascesso. Era un sentimento irrazionale, eppure così forte che mi convinsi di volerla affrontare.
«Chi è Damon, Madre?» sbottai.
Sul momento non rispose, diafana statua muta. Poi sorrise e, per la prima volta, vidi oltre lo schermo che aveva sempre messo davanti ai miei occhi. Vidi la sua aura divampare e salire ad un’altezza mai vista. Il suo potere era terribile e caricava di elettricità statica l’aria intorno a me. Ma ciò che davvero mi terrorizzò, fu la quantità di nero che vidi fra le vampe azzurre della sua essenza. Era malvagia. No, era addirittura oltre la malvagità, e per tutto quel tempo me l’aveva sempre nascosto.
Non ebbi più dubbi che ci fosse lei dietro qualsiasi cosa fosse stata fatta a me e Evelyn.
«Che cosa hai fatto alle nostre menti?» gridai e la sua aura ondeggiò.
«Credo di averti proprio sottovalutata, bambina» mormorò la Madre.
«Non chiamarmi così» esplosi. «E rivelaci il tuo vero nome» ordinai.
«Io sono Amaya».
La donna fece un passo verso di noi ed entrambe indietreggiammo.
«Che sta succedendo, Alex?» sibilò spaventata mia sorella, ma io le feci cenno di tacere e la spinsi dietro di me.
Amaya vide il gesto e ghignò. «Sempre protettiva verso tua sorella, vero?»
Io non risposi e Amaya tramutò il ghigno in un sorriso dolcissimo. «Non puoi fare nulla contro di me, tesoro» sussurrò e, senza compiere alcun gesto visibile, scagliò il suo potere contro di me. Io me l’aspettavo, eppure non ero preparata alla devastante esplosione di energia che mi colpì. Resistetti, ma sapevo che non sarei durata a lungo. Amaya lo sapeva bene quanto me.
Ispessii il muro magico che ci proteggeva, attingendo al nucleo magico che pulsava dentro di me.
«Avrei dovuto insospettirmi l’ultima volta che ho saggiato la tua magia» disse Amaya, lanciandomi un’altra violenta stoccata. Strinsi i denti, ma il muro non cedette. «Mi hai stupita con quella manifestazione di potere, ma pensavo che fosse solo una reazione alle mie parole. Dovevo capirlo che qualcosa stava cambiando in te».
La pressione su di me diminuì e tentai un attacco. Non arrivai nemmeno a sfiorarla e lei si limitò a sorridere.
«Non puoi nulla contro di me, Alexandra. Ho bloccato io la tua magia. Mi spiace, ma stavolta non riuscirai a salvare Evelyn».
Non ci fu nessun preavviso, nessuna avvisaglia, della potenza che mi scagliò addosso. La sua magia mandò in frantumi la mia barriera come se fosse fatta di fumo. Fui scagliata indietro e travolsi Evelyn. Sbattemmo entrambe contro la parete e la temporanea morte dei vampiri mi inghiottì prima ancora che riuscissi a preoccuparmi per la sorte della mia gemella.

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Capitolo 5
*** Hai sbagliato i tuoi calcoli ***


È la resa dei conti: da una parte Amaya,
strega immortale, e dall'altra Alexandra,
vampira unica nel suo genere.
Soltanto una potrà sopravvivere
e Alex avrà bisogno di trovare dentro di sè
le risorse per sconfiggerla.


La suite di Caroline e Tyler cominciava ad essere piuttosto affollata. Le cinque streghe se ne stavano in un angolo accanto a Bonnie, evidentemente non abituate alla vicinanza con i vampiri. Non che tra le nostre specie corresse buon sangue, in effetti: secondo le streghe eravamo assassini senza scrupoli, impossibili da recuperare. La storia aveva dimostrato il contrario: il grosso di noi non aveva scelto di diventare vampiro e la maggior parte cercava di sopravvivere senza recare danno agli umani. Ma i pregiudizi erano duri a morire e così se ne stavano a distanza.
«Pensi che funzionerà?» chiese Stefan e io mi strinsi nelle spalle.
«Non lo so» risposi. «Ma dobbiamo trovarla. Sono sicuro che mi riconoscerà». Continuavo a dirmelo, sperando che quel pensiero diventasse reale per il solo fatto di ripeterlo all’infinito.
«Lo speriamo tutti, ma non è detto che vada in questo modo» espresse mio fratello con delicatezza. Dava voce ai pensieri che tutti, in quella stanza, avevano avuto. «Non voglio smontarti, ma potrebbe anche non ricordarti. Amaya deve averle fatto il lavaggio del cervello».
Non risposi, ma aveva ragione. Comunque non volevo fasciarmi la testa prima di essermela rotta. Avrei preso ciò che il destino mi avesse riservato.
Pensieroso, presi a stuzzicare il pendaglio che portavo appeso a una catenina d’oro. Apparteneva ad Alexandra e, spinto da chissà quale impulso, l’avevo indossato prima di lasciare casa e precipitarmi a New York. Era una semplicissima catenina d’oro e il ciondolo era una stella dello stesso materiale, simile a quella che lei aveva tatuata sul collo, sotto l’orecchio, e che tante volte avevo baciato. Sul retro era inciso il numero 1682 che sapevo essere l’anno della sua rinascita come vampira.
Bonnie lasciò il gruppo di ragazze e mi si avvicinò.
«Noi siamo pronte, Damon. Proveremo a rintracciarla, ma non sarà semplice. Amaya è molto potente e di certo la starà nascondendo con diversi incantesimi». Annuii e stavo ancora giocherellando con il ciondolo, tanto che attirai lo sguardo della strega. «È di Alex quello?» chiese.
Assentii e Bonnie mi chiese se potevo darglielo. «Se l’ha indossato, è impregnato della sua essenza, e forse sarà più facile arrivare a lei».
Sganciai la catenina e gliela porsi. Bonnie sedette al tavolo e le altre streghe le si fecero intorno. Avvolse il monile attorno ad un pendolo fatto con una grossa pietra traslucida e prese a farlo roteare dolcemente su una mappa della città. Le streghe allungarono le mani verso la cartina e chiusero gli occhi.
Osservai il comportamento del pendolo che risultò ben presto assolutamente irregolare. Schizzava da una parte all’altra della cartina come guidato da una sua propria volontà, con movimenti secchi e tesi che tendevano il filo con cui Bonnie lo teneva sospeso.
«Come previsto, Amaya ha coperto Alexandra con uno spesso strato di magia. Il pendolo lo dimostra e noi possiamo sentire la sua magia». Parlava a nome di tutto il gruppo. Poi, mentre noi ce ne stavamo in disparte ad osservare, si rivolse alle streghe. «Ho bisogno dei vostri poteri, sorelle».
Si concentrarono tutte, stringendo gli occhi nello sforzo di infrangere le barriere di Amaya. Anche io, pur non facendo parte del loro mondo, ero una creatura magica e percepivo il loro potere come una miriade di insetti che mi strisciasse sulla pelle, facendola formicolare e pizzicare.
I movimenti del pendolo rallentarono finché, con un sibilo, schizzò via dalle mani di Bonnie. Stefan fu lesto a spostarsi, togliendosi dalla traiettoria di quel piccolo proiettile micidiale. Si fermò con un tonfo su un mobile accanto alla finestra.
Mi precipitai lì. L’oggetto magico, ancora avvolto del gioiello di Alexandra, si era fermato su una piantina della metropolitana. Tesi la mano per afferrarlo ma mi ustionò le dita come se fosse intriso di verbena. Una delle streghe sogghignò e dovetti trattenermi, anche se l’avrei presa a schiaffi.
Bonnie si avvicinò e controllò il pendolo. Mi invitò ad osservare. «Vedi? Segnala una diramazione abbandonata della metropolitana».
«Perché Alexandra dovrebbe trovarsi lì sotto?» domandai retoricamente.
Bonnie si strinse nelle spalle ma, prima che riuscisse a rispondermi, ansimò e si aggrappò a me per non cadere. Mi ritrovai catapultato indietro nel tempo quando, sulla riva del lago Turner, Alexandra ansimava e gemeva mentre la magia di Bonnie faceva soffrire lei e sua sorella.
Le altre streghe attorno a noi, soffrivano allo stesso modo.
Prima che potessi chiederle spiegazioni, la ragazza alzò lo sguardo su di me: «È Amaya. Sta usando i suoi poteri». Bonnie digrignò i denti e la sostenni. Lei mi strinse il braccio con forza. «Devi andare. Alex è in pericolo» mormorò.
Caroline si avvicinò. «Resto io con loro» disse. «Tyler verrà con voi». Mi strinse la spalla. «Riportala a casa, Damon».
Bonnie si rivolse alle altre. «Dobbiamo proteggerli come meglio possiamo» disse. Poi si voltò di nuovo verso di me. «Cercheremo di nascondervi con la magia, o Amaya vi percepirà nel momento esatto in ci uscirete da qui. Spero che funzioni».
Annuii: sapevo che Bonnie mi stava dando tutto e non c’era altro che potessi chiederle.
Ci precipitammo in strada. La fermata della metro era pochi passi e scendemmo velocemente le scale. A quell’ora era piuttosto affollata e noi avevamo tutta l’intenzione di passare inosservati perciò usammo la nostra velocità per saltare i tornelli e infilarci direttamente nel tunnel, sfrecciando in mezzo ai binari. Nessuno si accorse di noi.
Grazie a Tyler e al suo senso dell’orientamento infilammo senza problemi tutte le svolte e arrivammo nei pressi del luogo segnalato dal pendolo di Bonnie. Presi il comando e segnalai a gesti di rallentare e di fare silenzio.
Com’era successo nella suite di Caroline, potevamo percepire la magia sulla pelle, ma stavolta era qualcosa di veramente grosso. Ci accostammo alla diramazione abbandonata e sentimmo una voce. Non era quella di Alex né quella di Evelyn, sicché calcolai che fosse Amaya.
Mi affacciai con cautela, sperando che la protezione magica di Bonnie funzionasse. Prima di qualsiasi altra cosa, vidi lei. Mi resi conto che il ricordo che ne serbavo era imperfetto: avevo dimenticato le onde morbide che formavano i suoi capelli scuri, la luminosità dei suoi occhi neri, la perfezione di quella pelle che sapevo essere liscia come seta. Una morsa mi strinse il petto: mi era mancata più del sangue.
Era bloccata contro il muro, a braccia spalancate. Non vedevo corde o catene, ma i polsi sembravano ustionati dalla verbena. Probabilmente c’entrava la magia e l’origine di tutto doveva essere Amaya.
La strega era in piedi, davanti ad Alexandra, e mi dava le spalle. Indossava un vestito di veli bianchi e una cascata di lunghi capelli bianchi le copriva la schiena. Era uguale al disegno che avevo visto sul grimorio di Tani.
Alexandra aveva gli occhi aperti e la osservava con occhi disperati. Al suo fianco, sua sorella Evelyn era bloccata nella stessa posizione, ma era priva di conoscenza e la sua testa ciondolava in avanti.
Mentre osservavo, Alex si girò verso la gemella.
«Che le hai fatto?» chiese ad Amaya.
Amaya fece qualche passo avanti, muovendosi con grazia ed eleganza, e si avvicinò ad Evelyn. Le sollevò la testa con una mano bianca e affusolata.
«È viva, se è questo che ti interessa» replicò.
«Non toccarla!» urlò Alex. Amaya voltò appena la testa verso di lei e vidi la pelle sui polsi sfrigolare. Alexandra gridò di dolore e lo stomaco mi si contorse. Ero in pena per lei e solo la ferrea presa di Stefan sul braccio m’impedì di precipitarmi a staccare la testa a quella strega.
«Oh, non preoccuparti. Lei mi serve. Non è ancora giunto il momento di liberarmi di lei. Di voi» aggiunse infine.
«Perché mi hai fatto questo?» chiese Alex con un filo di voce. «Perché hai cancellato i miei ricordi?»
Amaya non rispose e Alexandra proseguì. «Perché ce l’hai con noi?»
«Oh, ma io non ce l’ho con voi, figliola». Si mise davanti ad Alex e cercò di accarezzarle il viso, ma lei si scostò per quanto permettevano le invisibili catene che la trattenevano.
«Hai ragione» continuò la strega. «Meriti una spiegazione per tutto questo».
 
***
 
Tutta quella situazione era surreale. Evelyn era al mio fianco, immobile. Io non riuscivo a muovermi, bloccata dalla magia di Amaya che mi fronteggiava tranquilla e serena, come se non ci fosse nulla di strano. Provai di nuovo a strattonare le invisibili corde che mi tenevano legata, ma la mia pelle si strinò e io gemetti per il dolore: Amaya stava riproducendo con la magia gli effetti della verbena.
«Vedi, tu eri speciale già prima che Julian ti tramutasse in vampira. In effetti, il suo è stato un gesto che mi ha colta di sorpresa, ma all’epoca non ero così forte da poterlo contrastare».
Nominò quello che sapevo essere il mio vero creatore, ma quei ricordi lei li aveva cancellati dalla mia mente perciò io ne conservavo solo il vago ricordo che avevo ripescato nella mia mente attraverso un incantesimo.
«Che anno era?» chiesi.
«Era il 1682».
Il che voleva dire che ero vampira da più di tre secoli, non cinquant’anni. Era una rivelazione abbastanza sconcertante, ma non ebbi il tempo di abituarmi all’idea che Amaya proseguì.
«Lo stregone che mi ha insegnato ad usare i miei poteri, sul letto di morte mi ha lasciato il suo grimorio nel quale si parlava di una profezia riguardante due gemelle. Quando ti trovai, seppi che eri tu, quella della profezia. Non eri una strega, eppure la magia scorreva dentro di te, donandoti la capacità di “sentire” i poteri degli altri». Fece una pausa e mi guardò negli occhi. «Eri semplicemente straordinaria».
Io tacqui e lei continuò a raccontare. «La profezia parlava di due sorelle, una delle quali avrebbe avuto un potere immenso e avrebbe raggiunto l’immortalità alla morte della gemella».
Non potei impedirmi di sbirciare nervosamente verso Evelyn e Amaya sorrise. «Esatto! Evelyn sarebbe dovuta morire e tu saresti diventata immortale in ogni caso».
Mentre cercavo di metabolizzare quelle informazioni, Amaya camminava avanti e indietro, tenendo sempre lo sguardo fisso su di me.
«Poi è intervenuto Julian. Non so se sapesse della profezia o se sia stato semplicemente ingolosito da ciò che rappresentavi. Se fossi stata una strega, avresti perso i poteri nella trasformazione ma, dato che non lo eri, probabilmente sperava che li avresti mantenuti. Cosa che è successa».
Mentre parlava, flash di ricordi saettavano nella mia mente, come interferenze sul segnale televisivo.
… Un uomo con una folta barba nera pugnalato al cuore da quello che sapevo essere il mio creatore, Julian…
«Non so cosa lo spinse a trasformare tua sorella» disse Amaya, lanciandole uno sguardo stanco. «Lei non era importante, sarebbe bastato ucciderla».
…Un ragazzino con i vestiti insanguinati e il petto squarciato…
«Prese te e lasciò lei. Io ti volevo, ma a quell’epoca non ero potente come ora e non potevo mettermi contro di lui. Così mi accontentai di Evelyn».
… Julian affondava i canini nel collo di una donna i cui grandi occhi scuri grondavano lacrime e poi le spezzava il collo…
«La lasciai vagare da sola per un po’, poi le fornii un anello solare e la presi con me, alimentando il suo odio verso Julian e verso di te, raccontandole che l’avevi abbandonata ed eri scappata con il tuo creatore».
… Una ragazza mora con una cicatrice sul sopracciglio destro a cui Julian tagliava la gola…
Erano i miei ricordi, la mia famiglia, la mia vera famiglia. Ed erano stati tutti uccisi. Mio padre, mio fratello, mia madre… e poi Evelyn, a cui dovevano aver fatto bere del sangue di vampiro, visto che si era trasformata.
«Julian usò il dolore che provavi per farti stare con lui. Ti convinse che sopravvivere come vampira era l’unico modo per andare avanti e che il sacrificio della tua famiglia era stato necessario. E perché non sentissi il dolore, ti fece spegnere i sentimenti».
… Julian… la Legione…
Quella era stata la mia vita, quella reale. I ricordi tornavano a sprazzi ma, sollecitati dal racconto di Amaya, erano sempre più vividi.
«Julian aveva trovato la mia gallina dalle uova d’oro e se la teneva stretta. Gli servivi per i suoi piani di dominio incontrastato. Nel frattempo, la mia ricerca di un elisir di immortalità aveva avuto successo e, anche se allora ancora non ne conoscevo gli effetti, ormai ero in grado di vivere in eterno».
… I clan di vampiri sterminati…
«Ti tenevo d’occhio a distanza, perché ero sola, allontanata dal mio clan di streghe che non aveva voluto diventare immortale. Ero avversata dalle mie stesse sorelle, io che avevo solo voluto renderle più forti».
Iniziai a sentire una vena di delirio in lei e pensai che forse gli effetti a cui si era riferita poco prima l’avevano resa pazza.
«Poi, non so come, ti sei liberata dal giogo di Julian. E sei scomparsa».
… Gli anni da nomade…
«Capii che qualcuno ti aveva insegnato ad usare la magia. Quel qualcuno aveva eretto barriere potenti per proteggerti, muri magici che non mi permettevano di trovarti. Ma io avevo un asso nella manica». Guardò verso Evelyn. «Lei poteva arrivare a te».
… Un cartello di benvenuto in una città: Mystic Falls…
«Le cose sono andate esattamente come previsto. Evelyn ti ha trovata, ha attirato la tua attenzione».
… L’incontro con Damon al Grill… Damon che mi baciava schiacciandomi contro la portiera della Mustang… Io che strappavo il cuore di Julian dal suo petto…
La memoria mi stava tornando, ricordavo tutto. Quei flash mi stordivano e mi rendevano difficile seguire ciò che diceva Amaya.
«Ero io a guidare Evelyn. Ero io a sussurrarle nella testa cosa fare. Ed ero sempre io a suscitare i tuoi sogni, facendoti vedere e provare ciò che lei stava vedendo e provando».
… La vacanza in Indonesia… Gli attacchi a Mystic Falls… Evelyn imprigionata a villa Salvatore… Evelyn che mi attaccava…
I ricordi si susseguivano sempre più fitti.
«Quando Evelyn ti ha attaccata, sapevo che il tuo ragazzo sarebbe andato fuori di testa e l’avrebbe inseguita fino in capo al mondo. E conoscevo abbastanza te da capire che lo avresti seguito».
… Il lago Turner… La freccia di Jeremy… La magia di Bonnie… Il dolore… Una mano dalle dita lunghe e sottili, tesa verso di me…
«Eri tu quell’apparizione sul lago» esclamai all’improvviso.
Amaya sorrise. «Vedo che la memoria ti sta tornando».
Mi divincolai con violenza, stringendo i denti per non gridare per il dolore dei polsi escoriati.
«Perché?» le gridai contro.
«Perché avevo bisogno di te?» domandò, e quando annuii, proseguì. «Ma te l’ho detto: volevo rendere più forte la razza delle streghe e per farlo avevo bisogno della tua immortalità. Se Julian non si fosse intromesso e non ti avesse trasformata, tu saresti diventata una nuova creatura magica e, secondo la profezia del grimorio, eri destinata a sterminare i vampiri, quei maledetti succhiasangue».
Amaya era pazza, non c’era alcun dubbio. Dovevo assolutamente liberarmi e portare in salvo Evelyn. Quella era la mia priorità. Cercai il mio nucleo di magia e vi attinsi, ma mi accorsi subito che c’era qualcosa che non andava. Amaya rise.
«Ho bloccato i tuoi poteri, Alexandra. Non voglio certo rischiare di mandare tutto in fumo ora che sono così vicina al mio obiettivo».
«Di che parli?» chiesi. «Io ormai sono un vampiro. La profezia è stata infranta» dissi, cercando più che altro di prendere tempo.
Lei rise di nuovo, un suono sinistro e malevolo. «Credi che io sia stata con le mani in mano per tutto questo tempo? Ho passato gli ultimi duecento anni a fare esperimenti e l’ho trovato. Ho trovato un modo per invertire il processo che ti ha fatto diventare vampira. È una specie di cura».
Nella sua mano comparvero due fiale piene di un liquido viola.
«Ridarò a te e a tua sorella la vostra mortalità. Quando sacrificherò Evelyn, tu diventerai la creatura magica della profezia e con un incantesimo mi prenderò la tua vita eterna e i tuoi poteri. A quel punto, sarò davvero immortale».
Era pazza, ma una cosa mi era chiara: voleva sacrificare mia sorella e io non l’avrei permesso.
«Tu sei già immortale. Di cos’altro hai bisogno?» chiesi, mentre provavo di nuovo ad usare la magia per liberarmi.
«L’elisir che ho creato non è perfetto» spiegò lei. «Il suo effetto svanisce con il tempo e si dissolve sempre più in fretta, costringendomi a prenderne sempre maggiori quantità». Sorrise con un’espressione amara. «E poi è assolutamente necessario liberare il mondo dai vampiri e con i tuoi poteri potrò farlo».
Sondai di nuovo dentro di me e percepii qualcosa, come se ci fosse una piccola imperfezione nell’incantesimo con cui aveva bloccato i miei poteri. Spinsi più a fondo, cercando di capire se potevo sfruttarla a mio vantaggio.
Amaya mi si avvicinò e mi posò due dita sotto il mento. «Non affannarti a cercare di usare i tuoi poteri. Tra poco sarà tutto finito».
Non volevo arrendermi, ma non c’era nulla che potessi fare per liberarmi. Aveva ragione Amaya: era finita.
«Tranquilla. Non farà male» disse, avvicinando la fiala alle mie labbra.
«FERMA!»
Era la sua voce. L’avrei identificata tra mille altre. Probabilmente l’avrei riconosciuto anche prima che la mia memoria ritornasse: qualcosa di lui era rimasto impresso su di me, e la serie di flirt che avevo collezionato (tutti mori, occhi azzurri e fisico atletico) era lì a dimostrarlo.
«Damon» sussurrai. Non ricordavo ancora tutti i dettagli del tempo che avevamo passato insieme, ma una cosa era chiara e limpida nella mia mente: ero innamorata di lui. Perdutamente e totalmente.
Damon mi guardò e vidi i suoi occhi azzurri scintillare. Lui provava lo stesso per me, ma non ebbi molto tempo per rallegrarmene.
Non era solo: con lui c’erano due Doppelganger e il licantropo che avevo visto alla festa con Caroline, che ora sapevo essere Tyler. Si schierarono ad una decina di metri da Amaya, immobili.
Amaya si girò verso di loro, coprendomi con il suo corpo. Era arrabbiata, lo vedevo dalla sua aura. Evelyn era sempre bloccata contro il muro, immobile e priva di conoscenza.
«Non sono molti quelli che riescono a prendermi alle spalle e voi dovete essere protetti dalle streghe di Salem se ci siete riusciti».
Damon non si diede pena di confermare, ma piuttosto la guardò con uno sguardo arrogante e privo di paura. «Libera le ragazze e potrai andartene senza danni».
Amaya rise, una risata argentina che riverberò nel tunnel. «Tu mi lascerai andare? Tu mi concederai di andare?» chiese con sarcasmo.
Lui neanche rispose, limitandosi a fissarla come se non avesse nemmeno aperto bocca.
«Il vampiro mi concederà la sua grazia se lascerò andare la sua donna, è così?»
Di nuovo, nessuno replicò alle parole di Amaya e lei continuò.
«Lascia che ti spieghi una cosa, vampiro». Pronunciò quella parola con evidente disprezzo. «Tu non sei nella posizione di dare ordini. Non finché io avrò lei». Si girò appena a guardarmi e una bruciante fitta di dolore mi attraversò il corpo, facendomi inarcare la schiena con violenza. Gridai, mentre la sua magia bruciava dentro di me come acciaio arroventato.
«Basta! Smettila!» urlò Damon.
Così com’era cominciato, il dolore scomparve, talmente in fretta che era difficile credere che fosse sembrato così reale.
«Te lo ripeto: non puoi dare ordini a me».
«Non ne ho bisogno» disse Damon. «Mi basterà ucciderti».
Si scagliò contro di lei a velocità folle tanto che per una frazione di secondo pensai che sarebbe arrivato a colpirla. Mi sbagliavo: Amaya non si mosse nemmeno, ma Damon ruzzolò indietro, colpendo il muro di cemento con violenza.
I Doppelganger seguirono il suo esempio, attaccando la strega da due diverse direzioni, ma l’esito fu il medesimo e, scagliati indietro, travolsero Damon che si era appena rialzato.
Sotto i miei occhi, il licantropo si trasformò. I suoi occhi si fecero ambrati e luminosi, mentre la sua bocca si riempiva di denti aguzzi e letali. Le sue ossa parvero spezzarsi e rimodellarsi e, con una velocità che non aveva nulla da invidiare a quella di Damon, si lanciò contro Amaya.
Stavolta la strega si mosse, facendo un gesto con la mano come se scacciasse un insetto molesto. Il licantropo fu scagliato da parte come un giocattolo rotto e lanciò un guaito rotolando sul terreno irregolare.
Era troppo forte per tutti loro, ma il peggio doveva ancora arrivare. Mentre la osservavo, l’aura di Amaya crebbe, gonfiandosi come una vela riempita di vento. S’innalzò verso l’alto, terribile nella sua potenza, pesantemente striata di nero. Mi terrorizzava.
Mentre, scioccata, osservavo quella dimostrazione di forza, Amaya parlò con una voce che non era più la sua.
«Sterminerò la vostra razza» disse, fissando Damon. «Siete un abominio e una maledizione per questo pianeta. Non sareste dovuti nascere e io metterò fine alla vostra esistenza. Finalmente le streghe avranno il potere che spetta loro e l’immortalità che per errore il destino ha dato a voi».
Una lieve brezza si muoveva nel tunnel, anche se non c’erano aperture. Si trattava di qualcosa di soprannaturale e l’aura di Amaya turbinò. Non ne avevo mai visto una di quelle proporzioni: il suo potere mi stringeva la gola e il petto, ma non era quello a preoccuparmi. Sapevo che entro pochissimo avrebbe scagliato la sua magia contro Damon e gli altri e io non ero in grado di oppormi.
Vidi con chiarezza l’esplosione di energia con cui li colpì. Con un grido, si accasciarono tutti. Io quel potere l’avevo sperimentato e sapevo che si sentivano trafiggere il cervello da una lama incandescente. Era insopportabile, niente a che vedere con la verbena o il legno.
Damon rantolò, dimenandosi per terra nel vano tentativo di sfuggire a quella tortura. Con orrore, vidi che Amaya concentrava su di lui i suoi poteri. Vedevo da me che non avrebbe potuto resistere a lungo, ma le parole di Amaya giunsero ai miei orecchi in quel preciso istante.
«Tranquilla, Alexandra. Ti ucciderò appena dopo che avrò ottenuto ciò che voglio. Non sopravvivrai al tuo grande amore».
Le sue parole mi infiammarono. Sentii la potenza scaturire da dentro di me. Non seppi come, ma le barriere con cui Amaya aveva bloccato i miei poteri caddero all’improvviso.
La memoria mi tornò di colpo e ricordai tutti i miei trecento anni di vita, non solo alcuni flash. E ricordai il legame che avevo con Damon e il vederlo a terra, sofferente, mi mandò su tutte le furie. Spezzai le catene invisibili che mi tenevano bloccata e, senza accorgermene, mi liberai.
«Amaya!» gridai e lei si voltò verso di me. Vidi stupore e incredulità sul suo viso, espressioni che si intensificarono quando vide che con un gesto della mano liberai anche Evelyn e frenai la sua caduta fino a farla adagiare sul terreno.
«Non è possibile» esclamò.
Che lo ritenesse possibile o meno, ero riuscita a liberare entrambe, ma non era tutto. Sentivo una forza nuova ribollire dentro di me e l’aura di Amaya non mi spaventava più.
«Lasciali andare» dissi senza inflessione, fissandola negli occhi.
Lei non si mosse, mentre sullo sfondo vedevo i tre vampiri e Tyler che si artigliavano il capo, cercando di sfuggire al dolore che la strega stava provocando.
«Te lo ripeto un’ultima volta: lasciali andare».
Di nuovo, lei non rispose, mentre un altro spasmo colpì Damon.
Io socchiusi gli occhi e mi opposi al suo potere sentendolo vacillare. Anche Amaya se ne accorse e tentò disperatamente di controbattere. Inspiegabilmente, i gemiti dei miei amici cessarono: il giogo di Amaya era infranto.
Da quando ero diventata vampira avevo sempre esercitato la magia, eppure mai a questi livelli. Facevo piccoli incantesimi, quel tanto che mi bastava per sopravvivere, per celare la mia natura di non morta e mantenere l’anonimato. Niente che si avvicinasse a quanto stavo sperimentando in quel momento. Mi sentivo potente, invincibile: e, con un filo di apprensione, mi accorsi che mi piaceva quella sensazione.
Damon e gli altri si rialzarono: sentivo gli occhi di tutti su di me e quelli di Damon mi osservavano con la bramosia con cui un condannato a morte desidera la grazia.
«Come hai fatto?» domandò Amaya, sempre più guardinga.
«Non posso permettere che tu faccia del male alle persone che amo».
Amaya si raddrizzò. «Non sei in grado di contrastarmi».
In quell’istante, un paletto di legno si materializzò nella sua mano. Prima ancora che registrassi l’informazione, l’aveva già lanciato verso Damon.
Il mio non fu un impulso cosciente ma sentii la magia fluire fuori da me. Bloccai il paletto a mezz’aria ad un palmo dal petto di Damon. Lui guardò me, stupito, poi tornò ad osservare il cavicchio che girava su se stesso e ripartiva nella direzione opposta. Amaya non si mosse ma lo disintegrò mentre era in volo. Eppure era sempre più preoccupata.
E il suo nervosismo peggiorò quando innalzai una barriera per proteggere Damon e gli altri. Chissà come quelle cose mi venivano così naturali.
«Questa cosa è fra me e te, Amaya».
Damon colpì il muro invisibile che ci separava con il pugno.
«Non fare sciocchezze, Alexandra». Sentirlo pronunciare il mio nome mi diede un brivido. Solo Dio sapeva quanta voglia avevo di fiondarmi nel suo abbraccio, ma chiusi le orecchie alla sua voce che rischiava di distrarmi dal mio proposito.
Dietro di me Evelyn si mosse appena. L’incantesimo che la manteneva in stato d’incoscienza era crollato insieme con le catene che la tenevano prigioniera. Tra poco sarebbe stata in piedi e avrei avuto un problema in più di cui occuparmi. L’alternativa era liberarmi di Amaya in fretta, cosa che ero ben decisa a fare.
La fronteggiai. La sua aura riempiva ancora il tunnel, muovendosi pigramente. Sapevo che era la quiete prima della tempesta.
«Non so come tu ci sia riuscita, ma non hai alcuna possibilità di farcela contro di me» sibilò. E, senza preavviso, mi attaccò.
Sostenni la bordata con cui mi colpì senza sforzo e la cosa non mancò di stupirla. Era una guerra magica invisibile agli occhi di chiunque, tranne che ai nostri. Nessuna delle due muoveva un muscolo, eppure quei colpi magici erano terribili nella loro potenza. Tentai un affondo, ma Amaya lo parò senza scomporsi.
Poi si lanciò in una serie di stoccate terribili contro lo sbarramento che avevo eretto a proteggere me stessa e Evelyn. Stavolta le avvertii, tanto erano potenti, e anche lei se ne accorse e sogghignò.
«Per quanto resisterai, bambina?» domandò con sarcasmo. «Hai appena scoperto di cosa sei capace: credi davvero di riuscire a tener testa ad una strega con più di tre secoli d’esperienza?»
Mentre parlava la sua aura crebbe ancora e ormai il nero era più fitto dell’azzurro. Sotto i miei occhi, il viso di Amaya cambiò, deformato dalla rabbia e dall’odio. Sentivo le grida di Damon che comunque era tagliato fuori, al sicuro.
Evelyn aprì gli occhi e si alzò. «Che succede?» domandò confusa.
«Devi andartene, Evelyn» mormorai. La sensazione di potenza che avevo provato fino a poco prima era svanita, sostituita da un forte senso di pericolo. Sapevo di non poter resistere a lungo, e dovevo metterla in salvo.
«No» disse lei.
La risata di Amaya risuonò sinistramente nella galleria. «Ma che quadretto delizioso!» esclamò.
Evelyn fece un passo avanti e mi affiancò. Non era mai stata codarda, ma in quel momento la apprezzai come mai prima di allora. Mi prese per mano e sentii la sua forza darmi nuovo slancio. Tuttavia, quando un’altra possente esplosione scosse la barriera magica che ci proteggeva, cominciai ad avvertirvi delle crepe. La mia concentrazione vacillava e lo sforzo che stava richiedendo quel duello di magia mi stava sfiancando.
La stoccata successiva mi fece barcollare come se mi avesse fisicamente colpito: Amaya capì di essere vicina alla vittoria e martellò il mio scudo senza pietà. I suoi colpi mi procuravano dolore fisico finché, in un terribile istante, la barriera cadde del tutto.
Io ormai ero inginocchiata a terra, prostrata dal dolore, a malapena consapevole di ciò che mi circondava. Alzai la testa e lessi il trionfo nei suoi occhi.
«Cosa credevi di poter fare?» chiese, mentre mi rialzavo a fatica. «Devi essere punita per esserti ribellata».
Un paletto saettò verso di me. Non era diretto al cuore ma allo stomaco: non era per uccidermi, solo per bloccarmi. E io non avevo la forza per fermarlo. In una frazione di secondo capii che mi avrebbe colpita e mi preparai all’impatto.
Un gemito risuonò nel sotterraneo, ma non era il mio. Evelyn si era messa in mezzo e il palo di legno si era conficcato profondamente nel suo ventre. Il sangue scuro le macchiò la maglia, colando in grosse gocce scure.
«Evelyn!» gridai, e spalancai le braccia per afferrarla. Lei si accasciò contro di me e la coricai sul terreno.
La sofferenza le incideva la fronte in profondità e, sebbene non avesse bisogno di ossigeno, ansimava per il dolore. Si teneva la pancia, ma togliere quel paletto le avrebbe fatto un male cane, tanto era in profondità.
Dietro di me, avvertii il sibilo di un secondo paletto e la rabbia mi consumò. Mi alzai e il paletto si fermò a pochi centimetri da me. Non mi voltai nemmeno e lo disintegrai con la sola forza del pensiero.
Stavolta fu la mia aura a gonfiarsi, rossa come il sangue e striata di nero. Mi sentivo estremamente cattiva. Sapevo che Amaya poteva vederla e la paura che l’attanagliò fu la ricompensa più grande. I canini crebbero nella mia bocca senza un impulso cosciente: non era fame, non era desiderio. Era pura e semplice rabbia.
Scagliai il mio potere contro di lei in un’esplosione di luce accecante e stavolta non poté fare nulla per fermarlo. La colpii in pieno, mandandola a volare contro la parete dietro di lei. L’ira mi divorava e lasciai che divampasse come un incendio.
Avanzai verso di lei. Vide i canini esposti e dovette leggere qualcosa di terribile sul mio viso perché il suo sguardo si velò di paura e si affannò a tirarsi in piedi.
«Hai sbagliato i tuoi calcoli» mormorai. Mi fermai a un paio di metri da lei e tesi il braccio. Una mano invisibile l’afferrò per il collo. La sollevai e la sbattei di nuovo contro il muro di cemento. «Avrei potuto sopportare tutto su di me, ma non posso tollerare che tu faccia del male alle persone che amo».
In un istante le fui accanto. Affondai la mano nel suo petto e le afferrai il cuore: il suo grido di dolore fu la mia più grande soddisfazione. «Sarai anche immortale, ma nessuno può sopravvivere senza questo» sussurrai.
Ritirai la mano con violenza e la alzai davanti ai suoi occhi, mentre il sangue mi colava lungo il braccio.
«Addio» bisbigliai, lasciando cadere quel grumo di carne e sangue.
Sotto i miei occhi, il viso di Amaya iniziò a sgretolarsi come una statua di sabbia in una tempesta di vento finché di lei non rimase nulla se non l’eco della sua aura. Mentre osservavo quell’evanescente traccia magica, vidi che perdeva tutto il nero restando azzurra e pura. Poi svanì, e provai una sensazione molto strana, che non sapevo descrivere.
Ma non avevo tempo per vagliarla perché mi fiondai accanto a Evelyn. Lasciai che la barriera che avevo eretto a proteggere Damon e gli altri cadesse e m’inginocchiai accanto a mia sorella. Sul suo viso l’espressione era sofferente e ne capivo benissimo il motivo: il paletto era ancora conficcato nel suo corpo.
Damon mi raggiunse e si accosciò accanto a me. «Stai bene?» domandò in un sussurro e io annuii, ma ancora non mi concessi di guardarlo in faccia.
«Ti farò male» dissi all’indirizzo di mia sorella che deglutì e mi fece cenno di procedere.
Afferrai saldamente il piolo di legno e tirai verso l’alto con forza. Lei gridò ma chiusi volutamente le orecchie e continuai finché il palo non mi rimase in mano. Evelyn perse conoscenza per il dolore ma vidi con sollievo che la ferita si rimarginava sotto i miei occhi, segno che non erano rimaste schegge di legno nel suo corpo.
Sospirai di sollievo e mi lasciai andare all’indietro, sedendomi sui talloni, chiudendo gli occhi per assaporare la mia libertà. Sentii la sua mano sulla spalla, lieve e delicata, e poi la sua voce, dolce come una carezza.
«Va tutto bene?»
Annuii, sempre senza aprire gli occhi, mentre le lacrime mi scivolavano sulle guance.
«Tesoro, ti prego: dì qualcosa» mi sollecitò di nuovo e finalmente aprii gli occhi.
Mi alzai in piedi lentamente e mi voltai verso di lui. Indossava un paio di pantaloni neri e una camicia color antracite, indumenti che contrastavano con la lucentezza della sua pelle, esaltandone la perfezione. Tenni il viso per ultimo e quando incrociai quello sguardo azzurro, sentii qualcosa sciogliersi dentro di me. Gli gettai le braccia al collo e lo strinsi, schiacciando il mio corpo contro il suo, la guancia premuta contro il suo viso. Aspirai l’odore dei suoi capelli, la fragranza del suo corpo, e mi godetti la sensazione di quei muscoli sodi stretti contro di me.
Le sue mani scivolarono sui miei fianchi, quasi timorose. Poi mi cinse la vita e mi attirò ancor più vicino, quasi cercasse un modo per fondere i nostri corpi.
Scostai la testa e lo guardai. Nessuno dei due aveva parole per esprimere ciò che gli si agitava dentro, perciò nessuno disse niente e ci baciammo soltanto.

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Capitolo 6
*** Ti voglio ben oltre l’eternità ***


Amaya è morta, distrutta dal potere di Alexandra.
Ora non c'è più nulla che impedisca 
a Damon e Alex di stare insieme.
E l'eternità si spalanca davanti a loro.

 
«Vuoi sbrigarti con quei drink?»
Damon sorrise e ripose la bottiglia al suo posto. Poi tornò da me che ero seduta sul divano della suite che aveva affittato, nello stesso albergo di Caroline e mi porse il mio Vodka Martini. Lo sorseggiai e quando lui sedette accanto a me, mi accoccolai al suo fianco.
«Non voglio lasciarti nemmeno per un istante» dissi. «Abbiamo perso più di un mese per colpa di quella stronza di Amaya».
«Siamo sicuri che è proprio morta?»
Posai il bicchiere e mi strinsi al suo petto. «Sì, siamo liberi» garantii e Damon mi cinse con un braccio e mi baciò la testa.
«E tu ricordi tutto, vero?»
Avevo passato le ultime ore a raccontargli ciò che mi era successo da quando io ed Evelyn eravamo inspiegabilmente scomparse sulla riva del lago Turner.
Evelyn era nella stanza accanto, sana e salva. Era spaventata per ciò che era successo, e non avrebbe voluto lasciarmi, ma c’erano cose che dovevo sistemare con Damon e, soprattutto, avevo un bisogno viscerale di stare sola con lui.
«Sì, ricordo tutto» affermai. «La mia vita da umana, Julian e la Legione, gli anni da nomade, Mystic Falls» elencai. «E ricordo tutto anche della mia finta vita qui a New York, dopo che Amaya mi aveva rapita».
Sentii il suo pugno stringersi e mi sollevai. Gli accarezzai la guancia con delicatezza. «E ricordo quanto mi piaceva fare questo» mormorai, accostando le labbra alle sue. Lo baciai, muovendo dolcemente le labbra sulle sue. Dio, quanto mi era mancato. Riuscivo a rendermene conto con chiarezza mentre gli prendevo il viso tra le mani e gli sfioravo le labbra con la lingua.
Mi mossi lentamente, sedendomi a cavalcioni su di lui. Le sue mani percorsero le mie cosce, in una lenta e voluttuosa carezza, risalendo verso i miei fianchi, dove si fermarono per un momento. Poi ripresero a muoversi, mentre la mia bocca s’inebriava della sua, così a lungo dimenticata.
Sentivo le sue dita scivolare sulla schiena, sopra la maglietta, finché la sua destra s’infilò fra i miei capelli. Ne strinse una ciocca fra le dita e mi tirò indietro la testa, aggredendomi il collo con il più dolce degli assalti.
Mi godetti quelle sensazioni ad occhi chiusi finché per la mente mi apparvero le immagini dei ragazzi che erano passati per il mio letto mentre eravamo separati. Mi divincolai e gli dissi di fermarsi.
Lui mi fissò con un’espressione perplessa.
«Mi dispiace» dissi in un sussurro, distogliendo gli occhi.
«Per cosa, tesoro?» chiese lui, cercando ancora il mio sguardo.
«Io non riuscivo a ricordarti, Damon» mormorai, sempre senza guardarlo.
«Lo so, ma non importa ora. Siamo insieme ed è questo che conta» rispose e cercò di baciarmi, ma io mi scostai.
«Cos’hai, Alex?» domandò, facendomi voltare verso di lui. Vide che piangevo e mi posò le mani sul viso, tenendomi ferma per guardarmi negli occhi. «Perché piangi, tesoro?»
«Ci sono stati altri uomini, Damon» confessai. «Umani che io ed Evelyn rimorchiavamo nei locali e ci portavamo a casa perché ci scaldassero il letto e fossero a portata di mano quando ci veniva fame».
Era talmente squallida detta in quei termini che me ne vergognai e cercai di nuovo di distogliere lo sguardo, ma lui mi trattenne con fermezza.
«Non mi importa, Alex» disse. «Non eri tu quella, i tuoi ricordi erano stati cancellati».
«Ma l’ho fatto e non avrei dovuto. Io…»
Non mi lasciò proseguire e mi baciò, muovendo le labbra con passione sulle mie. Quando si staccò, seguitò a guardarmi negli occhi.
«Sai bene che, prima di conoscerti, non è che io sia stato un modello di castità e moralità» disse. «Non ti rinfaccerò ciò che hai fatto in questi giorni a New York perché, di fatto, era prima di incontrare me».
Il che voleva dire che mi perdonava. Non ero certa di meritarmelo, ma Evelyn diceva sempre che ero troppo dura con me stessa.
Non dissi nulla, ma accostai la bocca alla sua e lui non si fece pregare. Mi baciò con dolcezza, asciugandomi le lacrime con i pollici, ma volevo di più. Lo spinsi indietro finché si appoggiò allo schienale del divano e schiacciai il seno contro il suo petto.
Ansimò nella mia bocca e mi strinse convulsamente a sé. La sua bocca era rovente e la sua lingua talmente affamata che fui lieta di non aver bisogno di respirare. Incapace di trattenermi, mi scostai appena e gli strappai la camicia, facendo poi scivolare le mani sotto di essa per accarezzare i muscoli lisci e sodi del suo petto.
Lui smise di baciarmi e mi allontanò per potermi guardare negli occhi. I suoi si erano scuriti e, nella passione di quel momento, l’azzurro era quasi del tutto sostituito dal nero della sua pupilla dilatata dalla voglia di me. Non aveva bisogno di dire nulla perché il suo desiderio era il mio, ed era più che evidente nei suoi occhi.
«Sì, anche io» sussurrai e tanto bastò.
Si alzò in piedi con un unico movimento fluido, tenendomi contro di lui. Gli cinsi la vita con le gambe e lui mi sostenne con le mani intrecciate sotto le natiche. Continuando a baciarmi, mi portò in camera e mi mise a terra con delicatezza.
Feci scivolare giù i resti della sua camicia, chinando la testa a baciare la pelle tesa nell’incavo del collo, aspirandone l’inebriante profumo. Damon afferrò il bordo della maglietta e fece per tirarla verso l’alto, ma lo fermai.
«Dammi un momento» lo pregai.
«Ma che sia davvero solo un momento» sussurrò, sbirciando in basso verso il rigonfiamento trattenuto dai pantaloni. «Non credo che potremo aspettarti di più».
Ridacchiai, gli schioccai un bacetto sulle labbra, e sfrecciai in bagno. Mi levai le scarpe e i jeans e mi diedi una veloce rinfrescata: in fondo avevo passato le ultime ore bloccata in un tunnel sotterraneo.
Tenni la maglietta, che comunque non riusciva a coprirmi le mutandine, ma mi levai il reggiseno. Mi bagnai le mani e le passai fra i capelli, tirandoli indietro, e alzai lo sguardo per osservarmi nello specchio.
Ciò che vidi mi bloccò. La mia aura era cambiata. Divampava con maggiore forza rispetto a quanto aveva fatto per tutta la mia vita vampira e non era più rossa. Era di un colore viola che non avevo mai visto prima di allora. Mi spaventò un po’, ma mi sentivo bene, anzi più che bene.
Un’idea mi si accese in testa come la più classica delle lampadine, e ricordai la strana sensazione che avevo provato quando l’aura di Amaya si era dissolta. E capii: i suoi poteri erano passati a me e la sua aura si era sovrapposta alla mia, creando quel nuovo colore.
Provai ad usare la magia e riuscii ad arrivare al centro del mio potere senza nemmeno concentrarmi. L’alone violetto che mi circondava si mosse e gli oggetti che erano sul ripiano del lavandino si misero a fluttuare a mezz’aria.
Non ero mai stata una vampira normale, ma questo faceva di me qualcos’altro, qualcosa che non comprendevo, qualcosa che quasi sicuramente non si era mai visto sulla faccia della terra. La responsabilità che derivava dall’avere un potere come quello di Amaya minacciava di schiacciarmi, ma chiusi la mente. Non volevo pensarci, non ancora. Non con Damon che mi aspettava nella stanza accanto.
Tornai in camera. Damon era steso sul letto, con ancora addosso i pantaloni. Aveva chiuso le tende scure, tanto per i nostri occhi c’era luce a sufficienza, e l’atmosfera che si era creata era romantica e sognante.
Schizzai verso di lui che ebbe appena il tempo per tendere le mani e afferrarmi per i fianchi prima che gli fossi sopra. I capelli scesero come una cortina scura su di noi e lui li afferrò con la mano sinistra, scostandoli da una parte, allungandosi per baciarmi la gola.
Le sue mani risalirono lungo la schiena e quando si accorse che non indossavo la biancheria, un ringhio soffocato gli vibrò in gola. Mi afferrò la maglietta, ma di nuovo lo bloccai.
«Oh no, dolcezza. Non riuscirai a fermarmi stavolta» sussurrò, la voce roca per il desiderio.
Fece per spingermi con il bacino, in modo da farmi rotolare sotto di lui, ma ero più forte e non ebbi difficoltà a resistere. Damon fissò quello sguardo famelico nei miei occhi, ma prima che potesse aprire bocca gli posai un dito sulle labbra.
«Non consentirò più a nessuno di dividerci, Damon» sussurrai. «Io voglio passare la mia eternità con te, se mi vorrai».
Lui sporse le labbra e mi baciò il dito.
«Sarò io a non permettere che qualcuno ti strappi via da me. Mai più. E comunque ciò che hai detto non mi va bene per niente» replicò. Poi sorrise di fronte alla mia espressione. «Ti voglio ben oltre l’eternità» aggiunse.
Sorrisi come una stupida. «Ti amo, Damon Salvatore».
«Ti amo, Alexandra Morgan».
Poi mi lasciai andare, abbandonandomi al suo abbraccio, alle sue mani, alla sua bocca, felice come non ero mai stata, certa che stavolta, sul serio, niente avrebbe potuto infrangere un amore eterno. E, qualsiasi cosa fosse successa nel nostro futuro, saremmo stati noi, per sempre.

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