I'ʟʟ ғᴏʟʟᴏᴡ ʏᴏᴜ di _H i d e a w a y_ (/viewuser.php?uid=773699)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Prologo ***
Capitolo 2: *** 2. Sʜᴀᴅᴏᴡ Mᴏsᴇs ***
Capitolo 3: *** Cap.2 ***
Capitolo 1 *** 1. Prologo ***
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/ 1. Prologo \
Newt Lancaster aveva
vissuto con un solo pensiero in testa: sparire.
Come
Gionata che viene inghiottito da una balena e continua a vivere nella
sua pancia, Newt era caduto nel ventre dell'apatia ed aveva passato
giorni senza data nel buio stagnante di quell'antro.
In
quel periodo aveva vissuto come un sonnambulo, o come uno che non si
è ancora reso conto di essere scomparso.
Si svegliava all'alba, si lavava i denti, indossava i primi vestiti che
trovava, saliva sull'autobus che lo portava al liceo, prendeva appunti
durante le lezioni.
Procedeva nelle sue giornate attenendosi alle abitudini di sempre, per
lo stesso impulso che spinge una persona investita da una raffica di
vento ad aggrapparsi ad un lampione.
Non parlava con nessuno a meno che non fosse indispensabile e, quando
tornava nell'appartamento in cui viveva da solo, si sedeva sul
pavimento con la schiena contro la parete e si abbandonava al pensiero
dello scomparire.
Solamente Alby, suo amico dai tempi delle elementari, sembrò
compatire quel suo stato d'animo.
Alby aveva voti eccellenti.
Per quanto non fosse un secchione -perlomeno non lo sembrava-, era il
secondo della classe in ogni materia visto che, il primato assoluto,
restava esclusivamente di Newt.
Nonostante ciò, non sembrava darsi delle arie, anzi: era
molto riservato ed aveva la massima considerazione per tutti.
Sembrava quasi che si vergognasse di essere così
intelligente.
Per carattere, quando decideva una cosa -anche la più
insignificante-, non cambiava idea facilmente.Spesso Newt, nella sua
apatia costante, si era ritrovato a dover gestire attacchi di rabbia
improvvisi del suo compagno di classe, dovuti agli atteggiamenti
meschini che -purtroppo- circolavano in quella scuola.
L'unica cosa che potesse riaccendere quel luccichio di speranza negli
occhi di Newt, probabilmente, poteva essere la letteratura.
Spesso, durante le brevi pausa tra una lezione e l'altra, si ritrovava
a vagabondare nei freddi corridoi dell'istituto, tenendosi compagnia
con un libro diverso giorno per giorno.
La letteratura era da sempre -almeno per lui-, una certezza; era il
tipico ragazzo che preferiva di gran lunga restare in compagnia di un
libro, che sprecare fiato a parole con persone che, comunque, non lo
avrebbero capito.
Almeno finché, quella sue abitudine, non vennero spezzate da
un uragano rumoroso. Un uragano di nome Thomas.
[...]
Roma, 14 Settembre 2013.
Avete
presente quando si dice che la vostra vita sta per avere una svolta e,
in qualche modo, lo senti?
Ecco.
Newt non ci aveva mai creduto.
In
effetti, il giorno in cui incontrò Thomas era un giorno
noioso, come tutti gli altri.
Era inverno, e faceva freddo. Era un freddo piacevole, però;
di quelli che ti sveglia bene quando sei assonnato, quel tipo di freddo
che ha un odore tutto suo.
Ma
Newt non era più in grado di apprezzare questi dettagli.
Semplicemente, non gli interessava.
Come non gli interessava quello che avrebbe dovuto fare quel
venerdì mattina: cercare di convincere i ragazzini delle
medie ad una scelta -per lui- già ovvia. Ovvero, iscriversi
al liceo classico.
Lo faceva solo per i crediti scolastici; non che ne avesse bisogno,
ovviamente. Ma desiderava essere il primo in tutto, anche in quello.
Sapeva che ci sarebbero stati anche quelle teste di caspio dello
scientifico, ma la cosa non gli interessava. Come sempre.
Entrò
nell'edificio scolastico con Alby e gli altri ragazzi del liceo
classico, quasi annoiato da quella situazione.
Insomma,
che avevano da scegliere quei mocciosi? Era ovvio che il classico era
superiore a tutto.
Quando
aprì la porta centrale -che collegava il cortile all'atrio-
vide che le calcolatrici (come li chiamava lui) erano già
arrivati, e stavano parlando ai ragazzini sul “quanto lo
scientifico ti apra mentalmente, quante possibilità ti
dia,quanto ti aiuterà nella vita.”
Tutte
sploff. A dire quelle cavolate era un ragazzo esile, con la pelle
bianca in contrasto ai capelli scuri.
Era appoggiato al marmo della colonna centrale, sembrava perfettamente
a suo agio.
Anzi, sembrava addirittura annoiato.
Mentre
lo osservava, Newt provò una strana sensazione. Una specie
di calore, ma non era sicuro che fosse una cosa piacevole. Per niente.
Ciò di cui era sicuro, era l'irritazione che stava provando
sentendolo elogiare il liceo scientifico. Era da tanto, troppo tempo,
che non si infastidiva così per qualcosa.
Di
solito gli scorreva tutto addosso, lasciava che quelle chiacchiere gli
uscissero dall'orecchio opposto in cui, casualmente, gli erano entrate
Ma
-in quel momento- la voglia di zittirlo era enorme.
Il
ragazzo si accorse che erano entrati, e si girò a guardarli
con aria di sufficienza.
Newt rimase immobile.
Avete
presente quando dicono che, se sta per cambiar tutto, se la tua vita
sta per essere stravolta, in qualche modo lo senti?
senti?
Quando vide gli occhi color nocciola del ragazzo, Newt
cominciò a crederci.
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Capitolo 2 *** 2. Sʜᴀᴅᴏᴡ Mᴏsᴇs ***
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2 Cap.
Bʀɪɴɢ Mᴇ Tʜᴇ Hᴏʀɪᴢᴏɴ
- Sʜᴀᴅᴏᴡ Mᴏsᴇs.
Cᴀɴ ʏᴏᴜ ᴛᴇʟʟ ғʀᴏᴍ
ᴛʜᴇ ʟᴏᴏᴋ ɪɴ ᴏᴜʀ ᴇʏᴇs?
(Wᴇ'ʀᴇ
ɢᴏɪɴɢ ɴᴏᴡʜᴇʀᴇ. )
Wᴇ
ʟɪᴠᴇ ᴏᴜʀ ʟɪғᴇ ʟɪᴋᴇ ᴡᴇ'ʀᴇ ʀᴇᴀᴅʏ ᴛᴏ ᴅɪᴇ.
(Wᴇ'ʀᴇ ɢᴏɪɴɢ ɴᴏᴡʜᴇʀᴇ. )
Yᴏᴜ
ᴄᴀɴ ʀᴜɴ ʙᴜᴛ ʏᴏᴜ'ʟʟ ɴᴇᴠᴇʀ ᴇsᴄᴀᴘᴇ.
(
Oᴠᴇʀ ᴀɴᴅ ᴏᴠᴇʀ ᴀɢᴀɪɴ. )
Wɪʟʟ
ᴡᴇ ᴇᴠᴇʀ sᴇᴇ ᴛʜᴇ ᴇɴᴅ?
( Wᴇ'ʀᴇ ɢᴏɪɴɢ ɴᴏ ᴡʜᴇʀᴇ. )
<<
Insomma, mocciosi, piantatela con tutte queste fesserie. E' ovvio che
al liceo i professori non vi faranno del male. >>
Newt avrebbe voluto ribattere, dicendo che, si, se quelle povere anime
innocenti fossero capitate nella sezione B -la sezione della Capaldi,
professoressa di educazione fisica-, con molte probabilità
sarebbero potuti tornare a casa, già dal primo giorno, con
il volto arrossato per quante pallonate si erano ritrovati contro a
causa dei loro scarsi riflessi.
Si limitò, quindi, ad osservare i tentativi -ovviamenti
invani- di calmare quello sciame di ragazzini pronti a tirar fuori i
loro dubbi più oscuri, nonchè preoccupazioni
sempre più inutili, di Alby.
Era appoggiato alla grata delle scale interne, mentre faceva
vagabondare lo sguardo da un volto all'altro.
Era quasi sorpreso di come quei ragazzi volessero farsi trovare pronti,
prima del liceo.
Cosa alquanto impossibile; ma gli piaceva veder quel briciolo di
curiosità nelle loro piccole pupille infantili, non che gli
interessasse particolarmente.
<<
Scusami? >>
Aggrottando le sopracciglia, girò il volto nella direzione
in cui una timida voce lo aveva chiamato, attirando in quel modo la sua
attenzione.
<<
Sei, umh, del classico. Giusto? >>
Non appena riuscì a mettere a fuoco la vista sul volto
davanti a se, arricciò le labbra.
Un giovane ragazzo dagli occhi scuri ed i riccioli color pece si
nascondeva -quasi timoroso-, dietro un libro che teneva gelosamente tra
le braccia, sopra il petto.
<<
Quinto anno. Volevi sapere qualcosa? >> Chiese, girandosi
definitivamente verso il ragazzino.
Staccò il corpo dalla grata, per potersi posizionare davanti
al più piccolo. Tentò anche di sorridere.
Il ragazzo, forse più furbo degli altri, comprese il suo
disagio nei "rapporti sociali" e ricambiò quel piccolo
accenno di sorriso con una smorfia intimidita, prima di annuire ed
aprir nuovamente bocca. << In effetti, ho una domanda.
>>
<<
Spara. >>
<<
Non sono un amante delle lingue morte, specialmente il latino; ma
impazzisco per la letteratura. Secondo te, vale la pena fare un
sacrificio e scegliere il classico? >>
Il biondo si ritrovò a sgranare le pupille degli occhi a
quella domanda, osservando subito dopo come le gote del ragazzino si
arrossarono a quella reazione, probabilmente timoroso di aver detto
qualcosa di sbagliato.
Purtoppo, di sbagliato non vi era nulla. Anzi, tutto il contrario.
Era nettamente felice di quella domanda, tralasciando il fatto
della letteratura. Il che portava un punto a favore di quel marmocchio.
Corse a leggere la targhetta di carta attaccata alla sua maglia,
carcandone il nome.
<<
Vedi, Chuck anche io la pensavo allo stesso identico modo. Non potevo
sopportare l'idea di dover studiare la lingua latina, per cinque anni,
>> iniziò a raccontare, liberando un sospiro
quando fece correre una mano a scompigliare i capelli del ragazzino
davanti a sè. << Poi col passare dei mesi, ho
capito che mi avrebbe solamente dato un aiuto in più.
Cominciai a studiare controvoglia ma, nel momento in cui iniziai a
comprendere meglio i testi letterari, mi son detto che avevo fatto la
scelta giusta. Lo vuoi un consiglio? >>
Quando il ragazzo -Chuck, giusto?-, annuì intensamente,
probabilmente curioso della sua prossima parola, fece cadere entrambe
le mani nelle proprie tasche dei Jeans chiari.
<<
Se dovessi scegliere il classico, non abbatterti nelle lingue. Troverai
tante di quelle difficoltà, son sincero, ma il bello
starà proprio in quelle. Ti aiuteranno a maturare sempre di
più. Sai come si dice? Non scappare dalla tempesta, e prova
a ballare sotto la pioggia. >>
<<
Caspita, >> esclamò Chuck, con un sorriso
quasi più grande del suo volto. << Sarai una
specie di poeta o scrittore, immagino. >>
Era pronto a rispondere, Newt, visibilmente rapito dal discorso
iniziato con quel ragazzino quando, proprio questo, si sentì
chiamare da una voce affannata alle sue spalle.
Girandosi in quella direzione, potè notare il ragazzo dagli
occhi nocciolati incontrato qualche quarto d'ora prima che avanzava
velocemente in loro direzione.
<<
Chuck, merda, ti ho cercato ovunque! Ti avevo detto di restare con
Teresa e parlare con lei. >>
Per un breve istante, gli occhi chiari di Newt si persero ad osservare
il color nocciolato -quasi ambrato- negli occhi del coetaneo, cercando
di non dare troppo nell'occhio.
Scosse leggermente la testa, non accorgendosi che il ragazzino non
aveva ancora distolto lo sguardo dal suo; tornò nuovamente a
guardarlo, corrugando la fronte quando vide il sorriso ammaliato del
più piccolo.
<<
Scusa Thomas, ma ho già fatto la mia scelta. >>
Quando il biondo rialzò lo sguardo, sussultò nel
trovarsi a pochi centimetri da Thomas -che nel mentre li aveva
raggiunti-, che adesso alternava lo sguardo curioso tra lui, ed il
più piccolo.
Chuck, al contrario, continuava a guardare il liceale classico,
portandolo alla pazzia perchè -davvero- non sapeva
più dove guardare.
<<
Vado al classico! Questo tipo strano mi ha convinto. >>
<<
Mi chiamo Newt. >> Provò a dire, in un
mormorio fin troppo basso per essere sentito, prima di sorridere
orgogliosamente in direzzione del ragazzino più piccolo.
<<
Ah, mi hai tradito. Ottimo, scordati le maratone di Star Wars il sabato
sera. >>
<<
Ma Thomas, sei mio fratello! >>
Newt, nuovamente estraneo della situazione, andò ad
appoggiarsi alla grata.
Il suo sguardo tornò -per l'ennesima volta-, ad osservare i
diversi ragazzini che, in quel momento, avevano cominciato a correre
tra un liceale e l'altro.
Nella folla e nel caos generale riuscì ad intravedere Alby,
accerchiato e terrorizzato dai troppi bambini che cercavano di
strappargli ogni informazione possibile, costringendolo ad attaccarsi
al muro alla ricerca di una qualche via di fuga.
Liberò un sospiro rassegnato, pregando che il ragazzo non
gli avrebbe tenuto il broncio per averlo convinto ad essere trascinato
in quel posto, svignandosela non appena avevano messo piede all'interno
dell'edificio, lasciandolo da solo in balia di quei nani curiosi.
<<
Hey. tizio classico. >>
Sobbalzò quando percepì una presenza -poco
più alta di lui-, appoggiarsi alla grata al suo fianco.
Non voltò il volto, poichè riuscì a
riconoscere i capelli castani del ragazzo -Thomas, dannazione-, di poco
prima.
<<
Calcolatrice. >> Ricambiò il saluto, agitando
i palmi delle mani tra di loro.
<<
Scusa se mio fratello ti ha creato fastidio. >>
<<
Nessun fastidio, figurati. >>
<<
Stai spesso sulle tue, eh? >>
A
quella provocazione il biondo voltò lo sguardo,
sorprendendosi di come gli occhi nocciolati e curiosi dell'altro lo
stessero già fissando, costringendolo a distogliere lo
sguardo per non borbottare qualcosa di insensato.
<<
Non penso che siano affari che riguardano una calcolatrice umana come
te. >> Mormorò piano, con
tranquilità, sperando in un suo allontanamento dovuto a
quella freddezza.
<<
Cercavo di essere amichevolmente pacifico, dizionario. >>
Thomas alzò le mani e fece un piccolo sorriso. E, invece di
allontanarsi, si avvicinò ancora un po', facendo corrugare
la fronte del biondo.
<<
Forse non riesco a sopportare la stupidità altrui, la tua
compresa. Ci hai pensato? >> Tentò ancora,
consapevole della propria acidità; ma non poteva farne a
meno. Era l'unico modo per poter rimaner solo.
Ma il ragazzo lo stupì. Invece di andarsene, offeso,
scoppiò a ridere; una risata calda e vibrante.
<<
Hai ragione, alcune persone sono veramente stupide. Ma ti assicuro che
non tutti sono insopportabili, qualcuno non è male.
>>
Newt non prestò quasi attenzione alla sua risposta.
Era rimasto incantato dalla sua risata, dai suoi occhi nocciola che si
accendevano, dal modo in cui l'altro aveva piegato lievemente la testa
all'indietro.
Scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri e di dire -almeno
di provarci-, qualcosa di sarcastico.
<<
Immagino che tu pensi di essere tra questi, giusto? >>
<<
Sbagliato. Io sono il massimo che si possa trovare in circolazione.
>> Ribattè il moro, con un sorriso sbarazzino
in volto.
Newt dischiuse le labbra, pronto a rispondere contrariato; ma fu
interrotto per la seconda volta da una voce femminile alle loro spalle,
stridula ed irritante.
Che novità.
<<
Thomas, sbrigati! Dobbiamo andare! >>
<<
Arrivo! >> Urlò questi in risposta, dedicando
un ultimo sguardo al biondo accanto a sè.
<<
Hai sentito Teresa? Devo andare! Ci vediamo in giro, tizio classico.
>>
Lo salutò con un ultimo sorriso, voltandogli le spalle prima
di scattare velocemente verso la ragazza.
Newt continuò -però-, a fissargli la schiena.
Thomas raggiunse una ragazza dai capelli neri e la pelle pallida.
Teresa.
Il biondò continuò a fissarlo mentre se ne
andava, ridendo con la coetanea al suo fianco.
Una contrazione lieve alla pancia lo costrinse a chinare lo sguardo;
chiuse gli occhi e si diede il tempo necessario per sopportare quella
fitta improvvisa.
E, per quanto non fosse molto bravo in biologia, sapeva benissimo che
nessun concetto scientifico poteva spiegare quell'improvviso dolore,
quasi gentile, che lo aveva colpito.
Nessuno, a parte un certo ragazzo dagli occhi color nocciola, caldi e
brillanti, ed una voce più soffice della seta stessa.
____________________________________________________________________________________________________________
<<
Alby, suvvia, ti ho già chiesto scusa. >>
Il ragazzo di colore camminava al fianco dell'amico con un broncio
talmente infantile che, per un momento, Newt pensò veramente
di avere a che fare con un altro ragazzino delle medie.
<<
Mi hai tradito, >> continuò ancora Alby,
incrociando le braccia al petto per amplificare quella recita.
<< Mi hai lasciato solo in mezzo a quesi mostri.
>>
<<
Erano solo dei bambini. >> Mormorò
incredulo Newt, lasciando la borsa a tracolla libera di scontrarsi con
le proprie gambe ad ogni passo che faceva.
<<
Dei mostri, non dei bambini. Non stavano mai zitti, mai; erano una
tortura. Se mai avrò un figlio, ricordami
di fare ogni sera l'Avemaria. O rischierò di soffocarlo nel
sonno. >>
<<
Quanta crudeltà. >> Sbottò con un
sorriso il più piccolo, facendo scontrare la spalla a quella
dell'amico per spingerlo leggermente, camminando sul marciapiede.
Alby subì quel colpo, imbronciandosi ancora di
più. Certe volte, era davvero un ragazzino.
<<
Alby, >> lo chiamò nel bel mezzo del silenzio,
voltando il volto verso l'amico nello stesso momento in cui si
girò anche l'altro, andando ad incrociare lo sguardo con il
suo. << Tu che sei più esperto nei
rapporti-... >>
<<
Non stiamo iniziando veramente quel discorso, vero? >> Lo
interruppe l'amico, sgranando gli occhi quasi spaventato delle sue
stesse parole, iniziando a pensare di non star parlando con il ragazzo
che aveva visto crescere, fin dalle elementari.
<<
Nei rapporti sociali, testa di caspio che non sei altro.
>>
<<
Oh, a differenza tua, immagino. >>
Newt gli rivolse un'occhiataccia, intimandolo a tacere per permettergli
di terminare la domanda, facendosi pensieroso. << Conosci
un certo Thomas del liceo scientifico che ci ha affiancato questa
mattina? >>
<<
Thomas Cooper? >> Chiese sorpreso, con un pizzico di
ironia nell voce profonda. << Amico, chi non conosce
Thomas Cooper? >>
<<
Emh, io? >> Borbottò in risposta,
appoggiandosi al palo della fermata dell'autobus, stranamente deserta.
<<
Thomas Cooper, da sempre il numero uno del suo liceo. Mente geniale, se
non brillante. In cinque anni, non ha mai fallito un compito in classe.
>> Disse Alby, tranquillamente, come se stesse leggendo
la cartella identificatoria di un paziente.
<<
Non ci credo. >> Sussurrò Newt, assottigliando
lo sguardo per puntarlo verso l'amico.
<<
Ha diciassette anni e Chuck, il ragazzino con cui hai parlato oggi,
è il suo fratellino adottivo. Una persona da ammirare,
sicuramente. >>
<<
E' solo un idiota. >> Rispose il biondo, lasciando Alby a
labbra dischiuse per la sorpresa.
Scosse la testa in sua direzione, corrugò la fronte ed
indurì i lineamenti del volto, prima di disotgliere lo
sguardo e portarlo -nuovamente- alla strada davanti a se.
<<
Un idiota interessante. >> Ammise in un mormorio appena
accennato, affondando il volto all'interno del collo della
sua camicia che aveva deciso di indossare quella mattina, per
non dar la soddisfazione all'amico di vederlo sorridere.
Ma Alby, comunque, non riuscì a trattenere una risata a
quella vista; scosse la testa con vigore, appoggiandosi alla parte
opposta del palo rispetto al biondo, sfiorando la sua spalla con la
propria.
<<
Amico, sicuro di non voler iniziare a parlare anche dell'altro tipo di
rapporti? >>
<<
Oh, ma taci. >>
|
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Capitolo 3 *** Cap.2 ***
CAP.2
Cap.2
Aʟʟ ᴛʜᴇ ʜᴜʀᴛ, ᴀʟʟ ᴛʜᴇ ʟɪᴇs; ᴀʟʟ ᴛʜᴇ ᴛᴇᴀʀs ᴛʜᴀᴛ ᴛʜᴇʏ ᴄʀʏ.
Wʜᴇɴ ᴛʜᴇ ᴍᴏᴍᴇɴᴛ ɪs ᴊᴜsᴛ ʀɪɢʜᴛ, ʏᴏᴜ'ʟʟ sᴇᴇ ғɪʀᴇ ɪɴ ᴛʜᴇɪʀ ᴇʏᴇs.
'Cᴀᴜsᴇ ᴛʜᴇʏ'ʀᴇ sᴛʀᴏɴɢᴇʀ ᴛʜᴀɴ ʏᴏᴜ ᴋɴᴏᴡ; ᴀ ʜᴇᴀʀᴛ ᴏғ sᴛᴇᴇʟ sᴛᴀʀᴛs ᴛᴏ ɢʀᴏᴡ.
Wʜᴇɴ ʏᴏᴜ'ᴠᴇ ʙᴇᴇɴ ғɪɢʜᴛɪɴɢ ғᴏʀ ɪᴛ ᴀʟʟ ʏᴏᴜʀ ʟɪғᴇ,
ʏᴏᴜ'ᴠᴇ ʙᴇᴇɴ sᴛʀᴜɢɢʟɪɴɢ ᴛᴏ ᴍᴀᴋᴇ ᴛʜɪɴɢs ʀɪɢʜᴛ.
Tʜᴀᴛ’s ʜᴏᴡ ᴀ sᴜᴘᴇʀʜᴇʀᴏ ʟᴇᴀʀɴs ᴛᴏ ғʟʏ.
Eᴠᴇʀʏ ᴅᴀʏ, ᴇᴠᴇʀʏ ʜᴏᴜʀ, ᴛᴜʀɴ ᴛʜᴇ ᴘᴀɪɴ ɪɴᴛᴏ ᴘᴏᴡᴇʀ.
( Tʜᴇ Sᴄʀɪᴘᴛ - Sᴜᴘᴇʀʜᴇʀᴏᴇs )
Era una mattina come le altre, se non più fredda.
Aveva messo i piedi giù dal letto, abbandonando quel caldo
giaciglio che lo accompagnava nei viaggi notturni, per catapultarsi
alla realtà. Non era riuscito neanche a mettere piede fuori
casa, che una soffiata di tramontana lo colpì in pieno appena
entrato in cucina, a causa delle finestre lasciate aperte la sera prima.
Con qualche smadonnamento in più del solido, riuscì
ad arrivare alla fermata dell'autobus con il giusto necessario per non
rischiare l'assideramento nel tragitto per arrivare a scuola.
Non che odiasse freddo, anzi, tutto il contrario. Se avesse dovuto
scegliere tra l'assiderazione e le scottature, sicuramente avrebbe
preferito morir congelato in mezzo alle tramontane. Era tipo da coperta
e cioccolata calda in inverno, lui; detestava andare al mare. Quelle
poche volte che era andato in spiaggia, in estate, erano dovute ai suoi
genitori. Ogni domenica -unica giornata libera per stare tutti
insieme-, veniva trascinato al mare, sotto un'ombrellone a prendere il
sole poiché la sua pelle, per sua madre, era fin troppo pallida.
Un’altra tirata di tramontana lo costrinse ad affondare il
volto nella sciarpa di lana, lasciandosi pizzicare dal caldo e soffice
materiale. Corse a nascondere le mani all'interno della giacca e
ringraziò l'autobus che riuscì ad arrivare puntuale,
salvandolo dall'Era glaciale che sembrava incombere quella mattina.
Si sedette ai primi posti, come suo solito, scegliendo il primo
sedile libero sulla sinistra, proprio accanto al finestrino.
Gettò lo zaino ai piedi di esso, prima di prendere posto e
liberare un sospiro di sollevazione. Anche quella mattina, era andata.
Chiuse gli occhi prima di appoggiare al testa al freddo finestrino,
accucciandosi come meglio poteva su quello scomodo sedile in plastica;
per qualche istante sentì le forze starlo per abbandonare
nuovamente quando, all'improvviso, una fermata troppo brusca gli fece
sbattere le tempie contro quello stesso finestrino su cui aveva
poggiato la testa.
Alzò la testa con un ringhio, per poter indirizzare lo
sguardo contro la causa scatenante di quella frenata così
brusca. Quando notò un gruppo di ragazzi, forse suoi coetanei,
bloccare l'autobus al semaforo, iniziò a massaggiarsi le tempie
dolenti per non iniziar a tirar tutti i santi che conoscesse, in ordine
alfabetico.
L'autista, stressato quanto lui, premette sul pulsante di apertura
delle porte per far entrare nuovamente quel vento da tramontana
all'interno del mezzo, permettendo in quel modo di far entrare le
povere anime vagabondanti nella bufera.
Si girò per osservare gli individui saliti per la
bontà dell'autista, riuscendo a riconoscere qualche volto
proveniente dal liceo scientifico, poco distante dalla sua scuola.
Il suo sguardo cadde quasi involontariamente ad osservare le
braccia scoperte, a causa di una T-shirt bianca, di un ragazzo;
chiedendosi come facesse a sopportare tutto quel freddo. Roba da matti,
nonché scientifici fuori di testa.
Soffocò un mormorio sorpreso quando, alzando lo sguardo sul
suo volto, due occhi nocciolati si scontrarono contro i propri,
sorpresi e -allo stesso tempo- divertiti da quelle attenzioni.
Il biondo voltò velocemente la testa, affondando subito dopo
il volto nella sciarpa. Puntò lo sguardo in strada, sperando che
Thomas non lo avesse riconosciuto.
Rimase immobile per qualche minuto, nascosto dal sedile più
grande di lui; per un momento si paragonò ad un bambino in fuga
dal proprio genitore dopo aver rubato l'ultima confezione di biscotti
dalla credenza.
Voltò -anche se di poco- lo sguardo, imprecando mentalmente
nel notare che gli occhi di Thomas erano ancora impegnati ad osservarlo
con quel luccichio che quasi detestava. Girò nuovamente il viso
verso la strada, arricciando le labbra in un broncio.
« Puoi venirmi a parlare, invece di fissarmi. Lo sai? »
Sobbalzò sul sedile, rischiando di perdere dieci anni della
sua vita, quando sentì quella voce calda e sicura alle sue
spalle, costringendolo ad alzare il volto fino a specchiarsi negli
occhi del ragazzo, arrossendo istintivamente.
« Semmai eri tu a fissare, pivello. »
« Mi chiedevo quanto ci avresti messo. » Rispose subito Thomas, aggrottando le sopracciglia divertito.
« A far cosa, esattamente? » chiese Newt, gonfiando le
guance in una smorfia prima di gettare fuori l'aria con il naso,
assottigliando lo guardo in attesa di una risposta.
« A trovare il coraggio per parlarmi. Ma, evidentemente, é una cosa che ti manca. »
Disse il più grande prima di gettare -con poca grazia- lo
zaino zaino accanto a quello del biondo, spingendolo maggiormente
contro il finestrino con un braccio, per poi prendere posto accanto a
lui.
« Primo, » cominciò ad occhi sgranati il
più piccolo, osservando come l'altro si sentisse a suo agio.
« Non mi sembra di averti invitato a sederti. E, secondo, chi ti
dice che volevo parlarti? »
Thomas lo guardò per qualche istante, prima di portare un
braccio appoggiato al sedile, con atteggiamento quasi spavaldo -ma
sicuramente sicuro di se- prima di rispondergli.
« Perché mi osservavi, forse? »
« Ma allora sei di coccio. Tu osservavi me. E poi, io non
osservavo te, osservavo semplicemente la tua pazzia nello stare a
maniche corte con questo tempo. Tutto qui. »
« Hai ammesso che mi osservavi, però. »
« La smetti? Sei irritante. »
Newt gemette frustrato, prima di affondare maggiormente il volto
all'interno della sciarpa calda, in maniera tale da seppellire il volto
dietro la lana, permettendo di far vedere al coetaneo solamente gli
occhi color smeraldo.
Thomas -grande osservatore dei suoi movimenti-, andò ad
appoggiare il braccio destro lungo lo schienale del sedile, invadendo
lo spazio personale del biondo, che gli dedicò un'occhiata di
sbieco.
« Conosci gli spazi personali, tu? O vuoi un disegnino? »
Thomas arricciò le labbra in un sorriso divertito da quelle
-forse buffe- provocazioni, dischiudendo le labbra rosee per emettere
una lieve risata. « Sei divertente, vocabolario. »
« La smetti di chiamarmi vocabolario? » Chiese basito, rialzando il volto per mostrare tutta la sua disapprovazione.
« Se ti decidessi a dirmi il tuo nome, magari. » Disse
con il sorriso sulle labbra, lasciando la testa libera di oscillare a
seconda delle vibrazioni dell'autobus, una volta che l'ebbe appoggiata
contro lo schienale. « Mi sembra ingiusto che solo tu conosca il
mio nome. » Continuò, osservando l'arricciamento del naso
del coetaneo, forse irritato.
« Dimmi perché dovrei. » Rispose con una
smorfia, appoggiando la testa al freddo finestrino nel tentativo di
trovar sollievo nel freddo.
« Ci incontreremo ancora, é destino. »
Sbottò il moro, arricciando le labbra in un broncio fin troppo
infantile per la sua età. Poteva quasi essere definito peggiore
di quello di Alby.
« Non penso proprio. » Borbottò in risposta,
soffiando con forza aria dal naso prima di socchiudere gli occhi.
Sentendo lo sguardo corrucciato dell'altro, girò il volto in sua
direzione, osservando la scintilla soddisfatta del coetaneo accendersi
quando incatenò lo sguardo al suo. « Mi chiamo Newt, e tu
sei irritante. » Si lasciò sfuggire, lasciando il proprio
sguardo libero di affondare per qualche istante in quello nocciolato
del ragazzo accanto a se, prima di voltare nuovamente il volto e
dedicare lo sguardo alla strada.
« Newt, come Newton? Seriamente? » Mormorò ad
occhi sgranati, indeciso se essere incredulo o tremendamente divertito
da quel contrasto.
« Sei proprio un Tommaso. » Rispose Newt, scuotendo la testa arreso da quel comportamento.
Voltò ancora la testa verso il ragazzo, corrugando la fronte
nel notare la smorfia confusa che albeggiava il viso del moro.
« Cosa? » Chiese, appoggiando meglio la spalla al
finestrino per usarla come sostegno. « Cosa c'entra il mio nome?
» Domandò confuso Thomas, posizionandosi meglio dopo una
frenata brusca dell'autobus, avvicinandosi maggiormente all'altro per
sentirlo meglio.
Newt, non notando l'avvicinamento, rispose con un sospiro, portandosi la mano libera tra i capelli per scuoterli.
« Il tuo nome è una variante europea del nome italiano
Tommaso, che a sua volta deriva dall'aramaico antico e significa
'gemello'. Il modo di dire 'Sei un Tommaso' indica una persona
incredula. » Spiegò con tranquillità, alzando
leggermente le spalle per sottolineare il concetto.
« Vedi, » Mormorò -forse colpito, ma forse-, il
moro, che tornò a sorridere sbarazzino in sua direzione. «
Sei un vocabolario. »
« Io non sono un-, Ah, fammi scendere. » Sbottò
con un sospiro il più piccolo, alzandosi per spingere via il
coetaneo, costringendolo ad alzarsi non appena l'autobus fermò
alla sua fermata.
« Okay Newt, non maltrattarmi. » Disse, prima di
dedicargli un ultimo sorriso. Osservò le ciocche bionde e sempre
composte del coetaneo, fino a sciogliersi negli occhi smeraldini con un
sorriso.
Newt voltò un'ultima volta lo sguardo, incrociando gli occhi
nocciolati e divertiti del ragazzo, riuscendo a notare quella scintilla
intenerita nello sguardo. Sospirò.
« Alla prossima, Tommy. » Alzò una mano in sua
direzione -come saluto-, e senza aspettare una risposta, prese lo zaino
e si affrettò a scendere dall'autobus per immergersi nuovamente
nella tramontana.
Thomas si rimise seduto, con un sorriso più soddisfatto dei
precedenti. Appoggiò le spalle al vetro freddo, continuando ad
osservare i passi lenti del biondo che -con tranquillità-, si
avviava verso il vialetto della scuola poco lontana.
« A presto, Newt. » Mormorò in un sussurro al
vuoto, prima di scuotere la testa divertito dalle sue stesse parola e,
forse, anche pensieri.
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« E
quindi, » Iniziò Alby, non appena riuscì a vedere
la testa bionda di Newt spuntare nella classe. Alla stessa ora, come
tutte le mattine. « Il mio piccolo Newt ha incontrato un certo
Cooper in autobus. »
« E tu
cosa ne sai, scusa? » Domandò sorpreso questi, poggiando
la borsa a tracolla nera accanto allo zaino dell'amico, sul banco che
divideva con quella testa quadra di Alby.
« Non lo
sai? Le voci girano, ed anche velocemente. » Rispose con poca
importanza nella voce il ragazzo, arricciando le labbra in un ghigno
divertito.
« Le voci
gir-.. No, non voglio sapere. » Sospirò lentamente,
appoggiando le mani sul banco bianco. Voltò la testa verso i
compagni che iniziarono ad entrare in quel momento, arricciando il naso
prima di mettersi seduto ad osservare Alby.
« Thomas
ti adora. » Lo canzonò l'amico, sedendosi accanto al
biondo per potergli tirare un lieve cazzotto sulla spalla, sapendo
quanto non sopportasse i contatti.
Infatti, di
riflesso, il più piccolo sobbalzò leggermente sulla
sedia; incrociò le braccia sul tavolo ed appoggiò la
testa sopra di esse, soffocando uno sbadiglio sul nascere. «
Resta comunque un idiota. » Mormorò con la voce impastata
dalla stanchezza mattutina, per poi voltare nuovamente la testa verso
l'amico.
« Mi ha
chiesto il tuo numero poco fa, » Iniziò lentamente Alby,
facendo attenzione a calcare perfettamente ogni parola. « Posso
darglielo? »
« Alby,
» mormorò con calma il biondo, soffiando aria dal naso
come ogni volta che era indignato. « Posso trovarmeli da solo gli
amici, ma grazie. » Terminò, voltando lo sguardo dalla
parte opposta, verso la porta, iniziando a chiedersi dove diamine era
andata a finire la professoressa di Chimica.
« Suvvia
Newt, mia nonna ha più vita sociale di te. » Sbottò
incredulo, incrociando le braccia al petto nel momento in cui
lasciò andare il corpo contro la sedia.
Newt lo guardò un'ultima volta, assottigliando lo sguardo prima di potersi alzare.
L'altro lo
guardò incuriosito, sorpreso di come non riusciva a buttar
giù la verità, cosa che normalmente era solito fare ogni
volta.
« Dove vai? » Chiese nel momento in cui vide la zazzera bionda del suo migliore amico allontanarsi, verso la porta.
«
É evidente che la professoressa non verrà, oggi. E, visto
che dopo dieci minuti di attesa abbiamo la possibilità dell'ora
di buco, me ne vado sul tetto. Vieni con me? » Concluse con
quella domanda con un'alzata di spalle, osservando con un sorriso il
broncio del ragazzo.
« No, mi ritengo offeso. Non verrò. »
« Okay. »
« Dico davvero. »
« Okay. »
« Resterò qui, al calduccio, pregando che qualche porta ti lasci chiuso fuori per il resto dei tuoi giorni. »
« Okay. »
E nel momento
in cui il corpo del biondo sparì fuori dalla sua visuale, scosse
la testa per qualche istante, prima di alzarsi con un'imprecazione
mormorata tra i denti.
« Non vale. » Sbottò una volta che ebbe raggiunto l'amico sulle scale, borbottando qualcosa di insensato.
« Sei
tu che hai promesso che non mi avresti lasciato. » Rispose
tranquillamente Newt, riferendosi alla promessa che -da bambini-, si
erano impegnati a stringere. Senza mai infrangerla.
« Non
l'ho mai fatto, infatti. » Sorrise, Alby, quando -voltando lo
sguardo verso il più piccolo-, poté notare il sorriso
albeggiare quelle labbra rosee.
« E mai
lo farai. » Mormorò con un sorriso più amplio Newt,
scuotendo la testa prima di sospirare teatralmente. « Anche se,
una spina al piede sarebbe meno fastidiosa di te. »
« Hey!
» Si imbronciò il maggiore, tornando ad incrociare le
braccia al petto come un ragazzino. « No, basta. Vado via.
» Concluse sicuro, aumentando i passi fino ad arrivare a saltare
sugli scalini in marmo, raggiungo velocemente il tetto senza farsi
notare.
Newt rimase
tranquillamente indietro, portandosi le mani nelle tasche dei jeans
scuri quando percepì l'aria fredda colpire nuovamente il suo
corpo, provocandogli un tremito, non appena mise piede sul tetto.
Vagò con lo sguardo in giro, notando il traffico del lunedì mattina divorare le strade.
Quando
notò il coetaneo appoggiato tranquillamente sulla ringhiera del
tetto, si affrettò a raggiungerlo, notando solo all'ora il suo
broncio ancora offeso.
« Lo sai
che ho bisogno di te. » Mormorò piano, portando le mani al
di fuori della ringhiera con il tentativo di poter racchiudere l'aria
fredda nei palmo di essi, ovviamente invano.
Alby rimase in
silenzio, forse per qualche minuto, prima di sciogliere quel broncio e
sorridere il direzione del biondo, venendo subito ricambiando con un
arricciamento di labbra.
« Ed io
di te. » Disse in un borbottio, andando a scontrare la spalla
destra con la sinistra dell'amico, spintonandolo più verso
l'esterno.
Newt gli
dedicò un'occhiata di rimprovero, sciogliendosi non appena
sentì la risata frizzante fuoriuscire dalle labbra del suo
migliore amico.
E, per qualche
istante, il volto ridente di Thomas gli tornò in mente,
costringendolo a sorridere in riflesso; anche se di nascoso.
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Newt aprì la porta della libreria a fatica: il vento era
talmente forte che pensava l'avrebbe trascinato via da un momento
all'altro. Fuori faceva talmente freddo che temeva di aver perso le
dita delle mani, non riuscendole più a sentire -nonostante i
guanti-.
Ma, quando entrò nel negozio, lo accolse un piacevole
calore. Si tolse giacca, guanti e sciarpa e li appese all'attaccapanni.
« Newt, va tutto bene? »
Il biondo, sentendosi chiamato, si girò verso Brenda. Brenda
era una ragazza bella, se non perfetta; aveva lunghi capelli scuri e
gli occhi tondi, in contrasto alla carnagione chiara.
« Tutto bene. Dai, vai a casa a riposarti. Ci penso io a chiudere, qui. »
L'aveva conosciuta all'inizio dell'estate, quando cominciò a cercare lavoro per potersi pagare gli studi universitari.
L'aveva trovata per caso, al parco, mentre faticava a tenere in mano buste piene di libri.
Riuscì ad ottenere immediatamente il lavoro come commesso in
libreria, ed in fondo gli piaceva. Poteva prendere tutti i libri che
voleva, senza pagarli. E Brenda era sempre gentile con lui, così
come il padre. Proprietario della libreria, situata poco lontano dalla
scuola.
Usciva da scuola all'ora di pranzo, e correva per il turno
pomeridiano che Brenda gli aveva gentilmente assegnato; gli permetteva
di studiare persino durante l'orario di punta, anche perché la
gente che frequentava la libreria era tra le più tranquille che
avesse mai conosciuto.
Principalmente erano adulti, raramente qualche adolescente. Il che
gli rendeva molto più facile consigliare i libri da leggere.
Lavorava lì da più di sei mesi: inizialmente doveva
essere solo un lavoro estivo, da abbandonare con l'inizio della scuola,
ma alla fine aveva deciso di rimanere. Gli faceva comodo qualche soldo
in più: i genitori pagavano tutto quello di cui aveva bisogno,
ma a lui non piaceva essere totalmente dipendente da loro. In questo
modo, invece, sapeva che se fosse successo qualcosa, sarebbe riuscito a
cavarsela da solo.
E, col tempo, aveva iniziato ad affezionarsi a quel posto. Si era
abituato al suono della campanella appesa sopra alla porta, all'odore
dei libri, al rumore delle pagine sfogliate da qualche cliente indeciso.
Gli piaceva addirittura fare l'inventario settimanale, considerato
da tutti il compito più noioso: passare un intero pomeriggio con
i libri tra le mani lo rilassava.
Cominciò a mettere a posto qualche volume; probabilmente
quella sarebbe stata una giornata tranquilla, visto il tempo che c'era.
A contraddirlo -però-, arrivò il suono della
campanella e la porta che sbatteva, seguita dalle imprecazioni del
pazzo che era uscito con quel vento.
Newt sorrise: doveva essere davvero un amante dei libri, se era disposto a rischiare l'assideramento pur di andare lì.
« Arrivo subito! » Posò il volume che aveva in mano,e si diresse verso l'unico cliente della giornata.
Sorpassò il balcone su cui aveva poggiate il libro
velocemente, ghiacciandosi sul posto non appena identificò lo
sguardo spaesato e nocciolato di un ragazzo moro, poco più alto
di lui.
« Tu. che diavolo ci fai qui? » mormorò
incredulo, dischiudendo le labbra nello stesso momento in cui lo fece
anche l'altro.
Thomas arricciò il naso in una smorfia, prima di potersi
sfilare le cuffiette dalle orecchie che rilasciarono le vibrazioni
causate dalla musica alta, provocando un brivido freddo al biondo per
quel volume fin troppo alto.
« Prego? » Domandò il moro, alzando le
sopracciglia al sospiro rassegnato del biondo. « Oh, cercavo
Brenda, ma noti con piacere che é andata a casa. » Disse,
dopo aver lanciato uno sguardo veloce al negozio, praticamente deserto.
« É uscita poco fa. » Confermò Newt,
procurando un sorriso infreddolito sulle labbra violacee del coetaneo.
Nel notare le gote di Thomas iniziare ad imporporarsi, voltò lo
sguardo -perso poco prima-, dalla parte opposta.
« Capisco, » Cominciò, seguendo lo sguardo del
biondo non appena lo distolse. Strofinò lentamente le mani tra
di loro, per riscaldarsi, prima di poter avvicinarsi.
« Desine fata deum flecti sperare precando. [1]»
Newt si voltò appena, incrociando lo sguardo smaliziato dell'altro con l'accenno di un ghigno sulle labbra.
« Non era il destino, una volta? » Domandò,
girandosi completamente verso il moro. Appoggiò il bacino contro
il legno del tavolo, utilizzandolo come sostegno, per poter incrociare
le braccia al petto.
« Dettagli. » Sbottò in risposta il ragazzo,
allargando le braccia teatralmente prima di soffocare un sospiro,
provocando solamente un sorriso soddisfatto e vittorioso nel biondo.
« Il destino, a differenza del fato, segue eventi che
accadono secondo una linea temporale soggetta alla necessità di
una persona e, volendo, può essere cambiato. »
Mormorò lentamente, alzando le spalle nel notare la scintilla
vendicativa negli occhi del moro.
« Smettila di fare il vocabolario, e Permettimi di
conoscerti. » Mormorò deciso Thomas, impuntando i piedi al
terroni come a sottolineare il concetto.
Newt lo scrutò per qualche attivo, restando immobile senza
realmente pensare. Lo osservò e basta. Osservò i capelli
scomposti e disordinati ricadergli sulla fronte; fece cadere lo sguardo
sul naso arrossato per il freddo, fino a finire nuovamente agli specchi
nocciolati che lo fissavano in attesa, curiosi ed intrigati.
« Facciamo così, » Disse, rompendo in silenzio.
Guardò il ragazzo, nuovamente animato, farsi attento non appena
gli passò un libro. « Finisci questo libro, senza guardare
il finale su internet, e ti lascerò il mio numero. »
« La
Divina Commedia? » Gemette Thomas, non appena ebbe il 'libro' in
mano. « Vuoi uccidermi? » Chiese in un sussurro; sussurro
che rimase nell'aria come una dichiarazione di morte.
« Lo vuoi
il mio numero, si o no? » Chiese in risposta Newt, arricciando le
labbra in un ghigno divertito quando notò le labbra del ragazzo
schiudersi -probabilmente per ribatter-, e richiudersi velocemente,
come se avesse cambiato idea.
« Sai
cosa, Newton? » Sbottò d'improvviso, stringendosi
maggiormente il libro tra le braccia. « Lo farò. »
Il biondo
cercò di non dischiudere le labbra sorpreso quando vide il
coetaneo infilare il libro nella borsa, non pensando che avrebbe
accettato.
« Dammi
una settimana, e dovrai darmi il tuo numero. » Continuò
Thomas, tornando ad infilarsi una cuffietta nelle orecchie mentre si
avviava con passo veloce verso la porta.
«
Vedremo, Tommy. » Mormorò tranquillo, osservando il
sorriso già di vittoria che andò a crearsi sulle labbra
del ragazzo dagli occhi nocciolati.
« Alla prossima settimana, Newton. »
E Newt si ritrovò nuovamente solo, all'interno di quell'oasi di calore in mezzo ad una tempesta.
Sorrise in
direzione della porta, scosse la testa e tornò al suo lavoro.
Stranamente, aveva trovato una forza improvvisa nel terminare quella
settimana.
Anche se non lo avrebbe mai ammesso, neanche a sé stesso.
N O T E:
[1] « Cessa di sperare di cambiare i fati degli dèi con la preghiera. »
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