A girl I'll never be

di Jane_sfairytales
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Broken - Lifehouse ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO I ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO II ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO III ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO IV ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO V ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO VI ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO VII ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO VIII ***



Capitolo 1
*** Broken - Lifehouse ***


Broken 
(Lifehouse)



 

The broken clock is a comfort, it helps me sleep tonight
Maybe it can stop tomorrow from stealing all my time
I am here still waiting though I still have my doubts
I am damaged at best, like you’ve already figured out

 

I’m falling apart, I’m barely breathing
With a broken heart that’s still beating
In the pain there is healing
In your name I find meaning
So I’m holdin’ on, I’m holdin’ on, I’m holdin’ on
I’m barely holdin’ on to you

 

The broken locks were a warning you got inside my head
I tried my best to be guarded, I’m an open book instead
I still see your reflection inside of my eyes
That are looking for purpose, they’re still looking for life

 

I’m falling apart, I’m barely breathing
With a broken heart that’s still beating
In the pain is there healing
In your name I find meaning
So I’m holdin’ on, I’m holdin’ on, I’m holdin’ on
I’m barely holdin’ on to you

 

I’m hanging on another day just to see what you will throw my way
And I’m hanging on to the words you say
You said that I will be ok

 

The broken lights on the freeway left me here alone
I may have lost my way now, haven’t forgotten my way home

 

I’m falling apart, I’m barely breathing
With a broken heart that’s still beating
In the pain there is healing
In your name I find meaning
So I’m holdin’ on, I’m holdin’ on, I’m holdin’ on
I’m barely holdin’ on to you

 

I’m holdin’ on
I’m holdin’ on
I’m barely holdin’ on to you

 

Questa canzone è perfetta per descrivere la storia e Niamh.


 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO I ***


 
CAPITOLO I
Parai l’ennesimo fendente perseguendo nel mio ferreo mutismo: il nonno stava tentando in ogni modo di persuadermi, ma non avrei cambiato idea.
- Niamh, è tua madre. –
- La sua esistenza è molto più tranquilla senza di me, perché non esimersi dal richiedere la mia presenza come ha fatto in tutti questi anni? –
- Perché si sposa e suo marito deve conoscerti. –
- Mi sembra sensato, ma questo non implica che io debba trasferirmi da loro. –
- Sì invece, è così che si fa nelle famiglie. –
- Non sarebbe stato più semplice fingere che io non esistessi? –
- A rigor di logica sì, ma sul piano etico assolutamente no: avrebbe mentito, avrebbe ignorato i suoi doveri e la gente del posto avrebbe svelato immediatamente il suo segreto facendo domande inopportune. -  Abbassai la spada esausta, e non a causa dell’allenamento che sinceramente era stato piuttosto blando.
- Io sono la vergogna della nostra famiglia, non mi sembra il caso di andare a sbandierarla anche in Scozia. – Gli occhi del nonno divennero un cielo plumbeo. – Non sei affatto tu la vergogna della nostra famiglia. – ringhiò tra i denti.
– Come vuoi, però concorderai che un po’ di preavviso sarebbe stato consigliabile. –
- Non ho condiviso particolarmente alcuna delle scelte fatte da tua madre: somiglia troppo a tua nonna. – in fondo all’animo un po’ di dispiacere per lui lo provavo: era pieno d’amarezza.
– Preferisco te a loro. – aggiunse infatti.
- Poco saggio. –
- Ma più dignitoso. –
- Ben pochi approverebbero, forse nessuno. –
- Stolti con i paraocchi. –
- E questi stolti quando invaderanno il nostro territorio? –
- Domani pomeriggio. –
- Cosa? – urlai sbalordita. – Ma siamo nel bel mezzo della preparazione di una nuova missione! –
Gli occhi del nonno si incupirono.
- Lo so Naimh, ma non credo che tu prenderai parte ad altre missioni prima d’aver completato la scuola di addestramento ufficiale. –
Per. Tutti. I. Vampiri! Avrei cominciato quella dannatissima scuola tra non meno di un anno e mezzo e non avevo la più pallida idea di quando l’avrei terminata.
- Ma io vi servo! –
- Cinque anni non sono tanti per gente come noi. –
- Ma per gli altri sì! –
- No neanche per loro. –
Sbuffai digrignando i denti, ma mi calmai immediatamente accettando l’inevitabile.
- Farò come dite voi, signore. –
 
Mia nonna aveva provato in ogni modo a farmi avere un aspetto piacevole, ma c’era un limite a tutto; e poi i miei occhi non li si poteva certo nascondere e non c’era nulla di “piacevole” nei miei occhi.
Alla fine avevo indossato la tenuta per le missioni; quella marrone e verde perché aveva i colori  bosco che ci circondava. Adesso eravamo in piedi, noi e tutta la servitù, davanti alle radici cella nostra casa-albero ad attendere la padroncina completa di nuovo marito e progenie di questi. Menomale che essere impassibili era la mia specialità!
- Rilassati Niamh, andrà tutto bene. –
- E’ tutto sotto controllo nonna. –
- Questo non significa che tu sia rilassata, anzi. – ma lasciò correre sapendo che era una battaglia persa e perché finalmente i ritardatari giungevano all’orizzonte; con una carovana di due carri e una carrozza.
- Credevo si trattenessero da noi solo per qualche ora. –
- Ciò non implica che non facciano anche una gita in zona: in fondo non ci sarà alcun altro viaggio qui prima del matrimonio, e credo neanche dopo. – la voce del nonno era gelida: io e lui avremmo tranquillamente potuto formare un ghiacciaio. Ma la nonna non sembrava pensarla allo stesso modo: corse incontro alla figlia e agli ospiti accogliendoli calorosamente.
- Questo è mio marito Jonathan. – e lui chinò la testa ai due damerini che tentarono invano di stringergli la mano, mentre la figlia gli fece una timida riverenza e gli scoccò un veloce bacio sulla guancia. Poi si voltarono verso di me.
Era la prima volta che incrociavo lo sguardo di mia madre e mi accorsi che i suoi occhi erano strani: verde scuro tranne che per un angolino castano nella parte bassa dell’iride sinistra. Decifrai un misto di terrore, inadeguatezza  e ansia nel suo sguardo: non sapeva come comportarsi. Alla fine il bellimbusto che si portava dietro prese in mano la situazione.
- Rosaline ma questa deve essere tua figlia. Vieni qua ragazza, sono onorato di accoglierti nella mia famiglia. – e tentò di abbracciarmi. Io feci un passo indietro e mi inchinai.
- Il piacere è tutto mio signore. – il suo entusiasmo doveva essersi smorzato, ma tentò di non darlo a vedere. 
- Ma no, chiamami Cristopher. E, questo è mio figlio Louis. – il ragazzo, che sembrava poco più grande di me, anche se nella nostra razza supposizioni sull’età degli individui traevano quasi sempre in errore, si fece avanti tentando di baciarmi la mano, ma ancora un volta io indietreggiai e mi inchinai seguendo il protocollo maschile.
- Piacere di conoscervi, signore. –
- Mi chiamo Louis. – lo guardai negli occhi e scoprii che erano azzurri come quelli del nonno, anche se un po’ più chiari; questo mi destabilizzò un po’ visto che adoravo l’azzurro, ma mi ripresi in fretta.
- Come desiderate, Louis. – lo vidi assumere un’espressione strana: e adesso cosa avevo detto di male? Comunque si fece da parte per lasciar spazio a mia madre che però non sembrava decidersi.
Che inetta. Mi avvicinai e le bacia la mano. – E’ un piacere rivedervi madre; suppongo sia trascorso un bel po’ di tempo ma sono convinta che il nostro rapporto sia rimasto immutato. – la guardai negli occhi e lei tremò; lasciai che ritraesse la mano e la osservai pulirsela sul vestito, quasi temesse d’esser stata infettata.
- Naturalmente… - trovò almeno il coraggio di borbottare. Per fortuna il nonno ci invitò tutti ad entrare e ci lanciammo in un lunghissimo e noiosissimo giro della casa, durante il quale mia madre non smetteva un secondo di saltellare gioiosa come un’oca giuliva raccontando aneddoti stupidi al suo stupido amorino.
Avvertivo prepotentemente un impellente stimolo di dare di stomaco; evidentemente anche il figlioccio doveva pensarla allo stesso modo: la sua espressione era un misto di disgusto e furia ben poco mascherata. Si voltò repentinamente nella mia direzione quasi a sfidarmi per vedere che reazioni avessi, ma io lo scrutai impassibile dalla mia postazione, appoggiata al muro con gambe e braccia incrociate. Lui inarcò un sopracciglio, poi si voltò mostrando palese disinteresse per me: certamente non amava le ragazze con atteggiamenti mascolini, però poi non gli piacevano neanche le galline stupide come mia madre; avrebbe pur dovuto decidersi prima o poi.
 
- La nostra villa è stata appena ultimata: la vecchia casa non era assolutamente adatta a celebrare l’inizio di un nuovo amore, di una nuova vita. – spiegò Cristopher lanciando uno sguardo languido a mia madre. – E’ lì che Niamh ci raggiungerà: le abbiamo fatto costruire una splendida stanza al secondo piano. – a questo punto mi fece un occhiolino credendo di compiacermi – Louis alloggia di fronte. – il ragazzo mi lanciò uno sguardo truce di sfuggita.
- E quando avverrà precisamente il lieto evento? – si informò mia nonna eccitata.
- In giugno, al Solstizio d’estate. – la donna sospirò.
- E come procedono i preparativi? –
- Bene, siamo qui per portare gli inviti. Il progetto per la location è quasi ultimato e anche il tema della serata: un amore infinito. Il rosso e il rosa la faranno da padrone: ho già fatto abbozzare il mio abito e anche quello di Niamh. – un brivido involontario mi scosse al pensiero che mi infiocchettassero come una bomboniera orribilmente rosa confetto. Insomma, sarei stata io il suddetto confetto!
- Oh, credevo che queste cose si scegliessero con la madre figlia mia… -
- Una volta mi è bastata ed avanzata. – ribatté l’altra liquidando l’argomento. – Ad ogni modo, quando avremo finito il giro dell’Irlanda del Nord torneremo a riprendere Niamh per portarla con noi cosicché si abitui alle usanze del luogo e impari a comportarsi adeguatamente senza correre il rischio di incorrere in brutte sorprese. – proseguì mia madre senza curarsi affatto del mio pensiero, quasi fossi un cagnolino da addomesticare.
- Cioè, tra quanto tempo? – menomale che mio nonno m’aveva preceduta: eravamo similissimi, a volte temevo mi leggesse nel pensiero, ma ero sicura che non l’avrebbe mai fatto. Spero…
- Un mese circa. –
- Coosa! Neanche per sogno. – eravamo appena in marzo e ciò avrebbe comportato andare a vivere con loro già un mese e mezzo prima delle nozze: era fuori discussione.
- Come scusa? – soffiò mia madre furiosa; immediatamente anche il bellimbusto si alterò vedendo la sua bambolina contraddetta.
- Niamh, tu verrai con noi quando dice tua madre: ha bisogno del tuo aiuto per terminare i preparativi per le nozze ed è tuo dovere di figlia aiutarla. –
- Naturalmente. Ma ciò presupporrebbe che ella avesse prima adempiuto ai propri doveri di madre, cosa che a me non risulta. – adesso la mamma piangeva, di rabbia.
- Come osi, ingrata! Ti ho offerto la migliore istruzione che si potesse mai volere, ti ho resa ciò che sei e così mi ripaghi? – continuò ancora a lungo su questo tono, ma io ormai non la ascoltavo più. Serrai i pugni mentre i miei occhi divenivano due pozzi vuoti e vagamente minacciosi: odiavo le persone subdole, me ne accorsi solo in quel momento ascoltando lei che fingeva d’esser la vittima anziché il carnefice. Provai a calmarmi: vomitare era meglio che tumefare il suo bel visino, ma non mi stava riuscendo troppo bene.
- ROSALINE ADESSO BASTA! – sbraitò il nonno gelido e furibondo come mai l’avevo udito. – Smettila di fare la bambina, sei sconveniente. –
- Deve provare l’abito. –
- Può farlo anche il giorno prima delle nozze. – la donna tentò di protestare ma il padre non glielo permise. – La ragazza mi serve qua, e non la avrai prima che sia inevitabile. –
- Deve essere educata. –
- Dubiti forse delle mie capacità? –
- Con lei dubito delle capacità di chiunque: è un pericolo, deve essere tenuta sotto controllo ed ho notato che tu in questi anni ti sei rammollito, perché non è supervisionata? – Cristopher e Louis mi guardarono stupiti e inquieti.
Perché mi sentivo come se tante spine mi stessero perforando il petto? Nessuno m’aveva colpito, a meno che… spalancai le orbite giungendo alla consapevolezza che le parole possono ferire tanto quanto le percosse.
Mi alzai di scatto dalla poltrona prendendo dei profondi e lenti respiri; i miei occhi dovevano essere terribili perché la osservai impallidire.
- La vedi? La vedi? –
- Sì, le hai appena spezzato il cuore. – commentò sprezzante mio nonno avvicinandosi a me e catturando il mio sguardo nel suo, che tanto mi piaceva.
- Non preoccuparti, non permetterò che realizzi le sue stupide teorie. –
- Casa mia, mie le regole. – ribatté Rosaline. Non meritava neanche d’esser chiamata madre. – Non le permetterò di rovinare la mia vita un’altra volta! –
- Rosaline smettila! È una ragazza d’oro, non la conosci neanche. – questo comportamento era troppo anche per la nonna.
- Oh invece lo so fin troppo bene. E tu non puoi certo dispensare consigli. Mia figlia verrà a casa mia e rispetterà le mie regole, come tutti gli altri. – risi. Non seppi perché ma risi, ed era una risata insana, isterica, quasi folle.
- Allora perché non ti semplifichi la vita e continui a far finta che io non esista?- questa volta fu il bellimbusto a intervenire.
- Niamh, non ti permetto di mancare di rispetto a tua madre dopo tutto ciò che ha fatto per te. Sei davvero un’ingrata. Avevo pensato che Rosaline avesse esagerato in merito alla tua mancanza di buona creanza, ma mi devo ricredere: faremo tutto ciò che è necessario per renderti una figlia impeccabile, degna d’esser la sorella di Louis e portare il mio nome. –
- Questa ragazza porterà solo il mio nome. – ringhiò il nonno ed io ero perfettamente d’accordo, ma nessuno sembrò dargli peso.
- La educherò io, la prenderò sotto la mia custodia: verrà in Scozia con me una settimana prima delle nozze cosicché, se ci fossero delle lacune, ci sarebbe ancora tempo per colmarle. – non avevo mai visto la nonna provare pena per me, dovevo davvero esser ridotta male quindi…
- No, no e no! Non ho intenzione di introdurmi una bestia incontrollata in casa… - anche il mio ringhio fu incontrollato. Uscì dalle mie labbra senza che io me ne accorgessi neanche e questo fece sbraitare Rosaline ancor di più anziché zittirla. Mi dileguai in un lampo, arrampicandomi su per i rami superando anche la mia casetta; quando fui in cima all’albero, abbracciai il legno per non cadere giù e scrutai il mondo intorno sperando che il vento soffiasse via anche le mie emozioni; una lacrima solitaria percorse la mia guancia.

Spazio d'autrice.
Salve a tutti e benvenuti nella mia nuova storia.
Questa è la prima parte di una serie, il prologo, per ognuna delle parti, è sempre questo 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2847741&i=1
La canzone Broken invece introduce questa parte della storia.
La protagonista è l'insofferente ragazza di nome Niamh (nome irlandese che significa "brillante", "luminoso" oppure "splendore", "bellezza" ed era figlia del dio del mare).
Il titolo della storia deriva dalla canzone dei Boston A man I'll never be (la consiglio perché è stupenda!)
Buona lettura!

Jane.

 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO II ***



 
CAPITOLO II
Il riflesso nel lago che stavamo guadando mi rivelò che i miei occhi erano tristi. Non ci avevo mai riflettuto ma stare con i nonni mi piaceva e il posto dove vivevamo era diventato anche casa mia. Non che ci alloggiassimo poi così spesso, ma mi trovavo bene con loro due e questo bastava. Nel nostro ambiente c’erano molti personaggi inclini a filosofeggiare che sostenevano che “casa è dove uno si sente a casa”, ed io mi ero sentita a mio agio in mezzo a tutti quegli sconosciuti del corpo di guerrieri scelti, esperti combattenti che davano la caccia ai mostri che ancora popolavano questo mondo. Avevo scoperto di saper fare delle cose e addirittura di poter essere utile, anziché la bestia sconsiderata e stupida che amava tanto dipingere Rosaline. E adesso stavo per andare a vivere il mio inferno personale da lei. Caddi in uno stato di apatia e rassegnazione che non somigliava affatto all’impassibilità che tanto si erano impegnati ad insegnarmi, ma non sapevo davvero come riscuotermi né volevo: l’autocommiserazione non lede nessuno no? A parte se stessi naturalmente…
Dopo un po’, gli alberi si diradarono e una villa in stile neoclassico comparve davanti ai nostri occhi, elegante e mastodontica. Non era esattamente l’abitazione tipica della nostra razza, ma evidentemente Rosaline adorava sentirsi una principessa in ogni campo e i fiori rosa acceso la dicevano lunga sul suo gusto.
Un esercito di valletti, camerieri e maggiordomi, ci accolse disponendosi lungo il vialetto che portava alla scalinata d’ingresso davanti a cui ci fermammo. Immediatamente gli attendenti si dedicarono ai miei bagagli, i quali occupavano la stragrande maggioranza del carro: in fondo erano la testimonianza di due anni di vita a casa dei nonni nonché tutti i miei averi. Guardandoli sfilare mi accorsi che non erano poi gran cosa. Smontammo da cavallo e i padroni di casa ci vennero incontro accogliendoci.
- Benvenuti nella nostra umile dimora, spero possiate trovarvi bene qui con noi: saremo lieti di ospitarvi tutto il tempo e tutte le volte che vorrete. – chiocciò Cristopher.
- Prego entrate. – rincarò la futura sposa.
Louis ci attendeva dentro, baciò la mano alla nonna e si inchinò al nonno, poi mi scrutò con i suoi occhi azzurri in attesa di una mia mossa: avrebbe dovuto trattarmi da donna o da uomo questa volta? Percepivo l’impazienza e il fastidio nel suo sguardo, quasi fossi una noiosa incombenza da cui non poteva svincolarsi, così mi decisi a chinare leggermente il capo nella sua direzione: l’accenno d’un inchino; lui rispose allo stesso modo e poi smise di interessarsi a me, come se non fossi mai esistita. Un sorriso divertito increspò l’angolo sinistro della mia bocca: se tutti m’avessero sempre trattata così, avrei vissuto una vita molto più tranquilla e gradevole.
Grazie mille fratello. Pensai appollaiandomi su una poltrona del salotto quanto più decentrata possibile, boicottando il giro della casa senza che nessuno se ne accorgesse. Chiusi gli occhi e mi godetti quegli attimi di solitudine, ascoltando comunque le voci che mi giungevano chiare dal piano di sopra, facendomi una mappa mentale delle stanze.
- Che cosa ci fai qui?- mi chiese il ragazzo stupito. Non aprii neanche gli occhi, lo avevo sentito arrivare.
- Medito. La meditazione è molto importante. –
- Adesso? Non hai avuto tutto il viaggio per meditare? – la sua voce era sprezzante: non mi rispettava e lo infastidivo, doveva considerarmi una gran seccatura. Mi alzai in piedi e mi avvicinai finché non fummo a pochi centimetri di distanza: se avessi fatto bene i calcoli, non mi sarei approssimata così tanto visto che adesso i suoi occhi erano almeno cinque centimetri più in alto dei miei.
- Ogni momento è buono per meditare e io ho la tendenza a coglierli tutti. Non temere, non sono io quella che ti farà penare anzi, credo proprio che riuscirai addirittura a dimenticarti della mia presenza. – gli sorrisi fredda e poi uscii in giardino per sdraiarmi sul ramo di un albero.
 
- Niamh! Niamh insomma, dove sei? – aprii un solo occhio e guardai quel turbinio di gente che mi cercava incessantemente; evidentemente starsene per i fatti propri non era permesso in quella casa. Balzai giù dal ramo e atterrai accovacciata dopo un salto di oltre quindici metri. Tutti nei dintorni si voltarono stupiti, compreso Louis che non riuscì a celare del tutto la propria ammirazione. Mi rialzai ed inarcai un sopracciglio nella sua direzione.
- Dovresti prepararti per la cena. – feci spallucce e mi avviai lungo il vialetto, ma lui mi afferrò per un braccio.
- Non vai a cambiarti? –
- Abbiamo anche dei vestiti per la cena? – annuì.
- Tua nonna ti spiegherà il tema della serata. –
- Come scusa? –
- Ci sarà la mia famiglia. –
- Quindi è un banchetto. – annuì di nuovo.
- Allora devo davvero cambiarmi, mio nobile fratello. –
- Non sono tuo fratello. – sibilò lui ed io ghignai.
- Attento a non farti sentire da qualcun altro. – e me ne andai alla casa-albero su cui alloggiavamo io e i nonni, poiché richiamava i “barbari costumi delle comunità più primitive della nostra razza”. In realtà, era come la casa dov’era vissuta Rosaline da bambina, nonostante facesse la superiore; era come la casa dov’ero vissuta anch’io fino a che lei non decidesse di stravolgermi la vita.
 
Non avevo trovato nulla di decente da indossare, nulla! Il guardaroba fornitomi, o per esser più precisi impostomi, da mia madre era veramente ignobile.
Avrebbe fatto meglio a studiare davvero la moda neoclassica, così almeno non ci ritroveremmo in questa situazione assolutamente penosa! Alla fine scelsi uno dei pochi vestiti da donna che avevo usato nelle missioni: totalmente grigio tortora, in cotone, a maniche lunghe con scollatura quadrata non troppo profonda e taglio sfilzato; arrivava fino al pavimento e io non calzavo scarpe: in fondo avremmo camminato sull’erba.
- Non era nei programmi. –
- Infatti. – rispose mio nonno, forse ancora più serio di me. – Non sappiamo neanche cosa abbia raccontato in giro tua madre, in ogni caso, fa parlare me. – feci spallucce.
Ma il nostro piano non era destinato a funzionare visto che i genitori e la famiglia del fratello di Cristopher non fecero altro che tartassarmi di domande per tutta la cena.
- Allora Niamh, tua madre ci ha detto che hai frequentato un prestigiosissimo istituto in Irlanda del Nord. – la risposta fu data da Jonathan.
- E cosa hai imparato? –
- Non quanto avrei sperato. – risposta di Rosaline.
- In quale disciplina sei più portata? Tra un anno e mezzo dovrai affrontare i test attitudinali, in cosa ti senti più sicura? – risposta di nonna Eveline.
- Oh insomma, lasciatela parlare. – si spazientì infine il padre di Cristopher. – Sai parlare vero ragazza? –
- Sì, ma mi è stato insegnato a farlo solo per questioni di estrema rilevanza. – l’uomo si rabbuiò offeso.
- Mamma! – esclamò la futura sposa. – Avevi giurato che l’avresti educata a dovere, è disdicevole! –
- Non pensavo volessi trasformarla nell’anima delle feste: dopo tredici anni di istruzione incentrata sull’essere discreti, non puoi certo pretendere un cambiamento così radicale e repentino. –
- Certo che lo pretendo! Sono sua madre e lei mi obbedirà. Scusati e rispondi adeguatamente al signor Arnold. –
- Non era mia intenzione offenderla o mancarle di rispetto signore, ma mi è stato insegnato che abbiamo due orecchie ed una sola bocca per ascoltare il doppio e parlare la metà, e considerando che io non sia affatto una grande oratrice, immagini quanto sia ridotta la quantità di parole che lasci le mie labbra. Ad ogni modo, la ringrazio per il gentile interessamento, estremamente gradito e lusinghiero, ma valutando le mie carenti doti esplicative, credo che finché le risposte alle sue domande possano venire da altre labbra, ne gioveremo entrambi. –
- Io non so perché tu non voglia parlare ragazza, ma se quello che ho appena udito è carenza di doti declamatorie, non oso immaginare cosa accadrebbe se ti insegnassero l’arte retorica. – chinai il capo in un cenno di ringraziamento. Per il resto della cena pronunciai sì e no tre parole e mangiai ben poco. Quando il dessert fu sparito, le cuginette di Louis proposero a lui ed al fratello un gioco ed entrambi accettarono. Pensavo che mi avrebbero ignorato, ma prima di sparire, il mio fratellastro ricordò le buone maniere.
- Desideri unirti a noi Niamh? Ci farebbe immensamente piacere e le regole sono davvero semplici. – la voce era gentile ma i suoi occhi mandavano bagliori fastidiosi.
- No grazie. Siete molto gentili ma il viaggio mi ha provata più di quanto avessi immaginato: credo che andrò a letto. Con permesso. – aggiunsi rivolta al resto dei commensali che mi diedero la buonanotte. Quando fui finalmente sola, mi allontanai dalla casa e mi arrampicai su un albero al limitare del bosco; fu lì che mi addormentai.
 
Nei giorni successivi, per fortuna, non ci fu tempo per vedere nessuno poiché i preparativi imperversavano frenetici. Anziché andare con le donne a scegliere addobbi e cose simili, rimasi al sicuro col nonno a montare gazebi e altre attrezzature; mi svincolai dicendo che avevo un gusto orribile e che senza far nulla mi sarei annoiata: non è normale che due ospiti facciano il lavoro degli attendenti.
Piantammo l’ennesimo palo nel terreno, poi Jonathan mi fece un cenno col capo. Balzai su una delle aste e lui mi porse una trave che inchiodai velocemente prima di completare l’assestamento al palo successivo: fu così che nel giro di mezza giornata avevamo terminato tutti i padiglioni, e fu così che Cristopher e Louis mi trovarono: in equilibrio precario a volteggiare da una trave all’altra.
- Niamh! – esclamò sconvolto il padrone di casa. – Fa attenzione, non è un lavoro per te. –
- Veramente gli ultimi tre gazebi li ha composti tutti lei in questo modo qui. – spiegò placidamente il nonno.
- Ma… - boccheggiò l’altro non sapendo cosa ribattere, mentre atterravo leggera sull’erba dopo aver assicurato l’ultimo palo.
- Se suo padre dovesse ancora chiedere cos’è che so fare meglio, gli dica che è questo ciò che so fare meglio. – e me ne andai verso la casa-albero.
 
- Vieni qui maschiaccio. Oh, sei un caso disperato. – sospirò pateticamente mia madre e mi trascinai in camera sua dove stava avvenendo una chiassosa prova vestiti: mancavano appena due giorni al “grande giorno”. Era tutto un turbinio di vaporoso e disgustoso tulle rosa.
- Indossalo. – mi ordinò la megera porgendomi uno di quei vestiti.
- Non riuscirò mai a portarlo con eleganza. – soffiai tentando di essere il più educata possibile.
-Hai visto? Hai visto! – urlò lei isterica. – Tutto per la tua assurda caparbietà: se fossi venuta con noi due mesi fa adesso sapresti come portare un abito del genere e non rovineresti il giorno più importante della mia vita! – mi stava umiliando davanti a tutte le nipoti, dirette o indirette, del suo futuro sposo.
- Beh, sfido chiunque a riuscire a sembrare leggiadra con un coso del genere addosso. – sbottò la nonna irritata: la troppa vicinanza con la figlia, in quei giorni, l’aveva portata ad un collasso nervoso.
- Solo perché voi siete ancora delle primitive! Loro ci riescono magnificamente! – ribatté l’altra indicando le damigelle già abbigliate che ridacchiavano.
- Allora non vedo perché il tuo matrimonio così alla moda debba essere rovinato da una primitiva: non è scritto da nessuna parte che tu debba avere nove damigelle e che quindi io debba farne parte! – mi voltai e me ne andai prima di perdere del tutto il controllo. Per le scale andai a sbattere contro Louis che indossava uno splendido completo blu che gli metteva in risalto gli occhi; inarcò un sopracciglio senza accennare a scansarsi.
- E’ questa la tua mise per il matrimonio? Non ho affatto intenzione di arrivare all’altare con te vestita così: mi farai sfigurare. –
- Perché una nuvola rosa non è di per sé sufficientemente orribile. –
- Certamente, ma se l’indossatrice è veramente un fiore, nessuno noterà più di tanto la bruttezza del suo vestito: penseranno tutti a come sarebbe piacevole sfilarglielo. –
Sinceramente, quel ragazzo mi faceva ribrezzo. Lo scrutai con sufficienza.
- Non ti facevo così schizzinoso per una passeggiata di appena trenta metri. Potrai spogliare chi vorrai non appena la cerimonia sarà terminata. – e mi defilai lasciandolo sulle scale.


Spazio d'autrice.
Salve e benritrovati!
Piccola informazione di servizio: il nome NIAMH si pronuncia NIEV o NI'V.
Cosa ne pensate dei personaggi? Di Louis, di Rosalin e Cristopher? E della situazione in cui è costretta a vivere la ragazza?
Fatemi sapere le vostre opinioni,
con affetto, Jane.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO III ***



CAPITOLO III
Fortunatamente mia nonna aveva aperto gli occhi in merito alla figlia, almeno per quanto riguardava i suoi discutibili gusti estetici, quindi quella sera si mise a cucire un abito per me che m’avrebbe fatta sembrare “il fiore più bello!”. Infatti il tema del matrimonio era la rosa rossa: mia madre avrebbe indossato un abito formato da vari strati di taffetà e tulle fissati in vita da una fascia, emulando i petali di una rosa rossa dalle varie sfumature, mentre la gonna era di vaporosissimo tulle che cambiava dal rosso al verde bosco man mano che si scendeva verso il fondo. La nonna invece, mi confezionò un semplicissimo abito in tulle bianco con piccole roselline dello stesso tessuto però rosso, applicate su tutta la superficie; il vestito aveva un taglio sfilzato, manichine e corpino a sbuffo, e una fascia di raso cremisi legata sotto il seno con fiocco sul dietro. Pretesi che la scollatura quadrata fosse più pudica e mostrasse meno le mie grazie, che la schiena fosse totalmente coperta e che dei guanti identici al nastro che portavo in vita mi fasciassero le braccia fin sopra i gomiti; non le permisi neanche di cancellare le mie cicatrici: erano parte di me.
- Ma bambina, nessuna di loro ha delle cicatrici e tu hai molto di più da mostrare! –
- Perché loro sono delle ochette cresciute in bagni di latte e cioccolato, coccolate da massaggiatori ed estetisti, mentre io sono un guerriero che ha partecipato a diverse missioni. È qualcosa di cui vado fiera, Eveline. –
- Allora mostrale. –
- No, non capirebbero e non voglio dover dare delle spiegazioni. –
- Almeno fatti acconciare i capelli! –
La famigerata acconciatura si rivelò un insieme di roselline che tentarono di domare i miei ricci ribelli, almeno quelli anteriori, spingendoli verso la nuca. Alla fine portavo una specie di coroncina di fiori, contornati da volute indomite color castano-ramato, e degli spicchi di tulle rosso come a formare un piccolo velo leggero nella parte posteriore della mia testa: il risultato era fenomenale! Non mi fu risparmiato neanche l’olio per scurire ed allungare le ciglia, o una collana con un piccolo rubino ovale circondato di minuscoli diamanti.
Quando il momento fu giunto e gli ospiti già attendevano in giardino, entrai in casa da una porta laterale e mi posizionai sulla soglia sul retro da cui partiva il tappeto rosso che conduceva al gazebo dove si sarebbero svolti i riti nuziali. Nessuno fece caso a me poiché erano tutti troppo impegnati ad esser in ansia, darsi un ultimo ritocchino o adulare mia madre che aveva appena fatto il suo ingresso nel soggiorno. Io voltai le spalle a quel trambusto e attesi placidamente che le arpe e i violini intonassero la melodia che ci avrebbe accompagnati nel nostro cammino. Qualcuno mi sfiorò delicatamente il braccio e mi voltai nella sua direzione, ritrovandomi il volto di Louis chino a pochi centimetri dal mio. Il ragazzo rimase immobile, la bocca socchiusa come se stesse per parlare ma avesse dimenticato le parole; mi scrutò a lungo con le sue luminose iridi azzurre, quasi si chiedesse se fossi veramente io o cosa si celasse dietro i miei occhi, nella mia anima: mi guardò come se mi vedesse per la prima volta.
Nulla Louis, nulla. Ed era la verità perché mi sentivo stranamente tranquilla, quasi distaccata da tutto ciò che stava accadendo attorno a me, come se non lo stessi vivendo realmente. Lui si riprese un po’ e fece un passo indietro, ma solo per potermi osservare totalmente, poi tornò a guardarmi negli occhi.
- Sei bellissima. – non lo disse come un’adulazione, ma come un dato di fatto: il mio fratellastro era certo che io fossi bella, come se fosse un fondamento scientifico inconfutabile, non una questione di gusti personali. – Sei il fiore più bello di questo giardino e di tutti gli altri che io abbia mai visitato.  – e mi porse il braccio affinché cominciasse la nostra sfilata, poiché la musica era iniziata e noi eravamo i primi testimoni. Non gli risposi nulla, perché il modo in cui mi aveva parlato non mi fece pensare che avesse secondi fini e la mia rabbia per le affermazioni del giorno prima scemò; inoltre avevo altro a cui pensare al momento, visto che sentivo gli occhi di tutti puntati su di me.
Mi posizionai di fronte a Louis che prese posto accanto al padre, il quale mi sorrise orgoglioso, di cosa poi non so visto che non ero neanche la sua vera figlia. Osservai impassibile le altre coppie raggiungerci ed infine mia madre, emozionata e recalcitrante, venirci incontro salutando gente e pavoneggiandosi, accompagnata dal mio imperturbabile nonno; quest’ultimo mi lanciò un’occhiata d’intesa prima di prender posto in prima fila.
Lo so nonno: possiamo resistere, siamo guerrieri! Volsi stancamente la mia attenzione all’officiante e rincontrai lo sguardo di Louis: non mi mollava un secondo ed i suoi occhi erano inquieti, come preda d’un turbinio di emozioni contrastanti; questo mi mise un po’ a disagio, ma lo ignorai e ascoltai interessata i riti, visto che non avevo mai preso parte ad un matrimonio. Rimasi stupita quando capii che stavano usato la formula tradizionale, quella “primitiva” che mia madre tanto spesso amava denigrare: sollevare il velo alla sposa, legare le mani dei coniugi con sei fili, scambiarsi gli anelli decorati con due mani che reggono un cuore coronato, tracciare un intricato disegno di linee continue sul terreno con un bastone retto insieme dalle mani libere e superarlo, indicando l’inizio di una nuova vita, di un amore eterno; infine si baciarono. Io distolsi lo sguardo quando la cosa si fece troppo appassionata e incrociai quello di Louis che mi osservava intensamente. Non capii perché ma mi ritrovai ad arrossire e lui mi sorrise di rimando, peggiorando ancor di più la situazione.
Ma… mi sta facendo la corte? Oh per l’amor del cielo no! È il mio fratellastro, è sconveniente! E ripresi ad ignorarlo finché gli astanti non applaudirono la nuova coppia che fece strada verso il banchetto e noi dovemmo seguirli. Il mio accompagnatore mi sorrise nuovamente quando mi porse il braccio, ma proseguì guardando dritto davanti a sé senza parlare; mi aiutò ad accomodarmi quando giungemmo al tavolo e poi prese posto di fronte a me. Io tirai un sospiro di sollievo quando al suo fianco si accomodò il nonno e potei finalmente rivedere una faccia amica; accanto a me, invece, c’era la nonna.
- Sono felice che per una volta nella vita tu sia riuscita a comportarti in modo consono; spero vorrai continuare così fino alla fine dei festeggiamenti. – Cioè domani mattina.
- Naturalmente, sono felice che voi abbiate potuto coronare il vostro sogno d’amore. Congratulazioni, vi auguro l’eternità del sentimento. –
- Grazie bambina mia. – ribatté mieloso Cristopher; il nonno s’irrigidì.
- Infatti, è un onore averti accolto nella nostra famiglia Rosaline. – Il suo volto sorrideva, ma lo disse con una voce talmente gelida, che capii di non esser l’unica a cui non piaceva come stavano le cose, e che forse Louis non aveva un problema con me, ma con mia madre.
- Grazie amore mio. – chiocciò lei mandandogli un bacio da lontano, fingendo, o forse non accorgendosi affatto, della falsità delle affermazioni appena fatte dal ragazzo. Quando tornò a guardarmi, inarcai un sopracciglio incuriosita e sinceramente impressionata: forse non era stupido e pieno di sé come poteva sembrare ad un’osservazione poco accurata.
 
- Danzeresti con me? – mi chiese dopo che gli sposi ebbero dato spettacolo con il loro primo ballo, una tradizione tipica della razza umana e non della nostra, a dimostrazione del desiderio di modernità di mia madre. Come se Mozart fosse moderno del resto. Quanta ignoranza.
- La tua proposta mi onora Louis, ma mi vedo costretta a rifiutare: non conosco queste danze e ad esser sincera non son brava neanche con quelle primitive. Sarei causa di scherno sia per te che per me, e non voglio assolutamente intaccare la tua irreprensibile reputazione. –
- Sei la mia accompagnatrice: ci si aspetta che danzi con me. –
- Allora continuiamo a lasciarli aspettare no? –
- Niamh, io credo che tu nasconda molto più di quello che sei solita mostrare e che tu abbia molte doti, ad ogni modo, se anche così non fosse, sono disposto ed onorato a correre il rischio per un ballo con mia sorella, per celebrare la formazione di questa nostra nuova famiglia. – lo guardai duramente: non mi piacevano le persone cocciute. Afferrai la mano che mi porgeva e mi lasciai condurre al centro della pista dove prendemmo posizione, e l’orchestra intonò un valzer. Mi ritrovai a volteggiare tra le braccia di Louis, senza pensare a nient’altro che lui, lasciandomi guidare totalmente, dimenticando il mondo attorno a noi. Forse non fu una buona idea visto che anche la sua attenzione era totalmente focalizzata sui miei occhi, senza lasciar spazio a nient’altro. Ma quel ballo era diventato quasi una sfida tra noi, a chi cedesse prima e sembrava che a nessuno dei due piacesse perdere. Quando la musica terminò, mi inchinai ma lui non mi lasciò la mano.
- Un altro ancora. –
- Non erano questi i patti. –
- Ma le premesse di quei patti erano infondate: tu danzi magnificamente. – e mi baciò la mano prima di circondarmi col braccio, ingabbiandomi in un altro ballo, in un’altra gara di sguardi.
 
Alla fine fu mio nonno a salvarmi, come suo solito.
- Mi concederebbe l’onore d’un ballo con la mia adorata nipote? Ero solito danzare con lei molto spesso quando eravamo in viaggio, ma credo che ciò non mi sarà più concesso per molto tempo. – mio fratello chinò leggermente il capo e lasciò la mia mano in quella del nonno senza proferir parola, scrutandomi per l’ultima volta prima d’andarsene a bordo pista, dove fu inghiottito da uno stormo di cugine, parenti lontanissime e dubbie, o addirittura semplici conoscenti: era il più bello della serata, nonché la maggiore attrazione e nessuno sembrava aver gradito il mio “averlo monopolizzato”, benché in realtà fosse stato il contrario.
- Ti piace? – chiese Jonathan a bruciapelo.
- Mio fratello o danzare con te nonno? –
- Niamh, non sono in vena di giochetti. –
- E’ per questo che ti rallegrerò la serata danzando con te. – lui continuò a scrutarmi severo. – Grazie per l’entusiasmo nonno, mi fai sentire veramente utile. – la sua espressione si addolcì lasciando spazio ad un sorrisetto divertito.
- Preferirei combattere con te. –
- Era così che conquistavi le ragazze ai tempi della scuola di addestramento? – finalmente l’uomo si lasciò andare ad una delle sue rarissime risate.
- No, diciamo che avevo altri metodi. Comunque sei sulla pista da un po’ troppo tempo e sei un po’ troppo brava: a breve vorranno danzare tutti con te e ti tempesteranno di domande: non erano questi i piani. –
- Ne sono consapevole ma… c’è stato un imprevisto. –
- Durato quattro balli. –
- Già, tre di troppo. –
- Direi due, comunque perché avete danzato così a lungo? Non mi sembrava steste conversando. –
- Stavamo danzando e la cosa ci impegnava a sufficienza: abbiamo impiegato il tempo a scrutarci. –
- E quali conclusioni hai tratto? –
- Che non credo mi odi, o almeno non me in quanto me, ma me in quanto figlia di Rosaline. Sono sicura che non la sopporti, anche se non so precisamente perché; questo lo rende un alleato, non trovi? –
- No, lo rende un pericolo: se prende in considerazione l’idea di fare il fratellone, comincerà a volerti conoscere e non ti lascerà più in pace. –
- Uhm, quindi tu sostieni sia meglio un nemico pronto ad infilzarti un coltello tra le costole mentre dormi piuttosto che un fratello curioso; potrei prendere in considerazione la strategia: un elfo morto non è più in grado di infastidire nessuno. –
- Niamh. –
- Nonno. Sei tu che insinui strane idee e comunque saprò cavarmela, non preoccuparti. –
- Mi mancherai. –
- Cinque o sei anni non sono tanti per un elfo no? – lui mi baciò la fronte e mi condusse fuori dalla pista.
- La notte è alta ormai e se vuoi andare puoi farlo: basterà che ti ripresenti prima dell’alba e nessuno noterà la tua assenza. – annuii e mi diressi verso la nostra casa-albero, la superai e mi addentrai di più nel bosco; quando ebbi trovato un albero che mi piacesse, mi arrampicai fino ai rami più alti e mi distesi a godere dello spettacolo del cielo notturno che brillava tra le foglie. Ero così presa che non mi accorsi che Louis m’aveva seguita con lo sguardo.

Spazio d'autrice.
Ciao a tutti!
Bene, ciò di cui siamo sicuri in questo capitolo è che... siamo in un mondo di ELFI! 
Che ve ne pare dei personaggi? Del carattere di Niamh, Louis e Jonathan in particolare?
Attendo vostre risposte.
A presto, Jane.

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Capitolo 5
*** CAPITOLO IV ***



CAPITOLO IV
Quella mattina la casa ferveva di preparativi: erano tutti in partenza, tranne me e Louis naturalmente. I nonni furono i primi ad andarsene.
- Abbi cura di mia nipote: ha già sofferto tanto, non azzardarti a renderle la vita impossibile. -
- Sembra che tu le sia fin troppo legato. –
- E’ il mio orgoglio. –
- Ma non il mio. Anche se presto lo diventerà, volente o nolente. – gli occhi di Jonathan vibrarono di furore nei confronti della figlia e provò a ragionare col marito di lei, ma quando questi la strinse a sé, chiaro segno della posizione che avrebbe preso in uno scontro, non poté far altro che avvicinarsi al ragazzo. Lo scrutò intensamente e non gli parve di scorgere alcun astio nei suoi occhi; questo lo rincuorò.
- Ti prego Louis, so che probabilmente non ti sono molto simpatico come del resto qualsiasi altro membro della mia famiglia, ma Niamh è diversa. Non ti sto chiedendo di farle da balia, ma solo di assicurarle giustizia, poiché questo mondo crudele raramente ne concede a quelli come lei. Avrai cura di lei? –
- Sì signore. – rispose il mio fratellastro stupendomi per la serietà del suo tono. Mio nonno parve soddisfatto, poi lui e la nonna presero congedo, dedicandosi per ultimo a me. Mi inchinai al suo cospetto come ci si inchina davanti ai grandi guerrieri e lui mi sfiorò il capo affinché mi alzassi, poi mi afferrò saldamente le spalle e mi perforò con i suoi alteri occhi blu.
- Ci sarà eternamente un posto per te al mio fianco, non importa dove io sia: se lo vorrai, io ti aspetterò sempre.-
Chinai il capo onorata e dopo un’ultima leggera pacca sul braccio, mio nonno montò a cavallo lasciandomi definitivamente sola ad affrontare la mia nuova vita.
- Questi due anni con te sono stati molto belli bambina, spero che un giorno sarai ancora interessata alla nostra compagnia. – e con un sorriso e una carezza fugace, anche la nonna mi lasciò.
Rientrammo in casa e prima che potessi sparire su per le scale a visitare la mia nuova dimora, Rosaline decise di mettere subito in chiaro quali erano le regole che avrei dovuto rispettare. Alle mie spalle comparvero due elfi, un maschio ed una femmina, vestiti totalmente di bianco; un brivido mi scosse fin nelle ossa e il mio cuore perse qualche battito mentre osservavo mia madre, sconcertata.
- Tu non puoi farlo… ho sedici anni ormai… -
- E allora? Tutte le ragazze che si rispettino hanno degli attendenti personali. – sorrise lei malefica.
- Sono andata in missione con i tuoi genitori, ho vissuto in mezzo al nulla e me la sono cavata nelle situazioni più spinose, credi davvero che non sappia come imparare a muovermi in questa casa? –
- Non mi interessa! Voglio che tu divenga una figlia modello, non la bestia che sei! –
- Anche Louis ha un suo personale attendente. – rincarò Cristopher, ma il figlio, fino ad allora imperturbabile, non fu d’accordo.
- Veramente John è uno degli attendenti della casa, a disposizione di tutti, che semplicemente più spesso degli altri si dedica a me. –
- Il suo compito sei tu. –
- Uno tra gli altri, padre. –
- Ma per i ragazzi è diverso: devono essere più indipendenti, le ragazze no. Vuoi forse continuare ad esser considerata un maschiaccio? Come farai a trovare un compagno quando sarai a scuola? Tu mi spezzerai il cuore! – e fece finta di sentirsi mancare.  Stava davvero esagerando, mi stava annientando facendo sì che io non avessi altra scelta se non stare alle sue condizioni, ma quella volta non avrei ceduto.
- Se sono una tale delusione e ti arreco tanto dispiacere, perché ti sei autoinflitta questa piaga? Potevo continuare a stare dai nonni, loro non avevano problemi anzi, ti avevano implorato perché lo facessi: io gli servo! – ma lei mi rise in faccia.
- Chi tu? Ma se non sei brava neanche a stare in equilibrio su un paio di tacchi, come potresti mai sventare agguati e smascherare impostori? Non farmi ridere! Smettila di fare l’impertinente ed obbediscimi: i tuoi attendenti saranno sempre con te e ti insegneranno come si vive nell’alta società! Non osare contraddirmi. –
- Niamh obbedisci a tua madre. – rincarò la dose suo marito.
- Sei l’essere più subdolo che io abbia mai conosciuto: hai paura di me ma ancor di più di mantenere alta la tua reputazione!  Se mi conoscessi anche un minimo, sapresti che sono in grado di comportarmi diecimila volte meglio di te e che possiedo qualità che tu non immagini nemmeno. Ma non hai tempo per queste cose, perché sei troppo occupata a pensare solo a te stessa! – il mio respiro si fece leggermente affannoso e tentai di calmarmi, ma sapevo che i miei occhi erano due fuochi ardenti. E infatti Rosaline urlò.
- Ah! Ha gli occhi del demonio! Mi vuole aggredire, mi vuole fare del male. Acciuffatela, acciuffatela! Sei un mostro ecco cosa sei. Una bestia ingrata in grado solo di approfittare della bontà di chi le vuole bene per poi attaccarli a poco a poco, come uno schifoso parassita. Mi hai umiliata dall’istante esatto in cui sei nata: quegli occhi scuri; il colore del male. -  e io le stavo di fronte, in silenzio, chiedendomi cosa mi stesse accadendo, perché sentivo un dolore farsi sempre più forte nel petto, all’altezza del cuore, come se qualcuno me lo stesse stritolando. Mi voltai di scatto e sfrecciai su per le scale. L’isterica dabbasso urlò agli attendenti di seguirmi, ma io non lo avrei permesso; mi voltai in cima alla rampa e lanciai uno sguardo micidiale.
- Fossi in voi non lo farei. – ormai anche le mani mi tremavano. – Sono perfettamente in grado di badare a me stessa, ma se accadrà qualcosa, sappiate che sarà solo colpa vostra, quindi state lontani da me e non fatevi vedere mai più. – loro annuirono alzando le mani in cenno di resa e sparirono al mio sguardo.
Mi diressi nella mia nuova stanza e chiusi la porta con deliberata lentezza, perché le mani mi tremavano violentemente; mi stesi sul letto ad osservare l’orribile soffitto rosa come il baldacchino facendo degli esercizi di respirazione. Ma la voce della femmina che mi aveva messo al mondo continuava a giungermi dal piano inferiore coprendomi di altri insulti immeritati, visto che non aveva dedicato a me un solo giorno della sua vita, neanche quello iniziale. Spalancai la finestra e balzai giù, correndo a perdifiato sul prato e poi perdendomi nei meandri del bosco, sperando di scordare la strada e il mio dolore.
 
La notte era ormai quasi giunta al termine quando ritornai sui miei passi, ma ero certa che mi stavano aspettando appostati come degli avvoltoi. La finestra della mia stanza era stata sbarrata affinché fossi costretta a passare dall’ingresso per tornare dentro, ma io non ne avevo affatto intenzione. C’era un’unica possibilità: aggirai la casa e mi fermai sotto il balcone del mio fratellastro.
In fondo ha promesso al nonno che mi avrebbe aiutata. Più o meno…
Fui rapida a saltar su e ad infilarmi tra le tende chiuse.
- Louis… - sussurrai affinché potesse riconoscermi e non si spaventasse troppo per quell’intrusione. Non servì a molto visto che fui costretta a schivare un cazzotto in piena faccia. – Sono tua sorella. – soffiai bloccando con la mano il pugno successivo. Lui mi ringhiò contro.
-  Non sei proprio nessuno. Che vuoi? –
- Tornare in camera mia. –
- E perché sei venuta qui? Non ho alcuna intenzione di rallegrarti la nottata, mi spiace. –
- Perché non volevo risentire le urla stridule ed infondate di Rosaline. – anche al buio potei vedere la smorfia disgustata e infastidita del mio fratellastro.
- Io. La. Odio. – ringhiò massaggiandosi le tempie. – Non vedo l’ora che se ne partano, se sento di nuovo la sua vocetta stridula potrei non rispondere delle mie azioni. – continuai ad osservarlo impassibile. – Ah già, scusa tanto per aver offeso il tuo orgoglio di figlia. – concluse acido rivolgendosi a me.
- Non lo avevi fatto, ma in compenso adesso mi hai offeso come persona. – mi avviai alla porta e scrutai fuori circospetta, scoprendo con sollievo che nessuno presidiava il corridoio.
- Niamh aspetta… - non lo feci finire di parlare: non me ne importava nulla delle sue scuse o dei suoi sensi di colpa.
- Non c’è bisogno: io non sono nessuno per te. Continua ad ignorami come hai fatto fin ora: ne gioveremo entrambi. Naturalmente, questo è un patto bilaterale. – e con un cenno del capo, me ne andai.
 
Mi presentai a colazione svolgendo tutti i convenevoli adatti “all’alta società”, ma per il resto mi chiusi in un mutismo totale, non dando la possibilità a Rosaline di trovare alcun appiglio contro di me. Tirai un sospiro di sollievo quando due giorni dopo partirono per il viaggio di nozze in giro per il mondo. Dopo che mia madre mi ebbe detto che la questione non era chiusa ma ne avremmo riparlato al ritorno, e che io le ebbi risposto di non aver fretta ma di divertirsi, mi rinchiusi nella mia stanza intimando di non esser disturbata per nessuna ragione e mi stesi sul letto crollando in uno stato d’apatia totale.
Alla fine decisi che il rosa non era proprio il mio colore e che, se dovevo vivere in quell’opprimente stanza di pietra morta così diversa dalla casa-albero, allora avrei dovuto ritinteggiarla, quindi mi alzai dal letto per provvedervi. Vi ricaddi immediatamente preda di mal di testa e crampi allo stomaco. Osservai la luce del sole fuori dalla finestra e vidi che era ancora giorno: perché mi sentivo così male se era trascorsa solo qualche ora? Mi trascinai lungo le scale e non trovai nessuno, allora tentai di ricordarmi dove fosse la cucina e con molto sforzo la trovai; quando entrai, gli occupanti furono molto stupiti di vedermi.
- Signorina, come sta, cosa ci fa qui? Se desiderava qualcosa bastava che ci chiamasse, non c’era bisogno di disturbarsi. –
- Il pranzo non è ancora pronto, ma se desidera possiamo affrettare le cose così… -
- No grazie, non preoccupatevi ma faccio da me: sono vegetariana. –
- Cosa? Per questo non mangiavate quasi nulla a tavola! –
- Perché non ce lo avete detto subito? Avremmo provveduto immediatamente… -
- Perché non è una cosa che si addice ad un personaggio dell’alta società vero? Non preoccupatevi, sono in grado di badare a me stessa e non c’è bisogno che vi scomodiate. – così dicendo, mi sedetti al bancone accanto a loro e cominciai a sbucciarmi dei pomodori, poi misi a cuocere la pasta per farmi un piatto freddo.
- Le apparecchio la tavola signora? –
- Assolutamente no! È meglio che queste, ehm, questi miei comportamenti poco consoni restino tra noi. – così mi alzai e mi andai a sedere sul divano del soggiorno, con le gambe stese sul poggiapiedi. Dopo qualche boccone sentii le forze tornarmi e osservai la stanza: dietro di me c’era una piccola libreria; scorgendo un titolo interessante, mi alzai e iniziai a leggere continuando il mio pranzo.
- Si può sapere cosa stai facendo! – mi urlò contro Louis strappandomi forchetta e libro dalle mani.
- Non si vede? Mangio e leggo un libro. –
- Ma non puoi! –
- Perché? – ok, questa regola davvero me la doveva spiegare.
- E’ disdicevole? –
- Perché? Non stavo facendo niente di sconcio. –
- Sì invece, una signorina dabbene come te, non dovrebbe lasciarsi andare a comportamenti così villani. –
- Ma fai sul serio? – la sua espressione decisa me lo confermò. – Senti Louis, non è ancora ora di pranzo ma avevo talmente fame da non riuscire neanche a stare in piedi, figurati ad aspettare te e tutti questi convenevoli. –
- E’ normale che tu sia affamata visto che sono quasi tre giorni che non ci onori con la tua presenza! – ribatté velenoso.
- Tre giorni? –
- Esatto. –
- A maggior ragione, ridammi il piatto e il libro. –
- Assolutamente no! Non puoi comportarti come ti pare e piace, qui ci sono delle regole che devono essere rispettate. –
- Perché? Chi ci vede Louis. Siamo solo io e te. –
- Questo non significa che uno dimentichi la propria educazione solo perché si ritrova solo. – mi rispose arcigno.
- Hai pranzato in pompa magna anche se eri solo? –
- Esatto. T’ho anche atteso. –
- Beh scusa tanto, non credevo ti fosse indispensabile la mia compagnia, ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Sei stato rigido come un damerino per compiacerti della tua perfezione! –
- Non darmi del superbo. –
- Lo sei. Ridammi le mie cose. –
- Non sono tue anzi, il libro è di mio padre e non puoi toccarlo senza il suo permesso. –
- Perché? – ormai urlavo quasi: mi stava esasperando con le sue affermazioni stupide.
- Perché così è. – mi sbraitò in faccia stonandomi.
- Ma lo sto solo leggendo, non lo sto lacerando! Ti rendi conto dell’assurdità di ciò che dici? Perché non cresci un po’! –
- Senti ragazzina io … -
- Non me ne frega niente della tua età anagrafica: se non ragioni con la tua testa, sei soltanto un moccioso immaturo. – gli strappai libro e forchetta dalle mani, e riacciuffando il mio piatto me ne andai per le scale.
- E adesso dove vai? –
- Dove il mio comportamento da ragazzetta di bassa società non posso turbare gli umori di nessuno: se avessi saputo che avrei trovato un sostituto di Rosaline ad attendermi, non sarei uscita affatto. –
- Non osare paragonarmi a tua madre. –
- Allora tu smettila di comportarti come lei! –
- E tu prendi il ruolo che ti spetta, quale nipote del signore più importante dell’Irlanda del Nord. –
- Non ero una villica scusa? –
- No. –
- Già, ma sembra che tutti se ne ricordino solo quando fa loro comodo. – e stavolta me ne andai sul serio.

Spazio d'autrice.
Ciao ragazzi!
Cosa ne pensate del capitolo? E soprattutto secondo voi perché sono tutti così crudeli e freddi con Niamh? E del comportamento di Louis?
P.S. chi di voi ha preso FOUR? Quali sono le canzoni che vi hanno colpito di più? Io ancora lo devo avere, ma per ora in pole position ci sono Night Changes, Fool's Gold, 18 e Ready to run!
Un bacio, Jane.

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Capitolo 6
*** CAPITOLO V ***




CAPITOLO V
Continuai ad evitare Louis mangiando in cucina e così potei fare la conoscenza della maggior parte delle persone che si occupavano della casa: erano tutti molto semplici ed alla mano, gente con cui era piacevole trascorrere il tempo. Di nascosto lessi tutti i libri della libreria che si dimostrò esigua in modo assai deludente.
Cristopher non è certo una cima, del resto, vedendo il figlio…  
Facevo giri nei dintorni, aiutavo in casa e quando arrivò la fornitura di vernice, cominciai a ritinteggiare la camera da letto spostando tutti i mobili nel mio salottino privato, dipingendo il soffitto a grandi balzi o usando dei pali come trampoli.
Fu così che mi ritrovò Louis quando quasi una settimana dopo entrò come una furia nella mia stanza.
- Attenta! – urlò terrorizzato spaventandomi anche grazie al botto violento della porta contro il muro, così scostai la mano col pennello e la pittura mi colò in faccia facendomi perdere l’equilibrio; mi sentii atterrare sul morbido. Gettai il pennello a terra e usai la manica per pulirmi il colore pericolosamente vicino agli occhi; solo allora li aprii e capii d’esser approdata tra le braccia di un terrorizzato Louis in preda ad una crisi isterica.
- T-tu… tu… tu sei pazza! Mi hai fatto prendere un colpo! –
- Tu mi hai fatto prendere un colpo! Ma ti sembra quello il modo di irrompere nella camera da letto di una ragazza? – questo lo fece arrossire intensamente.
- Io… ero arrabbiato con te. Mi stai ignorando di nuovo. –
- Credevo avessimo un patto… -
- Non mi piace questo patto: facciamone un altro. –
- A me sta benissimo guarda. – mi rialzai e ripresi ad armeggiare coi trampoli ma lui si aggrappò alla mia vita per mantenermi salda a terra.
- Non risalire là sopra ti prego. –
- Louis, non cado sta tranquillo. –
- Non sono tranquillo. –
- Senti, adesso ti sei trasformato nella versione “mamma preoccupata e amorevole”? – lui si rabbuiò.
- Non scherzare su queste cose: tu almeno una madre ce l’hai. –
- No Louis. Una persona che ti trova ripugnante e te lo fa notare ogni singolo istante, una persona che non ha trascorso con te un solo giorno ma che adesso si interessa esclusivamente perché altrimenti l’alta società la considererebbe una disamorata, non è una madre. Avermi partorita non la rende automaticamente una madre. –
- Perché ti odia? –
- Non l’hai sentita sbraitare a sufficienza? Perché sono la vergogna della nostra famiglia: basta guardare i miei occhi e i miei capelli per capirlo. –
- Io credo che ti donino. – inarcai le sopracciglia.
- Stasera cenerò con te: se non ti comporterai come un damerino, allora potremmo avere un rapporto civile. Non aspettarti troppo però: non sono un tipo loquace. – soddisfatto, il ragazzo se ne andò lasciandomi alle mie faccende.
 
Scoprii, a poco a poco, che Louis non era poi così male. Trascorrevamo le giornate convivendo in sintonia negli stessi ambienti, svolgendo le nostre attività senza intralciarci anzi, a volte condividendole anche. Spesso passeggiavamo per i dintorni, facevamo gite a cavallo o sedevamo sul divano, io a leggere, lui a sonnecchiare. Nonostante il nostro costante stare insieme, non parlavamo quasi mai anche se lo sentivo scrutarmi con la massima attenzione, come se volesse sfidarmi a svelargli chi fossi realmente. All’inizio la sua insistenza mi infastidiva, ma col tempo mi ci abituai e trovai la sua presenza e la sua attenzione di compagnia: stranamente mi faceva sentire calma, al sicuro, perché sembrava stesse vegliando su di me anziché tentar di scoprire i miei segreti più intimi. Creammo un nostro autonomo linguaggio, fatto di gesti ed espressioni del viso, come quando io inarcavo un sopracciglio per dirgli “Stai scherzando vero?” oppure “Che stai facendo?”, o quando lui si avvicinava insistente per capire cosa stessi architettando.
Dedussi che Louis era un tipo festaiolo e molto legato alla famiglia dal fatto che uscisse quasi ogni sera, oppure invitasse i cugini a casa organizzando feste a cui io non partecipavo mai. Dopo un po’ cominciò a ritornare a casa con dei libri per me: doveva essersi accorto che era la quarta volta che rileggevo quelli presenti in libreria. Nonostante il suo disinteresse per la materia, aveva buongusto e mi ritrovai a leggergli alcuni passaggi davvero interessanti sperando di scuoterlo dalla sua letargia intellettiva e così fu: nel giro di qualche settimana, cominciammo a trascorrere quasi tutti i pomeriggi d’autunno sul divano, con me che leggevo ad alta voce e lui che seguiva posando il capo sulla mia spalla.
Ritinteggiammo anche le sue stanze e costruimmo nuovi mobili con i rami caduti nel sottobosco.
- Questo azzurro è disgustoso. –
- A me piace: è molto adatto a te. – questa volta il sopracciglio lo inarcò lui. – Hai dei begli occhi Louis. –
- Quasi tutti gli elfi hanno gli occhi azzurri, non è una gran cosa e non significa che anche le nostre stanze debbano essere dello stesso colore. –
- Gli elfi dovrebbero dimorare sugli alberi. –
- Qui pochi lo fanno ancora. –
- Perché non ci trasferiamo sulla casa-albero? –
- Perché costringeremmo gli attendenti ad un lavoro extra. – annuii: adesso i ragionamenti del mio fratellastro erano molto più convincenti.
- Cosa ti piacerebbe osservare prima di dormire? –
- Il volto di mia madre. – la sua voce era diventata triste e seria: non mi parlava mai di lei, ma ero certa che gli mancasse molto e che doveva averlo amato intensamente, come una vera madre ama un figlio.
- Hai un suo ritratto?  –
- E’ una cosa stupida Niamh, lascia perdere. – si incupì molto e decisi di desistere.
- Che ne dici di un cielo stellato? –
- Uguale al tuo? –
- No: senza nessun albero ad ostruirne la visuale. – così la stanza di Louis divenne ancora più bella della mia, perché vi riproducemmo tutta la volta celeste.
 
Alla prima nevicata mi sbizzarrii molto con la fantasia, creando animali mitici e non, costruzioni altissime ed elaborate, piste per slittino. Trovai il tutto molto divertente e Louis mi aiutò, ma mi accorsi che era troppo pensieroso, quindi gli chiesi spiegazioni.
- Tra un mese è il mio compleanno e dovrò affrontare la prova. – mi confessò alla fine.
- E’ per questo che passi le mattinate con John? –
- Sì, mi sta preparando. Ma non credo di essere all’altezza. –
- John è un bravo insegnante e ti istruirà bene. Tuo padre non permetterebbe mai che la tua preparazione sia lacunosa, di questo puoi esser certo, quindi sta attento alle lezioni e non avrai problemi. – lui sbuffò impaziente.
- Ma se non sono in grado di fare neanche la metà delle cose che fai tu! –
Ah, ecco qual è il problema.
- Louis, sono stata addestrata da mio nonno in persona, e lo sai che lui fa parte dei servizi segreti. –
- E che è uno dei guerrieri più abili e potenti mai esistiti, lo so. Mio padre invece è un pappamolle! – mi stupii delle sue parole perché, nonostante non approvasse le sue scelte matrimoniali, aveva molto rispetto per il suo genitore. – Non sono neanche in grado di arrampicarmi su un albero, tu invece ci passi le notti! – guardò il terreno sconsolato e mi fece tenerezza, una sensazione quasi sconosciuta per me, tranne quando si parlava della solitudine di mio nonno.
- Una volta mi hai chiesto cosa ci trovavo di così bello nello stare lassù, se vorrai, stasera te lo mostrerò. – lo vidi sbiancare.
- L’altezza non mi entusiasma particolarmente. –
- Perché non hai provato, dopo vedrai che non vorrai scendere più. E poi ci sono io con te: non ti lascerò cadere. – Louis mi sorrise tirando un sospiro di sollievo: aveva accettato.
 
- Osserva bene questo albero: quale strada potresti percorrere per raggiungere la cima? –
- Ma è altissimo e i rami non cominciano prima di sette metri! –
- E tu sei un elfo, l’essere più veloce del globo: se la tua accelerazione supererà quella della forza di gravità, potrai arrivare dove vorrai; inoltre questo albero offre parecchi appigli anche senza contare i rami: li vedi i nodi della corteccia? – Louis deglutì e annuì, ma la sua espressione era di puro terrore.
- Ti prenderò io. –
- Sono troppo pesante per te. –
- Tu però mi hai presa quando sono caduta dai trampoli. –
- Sì, ed è stata una delle esperienze più terrificanti di tutta la mia vita: temevo di non farcela. –
- Ma ce l’hai fatta e ce la farai anche adesso. Sei un elfo Louis: la natura è la tua casa, ritrova i tuoi istinti primigeni! – trasse un profondo respiro come per darsi la carica. – Se vuoi vado io per prima e ti mostro la via… -
- No, ce la posso fare; devo farlo da solo. – annuii in segno d’approvazione e lo guardai dal basso, analizzando attentamente ogni sua mossa per esser pronta ad aiutarlo, ma lui se la cavò egregiamente; quando arrivò al primo ramo, ne saggiò la resistenza con le braccia e poi ci si sedette sopra a cavalcioni. Lo raggiunsi seguendo il suo stesso percorso e in poco tempo mi accomodai di fronte a lui.
- Ci hai messo un quarto del mio tempo. –
- Conoscevo già la strada e non faccio altro che questo da quando ero bambina; proseguiamo? – impallidì.
- Non è abbastanza per oggi? – scossi il capo e feci per avviarmi ma lui mi trattenne – Se proprio dobbiamo continuare, andrò avanti io. – annuii di nuovo e ci inoltrammo sempre più in alto su quell’abete frondoso. L’inverno non era la stagione migliore per arrampicarsi e nonostante avessi fatto cadere quanta più neve possibile prima di salire, in alcuni punti Louis rischiò di scivolare, ma alla fine giungemmo quasi in cima e ci sedemmo su due rami vicini, di quelli che ormai sono inclinati verso l’alto.
- Allora, che ne pensi? – lui non rispose ma l’espressione meravigliata con cui si guardava intorno fu più che sufficiente; alla fine si volse verso di me e mi sorrise: significava Grazie. Ricambiai e poi posai il capo contro il tronco, lasciandomi ammaliare dallo scintillio delle stelle, ben visibili tra i pochi rami rimasti sopra di noi.
- Non addormentarti ti prego… - sussurrò mio fratello e io sorrisi di nuovo al cielo scuotendo la testa.
- Ora capisco come fai a restare quassù: con uno spettacolo del genere è facile lasciarsi scivolare nell’oblio; credo che ti farò compagnia più spesso. –
- L’inverno non è la stagione ideale per le arrampicate… -
- Lo so, ma ho bisogno di padroneggiare la tecnica: solo perché ci sono riuscito stasera non significa che smetterai di insegnarmi. – scossi di nuovo il capo.
Rimanemmo lassù per un po’, ma poi cominciò a far freddo e intraprendemmo la discesa; una volta in casa, ci rannicchiammo sul divano con coperte e tè caldo.
- Mi insegnerai anche a combattere? – chiese mio fratello dopo un lungo silenzio.
- E’ necessario per la prova che dovrai affrontare? –
- Non lo so in realtà: sai che non c’è concesso alcun indizio. – annuii.
- Ti insegnerò solo lo stretto necessario: non posso addestrarti come un membro dell’organizzazione. –
- Sei stata addestrata come un membro dell’organizzazione? – per poco la sua bocca spalancata non toccò terra ed era così buffo, che quasi gli risi in faccia.
- Solo per l’addestramento fisico e la logica: di magia non so nulla. –
- John mi insegna logica, mi fa fare esercizi fisici e mi spiega i rudimenti di magia. –
- Allora dovresti fidarti di lui: non so quanto di ciò che mio nonno mi abbia insegnato sia normale oppure speciale, quindi non so precisamente fin dove posso spingermi con te. –
- Chiederò a John qual è il livello massimo di preparazione consentita. – annuii di nuovo e il discorso terminò lì.
 
Era divertente allenarsi con Louis, forse ero cattiva, ma vedere quanto in fretta si infuriasse mi faceva sempre venir voglia di ridere. Si scoraggiava subito e appena non gli riusciva qualcosa cominciava ad imprecare. Notai che con me si lasciava andare molto più di quanto non facesse con John o qualsiasi altra persona e questo mi inorgoglì: si fidava di me. Fui molto paziente con lui e mi accorsi che gli riusciva tutto più semplice se lo guidavo nei movimenti, spostandogli braccia e gambe oppure lasciando che lui si muovesse con me: imparammo a conoscerci molto bene e a capire le mosse dell’altro; in poco tempo Louis aveva appreso i fondamenti della lotta libera e della scherma: di più non avrei potuto fare.
- Niamh, visto che tu mi hai insegnato tante cose, vorrei condividere le mie conoscenze magiche con te, ti andrebbe? – sbiancai e lui dovette accorgersene perché mise su un cipiglio dubbioso.
- No. No grazie, sei gentilissimo ma non credo sia ancora giunto il mio momento: compio gli anni fra sei mesi! – gli sorrisi per rimediare al danno fatto ma capii di non averlo convinto, però accettò la mia decisione senza protestare.
- Allora leggiamo qualcosa? – mi chiese con un sorriso scaltro cacciando un nuovo libro da dietro la schiena. Mi illuminai di gioia e lo trascinai sul divano, pronta ad immergermi nella nuova storia che mio fratello m’aveva donato.


Scusate il ritardo, ma ieri è stata una giornata pesante. Se volete scrivermi, per qualsisi cosa, non può che farmi piacere. 
Con affetto, Jane.

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Capitolo 7
*** CAPITOLO VI ***




 
CAPITOLO VI
Quando mancava circa un mese al compleanno del mio fratellastro, i nostri genitori rifecero la loro comparsa stravolgendo la nostra equilibrata convivenza. Tutta la casa fu scossa da ferventi preparativi per “l’evento più importante degli ultimi diciassette anni”; chiaro, perché l’unico altro evento degno di nota in Scozia negli ultimi diciassette anni, era stata la nascita di Louis stesso.
La vostra modestia mi commuove. Pensai ascoltando quel mantra risuonare per l’ennesima volta attraverso le stanze, oppure osservando Rosaline e Cristopher dare ordini in giro e redarguire il festeggiato. Ogni volta che tentavano d’aiutarlo, lo rovinavano un poco in più e lo stizzivano enormemente: poco ci mancava che cominciasse a sputar fuoco come un drago. Io mi apprestai placidamente a sparire dalla circolazione per quanto più tempo possibile, ma Louis sapeva esattamente dove trovarmi e mi lanciava occhiate da lontano facendosi forza nel sopportare due dei più eccelsi esempi di stupidità elfica. Prese l’abitudine di rifugiarsi spesso nelle mie stanze la sera: ci stendevamo a pancia all’aria sul letto guardando il soffitto di fronde e stelle e lui sfogava tutta la sua tensione raccontandomi le assurdità a cui lo stavano sottoponendo; io ascoltavo in silenzio, finché non arrivava il momento di scoramento finale in cui si sentiva un fallito.
- Ti senti un fallito perché non sei uno stupido incapace come loro due? E pensa che questo test lo passarono anche loro a suo tempo… - a questo punto emettevamo entrambi un verso disgustato e arricciavamo il naso dal disappunto  – dovresti sentirti orgoglioso di non essere abile come loro. – concludevo ammiccando nella sua direzione e osservando come i suoi cieli cupi si illuminassero di nuovo accompagnando uno splendido sorriso. – Sei davvero straordinaria. – mi diceva, poi mi baciava una guancia e andava via salutandomi con la mano. 
La vigilia della prova arrivò fin troppo in fretta, prima ancora che io potessi capacitarmi del fatto che a breve Louis sarebbe andato via e avrei perso il mio compagno di vita. Lui invece sembrava essersene reso conto fin troppo bene, perché quella sera mi prese per mano e mi condusse sulla cima dell’abete su cui s’era arrampicato per la prima volta; restammo in silenzio per un po’ a guardare il cielo continuando a tenerci per mano, mentre i fiocchi di neve cadevano lenti, finché non sentii il peso del suo sguardo su di me e mi decisi ad incrociare i suoi occhi azzurri. Non mi disse nulla e la sua espressione era neutra, ma potevo capire che dentro aveva un mare di emozioni in tempesta. Deglutì lentamente ed i suoi occhi si fecero più brillanti mentre le lacrime se ne appropriavano.
- Non voglio andare via. – sussurrò alla fine e io compresi che in realtà era me che non voleva lasciare, non quella tenuta nella desolata Scozia del nord. Gli sorrisi dolcemente e gli accarezzai la mano con il pollice.
- L’Irlanda è bella Louis, molto bella: ti piacerà. –
- Ma non avrò nessuno che me la mostri.  – sembrava un cucciolo bastonato e mi fece ancora più tenerezza: stavo provando emozioni che non mi ero mai concessa per nessun altro, ma infondo Louis era riuscito veramente a diventare mio fratello, o almeno era quel che credevo visto che non avevo mai osservato o avuto fratelli.
- Come sei melodrammatico: sarai perfettamente in grado di sopravvivere sei mesi senza il mio aiuto. –
- Non essere stupida, non me ne frega niente delle prove che dovrò affrontare né delle persone che potrò incontrare: mi mancherai tu. È bello vivere assieme a te Niamh. – arrossii per la seconda volta in tutta la mia vita: nessuno m’aveva mai detto delle cose del genere. Mi sentii profondamente onorata e commossa, abbassai lo sguardo sorridendo senza neanche rendermene conto.
- Grazie Louis, è bello avere un fratello come te. –
 
E Louis andò via: ai minorenni non era concesso vedere le gare degli altri quindi non potei assistere alla sua valutazione, ma tornò tutto contento e immediatamente partimmo alla volta dell’Irlanda per condurlo alla sua nuova casa. Il viaggio fu piuttosto breve perché lo affrontammo in battello ed arrivammo al porto di Dublino in appena due giorni, da lì, ci addentrammo nell’entroterra e lo lasciammo al campus tra il Lough Derg e il Lough Ree. Non avemmo molto tempo per parlare poiché i nostri genitori lo monopolizzarono e io fui bellamente ignorata.
- Vorrei parlare con mia sorella da solo. – chiese Louis prima di congedarsi e mi condusse un po’ in disparte. – Consigli da guerriero? –
- Sopravvivi. – questo lo fece ridere, ma io non stavo scherzando!
- Ti preparerò un terreno morbido su cui atterrare quando mi raggiungerai qui. –
- Sii felice Louis: starò bene. –
- Lo spero. – ribatté lui cupo – Se avessi dei problemi con quei due, non esitare a chiamarmi. –
- Andrà tutto bene, adesso va e buttati a capofitto in questa nuova avventura. –
- Agli ordini capitano! – scherzò lui facendomi il saluto militare, poi mi sorrise e con un ultimo bacio sulla guancia, svanì dalla mia vita.
 
Ero tornata nella mia stupenda Irlanda, non poi così diversa dalla Scozia, ma più viva, più vera. I due genitori mi abbandonarono per due settimane dai nonni mentre concludevano il loro giro di visite: rividi la mia vecchia casa e ripresi le mie vecchie abitudini venendo aggiornata sulle ultime novità. Provai un desiderio molto forte mentre il nonno mi descriveva le pericolose missioni contro i vampiri che stavano affrontando: avrei voluto esserci anche io. Ma i miei sogni di gloria e di rivedere il mio compagno di battaglia scemarono quando i due guastafeste tornarono per riportarmi a “casa”. Mi tormentarono incessantemente durante tutto il viaggio di ritorno, creandomi anche difetti inesistenti pur di provarmi la loro disapprovazione.
- Voglio solo sperare che tu non abbia contagiato anche Louis con la tua negligenza. – sbottò aspro Cristopher una di quelle volte. Non ci volle molto perché la mia vista diventasse insopportabile e la vita scozzese risultasse noiosa: si divertirono a tormentarmi un altro mese e per San Valentino – “l’ultima moda dal mondo degli umani!” – ripresero i loro viaggi in giro per il mondo lasciandomi alle cure (prigionia) degli attendenti.
Che pace riprendere una vita tranquilla! Ma dopo un po’, mi accorsi che la compagnia di Louis, per quanto discreta e non invasiva, mi era diventata più indispensabile di quanto credessi. Non ci scrivevamo molto, poiché il nostro rapporto era fatto di gesti e sguardi più che di parole, quindi una lettera non avrebbe mai potuto prendere il posto delle nostre emozioni, ma mi fece sapere che l’Irlanda era bellissima, che gli alberi erano più verdi e più facili da scalare, che aveva dei nuovi amici molto simpatici e che le ragazze erano uno schianto. 
“… E si lasciano circuire senza il minimo sforzo!”
Questo sembrava il tratto per lui più interessante della sua nuova vita, mentre invece le lezioni erano spesso “noiose e spossanti; non capisco cosa pretendano da noi, siamo giovani e dobbiamo divertirci, non pensare a queste cose: avremo tutta l’eternità per farlo!”
Io gli rispondevo con brevi resoconti della mia noiosa vita, finché non smisi di farlo del tutto, non per astio, ma perché me ne ero andata di casa!
Cominciò tutto una mattina in cui decisi che lì, per me, non c’era proprio niente: non ero nata in quel luogo, non ero cresciuta in quel luogo, non amavo ciò che quel luogo rappresentava e l’unica ragione che lo rendeva sopportabile adesso era dove avrei voluto essere io, in Irlanda. Mi mancavano le missioni, l’avventura e i miei compagni di viaggio, ma soprattutto i membri delle altre razze: nani e umani. Così, visto che in quell’isola sperduta nel mare del Nord i nani non dimoravano, decisi di far tappa ad Edimburgo, unico agglomerato umano in quella regione. Avrei potuto raggiungere la città in poche ore, ma decisi di prendermela comoda e di esplorare la zona concedendomi del tempo per me: era la prima volta in sedici anni di vita che ero sola e potevo dedicarmi esclusivamente a me stessa. E scoprii che fare l’eremita mi si addiceva moltissimo: avrei potuto vagare per il mondo esplorando posti che facevano vibrare il mio animo, senza dover dar conto a nessuno e senza relazionarmi con alcun essere vivente se non per mia esplicita volontà. Quella piccola parentesi di libertà in una vita di costrizioni, mi stava facendo sentire in pace con i miei demoni interiori e in comunione con l’universo stesso. Scoprii molti villaggi e la gente era gentile; mi persi nel riflesso dei laghi ghiacciati e del mare tempestoso; contemplai la fine della terra sulla cima delle Highlands; quando giunsi ad Edimburgo l’inverno era ormai scomparso e il sole tramontava tardi visto che lì c’erano quasi sei mesi di luce e sei di buio: eravamo ancora nel Nord del mondo.
Mi avventurai per strade con palazzi di pietra guarniti di guglie e tetti spioventi, assaporando un’atmosfera quasi senza tempo e tradizioni antichissime; la popolazione era calorosa, forse in contrasto al freddo che faceva lassù. Mi tuffai in storie antiche di castelli e leggende medievali, in bar che odoravano di whisky e birra fumante e mi rifugiai nella biblioteca cittadina spulciando ogni singolo volume lì presente, a costo di tradurli al momento con i vocabolari presenti sul posto, se erano in latino; il più bello ed interessante fu il manoscritto Auchinleck: parlava di storie bibliche e vite dei santi, della leggenda di Artù e Merlino come quella di Otello o di Guy de Warwick. Era bello vivere in quel luogo dove nessuno ti scrutava sospettoso a causa del tuo aspetto fisico o faceva domande impertinenti, ma quel magnifico momento era destinato a finire: le rose presero a fiorire quando Maggio fu alle porte e dovetti tornare a casa il più in fretta possibile: nel giro di venti giorni avrei compiuto diciassette anni. Le mie paure d’esser scoperta si rivelarono comunque infondate: dalle lettere che avevo ricevuto durante la mia assenza si evinceva che i nonni erano in missione e non sarebbero arrivati che due giorni prima del fatidico evento, che Louis cominciava a pensare che lo odiassi e sinceramente non capiva perché, che il mio migliore amico, un nano, era ormai certo che Rosaline  e Cristopher m’avessero fatta a pezzetti, bruciata viva e sparso i resti in fondo al mare; dai padroni di casa nessuna notizia o direttiva.
Ripresi a trascorrere le mie giornate sugli alberi, a guardare il cielo o a rileggere i libri che avevo comprato in città. John si propose d’insegnarmi i rudimenti della magia ma io rifiutai, sostenendo che se ne sarebbe occupato mio nonno; in realtà ero terrorizzata, sia dalla prova, ma soprattutto dalla magia in sé: mi avevano insegnato che la magia era la cosa più pericolosa al mondo e che mai, mai, mai avrei dovuto averne a che fare; d’altro canto, volevano che io superassi quel dannatissimo test. Avevo i nervi a fior di pelle e scattavo per la minima cosa: non era un buon segno e per questo evitavo qualsiasi essere vivente tentando invano di rilassarmi; a otto giorni dal mio compleanno, compresi con grande orrore che se non avessi cominciato a imparare qualcosa di magia, almeno per “conoscere il nemico”, le cose si sarebbero messe davvero male.
- John, vorrei dare uno sguardo ai suoi libri di magia. –
- Ma io non possiedo libri di magia signorina, almeno non così semplici perché lei possa studiarli: se vuole, posso insegnarle io tutto ciò di cui potrà avere bisogno. – mi mordicchiai il labbro quasi rompendolo a sangue.
- Solo teoria? Niente pratica… -
- Entrambe signorina: lei è già piuttosto indietro, non capisco perché sua madre non abbia provveduto prima. –
- Non sono io il primogenito qui. Comunque accetto, a patto che facciamo solo teoria: mi spiegherà solo il funzionamento generale della magia, non cosa evocare. –
- Ma signorina! Così non imparerà nulla e non sarà in grado di difendersi! – sbiancai.
- Difendermi? –
- Certo! La sottoporranno ad una prova di sopravvivenza in cui sarà costretta ad usare la magia per salvarsi. –
- C’è sempre un modo per scamparla. – lo interruppi prima che potesse ribattere – Mi spiegherà prima i meccanismi teorici di base poi, quando li avrò ben assimilati, faremo delle piccole ed innocue prove. –
- Come desidera. – ribatté John inchinandosi.
Studiare il nemico non mi fu di alcuno aiuto, ma mi mise ancora più in ansia: la magia era una forza imprevedibile presente in ognuno di noi, che ci riuniva all’energia del cosmo e che potevamo incanalare come meglio credevamo avendo la giusta disciplina. Io ero forse la persona più disciplinata del pianeta, ma sapere che qualcosa di potenzialmente incontrollato e distruttivo potesse scorrere dentro me travalicando anche la mia ferrea razionalità, era l’idea peggiore che fosse mai potuta venire in mente a qualcuno. Ripensai alle missioni ma questo non servì a darmi conforto: mi ero trovata svariate volte in situazioni molto critiche e due o tre avevo anche rischiato di restarci secca, ma della magia non me ne ero mai occupata, ci pensavano il nonno o Liam, il mio compagno nano; io ero tutta azione, mente e corpo una sola cosa: mentre loro si lambiccavano in intricati scontri magici o scoprivano come sciogliere arcani incantesimi, io abbattevo nemici e coprivo loro le spalle; la magia non faceva per me. Non avevo mai avuto paura eppure mi accorsi di star sudando freddo e di avere il respiro affannoso: non potevo permettere a quell’arte malefica di alterare il mio prezioso equilibrio psicofisico!
A peggiorare le cose, naturalmente, ci pensò mia madre. Nel pomeriggio giunse una sua lettera in cui mi ingiungeva di assemblare gazebi, tavoli e sedie, nonché supervisionare alla preparazione di manicaretti per intrattenere gli ospiti che avrebbero partecipato alla mia festa; ah, avrei anche dovuto evitare di sembrare “un maschiaccio o una belva selvatica”. Digrignai i denti così forte da farli scricchiolare.
Mi serve una spada, mi serve una dannatissima spada… e qualcuno con cui usarla.
- Sa tirare di scherma John? – chiesi con voce tombale.
- Naturalmente signorina, desidera lezioni anche in quello? –
- No, desidero allenarmi! Vada a prendere la sua lama: tra dieci minuti sotto il grande abete. – e sparii per le scale fino al baule nella mia stanza, dal fondo del quale recuperai la mia splendida spada a doppio taglio, con l’elsa di metallo rosso a una mano e mezza, lavorata a forma di dragone. La sguainai e lasciai il fodero di legno intagliato sul letto, poi scesi a raggiungere il mio avversario.
- Suppongo che gli incantesimi necessari a smussare le lame tocchino a me. –
- Dipende dal vostro livello d’abilità, maestro. –
- Sono uno dei migliori spadaccini di Scozia madame e non vorrei ferirla, soprattutto perché questo non gioverebbe al suo aspetto fisico. – sogghignai. Se solo sapessi quanto il mio fisico sia stato seviziato, non te ne preoccuperesti più di tanto.
- Possiamo cominciare. –
- Mi vedo costretto ad insistere… - con uno scatto fulmineo gli feci volare via la lama, già in posizione da combattimento; lo guardai duramente negli occhi, il mio viso a pochi centimetri dal suo.
- Possiamo cominciare. – ripetei lapidaria.
- Come desidera. – mi rispose lui allo stesso modo, e iniziammo a danzare come due belve furibonde. 

Eccovi spiegato, almeno in parte, perché Niamh teme la magia.
Un bacione, Jane.

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Capitolo 8
*** CAPITOLO VII ***



 
CAPITOLO VII
Stoccata a destra. Cambio mano. Parata verticale con spostamento a sinistra. Affondo circolare all’altezza del collo. Fallito. Cambio mano e stessa tecnica, però stavolta putando al fianco sinistro; parato. Ci allontanammo per riprendere fiato: eravamo entrambi sudati e avevamo riportato qualche graffio superficiale, ma il vero combattimento doveva ancora cominciare poiché per ora c’eravamo limitati a studiarci. Sollevai la spada all’altezza degli occhi in cenno di saluto riprendendo la posizione d’attacco. Lasciai che tutte le emozioni inutili defluissero da me, tenendo a mente solo ciò che sapevo sul mio avversario e reagendo solo alle sue mosse, senza permettere che nulla mi distogliesse dall’obiettivo: sconfiggerlo. Feci sì che la mia espressione divenisse imperscrutabile affinché il nemico non riuscisse ad indovinare le mie mosse e tentai una rapida stoccata alla spalla destra che John si affrettò a contrastare spostandosi a sinistra; io cambiai rapidamente direzione con un affondo dall’alto alla spalla sinistra ormai scoperta: riuscì a pararlo all’ultimo istante. Se non fosse stato un elfo, quindi dotato di una velocità sovrumana proprio come me, né così esperto, avrei avuto la meglio nel giro di cinque minuti, ma quel limite era già stato superato, anche se gradualmente, i miei attacchi si fecero sempre più mirati e micidiali poiché avevo imparato i suoi ritmi. Fui certa che quello sarebbe stato il mio colpo vincente prima ancora che le condizioni affinché accadesse si presentassero: l’azione mi si creò chiara nella mente, mostrandomi ciò che John avrebbe fatto di lì a pochi istanti e la mia reazione perfetta. Mi sbilanciai leggermente in avanti aprendo la guardia giusto un minimo e lui provò una rapida stoccata alla mia spalla sinistra; più fulminea della luce, piroettai sulla schiena sottraendo la carne alla sua lama e gli puntai la mia alla base della nuca: se fosse stato un vero duello, sarebbe morto. L’elfo rimase pietrificato, forse per l’indignazione d’esser stato battuto da un’insignificante ragazzina dal sangue impuro, ma non disse nulla. Infine si raddrizzò lentamente, continuando a darmi le spalle; anch’io abbassai la lama.
- A volte, il fatto d’esser immortali e di padroneggiare ampiamente la magia rende noi elfi una razza conservatrice e chiusa, il che potrebbe essere un bene, ma nella maggior parte dei casi è soprattutto sinonimo di ottusità: se invece di denigrarvi e considerarvi inferiori vi si desse la possibilità di mettervi alla prova come tutti gli altri, si scoprirebbe che siete assolutamente degni della nostra razza anzi, considerando il suo caso, che siete migliori di tutti i giovani rampolli che abbia mai conosciuto. – e si inchinò usando il saluto dedicato ai grandi guerrieri, quello che io riservavo a mio nonno. Questo suo gesto mi stupì enormemente perché nessuno m’aveva mai trattata con altrettanto rispetto; mi affrettai a ricambiare.
- Siete stato un avversario formidabile John, è stato un onore allenarmi con voi: raramente trovo persone con cui riesca davvero a misurarmi. –
- L’onore è tutto mio signorina: quando vorrete, sarò felice di aiutarvi ancora. – e se ne andò lasciandomi a respirare l’aria gelida del giardino, mentre tutti i dolori prima sopiti, si presentavano alla mia mente provocandomi un istantaneo malessere; mi sciacquai velocemente e mi stesi sul letto a riposare, aspettando che la luce cedesse il passo alle ombre per andare a mangiare.
Sentii qualcuno salire in stanza prima ancora di vederlo, ma non mi scomodai più di tanto: forse erano venuti a chiamarmi per la cena. E invece mi ritrovai addosso una figura d’un metro e ottantacinque che premeva sul mio corpo martoriato, dove era atterrata dopo aver preso una debita rincorsa. Gemetti in segno di protesta, incurante del suo affetto, e tentai con ogni mezzo di spostarlo.
- Louis mi fai male! – esclamai esausta alla fine, visto che non riuscivo neanche a respirare.
- Come siamo delicati e acidi oggi! – ribatté offeso accasciandosi al mio fianco ed incrociando le braccia al petto –Scusa tanto se mi sono illuso che poiché tu sei mancata a me, sarei mancato anche io a te! – inarcai un sopracciglio ma lui continuò ostinatamente ad evitare il mio sguardo interessandosi al soffitto dipinto. Sospirai – Sai, le cose non sono sempre quel che sembrano… -
- E allora perché mi respingi se non perché non gradisci le mie attenzioni? –
- Perché sono piena di lividi e graffi, e perché le tue attenzioni mi mettono in agitazione! –
- Hey! Sei mia sorella, non ho intenzione di provarci! – era davvero indignato.
- Primo, non sono davvero tua sorella, secondo, non è quello che mi agita: è una situazione nuova per me e non so come comportarmi. I cambiamenti non sono il mio forte, mi destabilizzano e io odio essere destabilizzata. –
- Va bene, la prossima volta sarò meno irruento. – e posò il capo contro il mio – Sei caduta dall’albero? –
- No, ho combattuto con John. –
- Hai combattuto con John? – adesso era puntellato su un gomito e mi guardava attentamente, con una strana luce negli occhi.
- Scherma. –
- Scherma! - prese ad urlare in preda all’isteria – Ma hai perso il lume della ragione! Potevi farti male! –
- Veramente l’ho sconfitto. –
- Non c’entra! Devi smetterla d’essere così avventata: mi farai venire un infarto! –
- Perché? –
- Come perché! Perché mi preoccupo, ecco perché! Non voglio che tu stia male. –
- Avevo bisogno di rilassarmi. –
- E ammazzare la gente è il tuo modo per rilassarti. –
- Evidentemente. –
Scosse la testa sconfitto – Tu sei un caso perso. –
Grazie Louis.

- Era la tua prima giornata di lezione? – Stavo seriamente cominciando a credere alla teoria dell’infarto: se avessi continuato a dare brutte notizie a mio fratello, il suo cuore avrebbe ceduto. Ora si stava sbalordendo circa la mia mancanza di preparazione per la prova, l’indifferenza di mia madre in merito e la sua crudeltà nell’ordinarmi di occuparmi dei preparativi per la festa. Tutto ciò accadeva mente io infilavo pali nel terreno e poi ci saltavo su per costruirne gazebi.
- E ora invece di studiare ti dedichi all’architettura? – Sì, a breve si sarebbe scordato come si fa a respirare.
- Non che abbia molta scelta Louis. –
- Certo che ce l’hai! Scendi immediatamente da lì e dai il progetto agli attendenti: abbiamo degli esercizi da fare. –
- Lo scoprirà. –
- Ma davvero? Come scoprirà che te ne sei andata a zonzo per la Scozia mentre loro erano via? – gli lanciai uno sguardo terrorizzato mentre il mio cuore perdeva un battito – Carina la libreria nella tua stanza: dovrai leggermi qualche storia per farti perdonare le mancate risposte alle mie lettere con conseguente ansia per la tua salute! – concluse acido e a me venne da ridere – Sono io il signore qua: su, a studiare. Marsch! – e mi spinse fino in camera sua.
La stanza era identica a quando se ne era andato, tranne per alcuni libri che campeggiavano sulla scrivania e una custodia per abiti posata sul letto.
- Cos’è? – gli chiesi incuriosita, ma lui mi bloccò le mani e la fece sparire.
- Una sorpresa. –
-E se non ci fosse nulla da festeggiare? – lo interruppi io, ma il suo sguardo di sufficienza mi fece capire che per lui quell’evenienza non esisteva neanche; riprese imperterrito da dove era stato interrotto.
- Siediti qui che cominciamo. Visto che sei un piccolo genietto del crimine, direi che possiamo risparmiarci i fondamenti della lotta libera e delle prove d’agilità. Da brava, leggi questo libro sui fondamenti di magia ad alta voce, se hai dubbi te li chiarirò. – lo osservai ammirata: Louis stava diventando un ragazzo colto e studioso; un sorrisetto tirato smentì subito le mie splendide fantasie – Almeno per le cose che ho capito. Che in realtà non sono molte. Va a finire che ti ritroverai tu a far de insegnante a me. Però qualcosa l’ho fatta e a te dovrebbe bastar poco: a me non servì molto. In pratica noi elfi nasciamo già col seme della magia, ci tocca solo scoprirlo e poi alimentarlo: scopo della prova è proprio costringerti in situazioni in cui la tua unica possibilità di cavartela sia scoprire questo potere nascosto dentro te ed utilizzarlo; non si tratta di abilità o efficacia, ma di pura sopravvivenza. Non dovrai usare formule, ma soltanto trovare il luogo del potere racchiuso nel tuo essere e sprigionarlo, al resto penserà lui. – mi accorsi che era un po’ a disagio mentre ne parlava e la mia calma già precaria, crollò come un castello di vetro riducendosi in mille frammenti di paura pungente. Cominciai a tremare e avvertii le lacrime pizzicarmi gli angoli degli occhi.
– Niamh. – esclamò Louis sbiancando e afferrandomi forte le mani – Andrà tutto bene, te la caverai, ce l’ho fatta io, ce l’hanno fatta degli imbecilli madornali e, per tutti i demoni, tu sei la ragazza più in gamba che abbia mai conosciuto. Non aver paura, ti aiuterò io ok? – annuii costringendomi a distaccarmi da tutte quelle emozioni dolorose e seguii le sue istruzioni richiudendomi in quella gabbia di imperturbabilità che m’aveva sempre protetta, ma così facendo, oltre alla paura mi persi anche l’affetto di Louis. Lui non sembrò darci particolarmente peso, ma io ero tornata la ragazza fredda dei primi tempi e il nostro rapporto ne soffriva. Quando rincasarono i nostri genitori, ridivenimmo due soldatini quasi estranei.
Più la casa si riempiva, più io mi svuotavo; più la tensione saliva più io divenivo di pietra. Mio nonno se ne accorse subito e dedicò gli ultimi due giorni prima del fatidico evento totalmente a me, credendo che gettarmi a capofitto nel lavoro come avevo sempre fatto mi avrebbe aiutata, ma peggiorò solo le cose. La sera prima della prova ero giunta ad un livello tale di estraniamento che se mi avessero rotto una mazza di legno sulla schiena non ci avrei neanche fatto caso: dopo sedici anni di allenamento ero giunta alla perfezione assoluta, diventando un essere senza sentimenti, solo il fantasma di un individuo.
Ero stesa a letto con lo sguardo perso fuori dalla finestra quando una furia irruppe nella stanza, mi sollevò sulla spalla come un sacco di patate e saltò giù dal balcone.
- Se fossi ancora te stessa, m’avresti già atterrato. – ma io non reagii alla provocazione e guardai sconsolata il suo sedere visto che la posizione in cui versavo mi concedeva solo quella visuale. Da un punto di vista puramente geometrico-anatomico, la curva dei suoi glutei era assolutamente perfetta e la loro consistenza si presagiva molto soda.
Chissà come reagisce se gli do un pizzicotto. Magari mi fa scendere… ma non ebbi bisogno di ricorrere a misure così drastiche visto che fui esaudita. Mi accasciai lungo l’albero vicino cui mi aveva posata, la neve che già inumidiva gli indumenti regalandomi scariche di gelo.
- Che stai facendo scusa? – Louis mi guardava dall’alto con un sopracciglio inarcato e le mani sui fianchi – Devi arrivare in cima, non morire assiderata seduta sulle radici. – mi alzai stancamente.
- Come desidera, signore. – un suono strano mi stupì: mio fratello stava ringhiando.
- Bene, se la metti così, ci penso io! - mi riprese in spalla e cominciò ad arrampicarsi sul “nostro” abete. Più mettevo a fuoco la situazione, più un forte segnale di pericolo mi metteva in allerta.
- Louis… mollami. –
- Oh, finalmente la principessina ha degnato noi umili plebei della sua attenzione. Te lo puoi scordare che ti mollo proprio ora che sta funzionando. – mi guardai intorno con tutti i sensi aguzzati.
- Non voglio che tu ti dia per vinto con me, ma voglio che tu eviti di raggiungere rami non in grado di sorreggere il nostro peso congiunto. –
- Scusa banale: ritenta, magari sarai più fortunata. –
- Louiiis! – urlai quando un sonoro crack risuonò nell’aria immota e il ramo a cui si era appena aggrappato crollò trascinandoci nel vuoto. Feci forza nelle reni e con uno scatto mi raddrizzai afferrando la sporgenza più vicina, sperando che almeno quella ci reggesse. – Louis, stai bene? –
- Sì e nel caso te lo stia chiedendo, non ho alcuna intenzione di mollarti. –
- Invece è proprio ciò che farai. Salta sul ramo sotto di noi. –
- No! Lo farò crollare. –
- Ma se restiamo così sarà questo a crollare! – ormai sbraitavo come una belva inferocita, anche perché sentivo i muscoli delle braccia strapparsi. – Non ce la faccio più Louis… - sospirai e mi accorsi di star piangendo, delusa dalla mia debolezza, dalla mia incapacità di salvare mio fratello nonostante tutte le situazioni pericolose a cui ero sopravvissuta. Gli strinsi la spalla in una morsa salda e gli ordinai di far lo stesso con me a dispetto di tutte le sue proteste – Ora lasciami i fianchi. –
- Cos… -
- Louis dannazione fa come dico! – quando ebbe eseguito e fu un peso morto, i muscoli del braccio destro con cui ancora mi reggevo all’albero cedettero facendomi urlare dal dolore, ma non persi neanche un istante: spinsi Louis verso l’alto usando il braccio sinistro cui era aggrappato cosicché raggiungesse il tralcio più vicino. Tutto ciò durò pochi istanti, ma feci appena in tempo a metterlo in salvo che le mie dita si staccarono e precipitai nel vuoto spaccando tutto ciò che incontravo sul mio cammino, distruggendomi la schiena, finché non riuscii a schiarirmi le idee in quel mare di dolore e voltai su me stessa atterrando di petto su uno dei rami più grossi. Mi ci sistemai meglio e dopo un po’ mi raggiunse mio fratello, trafelato e preoccupato; mi abbracciò quasi piangendo di gioia, ma io protestai: avevo una spalla lussata ed un braccio inutilizzabile.
- Ti porto a casa.-
- No, faccio da me. – non mi importava d’averlo ferito, ma stavo così male da riuscire a stento a restar cosciente, non avevo tempo di occuparmi dei sentimenti di Louis.
- Devi farti curare da John o da tuo nonno. –
- No, faccio da me. – risposi nuovamente.
- Niamh, nessun unguento ti guarirà in tempo per domani mattina! –
- Sta zitto e collabora. – ero furibonda, quindi si affrettò a seguire le mie istruzioni.
- Tu non vuoi risultare idonea, non è vero? – non gli risposi ma continuai a mordermi il labbro mentre mi fasciava strettissimo il braccio per far stare tutti i pezzi al proprio posto. – E’ una cosa importante Niamh, se non passi non potrai diventare adulta e nessuno mai ti darà il rispetto che meriti. –
- Sei un illuso Louis: nessuno mai mi darà niente. E se non passo faccio un piacere a tutti: apri gli occhi una volta e per sempre, nessuno mi vuole tra i piedi, nessuno vuole che io esista! Sono solo una piaga, sono la vergogna della mia famiglia e domani gli darò proprio ciò che si aspettano; poi sarò libera d’andarmene a morire come meglio credo al fianco di mio nonno in giro per il mondo.-
- E’ davvero questo che vuoi, per il resto della tua vita? Nessun posto in questa società, nessun compagno da amare, nessun figlio da crescere, nessuna mansione da svolgere? –
- Non c’è posto per me in questa società Louis! – gli urlai contro con tutto il fiato che avevo in gola e maledissi le lacrime amare che mi appannavano la vista. Lui mi strinse forte la testa tra le mani guardandomi duramente, i suoi occhi due limpidi laghi di montagna.
- Il tuo posto è al mio fianco Niamh: sei mia sorella dannazione, ed è ora che te ne renda conto e ti comporti come tale! Ci vediamo domani mattina e mi aspetto che tu riduca in frantumi ognuna di quelle facce di bronzo che ti ritroverai davanti, che trasformi le loro convinzioni di ferro in mucchietti di polvere facendo crollare tutto il loro mondo! Mi hai capito? – mi urlò ad un millimetro dal mio viso, con tutta la rabbia che aveva dentro.
- Sì! – gli risposi io allo stesso modo, odiando ogni singola persona che mi odiava: li avrei fatti sentire nulla! 

Mi sono appena accorta che questo è il penultimo capitolo! °o°
Sto provando a scrivere il seguito ma è un po' articolata come trama, quindi renderla comprensibile e far quadrare tutte le cose è abbastanza difficile. Fatemi sapere se sareste comunque interessati a un seguito! ;)
Un bacio, Jane.

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Capitolo 9
*** CAPITOLO VIII ***



CAPITOLO VIII
Mi lasciai sfuggire un grugnito di dolore, ma continuai ad indossare la mia tenuta da battaglia: giubba e pantaloni aderenti in cuoio nero imbottito nei punti vitali, correlati da stivali alti al ginocchio. Osservandomi allo specchio mi accorsi che i miei capelli, a causa delle direttive di Rosaline, erano cresciuti fino alle spalle e m’avrebbero dato fastidio, quindi mi misi una fascia di cuoio sulla fronte per trattenerli e infine indossai i guanti. Ero indecisa se portare il pugnale nanico donatomi dal mio compagno di battaglie oppure no; ne accarezzavo le gemme dell’impugnatura sovrappensiero, quando mio nonno entrò e mi tolse dall’indecisione.
- Non è concesso portare alcun tipo di armi alla prova. – mi disse con sguardo indulgente.
- Neanche questo? – chiesi estraendo uno stiletto dal mio reggiseno e Jonathan rise.
- No, neanche questo. Vieni bambina, ti accompagnerò io all’arena. Sappi che sono molto fiero di te: sei stata il mio migliore allievo ed uno dei miei migliori combattenti; annientali. – annuii con la stessa serietà. Uscendo dalla stanza mi accorsi che mio fratello era appoggiato allo stipite della sua porta e mi guardava scuotendo la testa a metà tra il divertito e lo sconsolato; inarcai il sopracciglio non capendo e lui mimò il mio gesto nell’estrarre lo stiletto dalla biancheria; scoppiai a ridere.
- Sono contenta che tu sia rilassata Niamh, ciò significa che sei sicura di riuscire a tener alto il nome della mia famiglia? – chiese Cristopher che ci aspettava alla base delle scale, per poi accompagnarci alla carrozza dove già le due donne si erano accomodate. Gli rivolsi un ghigno di superiorità.
- So esattamente cosa significhi onorare il nome di mio nonno, sono già molti anni che lo faccio. – e lo lasciai lì a bocca aperta, salendo in vettura. Sedetti accanto a mia nonna e mio fratello mi si accomodò di fronte facendomi l’occhiolino: ostentava serenità e fiducia, ma riuscivo a leggere la preoccupazione celata nelle profondità dell’azzurro. Guardai il paesaggio scorrere oltre il finestrino e mi lasciai andare chiudendo gli occhi e concentrandomi solo sul suono del mio respiro, svuotandomi da ogni pensiero: potevo percepire perfettamente tutto ciò che mi accadeva intorno, ma non gli permettevo di condizionarmi e rompere il mio equilibrio interiore.
Io farò del mio meglio, non mi risparmierò, e se il mio meglio non sarà abbastanza, allora significa davvero che il mondo degli elfi non fa per me e me ne libererò per sempre. Stranamente, questo pensiero di per sé catastrofico, mi trasmetteva un enorme senso di pace. Chissà come sono i monti Urali o meglio, le caverne scavate nei monti Urali. Pensai riferendomi al regno dei nani. Sorrisi e aprii gli occhi e scoprii che il volto di Louis, come in risposta al mio, s’era disteso e i suoi occhi erano diventati di un azzurro caldo e luminoso. Mi sentii in colpa: se avessi fallito, non avrei più rivisto mio fratello e mi dispiaceva lasciarlo solo in quel mondo ipocrita. Mi intristii nuovamente e lui ci rimase male, ma non mi disse nulla visto che non eravamo soli. Quando finalmente giungemmo al luogo deputato, tutti mi salutarono con parole d’incoraggiamento nel caso della nonna e minacce velate nel caso dei miei “genitori”. Infine rimasero solo Louis e il nonno che mi avrebbe condotta al centro dell’arena per presentarmi ai giudici e agli astanti.
- Signore, può concedermi un istante da solo con sua nipote? – chiese mio fratello al severo guerriero che acconsentì nonostante la richiesta lo avesse colto di sorpresa. Quando fummo soli, Louis mi strinse le spalle e mi puntò con i suoi limpidi occhi azzurri.
- Qualunque cosa accada, sarai sempre mia sorella. – poi mi sorrise scaltro e un lampo attraversò il suo sguardo – Puoi fare tutto ciò che ti pare, ma non c’è nulla che mi indurrà a mollarti, hai capito? – gli sorrisi sinceramente, quasi ridendo nonostante la tensione.
- Certo che sei cocciuto. –
- Anche tu, è per questo che mi piaci. – e, con un ultimo occhiolino, mi lasciò al mio destino. Trassi un profondo respiro ed attraversai una porta di legno assieme a mio nonno. Mi ritrovai in un ampio spiazzo d’erba sui cui tre lati sorgevano degli spalti, mentre dietro di me c’erano altre porta da cui si sarebbero materializzate le mie prove. Jonathan mi presentò fornendo i miei natali e i livelli d’educazione da lui impartitomi, ma ad un certo punto fu interrotto da un elfo giurato dagli occhi grigio-verdi e i capelli castano molto scuro, quasi neri. Lo osservai attentamente e mi accorsi che non era più alto di un metro e ottantacinque, questo significava che poteva essere…
- Non ha importanza, resta comunque una mezzosangue e la valuteremo come tale. La sua presenza non è più richiesta Jonathan. La prova può cominciare. – mio nonno sbiancò e si inchinò rapidamente, mi strinse forte la spalla per farmi forza, ma il suo viso turbato non mi aiutò e mi ritrovai sola ed impaurita al centro di quell’arena, sotto lo sguardo inquisitorio di quelle persone che erano riuscite a smuovere anche il mio imperturbabile parente. Scrutai la folla e vidi una tale diffidenza nei loro occhi da poter quasi essere odio, anzi, l’elfo che aveva parlato prima mi scrutava così intensamente che ebbi paura stesse per mandarmi un incantesimo d’incenerimento. Sconsolata, mi voltai verso le porte alle mie spalle e tirai un respiro profondo; quando dai meandri di legno balzarono fuori due enormi e magnifici lupi grigi, sorrisi rincuorata: se il loro mettermi in difficoltà si limitava a farmi fronteggiare animali selvatici, non avrei avuto problemi. Mi acquattai finendo quasi a quattro zampe e mossi il naso come per annusare l’aria; rimasi immobile e stabilii un contatto visivo col maschio alfa che si avvicinò per primo: era un esemplare stupendo, dagli splendidi occhi dorati. Scoprì le zanne e mi ringhiò piano come avvertimento, ma quando capì che non costituivo un pericolo, si approssimò di più e annusò il mio odore; rassicurato si allontanò sferzando l’aria con la folta coda ed il suo compagno al seguito. Io mi rialzai e presi a correre assieme a loro superandoli ben presto: i due animali iniziarono ad inseguirmi e a giocare con me, fino a placcarmi a terra, provando a mordermi simulando una lotta; alla fine mi arresi a mi leccarono tutta la faccia facendomi ridere per il solletico.
- Adesso basta! Signorina, si sta forse prendendo gioco di noi? Non è questo il luogo adatto ai suoi svaghi infantili! Procedete col percorso. – i due animali furono rimessi in libertà  e degli attendenti ricrearono un percorso ad ostacoli ai limiti dell’umano: le distanze erano così ampie che era necessaria un’abilità enorme per saltare da un posto all’altro; gli ostacoli da superare così contorti e irti di lame che solo un vero esperto avrebbe potuto superarli. Inarcai un sopracciglio stupita: ma non era una prova per principianti? Ci doveva esser qualcosa che non andava e doveva dipendere dall’elfo dagli occhi verdi, visto che mi odiava; o semplicemente odiava i mezzosangue in generale. Mi apprestai a salire sulla prima rampa il più velocemente possibile, poiché veniva valutata anche la rapidità d’esecuzione, poi mi slanciai ad afferrare una sbarra e mi sfuggì un gemito di dolore quando tutto il mio peso gravò sulle braccia già provate dalle prestazioni del giorno prima; alla fine mi costrinsi a contrarre gli addominali e, con uno scatto delle anche, saltai con la sbarra alla scanalatura superiore; feci questo per dieci volta e arrivata in cima presi a dondolarmi per acquisire lo slancio necessario a raggiungere il cubo posizionato a quindici metri di distanza. Ci arrivai per un pelo e rischiai di perdere l’equilibrio volando nel vuoto, visto che ero atterrata in bilico sul ciglio. Feci per proseguire ma notai che alcune zone erano più scure di altre; battei il piede su una di queste e non accadde nulla; colpii allora una zona chiara ed una lama lunga mezzo metro comparve dal pavimento; mi affrettai nell’arduo compito di superare quel labirinto. Giunta alla fine, c’era un intricato insieme di fili intrecciati e spunzoni che riconducevano verso terra; quando ebbi terminato l’esercizio, ero fradicia e spossata, ma non avevo riportato neanche un graffio: la delusione del giudice malevolo fu palese, le sue labbra e i suoi occhi divennero bieche fessure.
- Complimenti signorina, visto che siete così brava, direi che possiamo procedere con l’ultima e più importante prova. – pronunciò alcune parole in una lingua strana e il mondo intorno a me mutò, riempiendosi di nebbia densa e cupa; udivo suoni e stridii di svariati animali, ma non vedevo quasi nulla; a poco a poco, iniziai a sprofondare: ero in una palude e mi avevano catapultato direttamente nelle sabbie mobili! Prima che venissi ingabbiata troppo, decisi di cominciare a correre al limite delle mie capacità, ma mi accorsi ben presto che, benché scorgessi dei rami in lontananza, la palude sembrava crescere ad ogni mio passo; ormai ci nuotavo quasi dentro, la melma mi ostruiva il petto. Mi concessi un ultimo sforzo: o riuscivo ad afferrare qualcosa, o sarei morta; slanciai il braccio destro in avanti verso una radice che vedevo in lontananza, finendo anche col volto nel fango: credevo d’esser spacciata, ma poi le mie dita percepirono una superficie solida e mi ci aggrappai come mia ultima ancora di salvezza; tirai con tutte le mie forze e dopo enormi pene, riuscii a sedermi sulle radici di un albero palustre. Ma la tregua durò poco: un insistente ronzio riempì l’aria facendosi sempre più vicino; non mi voltai neanche a guardare, semplicemente ricominciai a correre. Ma la foresta era piena di sabbie mobili e ostacoli, così fui costretta a rallentare e gli insetti mi raggiunsero pungendomi e provocandomi stilettate di dolore: avvertii la mia pelle gonfiarsi, ma la cosa che mi faceva più paura era che potessero infilarsi nelle orecchie o nel naso, così mi sfilai i guanti e mi tappai le orecchie, serrai le mascelle e mi coprii occhi e naso con le mani; non sapevo più dove stavo andando e potevo solo far affidamento sul mio olfatto mezzo ottenebrato. Il mio istinto comunque mi protesse e riuscii a saltare da una radice all’altra senza inciampare. Fu grazie al mio sesto senso che avvertii l’acqua prima ancora di arrivarci; seppi esattamente che non era un piccolo acquitrino ma una distesa enorme e che non avrei potuto evitarla. L’acqua era perfetta per sfuggire agli insetti, ma quali altri diabolici mali si celavano al suo interno? Percepii il terreno farsi molle e saltai quanto più in alto e lontano riuscissi; dopo pochi secondi, il liquido gelido mi penetrò nelle ossa lenendomi le ferite.
Aprii gli occhi e sbiancai: un enorme squalo bianco nuotava velocissimo nella mia direzione; le mie bolle perdevano pus e sangue e la bestia era fatalmente attratta. Non provai a risalire perché comunque non avevo scampo e mi spinsi verso il fondo del lago per ritrovarmi sotto la bestia: sapevo esattamente cosa dovevo fare per sopravvivere, anche se odiavo attuarlo. Quando le sue fauci furono pronte a piombare sulla mia testa dall’alto, scattai in avanti e colpii il petto del bestione con un pugno talmente forte da sfondarglielo, afferrai il cuore e glielo strappai. L’animale ebbe un ultimo sussulto e poi mi crollò addosso vittima della forza di gravità; era enorme e il suo peso mi spinse sul fondo del lago ancorandomi lì. Ci misi un po’ a liberarmi di lui e quando ci riuscii, avevo finito la mia riserva d’ossigeno e la superficie sembrava lontanissima; chiusi gli occhi che ormai piangevano mischiando acqua salata ad altra acqua salata e digrignai i denti battendomi con tutte le mie forze per vivere: non riuscivo neanche più a pensare, ma il mio istinto di sopravvivenza continuava a spingere le braccia una avanti all’altra. Quando emersi fu come uscire da un incubo e mi sollevai fino al busto prima di capire d’esser arrivata; inspirai a pieni polmoni, ma non potei godermi il momento poiché l’adrenalina innescatasi con la paura mi riscosse spingendomi a muovermi verso la riva. Man mano che mi avvicinavo però, i miei pensieri si schiarirono e cominciai a valutare cosa mi avrebbe atteso una volta uscita: non ne avevo idea e la prospettiva mi terrorizzava; smisi di nuotare per un istante e pensai di lasciarmi andare.
Non ne vale la pena. Pensai sentendo in un sol momento tutti i miei dolori e la mia stanchezza, ma non erano i problemi fisici a destabilizzarmi, quanto lo sfinimento mentale: se anche avessi superato quella dannata selezione, avrei dovuto continuare a combattere ogni singolo giorno della mia vita in quella società che mi odiava, ed io ero un’immortale. Avrei voluto arrendermi, sul serio, ma l’acqua aveva il colore degli occhi di mio nonno e di Louis. Loro ci sarebbero rimasti male se mi fossi data per vinta.
Lascia quel dannatissimo lago ringhiando e mettendomi in posizione di difesa, pronta a fronteggiare qualsiasi cosa mi si fosse presentata davanti, ma il mondo tornò a cambiare e tutto divenne bianco. Il mio cuore perse un battito e mi sentii gelare.
No, non può essere: come fanno a saperlo? Non possono! Indietreggiai terrorizzata iniziando ad ansimare, finché non mi appiattii contro una parete: non avevo vie di fuga. Una porta, prima invisibile, si aprì facendo entrare un uomo interamente vestito di bianco: si intravedevano solo gli occhi, di un gelido ed impenetrabile grigio-verde. Affondai le unghie nel muro dietro di me spezzandomele e facendomi ancora più male, certa che però non sarebbe stato niente in confronto al trattamento che mi avrebbe riservato quell’essere. Cercai la frusta, o la spada, o qualsiasi altro strumento di tortura ma non ne trovai; mi chiesi quale sarebbe stato il mio supplizio, ma una stilettata di dolore al cervello fugò ogni mio dubbio: voleva impossessarsi della mia mente. Mi rannicchiai su me stessa come un riccio in fase difensiva, ma l’attacco si fece sempre più forte e io mi sforzai di non pensare a niente eccetto il bianco del pavimento asettico innanzi a me. Sentii i suoi passi avvicinarsi. Cominciai a piangere. Il sibilo della frusta. Non mi importava, davvero, ma lui colpì la mia schiena e la mia mente nello stesso istante, con tutta la potenza e la crudeltà possibili: lanciai un urlo belluino e inarcai la schiena ringhiando forte, i denti scoperti in segno di minaccia, mentre lo guardavo con odio.
No, no, no! La mancanza di concentrazione gli permise di penetrare nella mia testa e scrutare tutti i miei pensieri e ricordi, sfogliandoli crudelmente e sconvolgendoli tutti mandandomi in confusione. Mi presi il capo tra le mani premendo forte, per cacciarlo, ma non ci riuscii: stava riportando a galla cose terribili che volevo dimenticare. Desiderai che andasse via con tutta me stessa, lo desiderai così intensamente che percepii una scarica d’energia percuotermi e poi più nulla, come se il mondo intorno a me fosse scomparso; continuai a restare rannicchiata, a piangere tutto il mio dolore, sentendo solo quello e null’altro.
I suoni ci misero un po’ a raggiungermi, prima come un brusio lontano ed indistinto, poi sempre più forti ed alti. C’era una voce in particolare, che riuscì a farsi strada nella mia mente: era acuta, bella, ma tremendamente acuta, tendente all’isteria.
- Cosa le avete fatto! Lasciatemi passare! – un ringhio così potente e feroce accompagnò queste parole, che aprii mollemente gli occhi per vedere chi lo avesse emesso, e scoprii il caos che regnava attorno a me: il pubblico si stava rivoltando, i miei nonni redarguivano i giudici che ribattevano alteri e Louis quasi sbranava due attendenti che gli impedivano di venirmi incontro; gli feci un piccolo cenno con la mano e lui si bloccò all’istante, guardandomi per metà sollevato e per metà preoccupato. Mi alzai stancamente in piedi, divaricando un po’ le gambe per esser più salda e guardai i giudici: mi sentivo il cadavere di me stessa. Vedendomi dritta, tutti si zittirono all’istante.
- La prova è conclusa? – l’elfo che mi odiava annuì –Verdetto? –
- Idoneo. – rispose con quanto più veleno potesse mettere nella voce. Il pubblico fece per acclamare ma io parlai di nuovo. – Posso andare? –
- Sì. – chinai brevemente il capo ed uscii dall’arena come un automa, concentrandomi solo sul compito fisico di mettere un piede davanti all’altro; non mi fermai ad aspettare nessuno una volta uscita, perché non volevo vedere nessuno, e presi la strada di casa attraverso i boschi, avanzando lentamente e senza forze. Quando giunsi alla tenuta, continuai ad ignorare tutti e mi rinchiusi in camera mia, stendendomi sul letto in posizione fetale, a guardare gli alberi attraverso la finestra spalancata.
Ad un certo punto sul balcone comparve Louis, stava per dire qualcosa di spiritoso visto che sorrideva, ma incrociando il mio sguardo l’allegria gli morì in gola: i miei occhi erano vuoti, come anche la mia anima. Si accucciò di fronte a me osservandomi con i suoi luminosi occhi azzurri, ma neanche la bellezza del mio colore preferito riuscì a smuovermi e lui lo capì: non c’era nulla da festeggiare, m’aveva persa di nuovo. Una lacrima amara sfuggì al suo controllo mentre mi accarezzava dolcemente la guancia destra. Mi baciò delicatamente la fronte e mi lanciò uno sguardo intenso: “quando sarai pronta, saprai dove trovarmi”; poi mi volse le spalle e sparì da dove era venuto.
Spazio d'autrice.
Cari lettori,
la storia di come Niamh e Louis si sono conosciuti, e di come le loro vite si siano legate insieme per molto tempo a venire, si conclude qui. Della loro vita alla "scuola per elfi", si parlerà in un'altra storia, che sto già scrivendo, ma che, essendo piuttosto costruita, necessita di un bel po' di tempo per elaborazione e stesura finale. Tutto ciò per dirvi che non so quando tornerò a pubblicare: spero che l'attesa non si riveli troppo lunga, ad ogni modo, ogni tanto controllate la serie TURN IT OFF cui queste avventure appartengono.
Mi auguro che la storia non vi abbia deluso e che vorrete continuare a seguirne i risvolti nella prossima/e. In futuro compariranno tutti e 5 i One Direction, con ruoli davvero inusuali ed oserei dire inaspettati.
Per ora vedrò di dedicarmi a qualche OS.
Buone feste a tutti voi, con affetto, Jane.

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