Paint Pets (in Moral Kombat) - Avventure surreali di una squadra di animali

di ToraStrife
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Episodio 1. - Prendi le tue vitamine ***
Capitolo 2: *** Il silenzio è d'oro ***
Capitolo 3: *** 3 - Guarda il sorgere del sole ***
Capitolo 4: *** Lavati dietro le orecchie ***
Capitolo 5: *** Non accettare caramelle dagli sconosciuti ***
Capitolo 6: *** Non respirare sott'acqua ***
Capitolo 7: *** Fermati ad annusare una Rosa ***
Capitolo 8: *** Adotta un cucciolo ***
Capitolo 9: *** Se gli amici fossero fiori, coglierei te ***
Capitolo 10: *** I sorrisi sono sempre gratis ***
Capitolo 11: *** Lavati i denti dopo mangiato ***
Capitolo 12: *** Eat the Veggies ***
Capitolo 13: *** Dopo la pioggia viene l'arcobaleno ***
Capitolo 14: *** Epilogo - Semina gentilezza e raccoglierai amicizia ***



Capitolo 1
*** Episodio 1. - Prendi le tue vitamine ***


Paint Pets
(in
Moral Kombat)

Avventure surreali
di una squadra
di animali




Episodio 1 - Prendi le tue vitamine

Mamma Koala era esasperata.
Sua figlia, dal dolce nome di Koalessia, non voleva assolutamente saperne di mangiare quel piatto di spaghetti all'eucalipto.
- Mangia che cresci! - Ripeteva. - Cresci forte e sana.
Ma il piccolo batuffolo peloso era però irremovibile.
- No! - Ripeté per l'ennesima volta.
Mamma Koala scosse ancora la testa. Ma da chi aveva preso quel carattere così ostinato.?
Il Gufo lì a fianco sghignazzò, insinuando l'ovvia risposta, ma non disse nulla, un po' anche perché la madre marsupiale lo aveva anticipato con un'occhiataccia.

Passò di lì il vecchio e saggio Kenzo, l'orso karateka, rispettato e venerabile maestro di arti marziali.
Assistendo alla scena, fece finta di nulla, per la regola del Bushido che prevedeva il non intromettersi mai negli affari degli altri.
Ma lo sguardo di supplica da parte di Mamma Koala, ormai con i capelli arruffati a furia di stropicciarseli, lo convinse a fare un'eccezione e chiedere.
- C'è qualche problema?
- La mia bambina. - Disse Mamma Koala. - Non vuole mangiare.
- Scusa. - Disse Kenzo, permettendosi la confidenza di un amico di lunga data, oltre che di orso saggio. - Ma che piatto è?
- Sono le tagliatelle di Nonna Pina! - Disse la mamma con naturalezza. - Come tutti sanno è tutta vitamina!
- Ma... perché proprio queste tagliatelle? - Chiese cautamente Kenzo.
- Il pediatra ha detto che mia figlia è carente di vitamine. - Spiegò Mamma Koala. - E quindi sto cercando di fargliele assumere per via orale.
- Scusa se mi permetto, - Intervenne Kenzo. - Però credo che il dottore intendesse delle semplici pillole.
- Tu dici? - Chiese la Koala, forse più a sé stessa che al maestro.
- Aspetta un attimo. - Disse l'orso, frugando nel kimono.  Ne estrasse  un flacone di pillole.  - Ecco qui.  Vitamine concentrate. Un rimedio naturale... e al sapore di miele, di cui so che tua figlia va pazza.
- Grazie,  maestro Kenzo! -  Disse Mamma Koala con entusiasmo. Conosceva la saggezza del karateka, e la sua conoscenza della medicina omeopatica. Quel rimedio avrebbe sicuramente convinto la piccola testarda a curare la sua carenza alimentare.
Kenzo salutò con un inchino, imitata da Mamma Koala, e si allontanò soddisfatto per aver compiuto l'azione onorevole della giornata.

Dopo circa dieci minuti, Kenzo ritornò sulla scena, con aria trafelata, che malediceva la sua sbadataggine e la memoria che con gli anni si era fatta più corta.
- Mamma Koala! - Chiamò sbrigativamente. - Mi ero scordato di raccomandarle di somministrare il farmaco in piccole dosi, in quanto è piuttosto potente...
Si arrestò, atterrito, mentre davanti gli si presentava la scena di Mamma Koala che tremava davanti a un orso di tre metri, seduto davanti al tavolo, che la stava guardando con aria famelica.
Il grizzly, con le fauci spalancate, grugnì qualcosa all'indirizzo della signora.
- Mamma, ho fame!
- Beh, cara, se vuoi ci sarebbero le tagliatel...

"CHOMP!"

- Fatality! - Commentò il Gufo, in disparte, con uno spaghetto in bocca, che poi sputò, schifato.




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Capitolo 2
*** Il silenzio è d'oro ***


Episodio 2 - Il silenzio è d'oro


Impiccheranno Geordie con una corda d'oro, è un privilegio raro, rubò sei cervi nel parco del re, vendendoli per denaro....
L'I-Pad a tutto volume stara restituendo un frastuono ritmato al quale Mamma Koala si era unita ballando come una forsennata.
- Ma cos'è questo baccano? - Si avvicino True Max, la scimmia metallara, premendo i palmi delle mani sui padiglioni.
- E' musica da discoteca, ed è inutile che ti lamenti, caro il mio fracassaro! - Rispose la Koalessa.
Ballare le piaceva, e molto, anche perché le faceva da fitness involontario, e il movimento le faceva sempre bene, specie dopo i raid alle macchinette delle merendine durante la pausa.
- E questa la chiameresti musica? - Incalzò True Max. - Non vale un'unghia di Raining Blood degli Slayers.

Poco lontano, Rina, la donnola, era impegnata in un lavoro di conteggio.
- Millecinquecento, Milleseicento...Aaargh!

La potenza dell'I-Pad, unita alle due voci battibeccanti, finivano sempre per distrarla dal calcolo, col risultato di dover ricominciare ogni volta da capo.

Intanto, qualcun altro si era unito alla discussione.
Kenzo, l'Orsetto Karateka, ma con una sbandierata passione per Modugno, si intromise imitando la voce del suo idolo.
- Nel blu, dipinto di bluuu, felice di stare lassùùù. - Intonò, mettendoci più voce che potesse, proprio per sovrastare quei due rimbambiti che non capivano nulla di musica.
- Ci mancava il melodico. - Commentò con sprezzo True Max.
- Ma neanch'io sono così vecchia per ascoltare quella roba! - Si lamentò Mamma Koala.
- Ed è meglio ascoltare quello stupro a De André? - Ribatté Kenzo.


Rina stava cominciando a sanguinare dagli occhi, tale la frustrazione.
- La volete finire? Sto cercando di fare un calcolo, qui! - Urlò in direzione dei litiganti.
Nessuno di loro, tuttavia, l'ascoltò. Anzi.

Una quarta figura si unì alla combriccola.
Cleo, la gatta siamese dalle movenze e i gusti raffinati, completa di paio di occhiali che le conferivano un aspetto altezzoso e austero.
- Cosa sentono mai le mie delicate orecchie. - Commentò gelidamente. - Non so se sia peggio questo tamburellare impazzito, la rozzezza dei gusti dello scimmiotto, o la voce da cornacchia della vecchio plantigrado!
 - E' inutile che vanti questa puzza sotto il naso, eh. - Sibilò True Max.
- Che hai da dire sulla mia voce, sentiamo! - Intimò Kenzo, offeso nell'orgoglio.
- ... Che poi chissà che musica vanterai tu! - Canzonò Mamma Koala.
Cleo si passò una zampa sulla testa, in perfetto stile da diva, e proferì la sua preferenza.
- Kim Wilde, You Keep Me Hangin On, remix del D.J. Goldie.
- E che palle, tu e la tua sofisticazione della musica anni '80. La musica è roba grezza, una bistecca al sangue! - Sbottò True Max
- Ah, beh, un'altra diavoleria modernista tutta effetti e tecnologia. - Sbuffò Kenzo.
- Vuoi mettere quella mosceria con Gabry Ponte? - Aggiunse Mamma Koala, riprendendo la sua fitness dance.

- Ottocento, Novecent..  Raah! Cent... Duecent...

Era inutile, ce la faceva più. Il pelo rossiccio della donnola era ormai completamente arruffato dalle ondate di scariche nevrastatiche che le partivano dalla testa fino ad attraversare tutto il sistema nervoso, anzi, nervosissimo.
Le zampe di Rina stavano ormai tremando come se affette da Parkinson, e ogni urlo da parte di quella bolgia era un'ulteriore scarica di adrenalina che rimbalzavano da capo a piedi.
La canzone dell'I-Pad, ormai in loop continuo da cinque o sei passaggi, stava ormai ripetendo quell'odioso ritornello.
Nell'ascoltarlo ancora una volta, però, Rina trasformò la smorfia di dolore in un sorriso.
L'ennesimo schiamazzo da parte della combriccola, infine, la convinse ad agire.


Il silenzio era finalmente tornato sulla scena. Quasi canticchiando, Rina finì finalmente di contare.
- Quattromilaeottocento, quattromilaenovecento... Cinquemila!

Annotò in fretta la cifra su un foglio di carta per non dimenticarselo, e poi osservò soddisfatta il fascio di foglietti. Poi guardò sul luogo dove ancora vi era l'I-pad spento.

Senza alzar lo sguardo vide, penzolanti, le gambe di un Koala, di una scimmia, di un orsetto e di una gatta.
Rina si sorprese a canticchiare il ritornello della canzone.

- Impiccheranno Geordie con una corda d'oro, è un privilegio raro...

Il Gufo di passaggio guardò meravigliato la scena, ed esclamò - Fatality!

Poi incrociò gli occhi della donnola, e si pentì di non aver tenuto il becco chiuso.

Mentre le zampe di un quinto animale penzolavano insieme alle altre, Rina canticchiò distrattamente il resto del ritornello.

- .... Rubò sei cervi nel parco del Re, vendendoli per denaro...

Da lì a poco passo King Tony, il mandrillo, con aria sconvolta.

- Rina, non riesco più a trovare i miei cervi! Tu ne sai qualcosa?

- No. - Disse semplicemente la donnola, nascondendo in tasca il mazzo di foglietti di filigrana.

Il pad, intanto, si riaccese, sintonizzandosi su una canzone dei Depeche Mode.

... Enjoy the silence...

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Capitolo 3
*** 3 - Guarda il sorgere del sole ***


Episodio 3 - Guarda il sorgere del sole

Era l'ora di colazione.
Di solito in quel frangente gli animali si dividevano in due gruppi, chi si spostava a mangiare presso la mangiatoia dedicata a loro, chiamata 'sala mensa' per non farli sentire le bestie che erano, e chi invece preferiva spendere quella mezz'ora seduto a godersi l'aria aperta.
Il Gufo in disparte stava tentando di sbirciare le news sul telefonino di King Tony, il mandrillo, che passava le immagini con noncuranza.
In fondo era la solita solfa: scaramucce belliche tra Occidente e Isis, partite di calcio, il Grande Fratello che reiniziava. Niente di insolito.
Era l'inizio dell'autunno, il periodo dell'anno in cui l'ora coincideva con il levarsi del sole dalla madre terra.
Era quel momento magico in cui tutto si tingeva di rosso, le ombre si allungavano, e i presenti erano investiti da una calda luce.
Uno spettacolo che stava facendo rimanere a becco aperto Pina, che tutti per assonanza chiamavano "la pinguina", ma in realtà era una splendida pulcinella di mare, dal becco variopinto e grazioso.
La poverina, tuttavia, si era sempre vergognata della propria, voluminosa caratteristica fisica, e si era sempre sentita brutta e impacciata.
Kenzo, l'orsetto karateka, era a fianco a lei, con le zampe posteriori incrociate in posizione di meditazione.
Pina alzo un po' la pinna, perché il sole era ancora sull'orizzonte, andando direttamente negli occhi.
Era un fastidio di pochi minuti, per fortuna, poiché dopo che ne furono passati circa dieci, l'astro nascente si era staccato, e lo spettacolo si rese visibile in tutto il suo splendore.
- E' una bella alba. - Commentò l'uccello di mare.
Kenzo riemerse dallo stato di meditazione nel quale si stava cullando, e aprì le palpebre.
- Già. - Confermò semplicemente.
- A guardarla, - Proseguì Pina, - esseri come noi scompaiono al suo confronto. Scompare persino il mio becco.
- E' un bellissimo becco. - Commentò Kenzo. - E tu lo sai benissimo.
- Grazie. - Rispose Pina con un sorriso. Poi l'imbarazzo le impose di deviare il discorso. - E tu, maestro Kenzo? Cosa ti infonde questo spettacolo della natura?
Kenzo fece un profondo respiro meditativo ed espirò il suo verdetto.
- Un gran senso di pace. E aggiunse. - Hai ragione, Pina, amica mia. A confronto di quella palla rossastra che ci investe con la sua tiepida luce, dopo il buio della notte, noi  miseri viventi scompariamo nelle nostre ombre.
- Che riflessione profonda. - Commentò Pina, sinceramente ammirata. Un particolare stonato, tuttavia, attirò la sua attenzione. - Però quella non mi sembra proprio una palla.
Kenzo spalancò gli occhi, per guardare meglio. - Hai ragione. Il sole stamattina ha una forma strana... si direbbe più un... un....
- Un fungo? - Precisò timidamente Pina.
King Tony interruppe il quadretto, annunciando finalmente una notizia degna di nota.
- Lo sapete? I califfati hanno appena annunciato un attacco nucl....

Non finì la frase, che la luce dell'aurora si fece più intensa, e investì tutti i presenti. Tutti scomparirono nell'intensità del bagliore, senza proferir parola, o comunque, senza averne il tempo.

Solo il Gufo parlò. - Global Fatalit... - Poi venne anch'esso coinvolto.

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Capitolo 4
*** Lavati dietro le orecchie ***


Episodio 4 - Lavati dietro le orecchie


Era sempre vita affollata, laggiù tra le rovine dell'Anfiteatro Flavio, meglio conosciuto ai posteri come Colosseo.
Un tempo regno dei gladiatori e dei leoni, adesso era il regno dei turisti e dei gatti randagi, oltre che i tanti rifiuti che infestavano la vecchia arena, sprofondata in un cumulo di muri scalcinati e l'erba fitta di una microsavana verde.
Come tutti i giorni, la felina nota come Applecat si guadagnava da vivere, rubacchiando qualche boccone di frutta, facendosi fare le coccole da qualche bambina, ma soprattutto cercare di sopravvivere alle angherie dei bulletti della zona.
Ma non era la sua specie, quella dominante laggiù, nella capitale.
Vi era una scimmia ammaestrata, che di solito batteva all'impazzata due piatti orchestrali, al fine di far buttare in un cappellino le monete dai turisti.
Insomma, se umano, sarebbe stato il politico perfetto: fare tanto baccano insensato per racimolare soldi.
In sua compagnia, un vecchio mulo completo di paraocchi, il traino del vetturino personale del Arcivescoco Episcopale Don Francesco Inquisitori.
A stare tutto il giorno a sentire le chiacchiere di sua eminenza durante le passeggiate, ne aveva assorbito convinzioni e idee. Anche perché non aveva mai sentito altre campane, intese come opinioni, al di fuori di quella.
Il bersaglio del diabolico duo ultimamente era diventato proprio la povera Applecat.
Avevano scoperto sua sua particolare caratteristica, in realtà mai nascosta:  l'orientamento affettivo orientato verso il suo stesso genere.
In altre parole, amava le gatte come lei.
Un peccato imperdonabile agli occhi del mulo, un'occasione imperdibile di mettersi in mostra per la scimmia.
Erano alcuni giorni che assistevano al suo passaggio, ogni volta sottolineavano la sua condizione con parole e gesti di scherno.
In particolare lo scimpanzé, che amava passare ripetutamente l'indice dietro l'orecchio, e poi indicare il felino, con tono accusatorio.

- Gay! - Diceva. Ripeteva il gesto del ricchione e indicava nuovamente.

Quella mattina, la scimmia, che del politico non aveva la somiglianza ma anche l'ambizione, si trovava in compagnia del mulo.
Vedendo passare la gatta con un torsolo di mela in bocca, si passò il dito dietro l'orecchio e puntò contro la femmina.

- Gay!

Applecat lì ignoro, come al solito. La scimmia ripetè il gesto.

- Gatta lesbica!

- E anche innaturale,  - Aggiunse il mulo. - La famiglia deve avere un padre e una madre. Lo scopo della famiglia è procreare! - Concluse, citando a memoria le parole del suo ospite umano.

Applecat di solito faceva spallucce, i riferimenti sulla famiglia la irritarono particolarmente, forse per la sua natura di randagia.
- Signor mulo. - Apostrofò con un tono acido. - Non mi parli di famiglia lei, promiscuo di Cavalla e Asino. E non mi parli di procreare, lei che è tra l'altro sterile.
- Gay! - Ripeté lo scimpanzé, dopo il solito gesto accusatorio. - Gay e innaturale. Si è mai visto una gatta non solo lesbica, ma che preferisca la frutta alla carne?
- E quindi? Se così non fosse, non mi chiamerei Applecat. - Sbuffò la randagia, che di quei due ne aveva fin sopra le vibrisse.
- Che testarda! - Disse il mulo. Detto dalla sua specie, trovò la gatta, suonava paradossale. Ma forse aveva preso tutto dal padre. Inteso come asino.
- Gay! - Ripeté lo scimpanzé, dopo aver toccato per l'ennesima volta il padiglione auricolare.
- Dica un po', Onorevole scimmia.  Si lava mai dietro le orecchie?
- Perché? - Chiese il primate, colto in contropiede dal quella domanda inconsueta.
- Si osservi il dito.
La scimmia lo guardò. Era nero come la pece.
- D'accordo, è un po' sporchino. - Ammise il primate. - E allora?
Applecat fece spallucce. Era certa che non ci sarebbe arrivato. Afferrò il torsolo e se ne andò, non prima di aver rivolto un ultimo commento alla scimmia.
- Nessuno si preoccupa mai, prima di puntare il dito verso qualcuno, di aver egli stesso la coscienza pulita.

Lo scimpanzé si guardò il dito, poi si grattò la testa, e si riguardò il dito. Era ancora più sozzo di prima. Se lo mise in bocca, lo succhiò, e poi rifece il gesto del ricchione e dell'accusa. Il dito ritornò sozzo.
- Chi è senza peccato, scagli la prima pietra! - Esclamò il mulo, ridendo.
Poi si fermò, con aria interrogativa. Aveva ripetuto come un pappagallo una delle frasi di Don Inquisitori, e adesso si stava chiedendo cosa volesse dire.



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Capitolo 5
*** Non accettare caramelle dagli sconosciuti ***


Episodio 5 - Non accettare dolci dagli sconosciuti


- Dolcetto o scherzetto?

Era finalmente giunto uno dei momenti più attesi dell'anno: la famigerata vigilia di Ognissanti, per gli amici, Halloween.

Era uno dei pochi momenti dell'anno in cui gli integerrimi adulti potevano permettersi di  tornare bambini, pardon, cuccioli, travestendosi da creature mostruose e spaventose.
La cosa più invitante era senza dubbio la pratica del Trick or Treat, con la quale si bussava casa per casa, scambiando minacce con deliziosi dolcetti.

Rina, la donnola, aveva messo il suo consueto travestimento da fattucchiera. Una parruccosa cascata di capelli ricci e rossi, un paio di occhiali spessi come fondi di bottiglia, e il tipico cappello a punta.

Sapeva che in giro vi era anche Mamma Koala, travestita da clown malefico.
Conosceva bene la golosità dell'amica, e temeva che nel giro della serata l'avrebbe preceduta, svaligiando il vicinata e lasciandola a bocca asciutta.

Proprio per questo, Rina accarezzò l'idea di bussare alla porta della vecchia Maria.

- La vecchia Maria? - Era stato il coro incredulo e terrorizzato in risposta dai pochi con cui aveva confidato quella folle idea.
- Ma tu la conosci, la vecchia Maria? - Le aveva chiesto Damien, la lontra baffuta. - Secondo le dicerie, non dovrebbe neppure essere viva!
- Stroncata da un infarto! - Precisò Gary, il cane bulldog che di nulla aveva paura. Di nulla, tranne che della vecchia Maria.
- Non dite sciocchezze. - Aveva sbottato Rina. - Mi state dicendo che quella casa è abbandonata, nonostante ci siano sempre le luci accese?
Come risposta, Gary si mise a tremare e a guaire come un cucciolotto, e sparì dentro la sua cuccia.
Damien tentò un'ultima volta di dissuadere la donnola. - Cucciola, noi non siamo superstiziosi, ma dacci retta: quella è una vecchia strega!
Ma Rina non aveva voluto sentire ragioni: si era impuntata sul fatto di voler fregare quella koala sul tempo e così avrebbe fatto, tanto più che la brutta fama avrebbe sicuramente dissuaso la rivale, o quantomeno fatto tardare la visita.
Quale migliore occasione?

E fu così che Rina si presentò davanti alla magione. Guardando il giardino fu pervasa da un brivido.
In effetti le erbacce e i rampicanti la facevano da padrone. L'altalena arruginita, mossa dal vento, produceva un cigolio insopportabile.
Ripetendosi che era solo suggestione, Rina bussò un paio di volte.
Nessuna risposta.
Rina bussò ancora. Ancora nulla.
- Forse è davvero abbandonata. - Si disse, nonostante le luci fossero ben accese. - Forse non può venire ad aprire e... - Forse cercava solo una scusa per dare retta alla sua inquietudine e levare le tende, ma non fece in tempo.
La porta si aprì lentamente, producente un cigolio ancora più disturbante di quello dell'altalena.
Un fascio di luce illuminò Rina, immobile con il sacchetto in mano.
- D-dolcetto o scherzetto? - Chiese meccanicamente.
La figura della vecchia signora, una cornacchia dal piumaggio scolorito dal tempo, si contrasse a quella richiesta.
Il becco della padrona di casa si rilassò in un sorriso.
- Oh, cara! - Gracchiò. - Una visita.
- D-dolcetto o scherzetto? - Ripeté Rina.
- Ma sicuramente dolcetto! - Rispose il volatile. - Vieni, ho appena sfornato dei deliziosi biscottini!
Nonostante tutti i sensi le urlassero di voltarsi e correre via, Rina prese tutto il suo coraggio ed entrò in casa, con passo titubante.

Alla fine era stata tutta una bolla di sapone.
La vecchia Maria era tutto fuorché una strega. Dolce, affabile, e anche con uno spiccato senso dell'umorismo.
Aveva anche riso rumorosamente come, appunto, una vecchia cornacchia, quando Rina le confessò le dicerie che quei fifoni dei suoi amici avevano raccontato su di lei.
- E' il guaio di quando vivi sola. - Spiegò sospirando la vecchia Maria. - Cominci a non frequentare più nessuno, e la gente inizia ad avere paura di te.
- Sono tutte menzogne! - Sbottò indignata Rina. - Aspetti come si ricrederanno quando assaggeranno questi fantastici biscotti!
- Oh, cara, tu mi lusinghi. - Si schernì Maria. - Ma se vuoi, la prossima volta puoi portarli con te...sempre che tu abbia ancora voglia di visitare questa noiosa e petulante vecchina.
- Ci può contare! - Disse con entusiasmo Rina.


- Cucciola, ma lo sai che avevi ragione? - Constatò Damien, leccandosi i vistosi baffi. - Questi dolci sono davvero buonissimi!
- Vero? - Ribatté Rina, con soddisfazione. - Se avessi dato retta a voi cacasotto.
- Ehy, dacci tregua. - Si lamentò Gary, con il muso ancora immerso nella ciotola piena della sua parte di bottino. - Capita a tutti di sbagliare.
- Oh, ma l'importante è che io sia riuscita a battere sul tempo quella golosastra di Mamma Koala.
- Sì, ma con tutte  le altre case del vicinato, si sarà presa una bella indigestione, oppure starà ancora mangiando. - Congetturò Damien.
- A proposito, mi chiedo perché ancora non sia qui. - Si chiese Gary. - Si sta perdendo delle vere prelibatezze.



Maria gracchiò con soddisfazione, era al colmo della gioia. Non vedeva l'ora di rivedere la sua nuova amica Rina, insieme ad altri amici.
Dopo anni di solitudine, non si sentiva più sola. Si scoprì a sorridere. Da quando non le succedeva più? Da quando era morto suo marito, da circa...si scoprì invecchiata.
E dire che Halloween veniva considerata una festa triste.
Lei invece era al settimo cielo.
Quella sera, addirittura due visite.
Gracchiò di nuovo di soddisfazione, mentre giocava con un naso rosso finto e una parrucca bionda.

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Capitolo 6
*** Non respirare sott'acqua ***


Episodio 6 - Non respirare sott'acqua

In fondo al mar, in fondo al mar, un gran concerto, qua c'è di certo, tu credi a me....

Monia sospirò. Grosse bolle d'aria si levarono dalla sua bocca, andando in superficie.

- Via, non è poi questo gran problema. - Le sussurrò Wanda, la sua amica.

- Parli bene, tu. - Obiettò la prima, un elegante delfino grigio, i cui raggi solari, smorzati dall'acqua, riuscivano ancora a conferire spettacolari riflessi argentei. - Ma io tutto il concerto non posso reggerlo.

L'esibizione del grande cantante rock Sebastian Crab, il crostaceo leader dei Fish Bowl si sarebbe tenuta a Rock Bottom, a ventimila leghe sotto il livello del mare.
Troppo per un mammifero come lei, la cui autonomia d'aria non superava la buona mezz'ora. Il concerto ne durava almeno due intere, e sarebbe stata costretta a tornare indietro per il rifornimento di ossigeno.
Ma dopo la prima mezz'ora, per il tragitto, avrebbe perso tutto il resto.

- Essere mammani è un bel problema. - Sospirò Wanda. A differenza di Monia, era un pesce a tutti gli effetti. Un esemplare tropicale, rosso ramato, con il muso schiacciato e un'adorabile boccuccia prominente. - E' tutta colpa di quei benedetti polmoni da superficie. Avresti bisogno di branchie.

- Branchie? - Chiese Monia.

- Come, vivi in acqua e non sai nulla? - Chiese incredula Wanda. -  Osserva bene.

E indicò con la pinna  la serie di strisce sulle guance che si aprivano e chiudevano regolarmente.

- E' con questo che noi pesci respiriamo sott'acqua.

- Prodigioso. - Commentò Monia. - Pensi che le possa avere anche io?

- Sì, certo. - Rispose Wanda con sarcasmo. - Basta incidersi le squame e poi l'aria passa da lì.

- Ma è un'idea meravigliosa! - Furono le parole di Monia.

Wanda strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca, come se avesse dovuto ingoiare un amo per pesci spada.
Non riusciva a credere che la sua amica avesse davvero... bevuto quella storia.

- No, aspetta...

- Vado subito! - Guizzò il delfino, senza lasciar finire l'amica.

Wanda venne lasciata lì, come un merluzzo.

Stupidi mammani! Fu la sola conclusione che sovvenne al pesce.


Quella sera il concerto di Sebastian Crab si tenne per due intere ore, più un quarto d'ora per il bis.
Wanda si divertì un mondo. Wanda, da sola.
L'aveva aspettata per mezz'ora davanti ai cancelli subacquei, ma quella idiota di Monia non si era fatta vedere.
Alla fine aveva deciso di entrare, e magari si sarebbero incocciati tra il pubblico.
Ma nel banco fitto di pesci che avevano riempito la platea, non l'aveva mai scorta.
E adesso, a concerto finito, i sensi di colpa la assalirono. Prima se ne era bellamente fregata. Seb piaceva anche a lei e per nulla al mondo si sarebbe persa l'esibizione.
Magari era in mezzo alla folla e non l'ho vista.
L'avrebbe chiamata al cellulare, senonché in acqua i cellulari non prendono.
Un senso di inquietudine l'assalì. Monia, in effetti, c'era stata oppure no a quel concerto?
Per saperlo poteva fare solo una cosa: cercarla.
Guizzò in lungo e in largo, per tutta la notte e il giorno successivo.
Ma di Monia non si trovò traccia.
Giunse infine vicino ad alcuni scogli. Li trovò sporchi di rosso. Sangue rappreso.
Un dubbio le sovvenne, ma lo scacciò.
Non può certo essere.
La stanchezza l'assalì. Aveva dormito poco, da ieri sera.
Aveva bisogno di recuperare.
Andò nel suo giaciglio. Chiuse gli occhi.
Li riaprì quasi subito. Urlò di terrore.
C'era Monia, accanto a lei. Gli occhi strabuzzati. E un gran sorriso, largo, larghissimo.

- Ciao, Wanda! Ti ho fatto paura?

Wanda non seppe che rispondere. Ma il muso di Monia era orribile, ai due lati, sei orribili squarci, tre per parte coperti da sangue ormai secco. Le cartilagini penzolavano stracciate, come se fossero state tagliate da un coltello di selce.

- Ho fatto come dicevi. -  Continuò Monia. - Mi sono fatta le branchie.

- Mio Dio, - Balbettò Wanda. - Cosa mai hai...

- Ma non riuscivo a respirare, sai? - Riprese Monia, senza ascoltarla. - Sentivo solo acute fitte di dolore, mentre il sangue usciva dai miei fianchi. E mi è mancato il respiro.

- Monia... Monia... - Continuava a sussurrare il pesce tropicale, atterrito.

- Stavo soffocando, Wanda. - Continuò Monia. - Stavo soffocando nel mio sangue.

- Monia... come hai potuto...?

- Stavi mentendo, Wanda.

Spaventato, il pesciolino cercò di agitarsi e fuggire, ma la paura lo aveva paralizzato.

- Monia, io...

Il delfino le tappò la bocca con la pinna, e spalancò la bocca, leccandosi le labbra.
Wanda assistette impotente a quella fila di denti che si avvicinava sempre di più, per racchiuderla nel buio.

- Torna a dormire, Wanda. Torna a dormire.


(Jeff the killer versione delfino?!?)

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Capitolo 7
*** Fermati ad annusare una Rosa ***


Episodio 7 - Fermati ad annusare una Rosa


Era la fattoria della passione.
Rosa, innocente fanciulla di primo piumaggio, era rimasta ammaliata dallo sguardo caliente del nuovo manovale.
Si chiamava Antonio, un uomo alto, bruno e snello.
Fin dal loro primo incontro non era riuscita a staccargli gli occhi di dosso.
Il suo lavoro di assistente le permetteva di stargli accanto, tutto il giorno.
Quante volte aveva desiderato quelle mani, che suadenti massaggiavano la farina con movimenti lenti, precisi e costanti.
Le uova, che ogni giorno lei gli procurava, venivano rotte con forza e fermezza.
I tuorli venivano mescolati alla farina, unita in un unico impasto.
Rosa avrebbe speso ore, anni della sua vita solo ad osservare i suoi occhi scuri e intensi, concentrati a prendere possesso dell'impasto e plasmarlo in continuazione, come creta.
Nell'osservarlo in azione, si sentiva quasi gelosa.
- Rosita. - La chiamava, nei saltuari momenti in cui distoglieva lo sguardo dal lavoro.
Quando pronunciava il suo nome, Rosa si sentiva al settimo cielo. L'accento latino con cui pizzicava la S le dava i brividi, la  S di un'attività che Rosa avrebbe fatto volentieri con  il signor  Zorro.
Finché una notte lei cedette, e si buttò su di lui.
Bocca contro becco, uniti in Abbracci appassionati, lui la spogliò di tutto il superfluo, piuma dopo piuma.
- Rosita. - Sussurrò Antonio. - Ho un'idea.
Lei gemette. Aveva sempre sospirato i loro sospirati Incontri, il suo proibito Flauto con ripieno di crema.
Là, tra le Macine Campagnole, qualcosa di diverso aveva scatenato l'improvviso appetito di Antonio.
Quando anche l'ultimo rivestimento di Rosa fu tolto, l'aitante uomo ripeté.
- Rosita, ascolta la mia idea.

- Balla, Rosita, balla per me. - Incitava Antonio.
Lei, spogliata di ogni sua veste bianca, si stava agitando sensuale attorno ad un palo, la pelle dorata, fradicia e gocciolante dal gran caldo.
- Balla, Rosita, ancora! - Ripeté Antonio.
Mentre Rosa continuava a roteare attorno all'asta, Antonio si avvicinò e appoggiò il naso sul suo corpo.
Inspirò a pieni polmoni la sua fragranza, la sua essenza di femmina.
- Hai un buon odore. - Le sussurrò, prima di inspirare un'altra dose di aroma ruspante.
- Basta colazioni. - Esclamò Antonio, con sguardo lubrico e avido. - Adesso è ora di pranzo.

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Capitolo 8
*** Adotta un cucciolo ***


Episodio 8 - Adotta un cucciolo

Mamma Koala aveva sempre avuto un debole per i cuccioli.
Dal suo smartphone di ultima generazione scaricava sempre video con gattini e cagnolini che leccano vetri zuccherati, foto pucciose e così via.
A questo si erano aggiunte le richieste di sua figlia Koalessia.
Insomma, era venuto il momento che nella famiglia Koala entrasse un nuovo arrivato. Ma dove cercare?
Le venne l'idea di rivolgersi alla sua amica Dana, un criceto iperattivo che passava tutto il tempo a giocare con la palla, ma sopratutto era proprietaria di un serraglio, aiutata  dal suo amorevole cane da pastore maremmano, la dolce Maya.
Dana fu entusiasta come un cavallo dalla criniera rosa.
- Qui sicuramente troverai l'animale che fa al caso tuo!
Dana si mise sulla testa di Maya, che fece da cavalcatura, e insieme guidarono Mamma Koala nel serraglio.
Il criceto presentava il suo zoo con gorgheggi intonati, per mettere a suo agio Mamma Koala, che da sempre univa la passione per gli animali a quella della musica. Anche per il cibo, ma quella è un'altra storia.
L'ospite guardò gli animali con ammirato stupore. C'erano due coccodrilli, un orang outan, due piccoli serpenti e anche un'aquila reale.
Prima che l'ospite cominciasse a chiedere sui due leocorni, Dana preferì cambiare musica.
- Hai visto che bel cane? - Indicò Dana
Mamma Koala annuì, mentre il cucciolo presentato gli  rispose con un - Bau! Bau!
- Hai visto che bell'asinello? - Incalzò il criceto.
- Che carinoooo - Si sciolse la Mamma, con il quadrupede che gli rispose. - Hi-ho!
- E da questa parte, la mucca?
- Ma è una normale che fa mu o quella di Danone che fa mu mu? - Chiese ingenuamente Mamma Koala.
Il bovino le muggì una volta sola, soddisfacendo la sua curiosità.
- Da questa parte, la rana!
- Cra cra. - Rispose l'anfibio.
Poi Mamma Koala si fermò, incuriosita. - E lui?
Dana si fermò, e guardo nella direzione in cui il dito di Mamma Koala stava indicando.
- Il coccodrillo? - Chiese il roditore, perplesso.
- Sì, lui non ha risposto come tutti gli altri. - Spiegò Mamma Koala. - Come fa, il coccodrillo, eh? Come fa? - Domandò, con curiosità.
"A volte sembra più bimba di sua figlia", sospirò Dana, passandosi una mano sul volto.
- Non c'è nessuno che lo sa. - Disse, senza troppa convinzione.

Ma al contrario delle aspettative, il coccodrillo rispose.

Beeeeurp.

- Ma che verso è? - Chiese perplessa Dana. Aveva sentito finalmente il suono del coccodrillo, ma non se ne capacitava. - Perché mai il verso di un coccodrillo dovrebbe essere un rutto?

Poi si accorse di essere sola.

- Mamma Koala? - Chiamò, invano. Girò la testa e destra e sinistra, poi la sua cavalcatura, Maya, abbaiò, con severità, in direzione del coccodrillo.

Dana rabbrividì, quando girò gli occhi sul rettile. Stava sorridendo beato.

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Capitolo 9
*** Se gli amici fossero fiori, coglierei te ***


Episodio 9 - Se gli amici fossero fiori, coglierei te

Erano davvero una coppia singolare.
Non si erano mai visti, divisi da una distanza troppo lunga da colmare, perlomeno con le misere ali di lui e le piccole zampe di lei.
Il Gufo, l'uccellastro del malaugurio che descriveva le tragedie con un commento preciso e glaciale, rimanendo muto come una lapide per il resto del tempo, ed Applecat, ricettacolo di tutte le 'devianze' possibili: lesbica, fruttariana e persino nera.
Gatto nero e gufo, animali famosi per portare sventura, ecco la caratteristica che li accomunava.
Entrambi condividevano una pessima fama presso i propri compagni, condizione che liportava spesso a uno stato di forzata solitudine.
Fu forse questa similitudine che li fece conoscere, oltre ovviamente all'aiuto della Grande Rete, nonché del caso, e li legò in una sorta di rapporto che, seppur non particolarmente intenso, si era mantenuto costante  nel tempo, resistendo al passare degli anni.
Certo, i contatti tramite telefono e social network, non erano dei più loquaci.
Per fare un esempio.

- Ciao, Gufo!
- Whooo.
- Come te la passi?
- Whooo.
- Anche a me son sempre le solite cose, stupidi muli, scimmie inette e così via.
- Whooo.
- E te, che mi racconti?
- Fatality!
*rumore di uno scoppio forte, e poi la linea cade.
*
- Ho capito, ora sei occupato, ci sentiamo.

Le loro vite andavano avanti così, senza grandi pretese.
Continuavano a contattarsi.

Solo un accordo tacito, una regola importante era stata stipulata.
Nessuno dei due avrebbe chiamato l'altro amico e amica.
Lei, perché aveva una concezione dell'amicizia particolarmente nobile ed utopistica, la sua idea idealizzava qualcuno che potesse starle vicino nei momenti difficili: cosa che chi abitava a migliaia di chilometri non poteva ovviamente fare, ed era lo stesso motivo per il cui il Gufo non la chiamava amica, anche se il suo era un principio molto più stupido: per lui un vero Gufo non doveva avere amici.

Finché un giorno...
Il Gufo si guardò attorno, riconobbe le rovine che aveva visto sui libri di storia, e di cui Applecat gli parlava in continuazione.
- Whooo. - Disse, con aria stupita. Che ci faceva lì?
- Che domande, - Gli disse una voce da dietro. - Sei qua per il mio matrimonio.
Il Gufo si voltò e trasalì. Era la prima volta che la vedeva dal vivo, quella micia che ciondolava la testa da una parte all'altra, divertita.
Il sorriso con cui lo accolse gli fece alzare un sopracciglio. In mezzo a tutto questo nonsense, la cosa più assurda era stata l'ultima parola pronunciata.
- Whooo?
- Certo, dove vivi? Ormai i matrimoni tra gatti omosessuali sono stati legalizzati! Vieni, ti presento la mia sposa.
Il Gufo era sempre più confuso. Avrebbe voluto  fare una serie infinita di domande, ma preferì stare al gioco. Seguì la micia scura, entrando in municipio.
Una volta all'interno, Applecat si voltò ed indicò con una zampa.
- Ecco, lei è RamboCrash.
La sposa, un abissino, era così alta e magra da sembrare un levriero in miniatura. La figura snella e imponente squadrò il conoscente di Applecat, e non disse nulla, ricambiata nel silenzio.
Applecat riuscì tuttavia a intuire cosa stessero pensando.
"Wow, questo/a è più musone/a di me."

La cerimonia si svolse senza troppi fronzoli, in mezzo a gatte di quartiere con le lacrime agli occhi, e aitanti randagi tirati a lucido dalla toeletta locale, nonché vestiti di tutto punto come i gatti di Top Cat.
Venne il momento del classico lancio del bouquet, che Applecat lanciò da dietro le spalle.
Il caso volle, però, che il mazzo di fiori andasse a capitare proprio tra le ali dell'unico essere a cui di tutto questo non importava nulla.
Il Gufo guardò con un sopracciglio alzato il mazzo di fiori.
Si accorse che non erano le solite rose. Erano bucaneve.
Il Gufo non ci capì nulla. Poi, scocciato, giacché odiava i fiori, li regalò allo alla gatta più vicina, e se andò.
Applecat lo fermò sulla soglia. - Te ne vai?
Il Gufo, per la prima volta, disse qualcosa di più articolato del solito. - Cerimonia finita. Auguri e figlie femmine... - E poi aggiunse. - Adottate.
- Un momento, - Lo fermò la gatta. - E il bouquet?
- Grazie, ma non mi sposo. - Rispose il Gufo. - Tra l'altro, non erano neppure rose.
- Lo so, erano bucaneve, il fiore dell'amicizia.
- E quindi?
- Quindi bisogna fare la cerimonia. - Spiegò la gatta.
- Cerimonia di che? - Obiettò il Gufo.
- Cerimonia di amicizia.

Tutte le assurdità capitate in quel momento non giustificavano quest'ultima, concluse il Gufo.

- Fammi il piacere. - Sbottò il Gufo. - Lo sai bene che non si può, tecnicamente, essere amici. Troppa distanza, nello spazio e nel tempo.
- Hai colto quel bouquet al volo. Non poteva essere un caso.
- Scherzo achitettato. E poi noi abbiamo sempre vissuto ognuno la propria vita. Mi lusinga l'invito al matrimonio.  Ma amici è una parola troppo grossa.

Fece il suo ingresso RamboCrash, con un abito talare. Il Gufo strabuzzò gli occhi.

- Che ci fa ora lei vestita da prete? Non era lo sposo, ehm, la sposa?

RamboCrash ignorò il commento, e cominciò a recitare.

- Sono passati tanti anni, eppure i qui presenti Gufo ed Applecat sono sempre rimasti in contatto, senza mai mentirsi, pugnalarsi alle spalle, litigare e soprattutto mandarsi a cagare. Tu Gufo, la vuoi mandare a cagare ora?

L'uccello fu preso in contropiede.

- Non diciamo scempiaggini, non stavo mica dicendo addio o cosa...

RamboCrash ignorò il resto delle sue parole e si rivolse ad Applecat.

- E tu, Applecat, hai motivi per mandarlo a cagare a tua volta?

- Certo che no. - Miagolò la compagna, soddisfatta.

Quindi RamboCrash finì il sermone.

- E allora, con i poteri a me conferiti, vi dichiaro amici!



- Ecchecavolo, parliamone! - Urlò sbigottitò il Gufo in protesta.
- Parliamone di cosa? - Gli arrivò la voce dall'apparecchio. Era quella di Applecat.

L'uccello si accorse di tenere in mano il cellulare, e di essere nella sua familiare terra natia.
Niente Roma, niente matrimoni.

- Gufo? - Chiese preoccupata la micia, dall'altra parte della comunicazione.
- Whooo. - Rispose il Gufo, con la solita voce monotono.
- Meno male. - Commentò Applecat, sollevata. - Per un attimo mi eri sembrato strano.

Più strano del solito, voleva sottintendere.

- Fatality! - Disse il Gufo, prima che un'esplosione lo investisse.
- Ok, ci vediamo domani. - Salutò la gatta.

Dopo aver riattaccato, l'uccello si godette i piccoli istanti di quella 'piccola morte', annotando la sua opinione per la prossima telefonata con la conoscente.

Favorevole ai matrimoni tra gay, ma non ai matrimoni tra amici!

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Capitolo 10
*** I sorrisi sono sempre gratis ***


Episodio 10 - I sorrisi sono sempre gratis


Kenzo strinse i pugni, assieme ai denti. Per l'ennesima volta, in quella giornata, aveva dovuto ingoiare il nervoso con una forte deglutizione.
Il 'gulp' era ben più che percettibile, mentre l'orsetto karateka si tratteneva per l'ennesima volta per non rispondere in maniera violenta all'ennesima provocazione.
Ritrasse le labrra, mostrando un feroce ringhio, poi a fatica sollevò i lembi della bocca, per farlo apparire come un sorriso.
Non sopportava proprio le battutacce di Gary, l'umorismo quadrato e impietoso di quel cagnastro sui difetti degli altri, specie quando le frecciatine riguardavano la sua 'calvizie' e la forma 'tonda' del suo corpo.
Ma reagire avrebbe comportato una trasgressione al suo codice d'onore.
Per calmarsi, rammentò la lezione del suo vecchio maestro di arti marziali, il saggio panda cinese Bu Bu.

Il motivo per cui ti ho iniziato all'ardua via della arti marziali, è stato quello di impararle proprio per non averne mai bisogno.


Kenzo passò oltre gli sghignazzi del cane, per imbattersi in Rina, la donnola. Come al solito il mustelide salutava sempre tutti con una buona parola acida.

- Ehy, Kenzo, com'è che ogni volta ti vedo mi devo sempre piegare un po' più in avanti?

Altra frecciata sulla sua altezza, non certo esemplare. Aveva ancora i nervi a fior di pelle per l'incontro con il cane. Ma ancora il bushido gli proibiva, più di tutti, di alzare le mani ad una femmina.

- Oggi non è giornata. - Intimò Kenzo.

- Con te non è mai giornata. - Ribatté Rina. - Sei sempre il solito vecchio brontolone. E sorridi ogni tanto, su!

Kenzo eseguì, a fatica.

Bravo ragazzo, Si complimentò il vecchio maestro nei ricordi di Kenzo. Il karate serve per regalare i sorrisi alla gente. E la prima regola per fare sorrisi, è regalarli sorridendo a nostra volta. I sorrisi sono gratis e fanno felici le persone. Regala un sorriso al posto di un pugno, se riesci.

- Bravo Kenzo. - Si complimentò anche Rina, battendo ripetutamente pacche materne alla pelata di Kenzo. E lui odiava essere toccato lì.

E' una donna, anche se donnola. Si disse. Non bisogno toccarla.

Congedatasi anche Rina e le sue sinistre risate di auto-divertimento, Kenzo tirò fuori tutta l'aria dai polmoni che aveva trattenuto.

- E anche questa è andata. - Commentò con un filo di voce. - E ora se Budda vuole le seccature per oggi sono finit...

Ma il guaio peggiore stava per arrivare. Damien la lontra.
Lo avrebbe strozzato con le sue mani, se avesse potuto. Sotto quei ridicoli baffi era capace di sparare falsi complimenti, ma il vero guaio era quando si agitava.
Cambiava da Dottor Jekill a Mr Hide. Urlava, minacciava.
La lontra sembrava presa per i fatti suoi. Un lampo di speranza atraversò Kenzo.

Magari non si è accorto di me.

Facendo finta di nulla, l'orsetto passò oltre.
Ma purtroppo un richiamo infranse tutte le sue illusioni.

- Keeenzo!

Quella parola pronunciata da così secca voce fu un graffio sulla lavagna dei nervi di Kenzo.
Kenzo tirò fuori tutto il lato caritatevole che riuscì a trovare, e sorrise.

- Sìììì?

- Che fai, non si saluta più? - Lo rimproverò Damien. - Fai il maleducato?

- Ma neanche tu hai salutato. - Ribatté Kenzo, sempre con il sorriso tirato. - Direi che siamo pari.

- Eh, no! Eh, no! Eh, no! - Rincalzò Kenzo. - Io sono più anziano di te. Dovresti salutarmi tu per primo.

- A parte che ho due anni più di te. - Rispose Kenzo. - Ma alla fine non è successo mica nulla di che.

- Nulla di che? Nulla di che? - Sbottò e ripeté Damien. - Si comincia con il mancato saluto, e poi chissà dove si finisce! Magari sparlare alle spalle o persino peggio.

Se è per quello, tutta la foresta ti prende per i fondelli. Si trattenne dal dire Kenzo. Ma tu sei così pieno di te che non te ne accorgi.

- Sei davvero un cattivo animale, Kenzo. - Continuò Damien. - E' così che dai ascolto al bushido di cui ti vanti tanto?

A Kenzo scoppiò un nervo. La frecciatina sul bushido era troppo.
Passassero le battute sui difetti fisici, non poteva negarli né farci nulla. Ma l'arroganza e la petulanza di costui avrebbero fatto perdere la pazienza a un santone. Figurarsi a lui.

Sorridi. Gli intimarono gli insegnamenti del maestro. Calmati e sorridi. I sorrisi sono gratis.

Obbedendo di scatto, Kenzo sorrise.

- Non sono ancora un allievo perfetto. - Si scusò l'orsetto con un inchino.

- Diciamo pure che fai proprio pietà. - Rincarò Damien. - Anzi, diciamo le cose come stanno: ti sei inventato tutto.

I denti superiori del karateka digrignarono contro quelli inferiori. I lembi però rimasero alzati.
Kenzo cominciò a sudare freddo, e chiese spiegazioni.

- P-prego?

- E dai, Kenzo, lo sanno tutti che è solo un mucchio di balle. Il bushido, il karaté, il tuo maestro. Nessuno ti ha mai visto tirare un pugno. Solo quei sorrisi da ebete. Sembra che tieni una paresi.

E tutto crollò addosso a Kenzo. Anni di meditazione, di educazione fedele nei confronti del maestro, per sentirsi accusare di falsità?
Cercò di calmarsi a quell'ennesima provocazione.

Sorridi. Ti ho insegnato il karate per non usarlo. I sorrisi sono gratis.

- Sorridi, sorridi, non sai fare altro. Ti spiace se sorrido anche io? - E la lontra spalancò da sotto i baffi una fila di trentadue denti bianchissimi. - Hai visto, so sorridere persino meglio di te!

Fu un attimo. Una volata di vento arrivò in direzione di Damien, insieme a una improvvisa ondata di dolore alla bocca.
Al dolore si unì il terrore, quando gli occhi di Damien fissarono prima il volto di Kenzo, stavolta con un sorriso più spontaneo, e il suo corpo, immobile come sempre,.
Poi fisso lo sguardo a terra, ora piena di tanti piccoli frammenti bianchi.
La lontra li riconobbe come i suoi denti.
Cominciò a gemere piagnucolando una serie di vocali da neonato, incomprensibili, ma Kenzo riconobbe tranquillamente le parole.
Mi hai tirato un pugno ai denti!
Kenzo finse un'aria esterrefatta.
- Di che mi stai accusando? Hai per caso visto partire il mio pugno?
Damien non rispose, ma grosse lacrime si formarono sui suoi occhi.
Kenzo sorrise sempre più divertito, quando spiegò il suo sermone finale.

- I miei sorrisi sono gratis. I tuoi dovrai pagarli dal dentista.



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Capitolo 11
*** Lavati i denti dopo mangiato ***


Episodio 11 - Lavati i denti dopo mangiato

Il facocero Renzo sbuffò vistose nuvole di fiato evaporato.
La corsa, passione alla quale amava dedicarsi ogni Domenica, gli aveva tolto ogni energia.
Si guardò intorno: la vegetazione intorno era lussureggiante, con felci e altre piante tropicali.
Eppure non era la solita giungla al quale era abituato.
Il vecchio quadrupede alzò un sopracciglio.  Fin dove diavolo si era spinto?
Scosse con una zampa il sudore che gli grondava copioso dalla fronte, cercando di riacciuffare il fiato tramite ampie boccate.
Drizzò, curioso, le orecchie: versi di uccelli selvatici, ronzii di insetti, e uno scroscìo, che catturò la sua attenzione.
Si rese conto di essere finito sulla riva di un fiume.
Si riflesse nell'acqua. Si osservò, quando il suo riflesso cominciò a tremare come l'immagine di un televisore mal sintonizzato. Le 'interferenze' si fecero sempre più forti, fino a quando l'immagine si distrusse, e al suo posto affiorò un pesce.
Dalla sorpresa  Renzo arretrò di scatto.
- Scusa, non volevo spaventarti. - Disse una mortificata voce femminile.
Renzo guardò meglio. Era un pesce femmina.
Il facocero non seppe riconobbere la specie, ma la trovò carina.
Lo aveva accolto con un delizioso sorriso, e stava continuando a farlo.
- Sono io che chiedo scusa, madame. - Rispose Renzo, imbarazzato. - Ho agito d'impulso.
- Non sembri di queste parti. - Incalzò la pesciolina. - Da dove vieni?
Il tono confidenziale stupì il vecchio animale di mondo, ma non ci fece caso.
- Devo aver corso per oltre due ore. - Calcolò, osservando la posizione del sole. - A occhio e croce credo di aver percorso sessanta, forse settanta chilometri.
- Così lontano? - Si stupì il pesce. - Sarai di certo stanco!
- Eh, in effetti, mi sento tutto sudato... ma perdonate le mie maniere. - Si scusò il facocero. - Non mi sono ancora presentato. Mi chiamo Renzo.
- Il mio è Tania. - Rispose lei con un gran sorriso, mentre un'idea la colse. - Che ne dici di un bagnetto? Per rinfrancarti per il viaggio di ritorno.
Renzo trovò l'invito...invitante.
- Eh, quasi quasi...

Il corpo del vecchio animale sprofondò nell'acqua.
Per Renzo fu come rinascere.
Si sentiva leggero e riposato, la corrente che cullava il suo corpo come un feto nel liquido amniotico.
Dopo un momento di completo abbandono, si annusò.
- Altro che rilassarsi. - Commentò. - Qua devo proprio lavarmi!
- Se le serve del sapone, eccolo! - Intervenne Tania, offrendoglielo con la bocca.

Renzo si maledì per essersi fatto sentire dalla signora, ma la prese con filosofia e accettò l'offerta.

Ne approfittò per frizionare nei punti più sudati: presto il fiume fu pieno di schiuma, proprio come una vasca da bagno.

Per Renzo fu come rinascere una seconda volta.
Un vero e proprio bagno, con tanto di sapone. Sembrava di essere nella vasca, con tanto di acqua tiepida.  - In effetti, per essere un laghetto, l'acqua è insolitamente calda - Constatò, guardandosi attorno.

Trovò lo sguardo di Tania, che sfoggiava come sempre un gran sorriso.
Con gran sorpresa di Renzo, altri sorrisi cominciarono a spuntare dall'acqua, attorniando Tania: tante piccole copie in miniatura del pesce.

- Carini. - Commentò Renzo, con una punta di inquietudine. - Sono i suoi bambini?

- Sono le mie figlie. - Rispose Tania, continuando a sorridere.

Renzo guardò ancora una volta quei denti, bianchissimi e bellissimi, e notò qualcosa di strano: la loro superficie si stava impregnando di qualcosa di viscido: saliva.

- Madame. - Puntualizzò il facocero. - Le sta uscendo un po' di saliva...

Uscire era dire poco: stava colando copiosamente dagli angoli della bocca.

- Oh, non ci faccia caso. - Fece Tania, continuando a sorridere. - Mi capita sempre quando porto le mie bambine per fare colazione insieme.

- Un momento. - Realizzò Renzo, sudando freddo e maledicendosi per non aver riconosciuto prima la specie a cui apparteneva Tania. - La colazione... sarei io?

- Spero non le dispiacerà unirsi a noi. - Commentò Tania, meglio nota come, Tania la piranha.
Nel frattempo le figlie erano partite all'attacco, anzi al banchetto, urlando all'unisono. - Buon appetito!

Renzo non poté fare nulla contro la voracità della dolce prole di Tania.
L'acqua del laghetto si tinse di rosso, che andò a unirsi alla schiuma.
Renzo, nonostante gli innumerevoli aghi che gli si ficcavano nelle carni e stracciavano senza pietà, non trovò poi così male la sensazione che provava.
Era come agopuntura unità a un idromassaggio. Solo un dubbio, prima di perdere coscienza, si volle togliere.
Quindi rivolse un'ultima dimanda alla madre piranha.
- Sono ancora insaponato. Non è che alle sue bambine possa far male?
Tania rise.
- Oh, non si preoccupi, quello non è sapone, ma dentifricio!
- Dentifricio?
- E' una mia trovata: mentre mangiano, si lavano i denti! - Spiegò, con aria compiaciutà.
- Ah, però! - Commentò Renzo, mentre i sensi cominciavano ad abbandonarlo. - Che genio, però! Largo alle nuove generazioni!
Ed educatamente si zittì, per non disturbare il resto del pasto.

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Capitolo 12
*** Eat the Veggies ***


Episodio 12 - Eat the Veggies

 - Carne? Assolutamente no!

 Il muso della siamese si distorse in una smorfia di disgusto, facendo agitare le vibrisse.
 L'addetta alla mensa la guardò come se avesse avuto davanti una pazza.
 Ed era comprensibile.
 Chi poteva esserci di più pazza di un gatto che rifiutava un piatto di trippa offerta come alternativa all'insalata biologica?
 Cleo sdegnò così le vetrine dov'erano esposte le specialità del giorno, sotto lo sguardo scioccato dell'operatrice.

 Si sedette ad un tavolo e cominciò a tamburellare nervosamente le dita della mano destra.
 La coda oscillava impazzita, in segno di protesta.
 Al nervoso si aggiunse una piccola fitta di dolore, quando il gomito poggiato sul tavolo  venne urtato da una superficie di plastica.
 - Oh, scusa! - Le rivolse una voce a fianco, in risposta al suo prevedibile urletto di dolore.
 Cleo diede un'occhiata veloce alla nuova venuta e poi tornò a fissare il vuoto.
 - Ciao, mamma Koala. - Fu il seccato saluto.
 - Che hai? - Protestò l'amica, interdetta dall'inospitale accoglienza.
 Un piccolo senso di colpa spinse Cleo a spiegarsi.  Anzi, a sfogarsi.
 - Quegli inetti della mensa! - Sbuffò la siamese d'un fiato. - Hanno finito l'insalata.
 - Non è mica la fine del mondo. - Commentò la koala. - C'è tanta altra scelta.
 - Sicuro! - Ribatté Cleo, sarcastica. - Spaghetti alla bolognese, scaloppine di maiale ai ferri, salsiccia e spezzatino di vitello!
 - Meglio, no? - Fu la risposta di Mamma Koala. - Per un gatto dovrebbe essere il paradiso.
 L'occhiataccia assassina di Cleo fece ingoiare all'orsetta l'ultimo suo commento.
 - Scusa, è vero. - Si giustificò. - Tu sei vegan.
 - Appunto! - Confermò la gatta. - Tutto ciò che non è vegetale mi disgusta. Ah, ma perché non sono nata erbivora? - Si lamentò, con la testa tra le mani.
 - Non ti perdi niente. - Le rispose Mamma Koala, mentre con la forchetta portava il primo boccone sul palato.
 L'urlo improvviso di Cleo, però, impedì l'azione, e per lo spavento Mamma Koala  fece volare via la posata, che finì a terra con un tintinnio.
 Il 'dling' sottolineò il silenzio che si era venuto a creare, dopo che il grido di Cleo  aveva interrotto il brusio della sala mensa.
 Ora decine di occhi erano fissati sulla coppia. Gli sguardi tuttavia si distolsero presto, e i commensali tornarono alle loro faccende.
 Cleo era famosa, dopotutto, per quelle uscite nevrasteniche.
 Mamma Koala era ancora rossa di vergogna, quando chiese con un tono di rimprovero a Cleo. - Ma che cavolo fai?
 - Che cavolo fai tu! - Ribatté Cleo, per nulla mortificata e anzi, gli occhiali della micia nascondevano occhi a loro volta accusatori. - Sei erbivora e mangi carne.
 - Ma che ti importa? - Chiese la Koala, aprendo la banana rimasta, visto che nella confusione ormai lo spezzatino si era rovesciato sul vassoio. - Tanto la carne non è che ne mangi molta. E quel poco me lo fai volare te fuori dal piatto insieme alle forchette.
 La koala guardò Cleo, che era tornata nel suo broncio. Sospirò.
Forse è solo nervosa per la fame.
 - Sicura di non volerne un po'? - Le chiese, spezzando un pezzo di banana e offrendoglielo.
 Cleo non disse nulla, ma un gorgoglio di protesta indicò che anche lo stomaco della gatta si opponeva ai suoi rigidi principi.
 Con aria di sconfitta, Cleo afferrò il pezzo e se lo mise in bocca, masticando un - Grazie.
 Mamma Koala sorrise, un po' tristemente, per il poco cibo consumato oggi.
 Si alzarono entrambe dal tavolo, perché la pausa stava per scadere.
 Nell'andarsene, Cleo proclamò a mezzavoce il suo annuncio di rivincita. - Vedrete, domani.

 Giorno dopo, stessa ora.
 Mentre poco lontano il Gufo mangiava degli spaghetti a cui la scimmia metallara aveva aggiunto una quantità industriale, nominandoli "Spaghetti alla Napalm Death", Mamma Koala si sedette come suo solito a fianco dell'amica.
 Nel vassoio vi era una porzione di puré e spaghetti al pesto. Ci sarebbe stata anche la cotoletta alla milanese, ma per prudenza l'aveva evitata.
 Quasi non la riconobbe, rispetto all'episodio di ieri. La gatta vantava un gran sorriso di soddisfazione.
 - Buongiorno. - Mormorò.
 - Buongiorno a te, mia cara. - Fu la risposta trillosa.
 - Oggi avevano l'insalata? - Chiese la koala, guardando l'aria raggiante di Cleo.
 Al posto del consueto vassoio, vi era un baracchino di plastica, sigillato.
 - Ta-dah! - Esclamò musicalmente la gatta, mentre apriva il coperchio e mostrava il contenuto.
 Mamma Koala si chiese se Cleo non fosse uscita di senno.
 - Una pianta. - Commentò. - In un vaso. - Aggiunse, per sottolineare il particolare più insolito.
 Cleò si lasciò sfuggire una risatina e spiegò.
 - Questa è una Audrienne Nammu Agnammu.
 Mamma Koala la trovò simile ad un fiore, ma dai petali piccolissimi e il bocciolo molto grosso. Ma la vera caratteristica erano le foglie, di cui era praticamente ricoperta.
 Dopo un attimo di pausa, Cleo continuò.
 - Produce foglie commestibili e buonissime, a un ritmo elevatissimo. - Cinguettò. - Praticamente un piatto di insalata immediato e infinito.
 - Cioè, così, senza condimento?  - Obiettò Mamma Koala.
 - Non c'è ne è bisogno. - Rispose Cleo, staccando una foglia e mettendosela in bocca.
 - Va bene. Buon appetito!
 Mamma Koala si fiondò finalmente sul piatto di pasta.
 - Sai? Almeno la pasta col pesto potevi prenderla. - Commentò la koala. - Dopotutto, è roba vegetal....
 Interruppe la frase, notando che il posto a fianco era vuoto.
 - Cleo? - Domandò. Si guardò intorno, ma non la trovò. Poi notò che tutti i presenti si erano pietrificati, guardando ad occhi spalancati, e colmi di terrore.
 Poi capì quando guardò il pasto di Cleo. Il bocciolo era semiaperto, con un qualcosa di lungo e nero che spuntava dall'interno.
 Lo riconobbe e trasalì: era la coda della siamese.
 La pianta risucchiò la coda come uno spaghetto, e quello fu il segnale per scatenare il panico.

 A debita distanza, il Gufo mormorò. - Fatality! - Facendo uscire uno sbuffo di fiamma dalla gola tumefatta dal peperoncino.
 Mamma Koala abbandonò all'istante il posto a sedere, lasciando il resto del vassoio alle fauci della Audrienne Nammu Agnammu.

 - Eh, no! - Urlò la marsupiale, svignandosela a perdifiato. - Col cavolo che mi faccio mangiare ancora!

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Capitolo 13
*** Dopo la pioggia viene l'arcobaleno ***






Episodio 13 - Dopo la pioggia viene l'arcobaleno

Era cominciato l'autunno, l'estate era davvero finita, e quell'acquazzone ne era la prova.
Il fatto che stesse durando però da 39 giorni lo rendeva abbastanza preoccupante.
E vedere una grossa arca in legno carica di animali non aiutava l'ottimismo.
Ma un'altra cricca di animali, quelli che conosciamo come Paint Pets, stava affrontando quell'alluvione improvvisata con coraggio e determinazione.
Diciamo pure che erano aggrappati per la vita.
Avevano trovato soccorso nel Fiorino anfibio del maestro Kenzo.
Gli interni erano così spaziosi, che sembrava un appartamento.
Adesso, con tutti gli animali che si erano stipati, sembrava la seconda arca di Noé.
La prima era poco distante, e li aveva degnosamente scacciati, scambiandoli per un barcone di profughi tunisini.
Altro che "Mare nostrum", "Cazzi vostris".
Cleo, la raffinata gatta siamese, stava tremando, intirizzita, avvolta solo da uno straccio fradicio.
Gli occhiali inspessiti dal vapore acqueo non lasciavano intravedere alcuna emozione dagli occhi, ma per lei era meglio così: nessuno almeno le avrebbe visto quel principio di lacrime sull'orlo di esplodere.
La sua magrezza aveva fatto penetrare l'umidità fin nelle ossa, tale che sentiva acqua persino nel midollo.
Mamma Koala, impietosita, la ricoprì passandole la sua coperta di lana infeltrita.
Cleo le sorrise, sentendosi in risposta un rumoroso starnuto della bionda orsetta.
- Dai, vieni sotto e stringiamoci. - Disse la gatta, sollevando un lembo della protezione.
- Ma non ci stiamo in due! - Protestò la koala, con tartufo tappato. - Io... sono troppo grassa.
- Meglio! - Sentenziò Cleo. - C'è bisogno di grasso per scaldare le mie ossa.
Mamma Koala la guardò sospettosa.
- Era un complimento o una frecciatina?
- E' un invito! - Fece Cleo,agitando la mano per dirle di sbrigarsi.
Mamma Koala sorrise. La consolava il fatto che sua figlia fosse in gita scolastica nel Sahara.

Il Trio delle Meraviglie, Rina la donnola, Gary il bulldog e Damien la lontra, stavano pensando a distribuire coperte e bevande calde.
Damien, mentre portava un vassoio carico di té, aveva non poca difficoltà a camminare, barcollando sul pavimento oscillante per via del mare.
- Kenzo! - Protestò in direzione dell'autista. - Lo vuoi tenere fermo, sto coso?
L'orsetto karateka non disse nulla. Non ne aveva voglia. Fece solo un gesto distratto con la mano, girando di novantagradi il timone, pardon, il volante.
La curva improvvisata fece perdere l'equilibrio alla lontra, che andò fuori bordo attraverso un finestrino lasciando casualmente acceso.
- Lontra in mare! - Gridò King Tony, con il suo solito tono sommesso. Più che un mandrillo, ai più sembrava un bradipo.
- Se ne occuperanno Monia e Wanda, là fuori. - Liquidò Kenzo, mentre premeva il pulsante che alzava il finestrino. Speriamo che se lo mangino.
- Che brodo è? - Chiese Pina la pinguina, pardon, la pulcinella di mare, a Rina.

- Brodo di facocero. - Rispose la donnola.
- Brodo di cosa? - Chiese incredulo l'uccello, certa di non aver capito bene.
Gary, intanto, finite le razioni ai profughi, urlò a un angolo allestito a cucina improvvisata.
- Altre porzioni!
- Subito! - Gracchiò Maria, la cuoca strega. - E' quasi pronto!
- Uffa! - Protestò Renzo, il facocero, appunto. - E' già il quarto bagno caldo che faccio di fila!
- Non è colpa nostra se sei così buono! - Gli rispose Tania, la piranha, a bagno con lui.
- Ahio! E non piluccare, tu! - La ammonì Renzo, tastando il fondoschiena dolorante.

E mentre questa cricca viaggiava in balia di una narrazione vuota di idee, tra un'ondata piena di spuma salata e il vento che fischiava come un arbitro di calcio, e infatti Dana, la critecina, fissava da un finestrino insieme al suo cane Maya.
A un certo punto, il pastore bergamasco abbaio, e Dana seguì il latrato per riflettere lo sguardo negli occhi di Maya, il cui muso puntava verso l'esterno.
Dana fece altrettanto, e sorrise.
Vide la traversa di una porta, e San Pietro in piedi sopra: segno che la tempesta stava per finire.
E infatti avvenne un qualcosa di meraviglioso: il fitto tappeto di nuvole venne squarciato, e una calda luce fece capolino. In pochi istanti, squarci sempre più grossi si insinuarono tra le nuvole, ed infine uscì qualcosa che dissipò interamente il cielo grigio.
Tutti guardarono in su, e videro un qualcosa attraversare l'orizzonte in vole, e dietro, una scia con i colori dell'arcobaleno si estendeva come la coda di una cometa.

Il Gufo guardò, strabuzzo i grandi occhi, e scosse la testa. Era venuto il momento di mettersi gli occhiali, si disse, o sarebbe diventato strabico come Damien la lontra. La vista gli giocava brutti scherzi.
Perché, altrimenti, avrebbe giurato di aver visto Applecat a volare sul dorso di un pony azzurro?

E dopo la pioggia viene l'arcobaleno, così come una narrazione senza ispirazione viene il colpo di genio.
Ma anche se il cielo era stato rischiarato, la ciurma, guardandosi attorno, constatò che comunque questo non bastava.
Il mare d'acqua, che solo con il tempo si sarebbe ritirato, presagiva un grande lavoro di ricostruzione. Da ricostruire tutti insieme.
Perché l'arcobaleno è solo l'inizio.

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Capitolo 14
*** Epilogo - Semina gentilezza e raccoglierai amicizia ***


Morality

Epilogo - Semina gentilezza e raccoglierai amicizia

- Ma perché? - Sbottò Mamma Koala, con un tono tra l'amareggiato, il frustrato e lo sconsolato, urlando per l'ennesima volta quella domanda senza risposta.

Avrebbe voluto urlare, strapparsi i capelli, sbaraccare con un gesto deciso del braccio tutto il banco da lavoro, pieno di scartoffie, appunti, pennarelli, matite e penne.
Il lavoro ininterrotto di due settimane.

- Mamma?

La marsupiale si girò a guardare il piccolo batuffolo dall'aria assonnata. Mamma arrossì. Che l'avesse svegliata lei con la sua scenata?
Forzando un lieve sorriso, la madre si avvicinò alla figlia e la prese in braccio.

- Va tutto bene, Koalessia. - Le disse con voce gentile, ma vuota. - Tua madre è una fallita.

- Non è il caso di buttarsi giù così.

Era Kenzo, che guardava distrattamente uno dei fogli. - La narrazione è perfetta. Forse non è una lettura per tutti.

- Sono favole. - Protestò Mamma Koala. - Che senso avrebbe se non fossero per tutti?

- Eh, ma, sai. Forse un particolare qui o lì hanno stonato. - Mugugnò Renzo, il facocero, mentre studiava un altro dei fogli. - Queste scene cruente. Io finisco divorato e tu, invece, Mamma Koala, sembri la portata principale di ogni episodio.

- A me piacciono le scene splatter! - Intervenne Tania, la piranha.

- Ah, quelle sono colpa del Gufo! - Si giustificò la marsupiale, indicando il colpevole che sorrideva sornione.

- Flawless victory. - Pronunciò lo strigiforme lisciandosi le piume.

- Vittoria un par de scatole. - Esclamò Damien, la lontra. - Guarda qua! Guarda qua! - Urlò, battendo una mano su un foglio. - Io finisco senza denti!

- Almeno tu non vieni mangiato. - Controbatté Cleo, la gatta siamese. - E abbassa quei toni con la mia amica.

- Però, dai, siamo obiettivi. - Abbaiò Gary, il bulldog, che volle dire la sua. - Al grande pubblico non sono piaciute. Quindi qualcosa che non va c'è.

Rina, la donnola, volle essere del discorso. - Non dubitiamo che tu ci abbia messo passione e impegno. Ma forse hai calcato troppo la mano. - Rimproverò a Mamma Koala. - Io che vi ho impiccati! Mi vedi dunque come un mostro? - Domandò, con sguardo forzatamente triste.

- Non ascoltarla! - Intervenne True Max, la scimmia metallara. - Le uccisioni sono state il pezzo forte! Basta con le favole per bambini! - E cominciò a scapocciare facendo il segno delle corna.

- Anche io sono stata descritta come un mostro! - Protestò Monia, il delfino.

Wanda, il pesce rosso, non disse nulla, ma annuì per confermare le parole del cetaceo.

Pina la pulcinella di mare, non poté fare a meno di rimproverare tutti.

- Insomma, ragazzi. Se tutti abbiamo delle obiezioni su queste storie, come potete pretendere che non ce le abbiano i lettori.

- Quali lettori? - Sbuffò Damien, - Queste storie tengono le ragnatele! Potevano essere scritte solo da un'incapac...

La lontra venne gentilmente messa a tacere da un pugno accidentalmente partito da Kenzo, che aggiunse. - Non ascoltare questo stolto.

Mamma Koala scosse la testa, sconfortata.

- No, ha ragione. E' stata una pessima idea fin dall'inizio. Non siamo fatti per far ridere, non siamo fatti per far intenerire. Non siamo interessanti. Siamo personaggi nati e destinati al dimenticatoio.

Koalessia guardò la madre con ingenua curiosità. - Mamma. Tu triste?

- Ma figurati. - Rispose lei con un sorriso. Ma il tono era decisamente spento.

- Perché volevi scrivere queste storie? - Chiese, per tutti, Rina.

- Perché volevo che tutti sapessero di come ce la spassiamo qua, tra storie e...

- ... Fatality. - Aggiunse il Gufo, prima di tornare a parlare al cellulare con una gatta nera.

A quella spiegazione un po' ingenua, tutti cominciarono a sorridere, tranne Tania, che già sorrideva di suo.

- Ecco, lo sapevo. - Commentò Mamma Koala. - Era un motivo stupido.

- No, ma che hai capito? - Disse Renzo. - Noi sorridiamo perché ci hai riportato a dei bei momenti passati insieme.

- Hai immortalato dei nostri ricordi. - Aggiunse Pina.

- I veri lettori a cui erano indirizzate queste storie siamo proprio noi! - Disse Gary. - Che lo fossero anche per altri è relativo.

- E devo ammettere che... - Damien la lontra fu interrotto da un piede di Kenzo, dato con noncuranza.
L'orsetto si fece portavoce per finire la frase. - Si avverte gentilezza, in questi fogli. Si avverte quello che hai provato e che provi per noi. E anche quello che noi avvertiamo tra noi altri.

- A me le fiabe fanno ca....are, ma questi siamo noi, innegabilmente. - Disse True Max. La scimmia metallara.

Cleo, la gatta, non disse nulla, ma abbracciò forte la coppia di koala. Aggiunse solo una parola, con un filo di voce.

- Grazie.

Mamma Koala accolse quel gesto con sorpresa, lei, già stupita dalle parole che a raffica i suoi amici le dichiaravano.

E a poco a poco, dopo ogni dichiarazione ciascun animale dei Paint Pets si unì all'abbraccio a Mamma Koala.

L'ultimo della lista era il Gufo, ancora intento a parlare con il suo cellulare.

- Ehy, asociale, manchi solo tu! - Urlò Gary.

Il volatile ascoltò il rimprovero, e fece un - Whooo. - al ricevitore.

- Ho capito, ci sentiamo più tardi. - Gli rispose Applecat dall'altra parte del filo, con un tono lievemente divertito.

E mentre la fine di questa serie trovava la sua stramba conclusione, il Gufo, che dopo tante 'Fatality' aveva segnato la fine di ogni storia, si sentì in dovere  di dire la sua battuta finale.
Inspirò, aprì il becco, e con un inaspettato sorriso proclamò:

- Friendship!


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