la guerra delle ombre: il passato

di Lady_Whytwornian
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** una mancata esecuzione ***
Capitolo 3: *** Prova di fedeltà ***
Capitolo 4: *** i simboli ***
Capitolo 5: *** Alleanze ***
Capitolo 6: *** Damian ***
Capitolo 7: *** Il Castello di Shadow ***
Capitolo 8: *** I Sacerdoti ***
Capitolo 9: *** La chiamata del principe delle tenebre ***
Capitolo 10: *** Il sogno del re ***
Capitolo 11: *** La partenza ***
Capitolo 12: *** Il lago D'Argento ***
Capitolo 13: *** I generali a Starbridge ***
Capitolo 14: *** La natura dei Demoni ***
Capitolo 15: *** Il libero arbitrio ***
Capitolo 16: *** L'esercito maledetto ***
Capitolo 17: *** Il Priore ***
Capitolo 18: *** Il monaco sopravvissuto ***
Capitolo 19: *** La Porta ***
Capitolo 20: *** La città di White Rose ***
Capitolo 21: *** La furia di Lilith ***
Capitolo 22: *** L'Antro dell'Oracolo ***
Capitolo 23: *** Gli Oracoli ***
Capitolo 24: *** Menzogna e verità ***
Capitolo 25: *** La Piana della Palude ***
Capitolo 26: *** Il Cancello dell'Oblio ***



Capitolo 1
*** prologo ***


- Portatemeli qui. Voglio William Hamilton e suo figlio.
- Sì, mio signore – rispose il comandante delle guardie
- Comandante Shervin!…- ebbe un attimo di esitazione per dare maggior enfasi a quanto stava per dire - ovviamente ancora in grado di parlare. Lord Hamilton lo voglio vedere supplicante sul patibolo.
L’ufficiale guardò il conte Fuinur. I suoi occhi ebbero un guizzo ed inarcò leggermente il sopracciglio sinistro:
- Ovviamente…
Si portò la mano sul petto e chinò il capo. Poi si girò allontanandosi con il solito passo sicuro che lo contraddistingueva.
- Dimenticavo…
Il comandante si fermò senza voltarsi, rimanendo in attesa del seguito.
- Uccidete gli altri.
Un sorriso malefico si aprì sul viso dell’uomo. Quell’ordine era superfluo. Ed uscì.
Radunò un battaglione di soldati: si sarebbe recato al castello degli Hamilton il giorno stesso.
Arrivarono ai cancelli con il sole basso all’orizzonte.
Si era in tempi di pace, o almeno così si credeva. La guarnigione era ridotta al minimo: gli effettivi erano qualche decina. Inoltre era stato distaccato un congruo numero di cavalieri per scortare alcuni mercanti che dovevano recarsi nella contea di LandRivers, a più di cento miglia di distanza.
Immerse nel loro sonno imperturbabile, le mura del castello si stagliavano nere nel cielo rossastro del tramonto, ignare della sorte che le attendeva.
Quando videro gli armati che sopraggiungevano le guardie lanciarono l’allarme. Ma ben poco poterono fare i soldati presenti all’interno del castello.
Ogni sorta di proiettile venne lanciato sui difensori in modo da impedire loro di stare sulle mura. Con un grosso ariete che appariva come un enorme testa di drago con le fauci spalancate e piene di fuoco assaltarono il cancello che cedette dopo essersi incendiato.
Non fu quindi difficile per il comandante Shervin e i suoi uomini riuscire ad entrare. Arrivarono direttamente nella sala principale dove si erano rifugiati Lord Frederick e la sua famiglia con alcuni cavalieri.
Snudarono le spade e lo trucidarono con le guardie rimaste e quanti tentavano resistenza; poi violentarono le donne e alla fine le uccisero.
Presero poi prigionieri William Hamilton e suo figlio come era stato loro ordinato di fare.
Pochi giorni prima nel castello del re a Hill Town oscuri presagi stavano prendendo forma.
- Mi avete fatto chiamare, sire?
- Elbereth, mia cara – iniziò il re – ho ricevuto un terribile messaggio dal mio vecchio amico Lord Hamilton. La situazione a Castlefield sta peggiorando. Il conte Fuinur ormai è un tiranno senza controllo.
- Non sarebbe meglio mandare le nostre truppe piuttosto che un gruppo di guardie scelte?
- No. Devi andare tu con i tuoi uomini. Solo voi potete capire…
- E’ chiaro. Parto subito.
Poi congedandosi dal suo cospetto - Mio signore…
- Figlia mia…fa’ attenzione!
- Certo padre…
 

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Capitolo 2
*** una mancata esecuzione ***


Lady Whytwornian era arrivata il mattino stesso nei pressi del villaggio di Castlefield con il drappello al suo comando.
Una calca di persone si stava dirigendo verso quello che pareva il centro dell’abitato. Erano tutti molto eccitati e il loro clamore copriva qualsiasi altro rumore.
- Che sta succedendo? – si chiese.
Alzò la mano per far fermare la colonna di cavalieri e si guardò attorno. La situazione era anche peggio di quello che le avevano raccontato. Le strade erano dei fiumi di melma e fango, sporcizia di ogni tipo era accumulata ai lati vicino alle case che erano più catapecchie che altro.
Mandò il suo cavallo al passo. Alcuni uomini che erano rimasti indietro si fermarono al suo passaggio e si inchinarono rispettosamente. I loro volti erano segnati dalla fame e dalla miseria, i loro occhi erano colmi di disperazione.
Alcuni bambini si avvicinarono chiedendo loro un pezzo di pane. Nei loro sguardi i maltrattamenti, gli abusi, i disagi: tutto questo conseguenza della povertà, dell’abbandono di cui soffrivano.
- Comandante Farewell. A quanto pare siamo arrivati in uno dei gironi dell’inferno… - disse al capitano delle guardie.
Seguirono la folla e giunsero nella piazza centrale dove era stato allestito un palco e un patibolo. Il boia era già al centro di esso con in mano la scure, mentre quelle che dovevano essere le autorità locali prendevano posto per assistere all’esecuzione.
Invece la cittadinanza si stava sistemando attorno all’ampio spiazzo in modo che ognuno potesse avere visione di quanto stava per accadere.
La sua attenzione fu attratta da un uomo con gli abiti laceri che gridava tirato da due soldati.
- Non potete! Non ho fatto niente…
Cercava di puntare i piedi nell’inutile tentativo di non venire portato al cospetto del boia. Ma le due guardie lo strattonarono ed iniziarono a trascinarlo. – Puoi fare tutto quello che vuoi. Se non sali quei gradini da solo te li facciamo salire noi!
Si voltò verso il gruppo di cavalieri che era appena entrato e riconobbe le insegne. Si divincolò e riuscì a liberarsi dalla presa dei due uomini. Raggiunse il cavallo di Elbereth e si inginocchiò: - Mia signora. Pietà. Vi supplico. Pietà.
Alzò lo sguardo con gli occhi pieni di lacrime.
Venne subito raggiunto dalle due guardie che lo colpirono con un calcio nella schiena e lo rialzarono di peso. Stavano trascinandolo di nuovo verso il boia che Elbereth fece loro cenno di fermarsi.
Si avvicinò con il suo cavallo al palco e chiese: - Chi è? Cosa ha fatto?
Il giudice si alzò in piedi e dopo essersi inchinato le rispose: - Costui è William Hamilton mia signora. E’ accusato di stregoneria e di tradimento. Ha subito un regolare processo…
- Immagino… - disse Elbereth
- …ed è stato riconosciuto colpevole – continuò il giudice - La pena è la morte.
Tutte le persone che si trovavano nella piazza iniziarono ad urlare: - A morte! Traditore!
- Come vedete, mia signora, il popolo è ben consapevole di chi sia in realtà quest’uomo… - finì quasi urlando e puntando il dito accusatorio contro Lord Hamilton.
Lo guardò in silenzio. Poi scese da cavallo: - Dimmi: sono vere queste accuse?
Il giudice stava per intervenire che Elbereth lo zittì: - Ho già sentito la vostra di versione. Ora…voglio…sentire la sua!
Scandì le parole con un tono secco che non ammetteva nessuna replica.
- Mia signora. Non ho fatto nulla di male – disse con un tono di voce basso ma fermo.
Rimase a fissarlo negli occhi. Poi annuì.
- Slegatelo – ordinò.
- Mia signora – protestò timidamente il giudice – quest’uomo è appena stato condannato a morte…
Elbereth si fece dare un pezzo di pergamena su cui scrisse velocemente alcune righe. Poi lo firmò e pose il sigillo reale.
- E questa… - disse allungandogli il foglio - è la grazia…che gli è appena stata concessa. Ora slegatelo.
Dalla sua voce traspariva una certa dose di impazienza. Non le piaceva dover ripetere gli ordini.
William non riusciva a crederci. Solo un miracolo avrebbe potuto salvarlo e quel miracolo era avvenuto.
Si buttò ai piedi di Elbereth: - MyLady. Sarò per sempre vostro debitore. Grazie – sospirò – Grazie…
- Dunque siete William Hamilton. Il figlio di Lord Frederick Hamilton?
- Sì…
- Va bene…- poi rivolgendosi a uno dei soldati - Dategli un cavallo. Viene con noi.
Rimontò in sella e fece cenno agli altri cavalieri che la seguivano di proseguire.
William la raggiunse in testa alla colonna. Appena le fu vicino il comandante delle guardie gli puntò la lancia alla gola: - Dove pensate di andare?
Elbereth gli fece cenno di abbassare le armi: - Va bene comandante Farewell. Va bene.
William le si affiancò: - Mi avete graziato senza nemmeno sapere se le accuse fossero vere o false o se avessero avuto prove contro di me.
- Non mi serviva – rispose Lady Whytwornian – so benissimo che sono vere. Se non vi dispiace preferirei parlarne quando arriveremo all’accampamento.
Era ormai il tramonto quando furono in vista della piana dove erano state montate le tende. Elbereth si recò nella sua, mentre William venne scortato in un’altra: - Resta fermo qui e non ti muovere – disse il soldato che lo aveva seguito.
William si sedette sulla branda e rimase in attesa. Aveva freddo ed era anche affamato, ma non disse nulla.
Lady Whywornian aveva intanto raggiunto la sua tenda; si era tolta i guanti e il mantello pesante e aveva messo la spada sul tavolo. Si sedette e sbuffò. Il conte Fuinur era riuscito a sfuggirle ma quello che aveva fatto al villaggio era incancellabile.
Si fece portare del cibo e iniziò a mangiare assorta nei suoi pensieri. Poi chiamò la guardia: - Portatemelo.
Il soldato raggiunse la tenda dove era stato confinato Hamilton: - Vieni con me. MyLady vuole parlarti.
William venne fatto accomodare nella tenda di Elbereth. Si inchinò rispettosamente. Lei stava ancora finendo di mangiare e si accorse dello sguardo che le aveva rivolto.
- Non avete ancora mangiato vero? Anzi, da quanto tempo non mangiate?
- Da un po’…
Lady Whytwornian si alzò e ordinò che venisse portato del cibo anche ad Hamilton.
Gli fece cenno di sedersi al suo tavolo: - Starete più comodo…
- Sapevate che le accuse erano vere… Non capisco…
Sì alzò e gli andò vicino, poi prese una candela e se la avvicinò al braccio. Il calore della fiamma fece apparire due pugnali incrociati sormontati da un sole e con una luna sotto le impugnature.
Poi prese il braccio di William e gli tirò su la manica e fece altrettanto. – Ecco perché sapevo che era la verità.
William rimase attonito a guardarla senza parole.
Elbereth continuò: - So chi è vostro padre, meglio, chi era. Mi dispiace per quanto è successo alla vostra famiglia.
- Hanno ucciso mio padre e mia moglie davanti ai miei occhi e portato via mio figlio. Non potrò mai dimenticare quella notte. Da allora non ho più saputo nulla.
- Non sapete dove è stato portato?
- Mi stavano portando via e ho sentito solo alcune parole. Parlavano di un castello e un monastero, mi pare.
- L’abbazia sul Monte Shadow. Vedremo di fare qualcosa anche per lui.
Poi cambiò discorso: - Cosa vi ha detto vostro padre?
- Riguardo a cosa?
- I simboli che avete tatuati… - rispose Elbereth indicando con il coltello il braccio di William.
- Non molto ad essere sincero. Mi ha sempre fatto capire che avrei avuto tutte le risposte il giorno in cui sarebbero state necessarie. Mi è sempre parso preoccupato però, riguardo a questo.
Elbereth aveva finito di cenare e si alzò in piedi. Andò verso l’uscita della tenda e fece un giro per vedere che non ci fosse nessuno. Congedò la guardia che si trovava davanti e poi rientrò. William si alzò in piedi e la guardò con aria perplessa. Non riusciva a capire il suo comportamento: - Mia signora…
- State comodo, lord Hamilton… adesso vi spiego.
 

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Capitolo 3
*** Prova di fedeltà ***


Rientrarono al castello a Hill Town.
- Voi restate qui fuori. E fece cenno a due guardie di sorvegliarlo.
Elbereth raggiunse la sala del Trono per ragguagliare il padre di quanto era accaduto a Castlefield.
- E dimmi, qual è la tua opinione su Lord William Hamilton?
- Era uno dei consiglieri del conte Fuinur. E’vero: è sincero quando racconta cosa è successo nel castello di suo padre. Su questo non ho dubbi. Quello che non sappiamo invece è se saprà essere fedele o se invece ci tradirà per salvare suo figlio. Non sappiamo se lo troveremo ancora vivo o cosa troveremo di quello che ne resta. Non sappiamo nemmeno se gli è stato offerto uno scambio. E questo non mi consente di dire quale sarà la sua reazione.
Il re rimase in silenzio a soppesare le parole della figlia. Sapeva che quanto le aveva detto era il frutto di una valutazione effettuata considerando i fatti reali. Condivideva le sue perplessità.
- Lo valuterò questa sera…Adesso mi limiterò a farmi raccontare i fatti. Portatemi Lord Hamilton – disse poi al capitano delle guardie.
William non riusciva a capire il perché del trattamento che stava ricevendo. Si sentiva come se fosse nuovamente accusato di tradimento, come successo a Castlefield. Avrebbe voluto protestare, ma ora era davanti al suo re. Si inchinò rispettosamente: - Mio signore e mio re.
Il re gli chiese: - Cosa avete fatto per essere stato condannato a morte?
- Come vostra signoria saprà, io ero uno dei consiglieri del conte Fuinur. e capo delle sue guardie personali La mia unica colpa è stata quella di essere un fedele servitore del mio signore e di aver tentato di essere un saggio consigliere.
- Il conte Fuinur era un tiranno e un sanguinario…come consigliere avreste dovuto…come dire… contenere la sua empietà.
Lord Hamilton abbassò gli occhi e scosse la testa.
Il re guardò Elbereth che disse - Va bene. Per ora può bastare. Portatelo in una stanza e dategli dei vestiti decenti. Ah…anche dell’acqua per lavarsi…
Venne scortato in una camera dove gli fecero trovare degli abiti puliti e una vasca piena di acqua calda.
- Ti veniamo a prendere noi.
E se ne andarono.
Si lavò e si vestì. Poi rimase sul letto ad aspettare chiedendosi quale sarebbe stato il suo destino.
Era tramontato il sole da poco quando sentì dei passi avvicinarsi e due guardie entrarono. – Seguici…
Venne fatto entrare nella sala da pranzo dove un’enorme tavola era stata imbandita e attorno la quale c’erano sedute una quarantina di persone tra ufficiali, nobili e donne.
- Bene, Lord Hamilton – esordì il re -  venite. Sedetevi qui.
- Mio signore…
- Vorrei sentire dalla vostra voce come si sono svolti i fatti che vi hanno portato sul patibolo. Volete favorirmi? Innanzitutto spiegatemi perché e in che modo il conte Fuinur è diventato quel tiranno che ormai tutti sappiamo.
- Sono un uomo fedele, mio signore.
- Sì. Questo me lo avete già fatto capire. In qualità di consigliere però il vostro dovere era anche quello di trattenere il vostro signore dagli eccessi…
- Un pomeriggio mi chiamò nella sala delle udienze e mi fece andare alla finestra. Mi chiese: Lord Hamilton…mi siete fedele? Siete fedele al vostro signore e padrone? Gli risposi che era così. Mi chiese: cosa fareste a chi avesse tramato di tradirmi? Quale sarebbe il vostro consiglio? Io risposi: lo farei uccidere. Poi lui continuò: Bene. Perché avrò bisogno di un nuovo consigliere. Fece cenno ai soldati nel cortile che spronarono i loro cavalli. Solo in quel momento mi resi conto che avevano legato a quattro funi il vecchio consigliere. Lo squartarono davanti ai miei occhi. Mi guardò e continuò: spero che la vostra fedeltà sia più…forte della sua… e se ne andò. Rimasi a guardare inorridito quello che restava sul terreno.
Sapete quale era stata la sua colpa? Aver riferito al conte Fuinur che nel popolo c’era una certo malcontento che avrebbe potuto diventare anche pericoloso se fosse aumentato.
Mio signore, come avrei potuto trattenerlo? Avrei fatto la stessa fine…In quel momento ho solo pensato a mia moglie e a mio figlio. Quale sarebbe stata la loro sorte? Che cosa li avrebbe aspettati?
Elbereth guardò il re e sospirò. Sapeva che Fuinur era malvagio; non sapeva fino a che punto.
- Credo – continuò William – credo che ci sia ben altro. Lo vedevo incontrarsi con strani uomini. Passavano ore a parlare chiusi in una stanza, e il conte in queste occasioni, voleva essere lasciato solo. Una sera passando per il corridoio che conduceva alla sala delle udienze li ho incrociati per caso; hanno subito smesso di parlare, ma ricordo che il discorso verteva sul…”Priore” se non erro…
Il re volse uno sguardo a sua figlia che annuì.
La cena era ormai alla fine: - Va bene Lord Hamilton. Mi riservo di decidere della vostra sorte domani mattina.
Poi si rivolse a due guardie: - Scortatelo in una cella.
William rimase molto sorpreso di questa decisione ma si limitò ad annuire. Si alzò e seguì i due soldati.
Il re poi si rivolse ad Elbereth: - Vorrei sapere se avesse potuto fare di più o no. Se ha fatto tutto quello che era in suo potere o se invece si sia limitato ad essere accondiscendente…
- Ci penso io…So come fare.
Lord Hamilton era seduto sulla panca di legno quando vide passare un monaco. Lo chiamò. Questi si fermò e guardò verso di lui.
- Figliolo, senti il bisogno di parlare?
- Sì padre. Vorrei confessarmi e ricevere i sacramenti.
Il monaco si sedette vicino alle sbarre: - Ti ascolto…
Elbereth era rimasta per tutto il tempo nell’ombra appoggiata al muro nell’ombra a seguire con attenzione le sue parole in silenzio.
Alla fine disse al monaco: - Vi prego. Intercedete per me presso la corona. Io ho solo servito il mio signore…Sono fedele al mio re…Credo che un uomo saggio come voi sappia giudicare se quanto vi sto dicendo appartenga o meno al vero. Mi rimetto alla mercé del mio re.
Il giorno dopo venne nuovamente condotto nella sala del trono. Si guardò attorno provando un certo timore nel vedersi osservato da tutti i presenti.
Elbereth fece un lieve cenno con la testa ad un soldato che sguainò la spada e si lanciò verso di lei. William lo vide e si parò davanti a lei facendole scudo con il suo corpo: - No! – urlò.
Il soldato si fermò appoggiando semplicemente la spada sul suo petto. Elbereth annuì: - Ci sono molti uomini fedeli a parole. Pochi lo sono anche con i fatti, Lord Hamilton. Dovevo accertarmi che voi lo foste. Venite. Abbiamo bisogno di uomini come voi.
William si inchinò: - Mia signora. Ordinate e io obbedirò.
- Lord Hamilton. Io ho già i miei consiglieri. Vorrei però che la vostra non sia solo cieca obbedienza. Dovrete effettuare anche delle scelte che saranno dettate dalla situazione, quindi dovrete essere in grado di comprendere quale decisione prendere nel minor tempo possibile. Probabilmente vi troverete ad affrontare casi in cui non avrete tempo per scegliere…
Poi cambiò discorso:
- Ora abbiamo bisogno di qualcuno che sappia dirci con che cosa ci dovremo confrontare. Se volete seguirmi nelle segrete…
 

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Capitolo 4
*** i simboli ***


- E’ una storia piuttosto lunga. Ma non credo che abbiate fretta di andare da qualche parte.
E’ iniziato nella notte dei tempi. Prima della creazione del mondo. Prima dell’Inizio.
All’inizio vi fu solo Puro Spirito. E furono creati gli esseri più belli e perfetti: gli Angeli. Non erano solo forza, energia, anima, ma erano delle entità, dotati di intelligenza, di libertà, di responsabilità.
Potevano quindi anche scegliere di essere e di divenire. Nella loro esistenza primordiale vi era anche la scelta morale.
In questo inizio dei Tempi, Angeli e Demoni erano la stessa medesima entità spirituale; avevano la stessa natura, la stessa origine e le stesse prerogative. Ma venne concesso loro anche la facoltà di poter scegliere.
Lord Hamilton alzò le sopracciglia: -  Diciamo qualcosa come un “libero arbitrio” concesso agli Angeli?
- Si William, qualcosa di simile… Ma per gli Angeli è diverso, dato che per la loro natura di puro spirito il tempo di prova è di un solo istante: fatta la scelta, questa sarà irremovibile esd immutabile per tutti i tempi avvenire. Quindi gli angeli furono messi alla prova, riguardo alla santa sovranità di Dio, che potevano o no riconoscere. E questa fu la prima scelta fra il bene e il male. In questo modo però era anche iniziata l’opposizione alla volontà di Dio.
Questi essere perfetti, dotati della massima conoscenza, della sapienza, della forza, e anche della libertà si sono ribellati contro il loro Creatore.
Perciò hanno scelto il male: sono divenuti demoni. Di qui la loro caduta.
Non accettavano che Dio potesse amare anche un’altra sua creazione: l’Uomo. Essere debole, imperfetto, cui poteva venire perdonato tutto. La redenzione è data agli uomini. Dio concede il tempo all’uomo, perché per sua natura diveniente, affinché possa rivedere le proprie scelte; ma invece agli Angeli ribelli fu concesso solo un irreversibile aut-aut.
- Va bene. Questa parte mi è tutto sommato nota. La creazione, il Bene, il Male… - interruppe William – ma cosa ha a che fare con il conte Fuinur, quanto è successo a Castlefield, e tutto questo?
- Ci sto arrivando. Gli uomini presero possesso del Mondo. Divennero padroni assoluti e incontrastati. Ma i demoni non potevano né dimenticare né accettare…E per primo ovviamente il loro nuovo Signore.
Quindi diedero corpo alle Ombre: iniziarono a manifestarsi nei sogni, ad insinuarsi nelle menti. Instancabilmente cominciarono a perseguitare l’anima dell’uomo. Arrivavano ovunque ci fosse gioia e calore e trasformavano tutto in gelo e terrore. Le ombre cercavano di soppiantare il regno degli uomini. E gli angeli caduti erano i loro padroni e signori.
Un’alleanza di demoni e uomini corrotti dalle Ombre prese corpo e dalle terre di confine centinaia di armate costituite da quanto di più malvagio voi possiate immaginare iniziarono ad espandere la loro egemonia distruggendo tutto quello che trovavano sul loro cammino e uccidendo chiunque tentasse di opporsi.
Questo però non voleva dire che gli uomini si fossero arresi. Alcuni sacerdoti provenienti dai più remoti angoli della terra, appartenenti alle più svariate religioni, si riunirono e giurarono di proteggere l’umanità dal proliferare della malvagità.
Indipendentemente dal loro credo, razza, sesso, lingua si promisero che avrebbero difeso i viventi dal dilagare del male. Quel giorno, da quel momento e per sempre.
Essere parte di questa confraternita significava accettare incondizionatamente di morire per la libertà, propria e degli altri. E l’appartenenza era tramandata da padre in figlio o figlia, purché primogenito.
Alla nascita veniva impresso un marchio invisibile agli occhi della gente e che sarebbe stato latente fino a quando non fosse venuto il momento di rispettare tutti i giuramenti fatti dagli antenati. Sarebbe stato visibile solo con il calore della fiamma.
Il marchio che abbiamo è un sigillo: forma una specie di ponte, una sorta di breccia tra la mente consapevole e il nostro inconscio, la nostra anima. Non è solo un segno per riconoscere chi condivide il nostro stesso segreto. E’ come se fosse un monogramma di pensiero per il governo dell’energia; un mezzo che sfugge all’identificazione dell’Io come essere umano e che permette di passare attraverso il tempo e lo spazio. E’ puro pensiero e desiderio.
E’ un simbolo che rivela gli aspetti più profondi della realtà e che sono al di fuori di qualsiasi altro mezzo di conoscenza. Questo porta noi mortali nella dimensione del sacro. Noi siamo legati a questo corpo, a questo mondo e molti di noi non sanno più vedere le ombre, gli abissi. Le nostre scelte sono dettate dalla nostra volubilità e dal nostro legame alle cose materiali. Ormai servono anime straordinarie per vedere l’ordinario.
I genitori dovevano spiegare ai propri figli, una volta raggiunta la maggiore età, il significato dei simboli che avevano sul braccio. Dovevano spiegare qual’era il loro compito, se mai fossero nati in un’epoca in cui sarebbe stato nuovamente necessario ristabilire l’ordine naturale delle cose.
E così nacque una fratellanza di uomini. Combatterono contro le armate delle ombre e alla fine le ricacciarono nell’inferno da cui erano venute. Gioirono alla fine della guerra, ma sapevano che non stavano festeggiando una vittoria, ma che era solo un rimandare ad un’altra occasione.
Giurarono che il giorno che le ombre avessero ripreso forza i loro eredi sarebbero giunti da ogni regione della terra e avrebbero rinnovato i voti dei loro predecessori.
E purtroppo, Lord Hamilton, questo giorno è giunto.
William aveva ascoltato il resto della storia in silenzio. Quando suo padre gli aveva parlato in passato delle Ombre e dei demoni aveva ritenuto che fossero più storie legate a miti e leggende che fatti reali. Non aveva mai dato peso alle sue parole. Ora invece sembrava che questi racconti si stessero trasformando in realtà e la realtà in incubo.
- Cosa devo fare?
 

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Capitolo 5
*** Alleanze ***


Ordinò alla guardia di aprire la porta della cella. La serratura era ormai completamente arrugginita e i cardini fecero molta fatica a girare.
L’uscio si aprì lentamente dovendo fare forza per smuovere la ruggine accumulatasi negli anni.
Elbereth fece cenno alla guardia di restare fuori. Sarebbe entrata da sola con William.
Lo prese per un braccio un attimo prima di varcare la soglia: - Lasciate parlare solo me – gli disse – limitatevi solamente ad ascoltare.
La camera era poco più lunga di una decina di passi e altrettanto larga. Il soffitto era piuttosto basso ed era interamente ricoperto di muffa come lo erano anche le pareti. Il pavimento era costituito da terra battuta. Era completamente spoglia, tranne una panca di legno inchiodata al muro e riceveva la luce da un piccolo pertugio posto in alto a cui erano state messe delle strette inferriate.
L’uomo che era seduto all’interno si alzò in piedi con uno sguardo misto di curiosità e sorpresa. Aveva addosso una cappa di panno lacera stretta in vita da uno spago e dei pantaloni in pelle infilati negli stivali. Nonostante l’abbigliamento era chiaro che era dotato di un fisico possente ma ben proporzionato.
Rimase immobile con le braccia abbandonate lungo i fianchi a fissare la donna che era entrata nella sua cella.
La sua carnagione bianchissima lo faceva assomigliare più ad un morto che ad un essere vivente, se non fosse stato per il grave respiro e il tremore delle labbra. Il suo corpo fu scosso da un brivido affannoso quando Elbereth gli si avvicinò tanto da poterlo guardare direttamente negli occhi. Non avevano mai perso la scintilla vitale e nella penombra della stanza li si poteva vedere brillare.
Non fece tempo a dire alcuna parola che Elbereth gli sussurrò in un orecchio: - Sei stato condannato a morte.
- E per quale ragione? Se mi è consentito…
- Ci penserò dopo…
- Ah…e perché improvvisamente tanta fretta? Sono quasi dieci anni che marcisco qui dentro e nessuno si è mai interessato di me. Ed ora…
Elbereth alzò le spalle: - Ci serve posto…
Damian sorrise: - Ah! Ah! Ah! Lo sai che mi stai quasi facendo morire…dal ridere però…ma così ti toglierei il piacere di farmi tagliare la testa e di strapparmi il cuore dal petto.
Fece per avvicinarsi maggiormente a lei, ma le catene ai polsi non gli permisero di fare un passo ulteriore. Poi mantenendo un sottile ghigno sulla faccia:
- Dimmi Elbereth, cosa è successo di così grave, tanto grave da decidere di tirarmi fuori dalle galere di tuo padre? Perché è questo il seguito del discorso…
- Devo entrare in un posto che tu conosci molto bene e mi devi aiutare a farlo.
Damian divenne improvvisamente serio: - Oh…Capisco. C’è solo un posto che richiederebbe questo e devi essere impazzita per volerci andare. Se qualcuno mi chiedesse cosa c’è là dentro risponderei il male. Il male assoluto. L’ingresso per il mondo dei dannati.
- Se la metti così… - e fece per andarsene.
- No, Elbereth. Aspetta. Va bene, almeno parliamone. E’ che sai, mi stavo affezionando a questo posto. E’ molto accogliente, specie d’inverno quando piove.
Elbereth lo fulminò con lo sguardo: - Tra un’ora ti faccio venire a prendere. Vedi di esserci…
- Non ho particolari impegni… Ah… pensi che sia possibile avere un pasto decente mentre ti illustro le bellezze e le amenità del castello di Shadow?
- A dopo – si limitò a rispondergli.
Un’ora dopo la porta della cella si aprì nuovamente e due guardie lo prelevarono. Altre catene sostituirono quelle che lo tenevano legato nella angusta prigione.
Si sgranchì le gambe e si stiracchiò la schiena. Erano anni che non percorreva più di quanto la lunghezza delle catene gli consentisse fare.
- Parlami del male assoluto di cui hai fatto accenno prima…
Damian posò la forchetta sul piatto e alzò gli occhi al cielo. Rimase in silenzio per alcuni secondi prima di rispondere.
Sospirò e disse: - E’ vero. Sono stato in quel posto alcune volte e l’atmosfera che si respira è…pesante. Non mi viene in mente un altro modo di descriverla. Mi faceva venire i brividi. Credimi chi comanda là dentro è malvagio. Veramente malvagio.
- Ah beh… detto da te…
Si mise a ridere: - Io ho ucciso, fatto uccidere per interesse, per vendetta, per denaro, per quello che vuoi. Ho rubato, imbrogliato, violentato, e perché no, anche tradito. Ho forse dimenticato qualcosa? – rise - No. Non sono certo un santo. Fa parte del mio essere, della mia natura. Ma ho incontrato una volta sola il Priore – lo chiamano così – e ti assicuro che io sono non sono nulla al suo confronto.
William lo guardò stupito: - Rassicurante…
- E lui chi è?
- A dopo le presentazioni. Continua…
- Che cosa devi andare a fare là dentro?
Elbereth guardò Lord Hamilton e sospirò.
Damian alzò le sopracciglia: - Come vuoi. Ma se ti devo anche accompagnare è meglio che sappia tutto. Avere delle sorprese in quel posto è poco salutare.
Elbereth si alzò dal tavolo e si mise a camminare avanti e indietro nervosamente.
Avrebbe dovuto quindi appoggiarsi interamente a lui fidandosi ciecamente di quello che avrebbe fatto e detto.
Lo guardò indecisa su cosa realmente fare: avrebbe veramente voluto affidare la sua vita nelle sue mani? Fino a poche ore prima era destinato a marcire per il resto dei suoi giorni in quella cella in attesa di essere prima o poi ucciso.
 - E’ inutile che fai finta di pensare. Sai benissimo qual’ è la decisione che devi prendere. Anzi credo che tu l’abbia già presa, non è vero Elbereth? Ti dovrai fidare. E questo ti disturba parecchio. Ma non hai scelta. E questo ti disturba ancora di più. Ma come fare? Come? Come fidarsi di qualcuno che dovevi uccidere? E che magari che dovrai uccidere a lavoro finito. E lui lo sa…Bel dilemma…
- Cosa vuoi? Avanti Damian: cosa vuoi per non tradirmi?
- Lo sai benissimo…è il mio destino…
- Se saremo ancora vivi… - rispose Elbereth con un sospiro.
- Sì. Se saremo ancora vivi. Adesso mi vuoi dire che cosa ci devi andare a fare? Credimi è meglio se lo so anch’io.
Elbereth si versò un altro bicchiere di vino e poi con voce bassa gli disse: - Hanno rapito suo figlio e lo hanno portato nel loro castello. Il conte Fuinur ha lasciato il suo villaggio nelle mani di un suo servitore. Sono arrivata in tempo per fermare l’esecuzione di Lord Hamilton…ma non per uccidere il conte.
- Ah. Lord Hamilton. Così voi siete William Hamilton, il figlio di uno dei sacerdoti. Sì. Sì. Ora inizio a capire. Oh sì…Un lavoretto facile facile…
William lo guardò sorpreso. Elbereth allora prese una delle candele che era sul tavolo e l’avvicinò al braccio di Damian. Lo stesso tatuaggio apparve.
- Già – disse lei – peccato però che poi abbia scelto di stare dalla parte sbagliata…
- Non è esattamente corretto quanto hai appena detto, mia cara. Non ho scelto di stare dalla parte sbagliata…e poi, scusa, tu sai qual è la quella giusta? Sbagliato e giusto: dipende dalla parte da cui stai guardando…Per arrivare alla verità non ti devi preoccupare di dividere il bene e il male, ma ti devi mettere nel mezzo e osservare. Devi lasciare che i pensieri fluttuino, li devi lasciare scorrere nel caos. Le scelte perfette non esistono.
- No. E’ vero. Tu hai solo cercato la via più comoda e facile.
- Elbereth: in questo mondo devi trovare il modo giusto di vivere e devi anche capire come ti conviene vivere. Gli uomini sono di due specie: quelli giusti che si credono peccatori e che si affannano ad espiare la benché minima colpa, e i peccatori che si credono giusti. Tu chi ti credi di essere? Ti innalzi a difensore dell’umanità, ma per fare ciò uccidi. La tua spada gronda sangue, la tua anima è nera tanto quanto la mia…
Elbereth si limitò a guardarlo e a sorridergli: - La salvezza della mia anima sarà una mia preoccupazione. Non certo tua.
- Dunque – riprese Elbereth – ci indicherai la strada? Ci indicherai la strada per l’inferno?
Elbereth gli si era avvicinata alle spalle e ora i due volti erano l’uno appoggiato all’altro. Damian chiuse gli occhi. Il suo profumo lo inebriava. Lo aveva sentito molti anni fa e aveva provato la stessa cosa. Il ricordo di quel giorno gli faceva ancora male. Quello che restava della sua anima stava soffrendo. Riprese il controllo dei suoi sensi: - Ti dispiace se decido io in che modo tornare all’inferno?
- La morte non costa nulla, mio caro Damian.
Chiamò due guardie: - Riportatelo nella sua cella. Buonanotte.
William aspettò che si richiudesse la porta poi con tono interrogativo si rivolse ad Elbereth:
- Mia signora. Pensavo che mai avreste permesso ad un uomo di parlarvi con quel tono.
- Infatti mio caro Lord Hamilton. Infatti… - mise la mano sulla spalla di William - Lui non è un uomo…Non propriamente.
 

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Capitolo 6
*** Damian ***


- Sono passati più di dieci anni da quando ho incontrato Damian per la prima volta – iniziò a parlare Elbereth. Ero con i miei uomini all’inseguimento di un demone. Oh, William, non ne siate così sorpreso, dopo quello che avete saputo oggi, credo che non vi sia difficile credere a quanto vi sto dicendo – disse Elbereth cambiando discorso dopo aver visto l’espressione di William quando disse che era alla caccia di un demone – poi continuò: - Riuscimmo a raggiungerlo nei pressi di un lago. Non credo che servano i dettagli. Lo catturammo e lo uccidemmo. Stavamo per andarcene dopo aver dato fuoco a quanto ne restava, quando uno degli ufficiali si inoltrò dietro alla cascata che ricadeva nel lago e trovò una fenditura nella roccia. Ci chiamò e ci avvicinammo anche noi. Per un attimo l’indecisione ci fermò, ma fummo sopraffatti dalla curiosità.
Decidemmo di entrare e quello che trovammo…la terra era disseminata di ossa e brandelli di carne putrida. Ovunque c’era odore di sangue e di morte. Ma non della morte che conoscevamo. Era diverso. Più intenso, più…vivo…
Ci voltammo per vedere cosa stavamo lasciando, per dare un ultimo sguardo alla luce del giorno; poi sguainammo le spade e proseguimmo.
Prendemmo le torce che si trovavano all’ingresso e ci trovammo davanti a un’altra entrata. Questa ci condusse attraverso un lungo ed umido corridoio fino a delle scale. Iniziammo a scendere. Dal buio profondo ci arrivavano come dei lontani lamenti ingigantiti dagli echi della grotta. Proseguimmo in silenzio e continuammo nella nostra discesa.
Le pareti ci gravavano addosso. Era una sensazione orribile: ci pareva di soffocare. Non c'era altra luce, oltre a quella debole che le nostre torce riuscivano a fare eppure si riusciva a vedere a sufficienza per immaginare che luogo di tortura dovesse essere quello. Ciò che si intravedeva bastava a dar pena ai nostri occhi.
Quando arrivammo in fondo davanti ai nostri occhi, che si erano abituati ormai alla penombra, si aprì uno spiazzo.
Sentimmo delle grida di dolore e rumori assordanti che parevano giungere dal fondo dell’abisso di cui si intravedevano i confini. Ci avvicinammo a quel baratro, ma potemmo vedere solo fiamme e fiumi di lava incandescente che scorrevano nelle viscere della terra. Poi ci guardammo meglio attorno e vedemmo un uomo incatenato ad un muro di roccia.
Non sapevamo se fosse ancora vivo o meno. Quindi ci avvicinammo lentamente e ci accorgemmo che respirava ancora.
Riponemmo le armi. Ai nostri occhi era solo un povero disgraziato che era stato torturato e rinchiuso in quell’inferno. Ma non eravamo esattamente nel giusto…
Quando gli fummo davanti lui alzò la testa e ci guardò quasi con curiosità che definirei animale.
I miei uomini fecero un balzo indietro quando gli videro gli occhi. Erano freddi e ardenti nello stesso tempo. Erano color del ghiaccio, ma dietro le iridi azzurre potevi vedere le fiamme. Non saprei come altro descriverli.
Eravamo tutti in silenzio fermi ad osservarci.
- Cosa sei? – gli chiesi. Certo adesso potrebbe sembrare scortese una simile domanda, ma chiunque fosse, di una cosa ero certa: non era umano. O per lo meno non completamente.
Si mise a ridere e poi mi rispose: - la stessa cosa che sei tu…
- Non è quello che ti ho chiesto – gli dissi.
Piegò leggermente la testa sollevandola un poco per potermi fissare: - E’ interessante – poi disse - come i demoni possano muoversi nel mondo esterno senza legami e senza regole. L’uno all’insaputa degli altri, per poi incontrarsi in maniera puramente casuale e senza essere in grado di riconoscersi…
- Sei un demone, quindi? – gli chiesi.
- Sì! – disse quasi ringhiando - …Sì… - sospirò - Ma troppo nero per il paradiso e troppo bianco per l’inferno. Un angelo caduto. Quindi nell’attesa di decidere quale dovesse essere il mio posto mi hanno condannato alla non morte. Ci sono molti modi per morire: il peggiore è rimanendo vivi. E’ sempre un’emozione indecifrabile, profonda ed intensa trovarsi faccia a faccia con la morte, ogni giorno e non poterla soddisfare. Perché è questa la mia condanna. E’ questo il mio supplizio eterno…
Gli angeli della Morte vengono qui ogni notte, anche se a dire il vero, distinguere se è giorno o notte in questo buio perenne non è possibile – sollevò un poco la testa e fece ruotare lo sguardo ad indicare la cupa volta di roccia che lo sovrastava - Vengono e mi portano al Suo cospetto. E ogni volta io penso: è finalmente quella buona. Finalmente le mie pene avranno fine. E invece no. Arrivo sul ciglio del baratro. Lo guardo…mi dico è lì devo solo fare un altro passo e poi smetterò di soffrire. E poi mi risveglio dal mio incubo oppure invece è semplicemente la realtà e sono nuovamente incatenato qui dopo aver provato l’inimmaginabile. Oh sì! Anche un demone sente dolore, sai?… credimi. Più di quanto tu possa pensare. Ma le sofferenze del corpo che mi vengono inflitte non sono nulla davanti alle lunghe agonie della mia anima. Sono queste un’afflizione, un affanno, una disperata tristezza, un vivo tormento e un atroce dolore che non so come altro descriverle. Ed è ancora poco paragonarla alla stessa agonia che precede la morte, perché in essa perdiamo la vita, ma una volta esalato l’ultimo respiro il corpo mortale cessa di soffrire. Qui invece è la stessa anima immortale che mi viene strappata, pezzo dopo pezzo. Viene lentamente fatta a brandelli per l’eternità.
Elbereth continuò nel suo racconto - Mi trovai così ad ascoltare le sue parole piene di amarezza. Il silenzio che le aveva seguite mi apriva le porte dei suoi affanni che contristavano la sua eterna esistenza e le angosce pungenti che derivavano dalla sua miserabile condizione che gli aveva riservato il Fato. Era uno spettacolo, se così posso chiamarlo, penoso e lacrimevole e allo stesso tempo mi rendevo conto di quanto grande potesse essere la sua potenza se solo avesse potuto mostrarla. Eppure, anche se demone, mi aveva parlato della sua anima e mi aveva chiesto di salvargliela. Pensai che forse, malgrado tutto, la malvagità di cui era permeato non era bastata a corromperla.
Avevo già detto ai miei uomini di uscire e che li avrei raggiunti subito dopo.
Feci per allontanarmi dopo aver dato un ultimo sguardo a quel luogo di supplizio e sofferenza. Mi voltai per l’ultima volta verso anche quell’uomo, quel demone incatenato. Mi chiesi: dovrei porre fine alla sua pena? Lo merita?
Sono certa che avesse capito cosa mi stesse passando per la mente perché mi disse di farlo.
- Uccidimi! – mi disse – Uccidimi! Fallo… Tra poco torneranno. Allora potranno fare ancora scempio del mio corpo, ma almeno la mia anima sarà libera.
Quello che vidi nei suoi occhi fu solo una profonda disperazione.
Sguainai nuovamente la spada e mi avvicinai con l’intento di trafiggergli il cuore; gli appoggiai la punta della mia lama sul petto, ma al momento di affondarla non riuscii a trovare il coraggio di farlo. Potevo quasi percepire il suo battito accelerato dalla paura. Ruppi le catene che lo tenevano legato. Fino ad oggi mi sono sempre chiesta il perché di quel gesto, ma ho sempre saputo che quella era la cosa giusta.
- Cambierai la tua prigionia con un’altra – gli dissi - non vedo la differenza, ma credo che ci sia un motivo per il quale oggi ci siamo incontrati…Come ti chiami in questo mondo?
- Mi chiamo Damian – poi continuò - Non vedi la differenza? No? Io qui sarò torturato per l’eternità fino a quando il Cielo non cadrà sulla Terra e raggiungerà gli Inferi. Questa è la prigione per i dannati. Le tue sono prigioni invece sono fatte dagli uomini per gli uomini. E’ già un passo avanti…
- Sarà sempre e comunque un luogo di dannazione: anche quando disertano l'inferno, gli uomini lo fanno solo per ricostruirlo altrove.
Non disse nulla e si limitò ad annuire con la testa sorridendo. Quindi lo condussi in superficie: era molto debole, per cui non mi fu difficile renderlo obbediente e remissivo.
- Perché mi hai liberato? – mi chiese - Per gli altri demoni io sono solo feccia…per gli uomini invece sono solo un essere immondo da uccidere.
- Non lo so Damian – risposi io - Sinceramente… non credo mi sia dato si saperlo. Oltretutto direi che porre la mia fiducia in qualcuno come te non è certo qualcosa che supporto e che incito. Ma ho fatto la cosa giusta. Di questo ne sono sicura.
Lo feci legare e mettere su un cavallo e poi tornammo a casa. E lui con noi. Fino ad oggi è rimasto nelle segrete del castello di mio padre. Ho sempre cercato di proteggerlo evitando che si venisse a sapere chi avevamo rinchiuso in quella cella. Fino ad oggi…
 

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Capitolo 7
*** Il Castello di Shadow ***


Il giorno dopo Damian venne condotto alla presenza del re. Nella sala c’erano solamente Elbereth e Lord Hamilton.
- Lasciateci soli – ordinò poi il sovrano alle guardie che avevano scortato il prigioniero.
Damian guardò i soldati uscire, poi si voltò nuovamente e rimase in piedi ad aspettare. Poi disse: - Spero che nessuno di voi si aspetti che io mi metta in ginocchio a chiedere pietà…Ho sopportato letteralmente le pene dell’inferno prima di venire rinchiuso in questo posto.
- Demone! Sei qui da più di dieci anni… - gli disse il re.
- Il tempo per me non ha alcun significato – lo interruppe Damian mantenendo un tono di voce calmo e pacato - Almeno non il significato che gli attribuite voi uomini.
Elbereth prese la parola: - Ascolta Damian, noi dobbiamo recarci al castello del monte Shadow e penetrare nella sua Abazia. Per cortesia, puoi dirci a cosa andremo incontro?
- Per cortesia? – si mise a ridere – Per cortesia! Nessuno ha mai usato questa parola con me…
Lord Hamilton ne aveva avuto abbastanza della sua strafottenza: sguainò la spada e gliela puntò alla gola. Poi scese con la lama fino al cuore.
- Ti è stata fatta una domanda in modo educato. Rispondi! Oppure ti trafiggo con questa stessa spada e getto la tua carcassa nelle fiamme dell’abisso che ti ha generato.
- Fermatevi Lord Hamilton – intervenne Elbereth – Non abbiamo molto tempo. E vi ricordo che all’interno di quel luogo maledetto c’è racchiuso anche vostro figlio. Riponete la spada. Ora ve lo chiedo per favore. Vedete di non farlo diventare un ordine…
William annuì: - Scusatemi. E rinfoderò l’arma non senza un moto di stizza.
- Bene Damian – disse poi Elbereth rivolgendosi al demone -vuoi dunque deliziarci con questo racconto del terrore?
- Sono molte le cose che ho da dire di questo posto. E non tutte sono alla portata della mente limitata degli uomini.
- Ed io – rispose il re – ho sia l’intelletto che la pazienza per ascoltare. Quindi parla!
Il demone iniziò a camminare nella sala ed iniziò, parlando con tono flemmatico, la sua descrizione: - Tra le colline che sono alla base del monte Shadow, sommerse dalle nebbie e avvolte dalle esalazioni delle paludi circostanti, si ergono possenti mura che difendono nere città, abitate da uomini che hanno venduto tutto ciò che possedevano compresa l’anima. Non hanno più alcun diritto di vivere e adesso sono i silenziosi e obbedienti servitori del Priore. Dividono la loro esistenza dannata con demoni e altre mostruosità, creature né vive né morte che hanno come unico scopo quello di asservire il Male. Solo i folli o gli stolti avrebbero il coraggio di negare quanto esiste in quelle terre. Gli stessi mortali che risiedono in quelle città tremano al solo pensiero del loro signore e padrone, il Demone Conquistatore, il Distruggitore, tremano anche ad ogni sussurro che proviene dalle stanze del castello dove il suo spirito si agita irrequieto all’ombra dell’Abazia.
L’Abazia stessa è stata costruita sulla più grande delle menzogne: la negazione del Diavolo. Chi l’ha edificata è riuscito a stravolgerne il significato e ha trasformato un luogo di santità, o presunto tale, nel suo opposto: un luogo di dannazione e perdizione. Fede e Speranza hanno lasciato il posto alla Disperazione. Invece che indicare la porta per il Paradiso, per la Salvezza si rivela essere un passaggio per l’Inferno. Se mai ci dovesse essere un’uscita, questa porterebbe nelle viscere della terra. I suoi sotterranei racchiudono lo stesso orrore che si trova nell’animo di chi la domina.
Per arrivarci dovrete attraversare dei luoghi in cui incontrerete cose che vanno al di là della paura stessa. Non avrete mai provato nulla di simile prima. Sentirete le tenebre e l’oscurità che vi penetrano nella pelle e attraverso essa nel cuore e nella mente. Ne avvertirete la presenza ancora prima di vederle. Vi troverete in uno spazio dimenticato, portatore di arcani segreti e di profonde inquietudini. Attraverserete terre brulle e desolate solcate da rivoli di acque putride. L’aria fetida sarà impregnata dell’odore della morte.
Una volta giunti nella piana circostante, in lontananza potrete vedere avvolta nella semioscurità una forma enorme, imponente. Eppure i vostri occhi vedranno solo la parte esterna di questo enorme edificio. Esso si estende ben al di sotto della superficie della terra, sprofonda nelle oscure viscere della terra; corridoi oscuri vi porteranno sempre più in basso e non solo fisicamente. Avvertirete l’ostilità delle mura e la tortuosità della costruzione che riflette quella della mente che lo ha costruito e che lo governa. Paura e morte dimorano in quel luogo: paura e morte sia mentale che fisica.
Nessun essere che si possa definire umano ha mai osato penetrare quelle mura. La malvagità che vi regna è cresciuta nel tempo indisturbata: nessuno ha mai osato scrutare in profondità nell’ombra per timore che quanto potrebbe emergere ricambiasse la visita.
William si avvicinò impaziente a Damian - Non temo né l’Inferno né il Demonio. Se volevi spaventarci, demone, hai miseramente fallito. La mia fede è salda e lo scopo per cui mi batto è nobile.
- Povero stolto mortale…non hai mai avuto paura? No? Credimi, non ne hai ancora abbastanza.
- Cosa c’è dentro? Chi o Cosa abita questo antro infernale? – gli chiese il re.
Damian rimase per un attimo a fissare il re. Nel suo intimo si stava chiedendo se volesse realmente sapere la risposta, se si rendesse veramente conto di quello cui sarebbe andato incontro.
Poi riprese a parlare.
- Questo è un luogo di terrore, l’anticamera dell’inferno. La porta per il mondo perduto. E’ abitato da entità sub-umane prive di convinzioni proprie, di principi; sono esseri tormentatori, uomini con nere coscienze di demoni.
Si trovano su piani paralleli del Cosmo. Il loro unico scopo è predare il cuore dell’uomo per distruggerlo. Non potranno porre fine al loro tormento finché non avranno adempiuto al compito affidato dal loro padrone.
Essi al minimo segno di presenza umana, al minimo pensiero di paura, si risveglierebbero e come una furia si avventerebbero contro chiunque osasse entrare. Torturerebbero ogni uomo che provasse a penetrare in quei luoghi con le stesse armi che porta con sé, fino a farlo impazzire. E ciò che è peggio prima lo circuirebbero con l’ingannevole Speranza.
Io non ho mai avuto nemmeno la curiosità di sapere chi o cosa fossero quegli esseri; ho sempre e solo cercato di evitarli il più possibile.
Quando entri nel castello devi importi un forte controllo, reprimendo con decisione la più piccola emozione. Quelli esseri si nutrono di ogni sentimento buono o cattivo, positivo o negativo che sia. L’unica vostra possibilità è che possediate un totale controllo delle vostre paure mediante la volontà; questa sarà l’unica forza che vi consentirà di muovervi verso il castello e l’Abazia e che vi permetterà di sfuggire all’incatenamento in questi luoghi terrificanti.
- Da quanto dici mi verrebbe da pensare che tu ne abbia quasi paura. Come è possibile? Dalla tua descrizione quegli esseri sono demoni, come te del resto…Cosa può esserci di peggio?
Damian guardò il re. I suoi occhi divennero vivi, come se un fuoco si fosse acceso al loro interno. Erano così brillanti da dare quasi fastidio.
- Possono accadere cose peggiori... che un'alleanza tra…vecchi nemici.
- Che cosa si trama dentro quelle mura?
- Da sempre si stanno preparando alla rivincita. Al loro servizio non ci sono solo demoni, ma anche uomini. Alcuni per scelta, altri invece…
Il re rimase stupito di questa risposta.
- Ma come? Come si è potuti riuscire a persuadere esseri ragionevoli che ciò che li avrebbe dannati era quanto di più essenziale per la loro stessa esistenza e che addirittura li avrebbe salvati?
Damian guardò il re: - Sono sorpreso da questa domanda. Davvero non riesci ad immaginare cosa può obbligare voi mortali a questa obbedienza? Sono terrorizzati. Semplicemente sono terrorizzati. Quando l’uomo ha paura smette di ragionare. Sono stati convinti a dubitare di tutto a diffidare della loro stessa ragione. E quando la mente è turbata, si cominci a credere a tutto e non si analizza più nulla. Sanno benissimo che per ogni fuggitivo, non solo la famiglia più stretta, ma anche tutti i parenti e gli amici verranno brutalmente torturati e uccisi.
- Ma perché? Per quale motivo le ombre dovrebbero cercare di impadronirsi della terra?
- Perché? Per lo stesso motivo per cui la notte caccia la luce del giorno: perché è costretta a farlo dalla legge della natura. Le Ombre sono costrette dalla forza dei potenti come Satana.
- E tu invece? Da cosa sei costretto?
- Io sono legato da un obbligo che segue leggi che vanno ben oltre quelle della natura. La prima volta è una nostra scelta, per la seconda siamo vincolati.
- Quindi, demone, sei pronto a seguirci? O ci tradirai?
- Tradirvi? Io? – e senza mostrare alcuna emozione aggiunse – Perché dovrei ingannarvi? Presumente tanto, troppo. L’oscurità, la miseria, il nulla in cui voi uomini giacete più che il vostro ingegno vi salvano dall’inganno. Io vi ho risposto, solo che vorrei ricordarvi che quando si diffida di un uomo non conviene dirglielo così palesemente in faccia, specie se poi dovete anche dirgli di seguirvi all’inferno. I tempi stanno avanzando inesorabilmente. Potrebbe essere troppo tardi per muoversi.
- Non mi hai risposto, demone – disse il re alzandosi in piedi e avvicina dosi -  Ci tradirai? Non credo serva che ti rammenti quale fu il premio per colui che vendette il figlio di Dio per trenta denari…il capestro in questa vita e l’eterna dannazione nell’altra.
- Io sono già dannato. Non dubitare di me. E’ vero. Io non mi piego agli uomini. Nulla di quanto tu dica né ora né mai mi potrebbe costringere a seguirvi…
Poi spostò lo sguardo verso Elbereth – Ma c’è altro…
- Ma io non ho – disse il re - e nemmeno voglio impiegare i mezzi per costringerti. Non posso permettermi di avere qualcuno di cui non mi posso fidare. Specie in quello in cui mi accingo ad intraprendere.
- Prima mi poni davanti ad una illusione che mi riaccende la speranza e adesso mi dici che me ne torno nella mia cella perché non ti fidi?
- Tu obbedisci ancora al tuo signore…
- Ci venne data la possibilità di scegliere. Anche in noi angeli caduti è il libero arbitrio. Anche noi possiamo decidere di non seguirlo. La sentenza con la quale mi hai condannato è uno scherno feroce alla mia natura di demone.
- Dovrei dunque avere fiducia in te?
- E quale sarà il destino del figlio di quell’uomo? – continuò Damian senza prestare attenzione alle parole del re.
Sentendo questo Lord Hamilton ebbe come un sussulto.
- Egli vive? - domandò
- Sì…vive.
- Tu puoi vedere?
- Mi è concesso di vedere nel futuro. Non sono onnisciente, ma molte cose mi possono essere note. Ciò che posso sapere però è imperfetto: posso scorgere gli eventi molto lontani, ma quando si avvicinano o stanno avvenendo diventano invisibili e non sono in grado di saperne nulla.
- Così grande è la misericordia di Dio? E pure in questo che tu mi dici mi appari ancora più scellerato, tanto è vero che non c’è momento in cui Satana si mostra così terribile come quello in cui si veste da santo.
- Uomo…io non ho mai preteso di essere un santo.
William si avvicinò e fissò Damian negli occhi: - No. Non lo sei.
Gli diede una spallata ed uscì.
- Non dare troppo ascolto a quanto dice Lord Hamilton. La sua bocca adesso è guidata dal cuore.
- Non ti preoccupare per me. Per lo più l’uomo quando ascolta parole, crede di doverci trovare anche dei pensieri. E, come ben sai, io non sono un uomo.
Sorrise, poi diventando improvvisamente serio: - Se l'uomo non comprende l'inferno è perchè non ha capito il suo cuore. Io ho visto l’inferno che è dentro Lord Hamilton. Tutti voi dubitate di me, ma ascoltami, cerca prima il nemico tra gli amici.
- Un vecchio adagio recita dagli amici mi guardi Dio che ai nemici… - gli rispose Elberth cercando anche di rendere meno drammatico il momento.
- C’è sempre un fondo di verità nelle parole del popolo.
Poi la prese per un braccio: - Elbereth! Non sarò io quello che ti tradirà.
 

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Capitolo 8
*** I Sacerdoti ***


La tregua era finita.
Per molti anni i Sacerdoti e i loro discendenti avevano vissuto nel silenzio e nella discrezione. Avevano osservato il mondo dal di fuori, con apparente distacco come se non ne facessero parte. Impassibili davanti al dilagare della corruzione delle genti, delle menti e degli animi, all’agonizzare delle virtù e alla morte della saggezza.
I loro membri però non restavano dormienti, ma attendevano osservando l’equilibrio che lentamente andava rompendosi e in cuor loro sapevano che era solo questione di tempo.
I Sacerdoti istruivano le generazioni che crescevano cercando di mantenere viva la conoscenza per evitare che andasse perduta la memoria di cose che non dovevano essere dimenticate.
Ogni padre ricordava al suo primogenito gli eroi morti in un passato glorioso ma contemporaneamente ricordava anche le vittime del presente che diventavano sempre più numerose.
La tregua era finita.
Una gran confusione adesso regnava nei palazzi dei Sacerdoti. Ogni messaggero che giungeva al cospetto dei sovrani portava funeste notizie. Il tradimento del conte Fuinur era solo l’ultima di una serie continua di allarmanti segnali che indicavano chiaramente che i presagi erano veri.
Vi era un continuo andirivieni di cavalieri per mantenere i contatti tra il re e le varie corti e il Gran Maestro. L'instabilità dei tempi rendeva la presenza di ciascuno indispensabile. Ci si stava preparando per riunire tutti i Sacerdoti e i loro eredi. Il fermento nelle città rendeva la popolazione inquieta. Le notti avvolgevano con le ombre le case; le vie deserte ed i palazzi silenziosi attendevano l’alba con animo trepidante affinché la luce del mattino dipanasse la nebbia della sera precedente e il sole portasse un po’ di calore a riscaldare i cuori. Il sonno degli abitanti di case e castelli era agitato da sogni oscuri. E molti speravano di trovare spiegazione ai propri incubi e di fare chiarezza ai propri dubbi con le risposte dei Sacerdoti.
La tregua era finita.
Alcuni dei figli dei Sacerdoti erano anche emozionati ed eccitati per la novità. Avrebbero assistito alla loro prima Consulta alla quale erano stati preparati da anni. Altri invece non erano così entusiasti: sapevano cosa volesse dire una simile chiamata e le conseguenze. La guerra era imminente.
L'assemblea si sarebbe protratta a lungo senza non pochi momenti di tensione e di animata discussione.
Il Palazzo del Consiglio si ergeva sulla sommità di una collina da cui si poteva dominare l’intera vallata che ospitava la capitale. Era collegata al centro abitato da un ponte che attraversava il fiume che scorreva alla sua base. Dalle grandi finestre della sala consigliare entrava l’azzurro del cielo circostante e i raggi del sole, filtrati dalle ampie vetrate, si scomponevano nei colori dell’iride e si posavano, sfiorando il pavimento in marmo bianco, sulle migliaia e migliaia di volumi d'ogni epoca e paese che ne ricoprivano le pareti.
Gli Anziani presero posto per primi al centro della Sala del Consiglio. Poi lentamente tutti gli altri Sacerdoti si sedettero attorno al tavolo a seconda del loro grado e della loro anzianità.
Purtroppo vi erano delle sedie vuote: fra tutte spiccava quella del conte Fuinur, che ovviamente era causa di numerosi commenti. Ma non era la sola.
Sir Rogers aveva dato priorità assoluta alla sua personale battaglia per conquistare il potere delle terre nel nord dopo che il governatore era morto in circostanze non del tutto chiare. Anche sir John aveva declinato l’invito adducendo come scusa che non gli erano giunte voci attendibili di attività oscure e sospette all’interno di Shadow e quindi non rischiava di mandare i suoi uomini verso una battaglia inutile lasciando sguarniti i suoi possedimenti.
Lord Baldwin, in qualità di Maestro di Cerimonia, prese la parola: - Vi ringrazio di aver risposto così velocemente alla convocazione e di essere qui presenti. Come mi è stato richiesto dal Gran Maestro Lord Edwin, vi prego di esporre a tutti i convenuti quanto ognuno di voi ha percepito. Il nostro Re è molto preoccupato e i suoi sogni confermano gli stessi nefasti presagi che io ho veduto nei cieli.
Dal castello sul monte Shadow e dall’Abazia ombre e morte si stanno muovendo contro di noi. Nuove forze oscure si stanno organizzando e crescendo in numero e potenza. E i loro malefici sono già all’opera. Il conte Fuinur è l’ultimo dei nomi illustri che si sono aggiunti alle loro liste.
Noi chiediamo a questa assemblea di avere mandato per inviare un esercito in quelle terre desolate per poter valutare l’effettiva situazione.
Vogliamo sapere cosa pensate di quanto accaduto a Castlefield a Lord Hamilton, qui presente per poter testimoniare in prima persona dei fatti occorsi a lui e alla sua famiglia e che valutiate la severità degli avvenimenti.
Infine vogliamo conoscere la vostra posizione nei confronti del Conte Fuinur.
Lord Morgan ascoltava in silenzio vicino al figlio ed erede Erik, il quale cercava come sempre il conforto dello sguardo del padre. Il suo cuore e il suo coraggio erano ben lungi dall’essere come quelli dei suoi antenati. Ma lo sguardo tanto cercato ora sta fissando lord Baldwin: sta soppesando ogni singola parola. I suoi occhi però tradiscono i suoi pensieri. E non sono ignorati.
Invece di prendere parola, lord Morgan si limitò ad ascoltare e aspettò che lord Baldwin finisse il suo discorso. Voleva lasciar parlare gli altri sacerdoti per cercare di capire la loro posizione. Contemporaneamente non voleva che il suo disaccordo diventasse troppo palese. Appena trovò l’appiglio per inserirsi nella discussione iniziò a parlare: - Fratelli. Amici. Innanzitutto lasciatemi ringraziare tutti voi per essere qui accorsi in questi tempi di incertezza e dubbi. E’ un onore essere qui con voi per scambiare conoscenze e consigli. E io ho un consiglio. Probabilmente non sarà gradito; per questo voglio anche precisare che non è mia intenzione di mettere in discussione la volontà del Consiglio e che mi rimetterò alla decisione della maggioranza. Noi stiamo adesso per ragionare sulla necessità di rischiare la nostra vita, quella dei nostri uomini e – aggiunse poi mettendo le mano sulle spalle ad Erik – quella dei nostri figli, per cosa? Per delle supposizioni? Per delle voci? Per delle premonizioni? Cosa abbiamo di certo?
Stava per proseguire, ma volgendo lo sguardo sui presenti un brivido gli percorse la schiena. Con un tono misto di orrore e disgusto si rivolse a tutti: - Vedo che tra noi c’è anche qualcuno che non può essere gradito. Un demone è qui presente. E di certo non è il benvenuto. Siamo qui forse per sua volontà?
- Egli è qui perché ci può aiutare a penetrare nel castello di Shadow. Lui conosce la strada – disse il re.
- E chi ci assicura che invece non sia qui solo per tentarci?
- Stai scegliendo il nemico sbagliato, sacerdote – disse Damian.
- Zitto! Figlio di Satana! Come osi? Chi ti dà il permesso di parlare in questo luogo?
- Lui è con noi – si alzò in piedi Elbereth – e quindi la parola gli è concessa.
Prese una candela e si avvicinò a Damian.
- Dammi il braccio.
Damian allungò le mani incatenate e lo stesso simbolo che era sulle braccia di tutti apparve.
Un brusio di sorpresa e meraviglia si sollevò dall’intera assemblea: - Un demone è anche il figlio di un sacerdote? E’ uno degli eredi?
- Come è possibile questo?
- Ci sono cose che non ci sono concesse di capire e su ciò di cui non si può parlare è bene tacere – rispose il re.
- A nessun demone verrà mai concesso il permesso di sedere a questo tavolo, nemmeno se figlio, o presunto tale, di sacerdote. Ed è sicuramente criticabile che solo su questi basamenti ci troviamo in maniera precipitosa e avventata a prendere ora una decisione. Abbiamo tutti sentito le parole di lord Baldwin, ma prima di prendere una amara decisione come quella proposta di cui potremmo poi pentirci, non è forse meglio verificare che davvero non esistano altre possibilità o spiegazioni?
Il padre di Elbereth si spazientì. Non potevano perdere tempo a discutere.
- Basta! Basta! Abbiamo poco tempo e non possiamo permetterci di sprecarlo discutendo tra di noi. Ciò che non accade oggi, non verrà fatto domani!
Le varie voci si mescolavano tra di loro; chi appoggiava il re e chi invece riteneva che le parole di lord Morgan fossero sagge: perché iniziare una guerra? Perché mettere a rischio le proprie genti?
- Nessuno di noi vuole metter in dubbio il re – continuò lord Morgan -  nessuno vuole screditare gli Auspici interpretati dai saggi, ma ci dimostreremmo ancora più saggi se cercassimo di risolvere con la diplomazia la questione…
- La diplomazia? – esclamò Damian. Poi rise scuotendo la testa – e ditemi, sacerdote, andrete voi a negoziare con il re degli inferi?
Elbereth gli prese la mano: - Aspetta…
I sacerdoti si sedettero
Il Grande Maestro Lord Edwin si alzò, calò di nuovo il silenzio, le discissioni cessarono e il Conclave ebbe ufficialmente inizio.
- Ci ritroviamo nuovamente dopo tutto questo tempo, purtroppo per discutere dell'andamento del mondo. Abbiamo ascoltato con grande attenzione le parole del Maestro di Cerimonia, lord Baldwin. Non possiamo certo ignorare le perplessità di lord Morgan da una parte e la preoccupazione del re dall’altra, frutto anche dei recenti avvenimenti.
Tutti annuirono.
- Il fatto principale che ci ha colpito e che ci rattrista – continuò lord Edwin - è il tradimento del conte Fuinur e quanto ne è scaturito. Il mio cordoglio più sentito a lord William Hamilton per il grave lutto che lo ha segnato. Ma non dobbiamo avventarci sull’impeto governato dal desiderio di vendetta. Suggerisco moderazione…
Il re intervenne: la discussione si stava prolungando in chiacchiere inutili. Serviva una decisione pronta e ferma.
- La moderazione è una virtù solo per quelle persone che pensano di avere un'alternativa. Non ci sono alternative. Una grande battaglia ci aspetta. Non solo una guerra di armi, ma anche una battaglia spirituale tra il bene e il male. Tutta la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; questa lotta è cominciata fin dall'origine del mondo, e durerà fino all'ultimo giorno quando si apriranno le viscere della terra e i cieli si squarceranno.
In questa battaglia si perpetua la lotta dell’uomo contro il potere delle tenebre. La nostra battaglia infatti non è solo contro creature fatte di sangue e di carne ma contro i Demoni, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano le regioni infernali.
Il nostro nemico si sta risvegliando e cercherà chi divorare chiunque vorrà opporsi. Dovremo resistere saldi nella nostra fede, sapendo che i nostri fratelli sparsi per il mondo subiranno le stesse sofferenze alle quali andremo incontro se non riusciremo nel nostro intento. Fratelli, i nostri antenati hanno giurato di proteggerlo e ora dobbiamo mantenere tutte le promesse fatte.
Elbereth proseguì il discorso di suo padre: - Il demonio ha il potere di suggerire il male, può tentare, ma non può costringere, altrimenti l’uomo non sarebbe libero. E ho percepito nelle parole di molti di voi la volontà di non combattere. L’uomo è debole e forti sono le sue paure, facili da insinuare.
- Lady Whytwornian – disse uno dei sacerdoti. Satana è il padre della menzogna: egli è falso e bugiardo fin dal principio. Lui – disse indicando Damian – non è altro che una sua emanazione.
- Vi sto offrendo il mio aiuto – rispose Damian
- I demoni non farebbero mai nulla di simile di loro volontà. Tu lo fai perché sei costretto. Sei vincolato da obblighi che vanno ben oltre la volontà del tuo signore.
- Dici il vero. Antiche leggi, alle quali tutti noi dobbiamo sottostare, mi vincolano ad un essere mortale. Ed è per questo che ora sono qui per farvi conoscere il tragico orrore dell’inferno, come mi è stato richiesto. Ma vi avverto: molti demoni si aggirano che vorrebbero mandarvi in perdizione, e false anime appaiono come guide.
- Cosa credi, demone? Chi è dannato lo è per l’eternità, non c’è alcuna speranza di salvezza per lui. Pensi dunque di riscattarti con qualche nobile azione? Per te c’è solo che l’inferno.
- Inferno…- Damian si mise a ridere – A voi uomini piace: è una parola che fa sempre un certo effetto, specie sulla bocca degli stolti…
Rise. Poi cambiò tono di voce: - Cosa ne sai tu dell’Inferno, povero…sciocco…mortale?
Improvvisamente apparve più alto e possente di quanto non lo fosse in realtà. Attorno al corpo di Damian pareva che si stessero sprigionando fiamme e ombre. L’intera sala piombò nell’oscurità. Poi, come erano arrivate, le tenebre scomparvero.
- E’ tutta qui la tua potenza, demone? Cerchi forse di incuterci timore e paura con dei trucchetti che ti sono stati insegnati a tal scopo?. Lord Hamilton si dimostrava sempre più impaziente e scortese. Non gradiva ascoltare i suoi discorsi.
- Non…tentarmi…uomo!
Elbereth si alzò in piedi. Stava per dire qualcosa, ma Damian la fermò. Si sedette nuovamente commentando: - E’ chiaro ai miei occhi e non solo, che tra i presenti serpeggia il maligno tentatore.
Damian abbassò lo sguardo e poi riprese a parlare: - Quando venne confinato nell’Ade, Lucifero, il portatore della Luce, perdette sì la sua bellezza, ma non la sua intelligenza e la sua potenza; così pure i suoi seguaci. Essi non riuscivano a rassegnarsi a vivere in eterno in quel luogo oscuro, perlopiù escluso ai viventi dove soggiornano in eterno le ombre. L’odio contro il Dio che li ha puniti così severamente iniziò a divorarli lentamente ma inesorabilmente e nell’oscurità la gelosia verso gli uomini che avevano preso il loro posto crebbe implacabile. Guidati dal loro nuovo signore i demoni stabilirono di vendicarsi delle deboli creature che ora erano diventate le predilette, tentando quanto più di prezioso e fragile avevano: la loro anima. L’uomo è facile a corrompersi… In questo modo le avrebbero trascinate con loro negli inferi  insieme alle ombre.
L’inferno non è solo un luogo fisico di dannazione come piace pensare a voi mortali. E’ uno stato. Uno stato di eterno dolore e sofferenza. Angeli caduti e demoni condividono la stessa punizione: siamo costretti in parte ad essere laggiù, in parte a vagare per il mondo condannati alle pene infernali perchè la maledizione eterna poggia sempre su di noi.
Elbereth lo guardò e aggiunse: - Ed ora vogliono condividerla con noi.
- Bene, MyLady. Siete stata chiara. Porteremo le vostre parole e quelle di vostro padre nelle nostre terre. E ci rimetteremo alla decisione dell’intero Consiglio.
I sacerdoti ad uno ad uno si allontanarono, ognuno diretto nella sua terra.
Rimase solo Lord Hamilton. Nella sua mente si succedevano truci pensieri con la stessa velocità con cui le nuvole che precedono la tempesta attraversano il cielo, né meno erano tenebrosi.
- Cosa è in realtà Damian? Ha distinto angeli caduti e demoni: perché? E soprattutto, Lady Whytwornian, come fate ad essere sicura che non si rivolterà contro di noi?
- Fino a quando indosserà quelle catene il suo reale potere non potrà mai manifestarsi.
Non volle rispondere alla prima domanda e non poteva ignorare quanto Damian le aveva detto qualche giorno prima.
 

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Capitolo 9
*** La chiamata del principe delle tenebre ***


Era passata un’altra luna e non si avevano ancora avuto notizie dai singoli regni. Nessuno dei messaggeri era tornato o aveva mandato un suo messo per riportare la decisione presa. Nessuno ancora aveva preso una reale posizione malgrado ci fossero chiari segni del pericolo che stava nascendo.
Le creature della notte che erano di solito relegate nelle profondità delle foreste uscivano sempre più frequentemente ed erano avvistate sempre più vicine ai villaggi limitrofi ai boschi.
Nessuna strada era più sicura.
Se qualcuno avesse guardato l’Abazia sul monte Shadow avrebbe potuto giurare che respirava, che era diventata viva.
Vi era un notevole fermento all’interno delle mura del castello e della stessa Abazia. Questo era chiaro agli abitanti dei villaggi sottostanti. Essi si stavano preparando alla chiamata del loro principe che sentivano essere prossima. Egli conduceva un’esistenza ancora sotto forma di ombra; un pensiero proveniente dall’Oltre Mondo che avanzava lentamente nella realtà e che cercava di prendere una sua forma fisica. La sua capacità di persuasione era potente. Bastava solo un accenno al suo nome che ogni volontà veniva piegata inesorabilmente ai suoi ordini.
I segnali che il Portale sarebbe presto stato aperto erano sempre più evidenti: persino nell’aria si percepiva l’odore del Male. Si poteva avvertire che Esso si sentiva il padrone indiscusso della terra e che presto lo sarebbe diventato.
I Quattro Cancelli che rappresentavano gli ingressi nell’Abazia erano stati aperti e i Quattro Guardiani erano ora a presidiare le Torri poste a guardia del regno delle tenebre. Una Torre per ogni Guardiano, e un Guardiano per ogni piaga dell’Apocalisse: Pestilenza, Guerra, Conflitto e Morte.
Il Priore ora aveva dato loro mandato per arruolare nuovi soldati per aumentare le fila del suo esercito. Chiunque li incontrasse era incapace di resistere al loro sguardo: veniva attirato ai loro piedi e spontaneamente offriva la sua anima diventando sottomesso al volere dei Quattro Cavalieri e servitore del Priore. Attraversavano le terre instancabili e implacabili; le genti si inchinavano al loro passaggio. Tra tutti coloro che si piegavano al loro comando sceglievano i guerrieri che li avrebbero seguiti; dovevano essere abili di spada, forti e resistenti e disposti a cedere la loro anima incorruttibile. Marciavano lungo terre e confini e raccoglievano in ogni dove servitori fedeli e potenti guerrieri, un esercito interamente costituito per creare un mondo vago, cupo e tenebroso, dove non sarebbe esistita una distinzione tra ombre buone e malvagie. Un esercito con un unico scopo: soggiogare in eterno nel regno dell’Oltretomba vivi e morti.
Giorno dopo giorno nuovi adepti si aggiungevano ed ingrossavano le fila dell’esercito agli ordini del padrone del castello di Shadow. I più crudeli, coloro i quali venivano di propria volontà ad offrire i loro servigi, erano premiati dal Priore stesso, ottenendo poteri che andavano oltre l’immaginabile.
- Calerà il crepuscolo e il mondo intero si inginocchierà al potere delle Ombre. Esse emergeranno dalle viscere della terra e porteranno ovunque morte e distruzione.
Il tempo passava e le terre diventavano sempre più fredde e desolate. Nei villaggi sempre più deserti, nelle campagne inospitali, nel buio sempre più profondo in cui si stava inabissando la terra, potenti demoni e creature degli orridi stavano lavorando per accrescere l’autorità di una società sanguinaria in cui gli esseri umani erano destinati ad esserne o succubi o schiavi.
Elbereth stava osservando il cielo arrossire alla luce del tramonto. Neri presagi le stavano attraversando la mente: stava pensando a voce alta: – “Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.”
- L’Apocalisse – le disse una voce alle sue spalle
- L’Apocalisse – fece eco lei – “E un’ombra nera renderà l’intero cielo notturno e pioveranno più creature nocive che piogge in inverno”.
William si avvicinò rispettosamente ad Elbereth. Non sapeva come iniziare il discorso, voleva dirle che non avrebbe aspettato ancora a lungo. Sarebbe andato a cercare suo figlio. Doveva sapere. Voleva sapere se fosse ancora vivo. E se fosse morto voleva avere una tomba su cui piangerlo.
- Vorrei essere dispensato. Io…
Elbereth si voltò: - Volete andare a cercare vostro figlio? Da solo? Pensate veramente di riuscire ad arrivare al castello? E se mai non veniste ucciso e fortunosamente riusciste ad arrivare alle pendici del monte Shadow, poi come pensate di entrare? Busserete alla porta?
William abbassò lo sguardo. No. Non sarebbe stato di certo così semplice.
Elbereth continuò: - Non crediate che io non abbia a cuore la sorte di vostro figlio.
- Non è il vostro! Come potete capire?
- No. Avete ragione. Non è mio figlio, ma quello che invece vorrei che voi capiste è che è stato rapito per una ragione. Altrimenti sarebbe stato ucciso con gli altri.
- Oh sì! Una ragione c’è sempre…
Elbereth e William si voltarono con aria interrogativa verso la porta da cui era arrivato il commento carico di sarcasmo.
- C’è sempre: quale incitamento più grande per intraprendere un’azione di guerra se non quello di un povero bambino prigioniero? E magari sottoposto a chissà quali atrocità? Un innocente nelle mani del signore del Male…Chiunque cercherebbe di salvare se non il suo corpo, almeno la sua anima. Tuo figlio non è nemmeno arrivato al castello di Shadow…
- Damian…cosa stai dicendo?
Elbereth guardava incredula la figura che si era appoggiata mollemente allo stipite dell’ingresso. Solo pochi giorni prima aveva detto che il figlio di Lord Hamilton era ancora vivo e adesso affermava il contrario con una innaturale tranquillità.
- Te l’ho detto. Io posso vedere solo in modo imperfetto. E poi a voi umani piace molto avere qualcuno che dica parole di speranza…
- Io adesso ti uccido!
William sguainò la spada e si diresse con decisione verso Damian.
Elbereth arrivò prima di lui e gli si parò davanti: - No! Aspettate! Abbiamo ancora bisogno di lui. Dobbiamo comunque entrare nel castello. La guerra ci sarà indipendentemente da voi…
La lama rimase sospesa a mezz’aria tremante come la mano che la impugnava. Damian era impassibile davanti all’ira di Lord Hamilton. Piegò leggermente da un lato la testa e gli disse:
- Devi imparare a combattere non solo senza paura, ma anche senza speranza...ricordatelo uomo! Ci attende un lungo viaggio.
Attraverso luoghi remoti, tetri, bui. Tra territori sconosciuti e impervi, avvolti da nebbie perenni e da un’oscurità eterna. Luoghi difficilmente raggiungibili o comunque segreti e inaccessibili ai mortali, infestati dalla malvagità pura e inafferrabile. Per trovare la luce ci dovremo prima battere con le sue ombre.. Il sangue sarà il collegamento tra i vivi e i morti.
- Mio figlio è vivo! E’ chiaro?
- Come preferisci…Se vuoi che sia vivo allora che vivo sia! Ma non confondere i tuoi desideri con la realtà. Ne rimarresti profondamente deluso.
Gli occhi di Lord Hamilton si riempirono di lacrime.
- Adesso basta, Damian! – gli ordinò Elbereth.
- Ascoltami Elbereth; ascoltatemi bene tutti e due: non sarete voi con i vostri ideali e la vostra fede a vincere la guerra. Dovrete fare i conti con le vostre pene e i vostri tormenti. Le angosce e i patimenti sono generati dai vostri affetti: amore e sofferenza vanno di pari passo e si accompagnano alla paura. Dovrete imparare a chiudere la vostra mente e controllare ogni vostro sentimento. Solo pura indifferenza. Nessuna forma di attaccamento personale dovrà essere percepita perché con essa verrà anche la paura di non ottenere l’oggetto desiderato… o di perderlo.
- Mio figlio non è un oggetto!
Uscì dalla stanza ancora brandendo la spada e corse fuori nel cortile del castello. Aveva bisogno di aria. Alzò gli occhi al cielo ed urlò. Poi cadde in ginocchio e si mise a piangere: iniziava a rendersi conto che quanto Damian gli aveva detto potesse essere la verità. E che avrebbe dovuto accettarla.
- Perché Damian? Perché gli hai detto che non c’era più alcuna speranza di trovare suo figlio vivo?
- C'è un solo modo per sconfiggere la paura.. affrontandola… Fintanto che lui vivrà nell’illusione non potrà mai combattere lucidamente: la cosa più difficile è la capacità di vedere la realtà e di accettarla.
Intanto la notizia di alcuni scontri che erano avvenuti sulla frontiera ovest e lo sterminio di un intero villaggio di agricoltori situato al limitare della foresta indicavano che la guerra era imminente. Soprattutto che alcuni gruppi di soldati capitanati da presunti o reali servitori del Priore agivano indisturbati nel territorio compiendo saccheggi, razzie ed omicidi.
La mattina dopo giunse al castello nella capitale un messaggero con funeste notizie anche dal nord: il forte settentrionale era caduto per mano di un’armata di guerrieri capitanati dallo stesso conte Fuinur.
Il forte,data la sua posizione, era strategicamente molto importante dal punto di vista militare, proprio per la sua posizione sull’incrocio di numerose vie di comunicazione dato che controllava l'accesso alla principale linea di comunicazione con il mare; la sua funzione era di impedire agli eserciti provenienti dalle coste di aggirare il sistema difensivo
e calare dal nord. Fungeva anche da base d’appoggio alle guarnigioni che presidiavano la zona. Poco prima della sua caduta, nel forte erano di stanza due armate e una brigata di esploratori.
Il contingente era inoltre stato rinforzato di recente anche con una squadra di arcieri e dieci cavalieri, proprio a causa dei segnali di guerra. A parte il messaggero, non c’era alcun superstite.
- Quando sono riusciti a sfondare il cancello di ingresso ho sentito il conte Fuinur dire: Niente prigionieri! Solo cadaveri!
Dopo aver ascoltato il resoconto dell’unico sopravvissuto, il re, pur sapendo che questo avrebbe richiesto un sacrificio in termini di uomini disponibili, prese la decisione di inviare una guarnigione per verificare lo stato del forte e per ripristinare la sua funzione.
Un gruppo di esploratori comandati da Elbereth portarono in salvo un soldato che avevano trovato in fin di vita aggrappato ad un tronco nel fiume che arrivava al mare. Era stato orribilmente sfigurato dal fuoco.
Prima di esalare l’ultimo respiro raccontò delle atrocità subite e di quanto era accaduto ai suoi commilitoni; Elbereth apprese che la guarnigione del conte Fuinur ora era diretta a sud-ovest, verso la costa. Avrebbero incontrato alcuni corsari che si sarebbero uniti a loro, per poi dirigersi verso il castello di Shadow. Lady Whytwornian ordinò ai suoi di rimettersi in marcia verso la capitale. Durante il cammino, notò subito l’opera ormai a lei familiare del conte Fuinur: come aveva già visto a Castelfield ogni cosa, vivente o meno, stata devastata dalla sua malvagità; non restava alcuna traccia della presenza dell’uomo, solo polvere, ceneri e mefitici effluvi.
Rientrò con i suoi uomini poco prima del tramonto e trovò Damian ad attenderla.
- Hai trovato solo morte, non è vero?
- Quando vedi il grado di devastazione cui riesce a giungere l’uomo in cerca del potere, non riesci più a dimenticarlo. Te lo porti dentro e non si riesci nemmeno a raccontarlo.. Damian, il futuro ci va vedere solo orrori, il passato ci perseguita, il presente si sta dissolvendo davanti ai nostri occhi.. Stiamo facendo le scelte giuste? Solo il tempo potrà dircelo, solo il potrà darci ragione o togliercela per sempre.
- Osserva, cerca di capire, accetta…Ma estraniati. Solo così potrai andare avanti.
 

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Capitolo 10
*** Il sogno del re ***


Elbereth si era rifugiata nella biblioteca della torre che guardava ovest. Le piaceva sedersi sulla finestra ad osservare il tramonto fin da quando era piccola. Guardava il sole scendere dietro le montagne coperte da nevi perenni e l’ombra della notte che lentamente avanzava dalle cime verso la valle. Era il suo angolo preferito e era il luogo dove si recava quando aveva bisogno di riflettere e stare sola.
- Sapevo che ti avrei trovata qui – le disse una voce a lei ben nota – Era la sala preferita da tua madre e tu l’hai sempre usata come rifugio quando volevi pensare. La vista è splendida da quassù. La natura non sembra essere contaminata da quanto sta crescendo nelle viscere della terra. E’ come se fosse lontana da tutto questo e ignara del male che ben presto l’avvolgerà. Non possiamo permetterci di fallire. Dovremo riuscire anche questa volta a chiudere il portale degli inferi e nascondere nuovamente l’ingresso.
Elbereth aspettò che anche l’ultimo spicchio di sole sparisse. Gli ultimi raggi emanarono un bagliore che illuminò per un attimo il cielo ormai scuro. Fu come un lampo e poi la notte soppiantò il giorno nel continuo ed alternato dominio del tempo. Per un attimo il suo pensiero andò a sua madre. Non le avevano mai detto cosa le fosse successo in realtà. E quelle risposte mai ricevute la tormentavano da anni.
- Quanto tempo ci resta? – chiese volgendo lo sguardo verso il padre.
- Non molto. Come ben sai, da tempo sono stati inviati messaggeri in ogni angolo del mondo e stiamo ancora attendendo le risposte da ogni reame. Da alcuni abbiamo già la conferma che invieranno i loro uomini a supporto. Sfortunatamente non a tutti i sacerdoti è chiaro che questa azione è necessaria. Sicuramente il fatto che il figlio di William Hamilton sia stato rapito ha convinto anche i più reticenti tra i sovrani. Resta ancora da vedere se è vivo o morto. Adesso dobbiamo prepararci a partire.
Era l’ultima notte che avrebbero trascorso nel loro castello. Il re andò a coricarsi presto. Il giorno dopo sarebbero dovuti partire all’alba. Guardò fuori dalla finestra e vide i soldati radunati che erano accampati appena fuori dalle mura, pronti a partire l’indomani.
Si mise a letto e sprofondò in un sonno pieno di incubi.
Vide se stesso che parlava con qualcuno che non era in grado di riconoscere. Subito dopo si ritrovò a sussurrare a voce bassa delle preghiere, e mentre faceva questo, nel mezzo della città franò con un assordante rumore gran parte del terreno e da quella voragine s’innalzava un fumo nero denso e fetido.
Lentamente iniziò a diradarsi e in mezzo a quella tenebra intravide un mostro dalle sembianze orribili.
Non riusciva però a distinguerne chiaramente le fattezze: era un’enorme figura che brillava come fuoco ardente attorniata dall’ombra. Si muoveva su quattro zampe, ma all’occorrenza poteva alzarsi anche in piedi e usare gli arti superiori come mani per afferrare e distruggere.
Attorno ad essa un’emanazione di orrore e potere creavano il vuoto. Nessuno riusciva ad avvicinarla.
Questa immonda bestia era guidata da un uomo di bell’aspetto che la cavalcava senza né briglie né altro. Tanto era terribile, tanto sembrava docile e obbediente alle parole del suo cavaliere.
Si muoveva sicuro per la città: il suo alito venefico uccideva le anime di coloro che ne venivano investiti, mentre i loro corpi venivano inceneriti dallo sguardo. Dimenava la coda come un flagello distruggendo tutto quello che colpiva. Tutti erano convinti che fosse giunta la fine del mondo, l’Apocalisse.
Uomini e donne fuggivano cercando riparo al tempio, implorando perdono per i loro peccati e pietà per i loro figli.
Ma né la bestia né il suo padrone se ne curavano. Dopo aver distrutto l’intera città e dato alle fiamme ogni casa si diressero verso il palazzo reale.
Il cavaliere scese e si avvicinò al cancello. Le guardie erano paralizzate dal terrore e si inginocchiarono chiedendo grazia. Ma questi guardandole con disprezzo prese la spada e tranciò di netto la testa al primo uomo che aveva davanti e sollevandola la mostrò a tutti gli altri presenti.
- Homo quisque faber ipse fortunae suae.
E la gettò via.
- Mors omnia solvit!
Poi guardò la bestia e questa si abbatté contro il portone d’ingresso del palazzo: lo scosse come se fosse un fuscello al vento e lo frantumò.
Entrò senza trovare alcuna resistenza e arrivò nella sala del trono. Lo vide venirgli incontro e salutarlo inchinandosi con queste parole:
- Mors et fugacem persequitur virum.
Sorrise, poi continuò: - non sarai così fortunato come il tuo popolo. La tua sarà una non morte. Il principio del dolore eterno. Le porte del cielo ti saranno precluse e in loro vece si spalancheranno quelle dell’antro infernale. Non ci sarà nulla per te se non la disperazione.
- Non ho paura…
La figura sorrise al re; un sorriso beffardo e carico di sarcasmo. Poi si voltò verso la fiera misteriosa che in tutta risposta ruggì mostrando la furia del suo potere. La sua voce era potente, come il tuono di un uragano si propagava nella notte. Il frastuono generato era come se l’intero firmamento fosse precipitato sulla terra.
Nuovamente un ghigno si aprì sul viso del cavaliere. Le sue risa invasero l’intero palazzo. Quanti rimasti ancora in vita caddero a terra presi dall’angoscia.
Salì in groppa alla sua bestia e uscì dalla sala scomparendo tra fuoco e fiamme.
Vide le ombre che si ritiravano con lui al suo passaggio.
Il sonno diventava sempre più terribile ed agitato. Poteva sentire il sangue salirgli in bocca e il volto ardere per le ferite. Poi il sogno proseguì; arrivò finalmente il mattino, ma non ci fu alba a rallegrare con i suoi colori la terra. Solo morte e distruzione. Solo un denso fumo nero che avvolgeva la città. Adesso non poteva più vedere l’animale e il suo cavaliere, ma ne poteva percepire la presenza. Anzi pareva che ogni essere vivente ne sentisse l’orrore: nessun animale, nessun rumore né in cielo né in terra.
Persino gli astri parevano stare immobili per timore di essere notati. C´erano solo ombre.
E di nuovo giunse la notte con i suoi orrori: un supplizio di ombre, tenebre, spiriti maligni, terribili mostri, terrore, tremori, tetri miraggi e impossibili utopie, perverse allucinazioni, mostruose efferatezze, atroci torture, angosciosi affanni, strazianti immagini del mondo degli abissi. Questa volta il cielo si addensò di nuvole e lampi e fulmini infiammavano la volta celeste. Un vento turbinoso si alzò improvviso a scuotere gli alberi e quel che restava della città era spazzato da gelide folate. La terra tremò a lungo e si squarciò. Dalle crepe fuoriuscì roccia fusa che inghiottì le rovine e il palazzo reale.
Tra le fiamme che ne scaturirono si stagliava la figura del misterioso cavaliere che lo guardava con occhi accesi e più quell’inferno infuocato cresceva più la sua figura aumentava.
Lui era lì di fronte, impotente ad osservare lo scempio che quel flagello aveva compiuto senza il minimo sforzo. Vide tornare anche la sua bestia che si accucciò per permettergli di salirle in groppa. Gli volse l’ultimo sguardo quasi beffardo e poi si voltò e si precipitò tra le fiamme.
Poco dopo le pareti del palazzo rovinarono a terra. Il rumore era così assordante che si svegliò pensando che fosse veramente accaduto.
Si ritrovò steso sul letto grondante di sudore. Si guardò attorno. Sentiva ancora il peso di quanto aveva sognato: era come se gli stessero sfondando il petto.
Si svegliò prima dell’alba ancora in preda ai brividi di terrore e paura che il sogno gli aveva portato.
Andò nella sala del trono e vi trovò il suo consigliere: - Lord Dakton! Cosa fate qui?
- Mio signore. Stavo solo riflettendo…
- Non è che invece vi stavate pavoneggiandoti nel vostro temporaneo ruolo di reggente?
- Mio signore. Non mi permetterei mai. Invece le mie riflessioni erano molto profonde e piene di preoccupazione. Voi state andando in battaglia contro qualcosa che vi distruggerà.
E avete come guida un demone. Avete riposto la vostra fiducia in un servo di Lucifero. Siete veramente sicuro della vostra decisione? Trascinate i vostri uomini, i figli e le figlie di questa terra verso un rovinoso destino.
Chi vi assicura che Lord Hamilton dica il vero? La fortezza sul monte Shadow è immutata da centinaia di anni. Non ci sono segnali…
Avete, abbiamo, mio Sire, solo la parola di un uomo disperato che ha perso la famiglia, e non possiamo sapere che effetto possa avere avuto su di lui questa terribile disgrazia, e quella di un demone, che per sua natura non può far altro che mentire.
La voce del consigliere di faceva sempre più melliflua. - Ma, d’altro canto, se fosse tutto vero, un grande pericolo sta crescendo nell’ombra, nascosto dalle tenebre. Ora, mio signore, ascolterei i consigli dei saggi lord Morgan e soprattutto del Gran Maestro lord Edwin. Perché non seguire la via della diplomazia, ascoltare più voci; potreste, invece che muovervi in guerra con tutto l’esercito, perseguire la strada della saggezza e recarvi presso il monte Shadow con una guarnigione, magari la stessa che si è recata a Castlefield, che è formata dai vostri uomini più fedeli e preparati. Certamente, se vorrete e se vi fidate, anche il demone potrebbe seguirvi. In questo modo potreste rendervi conto della reale situazione e solo allora decidere quali saranno le vostre prossime mosse.
L’ambizione e la bramosia di potere avevano avvelenato lentamente la mente del consigliere. Cominciò ad accarezzare il sogno di ricoprire per gli anni avvenire la carica di reggente che avrebbe poi tramandato ai suoi eredi se il re e sua figlia fossero disgraziatamente periti durante questa missione.
- Viscida è la tua lingua, come lo sono i tuoi modi. Il Consiglio ha deliberato e la maggioranza ha votato.
- Ho visto il vostro sogno, sire. Conosco il vostro segreto. Non avrete scampo.
- Da quando ti sei venduto?
- Non sono il solo. E il vostro demone non basterà a proteggervi. Ci sono più cose in cielo e in terra, sire, di quante voi ne possiate sognare.
- Traditore! Pagherai con la tua vita questo vile comportamento.
- Sire…tutto quello che adesso ha l’uomo è la morte!
Si avventò sul re, ma il suo braccio non riuscì a portare a segno il fendente. Una mano uscita dall’ombra della sala lo bloccò.
Il re si volse stupito: - Damian…
- Non è il primo e non sarà l’ultimo. Non sono molti quelli di cui ti potrai fidare.
- Demone! – esclamò lord Dakton – il tuo potere non è nulla. Sei solo…
Damian rivolse contro il consigliere la sua stessa spada e gliel’affondò nel petto trafiggendoli il cuore. Poi si rivolse al re: - Ascoltami: ho riconosciuto Elbereth ancora quando l’ho vista la prima volta. Ho sentito le parole del consigliere. Raccontami il tuo sogno. Il tuo segreto non può essere mantenuto ancora a lungo. Fa molta attenzione, umano: chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te.
Il re si sedette e si prese la testa tra le mani. Poi iniziò a parlare sempre tenendo lo sguardo a terra e gli descrisse quanto aveva visto.
- E’ quanto succederà se non riuscirai a fermare il Priore. La sua potenza è cresciuta come pure la sua ambizione. Vuole sottomettere il padrone degli inferi. Ma non sa che questa sarà anche la sua rovina. Ha bisogno di uomo che apra il portale. Si servirà di lui e poi lo getterà nell’abisso senza fine.
Il re alzò lo sguardo verso Damian con sorpresa.
Damian sorrise: - Va bene, sarò più esplicito. Il Priore è solo un demone posseduto, interamente intriso della sua bramosia e smania di potere. Hai visto anche tu: anche il tuo consigliere era sotto il suo controllo. E molti altri lo saranno se non lo sono già. Nella sua follia pretende di essere in grado di dominare il signore del Male, di renderlo un suo servo. Ma Lui conosce molto bene l’animo degli uomini corrotti e gli lascerà credere che insieme porteranno alla rovina questo mondo e ne faranno rinascere un altro al servizio delle ombre. Una volta raggiunto il suo scopo lo dannerà fino alla fine dei tempi. L’uomo che hai visto cavalcare la bestia è il signore degli Inferi. La bestia è la tentazione degli uomini. E’ interessante quello che mi hai detto: pensa che tu fuggirai… ne ha motivo?
- No. Affronterò il mio destino in testa ai miei uomini e ne condividerò la sorte. Dimmi Damian. Di chi mi posso fidare? Tu lo sai…
- Ti ho detto anche troppo. Lo sai anche tu di chi ti devi fidare.
- Vorrei che tutto ciò fosse molto più comprensibile per me, i miei uomini, mia figlia…
- Non dare mai spiegazioni: i tuoi amici non ne hanno bisogno e i tuoi nemici non ci crederanno comunque.
 

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Capitolo 11
*** La partenza ***


Il giorno seguente vennero radunati tutti gli uomini dal primo ufficiale all’ultimo scudiero.
Il re li voleva rassicurare parlando direttamente in prima persona, garantendo con la sua presenza che sarebbe stato loro vicino fino alla fine. Dopo settimane di incertezze serviva un incoraggiamento per poter affrontare insieme quanto li avrebbe aspettati, anche se nemmeno lui sapeva cosa immaginare o sperare.
Damian non poteva dirgli di più, o non voleva. Di questo non ne era sicuro.
In ogni caso doveva far sentire a quei soldati che non li avrebbe lasciati soli e che li avrebbe guidati in battaglia.
Raggiunse l’accampamento con al seguito i suoi primi ufficiali. Passò in rassegna le truppe, poi fermò il cavallo in mezzo all’accampamento e iniziò con voce forte e calma: - Uomini venuti da ogni angolo della Terra. Uomini di diversa lingua e religione. Fratelli nella guerra, uniti nella morte.
Le ombre sono state richiamate in questo universo. Nell’Abazia il portale è stato aperto e una comunicazione è stata stabilita con la dimensione infernale. L’obbiettivo è di evocare il signore del Male per distruggere gli uomini. Nella sua pazzia il Priore è convinto di portelo controllare. Invece sarà lui ad essere usato: se ne servirà e poi se ne ciberà. L’effimera illusione di diventare tanto potente da poter comandare il Demonio in persona svanirà e non avrà nemmeno il tempo di rendersi conto di quanto fosse risibile e stolta la sua idea.
La Bestia inizierà a seminare morte e terrore in tutte le terre conosciute. Distruggerà ogni forma di vita mossa dalla fame di vendetta e guidata dalla rabbia contro gli uomini. Non verrà per conquistare, ma per stroncare l’umanità: Chi dovesse salvarsi da questa devastazione sarà destinato alla dannazione eterna.
Fratelli miei: una nuova alba si appresta a sorgere; è giunta una nuova ora segnata dal destino che cambierà la nostra sorte e quella di tutti gli uomini liberi. E’ giunta l'ora delle decisioni irrevocabili.
Fratelli miei: so bene che le sole parole non possono rendere coraggioso l’uomo timoroso, non possono rendere l’uomo debole forte. Nessuno può sapere come ci si comporterà in battaglia fin tanto che non ci si trova di fronte al nemico. Un nemico questa volta sconosciuto. Non ci scontreremo con nostri pari, ma contro nuovi e ignoti avversari. Forse più forti. Ma non importa. Li incontreremo comunque. In battaglia.
Fratelli miei: invano sarebbe esortare chi teme lo scontro. La paura che invade l’animo rende l’uomo sordo.
Non si può scegliere il modo di morire. O il giorno. Si può soltanto decidere come vivere. Ora!
Prese fiato. Il discorso aveva infervorato gli animi dei presenti. Tutti acclamarono il re e incitavano alla guerra più per farsi coraggio che per vera convinzione. Ma non c’era altra scelta e questo era tutto quello che avevano.
Anche i Sacerdoti avevano assistito al discorso del re. A tutti loro era chiaro che non sarebbe stato possibile uccidere la Bestia. Il loro compito era richiudere il passaggio e sigillarlo affinché nessuno potesse riaprirlo.
Gli ufficiali e i Sacerdoti rientrarono nel castello con il re e si apprestarono a partire. Elbereth e Damian erano rimasti nella sala del trono ed avevano ascoltato le parole del re dalla grande balconata che dava sulla corte centrale.
- Bel discorso padre…pensi che basterà a non farli fuggire?
- No. E’ per questo che avrò bisogno di te e dei tuoi uomini e del tuo demone… - disse facendo un cenno con la testa a Damian.
Elbereth sbuffò scuotendo la testa: - Non è così facile.
- Non l’ho mai detto. Non sarà possibile fare alcuna ricognizione delle basi nemiche prima di scendere in guerra. Non ne abbiamo l’opportunità.
Non possiamo studiare strategie offensive, non abbiamo alcuna conoscenza degli armamenti degli avversari. Non possiamo nemmeno addestrare le truppe come se fosse un normale attacco. A cosa dobbiamo prepararli?
- Purtroppo Damian non è in grado di darci queste informazioni. O almeno quanto ci ha detto ci ha dato solo l’idea che ci scontreremo con demoni e altri orrori generati dagli abissi. Non ci ha detto nulla riguardo agli armamenti Forse il solo terrore che potrebbe impadronirsi degli animi dei nostri soldati è già la più potente delle armi. Non dimentichiamo che non ci troveremo di fronte eserciti di uomini, ma di ombre.
Damian stava ancora osservando i soldati che si preparavano a partire. Guardava dall’alto delle mura scuotendo la testa.
- Poveri sciocchi mortali. Si preparano come per andare alla guerra contro altri mortali. Credono nei loro comandanti, credono nel loro coraggio, credono nella loro fede che sarà salda e che li proteggerà da ogni male. Non sanno cosa li aspetta. Nessuno sa cosa lo aspetta in quel luogo di perdizione e dannazione. Vanno verso deserti dove nessun essere vivente dovrebbe mai metterci piede.
- Cosa troveranno allora? – gli chiese improvvisamente una voce alle sue spalle.
- Le loro paure più profonde – rispose lui senza voltarsi. Poi continuò – Solo i folli e gli incoscienti possono pensare di percorrere queste strade senza nemmeno sapere a cosa andranno incontro. E’ solo uno scellerato tentativo di combattere quanto c’è di più potente ed è destinato a fallire miseramente. Chi riuscirà a raggiungere questo luogo di perdizione attraverserà il cancello della dannazione per entrare nell’abisso dove risiede il signore e padrone del Male, dove risiede Colui che custodisce il potere del Caos.
- Cosa mi consigli?
Damian la guardò ridendo: - Tu non vuoi un consiglio Elbereth. Ciò che mi chiedi è l'approvazione in merito ad una decisione già adottata. Quello su cui invece dovresti riflettere è se questa decisione è stata presa con saggezza: non ci si espone al pericolo senza motivo. Le decisioni giuste vengono dall'esperienza, l'esperienza viene dalle decisioni sbagliate. E quello che vi manca è l’esperienza.
- Le decisioni ci sono state imposte dalla situazione, Damian. Ci sono momenti in cui prendersi il rischio è l’unica cosa saggia da fare. Hai ragione: non ci si espone al pericolo senza motivi, ma il saggio è disposto nelle grandi prove a dare la vita, sapendo che a certe condizioni non vale nemmeno la pena di vivere. Se non agiamo rinunceremo alla più grande caratteristica propria dell’uomo: la libertà individuale, la libertà di scegliere. Solo chi avrà il coraggio di rischiare sarà libero.
Damian rimase silenzioso a guardare gli accampamenti che venivano ordinatamente smontati. Sarebbero rimaste solo le tende per trascorrere la notte.
- Mia cara: ci sono persone che sono state considerate coraggiose solo perché avevano troppa paura per scappare…
- Il coraggio è fatto di paura, Damian. La paura crea il nemico, il nemico crea la difesa e la difesa crea l'attacco.
- Elbereth, ciò di cui dovrete avere paura, non ha paura di voi
- Io partirò lo stesso. Non lo so Damian, non so contro cosa dovrò combattere: per questo non posso permettermi di avere paura adesso. Ci penserò quando lo avrò davanti. Incontrerò le mie paure in battaglia e le affronterò una alla volta o tutte insieme se sarà necessario. I miei uomini saranno con me e io con loro. A te non chiedo nulla. Solo di dirmi come entrare nel castello.
- Quello è il Castello delle Ombre, il castello dell’Oblio. Se ottieni perdi. Se perdi ottieni. Il tuo cuore diventerà tenebra, la luce diventerà oscurità. E l’oscurità conquisterà tutti i mondi. Tutto ebbe inizio nell’oscurità e nell’oscurità tutto avrà fine.
- No Damian. Ci sarà sempre la luce, anche negli abissi più profondi. Questo mondo è stato collegato…collegato all’oscurità da un orrido varco. Io chiuderò quella porta infernale. Se il tuo cuore appartiene all’oscurità non potrai mai combattere con noi. Il signore del Male potrebbe avere ancora presa su di te. Non intralciarmi troppo.
Damian rimase per un attimo in silenzio. Quell’ultimo commento lo aveva colpito: “ non intralciarmi…”
- Ammirerai il potere delle Ombre…La vera Malvagità…Il Vero…Potere…Assoluto dei vivi e dei morti. Nell’abisso infinito dovrai fare i conti con te stessa: dovrai accogliere l’oscurità che è già dentro di te.
Stava guardando dritto davanti a sé, gli occhi fissi come se fosse in trance. Pareva quasi che le parole uscissero da sole dalla sua bocca. Era come se tutto intorno a loro si fosse fatto il vuoto, ombre e morte crescevano nel buio; era un incubo ad occhi aperti. E in queste frasi, la predizione di ciò che avrebbero incontrato.
Elbereth annuì: - Sia. Percorrerò questa strada anche senza di te.
- E’ un ordine?
- No. E’ il mio destino.
- Verrò con te. Spesso il destino lo incontri proprio lungo la strada intrapresa per evitarlo.
- Lo speravo, Damian. Lo speravo proprio…
Ma la speranza presuppone che ci sia un futuro. Un domani in cui credere.
Il mattino seguente erano tutti pronti a partire. I soldati vennero ordinatamente divisi in compagnie e affidati al comando degli ufficiali.
Elbereth e lord Hamilton cavalcavano in testa alla colonna a fianco del re.
- MyLady, voi riponete molta fiducia nel vostro demone – disse William facendo un veloce cenno con la testa verso Damian che li seguiva a cavallo un paio di linee più indietro.
- Voi, invece, Lord Hamilton, non ne avete alcuna, mi pare. Vi prego di ricordare quanto è successo a Castlefield. Io ho riposto fiducia in voi; sapevo solo chi era vostro padre. Non avevo nulla su di voi. Eppure vi ho creduto. Perché non siete in grado di fare lo stesso?
William abbassò lo sguardo. Non sapeva dare una risposta ad una simile domanda. O forse in realtà era quello che provava nei confronti di Damian che gli impediva di dare una risposta sincera. Non gli erano sfuggiti certi sguardi di intesa che aveva visto tra Elbereth e Damian.
Cercava nella sua mente di formulare una adeguata argomentazione per mettere in dubbio la lealtà di Damian.
Damian spronò il suo cavallo e si avvicinò loro.
- Discutete ancora su di me. A quanto pare la mia presenza non è davvero gradita. Lord Hamilton, vi ho descritto il luogo in cui andrete, vi ho descritto cosa incontrerete. Infine vi sto accompagnando. Avrei potuto rifiutarmi di seguirvi.
- Non sei obbligato ad obbedire a Lady Whytwornian?
- Non è facile rispondere a questa tua domanda. Vero: io ero e sono obbligato a rispondere alle domande di Elbereth. Era invece totalmente dipendente dalla mia volontà rispondere o meno a quelle del re. Infine Elbereth non mi ha mai ordinato di venire con voi. Mi ha invece chiesto se ero disposto a farvi vedere come entrare nel castello di Shadow…è diverso…
Eleberth sorrise nel sentire queste argomentazioni. Damian si rivelava essere un ottimo politico.
- Demone. Ancora una volta è chiaro che giochi con le parole e in fine ti fai beffe di noi
- E’ interessante come voi uomini giudicate il vero e il falso. E’ bastato che qualche accademico parlasse di un potente libro di magia nera che subito tutti avete accettato la sua esistenza. Secondo voi il mio creatore avrebbe lasciato un simile testo nelle sciocche e goffe mani dei mortali? Eppure ci credete…Invece avete molti preconcetti su di me. Il servo ideale di mio padre non è il peccatore, ma colui per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più.
- Cosa vorresti dire con queste tue parole? Che io sono un servo del diavolo?
- Ho solo detto che lo diventa chi non è più in grado di distinguere ciò che vede da ciò che crede di vedere. Gli uomini credono vero ciò che desiderano e seguono soltanto chi regala loro illusioni. La tua illusione sarà anche la tua rovina. Dovrai imparare a dividere il sogno dalla realtà. O è vero l’uno o è vero l’altro. Tertium non datur.
William rimase in silenzio dopo aver ascoltato il discorso di Damian. Ma il potere dell’Ombra si stava insinuando lentamente nella sua mente e il dubbio gli rodeva l’animo, crescendo inesorabilmente.
 

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Capitolo 12
*** Il lago D'Argento ***


Il giorno volgeva ormai al tramonto. Il sentiero che avevano deciso di prendere attraversava il folto bosco di Sleepingsilver che doveva il suo nome al colore delle foglie dei pini che vi crescevano. Altri ne facevano risalire l’origine alla leggenda della miniera di Argento che era ormai nascosta, sepolta dalle stesse piante del bosco.
Un altro giorno di viaggio li divideva dalla città di Starbridge dove avrebbero incontrato gli altri generali provenienti dalle regioni a sud del regno.
Arrivarono in una radura abbastanza grande da accogliere tutti. Un ruscello scorreva al limitare della stessa per cui avrebbero avuto a disposizione abbondante acqua per loro e per i cavalli.
I soldati montarono le tende e accesero i fuochi; gli ufficiali stabilirono i turni di guardia e ognuno sistemò le sue cose per la notte.
Mentre tutto veniva preparato con ordine, William decise di seguire il fiumiciattolo fino all’interno del bosco risalendo la corrente. Era curioso di vedere dove l’avrebbe portato e si inoltrò a piedi lungo la riva.
Arrivò nei pressi di un laghetto quasi nascosto dalle felci e dagli agrifogli. Si avvicinò. Sembrava uno specchio argenteo. Probabilmente la sorgente era sotterranea dato che non si vedevano altri ruscelli se non quello che ne usciva. Si sentiva quasi stregato da quelle acque profonde. Si inginocchiò e mise una mano nell’acqua. Era fresca, frizzante. Decise di farsi un bagno. Si spogliò e si tuffò.
Anche Elbereth volle dare un’occhiata ai dintorni in attesa che venisse pronta la cena.
Davanti a lei la radura si apriva in scenari straordinari; i suoi margini erano segnati da abeti che profumavano di resina. Il sentiero che nasceva ai suoi piedi era un dispiegarsi di alberi secolari: esso scendeva bruscamente curvando verso nord-est per poi riprendere a salire verso la montagna. Un tempo doveva essere stato lastricato, ma ora solo qualche pietra come retaggio dell’antico cammino poteva scorgersi tra il sottobosco che ormai lo aveva completamente invaso.
Il torrente che costeggiava il sentiero uscendo dagli alberi, attraversava i pianoro erboso e le sue acque cristalline parevano sussurrare antiche canzoni. Esso poi proseguiva verso valle, superando alcune ripide rocce; scendeva con poche e precise curve tenendosi sempre sotto al salto roccioso dal quale attraverso una fessura della parete usciva una cascatella.
Oltre il ciglio si apriva una profonda valle e il torrente, diventato ormai fiume si addentrava nella torbiera che occupava tutto il piano.
Elbereth si incamminò addentrandosi nel bosco; seguì il sentiero fino a giungere ad un bivio: prese a sinistra, oltre il guado e giunse nei pressi di un lago. Rimase ad osservare l’uomo che stava nuotando.
- Interessante…
Lord Hamilton stava uscendo dall’acqua e si fermò immediatamente.
- Mia signora…
- Com’è l’acqua?
- Molto fresca, ma è meravigliosa.
Rimase in piedi con l’acqua fino alla cintola in evidente imbarazzo.
- Beh. Uscite no? O siete timido?
Sorrise. – No. Non è questo. E’ che…
- Non penserete forse che sono una principessa pura e immacolata…- Rise.
- No certo, mia signora. No…aspettate…non intendevo questo…Volevo dire… - sospirò. Qualsiasi cosa avesse risposto lo avrebbe messo in una posizione di maggior disagio, quindi scelse di non dire più nulla e di limitarsi a sorridere.
- La cena ormai deve essere pronta – disse Elbereth per rompere l’imbarazzante silenzio che era sceso - Rientro all’accampamento. Voi intanto decidete cosa fare…
- Mi signora. Il tramonto è passato da un po’ e questi boschi non sono sicuri. Non vi posso lasciare andare sola.
- Va bene. Allora uscite dall’acqua, no?
Scosse la testa ed uscì.
Elbereth rimase ad osservare le cicatrici che aveva. – Non sono solo di battaglie, non è vero?
- Queste? – chiese William guardandosi il petto – No. Queste sono un ricordo del conte Fuinur…
Era l’ultimo grado del crepuscolo: - E’ ora di tornare all’accampamento - disse Lord Hamilton.
Gli ultimi raggi di sole si diffondevano nell’etere e coloravano di un rosso vermiglio le cime delle montagne che circondavano il bosco. Man mano che si scendeva lungo i pendii la luce si andava a confondere sempre di più con il buio della notte che avanzava.
La brezza serale iniziava a scendere dalle vette portando con sé l’aria fredda del nord e l’odore acre della resina dei pini e degli abeti che crescevano sulle pendici dei monti. La superficie del lago si increspava lievemente ad ogni suo passaggio.
Il sole era già tramontato e lo spicchio argenteo della luna risplendeva nel cielo notturno.
I soldati si erano seduti a tavola a mangiare sotto la tenda che era stata allestita come mensa, mentre Lord Hamilton e il capitano delle guardie Farwell erano seduti in disparte con Elbereth e in un angolo Damian cui erano state messe delle catene ai polsi. – Per sicurezza – gli aveva detto sorridendo il comandante Farwell.
Stavano mangiando in silenzio ognuno assorto nei propri pensieri.
Elbereth alzò lo sguardo verso William.
- Siete pensieroso…
- Un po’
- Vostro figlio?
- Mi piace credere che sia ancora vivo…
Elbereth abbassò gli occhi e sospirò. Nessuno poteva garantire a Lord Hamilton che il figlio fosse ancora vivo, nessuno poteva sapere cosa avrebbero trovato una volta raggiunto il monte Shadow, ammesso che fossero mai riusciti a farlo.
William guardò poi di sottecchi Damian. Aveva notato che lo stava ascoltando. Prese il suo piatto e gli si sedette davanti: - Dimmi…demone…tu hai famiglia?
Il tono della voce era carico di tutto il disprezzo che era in grado di provare per quell’essere.
Damian pose il cucchiaio sul bordo del piatto e rise.
- Una famiglia? Mi chiedi se ho una famiglia? – sbuffò incredulo- … Non mi è concesso avere famiglia, non come la intendi tu…uomo!
Allora Farwell con tono sarcastico commentò: - Ma te la immagini William? Una serata tra demoni…Ma poi le avete le donne?
E si misero a ridere fragorosamente.
Elbereth era disgustata dalla piega che aveva preso la discussione. Aveva finito di mangiare e aveva bisogno di aria fresca: l’atmosfera si era fatta piuttosto pesante. Si alzò. I suoi occhi e quelli di Damian si incrociarono e rimasero a fissarsi a lungo. Poi lei abbassò lo sguardo ed uscì dalla tenda.
William aveva seguito lo scambio di sguardi e si infuriò. Si alzò di scatto e gli sbatté la faccia contro la tavola.
- Ho visto come l’hai guardata. E’fuori della tua portata. Rimani al tuo posto, demone…Queste catene dovrebbero ricordartelo ogni giorno.
Il volto di Damian si contorse in una smorfia più di rabbia che di dolore. Ma non poteva reagire. William lo derise e poi uscì dalla tenda.
Damian si pulì il viso, prese nuovamente il cucchiaio per finire la cena, ma non aveva più fame. Buttò il cucchiaio sul tavolo:
- Dunque è questa la mia condizione? – parlava con se stesso a voce bassa – Non posso nulla che riesca almeno ad illudere la mia anima angosciata? O almeno blandirla con delle lusinghe dal regno dei sogni? La mia natura di demone dopotutto completa la natura dell’uomo: è l’altra faccia della stessa medaglia. Perché quindi non può essermi concessa la possibilità di immaginare? Forse perché il fascino generato dalle immagini stesse finisce con inaridire la mente che a loro si abbandona per finire in una spirale di illusione.
Immerso in questi pensieri uscì dalla tenda.
Si incamminò per lo stesso sentiero che portava al lago. Voleva restare solo e dentro il bosco non lo avrebbe disturbato nessuno.
Vide Elbereth seduta su un masso vicino alla riva. Si fermò. Non era sicuro che lei volesse compagnia. Non era sicuro se nemmeno lui voleva compagnia.
- Ti ho sentito arrivare, Damian – disse Elbereth voltandosi lentamente.
- Per via del rumore che fanno queste catene immagino…
- No. Ti ho sentito ben prima.
- Conosci la leggenda di questo lago? – disse cambiando improvvisamente argomento.
Elbereth si voltò verso di lui con sguardo sorpreso e scosse la testa.
Avvicinandosi lentamente verso di lei iniziò a raccontare tenendo gli occhi su un punto fisso avanti a lui, perso nella profondità delle acque.
- Si narra che molto, molto tempo fa viveva in un villaggio un cercatore di Argento. Sua moglie era morta anni prima e gli era rimasta solo la sua bambina. Le piaceva giocare nel bosco con gli animali, cercare fiori e piante.
Una sera che si era attardata, arrivò fino a quella rupe e vide spuntare dal ciglio una rosa selvatica: i suoi petali erano bianchi, ma il riflesso della luna li faceva brillare come se fossero di argento. Voleva raccogliere il fiore da portare sulla tomba della madre e cercò di raggiungerlo, ma si sporse troppo e cadde.
Il padre vedendo che era notte fonda e che non era ancora rientrata venne a cercarla e quando la vide si disperò. La appoggiò su una pietra che stava al centro del prato e la coperse di muschio e felci. Il padre pregò a lungo chiedendo che non accada più che qualcuno provi lo stesso dolore. Ogni sera si recava presso la rupe portando un fiore. Quando fu la notte di luna piena alcuni Angeli scesero sulla terra e la riempirono la piccola conca di acqua turchina. Da allora quando i raggi della luna si riflettono interamente sullo specchio di acqua si può ancora vedere nelle increspature del lago galleggiare una rosa con i petali argentei.
- Come conosci questa leggenda?
- Anch’io ero un Angelo. Te ne sei dimenticata?
- Questa è più una storia che si racconta alla sera davanti al focolare per impedire che i bambini vadano a cacciarsi nei guai…
- Può darsi…ma agli uomini piace…
Elbereth rimase ad osservare la parete di roccia che era sullo sfondo e la spaccatura che l’attraversava su tutta l’altezza.
- Manca la cascata, ma questo posto mi ricorda il luogo in cui ti ho trovato. Guardando quella fenditura nella roccia mi è tornato in mente quando dietro la cascata trovammo quell’apertura e decidemmo di scendere a vedere dove portasse. Sono passati molti anni da allora, eppure quel giorno lo ricordo come se fosse ieri. Io ho dieci anni in più, per te invece il tempo è come se non fosse mai passato…
Poi guardando il viso di Damian si accorse del taglio che aveva sulla guancia: - Che ti è successo?
Damian si passò la mano e si guardò poi le dita; c’era del sangue sopra: - Nulla…non è stato nulla
Elbereth prese del muschio e lo intrise di acqua del lago: - Siediti qui.
Dolcemente gli passò il viso e gli deterse il taglio.
- Non sanno… - gli disse – non sanno e non possono capire…
- Elbereth. Toglimi queste catene. Lo sai. Io adesso sono obbligato nei tuoi confronti. Queste non servono a niente, se non a...
- Non posso Damian. Non puoi assicurarmi che saprai contenere la bestia che è in te. Non posso essere sempre presente a trattenerti e trattenerli. Ho visto come ti provocano…
- Una bestia?! E’ questo che sono? Solo una bestia? Sono sconosciuto a me stesso ed agli altri. Respinto dai propri simili per una colpa mai commessa. Condannato anche da Colui che mi ha creato…
Gli venivano i brividi mentre parlava; gli ricordava la lunga prigionia e i patimenti subiti.
Elbereth gli si sedette accanto e gli mise una mano sul cuore.
- Damian…io credo che non sia tutto perduto. Può succedere che un angelo cada e che demone risalga dall'inferno. In quell'attimo i due si guarderebbero negli occhi e non saprebbero dire chi sia buono e chi cattivo. Il tuo cuore ti tradisce; esso segue i tuoi sentimenti, non la tua natura.
Si guardarono negli occhi mentre i loro visi si avvicinavano l’un l’altro fino a quando poterono sentire il loro fiato sulle labbra.
- Questo è un sacrilegio che costerà la dannazione eterna per me, ma questa è cosa già decisa; ma soprattutto la perdita dell’immortalità dell’anima per te. E’ un prezzo che sei disposta a pagare? – sussurrò Damian.
- L’oblio è inevitabile: è tutto ciò che avremo. Ed è anche ciò cui aspiriamo….
Si fissarono a lungo negli occhi. Poi Elbereth distogliendo lo sguardo gli disse: - No. Hai ragione.
Rimasero in silenzio, ognuno assorto nei suoi pensieri, ignari che qualcuno li stava osservando.
 

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Capitolo 13
*** I generali a Starbridge ***


Arrivarono a Starbridge al calar del sole. Le sue mura ciclopiche si stagliavano sulle montagne, salendo verso l’alto in tutta la loro maestosa perfezione. Splendeva nella luce del tramonto mentre veniva avvolta dalle tinte morbide rossastre del crepuscolo.
Rilessi dorati venivano disegnati sulle colonne del tempio, sui ponti ad arco di candido marmo che congiungevano le varie parti della città. I zampilli argentei delle fontane risuonavano nelle ampie piazza lastricate e nei giardini odorosi. Larghe strade passavano attraverso le case attorniate da alberi con chiome maestose mentre se si volgeva lo sguardo a nord si potevano vedere i tetti delle case che seguendo le stradine si arrampicavano sugli strapiombi rocciosi.
Il ponte per le stelle attendeva sonnacchioso la notte per poter vedere splendere ancora una volta il firmamento celeste nel suo immutato moto astrale.
Il sacerdote della città il Maestro Talbran andò loro incontro per accoglierli e dare il benvenuto secondo l’usanza della città.
- Benvenuti! Entrate con parole di pace e uscirete con parole di pace!
- La pace è un lusso che non possiamo più permetterci – commentò freddamente il capitano Farwell.
Il Maestro alzò gli occhi al cielo poi annuendo pieno di sconforto giunse le mani.
- Tutto sommato fino qui è stato un viaggio tranquillo – intervenne Elbereth - Direi che ci siamo riusciti malgrado quasi quarantotto ore in viaggio, ovviamente con le opportune pause.
- Bene. Siete giunti alla città di Starbridge ed ora inizia la parte difficile. Spero che le vostre cavalcature siano adatte a quanto dovranno affrontare da qui al Monte Shadow. Ho visto che sono delle bestie bellissime, ma dovranno attraversare le fetide paludi che stanno tra la foresta e le città ai piedi dell’Abazia.
- Ci penseremo strada facendo…intanto siamo arrivati qui senza intoppi.
- E questo è già un risultato più che positivo. Le voci che si rincorrono non sono delle più rassicuranti anche se c’è chi o volutamente o per codardia vuole ancora ignorare la situazione. Il clima sta cambiando, tutto sta diventando più oscuro e tenebroso. Siete stati fortunati.
Poi guardando Damian – Davvero, davvero fortunati...come pensavate di celare la sua presenza ad un gruppo di Ombre o dei loro servitori se vi avessero attaccato?
- Già,diciamo che siamo stati accompagnati da una serie di fortunate coincidenze piuttosto curiose e complesse. Se volessimo utilizzare termini diplomatici direi che siamo incappati in un susseguirsi di occorrenze di varia importanza ed entità prima di un dato avvenimento, nello specifico questa riunione, in cui a posteriori è possibile ravvisare indizi premonitori o ammonitori e nessi di causalità rispetto al suo effettivo verificarsi… - concluse Elbereth sorridendo.
Il generale Raubert scoppiò in una fragorosa risata: - In pratica un gran colpo di culo…!! Ops. Perdonate mia signora l’espressione…
- Fino a questo momento l’oscurità che sta avvolgendo gli uomini nel bene e nel male vi ha anche nascosto agli occhi dei nemici. Il deserto che circonda il monte Shadow si è dimostrato degno del suo stesso nome e, al momento, sembrerebbe tale in ogni senso. Ma così appare solo ad occhi inesperti. Pare che i Quattro Cavalieri come le Ombre, provenienti dall'oscuro mondo che li ha generati, abbiano scelto quest’epoca per tornare a scorrazzare liberi, imperversando senza remore e senza scrupoli nelle terre abitate. Non trovando impedimento alcuno, si arrogano il diritto di fare diventare di loro proprietà qualsiasi essere vivente che possano incontrare lungo il loro cammino.
- Ma l’uomo gode del libero arbitrio…
- O ti pieghi alla loro volontà o diventi il loro prossimo pasto. Davvero avete avuto molta fortuna: considerando la forza e la potenza dei Corruttori, avrebbero dovuto percepirvi a miglia e miglia di distanza. La sola sua presenza – disse indicando Damian - avrebbe dovuto attirare una decina di suoi pari. Un demone che tradisce la sua stirpe è una folgore, brilla come un faro in una notte senza luna, emana una scia luminosa che indica la strada a qualsiasi creatura sia desiderosa di soddisfare l’ira del suo antico padrone. O per lo meno indica la strada a chiunque sia desideroso di morte: darla o riceverla che sia.
- Li incontreremo comunque…
- Nessuno, sacerdote o soldato, angelo o demone che sia, se sufficientemente sano di mente, potrebbe mai pensare di recarsi in quella terra corrotta. Solo chi ha un elevato disprezzo della vita e un grande amore per la morte… propria e altrui…
- Non possiamo più decidere per noi stessi.
Elbereth era pienamente consapevole dei rischi e dei pericoli che avrebbero incontrato lungo la strada, ma contemporaneamente non ne era scoraggiata. Sapeva che la paura di uno sarebbe stata la paura di molti. Doveva mostrare determinazione nel compiere qualsiasi azione per sé e per i suoi uomini. Doveva far comprendere che non erano prede, ma cacciatori.
Gli ufficiali furono convocati nella sala del consiglio della città per conferire con i generali che erano giunti da sud. Era un ampio salone arredato con arazzi antichi e preziosi, raffiguranti la storia epica e le gesta degli eroi della città: disegni di draghi, di giganti, di esseri provenienti dagli inferi che venivano affrontati da coraggiosi soldati erano ricamati con dovizia di particolari. Lungo le pareti si potevano vedere armature e armi ordinatamente disposte; ai lati di ogni finestra e della porta una coppia di guardie dall’aspetto severo era immobile sull’attenti.
In un angolo, un braciere che veniva costantemente alimentato da un servitore faceva risplendere la luce dei carboni ardenti sul metallo delle armature. Nelle nicchie che si trovavano incassate nelle pareti, tripodi di ferro battuto sprigionavano fumi di incenso. Sulla pesante architrave di marmo che sormontava la porta d’ingresso era scolpita la frase “ OMNIS FABER FORTUNAE SUAE”. Era ben chiara da sempre quindi la posizione dei governanti della città: non si sarebbe rimasti a guardare in attesa che il destino facesse le sue scelte.
Si sedettero ognuno nel posto assegnatogli e attesero il re che non si fece aspettare.
Prima di entrare nel salone avvicinò a Dunain, il consigliere del Sacerdote: - Che atmosfera c’è là dentro? – gli chiese a voce bassa.
- Mio signore – rispose – ho percepito più curiosità che altro, soprattutto nei confronti del demone che vi accompagna.
- Pensate che si rendano conto di quanto accadrà?
Il tempo stringeva: ogni attimo di esistenza di quelle anime traviate e perverse creature era un insulto al creato. Ogni secondo della loro presenza era una violenza e un’ingiuria alla natura e a tutto ciò che essa rappresentava.
Il tempo stringeva: non si poteva esitare ancora e bisognava agire senza ulteriore indugio.
Il tempo stringeva: scorreva implacabile e inesorabile; come la goccia di acqua che scaturisce dalla sorgente e poi viene trascinata dalla corrente impetuosa dal ruscello, dal fiume, attraverso le rapide e infine al mare.
Il consigliere sospirò e continuò sussurrando, come se avesse timore che le sue parole potessero evocare le sue più profonde paure: - La situazione sembra essere disperata, stando alle voci che ho sentito mormorare dai cavalieri prima di entrare nella sala. Alcuni credono che nessuno potrà resistere di fronte ad un attacco dell’esercito delle Ombre guidate dai Cavalieri dell’Apocalisse.
Il re annuì: ne era perfettamente conscio: se la potenza e la determinazione delle Ombre a portare l’oscurità su tutta la terra era davvero così risoluta quanto poteva venire avvertita dai Sacerdoti e dai loro Aruspici, si sarebbe prospettato uno scontro impari. Il tempo scorreva: i granelli di sabbia fluivano in una corsa inarrestabile. Ogni momento perduto era un momento regalato al nemico. Dovevano decidere in fretta.
Si fermò sulla soglia; si accorse di avere la bocca secca e mentre velocemente nella sua mente si susseguivano parole e immagini, il consigliere annunciò: - Sua Maestà, il Re!
Il brusio che regnava divenne improvvisamente silenzio: tutti smisero di parlare alzandosi in piedi. Le parole avevano lasciato il posto allo strisciare delle sedie sul pavimento. Tutti si voltarono verso la porta
Deglutì a fatica e schiarendosi la voce disse: - Comodi, comodi.
Gli ufficiali si sedettero nuovamente, mentre le guardie si misero a riposo. Gli occhi di tutti si spostavano dal re a Damian e mormorii di disapprovazione si alternavano a commenti postivi. Alcuni generali si erano scambiati sguardi contrariati:
era chiara la loro riluttanza a prendere parte alla discussione alla presenza di Damian.
- Sono consapevole dei vostri sentimenti e perfettamente conscio che quanto vi sto per dire non è di vostro gradimento. Sì. E’ difficile. E’ difficile per tutti accettare tutto questo, ma qualunque pensiate siano i pro e i contro, abbiamo una battaglia da affrontare. Non dobbiamo pensare a cosa porterà tutto questo, ma concentrarci su ciò che è nostro dovere fare. Considerate gli eventi futuri come  un ottimo campo di battaglia in cui testare le capacità, così ben descritte fin’ora solo nei libri, dei Sacerdoti e dei loro eredi e dove poter vedere in azione il potere di un demone. Abbiamo bisogno del maggior numero di amici possibili.
- E’ una grande responsabilità che vi prendete, sire, e considerati i dubbi sulla fedeltà è meglio se vi assicuriate di non correre rischi inutili.
Damian scosse la testa sorridendo. Il suo sguardo faceva chiaramente capire il suo disappunto per quanto veniva detto in quel momento. Non riteneva fosse necessario fornire ulteriori conferme riguardo la sua intenzione a seguire l’esercito degli uomini nella battaglia per la loro libertà e per la salvezza delle loro anime.
Infatti Damian, nonostante avesse ben compreso che la sua presenza non era delle più gradite, aveva accettato di essere la loro guida e indicare loro la strada per entrare nell’Abazia.
Lord Rochard si rivolse verso Elbereth, sapendo che ora il demone rispondeva a lei, ignorando deliberatamente Damian: - Lady Whytwornian, sappiamo che il demone qui presente è obbligato ai vostri ordini e che parlerà solo se sarete voi a richiederlo. Cosa può dirci sui nostri nemici?
Elbereth guardò Damian.
- Questo non significa che io sia sordo, uomo!
Lord Rochard si alzò sguainando la spada: - Aspetto solo di trafiggere esseri immondi. Posso iniziare da te!
Elbereth rimase seduta, ma con voce ferma disse: - Calmatevi Lord Rochard. Avrete tempo e modo di affondare la vostra lama nel petto di qualche demone. Ora, se non vi dispiace, tornate a sedervi. Credo che troverete più interessante ascoltare Damian piuttosto che ucciderlo!
Damian lo guardò con una certa aria di compiacimento, poi disse: - Voglio usare parole che voi uomini possiate comprendere e quindi mi servirò delle parole di un altro uomo.
 

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Capitolo 14
*** La natura dei Demoni ***


Un vostro monaco studioso dei… – sorrise – meglio, che riteneva di essere in grado di studiare i demoni, ha provato a dare queste spiegazioni: i demoni combattono prevalentemente facendo leva sul pensiero. Esso è l’attività della mente umana. Un processo che porta alla creazione di immagini, di idee e di qualsiasi raffigurazione, conscia o inconscia che sia, degli oggetti del mondo esterno. Essendo una facoltà propria degli uomini, i demoni non sono in grado di suscitare pensieri nella mente umana, ma possono agire sull’oggetto del pensiero che è costitutivo del pensiero stesso. Possono perciò interagire con l’uomo creando collegamenti a cose o persone viste o percepite. Infatti i pensieri sono vivi; essi hanno un potere agghiacciante e terribile. Il solo pensare al dubbio e alla paura conduce al fallimento. I pensieri si cristallizzano nella mente dell’uomo, si solidificano in precise forme e quindi i demoni possono accedervi, manipolarli e usarli contro l’uomo stesso.
Gli esseri umani sono fatti dai loro stessi pensieri e quindi dovete porre molta attenzione in quello che pensate o desiderate. I vostri pensieri influenzano così lo stato d’animo e di conseguenza le vostre azioni e la vostra condotta. E’ quindi importante che riusciate a discernere cosa pensare e cosa dimenticare.
Ai ricordi infatti è legata la memoria ed essi prendono forma dai pensieri. Con il ricordo si richiamano alla memoria fatti o persone che vivono nell’animo, nel sentimento. Attraverso di essi i demoni possono risvegliare emozioni e sensazioni per tentare gli uomini nelle loro azioni. Il ricordo ha un forte legame emotivo con le esperienze passate specie se si tratta di emozioni forti; è facile per noi interagire con voi umani: vivete di emozioni. Non riuscite ad essere distaccati. Per ognuno di voi esiste il particolare che richiama emozioni violente e queste hanno un potere distruttivo, a meno che uno non sia addestrato a rielaborarle e sia in grado di avere così un controllo totale sulla sua mente e sui suoi pensieri ed emozioni. I demoni non hanno potere per fare nascere nuove forti emozioni, ma possono mantenere aperte le ferite del passato ed alimentare costantemente il ricordo tenendo vive le emozioni dannose. Lavorano nell’ombra per ricercare i punti deboli del singolo, le sue inclinazioni, le sue frustrazioni e lentamente ogni giorno le rinforzano alimentando proprio le emozioni che ne scaturiscono. La loro opera viene appena percepita, e quando ce se ne rende conto è ormai troppo tardi e si è già succubi del loro potere; una volta che si sono insediati in un animo e ne sono diventati i padroni, diventano più forti di chi pretende di governarli e non si lasciano né troncare né rimpicciolire.
Damian proseguiva così nel suo discorso in cui illustrava la natura dei demoni. Voleva soprattutto ricordare agli uomini che lo stavano ascoltando che un demone in base alla sua stessa essenza e natura, è un angelo a tutti gli effetti.
- I demoni osservano, non possono leggere nell’anima ma possono intuire che significa “vedere dentro” Riescono a cogliere nella sua essenza e realtà un oggetto di pensiero avvertendolo presente alla coscienza senza l’aiuto di una riflessione. Riconoscono in modo immediato quindi che cosa possa accadere nell’uomo. Devono solo prestare attenzione alle espressioni, alle movenze, alle parole. Vedono dove i vostri passi vi conducono, colgono dai vostri sguardi quali possono essere i vostri più reconditi desideri, le vostre più segrete bramosie. Si presentano come innocenti debolezze, futili questioni, persino al limite dell’inutilità e tacitate la vostra coscienza con “cosa mai vuoi che sia?”. Tuttavia è già iniziato il processo che rende l’uomo cieco di fronte alla verità e incapace persino di riconoscere la realtà.
- Ma come è possibile che i demoni possano godere di questi privilegi? Non sono esseri INFERIORI? – chiese il capitano Farwell alzando di un tono la voce mentre pronunciava sillabando l’ultima parola.
Damian alzò un sopracciglio: avrebbe voluto fargli vedere chi era l’essere inferiore in quella sala, ma abbozzò un sorriso.
- E quale scusa più plausibile dell’essere considerato “inferiore” mai potrebbe portare ad un maggiore potere? Ditemi: considerereste più pericoloso un guerriero armato o un ragazzino apparentemente indifeso…?
Rimase un attimo in silenzio guardando uno ad uno i volti dei generali seduti che incassavano in silenzio quanto aveva detto loro.
- E le Ombre? Queste cosa sono?
- L’Ombra è una parte di voi umani. E’ la parte che dovete riuscire a riconoscere e gestire: non potete annullarla perché senza di essa non esistereste, sareste non completi. L’Ombra è un archetipo molto antico e potente; è generata nel mondo metafisico delle idee, per questo intoccabile ed è il principio primo costituito da tutto ciò che ci è mancato nel bene e da tutto ciò che abbiamo ricevuto nel male. Il concetto di Ombra passa ad un altro piano, quello Assoluto in cui l’Ombra è Ombra Assoluta, il negativo dell’Esistenza, in una parola: il Male come astrazione di sé. Le Ombre trovano esistenza su vari piani: quello più basso riguarda la parte oscura dell’uomo, a livello quindi dell’essere, lo Stereotipo, le copie; poi, salendo abbiamo il Prototipo, il primo elemento e infine l’Archetipo, il principio unico. Ombre e Demoni lavorano insieme rispettando le gerarchie gli uni delle altre.
Prima di sedersi concluse: - Anche le ombre splendono di promesse. Ogni svolta del sentiero ha una sua seduzione: la parola umana “demone” significa essere divino…
- Tutto questo è molto interessante – intervenne il generale Raubert - ma noi siamo guerrieri, non accademici…cosa ci puoi dire su di loro, sulle Ombre e sui Demoni, su come sono fatti, e soprattutto su come ucciderli…Che cosa troveremo una volta arrivati ai piedi del Monte Shadow, quando giungeremo nelle città sotto il loro dominio?
- Nihil…Creature composte interamente di Nihil, derivato interamente dalle energie del piano dell’ultimo Abisso, il regno di Ade nell’UltraAbisso. Esso è composto dalle energie negative che gli uomini producono con i loro sentimenti le loro azioni. Paura, Ira, Gelosia, Odio, Invidia, Collera, Avarizia, Avidità, Angoscia, Sofferenza, Disperazione, Vendetta… Tutto questo può essere racchiuso in un concetto puro: tutto questo è semplicemente il Male. La vera essenza del demone è superiore a tutto ciò; egli si limita a guardare. Al resto ci pensate voi uomini con la vostra stessa natura fondamentalmente egoistica; le vostre azioni sono determinate soltanto da un istinto animalesco di sopravvivenza e sopraffazione. Nessuno si lega al proprio simile per un puro bisogno di amore naturale; gli uomini si organizzano in gruppi, creano società facendo nascere città. Regolano la vita comune con leggi e tribunali. Ma questo è fatto solo per un puro sentimento di egoismo dettato dalla paura che un altro tuo pari diventi più potente. Ogni azione dell’uomo è mossa dall’istinto animale che in esso alberga; ogni azione umana è mossa dalla volontà di danneggiare gli altri e di eliminare i propri rivali e chiunque sia di ostacolo al raggiungimento dello scopo ultimo: la presa di potere. E i demoni puntano proprio su questa umana peculiarità: tentano gli uomini a compiere, nel miraggio di promesse e ricompense di onori, ricchezze, fama e potere, abbiette azioni, ordinare uccisioni, compiere massacri, ordire piani spregevoli, congiurare contro i propri simili con subdole alleanze per poi tradirle – come dite voi… “homo homini lupus”, “mors tua vita mea”. Il repertorio è ampio. Vi siete mai chiesti perché? – sorrise e poi continuò - Il demone sussurra parole appena percettibili, instilla il dubbio nelle menti deboli e raramente si manifesta mostrando tutta la sua potenza. E vi lascia godere del libero arbitrio…
Lord Hamilton si alzò in piedi di scatto: - Questo è troppo! E’ una delle facoltà che ci distinguono dagli animali: la capacità di discernere.
- Discernere cosa? Ti sei mai chiesto su quanti cadaveri sei dovuto passare per arrivare dove sei adesso? Ed erano tutti uomini che meritavano di morire più di quanto lo meritassi tu?
- Signori – intervenne Elbereth – non stiamo disquisendo delle peculiarità umane e tantomeno del diritto o meno che ha un uomo di vivere. Damian, prosegui. Cosa sono i demoni? Che cosa siete?
Damian guardò Elbereth con un certo disappunto: non aveva apprezzato il fatto che lo avesse definito una “cosa”. Ma lei adesso era la sua padrona, quindi chiuse gli occhi e riprese: - I demoni rispondono al Chaos, originati dall’essenza stessa del Male che scorre nel fiume infernale. Esso è memoria di quelle cose che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono. E’ la natura dei demoni: in esso è infusa la potenza di tradurre la loro vita potenziale in vita reale.
L'aspetto dei demoni è vario, alla stregua delle diversità che sono insite negli uomini. Anche per noi esistono delle razze diverse e una variabilità di aspetti esterni, che possono mutare a seconda dei poteri di fusione con gli altri esseri. Altri fattori invece sono comuni a tutti noi: poteri fisici e mentali che sono superiori agli uomini. Siamo più forti e possiamo controllare le menti “predisposte”; possiamo almeno parzialmente vedere il futuro.
Ma tutti noi siamo divisi in due grandi caste: Dominanti e Dominati.
Tutti i Demoni delle Terre sono Dominati. Fisicamente i nostri occhi possono vedere normalmente sia alla luce come al buio. Per noi non esiste la differenza tra oscurità e piena luce e nemmeno ci arreca dolore o danno. Siamo insensibili agli odori provenienti da sostanze inerti o non viventi, non siamo in grado di distinguere il salato dal dolce o dall’amaro, invece percepiamo benissimo gli odori degli esseri viventi, a qualunque specie essi appartengano. E in particolare apprezziamo moltissimo il gusto del sangue. Sentiamo i suoni esattamente come voi anche se in maniera più precisa: infatti riusciamo a cogliere anche il più lieve sussurro. Proviamo le stesse sensazioni tranne per quello che riguarda il dolore fisico. Ci rendiamo ovviamente conto se stiamo subendo un danno e ne comprendiamo anche l’entità e la gravità, ma il dolore non ci rende inabili né fisicamente né emotivamente. La nostra soglia del dolore è molto, molto più alta. Ma ci si può arrivare – aggiunse poi con un sospiro. Poi riprese: - Non dobbiamo necessariamente nutrirci con ciò che voi umani considerate cibo. Possiamo sopravvivere a lungo senza mangiare o bere; quindi, come nota aggiuntiva, non prenderete mai il castello di Shadow o l’Abbazia per fame con un lungo assedio.
Ciò che scorre nel nostro corpo e che voi chiamereste sangue ha quindi perso la sua funzione di trasporto di sostanze nutritive anche se resta comunque una via per entrare nel nostro corpo. E’ una massa densa di colore scuro che dà struttura. E’ inerte e non assorbe né emana calore. Per questo motivo noi risultiamo sempre freddi.
- Hai descritto delle bestie, delle serpi in pratica… - commentò Lord Hamilton.
- Noi sopravviviamo dalla notte dei tempi e ci evolviamo per continuare a farlo. Cercherei di fare attenzione a quello che dici. Credi forse che voi umani sarete capaci di fare altrettanto?
William si alzò di scatto e si avvicinò a Damian: - Che cosa vorresti dire?
Elbereth si avvicinò ai due per separarli. La loro animosità iniziava a preoccuparla seriamente.
- Hai detto che hanno un corpo molto simile a quello degli esseri umani, ma che sono composti da Nihil. Cos’è?
- Il Nihil è il non-essere dell'essere di qualcuno o di qualcosa. Le cose sono e insieme non sono nella loro partecipazione all'essere. Il Nihil è l’essenza delle energie del piano Abissale, è ciò per cui una certa cosa è quello che è, e non un'altra cosa. Può tradurre la vita potenziale dei demoni in vita reale. E’ potenza dell’esistenza in atto, in grado di sopravvivere come pura singolarità. Il nutrimento del Nihil determina lo stato dell’essere. Un demone accresce il suo stato di essere a partire da quello di non-essere accedendo alle emozioni negative che lo circondando. Ogni sentimento forte come l’odio, la rabbia, il terrore, la paura, tutto ciò che si può racchiudere descrivendolo semplicemente “malvagità” emana una sorta di essenza fluida, un’aura con cui nutrire il Nihil che avidamente l’assorbe e in questo modo accresce il suo potere. Il Nihil non si vede e non si sente. E’ l’essere per se stesso nella sua più egoistica concezione. Solo pochi eletti possono percepirne la presenza e ancora meno sono quelli che possono interagire senza restarne “contagiati”. E’ pericoloso per le creature in cui è presente l’anima, per gli Angeli è mortale.
- Va bene. – intervenne nuovamente questa volta palesemente spazientito il generale Raubert -  Abbiamo tutti apprezzato la lezione di filosofia. Ma non hai ancora risposto alla mia domanda: come li uccidiamo?
- E’ più facile rendere i Demoni inefficaci più che ucciderli. Certo, se si tratta di un demone Dominato o Evocato che possiede un umano, questo presenta sempre e comunque un corpo mortale e quindi basterà infliggere a quello che è considerato un involucro danni sufficienti per costringere l'Entità Demoniaca ad abbandonare il corpo ospite.
- Non è di questo che stiamo parlando. Quello che ci hai appena detto non vale per quelli come te… – sibilò Lord Hamilton.
Elbereth fece un accenno di assenso:- Sì, Damian, ci servono informazioni più precise.
- Per… - Damian rimase un attimo silenzioso; avrebbe dovuto rivelare loro come potevano ucciderlo – per uccidere un demone bisogna trapassargli il cuore. Come per gli uomini esso è collocato all’interno della gabbia toracica e quindi è protetto. Trafiggerlo con una lancia, un pugnale, una freccia, con qualsiasi arma significa compromettere le capacità di un demone di rigenerarsi. Strapparglielo gli conferisce il colpo di grazia.
Disse le ultime parole con un mesto sussurro.
- Bene. Questo è già un inizio! – Esultò il generale Raupert.
- Credi forse che sia così facile strappare il cuore ad un demone? Di certo non ti aiuterà nel compito…
- Va bene. A questo ci penseremo dopo – intervenne il re cercando di placare gli animi per evitare che la discussione degenerasse - Hai detto che ci sono due tipi di demone Dominati e Dominanti; fin’ora hai parlato solo dei Dominati. Gli altri?
- I demoni Dominanti possono essere solo evocati e sono più pericolosi: sono stati disturbati e questo li ha indispettiti e resi insofferenti. Un demone evocato non lo puoi uccidere. E’ venuto su tua esplicita richiesta. Chi si è permesso di convocarlo deve assumersene la totale responsabilità. Ma, pur essendo consapevole dei rischi cui può andare incontro, l’uomo è sempre stato attratto dal male nelle sue più svariate forme. Molti non hanno capito che le gerarchie infernali vanno rispettate tanto quanto quelle create dagli uomini, se non di più. Ed è meglio non scomodare i Dominanti pensando di ottenere privilegi senza doverne poi pagare il conto. Non concedono favori senza poi aver nulla in cambio. Pretendono un patto di sangue: alla lettera… Se mai un Dominante accettasse di aiutare un umano lo farebbe solo perché ambisce alla più grande ricompensa che potrebbe mai ottenere: la sua preziosa anima.
Noi demoni Dominati manteniamo una certa fragilità nel nostro corpo, ma i demoni Dominanti evocati sono ben altro… I demoni evocati sono pura malvagità. E il Priore è uno di questi.
- E chi può evocare un demone? Anzi, chi può voler evocare un demone?
- Ti viene in mente nessuno? Sai chi è il Priore?
- Illuminami…
Damian guardò il padre di Elbereth: - Ognuno di noi porta dentro di sé il proprio inferno…
- Benvenuto nel mio!
E così dicendo il re si alzò ed uscì dalla sala.
- Sic transit gloria mundi… - commentò Damian
 

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Capitolo 15
*** Il libero arbitrio ***


Chiuso nella sua stanza il re si avvicinò all’enorme specchio che era appeso alla parete. Rimase ad osservare pensoso quella lastra di vetro attorniata da una grandiosa cornice in legno sulla quale era stata applicata una foglia d’oro.
Da superficie fredda e inerte che era lentamente parve prendere vita. Guardò sorpreso l’immagine che stava formandosi. Avrebbe dovuto essere il suo riflesso e non era sicuro di riconoscersi nella figura che aveva davanti.
- Io sono il re di questa nazione di popoli liberi. Tu chi sei?
Continuava ad osservare quella forma che aveva davanti agli occhi e che percepiva come qualcosa di diverso. Sentì un rumore provenire dalla stanza accanto e si voltò per vedere se ci fosse qualcuno. In quello stesso momento, mente girava la testa, gli parve che per un attimo il riflesso nello specchio fosse cambiato e che stesse persino sorridendogli. Riguardò lo specchio, ma nulla gli pareva cambiato, se non che continuava a non essere sicuro di essere proprio lui l’immagine che vedeva. Anzi adesso sembrava che gli tendesse una mano come per portarlo dentro di sé.
- Ti prego: chi sei? Dimmelo! Chi sei? Cosa cerchi da me?
Di nuovo gli parve che l’immagine nello specchio stesse sorridendo, mentre lui era sicuro che non lo stava facendo. Anzi, non ci trovava proprio niente da ridere. Era stanco, ma non riusciva a distogliere lo sguardo da quella lastra di vetro. Non sarebbe andato a riposare fino a che il suo alter ego dello specchio non lo avesse lasciato in pace. Non ci sarebbe riuscito.
Stava arrivando la notte, le fiaccole delle torri di guardie erano già state accese al crepuscolo. Era stanco e si distese sul letto sperando di trovare un po’ di pace almeno nei suoi sogni.
Ma si risvegliò di soprassalto; di nuovo quel rumore e questa volta pareva provenire dallo specchio stesso. Si alzò e si diresse verso la parete. Questa volta sentiva anche una voce che lo invitava a guardare di nuovo nello specchio. Si mise davanti ad esso e vide di nuovo un se stesso diverso che stava ancora sorridendogli. Ma questa volta il suo volto era deformato da un ghigno demoniaco. I suoi occhi erano ridotti a due fessure e le pupille erano come brace incandescenti.
- Te lo chiedo per l’ultima volta. Tu chi sei? Ti ordino di rispondermi!
Adesso ne era certo: non stava vedendo se stesso. Lentamente l’immagine riflessa lasciò il posto ad un’altra più terribile.
- Adesso sai chi sono?
Il volto del re impallidì. Sentì bloccarsi il flusso del sangue. Si portò una mano alla bocca cercando di nascondere il terrore che si era impadronito di lui.
La sua memoria andò indietro nel tempo a molti, molti anni prima, quando non conosceva altro se non la brama di potere, quando non percorreva altre strade se non quelle della gloria.
Pensava che quello che era diventato fosse giusto; in realtà aveva preso il sopravvento la parte più buia e nascosta di lui, aveva liberato dalle catene della prigionia il suo IO più recondito, il suo IO atavico, la sua parte animale aveva preso il comando e lui non solo glielo aveva permesso, ma ne aveva provato piacere.
Non aveva mai messo in discussione le sue scelte e le sue azioni; la sua anima era stata relegata nei meandri più oscuri della sua mente e lì era stata tenuta soggiogata nell’ombra. Ma non aveva mai smesso di parlare. E quando giunse il tempo, essa si liberò e la sua vita si incanalò su un nuovo sentiero che gli fece riconoscere gli errori commessi, gli fece vedere qual’era il suo scopo. Era riuscito finalmente a sentire quello che sommessamente gli sussurrava nelle lunghe notti insonni: - Non permettere questo. Tu, come me, hai bisogno di vivere. Se muoio io alla fine anche tu morirai con me.
E allora si era reso conto che aveva smesso di vivere da molto tempo. Da quanto tempo non sentiva il piacere della carezza del vento sul viso. Da quanto tempo non provava la gioia del calore del sole. Da quanto tempo non sognava. Da quanto tempo…
Alzò gli occhi e guardò con aria di sfida l’immagine nello specchio.
- Sì…ti riconosco…ora che ti sei mostrata, ti riconosco…so chi sei – chiuse gli occhi. Gli era difficile e doloroso ricordare - Molti anni fa ho scelto – continuò - e una volta fatta, è una scelta irrevocabile, nel bene e nel male. Ho esercitato il mio diritto di uomo, il mio diritto di libero arbitrio, quella libera scelta che è stata data all’uomo, a tutti gli uomini di decidere in modo autonomo di sé stesso e della propria esistenza. La libera scelta di seguire la strada del Bene o se votarsi al Male, la libera scelta di comportarsi secondo coscienza e responsabilmente o di seguire soltanto l’irrazionalità dell’istinto. Io ho tacitato la mia coscienza che con tanta forza cercava di ribellarsi. E questo non rimane impunito. Ha richiesto il suo prezzo. La mia ormai è un’anima malata. Ho venduto il senno e la ragione per il mio desiderio di potere. Tutto il mio mondo è diventato preda di ombre e mostri. Ed io ora sono alla mercé degli Inferi e del suo Signore. Non sono solo gli anni che indeboliscono il corpo: la malvagità corre molto più veloce della morte.
- Non ti pare che sia tardi per queste riflessioni? – lo interrogò con fare retorico. Ma il re non rispose e continuò.
- Mi chiedesti quale fosse per me il valore di ciò che tu mi avresti concesso di ottenere. Allora non sapevo cosa risponderti. Ero un giovane re ed ero abbagliato dalla tua bellezza e dal desiderio di fama e potere.
Allora lo guardò e gli disse: - Ricordi le mie parole? Questo è quanto ti chiedo in cambio: giacerai con me una notte ed io concepirò tuo figlio. Egli sarà mio e guiderà i miei eserciti verso la vittoria.
- Sì ricordo. Però nacque una bambina…- si mise a ridere scompostamente come fosse in preda al delirio – Una bambina! Anche se vivevo nel peccato mi era stata data l’ultima possibilità di redenzione…
- Elbereth…
Il re abbassò lo sguardo piangendo.
- Si…Elbereth… La mia unica e piccola scintilla di speranza di salvezza.
- Mi ingannasti! Doveva essere il mio erede, il signore del mondo. E invece ho partorito la mia nemesi! E così sarà tutta la sua discendenza! Io però ho mantenuto la mia promessa…Guarda, se mai avessi dimenticato…
Nello specchio iniziarono a scorrere le immagini degli eventi passati. Ogni attimo della sua vita gli passò davanti agli occhi. Si rivide come un giovane principe guerriero alla testa delle sue armate. Rivisse nuovamente tutte le sue le campagne e le sue più grandi battaglie. Aveva accresciuto il suo potere estendendo i possedimenti anche al di fuori dell’intera nazione, assoggettando i popoli confinanti. Le casse del regno erano colme di tesori e aveva accumulato in pochi anni un enorme patrimonio.
Il suo delirio di onnipotenza aumentava di giorno in giorno. Non era più in grado di controllarsi o di fermarsi. Con il progredire della sua follia aveva iniziato a spogliare di ogni funzione il consiglio dei saggi e aveva fatto imprigionare il suo consigliere. Il conclave dei Sacerdoti era stato dichiarato fonte di eresia e di menzogne.
- Folle! Solo la follia aveva potuto guidarmi in quella infausta e funesta decisione. La mia bramosia di potere mi aveva reso cieco e sordo anche davanti ai consigli più illuminati del mio vecchio consigliere – ora il re camminava agitando le braccia nervosamente e continuava a parlare esternando tutti i sentimenti che aveva represso. Le parole gli uscivano dalla bocca come un fiume in piena, inarrestabili – Follia! Pazzia! Nel pensare di poter evocare demoni impunemente come se fossero semplici servi da convocare al cospetto del re. Folle nel credere di potermi imporre con la mia volontà e di utilizzarli al mio servizio. In questo mio dissennato disegno ho immaginato e desiderato di avere al mio cospetto non un demone qualunque, ma uno degli Antichi…
Nella sua presunzione aveva evocato un demone molto più potente di quanto mai avesse potuto immaginare. Lilith. Matrigna e Prima Madre. L’affascinante volta del cielo notturno. La misteriosa Luna Nera. Padrona di ogni amante terreno. Con la sua maschera ambigua ed enigmatica poteva rendere ogni uomo succube della sua volontà. Amante e guerriera. Indomita seduttrice e perfida ammaliatrice. Lilith. Ella non è il simbolo dei viventi, ma delle Ombre.
Un Antico quindi, non un semplice demonio; e come tale esso si sarebbe presentato sempre se evocato, ma non in segno di obbedienza a colui che ha osato pronunciare il suo nome, ma per curiosità. E anzi, al contrario di altre creature, un Antico avrebbe preteso dall’invocatore lealtà e rispetto ed egli si troverà ad essere completamente impotente dinanzi a lui. La sua furia, in caso di disobbedienza, sarebbe stata inarrestabile: sarebbe stato come cercare di contenere un fiume in piena con le mani.
Altri sprovveduti avevano provato a sfidare il potere degli Abissi chiamando a sé alcune delle creature più terribili che ivi dimoravano. Per alcune solo sussurrare il nome era sufficiente per averle davanti, per altre ne bastava anche il solo pensiero. Inutilmente avevano provato a tracciare segni e cerchi a loro protezione. Inutilmente avevano utilizzato complessi cerimoniali che pretendevano di essere in grado di poter proteggere dai demoni colui che li stava evocando. Alcuni avevano addirittura tentato di nominare un guardiano allo scopo di intervenire in loro difesa. Ma ogni azione era vana: le creature demoniache erano subdole e astute. Apparivano prima che fosse terminato ogni rito protettivo, per quanto inefficace sarebbe stato, e, se non ne avessero avuto bisogno per adempiere i loro malefici scopi, si avventavano sugli inconsulti malcapitati.
Non restava che un mucchietto di cenere e ossa.
Solo quando era troppo tardi, solo allora era chiaro all’avventato evocatore che gli Antichi non obbediscono agli esseri umani, per quanto questi si credano potenti, ma li disprezzano profondamente per la loro alterigia. Essi si servono degli uomini solo per usarli come cancelli per mettere in comunicazione questo mondo con il loro.
- Comprendo ora l’urlo silenzioso della mia coscienza che prima così cieca di fronte alla tentazione ed ora così consapevole del male provocato! Comprendo ora l’inferno eterno che mi perseguita giorno dopo giorno! Comprendo ora la mia esistenza trascorsa con la certezza del fio che dovrò pagare!
- Divieni colui che realmente sei – gli rispose Lilith.
- Io aspetto il segno che è giunto il tempo della mia discesa. Ma non per questo resterò immobile. Il mio destino non mi ha certo dimenticato. Ma è crudele. Non mi rincorre, non mi assilla: mi lascia tutto il tempo che voglio o che vuole. Mi aspetta. Incombe su di me, ma sempre tenendosi in lontananza. Attende che la disperazione prenda il sopravvento, che la ragione lasci il posto alla follia, E se anche questa mia ultima azione è una follia, io la voglio compiere: meglio questo atto estremo che restare ancora a guardare pregando per l’oblio, aspettando l’ultimo crepuscolo di una vita maledetta.
- E come farai a dire ciò che è bene se non conosci ciò che è male? Un’altra vittima sarà condotta alla mia gogna e io godrò delle sue sofferenze.
- Avrò scelto di lottare.. avrò scelto di vivere. Ricorda Demone: quando finisce la forza degli uomini.. ha inizio il loro coraggio… Vedere delle ombre significa solamente che c’è della luce che splende vicino.
- No mio caro. Non esisterà mai un vento a favore se non si conosce il porto. Ed io sono qui per condurti verso la tua rovina, verso la tua ultima battaglia, verso il tuo ultimo peccato. Non riesci a vedere? Non riesci a sentire il grido di dolore che sale dalla tua anima perduta? La sua voce si perderà nelle tenebre dell’Abisso in cui verrà precipitata. Ed essa giungerà a me con gran clamore. E credi forse che me ne importerà qualcosa? La tua ora è ormai giunta. Per te solo Ombre e morte. La dannazione eterna è il tuo destino. Tu ballerai per me ancora una volta e io sarò il Maestro dell’orchestra. Ballerai sulle note della mia musica di tormenti e disperazione. Non potrai rifiutarti. Lascerai nella dispersione dei ricordi e nella fugacità della memoria le ataviche gesta gloriose di cui ti vuoi ancora fregiare. Saranno per te reminescenze relegate nel deserto e come i granelli sabbia saranno disperse dal vento che ogni giorno spazza le dune modificandole a suo piacimento. Accetterai ancora una volta l’offerta dalla mia calda mano. La notte più lunga dell’anno ti attende.
Il re si eresse in tutta la sua statura e con sguardo di sfida rispose al demone che lo stava tormentando:- Sì. Ho commesso molti errori da giovane. Avevo intrapreso un lungo e solitario cammino senza vincoli, seguendo unicamente i miei desideri ed istinti. Mi sentivo smarrito e tu ti sei presentata a me come un maestro. Mi dicesti che mi avresti sempre guidato ma senza impormi le tue scelte, mi assicurasti che sarei sempre stato libero di intraprendere le mie, mi incoraggiasti nella ricerca facendomi credere che sarei stato ripagato dalla conoscenza. Mi sentivo in balìa degli eventi e tu venisti a me come mentore; ti presentasti come saggio consigliere che mi avrebbe aiutato a cercare la verità. Non riuscivo a vedere che la tua gentilezza e comprensione erano in realtà pura illusione. L’aiuto che mi proponevi era effimero.
Con fare provocatorio la figura nello specchio si sporse in avanti, quasi ne volesse uscire:- Era completamente a tua discrezione se credere o meno a quanto ti stavo dicendo. La tua sete di potere e conoscenza era pronta per aprire la tua anima al Chaos. Ti sei immerso nelle celebrazioni in mio onore perdendoti nel ciclo della vita: il fuoco che genera l’aria che genera l’acqua che bagna la terra la quale servendosi dell’incantesimo del buio perenne si prepara alla sua rinascita. Hai perso la cognizione del tempo e dello spazio e hai ricercato nell’abbraccio degli inferi quel calore che credevi ti rendesse immortale. Hai ceduto alla lussuria e il tuo cuore era come invaso dalla lava bollente risalita dall’Abisso dove il cuore del pianeta pulsa instancabile e imperituro, motore delle immense forze che sono imprigionate negli inferi della Terra.
Io sono la Mater Daemonun, il mio regno è negli spazi siderali e negli abissi più profondi. I cancelli d’ingresso sono occultati e inavvicinabili per tutti i viventi; ma per coloro i quali si sono aperti gli accessi essi non sono più invisibili. Io ti ho spalancato la Via per entrare nel mio impero, ma una volta oltrepassata la soglia degli inferi, non esiste ritorno.
- No! Nulla è perduto fin tanto che avrò ancora la mia anima. Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte; e nessuna notte è così lunga da impedire al sole di sorgere!
- Credi di avere ancora così tanto tempo a disposizione?
 

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Capitolo 16
*** L'esercito maledetto ***


E così iniziò l’invasione demoniaca. Migliaia di anni ad aspettare il tempo per la rivincita degli Abissi e del suo Signore, ad attendere pazientemente che tutto fosse compiuto. Ed ora, nelle terre più vicine a Shadow, le orde di Ombre sotto il comando del demone Adramelech attaccavano devastando uno a uno tutti i villaggi di confine. Nessuna pietà: uomini, donne, vecchi, bambini, tutti venivano annientati senza alcuna distinzione. Non era una guerra di conquista, ma di distruzione.
I demoni comandanti facevano a gara nel reclamare la proprietà delle anime che venivano brutalmente uccise.
La loro naturale inclinazione alla ferocia e la loro avversità per gli umani erano state soffocate dalla decisione che ci fosse anche un comandante umano: per quanto la sua anima fosse corrotta restava sempre un uomo, ai loro occhi era solo una sub-creatura per come la definivano i demoni stessi. Ovviamente la stima da parte del comandante Shervin era ricambiata: per lui erano ripugnati bestiali creature che avevano il solo pregio di essere estremamente utili in battaglia.
Il cielo grigio antracite di Salt Bridge era chiuso da nubi plumbee che amplificavano la sensazione di oppressione che era generata. L’aria era calda e afosa quando la legione di demoni agli ordini del comandante Shervin giunse al villaggio; si fermarono alle porte di quella piccola comunità costituita da pastori e contadini e da qualche artigiano che lavorava per fornire gli attrezzi necessari. Quelle anime avevano fin’ora lottato contro la fame e la povertà ed ora erano minacciate da qualcosa di molto più mortale in grado di trasformare in un deserto freddo e inanimato qualsiasi zona abitata dagli esseri umani.
L’inverno dell’umanità si stava avvicinando, le difese degli uomini erano sempre più deboli e il terrore aveva maggior presa su di essi che la fede. L'oscurità aveva iniziato ad avvolgere la natura e tutto ciò che la circondava e ad uno ad uno i regni iniziavano a cadere sotto i colpi dei demoni mentre le anime degli uomini venivano dannate per l’eternità.
I regnanti delle città andavano a cercare ogni magia e sortilegio per difendere le loro case e le loro famiglie. Avevano abbandonato la fede per gli antichi rituali ed incantesimi sperando che questo potesse aiutarli contro le creature infernali che li stavano minacciando.
Da settimane ormai la guardia di Salt Bridge seguiva con attenzione le attività delle truppe di demoni che si muovevano nelle terre confinanti; quotidianamente le pattuglie inviavano i rapporti sui movimenti delle Ombre. Ogni giorno si osservava un continuo va e vieni di messaggeri che instancabilmente attraversavano a cavallo le terre del regno portando notizie ad intervalli sempre più stretti. Tutto indicava una sola e indiscussa direzione: i piani demoniaci si stavano muovendo e si sarebbero serviti delle Ombre per iniziare l’invasione.
Le cinta difensive di ogni città di confine erano state rinforzate, dai forti più interni e dalla stessa capitale erano state richiamate sia le truppe che i riservisti. In ogni luogo ci si preparava a resistere oltranza, per sostenere qualsiasi aggressione senza ben sapere che cosa si sarebbe dovuto affrontare.
Ad alimentare il clima di inquietudine, alcuni mercanti avevano portato sporadiche notizie riguardo a delle riunioni dei Sacerdoti che si erano tenute dopo anni di assenza e di completo silenzio.
Si mormoravano parole piene di dubbi e di incertezze, ma soprattutto colme di paura.
Quando era giunto in quel villaggio anni addietro fratello Davorin Urthadar , sapeva solo che il suo compito sarebbe stato quello di portare la parola di Dio in quel posto dimenticato e ai confini con le terre sottostanti il castello di Shadow. Un posto dove nessuno voleva andare, ma lui, essendo un novizio non aveva potuto rifiutarsi.
I giorni erano diventati mesi, i mesi anni e lui stava invecchiando in quel villaggio senza alcuna speranza di tornare in città. Ed ora anche la sua fede veniva messa in discussione.
- Ecco - borbottava sottovoce mentre seduto su una ruvida panca della taverna e avvolto nel mantello di lana pesante, sorseggiava un boccale di birra scura come scuro era il suo volto - ecco, si preannuncia un’altra giornata come tutte quelle passate e come saranno quelle future fino alla fine dei miei giorni in questo triste posto dimenticato da Dio e ignorato dal resto del mondo. Chiese immediatamente perdono a Dio per aver mancato di fede e aver messo in dubbio il suo disegno, poi finendo la birra guardò fuori attraverso i vetri incrostati di polvere e fuliggine. Sì. Proprio una giornata monotona con la pioggia che non smetteva da giorni di tormentare l’ormai satura terra. Il cielo plumbeo e coperto da pesanti coltri di nubi che promettevano ancora acqua.
Pensava e intanto osservava il ragazzo che faceva da sguattero nella locanda che, con passo svogliato, saliva le scale che portavano al ballatoio superiore trascinando un secchio di acqua; pensava e osservava le singole porte di legno che si affacciavano sulla balconata interna dietro le quali potevano trovare riposo mercanti, soldati, viandanti e ogni vagabondo che potesse permettersi di pagare un soldo per passare la notte in un letto.
E proprio in una di queste stanze alloggiava un ufficiale della guardia. Anche per lui il suo periodo di ferma in quel luogo di frontiera avrebbe dovuto essere solo temporaneo. Ma faceva parte di quelle decisioni che hanno una visione delle cose temporanee tendente al definitivo. Sospirò e decise che era ora di alzarsi e di lasciare le calde coperte che lo avevano avvolto nella notte e che gli avevano permesso di dimenticare almeno per un po’ il senso di frustrazione che lo tormentava. Prima si mise seduto sul letto poi sbuffando si alzò in piedi. Dominava l’intera stanza con la sua possente corporatura costruita in anni di allenamento e battaglie. Indossò la camicia e si infilò i pantaloni di pelle. Finì di vestirsi infilandosi una casacca di lana cotta che aveva sicuramente visto tempi migliori e poi prese gli stivali ormai consumati dall’uso. Si passò la mano sul viso: la barba era diventata un po’ troppo lunga ed ispida. Forse, se ne avesse avuta voglia, poi si sarebbe raso. Andò al catino e si buttò dell’acqua in faccia: era fredda. Un brivido lo scosse. Poi passò le mani tra i capelli tirando indietro le ciocche ribelli che gli incorniciavano il viso del pallore tipico di chi ha i capelli rossi. I suoi profondi occhi azzurro ghiaccio erano precocemente contornati da rughe dovute a molte preoccupazioni e a tanti mancati riposi ed erano ancora velati dal sonno. Si stiracchiò nuovamente e poi lentamente si diresse verso la porta della camera e l’aprì. Imprecò sottovoce inciampando nello straccio che era stato distrattamente abbandonato dallo sguattero. Lentamente il chiacchiericcio che giungeva dal piano inferiore si elevò da sommesso brusio a fastidioso vociare. Scese adagio i gradini della scala in legno che portava nel salone della taverna.
Si mise ad osservare mollemente gli avventori dell’osteria e i loro movimenti più o meno impacciati a seconda di quanto erano ubriachi. Già così di prima mattina, pensò.
Posò per un attimo gli occhi sul monaco, quella figura magra e scarna che stonava con tutto l’ambiente. Poi passò in rassegna uno dopo l’altro i visi dei presenti. Era chiaro che nelle loro menti vi era una sola e unica preoccupazione: aspettavano il giorno in cui avrebbero visto alle loro porte l’orda dei demoni e ombre attaccare la loro città. Intanto affogavano la loro disperazione nella birra servita abbondantemente dall’oste.
Improvvisamente si spalancò la porta e tutti i presenti si ammutolirono di colpo, prima sorpresi, poi terrorizzati dalla vista di quell’uomo.
Rimase a guardare i presenti con uno sguardo colmo di primordiale odio; poi spostando lentamente gli occhi divenuti rossi sugli uomini atterriti che aveva di fronte disse con una voce che pareva provenire direttamente dagli inferi:
- Le porte dell’Ade si sono aperte. Tremate uomini. Oggi il sole smetterà di splendere e il potere si manifesterà non dal cielo, ma dagli inferi. Finalmente siamo giunti alla resa dei conti. Da ora in poi ci serviremo di voi, tutte le volte che vorremo. – Poi continuò – Da oggi un grande silenzio avvolgerà la Terra. Un grande silenzio: la terra ha rabbrividito e si è ammutolita al passaggio del nostro signore. L’Inferno ha tremato e si sono risvegliati coloro che erano negli inferi. Da ora in poi, sarete solo cibo per coloro che erano stati condannati in eterno, faremo di voi e delle vostre anime tutto quello che vorremo.
I presenti iniziarono a gridare consapevoli di non aver scampo e tuttavia cercavano rifugio negli angoli più bui e riparati della locanda. Alcuni tentarono pure di uscire, ma ad aspettarli di fuori c’era un intera legione di demoni che senza troppi scrupoli li uccise e si nutrì delle loro anime.
Dapprima attonito per la rapidità con cui stava precipitando la situazione e totalmente inconsapevole di ciò che aveva davanti, il capitano della guardia si riprese e sguainò la spada; non poteva conoscere le forze superiori contro le quali si accingeva a battersi, forze guidate da un potere che aveva origine nelle tenebre e negli abissi più profondi, il suo impulso vitale scaturiva dalla notte dei tempi e non conosceva alcuna paura o timore.
Lo stesso, l’ufficiale non mostrò alcuna perplessità nel voler affrontare quel demone.
- Chiunque tu sia, incontrerai la mia lama e assaggerai il dolore che è in grado di infliggere – disse – Sei un essere senza speranza. La tua vita è maledetta come lo è il tuo signore. Prega il tuo padrone affinché abbia pietà di quanto rimarrà del tuo corpo, perché io non ne avrò.
- Umano! – ghignò – Questo non è un gioco. Non credere di poter rivendicare diritti di fronte a me – rispose il demone che aveva di fronte che rise sguainando la spada e gli staccò di netto la testa che rotolò fino ai piedi del monaco. La guardò atterrito deglutendo con fatica, rimase ad osservare quegli occhi sbarrati che lo stavano come supplicando di fuggire. E quando vide il demone avvicinarsi a lui impallidì: cercò di indietreggiare, non vedeva via di scampo. Come ultimo tentò di infilarsi sotto il tavolo per poi cercare di sgattaiolare lontano da lui, dalla morte che lo stava rincorrendo. Ma lontano dove? Pensò. Si guardò attorno e non gli pareva di vedere alcuna via di fuga ora che altri due demoni si stavano avvicinando alla porta della taverna.
Strisciando tra i vari tavoloni di legno si trovò di colpo ad osservare un paio di stivali neri. Alzò lo sguardo ed impallidì.
- Ri...risparmiatemi...s…sono un monaco…sono solo un povero monaco – Ma che stava facendo? – chiese poi a se stesso – stava davvero chiedendo pietà ad un demone?… Di certo nessuno lo aveva mai preparato ad affrontare una simile situazione.
Il demone piegò leggermente di lato la testa. Pareva indeciso se staccargli la testa adesso o se giocare un po’ con lui prima di ucciderlo e prendergli l’anima. Il povero fratello Urthadar ha il fiato grosso, la paura lo sta paralizzando. Non sa più che fare o che pensare. Non ha armi, ma tanto non saprebbe usarle e di certo non servirebbero a nulla, non ha forza, non ha niente. Gli resta solo un barlume di fede a cui si aggrappa pieno di disperazione. Si guarda ancora intorno: forse, se riuscisse a raggiungere le scale, potrebbe attraversare il corridoio superiore e raggiungere la porta delle cucine. Muovendosi a carponi, camminando a quattro zampe su mani e piedi come un animale cerca di salire il più velocemente possibile per sfuggire a quella diabolica creatura che lo sta inseguendo. Per un momento quel demone si fermò. Ghigna: - Prega! Prega pure il tuo Dio! Oggi io avrò la tua anima…Comunque…
Si fermò anche il monaco che buttò lo sguardo terrorizzato oltre la balaustra per rendersi conto di dove si trovasse ora il suo cacciatore. Approfittò del momento di tregua per riprendere fiato. Osservò quel demone che non proferisce più alcuna parola, si limita a mantenere la bocca leggermente aperta su un sorriso colmo di malvagità. Lo vedeva muoversi verso di lui, avrebbe salito le scale e lo avrebbe raggiunto. Supera il cadavere del soldato decapitato e si avvicina ancora. Improvvisamente si ferma distratto da un rumore alle spalle. Anche il monaco venne distolto per un momento dalla sua principale preoccupazione per rendersi conto che ora era triplicata: altri due demoni erano entrati e fermi sulla soglia si stavano guardando attorno. Fratello Uthadar si sedette di colpo cercando di nascondersi dietro le assi della ringhiera. Era finito.
Continuò a guardare quel demone che con una mano teneva salda l’impugnatura della spada con la lama appoggiata sulla spalla, un piede sul primo gradino e che con l’altra mano si teneva sul corrimano. Era ancora fermo di sotto indeciso se salire o meno le scale. Si era poi voltato nella direzione del rumore e con voce gutturale si rivolse divertito ad uno degli altri due demoni che erano entrati:- Sì Saltzack – si era rivolto all’altro demone – ne abbiamo abbastanza per tutti, possiamo soddisfare appieno la nostra sete e occuparci del nostro principale scopo! La caccia alle anime…
Pregustava già il piacere che avrebbe provato nel prendersi anche l’ultima anima che era ancora viva in quella taverna. Si passò la lingua sulle labbra immaginando di avere tra la mani quell’ultimo umano. Si voltò nuovamente alzando lo sguardo verso il ballatoio dove il monaco era ancora accucciato dietro una colonna. Appoggiò la punta della spada sul gradino di legno e mise entrambe le mani sul pomo dell’elsa. Piegò leggermente le ginocchia e allargò i piedi, ben piantati per terra. Inclinò la testa prima da una parte poi dall’altra come un predatore che sta studiando le mosse della sua prossima vittima.
- Avanti, umano – disse rivolgendosi al monaco – torna giù. Non vorrai forse che venga a prenderti lì di sopra? Non complicarmi le cose, facilitamele e io sarò lieto di aiutarti in un rapido trapasso. Devo forse venire io? Se mi costringi poi io non sarò così clemente con te…
Una voce da fuori distrasse nuovamente per un momento il demone dal proseguire e salire le scale. Le pupille si dilatarono e aggrottò le sopracciglia. Gli angoli della bocca si incurvarono ulteriormente: adesso iniziava a infastidirsi. Non apprezzava tutte queste interruzioni mentre cercava di prendersi l’anima di quel mortale. Un pensiero gli passò per la mente, mettendo a nudo la natura egoista e bellicosa dei demoni. Stavano forse cercando di fregarlo per prendersela loro? Non sarebbe una novità. Questi dubbi lo fecero indugiare alcuni istanti; voltò lo sguardo verso i due nuovi arrivati senza curarsi troppo di nascondere le sue intenzioni, fermo nel suo proposito di impedire il passaggio al piano superiore a chiunque e in qualunque modo.
Un’altra voce si intromise con forza: - Cosa vedo? Il grande Umar che viene fermato da un inferiore? Quale misteriosa creatura è riuscita in questo? O invece si tratta di qualche anima che volontariamente si offre al nostro signore? Magari aspirando a prendere il tuo posto…Umar…
Poi Saltzack si rivolse al monaco: - Allora? Scendi? Ti permetterò di adorarmi e di esprimere un ultimo desiderio, prima di decidere cosa fare di te. Chissà, magari potresti anche unirti a noi invece che perire miseramente…
Il monaco rimase ad ascoltare quello che il demone gli stava dicendo, aveva capito bene? Forse gli davano una possibilità?
Si riprese da quell’attimo di debolezza. Si fece il segno della croce chiedendo a Dio perdono per il suo momento di smarrimento e Lo pregò di salvare almeno la sua anima. Guardò il primo demone che si trovava ancora in fondo alle scale che lo ricambiò con un’occhiata che lo terrorizzò ancor di più, poi tornò con gli occhi al demone sulla porta per poi infine tornare su quello che ora stava lentamente salendo i gradini. Un breve istante per riflettere. Poteva farcela – pensò – era sicuramente più rapido ed agile di quell’energumeno. Ma poi che ne sapeva lui delle capacità dei demoni? Per quanto potesse immaginare magari quello sarebbe stato in grado di volare…
Con movimenti accorti e lenti si spostò lungo la balconata mantenendosi però chinato e rasente alla balaustra. Avanzava strisciando un ginocchio dopo l’altro aiutandosi con le braccia. Le scale secondarie erano vicine. Si figurava nella mente ogni singolo movimento. In fondo c’era la porta che dava nelle cucine che poi avevano un’uscita posteriore. Se era fortunato sarebbe riuscito a raggiungere il fienile che possedeva una botola sotterranea dove si tenevano i vini. Cautamente, un passo dopo l’altro, ancora uno verso le scale che erano sempre più vicine, sempre con un occhio attento sul demone che intanto saliva sull’altra rampa. Erano lì, poco distanti. Finalmente in un tempo che gli parve interminabile arrivò ai gradini e iniziò a scenderli. Dopo qualche passo un urlo si propagò per l’intera stanza e una voce gutturale lo fece sobbalzare così tanto da inciampare nei suoi stessi piedi facendolo cadere giù dalle scale rotolando come un sacco. Arrivò fino in fondo sbattendo pesantemente la testa prima contro la ringhiera, poi sugli spigoli degli scalini e infine contro il muro. Un suono rauco gli uscì dalla bocca quando finalmente si fermò. Una smorfia di dolore si era stampata sulla sua bocca e gli ci volle qualche attimo per riprendersi e rendersi conto di quanto era successo. Alzò lo sguardo: un fiotto d’aria gli uscì dalla bocca e deglutì come per fare scendere un boccone amaro che si era incastrato da qualche parte in fondo alla bocca. Il pomo d’Adamo si sollevò e ribassò mentre la saliva gli scendeva giù per la gola. Sentì la punta della spada che si appoggiava alla base del collo e che lentamente gli fece alzare il mento.
– Dove pensavi di andare? – gli chiese.
- Saltzack! Quell’anima è mia – urlò Umar, saltando giù dalle scale e scagliandosi con forza contro il suo simile.
Questo fece voltare improvvisamente il demone e diede il tempo al monaco di rialzarsi che però rimase fermo a guardare quel demonio che ora si muoveva verso di loro. Non riusciva a capire quanto stava accadendo. Non conosceva la vera natura di quelle creature. Incapace di prendere qualsiasi decisione era completamente bloccato dal panico lo aveva assalito. Si rendeva conto che la porta della cucina, la sua unica e ultima via di fuga si trovava a soli pochi passi dalla sua sinistra ma i suoi piedi si rifiutavano di spostarsi e muoversi in quella direzione.
Saltzack, che si era avvicinato dalla porta verso le altre scale, a quelle urla si voltò nella loro direzione e ritrasse la spada dalla gola del monaco. Rimase per un attimo ad osservare Umar avvicinarsi furiosamente a lui e a quell’anima mortale. Anche Urthadar era immobile e sorpreso. Non si mosse nemmeno quando vide la lama della spada arrivare verso di lui e conficcarsi nel suo fianco. Con aria stupita guardò il metallo lucente che lo stava trapassando e quella macchia rosso bruno che si stava allargando sulle sue vesti. Sentì lo sguardo fisso dei due demoni su di lui e su quella lama che veniva ritratta coperta di sangue. Il suo sangue. Si premette le mani sul ventre. Provava un dolore a lui sconosciuto. Ma in questo momento non era così rilevante il fatto che non avesse mai affrontato qualcosa di simile. Certo, aveva già visto gente morirgli davanti, come la madre e poi la sorella durante un’epidemia di pestilenza, ma nessuno in quel modo così brutale. Un silenzio assordante si era diffuso attorno a lui. Tutto era diventato ovattato. La sua mente era attraversata da infinite sensazioni: terrore, panico, paura. Tutto questo in un attimo si affollò nella sua testa che gli parve scoppiare. Rimase a fissare le sue mani che lentamente si coprivano di sangue. Alzò gli occhi verso quei due demoni. Pensava: sono solo un monaco, non un guerriero; solo un monaco. Dovrei dedicarmi alle anime del mio gregge, pregare per la loro salvezza, indicare loro la retta via, non affrontare orde di demoni giunti sulla terra dagli abissi infernali a spargere sangue. Le mie armi sono la parola di Dio, non la spada e l’ascia.
Il rumore del passo pesante con cui il demone gli si avvicinava per finirlo lo fece tornare alla realtà ed uscire da quello stato di temporaneo immobilismo in cui era caduto. I suoi occhi misero finalmente a fuoco quella figura possente che avanzava verso di lui. Indietreggiò di un passo dopo l’altro. Il suo respiro era sempre più pesante e affannoso. La cosa strana era che non sentiva più dolore. I suoi sensi erano impegnati in qualcosa di molto più importante e vitale. Finalmente i suoi piedi avevano iniziato ad obbedirgli. Avrebbe voluto che gli spuntassero le ali per riuscire ad andarsene e poter schizzare a miglia e miglia di distanza. Per un momento gli parve pure che ciò stesse accadendo: non sapeva come non sapeva perché, ma senza rendersene conto aveva infilato la porta che si trovava alla sua sinistra e che portava alle cucine e aveva iniziato a correre. Stringeva i denti ed aveva il viso deformato dallo sforzo e dal dolore e con un flebile filo di voce tremolante ed appena udibile fece uscire una preghiera dalla sua bocca: - Signore Mio Dio, dammi la forza…proteggimi…. Gli tremavano le labbra dalla paura – Aiuta il tuo umile servo… - sentì salirgli da dentro silenziosi singhiozzi: non voleva morire. Non ancora. Continuò a correre senza voltarsi indietro aspettandosi di sentire arrivare il colpo finale che l’avrebbe trafitto a morte. Teneva gli occhi bassi, colmi di lacrime che gli stavano rigando il viso.
Perché quei mostri non lo stavano inseguendo? Si chiese. Ma non era certo questa la sua maggiore preoccupazione. Pensava solo a correre raggiungere il fienile.
- Non ce la farò mai - pensò il monaco – La ferita è grave e ho perso troppo sangue.
Si nascose dentro quel vecchio edificio e si mise ad osservare da dietro una spaccatura nelle assi i demoni che ancora stavano scorazzando nella città.
L'aria era pervasa dal ronzio indolente delle mosche che erano accorse attratte dall’odore del sangue e dei cadaveri. Gli unici segni di vita erano i demoni che stavano setacciando le rovine della città alla ricerca eventuali sopravvissuti; uscirono dalla taverna anche i due che da quanto aveva capito rispondevano ai nomi di Umar e Saltzack: uno si mise ad esaminare i corpi che si trovavano a terra l'altro rimase fermo in piedi accanto al patio in legno tenendosi una mano sul braccio. Quando Uthadar vide la ferita di quello che si chiamava Saltzack capì il motivo per il quale era riuscito a salvarsi: le due bestie avevano iniziato a litigare tra loro per stabilire la proprietà della sua anima.
Pensò che era meglio scendere nella cantina e cercare un nascondiglio sicuro. Alzò faticosamente la botola che portava nella cantina e afferrandosi meglio che poté alla ringhiera iniziò a scendere faticosamente i gradini, provando un dolore lancinante ad ogni passo. Ogni volta che posava un piede era come se lo stessero trafiggendo nuovamente. Si rintanò dietro delle botti coprendosi con dei sacchi vuoti polverosi che erano posati a terra da tempo immemorabile.
Sentì in lontananza gli zoccoli di un cavallo al galoppo. Chi altri si stava aggiungendo a quella legione demoniaca? Amici o nemici? Attese. Il cavaliere tirò le redini del cavallo e smontò con molta calma. Si poté sentire il tonfo sordo degli stivali che toccavano terra accompagnato dal clangore metallico degli speroni. Rimase immobile e silenzioso valutando lo spettacolo che aveva davanti ai suoi occhi con sguardo compiaciuto.
- Bene! Ottimo lavoro. Il Priore sarà estremamente soddisfatto del vostro operato! – disse annuendo. Poi si diresse verso la taverna salendo uno alla volta i tre gradini che portavano sul patio e fermandosi su ognuno di essi per prolungare e godere appieno del brivido di piacere che gli avrebbe dato la vista dell’interno.
Entrò e rimase ad osservare la strage compiuta all’interno. Annuì ancora: - Bene!
Le assi del pavimento erano interamente impregnate di sangue; i tavoli e le panche erano stati rovesciati ed alcune di esse usate come ultimo disperato riparo nel tentativo di riuscire a sfuggire dalla furia di quei demoni.
Si voltò abbandonando alle sue spalle i corpi straziati dalla furia dei due demoni. Si avvicinò a Umar: - Immagino nessun sopravvissuto…corretto?
- Sì – si affrettò a ringhiare il demone – …nessun sopravvissuto. Poi guardò Saltzack con disprezzo.
Il comandante Shervin si limitò ad annuire. Se c’erano problemi tra i due non era certo affar suo. Anzi. Questa rivalità lo compiace, la sfrutterà a suo vantaggio quando sarà giunto il momento opportuno. Per il momento gli interessa che quelle bestie vengano odiate e temute per quanto commesso. – Sì – pensò – sono un vero bastardo e presto sarò al fianco del Priore come suo prezioso consigliere.
Entrò nel fienile semplicemente per dimostrare che eseguiva il suo compito di superiore verificando ogni cosa. Con il suo intercedere pesante fece tremare le assi sotto i suoi piedi e la polvere ad esse attaccata cadde sulla testa del povero monaco che era rannicchiato ancora di più trattenendo il fiato e tenendosi premuto sul fianco uno straccio per tentare di fermare il sangue.
Fratello Urthadar aspettò di vedere filtrare dalle fessure i raggi argentei della luna per trovare il coraggio di muoversi. Si mise in ascolto per cercare di capire se fosse rimasto solo e alle sue orecchie giunse in risposta la voce del bosco e degli animali notturni. Uscì dal suo nascondiglio che era notte inoltrata quando era certo che nessuno avrebbe potuto vederlo. Si guardò attorno: la città era completamente deserta. In effetti nessuno se n’era realmente andato. I corpi erano tutti lì a ricordargli che solo il giorno prima era piena di vita. La puzza dei cadaveri in decomposizione invece gli ricordava che ad andarsene erano state le loro anime.
Si allontanò furtivamente guardandosi attorno come fosse un ladro in fuga, come un amante che stava per essere colto sul fatto ed usciva frettolosamente dalla finestra.
Vagò per giorni ferito e affamato nella brughiera chiedendo a se stesso se mai sarebbe approdato in qualche luogo sicuro, ammesso che ce ne fossero rimasti ancora.
 

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Capitolo 17
*** Il Priore ***


Nel castello di Shadow un uomo stava camminando a testa alta nella sala. Si sentiva il dominatore del Mondo.
La malvagità che permeava quelle stanze era uniformemente diffusa e ricopriva completamente ogni singolo oggetto, ogni singolo arredo, ogni singolo mattone. Tutta l’architettura era stata studiata per dare enfasi a tutto ciò che quel luogo rappresentava: gli Antichi avevano fatto erigere le maestose e ciclopiche mura con nere rocce vulcaniche di cui il loro mondo abbondava. Dovevano essere ad immagine e somiglianza dei signori dell’abisso e un tributo alla loro potenza. L’intero edificio sembrava un enorme bestia infernale accovacciata sulla cima della montagna: torri agugliate che si innalzavano verso il cielo come fossero neri artigli, cupole incastonate di cristalli come occhi aperti sul mondo sottostante ad imperituro monito per gli esseri umani.
Le torce che illuminavano l’esterno del castello rendevano la struttura ancora più viva: i tremolii delle fiamme assomigliavano a profondi respiri, i giochi di luce e ombre che generavano parevano sollevare il castello in aria come fosse senza fondamenta.
Le statue che ornavano i torrioni assumevano così un aspetto ancora più spettrale, sospese in aria, con le loro lance rivolte verso il basso come fossero in attesa di accogliere i nemici che avessero avuto l’ardire di scalare la montagna e raggiungere la vetta.
Il conte Fuinur stava ammirando i soffitti che parevano coperti di fuoco e fiamme : tutto era stato costruito con uno solo scopo: incutere paura e terrore. Il genere umano è governato dalla paura: esso rappresenta il più antico e vasto dei suoi domini. La paura. La paura è la  più grande forza modellatrice, seconda sola alla potenza degli elementi della natura.
Ghignò: - Ma se la paura creò gli dei, l'audacia ha creato i re.
Ecco: era proprio così che si sentiva mentre camminava nei lunghi corridoi di quell’edificio.
Mentre si era immerso in questi pensieri di grandezza, gli fu annunciato che era tornato il suo fedele comandante con le informazioni che tanto stava aspettando.
Come sempre si era mostrato preciso e affidabile. Ogni dettaglio descritto nei minimi particolari.
Aveva inviato il comandante Shervin con al seguito quelle ripugnanti creature che quell’essere demoniaco gli aveva donato a cercare informazioni riguardo il re e il suo esercito nei villaggi vicini.
Era soddisfatto; aveva congedato il suo ufficiale comandante ed era tornato alla sua meditazione sulla paura. La paura, in ogni sua forma è orientata verso la morte: nulla era mai stato così vero. E per vincerla devi diventare tu stesso paura. Accrescerai il tuo potere assimilando le paure degli uomini alimentate dalla paura stessa, che nessuno può vedere. E nulla è più terribile e temibile di ciò che non si riesce a vedere.
- Un pensiero. Un’idea. Sì. E’ questa la strada. Diventare ciò che non si vede ma che solo si percepisce. Questo sì che annebbia le menti e le rende folli dal terrore.
Cercava di convincersi che tutto il potere che veniva generato in quell’angolo di inferno poteva essere suo. La sua immaginazione avvolgeva la sua mente come uno spettro le rovine di un castello e non poteva sentire i singulti della sua anima che esalava gli ultimi respiri prima di essere precipitata nell’abisso della disperazione eterna: - Il tuo spirito diventerà una cosa sola con ombra e oscurità. Servirai la morte in eterno: abbraccerai i dannati in un vortice senza fine.
Queste erano parole gli risuonavano nella mente: l'opera della tirannide sarà ricordata in eterno. La forza distruttrice del sublime raggiungerà il suo apice e il sublime è legato al terrore, e il terrore è tanto più terribile se legato alla paura peggiore per l'uomo, ossia la morte.
Non si sarebbe più fermato. Nulla poteva adesso intromettersi tra lui e il suo scopo. Viveva adesso in un epoca in cui la morte attraversava paesi e nazioni, divorando tutto ciò che incontrava senza distinzione di sesso, di rango o di età.
Tutto impallidiva di fronte al dilagare del fuoco dell’odio.
Si fermò a guardare uno dei tanti dipinti che stranamente decoravano le pareti: non si aspettava di certo di trovare quadri in quel posto. Aveva davanti agli occhi un'anziana con un serpente che le usciva dalla bocca, con corna che spuntavano dalla cuffia e che reggeva strettamente un sacco.
- Colpito? – chiese improvvisamente una voce profonda alle sue spalle. Sai cosa rappresenta?
Il conte scosse la testa preso da un profondo senso di inquietudine. La sola presenza di quell’essere era fonte di inquietudine.
- E’ l’invidia. La dea degli uomini mediocri e gretti. Guardalo meglio! Guardalo da vicino! Non ti riconosci? Non vedi la tua anima inquieta divorata dalla tua stessa brama di potere? Avvicinati…Dov’è il tuo coraggio? Hai paura di vedere ciò che sei diventato?
Lo spinse fino a che non appoggiò il volto sulla tela.
- Guarda! Per te si sono già spalancate le porte degli inferi. Ti stanno aspettando…
Al conte parve che quel serpente dipinto si fosse mosso e lo stesse guardando. Tutto attorno a lui si mise a girare vorticosamente fino a quando non perse i sensi.
Lilith rimase a guardarlo con aria di profonda superiorità.
- Stupido mortale. Credi forse di poterti paragonare a me? Di competere con me? Pretendere di essere il signore degli Abissi presuppone di possedere un’adeguata forza di volontà, avere una levatura di carattere non comune per comprendere l’intelligenza che lo muove. Voi umani siete solo in grado di provare indifferenza, solo degli animali che agiscono per istinto di conservazione. Scambiate il male per felicità.
Se ne andò lasciandolo solo a terra a riflettere sulle sue parole.
Era questo dunque che pensava quell’essere maligno? Gli uomini erano solo servi pronti per essere sacrificati per il suo disegno ultimo. Qualsiasi azione volessero intraprendere era stata già decisa e pianificata ancora prima che venisse pensata. Solo pedine da muovere a piacimento, fino a quando non si sarebbe stancata di giocare. Ma non aveva considerato lui e aveva sottovalutato la sua intelligenza di uomo. Avrebbe cambiato le carte in tavola. Non sarebbe stato una semplice pedina sulla scacchiera del destino. Voleva giocare? L’avrebbe accontentata. Sapeva benissimo cosa voleva e dove voleva arrivare. E sapeva anche come lo avrebbe ottenuto e questa era la parte che gli piaceva di più. Pregustava la vittoria nel suo momento culminante in cui avrebbe sopraffatto tutti i suoi nemici e si sarebbe assicurato il suo predominio. Le avrebbe donato la corona e lei l’avrebbe presa direttamente dalle sue mani.
Ricordava ancora con piacere quando le aveva offerto il giovane figlio di Lord Hamilton: si era presa la sua anima ancora innocente mostrando una completa e totale impassibilità.
- La mia venuta è per compiacere gli Inferi; sono giunta per nutrirmi nuovamente di un'anima e per poterla vedersi consumare nel fuoco dell'Inferno – aveva detto quell’essere sollevando verso il cielo la lama del suo pugnale.
Le serviva un’anima pura e integerrima da offrire in dono.
Aveva seguito con molta attenzione i gesti di Lilith mentre pianificava e si preparava per la prossima l’evocazione del signore del Male: aveva messo il sigillo di cristallo sulla colonna posta al centro del cerchio sacro, acceso il fuoco nei cinque bracieri che si trovavano nella piccola sala e in ognuno di essi aveva versato alcune gocce del suo sangue e per finire aveva riempito il calice di pietra con il sangue di un innocente.
Aveva preso mentalmente nota di ogni cosa.
Decise che presto sarebbe stato pronto per entrare in scena.
Lilith, come tante volte prima di allora, si diresse verso l’Abbazia per informare il signore del Male.
Il rituale per supplicare la sua presenza era alquanto complesso e pericoloso. Disturbare il signore dell’Ade per qualcosa che lui avesse considerato un’inezia significava subire una dolorosa punizione.
Si recò all’altare di ossidiana nera costruito per aprire una breccia col il mondo demoniaco.
Era interamente ricoperto di simboli della lingua arcana degli Inferi.
Lilith iniziò a recitarli con voce profonda e monotona: doveva allineare i piani abissali per aprire una breccia con il luogo d’origine dell’Inferno dove ogni limite non esisteva più, dove tutto poteva essere oltrepassato, dove tutto era e non era.
L’aberrazione infernale aprì i suoi cancelli: spazio e tempo avevano perso di ogni significato e la creatura demoniaca iniziò a parlare.
- Mi è chiaro il tuo intento: vuoi screditare Lucifero e prendere il suo posto accanto a me!
- Si è lasciato sfuggire uno dei suoi. Ho percepito la sua presenza con i mortali. Non è questo abbastanza per decretare il suo fallimento?
- Lo so. Credi forse che io non abbia già visto tutto? Ora uno dei demoni serve un Sacerdote…Ti ricordo che è stato un Sacerdote anche lui, quindi il suo tradimento non mi ha mai meravigliato.
- Ma lo hai mantenuto in quel corpo… - disse la demone con un accenno di disappunto.
- Ti ricordo, mia Lilith, che anche tu hai fallito. Tu avevi ricevuto il potere sui figli che avresti generato con i mortali, dovevano essere tutti maschi per essere poi puniti per i peccati dei padri e dei padri dei loro padri. Hai avuto l’occasione di irretire il re e di generare una stirpe di regnanti. Invece adesso quella tua stessa progenie sta guidando un esercito contro di te. Non dovrei forse essere deluso anche dalla tua condotta? E’ stata concepita in una notte senza luna, ed è nata in una notte senza luna e invece di sacrificarla gliel’hai consegnata.
- Non era un maschio. Non avrebbe dovuto…
- Ma era comunque il primogenito di un Sacerdote! E questo lo dovevi sapere!
Questo fu il discorso del demone, più preoccupato del fatto che Lilith non avesse rispettato i suoi ordini che delle conseguenze. Riteneva comunque che quell’alleanza di uomini mortali non avrebbe potuto in alcun modo nuocere ai suoi disegni.
- Lupus ovium non curat numerum…
In ogni caso voleva punirla per la sua disobbedienza e per aver contestato le sue passate decisioni sulla sorte di Damian: il corpo di Lilith iniziò a tremare violentemente. Il Principe degli Inferi si era fuso con lei. Si sentiva come se un fuoco la stesse divorando dall’interno, come se al posto del nero fluido che le scorreva nelle vene ci fosse lava incandescente. Non avrebbe retto ancora per molto il legame che aveva instaurato con il piano infernale.
Sentendosi soffocare iniziò a respirare convulsamente. Lilith dovette interrompere il contatto, allontanandosi dall’altare strisciando a terra. Infine si accasciò ancora tremante e senza forze in ginocchio, nell’angolo più remoto della sala.
Con il viso contratto in una smorfia che rendeva chiaro il dolore che aveva provato, cercò di rialzarsi anche se ancora in preda all’affanno che la costringeva a cercare disperatamente l’aria boccheggiando come un pesce preso nella rete, perché il castigo dopo la mente intaccava il corpo.
Anche il conte Fuinur si stava lentamente riprendendo dallo scontro che aveva avuto con Lilith e, insonne, pianificava la sua vittoria.
Nella solitudine delle sue paure cercava di ricordare i suoi giorni di gloria, ma erano lontani, molto lontani se paragonati a quello che gli stava accadendo attorno. Ora era tutto oscuro, confuso. Lui vorrebbe, vorrebbe con tutte le sue forze raggiungere traguardi di gloria e grandezza; anela ad uno scopo superiore di cui ignora la strada per raggiungerlo; vorrebbe, sì, in fondo vorrebbe essere Dio e dominare con il solo pensiero l’intera creazione; vorrebbe essere Dio con la sua conoscenza, la sua scienza e, perché no, con il potere delle sue folgori.
Ma la sua mente aveva oltrepassato la soglia dell’immaginazione e si stava riversando nel regno del delirio. La sua anima era diventata ben presto conscia di questo e stava già bruciando rapita dalle farneticazioni della sua fantasia. L’angoscia gli attanagliò il cuore che era ormai consumato dal fuoco della follia.
E improvvisamente la voce che gli aveva tolto il senno divenne silente: il sangue smise di affluirgli nel viso che divenne pallido mentre il suo sguardo assente si era perso nel vuoto. Rimase così per qualche momento che gli parvero ore interminabili: il dolore nel petto era insopportabile. Gocce di freddo sudore gli imperlarono la fronte ed iniziarono a cadere lungo le tempie.
Poi tutto riprese. Il sangue tornò a scorrergli nelle vene, il cuore riprese il suo regolare battito; solo il fiato pesante e affannoso a memoria di questa esperienza.
Anche la Demone si era lentamente ripresa dallo stato miserabile in cui era stata ridotta dall’incontro con il signore dell’Ade e faceva ritorno al castello.
Appena ebbe varcato la soglia, si eresse nuovamente nella sua alterigia; camminava con il mento sollevato in un avanzare deciso con un incedere pieno di presuntuosa superbia.
La sua espressione si indurì ulteriormente quando notò la sgradita presenza del conte Fuinur. Le sue labbra si piegarono in una smorfia di disgusto ed egli pensò che era giunto il momento di andarsene - Che fretta hai? – lo apostrofò duramente con un tono aspro e gutturale.
Il conte temeva che avesse potuto percepire ogni suo pensiero. Non le aveva ancora riferito quanto era successo al villaggio e pensò che fosse il momento adatto per distrarla con il resoconto ricevuto dal comandante Shervin.
- Signora degli Inferi. Non ho ancora avuto modo di aggiornarti con le notizie che mi sono state portate dal comandante Shervin riguardo alla missione al villaggio…
La Despota infernale si mise a fissare quell’essere inferiore con un sguardo carico di disprezzo, totalmente fredda e impassibile mostrando tutta la sua prestanza. Sul suo viso l'espressione dura e fatale lasciava intendere quello che pensava di lui.
L’intera sua essenza tremava al solo pensiero di quello che avrebbe voluto realmente farne di lui. Per un momento Lilith chiuse gli occhi e assaporò mentalmente il piacere che avrebbe tratto dall’assimilare la sua anima.
Un pensiero fulmineo attraversò la mente del conte Fuinur che sbiancò in volto dopo aver ascoltato le parole da lei bisbigliate: - sarebbe solo un attimo…un solo momento…e gusterei un sapore nuovo…
La demone socchiuse gli occhi rendendoli due fessure, le pupille brillavano attraverso di esse come braci ardenti scrutando il conte Fuinur dall'alto in basso. Iniziò ad arretrare mentre lei si dirigeva risoluta verso di lui. Ora lo stava guardando spalancando i bulbi oculari diventati interamente neri avvicinandosi sempre più e portando la mano destra sotto il mantello di seta che l’avvolgeva e che si muoveva attorno al suo corpo come mare in tempesta. Con la stessa rapidità del fulmine estrasse una lama argentea che per un attimo brillò alla luce del fuoco delle candele.
Tentò di raggiungerlo - Fermati! Non potrai mai arrivare dove la tua ambizione vorrebbe portarti, e anche se mai vi poserai lo sguardo ivi troverai la morte!
Poi si bloccò con la lama sollevata in aria a guardare lo sguardo atterrito del conte Fuinur che, con il braccio alzato a coprire il volto, cercava di ripararsi in un angolo.
I giochi di luce e ombra generati dalla tremula fiamma delle torce resero ancora più malvagio il ghigno che si era impresso sul volto reso acceso dai colori dei fuochi; la sua espressione era pregna della ferale crudeltà; cercava negli occhi dell’essere inferiore che era a terra davanti a lei la paura della morte.
La Regina degli Inferi voleva compiacersi del proprio potere.
Aprì quindi le nere labbra mostrando gli aguzzi canini che nel loro candido biancore risaltavano nella sua bocca mentre le pupille si stavano rimpicciolendo tornando delle normali dimensioni, piccoli punti neri inseriti nelle iridi gialle screziate di venature rosso sangue.
Lentamente la minaccia che era nata in lei si acquietava.
La mano destra tornò lentamente sotto le sue vesti, stringendo al petto la lama insoddisfatta - Bene, conte Fuinur, vuoi dunque mettermi a conoscenza di quello che è stato l’intervento della legione inviata nel villaggio al confine?
- Non è rimasto nessuno…
La demone infernale, piacevolmente compiaciuta, sorrise: - Bene…bene…altre anime prese, altre anime per il Regno degli Inferi…
Poi un nuovo guizzo le attraversò gli occhi: - Vuoi forse offrirti a me? Vuoi volontariamente gioire di questo immenso onore di cui voglio farti dono? Io vedo come gli uomini si affannino ogni giorno, ogni momento da quando sono stati creati. Per cosa? E’ stata fatta loro una promessa…la ritieni sufficiente? Pensa…pensa solo per un attimo cosa saresti in grado di fare…
Così la bestia infernale ragionava guardando quell’essere mortale che era in sua completa mercé.
Ma ciò che la Demone aveva trascurato sarebbe stata la sua rovina: la perenne e imperitura oscillazione tra il Bene e il Male di ogni entità vivente.
- Mi sono sempre chiesto come sarebbe stata la mia eterna esistenza se avessi agito diversamente, se avessi taciuto invece di parlare, se avessi preso una decisione invece di un’altra…
Questo pensava intanto Damian.

 

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Capitolo 18
*** Il monaco sopravvissuto ***


L’incontro con i generali aveva portato qualche chiarimento, pochissime nuove informazioni e soprattutto aveva alimentato tanti dubbi.
Alla fine avevano radunato gli eserciti da ogni parte del paese e deciso di partire comunque verso il monte Shadow.
- Non abbiamo altre scelte…
Il mattino seguente si presentò con un’alba grigia e il cielo coperto. Il sole era completamente oscurato da nuvole nere che promettevano solo abbondanti piogge.
- Avremo una umida compagnia… - provò a scherzare Lord Hamilton alzando gli occhi in alto e abbozzando un sorriso.
- Purché sia la nostra sola compagnia, si può anche accettare – disse in risposta il generale Raupert – ma temo che non saremo così fortunati…
Salirono a cavallo e aspettarono che il re si unisse a loro per dare ordine alla colonna di muoversi.
Avevano da poco lasciato la città di Starbridge che uno scroscio di pioggia gelida accompagnata da un vento contrario freddo e impetuoso che spirava da nord si riversò sugli uomini e sulle bestie inzuppando gli abiti e rendendo il cammino ancora più difficile a causa del fango in cui affondavano gli zoccoli dei cavalli e le ruote dei carri.
- Anche la natura ci si sta mettendo contro…
- Forse è un segnale per provare a farci desistere…
- Oppure un segnale per farci rinsavire e tornare indietro. Troveremo solo la morte…
Queste erano principalmente le discussioni tra i soldati e i comandanti cercavano di impegnarsi per mantenere alto il morale delle truppe.
- Sì…la incontreremo. Ma non è questo che ci farà arrendere. Ci è stato affidato un compito e lo porteremo a termine!
Man mano che si spostavano il paesaggio mutava continuamente. Si dirigevano verso nord ed erano passati dalle placide colline che si trovavano nei dintorni di Starbridge alle modeste alture ricoperte da verdi e ricchi prati erbosi segno delle perpetue piogge che caratterizzavano la zona. Più si inoltravano a nord più radi diventavano i boschi per lasciare alla fine il posto agli infiniti prati della brughiera ricchi di felci e piante di erica.
Ma ciò che più rendeva il paesaggio opprimente era la sagoma delle Colline del Silenzio che si stagliava nell’infinito di quel verde orizzonte.
- Le Colline del Silenzio… – un mormorio tra i soldati che pronunciavano quel nome con un tono della voce reverenziale e pieno di timore.
Le Colline del Silenzio: un posto maledetto. Chiunque si fosse mai recato in quei luoghi non aveva più fatto ritorno. Era sparito nel nulla. Mercanti, viandanti, poveri diavoli in cerca di fortuna. Nessuno li aveva più visti, né loro, né le loro cavalcature. Non restava alcuna traccia del loro passaggio.
Le Colline del Silenzio. A questo era dovuto il loro nome: chi vi si recava veniva come rapito dal nulla, senza rumore, senza proferir parola, senza lasciar alcun segno.
- Avevamo giusto bisogno di aggiungere un altro po’ di maledizioni…
Un senso di inquietudine e di grande turbamento attraversava gli animi di tutti persino delle bestie che li stavano accompagnando. Anche Damian avvertiva un senso di enorme disagio man mano che avanzavano verso quelle alture, anche se non riusciva pienamente a spiegarlo.
Mentre proseguivano il loro cammino incespicando nel fango dirigendosi verso i pendii erbosi che ricoprivano le Colline del Silenzio, apparve nella foschia che si stava alzando un uomo. Indossava l’abbigliamento tipico dei monaci ma anche da lontano era chiaro che le sue vesti erano logore e lacere. Il suo viso era smunto e segnato dalla fame e dalla sete. La pelle riarsa dalla mancanza di acqua e dai giorni passati camminando sotto il sole pareva era come incartapecorita. Pareva semplicemente avvolta attorno alle ossa di quella figura barcollante che a stento riusciva ad avanzare trascinando i piedi come se avesse un enorme carico sulle spalle. Quando li vide si fermò e si mise ad urlare con tutto il fiato che aveva in corpo. Urlava. Urlava frasi dissennate. Non agli orecchi di tutti però. Urlava. Urlava che i demoni erano usciti dalle viscere della terra. I giorni della fine del mondo erano giunti, i sigilli spezzati, i cavalieri dell’Apocalisse camminavano nuovamente tra gli uomini. E che infine gli uomini sarebbero stati messi davanti ai loro peccati e giudicati per ciò che avevano commesso in vita e in morte.
- Il giorno del giudizio è vicino!
Urlava agitando le braccia freneticamente come un forsennato. Poi cadde riverso a terra in preda a spasmi come se avesse un attacco epilettico. Continuava a farneticare e dalla sua bocca uscivano parole senza senso miste a schiuma biancastra.
- La via senza ritorno è stata presa!
Biascicava mescolando parole, suoni, singulti. Diceva che si era giunti al giudizio finale e che non ci sarebbero state ammende o possibilità di pentirsi... parlava, piangeva… dicendo anche altre cose che i soldati che accorsero per primi non riuscirono a comprendere con chiarezza.
In un attimo di lucidità li supplicò di prenderlo con loro e di dargli protezione.
Poi ripiombò nel suo delirio: - Dies irae, dies illa, dies tribulationis et angustiae, dies calamitatis et miseriae, dies tenebrarum et caliginis, dies nebulae et turbinis, dies tubae et clangoris super civitates munitas et super angulos excelsos.
Di nuovo tornò in sé  e con voce rotta dall’emozione iniziò a raccontare di cosa era stato testimone. Parlò del villaggio, della sua esistenza all’ombra dell’Abbazia. Delle storie che si raccontavano, di quel giorno nella taverna e di come furono sterminati gli abitanti.
- E invece tu ti sei salvato…come ci sei riuscito?
- Avevano iniziato a litigare per la mia anima…ed io…ed io…
Si guardò attorno e iniziò improvvisamente a gridare: - Sono stati rotti i sigilli! Preparate le vostre anime perché non vi sarà dato più tempo. Voi credete di fermarlo? Nella vostra presunzione andrete incontro alla vostra rovina. Esisterà una sola Verità: la sua. E voi cadrete…
E poi si chiuse in un silenzio totale.
Il giorno ormai volgeva al termine e decisero quindi di accamparsi nei pressi di una serie di rovine con annesse delle costruzioni ancora in piedi che avevano scorto dall’altezza della collina e che sorgeva in un’ampia radura capace di ospitare tutti gli uomini con i loro cavalli. Vi giunsero che era ormai notte.
I soldati si accamparono nei dintorni come meglio poterono, mentre gli animali vennero condotti all’interno di quel che rimaneva di un vecchio recinto. Gli ufficiali invece si ripararono nella baracca costruita di sassi e con il tetto ricoperto da assi di legno ormai marce tenute assieme da una rigogliosa pianta di edera che le avvolgeva con le sue tenaci spire.
Cercarono di accendere un fuoco in quello che un tempo doveva essere un camino.
Elbereth si guardò attorno alla fioca luce della fiamma che iniziava a crepitare: sulle pareti era cresciuto un abbondante strato di muffe e muschi, al centro della misera stanza vi era una tavolaccia di legno completamente ricoperta da sporco. Probabilmente quel posto veniva usato dagli animali selvatici come riparo notturno. Per il resto era completamente spoglio e in rovina.
Scaldarono sul fuoco qualche galletta di pane che accompagnarono con una razione di legumi stufati. Vennero stabiliti i turni di guardia per non avere spiacevoli sorprese e dopo la frugale cena ognuno si coricò cercando di ripararsi dai gelidi spifferi come meglio riusciva.
Damian si era sistemato in un angolo da cui poteva vedere attraverso una delle tante fessure che si aprivano nei muri della baracca. L’inquietudine che lo accompagnava sin dal mattino non lo aveva abbandonato e gli impediva di addormentarsi. Alla fine la stanchezza ebbe la meglio e anche lui cedette: i suoi occhi si chiusero e si abbandonò ad un sonno agitato. A poche ore dall’alba venne svegliato da quella che gli parve una voce di un animale che si stava spegnando in lontananza. Si volse verso il camino: il fuoco aveva consumato tutta la legna e restavano ormai solo un mucchio di cenere calda e sotto di essa qualche brace ardente di un colore rosso acceso.
Poi guardò di fuori: era ancora buio e una fitta coltre di nubi nascondeva la pallida luna. Forse un’ombra. La pioggia aveva smesso nella notte, ma il vento non accennava a placarsi. Si alzò in piedi ed uscì. In quel momento un breve squarcio nel cielo fece filtrare i raggi della luna e Damian ebbe nuovamente l’impressione di qualcuno o qualcosa che si muoveva protetto dalle ombre della notte.
Si guardò attorno: gli altri dormivano pesantemente. Tornò al suo posto, ma rimase sveglio per tutto il resto del tempo che precedette l’alba.
L’orizzonte iniziò a tingersi dei colori che precedono il sorgere del sole. E con esso anche i soldati iniziarono a svegliarsi. Il loro primo pensiero era legato alle prossime azioni da fare. Lord Hamilton e il comandante Farwell iniziarono subito a discutere sull’opportunità di dirigersi direttamente verso le Colline del Silenzio oppure di deviare ad est cercando di aggirarle, nella speranza di individuare un passaggio che permettesse loro di mantenere la strada verso nord senza inoltrarsi per quei luoghi pericolosi. Inoltre il racconto del monaco aveva aperto nuovi scenari.
- A proposito…Dov’è il pazzo di ieri sera?
Il giaciglio dove si era abbandonato il frate era vuoto: se n’era andato nella notte.
- Chi era quel povero diavolo? – in molti si chiesero se mai lo avrebbero rivisto vivo.
Prepararono una parca colazione a base di pane raffermo e carne essiccata e mangiando pianificavano la direzione migliore da prendere. Alla fine fu deciso di proseguire ancora diretti verso nord senza deviazioni, avendo come meta l’oltrepassare il prima possibile le Colline, per poi piegare ad ovest verso il monte Shadow.
Avevano appena finito di sellare i cavalli che una figura si stagliò sull’orizzonte in lontananza tra le rocce che ricoprivano la collina davanti a loro. La distanza era tale da non permettere loro di capire se fosse un uomo, una donna, uno spettro o un’allucinazione. Era semplicemente una sagoma che li stava osservando. Il vento freddo che spazzava la cime della collina faceva muovere i lunghi capelli argentei e il mantello nero che lo ricopriva. Stringeva nelle mani qualcosa che pareva un bastone da viaggio. Li guardò ancora per alcuni minuti per poi incamminarsi lungo il crinale opposto scomparendo così ai loro occhi.
- Era reale? O era un fantasma? – chiese Lord Hamilton
- No. Non è un morto – disse Damian che ora comprendeva il motivo della sua apprensione – è uno condannato ad una non-vita che è peggio…
- Amico tuo?
Damian spronò il cavallo evitando ulteriori sarcastiche domande.
- Chi è? – gli chiese Elbereth
- Faresti meglio a chiedere cos’è…- le rispose Damian con tono misterioso – E’ un guardiano delle Colline. Non è vivo e non è morto. La sua eterna esistenza è segnata solo dal trascorrere dei tempi che regola la vita degli uomini ma di certo non il suo essere.
- E la sua esistenza cosa comprende? – chiese Elbereth spazientita.
- Fa il guardiano…- sentenziò cinicamente Damian.
Elbereth sospirò.
- Le Colline del Silenzio rappresentano una linea di confine – disse allora il demone - vi sono simboli lasciati dagli Antichi ancora prima dell’avvento dei giorni. Iscrizioni che raccontano cosa è stato e cosa sarà.
- Potremmo quindi trovare risposte? – domandò Elbereth con un velo di speranza nella voce.
- Dipende dalle domande che hai…- fu la laconica risposta di Damian.
Un pallido sole illuminava la brughiera. Il vento freddo del nord aveva reso l’orizzonte completamente terso e le sagome scure delle colline risaltavano nel cielo limpido. Il loro nero profilo costellato di rocce acuminate ricordava la schiena di un drago addormentato ricoperta di dure scaglie.
Si mossero tutti verso nord. Dovevano in ogni caso oltrepassare quei luoghi e la loro meta era ancora molto lontana. E poi c’era ancora dell’essere sparito nel nulla e non sapevano ancora cosa volesse da loro. Raggiunsero le rocce tra le quali avevano per la prima volta scorto la sua figura: non videro impronte. Nessuna traccia del suo passaggio né sul terreno ancora bagnato dalle recenti piogge né nell’erba.
Si guardarono attorno: un mare di pietra. Tutto ciò che al momento potevano vedere era una zona rocciosa non molto elevata completamente priva di vegetazione probabilmente a causa del forte vento gelido che sembrava non smettere mai di spirare. Solo l’erba, qualche cardo e il muschio che ricopriva le rocce parevano essere in grado di resistere.
- Laggiù – disse Farwell alzandosi sulla sella e indicando una figura che stava scomparendo lungo un sentiero che dirigeva direttamente verso un’altra altura dalle pendici completamente rocciose e ripide, la cui cima era coperta da una inspiegabile fitta coltre di nubi. E mentre lo stavano guardando questi sparì inghiottito dalla nebbia. Si diressero ai piedi della collina. Il passaggio era tra due pareti di roccia a strapiombo così stretto che era appena sufficiente a far passare un uomo.
- Andremo a piedi solo io e Damian – disse Elbereth.
- Potrebbe essere una trappola ordita da qualche demone per attirarci in un questi luoghi e per distrarci dalla nostra missione – disse il comandante Farwell - si racconta di luoghi in cui interi eserciti sono scomparsi nel nulla mentre si recavano sui campi di battaglia. Si erano smarriti nei labirinti di rocce e guglie accuminate. E non hanno mai più fatto ritorno. Si dice anche che le loro anime vaghino per le brughiere in cerca di pace e che attraggano a sé ogni viandante che incontrano…
- Va bene – rispose Elbereth – allora in caso ci smarriremo solamente in due.
Si voltò verso suo padre e gli disse – Se non saremo tornati per il tramonto non venite a cercarci. Proseguite aggirando la collina. Ci ritroveremo dall’altra parte…
Il vecchio re non disse nulla e si limitò ad annuire.
- Mia signora, vi fidate ad andare sola con lui? – chiese il generale Raupert indicando Damian.
- Gli affiderei la mia vita – fu la secca risposta di Elbereth. Poi prese una borraccia di acqua e guardando Damian gli disse:- Andiamo. Cerchiamo di capire chi è quella figura sfuggente e cosa vuole da noi.
E iniziarono la lenta ascesa mantenendo un passo deciso. Avrebbero seguito il sentiero che avevano visto percorrere da quell’uomo senza mai deviare. Elbereth sperava di trovare qualche traccia, un’impronta, un segno del suo passaggio per assicurarla che stavano procedendo nella giusta direzione, ma era come camminare in un deserto di lisce rocce di granito e nero basalto. A giudicare dal tempo percorso, il sole doveva essere giunto al suo culmine, ma in quello stretto budello di pietre non giungeva il minimo raggio a riscaldare e a dissolvere la foschia che diventava sempre più fitta man mano che procedevano. Il vento continuava a fischiare infilandosi negli stretti passaggi facendo loro sembrare che quelle rocce stessero parlando.
Si sedettero per un momento. Era passato poco tempo e qualcosa sembrava fosse diverso. Elbereth non riuscì all’inizio a capire di cosa si trattasse. Poi improvvisamente disse: - Senti?
- Cosa? – chiese Damian.
- Appunto…Nulla…
Il vento si era improvvisamente quietato. E il silenzio in quel posto era diventato incredibilmente assordante. Nessun rumore: nessun animale, né un frinire di grilli, né un battito d’ali nel cielo. Nemmeno la voce del vento che li aveva accompagnati fin’ora.
- Questo silenzio, tutto questo nulla è terribilmente opprimente – disse Elbereth sussurrando, quasi temendo di disturbare il sonno eterno dei morti.
- E’ il silenzio delle ombre. Il silenzio del nulla. Potente e magnifico. Seducente e terribile allo stesso tempo – rispose Damian rievocando in se stesso i ricordi dei suoi giorni di splendore al fianco del Principe delle Tenebre.
- E’ come se il vuoto stesse parlando; come se l’ignoto avesse voce – concluse Elbereth, guardandosi attorno cercando di cogliere il benché minimo segno di vita in quel luogo tanto desolato.
 
- Sai – continuò – mi è tornato alla mente un indovinello che mi faceva il mio tutore quando ero piccola:
I am better than God,
more evil than the Devil.
The poor people have me,
the rich people need me and
if you eat me you’ll die.
What am I?
- Appropriato… - commentò Damian.
- Riprendiamo. Voglio trovare al più presto quell’uomo. O andarmene da qui al più presto… - disse alzandosi Elbereth.
Il sole ormai doveva essere tramontato da qualche parte dato che intorno si era fatto tutto più scuro e freddo.
Erano consapevoli che il resto dell’esercito si sarebbe messo in cammino aggirando le alture come ordinato. Per loro quindi non c’era altra scelta se non di andare avanti, dovunque quella strada portasse.
- Non ci sono tracce del suo passaggio. Sembra tutto così uguale. Stiamo camminando ormai da tutto il giorno e non siamo arrivati a niente.
- Vi sono luoghi ingannevoli per la mente  – le rispose Damian – non li dobbiamo sottovalutare. Non dobbiamo sottovalutare il loro potere di influenzare la mente. Già su di te queste colline hanno iniziato a manifestare la loro potenza: ti stai arrendendo…
Ora il silenzio era diventato penetrante. Permeava l’aria. Si sentiva persino sotto la pelle. Si propagava come un fiume impetuoso. Incalzava gli animi; mai Elbereth avrebbero potuto pensare che il silenzio potesse essere tanto rumoroso e durare per così lungo tempo. La foschia era diventata ora una densa nebbia e una stanchezza improvvisa li colse consegnandoli all’oblio dei sensi.
Elbereth aprì di forza gli occhi e si trovò attorniata da ombre. Erano fredde, pesanti, taglienti. Erano ovunque. Cercò di muovere le braccia e le mani per tastare ciò che era attorno, ma non riusciva a muoversi. Girò la testa per quello tanto che poté: nulla. Solo un mare di nebbia attorno a lei. Non esisteva più nulla. Provò a parlare cercando di chiamare Damian, ma la sua bocca parve non uscire a modulare alcun suono. Era tutto ovattato avvolto da un silenzio spettrale come la densa foschia che si era raccolta attorno a lei. Provò di nuovo ad alzarsi in piedi, ma era come se quell’aria densa la volesse trattenere a terra. Freddi e taglienti legacci le avvolgevano mani e piedi. Più lottava contro di essi e più si stringevano e la ferivano. Stringhe evanescenti gelate che bruciavano più del fuoco che le penetravano nelle carni facendole sanguinare. Sentiva il sangue caldo grondarle dai polsi.
Doveva reagire. Non doveva permettere che il panico avesse la meglio. Cercava di pensare velocemente e intanto con lo sguardo vagava nell’oscurità alla ricerca di Damian o almeno di un segno della sua presenza.
Poi all’improvviso uno squarcio nel cielo e la rossa faccia della luna apparve come se fosse stata completamente intrisa di sangue. La stava guardando da lassù rivelandole tutto l’orrore che c’era intorno. Spettri. Poteva vedere solo spettri che prendevano forma da quella densa bruma. Spettri che le danzavano attorno tremolanti come fuochi fatui in un macabro balletto senza musica.
- L’inferno esiste! E presto lo vedrai e ne farai parte!
Queste improvvisamente le parole che le giunsero alle sue orecchie.
Tutto iniziò a girare vorticosamente. Le mancava l’aria: le veniva tolta da quelle figure che le erano sempre più vicine. I loro corpi inconsistenti si avvicinavano sempre di più. I loro volti si piegavano su di lei. Nella sua mente i loro occhi si confondevano con le stelle del cielo che ora brillavano nel cielo notturno. Tutto si stava mescolando: sogno o realtà?
- E’ questo dunque l’inferno? Un luogo di desolazione e silenzio popolato da ombre?
Era esausta. Il suoi abiti erano interamente intrisi di freddo sudore. Si stava abbandonando al sonno eterno.
Alzò per un’ultima volta gli occhi al cielo. Poi come un improvviso boato: - Elbereth! Svegliati!
La voce di Damian la richiamò dal mondo delle ombre riattraversando i confini del limbo aprì gli occhi e vide il volto illuminato dalla luce argentea della luna del demone che la stava accompagnando.
- Damian…
Era stremata, aveva il fiato corto, le mani le tremavano ancora.
- Che è successo?
- Un incubo – disse lei cercando di riordinare le idee – credo…spero…quanto tempo è passato?
- E’ solo il tramonto – le rispose Damian
A lei pareva fossero passati giorni interi.
- Dobbiamo continuare ad andare avanti – disse poi riprendendosi.
Allungò una mano per farsi aiutare a rialzarsi e ripresero a camminare cercando di mantenere la direzione stabilita.
 

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Capitolo 19
*** La Porta ***


Si trovarono nuovamente immersi nella coltre di nebbia densa e pesante. Respiravano quasi a fatica, come se ad ogni boccata più che aria nei loro polmoni entrasse acqua a soffocarli.
Erano circondati da un mare lattiginoso che impediva loro di vedere dove mettevano i piedi. Il terreno ed ogni cosa pareva avvolta da una lanugine biancastra che nascondeva ogni cosa ai loro occhi e rendeva il silenzio ancora più assordante.
- Pare perdersi nel nulla – sussurrò Elbereth. Non voleva parlare a voce alta: le sembrava che così facendo avrebbe disturbato il sonno della morte, e l’ultima cosa che voleva era il risveglio di quegli spettri.
C’era uno strano odore nell’aria, acre e pungente, che pareva arrivare da qualche parte davanti loro.
L’atmosfera onirica in cui si trovavano a camminare li rendeva nervosi. Tutto era innaturale: le piante che scorgevano man mano che avanzavano, le rocce di cui intravedevano le forme che costeggiavano quel sentiero invisibile. L’equilibrio surreale che li circondava pareva averli mandati in un luogo che oltrepassava la dimensione della realtà.
Procedettero nel loro cammino seguendo quel sentiero tortuoso fino a quando non giunsero in uno slargo delimitato sui lati da rupi imponenti mentre davanti a loro si erigeva una costruzione di pietra: due possenti colonne sovrastate da un architrave. Era segnata dal tempo e dalla natura; erosa e consumata si trovava davanti a loro e per andare oltre si doveva solo passare attraverso essa. Ai suoi lati due irreali fuochi azzurrognoli che pareva si autoalimentassero sbarravano il cammino. Accanto ad essi, due figure avvolte nei loro mantelli erano ferme a fissare quelle fiamme capricciose e bizzarre che danzavano illuminando i loro visi.
Riconobbero subito in uno di essi l’individuo che stavano inseguendo. Quando Damian si avvicinò loro, molto lentamente e senza mostrare alcun timore, questi si levarono in piedi, rivelando i loro corpi scheletrici. Lo stupore divenne ancora più grande quando scoprirono i loro volti: le pupille erano bianche, completamente opache eppure gli occhi si muovevano e li stavano osservando. I loro visi, privi di espressione, erano solcati da profonde rughe che facevano assomigliare la pelle alla corteccia di un vecchia quercia. Non si riusciva a dare loro un’età. Erano vecchi. Sicuramente molto vecchi, ma i loro corpi apparivano comunque agili.
- Chi siete? – chiese Elbereth
- Naturam expelles furca tamen usque recurret – disse uno di loro guardando Damian - Quis custodiet custodes?
Damian avvicinò il braccio al fuoco e così fece Elbereth.
- Ora mostrateci i vostri…
I due uomini che erano più simili a spettri che altro, si accostarono alla fiamma e dissero:
- Semel abbas semper abbas.
Sui polsi scarni e biancastri di entrambi diventò visibile lo stesso marchio che era impresso su quelli di Elbereth e Damian: portavano i simboli dei Sacerdoti, ma non ne avevano di certo l’aspetto. Parevano più simili ad esseri tornati dal mondo dei morti. O morti che non avevano mai lasciato il mondo dei vivi.
- Eri tu che ci spiavi dall’alto della collina? – esordì Elbereth – ci stavate seguendo? Che cosa volete da noi?
I due individui la guardarono, impassibili. Non le era chiaro se comprendessero la sua lingua.
- Mi capite? Capite le mie parole?
Ignorando le sue parole e annuirono in modo inquietante e spostarono gli occhi su Damian che con grande sorpresa di Elbereth disse:
- Fugit inreparabile tempus. Mors, principium et finis.
Di nuovo annuirono a queste parole.
Elbereth provò ad avvicinarsi oltre ai fuochi, ma non ci riuscì più di quanto già fatto. Non era quindi possibile aggirare quella costruzione.
Elbereth guardò la porta che aveva davanti: - Che cosa rappresenta?
- Abyssus abyssum invocat.
- Dove conduce?
- Est modus in rebus, sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum.
Queste furono le ultime parole che quelle due figure rivolsero loro. Poi svanirono. Solo i due fuochi rimasero accesi a guardia del passaggio. Quello che era certo è che se volevano procedere dovevano passare attraverso quella porta.
Rimasti soli, Elbereth e Damian esaminarono accuratamente la struttura da entrambe le parti: le colonne ai lati erano in una inusuale base triangolare e su ognuno dei tre lati erano incisi dei caratteri, in latino, in greco, e sul terzo vi erano quelle che dovevano essere parole scritte in caratteri a loro ignoti che dovevano appartenere a una lingua sconosciuta e forse nemmeno mai parlata dagli uomini. Malgrado tutto il resto fosse stato consumato dal tempo e dalle intemperie, quanto scritto era ancora parzialmente leggibile:
- Questo è latino e questo è greco. Riesco a decifrare alcune parole RESPICE FINEM…VETUETUR ILLI…OB[IS] Q[UI]S CONT[R]A NOS…TERRIBILIS EST LOCUS ISTE. Gli altri simboli invece sono in un idioma a me ignoto.
- Io li capisco, mia signora… – disse Damian con un tono di voce che esprimeva un certo timore – ma sono scritti in una lingua che non è bene pronunciare nel mondo dei vivi…
- Immagino che dica le stesse cose…
Elbereth abbassò gli occhi e sospirò scuotendo il capo. Ciò però che la rese più inquieta fu il fatto che quando provò a riattraversare la porta per tornare indietro non riuscì a farlo.
Provò ad avanzare a tentoni ma era come se un muro invisibile si fosse materializzato tra le due colonne impedendo loro di ripassare.
Elbereth si voltò verso Damian: - …è come se qualcuno non volesse farci lasciare questi luoghi e ci costringesse ad andare avanti… -  sussurrò.
– Qualcuno…o qualcosa – aggiunse Damian.
- Che cos’è questa porta? – chiese Elbereth passando lo sguardo sull’intera costruzione in pietra che le si trovava davanti e che ora era si rifiutava di farsi attraversare di nuovo.
- Che spiegazione vuoi?
- Una rassicurante…- rispose Elbereth voltandosi. Poi aggiunse: - Coraggio. Andiamo.
Proseguirono seguendo il sentiero e poco dopo si trovarono innanzi ad uno scenario terribile e raccapricciante. Tutto quello che la nebbia aveva dapprima nascosto alla vista ora era si era palesato e ciò che videro li lasciò ammutoliti. Uno spettacolo agghiacciante si era aperto davanti ai loro occhi: sparpagliati giacevano gli scheletri di uomini, animali. Alcuni stesi a terra, altri appoggiati alla parete della rupe come estremo ultimo gesto di rassegnazione.
Lo scenario era quasi irreale. Le armature ancora integre e intonse ricoprivano ormai solo le ossa biancastre. Parevano marionette alla fine dello spettacolo teatrale in attesa di essere riposte nelle loro scatole pronte per la rappresentazione successiva.
Ora che si erano abituati a guardare attraverso quella densa foschia, si accorsero che c’erano parecchie decine, se non centinaia, di corpi. Nulla però stava ad indicare che quelli fossero i resti di una battaglia. Non c’era alcuna traccia di violenza o di combattimenti, piuttosto tutto lasciava intendere che si fosse trattata di una lunga e lenta agonia. Le armature erano di diversa foggia e fattura come pure le insegne e le bardature delle bestie; appartenevano ad ere diverse, a popoli diversi venuti da paesi lontani a trovare qui infine una morte apparentemente senza gloria.
- Indietro non si può più tornare… - disse Elbereth più parlando a se stessa che altro - abbiamo raggiunto l’uomo che ci stava seguendo e non abbiamo ottenuto nulla: non sapevamo chi era e continuiamo ad ignorarlo. Adesso non ci resta che proseguire e raggiungere gli altri dall’altra parte.
Un vento gelido aveva ripreso a soffiare e si incanalava nello stretto budello che proseguiva davanti a loro.
Si incamminarono nel passaggio tra le rocce e vennero lentamente inghiottiti dalla nebbia che malgrado il vento persisteva densa e avvolgente. Ugualmente la mente di Elbereth venne inghiottita in una spirale di sogni, illusioni, visioni che lentamente prendevano corpo e sostanza davanti ai suoi occhi. Ora si sentiva come se fosse circondata da inquietanti presenze che le si muovevano tutto intorno con strani rumori e calpestii. Udiva voci risuonare nella sua testa sussurrandole parole di morte. Sentiva nuovamente come se centinaia di mani la ghermissero per trascinarla con loro negli abissi. Stava rivivendo lo stesso incubo che aveva sperimentato sulla Collina, prima di arrivare alla Porta.
Si ripeteva continuamente che erano solo fantasie, che nulla di tutto ciò era reale. Cercava di sforzarsi a guardare oltre, ma tutto ciò che riusciva ad intravedere era nuda roccia immersa in quella fitta nebbia. Poi tutto fu inghiottito dalle tenebre.
In un momento in cui riuscì ad essere presente a se stessa si chiese se anche Damian provasse le stesse sensazioni.
Continuò ad avanzare a tentoni tastando con le mani le lisce e fredde pareti di roccia; ogni passo era cautamente misurato: avrebbe potuto essere in ogni momento presente una voragine che non avrebbe mai potuto vedere. Camminava lentamente con sempre quei lamenti strazianti che le giungevano da ogni parte e con quella terribile voce che le risuonava nella testa.
Avrebbe voluto sentire il contatto rassicurante della mano di Damian, ma non riusciva a raggiungerlo e non si fidava a staccarsi dalla parete.
Non seppe dire quanto tempo fosse passato, trascorso fra nebbia e oscurità, ma improvvisamente le parve di vedere brillare una fioca luce da qualche parte davanti a lei. Accelerò il passo ma quando riuscì a raggiungere la fonte luminosa si accorse di essere nuovamente davanti alla porta e ai fuochi che continuavano ancora a bruciare.
- Non è possibile… - furono solo queste le parole che riuscì a pronunciare tanto era profondo lo sbigottimento e lo stupore.
Era incredula: era certa di aver percorso il sentiero in linea retta. Non c’era altra possibilità in mezzo a quelle rupi; eppure erano tornati al punto di partenza. Era come se avessero solo girato intorno.
- Deve essere quello che è successo a quei poveretti: hanno girato attorno fino a quando non si sono arresi e hanno atteso la morte…E’ questo dunque che ci aspetta anche a noi? O almeno a me, dato che tu invece sei un demone…vagheresti in eterno…credo…
- Vedi – disse Damian dopo una breve riflessione – è proprio perché io sono un demone che sarà la tua salvezza…
- Hai dunque una spiegazione per tutto ciò?
Damian continuò: - Questo posto governa i nostri pensieri e le nostre azioni attraverso i sensi. Noi vediamo quello che vogliamo vedere…
- Non sono sicura di voler vedere esattamente tutto questo…- disse allargando le braccia come a voler comprendere lo spazio attorno a lei.
- Ma la tua mente sì…ascoltami. Tu potrai anche essere un Sacerdote, ma resti comunque un essere umano con tutti i suoi limiti legati alle emozioni. Io posso andare oltre, e tu ti dovrai fidare ancora una volta di me. Dovrai camminare all’indietro. In questo modo la tua percezione del mondo esterno non dipenderà più dai tuoi occhi e per muoverti dovrai usare degli stimoli non visivi. Non ti dovrai mai voltare. Sentirai parole che non vorresti sentire, proverai sensazioni che non vorresti mai provare. Qualsiasi cosa tu veda, senta o percepisca: non voltarti fino a quando non te lo dirò io. Sarò io a guidare i tuoi passi.
Rimase a riflettere. Camminare alla cieca in un posto colmo di insidie fidandosi di un demone. Era questa l’unica alternativa che avevano per uscire da quell’incubo? Restare confinati per sempre in quel luogo e attendere la morte in un errare senza meta. Questa era la prospettiva.
Annuì: - Va bene. Cosa devo fare?
- Voltati e guarda solo nei miei occhi. Cerca… - si fermò fissandola – cerca di restare concentrata…
Elbereth girò le spalle al sentiero. Appoggiò una mano sulla parete di roccia per poter sentire un appiglio sicuro, poi prese fiato: - Va bene… - e alzò gli occhi ad incontrare quelli di Damian.
Si immersero nuovamente nella nebbia e nuovamente tornarono quelle voci cariche di angoscia e dolore. L’oscurità li stava avvolgendo in un crescendo di visioni e rumori. Elbereth ora intravedeva appena gli occhi luminosi del demone che brillavano come braci ardenti in quel buio opprimente ed erano in quel momento il suo unico sostegno.
Per un momento sorrise: attraversava un luogo infernale guidata da un essere infernale. Sinistre sensazioni crescevano intanto dentro di lei. Era come se le sue gambe venissero avvolte da gelide spire che risalivano l’intero corpo. Si sentiva toccare, sfiorare. Visi, occhi, esseri incorporei erano attorno a lei in un acheronteo e frenetico carosello. Poi alle sue spalle un improvviso scalpitio: il terreno aveva iniziato a tremare sotto un martellamento ritmico e sordo e più quel rumore di zoccoli si avvicinava, più sentiva il suolo rimbombare sotto i suoi piedi.
Damian si accorse che stava per cedere; allungò il passo e le mise una mano sulla spalla: - Non ti voltare. Continua a camminare. Svuota la mente.
E come era venuto, così se n’era anche andato.
Avanzarono ancora e di nuovo quelle voci. Dapprima sommesse per poi unirsi una all’altra fino a che centinaia di voci iniziarono a parlare all’unisono. Ad Elbereth pareva di impazzire. Si portò le mani alle orecchie come voler chiuderle fuori dalla sua testa che le bruciava per il dolore provato da tutto quel brusio che si era sollevato intorno a lei.
- Guarda solo i miei occhi e non pensare ad altro… - continuava a ripeterle Damian.
Questa volta la strada dovette prendere un altro aspetto. Elbereth lo intuì dall’espressione di Damian che fece, o almeno così le parve, un sospiro di sollievo. Attorno a lei sentiva che c’erano ancora gli scheletri di chi aveva provato e fallito nell’intento di lasciare le Colline del Silenzio, ma qualcosa era cambiato. Si accorse che ora si erano infilati in uno stretto passaggio che non avevano mai percorso prima e alla fine sbucarono su un terrazzo naturale che dava su una profonda vallata.
- Adesso viene la parte difficile…
- Perché? Fin’ora è stato facile?
La via adesso proseguiva in basso: una scalinata scolpita nella roccia scendeva lungo un baratro di cui non si riusciva a scorgere la fine.
- Scale…scale che scendono…– fu la sola breve descrizione di Damian.
- Ti suona forse famigliare? – commentò Elbereth.
- Non guardare giù. Continua a fissarmi. E adesso lentamente, un passo dopo l’altro, scendiamo.
Tutto era così irrazionale, così irragionevole: oscure forze erano al lavoro in quel luogo a mutare il corso del tempo e della realtà.
Pareva che stessero scendendo in un profondo cratere; per un attimo Damian ebbe la sensazione di tornare nel regno degli Inferi. Un vento gelido che saliva dal basso sferzava i loro corpi eppure man mano che scendevano l’aria si faceva più calda e pesante.
L’aspetto spettrale poi era amplificato dal fatto che tutte le rocce erano nere e lisce come fossero lava solidificata.
- Non è ancora finito, vero?
Damian si limitò a scuotere la testa: - Non pensare…
Elbereth vedeva solo qualche immagine che le appariva lateralmente, dato che continuava a camminare indietro fissando gli occhi di Damian. Avrebbe intensamente voluto vedere cosa la stava aspettando. Aveva iniziato ad abituarsi a percepire con i piedi il tipo di terreno, a sentire con la pelle delle braccia l’aria che le stava attorno. Stava camminando su qualcosa di soffice e nello stesso tempo fragile. I suoi piedi affondavano in uno strato di liquido che pareva acqua mista ad una miriade di frammenti bianchi che a prima vista potevano essere pezzi di ossa.
Tutto attorno era grigio e muto. Ciò che si sentiva adesso era uno sinistro gocciolio: la foschia si condensava sulle pareti e poi ricadeva su quel suolo dalla strana consistenza.
Era come fosse se il fiato della terra avesse ricoperto ogni cosa: gli alberi scheletrici che erano ancora lì a ricordo di una antica rigogliosa foresta, le rocce che circondavano il passaggio perfino il cielo stesso. Pareva che l’acqua sgorgasse da ogni dove cadendo con un ritmo diventato opprimente.
Ad un tratto l’attenzione di Damian fu rapita da due piccole figure che stavano andando loro incontro camminando a piedi nudi. Avevano entrambe il mento premuto sul petto e i lunghi capelli neri ondeggiavano al vento come i vessilli strappati di un veliero fantasma. Si tenevano per mano, procedendo lentamente. Gli parve che stessero recitando una filastrocca.
All’inizio le parole gli giunsero incomplete, smorzate dal suono dell’acqua. Poi si rese conto che era lo stesso gocciolare che dava il tempo alle strofe.
Humpty Dumpty sat on a wall
Humpty Dumpty had a great fall
all the king's horses and all the king's men

- Che succede? - chiese Elbereth vedendo com’era cambiata l’espressione sul viso del suo compagno di viaggio.
- Qualunque cosa tu senta ignorala. Concentrati sui tuoi passi. Uno dopo l’altro, uno dietro l’altro. E nient’altro.
Quelle figure continuavano ad avvicinarsi e le parole divenivano sempre più chiare e comprensibile. Poi si fermarono e dondolandosi sulle gambe sempre tenendosi per mano terminarono la filastrocca:

Couldn't put Humpty together again.
Alzarono i visi rivelando i loro volti e i loro occhi simili a carboni ardenti.
- Dammi la tua spada. Non muoverti e non voltarti per nessun motivo – disse improvvisamente con un tono che non ammetteva alcuna replica.
Si alzò di nuovo la nebbia a nascondere alla vista quei due esseri. Damian tuttavia non abbassò la guardia e continuò a guardarsi attorno cercando di scorgere ogni minimo movimento che gli indicasse dove fossero finiti, ma di loro non vi era alcuna traccia.
Poi improvvisamente riapparvero a pochi passi davanti a lui. Ora li poteva distinguere bene: parevano due bambine di otto o dieci anni. Indossavano entrambe un abitino di pizzo rosa con un nastro bianco legato in vita a formare un enorme fiocco. Stonavano così tanto con l’ambiente che la loro sola presenza aveva un che di malefico; ma ciò che le rendeva ancora più terrificanti era il modo in cui lo stavano fissando: avevano gli occhi grandi e luminosi e le bocche spalancate in un sorriso agghiacciante.
La più grande mostrò la mano che teneva celata dietro la schiena e mantenendo sempre quel ghigno agghiacciante gli si scagliò contro con un coltello a forma di uncino assestandogli una serie di potenti fendenti. Damian riuscì a schivarli e con un colpo preciso le tagliò la gola, staccandole di netto la testa. Poi si diresse verso la seconda creatura, che con immensa sorpresa di Damian reagì con una forza e una agilità impensabili facendo con un’accetta un ampio squarcio nel corpetto di cuoio del demone ferendolo ad un fianco. Con non poca fatica Damian riuscì ad abbattere anche questo secondo essere spaccandole il cuore in due.
Si guardò il taglio che si stava rimarginando velocemente.
- Il lato positivo di essere ciò che sono… - commentò allo sguardo di Elbereth.
- Cos’erano? – gli chiese. Non si era mai voltata, come le aveva chiesto di fare, ma aveva compreso benissimo cosa fosse successo alle sue spalle. Damian la guidò fino al primo corpo.
Si inginocchiò accanto: - E’ una bambina…solamente una bambina – disse alzando lo sguardo verso il demone.
- No, Elbereth. No…Non lo era più da molto tempo…
Le porse la spada: - Non dovremmo averne più bisogno…
- Un’affermazione o una speranza?
- Entrambe…
Ripresero il cammino proseguendo fino a quando non arrivarono alla fine del sentiero. Il paesaggio intorno stava mutando come pure  la consistenza del terreno su cui poggiavano i piedi.
Ora si era aperta davanti a loro una nuova vallata.
- Adesso puoi voltarti. Siamo usciti…
Potevano vedere distintamente un villaggio chiaramente abitato e mentre iniziarono a dirigersi verso poterono udire i rintocchi di una campana risuonare nell’aria.
 

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Capitolo 20
*** La città di White Rose ***


L’esercito intanto aveva attraversato la brughiera che si stendeva ai piedi delle Colline del Silenzio e gli esploratori che erano andati avanti avevano riportato la notizia di una cittadina non troppo distante.
- Sarà utile per approvvigionamento di cibo e acqua e per fare riposare un po’gli uomini e le bestie – disse il comandante Farwell rivolgendosi al re con un tono di speranza.
- Se è andato tutto bene forse dovremo trovare anche Lady Whytwornian e quel demone… - commentò Lord Hamilton.
Avevano appena così finito di parlare che dalle retrovie portarono loro due cavalli che li avevano raggiunti.
- Sono i cavalli di Elbereth e Damian…- mormorò il re con un filo di voce sentendosi come morire dentro.
- Forse li hanno dovuti lasciare indietro. Cerchiamo di non disperare, non ancora… - cercò di dare conforto Farwell.
Raggiunsero le porte della città e un piccolo drappello guidato dal re e con al seguito Lord Hamilton e il comandante Farwell e alcuni soldati di scorta entrarono nella città.
La visita del re era piuttosto inaspettata e l’intero villaggio entrò in subbuglio: - Il re? Qui? A White Rose? Come mai? Inaspettato…Non c’erano notizie di una sua venuta…
Subito furono raggiunti dal chierico Frudak Chorster che aveva assunto il ruolo di guida del villaggio: - Benvenuto sire. Non ci aspettavamo di certo una vostra visita. Vi prego di accettare la nostra umile ospitalità. Se avessimo saputo vi avremmo preparato un’adeguata accoglienza…
- Non sono in visita ufficiale o di piacere. Ci stiamo dirigendo verso il Monte Shadow. Abbiamo solo bisogno di un po’ di riposo, cibo ed acqua per noi e per i nostri cavalli.
A queste parole Frudak sbiancò in volto.
- Il Monte Shadow…
- Credo che i recenti avvenimenti siano noti anche a voi. Soprattutto a voi…dato che vivete in una regione così prossima all’Abbazia…
- Ehm… ma certo…sì, certamente. Sono tempi bui… - balbettò - ma prego, siete miei ospiti. Il vostro esercito potrà accamparsi nei pressi della città e farò in modo che abbia cibo ed acqua.
- Ve ne siamo grati – rispose semplicemente il re.
- Sire… - disse inchinandosi – vostro servitore…
- Strano personaggio…non mi ispira molta fiducia – commentò William appena Chorster se ne andò per organizzare un’adeguata accoglienza.
- Vedremo – fu la laconica risposta del re - Cosa sapete di questa cittadina?
- Molto poco, mio signore – rispose Lord Hamilton alzando leggermente le spalle.
- Chiederemo dettagli al nostro ospite…
La sera fu allestita una cena per il re e gli ufficiali, mentre le donne del villaggio portarono alcuni viveri ai soldati accampati appena fuori le porte.
- Che mi dite di questa città? – chiese il re al chierico – siete così lontani dalla capitale e così vicini a terre pericolose…
Frudak si inorgoglì di questa domanda: poteva dare evidenza di quanto facevano per il re e il regno.
- Questa è una piccola cittadina, ai confini delle terre maledette. Ci troviamo nella vallata alle spalle delle Colline del Silenzio, e per questo tutte le abitazioni sono state costruite per poter essere l’ultimo baluardo se dovessero essere prese le mura.
Tutta la città è stata costruita per poter organizzare trappole agli eventuali invasori; per questo è un dedalo intricato di viuzze, stradine, vicoli ciechi, strettoie…Vi sono botole che si aprono su voragini, chiuse che bloccano gli accessi ai vari livelli.
Ogni livello è organizzato per poter resistere ad un assedio con la possibilità di garantire adeguati rifornimenti di cibo ed acqua. Quindi tutto è pensato e progettato per svolgere una funzione difensiva. Come avete potuto vedere non abbiamo lasciato posto per le cose futili. E soprattutto abbiamo organizzato ogni cosa per poter anche affrontare e gestire prigionieri particolari: ci sono demoni travestiti da angeli che vagano nelle nostre terre... Non tutti sono preparati per un simile accadimento.
Al centro della città poi sorge la Torre del Giudizio costruita per contenere coloro che si fossero piegati a servire il male. E per poterli giudicare e condannare come meritano.
- Sono veramente impressionato – commentò il re – e da chi è rivestito il ruolo di giudice?
- Noi siamo certi che ogni uomo è stato chiamato a servire il bene. Per questo tutti gli abitanti di White Rose sono stati consacrati al sacerdozio. Ovviamente i dogmi e i principi dell’impero…e di sua maestà…sono mantenuti saldi e intatti.
Poi la scelta della guida spirituale della popolazione ed insieme rettore della città ricade su colui che è dotato di forte personalità, di ferrea volontà. Su chi possiede un carisma personale adeguato per condurre e mantenere sulla retta via anche quelli che potrebbero allontanarsi perché la loro mente è fragile e corruttibile.
- Immagino… - commentò Lord Hamilton ricevendo una feroce occhiata dal re.
- Sire…il conte Fuinur diceva esattamente le stesse cose...
Il re si limitò ad annuire e ad alzare una mano per farlo smettere.
- Prego…continuate… . disse poi rivolgendosi a Frudack.
- Grazie, mio sire… Questo ha consentito un avvicinarsi libero alle sacre scritture. Tutti possono accedere e leggere i testi sacri. In questo modo a tutti è chiaro il concetto per cui si è salvi dal peccato se si segue il disegno che porta alla redenzione. Così infatti sta scritto: “Le mie azioni, i tuoi occhi le vedevano, erano iscritte tutte nel tuo libro; i miei giorni, scritti e definiti prima che uno solo di essi sorgesse”
“E gli abitanti della terra, il cui nome non fu scritto nel libro della vita fin dall'origine del mondo, si meraviglieranno allo spettacolo della Bestia”. Chiunque segua il disegno sarà salvo, chi invece ne contravverrà diverrà servo del male e come tale sarà condannato.
Ovviamente il tutto viene fatto nel pieno rispetto delle leggi di Vostra Maestà…
- Ovviamente…
La cena giunse al suo termine e prima di congedarsi il re si rivolse nuovamente al chierico: - Volevo chiedervi anche altre informazioni. Due nostri cavalieri hanno preso un’altra strada per inseguire qualcuno che ci stava spiando. I loro cavalli ci hanno raggiunto stamane…sono giunti per caso presso di voi?
- No. Nessun straniero, da molto, moltissimo tempo…
- Resteremo qui due giorni. Se non avremo notizie, proseguiremo. Se aveste loro notizie, vi pregherei di farcele avere immediatamente. Uno di loro è mia figlia…
- Sire…Comprendo la vostra inquietudine. Allerterò le guardie in modo che se li avvistassimo vi informeremo immediatamente. Se volete seguirmi, vi ho fatto preparare delle stanze.
- No. Dormiremo con i nostri soldati…
Lasciarono la città non senza pessimi presentimenti. Era chiaro che il fatto che Damian li stesse accompagnando era in qualche modo conosciuto. Chi e perché lo avesse reso noto restava da chiarire.
Altri intanto stavano arrivando in vista delle porte di White Rose.
La distanza che li separava dalla cittadina che avevano visto parve loro infinita, ma finalmente il sentiero intrapreso li portò all’imbocco del ponte che attraversava il fiume e alla fine finalmente le mura di pietra e il possente portone. Notarono che era stato rinforzato.
- Non li biasimo – disse Elbereth – visto quello che abbiamo incontrato noi…
- Chi va là? – chiese una voce da dietro una grata.
- Veniamo in pace. Chiediamo solo asilo per una notte…- rispose Elbereth.
Attesero pochi minuti e poi il portone si aprì. Frudack, che aveva chiesto alle guardie di essere avvertito immediatamente appena si fosse presentato qualcuno in vista, li accolse:
- Benvenuti nella nostra città…Sono stato già informato della vostra possibile venuta. Vostro padre, il re, è giunto proprio ieri ed è accampato oltre le mura settentrionali con l’esercito. Ha insistito per restare con i suoi uomini… - aggiunse poi a giustificare il fatto che non fosse alloggiato in città.
- Prego - Frudack indicò loro il cammino – seguitemi.
- Vorrei raggiungere il re, se non vi dispiace e declinare la vostra cortese offerta di ospitalità – disse Elbereth.
- Insisto…la sera non è saggio percorrere le strade anche in una cittadina così ben protetta. Le ombre…Vorrei che raggiungessimo al più presto la parte centrale che è consacrata. Saremo così in un luogo protetto. Questo buio inquieta gli animi della gente. Domani all’alba potrete uscire. Le porte la notte vengono sbarrate.
A malincuore seguirono le indicazioni del chierico e si incamminarono in una strada abbastanza larga da permettere loro di camminare tutti appaiati. Quella doveva essere la via principale mentre tra le case di pietra si notavano strette e buie viuzze in cui a malapena poteva passare una persona a piedi.
- Mia signora – sussurrò Damian – non so fino a dove potrò seguirvi…e questo potrebbe causare molte domande e molti problemi…
- Lo so…sto pensando come fare…Intanto andiamo avanti…
Superata quindi l’indecisione iniziale, scivolarono lentamente addentrandosi nella città, mentre l’oscurità si faceva progressivamente più intensa, tanto che le torce portate dalle guardie vennero inghiottite in un buio diventato vivo.
I tetti, le grondaie, la strada stessa stavano assumendo incredibili e bizzarre forme, mentre le strida degli uccelli notturni e il volo dei pipistrelli che iniziavano ad uscire dai loro nascondigli per la consueta caccia notturna contribuivano a conferire al tutto un aspetto sinistro e inquietante.
Poi tutto cadde in un improvviso silenzio. Ogni essere vivente che popolava il cielo sparì lasciando un lugubre vuoto.
E subito il vuoto venne riempito da sinistri lamenti, sospiri che provenivano dalle loro spalle, poi da davanti, dai lati, persino da sotto i loro piedi.
Respiri corti e affannosi tutto intorno a loro che si avvicinavano sempre di più.
Si sforzavano a guardare attraverso le tenebre, ma nulla giungeva ai loro occhi.
- Cosa sono questi rumori? – chiese Elbereth
- Le anime dei dannati escono dai loro nascondigli nelle ombre, quando sentono che si avvicina un loro simile…- commentò Frudack che si fermò di colpo puntando contro di loro un dito tremante. Improvvisamente esplose con voce delirante carica di ira: - Uno di voi due è un servitore del male, un figlio di Satana…chi di voi due? Rispondete! Chi di voi due?!
Quelle urla avevano richiamato l’attenzione della popolazione che uscì dalle caso portando armi improvvisate.
- Vogliamo solo attraversare la città per raggiungere l’esercito che ci sta aspettando per proseguire. Chiediamo solo un paio di cavalcature per andare più spediti. Sarete ben ricompensati – disse Elbereth vedendosi attorniata da una folla inferocita.
- Non vi daremo niente…ora consegnatemi le vostre armi… - disse Frudack allungando una mano.
- Va bene…cerchiamo di stare calmi... - rispose Elbereth e consegnò la sua spada – lui non ne porta…
Una strana luce si diffuse attorno a loro rilevando nuovamente i contorni delle case e tingendo il cielo e la terra di un verde brillante. Pareva che una immensa e inaspettata aurora si fosse impadronita della città. Bande luminose rosse, verdi, azzurre di un'ampia gamma di forme e colori che mutavano rapidamente nel tempo e nello spazio si muovevano sopra di loro.
E occhi che brillavano con uguale intensità li osservavano in silenzio: il buio più buio ora era come illuminato da milioni di stelle e nel silenzio più ovattato si infrangevano in una danza di luci fluorescenti e un concerto di suoni striduli che provenivano direttamente dallo spazio. Un brivido, non solo di freddo, corse lungo la schiena di Elbereth.
- Temo sia qualcosa di molto diverso, mia signora – sussurrò Damian – non è ciò che credono…
- Lo vedremo presto…
- Li avete portati qui voi…ed ora dovrete pagare per questo! Dovrete essere portati nella Torre del Giudizio e purificati nel tempio! – sbraitava un Frudack completamente fuori di senno.
Elbereth sentiva i loro bisbigli: era come se le stessero penetrando nella pelle.
- Aspettate! Aspettate! – urlò – che cosa sono? – disse liberandosi con uno strattone dalla presa di una delle guardie.
- Sono i demoni che avete portato con voi! – disse con forza Frudack.
- No – disse Damian – sono i demoni che avete creato voi!
A quelle parole tutte quelle luci danzanti che li avevano accerchiati smisero di muoversi ed iniziarono ad espandersi. Si stavano fondendo una all’altra accrescendo sempre di più in dimensioni e lucentezza.
La luce che emanavano era diventata così forte che i presenti furono costretti a chiudere gli occhi davanti a tanto fulgore.
Quando si abituarono, ciò che videro davanti li lasciò completamente attoniti. Una creatura completamente avvolta da fiamme e fuoco si trovava ora davanti a loro.
- Da quale inferno è giunta? – si chiese Elbereth.
Ma lo sguardo che vide negli abitanti del villaggio le fece capire che c’era ben altro.
- Cosa sei? – chiese.
Elbereth notò qualcosa che la lasciò sbigottita: era come se dentro quell’unica immensa fiamma ci fossero decine e decine di corpi che si contorcevano in spasmi di dolore e angoscia. Poteva vedere i visi deformati dalla rabbia, le bocche aperte in orride smorfie.
- Cosa sei? – chiese nuovamente.
- Il loro padrone… - disse Damian – il padrone di questi esseri condannati per l’eternità…
Elbereth avrebbe voluto chiedere a Damian maggiori spiegazioni, ma non ne ebbe il tempo; tutti gli abitanti a quella vista cercarono di filarsela via urlando, correndo verso il tempio. Un attimo di indecisione fu invece fatale al rettore: Frudack si trovò ad essere trascinato a terra. Quella creatura degli Orridi lo aveva raggiunto e con una delle sue propaggini fiammeggianti gli aveva afferrato le gambe. Cercando di vincere la paura e l'istinto di fuggire, alcuni uomini tentarono di afferrarlo per le braccia nell’ultimo inutile tentativo di strapparlo a quell’essere. Alcuni provarono a sbandierare delle torce nella speranza che questo lo facesse indietreggiare per poter cercare di salvare il chierico. Ma ogni sforzo fu invano.
Allora Damian si avvicinò e iniziò a rivolgersi a quell’essere in una lingua che per il suo stridio lacerante obbligò tutti i presenti a tapparsi le orecchie per non udirla, tanto era l’orrore che scaturiva dal suono di quelle parole. Gli parlava lentamente con voce molto bassa ad aspra ed egli si placò e lasciando la sua presa se ne andò abbandonando sul terreno in una posizione innaturale e sgraziata il corpo informe di Frudack.
Ora gli occhi terrorizzati della gente del villaggio si erano spostati su di lui: quell’idioma…quei suoni…
Per qualche interminabile minuto ora si stavano guardando nell’incertezza se aver timore del ritorno di quel mostro o se temere di più quegli stranieri che avevano di fronte. La stanchezza cominciava a farsi sentire. La tensione accumulata si stava esaurendo e stava lasciando il posto ad un senso di spossatezza e di affanno.
- Vogliamo solo proseguire il nostro viaggio. Nulla di più…
- No. Aspetteremo che passi la notte. Domani mattina decideremo della vostra sorte – disse il fabbro del villaggio, Horgeon Whaldahar che aveva deciso di assumere il ruolo di nuovo rettore visto come era ridotto il chierico - trascorrerete la notte in quel fienile. Provate solo a fuggire e avrete così deciso il vostro destino…
Li seguirono senza ulteriori discussioni verso una vecchia costruzione mezza diroccata. I muri erano scalcinati e quando entrarono videro che parte del tetto era crollato.
- Speriamo almeno che non piova... Almeno lasciateci qualcosa da bere e da mangiare – chiese Elbereth.
Portarono loro del pane raffermo, carne secca e dell’acqua.
- Spero che quelle anime trovino pace al più presto – disse Damian.
- Anime? - chiese Elbereth strappando un pezzo di carne con i denti.
- Non volevi chiedermi di quell’essere? All’inizio nemmeno io ero riuscito a capire cosa fosse e da dove venisse, ma l’unica cosa che mi era chiara era che non si trattava di demoni. Poi ho capito: erano anime in cerca di una giusta vendetta. Avevano subito un’iniqua condanna da parte di questi abitanti e avrebbero vagato nella terra di nessuno fino a quando non fosse stato reso loro ciò che meritavano: giustizia e il riposo eterno.
Elbereth si alzò da terra e si avvicinò alla finestra dove stava appoggiato Damian. La luna stava per sorgere luminosa, alta nel cielo stellato.
- Che cosa hai detto a quella cosa? – chiese improvvisamente a Damian.
- Lo vuoi proprio sapere?
Rimasero in silenzio per qualche minuto osservando le case che si affacciavano su quella piazza dove sorgeva il fienile e la torre.
Un pianto di un bambino fece accendere un lume dentro una casa. Poterono udire il bisbiglio della madre che cercava di tranquillizzarlo con una ninna nanna. Poi di nuovo il buio.
- Si. Lo voglio sapere…
- Gli ho detto che entro l’alba avrebbero avuto quello che stavano cercando: l’anima corrotta che le aveva tradite…
Elbereth tornò a sedersi dietro le assi dove aveva trovato riparo e cercò di dormire. Poi, fu quando giunse il bagliore del sole che stava sorgendo che di nuovo l’attenzione di Elbereth venne attirata da un guizzo che proveniva dalle montagne. Non seppe mai dire cosa vide o cosa credette di vedere. Notò solo il cenno del capo che fece Damian: - Sic est…
Alle prime luci dell’alba gli abitanti del villaggio si presentarono alla porta del fienile e prelevarono Elbereth e Damian portandoli all’interno della torre.
Ora poterono finalmente vedere alla luce del sole la piazza principale e il tempio che si affacciava su di essa.
Poi la torre. Un edificio di forma rotonda con pesanti sbarre alle finestre e alto almeno una trentina di piedi. Sovrastava tutte le abitazioni e il suo aspetto imponente incuteva rispetto. Doveva rappresentare l’integrità della giustizia e quindi doveva emanare questi sentimenti.
Entrarono direttamente nella sala principale. Era una stanza imponente. Il suo scopo era di intimorire chiunque ci mettesse piede. Una serie di finestre quadrate protette da pesanti grate forniva la debole illuminazione interna che era quindi supportata da torce ardenti appese ai muri. Lungo le pareti correvano delle semplici panche in legno dove potevano trovare posto i membri del consiglio del villaggio.
Lo scranno del rettore invece si trovava al centro della sala posto su un piedistallo.
Non vi era alcuna decorazione, ma tutto era severo e austero.
Li spinsero in malo modo li fermarono di fronte al pulpito.
- Restate fermi qui!
Dopo poco entrò un uomo scortato da quattro persone. Andarono direttamente in fondo alla stanza dove si trovavano dei ganci sui quali erano appese delle mantelle scure. Ognuno ne indossò una e si tirò il cappuccio sul viso in modo da celare il volto. Anche l’uomo che pareva fosse il loro capo ne indossò una che differiva dalle altre perché era rifinita con una bordura rossa.
Si misero in cerchio e borbottarono qualcosa a bassa voce. Poi il gruppetto tornò al centro della sala e l’uomo con la veste bordata si sedette sul seggio.
- Io Horgeon Whaldahar dichiaro di possedere la volontà e la capacità di asservire il bene comune.
- Che fine ha fatto Frudack? – chiese Elbereth
- E’ morto – le disse Damian – questa notte ha raggiunto i suoi simili…ed ora quelle anime avranno finalmente pace…
- Taci demone! – gli intimò Horgeon.
Proprio quando il nuovo chierico si accingeva ad iniziare la sua requisitoria dall’esterno della Torre giunsero voci e rumori di zoccoli.
La guardia che era stata messa alla porta d'accesso alla torre avvertì che era in arrivo il drappello dell’esercito del re: prima di partire erano venuti a prendere i viveri che erano stati loro promessi.
Gli abitanti uscirono dalla Torre con aria feroce mentre le guardie si disposero davanti l’ingresso con le armi in pugno. Ci fu un lungo silenzio pesante e carico di tensione.
Il re intervenne: - cosa sta succedendo? Perché quest’accoglienza? Avete dimenticato chi sono? Deponete subito le armi!
In quel momento uscì il rettore: - Sire. E’ in corso un processo che avrà corso secondo le nostre leggi. Sono sospettati di essere servitori del male. Uno di loro conosce la lingua degli inferi: si è palesato davanti a molti testimoni. Non serve la sua confessione.
- E chi state processando?
Fecero uscire Elbereth e Damian.
Scese sbigottito da cavallo.
- Quella è mia figlia! Che significa questo?
- Padre…a quanto pare abbiamo incontrato delle difficoltà…- disse semplicemente Elbereth mantenendo un tono di totale calma.
- Uno di loro è servo del demonio! Secondo le nostre leggi deve essere giudicato e condannato! – urlò il rettore - dobbiamo scacciare le anime dei morti che sono state richiamate dalla sua presenza.
Anche la popolazione iniziò ad accusarli di essere servitori delle ombre e iniziarono a salmodiare vecchie formule che ritenevano fossero in grado di allontanare ogni tipo di demone.
Damian scosse la testa: - Cosa credono di fare?
Ci volle tutta la diplomazia di cui erano capaci per cercare di restare calmi e tentare di convincerli dell’errore in cui erano caduti.
Ma io rettore continuava a farneticare sulla porta della Torre.
Arrivò persino a chiedere al re di dimostrare la sua buona fede accettando di essere lui stesso a sacrificare Elbereth e Damian in modo che il loro sangue fosse testimone di quanto affermavano.
- Tu…sei…completamente pazzo!
Alla replica del re il rettore venne colto dalla follia:
- Dobbiamo…purificare…nuovamente…la nostra città! - urlò Horgeon con voce invasata – Indietro! Indietro Demoni! L’Orrido vi attende! Tornate negli Abissi che vi hanno scaturito! Dannati voi in eterno e il vostro signore! Non varcherete questa soglia!
- Ma chi ti credi di essere? Da quale incubo sei stato generato? - urlò ad un certo punto il re.
Ma quello imperterrito continuava: - Recitano le sacre scritture: siate dunque ben fermi nei vostri intenti, cinti i fianchi con la verità, rivestiti della corazza della giustizia, tenete dunque in mano lo scudo della fede, con il quale potete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno! Voi! Voi sperate di ottenere qualche beneficio terreno. Credete di essere difesi dal male! Ma è tutto una menzogna! Una falsità! Bugie! Atte per corrompere gli animi più deboli! Queste false profferte di aiuto generano legami con le potenze demoniache e inducono a comportamenti immorali e perversi.
Così Horgeon predicava dall’alto del pulpito.
- Preghiamo tutti insieme. Profondi sono i misteri che ci circondano…Mantenete viva la speranza perché la morte della vita non è altro che iniquità e dolore…
- Glielo faccio sentire io il dolore! Sono secoli che sono isolati dal resto del mondo e vivono all’ombra di Shadow. Sono stati governati fin’ora da pazzi fanatici…e chissà a quali altre stregonerie hanno dovuto assistere...-  bisbigliò Lord Hamilton.
- Dobbiamo mettere fine a questa follia! – disse il re sguainando la spada.
Subito fu seguito dai suoi ufficiali che si fecero largo tra la folla incredula.
- No padre! Aspetta! – intervenne Elbereth posando una mano sul suo braccio – C’è tempo…C’è tempo per versare altro sangue. E in questo posto di innocente ne è stato già versato fin troppo …
Il rettore che era caduto indietreggiando di fronte alla furia del re si rivolse ad Elbereth: - Cosa c’è tra voi e quell’essere infernale? Cosa vi lega a quel demone?
 

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Capitolo 21
*** La furia di Lilith ***


Damian rimase fuori ad aspettare. Il tempio gli era precluso; quindi si sedette all’esterno dell’area consacrata.
Pensava. Pensava a come gli eventi avevano cambiato quella gente da persone devote e pie ad assassini. Pensava. Pensava alla sua identità. Non sapeva più cos’era. Era cambiato ma non sapeva che cosa stava diventando. Restava una parte oscura in lui, e malvagia. Sì. Cercava di nasconderla, ma non poteva rinnegare ciò che era, non poteva rinnegare la sua natura. Il demone che era in lui lo guidava dentro, ed era maligno. Gli brillarono gli occhi. Sentiva la sua forza imprigionata, ma viva. Se solo avesse potuto lasciarla fluire. Sentiva il suo potere immenso e terribile. Poteva sentire il fremito della bestia che era in lui incatenata. Dominata da un giuramento che non poteva infrangere, ma non poteva essere annullata: era tutto ciò che aveva, era tutto ciò che era.
Aveva iniziato ad odiare la maschera che era costretto a portare: molti ne indossano una per non mostrare la loro debolezza. Lui invece la doveva portare per non mostrare la sua potenza.
E se mai fosse scivolata via, allora tutti quelli che avrebbero visto il suo potere sarebbero caduti terrorizzati a terra. Forse avrebbe potuto sentire il dolore che avrebbero provato davanti a lui, avrebbe potuto vedere i loro corpi contorcersi nella sofferenza delle pene inflitte negli Inferi nel giorno del Giudizio. Ma lui non avrebbe provato niente. Avrebbe guardato. Guardato e basta.
Succede. Succede quando ti interessi all’Abisso e l’Abisso risponde. Cade il velo sottile che divide l’Anima dall’Ombra e ti perdi inghiottito dal gorgo dell’angoscia e disperazione che ti assalgono quando ti rendi conto che ormai è troppo tardi. L’Abisso ti ha visto e riconosciuto per quello che sei ed ora sei diventato suo. E tu allora nascondi la tua Anima, la seppellisci così tanto in profondità da dimenticarti di averla.
Damian si chiedeva se da qualche parte la sua Anima reclamava il suo diritto di esistere. Più si avvicinavano al Monte Shadow e più la sua natura di demone prevaleva: la verità era appena sotto la superficie.
Nella notte dei tempi aveva fatto una scelta; il cammino pareva dritto senza ostacoli: la scelta migliore. Un cammino chiaro tracciato davanti ai suoi piedi. Ma poi si era rivelato un sentiero irto pieno di svolte e di bivi. E ad ogni bivio la sua scelta lo portava sempre più giù nel baratro in fondo all’orrido. E le sue scelte definivano ogni volta chi era e che cosa aveva deciso di diventare.
Guardò verso la porta del tempio che proteggeva le persone normali dai mostri come lui. C’è sempre bisogno di un mostro. Agli esseri umani serve un mostro con cui confrontarsi per assicurarsi di non essere loro stessi mostri. Ed ogni volta ne scelgono uno peggiore e così prolungano e prolungano ancora la via verso la dannazione. Prolungano la loro non umanità.
E il mostro venne identificato.
- Io dico che la nostra salvezza è messa alla prova! – rincalzò il rettore - Avete visto tutti cosa ha fatto. Ha affrontato la bestia senza timore! Perché lui è un demone! Questa è l’occasione che ci viene offerta per redimerci tutti! E’ una bestia. E come tale va trattata! Giammai gli uomini siano domati e addomesticati dagli animali!
- Sarà… Ma ho conosciuto uomini che erano molto più bestie di certi animali. E la prova è qui. In questo villaggio. Ti ripeto rettore: lasciateci andare. E’ l’ultima volta che lo chiedo.
Un pesante silenzio cadde sull’intera assemblea. Elbereth era piena di rabbia. Non riusciva a dimenticare quello che aveva incontrato in quel villaggio. Tuttavia si rendeva anche conto che quelle persone erano state per anni manipolate da menti potenti.
- Io credo che all’inizio le vostre intenzioni erano buone. Eravate governati da persone devote e pie, ma poi le cose mutarono. … Correggetemi se sbaglio… Qualcuno iniziò a predicare contro tutto ciò che avevate ritenuto giusto fin’ora e si eresse a vostra guida, secondo le vostre usanze.
A quelle parole molti iniziarono ad annuire, dapprima con timore, poi sempre più decisi.
- Sì… è vero…è proprio quello che è successo… - si sentiva mormorare da ogni parte.
Qualcuno prese coraggio ed iniziò a raccontare come erano mutate le cose nel villaggio dopo che un misterioso visitatore era giunto per insegnare a loro la conoscenza. Le persone stesse avevano iniziato a dimenticare la retta via e seguire quello che veniva loro impartito come unica e vera verità. Per primo il rettore, dopo essersi recato più volte sulle colline del Silenzio davanti al portale, era tornato con le nuove discipline e regole di vita. Erano stati abbandonati al loro destino, la loro mente avvelenata con le promesse di salvezza e vita eterna, mentre erano invece preda delle passioni e delle bramosie. Erano tutti colpevoli e per questo dovevano pagare. Alcuni degli abitanti avevano compreso quanto stava accadendo e si unirono per combattere questa nuova blasfemia, ma la maggior parte li considerò eretici e li scacciò.
Si erano rifugiati sulle montagne, ma, sempre su indicazione del rettore, per far sì che i loro peccati venissero espiati, dovevano trovarli e sacrificarli. Solo così sarebbero stati liberi. Iniziò così una caccia senza tregua alla ricerca di quei poveretti che venivano uccisi senza distinzione. Poi successe qualcosa di diverso: i racconti iniziarono a diventare molto più simili a storie di spettri e fantasmi. Misteriose e immonde creature avevano iniziato a scendere a valle, nel villaggio. Nessuno era in grado di tenerle lontane. Riuscivano ad attraversare anche i luoghi consacrati senza timore e gli abitanti avevano iniziato a sparire. A nulla servivano riti e pratiche religiose. Sparivano e basta.
Fu così che iniziarono a fortificare le case e non uscire più di sera. Erano perseguitati da tutti quei morti. Morti voluti dal chierico che tornavano a tormentarli chiedendo giustizia.
- E adesso giustizia l’hanno avuta – disse Elbereth – e se non vuoi seguire il tuo pari ti conviene farti da parte – continuò poi rivolgendosi al rettore.
Il rettore voleva convincere la gente del villaggio che uccidere Damian sarebbe stato l’unico modo per porre fine alle loro disgrazie. Sacrificare un demone sarebbe stato l’atto conclusivo per ottenere la pace.
Tutto il suo fervore era utilizzato per riprendere il comando di quella gente e convincerla dell’atto da compiere. La sua mente ormai era tutt’uno con l’Abisso e le Ombre ne avevano il completo possesso.
Damian percepiva tutto questo, ma non poteva entrare ad avvertire del pericolo incombente che sarebbe giunto attraverso il più innocente.
Gli si avvicinò una bambina che gli disse: - Mamma dice che sei il diavolo. E’ vero?
Lui la guardò sorridendo: - Non proprio. Io sono un angelo caduto. Lucifero è, no meglio, era il mio padrone e signore.
- E adesso non lo è più?
- In parte
- Ma tu allora sei cattivo?
Voleva risponderle che dentro di lui c’erano mille e mille voci che bisbigliavano, mormoravano e gli ricordavano in ogni giorno della sua eterna esistenza tutto quello che era. Che lottava per dominare quel desiderio, quella fame che bruciava dentro. Quel desiderio di nutrirsi delle anime dei mortali per placare la sua sete. Voleva risponderle che quelle voci ora gli stavano urlando di prendere la sua. Era lì. Indifesa. Un’anima candida e innocente. Voleva risponderle che l’unica voce che ora sentiva era quella che gli diceva di rispondere al richiamo della sua stirpe. Le apparteneva. Apparteneva a loro. Alle Ombre.
Invece sorrise. Sorrise amaramente.
- Buono e cattivo, bene e male a volte è solo un punto di vista. Chi può sinceramente dire di essere al di sopra del bene e del male? Più forte è la luce, più intensa sarà l’ombra…
La bambina spalancò gli occhi piuttosto confusa. Poi sorridendo: - Sai, non credo che tu sia cattivo.
- Perché?
- Per i tuoi occhi. Mamma dice che sono lo specchio dell’anima. Mi racconti la tua storia?
Damian guardò il viso di quella bambina che gli stava sorridendo con un’innocenza disarmante. Non aveva paura. Non lo temeva. Semplicemente gli aveva chiesto di lui con la semplicità tipica della sua età.
Gli eventi a White Rose non erano però rimasti ignorati.
Lilith aveva percepito che i suoi servi erano stati scoperti e che Frudack era morto. Ma il lavoro dei demoni della Sedizione era appena iniziato: - Il destino sta cambiando…avverto l’odio che cresce in quel tempio…
Chiamò Alastor. Non voleva affidare agli umani un compito così delicato. Certo, se ne sarebbe servita ancora, ma non adesso. Non per quello.
- Dobbiamo intervenire. L’incubo sta iniziando. Una legione di demoni si farà strada verso White Rose. I Demoni Corruttori sono stati quasi sopraffatti. Il Dominatore è in difficoltà. La mia Legione andrà incontro ai Seguaci per aiutarli ad adempiere ai loro compiti.
Poi aprendo le braccia e chiudendo gli occhi:
- Prendo possesso della terra, delle sue fondamenta e del fuoco e dell’aria. Prendo possesso delle profondità, delle sue colonne e dell’oscurità.
La furia di Lilith si scatenò.
A quelle parole un turbine di vento e fiamme si alzò e attraversò monti e valli, guadò fiumi. Nulla lo poteva trattenere.
Davanti a lui gli uomini si sarebbero chiusi nei templi ad implorare perdono, gli animali fuggiti in preda al terrore, le rocce si sarebbero spostate per non ostacolare il suo passaggio e le acque avrebbero dischiuso i segreti celati sul fondo dei mari.
Il suo era un cammino senza tregua. Era come se avesse un corpo e un’intelligenza propria che lo guidava verso la sua ultima destinazione. Un corpo e un’intelligenza che nessun umano poteva comprendere e che era rimasta a lungo sopita e dormiente lungi dall’essere conosciuta dai poveri mortali.
Giunse infine sul colmo della collina che si trovava alle spalle dell’accampamento degli uomini attesa dai Seguaci che avevano di nascosto lasciato White Rose su ordine di Horgeon.
La Legione dei Demoni così si spiegò in tutta la sua grandezza, ordinatamente fila dopo fila.
Alastor si avvicinò a loro e si fece riconoscere; prontamente essi si inchinarono recandogli i dovuti omaggi.
Lui li guardò con aria di disprezzo, conscio della sua superiorità ma, al momento, era disposto ad accettare la guida di quegli stolti umani, ignari di quello che comportava un simile ed irrevocabile contratto.
Poi quel Demone si voltò verso la sua Legione facendo semplicemente un lieve cenno con il capo. Tanto bastava perché si scatenasse l’inferno. I Seguaci rimasero fermi dov’erano, immobili su quella collina ad assistere all’orrore che si stava consumando ai loro piedi.
Alla fievole luce della luna calante il destino di quegli uomini si era infine compiuto.
Di nuovo quel turbine riprese forma e si inoltrò verso la città lasciando alle sue spalle solo qualche sopravvissuto a testimoniare l’esistenza di un’entità che nessun essere vivente poteva immaginare.
Prima di unirsi alla sua Legione Alastor si rivolse agli umani suoi adoratori che lo stavano ora guardando allucinati consci dell’oscuro e blasfemo potere che si parava davanti loro.
- Guardate bene. Non si può tornare indietro… Ciò che è stato sarà. Ciò che è fatto si ripeterà…
Ma di nuovo, ancora una volta ciò che il Demone aveva trascurato sarebbe stata la sua rovina: la perenne e imperitura oscillazione tra il Bene e il Male di ogni entità vivente.
Damian era ancora seduto a raccontare alla bambina la sua storia mentre Lilith preparava la sua vendetta contro White Rose: - E così fui condannato a vagare sulla Terra per molti secoli. Poi il mio creatore mi richiamò a sé: non potevo stare tra i mortali. Ma nemmeno potevo con i demoni. Essendo poi uno degli angeli caduti, il paradiso mi era precluso. Fui quindi condannato ad un eterno supplizio, incatenato negli abissi dove scorre il Tartaro a subire…
La bambina continuava ad ascoltare rapita la storia di Damian. Nella sua mente le immagini si formavano seguendo il flusso delle parole che le stava raccontando.
- E chi ti ha liberato?
- Qualcuno che ha creduto in me…
- E che lo fa ancora. Andiamocene Damian. Dobbiamo tornare all’accampamento. Lasciamo questo paese di invasati…
Elbereth era apparsa sulla porta del tempio. Ne aveva abbastanza di inutili discussioni sulla salvezza delle loro anime.
- Il nostro viaggio è ancora lungo – disse poi rivolgendosi alla gente del villaggio - e vorremmo se possibile evitare di perdere ancora tempo. Vi chiediamo solo del cibo come promesso. Vi pagheremo il giusto dovuto. Altrimenti le nostre strade si dividono qui.
Nessuno ebbe il coraggio di rispondere. Il rettore troneggiava in mezzo alla gente e guardava uno ad uno. E mentre il suo sguardo scorreva sui visi dei presenti, questi prontamente abbassavano il loro.
Il re non si era ancora arreso e alla sua richiesta se ci fosse qualcuno disposto ad unirsi a loro, risposero: - Nessuno di noi vi accompagnerà. State andando verso una morte certa e alla dannazione della vostra anima. Possiamo pregare per voi, ma nessuno sarà così folle da seguirvi…
Ma con enorme sorpresa si fece avanti una bambina, la stessa che aveva parlato con Damian. Aveva i lunghi capelli biondi che le scendevano sulle spalle, gli occhi erano lucenti e stringeva al petto la sua bambola di pezza: - Vengo io con voi – disse una voce angelica.
Poi una risata demoniaca riecheggiò sull’intera città impregnandone l’aria. La bambina ora aveva cambiato il suo tono squillante in uno gutturale e profondo:
Partite verso un mondo a voi ignoto
Il fratello non conosca il fratello
I Sacerdoti chiedano consiglio
Nel Pantheon nuovi alleati si paleseranno
La Nuova Via verrà svelata
A chi saprà superare la sua paura
Nulla sarà precluso
Aveva recitato quei versi come se fosse sul palco per il saggio scolastico, dondolandosi al loro ritmo. Avrebbe anche potuto sembrare dolce con quell’inflessione infantile se non fosse stato per il fatto che aveva tenuto la testa sempre abbassata con lo sguardo a terra e i capelli che le coprivano interamente il viso.
- Chi sei? Cosa vuoi? – chiese Elbereth.
Alzò il capo e i loro occhi si incontrarono fissandosi per qualche istante.
- Sono la tua morte. Questo è tutto ciò che ti serve di sapere.
- Stanno arrivando… - disse solamente Damian guardando gli occhi di quella creatura.
La Legione di demoni risvegliata da Lilith irruppe nella città attraverso turbini di vento e fiamme prendendo d’assalto ogni cosa incontrasse sul suo cammino. Alle loro spalle solo cenere e polvere.
Arrivarono con la stessa furia di un vulcano in eruzione, come rocce incandescenti e lapilli infuocati si abbatterono su White Rose, scuoterono la terra con la devastazione di un terremoto attraversarono la città con la stessa forza distruttrice di un tornado. Appena toccarono terra la Legione prese corpo e come mostri assetati di sangue marciarono incontrastati attraverso la città massacrando chiunque incontrassero sul loro cammino; ogni cosa fu devastata senza trovare alcuna opposizione.
L’esercito fuori della città era stato quasi completamente annientato da un attacco inaspettato e per il quale non erano affatto preparati. Nessuno poteva giungere in aiuto della città. Il re e gli uomini della sua scorta che erano rimasti in città fecero di tutto per resistere di fronte alla furia di quegli esseri distruttori cercando di difendere la popolazione barricata all’interno del tempio.
Il cielo era illuminato a giorno dalle fiamme che avvolgevano la città. Bagliori rossastri salivano dai fuochi che ardevano a rischiarare la notte.
Intanto che battaglia infuriava, la bambina stava in piedi in mezzo alla piazza incurante dei morti che le cadevano attorno ferma a contemplare con aria soddisfatta quanto stava avvenendo. Teneva ancora in mano la sua bambola per un braccio e la lasciava penzolare mollemente al suo fianco. Lo sguardo completamente assente e l’espressione vuota le conferivano un aspetto ancora più inquietante. Il sorriso agghiacciante che aveva stampato in volto era generato dal compiacimento della regina che attendeva impaziente l'arrivo di Alastor. Il Signore della Legione stava preparando il suo attacco finale a quel mondo oramai devastato dai suoi guerrieri. Sarebbe giunto all’alba per assestare il colpo di grazia.
E così fu. La sua presenza fu avvertita ancor prima di essere visto. Al sorgere del sole entrò nella città con un incedere sicuro e trionfante.
Bastava la sola sua Ombra per farsi largo tra uomini e demoni. Il suo potere si faceva sentire anche su Damian che era rimasto immobile davanti a quel signore della guerra a fissarlo rapito.
Elbereth si rivolse a Damian: - Stiamo per soccombere…aiutaci…per favore… – aggiunse vedendo la titubanza del demone.
Damian si risvegliò come da un sogno e con un sospiro: - Perché me lo chiedi tu…
Volse il suo sguardo verso le montagne e una luce verde si diffuse verso di loro all’inizio fievole e appena impercettibile, poi in un crescendo sempre più intensa fino ad illuminare completamente la piazza dove si stava consumando una grande tragedia.
Per un momento tutto si fermò come se il tempo e lo spazio fossero stati sospesi.
Un’energia indescrivibile si stava originando fuori e dentro ogni essere vivente investito da quella strana luce.
Improvvisamente il mondo era stato imprigionato in un’ampolla in cui tutto era immobile. Le sabbie del tempo avevano smesso d’un tratto di scorrere. Il preludio di qualcosa di terribile che stava per accadere.
La calma prima della tempesta.
E poi fu il caos.
Il vortice di luce si intrecciò con quello generato nelle profondità degli Abissi, salì in un abbraccio terrificante fino al cielo e l’esplosione che ne seguì fu di una potenza indescrivibile. Era come se tutto venisse risucchiato da un vortice che si era creato a congiungere cielo e profondità della terra.
Gli edifici vennero scossi violentemente. Il tempio oscillò come un fuscello nell’uragano. La gente che vi si era rifugiata urlava dal terrore e si strinsero l’un l’altro ancora di più.
E come un’enorme onda di mareggiata che si abbatte sul porto, si diffuse su tutto quel lembo di terra martoriato per poi svanire in un niente.
Dalla bocca della bambina uscì un urlo disumano: - Nooooo! E si accasciò a terra.
Lilith abbandonò il suo corpicino esanime lasciandolo nella terra intrisa del sangue degli uomini e dei demoni che avevano lì combattuto.
La madre della bambina accorse fuori dal tempio in cui si era rifugiata insieme agli altri abitanti e le si inginocchiò accanto stringendola a sé.
Damian le si avvicinò e lei alzando gli occhi pieni di lacrime: - Fa qualcosa…ti prego…salva la mia bambina…
La bambina provò a sussurrare qualcosa, ma tutto ciò che uscì dalla sua bocca fu un ghigno rantolante emesso con voce disincarnata e lugubre, una risata spettrale. Per un solo istante i suoi occhi furono attraversati dall’ultimo lampo di umanità che ancora le restava; quell’ultimo pezzo di umanità che stava per essere sopraffatto. La stretta di quell’essere infernale divenne più salda. Lentamente le stava rubando l’anima e il corpo.
La bambina mormorò nell’ultimo attimo di lucidità: - Per piacere…. Non sei cattivo…
Poi i suoi occhi tornarono vuoti e vitrei.
- C’è un modo solo, Damian…e tu sai benissimo qual è… - disse una voce sussurrante e invitante che usciva dalle labbra del rettore. L’ultimo disperato tentativo di dannare tutti i presenti.
- No ti prego! – urlò la madre della bambina – fate qualcosa.
Ma i presenti erano stati tutti rapiti da questa voce soave che cullava le loro menti con dolcezza, come se si trovassero in mezzo ad un mare quieto e placido. Onde tranquille accarezzavano i loro spiriti e li avvolgevano in un disteso silenzio di pace. Era come se si fossero trovati improvvisamente nell’occhio di un ciclone: tutto attorno morte e disperazione, turbinii di polvere e venti tempestosi circondati da temporali torreggianti e muri di acqua che si alzavano e salivano verso il cielo, mentre loro erano avvolti da una sensazione di totale calma e tranquillità.
L’unico che era riuscito a restare lucido in quel turbinio di pensieri era Damian che dovette raccogliere tutte le sue forze. Era tanto anche per lui. Tutti gli altri guardavano in estasi il cielo. Un cielo che ai loro occhi ora pareva sereno; un’alba con alte nuvole a velare appena il sole che sorge all’orizzonte nascendo da un mare striato di rosso vermiglio. Un mare rosso sangue era invece ciò che vedeva Damian.
Con molta fatica il demone raggiunse Elbereth che lo stava guardando con aria ebete incapace di reagire. Le prese la spada dalle mani. E lei lo lasciò fare incredula come se non capisse nulla di tutto ciò che stava succedendo attorno.
Guardò la lama e strinse ancor di più l’elsa; poi con passo deciso si diresse verso il rettore che lo stava fissando con occhi diventati interamente neri. La possessione aveva raggiunto il massimo della potenza. Aprì le braccia e fece sollevare un vento forte che spazzando il terreno raccoglieva ogni cosa nel tentativo di fermare Damian che invece resistette ed avanzò fino ad arrivargli davanti a pochi centimetri, viso a viso.
- Ho visto orrori che nemmeno immagini! Tu mi chiami demone senza sapere cosa vuol dire esserlo. Ed ora potrai vederlo con i tuoi occhi.
E gli affondò la lama nel cuore trapassandolo e tirandolo ancora più verso di sé. Gli sussurrò in un orecchio:- Non avresti dovuto avere così fretta di giudicarmi! Hai solo condannato te stesso!
Il rettore con un gemito si accasciò mollemente a terra. Damian ritrasse la spada e la gettò a fianco di quel corpo ormai senza vita. Poi si voltò e si chinò a raccogliere la bambina che si stava riprendendo e gli strinse le braccia al collo singhiozzando.
Sotto gli occhi dei presenti che si erano risvegliati dallo stato di trance in cui erano caduti, la restituì alla madre.
Lord Hamilton si avvicinò a Damian: - Oggi hai dimostrato di meritare la nostra fiducia. Non dubiterò più di te.
- Abbiamo ancora molta strada da fare – gli rispose - e qualcosa di inaspettato si è palesato a noi. Dobbiamo prima di proseguire interpretare le parole che sono state dette attraverso quella bambina. Forse dietro di esse c’è la chiave di quanto succederà.
 

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Capitolo 22
*** L'Antro dell'Oracolo ***


Nessuno aveva voglia di parlare; erano ancora tutti scossi da quanto era successo. Dovevano procedere alla conta dei morti e sapevano che avrebbero avuto ben poche speranze di trovare ancora qualcuno vivo nell’accampamento che era stato allestito fuori città. L’orda di demoni era venuta da quella direzione.
Erano consci che erano rimasti in pochi e che adesso una battaglia contro un qualsiasi esercito era da escludere, men che meno contro un esercito di demoni.
L’unica speranza, per quanto fosse incredibile, risiedeva nelle parole che Lilith aveva detto loro per bocca della bambina. Ancora si chiedevano per quale motivo avrebbe dovuto suggerire loro una strada.
- Sire. Cosa facciamo adesso? – era la lecita domanda che veniva proferita da ogni bocca.
Il re si guardò attorno. Vedeva la paura crescere negli animi dei suoi soldati. Anche gli ufficiali più coraggiosi o i veterani di tante battaglie manifestavano un grande senso di inquietudine.
La durezza della battaglia non aveva permesso a nessuno di guardarsi attorno per rendersi conto dell’entità della carneficina che si stava attuando nella città. Ora che i combattimenti erano cessati e che si poteva prendere un attimo di respiro era chiaro a tutti qual’era stato il costo di quello scontro.
I cavalieri con gli abiti e i mantelli sporchi di sangue, i soldati, i cittadini. Tutti coloro che avevano combattuto fianco a fianco. Tutti stavano considerando quanto ora vedevano attorno a loro.
- Non dovete perdere il vostro coraggio. Oggi avete dimostrato che possiamo batterci anche contro i demoni! – iniziò il re – Oggi la vostra forza mantenuto saldo il polso che guidava la spada, il braccio che reggeva lo scudo! Siate orgogliosi di quanto avete compiuto!
Il comandante Farwell gli si avvicinò con sguardo severo. Aveva ascoltato le parole del re, aveva visto alcuni annuire, ma sapeva che la realtà era ben diversa.
- Sire – gli disse – con il dovuto rispetto, gli uomini hanno sì combattuto con tutto il coraggio che avevano e che veniva dato loro dalla disperazione, ma… - e si voltò a guardare Damian che pareva essere l’unico indifferente di fronte a tanta morte.
Il re lo prese per un braccio e lo tirò a sé con occhi furiosi: - E cosa dovrei dire loro? Guardali! Aspettano solo di sentire parole di coraggio, non di morte! Come posso ignorare ciò?
Lo spintonò da parte e si diresse verso Elbereth e Damian che avevano assistito alla scena tenendosi in disparte.
- Bene, demone – esordì – Cosa suggerisci di fare adesso? Non potremo avere sempre aiuti così insperati.
Damian rimase a fissare in silenzio gli occhi dell’uomo che aveva davanti. Lo scontro aveva risvegliato in lui tutta la sua forza e potenza da tempo sopita. Sentiva che gli sarebbe bastato solo un gesto per porre fine alla sua miserabile vita e a quella dei presenti che ora erano voltati a guardarli. Cresceva in lui la voglia di liberarsi da quel giogo che lo teneva incatenato a servire quei poveri illusi mortali.
Elbereth percepiva tutti questi pensieri, ma invece di mettere mano alla spada gliela posò su un braccio: - Damian… - sussurrò.
Il demone si voltò verso di lei e abbassò lo sguardo. Era ritornato alla realtà.
- Sì, mia signora…
Dovette riprendersi dal momento di estraneazione che aveva appena vissuto.
- Siete rimasti in pochi e in questa cittadina non troverete nessuno disposto a seguirci. Dovete prendere in considerazione quanto ha detto la signora dell’Ade per bocca di quella bambina. Niente accade per caso; né in questo mondo, né nell’altro…
Il re annuì: - Da dove cominciamo?
Decisero di dirigersi a nord. Volevano vedere cosa era rimasto dell’accampamento e dare degna sepoltura ai caduti. Lasciarono così la città con alcune provviste ma nessuno li volle seguire.
Partite verso un mondo a voi ignoto
Il fratello non conosca il fratello
E così la prima parte si avverò.
L’accampamento si trovava appena fuori dalle porte settentrionali della città. Arrivarono ben presto alla radura dove erano state piantate le tende solo due giorni prima. Quello che videro andava ben oltre a quanto i loro occhi erano disposti a sopportare. Osservarono ammutoliti la scena che si presentava ai loro piedi. Intorno a loro, tra le rovine ancora fumanti si poteva vedere il terreno coperto di corpi insanguinati di soldati e bestie. In lontananza si potevano sentire gli ululati dei lupi richiamati dall’odore del sangue che impregnava il suolo. Alcuni di loro avevano già iniziato a muoversi tra i cadaveri, e, intenti nel dilaniarne le carni, non badavano agli uomini che si muovevano attorno.
Tutto intorno a loro una distesa interminabile di morte.
Era questo il destino che li attendeva? Dovevano seguire le parole di un demone?
I Sacerdoti chiedano consiglio
E anche questa frase trovò compimento.
Era ormai notte fonda quando le fiamme delle pire funebri illuminarono il cielo stellato.
I pochi superstiti si riunirono mormorando preghiere per le anime dei soldati caduti per mano della forza distruttrice dell’orda di demoni di Lilith. Lacrime di dolore e di rabbia rigavano le guance anche dei più vecchi ufficiali.
Elbereth alzò gi occhi al cielo. Perché tanto dolore? Perché tanta disperazione doveva attraversare la Terra? Le stelle erano immobili a guardare splendenti dall’alto della loro fredda luce, indifferenti di quanto stava accadendo all’umanità.
Damian le si avvicinò: - cosa speri di vedere? Speri di trovare risposte lassù?
Elbereth si voltò di colpo sentendo un distinto rumore di zoccoli che veniva nella loro direzione. Tutti rimasero ad aspettare con apprensione. Una nuova armata di Lilith che li avrebbe finiti?
Poi un uomo venne loro incontro: - Non sono guerrieri, ma è gente che ha perso tutto. Ed ora vogliono che la morte dei loro cari non sia stata vana.
Riconobbero in lui il monaco Urthadar che avevano salvato tempo addietro.
- Avevo un debito nei vostri confronti… – disse con voce sommessa vedendo l’espressione di sorpresa dipinta sui volti di tutti i presenti.
- Non lassù, non al momento – sorrise Elbereth – ma almeno quaggiù sì!
Poi andando loro incontro: - Benvenuti! Il vostro arrivo è più che una benedizione.
- Sapete maneggiare una spada? – chiese loro il comandante Farwell senza badare troppo ai preamboli.
- Abbastanza! – fu la risposta che ricevette da qualcuno che era dietro la prima fila con il volto nascosto nell’ombra. Poi fece un passo avanti e la luce delle fiaccole ne illuminò i tratti. La sua bocca si aprì in un largo sorriso. Farewell gli andò incontro a braccia aperte: aveva riconosciuto in lui un vecchio compagno d’armi che era il capo della guardia di una delle cittadine che erano state devastate dai demoni.
Nel Pantheon nuovi alleati si paleseranno
E sotto il tempio di tutti i templi, il nero cielo illuminato da una miriade di stelle che come candele che ne punteggiavano la volta, anche questa frase trovò compimento.
- Ora non ci resta che svelare la Nuova Via. Il coraggio di proseguire non mancherà di certo… - commentò il re.
Damian si voltò verso Elbereth e le disse: - Esiste un luogo, nelle profondità della Terra, cui si può accedere attraverso il sonno della morte. Lì le risposte che cerchi ti saranno date.
- Scusa, ma “sonno della morte” mi suona piuttosto male… - commentò sarcasticamente.
- C’è un’alternativa…Ti ci posso condurre io. Ma dovrai attenerti alle regole. I nostri corpi saranno là e non ci saranno. Tutto quello che proveremo nel sonno, lo sentiremo anche nel corpo reale. Solo che io sono un demone, tu un mortale. Nessun umano è mai tornato dopo aver incontrato l’oracolo. Nessuno è mai stato così forte da resistere alle tentazioni cui veniva sottoposto.
- Come? – si limitò a chiedergli.
Damian preparò il cerchio attraverso il quale la loro parte incorporea sarebbe passata per entrare nell’antro dell’oracolo.
Poi prese Elbereth per mano e le disse: - Ricorda, una volta che attraversiamo il perimetro del cerchio non possiamo più tornare indietro. Non ci possono essere ripensamenti: il tuo corpo non riuscirebbe a ricongiungersi e il tuo spirito sarebbe condannato per l’eternità in un luogo di pura disperazione e smarrimento.
Elbereth rimase immobile ad osservare la mano che il demone le stava porgendo. Lui era entrato, ora toccava a lei fare il passo successivo. Si voltò verso i presenti che non sapevano che dire, poi strinse la mano a Damian ed entrò.
La Nuova Via verrà svelata
A chi saprà superare la sua paura
Nulla sarà precluso
Sentì una grande forza che la tirava in basso verso terra; era come se un essere sovraumano le aspirasse il corpo, l’anima, la mente. Improvvisamente si sentì leggera. Ed iniziò a scendere lungo un’improbabile scala che non sapeva se fosse reale o se esistesse solo nella sua mente, costituita da assi scricchiolanti tenute da ancor più logore funi.
Sentiva che i suoi piedi stavano poggiano su vecchie e tremolanti impalcature che portavano in basso verso l'Abisso. Strinse le mani a Damian e poi riprese a guardarsi attorno senza sapere se quello che vedeva era reale o esisteva solo nella sua immaginazione. Si trovava sospesa a camminare su logore impalcature sospesa nel vuoto. Si sporse per cercare di capire quanto potesse essere profondo, ma non riusciva a scorgere nulla. Tutto si perdeva nell’oscurità. Le sensazioni che provava e il senso di vertigine che l’aveva colpita si erano trasferiti anche al suo corpo reale e un senso di nausea le fece girare la testa. Cercò di riprendersi e continuò a camminare su quelle assi di legno tenute insieme da corde consunte e sfilacciate che mostravano evidenti segni di cedimento. Era perfettamente conscia che da sola non ci sarebbe mai riuscita: la vicinanza di Damian la rassicurava. Ancora una volta doveva affidare se stessa a quel demone.
Il silenzio assoluto avvolgeva le loro menti, le lisce pareti dell’orrido trasmettevano un freddo insano che entrava nelle ossa. Elbereth iniziò a tremare: brividi gelidi le correvano lungo la schiena fin dentro il midollo. Prese un ampio respiro e il suo fiato si condensò davanti a lei in una nuvola biancastra: - Coraggio – si disse – c’è ancora molta strada.
D’improvviso furono avvolti da un turbinio che proveniva dal basso; sporgendosi scorsero delle figure eteree che venivano loro incontro salendo in un rapido e tumultuoso vortice incorporeo. Damian le strinse entrambe le mani: non doveva per nessuna ragione ascoltare le loro parole, ciò che le avrebbero sussurrato nella mente. Doveva restare concentrata e continuare a scendere. Elbereth annuì e proseguì nella discesa, ma ben presto le risuonavano in testa le voci di quegli spiriti che iniziarono a volteggiarle attorno rivolgendole frasi di morte. Anche se all’inizio era riuscita ad ignorarle, man mano che diventavano più insistenti era sempre più difficile farlo. Iniziò a scuotere la testa nel tentativo di mandarle via. Anche il suo corpo mortale era in preda all’agitazione.
Elbereth d’istinto prese il pugnale che portava alla cintura e lo scagliò verso le funi che reggevano le assi al di sotto di loro alle quali parevano fossero attaccate queste creature. La lama le tagliò di netto per poi andarsi a perdere nelle profondità del baratro. Le assi già malferme persero anche l’ultimo sostegno e precipitarono rovinosamente su quanto restava dell’impalcatura che sorreggeva le scale che sotto il loro peso si spezzò distruggendo nella sua caduta tutto ciò che incontrava. La parte sovrastante iniziò ad oscillare scricchiolando paurosamente; Damian ed Elbereth persero l'equilibrio e sbatterono contro le pareti. Anche i loro corpi in superficie vacillarono e su quello di Elbereth apparve il segno delle ferite subite.
Damian aiutò Elbereth a rialzarsi guardandola negli occhi. Cercava di dirle di non cadere nei tranelli delle illusioni e lei capì ed annuì: aveva riassunto il controllo dei suoi sensi; quindi ripresero a scendere lungo la via che portava sempre più in profondità, mentre quelle figure evanescenti venivano loro incontro. Il coltello le aveva semplicemente attraversate senza aver alcun effetto su di loro.
- Almeno sono incorporei – pensò Elbereth – non potranno farmi niente… Ma questa sua speranza venne subito demolita da uno di loro che con un guizzo la afferrò per un braccio. Per un momento si sentì essere come sospesa: quel tocco era innaturale e portava con sé un freddo mai sentito che le penetrava nel corpo invadendolo completamente. Improvvisamente le venne a mancare il suolo sotto i piedi e iniziò a cadere, una lunga infinita caduta che l’avrebbe portata direttamente nelle braccia di quegli esseri. Un grido le uscì dalla bocca del suo corpo materiale. Damian le si avvicinò e la strinse avvolgendola in un abbraccio; così la sua brusca discesa si arrestò. Gli spiriti smisero di tormentarla e si diressero nuovamente nel baratro.
Elbereth sebbene fosse ancora stordita era viva: l’intervento del demone le aveva permesso di restare ancora in questo mondo. Lentamente si riprese e quando fu ben certa di essere cosciente ripresero a scendere. Ma i sussurri continuavano a salire dal fondo di quel baratro e Damian che poteva vedere attraverso le tenebre scorse le decine di anime che vagavano senza pace e che si apprestavano a tornare verso di loro. Non voleva di rischiare di scontrarsi nuovamente con la possibilità che le funi marce cedessero sotto il peso dei loro movimenti, quindi decise di accelerare la discesa fino ad un terrazzo di roccia sporgente che avrebbe permesso loro di riprendere fiato e magari gli avrebbe anche consentito di trovare un modo per convincere quegli spiriti a lasciarli passare in pace. L’unica via era un ponte sospeso. Iniziarono ad attraversarlo e ad ogni passo si sentiva il dondolio poco rassicurante accompagnato dallo scricchiolare delle funi. Anche se i loro corpi materiali erano ancora racchiusi nel cerchio essi provavano ogni cosa come se fossero realmente presenti in quella voragine. D’improvviso le funi portanti cedettero di schianto: ebbero la prontezza di riflessi di aggrapparsi alle corde che erano rimaste penzolanti nel vuoto. Le mani di Elbereth bruciavano i guanti che portava non erano riusciti a proteggere l’intero palmo che si era ustionato scivolando nella presa. Cercando di ignorare il dolore riuscì ad issarsi a forza di braccia fino a raggiungere lo sperone di roccia. La fatica che stavano facendo si rifletteva nei corpi rimasti in superficie. Appoggiò la schiena alla nuda roccia completamente esausta sia fisicamente che soprattutto mentalmente. Osservò Damian che non era minimamente provato dagli eventi. Il demone stava riflettendo: non potevano affrontare un altro assalto di quegli esseri, lei non di sicuro. Prese una decisione all’istante che poteva segnare la vita o la morte della donna e la sua conseguente condanna: - Elbereth! Ascoltami. Invoca le tue paure. Tutte: dalla più semplice inquietudine alla più profonda delle tue angosce. Nutri quegli esseri volontariamente dei tuoi timori e per ognuno di essi immagina le peggiori e catastrofiche conseguenze. Apri la tua mente e lascia che i tuoi pensieri fluiscano nel loro turbine.
Lo guardò incredula.
- In questo modo saranno impegnati…
Chiuse gli occhi e cercò di dare forma a tutto ciò che opprimeva il suo animo. Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata e il respiro divenne affannoso. Tutte le sue pulsioni sommerse presero vita dando origine ad uno scontro tra il principio della Vita e il principio della Morte. Le apparvero come un’allucinazione e iniziarono a legarsi agli altri spiriti che ne furono subito attratti.
- Come ti senti?
- Svuotata…
- Bene. Ora possiamo proseguire…
Strisciarono lungo il costone fino a raggiungere il suo estremo dove penzolavano i resti del ponte di funi che si era spezzato. Le traverse di corda costituivano una specie di scala che scendeva nelle profondità. Dopo averne testato la solidità si calarono uno alla volta. Damian andò per primo: non sapeva se sarebbe bastato per toccare il fondo, anche se gli pareva che non fosse poi così lontano da raggiungere. Oscillava pericolosamente e ben presto fu inghiottito dal buio e scomparve alla vista di Elbereth. Dopo un tempo che le sembrò interminabile le giunse la voce di Damian.
- Puoi scendere. Il salto è breve.
Coraggiosamente si abbarbicò a quel relitto di funi, dopo essersi fasciata alla meglio le mani e iniziò anche lei la discesa. Strane creature luminescenti l’accompagnavano quasi ad illuminarle la strada fino a quando finalmente raggiunse il fondo. Arrivata sull’ultimo pezzo di fune che fungeva da gradino si lasciò cadere toccando terra e quegli esseri luminosi l’abbandonarono.
Alzò lo sguardo per seguirle chiedendosi da dove mai potessero venire. Più in alto poteva intravedere ancora le flebili luci generate dagli spiriti che li avevano attaccati, e oltre ancora un pallido disco azzurro che stava ad indicare da dove erano giunti.
Elbereth camminava a tentoni sempre tenendosi aggrappata alla mano di Damian che ispezionò velocemente il luogo: era costituito da un ammasso di blocchi rocciosi ricoperti di fango e di escrementi degli animali volanti notturni che avevano il coraggio di spingersi fino qui sotto. Anche gli occhi di Elbereth cominciavano ad abituarsi a sfruttare ogni piccolo luccichio per orientarsi in quel buio abissale. Le parve di scorgere un lieve bagliore provenire da una crepa che immaginava appartenesse alla parete del pozzo. Entrambi seguirono quel debole segnale. Giunsero and un’altra fenditura più ampia dalla quale filtrava una fievole luce; Damian camminò lungo la parete fino ad incontrare l’apertura che trovò tastando con una mano la roccia e tenendo sempre salda con l’altra Elbereth. Si infilò tirandola con sé e prese la fiaccola che era accesa all’ingresso e che era la fonte di luce che aveva seguito. Ora potevano proseguire più speditamente alla luce generata dalla fiamma, dato che anche Elbereth poteva vedere chiaramente il terreno davanti a lei, pur mantenendo sempre un comportamento circospetto e cercando di muoversi prestando attenzione a dove mettevano i piedi. Furono attirati da un rumore simile allo sciabordio delle onde del mare che si infrangono sugli scogli. Doveva esserci un’immensa massa di acqua là sotto per generare tale fragore, ma non poteva essere mossa dal vento o dal sole. Cosa era allora in grado di generare tanta potenza? Avanzarono ancora e davanti loro si aprì dapprima una lieve fessura che divenne sempre più grande man mano che le si avvicinavano fino ad arrivare ad un’enorme apertura. Davanti a loro si era spalancato un portale che dava su una spiaggia surreale.
Erano quindi giunti nel regno degli Oracoli; un luogo al confine tra il Realtà e Illusione, dove tutto poteva essere e non essere, dove tempo e spazio perdevano il loro significato. Ai loro occhi si aprì una radura illuminata da un sole irreale. Tutto intorno, nel silenzio più assoluto, si potevano vedere gli scheletri che ricoprivano il terreno: erano tutti gli uomini che erano giunti dall’Oracolo e che non avevano saputo resistere alla sua potenza. Erano i resti mortali degli spiriti che li avevano tormentati durante la discesa. Sullo sfondo di questo paesaggio spettrale si poteva vedere l’apertura della grotta, il luogo che stavano cercando dove avrebbero trovato chi avrebbe risposto alle loro domande.
- Ma chi o cosa stiamo cercando? Cosa incontreremo? Vivi? Morti? – chiese Elbereth guardandosi attorno.
- Credimi, per loro sarebbe meglio esserlo. Non sono morti, ma per il mondo dei vivi non esistono. Sono esseri dannati dagli stessi uomini che vuoi proteggere. Dallo stesso dio che adorate.
Avanzarono fino a raggiungere l’ingresso.
- Dimmi Elbereth, sei sicura? – gli disse appena vi si trovarono di fronte – Sei certa di riuscire ad affrontare quello che ti troverai davanti? Hai chiare le domande da fare? Ricordati nulla di diverso oltre a ciò che siamo venuti a chiedere.
Poi continuò: - Ciò che incontreremo va oltre quello che la mente dell’uomo è in grado di immaginare e di sopportare. Ti sembrerà di essere impazzita perché andrà contro tutte le leggi del mondo che conosci. Non dovrai mai vacillare o dubitare di te stessa. Al minimo segno di cedimento il tuo spirito verrà risucchiato nello specchio del destino in cui presente passato e futuro sono mescolati e convivono in una spirale di pazzia. Rischierai di perdere il senno se cercherai di capire quali sono i fondamenti che governano questo luogo. Vi sono incantesimi il cui potere va oltre il tempo e lo spazio che tengono imprigionata una forza che, se liberata, distruggerebbe ogni cosa. Qui non è mai arrivata la luce del sole o della luna; non sono mai state viste le stelle se non nella notte dei tempi quando cielo e terra erano una cosa sola e il tempo si confondeva tra le pieghe dell’universo.
- Sono arrivata fino a qui. Non si torna indietro, ricordi?
Si inoltrarono nell’oscurità alla fioca luce della sola fiaccola che Damian reggeva. Le rocce che li avvolgevano erano umide e ricoperte di muschi; si poteva sentire il gocciolio dell’acqua che filtrava attraverso gli innumerevoli strati che li separavano dalla superficie. Un gocciolio che risuonava nell’oscurità innaturale di quel luogo che sapeva di marcio e di muffa. Un altro odore giunse alle loro narici, simile a quello del ferro delle spade, un odore che Elbereth riconobbe subito come quello agro del sangue. Anche Damian lo aveva percepito, ma la sua reazione fu molto diversa: gli aveva risvegliato la fame di sangue umano. Deglutì lentamente per poter assaporarlo meglio.
Continuavano ad avanzare mentre le membra di Elbereth iniziavano ad intorpidirsi per il freddo. Anche il suo corpo mortale in superficie iniziava a tremare ed ad essere assalito da un torpore che le stava prendendo tutti i muscoli. Si guardava attorno provando paure mai prima sentite. Le sue certezze stavano vacillando e la sua fede stava cedendo.
Nel cerchio Damian si stava accorgendo del cedimento di Elbereth e le strinse ancora più forte le mani.
Quel gocciolio continuo; ancora e ancora con un ritmo che sembrava scandire il tempo. Un logorante stillicidio che risuonava in modo quasi insopportabile. Ormai era l’unico suono che governava i suoi passi. Sembrava però che non avesse lo stesso effetto su Damian, come se lui ne fosse immune. Ora era diventato anche il suono della sua paura. Quel ticchettio le creava un dolore tremendo alla testa che le impediva ogni ragionamento logico e sovrastava qualsiasi possibilità di pensare razionalmente. Le si accavallavano nella mente scene che potevano appartenere alla realtà o ai suoi incubi peggiori; non sapeva più chi o cosa fosse reale: la Elbereth mortale che era ferma nel cerchio in superficie o lo spirito che stava discendendo alla ricerca di risposte. La mente dell’una era la mente dell’altra, ma non era facile distinguere quale delle due apparteneva alla realtà.
Damian dovette fare uno sforzo per riuscire a parlarle: - Concentrati solo sui tuoi passi e sul loro suono.
Arrivarono in un’immensa sala ricoperta da stalattiti e stalagmiti con immense colonne che scendevano dalla volta e sembravano continuare negli abissi. Erano biancastre e lucenti; brillavano per l’acqua che scorreva lungo di esse e che era responsabile della loro lenta continua millenaria crescita. Al centro una pozza larga poco più di qualche braccio piena di acqua scura che rifletteva come uno specchio il paesaggio spettrale e nello stesso tempo spettacolare che li circondava.
L’odore del sangue era diventato fortissimo.
- Serve un pegno – la voce di Damian risuonò come un ordine nella testa di Elbereth.
Lei stava ancora chiedendosi cosa volesse dirle che sentì un dolore lancinante al braccio: le unghie del demone le avevano fatto un profondo taglio al polso ed ora il suo sangue stava gocciolando pesantemente nella pozza nera. Una goccia dopo l’altra il suono si propagò per l’intera grotta; era diventato insopportabile come ciò che provava nella stretta morsa della mano che le teneva fermo il braccio disteso.
Poi la pozza diventò cristallina e trasparente tanto da poterne vedere il fondo. A questo punto Damian lasciò la presa del braccio di Elbereth. Il compenso era stato ritenuto adeguato e soddisfacente.
Una voce si levò dalle profondità delle acque: - Il tuo tempo è limitato, umano mortale. Ciò che otterrai sarà conseguente ai tuoi pensieri: quindi devi sapere cosa vuoi perché non ti sarà data un’altra possibilità. Distingui quindi nella tua mente ciò che credi vero da ciò che vero non è, e decidi cosa vuoi.
Elbereth cercò di concentrarsi per non essere distratta: quel gocciolio le risuonava ancora nella testa.
- Non aspettare: non sarà mai il tempo opportuno. Quindi inizia. Troverai il resto lungo il cammino.
- Shadow – disse quasi sussurrando – devo entrare.
Ancora il suono delle gocce che rimbombava nella grotta.
- Non devi cercare nuove terre, ma devi avere nuovi occhi. Il tuo rivale più pericoloso è ciò che credi di vedere. Al momento sarà creato ciò che al momento serve.
Elbereth era frastornata da tutte quelle parole. Ma non aveva ancora ricevuto la risposta che voleva.
- Il cancello… - disse – il cancello: lo devo aprire. Come?
- Ti aspettano. Attendono dietro al cancello. Il cancello è in ogni tempo e in ogni luogo perché le Ombre sono sempre e ovunque. Ciò che apri non potrà più essere chiuso. Se conosci non ti serve sapere.
- Come si entra? – chiese Elbereth al limite della pazienza.
 

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Capitolo 23
*** Gli Oracoli ***


Lo specchio di acqua si agitò nuovamente per manifestare il proprio disappunto: - Tu sei troppo impaziente, umana… anche se percepisco qualcosa di diverso in te…e che non è umano…Non puoi pensare di scendere qui nel nostro regno e non sottostare alle nostre leggi…Valgono anche per quelli come te…
- Quali vostre leggi? Chi sono quelli come me? – chiese d’istinto.
Di nuovo era provocata affinché si distraesse dal suo intento.
- Non sei venuta qui per sapere questo – le strattonò il braccio Damian – ti ho detto di chiedere solo quello che ti serve. Non cadere nei loro subdoli tranelli.
Il suo tono di voce era duro come non lo era mai stato. Il demone sa che l’animo umano è fragile e che può vacillare in qualsiasi momento. Se ora avesse ceduto entrambi ne avrebbero pagate le conseguenze. Era obbligato a servirla, ma questo non significava che doveva anche seguirla nella rovina; sentiva che era ad un passo dal cedimento: forse aveva preteso troppo ignorando i rischi cui sarebbe stata esposta.
Elbereth di nuovo si riprese ed annuì. Sentiva la presa ferma e forte delle mani del demone stringere ancora di più: - Devo aprire il cancello dell’Abazia. Devo entrare.
La superficie dell’acqua si increspò come se fosse stata sfiorata da un alito di vento improvviso. Poi di nuovo tutto si acquietò e una voce si diffuse intorno a loro:
I Tre Mondi infine si scontreranno;
voi visitate Mondi proibiti
aperti solo dalle chiavi dei sogni
e loro visiteranno il vostro.
Credete di liberare l’Uomo
Ma correte incontro alla rovina
Cercherete il passaggio
Ma dovrete mutare i vostri corpi materiali
Elbereth iniziò a pensare velocemente. Sapeva che non aveva ancora molto tempo a disposizione per comprendere quanto quell’enigmatico specchio di acqua le stava dicendo.
Parlava sottovoce con se stessa: - Tre Mondi…Tre Mondi… vediamo cosa potrebbe significare… i vivi, i morti, le ombre? Potrebbe anche essere. Va bene, diciamo che i vivi siamo noi, lo ombre lo sappiamo, ma i morti? E Damian? Lui a cosa appartiene?
Visitiamo Mondi proibiti. Le chiavi sono nei sogni. E’ questo un sogno? Le premesse non sono di certo le più amichevoli… Loro visiteranno il vostro. Ecco, questo è più preoccupante…ne abbiamo avute a sufficienza di visite.
Crediamo di liberare l’Uomo…magari questo fa riferimento al figlio di Lord Hamilton…ma perché lo crediamo e basta?
Correte incontro alla rovina. Oh beh, di certo non sarà una passeggiata…
Cercherete il passaggio. Sono qui per questo.
Mutare i nostri corpi…mutare i nostri corpi…il passaggio…spero proprio che questo non significhi che per entrare a Shadow debba mutare stato…da viva…a morta…
Era ancora impegnata in queste riflessioni che l’oracolo aggiunse: - Non tutto ciò che vive è vivo e non tutto ciò che muore è morto. Si può ingannare la vita e si può ingannare la morte.
Elbereth trovò questa frase alquanto criptica. Vita e morte prendevano significati diversi da quelli a lei noti.
Sentiva sempre la stretta di Damian che le permetteva di restare collegata alla realtà. Non era venuta fin qui per disquisire ma per ottenere risposte.
- Come faccio ad aprire il cancello?
- Sei davvero venuta fino a qui per avere questa risposta? O in realtà avevi altri scopi più personali? Ci sono molte cose che ti rodono dentro…Sacerdote… di cui cerchi di negare di voler sapere la verità. Ma è questo il tuo vero scopo, il motivo per cui sei discesa fino a qui, nell’Antro dell’Oracolo…
La testa iniziò a girarle. Era come se quella voce entrasse nella sua mente e cercasse di esplorare ogni angolo fino al più recondito dei suoi ricordi e dei suoi sogni. Avrebbe trovato anche le cose mai dette, le cose mai chieste. Le sue debolezze. E le avrebbe usate contro di lei.
Cercò di chiudere la sua mente. Doveva fare ricorso a tutto quello che le avevano insegnato per occludere a qualsiasi intrusione i suoi pensieri, per evitare contatti non voluti. Non era semplice. Si stava scontrando con qualcuno più forte di lei.
Di nuovo la voce di Damian la richiamò alla realtà: - Esci dal mondo dei sogni. Quello è il loro regno: è un terreno su cui non li puoi battere. Mantieni il contatto con il tuo di mondi. Sarà più facile. I luoghi in cui ti porterebbero sono facili da aprirsi; al loro interno vivono gli adoratori degli Antichi che sono sempre pronti a trarre in inganno coloro che volessero intraprendere il viaggio per attraversarli. Concentrati Elbereth…concentrati sulle tue domande. Visualizza l’Abazia e i suoi cancelli. Ricorda che non sono solo cancelli fisici per tenere fuori…o dentro gli esseri viventi e non, ma sono in grado anche di rinchiudere le anime e le menti deboli.
La sua mente uscì dal quel luogo e iniziò a valicare montagne e guadare fiumi e laghi fino ad arrivare nella piana ai piedi del monte Shadow dove sorgeva la città dei suoi servi, il primo dei luoghi che si sarebbe rivelato al mondo quando il Priore avrebbe scatenato le sue armate.
Procedendo e attraversando questo luogo mefitico i suoi occhi potevano vedere la montagna sulle cui cime era il castello che dominava l’intera vallata e l’Abazia i cui abitanti perseguitavano nei sogni gli esseri umani generando in loro follia ed orrore.
L’acqua della pozza ora sentiva tutta la potenza che veniva generata dalla visione di Elbereth ed iniziò a tremare come se percepisse la presenza degli Antichi padroni. L’intero specchio di acqua era scosso fin nelle sue intime profondità da una forza che andava ben oltre ogni immaginazione.
Ma Elbereth continuava ad avanzare. Iniziò a salire lungo le irte pendici fatte di roccia lavica e dura nera ossidiana. Erano taglienti come rasoi. Poteva sentirne i duri spigoli che le laceravano i pantaloni in pelle e le ferivano le carni procurandole profonde e sanguinanti ferite.
Ma nonostante tutto continuava a salire nel tentativo di raggiungerne la sommità fino ai suoi cancelli.
Iniziarono ad addensarsi nuvole nere e pesanti; come coltri minacciose a cercare di celare Shadows e i suoi segreti a questi occhi mortali che ardivano posarsi su questo luogo maledetto; una pesante cortina plumbea inghiottì il castello e tutto ciò che lo circondava.
Gli occhi dei padroni della fortezza ora erano puntati su di lei, su questo umano che si permetteva di giungere al loro cospetto impunito. Cercavano di sondare la sua mente per capire chi mai fosse. Elbereth doveva fare uno sforzo enorme per impedirne l’accesso. Il corpo materiale di Elbereth, strinse ancora più fortemente le mani a Damian. Le serviva il suo supporto ma in quel luogo di disperazione era sola. Le forze occulte che lo governavano ora erano concentrate su quel profanatore incauto e sprovveduto o, invece, e questo era peggio, perfettamente conscio di quello che stava facendo.
- Chi sei? Chi ha così tanto ardore tra gli umani di avvicinarsi a questa montagna?
Elbereth cercò di chiudere ancora maggiormente la sua mente. Non doveva permettere che venisse riconosciuta: avrebbero così capito le sue intenzioni. Doveva trovare la chiave per entrare prima che riuscissero a superare le barriere della sua mente.
- Mi resisti. Sei forte… Fa attenzione umano. Nessuno riesce a lungo a celarsi alla mia volontà. La follia è il prezzo da pagare per tutti coloro che vogliano sfidarmi.
Lei continuava imperterrita la sua salita che diventava sempre più estenuante: doveva vincere le avversità climatiche e mantenere il controllo dei suoi sensi.
Le nubi oscure si accalcavano sempre di più fino a ricoprire le torri e più in giù fino alle mura come pesanti drappi di velluto nero; ogni luce era stata fatta tacere; il giorno e la notte erano tutt’uno. Il tempo non aveva più ragione di essere.
Alzò gli occhi sotto le maestose mura. Si sentiva solo un piccolo essere in confronto alla loro sovrastante imponenza. Non se ne vedeva la fine. Parevano che giungessero fino al cielo ed salissero oltre.
L’acqua nella pozza si agitò ancora di più: ora che era giunta davanti al cancello, i suoi guardiani non potevano più ignorare la sua presenza.
- Vuoi dunque persistere nella tua intenzione di aprire questo cancello? Non sai che cosa troverai dall’altra parte. Devi essere cauto, umano, nell’Oltremondo non valgono le tue leggi, non vale ciò che credi. Altri fattori lo dominano. Tutto ciò che era umano ha perso la sua forma per diventare pura espressione di orrore e terrore. Pietà e compassione non gli appartengono. Prega di non averne bisogno perché non ne troverai.
Si poteva percepire la crescente irritazione. La mente di quell’essere sacrilego non era stata ancora penetrata e svelata. Era forte. Incredibilmente forte per appartenere solo ad un umano.
- Non mi hai ancora detto il tuo nome…chi sei? Come osi stare davanti a questo cancello? Percepisco un’altra presenza…più antica…un tempo potente…Ah…sì…ora è chiaro…Sei aiutato. Siete arrivati fino a qui. Ma non andrete oltre. Vi sono simboli ormai dimenticati che custodiscono questa entrata. Gli uomini hanno scordato le antiche conoscenze, esse sono andate perdute come perduti sono coloro che hanno costruito questo luogo. La dannazione è il solo premio a cui potrà ambire colui che vorrà entrare nei miei confini. A nulla vi sarà valso interrogare l’Oracolo. Ammiro il vostro coraggio. Ma sarà stato tutto inutile.
Elbereth aveva ascoltato in silenzio. Sapeva che tutto quello che le stavano dicendo aveva l’unico scopo di distrarla dal suo compito e di farla cedere.
E infine era di fronte al cancello. Lo toccò: le trasmetteva la stessa sensazione ricevuta mentre lo guardava. Era possente, pesante, impenetrabile. Vi appoggiò la fronte come se questo bastasse a dirle come penetrare i suoi segreti ed aprirlo.
Il cancello era chiuso.
Pesanti assi nere come scudi di una falange disciplinatamente allineati e serrati chiudevano fuori chiunque osasse avvicinarsi. Nemmeno una fessura a lasciare passare la luce. Pareva che nemmeno l’aria fosse in grado di attraversarlo.
Natura abhorret a vacuo: nulla avrebbe potuto descriverlo meglio se non questo.
Il cancello era chiuso.
I chiodi che ricoprivano la superficie parevano pesanti squame metalliche che proteggevano come un’armatura la struttura.
Esso chiudeva fuori chiunque non doveva entrare e dentro chiunque non doveva più uscire.
Si voltò piena di sconforto e passò gli occhi tutto intorno a sé. Poteva vedere solo la nuda ed arida terra e verso la valle la distesa di paludi ed acquitrini. Qui la vita assumeva un altro significato: non morte.
Si sentiva persa. Pareva non ci fosse alcuna possibilità di oltrepassare il cancello: era stato concepito e costruito per essere aperto solo dai suoi custodi. E dai loro eredi.
Spostò gli occhi verso il cielo livido e carico di nubi dense e pesanti. Le guglie acuminate si spingevano fin dentro di esse diventando un tutt’uno e confondendosi tra le pieghe che si incupivano e penetrando la volta come lame affilate.
Se mai qualcuno avesse pensato di scalare le mura per tentare di espugnare il palazzo aveva in questo modo chiaro che era una cosa sola priva di inizio e di fine.
Il cancello era chiuso. Il cancello era il limite.
Guardò in basso lungo il pendio: era cosparso di informi fagotti, corpi di un tempo esseri viventi avvolti in quanto restava dei loro scoloriti e consunti mantelli, ossa di coloro che erano giunti prima di lei e che avevano concluso il loro viaggio di fronte al cancello senza poter andare oltre, resti senza sepoltura che attendevano. Poi mosse lo sguardo oltre proseguendo lungo il crinale e scorse un ammasso di sassi su cui era piantata una spada. Appesa all’elsa una catenina che resisteva alle ingiurie del luogo. Si avvicinò e la prese in mano. Vi era inciso il suo nome. Le mani le tremavano e lasciarono cadere a terra quella reliquia che apparteneva ad un tempo ignoto, che era già, che doveva ancora essere o che non sarebbe mai stato. Cercò di ignorare la paura che si accresceva dentro di lei.
Raccolse la piastrina e la rimise al suo posto. Tornò al cancello.
Impugnò entrambi i grossi battenti in metallo; al tatto erano duri e freddi. Apparivano come due lunghe lingue nere che uscivano da bocche spalancate impresse su dei volti umani distorti da smorfie di orrore. Si avvicinò. Appoggiò la fronte chiudendo gli occhi: - Come si apre? Ti prego…dimmi come si apre…
Lentamente si accasciò a terra stringendo ancora di più quelle mostruosità antropomorfiche come se in questo modo potesse costringerle a rispondere: - Come ti apri?
Era sfinita.
Era giunta fino a lì, dopo aver attraversato con la mente luoghi sconosciuti. Aveva percorso un viaggio surreale fatto di visioni e di incubi, un viaggio fatto dalla sua mente ma che trasmetteva tutte le sensazioni provate al suo corpo mortale. Il sangue era reale. Le ferite bruciavano. Non poteva arrendersi proprio adesso.
Si voltò verso quell’ammasso di pietre: - Io non morirò qui!
E l’Oracolo di nuovo parlò:
Simboli ormai dimenticati
mi adornano e sorreggono.
Ed essi custodiscono il mio segreto.
La chiave è manifesta
a chi saprà vedere.
Aprì nuovamente gli occhi. Si trovava ancora davanti all’enorme ingresso chiuso e sprangato.
- La chiave è manifesta a chi saprà vedere – sussurrò.
Iniziò lentamente ad osservarlo e studiarlo. E poi si avvicinò quasi a diventare tutt’uno con il cancello. Simboli. C’erano simboli sugli enormi chiodi che tenevano unite le assi. Li passò uno ad uno sfiorandoli con le dita. Ne poteva sentire i rilievi. E uno alla volta li decifrò.
Ora sapeva come entrare.
Poi sentì come se venisse risucchiata in un vortice: riattraversò montagne, fiumi e valli e la sua mente tornò nell’antro.
Anche il suo corpo in superficie fu scosso da un tremito.
Aprì gli occhi ed annuì.
- Possiamo tornare. Ho le risposte che cercavo.
L’acqua della pozza tremò nuovamente ed iniziò ad agitarsi come mare in preda ad una tempesta.
- Avete violato le mura di Shadow. Questo sacrilegio non resterà a lungo impunito!
Damian si voltò: - Dobbiamo uscire. Adesso.
Elbereth annuì. Era molto provata dall’esperienza.
Si incamminarono verso l’apertura della grotta da cui erano entrati. Non avrebbero potuto ripercorrere la strada già fatta: uscire da quel luogo sarebbe diventato più difficile che l’entrarne.
Damian stava valutando un’alternativa: un ponte che collegava i due mondi. Non era mai stato percorso, non da esseri viventi, e sperava che Elbereth fosse abbastanza capace e forte per affrontare questa via. Sapeva che erano solo all’inizio: l’oracolo non si sarebbe fatto scappare così facilmente un umano che fosse penetrato nel suo regno.
- Non vuoi sapere nient’altro? Non ti sarà concesso tornare un’altra volta. Sicuramente non in un corpo mortale…
Elbereth si fermò. La tentazione era molto forte. Cercava di ripetere a se stessa quello che Damian le aveva detto prima di entrare: nessuna domanda al di fuori di quello per cui erano venuti. Scosse la testa come volesse fare uscire dalla sua mente quella voce che insisteva.
- Ho ottenuto quello che volevo. Ora devo tornare nel mio mondo. Questo mondo non mi appartiene e io non appartengo a lui.
- Ma sicuramente avrai molte domande dentro di te. Perché non approfittare di questa unica occasione che ti è stata concessa…
La voce diventava sempre più insistente: - Magari…vuoi sapere di tua madre…
Elbereth si fermò e si voltò di scatto. Sul suo viso prese forma un’espressione incredula. Rimase attonita incapace di proferire alcuna parola tanto in profondità aveva iniziato a scavare quel piccolo accenno alla sua infanzia, di cui ricordava quasi nulla.
- Non mi serve sapere niente su di lei. Mi amava. E questo mi basta.
- Io mi riferivo alla tua vera madre…
Ora lo sguardo di Elbereth era cambiato. I suoi occhi erano colmi di sbigottita sorpresa. Non riusciva a capire di cosa stesse parlando.
Damian percepì il gioco pericoloso e perverso che stava per iniziare. Le strinse il braccio così forte da farla gemere dal dolore.
- Lascia stare Elbereth. O resteremo qui per sempre…
I loro occhi si incontrarono. Lo sguardo di Elbereth tremava. Pensava di essere preparata a tutto, ma non a questo. Il dubbio si era insinuato nella sua mente ed ora stava crescendo; come un cancro la rodeva dentro.
Damian la guardò supplicandola: - Ti prego. Elbereth. Lascia stare. Ci sarà il tempo delle risposte. E non è questo.
Le strinse entrambe le mani.
Il viso di Elbereth era carico di dolore e una lacrima le sfuggì dagli occhi rigandole una guancia.
Ripercorsero a ritroso la via fino all’ingresso della caverna e poi fuori dove l’improbabile spiaggia era ancora intonsa. Una distesa infinita di sabbia rossastra. Di nuovo Elbereth guardava stupita il cielo che li sovrastava: un cielo che non doveva esistere che si trovava sopra ad un mare altrettanto irreale.
Dovevano tornare in superficie. I loro corpi all’interno del cerchio cominciavano a patire lo sdoppiamento e non era rimasto molto tempo prima che la scissione diventasse irreversibile.
- Elbereth – le disse il demone - la strada percorsa all’andata è andata distrutta durante lo scontro con le anime. Dobbiamo procedere per un’altra via, non meno difficile e pericolosa.
Le prese la mano e la condusse verso l’acqua. Elbereth lo guardò incredula. Cosa pensava di fare? Attraversare a nuoto quell’immensa distesa senza fine?
- Devi avere fiducia… - E continuò ad entrare nell’acqua.
Lei si ritrasse. Fiducia in cosa? Non sapeva per quanto avrebbero dovuto nuotare. E di certo non lo avrebbero attraversato camminando sul fondo.
- No. Non devi nuotare. Tutto questo non è reale e lo sai benissimo. Lo devi anche credere però. Quando ne sarai consapevole allora ti renderai anche conto che non sarà un problema entrare in queste acque. Il nostro corpo vivente non è qui. Devi accettare questo fatto. E quindi se non siamo qui nulla di tutto questo accade. Devi vincere le tue paure. Devi andare oltre la percezione delle cose ed avere l’intero controllo della tua mente e dei tuoi sensi. Non devi permettere che essi offuschino la tua capacità di discernere ciò che è reale da ciò che non lo è. Credi che questo sia difficile? Non è niente in confronto con quello che ti aspetta. Come pensi allora di affrontare Shadow e i suoi padroni? Non è niente confronto a quello che dovrai fare per superare il cancello. Se pensi di non essere capace di fare questo allora è meglio che torniate indietro tutti e che vi limitiate ad aspettare la fine quando essa giungerà e busserà alle vostre porte.
Iniziò a muovere i suoi passi verso la distesa di acqua. Si ripeteva che tutto questo non era reale. Il suo corpo fisico per il momento era al sicuro sulla superficie, nel mondo esterno. Ma sapeva anche che se avesse fallito in quel luogo, ne avrebbe pagato le conseguenze.
Mentre si immergeva lentamente, le pareva di diventare tutt’uno con quel liquido che le attraversava il corpo. Era come se si stesse dissolvendo dentro di esso. La paura si stava impadronendo di lei, ma non poteva più tornare indietro. Prese un respiro profondo e poi tutto divenne informe, senza tempo e senza luogo, in un’altra dimensione.
 

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Capitolo 24
*** Menzogna e verità ***


Il corpo mortale di Elbereth si stava addormentando mentre la su mente combatteva per restare vigile. Sentiva il penetrante odore di salmastro del mare; l’acqua le sfiorava la pelle, il viso e le sue membra erano scosse da sussulti e attraversate da tremiti. Un formicolio le correva lungo tutto il corpo dovuto ad uno stato di eccitazione interna che affiorava sotto la spinta della paura che si era impadronita di lei. Sprofondava sempre di più nelle acque nere di quel mare improbabile e sempre di più aumentavano le vibrazioni che come onde oscillanti si diffondevano in lei.
Non sapeva più se era sveglia o se stava vivendo in un sogno. Un torpore diffuso le avvolse completamente le membra e non riusciva più a sentirle. Si sentiva persa in un buio senza fine.
Intravedeva ancora le innumerevoli fiammelle che si agitavano tremule nel cielo; cercava di metterle a fuoco nell’ultimo disperato tentativo di non perdere i sensi.
Poi tutto si spense.
Aveva avuto accesso ad una dimensione dello spazio in cui il tempo scorre con leggi sue, più veloci che nella realtà. Le sue percezioni erano state modificate per poter sopravvivere in quello stato dove non necessitava di cibo e acqua e dove la fatica e la stanchezza non venivano percepite.
La realtà come la conosceva era stata alterata e dilatata: ciò che aveva vissuto come un viaggio lungo era durato solo pochi attimi nel mondo reale.
Non era semplice però riemergere da quello stato di sospensione: bisognava permettere al proprio fisico e alla mente di allinearsi nuovamente con la normale velocità di scorrimento del tempo.
Damian uscì dal cerchio sorreggendo Elbereth. L’adagiò dolcemente sul prato.
Nella mente di Elbereth tutto era ancora confuso. Sentiva un brusio di voci che provenivano da ogni parte e le martellavano in testa. Erano sempre più insistenti e la stavano facendo impazzire.
Voleva scacciarle e cercò di alzare un braccio per allontanarle, ma non riusciva a spostarlo era pensante e non rispondeva ai suoi comandi.
Tutto il suo corpo non rispondeva. Un pensiero le passò fulmineo: era forse morta?
Un senso di panico l’avvolse. Provò ad aprire gli occhi, ma anche questi non volevano risponderle.
Eppure le voci che sentiva le erano famigliari. Non potevano essere morti tutti.
Una voce sopra tutte.
- Chi siete? – voleva chiedere. Ma dalla sua bocca non uscì che un suono gutturale.
Era immobilizzata. Ma sentiva un forte dolore al braccio sinistro. I morti non provano dolore, si disse. O no. Non sono mai stata morta… questo commento che le passò per la mente riuscì a convincerla di essere ancora viva.
Si sentiva toccare, accarezzare.
Di nuovo tra tutte le voci che le parlavano una era più insistente e potente.
Finalmente iniziò a muovere, o almeno così le parve, le dita delle mani. Il sangue aveva iniziato a fluire ancora e a scorrere nelle vene e si lentamente si stava riprendendo.
Questa volta ordinò con maggior decisione ai suoi occhi di aprirsi. Riuscì ad intravedere un bagliore. Sembrava quello di una fiamma.
Era ancora tutto offuscato, ma adesso sapeva con certezza di essere viva. Lentamente tutte le figure che le stavano attorno e che prima le apparivano come sagome informi iniziavano a diventare nitide.
Il battito cardiaco si stava regolarizzando
Nella realtà era durato poco, ma era stato molto intenso.
Elbereth era esausta e il sangue che le era colato lungo il polso si era ormai raggrumato.
- Non potevo offrire il mio – le disse Damian in tono di scusa – il mio sangue non è considerato moneta di scambio.
Elbereth ora era completamente presente a se stessa. Si alzò e iniziò a guardarsi attorno passando uno ad uno il volto dei presenti fino a quando non si fermò su colui che stava cercando: - Dobbiamo parlare. Non abbiamo molto tempo.
Le parole dell’oracolo le risonavano ancora in testa come una minaccia: “la tua vera madre”.
Si diresse senza indugio verso il re.
Lo sguardo con cui lo stava guardando era più che esplicito. La verità così a lungo celata era emersa dagli abissi in cui aveva tanto disperatamente cercato di relegarla.
- Padre. Ti devo parlare. Adesso. Subito. Devo conoscere. Devo sapere a cosa andrò incontro. Per il bene di tutti.
Il re abbassò lo sguardo. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe dovuto raccontarle la verità. Aveva sempre sperato che potesse essere qualcosa che sarebbe andato dimenticato, ma purtroppo non era stato così.
- Vieni – le disse – vieni, figlia mia. Ti prego. Ascolta tutto prima di giudicarmi.
Le raccontò ogni cosa: le sue ambizioni, i suoi desideri, la sua vittoria, la sua rovina. Parlava guardandosi le mani. Un tempo erano candide come le sua anima, erano pulite come i suoi pensieri. Erano mani che si erano dedicate allo studio della legge e della filosofia, al pensiero; ed ora le vedeva lorde di sangue, il sangue che era stato versato per soddisfare il suo desiderio di potere e che ora chiedeva il fio.
Voleva spiegarle ogni cosa. Cercava le parole in mezzo ad un turbinio di pensieri ed emozioni: - Gli esseri umani sono deboli, Elbereth. Ed è proprio a causa della loro debolezza che sono affascinati dal potere. Quindi lo cercano, lo cercano disperatamente anche inconsciamente. Cercano in esso quella forza che non trovano in loro. E quando qualcuno offre loro la possibilità di accedervi, essi sono disposti a tutto pur di ottenerlo. Si sottomettono, rinunciano a se stessi, rinunciano alla loro anima e al loro corpo. Arrivano a negare il proprio io nel suo nome. Sottomettono gli altri proprio per sentire il Potere nelle loro mani. E più ne sono investiti, più cercano il suo profumo inebriante. Ne sono fagocitati, ne vengono corrotti. Mia cara Elbereth…il potere mi ha inghiottito, mi ha preso dentro di sé ed invece di controllarlo ho cercato di compiacerlo e alla fine l’ho subito. Mi ha consumato. Lentamente ma inesorabilmente.
Elbereth non sapeva più in cosa credere. Non sapeva se infuriarsi o se cercare di capire il comportamento di quell’uomo. Di suo padre. Era colpevole o era stato indotto alla colpa? Era consapevole delle sue azioni o ne era stato lo schiavo?
Se lei lo avesse odiato sarebbe diventata come lui? Era quello lo scopo ultimo dell’oracolo? Ora lei conosceva le sue origini e la sua nascita. Conosceva la sua vera natura. Parte di lei era demone.
Era da questo che Damian l’aveva messa in guardia? Temeva la sua reazione e le sue conseguenze?
Una mezza bugia è forse più pericolosa di una falsa verità?
Non capiva. Non sapeva più come distinguere i ricordi fondati sul vero da quelli generati dalla menzogna.
Ma dove stava il vero inganno? In colui che mente a fin di bene o in colui che mente per evitare mali peggiori?
Era alquanto doloroso per lei constatare quanto fossero state cattive e corrotte le azioni condotte fino ad allora sotto l’impulso di false emozioni.
Ma cos’è la verità? Essa è parte delle emozioni che prendono la guida delle azioni umane e che possono dirigerle verso scelte che nessun essere razionale prenderebbe. Emozioni che possono spingere a pensieri e comportamenti che non verrebbero mai considerati se liberi. Se la menzogna invece è così ben costruita da non essere distinguibile dalla verità allora chi può biasimare colui che gli accorda la medesima fiducia?
Damian leggeva in lei le domande che si stava ponendo e le disse: - Conosco questi sentimenti. Li ho provati…
Si fissarono per un momento negli occhi. Lei non seppe reggere quello sguardo e li abbassò per prima.
- Non farli diventare la tua debolezza. Ti scontrerai con un demone molto astuto. Cercherà di sorprenderti. L’attacco non sarà sempre la mossa più conveniente. Ti osserverà, ti spierà; guarderà ogni tua mossa, ogni tuo singolo sussulto, giorno e notte, nella veglia e nei tuoi sogni. E aspetterà… Aspetterà il momento favorevole per divorarti. Ricordati, Elbereth, tu sarai anche un Sacerdote, ma lui ti supererà in malizia ed esperienza. La sua astuzia ha tratto in inganno anche chi era pieno di grazia, ricco in virtù; chi era più elevato in santità e sacralità. E’ scaltro ed abile. E’ riuscito a sorprendere e derubare anche nel regno dei cieli, saccheggiandolo dei suoi angeli.
Elbereth era piuttosto sorpresa di quanto Damian le stava dicendo e soprattutto la sconcertava il tono accorato con cui l’ammoniva dei castighi infernali.
- Da che pulpito…! Avete scelto voi…Tu hai scelto.
Damian spalancò gli occhi infiammati dallo sdegno. Ricordava quanto si erano detti la prima volta che si erano incontrati che sembrava appartenere ad un tempo ormai lontano: - A volte si crede di aver scelto. Quello che invece accade in realtà è che si obbedisce, indipendentemente dalle nostre attitudini, agli impulsi generati dalla parte oscura presente in ogni creatura. E’ una forza, potente – ora gli occhi gli stavano brillando - che ti permette di salvarti dalle situazioni più disperate, ma se ti domina resterà per sempre e dovrai conviverci pur sapendo quello cui potresti arrivare se la lasciassi libera. Quello che saresti in grado di fare…
Sospirò. Mentre parlava stava vivendo nuovamente quella sensazione che aveva provato la prima volta che quella forza che aveva iniziato a scorrere nel suo sangue e che si era insediata nel suo spirito.
- Ognuno di noi ha uno scopo. E per portarlo a compimento servirà sempre l’azione congiunta tra l’io e il suo complementare che appartiene al lato oscuro.
Spostò gli occhi sul re. Era chiaro ciò che voleva farle capire.
Non doveva dare affrettati giudizi senza tener conto del peccato originale e il suo effetto che ha avuto sull’uomo: l’ha corrotto, deturpato, ne ha imputridito l’anima.
- I peccati potranno essere anche stati perdonati Elbereth, all’uomo questo è stato concesso, ma lasceranno sempre degli strascichi nella vostra preziosa anima. Dei rifiuti che ne corrompono l’integrità. L’anima dell’uomo ha assunto una forma carnale e, come tale, è soggetta ai peccati del corpo e della mente.
Elbereth ascoltò con attenzione le parole del demone. Ripensava anche alle parole che le diceva suo padre quand’era bambina: - Mia cara Elbereth. Ricorda. Il primo strumento che il male usa per trarre l’anima in sua schiavitù è la mancanza di riflessione, che fa perdere di vista lo scopo per cui ci è stato donato il libero arbitrio: lo desiderano in molti, ma ben pochi lo possiedono realmente.
Solo ora riusciva a capire cosa volesse dirgli. La libertà dell’uomo stava nel possedere il libero arbitrio, la giustizia divina nel punire il suo cattivo uso derivante dal commettere dalle azioni affrettate.
- Tuo padre ha avuto troppa fretta, Elbereth. Fretta di conquistare il potere, come ne ho avuta io…
- “Cosicché, se quelli, per iniquità della loro volontà, avranno fatto cattivo uso dei suoi beni, Dio, per la giustizia del Suo potere, farà buon uso dei loro mali, ordinando giustamente nelle pene coloro che hanno pervertito l'ordine nei loro peccati“ – commentò Elbereth voltandosi verso suo padre.
In tutti noi il seme del male è presente: in alcuni è dormiente, in altri solo un germoglio e in altri ancora una pianta rigogliosa. Tutto dipende da quanto viene innaffiato. Elbereth sentiva che in lei quel seme non aveva mai attecchito.
- Che ne sarà di mio padre? – chiese al demone – so che tu puoi saperlo…
- Ho visto dentro la sua anima, Elbereth…non puoi farci niente…
- Che significa Damian?
- Il seme del male che è stato impiantato dentro di lui è germinato e cresciuto. La sua anima è corrotta, corrotta dalle fiamme, dal peccato, dalle tentazioni. Il suo mondo è ora fatto di sofferenza e perfidia e la linea che divide il bene dal male è diventata sottile, leggera e si è confusa…
La mente del re ora stava ripercorrendo i tempi passati. Sentiva nuovamente le voci di quegli esseri evanescenti che lo accompagnavano mentre camminava tra le colonne della Sala del Trono. Le poteva sentire ancora. Ora erano solo fugaci bisbigli; non sempre riusciva a capire tutto quello che dicevano, ma erano armoniose e melodiche; si rivolgevano a lui con toni avvolgenti. Sembravano una sola voce perfettamente accordata che parlava alla sua mente raccontandogli la storia della sua gente e la sua sorte. Gli descrivevano con parole suadenti e persuasive lo splendore del suo regno e la potenza della sua stirpe cui sarebbe giunto se il potere delle Ombre fosse stato ricostituito nella sua interezza. E il suo dominio e la sua potenza anche oltre la soglia della morte.
Il re li stava guardando. Sul viso era dipinta un’espressione contorta e sconvolta dalla disperazione.
- Io ascoltavo e le domande si affollavano nella mia mente. E intanto le ombre vorticanti ammaliavano la mia anima e in esse si smarriva. E il cuore si raffreddava rigettando l’amore per gli uomini, l’inganno si faceva sempre più profondo man mano che penetravo i segreti delle Ombre.
Si irrigidì e tacque. Chinò il capo e il silenzio in cui si era chiuso venne spezzato da un singulto. Gli occhi gli si riempirono di lacrime e in preda alla disperazione si abbandonò a un pianto dirotto, ma non era un pianto liberatorio. Quelle erano lacrime che nascevano dalla consapevolezza dei suoi peccati e delle loro conseguenze.
Il suo vecchio corpo era tormentato dalla cupidigia, il suo spirito prigioniero dell’essenza dell’inumanità alimentata dai rimorsi.
Sapeva che le lacrime non avrebbero mai lavato le colpe dei suoi peccati e che il pentimento non sarebbe bastato. Nemmeno parole di preghiera e una confessione in nome di una presunta fatalità lo avrebbero condotto alla salvezza. Si avvicinava ogni giorno passo dopo passo al baratro della dannazione.
Le tentazioni suscitate nel profondo dell’anima gli avevano regalato un piacere furtivo, la superbia lo aveva elevato al di sopra di se stesso, e alla fine la mente affannata da tutto ciò era come fosse guidata da una schiera di demoni che si rotola convulsa nel fango e i cupi pensieri scorrevano come un fiume invisibile trasportando dentro di lui la morte.
Sentiva che qualcosa lo stava stritolando da dentro; ciò che il maligno aveva impiantato si stava sviluppando nella sua anima ormai corrotta generando un intricato groviglio di spine che cresceva man mano che si avvicinavano a Shadow e ai suoi signori.
Si portò le mani alla testa: - Le Ombre!
- Le Ombre… Le Ombre cosa?
Il mistero dell'iniquità che opera nel mondo era già all'opera.
Con un’espressione indecifrabile si portò le mani agli orecchi: - Parlano! .... – gridò. Poi si girò e alzando uno sguardo folle di paura verso la figlia – …Mi parlano…capisci?
- Che stanno dicendo? – chiese Elbereth – che ti dicono?
- Sussurrano. Sussurrano storie di morte. Raccontano del destino dell’uomo e di come egli stesso si affretti alla sua rovina. Raccontano di chi ha osato sfidare il signore dell’Ade e voluto lottare contro gli inferi, i loro dei e i loro guardiani. E di come abbia miseramente fallito. Raccontano delle pene eterne cui sarà condannato il genere umano a causa della sua avidità, disperso e straziato dalla persecuzione diabolica. Della dannazione che l’avrebbe colto, che l’avrebbe trascinato oltre la soglia della via che conduce al regno dei morti e che l’avrebbe fatto a pezzi e dato in pasto al Cerbero. Dicono che nulla potrà fermare l’avanzata delle Ombre, sono forti, inarrestabili. Nessuno potrà impedire l’avvento del loro regno. Le tenebre avvolgeranno la terra in una notte imperitura.
Ora il re aveva smesso di parlare. I suoi occhi si erano spenti e persi fissando nel vuoto qualcosa che solo lui poteva vedere. Tutti i comandanti si erano ammutoliti ed evitavano di guardarsi negli occhi gli uni con gli altri. Alcuni di loro con lo sguardo a terra, altri che giocavano con i tizzoni del fuoco.
La fiamma del bivacco sprigionò una colonna di scintille e il fuoco che prima languiva ora crepitava di nuovo innalzandosi verso il cielo con lingue rossastre. I soldati attizzarono ancora una volta i carboni ardenti.
Elbereth si era seduta ed osservava la luce del fuoco. Sul suo viso giochi di luce e riflessi di ombre venivano creati dalla danza selvaggia delle fiamme.
Alzò la testa. Avvolti nel fumo ed illuminati delle fiaccole su tutti conferivano ai volti un aspetto sinistro e inquietante.
Anche Damian che si era tenuto in disparte, adesso era ben visibile. La luce del fuoco lo aveva raggiunto malgrado avesse cercato di nascondersi ad essa. Le sue pupille si erano dilatate rendendo i suoi occhi completamente neri e brillanti. Esaminava severamente gli esseri umani che si trovavano seduti in silenzio ad osservare le braci accese che brillavano all’interno della fiamma. Sentiva accrescere i loro tormenti e le loro paure. Guerrieri che avevano combattuto in patria e in terra straniera, che avevano affrontato i nemici più spietati e terribili, eppure che ora tremavano sotto il suo sguardo inquisitore.
Il sole non si era ancora affacciato ed era ancora nascosto nel suo letto ad est. Le ore più fredde si stavano avvicinando e l’aria si era fatta più pungente e il gelo penetrante. Elbereth si strinse di più nella pesante coperta di lana che aveva sulle spalle e si tirò sul viso il cappuccio della cappa nera che indossava.
Nel silenzio si poteva sentire solo il respiro profondo di chi stava cercando di riposare.
Le tenebre profonde che avevano avvolto le stelle stavano lasciando posto al chiarore dell’alba e i primi raggi del sole spuntavano dall’orizzonte ordinando alle nebbie di dissolversi. Un chiarore si propagava velocemente ad est mentre le sagome della catena montuosa su cui spiccava il Monte Shadow uscivano dallo sfondo nero lentamente una dopo l’altra man mano che il sole si sollevava all’orizzonte.
Una melodia di diversi animali iniziava a propagarsi tra gli orridi acquitrini. Prima un grido in lontananza ad est, poi un altro e un altro ancora. Le malvage creature della palude si stavano risvegliando una dopo l’altra e le loro voci riempivano l’aria satura e pesante rimbombando come tuoni.
Gli uomini si erano svegliati prima dell’alba; nessuno era riuscito in realtà a dormire. Lord Hamilton stava guardando sorgere il giorno mentre i soldati stavano mangiando insieme dei pezzi di focaccia e formaggio accompagnati da una brodaglia calda. Terminarono velocemente e con attenzione coprirono ogni traccia del loro passaggio spegnendo i resti dei tizzoni ardenti ricoprendoli con la terra.
William era immobile, rapito ad osservare il cielo che cambiava colore mentre il corpo del sole prendeva lentamente forma.
Damian si avvicinò a William e, sfiorandoli appena un braccio, gli fece cenno che era ora di partire.
Lord Hamilton guardò sorpreso la mano del demone, poi si rivolse a lui con un sorriso triste: - Guarda… Il sole ogni giorno nasce per illuminarci, riscaldarci, farci vivere. Noi non sappiamo nulla e non comprendiamo nulla di tutto questo, eppure contiamo sulla sua presenza quotidiana…Al sole non importa nulla di tutto questo – aggiunse poi con un ampio gesto del braccio – sorride al mondo e pensa solo a dare luce, calore e vita. Dovrebbero fare così anche gli uomini…invece ora vediamo solo buio, gelo e morte…
Damian abbassò lo sguardo: - colui che si adatta ottiene il diritto di vivere e sarà un superstite della natura…
Raccolsero ogni cosa e si incamminarono verso le montagne.

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Capitolo 25
*** La Piana della Palude ***


​Passo dopo passo si addentravano nei terreni paludosi che ricoprivano la piana alla base delle pendici dei monti; il rumore del ferro degli zoccoli diventava sempre più sommesso e le voci degli uomini erano sempre più simili a sussurri e bisbigli soffocati.
Una nebbia fuligginosa ricopriva le paludi che si stendevano nella piana. Non un alito non un filo di vento; nulla a disperdere la nebbia che si insinuava attraverso la pelle nelle loro carni fino alle ossa che pareva salire dalle profondità della terra.
A mano a mano che procedevano si guardavano attorno. Ogni cosa era immersa in una pesante coltre bianca, gelida e pungente. Il sole doveva essere sorto, in qualche angolo del cielo, ma i suoi raggi non riuscivano a passare e a scaldare. Cespugli, arbusti, fiori, alberi: tutto appariva come scheletri e ombre nel paesaggio spettrale che circondava le montagne.
La luce che a stento arrivava a terra era rossastra. L’umidità diventava sempre più opprimente. Un effetto combinato del luogo in cui si stavano inoltrando e del giorno che stava avanzando.
Il sole, oltre quella coltre pesante, era arrivato all’apice della sua altezza: da qualche parte doveva essere mezzogiorno.
Il cielo assunse strani colori dalle tinte malsane; anche l’aria era pregna dei miasmi mefitici esalati dalla palude. La colonna militare avanzava lentamente e con maggiori e crescenti difficoltà.
Proseguirono così per tutto il giorno, tra difficoltà e cammini impervi cercando di mantenere un’andatura costante.
Tutto intorno l’aria caliginosa e stagnante aveva reso fluttuante l’orizzonte; dal terreno salivano vapori che facevano vedere ogni cosa che ondeggiava e tremolava. Miraggi di infiniti specchi di acqua che si formavano in lontananza ingannavano la vista del viaggiatore sprovveduto. Il cavaliere che guidava la colonna alzò il braccio destro in segno di fermata. “Alt!” risuonò lungo l’intera armata; come un’unica voce concorde centinaia di soldati segnarono il passo e si fermarono. Rimasero in attesa ordinatamente e silenziosamente. Quando poi ripresero la marcia si diressero verso la base di alcune alture e si accamparono.
Alcuni soldati seduti attorno al fuoco stavano bisbigliando: - Hai sentito? – chiese uno.
- No…cosa? – chiesero gli altri alzando di colpo la testa e strizzarono gli occhi cercando di bucare il buio con gli sguardi.
- Appunto… nulla – continuò il primo – Assolutamente nulla. Siamo circondati da stagni e acquitrini, ma nessun gracidare, nessun ronzio… Nulla… - abbassò di nuovo lo sguardo scuotendo la testa turbato, così come fecero i suoi commilitoni. Il commento era stato molto eloquente.
Era ormai il crepuscolo e con l’avvicinarsi dell’imbrunire il cielo prese ad oscurarsi e l’aria finalmente a raffreddarsi.
Damian si alzò pensieroso; si guardò attorno e scrutò il cielo per cercare di comprendere ciò che non si manifestava apertamente, aspettando forse risposte dalle stelle che iniziavano ad affacciarsi tra il buio. S’incamminò verso alcune rocce che si ergevano sull’altura e che nascondevano ai loro occhi la piana di Shadow. Lord Hamilton lo raggiunse e si sedettero con le spalle addossate alla parete di un terrazzino di roccia che sovrastava lo strapiombo.
- Tutto quello che succede accade perché deve accadere. Se osservi con attenzione, vedrai che è proprio così. L’universo è in cambiamento…Non stare troppo in ansia per l’avvenire perché vi arriverai comunque. Ogni cosa era già stata preparata per te da tutta l’eternità – disse Damian senza mai staccare gli occhi dalla fortezza.
- No – ribatté con enfasi William - l’uomo è artefice del proprio destino. Che razza di uomo sarei? Non voglio lasciare niente di intentato.
Rimase in silenzio. Poi riprese con un tono più sommesso: - Non lo abbandonerò là…
L’abbazia si stagliava nello sfondo della notte, appena rischiarata dalla debole luna che la rendeva ancora più tetra con i giochi di ombre e luci che venivano creati dai suoi raggi argentati.
Shadow e la sua piana. Un luogo dove il tessuto sociale si regge su una parvenza di civiltà, una civiltà corrotta e divorata dal baco della depravazione; piccoli villaggi sparsi fatti di bicocche e baracche fatte con assi di legno ormai reso marcio dall'umidità delle paludi e degli acquitrini putridi circostanti. Shadow e la sua piana. Un luogo immerso nella nebbia, dove ogni cosa viene fagocitata nelle viscere di un perenne pantano. Shadow e la sua piana. Un luogo vivo di morti in cui la malvagità è un cuore pulsante che permette il fluire dell’oscura conoscenza che si riversa come una corrente malefica a inabissare le anime degli abitanti nel giogo profondo delle Ombre.
Nessuno ormai era in grado più sfuggire al loro potere ammaliante tanto devastante è la loro capacità di egemonia e tanto straordinario il loro fascino da esserne ormai completamente assuefatti.
Madre Natura, nel suo ciclo perpetuo di generazione e distruzione, qui si rivelava essere madre terribile e famelica, origine di orride creature.
I suoi tentacoli prendevano forma e si allungavano nella palude, antico e maligno luogo dove la corruzione delle anime si espandeva.
Luogo patria dell’eterna lotta che governa l’universo fin dal suo principio in cui spazio e tempo si confondevano in una spirale indefinita che si avvolgeva su se stessa portando con sé luce e buio mescolandoli in infinite sfumature che si riprendevano e dissolvevano nell’eterno gioco che li lega indissolubilmente.
Ed ora si trovavano ad osservare quella zona di desolazione, dove si confondevano i limiti tra carne e spirito, così fugaci, così caduchi e dove i segreti della Vita e della Morte si muovevano insieme fondendosi in un unico nucleo incandescente la cui conoscenza era ambita fin dall’origine dei tempi.
Un ultimo sguardo e tornarono indietro. L’alba era vicina ed era arrivato il momento di muoversi. Nuvole nere avevano preso il posto della luna e delle stelle e una pioggia malsana iniziò a cadere prima a piccole gocce poi in un scrocio continuo.
- Tutto questo non è naturale - disse uno dei vecchi soldati borbottando poi parole incomprensibili – Questa acqua non viene per dissetare la terra. E’ acqua che brucia…
Sembrò essere molto lontano, con lo sguardo fisso nel vuoto, poi improvvisamente tornò in sé e si mise ad indicare qualcosa oltre la piana, sulle colline.
Un barbaglio dietro le imponenti mura della fortezza aveva attirato la sua attenzione: alzò la mano ferma puntando il dito verso la cupola che pareva essere diventata incandescente.
- Laggiù – disse solamente. Poi ritrasse verso di sè il braccio e per un attimo osservò il pugno chiuso che abitualmente stringeva l’elsa di una spada ora invece racchiudeva un’immagine sacra, ultimo dono di sua moglie.
I presenti voltarono lo sguardo nella direzione indicata. Colonne vorticose di fumo e cenere si sollevavano verso il cielo oscurando in penombra il sole ormai sorto. La nube di detriti ricopriva l’intera vallata facendo ripiombare la piana di Shadow in una notte fonda senza fine.
Damian si chinò a terra ad osservare i frammenti ancora infuocati che li avevano raggiunti. Allungò la mano come per raccoglierne uno. Poi si ritrasse cupo in volto.
- E’ così. – annuì. Come d’abitudine parlava più rivolgendosi a se stesso che agli astanti. Si alzò in piedi e posò lo sguardo verso le rupi.
- Dobbiamo accelerare il passo – disse poi voltandosi verso il re – il fuoco degli Abissi è stato risvegliato. Presto uscirà rovinosamente e dilagherà nel vostro mondo. Nessuno potrà più fermarlo una volta che il Servo si unirà al suo Padrone.
Il giorno precedente avevano discusso a lungo su come avrebbero gestito l’attacco.
Gli ultimi esploratori erano appena rientrati e con le nuove informazioni che avevano portato si stavano affrettando a modificare la mappa che avevano steso sul tavolo nella tenda utilizzata come quartier generale.
La tenda, per quanto grande, conteneva a stento i militari e il grande tavolo su cui era stata stesa la mappa. Tutti erano stretti attorno ad essa. Rappresentava i dintorni dell’Abazia, ma senza dettagli che man mano venivano aggiornati con le informazioni che giungevano con gli esploratori
- Gli ultimi due gruppi sono rientrati Mylord – disse la sentinella a guardia dell’ingresso.
- Fateli venire immediatamente – rispose il re. Aspettavano con ansia questi ultimi dato che erano quelli che si erano spinti più a nord sui monti nei pressi del castello.
Gli sguardi di tutti accompagnarono il gruppo di soldati che con passo lesto era entrato nella tenda. Si fermarono a debita distanza e solo il comandante si avvicinò con sguardo serio e scuro in volto.
Era un uomo esile di aspetto, ma molto agile come conviene ad un esploratore. Il mantello che lo avvolgeva nascondeva un fisico di una inaspettata forza. L’abbigliamento tipico che indossava per poter camuffarsi nell’ambiente non gli rendeva affatto giustizia.
Con voce ferma stava ricapitolando quanto avevano osservato.
Migliaia di esseri infernali brulicavano in quelle terre desolate. Immondi e informi sorgevano dalle viscere della Terra generati e nutriti dall’odio che crescente.
Man mano che procedeva nel resoconto era chiaro che solo la forza della disperazione poteva guidarli in questa ultima strenua difesa.
Ascoltavano le sue parole in silenzio, solo il rumore del vento disturbava la loro attenzione. Un silenzio che portava loro parole ostili che lentamente si andavano ad insinuare nelle loro menti iniziando ad annullare le loro volontà.
Si misero a studiare nuovamente la mappa approssimativa che avevano della zona. Dovevano basarsi sulle poche informazioni che erano riusciti a recuperare e soprattutto dovevano fidarsi di quanto diceva loro Damian. Non tutti accettavano di buon grado che un demone potesse guidarli all’interno di quell’antro infernale. Un demone nel regno dei demoni.
Damian li osservava in silenzio con attenzione come un predatore che studia da lontano le sue prede e sceglie la sua prossima vittima. Un predatore emerso dalle profondità degli abissi con lo scopo di assumere il controllo della loro vita e morte: gli uomini sono suoi prigionieri. Li scrutava in ogni movimento, in ogni azione e ascoltava ogni loro parola.
Improvvisamente si resero conto di essere osservati. Sentivano gli occhi del demone fissi su di loro. Sentivano che le loro menti venivano attraversate da uno sguardo indagatore. Smisero di parlare e si voltarono. Videro Damian sorridere. Era come compiaciuto di quanto stava accadendo.
Il re gli si avvicinò fissandolo negli occhi. Si fermò ad un passo dl suo volto. Cercava di non dimostrate paura. Le sue dita strinsero ancora di più l’impugnatura del pugnale che portava infilato nella cintura. I suoi occhi divennero due fessure: - cosa c’è, demone?
In un attimo Damian tornò ad essere il demone appena uscito dall'inferno. Anche il colore dei suoi occhi cambiò in quegli istanti. Le sue pupille brillarono e divennero completamente nere. Una bassa risata uscì dal profondo della sua gola.
- Umano! Ti stai preparando per combattere qualcosa che giudichi sbagliato. Sbagliato per chi? Nel mio mondo è così che vanno le cose e nemmeno il tuo, di mondo, non è così perfetto come ritieni che sia. Chi ti dà il diritto di decidere cosa è morale e cosa no? Se la mia stirpe avrà il sopravvento ciò che tu definisci immorale diventerà giusto. Ti definisci un idealista, ma quelli come te una volta che cadono dal loro paradiso adattano il loro inferno nel nuovo ideale ed è quello che farai anche tu. Tutti voi vi prostrerete al vostro nuovo signore e troverete che sarà giusto.
- Mai! – urlò il re
Damian scosse la testa: - Tutto ciò che avrete sarà solo un prolungamento delle vostre sofferenze. Trasformate in ideali le cose meramente umane – disse poi piegando leggermente la testa di lato – ma proprio di queste cose umane si nutrono gli esseri che volete combattere. Il vostro pianto, la vostra disperazione, la vostra rovina per loro non sono altro che motivo di piacere.
E scoprirete che i nemici non sono solo tra questi.
- Che tu sia maledetto in eterno, essere infernale!
Quando il demone si accorse della vibrazione nella voce del re gli brillarono gli occhi: gli occhi di un predatore che osserva nascosto le sue prede e pazientemente rimane in agguato.
Non aspettava altro… Annuì. Aveva individuato un punto debole nel re. Se ne sarebbe ricordato al momento opportuno.
Il re si scagliò contro Damian con la spada in pugno. Elbereth fece appena in tempo a frapporsi tra i due: - Padre. No!
Damian non provò nemmeno a scansarsi. Rimase a fissare quell’umano che lo guardava con occhi pieni di odio.
Scoppiò a ridere: - Stolto umano! Io sono obbligato da leggi che risalgono alla notte dei tempi quando dell’essere umano non era nemmeno stato concepito il pensiero, a servire colei che mi ha liberato e a non commettere alcuna azione che la possa in qualsiasi modo danneggiare. Ma nulla più. L’impresa è comunque e solamente tutta vostra.
Rise ancora. Elbereth e suo padre rimasero in silenzio a fissarlo attoniti.
Fuinur stava seduto ad osservare le stelle che stavano sorgendo ad illuminare il cielo notturno.
Osservava e rifletteva. Guardava gli ultimi bagliori del sole che spariva dietro l’orizzonte lontano. Un ultimo guizzo. Un lampo di luce e poi le tenebre che avanzavano.
Un caleidoscopio di immagini turbinava nella mente di Fuinur mentre fantasticava su tutto ciò: abissi neri e profondi che si confondevano con le galassie dell’universo in una danza di colori e dissolvenze al limite della follia.
Fissava il vuoto con occhi sbarrati persi nel buio della notte. L’oscurità lo stava avvolgendo in un freddo abbraccio avanzando e nascondendo lentamente ogni cosa fino al punto in cui non c’era più nulla da guardare, solo il nero vuoto. Lentamente l’oscurità entrava nei suoi occhi fondendosi in un tutt’uno.
Si sentì mancare il respiro: per un attimo credette di essere morto. Poi improvvisamente si destò da tutti questi pensieri. Doveva scendere nelle segrete. Voleva parlare con quel ragazzino. Come poteva essere lui la chiave di tutto? Come poteva quella piccola inutile vita rispondere agli scopi del demone e della sua armata di Ombre?
Ordinò alla guardia di aprire la porta della cella in cui era tenuto segregato il figlio di Lord Hamilton. George si ritrasse in un angolo quando sentì il rumore dei catenacci. Cercò di appiattirsi contro il muro. Si guardò intorno cercando disperatamente un qualsiasi pertugio dove potersi occultare. Se avesse potuto avrebbe cercato di inglobarsi nei massi possenti che costituivano le fondamenta di quella fortezza.
- Dove sei piccolo essere inutile? – chiese ringhiando – Dove pensi di nasconderti?
Passò con lo sguardo l’intera stanza. Poi esclamò: - Eccoti lì…
George si alzò: - Chi sei? Cosa vuoi da me? Dov’è mio padre?
Fuinur rise sguaiatamente. Poi si avvicinò sempre fissandolo.
- È veramente incredibile…la tua vita permetterà la nascita del nuovo ordine.
Il ragazzo continuava a guardarlo attonito. Non riusciva a capire.
Allungò la sua mano e con le sue dita lunghe e affusolate gli sfiorò la guancia rigata dalle lacrime. Le sue labbra si piegarono in una smorfia di disgusto.
- La tua esistenza…la sabbia del tuo tempo è quasi esaurita. Solo pochi granelli sono rimasti. E quando saranno tutti passati così passerà anche la tua vita!
Le parole del conte erano oscure per il figlio di William. Non sapeva nulla di quanto stava ascoltando. Non ne capiva il senso.
Si spostò e andò sotto la grata che rappresentava l’unico collegamento con l’esterno. Alzò gli occhi verso il cielo. Quel ragazzo non sapeva nulla del suo scopo ultimo. Raramente l’universo rivela il senso dell’esistenza.
Anche gli uomini osservavano il cielo e riflettevano.
I loro sogni e pensieri però non erano rivolti agli scopi ultimi della vita. Nei loro animi albergava la paura e cercavano conforto nelle stelle.
Stanotte uomo scoprirai la vera natura di ciò che chiami Ombra.
Allontana tutto ciò che offusca la mente.
- Se vuoi la pace, meritala
- Ogni uomo la merita Damian – gli rispose Elbereth
- No. No Elbereth. Solo quelli che non la disturbano.

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Capitolo 26
*** Il Cancello dell'Oblio ***


Iniziarono a muovere prima dell’alba. Il re guardò allontanarsi a piedi la piccola compagnia dove sua figlia avrebbe seguito le indicazioni di un demone: un demone li avrebbe guidati all’inferno.
Immerso in questi pensieri spostò lo sguardo ad est dove un’alba fredda stava per dare inizio al nuovo giorno. Un gelido vento accompagnò il primo raggio di sole. Un brivido corse lungo la sua schiena e non sapeva dire se fosse per il freddo o fosse un presagio di funesti avvenimenti. Chiuse gli occhi. Poi spostò lo sguardo verso la montagna. Da qualche parte, tra le rocce, la debole speranza stava avanzando.
Elbereth si voltò. Fece un profondo respiro mentre guardava la valle e poi avvicinò le mani alla bocca per riscaldarle. Il gelo penetrava nelle ossa e il vento si stava alzando seguendo il ciclo del sole.
Erano in cammino da alcune ore e si muovevano con fatica tra le nere rocce di basalto che caratterizzavano il fianco della montagna segno di un passato segnato da potenti eruzioni.
Le rocce erano lisce e la bruma ancora fresca le rendeva viscide e scivolose.
Arrivarono su una balza dove ne approfittarono per fermarsi a bere e riposarsi un po’.
L’aria fredda che penetrava nelle loro narici rendeva difficile e affannoso il respiro. Si raggomitolarono a terra cercando riparo dietro ad alcune nere colonne di roccia lavica avvicinando la testa alle ginocchia per poter cercare di respirare aria più calda.
L’unico che non pareva risentire dell’ambiente era Damian.
I suoi occhi si muovevano rapidi a scrutare il cammino che ancora li separava dalla loro meta.
Elbereth si alzò e si avvicinò al demone: - cosa stai cercando?
Il demone senza togliere lo sguardo si limitò a rispondere un enigmatico: - la strada.
Se ne stavano lì in piedi su quei resti desolati di roccia nera, desolati come i loro animi e neri come il loro umore.
- Dobbiamo muoverci – aggiunse – il tempo stringe.
Gli altri si alzarono sospirando. Erano ancora provati dal difficoltoso cammino e la via che li aspettava era ancora più impervia. Uomini avvezzi a lunghe e faticose marce ora si trovavano spossati solo dopo poche ore.
Un’ombra cupa si stendeva sulle loro teste. Guardarono l’immenso e desolato paesaggio.
Solo silenzio e ombre che si stendevano lungo tutta la fiancata della montagna. I raggi del sole non riuscivano a vincere la loro forza.
Come una valanga stavano ricoprendo la roccia scendendo verso l’empia valle che si apriva ai loro piedi.
Elbereth si strinse nel lungo mantello di lana.
- Muoviamoci. Ci siamo attardati fin troppo.
Ripresero il cammino. Gli animi oppressi come opprimente era l’aria che li circondava e che respiravano.
Il sentiero che stavano seguendo si inerpicava tra le fredde rocce coperte di muschi e licheni. Qualche arbusto coraggiosamente affondando le sue radici nella nera roccia vulcanica sfidava l’ambiente ostile e mostrava con orgoglio alcune tenere verdi foglie.
Salivano in silenzio. Alcuni cercavano conforto rievocando nelle loro menti le storie d’amore. L’amore. Unico baluardo alla sensazione di paura che si stava insinuando nelle coscienze e che inesorabilmente si stava impadronendo della loro anima. Elbereth ricordava costantemente loro di non cedere alla tentazione, di non arrendersi e di continuare a mantenere salda la loro fede. Ma l’oscurità diventava sempre più forte e l’incertezza sempre più grande man mano che il pericolo si faceva più vicino. L’inquietudine derivava dalla consapevolezza che avrebbero dovuto affrontare qualcosa che non si poteva conoscere o identificare. Dalla certezza che non sarebbe stata una battaglia a loro nota.
Raggiunsero una stretta forcella tra le guglie. Passarono la notte riparandosi in un anfratto senza accendere fuochi.
Poco dopo l’alba ripresero a salire e svalicarono che il sole era ormai a mezzogiorno.
E finalmente giunsero davanti alle porte di Shadow.
E di fronte a loro si ersero le mura. Un’imponente costruzione di pietre che divideva il mondo degli uomini da quello delle anime perdute. Un freddo silenzio si diffuse tra i soldati che ammutolirono alla sua vista. Continuarono ad arrancare fino a giungere all’entrata principale.
- Non di lì. Da questa parte – disse Damian
Proseguirono su un viottolo che costeggiava l’intera costruzione che pareva non aver mai fine.
Il demone conduceva quegli uomini mortali su un cammino che a stento poteva essere riconosciuto. Si stavano inerpicando ormai a caso calpestando rocce che non avevano mai avvertito il contatto dell’uomo. Il sentiero terminò d’improvviso. Il pendio sottostante, che diventava sempre più ripido man mano che avanzavano, era finito e si tuffava nel vuoto abissale. Vapori e fumi si sollevavano come se fossero generati dal suo sprofondare nella terra. Una nebbia fluttuante dai colori cangianti nascondeva ai loro occhi l’infinità sotto i loro piedi. Alla loro destra un muro scosceso e perfettamente liscio privo di ogni appiglio.
- Che scherzo è questo? – si chiese Elbereth guardando il vuoto davanti a lei. Era la domanda che tutti si stavano facendo.
Si fermarono: la profondità dell’orrido li metteva a disagio.
- Ora dobbiamo scendere – disse Damian intuendo i pensieri che stavano affollando le menti degli umani.
Elberth si voltò verso il demone.
- Non temere. Conosco la strada.
Con un balzo sparì alla loro vista. Rimasero sbigottiti da quel gesto a prima vista folle e sconsiderato.
- Ho detto: dobbiamo scendere! – una voce dal baratro giunse a loro
Vincendo la paura uno dopo l’altro lo seguirono imitando i suoi movimenti. Si calarono nel precipizio uno alla volta: appena ebbero passato il bordo videro infissa una catena. Pareva fosse nata insieme alla roccia: gli anelli spuntavano dai massi. Era invisibile agli occhi di chiunque si fosse sporto dal baratro a meno che non avesse avuto il coraggio di sporgersi fino al limitare. La afferrarono e si lasciarono penzolare nel vuoto e con loro stupore i loro piedi si appoggiarono su qualcosa di solido. Un ballatoio dove si apriva l’ingresso di una caverna.
Un’atmosfera immobile avvolgeva ogni cosa. Maledetta e inquietante. Un alone ostile impregnava l’aria gelida che respiravano. Si portavano appresso questa sensazione fin da quando avevano iniziato a salire sul sentiero, miglia e miglia più sotto. Ma allora non era così definita e chiara.
All’inizio si trattava di una vaga sofferenza, un qualcosa di anonimo e indescrivibile. Un retrogusto amaro. Ma poi quell’indefinito era cresciuto in sconforto e inquietudine interna mai provati prima, una sensazione di oppressione al petto come una corda o come una morsa che stringe il torace che li faceva ansimare. Ogni passo costava loro enorme fatica.
Una fitta nebbia permeava l’intera area e la luce si smorzava cercando di penetrarla. L’atmosfera diventava sempre più pesante costringendoli in un affanno sempre maggiore: soprattutto si chiedevano se mai ci fossero effetti dovuti al respirare quest’aria mefitica.
Uno dopo l’altro varcarono la bocca di quella spelonca avanzando chini e a tentoni fintanto che i loro occhi non si abituarono all’oscurità. Annaspavano ad ogni respiro che riempiva di aria gelida e umida i loro polmoni.
Finalmente giunsero ad una grande sala, o così pareva, dato che ora riuscivano con grande sollievo a mantenere una posizione eretta.
Una luminescenza naturale rendeva la volta brillante, come fosse puntinata da stelle.
Si guardarono intorno e videro fissate alla parete delle torce.
Presero degli stracci e li avvolsero e poi li accesero con un acciarino. Ben presto tutte le torce erano in fiamme e poterono finalmente guardarsi meglio attorno.
I brusii che accompagnavano questa esplorazione improvvisamente furono smorzati alla vista di un gigantesco custode che apparve ai loro occhi. Una enorme statua scolpita in una stalagmite si ergeva ponendo i piedi su massi giganteschi: pareva sorgere direttamente dalle fondamenta della Terra e dominava l’intera sala come fosse stata posta a guardia dell’ignoto.
Li osservava con occhi rosso fuoco che parevano braci ardenti. Li fissava e nessuno riusciva a distogliere lo sguardo. Erano come rapiti in un vortice temporale che stava risucchiando loro le forze. Damian era l’unico a non risentire di questo effetto. Strattonò Elbereth e dopo che ebbe recuperato un minimo di forze cercarono di risvegliare gli altri dallo stato di apatia in cui erano caduti.
Passarono in silenzio oltre quella muta sentinella aggrappandosi alle sporgenze di pietra che trovavano man mano che avanzavano. Tastando con le mani la roccia umida potevano aiutarsi infilando le mani nelle nicchie che erano state scavate per metterci candele per illuminare il cammino forse durante qualche processione. Potevano ancora sentire il sego e la cera solidificata al loro interno.
Quando giunsero alla fine della grotta poterono vedere altri incavi intagliati dove ancora qualche traversa di legno era infilata, probabili residui di un’antica scala che pareva portare in superficie. Aggrappandosi a questi spuntoni risalirono attraverso un pozzo fino a trovarsi in quello che parve oro un imponente complesso con cortile centrale circondato da un porticato a grandi arcate. Il chiostro era interamente invaso da rovi e rampicanti morti di cui si vedevano i rami secchi e spogli ancora aggrappati ai muri.
Foglie secche e accartocciate dalle sfumature gialle, oro, marroni, venivano trascinate tutto intorno dai mulinelli creati dal vento bisbigliando sommessi sussurri di funesti presagi.
I loro sguardi furono attratti da un possente portone di legno intagliato sorvegliato da una spaventosa statua che ne sbarrava l’accesso.
I loro sensi erano vigili temendo un’imboscata o un agguato. Erano pronti con le spade in pugno. Ma nessuno pareva essersi accorto della loro presenza. Erano soli.
Con occhi abituati alla ricerca dei pericoli nascosti scrutarono attentamente il cortile e ogni sua rientranza sempre fissando l’ingresso che si trovava dall’altra parte. Ancora silenzio.
Si avvicinarono al muro del porticato e, restando radenti ad esso, si mossero con agilità e velocità, sempre tenendo d’occhio la porta cui volevano avvicinarsi cercando movimenti inaspettati.
- Andiamo – bisbigliò Elbereth
Arrivarono indisturbati davanti la porta. Solo in quel momento si resero conto delle reali fattezze della figura presente a guardia di essa.
Un demone. Solo il guardarlo dava loro senso di ribrezzo. Lo osservarono con timore e terrore.
- Asmodeo – si limitò a dire Damian – compagno di Lilith.
La scultura era così perfetta da sembrare viva: era raffigurato un essere in sella a un dragone che brandiva una lancia e uno stendardo. Aveva tre teste, la prima con le sembianze da toro, la seconda di uomo e la terza di un ariete. Dalla sua bocca parevano fuoriuscire eruttazioni di fiamme e vomito di fuoco dirette verso chiunque osasse avvicinarsi.
Elbereth lo guardò a lungo e sollevando un sopracciglio commentò: - possibilità di incontrarlo?
Poi si mise a studiare la serratura della porta: era intarsiata con eleganza, questo la stupì molto.
Strane figure decoravano quella che pensava fosse la toppa. Si rese conto che non era un sistema noto nelle terre a lei conosciute. Doveva essere più un marchingegno meccanico realizzato da mani molto esperte e da qualcuno con conoscenze che andavano ben oltre quelle umane.
Non c’era maniglia o pomello. Non c’era nemmeno la possibilità di infilare qualche chiave.
- Dovranno pur aprire in qualche modo questa porta!
Si allontanò di qualche passo per poter vederla nel suo insieme. La soluzione era nella decorazione. Ne era certa. Solo chi fosse pratico nelle arti oscure sarebbe così stato capace di decifrare le immagini e aprire la porta.
- Potrei descrivere tutto questo come il mio incubo peggiore – disse rivolgendosi a Damian.
Un groviglio di maschere agghiaccianti e corpi che si sfibravano, che si contorcevano in figure che sfidavano ogni legge della natura, di mani imploranti e di artigli infilzati su volti trasfigurati dalla sofferenza e che afferravano le carni dei condannati alle profondità dell’inferno.
Elbereth era rapita dalle immagini che erano raffigurate: innumerevoli tormenti erano descritti in questo inferno. Strumenti di tortura e demoni che affliggevano i dannati. Le Ombre venivano rappresentate come orridi mostri che offrivano esseri umani in sacrificio.
Simboli alchemici ed esoterici mescolati in quella che era una terrificante allucinazione. Tra essi cercava di decifrare le scritte di cui intuiva la presenza. Ma nessuna delle lingue da lei conosciute era in grado di leggerle eppure più cercava di intuirne il significato più quei simboli riecheggiavano nella sua mente come volessero impadronirsene.
- Questa non è lingua parlata dai mortali – disse Damian, risvegliandola da uno stato di torpore in cui era caduta – nessuno di voi può conoscerla, nemmeno il sacerdote più anziano ed esperto. E mi stupirei del contrario.
Il demone si avvicinò alle immagini intagliate e con la mano le sfiorò una ad una.
Si voltò e disse loro: - nella lingua umana vogliono dire questo:
L’Antico palazzo spalanca le porte
La Tenebra risplende nell’Ombra
La Morte è soltanto l’inizio
Osservò a lungo il bassorilievo. Le sue lunghe e bianche dita continuavano a tastare le figure che parevano prendere vita sotto i suoi tocchi inaspettatamente delicati. Fra le tante riconobbe un Arcano che frustava con la sua lunga coda un dannato mentre stringeva un cranio da cui con i suoi artigli toglieva la carne.
- Qualsiasi essere ci sia oltre questo confine - disse – ha avuto origine prima dei tempi
Lord Hamilton stava perdendo la pazienza: - allora? Sai aprire questa porta o no?
- Un attimo di pazienza, umano – ringhiò Damian – il tempo qui ha un significato diverso da quello che tu sei abituato a dare.
Girò il teschio scarnificato e si sentirono degli ingranaggi ruotare. Si fermarono. Poi un rumore secco più forte fece aprire una fessura che diventava sempre più ampia fino a quando il portone era completamente spalancato davanti loro.
Rimasero per un momento fermi sull’ingresso. Guardarono con attenzione il lungo corridoio che si era aperto: era completamente immerso nell’oscurità. Nessuna finestra rischiarava il passaggio stretto e alto. Non riuscivano a vederne il soffitto. Mossero le torce a destra e sinistra e, così facendo, individuarono dei bracci che sporgevano dai lati e che reggevano delle lampade. Le prime due erano alla loro portata.
- Speriamo che ci sia dell’olio.
Uno dei soldati allungò il braccio e riuscì ad incendiare lo stoppino. Lo stesso fece con la lampada sul lato opposto. Un fievole chiarore iniziò a dare luce ad un luogo che doveva essere rimasto immerso nell’oscurità da molto tempo.
La tenue radiazione si diffuse nell’aria e fu sufficiente per vedere che più avanti altre due lampade gemelle alle precedenti erano appese.
- Sembra che ci sia dato di poter vedere solo pochi passi alla volta.
Tastarono il pavimento per verificare che non ci fossero trappole nascoste tra le lastre che lo ricoprivano e si incamminarono con prudenza fino a giungere alle lampade successive.
- Va bene. Proseguiamo.
Non sapevano dire se salissero o scendessero. Non credevano nemmeno di avere mai fatto svolte o cambi di direzione. Le lampade accese ora erano numerose. Si voltarono e solo adesso videro che ai due lati si trovavano delle porte. Fecero qualche passo indietro e provarono a spingerne una. Era chiusa.
Damian sorrise: - queste porte non saranno mai aperte. Non da voi almeno.
Lord Hamilton gli si avvicinò e gli puntò la spada alla gola: - cosa sai che noi non sappiamo?
- Nulla. Nessuno lo sa. Destino e Libero Arbitrio si contendono equamente gli uomini.
Non aggiunse altro lasciando un attonito William a fissare quella porta chiusa.
Elbereth, dopo aver sentito quelle parole, fece andare avanti gli altri e quando il demone la raggiunse lo fermò.
- Cosa volevi dire?
- Aspettate ad accendere le prossime lampade e ti farò vedere.
Allungò il braccio tastando il muro fino a quando sentì di aver raggiunto una porta. Bastò spingerla e si trovarono dentro un’altra stanza.
- Passatemi una torcia.
Entrarono. Era una stanza completamente spoglia. Appesa ai muri si trovava una lampada simile a quelle viste nel corridoio. La accesero e videro un’altra porta dall’altra parte.
- Non facciamo deviazioni – disse Elbereth – torniamo al corridoio principale.
Fecero per voltarsi, ma la porta da cui erano entrati si era chiusa e per quanto si sforzassero non erano più in grado di riaprirla
- Cos’è questo scherzo? – urlò Elbereth spingendo Damian contro il muro
- Siete liberi di fare le scelte che volete. Ma una volta fatte, non si torna indietro.
- Cosa aspettavi a dircelo?
- Non lo hai chiesto – rispose con naturalezza il demone.
Elbereth spostò lo sguardo verso l’altra porta: - non abbiamo altre possibilità. Andiamo da quella parte.
Lasciò la gola del demone e si avvicinò alla porta che si aprì appena spinse. Un altro corridoio simile al precedente.
Lo percorsero senza ulteriori deviazioni malgrado la presenza di numerose porte che davano su di esso.
Arrivarono davanti ad una scalinata che scendeva e che dava su un ballatoio che a sua volta conduceva ad una vasta sala semicircolare con una porta di vetro colorato. La spinsero con cautela e questa si aprì su una stanza che si inondò di luci colorate appena fecero il loro ingresso.
Un’incredibile danza di colori si presentò ai loro occhi: rosso, blu, giallo che si mescolavano dando origine ad un incredibile caleidoscopio.
Le luci diffuse mostravano un’ampia stanza circolare.
Lungo la parete erano fissati degli specchi che rimandavano l’un l’altro le luci delle fiaccole creando così il gioco di luci che vedevano.
Tra uno specchio e l’altro si trovavano statue in alabastro nero.
Rappresentavano figure metà uomo e metà animale. Erano tutte armate con lance e scudi e le loro teste erano tutte rivolte verso una stessa direzione.
- Altri Arcani – spiegò Damian – queste statue raffigurano esseri creati molto prima dell’uomo. Sono state generate per fare la guardia a qualcosa di ancora più antico.
Elbereth alzò la torcia per fare più luce nella direzione dei loro sguardi
- Ancora porte – sbuffò William
- Non penserai che si possa entrare in questo posto con facilità – disse sarcasticamente Damian.
Di nuovo il demone cominciò a studiare la miriade di immagini e figure sovrapposte che ricoprivano il pannello della porta. Iniziò dallo stipite e dalle sue iscrizioni e una volta trovato il filo conduttore seguì un percorso che ad occhio inesperto pareva casuale, ma invece rappresentava un preciso cammino logico passando da un elemento all’altro in un groviglio di piante, animali uomini e demoni. In questo modo si creava una storia che aveva un principio e una fine. L’ultimo elemento era la chiave per aprire la porta.
Le sue labbra bisbigliavano parole completamente ignote agli altri. Una lingua dura che nessuno aveva osato parlare da molto tempo.
Attende paziente
Nell’ombra vivente
L’oscuro riflesso
L’ignoto ti attende
Attende paziente
- Ancora enigmi in lingua demoniaca – sbottò William
E di nuovo Damian ignorò l’uscita di Lord Hamilton limitandosi a guardarlo con un certo distacco.
Premette sulla raffigurazione di una torcia e poi ruotò quello che doveva rappresentare la fiamma. Un cupo rimbombo fece capire loro che anche questa porta era pronta per essere aperta.
Avevano raggiunto il Naos, la parte più interna e protetta. Il luogo sacro per eccellenza. Lampade ad olio disposte sulle pareti in maniera sapiente illuminavano l’intero spazio con luce fioca ma uniformemente suddivisa in modo che nessun angolo risultasse in ombra.
Altre statue antropomorfiche erano disposte a cerchio lungo i muri. Silenziosi e grevi guardiani che appartenevano ad un’epoca ormai dimenticata dove miti e leggende si mescolavano e fondevano per confondere la verità.
Le fiamme tremolanti davano vita a queste orride creature: le loro pupille brillavano riflettendo una luce rossa, gialla, verde rendendole ancora più terrificanti.
- Cosa stanno guardando? – chiese William
Al centro della sala videro un altare in basalto sorretto da quattro colonne anch’esse in pietra lavica.
Si mossero con circospetto e avvicinarono le torce ad una sorta di tabernacolo situato al centro dell’ara per poterlo rischiarare e vedere bene di cosa si trattasse.
Una clessidra era messa al centro sulla pesante lastra di marmo.
La clessidra era composta da due fiale coniche unite verticalmente al collo con un disco di metallo forato che pareva essere argento.
I due bulbi di vetro appoggiavano su due piatti, uno inferiore e uno superiore finemente intagliati che erano uniti da tre sottili asticelle che ad un esame più attento si rivelarono essere ossa.
Su di esse erano avvolti a spirale degli intrecci intricati che raffiguravano una pianta rampicante anche questi in metallo.
La sabbia scorreva e inesorabilmente scandiva il tempo. I granelli che scendevano rendevano il tempo reale e visibile.
Quello che attirò l’attenzione di Elbereth fu il fatto che pareva accelerare o rallentare a seconda delle emozioni che provava.
Si avvicinò ulteriormente e i granelli parevano simboli che si contorcevano e ruotavano nel loro precipitare. Man mano che la sabbia riempiva la coppa sottostante prendevano vita parole che sarebbero state altrimenti invisibili.
Nuovamente Damian le rese intellegibili anche agli altri:
Frasi non scritte
parole non dette
Il sigillo è spezzato,
Il cammino è mostrato
Mentre si svuotava il cono superiore altri simboli prendevano vita. La loro natura era ben visibile sulla superficie liscia del vetro. I caratteri nell’arcano alfabeto si rivelavano lentamente ai loro occhi. Damian non aspettò e la lingua nera nuovamente risuonò in quella sala. Con voce grave scandiva le parole che venivano generate.
Articolava le singole sillabe in una cadenza quasi musicale. E su questi toni poi le rese accessibili a tutti:
Dove le Tenebre prendono Forma
Dove il Tempo prende Vita
Sotto il Passato, Sopra il Futuro
Mette fine alla Vita e dà inizio alla Morte
Il Tempo resta mentre la Vita scorre
Il demone guardò Elbereth e le disse, intuendo la sua perplessità: - la porta rimarrà aperta fintanto che la sabbia continuerà a scorrere. È questo il tempo che ci è dato.
- Poi che succederà?
- Si chiuderà. Un’altra volta. E resteremo per sempre qui.

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