Il Mondo In Una Stanza di The Sorrow (/viewuser.php?uid=647869)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hikikomori ***
Capitolo 2: *** Dialogo A Porta Chiusa ***
Capitolo 3: *** Gioco Di Ruolo ***
Capitolo 4: *** Riflessioni ***
Capitolo 5: *** Amici ***
Capitolo 6: *** Confronto ***
Capitolo 7: *** Abbandono ***
Capitolo 8: *** Dipendenza ***
Capitolo 1 *** Hikikomori ***
Hiki(1 cap).
Per
quanto tempo
dovrò stare qui? Tanto. Il più possibile. Per
sempre, se
ci riesco. Non voglio uscire, non voglio camminare in mezzo alla gente,
non voglio respirare lo smog che pervade l'aria, non voglio stringere
la mano a qualcuno.
Non voglio fare niente.
Probabilmente qualsiasi psichiatra mi direbbe che
soffro di depressione, ma non è così. Io sono
felicissimo,
che cosa credete? Ho preso una decisione, ho scelto di vivere in questo
modo e adesso non tornerò più indietro. In questo
paese
si parla sempre di disoccupazione, di crisi, di fallimento, di giovani
che non riescono a trovare un lavoro fisso o che abbandonano gli studi.
Io probabilmente sono tra questi. Perché?
Perché sono un hikikomori.
È ormai da un anno che non metto piede fuori casa e penso di
conoscere la mia stanza meglio di ogni altra cosa. Passo ore ed ore
sdraiato nel letto a guardare le crepe nel muro, ad osservare il
soffitto come se, all'improvviso, fosse diventata la cosa
più
interessante del mondo oppure a dormire. Già, dormo spesso
negli
ultimi tempi, anche se non ho particolarmente sonno. È
proprio
vero che oziare è stancante. Dormo per alienarmi ancora di
più dal mondo, per non rendermi conto dello stile di vita
che
sto conducendo. Uno stile di vita sbagliato, secondo molte
persone.
"Toc-toc".
Bussano alla mia porta. Chiusa a chiave, ovviamente. Non permetterei
mai e poi mai che una persona entri qui dentro: violerebbe il mio
isolamento, il mio sistema, il mio mondo. Certo, qualcuno ha provato ad
intervenire, volevano tirarmi fuori. Ma non ci sono riusciti e io sono
ancora qui, rinchiuso in questa stanza che rappresenta il mio piccolo
ecosistema.
"Toc-toc. Toc-toc".
Questo è il segnale. È ora di pranzo.
Oramai mia madre si è abituata a lasciarmi il cibo fuori
dalla
porta. Un vassoio con un piatto di pasta, un panino, una mela e una
bottiglia d'acqua. Purtroppo questo sistema presenta un grande
svantaggio; i miei genitori non si sono ancora arresi alla prospettiva
di avere un figlio hikikomori e, ogni volta che apro anche solo
minimamente la porta per un qualsiasi motivo, cercano sempre di trovare
una scusa per farmi uscire.
Dio, per favore, fa che almeno oggi mi
lascino in pace.
Bene, il mio pranzo è lì. Ora apro la porta, lo
prendo e...
"Matteo, hai visto che sole che c'è oggi? È
proprio una
splendida giornata, ideale per una passeggiata. Potremmo andare al
parco, che ne dici?".
Prendo il vassoio e chiudo nuovamente la porta a chiave.
Una passeggiata? Andare al parco?
Ma non se ne parla nemmeno! Il parco è pieno di gente e la
sola
idea che il mio braccio possa sfiorare casualmente quello di un'altra
persona mi fa venire la nausea. No, io non esco.
Dopo un anno di isolamento mi sono abituato ad essere un hikikomori.
Non posso dire che è uno stile di vita interessante
perché non lo è. Però mi piace, mi fa
sentire
protetto. Ecco, forse è per questo che sono un hikikomori.
Stare
chiuso in una stanza, da solo, in compagnia dei miei pensieri, senza
nessuno che mi guardi... tutto questo mi fa sentire protetto. Questa
stanza è l'unico posto dove sono a mio agio.
Insomma, non è vero che non ho le palle per aprire quella
porta
e affrontare il mondo esterno. Semplicemente non trovo che sia una
mossa saggia. No, no, no. Non è affatto una mossa saggia.
La verità? La verità è che io non so
più
che cosa fare. Forse dovrei uscire... no, questo mai. Non riuscirei a
parlare, sarei solo un pesce fuor d'acqua. Ma allora che cosa devo fare?
Che cosa devo fare?
Ho sonno. Voglio dormire.
"Toc-toc".
Bussano alla porta.
Bussano alla porta?
Calma, niente panico. Non possono essere i miei genitori, non
è
ora di cena. E poi loro bussano in un modo diverso, più
deciso.
Ma allora... chi è?
"Matteo?". È una voce femminile, non l'ho mai sentita prima
d'ora. Non mi piace, non mi piace per niente.
Qualcuno vuole me.
Qualcuno è venuto a spezzare la mia rassicurante routine.
Qualcuno che, ne sono certo, vuole tirarmi fuori da qui. Di nuovo.
Note:
Hikikomori(letteralmente
"Stare in disparte, isolarsi") è un termine giapponese con
cui
vengono indicate quelle persone, generalmente dai 15 ai 30 anni, che
decidono di ritirarsi completamente dalla vita sociale, troncando ogni
rapporto con il mondo esterno e vivendo in una condizione di
autoreclusione all'interno della loro abitazione. Gli hikikomori
abbandonano la scuola e il lavoro diventando così schiavi di
una
routine sedentaria, mantenendo contatti con il mondo esterno unicamente
grazie ad internet. Tuttavia l'hikikomori non deve essere confuso con
la dipendenza da internet, dato che sono due cose totalmente differenti.
In Giappone questo fenomeno è molto diffuso (si parla di
circa
un milione di giapponesi hikikomori anche se stime più
recenti
parlano di un range compreso tra 100.000 e 320.000 individui) e si sta
diffondendo anche in altri paesi tra cui Stati Uniti, Francia, Spagna,
Regno Unito e Italia, dove sono sempre di più i casi
segnalati.
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Capitolo 2 *** Dialogo A Porta Chiusa ***
Hiki(2cap).
In effetti
la colpa è anche un po' mia. Insomma, sono stato proprio uno
stupido a pensare che non avrebbero chiamato qualcuno, prima o poi. E
adesso che cosa faccio? Non so nemmeno se sono ancora in grado di
parlare con una persona vera, in carne e ossa. L'unica rassicurazione
è che tra me e lei c'è una porta chiusa, che non
si aprirà per nessun motivo.
"Matteo, per favore, ascoltami. Io sono qui per aiutarti".
Ancora questa scusa? Ma perchè sono tutti così
fissati con l'aiutarmi? E se io stessi bene così? E se non
avessi bisogno di aiuto? No, questa ipotesi non la considerano nemmeno.
Io sono un hikikomori, quindi ho bisogno di aiuto. Punto.
"Ti chiedo solo di ascoltarmi, tutto qui. Non devi uscire, puoi stare
nella tua stanza".
Questa voce mi piace sempre di meno. È come la favola del
pifferaio magico e io sono un topolino. Vogliono attirarmi fuori dalla
mia tana e lasciarmi affogare. Ma io non mi farò trarre in
inganno. Tuttavia... tuttavia sono curioso di sentire i motivi per cui
dovrei abbandonare il luogo dove mi trovo tanto bene. Sì, le
darò una possibilità. Resta solo un problema:
come faccio ad esprimermi?
Un hikikomori non ha bisogno delle parole e quindi tende a non usarle.
Le abbandona, proprio come se fossero degli oggetti inutili. Ho trovato
questa frase in un articolo su internet dove si parlava degli
autoreclusi, degli hikikomori, delle persone come me, insomma. E devo
dire che è assolutamente vera. Vivendo in uno stato di
isolamento totale, io non ho bisogno delle parole. Ecco
perché adesso sono in difficoltà. So che cosa
dovrei dire e anche come dovrei dirlo. Ma non ci riesco, non ci riesco!
"V... v... v...".
Sto balbettando. È normale, dato che non parlo da tanto
tempo. Dannazione!
Uscite fuori dalla mia gola, maledette parole.
"V... v... v...va b... b... b...".
"Matteo? Scusa, non ti sento molto bene".
Uscite, maledette parole.
"V... va b... ben...".
Uscite, maledette parole!
"Matteo, è tutto a posto?". La voce di questa tizia mi da
sui nervi. Non la sopporto, non la sopporto.
"VA BENE! VA BENE! VA BENE! VA BENE!".
Sto urlando. Ho tolto il tappo alla mia non-comunicazione e questo
è il risultato. Adesso sono come un fiume in piena, non
riesco a fermarmi.
"Va bene, parliamo. Illuminami su quello che non so. Convincimi ad
entrare nella fossa dei leoni che c'è fuori dalla mia
stanza. D'altronde io sono solo uno stupido hikikomori, giusto? Io sono
come il protagonista di quel fumetto, Tatsuhiro Sato. E tu sei una
sorta di angelo che è venuto a salvarmi, non è
così? Allora, raccontami le tue motivazioni. Dimmi
perché dovrei uscire. Forza, ti sto ascoltando".
Le frasi adesso stanno uscendo fuori da sole, con la stessa forza di un
ciclone. Ed ora che ho finito di parlare c'è solo il
silenzio. La quiete prima della tempesta, forse. O forse è
tutto finito. Già, è tutto finito. Adesso questa
ragazza se ne andrà ed io riprenderò la mia
normale vita da diciassettenne hikikomori.
Silenzio...
Passano dieci secondi, poi venti, trenta, un minuto, due minuti. Forse
è davvero finita.
"Tu... tu hai diciassette anni, giusto?".
Non si arrende. Vediamo dove vuole andare a parare.
"Sì, ho diciassette anni. Sembri molto informata. Da quale
associazione provieni? La New Start? Sei una Rental Sister? Insomma,
chi sei? Non ho bisogno di te, a me piace il mio stile di vita".
Adesso riesco a parlare abbastanza normalmente, anche se la mia voce
trema un po' e ho paura che se ne sia accorta anche lei.
"Anche tu sei informato, a quanto pare. Comunque no, non faccio parte
della New Start, ma possiamo dire che sono una sorta di Rental Sister,
come hai detto tu. Sono qui per aiutarti. Ascoltami, lo so che per voi
è difficile parlare con una persona che non conoscete. L'ho
visto prima, mentre balbettavi e lo vedo anche adesso. Ti trema la
voce, sai?".
Merda, l'ha notato. Questa ragazza non mi piace. Ha detto che non fa
parte della New Start, ma allora chi è?
"Non hai risposto alla mia domanda. Chi sei? Un'assistente sociale o
qualcosa del genere?".
"Diciamo di sì. Faccio parte di un'associazione che si
occupa di persone come te. Aiutiamo gli hikikomori italiani a
reintegrarsi nella società. A proposito, io mi chiamo
Ilaria".
"A me non interessa. Vattene". Era tutto troppo bello per essere vero.
Avrei dovuto immaginare che, prima o poi, sarebbe arrivato qualcuno a
rompermi le uova nel paniere.
"Tu dici così, ma, secondo me, hai il desiderio di cambiare
qualcosa nella tua vita. Come passi le giornate?".
"Dormo, leggo e fisso il soffitto. Mi sembrano attività
piuttosto comuni, quindi mi spieghi perché dovrei essere
aiutato? A me piace vivere così".
"Ma non è uno stile di vita sano! In questo modo fai male a
te stesso".
No, questo è troppo. Io non la reggo più.
"Vattene".
"Ma...".
"HO DETTO VATTENE!".
Urlo. Di nuovo. È la mia risposta a tutto, l'unico metodo
che conosco per mettere a tacere qualcuno. O per scappare.
"Ascoltami, tornerò anche domani, alla stessa ora.
Sentirò tutto quello che vorrai dirmi, qualunque cosa. Puoi
parlare con me, sfogarti, proprio come hai fatto oggi. Fidati, ti
sentirai meglio. A domani".
La sento che si allontana. Poi un brusio sommesso: sta parlando con i
miei genitori. Quanto vorrei sentire quello che si dicono. Invece
riesco solo a carpire qualche parola.
"È abbastanza grave".
"Non so dire se e quando guarirà".
"Verrò domani alla stessa ora e proverò ad
instaurare un dialogo".
Adesso sento una voce diversa, più cupa e cavernosa.
Papà.
"La ringrazio per il suo sostegno".
"La pregherei di non rispondere ad eventuali domande dei vicini sul
motivo della sua visita e di quelle successive".
"Non vorrei che si sappia in giro, quindi le chiedo la massima
discrezione".
Mio padre... sempre lo stesso. Non vuole che venga sparsa la notizia
che suo figlio sia un hikikomori. Insomma, lui è il grande
avvocato Giulio Ferrara, ha una sua dignità e questa
dignità andrebbe in frantumi se i suoi colleghi, i suoi
vicini scoprissero che cosa sono io.
Non l'ho mai capito. Io non ritengo che l'hikikomori sia una cosa di
cui vergognarsi. Non esco da più di un anno, è
vero, ma è per mia scelta. E ne vado fiero.
So che gli hikikomori usano spesso il computer. Di tanto in tanto, sui
giornali online, vengono fuori titoli come "Passa più di
dieci ore davanti al PC. Nuovo caso di hikikomori in Italia".
Questo paese non smetterà mai di stupirmi. Ma non hanno
ancora capito che hikikomori e dipendenza da internet sono due cose
totalmente differenti? Il fatto che gli hikikomori usino spesso il
computer non li rende tecno-dipendenti.
Io, comunque, non vado spesso su internet. Sono isolato sia fiscamente
sia mentalmente. Eppure... eppure la prospettiva di un videogioco
online mi affascina. Fino ad ora non avevo mai provato giochi simili ma
adesso l'idea mi stuzzica. Sarà per la noia? Sarà
perché, dopo un anno di isolamento, ho bisogno di nuovi
stimoli? Sì, deve essere per questo motivo. Ma gli stimoli
non posso certo andarli a cercare fuori, quindi ben venga questa nuova
esperienza. Giusto qualche settimana fa ho ritrovato, sepolto dal
disordine che domina la mia stanza, il gioco "Final Fantasy XIV: A
Realm Reborn". Non ricordo perché l'avevo comprato, forse
per curiosità, ma fatto sta che non l'ho nemmeno installato.
Fisso il disco per qualche secondo.
Perchè no?
Accendo il computer e mi preparo a giocare. Stranamente, ho il cuore
che batte ad un ritmo accellerato.
Deve essere il brivido dell'ignoto.
Forse.
O forse no.
Note:
Tatsuhiro
Sato: personaggio protagonista del manga/anime "Welcome To
The N.H.K". È anche lui un hikikomori.
New Start: organizzazione
no profit, con sede principale in Giappone e sedi secondarie in Italia,
in Australia e nelle Filippine. Il compito principale della New Start
è quello di aiutare i ragazzi e le ragazze con problemi di
integrazione, in particolar modo gli hikikomori, favorendo una loro
reintegrazione nella società.
Rental Sisters:
letteralmente "Sorelle in prestito". Si tratta di ragazze che lavorano
per associazioni, come la già citata New Start. Il loro
compito è quello di andare a trovare personalmente
l'hikikomori a casa sua (spesso sono chiamate dai genitori
dell'hikikomori o dai suoi parenti) e convincerlo ad uscire e seguire
un percorso terapeutico. Il contatto può avvenire a voce,
tramite cellulare oppure attraverso delle lettere passate sotto la
porta. Non sempre questo metodo va a buon fine e possono servire
numerose visite prima che l'hikikomori decida di uscire. Sono sempre di
più quelli che, invece, decidono di rimanere nella loro
stanza.
Final Fantasy XIV: A
Realm Reborn: gioco di ruolo online (MMORPG) appartenente
alla famosa serie di giochi di ruolo Final Fantasy. È il
secondo MMORPG (acronimo di Massive Multiplayer Online Role-Playing
Game, ovvero gioco di ruolo in rete multigiocatore di massa) della
serie dopo Final Fantasy XI.
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Capitolo 3 *** Gioco Di Ruolo ***
Ci sono poche cose che sono
capaci di lasciarmi senza fiato: il panorama che sto osservando
è di sicuro una di queste. Se i miei occhi avessero il dono
della parola probabilmente mi ringrazierebbero. È da circa
dieci minuti che sto guardando questo splendido paesaggio e ancora non
mi sono stancato. È una delle cose più belle che
io abbia mai visto.
Da quanto sto giocando? Quarantacinque minuti? Ma non posso mica
smettere adesso. Insomma, sto per salire di livello e finalmente
potrò avere un arma migliore di questa spada arrugginita.
Fisso nuovamente "Matt17", il mio personaggio. Certo, il nickname non
è esattamente il massimo ma a me piace da impazzire,
esattamente come mi piace il mio avatar. Fisicamente non mi somiglia.
È biondo, mentre io ho i capelli castani. Ha un fisico molto
muscoloso e robusto; io invece sono abbastanza magro. E potrei andare
avanti all'infinito, elencando tutte le differenze tra me e il
personaggio che, in teoria, dovrebbe rappresentarmi in questo grande
mondo.
Perché questo è un mondo vero e proprio. Posso
incontrare un giocatore francese e, dopo dieci minuti, uno giapponese.
Poi ci sono giocatori spagnoli, inglesi, americani, tedeschi. Un intero
mondo sempre a portata di mano. E non importa sei sei un maschio, se
sei una femmina, se sei bello, se sei brutto, se hai un lavoro
dignitoso oppure se non esci di casa da più di un anno.
Qui le regole vengono stravolte, ribaltate e distrutte.
Qui cambia tutto.
"Bip, bip, bip, bip".
Il segnale del cellulare! Maledizione, proprio ora che quella bestia
era a portata di spada. Solo altri due colpi e finalmente sarei
riuscito a completare questa dannata missione.
No, è ora di staccare.
Spengo tutto e mi distendo sul letto. Con gli occhi chiusi rivedo
ancora quel paesaggio, quei mostri che cadevano sotto i colpi della mia
spada. Sento ancora la soddisfazione di avere finalmente un arma nuova
o di poter comprare quel pezzo di armatura che solo fino a poco tempo
fa sembrava irraggiungibile. Non provavo emozioni simili da tanto,
tantissimo tempo.
Ma ho un solo pensiero fisso in testa. Devo ricordarmi sempre qual
è la realtà. Sempre.
Il mio cellulare ha un timer e ho deciso di usarlo per limitare il mio
tempo di gioco. Un'ora, solo un'ora. Non importa che cosa sto facendo;
quando suona il segnale, il computer va spento.
Quando ho iniziato a giocare non mi aspettavo di certo un
coinvolgimento emotivo simile. Ho deciso che, da oggi, farò
sempre una visita nel territorio di Eorzea almeno una volta al giorno.
Finalmente sono riuscito a trovare un metodo per sfuggire all'unico
difetto della vita da hikikomori: la monotonia.
Domani probabilmente Ilaria verrà di nuovo: non mi
è sembrata una persona che si arrende tanto facilmente.
Peggio per lei.
Ho gli occhi aperti e il cervello che non accenna minimamente a
spegnersi, anche se sono le due di notte. L'insonnia è
naturale, soprattutto tenendo conto del fatto che di giorno dormo
tantissimo, forse troppo. E quindi il buon vecchio Morfeo non vuole
farmi visita. Che cosa devo fare? Non posso mica rimanere sdraiato in
attesa di un sonno che non arriverà mai.
Guardo distrattamente il computer.
Quasi quasi...
Solo mezz'ora, solo mezz'ora, solo mezz'ora. Giusto una partita breve
per scaricarmi un po' dallo stress che mi procura l'insonnia. E poi
devo ancora finire quella missione.
Una domanda che mi viene spontanea è: ma ci sarà
qualcuno come me tra tutte queste persone? Un hikikomori che si
è buttato nel mondo dei videogiochi online per distrarsi da
quella vita grigia che lo circonda? Può darsi,
può darsi.
Bene, missione completata. È stato più difficile
del previsto abbattere questo mostro da solo ma ci sono riuscito. Forse
avrei fatto meno fatica se avessi formato un gruppo con altri giocatori
ma non ho incontrato nessun italiano. Ed è impensabile che
mi metta a chiedere aiuto ad un francese o un inglese.
"Bip, bip, bip, bip".
Fine dei giochi. Per ora.
Alla fine sono riuscito a dormire per qualche ora. Oggi
ritornerò a giocare, voglio visitare il territorio di
Gridania. Ho letto sulle guide online che è una
città semplicemente spettacolare. Non vedo l'ora.
"Toc toc".
No, no, no, no! Riconosco questo modo di bussare. Non mi era piaciuto
ieri e non mi piace oggi.
"Matteo? Sono Ilaria. Ti va di parlare un po'?".
Se le dicessi tutto quello che mi passa per la testa in questo momento
andrei dritto dritto all'inferno, quindi mi limito ad un semplice "No".
"Non ti chiedo molto, devi solo rispondere a qualche domanda".
"E quali sono queste domande?".
"A te non è mai piaciuto stare a contatto con altre persone,
vero?".
"Sono un hikikomori, è ovvio che non mi piace".
"Intendevo prima che tu ti isolassi. A scuola, per esempio, avevi
amici?".
Scuola... questa parola mi fa venire in mente tanti ricordi, tutti
negativi. Vorrei ritrovare nella mia memoria i momenti felici, quelli
in cui sono stato allegro, quelli in cui giocavo alle elementari con
altri bambini. Vorrei ritrovare il ricordo di un amico fidato
conosciuto in terza media. Vorrei ritrovare il ricordo del mio primo
amore al liceo. Dove sono questi ricordi?
Dove si sono nascosti?
Dove sono i miei ricordi felici della scuola?
Non li trovo. Non ci sono mai stati.
Prendo fiato.
"Sai, io andavo abbastanza bene a scuola, ma non ero di certo una cima.
Nonstante questo tutti mi consideravano uno studioso di alto livello,
pur senza conoscere i miei voti. -Basta guardare la tua faccia-
dicevano -Si capisce subito che sei uno che studia e che tiene la testa
sulle spalle-. Non ho mai capito perché queste persone
dicevano così; sarà forse perché porto
un paio di occhiali dalle lenti quadrate che mi fanno sembrare un
matematico? Non lo so, non lo so. Rimanevo comunque uno studente
abbastanza mediocre. Per quanto riguarda la tua domanda, non so darti
una risposta. Forse perché ho dimenticato il concetto stesso
di amicizia. Ho dimenticato tutto. Tutto quello che mi fa paura si
trova oltre la mia porta. Per questo la tengo chiusa".
Ecco, l'ho detto. Ho buttato fuori tutto. Non so nemmeno se le mie
parole contengono il reale motivo per cui sono un hikikomori. Ma
d'altronde, nemmeno io penso di conoscere il vero motivo per cui ho
chiuso quella porta. O forse lo conoscevo ma adesso l'ho dimenticato.
Silenzio. Lei non risponde.
"Molto bene. Tornerò domani. Ci vediamo" e la sento mentre
si allontana.
Ma come? Tutto qui? Uno stupido dialogo di nemmeno cinque
minuti? .
"Ah, Matteo? Mi sono dimenticata di dirti una cosa".
È tornata! Lo sapevo che c'era qualcosa sotto.
C'è sempre qualcosa sotto.
"Che cosa vuoi ancora?".
"Stai migliorando visibilmente. Oggi, sebbene abbiamo parlato per poco,
non hai balbettato e la tua voce tremava di meno rispetto a ieri".
Sto migliorando...
Sarà un fatto positivo o negativo?
Negativo. Almeno credo.
Sembra che quella ragazza abbia l'innata capacità di
manipolare e distruggere i miei solidi pensieri. Perché il
dialogo di oggi è durato così poco? Qual era il
suo vero obbiettivo? Maledizione, maledizione, maledizione!
Devo distrarmi. Una bella partita a Final Fantasy XIV mi
aiuterà.
Le guide online non si sbagliavano, Gridania è davvero uno
splendore. Ci ho messo un po' ad arrivarci ma ne è valsa la
pena. La mia bocca rimane spalancata davanti a questa meraviglia. Ora
vediamo di esplorare un po' l'ambiente.
"Bip".
Un messaggio nella chat privata.
"Ciao. Sei italiano, vero? Ho bisogno di aiuto per una missione e ho
visto che abbiamo un livello abbastanza simile. Ti va di aiutarmi?".
Il messaggio proviene da un certo "Shadow". In effetti il suo avatar
è vicino al mio. Accidenti, e adesso come rispondo? Mi pare
scortese rifiutare ma non so come comportarmi in una partita insieme ad
un altro giocatore. E se per caso faccio qualche sbaglio? E se, per
colpa mia, la missione fallisce?
No! Non devo pensare a questo. In fondo è solo un gioco.
O la va o la spacca.
"Va bene" rispondo. In poco tempo ricevo un altro messaggio.
"Ottimo! Andiamo".
Due dialoghi con due persone diverse in un solo giorno.
Qualcosa sta cambiando. Ma non so se in bene o in male.
Note:
Eorzea:
nome della regione dove è ambientato Final Fantasy XIV: A
Realm Reborn.
Gridania:
una delle quattro città-stato più grandi ed
importanti del videogioco.
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Capitolo 4 *** Riflessioni ***
Hiki(4 cap inc).
Giocare con
un altra persona
è più facile di quanto pensassi. Non devo nemmeno
parlare
molto, basta fare tutto quello che facevo quando giocavo da solo. A
momenti non mi accorgo nemmeno che Shadow è lì,
vicino al
mio avatar.
Shadow... il primo giocatore italiano che ho incontrato qui. La prima
persona che mi ha rivolto la parola senza nascondere secondi fini: non
sa che io sono un hikikomori, non sa il mio vero aspetto o il mio vero
nome. Per lui io sono solo un piccolo omino che agita la spada e lo
aiuta ad abbattere un mostro. Tutto ciò è
fantastico,
semplicemente fantastico.
Questa è la terza missione che facciamo insieme. Il segnale
è già suonato da più di mezz'ora, ma
non ha
importanza. Nulla ha più importanza.
In questi ultimi giorni la mia vita è stata completamente
stravolta. Prima l'arrivo di quella volontaria e adesso il gioco
online. Due eventi che si attirano come i poli magnetici delle calamite
e si incastrano come le tessere di un puzzle.
Ilaria vuole aiutarmi ad abbattere la prigione che io stesso ho creato.
Secondo lei sono ancora in grado di uscire, frequentare la scuola e,
chissà, magari trovare nuovi amici. Questo è un
bene.
Final Fantasy XIV mi sta completamente assorbendo. Non ero interessato
più di tanto al gioco in sè ma questo mondo mi
sta
affascinando in un modo che definire mostruoso è poco. Piano
piano sento che quella vita virtuale si sovrapporrà a quella
reale. Allora non sarò più nè un
hikikomori
nè un normale essere umano, ma solo un fantoccio privo di
personalità.
Questo è un male.
Ma cosa succederebbe se analizzassi l'altra faccia della medaglia?
Fino ad ora non mi sono mai pentito della mia scelta. Vivere isolato mi
fa sentire bene e, al contrario, l'idea di riprendere uno stile di vita
"normale" mi terrorizza. Sono ormai immerso in questa routine e non
posso più uscirne. E non voglio più uscirne.
Quindi
Ilaria non è una salvatrice, casomai il contrario.
È un
diavolo che vuole solo la mia rovina.
Il gioco online, invece, mi sta aiutando molto. Se nella
realtà
sono un ragazzo di diciassette anni che più normale non si
può (sì, io sono normale. Non sono pazzo, no ho
disturbi
psichici o altro. Sono normale), in quel gioco sono invece un grande
guerriero e adesso ho anche un nuovo amico.
Shadow.
Mi ha chiesto infatti di aggiungerlo alla mia Lista Amici, in modo da
poter fare altre missioni in futuro. Mi ha anche ringraziato via chat
per averlo aiutato. La sensazione che provo in questo momento penso si
possa chiamare felicità. Di sicuro è un'emozione
che provo raramente. Quindi sì, è la
felicità.
"Bip".
Un messaggio da Shadow. Mi chiede se voglio fare un altra missione.
Ammetto che l'idea mi entusiasma ma sto giocando da troppo tempo. E poi
io sono un hikikomori, non un fanatico di videogiochi. Quattro missioni
di seguito? È troppo. Dovrei seriamente staccarmi da questo
gioco. Dovrei rifiutare.
"Va bene" gli rispondo.
Maledizione a me e al mio pensiero debole.
Dopo aver finito la missione, ovviamente conclusa con successo, sono
deciso più che mai a staccarmi da questo dannato e
meraviglioso
mondo. Questa volta sul serio.
"Io ora devo andare. Ciao".
La sua risposta arriva subito.
"Va bene. Quando ti connetti di nuovo, mandami un messaggio in chat.
Tanto io sono sempre online. Ci vediamo".
Esco dal gioco e spengo il computer.
Oggi Ilaria non è venuta. Strano, stranissimo. Probabilmente
sta architettando qualcosa e questo non va bene. Vuole farmi uscire e
questo non va bene. Credo.
Mi siedo davanti alla porta chiusa a chiave e la fisso. Lo faccio
spesso, è un modo per rilassarsi e pensare. In effetti il
mio difetto è proprio quello di pensare. Io penso, a
differenza di molte altre persone. Penso a qualsiasi cosa. Cerco di
analizzare tutto quello che mi circonda, tutto quello che di solito
sfugge agli occhi di chi non è come me.
Le persone non si soffermano mai sui dettagli. Ignorano tutto quello
che non è utile, tutto quello che non serve a qualcosa,
tutto quello che non ha un posto preciso nella loro vita. E
così questi piccoli particolari vengono tralasciati e
dimenticati. Io non voglio che succeda.
Prima di fare ogni azione, sia essa importante o meno, ci penso sempre
su. Sempre.
Valuto le possibili conseguenze, il danno che mi potrebbe capitare, il
vantaggio che otterrei. Essendo un hikikomori ho un sacco di tempo
libero e ho tramutato questa libertà fisica anche in una
libertà mentale e di pensiero. Non sono impostato, non seguo
regole prestabilite, non ho doveri da portare a termine. Ho abolito la
libertà del mio corpo, una libertà che mi dava
solo un gran fastidio, in favore di qualcosa ben più utile.
Un cervello aperto.
Le ore di sonno che mi concedo sono tante, forse troppe. Eppure mi
servono, fanno parte della mia routine e se non dormissi
così tanto, anche in pieno giorno, penso che sarebbe come se
avessero tolto un tassello al gigantesco puzzle della mia condizione da
hikikomori. Anzi, della mia condizione da ragazzo libero.
Mi connetto a Final Fantasy XIV e, con mia grande sorpresa, scopro che
Shadow è online. Gli invio un messaggio in chat.
"Ciao, come va? Sei sempre online tu, vero?".
Mi fermo un momento a guardre basito le parole che ho appena scritto.
Da dove diavolo mi sono uscite? Come ho fatto ad essere così
spontaneo? Non lo so e, detto sinceramente, non mi interessa saperlo.
"Te l'avevo detto, mi sembra. Puoi trovarmi sempre, a qualsiasi ora.
Missione?" mi risponde.
Dovrei accettare ma non ci riesco. C'è qualcosa di strano
nelle sue parole, qualcosa che mi sfugge. Ma cosa? Cosa?
"Sono sempre online".
"Sono sempre online".
"Sono sempre online".
Ma certo! Erano queste le sue parole, era questo il particolare che
cercavo.
"Tu studi? Frequenti una scuola?" gli chiedo con un messaggio. Ormai
quella sorta di bolla protettiva che mi impediva di comunicare
è esplosa e riesco ad esprimermi con più
facilità. Il fatto che questo succeda solo quando io sono in
una chat non è importante. Non troppo, almeno.
"No" mi risponde. Strano che abbia risposto così
velocemente, io non ci sarei riuscito. Anzi, quella domanda mi avrebbe
insospettito. È forse perché io ho un cervello da
hikikomori? O è solo paranoia?
"Lavori? Hai un impiego?". Voglio andare fino in fondo.
"No, sono disoccupato".
"Ma allora che cosa fai nella vita?".
Ormai ho già capito quale sarà la sua risposta.
Il cuore ha accellerato il suo battito, sono ansioso. Ma, in un certo
senso, dentro di me ora c'è una grande
tranquillità. Perchè ho capito chi è
realmente Shadow.
"Io vivo qui" mi risponde.
Mi viene da ridere. Non resisto. Rido come un matto.
Lui vive qui.
Lui vive qui.
Lui vive. Punto.
Hiki(4 cap inc).
Note:
Lista amici:
elemento di gioco grazie al quale i giocatori potranno registrare altri
giocatori e controllare così il loro stato, ovvero vedere se
sono online oppure offline.
Siamo arrivati al quarto capitolo e penso sia giusto ringraziare chi mi
ha sostenuto fino ad ora. Quindi un gigantesco grazie a:
Innominetuo
Ossimoro Vivente
RoseNoir
Grido nel silenzio
Vi ringrazio infinitamente per aver commentato e spero che la storia
continui ad appassionarvi.
Inoltre voglio dire una cosa che mi sento in dovere di dire da tanto,
troppo tempo. Non capisco chi mette le storie nelle
preferite/seguite/ricordate senza commentare. Se una storia vi
è piaciuta perché non la commentate? Penso sia un
paradosso.
Forse qualcuno non sarà d'accordo ed è giusto
così. La libertà di pensiero è sacra e
non va alterata in nessun modo.
Scusate per questa piccola parentesi.
The Sorrow.
|
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Capitolo 5 *** Amici ***
Hiki(5cap).
Penso di
aver finalmente capito che cosa mi impedisce di comunicare con Ilaria.
Io e lei siamo diversi. Siamo due opposti. In questo mondo esistono due
tipi di persone: gli hikikomori e i non hikikomori. I primi comunicano
con i primi ma non possono in nessun modo avere un dialogo normale con
i secondi. Penso che sia inutile tirare in ballo la psicologia, la
salute mentale, il modo di vedere la vita e altre cavolate degne di uno
di quegli articoli pseudo-scientifici che circolano nella rete.
Gli hikikomori non possono interagire con i non hikikomori.
I non hikikomori non possono comprendere gli hikikomori.
Questa è la verità. È un concetto
semplice, quasi banale.
Io interagisco con Shadow perché lui è come me.
Ci ho messo un po' a capirlo ma adesso ne sono sicuro.
Lui è come me.
"Vivi qui? Nel gioco?" gli chiedo.
"Sì" mi risponde.
"Da quanto?".
"Circa sette mesi ormai".
Sette mesi. Questa è la prova di tutto!
"Non esci mai?".
"Mai. Per nessun motivo. Il mio computer è sempre acceso. Io
sono sempre qui. È la mia vita".
Lui è come me. Non entra a contatto con altre persone, non
vive in quel mondo sporco e corrotto che si trova al di fuori delle
nostre stanze. È un fuggitivo. È un hikikomori.
Vorrei raccontargli tutto: della mia vita, del mio isolamento, della
mia paura di uscire. Potrei farlo. Vorrei farlo. Ma, ancora una volta,
il mio muro ritorna a galla. La mia fobia mi impedisce di esternare
tutto quello che per più di un anno si è
accumulato dentro di me. Le parole sono come un ordigno che potrebbe
esplodere in qualsiasi momento, ma non lo fa. Forse per paura, forse
per protesta, forse per pura e semplice abitudine. Fatto sta che le
parole non riescono ad uscire. Ed è strano, considerato che
parlare attraverso una chat è abbastanza facile, anche per i
tipi come me.
"Sei un hikikomori?". Una domanda scritta di getto, senza nessun
pensiero nella testa. Voglio conferme.
Passa un minuto, poi due, tre, quattro, cinque. Sta riflettendo.
"Sì" mi risponde. Ed ecco la spiegazione di tutto. Io riesco
a parlare con lui per una sola ragione: noi due siamo simili. Siamo due
persone che hanno deciso di scappare da quel mondo opprimente che ci
circonda. Io voglio parlare ancora con Shadow. Voglio raccontargli
tutto. So che mi comprenderà. Lui è come me.
"Anche io".
È tutto così semplice, così facile
che... che non riesco a crederci. Come mai ho iniziato a fare questo
dialogo? Perché non ho esitazioni?
Ah, già. Io non vedo Shadow. Lui non è di fronte
a me e così io non posso vedere il suo volto, la sua
espressione, i suoi occhi. Detesto gli occhi della gente, sono come dei
proiettili. Quando ero ancora una persona che andava... che andava...
Mi devo fermare. Anche il solo ricordo del mondo esterno basta per
farmi venire i brividi. E poi non riesco proprio a ricordarmi degli
occhi della gente. Ho rimosso quei pensieri: ora si trovano in un
angolino sporco e buio da qualche parte nel mio cervello. Ho paura di
quei ricordi. Ho paura degli occhi della gente. Ho paura. E, come ho
già detto a Ilaria, tutto quello che mi fa paura io lo metto
fuori dalla mia porta. Fuori dalla mia stanza. Fuori dal mio mondo.
Ilaria... meno male che ha deciso di lasciarmi in pace. Non mi
mancheranno le sue stupide prediche.
"Bip".
Un nuovo messaggio nella chat mi strappa dai miei pensieri.
"Anche tu?".
"Sì, sono hikikomori da circa un anno" rispondo cercando di
essere il più convincente possibile.
"Tutto questo è strano, non trovi?".
Già, ha ragione. Tutto questo è molto strano. Ma
non ci faccio caso. L'idea di poter finalmente parlare con una persona
che prova le mie stesse emozioni mi entusiasma a tal punto che non bado
più a niente, nemmeno al timer del cellulare.
"Forse hai ragione. Comunque, sono contento di poter finalmente parlare
con qualcuno che la pensa come me. Hai detto che vivi qui da sette
mesi, giusto?".
"Esatto. A questo punto penso che farei meglio a raccontarti tutto.
Bada, lo faccio solo perché tu sei come me. Non so se
è vero, non so se in realtà mi stai mentendo e
dietro il tuo nickname, "Matt17, si nasconde in realtà una
persona con fini completamente diversi. Ma mi ispiri fiducia. Io ho
vent'anni e nessuna prospettiva per il futuro. Vivo con i miei genitori
che a stento riescono a mantenere un figlio hikikomori: non accettano
il mio modo di vivere ma non sono ancora riusciti a tirarmi fuori. Io
non vivo nel loro mondo. Io vivo qui. In questo videogioco ho trovato
molto di più che un semplice svago: ho trovato la
libertà. Capisci quello che intendo dire?".
I suoi pensieri sono tremendamente simili ai miei. Lui ha la mia stessa
visione della realtà. Fantastico, fantastico, fantastico.
"Sì, lo capisco benissimo" gli rispondo. Nel giro di qualche
minuto arriva il suo messaggio.
"La libertà è qualcosa che tutte le persone
hanno, ma non se ne accorgono. La lasciano scivolare via e si dedicano
a faccende molto meno rilevanti. Io, invece, ho cercato la
libertà e, dopo tanto tempo, posso dire che l'ho trovata.
Hikikomori e libertà sono due sinonimi. L'hikikomori
è libertà e la libertà equivale
all'hikikomori. Non puoi essere libero se vivi nel mondo esterno. La
tua giornata si svolge a tappe già segnate: ti alzi sempre
alla stessa ora, fai sempre lo stesso lavoro, studi sempre la stessa
materia. Noi invece siamo liberi: liberi di decidere, liberi di stare
in silenzio, liberi di pensare. Il mio mondo è racchiuso in
un gioco. Sono evaso, capisci? Sono evaso da quella
quotidianità opprimente. Sono scappato da quelle leggi
crudeli che regolano il mondo esterno. Leggi che non sono scritte ma
che tutti seguono e rispettano con una devozione quasi sovraumana.
Tramite l'isolamento io ho trovato la libertà e tramite un
videogioco ho trovato la via di fuga da una realtà che ha
ben poco da offrire se non pugni nello stomaco e pesci in faccia. Qui
siamo noi stessi: il nostro avatar rappresenta la nostra vera natura,
il nostro modo di essere. La vita vera non è nel mondo
esterno. La vita vera è qui".
Fisso ammirato le sue parole intrise di verità. Ha ragione
su tutto. Io sono libero. Non sono un hikikomori da aiutare. Sono
semplicemente un ragazzo libero.
"Sono completamente d'accordo" gli rispondo.
"Davvero? Strano".
"Come mai?".
"Ho fatto questo discorso a quattro persone e mi hanno dato del pazzo.
Volontari o qualcosa del genere".
Lui è come me. Sta combattendo contro un'idea sbagliata,
contro delle persone che lo vogliono gettare in pasto al mondo.
Adesso gli rispondo e...
"Toc toc. Toc toc".
All'inferno! Chiunque tu sia.
"Matteo? Sono Ilaria. Oggi ti va di parlare?".
È talmente ingenua che mi sta quasi simpatica. Quasi.
"No. Ho impegni".
"Impegni?".
"Sto parlando con un amico".
"Smettila di dire bugie, Matteo. Io voglio solo aiutarti".
"Mi dispiace per te ma non è una bugia. Ora lasciami in
pace. Non do fastidio a nessuno con la mia vita, quindi non vedo
perché dovrei uscire".
"Perché qui fuori ci sono delle persone che vogliono
rivederti".
Subito dopo aver detto quella frase Ilaria si zittisce. Adesso sento
una voce nuova, diversa, delicata.
"Matteo?".
Subito seguita da un'altra voce più dura.
"Matteo, sei qua dentro? Rispondi!".
Conosco queste due voci. So chi sono e perché sono qui. Ma
non importa.
Perché io sono un hikikomori che ha scoperto il vero
significato della parola libertà.
Note:
Ed ecco il quinto capitolo. Spero che vi sia piaciuto e ringrazio chi
segue questa storia e commenta. Forse non servirà a molto ma
vi chiedo comunque il vostro parere.
The Sorrow.
|
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Capitolo 6 *** Confronto ***
Hiki(cap 6 in corso).
Se apro la
bocca non esce
nessun suono. Se tento di muovermi il mio corpo trema. È
assurdo
vedere come due voci siano riuscite a mettermi in
difficoltà. In
un certo senso posso dire che il rimedio pensato da Ilaria ha causato
una reazione opposta a quella che lei si aspettava.
Sono ancora davanti alla mia porta. Dietro di me, il computer acceso
con Shadow che, probabilmente, sta ancora aspettando un messaggio per
continuare la nostra chiacchierata. Fuori dalla porta, invece, ci sono
tre persone. E due di queste sono molto pericolose.
"Matteo, sappiamo che sei qua dentro. Non fare l'idiota ed esci fuori.
Puoi ancora recuperare l'anno".
Marco, Marco, Marco. Se solo riuscissi a parlare te ne direi di tutti i
colori. Proprio tu mi vieni a dire queste cose? E perché
solo
adesso?
"So che probabilmente non te la senti di uscire. Lo capisco, credimi.
Ma devi farlo, Matteo. Non puoi pensare di stare rinchiuso dentro ad
una stanza per sempre".
Dice che mi capisce. Bugia. Menzogna. Raggiro. Lui non si è
mai
chiuso in una stanza, lui non ha mai provato il senso di terrore che
provo io ogni volta che mi viene in mente il mondo esterno, lui non
conosce il senso di pace che conosco io ogni volta che, steso sul
letto, chiudo gli occhi e penso che non c'è nessuno che
condiziona la mia vita.
Lui non è un hikikomori. E nemmeno Ilaria lo è.
Questi idioti parlano senza sapere. Magari Ilaria ha studiato ma penso
che
ci sia una grande differenza tra un libro di testo che pretende di
spiegare le cause dell'hikikomori e un periodo di
autoreclusione passato all'interno di una camera. Io parlo solo con chi
mi capisce, con chi ha subito quello che ho subito io, con chi
è
stato vittima delle stesse ingiustizie che io ho sempre subito.
Presentatemi una persona
simile e parlerò con lui.
"Ascolta, qui c'è anche Chiara. E, se sarà
necessario,
chiameremo anche Giorgio. E Silvia. E Davide. E tutto il resto della
classe, professori compresi".
Quella era una minaccia? Certamente! Tutta la mia
classe fuori da questa camera a chiedermi di uscire. Mi vengono i
brividi, non riesco nemmeno ad immaginarmi una scena simile.
Ma che accidenti ha Ilaria per la testa? Ora urlo qualche bella
parolina e li mando fuori dalla mia vita.
Sì. Farò proprio così.
Dunque...
Ecco...
Allora...
Niente. Niente di niente. Non ci riesco. Eppure con Ilaria qualche
parola riuscivo a dirla. Sarò forse regredito? Tornato
indietro
ad uno stato primitivo di hikikomori? O forse è per via di
Final
Fantasy XIV? Potrebbe essere, potrebbe essere. In effetti uno dei
numerosi motivi per cui parlare con Shadow è così
facile
deriva dal fatto che non devo utilizzare le mie corde vocali. Shadow
non sentirà mai la mia pronuncia balbettante o la mia erre
moscia. Loro invece, sì. Come devo risolvere questa
situazione?
"M-Matteo?".
Una voce femminile interrompe il flusso dei miei pensieri.
"Matteo, non è necessario che tu esca subito. Andremo per
gradi e vedrai che, piano piano, riuscirai a superare la tua paura. Va
bene?".
La voce di Chiara mi fa quasi pena. Ilaria l'ha trascinata qui insieme
a Marco con l'obbiettivo di farmi uscire e sicuramente avrà
detto loro qualcosa sul fenomeno dell'hikikomori prima di portarli qui.
Questo spiega perché ora Chiara parli con una
tonalità di un medico che tenta di calmare un malato mentale
rinchiuso in una sorta di manicomio. Perché loro la pensano
in questo modo, ne sono sicuro. Secondo molte persone, Marco e Chiara
compresi, l'idea che qualcuno si rinchiuda volontariamente in una
camera, eliminando ogni contatto con il mondo esterno, è un
sinonimo di follia. Mi vedono come un ragazzo con qualche rotella fuori
posto e quindi tentano di aiutarmi mandandomi dritto dritto nelle
grinfie di Ilaria. Quest'ultima poi, è veramente diabolica.
In qualche modo, solo Dio sa come, è riuscita a rintracciare
i miei vecchi compagni del liceo che frequentavo prima di trovare la
libertà. Ed ora li sta usando per i suoi scopi. Maledizione!
"Matteo, stammi bene a sentire. Esci da questa dannata stanza entro
cinque minuti o abbatto la porta!".
"Che cosa? Marco, così non otterremo nulla. Deve uscire da
solo, ricordi?".
Agire in modo impulsivo è tipico di Marco. Il cervello
conta, è vero, ma in certi casi un bel pugno fuziona meglio
di qualsiasi dialogo. Ho l'impressione che Ilaria non abbia scelto
Marco e Chiara in modo casuale. Sono due opposti. Uno agisce seguendo
l'istinto e l'altra invece mette in moto l'intelligenza. Li ha scelti
proprio per questo, ci scommetto. Se mai Marco agirà in modo
troppo violento, ci sarà sempre Chiara pronta a fermarlo,
esattamente come ha appena fatto. Se invece questa sottospecie di
trattativa andrà per le lunghe e Chiara non
riuscirà a cavare un ragno dal buco (mai metafora fu
più adatta per definire la mia situazione), Marco
darà sfogo a quello che sa fare meglio. Abbattere qualsiasi
cosa che si trova di fronte a lui. So che, in qualche modo, lui
può benissimo aprire la mia porta con la forza bruta e
trascinarmi fuori. È questo che temo. Devo temporeggiare e
trovare un modo per mandarli via. Se solo riuscissi di nuovo ad
esprimermi usando la voce.
La voce! Ma certo, loro vogliono la mia voce. Vogliono sapere se ci
sono ancora e poi, con metodi più o meno raffinati, farmi
uscire. Devo solo
stare zitto e fare quello che mi riesce meglio: scappare.
Non avrei mai pensato che Marco e Chiara potessero dirmi frasi come:
"Qua fuori ci sono tante persone che non vedono l'ora di rivederti"
oppure "Se uscirai potrai ricominciare da capo tutta la tua vita". Le
stanno provando di tutte ma io continuo con la tattica del silenzio.
Prima o poi si stancheranno. Tutti si stancano.
È da qualche minuto che non li sento più. Forse
se ne sono andati. E così la strategia del silenzio ha
funzionato. Perfetto! Ora potrò finalmente tornare alla mia
vita normale e dimenticare tutto il resto.
"Matteo! Anche se non parli so che mi stai sentendo".
Ho decisamente sottovalutato la determinazione di Marco.
"Ma che cosa stai facendo? Scappi? Pensi forse che noi non abbiamo
problemi? Non sei una mosca bianca, Matteo. In questo mondo abbiamo
tutti dei problemi, nessuno escluso. Affrontiamo ogni giorno un sacco
di sfide: alcune di poca importanza, altre che possono cambiarci la
vita. A volte ne usciamo sconfitti, altre volte ne siamo vincitori. Ma,
indipendentemente da come va a finire, noi affrontiamo queste sfide.
Non sentirti l'unica persona nel mondo ad avere dei problemi,
dannazione! Pensi che giri tutto intorno a te? Beh, ti sbagli. Ora esci
e affronta la vita come fanno tutti!".
Bel discorso. Se lo sarà preparato prima di venire da me?
Chissà. Ma mi da sui nervi, tanto. E, sebbene in questo
momento dentro di me c'è una grandissima rabbia, non riesco
a dire niente. Meglio tornare a giocare.
Ilaria, Marco e Chiara se ne sono andati. Spero che quella vipera non
li faccia tornare perché oggi ho resistito a fatica alla
tentazione di uscire veramente per prenderli a pugni. Accedo al gioco e
trovo subito Shadow, proprio come mi aspettavo. Mi scrive subito un
messaggio.
"Ciao, come mai oggi non eri online?".
"Ho avuto qualche problema". Preferisco non fare riferimenti a Marco e
Chiara.
"Capisco. Minacciano la tua libertà, vero? Dovremmo proprio
far giocare anche loro, gli si aprirebbe un mondo".
"Tu credi?".
"Ma certo! Non siamo in pochi a vivere in questo mondo a parte ed
aumentiamo sempre di più. Sai perché?
Perché la necessità di isolarsi in Italia
è sempre più grande. Se noi aumentiamo
è perché il mondo esterno non cambia. Tanto vale
rifugiarci qui, non trovi?".
Questo ragionamento mi lascia perplesso. Ho sempre visto il mio
isolamento come qualcosa di personale, di unico, di mia
proprietà. Ho sempre ignorato i numeri che gli statisti
danno sul fenomeno dell'hikikomori. Ma, in fondo, non è
importante. Nessuno può tirarmi fuori da qui. Io non sono un
codardo come ha detto Marco. Non lo sono per niente. È
così. Deve essere così.
Perché ho questi dubbi? Perché mi pongo queste
domande? Fino a qualche settimana fa vivevo normalmente la mia vita da
hikikomori e ora...
No! Basta con questi pensieri. Sto solo facendo il gioco di Ilaria;
è stata lei a mettermi in testa queste assurde domande, fa
parte del suo piano. Io non devo cedere.
Io sono libero.
"Sì, sono d'accordo" rispondo a Shadow.
Aspetto per qualche minuto ma non ricevo risposta. Il tempo passa ed io
fisso costantemente la finestra della chat in attesa di un nuovo
messaggio.
Shadow si fa sentire dopo quaranta minuti.
"Scusa il ritardo, mi dispiace di averti fatto aspettare. Ho parecchi
problemi ultimamente".
"Ti vogliono trascinare fuori, vero?". Tutti gli hikikomori, alla fin
fine, hanno lo stesso, identico problema. Qualcuno che pretende di
sapere qual è lo stile di vita migliore.
"Già. Non è la prima che ci provano ma adesso ho
veramente paura. Non hanno chiamato un'associazione o degli psichiatri
come hanno fatto le altre volte".
"E che cosa stanno facendo?".
"Hanno deciso di abbattere il mio mondo con la forza".
Note:
E siamo arrivati al sesto capitolo. Avevo un po' di
perplessità questa volta dato che il capitolo non mi
soddisfava molto. E così, dopo aver cambiato parecchie cose,
ho deciso finalmente di pubblicarlo. Spero in un vostro commento.
Io vado avanti lo stesso.
The Sorrow.
|
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Capitolo 7 *** Abbandono ***
Hiki 7 cap (in corso).
Fino ad ora
ho sempre pensato
di essere al sicuro, sempre. La stanza in cui sono rinchiuso mi da
sicurezza e non mi era mai passato per la mente il pensiero che
qualcuno potesse venire a tirarmi fuori con la forza.
Ma adesso tutte
le mie convinzioni sono state abbattute.
"Con la forza?" chiedo a Shadow.
"Sì, con la forza. In questi giorni sento i miei genitori
che
parlano con delle persone, dei medici per l'esattezza. Dato che non
sono uscito da solo, hanno pensato di farmi uscire con la forza. Li
sento mentre parlano, mentre esaminano la mia porta, mentre progettano
un modo per abbattere la mia vita perfetta. È questione di
giorni ormai: vogliono abbattere il mio mondo".
Distruggere un mondo fittizio è semplice. Basta colpire le
sue
fondamenta e cadrà rovinosamente su se stesso. La nostra
vita si
basa sulla convinzione che non c'è niente e nessuno capace
di
tirarci fuori. Noi pensiamo al presente ma non al futuro. Non
ci
passa nemmeno per la testa che, prima o poi, saremo costretti ad
uscire. Perché io so che questo accadrà.
Quando i miei genitori saranno troppo vecchi per sostenere il peso di
un figlio hikikomori, la mia libertà si
trasformerà in un
inferno. So che accadrà, l'ho sempre saputo. ma non volevo
pensarci, non volevo rendermene conto. Ora Shadow è in
pericolo
e, in un certo senso, lo sono anche io.
"La tua porta è chiusa a chiave, vero?". Shadow mi sta
chiedendo
una cosa ovvia, scontata, banale. Penso che tutti gli hikikomori
tengano la porta della loro camera chiusa a chiave: io lo faccio
perché mi da sicurezza.
"Sì" gli rispondo.
"Oggi ho scoperto che una porta chiusa a chiave non serve a niente. La
butteranno giù come se fosse fatta di carta e mi
trascineranno
in uno di quei terribili centri per la cura di "sindrome da
hikikomori", come la chiamano loro. Io non voglio, ho paura".
Mi giro e fisso la mia porta: l'unica barriera che mi divide dal mondo
esterno. In effetti, è pur sempre una porta. Se volessero, i
miei genitori potrebbero rompere la serratura ed entrare con facilità. Non
ci ho mai pensato. Non ci voglio pensare.
"La prima persona che ha tentato di tirarmi fuori è stata
una psicologa" continua Shadow con un nuovo messaggio. "È
successo circa dopo un mese dal giorno in cui ho deciso di rifugiarmi
in questo mondo virtuale. I miei genitori erano preoccupati
perché vedevano che non uscivo e allora hanno chiamato
questa strizzacervelli. Ho parlato con lei per circa due settimane;
veniva a trovarmi ogni giorno, alla stessa ora. Non è
cambiato niente. Mi ripeteva che la vita vera non è dentro
un videogioco ma nel mondo reale. Voleva farmi uscire a piccoli passi.
Era una fregatura, ne ero sicuro. Esattamente come la volontaria che
è venuta due mesi dopo. Stesse argomentazioni, stesse
parole, stesse convinzioni. Alla fine anche lei ha gettato la spugna. A
quel punto ero felice: avevo la certezza che nessuno poteva ormai
disturbare la mia vita in questo mondo perfetto. A quanto pare mi
sbagliavo".
"Quando ti porteranno in questo centro?" gli chiesi.
"Presto. È questione di giorni ormai. Io non
voglio andarci, non voglio uscire. Il mondo esterno è
crudele, è spietato. Fuori dalla mia camera vive una
società malata, dove la bellezza fisica conta più
di ogni altra cosa. È così nelle scuole, nelle
università, nel lavoro, in tutto. La bellezza spalanca le
porte ma se qualcuno non la possiede, allora non può nemmeno
mangiare le briciole. Io non voglio tornare in questo mondo: un mondo
dove il fisico viene sempre prima del cervello".
Le sue parole mi colpiscono come dei proiettili. La verità
fa male e lui sta dicendo la verità. Quando una persona
dice: "non conta come siamo fuori ma come siamo dentro"... beh, mente.
Il mondo è diviso in una piramide: in cima troviamo le
persone belle, le persone ricche, le persone popolari. Più
si scende, più il prestigio diminuisce e , di conseguenza,
diminuisce anche il valore del ruolo che ricopriamo nel
mondo. Noi hikikomori ci siamo rifugiati nelle nostre stanze
proprio perché vogliamo scappare da questo folle sistema che
non lascia scampo. Io so che non cambierà mai niente: ormai
la piramide si è instaurata nelle nostre vite e le sue
radici sono troppo profonde per poterla sradicare. Quindi l'unica
soluzione per me era l'hikikomori.
Il segnale è già suonato da un pezzo. Devo
staccare.
"Io ora devo andare, ci sentiamo domani".
Spengo il computer senza nemmeno leggere la sua risposta. Io volevo
ancora parlare con lui, ma leggere le sue parole mi faceva troppo male.
Perché lo capivo perfettamente.
Stranamente sono riuscito a dormire senza particolari problemi. Da
quando ho iniziato a giocare ho delle difficoltà ad
addormentarmi, forse per il fatto che il gioco mi rende più
attivo. È quasi mezzogiorno, ma io ci sono abituato. Dormire
è l'attività principale della mia vita da
hikikomori.
Accendo il computer e cerco subito Shadow.
Guardo nella lista amici.
No...
No...
NO!
Shadow è offline.
Guardo
quella scritta per circa un minuto, come se fossi ipnotizzato.
Allora era vero.
Lui non è più un hikikomori.
Lui non vive più all'interno del gioco.
Lui è stato trascinato fuori con la forza mentre io dormivo,
ignaro di tutto.
Lui non c'è più.
È morto.
Il silenzio della mia camera è diventato improvvisamente
pesante. Il computer spento è vuoto come la mia vita. Parlo
da solo, sussurro qualche lettera che si perde nell'aria.
Sono solo.
Fisso la porta.
Guardo la maniglia.
Allungo la mano che non smette di tremare.
Giro la chiave con il sudore sulla fronte.
Apro la porta.
Il mio isolamento si è spezzato.
In casa non c'è nessuno. I miei genitori devono essere
usciti, convinti che io non me ne accorgessi nemmeno. Cammino
lentamente per la casa, guardando i mobili, i muri, le foto che ci sono
sulla mensola in soggiorno. Una ritrae me e mio padre sorridenti:
è stata scattata qualche anno fa durante una gita in
montagna. A quei tempi se mi avessero detto che cos'era l'hikikomori mi
sarei fatto una bella risata e avrei detto frasi come "Sono dei malati
mentali" o altro. Non mi sarei mai immaginato che avrei sperimentato
l'isolamento in prima persona.
Vado nel bagno e mi guardo allo specchio. Chiudo subito gli occhi.
Quello sono io. La persona che ho appena visto in faccia sono io. Quel
ragazzo con gli occhiali quadrati e il fisico magro come uno
stuzzicadenti sono io.
Non sono più un umano: sono un morto vivente, un cadavere
che cammina.
Sento un rumore. Una porta si apre.
Esco dal bagno e mi ritrovo faccia a faccia con i miei genitori. Li
fisso e loro fissano me. I nostri occhi sono agganciati. Vedo il loro
stupore. Non parla nessuno, forse per la paura di rovinare quel momento.
Sto guardando gli occhi di altre persone. Mi gira la testa, ho la
nausea.
Non ci riesco.
Scappo verso la mia camera e mi chiudo nuovamente a chiave.
Oggi sono uscito. Per la prima volta dopo un anno sono uscito. L'ho
fatto per Shadow. Magari lui in questo momento è
già sotto terapia e fisserà terrorizzato la sua
psicologa. E se per caso pensano che un hikikomori sia un malato
mentale? Che cosa gli faranno? Forse lo tratteranno come hanno trattato
quel ragazzo giapponese a Nagoya? Non voglio pensarci, mi vengono i
brividi.
Ormai sono uscito. Devo andare fino in fondo: solo così
avrò l'assoluta certezza che il mondo è come lo
descriveva Shadow e che l'unica via di fuga è l'isolamento.
Note:
Caso di Nagoya:
verso la fine del capitolo c'è un riferimento al "caso di
Nagoya", un fatto di cronaca realmente avvenuto. In un centro per la
cura della sindrome dell'hikikomori a Nagoya, in Giappone, un ragazzo
hikikomori è stato legato ad una colonna con delle catene e
lasciato così per quattro giorni. È stato
ritrovato morto con delle lesioni su tutto il corpo. In quello stesso
centro si trovavano altre decine di ragazzi hikikomori, tutti in
pessime condizioni, legati in una stanza e costretti alla vita di
gruppo.
Dopo l'arresto il direttore del centro giustifico le catene come "mezzo
necessario affinchè i ragazzi non provocassero problemi ai
loro genitori.
Ed ecco il settimo capitolo. Ci stiamo avviando verso la fine in quanto
il prossimo capitolo sarà l'ultimo. Ringrazio ancora chi
segue e commenta.
The Sorrow
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Capitolo 8 *** Dipendenza ***
Hiki 8.
Sono steso
sul letto, con gli
occhi chiusi e il cervello ancora attivo. Sto cercando di dormire,
anche se non ho sonno: voglio ritrovare quello che ho perso. La mia
esistenza da hikikomori si è rotta in mille pezzi. Tutta
l'impalcatura su cui si reggeva la mia vita è caduta come un
castello di carte.
Sono uscito, ho abbandonato il mio rifugio per pochi minuti e ho
guardato negli occhi due persone. Non è stato bello. Per
niente.
Avevo la nausea e le gambe mi tremavano.
È il mondo esterno.
È quella sensazione che ti fa sentire solo un verme piccolo
e
indifeso davanti a qualcosa che non si può sconfiggere in
nessun
modo.
Penso che, ora come ora, non riuscirei a proseguire tranquillamente la
mia esistenza da hikikomori. È spaventoso vedere come tutte
le
convinzioni che si sono accumulate dentro di me in un anno sono state
spazzate via nel giro di pochi minuti passati fuori dal mio universo.
Devo andare fino in fondo. Ho la paura nel cuore e il terrore negli
occhi ma non posso restare indifferente a quello che mi è
successo.
Mi ritrovo nuovamente davanti alla porta. La fisso, allungo una mano ma
poi la ritiro.
Ho paura. Sento le voci dei miei genitori. Si sono ripresi dallo schock
iniziale ed ora hanno anche chiamato Ilaria. Quel diavolo non aspettava
altro: ora ha individuato una mia debolezza, un mio errore ed
è
decisa ad approfittarne, ne sono sicuro.
Che cosa devo fare?
Fisso nuovamente la porta e, lentamente, la apro.
L'impatto non è così potente come lo era stato
circa tre
ore fa. Questa volta sono più preparato e quindi non ho
problemi
a dirigermi verso il soggiorno con un passo abbastanza spedito,
totalmente diverso da quello tremante ed insicuro della prima volta. Ma
perdo ogni sicurezza quando mi rendo conto di essere osservato.
Ci sono tre persone: i miei genitori e una ragazza che non ho mai
visto. Tutti e tre mi guardano come se fossi una sottospecie di alieno.
Sento i loro sguardi, il loro stupore, il loro sgomento. Tengo la testa
bassa, cercando di guardarli il meno possibile e avanzo verso la porta
che mi separa dal mondo.
La apro: lo faccio con calma e naturalezza, per quanto possa essere
naturale per un hikikomori uscire di casa e abbandonare così
il
guscio che lo aveva protetto per così tanto tempo.
Scendo le scale dell'appartamento pregando di non incontrare nessuno,
prendo un bel respiro ed esco.
Sono davanti alla mia più grande paura.
Il mondo.
La prima cosa che mi colpisce è la luce: essendo abituato
alla
penombra che domina la mia camera, il sole mi da parecchio
fastidio e mi costringe a mettere una mano davanti agli occhi, per
proteggerli. Cammino lentamente sul marciapiede e sento l'aria fredda
che penetra e scorre nelle mie ossa. Sono nella strada davanti al mio
appartamento. Una via abbastanza piccola ma che adesso mi pare una
distesa sconfinata ed impossibile da attraversare.
Faccio fatica a respirare: questa... questa non è la mia
aria.
È diversa, fredda, pungente. Il mio corpo trema ed io non
riesco
a farlo smettere.
Sono in preda al panico
Perché sono uscito? Perché accidenti sono uscito?
Questa
è una sfida che non posso vincere, questo è un
nemico che
non posso battere.
Inizio a sentire un po' di nausea: deve essere solo autosuggestione.
Sì, proprio così. È solo
autosuggestione. È
la mia testa che sta creando tutto questo, non c'è nessun
pericolo.
Devo stare calmo.
Provo a camminare ma mi fermo immediatamente. Sento dei passi.
Mi giro e vedo quello che non avrei mai voluto vedere.
Davanti a me c'è una signora. Si sta avvicinando sempre di
più. Ho paura.
La nausea sta aumentando. Fatico a formulare dei pensieri sensati.
Fatico anche solo a pensare.
Non capisco più niente.
La signora mi nota e capisce che c'è qualcosa di strano in
me.
"Scusi, si sente bene?" mi chiede.
Alzo lo sguardo e mi ritrovo nuovamente a fissare gli occhi di una
persona.
È orribile.
La nausea aumenta.
Ho perso il controllo del mio corpo.
Vomito.
Sono di nuovo nella mia bolla protettiva. Fisso il muro e cerco di
spegnere la mia mente, ma senza nessun risultato.
Fuori i miei genitori sono stranamente in silenzio. Forse non hanno
niente da dire. O forse vedermi vomitare in mezzo alla strada li ha
sconvolti a tal punto che non sono più capaci nemmeno di
parlare. Meglio così, meglio così. Se parlano,
litigano.
Se mi sforzo di ricordare che cos'è successo qualche ora fa
vedo
solo qualche immagine sfocata, irriconoscibile. Vedo i miei genitori
che corrono verso di me. È un ricordo vago ma sono sicuro
che
erano loro.
Me lo sarei dovuto aspettare. Non potevo veramente credere che se ne
sarebbero stati con le mani in mano mentre io uscivo per la prima volta
dopo un anno.
Forse sono svenuto. Sì, deve essere per forza andata
così. Io sono svenuto e loro mi hanno riportato nella mia
camera.
Perché?
Perché non portarmi in un ospedale?
Perché mettermi di nuovo nel mio universo?
Qui c'è di sicuro lo zampino di Ilaria. Per la prima volta
mi
ritrovo ad apprezzare una sua azione. Portare una persona come me in un
posto pieno di gente come un ospedale sarebbe stato folle. Avrebbe
fatto precipitare la mia situazione. In un certo senso, Ilaria mi ha
salvato.
Sono di nuovo un hikikomori, ma con una differenza.
So la verità.
Ed è per questo che sto piangendo.
Io non volevo diventare un hikikomori.
Quel giorno non me la sentivo di andare a scuola. I miei compagni mi
facevano paura. La scuola mi faceva paura.
Quando parlo balbetto sempre. Indipendententemente dalla situazione o
dal mio interlocutore, io balbetto.
Ho sempre preferito stare da solo piuttosto che stare con altri.
Faccio fatica a studiare e mi sono esaurito mentalmente per cercare di
migliorare, senza riuscirci.
Sono sempre stato un codardo: se qualcuno aveva bisogno di un favore,
io non mi facevo avanti per paura di sbagliare. Se vedevo un mio
compagno di classe subire atti di bullismo abbassavo la testa e mi
allontanavo perché avevo paura di eventuali ritorsioni.
Tutto questo per me era insostenibile: non vedevo un futuro, non avevo
prospettive o sogni. Non credevo nell'amore o nella felicità.
Volevo semplicemente scomparire. Rendermi invisibile agli occhi di
tutti.
Così quel giorno non sono andato a scuola.
Il giorno dopo nemmeno.
Ho passato una settimana intera chiuso in camera.
Poi due. Tre. Quattro.
Senza
che me ne accorgessi sono diventato un hikikomori.
Non mi piaceva quella vita e ho provato molte volte ad uscire durante i
periodi iniziali del mio isolamento.
Non ci sono riuscito.
Ero ormai dipendente dall'hikikomori. L'isolamento si era trasformato
in una droga: più passavano i giorni e più era
difficile per me pensare ad un possibile ritorno nel mondo esterno.
L'hikikomori crea dipendenza psicologica. Lo so e l'ho sempre saputo.
Ma se da un lato questo aspetto dell'isolamento mi spaventava,
dall'altro continuavo a vederlo come l'unica soluzione possibile.
Così ho evitato di pensarci e ho guardato sempre solo la
parte positiva dell'hikikomori.
Oggi ho visto la dura realtà.
Non guarirò.
Per affrontare il mio problema psicofarmaci e sedute di terapia non
servono a niente. La mia dipendenza è ormai ad un livello
tale da non poter essere più contrastata.
Sto piangendo.
Tutte le emozioni che erano nascoste dentro di me si stanno liberando
come un fiume in piena.
Adesso voglio dimenticarmi tutto. Voglio essere felice della mia
ignoranza. Voglio sorridere con gioia di fronte al mio dolore.
La porta è chiusa.
Le persone sono lontane da me.
Domani non cambierà niente. Dopodomani nemmeno.
Il mio mondo è racchiuso in una stanza.
Postfazione:
E così siamo giunti alla fine. Provo un senso
di malinconia in questo momento, forse dovuto al fatto che questa
storia è molto importante per me dato che ho
trattato un tema che mi è molto vicino.
Dietro questo racconto c'è un grande lavoro: mi sono
informato nel tentativo rendere la storia realistica e verosimile,
mettendo le note a fine capitolo per spiegare alcuni termini che,
magari, sono sconosciuti a chi non ha mai sentito parlare degli
hikikomori prima d'ora.
Il mio obbiettivo principale con questa storia era descrivere i
pensieri di un hikikomori in modo realistico. Tante, troppe volte vedo
i giornali italiani confondere l'hikikomori con la dipendenza da
internet. È un grandissimo errore dato che stiamo parlando
di due cose totalmente diverse.
Detto questo, ringrazio chi ha recensito la storia: mi avete dato la
spinta necessaria che mi serviva per continuare ed io non so davvero
come ringraziarvi.
Quindi grazie a chi ha letto e seguito questa storia fino alla fine.
The Sorrow.
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