Il Mondo In Una Stanza

di The Sorrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hikikomori ***
Capitolo 2: *** Dialogo A Porta Chiusa ***
Capitolo 3: *** Gioco Di Ruolo ***
Capitolo 4: *** Riflessioni ***
Capitolo 5: *** Amici ***
Capitolo 6: *** Confronto ***
Capitolo 7: *** Abbandono ***
Capitolo 8: *** Dipendenza ***



Capitolo 1
*** Hikikomori ***


Hiki(1 cap).



Per quanto tempo dovrò stare qui? Tanto. Il più possibile. Per sempre, se ci riesco. Non voglio uscire, non voglio camminare in mezzo alla gente, non voglio respirare lo smog che pervade l'aria, non voglio stringere la mano a qualcuno.
 Non voglio fare niente.
Probabilmente qualsiasi psichiatra mi direbbe che soffro di depressione, ma non è così. Io sono felicissimo, che cosa credete? Ho preso una decisione, ho scelto di vivere in questo modo e adesso non tornerò più indietro. In questo paese si parla sempre di disoccupazione, di crisi, di fallimento, di giovani che non riescono a trovare un lavoro fisso o che abbandonano gli studi. Io probabilmente sono tra questi. Perché?
Perché sono un hikikomori.


È ormai da un anno che non metto piede fuori casa e penso di conoscere la mia stanza meglio di ogni altra cosa. Passo ore ed ore sdraiato nel letto a guardare le crepe nel muro, ad osservare il soffitto come se, all'improvviso, fosse diventata la cosa più interessante del mondo oppure a dormire. Già, dormo spesso negli ultimi tempi, anche se non ho particolarmente sonno. È proprio vero che oziare è stancante. Dormo per alienarmi ancora di più dal mondo, per non rendermi conto dello stile di vita che sto conducendo. Uno stile di vita sbagliato, secondo molte persone. 
"Toc-toc".
Bussano alla mia porta. Chiusa a chiave, ovviamente. Non permetterei mai e poi mai che una persona entri qui dentro: violerebbe il mio isolamento, il mio sistema, il mio mondo. Certo, qualcuno ha provato ad intervenire, volevano tirarmi fuori. Ma non ci sono riusciti e io sono ancora qui, rinchiuso in questa stanza che rappresenta il mio piccolo ecosistema.
"Toc-toc. Toc-toc".
Questo è il segnale. È ora di pranzo.
Oramai mia madre si è abituata a lasciarmi il cibo fuori dalla porta. Un vassoio con un piatto di pasta, un panino, una mela e una bottiglia d'acqua. Purtroppo questo sistema presenta un grande svantaggio; i miei genitori non si sono ancora arresi alla prospettiva di avere un figlio hikikomori e, ogni volta che apro anche solo minimamente la porta per un qualsiasi motivo, cercano sempre di trovare una scusa per farmi uscire.
Dio, per favore, fa che almeno oggi mi lascino in pace.
Bene, il mio pranzo è lì. Ora apro la porta, lo prendo e...
"Matteo, hai visto che sole che c'è oggi? È proprio una splendida giornata, ideale per una passeggiata. Potremmo andare al parco, che ne dici?".
Prendo il vassoio e chiudo nuovamente la porta a chiave.
 Una passeggiata? Andare al parco? Ma non se ne parla nemmeno! Il parco è pieno di gente e la sola idea che il mio braccio possa sfiorare casualmente quello di un'altra persona mi fa venire la nausea. No, io non esco.


Dopo un anno di isolamento mi sono abituato ad essere un hikikomori. Non posso dire che è uno stile di vita interessante perché non lo è. Però mi piace, mi fa sentire protetto. Ecco, forse è per questo che sono un hikikomori. Stare chiuso in una stanza, da solo, in compagnia dei miei pensieri, senza nessuno che mi guardi... tutto questo mi fa sentire protetto. Questa stanza è l'unico posto dove sono a mio agio.
Insomma, non è vero che non ho le palle per aprire quella porta e affrontare il mondo esterno. Semplicemente non trovo che sia una mossa saggia. No, no, no. Non è affatto una mossa saggia.
La verità? La verità è che io non so più che cosa fare. Forse dovrei uscire... no, questo mai. Non riuscirei a parlare, sarei solo un pesce fuor d'acqua. Ma allora che cosa devo fare?
Che cosa devo fare?
Ho sonno. Voglio dormire.

"Toc-toc".
Bussano alla porta.
Bussano alla porta?
Calma, niente panico. Non possono essere i miei genitori, non è ora di cena. E poi loro bussano in un modo diverso, più deciso. Ma allora... chi è?
"Matteo?". È una voce femminile, non l'ho mai sentita prima d'ora. Non mi piace, non mi piace per niente.
Qualcuno vuole me.
Qualcuno è venuto a spezzare la mia rassicurante routine.
Qualcuno che, ne sono certo, vuole tirarmi fuori da qui. Di nuovo.












Note:

Hikikomori(letteralmente "Stare in disparte, isolarsi") è un termine giapponese con cui vengono indicate quelle persone, generalmente dai 15 ai 30 anni, che decidono di ritirarsi completamente dalla vita sociale, troncando ogni rapporto con il mondo esterno e vivendo in una condizione di autoreclusione all'interno della loro abitazione. Gli hikikomori abbandonano la scuola e il lavoro diventando così schiavi di una routine sedentaria, mantenendo contatti con il mondo esterno unicamente grazie ad internet. Tuttavia l'hikikomori non deve essere confuso con la dipendenza da internet, dato che sono due cose totalmente differenti.
In Giappone questo fenomeno è molto diffuso (si parla di circa un milione di giapponesi hikikomori anche se stime più recenti parlano di un range compreso tra 100.000 e 320.000 individui) e si sta diffondendo anche in altri paesi tra cui Stati Uniti, Francia, Spagna, Regno Unito e Italia, dove sono sempre di più i casi segnalati.






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Capitolo 2
*** Dialogo A Porta Chiusa ***


Hiki(2cap).



In effetti la colpa è anche un po' mia. Insomma, sono stato proprio uno stupido a pensare che non avrebbero chiamato qualcuno, prima o poi. E adesso che cosa faccio? Non so nemmeno se sono ancora in grado di parlare con una persona vera, in carne e ossa. L'unica rassicurazione è che tra me e lei c'è una porta chiusa, che non si aprirà per nessun motivo.
"Matteo, per favore, ascoltami. Io sono qui per aiutarti".
Ancora questa scusa? Ma perchè sono tutti così fissati con l'aiutarmi? E se io stessi bene così? E se non avessi bisogno di aiuto? No, questa ipotesi non la considerano nemmeno. Io sono un hikikomori, quindi ho bisogno di aiuto. Punto.
"Ti chiedo solo di ascoltarmi, tutto qui. Non devi uscire, puoi stare nella tua stanza".
Questa voce mi piace sempre di meno. È come la favola del pifferaio magico e io sono un topolino. Vogliono attirarmi fuori dalla mia tana e lasciarmi affogare. Ma io non mi farò trarre in inganno. Tuttavia... tuttavia sono curioso di sentire i motivi per cui dovrei abbandonare il luogo dove mi trovo tanto bene. Sì, le darò una possibilità. Resta solo un problema: come faccio ad esprimermi?

Un hikikomori non ha bisogno delle parole e quindi tende a non usarle. Le abbandona, proprio come se fossero degli oggetti inutili. Ho trovato questa frase in un articolo su internet dove si parlava degli autoreclusi, degli hikikomori, delle persone come me, insomma. E devo dire che è assolutamente vera. Vivendo in uno stato di isolamento totale, io non ho bisogno delle parole. Ecco perché adesso sono in difficoltà. So che cosa dovrei dire e anche come dovrei dirlo. Ma non ci riesco, non ci riesco!
"V... v... v...".
Sto balbettando. È normale, dato che non parlo da tanto tempo. Dannazione!
Uscite fuori dalla mia gola, maledette parole.
"V... v... v...va b... b... b...".
"Matteo? Scusa, non ti sento molto bene".
Uscite, maledette parole.
"V... va b... ben...".
Uscite, maledette parole!
"Matteo, è tutto a posto?". La voce di questa tizia mi da sui nervi. Non la sopporto, non la sopporto. 

"VA BENE! VA BENE! VA BENE! VA BENE!".

Sto urlando. Ho tolto il tappo alla mia non-comunicazione e questo è il risultato. Adesso sono come un fiume in piena, non riesco a fermarmi.
"Va bene, parliamo. Illuminami su quello che non so. Convincimi ad entrare nella fossa dei leoni che c'è fuori dalla mia stanza. D'altronde io sono solo uno stupido hikikomori, giusto? Io sono come il protagonista di quel fumetto, Tatsuhiro Sato. E tu sei una sorta di angelo che è venuto a salvarmi, non è così? Allora, raccontami le tue motivazioni. Dimmi perché dovrei uscire. Forza, ti sto ascoltando".
Le frasi adesso stanno uscendo fuori da sole, con la stessa forza di un ciclone. Ed ora che ho finito di parlare c'è solo il silenzio. La quiete prima della tempesta, forse. O forse è tutto finito. Già, è tutto finito. Adesso questa ragazza se ne andrà ed io riprenderò la mia normale vita da diciassettenne hikikomori.
Silenzio...
Passano dieci secondi, poi venti, trenta, un minuto, due minuti. Forse è davvero finita.
"Tu... tu hai diciassette anni, giusto?".
Non si arrende. Vediamo dove vuole andare a parare.
"Sì, ho diciassette anni. Sembri molto informata. Da quale associazione provieni? La New Start? Sei una Rental Sister? Insomma, chi sei? Non ho bisogno di te, a me piace il mio stile di vita".
Adesso riesco a parlare abbastanza normalmente, anche se la mia voce trema un po' e ho paura che se ne sia accorta anche lei.
"Anche tu sei informato, a quanto pare. Comunque no, non faccio parte della New Start, ma possiamo dire che sono una sorta di Rental Sister, come hai detto tu. Sono qui per aiutarti. Ascoltami, lo so che per voi è difficile parlare con una persona che non conoscete. L'ho visto prima, mentre balbettavi e lo vedo anche adesso. Ti trema la voce, sai?".
Merda, l'ha notato. Questa ragazza non mi piace. Ha detto che non fa parte della New Start, ma allora chi è?
"Non hai risposto alla mia domanda. Chi sei? Un'assistente sociale o qualcosa del genere?".
"Diciamo di sì. Faccio parte di un'associazione che si occupa di persone come te. Aiutiamo gli hikikomori italiani a reintegrarsi nella società. A proposito, io mi chiamo Ilaria".
"A me non interessa. Vattene". Era tutto troppo bello per essere vero. Avrei dovuto immaginare che, prima o poi, sarebbe arrivato qualcuno a rompermi le uova nel paniere.
"Tu dici così, ma, secondo me, hai il desiderio di cambiare qualcosa nella tua vita. Come passi le giornate?".
"Dormo, leggo e fisso il soffitto. Mi sembrano attività piuttosto comuni, quindi mi spieghi perché dovrei essere aiutato? A me piace vivere così".
"Ma non è uno stile di vita sano! In questo modo fai male a te stesso".
No, questo è troppo. Io non la reggo più.
"Vattene".
"Ma...".
"HO DETTO VATTENE!".
Urlo. Di nuovo. È la mia risposta a tutto, l'unico metodo che conosco per mettere a tacere qualcuno. O per scappare.
"Ascoltami, tornerò anche domani, alla stessa ora. Sentirò tutto quello che vorrai dirmi, qualunque cosa. Puoi parlare con me, sfogarti, proprio come hai fatto oggi. Fidati, ti sentirai meglio. A domani".
La sento che si allontana. Poi un brusio sommesso: sta parlando con i miei genitori. Quanto vorrei sentire quello che si dicono. Invece riesco solo a carpire qualche parola.

"È abbastanza grave".
"Non so dire se e quando guarirà".
"Verrò domani alla stessa ora e proverò ad instaurare un dialogo".

Adesso sento una voce diversa, più cupa e cavernosa. Papà.

"La ringrazio per il suo sostegno".
"La pregherei di non rispondere ad eventuali domande dei vicini sul motivo della sua visita e di quelle successive".
"Non vorrei che si sappia in giro, quindi le chiedo la massima discrezione".

Mio padre... sempre lo stesso. Non vuole che venga sparsa la notizia che suo figlio sia un hikikomori. Insomma, lui è il grande avvocato Giulio Ferrara, ha una sua dignità e questa dignità andrebbe in frantumi se i suoi colleghi, i suoi vicini scoprissero che cosa sono io.
Non l'ho mai capito. Io non ritengo che l'hikikomori sia una cosa di cui vergognarsi. Non esco da più di un anno, è vero, ma è per mia scelta. E ne vado fiero.

So che gli hikikomori usano spesso il computer. Di tanto in tanto, sui giornali online, vengono fuori titoli come "Passa più di dieci ore davanti al PC. Nuovo caso di hikikomori in Italia".
Questo paese non smetterà mai di stupirmi. Ma non hanno ancora capito che hikikomori e dipendenza da internet sono due cose totalmente differenti? Il fatto che gli hikikomori usino spesso il computer non li rende tecno-dipendenti.
Io, comunque, non vado spesso su internet. Sono isolato sia fiscamente sia mentalmente. Eppure... eppure la prospettiva di un videogioco online mi affascina. Fino ad ora non avevo mai provato giochi simili ma adesso l'idea mi stuzzica. Sarà per la noia? Sarà perché, dopo un anno di isolamento, ho bisogno di nuovi stimoli? Sì, deve essere per questo motivo. Ma gli stimoli non posso certo andarli a cercare fuori, quindi ben venga questa nuova esperienza. Giusto qualche settimana fa ho ritrovato, sepolto dal disordine che domina la mia stanza, il gioco "Final Fantasy XIV: A Realm Reborn". Non ricordo perché l'avevo comprato, forse per curiosità, ma fatto sta che non l'ho nemmeno installato.
Fisso il disco per qualche secondo.
Perchè no?
Accendo il computer e mi preparo a giocare. Stranamente, ho il cuore che batte ad un ritmo accellerato.
Deve essere il brivido dell'ignoto.
Forse.
O forse no.



















Note:

Tatsuhiro Sato: personaggio protagonista del manga/anime "Welcome To The N.H.K". È anche lui un hikikomori.

New Start: organizzazione no profit, con sede principale in Giappone e sedi secondarie in Italia, in Australia e nelle Filippine. Il compito principale della New Start è quello di aiutare i ragazzi e le ragazze con problemi di integrazione, in particolar modo gli hikikomori, favorendo una loro reintegrazione nella società.

Rental Sisters: letteralmente "Sorelle in prestito". Si tratta di ragazze che lavorano per associazioni, come la già citata New Start. Il loro compito è quello di andare a trovare personalmente l'hikikomori a casa sua (spesso sono chiamate dai genitori dell'hikikomori o dai suoi parenti) e convincerlo ad uscire e seguire un percorso terapeutico. Il contatto può avvenire a voce, tramite cellulare oppure attraverso delle lettere passate sotto la porta. Non sempre questo metodo va a buon fine e possono servire numerose visite prima che l'hikikomori decida di uscire. Sono sempre di più quelli che, invece, decidono di rimanere nella loro stanza.

Final Fantasy XIV: A Realm Reborn: gioco di ruolo online (MMORPG) appartenente alla famosa serie di giochi di ruolo Final Fantasy. È il secondo MMORPG (acronimo di Massive Multiplayer Online Role-Playing Game, ovvero gioco di ruolo in rete multigiocatore di massa) della serie dopo Final Fantasy XI.





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Capitolo 3
*** Gioco Di Ruolo ***






Ci sono poche cose che sono capaci di lasciarmi senza fiato: il panorama che sto osservando è di sicuro una di queste. Se i miei occhi avessero il dono della parola probabilmente mi ringrazierebbero. È da circa dieci minuti che sto guardando questo splendido paesaggio e ancora non mi sono stancato. È una delle cose più belle che io abbia mai visto.
Da quanto sto giocando? Quarantacinque minuti? Ma non posso mica smettere adesso. Insomma, sto per salire di livello e finalmente potrò avere un arma migliore di questa spada arrugginita.
Fisso nuovamente "Matt17", il mio personaggio. Certo, il nickname non è esattamente il massimo ma a me piace da impazzire, esattamente come mi piace il mio avatar. Fisicamente non mi somiglia. È biondo, mentre io ho i capelli castani. Ha un fisico molto muscoloso e robusto; io invece sono abbastanza magro. E potrei andare avanti all'infinito, elencando tutte le differenze tra me e il personaggio che, in teoria, dovrebbe rappresentarmi in questo grande mondo. 
Perché questo è un mondo vero e proprio. Posso incontrare un giocatore francese e, dopo dieci minuti, uno giapponese. Poi ci sono giocatori spagnoli, inglesi, americani, tedeschi. Un intero mondo sempre a portata di mano. E non importa sei sei un maschio, se sei una femmina, se sei bello, se sei brutto, se hai un lavoro dignitoso oppure se non esci di casa da più di un anno.
Qui le regole vengono stravolte, ribaltate e distrutte.
Qui cambia tutto.

"Bip, bip, bip, bip".

Il segnale del cellulare! Maledizione, proprio ora che quella bestia era a portata di spada. Solo altri due colpi e finalmente sarei riuscito a completare questa dannata missione.
No, è ora di staccare.
Spengo tutto e mi distendo sul letto. Con gli occhi chiusi rivedo ancora quel paesaggio, quei mostri che cadevano sotto i colpi della mia spada. Sento ancora la soddisfazione di avere finalmente un arma nuova o di poter comprare quel pezzo di armatura che solo fino a poco tempo fa sembrava irraggiungibile. Non provavo emozioni simili da tanto, tantissimo tempo.
Ma ho un solo pensiero fisso in testa. Devo ricordarmi sempre qual è la realtà. Sempre.
Il mio cellulare ha un timer e ho deciso di usarlo per limitare il mio tempo di gioco. Un'ora, solo un'ora. Non importa che cosa sto facendo; quando suona il segnale, il computer va spento.
Quando ho iniziato a giocare non mi aspettavo di certo un coinvolgimento emotivo simile. Ho deciso che, da oggi, farò sempre una visita nel territorio di Eorzea almeno una volta al giorno. Finalmente sono riuscito a trovare un metodo per sfuggire all'unico difetto della vita da hikikomori: la monotonia.
Domani probabilmente Ilaria verrà di nuovo: non mi è sembrata una persona che si arrende tanto facilmente.
Peggio per lei.

Ho gli occhi aperti e il cervello che non accenna minimamente a spegnersi, anche se sono le due di notte. L'insonnia è naturale, soprattutto tenendo conto del fatto che di giorno dormo tantissimo, forse troppo. E quindi il buon vecchio Morfeo non vuole farmi visita. Che cosa devo fare? Non posso mica rimanere sdraiato in attesa di un sonno che non arriverà mai.
Guardo distrattamente il computer.
Quasi quasi...

Solo mezz'ora, solo mezz'ora, solo mezz'ora. Giusto una partita breve per scaricarmi un po' dallo stress che mi procura l'insonnia. E poi devo ancora finire quella missione.
Una domanda che mi viene spontanea è: ma ci sarà qualcuno come me tra tutte queste persone? Un hikikomori che si è buttato nel mondo dei videogiochi online per distrarsi da quella vita grigia che lo circonda? Può darsi, può darsi.
Bene, missione completata. È stato più difficile del previsto abbattere questo mostro da solo ma ci sono riuscito. Forse avrei fatto meno fatica se avessi formato un gruppo con altri giocatori ma non ho incontrato nessun italiano. Ed è impensabile che mi metta a chiedere aiuto ad un francese o un inglese.

"Bip, bip, bip, bip".

Fine dei giochi. Per ora.


Alla fine sono riuscito a dormire per qualche ora. Oggi ritornerò a giocare, voglio visitare il territorio di Gridania. Ho letto sulle guide online che è una città semplicemente spettacolare. Non vedo l'ora.

"Toc toc".

No, no, no, no! Riconosco questo modo di bussare. Non mi era piaciuto ieri e non mi piace oggi.

"Matteo? Sono Ilaria. Ti va di parlare un po'?".
Se le dicessi tutto quello che mi passa per la testa in questo momento andrei dritto dritto all'inferno, quindi mi limito ad un semplice "No".
"Non ti chiedo molto, devi solo rispondere a qualche domanda".
"E quali sono queste domande?".
"A te non è mai piaciuto stare a contatto con altre persone, vero?".
"Sono un hikikomori, è ovvio che non mi piace".
"Intendevo prima che tu ti isolassi. A scuola, per esempio, avevi amici?".
Scuola... questa parola mi fa venire in mente tanti ricordi, tutti negativi. Vorrei ritrovare nella mia memoria i momenti felici, quelli in cui sono stato allegro, quelli in cui giocavo alle elementari con altri bambini. Vorrei ritrovare il ricordo di un amico fidato conosciuto in terza media. Vorrei ritrovare il ricordo del mio primo amore al liceo. Dove sono questi ricordi?
Dove si sono nascosti?
Dove sono i miei ricordi felici della scuola?
Non li trovo. Non ci sono mai stati.
Prendo fiato.
"Sai, io andavo abbastanza bene a scuola, ma non ero di certo una cima. Nonstante questo tutti mi consideravano uno studioso di alto livello, pur senza conoscere i miei voti. -Basta guardare la tua faccia- dicevano -Si capisce subito che sei uno che studia e che tiene la testa sulle spalle-. Non ho mai capito perché queste persone dicevano così; sarà forse perché porto un paio di occhiali dalle lenti quadrate che mi fanno sembrare un matematico? Non lo so, non lo so. Rimanevo comunque uno studente abbastanza mediocre. Per quanto riguarda la tua domanda, non so darti una risposta. Forse perché ho dimenticato il concetto stesso di amicizia. Ho dimenticato tutto. Tutto quello che mi fa paura si trova oltre la mia porta. Per questo la tengo chiusa".
Ecco, l'ho detto. Ho buttato fuori tutto. Non so nemmeno se le mie parole contengono il reale motivo per cui sono un hikikomori. Ma d'altronde, nemmeno io penso di conoscere il vero motivo per cui ho chiuso quella porta. O forse lo conoscevo ma adesso l'ho dimenticato.
Silenzio. Lei non risponde.
"Molto bene. Tornerò domani. Ci vediamo" e la sento mentre si allontana.
Ma come? Tutto qui? Uno stupido dialogo di nemmeno cinque minuti? .
"Ah, Matteo? Mi sono dimenticata di dirti una cosa".
È tornata! Lo sapevo che c'era qualcosa sotto. C'è sempre qualcosa sotto.
"Che cosa vuoi ancora?".
"Stai migliorando visibilmente. Oggi, sebbene abbiamo parlato per poco, non hai balbettato e la tua voce tremava di meno rispetto a ieri".
Sto migliorando...
Sarà un fatto positivo o negativo?
Negativo. Almeno credo.

Sembra che quella ragazza abbia l'innata capacità di manipolare e distruggere i miei solidi pensieri. Perché il dialogo di oggi è durato così poco? Qual era il suo vero obbiettivo? Maledizione, maledizione, maledizione!
Devo distrarmi. Una bella partita a Final Fantasy XIV mi aiuterà.

Le guide online non si sbagliavano, Gridania è davvero uno splendore. Ci ho messo un po' ad arrivarci ma ne è valsa la pena. La mia bocca rimane spalancata davanti a questa meraviglia. Ora vediamo di esplorare un po' l'ambiente.

"Bip".

Un messaggio nella chat privata.

"Ciao. Sei italiano, vero? Ho bisogno di aiuto per una missione e ho visto che abbiamo un livello abbastanza simile. Ti va di aiutarmi?".

Il messaggio proviene da un certo "Shadow". In effetti il suo avatar è vicino al mio. Accidenti, e adesso come rispondo? Mi pare scortese rifiutare ma non so come comportarmi in una partita insieme ad un altro giocatore. E se per caso faccio qualche sbaglio? E se, per colpa mia, la missione fallisce?
No! Non devo pensare a questo. In fondo è solo un gioco.
O la va o la spacca.

"Va bene" rispondo. In poco tempo ricevo un altro messaggio.
"Ottimo! Andiamo".

Due dialoghi con due persone diverse in un solo giorno.
Qualcosa sta cambiando. Ma non so se in bene o in male.

























Note:


Eorzea: nome della regione dove è ambientato Final Fantasy XIV: A Realm Reborn.

Gridania: una delle quattro città-stato più grandi ed importanti del videogioco.





 

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Capitolo 4
*** Riflessioni ***


Hiki(4 cap inc).



Giocare con un altra persona è più facile di quanto pensassi. Non devo nemmeno parlare molto, basta fare tutto quello che facevo quando giocavo da solo. A momenti non mi accorgo nemmeno che Shadow è lì, vicino al mio avatar.
Shadow... il primo giocatore italiano che ho incontrato qui. La prima persona che mi ha rivolto la parola senza nascondere secondi fini: non sa che io sono un hikikomori, non sa il mio vero aspetto o il mio vero nome. Per lui io sono solo un piccolo omino che agita la spada e lo aiuta ad abbattere un mostro. Tutto ciò è fantastico, semplicemente fantastico.
Questa è la terza missione che facciamo insieme. Il segnale è già suonato da più di mezz'ora, ma non ha importanza. Nulla ha più importanza.
In questi ultimi giorni la mia vita è stata completamente stravolta. Prima l'arrivo di quella volontaria e adesso il gioco online. Due eventi che si attirano come i poli magnetici delle calamite e si incastrano come le tessere di un puzzle.
Ilaria vuole aiutarmi ad abbattere la prigione che io stesso ho creato. Secondo lei sono ancora in grado di uscire, frequentare la scuola e, chissà, magari trovare nuovi amici. Questo è un bene.
Final Fantasy XIV mi sta completamente assorbendo. Non ero interessato più di tanto al gioco in sè ma questo mondo mi sta affascinando in un modo che definire mostruoso è poco. Piano piano sento che quella vita virtuale si sovrapporrà a quella reale. Allora non sarò più nè un hikikomori nè un normale essere umano, ma solo un fantoccio privo di personalità.
Questo è un male.
Ma cosa succederebbe se analizzassi l'altra faccia della medaglia?

Fino ad ora non mi sono mai pentito della mia scelta. Vivere isolato mi fa sentire bene e, al contrario, l'idea di riprendere uno stile di vita "normale" mi terrorizza. Sono ormai immerso in questa routine e non posso più uscirne. E non voglio più uscirne. Quindi Ilaria non è una salvatrice, casomai il contrario. È un diavolo che vuole solo la mia rovina.
Il gioco online, invece, mi sta aiutando molto. Se nella realtà sono un ragazzo di diciassette anni che più normale non si può (sì, io sono normale. Non sono pazzo, no ho disturbi psichici o altro. Sono normale), in quel gioco sono invece un grande guerriero e adesso ho anche un nuovo amico.
Shadow.
Mi ha chiesto infatti di aggiungerlo alla mia Lista Amici, in modo da poter fare altre missioni in futuro. Mi ha anche ringraziato via chat per averlo aiutato. La sensazione che provo in questo momento penso si possa chiamare felicità. Di sicuro è un'emozione che provo raramente. Quindi sì, è la felicità.

"Bip".

Un messaggio da Shadow. Mi chiede se voglio fare un altra missione. Ammetto che l'idea mi entusiasma ma sto giocando da troppo tempo. E poi io sono un hikikomori, non un fanatico di videogiochi. Quattro missioni di seguito? È troppo. Dovrei seriamente staccarmi da questo gioco. Dovrei rifiutare.

"Va bene" gli rispondo.

Maledizione a me e al mio pensiero debole.


Dopo aver finito la missione, ovviamente conclusa con successo, sono deciso più che mai a staccarmi da questo dannato e meraviglioso mondo. Questa volta sul serio.

"Io ora devo andare. Ciao".

La sua risposta arriva subito.

"Va bene. Quando ti connetti di nuovo, mandami un messaggio in chat. Tanto io sono sempre online. Ci vediamo".

Esco dal gioco e spengo il computer.


Oggi Ilaria non è venuta. Strano, stranissimo. Probabilmente sta architettando qualcosa e questo non va bene. Vuole farmi uscire e questo non va bene. Credo.
Mi siedo davanti alla porta chiusa a chiave e la fisso. Lo faccio spesso, è un modo per rilassarsi e pensare. In effetti il mio difetto è proprio quello di pensare. Io penso, a differenza di molte altre persone. Penso a qualsiasi cosa. Cerco di analizzare tutto quello che mi circonda, tutto quello che di solito sfugge agli occhi di chi non è come me.
Le persone non si soffermano mai sui dettagli. Ignorano tutto quello che non è utile, tutto quello che non serve a qualcosa, tutto quello che non ha un posto preciso nella loro vita. E così questi piccoli particolari vengono tralasciati e dimenticati. Io non voglio che succeda.
Prima di fare ogni azione, sia essa importante o meno, ci penso sempre su. Sempre.
Valuto le possibili conseguenze, il danno che mi potrebbe capitare, il vantaggio che otterrei. Essendo un hikikomori ho un sacco di tempo libero e ho tramutato questa libertà fisica anche in una libertà mentale e di pensiero. Non sono impostato, non seguo regole prestabilite, non ho doveri da portare a termine. Ho abolito la libertà del mio corpo, una libertà che mi dava solo un gran fastidio, in favore di qualcosa ben più utile.
Un cervello aperto.



Le ore di sonno che mi concedo sono tante, forse troppe. Eppure mi servono, fanno parte della mia routine e se non dormissi così tanto, anche in pieno giorno, penso che sarebbe come se avessero tolto un tassello al gigantesco puzzle della mia condizione da hikikomori. Anzi, della mia condizione da ragazzo libero.
Mi connetto a Final Fantasy XIV e, con mia grande sorpresa, scopro che Shadow è online. Gli invio un messaggio in chat.

"Ciao, come va? Sei sempre online tu, vero?".

Mi fermo un momento a guardre basito le parole che ho appena scritto. Da dove diavolo mi sono uscite? Come ho fatto ad essere così spontaneo? Non lo so e, detto sinceramente, non mi interessa saperlo.

"Te l'avevo detto, mi sembra. Puoi trovarmi sempre, a qualsiasi ora. Missione?" mi risponde.

Dovrei accettare ma non ci riesco. C'è qualcosa di strano nelle sue parole, qualcosa che mi sfugge. Ma cosa? Cosa?

"Sono sempre online".
"Sono sempre online".
"Sono sempre online".

Ma certo! Erano queste le sue parole, era questo il particolare che cercavo.

"Tu studi? Frequenti una scuola?" gli chiedo con un messaggio. Ormai quella sorta di bolla protettiva che mi impediva di comunicare è esplosa e riesco ad esprimermi con più facilità. Il fatto che questo succeda solo quando io sono in una chat non è importante. Non troppo, almeno.

"No" mi risponde. Strano che abbia risposto così velocemente, io non ci sarei riuscito. Anzi, quella domanda mi avrebbe insospettito. È forse perché io ho un cervello da hikikomori? O è solo paranoia?

"Lavori? Hai un impiego?". Voglio andare fino in fondo.

"No, sono disoccupato".
"Ma allora che cosa fai nella vita?".

Ormai ho già capito quale sarà la sua risposta. Il cuore ha accellerato il suo battito, sono ansioso. Ma, in un certo senso, dentro di me ora c'è una grande tranquillità. Perchè ho capito chi è realmente Shadow.

"Io vivo qui" mi risponde.
Mi viene da ridere. Non resisto. Rido come un matto.

Lui vive qui.
Lui vive qui.
Lui vive. Punto.



















Hiki(4 cap inc).











Note:

Lista amici: elemento di gioco grazie al quale i giocatori potranno registrare altri giocatori e controllare così il loro stato, ovvero vedere se sono online oppure offline.


Siamo arrivati al quarto capitolo e penso sia giusto ringraziare chi mi ha sostenuto fino ad ora. Quindi un gigantesco grazie a:

Innominetuo
Ossimoro Vivente
RoseNoir
Grido nel silenzio

Vi ringrazio infinitamente per aver commentato e spero che la storia continui ad appassionarvi.

Inoltre voglio dire una cosa che mi sento in dovere di dire da tanto, troppo tempo. Non capisco chi mette le storie nelle preferite/seguite/ricordate senza commentare. Se una storia vi è piaciuta perché non la commentate? Penso sia un paradosso.
Forse qualcuno non sarà d'accordo ed è giusto così. La libertà di pensiero è sacra e non va alterata in nessun modo.
Scusate per questa piccola parentesi.

The Sorrow.

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Capitolo 5
*** Amici ***


Hiki(5cap).


Penso di aver finalmente capito che cosa mi impedisce di comunicare con Ilaria. Io e lei siamo diversi. Siamo due opposti. In questo mondo esistono due tipi di persone: gli hikikomori e i non hikikomori. I primi comunicano con i primi ma non possono in nessun modo avere un dialogo normale con i secondi. Penso che sia inutile tirare in ballo la psicologia, la salute mentale, il modo di vedere la vita e altre cavolate degne di uno di quegli articoli pseudo-scientifici che circolano nella rete.
Gli hikikomori non possono interagire con i non hikikomori.
I non hikikomori non possono comprendere gli hikikomori.
Questa è la verità. È un concetto semplice, quasi banale.
Io interagisco con Shadow perché lui è come me. Ci ho messo un po' a capirlo ma adesso ne sono sicuro.
Lui è come me.

"Vivi qui? Nel gioco?" gli chiedo.
"Sì" mi risponde.
"Da quanto?".
"Circa sette mesi ormai".
Sette mesi. Questa è la prova di tutto!
"Non esci mai?".
"Mai. Per nessun motivo. Il mio computer è sempre acceso. Io sono sempre qui. È la mia vita".

Lui è come me. Non entra a contatto con altre persone, non vive in quel mondo sporco e corrotto che si trova al di fuori delle nostre stanze. È un fuggitivo. È un hikikomori.
Vorrei raccontargli tutto: della mia vita, del mio isolamento, della mia paura di uscire. Potrei farlo. Vorrei farlo. Ma, ancora una volta, il mio muro ritorna a galla. La mia fobia mi impedisce di esternare tutto quello che per più di un anno si è accumulato dentro di me. Le parole sono come un ordigno che potrebbe esplodere in qualsiasi momento, ma non lo fa. Forse per paura, forse per protesta, forse per pura e semplice abitudine. Fatto sta che le parole non riescono ad uscire. Ed è strano, considerato che parlare attraverso una chat è abbastanza facile, anche per i tipi come me.

"Sei un hikikomori?". Una domanda scritta di getto, senza nessun pensiero nella testa. Voglio conferme.
Passa un minuto, poi due, tre, quattro, cinque. Sta riflettendo.
"Sì" mi risponde. Ed ecco la spiegazione di tutto. Io riesco a parlare con lui per una sola ragione: noi due siamo simili. Siamo due persone che hanno deciso di scappare da quel mondo opprimente che ci circonda. Io voglio parlare ancora con Shadow. Voglio raccontargli tutto. So che mi comprenderà. Lui è come me.
"Anche io".
È tutto così semplice, così facile che... che non riesco a crederci. Come mai ho iniziato a fare questo dialogo? Perché non ho esitazioni?
Ah, già. Io non vedo Shadow. Lui non è di fronte a me e così io non posso vedere il suo volto, la sua espressione, i suoi occhi. Detesto gli occhi della gente, sono come dei proiettili. Quando ero ancora una persona che andava... che andava...
Mi devo fermare. Anche il solo ricordo del mondo esterno basta per farmi venire i brividi. E poi non riesco proprio a ricordarmi degli occhi della gente. Ho rimosso quei pensieri: ora si trovano in un angolino sporco e buio da qualche parte nel mio cervello. Ho paura di quei ricordi. Ho paura degli occhi della gente. Ho paura. E, come ho già detto a Ilaria, tutto quello che mi fa paura io lo metto fuori dalla mia porta. Fuori dalla mia stanza. Fuori dal mio mondo.
Ilaria... meno male che ha deciso di lasciarmi in pace. Non mi mancheranno le sue stupide prediche.

"Bip".

Un nuovo messaggio nella chat mi strappa dai miei pensieri.

"Anche tu?".
"Sì, sono hikikomori da circa un anno" rispondo cercando di essere il più convincente possibile.
"Tutto questo è strano, non trovi?".
Già, ha ragione. Tutto questo è molto strano. Ma non ci faccio caso. L'idea di poter finalmente parlare con una persona che prova le mie stesse emozioni mi entusiasma a tal punto che non bado più a niente, nemmeno al timer del cellulare.

"Forse hai ragione. Comunque, sono contento di poter finalmente parlare con qualcuno che la pensa come me. Hai detto che vivi qui da sette mesi, giusto?".
"Esatto. A questo punto penso che farei meglio a raccontarti tutto. Bada, lo faccio solo perché tu sei come me. Non so se è vero, non so se in realtà mi stai mentendo e dietro il tuo nickname, "Matt17, si nasconde in realtà una persona con fini completamente diversi. Ma mi ispiri fiducia. Io ho vent'anni e nessuna prospettiva per il futuro. Vivo con i miei genitori che a stento riescono a mantenere un figlio hikikomori: non accettano il mio modo di vivere ma non sono ancora riusciti a tirarmi fuori. Io non vivo nel loro mondo. Io vivo qui. In questo videogioco ho trovato molto di più che un semplice svago: ho trovato la libertà. Capisci quello che intendo dire?".

I suoi pensieri sono tremendamente simili ai miei. Lui ha la mia stessa visione della realtà. Fantastico, fantastico, fantastico.

"Sì, lo capisco benissimo" gli rispondo. Nel giro di qualche minuto arriva il suo messaggio.
"La libertà è qualcosa che tutte le persone hanno, ma non se ne accorgono. La lasciano scivolare via e si dedicano a faccende molto meno rilevanti. Io, invece, ho cercato la libertà e, dopo tanto tempo, posso dire che l'ho trovata. Hikikomori e libertà sono due sinonimi. L'hikikomori è libertà e la libertà equivale all'hikikomori. Non puoi essere libero se vivi nel mondo esterno. La tua giornata si svolge a tappe già segnate: ti alzi sempre alla stessa ora, fai sempre lo stesso lavoro, studi sempre la stessa materia. Noi invece siamo liberi: liberi di decidere, liberi di stare in silenzio, liberi di pensare. Il mio mondo è racchiuso in un gioco. Sono evaso, capisci? Sono evaso da quella quotidianità opprimente. Sono scappato da quelle leggi crudeli che regolano il mondo esterno. Leggi che non sono scritte ma che tutti seguono e rispettano con una devozione quasi sovraumana. Tramite l'isolamento io ho trovato la libertà e tramite un videogioco ho trovato la via di fuga da una realtà che ha ben poco da offrire se non pugni nello stomaco e pesci in faccia. Qui siamo noi stessi: il nostro avatar rappresenta la nostra vera natura, il nostro modo di essere. La vita vera non è nel mondo esterno. La vita vera è qui".

Fisso ammirato le sue parole intrise di verità. Ha ragione su tutto. Io sono libero. Non sono un hikikomori da aiutare. Sono semplicemente un ragazzo libero.

"Sono completamente d'accordo" gli rispondo.
"Davvero? Strano".
"Come mai?".
"Ho fatto questo discorso a quattro persone e mi hanno dato del pazzo. Volontari o qualcosa del genere".

Lui è come me. Sta combattendo contro un'idea sbagliata, contro delle persone che lo vogliono gettare in pasto al mondo.
Adesso gli rispondo e...

"Toc toc. Toc toc".

All'inferno! Chiunque tu sia.

"Matteo? Sono Ilaria. Oggi ti va di parlare?".

È talmente ingenua che mi sta quasi simpatica. Quasi.

"No. Ho impegni".
"Impegni?".
"Sto parlando con un amico".
"Smettila di dire bugie, Matteo. Io voglio solo aiutarti".
"Mi dispiace per te ma non è una bugia. Ora lasciami in pace. Non do fastidio a nessuno con la mia vita, quindi non vedo perché dovrei uscire".
"Perché qui fuori ci sono delle persone che vogliono rivederti".

Subito dopo aver detto quella frase Ilaria si zittisce. Adesso sento una voce nuova, diversa, delicata.

"Matteo?".

Subito seguita da un'altra voce più dura.

"Matteo, sei qua dentro? Rispondi!".

Conosco queste due voci. So chi sono e perché sono qui. Ma non importa.
Perché io sono un hikikomori che ha scoperto il vero significato della parola libertà.




























Note:

Ed ecco il quinto capitolo. Spero che vi sia piaciuto e ringrazio chi segue questa storia e commenta. Forse non servirà a molto ma vi chiedo comunque il vostro parere.

The Sorrow.


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Capitolo 6
*** Confronto ***


Hiki(cap 6 in corso).



Se apro la bocca non esce nessun suono. Se tento di muovermi il mio corpo trema. È assurdo vedere come due voci siano riuscite a mettermi in difficoltà. In un certo senso posso dire che il rimedio pensato da Ilaria ha causato una reazione opposta a quella che lei si aspettava.
Sono ancora davanti alla mia porta. Dietro di me, il computer acceso con Shadow che, probabilmente, sta ancora aspettando un messaggio per continuare la nostra chiacchierata. Fuori dalla porta, invece, ci sono tre persone. E due di queste sono molto pericolose.

"Matteo, sappiamo che sei qua dentro. Non fare l'idiota ed esci fuori. Puoi ancora recuperare l'anno".

Marco, Marco, Marco. Se solo riuscissi a parlare te ne direi di tutti i colori. Proprio tu mi vieni a dire queste cose? E perché solo adesso?

"So che probabilmente non te la senti di uscire. Lo capisco, credimi. Ma devi farlo, Matteo. Non puoi pensare di stare rinchiuso dentro ad una stanza per sempre".

Dice che mi capisce. Bugia. Menzogna. Raggiro. Lui non si è mai chiuso in una stanza, lui non ha mai provato il senso di terrore che provo io ogni volta che mi viene in mente il mondo esterno, lui non conosce il senso di pace che conosco io ogni volta che, steso sul letto, chiudo gli occhi e penso che non c'è nessuno che condiziona la mia vita.
Lui non è un hikikomori. E nemmeno Ilaria lo è. Questi idioti parlano senza sapere. Magari Ilaria ha studiato ma penso che ci sia una grande differenza tra un libro di testo che pretende di spiegare le cause dell'hikikomori e un periodo di autoreclusione passato all'interno di una camera. Io parlo solo con chi mi capisce, con chi ha subito quello che ho subito io, con chi è stato vittima delle stesse ingiustizie che io ho sempre subito. Presentatemi una persona simile e parlerò con lui.

"Ascolta, qui c'è anche Chiara. E, se sarà necessario, chiameremo anche Giorgio. E Silvia. E Davide. E tutto il resto della classe, professori compresi".

Quella era una minaccia? Certamente! Tutta la mia classe fuori da questa camera a chiedermi di uscire. Mi vengono i brividi, non riesco nemmeno ad immaginarmi una scena simile. Ma che accidenti ha Ilaria per la testa? Ora urlo qualche bella parolina e li mando fuori dalla mia vita.
Sì. Farò proprio così.
Dunque...
Ecco...
Allora...
Niente. Niente di niente. Non ci riesco. Eppure con Ilaria qualche parola riuscivo a dirla. Sarò forse regredito? Tornato indietro ad uno stato primitivo di hikikomori? O forse è per via di Final Fantasy XIV? Potrebbe essere, potrebbe essere. In effetti uno dei numerosi motivi per cui parlare con Shadow è così facile deriva dal fatto che non devo utilizzare le mie corde vocali. Shadow non sentirà mai la mia pronuncia balbettante o la mia erre moscia. Loro invece, sì. Come devo risolvere questa situazione?

"M-Matteo?".

Una voce femminile interrompe il flusso dei miei pensieri.

"Matteo, non è necessario che tu esca subito. Andremo per gradi e vedrai che, piano piano, riuscirai a superare la tua paura. Va bene?".

La voce di Chiara mi fa quasi pena. Ilaria l'ha trascinata qui insieme a Marco con l'obbiettivo di farmi uscire e sicuramente avrà detto loro qualcosa sul fenomeno dell'hikikomori prima di portarli qui. Questo spiega perché ora Chiara parli con una tonalità di un medico che tenta di calmare un malato mentale rinchiuso in una sorta di manicomio. Perché loro la pensano in questo modo, ne sono sicuro. Secondo molte persone, Marco e Chiara compresi, l'idea che qualcuno si rinchiuda volontariamente in una camera, eliminando ogni contatto con il mondo esterno, è un sinonimo di follia. Mi vedono come un ragazzo con qualche rotella fuori posto e quindi tentano di aiutarmi mandandomi dritto dritto nelle grinfie di Ilaria. Quest'ultima poi, è veramente diabolica. In qualche modo, solo Dio sa come, è riuscita a rintracciare i miei vecchi compagni del liceo che frequentavo prima di trovare la libertà. Ed ora li sta usando per i suoi scopi. Maledizione!

"Matteo, stammi bene a sentire. Esci da questa dannata stanza entro cinque minuti o abbatto la porta!".
"Che cosa? Marco, così non otterremo nulla. Deve uscire da solo, ricordi?".

Agire in modo impulsivo è tipico di Marco. Il cervello conta, è vero, ma in certi casi un bel pugno fuziona meglio di qualsiasi dialogo. Ho l'impressione che Ilaria non abbia scelto Marco e Chiara in modo casuale. Sono due opposti. Uno agisce seguendo l'istinto e l'altra invece mette in moto l'intelligenza. Li ha scelti proprio per questo, ci scommetto. Se mai Marco agirà in modo troppo violento, ci sarà sempre Chiara pronta a fermarlo, esattamente come ha appena fatto. Se invece questa sottospecie di trattativa andrà per le lunghe e Chiara non riuscirà a cavare un ragno dal buco (mai metafora fu più adatta per definire la mia situazione), Marco darà sfogo a quello che sa fare meglio. Abbattere qualsiasi cosa che si trova di fronte a lui. So che, in qualche modo, lui può benissimo aprire la mia porta con la forza bruta e trascinarmi fuori. È questo che temo. Devo temporeggiare e trovare un modo per mandarli via. Se solo riuscissi di nuovo ad esprimermi usando la voce.
La voce! Ma certo, loro vogliono la mia voce. Vogliono sapere se ci sono ancora e poi, con metodi più o meno raffinati, farmi uscire. Devo solo stare zitto e fare quello che mi riesce meglio: scappare.

Non avrei mai pensato che Marco e Chiara potessero dirmi frasi come: "Qua fuori ci sono tante persone che non vedono l'ora di rivederti" oppure "Se uscirai potrai ricominciare da capo tutta la tua vita". Le stanno provando di tutte ma io continuo con la tattica del silenzio. Prima o poi si stancheranno. Tutti si stancano.

È da qualche minuto che non li sento più. Forse se ne sono andati. E così la strategia del silenzio ha funzionato. Perfetto! Ora potrò finalmente tornare alla mia vita normale e dimenticare tutto il resto.

"Matteo! Anche se non parli so che mi stai sentendo".

Ho decisamente sottovalutato la determinazione di Marco.

"Ma che cosa stai facendo? Scappi? Pensi forse che noi non abbiamo problemi? Non sei una mosca bianca, Matteo. In questo mondo abbiamo tutti dei problemi, nessuno escluso. Affrontiamo ogni giorno un sacco di sfide: alcune di poca importanza, altre che possono cambiarci la vita. A volte ne usciamo sconfitti, altre volte ne siamo vincitori. Ma, indipendentemente da come va a finire, noi affrontiamo queste sfide. Non sentirti l'unica persona nel mondo ad avere dei problemi, dannazione! Pensi che giri tutto intorno a te? Beh, ti sbagli. Ora esci e affronta la vita come fanno tutti!".

Bel discorso. Se lo sarà preparato prima di venire da me? Chissà. Ma mi da sui nervi, tanto. E, sebbene in questo momento dentro di me c'è una grandissima rabbia, non riesco a dire niente. Meglio tornare a giocare.

Ilaria, Marco e Chiara se ne sono andati. Spero che quella vipera non li faccia tornare perché oggi ho resistito a fatica alla tentazione di uscire veramente per prenderli a pugni. Accedo al gioco e trovo subito Shadow, proprio come mi aspettavo. Mi scrive subito un messaggio.

"Ciao, come mai oggi non eri online?".
"Ho avuto qualche problema". Preferisco non fare riferimenti a Marco e Chiara.
"Capisco. Minacciano la tua libertà, vero? Dovremmo proprio far giocare anche loro, gli si aprirebbe un mondo".
"Tu credi?".
"Ma certo! Non siamo in pochi a vivere in questo mondo a parte ed aumentiamo sempre di più. Sai perché? Perché la necessità di isolarsi in Italia è sempre più grande. Se noi aumentiamo è perché il mondo esterno non cambia. Tanto vale rifugiarci qui, non trovi?".

Questo ragionamento mi lascia perplesso. Ho sempre visto il mio isolamento come qualcosa di personale, di unico, di mia proprietà. Ho sempre ignorato i numeri che gli statisti danno sul fenomeno dell'hikikomori. Ma, in fondo, non è importante. Nessuno può tirarmi fuori da qui. Io non sono un codardo come ha detto Marco. Non lo sono per niente. È così. Deve essere così.
Perché ho questi dubbi? Perché mi pongo queste domande? Fino a qualche settimana fa vivevo normalmente la mia vita da hikikomori e ora...
No! Basta con questi pensieri. Sto solo facendo il gioco di Ilaria; è stata lei a mettermi in testa queste assurde domande, fa parte del suo piano. Io non devo cedere.
Io sono libero.

"Sì, sono d'accordo" rispondo a Shadow.
Aspetto per qualche minuto ma non ricevo risposta. Il tempo passa ed io fisso costantemente la finestra della chat in attesa di un nuovo messaggio.
Shadow si fa sentire dopo quaranta minuti.

"Scusa il ritardo, mi dispiace di averti fatto aspettare. Ho parecchi problemi ultimamente".
"Ti vogliono trascinare fuori, vero?". Tutti gli hikikomori, alla fin fine, hanno lo stesso, identico problema. Qualcuno che pretende di sapere qual è lo stile di vita migliore.
"Già. Non è la prima che ci provano ma adesso ho veramente paura. Non hanno chiamato un'associazione o degli psichiatri come hanno fatto le altre volte".
"E che cosa stanno facendo?".
"Hanno deciso di abbattere il mio mondo con la forza".





























Note:

E siamo arrivati al sesto capitolo. Avevo un po' di perplessità questa volta dato che il capitolo non mi soddisfava molto. E così, dopo aver cambiato parecchie cose, ho deciso finalmente di pubblicarlo. Spero in un vostro commento.
Io vado avanti lo stesso.

The Sorrow.

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Capitolo 7
*** Abbandono ***


Hiki 7 cap (in corso).



Fino ad ora ho sempre pensato di essere al sicuro, sempre. La stanza in cui sono rinchiuso mi da sicurezza e non mi era mai passato per la mente il pensiero che qualcuno potesse venire a tirarmi fuori con la forza. Ma adesso tutte le mie convinzioni sono state abbattute.

"Con la forza?" chiedo a Shadow.
"Sì, con la forza. In questi giorni sento i miei genitori che parlano con delle persone, dei medici per l'esattezza. Dato che non sono uscito da solo, hanno pensato di farmi uscire con la forza. Li sento mentre parlano, mentre esaminano la mia porta, mentre progettano un modo per abbattere la mia vita perfetta. È questione di giorni ormai: vogliono abbattere il mio mondo".

Distruggere un mondo fittizio è semplice. Basta colpire le sue fondamenta e cadrà rovinosamente su se stesso. La nostra vita si basa sulla convinzione che non c'è niente e nessuno capace di tirarci fuori. Noi pensiamo al presente ma non al futuro.  Non ci passa nemmeno per la testa che, prima o poi, saremo costretti ad uscire. Perché io so che questo accadrà.
Quando i miei genitori saranno troppo vecchi per sostenere il peso di un figlio hikikomori, la mia libertà si trasformerà in un inferno. So che accadrà, l'ho sempre saputo. ma non volevo pensarci, non volevo rendermene conto. Ora Shadow è in pericolo e, in un certo senso, lo sono anche io.

"La tua porta è chiusa a chiave, vero?". Shadow mi sta chiedendo una cosa ovvia, scontata, banale. Penso che tutti gli hikikomori tengano la porta della loro camera chiusa a chiave: io lo faccio perché mi da sicurezza.
"Sì" gli rispondo.
"Oggi ho scoperto che una porta chiusa a chiave non serve a niente. La butteranno giù come se fosse fatta di carta e mi trascineranno in uno di quei terribili centri per la cura di "sindrome da hikikomori", come la chiamano loro. Io non voglio, ho paura".

Mi giro e fisso la mia porta: l'unica barriera che mi divide dal mondo esterno. In effetti, è pur sempre una porta. Se volessero, i miei genitori potrebbero rompere la serratura ed entrare con facilità. Non ci ho mai pensato. Non ci voglio pensare.

"La prima persona che ha tentato di tirarmi fuori è stata una psicologa" continua Shadow con un nuovo messaggio. "È successo circa dopo un mese dal giorno in cui ho deciso di rifugiarmi in questo mondo virtuale. I miei genitori erano preoccupati perché vedevano che non uscivo e allora hanno chiamato questa strizzacervelli. Ho parlato con lei per circa due settimane; veniva a trovarmi ogni giorno, alla stessa ora. Non è cambiato niente. Mi ripeteva che la vita vera non è dentro un videogioco ma nel mondo reale. Voleva farmi uscire a piccoli passi. Era una fregatura, ne ero sicuro. Esattamente come la volontaria che è venuta due mesi dopo. Stesse argomentazioni, stesse parole, stesse convinzioni. Alla fine anche lei ha gettato la spugna. A quel punto ero felice: avevo la certezza che nessuno poteva ormai disturbare la mia vita in questo mondo perfetto. A quanto pare mi sbagliavo".
"Quando ti porteranno in questo centro?" gli chiesi.
 "Presto. È questione di giorni ormai. Io non voglio andarci, non voglio uscire. Il mondo esterno è crudele, è spietato. Fuori dalla mia camera vive una società malata, dove la bellezza fisica conta più di ogni altra cosa. È così nelle scuole, nelle università, nel lavoro, in tutto. La bellezza spalanca le porte ma se qualcuno non la possiede, allora non può nemmeno mangiare le briciole. Io non voglio tornare in questo mondo: un mondo dove il fisico viene sempre prima del cervello".

Le sue parole mi colpiscono come dei proiettili. La verità fa male e lui sta dicendo la verità. Quando una persona dice: "non conta come siamo fuori ma come siamo dentro"... beh, mente. Il mondo è diviso in una piramide: in cima troviamo le persone belle, le persone ricche, le persone popolari. Più si scende, più il prestigio diminuisce e , di conseguenza, diminuisce anche il valore del ruolo che ricopriamo nel mondo.  Noi hikikomori ci siamo rifugiati nelle nostre stanze proprio perché vogliamo scappare da questo folle sistema che non lascia scampo. Io so che non cambierà mai niente: ormai la piramide si è instaurata nelle nostre vite e le sue radici sono troppo profonde per poterla sradicare. Quindi l'unica soluzione per me era l'hikikomori.
Il segnale è già suonato da un pezzo. Devo staccare.

"Io ora devo andare, ci sentiamo domani".

Spengo il computer senza nemmeno leggere la sua risposta. Io volevo ancora parlare con lui, ma leggere le sue parole mi faceva troppo male. Perché lo capivo perfettamente.


Stranamente sono riuscito a dormire senza particolari problemi. Da quando ho iniziato a giocare ho delle difficoltà ad addormentarmi, forse per il fatto che il gioco mi rende più attivo. È quasi mezzogiorno, ma io ci sono abituato. Dormire è l'attività principale della mia vita da hikikomori.
Accendo il computer e cerco subito Shadow.
Guardo nella lista amici.

No...
No...
NO!

Shadow è offline.

Guardo quella scritta per circa un minuto, come se fossi ipnotizzato.
Allora era vero.
Lui non è più un hikikomori.
Lui non vive più all'interno del gioco.
Lui è stato trascinato fuori con la forza mentre io dormivo, ignaro di tutto.
Lui non c'è più.
È morto.


Il silenzio della mia camera è diventato improvvisamente pesante. Il computer spento è vuoto come la mia vita. Parlo da solo, sussurro qualche lettera che si perde nell'aria.
Sono solo.
Fisso la porta.
Guardo la maniglia.
Allungo la mano che non smette di tremare.
Giro la chiave con il sudore sulla fronte.
Apro la porta.
Il mio isolamento si è spezzato.

In casa non c'è nessuno. I miei genitori devono essere usciti, convinti che io non me ne accorgessi nemmeno. Cammino lentamente per la casa, guardando i mobili, i muri, le foto che ci sono sulla mensola in soggiorno. Una ritrae me e mio padre sorridenti: è stata scattata qualche anno fa durante una gita in montagna. A quei tempi se mi avessero detto che cos'era l'hikikomori mi sarei fatto una bella risata e avrei detto frasi come "Sono dei malati mentali" o altro. Non mi sarei mai immaginato che avrei sperimentato l'isolamento in prima persona.
Vado nel bagno e mi guardo allo specchio. Chiudo subito gli occhi.
Quello sono io. La persona che ho appena visto in faccia sono io. Quel ragazzo con gli occhiali quadrati e il fisico magro come uno stuzzicadenti sono io.
Non sono più un umano: sono un morto vivente, un cadavere che cammina.
Sento un rumore. Una porta si apre.
Esco dal bagno e mi ritrovo faccia a faccia con i miei genitori. Li fisso e loro fissano me. I nostri occhi sono agganciati. Vedo il loro stupore. Non parla nessuno, forse per la paura di rovinare quel momento.
Sto guardando gli occhi di altre persone. Mi gira la testa, ho la nausea.
Non ci riesco.
Scappo verso la mia camera e mi chiudo nuovamente a chiave.

Oggi sono uscito. Per la prima volta dopo un anno sono uscito. L'ho fatto per Shadow. Magari lui in questo momento è già sotto terapia e fisserà terrorizzato la sua psicologa. E se per caso pensano che un hikikomori sia un malato mentale? Che cosa gli faranno? Forse lo tratteranno come hanno trattato quel ragazzo giapponese a Nagoya? Non voglio pensarci, mi vengono i brividi.
Ormai sono uscito. Devo andare fino in fondo: solo così avrò l'assoluta certezza che il mondo è come lo descriveva Shadow e che l'unica via di fuga è l'isolamento.





























Note:

Caso di Nagoya: verso la fine del capitolo c'è un riferimento al "caso di Nagoya", un fatto di cronaca realmente avvenuto. In un centro per la cura della sindrome dell'hikikomori a Nagoya, in Giappone, un ragazzo hikikomori è stato legato ad una colonna con delle catene e lasciato così per quattro giorni. È stato ritrovato morto con delle lesioni su tutto il corpo. In quello stesso centro si trovavano altre decine di ragazzi hikikomori, tutti in pessime condizioni, legati in una stanza e costretti alla vita di gruppo.
Dopo l'arresto il direttore del centro giustifico le catene come "mezzo necessario affinchè i ragazzi non provocassero problemi ai loro genitori.

Ed ecco il settimo capitolo. Ci stiamo avviando verso la fine in quanto il prossimo capitolo sarà l'ultimo. Ringrazio ancora chi segue e commenta.

The Sorrow





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Capitolo 8
*** Dipendenza ***


Hiki 8.



Sono steso sul letto, con gli occhi chiusi e il cervello ancora attivo. Sto cercando di dormire, anche se non ho sonno: voglio ritrovare quello che ho perso. La mia esistenza da hikikomori si è rotta in mille pezzi. Tutta l'impalcatura su cui si reggeva la mia vita è caduta come un castello di carte.
Sono uscito, ho abbandonato il mio rifugio per pochi minuti e ho guardato negli occhi due persone. Non è stato bello. Per niente. Avevo la nausea e le gambe mi tremavano.
È il mondo esterno.
È quella sensazione che ti fa sentire solo un verme piccolo e indifeso davanti a qualcosa che non si può sconfiggere in nessun modo.
Penso che, ora come ora, non riuscirei a proseguire tranquillamente la mia esistenza da hikikomori. È spaventoso vedere come tutte le convinzioni che si sono accumulate dentro di me in un anno sono state spazzate via nel giro di pochi minuti passati fuori dal mio universo.
Devo andare fino in fondo. Ho la paura nel cuore e il terrore negli occhi ma non posso restare indifferente a quello che mi è successo.
Mi ritrovo nuovamente davanti alla porta. La fisso, allungo una mano ma poi la ritiro.
Ho paura. Sento le voci dei miei genitori. Si sono ripresi dallo schock iniziale ed ora hanno anche chiamato Ilaria. Quel diavolo non aspettava altro: ora ha individuato una mia debolezza, un mio errore ed è decisa ad approfittarne, ne sono sicuro.
Che cosa devo fare?
Fisso nuovamente la porta e, lentamente, la apro.

L'impatto non è così potente come lo era stato circa tre ore fa. Questa volta sono più preparato e quindi non ho problemi a dirigermi verso il soggiorno con un passo abbastanza spedito, totalmente diverso da quello tremante ed insicuro della prima volta. Ma perdo ogni sicurezza quando mi rendo conto di essere osservato.
Ci sono tre persone: i miei genitori e una ragazza che non ho mai visto. Tutti e tre mi guardano come se fossi una sottospecie di alieno.
Sento i loro sguardi, il loro stupore, il loro sgomento. Tengo la testa bassa, cercando di guardarli il meno possibile e avanzo verso la porta che mi separa dal mondo.
La apro: lo faccio con calma e naturalezza, per quanto possa essere naturale per un hikikomori uscire di casa e abbandonare così il guscio che lo aveva protetto per così tanto tempo.
Scendo le scale dell'appartamento pregando di non incontrare nessuno, prendo un bel respiro ed esco.
Sono davanti alla mia più grande paura.
Il mondo.

La prima cosa che mi colpisce è la luce: essendo abituato alla penombra che domina la mia camera, il sole mi da parecchio fastidio e mi costringe a mettere una mano davanti agli occhi, per proteggerli. Cammino lentamente sul marciapiede e sento l'aria fredda che penetra e scorre nelle mie ossa. Sono nella strada davanti al mio appartamento. Una via abbastanza piccola ma che adesso mi pare una distesa sconfinata ed impossibile da attraversare.
Faccio fatica a respirare: questa... questa non è la mia aria. È diversa, fredda, pungente. Il mio corpo trema ed io non riesco a farlo smettere.
Sono in preda al panico
Perché sono uscito? Perché accidenti sono uscito? Questa è una sfida che non posso vincere, questo è un nemico che non posso battere.
Inizio a sentire un po' di nausea: deve essere solo autosuggestione. Sì, proprio così. È solo autosuggestione. È la mia testa che sta creando tutto questo, non c'è nessun pericolo.
Devo stare calmo.
Provo a camminare ma mi fermo immediatamente. Sento dei passi.
Mi giro e vedo quello che non avrei mai voluto vedere.
Davanti a me c'è una signora. Si sta avvicinando sempre di più. Ho paura.
La nausea sta aumentando. Fatico a formulare dei pensieri sensati. Fatico anche solo a pensare.
Non capisco più niente.
La signora mi nota e capisce che c'è qualcosa di strano in me.

"Scusi, si sente bene?" mi chiede.

Alzo lo sguardo e mi ritrovo nuovamente a fissare gli occhi di una persona.
È orribile.
La nausea aumenta.
Ho perso il controllo del mio corpo.
Vomito.

Sono di nuovo nella mia bolla protettiva. Fisso il muro e cerco di spegnere la mia mente, ma senza nessun risultato.
Fuori i miei genitori sono stranamente in silenzio. Forse non hanno niente da dire. O forse vedermi vomitare in mezzo alla strada li ha sconvolti a tal punto che non sono più capaci nemmeno di parlare. Meglio così, meglio così. Se parlano, litigano.
Se mi sforzo di ricordare che cos'è successo qualche ora fa vedo solo qualche immagine sfocata, irriconoscibile. Vedo i miei genitori che corrono verso di me. È un ricordo vago ma sono sicuro che erano loro.
Me lo sarei dovuto aspettare. Non potevo veramente credere che se ne sarebbero stati con le mani in mano mentre io uscivo per la prima volta dopo un anno.
Forse sono svenuto. Sì, deve essere per forza andata così. Io sono svenuto e loro mi hanno riportato nella mia camera.
Perché?
Perché non portarmi in un ospedale?
Perché mettermi di nuovo nel mio universo?
Qui c'è di sicuro lo zampino di Ilaria. Per la prima volta mi ritrovo ad apprezzare una sua azione. Portare una persona come me in un posto pieno di gente come un ospedale sarebbe stato folle. Avrebbe fatto precipitare la mia situazione. In un certo senso, Ilaria mi ha salvato.
Sono di nuovo un hikikomori, ma con una differenza.
So la verità.
Ed è per questo che sto piangendo.

Io non volevo diventare un hikikomori.
Quel giorno non me la sentivo di andare a scuola. I miei compagni mi facevano paura. La scuola mi faceva paura.
Quando parlo balbetto sempre. Indipendententemente dalla situazione o dal mio interlocutore, io balbetto.
Ho sempre preferito stare da solo piuttosto che stare con altri.
Faccio fatica a studiare e mi sono esaurito mentalmente per cercare di migliorare, senza riuscirci.
Sono sempre stato un codardo: se qualcuno aveva bisogno di un favore, io non mi facevo avanti per paura di sbagliare. Se vedevo un mio compagno di classe subire atti di bullismo abbassavo la testa e mi allontanavo perché avevo paura di eventuali ritorsioni.
Tutto questo per me era insostenibile: non vedevo un futuro, non avevo prospettive o sogni. Non credevo nell'amore o nella felicità.
Volevo semplicemente scomparire. Rendermi invisibile agli occhi di tutti.
Così quel giorno non sono andato a scuola.
Il giorno dopo nemmeno.
Ho passato una settimana intera chiuso in camera.
Poi due. Tre. Quattro.
Senza che me ne accorgessi sono diventato un hikikomori.
Non mi piaceva quella vita e ho provato molte volte ad uscire durante i periodi iniziali del mio isolamento.
Non ci sono riuscito.
Ero ormai dipendente dall'hikikomori. L'isolamento si era trasformato in una droga: più passavano i giorni e più era difficile per me pensare ad un possibile ritorno nel mondo esterno.
L'hikikomori crea dipendenza psicologica. Lo so e l'ho sempre saputo. Ma se da un lato questo aspetto dell'isolamento mi spaventava, dall'altro continuavo a vederlo come l'unica soluzione possibile. Così ho evitato di pensarci e ho guardato sempre solo la parte positiva dell'hikikomori.
Oggi ho visto la dura realtà.
Non guarirò.
Per affrontare il mio problema psicofarmaci e sedute di terapia non servono a niente. La mia dipendenza è ormai ad un livello tale da non poter essere più contrastata.

Sto piangendo.
Tutte le emozioni che erano nascoste dentro di me si stanno liberando come un fiume in piena.
Adesso voglio dimenticarmi tutto. Voglio essere felice della mia ignoranza. Voglio sorridere con gioia di fronte al mio dolore.
La porta è chiusa.
Le persone sono lontane da me.
Domani non cambierà niente. Dopodomani nemmeno.
Il mio mondo è racchiuso in una stanza.





























Postfazione:

E così siamo giunti alla fine. Provo un senso di malinconia in questo momento, forse dovuto al fatto che questa storia è molto importante per me dato che ho trattato un tema che mi è molto vicino.
Dietro questo racconto c'è un grande lavoro: mi sono informato nel tentativo rendere la storia realistica e verosimile, mettendo le note a fine capitolo per spiegare alcuni termini che, magari, sono sconosciuti a chi non ha mai sentito parlare degli hikikomori prima d'ora.
Il mio obbiettivo principale con questa storia era descrivere i pensieri di un hikikomori in modo realistico. Tante, troppe volte vedo i giornali italiani confondere l'hikikomori con la dipendenza da internet. È un grandissimo errore dato che stiamo parlando di due cose totalmente diverse.
Detto questo, ringrazio chi ha recensito la storia: mi avete dato la spinta necessaria che mi serviva per continuare ed io non so davvero come ringraziarvi.
Quindi grazie a chi ha letto e seguito questa storia fino alla fine.

The Sorrow.

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