Sentimenti e altri misteri

di Tamar10
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** BOOM! Sei la mia nuova coinquilina ***
Capitolo 2: *** Gatti, traslochi e altri problemi ***
Capitolo 3: *** Domande scomode ***
Capitolo 4: *** La quiete prima della tempesta ***
Capitolo 5: *** L'inizio dei guai ***
Capitolo 6: *** Kindnapping time ***
Capitolo 7: *** Obbligo o verità? ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** BOOM! Sei la mia nuova coinquilina ***



Quando Sherlock fece irruzione a casa sua a Molly venne quasi un infarto. Per la seconda volta durante quel folle giorno di Santo Stefano.
Innanzi tutto il suddetto detective sarebbe dovuto essere in viaggio per una missione segretissima nell'Europa dell'est e inoltre non era decisamente il momento ideale perché qualcuno – soprattutto quel qualcuno – entrasse in casa sua senza preavviso. Molly si stava godendo le vacanze di Natale – per quanto uno se le possa godere dopo aver visto un criminale psicopatico che si pensava morto comparire vivo e vegeto in diretta tv (motivo del primo infarto) – con indosso un vecchio pigiama grigio e un paio di imbarazzanti pantofole rosa shocking.
Non esattamente nello stato che chiunque chiamerebbe “presentabile”.
“Perché sei qui?” chiese boccheggiando per sorpresa. Non perché fosse entrato nel suo appartamento senza che lei se ne accorgesse – non era la prima volta che capitava – ma soprattutto perché non era pronta a rivederlo così presto dopo avergli detto mentalmente addio.
“Moriarty è tornato”
“Cosa?”
“Jim. Il tuo ex-fidanzato sociopatico è ancora vivo” spiegò Sherlock pazientemente.
“Grazie, Sherlock, ma l'avevo notato. Era su tutti gli schermi”
“Oh, bene” Sherlock si guardò attorno e a Molly sembrò stranamente a disagio. In effetti era un elemento del tutto in contrasto con l'appartamento e vederlo lì, impalato in mezzo al suo salotto, dava la stessa impressione di una maglietta arancione con degli short rossi. Un pugno nell'occhio.
“Immagino vorrai vestirti” disse lui dopo un momento di imbarazzante silenzio.
“Io...no...cosa..? Perché sei qui?” domandò ancora Molly.
“Mi sembra abbastanza evidente, Molly. Devo portarti al sicuro” Molly continuò a guardarlo perplessa “Moriarty. Lui non commetterà due volte lo stesso errore. Qui sei in pericolo”
“Oh” disse Molly e non seppe davvero cosa aggiungere perché Sherlock che si preoccupava per un altro essere umano – in particolare per lei – era davvero un fatto impensabile.
“Non vuoi vestirti?” chiese Sherlock. Il suo tono sembrava sinceramente curioso, come se trovasse Molly un essere strambo e indecifrabile, capace perfino di uscire la sera del 26 Dicembre di uscire di casa in pigiama.
Molly arrossì e si diede della stupida.
“Vado a vestirmi. Tu stai qui” si fermò un attimo a riflettere “Beh, sì, ovviamente. Non intendevo...non avrei mai inteso che per qualche ragione tu saresti dovuto venire con me...era solo...” riprese a farneticare gesticolando in maniera convulsa.
“Molly” la richiamò Sherlock cercando di dare alla sua voce un tono solo leggermente irritato.
Lei si limitò ad arrossire ancora di più, raggiungendo la preoccupante sfumatura rosa shocking delle sue pantofole, e poi sparì in bagno.

 
Molly davvero amava Sherlcok – nonostante una parte di sé stesse ancora cercando di negare l'evidenza ormai si era rassegnata all'idea – ma odiava quando lui gioiva per cose completamente sbagliate. Ad esempio quando piombava a casa sua felice che il suo ex-fidanzato (di Molly) ed ex-nemico (di Sherlock) fosse ancora vivo.
Di per sé forse non sarebbe neanche stata una cosa tanto brutta, se non si considerava che il suddetto ex-fidanzato/ex-nemico fosse un pericoloso genio criminale che attentava alla loro vita.
In quel caso il sorriso contento di Sherlock assumeva una sfumatura preoccupante.
“Smettila” sbottò infine senza riuscire a trattenersi.
Sherlock si voltò verso di lei come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza nel taxi. Non sorrideva, ma l'eccitazione era ancora evidente nei suoi occhi.
“Di fare cosa?” domandò confuso.
“Di essere così felice. È innaturale”
Il sorriso si riaccese sulle sue labbra.
“È geniale” rispose, stava per perdersi di nuovo dietro ai suoi pensieri ma lo sguardo accusatorio di Molly lo riportò alla realtà “Anche tu non dovresti essere così felice se è per questo”
Lei assunse un'espressione quasi offesa. Come poteva pensare che lei fosse felice dopo che era stata strappata dalla sua tranquilla casa per andare in qualche posto segreto a nascondersi per salvarsi la vita?
Sherlock dovette intercettare qualcosa dal suo sguardo perché pensò bene di spiegarsi.
“Non intendo in questo preciso momento. In questo periodo hai rotto il tuo fidanzamento, eppure sei ingrassata e hai cominciato a dedicarti ad attività creative che stimolano il cervello come la cucina, la musica e la lettura. Non sembri aver patito troppo per la separazione, sembra quasi che tu ti sia tolta un peso”
Molly aprì e chiuse la mano, tenta di schiaffeggiarlo nuovamente. Invece decise di sopportare. Si girò verso il finestrino e passarono i restanti venti minuti di viaggio in silenzio.

 
Quando il taxi si fermò davanti al 221B di Baker Street Molly si voltò perplessa verso Sherlock.
“Cosa ci facciamo qui?”
“Mi sembra evidente” disse Sherlock pagando la corsa “Siamo arrivati”
“Pensavo avessi detto che mi avresti portato al sicuro” gli gridò dietro scendendo dal taxi e seguendolo fino al portone.
Sherlock si fermò e per poco lei non gli finì addosso.
“Nessun posto e più sicuro di Baker Street” disse aprendo la porta.
“Ti devo ricordare” ansimò Molly cercando di stargli dietro salendo le scale “cos'è successo due anni fa? O ancora prima? Quando è esplosa quella bomba o i vicini assassini specializzati o quando la signora Hudson è stata...”
“Ho capito!” la interruppe Sherlock girandosi verso di lei “Eppure, lo dicono i fatti, non è ancora morto nessuno”
La differenza di altezza, con lui due scalini sopra, era ancora più evidente e il suo sorriso disumano non aiutava affatto a rendere le cose meno inquietanti. Al contrario.
“È quell'ancora che mi preoccupa” borbottò Molly abbastanza piano per non essere sentita dal detective che nel frattempo aveva già raggiunto il pianerottolo.

 
“Signora Hudson!” chiamò Sherlock mentre appoggiava il suo cappotto allo schienale della poltrona. Non si udì nessun rumore in risposta.
“Magari ha da fare” disse Molly accennando uno dei suoi sorrisi nervosi.
“Signora Hudson!” gridò più forte lui ignorandola.
Finalmente si udirono dei passi sulle scale e una voce in risposta.
“Non sono la tua cameriera, signorino!”
Sherlock fece finta di niente e continuò a girare per la stanza, in fibrillazione.
“Deve preparare la camera degli ospiti” disse distrattamente “Dove diavolo a messo il mio violino?!”
“John è tornato?” chiese la padrona di casa aprendo la porta “Oh, ciao cara!” disse poi vedendo Molly.
“Signora Hudson, il violino!” ripeté Sherlock scocciato.
“Che razza di maniere! Tuo fratello mi ha chiamato solo mezz'ora fa per dirmi che saresti tornato. Aveva già messo via il tuo violino perché non si rovinasse”
Sherlock fece un gesto vago della mano che poteva significare tutto – da un “grazie” a un “chi se ne frega” – poi uscì dalla stanza con passo deciso.
Molly fece alla signora Hudson un sorriso di scuse. Lei scosse la testa di rimando con finta disperazione, nonostante tutto era felice che fosse tornato.
“Cosa ci fai qui, cara? Mi era sembrato di capire che avevamo un ospite” le chiese.
“Ehm...” Neanche Molly aveva capito la situazione. O meglio, l'aveva capita ma non le andava affatto bene la piega che gli eventi stavano prendendo.
“Mi pare ovvio: Molly è l'ospite” disse Sherlock rientrando nella stanza con in mano il violino.
“Questo vuol dire...?”
“Esatto, signora Hudson. Al contrario di quanto ha scommesso Mycroft, a quanto pare avrò un nuovo coinquilino”
Poi si sistemò il violino sotto il mento e cominciò a suonare un'aria allegra, del tutto in contrasto con l'umore di Molly.

 
Sherlock riusciva quasi sempre a motivare le sue scelte in maniera razionale, ma nonostante la sua mente singolare era un essere umano, quindi a volte gli capitava di fare azioni impulsive e illogiche. O come diceva John della grandissime cazzate.
Un altro suo grande problema era che tendeva a non fidarsi della gente.
Si fidava di John ovviamente, ma il suo caso era più che altro l'eccezione che conferma la regola. Si era fidato subito di Mary e come ricompensa aveva ricevuto una pallottola nel petto. In suo fratello aveva tanta fiducia quanta Mycroft ne aveva in lui. Cioè molta poca.
A maggior ragione Sherlock non si fidava di Molly Hooper e dei suoi pazzi cambi di idee dettati dai sentimenti.
È per questo, si diceva, che ho deciso di fare questa...cosa.
In realtà non c'era un motivo preciso per aver scelto di condividere il 221B con Molly. Ovviamente l'aveva fatto per proteggerla perché lui stesso era meglio di qualsiasi programma protezione testimoni o servizio segreto, inoltre aveva il presentimento che Molly avrebbe potuto giocare un ruolo importante nella sua nuova partita con Moriarty e inoltre – anche se non l'avrebbe mai ammesso – non gli piaceva stare solo.
Eppure, considerando tutte le variabili, c'era sempre un particolare che gli sfuggiva, qualcosa che aveva la sensazione di aver omesso. Sherlock odiava non capire cosa stava succedendo, soprattutto se stava succedendo nella sua testa.
Si passò una mano fra i capelli e quando accese il display del cellulare vide che erano le tre meno un quarto di notte. Strizzò gli occhi cercando di capire che fine avesse fatto Molly. Aveva il vago ricordo di averla sentita chiedere qualcosa riguardo a una camera da letto qualche ora prima mentre lui era ancora immerso nei suoi pensieri.
Non ricordava cosa di preciso quindi con un'alzata di spalle decise che era arrivato il momento di riposare e si diresse in camera sua. Quando aprì la porta vide Molly che dormiva beata nel suo letto, le coperte quasi del tutto per terra.
Per un attimo ebbe un deja vu di un'altra donna, la Donna, che dormiva in quello stesso letto, ma scacciò quell'immagine con un moto di fastidio.
In fondo quella era Molly, solo Molly. Il che non implicava nessuna agenzia segreta o ricatto o manipolazione e stranamente, in qualche modo, l'apparente normalità era un sollievo per Sherlock Holmes.
Stava per richiudere la porta ma si bloccò con la mano già sulla maniglia. Provò l'insano impulso di restare lì – tanto ormai sapeva già che non sarebbe più riuscito a dormire quella notte – ma qualcosa, probabilmente il buon senso, lo frenò.
Lentamente raccolse le coperte e le rimboccò fin sotto il mento di Molly. Poi se ne andò chiudendo silenziosamente la porta.









Note:
Questa long è un esperimento. Ne ho già scritta più o meno metà (dovrebbero essere una decina di capitoli al massimo)
Cerca di analizzare il rapporto fra Sherlock e Molly non solo dal loro punto di vista, ma anche da quello di altri personaggi. Per la prima volta forse, sottilineo forse, scriverò una storia quasi allegra (cercherò di arginare la mia vena angst) e lo stile che cerco di utilizzare a tratti è volutamente ironico e un po' esasperato addirittura.
Non so come/quando/se aggionerò. Insomma se la storia è un flop totale non ha molto senso continuare .-. fatemi sapere cosa ne pensate.
P.s. Il cambiamento (apparente) di Molly ancora non si vede all'inizio. Abbiate pazienza.

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Capitolo 2
*** Gatti, traslochi e altri problemi ***



Molly si diede dell'idiota, se lo ripeteva spesso – preoccupantemente spesso – durante il giorno, ma non le era mai capitato di darsi dell'idiota appena sveglia.
La sera prima Sherlock si era chiuso nel suo solito pensoso mutismo e aveva ignorato le sue domande come se lei neanche esistesse. Era stata tentata di prenderlo a schiaffi – di nuovo, ci teneva a ricordare – ma aveva semplicemente deciso che in ogni caso non ne sarebbe venuto niente di buono. A un certo punto aveva pensato semplicemente di andarsene, Sherlock non se ne sarebbe neanche accorto in quel momento, ma era passato da un pezzo l'orario in cui era conveniente che una donna andasse in giro per Londra da sola. Inoltre la storia del ritorno di Moriarty l'aveva turbata più di quanto volesse ammettere.
Così aveva deciso di fermarsi a dormire lì – solo per questa volta – e si era subito assopita nella ex-camera di John. Salvo poi scoprire il mattino seguente che quella non era affatto la ex-camera di John.
Per questo Molly si ritrovò a darsi della stupida quando aprendo gli occhi vide i vesti di Sherlock sparpagliati per la stanza e capì di aver fatto un terribile errore. Già la sera prima avrebbe dovuto capire che nessuna persona sana di mente teneva appesa in camera sua a mo' di poster una tavola periodica. Semplicemente non ci aveva fatto caso. “Tu guardi, ma non osservi” era un'accusa che aveva sentito già troppe volte.
Molly scosse la testa come per cacciare la fastidiosa voce dai suoi pensieri.
Già allora sapeva che la convivenza con Sherlock non avrebbe portato niente di buono. Andarsene era l'unica cosa sensata in quel momento, perché due anni fa vivere a Baker Street sarebbe stato il suo sogno, ma ora sapeva che non ce l'avrebbe fatta. Non conservando la sua integrità mentale.

 
“Dove stai andando?” chiese Sherlock senza alzare gli occhi dal computer.
“Al lavoro, esattamente dove sarei dovuta essere un'ora fa. Sarà un miracolo se non mi licenziano. Poi tornerò a casa. A casa mia” tenne a specificare mentre infilava il cappotto.
Non voleva essere particolarmente acida, ma in quegli ultimi mesi Sherlock riusciva a destare il suo lato peggiore e in quel momento era ancora seccata per aver sbagliato stanza. Sperava con tutta sé stessa che Sherlock non se ne fosse accorto, speranza inutile visto che si accorgeva di tutto. Si chiese dove avesse dormito, ma in realtà non era affatto sicura che gli servisse dormire –di sicuro non lo considerava un bisogno essenziale come faceva chiunque altro –.
“Non credo sia una buona idea” commentò pacato.
“Se permetti sono adulta. So perfettamente quello che sto facendo” ribatté lei.
Sherlock non disse niente, ma alzò entrambe le sopracciglia con un'espressione piuttosto eloquente.
“Beh, ciao” disse Molly esitando sulla porta. Era sorpresa, e a dire la verità anche un po' delusa, aveva pensato che lui avrebbe fatto almeno un tentativo di fermarla. Di solito quando decideva una cosa non cambiava idea tanto facilmente, ma in quell'occasione sembrava non importargli se la sua volontà veniva contraddetta.
“Non dovresti neanche andare al lavoro”
La voce di Sherlock era distante e il suo sguardo era fisso sullo schermo del portatile, come se la sua mente fosse altrove.
“Oh cielo! Perché mai?!”
“Perché, come ti ho già detto ieri sera, sei in pericolo”
Per la prima volta quella mattina incrociò il suo sguardo. I suoi occhi azzurri brillavano di fredda intelligenza e Molly li trovò – molto inappropriatamente – mozzafiato.
“Il tuo appartamento è esploso” comunicò la notizia con la stessa tranquillità con cui una persona normale avrebbe commentato il tempo.
Molly aprì e chiuse la bocca un paio di volte in cerca d'aria.
“In che senso?” riuscì a chiedere infine.
“Esploso, Molly” ribadì Sherlock “Saltato in aria, distrutto, scoppiato...”
“Credo di aver capito il concetto” disse Molly cercando di metabolizzare l'accaduto “Perché il mio appartamento? Sei stato tu?”
Sherlock le lanciò un occhiata vagamente offesa.
“Ti sembro forse un dinamitardo?” chiese indignato e Molly ritenette fosse meglio non rispondere. “Visto che a quanto pare le cose sono andate esattamente come pensavo sarebbero andate” riprese lui calcando il tono sull'ultima parte della frase, “penso sia meglio che tu non rimanga qui”
Molly era shockata e arrabbiata, ma anche spaventata per quella notizia improvvisa.
“Ma...il lavoro...” cercò di protestare debolmente.
“Puoi lavorare qui” disse Sherlock indicando la cucina con un gesto distratto.
“Questo posto non è un obitorio” osservò Molly . Lui si guardò intorno per plesso, come se quella fosse la prima volta che qualcuno glielo faceva notare.
“Si troverà una soluzione” disse scrollando le spalle.
Molly si lasciò cadere su una poltrona – sulla poltrona di John, notò Sherlock con fastidio – con ancora indosso il cappotto.
“Immagino dovrò restare qui” sospirò rassegnata.
“Già” rispose Sherlock soddisfatto, anche se non sapeva precisamente per cosa.
Dopo un attimo di silenzio lei si alzò di scatto, colpita da un pensiero improvviso.
“Dov'è Toby?” chiese angosciata.
“Ho detto a mio fratello di spostare tutto al sicuro in un magazzino. Quando è esploso l'appartamento era vuoto”
Molly si risiedette e questa il suo fu un sospiro di sollievo.
“Ma perché mai avrebbero dovuto distruggerlo se non c'era niente all'interno?” chiese scocciata pensando che mancava qualche mese e avrebbe finito di pagare il mutuo.
“Era un avvertimento, Molly Hooper” disse Sherlock non senza una certa teatralità “La prossima volta sarà molto peggio” La sua voce profonda rendeva quella minaccia ancora più inquietante.
Molly cercò di pensare ad altro, altrimenti sarebbe decisamente impazzita. Impazzita o morta d'infarto.
“Quando porteranno Toby qui?”
Sherlock si stava immergendo nuovamente nei suoi pensieri, ma prima le lanciò un'ultima occhiata.
“Non ho detto che il gatto potrà venire qui” disse “Né che stia ancora bene” aggiunse con un sorriso da brividi.
Molly sperò che stesse scherzando. Ma in fondo quello era Sherlock e non si poteva mai esserne certi.

 
Quando il cellulare di John squillò nel cuore della notte i coniugi Watson si svegliarono di soprassalto. Erano due giorni che non avevano notizie di Sherlock – a quell'ora della notte non poteva essere altri che lui – e stavano iniziando a preoccuparsi.
John afferrò il telefono e con l'adrenalina già in circolo aprì il messaggio.
“BARTS. ORA. HO BISOGNO DI AIUTO. SH”
Il cuore di John cominciò ad accelerare.
“Devo andare, amore” disse a Mary.
La moglie era preoccupata per lui e per Sherlock, ma anche orgogliosa. Sapeva che suo marito era un amico fedele e, prima ancora, un uomo coraggioso costantemente pronto a rischiare la propria vita. In fondo era proprio per questo che lo amava tanto.
Gli diede un bacio, se non fosse stata così avanti con la gravidanza l'avrebbe accompagnato di sicuro.
John si vestì in fretta e prese un taxi. Pensieri cupi gli ronzavano in testa. Ovviamente Moriarty era coinvolto, inoltre il Barts era stato proprio il luogo del loro ultimo scontro e dove aveva pensato di aver perso Sherlock per sempre.
Il tassista lo guardò male mentre gli allungava i soldi con mani tremanti, probabilmente pensò fosse solo l'ennesimo ubriacone che tornava a casa alle quattro del mattino. John si lanciò praticamente fuori dal taxi senza aspettare il resto e corse verso l'ingresso dell'ospedale.
Sherlock lo aspettava appena fuori dalle porte automatiche, la sua silhouette nera era ben visibile in contrasto con la luce che usciva dall'atrio. Il dottore rallentò appena il passo quando vide che l'amico era solo e che apparentemente non si era ancora accorto di lui.
Aveva il colletto della giacca alzato come al solito e un'espressione imbronciata che John aveva imparato a conoscere e a temere. Era la classica espressione “perché-le-cose-non-stanno-andando-come-voglio?!” che rendeva le azioni di Sherlock non molto dissimili da quelle di un bambino capriccioso.
“Sherlock!” si annunciò John, “Cosa sta succedendo?”
Il detective entrò nell'ospedale con passo svelto e John lo seguì, come sempre.
“Sei in ritardo. Ti ho scritto sedici minuti fa, cosa avevi di meglio da fare?” gli chiese scocciato.
“Dormire, forse? Sai è questo che fanno le persone alle quattro di notte!” gridò John mentre il fastidio per essere stato svegliato nel cuore della notte prendeva il posto della paura.
Sherlock non diede segno di averlo sentito.
“Non mi hai ancora spiegato perché mi hai chiamato. Qual'è l'emergenza?” domandò ancora Watson.
Sherlock proseguì lungo la strada che portava al laboratorio di Molly e che loro due avevano percorso molte volte nel corso degli anni. Finalmente si arrestò di fronte alla porta chiusa e si girò a fissarlo negli occhi.
“Hai mai fatto un trasloco, John?”
Erano anni che John Watson conosceva Sherlock Holmes, erano anni che loro due erano migliori amici, eppure la maggior parte delle volte John non capiva proprio perché Sherlock facesse o dicesse determinate cose. Quella era una di quelle volte.
Forse quest'informazione potrebbe in qualche modo aiutare Sherlock a risolvere il caso o qualunque cosa si tratti” si disse John “Magari è solo curioso o sta ancora cercando di fare conversazione”.
Come al solito il buon Jonny-boy non riusciva a vedere la semplice verità.
“Sì, mi sono trasferito parecchie volte” rispose quindi fiducioso.
“Perfetto” Sherlock fece un mezzo sorriso per poi ritornare subito imbronciato “Sapevo che saresti stato utile”
Solo allora John cominciò ad avvertire il pericolo. Mille volte peggio di essere rapito, cento volte peggio di una sfuriata della signora Hudson.
“Utile?”
“Coraggio John. Abbiamo un trasloco da fare” annunciò senza alcun entusiasmo Sherlock aprendo la porta del laboratorio.








Note:
Lo so che in questo capitolo non succede praticamente niente, però mi era utile per definire meglio la situazione (la povera Molly si ritrova obbligata a ad accettare l'ospitalità di Sherlock) e alla fine ho dato un po' di spazio a JAWN.
Grazie mille per i commenti, siete tutte gentilissime. Spero continuerete a seguire la storia.
La mia idea sarebbe di continuare ad aggiornare con una frequenza più o meno settimanale, cercherò di essere di parola.

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Capitolo 3
*** Domande scomode ***



 Molly era all'inizio della lettura di History of the Celtic origins of medicine. Glielo aveva regalato John, probabilmente come premio di consolazione per aver estratto dal mazzo la carta “Diventa coinquilina di Sherlock Holmes”. Non esattamente la ricompensa più ambita.
Forse John aveva trovato quella lettura interessante, o anche solo ricreativa, ma Molly si stava praticamente addormentando sul libro.
Sherlock era seduto sulla sua poltrona nella tipica posa che aveva quando stava riflettendo, le mani congiunte appoggiate alle labbra. Lei sapeva che generalmente non era una buona idea disturbarlo mentre pensava, ma era davvero troppo annoiata e uno degli aspetti migliori di essere diventati coinquilini era di poter porre a Sherlock tutte le domande che nel corso degli anni non aveva avuto il coraggio di porgli. Beh, non proprio tutte.
“Il tuo palazzo mentale?” esordì rompendo il silenzio del salotto.
Sherlock aggrottò le sopracciglia.
“Questa non è una domanda, Molly” disse scocciato.
Molly si morse le labbra e sembrava dispiaciuta, ma – per quanto ne capiva lui – poteva essere anche arrabbiata. Sherlock spesso non riusciva a decifrarla, magari poteva dedurre cosa avesse mangiato per pranzo o quante ore avesse dormito la notte, ma tutto quello che accadeva nella sua testa – i suoi sentimenti – non li comprendeva proprio.
Però non voleva essere schiaffeggiato di nuovo, se poteva evitarlo, quindi si esibì nel suo migliore sorriso incoraggiante.
“Eri nel tuo palazzo mentale?” riprese Molly e lui annuì “Come funziona?”
“Chiudo gli occhi, escludo il resto del mondo e visualizzo cose o persone. Serve per concentrarmi” rispose Sherlock che aveva deciso di essere accomodante.
“È un bel palazzo?”
“È irrilevante” sospirò prima di ricominciare a parlare “L'importante sono le cose che riesci a focalizzare”
“O le persone” aggiunse lei.
“O le persone” confermò Sherlock.
Molly si mosse a disagio sul divano cambiando posizione, segno che era indecisa se porre un'altra domanda.
“Che tipo di persone?” chiese infine evitando il suo sguardo.
“Quelle utili” disse lui decidendo che quella conversazione doveva decisamente finire, “Non tutti possono entrare nel mio Palazzo Mentale”
Se Molly fosse stata un'abile osservatrice avrebbe notato l'imbarazzo nella voce di Sherlock e un leggero rossore sulle sue guance. Invece Molly era Molly, quindi si limitò ad abbassare ancora di più lo sguardo e ad arrossire a sua volta.
Non sapeva per quale preciso motivo – perché una motivazione razionale c'era sicuramente – non volesse dire a Molly che lei, o meglio una sua proiezione, l'aveva aiutato a salvarsi quando gli avevano sparato.
Però restò in silenzio e Molly, dopo un attimo di esitazione, tornò al suo libro con le spalle un po' curve e le sopracciglia aggrottate, come se Sherlock avesse appena confermato i suoi peggiori sospetti.

 
L'arrivo di Molly al 221B di Baker Street aveva portato molti vantaggi: la casa aveva smesso di sembrare una discarica (il caos più totale si era ridotto a semplice disordine), la Signora Hudson aveva trovato una persona disposta a sorbirsi i monologhi sulla sua giovinezza e in generale si era diffusa una rassicurante serenità.
Eppure Sherlock non poteva dire di essere soddisfatto della sua nuova coinquilina. Lui e John avevano acquistato un certo equilibrio, con lui sapeva sempre cosa dire e come avrebbe reagito ad ogni suo gesto. Molly invece era incomprensibile, andava matta per cose inutili come i gatti o per le pessime sitcom romantiche che passavano in tv il lunedì sera, e non aveva la prontezza d'animo di John.
Ma soprattutto Molly era una donna.
Convivere con Janine era stato già abbastanza difficile, ma almeno lei sapeva come prenderla perché nonostante non fosse stupida era pur sempre una donna romantica e superficiale. Inoltre era inevitabilmente innamorata di lui.
Bastava una parolina dolce, un nomignolo, un bacio e lei cadeva in suo potere. Per lui era stata solo una recita, nessun sentimento e nessun rimorso.
Con Molly era diverso e Sherlock non aveva ancora capito se fosse un bene o no.
Sicuramente non si annoiava. Le sue conversazioni con Molly non erano mai banali – anche se lui faceva di tutto per mostrarsi annoiato e distaccato – e spesso avevano esiti imprevedibili.
Più volte si era ritrovato a chiedersi come un essere semplice come Molly Hooper potesse contenere pensieri e sentimenti così complessi. Non era un genio, né una persona comune come Lestrade, non era neanche come John – a cui Sherlock dedicava una categoria a parte – e non poteva essere classificata come veniva classificata la “Molly Hooper di due anni prima”.
Non era più la minuta dottoressa di laboratorio che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui. Era cambiata.
Molly Hooper era diventata un oggetto non identificato.
In particolare un oggetto non identificato che viveva al 221B di Baker Street, a casa sua. Sherlock decise che avrebbe fatto chiarezza.


 
L'ispettore Gregory Lestrade aveva avuto una giornata difficile. Non che ci fossero giornate facili a New Scotland Yard, ma da quando Moriarty aveva fatto il suo simpatico ritorno televisivo i criminali di tutta l'Inghilterra sembravano essersi decisi a dimostrare di non essere da meno e il numero di reati vari era aumentato a dismisura.
Solo quel giorno avevano sventato tre rapine, arrestato un assassino, acciuffato cinque taccheggiatori e fermato una vecchietta che stava tramortendo uno di questi colpendolo con la borsetta.
Quando Greg si lasciò cadere sulla sua sedia dietro alla scrivania avrebbe dato qualsiasi cosa per essere lasciato in pace almeno fino all'indomani. Con un perfetto tempismo Sherlock Holmes entrò nella stanza e sembrava di pessimo umore.
“Del tutto inutile” borbottò a mezza voce e Greg non era del tutto sicuro che non si stesse riferendo a lui.
“Se sei qui per novità su Moriarty o per qualche altro caso interessante sono spiacente. Ci sono solo delitti da quattro soldi” lo precedette mettendo le cose in chiaro. Non aveva voglia di subire una delle crisi di noia di Sherlock, benché gli volesse bene Greg aveva una pistola e non avrebbe esitato ad usarla.
“Non sono qui per questioni di lavoro” rispose il detective con voce atona.
Lestrade aggrottò le sopracciglia, preso alla sprovvista. Se possibile le prospettive che gli si paravano davanti erano ancora peggio delle precedenti.
“Perché sei qui allora?” domandò temendo la risposta.
“Ti volevo chiedere...” esitò guardandosi intorno sospettoso come se non volesse essere sentito da orecchie indiscrete.
“Allora?” lo incoraggiò.
“...se ti va di andare a prendere un caffè” concluse Sherlock.
Quella per Gregory Lestrade era una proposta strana. Strana e allarmante. Conosceva Sherlock Holmes da anni e mai, mai avrebbe pensato di poter sentirgli pronunciare quelle parole. Sembrava un comportamento quasi umano.
Forse una persona qualsiasi sarebbe scappata davanti al pericolo lampante, ma non per niente Lestrade era un ID quindi afferrò la giacca senza esitazione e lo seguì fuori dal dipartimento di polizia con curiosità.
Si rifugiarono in un Costa che stava aperto fino a tardi. Lui e Sherlock come dei normali vecchi amici che si trovano per discutere del più e del meno, decisamente allarmante.
Ordinarono e poi presero posto ad un tavolino isolato, lontano dalla vetrina.
“Cosa volevi dirmi?” chiese Greg impaziente.
“Ho un problema” esordì il detective con voce grave “Molly si è trasferita a Baker Street. È in pericolo per via di Moriarty, come ben sai. La sua è una sistemazione temporanea”
Lestrade era confuso, aveva imparato – a sue spese – che Sherlock non ragionava come una persona normale. Le sue priorità la maggior parte delle volte erano cose insensate o banali per chiunque altro, ma davvero non capiva quale fosse il problema in questo caso.
“Stai dicendo che Molly non è una buona coinquilina?”
“Sì! O forse no” aggrottò la fronte “Perché non può essere come con John?” chiese seccato.
“Perché una donna” rispose Greg con ovvietà.
“E allora? Alla fine cambia solo la quantità in cui è presente qualche ormone!” protestò il consulente investigativo alzando la voce “Non tutte le donne sono così...” si interruppe.
“Come?” lo incalzò Lestrade che si stava divertendo un mondo nel vedere Sherlock in difficoltà.
Lui sembrò notarlo e serrò la bocca trattenendo la rabbia.
“O andiamo! Non prendertela, Sherlock” continuò “Tutte le donne fanno questo effetto, se trovi quella giusta” disse ammiccando.
“No! No, no, no” lo fermò Sherlock “Se avessi avuto bisogno di un'agenzia matrimoniale avrei chiamato Mary e John”
Lestrade si limitò a sorridere ancora più apertamente.
“Questo è ridicolo!” sbottò Sherlock alzandosi in piedi “Non sono venuto qui per farmi prendere in giro da un ufficiale della polizia che non è neanche in grado di accorgersi che il barista arrotonda rubando automobili” disse indicando il ragazzo biondo e brufoloso che li aveva serviti.
Si riassettò il cappotto con un gesto di stizza e fece per andarsene.
“Per l'amor di Dio! Non c'è bisogno di fare tante scene” gli gridò dietro Lestrade.
“Non sto facendo scene. Ritengo semplicemente ridicolo stare ad ascoltare le tue teorie del tutto erronee su cose che non puoi comprendere” replicò Sherlock con freddezza.
L'ispettore gli lanciò uno sguardo scettico.
“Allora dimmi una cosa. Quando hai cominciato a mangiare milkshake?” chiese accennando alla bevanda abbandonata sul tavolo ancora mezza piena.
“Me l'ha fatto assaggiare Molly” Un'espressione di trionfo comparve sul volto di Greg “Ma questo non prova assolutamente niente!” si affrettò ad aggiungere Sherlock.
Lestrade non replicò. Lo seguì fuori con un sorriso soddisfatto sulle labbra, pregustando il momento in cui lo avrebbe raccontato a tutti in centrale, e con la certezza che le cose si sarebbero fatte interessanti.

 
Nel sottoscala del 221B – lo stesso in cui anni prima Sherlock aveva trovato le scarpe di Carl Powers – regnava la pace. Ormai Molly passava molto tempo in quella stanza buia e umida e aveva imparato ad apprezzarla per l'intimità che offriva.
Era proprio intimità ciò di cui aveva bisogno in quel periodo. Vivere con Sherlock significava condividere la maggior parte del tempo fianco a fianco e c'erano volte in cui Molly si sentiva schiacciata metaforicamente dalla sua presenza. Non che facesse in particolare qualcosa di male, bastava la consapevolezza di lui lì, nella stessa stanza, per distrarre in modo particolarmente fastidioso Molly. Nonostante avesse ammesso con sincerità a sé stessa di essere ancora innamorata di Sherlock si era anche ripromessa di non comportarsi più come una ragazzina impacciata ed adorante. E ci stava riuscendo egregiamente bene.
Molly controllò l'orologio. Sherlock era uscito un paio d'ore prima, aveva sentito sbattere la porta, e non era ancora tornato. Si chiese dove fosse finito finito. Non che avesse paura a restare a casa indifesa – la signora Hudson al piano di sopra non era esattamente una garanzia – ma negli ultimi giorni il suo coinquilino si comportava in modo più strano del solito.
Aveva persino cominciato a farle piccole cortesie che Molly aveva interpretato come gesti di scusa per la brutta situazione in cui si era ritrovata.
Era stata profondamente e piacevolmente sorpresa quando aveva visto il laboratorio dove adesso stava lavorando. Certo avrebbe potuto essere un vera scena da film. Con Sherlock che la costringe a indossare una benda, la conduce gentilmente giù per le scale fino alla porta e, dopo averle detto qualcosa di dolce, la sorprende togliendole la benda. Anche se sarebbe stato parecchio strambo, ridicolo e imbarazzante. Per non dire impossibile.
Si era semplicemente svegliata ed aveva trovato la signora Hudson che le aveva consegnato la chiave del sottoscala riferendole che Sherlock aveva riferito che avrebbe trovato qualcosa di suo gradimento.
Sulla porta vecchia e scrostata c'era un biglietto scritto frettolosamente, diceva “Happy Birthday! SH”. Sherlock non sapeva, e probabilmente non gli importava, che il suo compleanno era stato mesi prima.
Quando Molly aveva aperto la porta e acceso la luce rimase per alcuni secondi senza fiato. Non era esattamente il laboratorio dei suoi sogni e neanche all'avanguardia come quello del Bart's – anche se sospettava che alcuni strumenti fossero stati “presi” da lì – eppure sapere che tutto quello era stato fatto per lei (nello specifico da Sherlock per lei) la faceva sentire leggera.
Felice e leggera. Forse, si ritrovò a sperare, sarebbe riuscita a passare indenne attraverso la convivenza con Sherlock. Ovviamente si sbagliava.
 

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Capitolo 4
*** La quiete prima della tempesta ***



Sherlock era seccato. Naturalmente era colpa di George, George Lestrade. L'aveva appena chiamato per una consulenza su un omicidio a suo dire “impossibile”. Lui aveva subito capito che il colpevole era la madre dello sposo, ma nonostante il suo amore per la giustizia non glielo aveva detto. Non ancora, avrebbe lasciato la polizia a brancolare nel buio e a prendersi critiche ancora per un po'. Era la giusta punizione visto che Lestrade negli ultimi giorni non aveva fatto altro che lanciargli frecciatine riguardo Molly e una sua presunta cotta per lei.
E la sua non era vendetta personale, semplicemente lo infastidivano queste bugie.
Senza capire come ci fosse arrivato si ritrovò al pianoterra. Scosse la testa confuso, non era da lui camminare sovrappensiero. Lui era pensiero. Si chiese di nuovo cosa gli stesse succedendo, come in risposta alla sua domanda scorse la vecchia porta scolorita del sottoscala su cui adesso c'era appeso un cartello con scritto “Laboratorio” in rosso con la grafia tondeggiante di Molly.
Sherlock si fermò a guardare la scritta incuriosito, scacciando dalla mente Lestrade e i suoi problemi.
Automaticamente la sua mente analitica cominciò a lavorare. Spazio fra le lettere ampio e riccioli accentuati alla fine delle “o” in compensazione della propria insicurezza, scrittura grande e chiara, posizionata perfettamente al centro del foglio, esteticamente bella e ordinata. Neanche una sbavatura, proprio nello stile di Molly.
Era scritto in rosso, il colore della passione; quella che sembrava animarla in tutte le sue azioni, dal lavoro allo svago e che per certi versi li accomunava: entrambi avevano passioni per cose assurde.
Rimase ancora un attimo ad esaminare quel cartello con in faccia stampato un sorrisetto compiaciuto che non si era neanche reso conto di avere, poi risalì le scale andandosene come se non fosse mai stato lì. Si buttò sul divano con un sospiro, la rabbia di poco prima era svanita.
Sherlock aveva la passione per le cose assurde e Molly Hooper era proprio un essere assurdo.

 
La credenza delle scodelle era piena di reni sinistri sotto aceto (sì, Molly riusciva a distinguere con sicurezza un rene sinistro da quello destro nonostante i postumi del sonno ancora addosso)
Quello era un classico ai tempi di John e, nonostante gli anni e i soggetti fossero cambiati, la reazione fu più o meno sempre la stessa.
“Sherlock! Che diamine ci fanno resti umani nella cucina?!”
Il detective arrivò trotterellando, sembrava di ottimo umore nonostante fossero “solo” le nove del mattino. Era disponibile e quasi gentile da quando aveva risolto il caso del Mercenario Svizzero.
“Sei una patologa, tu lavori con resti umani. Ti piacciono” disse arrivato in cucina, convinto di averle fatto il miglior complimento del mondo. La patologa sbuffò, incrociando le braccia minacciosa.
“Non dove ci devono essere le scodelle! Non quando devo fare colazione! Perché non hai messo questi...cosi nel laboratorio che è solo due piani più in basso?” chiese Molly lanciando un'occhiata dubbiosa ai pancreas che galleggiavano ignari nell'aceto.
Sherlock sbatte un paio di volte le palpebre.
“Abitudine, suppongo. A John non dava così fastidio”
“Non mi dà fastidio” replicò lei un po' troppo in fretta per essere davvero credibile.
Sherlock sembrò non farci caso.
“Allora non ti darà fastidio se resteranno lì ancora un paio di giorni”
Molly si morse le labbra evitando di far uscire la rispostaccia che le frullava in testa e sempre senza dire una parola uscì dalla cucina andando a prendere il cappotto in salotto. Scese velocemente le scale prima che Sherlock potesse dire o fare qualcosa che le facesse cambiare idea.
Superare la porta del 221 fu un sollievo, dopo quei giorni di reclusione aveva bisogno di tornare nel mondo reale, anche solo per poco. Passeggiò tranquilla lungo la via godendosi l'aria indaffarata dei passanti, il vento tagliente e il sole freddo d'inverno. Londra sembrava essersela cavata anche senza di lei, le era mancata la vita così normale che si respirava nella città. In quel momento ancora più del solito si rese conto di come il 221B sembrasse un mondo a parte, atemporale, un'altra dimensione.
Si avviò verso il bar più vicino con cipiglio deciso, aveva il sacrosanto diritto di fare colazione e non sarebbero stati dei reni sotto aceto o tanto meno Sherlock Holmes ad impedirglielo.
Ordinò un caffè e si concesse persino il lusso di un muffin, il commesso (“alto, biondo, sui venticinque anni” registrò automaticamente Molly) le porse il cibo con un sorriso e lei finalmente si poté accomodare ad un tavolino libero.
Stava cominciando a godersi la sua più che meritata colazione e a festeggiare la sua temporanea libertà quando Sherlock si sedette di fronte a lei. Non sembrava seccato, non più del solito, e questo fu davvero un sollievo perché Molly sentiva di non poter sopportare una sua scenata lì, davanti a tutti.
Sherlock non disse niente, la guardava nella sua solita maniera inquietante sorseggiare il caffé. Molly faceva del suo meglio per non incrociare il suo sguardo tenendo gli occhi fissi su una tovaglietta marrone alquanto imbarazzante con su una mucca che diceva “Felice colazione, felice giornata”. I suoi sforzi non servirono a niente perché dopo poco giunse al limite massimo di sopportazione e sentì il bisogno di distogliere da lei quegli impassibili occhi azzurri.
“Perché mi stai seguendo?” disse rompendo il silenzio. Non che le dispiacesse, in realtà non le piaceva neanche – o almeno non si beava della presenza di Sherlock come avrebbe fatto un paio di anni prima – però Sherlock che seguiva lei e non viceversa era già una novità come minimo interessante.
“Non ti sto seguendo” ribatté il detective impassibile.
“Allora cosa stai facendo?” domandò Molly scettica.
“Faccio colazione”
Le sopracciglia di Molly si inarcarono a quella risposta.
“Hai già fatto colazione”
Sherlock cominciò ad essere irritato.
“Non mi sembra un delitto stare seduto qui, Molly Hooper” pronunciò il suo nome e cognome per intero e con un tono che era sempre sintomo di guai.
“Quindi è una coincidenza che tu sia entrato nel mio stesso bar e ti sia seduto al mio stesso tavolino?” domandò ironica Molly prima di ritornare a concentrarsi sul cibo.
Sherlock perseverò nel suo mutismo, fatto già strano di per sé visto che lui era Mr Ultima Parola.
Molly si concentrò a guardare fuori dalla vetrina finendo di sorseggiare il suo caffè, il viavai ininterrotto di passanti era quasi ipnotico.
“Già che sei qui potresti almeno offrirmi la colazione” disse Molly sorridendo alla sua stessa battuta. Sherlock invece non sembrò cogliere l'ironia e la guardò sorpreso.
“Perché mai dovrei farlo?”
“Sarebbe un gesto gentile” rispose spontanea Molly “Tom lo faceva sempre” aggiunse a mezza voce. Immediatamente si portò entrambe le mani davanti alla bocca, rendendosi conto di quello che aveva appena detto.
Sherlock – ma forse se l'era solo immaginato – strinse leggermente le labbra.
“Io non ho bisogno di questi sotterfugi per essere amato dalla gente”
L'aria di superiorità traspariva dalla sua voce, sembrava quasi offeso, eppure si alzò con uno svolazzare del cappotto e si diresse verso il bancone tirando fuori il portafoglio. Molly lo seguì lasciando il suo muffin ancora mezzo intero sul tavolino.
“Non devi finire la colazione, dolcezza?” domandò Sherlock ironico mentre il commesso gli poneva il resto.
“Non ho più fame” rispose lei gioviale, trovava divertente vedere Sherlock indispettirsi per così poco “Non credevo l'avresti fatto davvero” sussurrò quasi a sé stessa, cercando di capacitarsi dell'accaduto.
Sherlock non sembrò sentirla, si diresse fuori dal bar con passo deciso alzandosi il bavero del cappotto. Lei lo seguì – di nuovo – cercando di non perdere di vista la sua schiena scura e i riccioli che ondeggiavano al ritmo coi suoi passi.
Quando varcò la porta del 221B Molly era di umore decisamente migliore di quando era uscita.
Sherlock Holmes le aveva offerto la colazione. Non che si fosse sprecato per quattro sterline e settanta pence, ma era già qualcosa. Una piccola vittoria.

 
La musica del violino riempiva la casa. Molly la sentiva salire, attraversare il soffitto e raggiungere il suo letto. Lei non se ne intendeva di musica – un delitto imperdonabile a sentire Sherlock – eppure era sicura che quella fosse una melodia molto bella, dolce e rassicurante. C'erano passaggi più leggeri in cui il ritmo rallentava e altri complessi in cui la musica si faceva quasi violenta. Sicuramente avrebbe potuto apprezzare di più la melodia se non fosse stata notte fonda e non stesse cercando di dormire.
Rimase a letto a fissare il soffitto, valutando se valesse veramente la pena alzarsi con quel freddo, mettersi la vestaglia e infilarsi le pantofole solo per discutere con Sherlock (e perdere) per l'ennesima volta.
Quando la musica cominciò a farsi lamentosa e acuta Molly raccolse il coraggio e con un gesto deciso spostò le coperte alzandosi dal letto.

 
A Sherlock piaceva la musica perché riusciva a combinare la razionalità (ad ogni gesto corrisponde una determinata nota e combinando certe note si creano determinate scale) con le emozioni che può suscitare una melodia. Riusciva ad apprezzare la bellezza – oggettiva e soggettiva – di un gran pezzo di musica classica, la fantasia che si impiega nel comporre e nel creare da una serie di rumori una sinfonia.
La musica usciva dal suo violino seguendo il ritmo dei suoi pensieri.
Si chiedeva dove fosse finito Moriarty, perché comparire e poi nascondersi? A che gioco stava giocando? Quando avrebbe colpito? Inoltre suo fratello aveva cominciato a parlargli addirittura con più freddezza del solito dall'incidente di Magnussen. Poi c'erano John e Mary, lei ormai era prossima al partorire, che voleva e doveva proteggere come aveva giurato al loro matrimonio. E Molly...doveva proteggere anche lei, in fondo era proprio per questo che la stava gentilmente ospitatando in casa sua, giusto?
La musica si fece più frenetica.
Perché nella sua mente la maggior parte di pensieri che riguardavano Molly finivano col punto di domanda? Non trovando una risposta cercò di concentrarsi su altro.
Moriarty...il gioco...John e Mary...i suoi pensieri stavano diventando quasi ossessivi, mentre la musica cresceva d'intensità.
Qualcosa gli tirò il braccio facendogli sbagliare. Il violino emise una nota stridente. Aprì gli occhi e vide Molly Hooper, in vestaglia, in piedi davanti a lui che lo guardava seccata. Sherlock si fermò e la stanza cadde in un silenzio che risultava assordante dopo la musica di poco prima.
“Sherlock?” disse lei e dal suo tono capì che non era la prima volta che lo chiamava.
Il detective si guardò attorno, a giudicare dal buio della stanza doveva essere notte e – vista la vestaglia di Molly e il suo cipiglio arrabbiato – era sicuramente notte fonda.
“Hai finito di suonare il violino?” domandò aspra la patologa.
Sherlock puntò su di lei i suoi occhioni azzurri, che sembravano risplendere nella penombra.
“Veramente no” rispose con sincerità.
Molly cercò di fare del suo meglio per non perdere la pazienza.
“Sono le due. Se volevi suonare il violino tutta la notte avresti dovuto sottoscriverlo nel contratto tra coinquilini”
“Non c'è nessun contratto tra coinquilini” rispose Sherlock confuso.
“Era una battuta da Big Beng Theory, una serie tv” rispose Molly sospirando “Ma ovviamente tu non la guardi”
“No” confermò Sherlock ricominciando a suonare il violino.
“Sherlock! Vorrei dormire e dovresti farlo anche tu” urlò Molly sovrastando la musica.
Sherlock si fermò di nuovo, i suoi occhi si incupirono diventando quasi scuri. Sembrava tormentato da qualcosa e per la prima volta Molly si chiese come fosse stato per lui vivere lì da solo in quegli ultimi mesi, senza che nessuno limitasse le sue estrosità. Perfino lui – soprattutto lui – doveva essersi sentito solo.
“Non riesco a dormire. Troppe domande, troppi pensieri” ammise l'investigatore sottovoce. Fu solo un attimo, ma a Molly sembrò tremendamente vulnerabile.
Sentì scemare la rabbia, le rimase solo una grande amarezza e un senso di impotenza perché sapeva di non poter fare niente per lui.
“Vai a letto, Molly” disse Sherlock recuperando la sua solita rudezza “Io rimango qui ancora un po'”
Senza degnarla più di uno sguardo chiuse di nuovo gli occhi e cominciò a muovere le braccia in aria come se stesse suonando un violino invisibile.
“Buonanotte” sussurrò Molly prima di tornare a letto lanciando un'ultima occhiata al suo coinquilino.
Sherlock non rispose, ondeggiava lentamente al ritmo di una melodia malinconica che lei non poteva sentire.

 
Dall'altra parte della città Jim Moriarty si godeva lo skyline di Londra. Finalmente aveva ripreso il suo posto al centro della ragnatela, nel cuore pulsante della criminalità. Fece una piccola smorfia soddisfatta, nonostante avesse continuato ad agire nell'ombra gli era mancata l'azione. Era giunto il momento di movimentare un po' il gioco.
“Che notizie mi porti?” chiese all'uomo uscito sul terrazzo.
“Tutto normale, signore. Davvero non capisco cosa dovremmo osservare”
Moriarty sorrise. Non capivano, non capiva mai nessuno. Erano tutti così stupidi.
“Osserviamo e aspettiamo” disse pensoso.
“Cosa?”
“L'attimo giusto” rispose Moriarty congedando l'uomo con un gesto della mano “Questa è solo la quiete prima della tempesta, vero Sherlock?”









Autrice:
Sono tornata, mi spiace davvero tantissimo di avervi fatto aspettare tanto ma in questo periodo sono piena di verifche, impegni e chi più ne ha più ne metta.
Di questo capitolo davvero non so cosa pensare. Diciamo che è una piccola premessa a quello che accadrà nel prossimo capitolo (che ho già pronto, quindi aggiornerò presto) dove ci saranno molti passi avanti.
Qui ho cercato di approfondire un po' di più il punto di vista di Sherlock, anche se non mi sono ancora sibilanciata troppo. In particolare spero di non essere stata troppo confusionaria e sconclusionata (il troppo stroppia) quando ho cercato di seguire il filo di pensieri di Sherlock e Moriarty.
Grazie mille a tutti per i bei commenti o anche solo chi legge la storia, il vostro sostegno mi rende felice <3

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Capitolo 5
*** L'inizio dei guai ***



La signora Hudson riteneva di avere una certa esperienza riguardo alla vita in generale e in particolare alle faccende d'amore. Aveva sempre pensato che John e Sherlock fossero una coppia perfetta e non aveva mai mancato di farglielo notare, ma in fondo lei era una persona riservata e nonostante i suoi sospetti o le sue speranze si era limitata ad osservare.
Ora che John se ne era andato poteva finalmente capire quanto avesse sbagliato. John e Sherlock erano una coppia fin troppo perfetta, avevano un'intesa speciale, un rapporto basato su silenzi e sguardi complici. Non che non avessero mai litigato – non passava giorno senza che discutessero – eppure anche quello faceva parte della loro relazione.
Con Molly invece era il contrario.
Lei era davvero una ragazza adorabile e, anche se sembrava non rendersene conto, esercitava una sorta di influenza speciale su Sherlock. Lui era molto cambiato da quando la signora Hudson lo aveva conosciuto – un ragazzetto magro e rigido con lo sguardo affilato –, era diventato adulto e sembrava aver acquistato un po' di umanità in più rispetto a prima. Sembrava essere diventato capace di seguire i suoi sentimenti oltre che il suo mirabile cervello.
Sherlock e Molly erano pieni di domande mai fatte e di risposte non date. Erano un'incertezza, un forse, un magari, una di quelle coincidenze che capitano di rado e proprio per questo la signora Hudson tifava per loro. Erano rari.
Perfino loro stessi erano inconsapevoli di quello che inevitabilmente sarebbe successo. Ma la signora Hudson si vantava sempre di riuscire a intuire come si sarebbero evolute le varie relazioni, per questo si preparava al disastro imminente.

 
Il laboratorio improvvisato nel 221 di Baker Street era decisamente troppo piccolo. Sherlock percepiva fastidiosamente il gomito di Molly vicino al suo – distavano tre centimetri per l'esattezza – e il ritmo lento del suo respiro mentre esaminava concentrata delle provette contenenti campioni di sangue, mentre il fruscio della penna sul foglio sul quale annotava i vari risultati era quasi assordante. La cosa più snervante era che Molly sembrava trovarsi perfettamente a proprio agio.
Era stranamente tranquilla, silenziosa e concentrata e per una volta fu Sherlock che si ritrovò ad osservarla di soppiatto.
Si chiese se quel ciuffo di capelli avesse sempre avuto quella sfumatura più tendente al biondo rispetto agli altri, se ci fosse sempre stato quel piccolo neo alla base del collo, se i suoi occhi si illuminassero sempre in quel modo quando ci fosse una corrispondenza tra i risultati.
Si chiese come avesse fatto a non notare prima questi piccoli particolari – lui che aveva reso l'osservazione dettagliata il suo mantra – visto che Molly Hooper non era di certo una novità.
Forse era proprio questo il punto. Lei era sempre stata lì per lui, scontata, rassicurante, immutabile.
Adesso qualcosa era cambiato – in lei, fra di loro –, il suo punto di riferimento si era mosso e questo lo confondeva. Si sentiva perso, però in senso buono; era la stessa situazione di quando, appena prima della risoluzione di un caso, gli indizi sembrano portare in direzioni contrastanti e improvvisamente si combinano fra di loro.
Sherlock tornò con la mente a qualche giorno prima.

 
La casa odorava fortemente di muffa, l'intonaco su cui una volta erano disegnate delle automobiline pendeva scolorito dalle pareti e la poca luce che filtrava dalle assi poste alla finestra non bastava a rischiarare completamente la penombra della stanza.
Sherlock stava in piedi, evitando attentamente di sfiorare gli oggetti sparsi sul pavimento con le scarpe, fissava in attesa la figura sdraiata su un materasso che doveva aver visto tempi migliori.
Mr. Holmes” lo salutò Bill Wiggins con la sua solita voce lamentosa mettendosi seduto “A cosa devo il piacere?”
Viveva in quel posto da una settimana, nonostante le proposte di un luogo più adeguato da parte di Sherlock aveva scelto quella casa abbandonata dicendo che “gli ricordava i bei vecchi tempi”. Nessuno gli aveva fatto notare che non erano poi così vecchi, né belli.
In realtà a Sherlock non importava, bastava che Wiggins fosse sempre rintracciabile e pronto a intervenire in caso d'aiuto. Di solito però riceveva le informazioni su dove andare e cosa fare sempre via messaggio e Bill era abbastanza intelligente da capire che se Sherlock aveva cambiato i suoi metodi significava che era un'emergenza.
Sono qui per avere aggiornamenti su come procede la missione che ti ho dato” disse il detective sbrigativo “e un consiglio” aggiunse dopo un attimo di esitazione.
Bill sorrise, decisamente non era un'idiota.
Come sta la signorina Hooper?”
Sherlock si irrigidì appena e aggrottò leggermente le sopracciglia.
Bene. Siamo anche andati a fare colazione insieme” disse con voce piatta.
Ah! Shazza ha avuto un appuntamento” gongolò Wiggins.
Non era un appuntamento e non chiamarmi Shazza” rispose l'altro infastidito.
Beh, eravate solo voi due, no?” Sherlock annuì “In un bar?” Sherlock annuì di nuovo “Hai offerto tu, giusto?”
Non vedo come la cosa possa essere rilevante...” tentò di protestare il detective.
Era un appuntamento” ribadì Bill Wiggins con decisione.
Sherlock piegò la testa leggermente di lato, soppesando l'idea. Erano solo lui e Molly. Erano sempre stati solo lui e Molly e non era mai stato un problema, non capiva perché adesso averebbe dovuto essere diverso.
Appuntamento, era una parola strana. Nel suo personalissimo dizionario mentale significava “incontro prefissato fra due o più persone, spesso usato da John in campo sentimentale per indicare un incontro con una ragazza da cui è attratto”.
Ma in fondo lui non era attratto da Molly Hooper, giusto?
Si rivolse verso il suo aiutante improvvisamente ansioso.
Non una parola con nessuno di tutto ciò, chiaro?” lo minacciò.
Cristallino”
Bene, ora possiamo parlare del tuo pedinamento. Hai notato comportamenti sospetti da parte del soggetto?” Sherlock cambiò argomento, sperando di riprendere il controllo di quella conversazione.
Aspetta. Adesso cosa farai?”
Sherlock alzò gli occhi al cielo, il suo aiutante non si stava dimostrando per niente collaborativo.
Cosa farò con cosa?” domandò esasperato.
Con la signorina Hooper” rispose Bill con semplicità.
Non farò assolutamente niente con Molly Hooper” Sherlock ne sembrava pienamente convinto.
Peccato” disse Wiggins ritornando a sdraiarsi sul materasso “Perché io conosco un modo infallibile per sapere se è ancora innamorata di te”

 
Sherlock ritornò al presente con prepotenza. Doveva smetterla di perdersi in simili distrazioni, aveva cose più importanti di cui preoccuparsi.
Molly era ancora immersa nello studio di una soluzione particolarmente rognosa. Obbiettivamente non era bella, di sicuro non aveva le misure di Irene Adler o l'intelligenza di Mary, eppure quando erano andati a fare colazione il barista le aveva sorriso – particolare che Sherlock aveva registrato con fastidio – e l'ispettore Lestrade aveva ripetuto più volte che Molly “non era niente male”. Quindi doveva per forza esserci qualcosa che la rendesse attraente.
Di nuovo Sherlock si chiese perché stesse pensando a quello anziché a problemi ben più seri.
Il cellulare di Molly, appoggiato in precario equilibrio sul bordo del tavolo, cominciò a vibrare e Sherlock che aveva entrambe le mani libere si affrettò a prenderlo prima che cadesse.
Riuscì a leggere il mittente della chiamata prima che Molly gli strappasse di mano il telefono e con un gesto deciso se lo mettesse in tasca senza neanche rispondere.
“Tom?” domandò Sherlock incredulo.
Molly serrò le labbra con un po' più di forza facendole diventare una linea sottile.
“Sì” disse infine evitando di guardarlo negli occhi.
“Il tuo ex-fidanzato?” chiese ancora Sherlock, anche se sapeva già la risposta.
“Sì, vuole convincermi a rimetterci insieme” Sembrava quasi dispiaciuta, ma la rabbia nella sua voce era chiara.
“Perché non hai risposto?”
“Perché non ho alcuna intenzione di rimettermi con lui” sbottò Molly girandosi finalmente a fissarlo negli occhi. Piccole lacrime si stavano raccogliendo agli angoli dei suoi occhi marroni.
“Perché ti ha tradita”
Non era una domanda, ma Molly annuì comunque prima di annullare la già poca distanza fra di loro e appoggiarsi a lui, dando libero sfogo alle lacrime.
Sherlock si irrigidì, sentiva la testa di Molly premere contro il suo petto e di colpo il laboratorio sembrò diventare ancora più piccolo, soffocante e tremendamente caldo – fatto strano considerando che era pieno inverno – ma in qualche modo si sentì più a suo agio perché una Molly piangente era qualcosa che conosceva, sempre meglio che la Molly taciturna e seria di poco prima.
“Forse dovrei richiamarlo” disse lei con il volto ancora premuto sulla sua camicia, stranamente il pensiero che si sarebbe sporcata per colpa delle lacrime non lo infastidiva.
“Lui ha sbagliato, ti ha tradito” la voce gli uscì più dura di quanto avrebbe voluto.
“È molto più complicato di così, Sherlock” sospirò Molly staccandosi da lui e cercando di asciugarsi le lacrime “Tutto l'amore è complicato”
Sherlock la studiò con tranquillità mentre cercava di calmarsi. Era strano vederla così, si sforzava di essere forte e decisa, ma a tratti riemergeva la vecchia Molly insicura e sensibile. Forse , ipotizzò Sherlock, era quello che rendeva Molly attraente.
Puntò i suoi occhi celesti sul suo viso e provò l'insensato desiderio di vedere le lacrime sparire.
Perché sono antiestetiche, si disse.
“Sciocchezze. L'amore è semplice, come la chimica” affermò sorridendo e, con suo piacere, notò spuntare un timido sorriso anche sulle labbra di Molly.
“I sentimenti non possono essere spiegati in modo scientifico” protestò lei.
“Ti sbagli. Le persone sono come gli elementi, ognuno con una propria configurazione, ci sono elementi che si combinano mentre altri sono incompatibili. Bisogna trovare l'elemento giusto e...reagire. Gli esseri umani sono animali, inviano impulsi, gesti, odori. L'amore è chimica”
“E come faccio a trovare l'elemento giusto?”
Il sorriso scomparve dalle labbra di Sherlock. “Bisogna cercare e provare, come per un esperimento” disse prima di sporgersi lentamente verso di lei. Molly sgranò gli occhi sorpresa quando lui la baciò dolcemente, mentre il suo stomaco si contorceva.
Sherlock dischiuse la bocca quando sentì le labbra morbide di Molly contro le sue. Si bloccò un attimo indeciso, sapeva cosa fare eppure in quel momento il suo cervello sembrava essere andato in tilt. L'adrenalina entrò in circolo nel suo corpo quando il bacio si approfondì e per un secondo Sherlock cadde nel panico, con Janine non si era mai sentito così.
Riuscì a recuperare la lucidità e interruppe il contatto cercando di mantenere un'espressione impassibile, mascherando il tumulto di emozioni che gli esplodevano dentro.
Molly lo guardò confusa e agitata.
“Vedi è facile” disse Sherlock con voce roca accennando un sorriso “È scientifico”
Molly non gli rispose. Strinse i pugni e a Sherlock sembrò di leggere sconforto nei suoi occhi, ma non riuscì a reggere il suo sguardo. Improvvisamente si sentiva fuori posto in quel piccolo laboratorio, si alzò in piedi e se ne andò di tutta fretta.

 
Molly rimase stordita a guardare Sherlock scomparire oltre la porta.
Rimase immobile per un tempo indeterminato cercando di metabolizzare l'accaduto. Il suo cuore pompava ancora frenetico, mentre il suo cervello procedeva a rilento, annebbiato.
Sherlock era stato carino, in un certo senso, dandole sostegno riguardo alla storia di Tom – era strano che lui si comportasse in modo così comprensivo ma non impossibile– e poi l'aveva baciata. Questo davvero non se lo sapeva spiegare. Dietro ad ogni gesto di Sherlock c'era sempre un secondo fine, ma in questo caso non riusciva a vederlo.
Era lampante che Sherlock non l'amava e perfino l'amore cieco che prima lei provava nei suoi confronti era mutato in semplice rassegnazione. Molly credeva che avessero raggiunto un equilibrio, ora Sherlock aveva di nuovo incasinato tutto con quel bacio.
Per lui non era significato niente, era evidente anche dalle sue parole, ma per Molly era stato diverso. Quello era il momento che aveva sognato talmente tante volte fino a ritenerlo un'utopia, ma come capita spesso coi sogni anche se si avverano non accade mai nel modo in cui vorremmo noi.
Sherlock si era dimostrato di nuovo senza sentimenti e col cuore di ghiaccio, un vero stronzo.
Non puoi baciare una persona che sai essere innamorata di te definendo il tutto un “esperimento”. È semplicemente inumano.
Molly sentì la rabbia crescerle nel petto. Sherlock Holmes era una persona fredda e impassibile? Bene, anche lei avrebbe adottato la stessa tattica.

 
Sherlock aveva bisogno di riflettere, solo questo. Anche la sua mente geniale aveva bisogno di tempo. La sua non era stata una fuga, stava solo cercando un posto tranquillo dove poter pensare e il fatto che avesse salito le scale di corsa e si fosse chiuso a chiave dentro la sua camera non voleva dire assolutamente nulla.
Si lasciò cadere sul letto chiudendo gli occhi. Forse la cosa migliore da fare a quel punto sarebbe stata davvero scappare, ma da cosa? Sicuramente non da Molly perché non era lei che gli metteva quella strana inadeguatezza addosso, tanto meno da Moriarty che sembrava essere sparito. Il problema era lui stesso.
Sherlock sapeva perfettamente di provare dei sentimenti – era felice e triste come chiunque altro – ma semplicemente nel corso del tempo aveva imparato a controllarli fino a sembrare una sorta di automa. Invece in quegli ultimi anni – sicuramente era tutta colpa di John – avevano cominciato a sfuggirgli, sfogava la propria rabbia, rendeva evidenti le sue ansie e dava scorci del suo dolore.
Però l'amore rimaneva estraneo a lui. Lo deduceva dai gesti di John quando sfiorava il pancione di Mary, lo scorgeva negli occhi di sua madre o nel tè che la signora Hudson gli portava il mattino, lo osservava fra i passanti. Eppure rimaneva distante, come uno degli esperimenti che si divertiva tanto a studiare senza farsi coinvolgere.
L'amore – lo stesso amore che sembrava schizzare perennemente fuori da Molly Hooper – restava un mistero irrisolto.
Maledisse Wiggins e i suoi stupidi consigli del tipo: “C'è un modo per capire se una persona è veramente innamorata: devi baciarla”, qual'era stato il risultato? Niente. Si era solamente sentito un'idiota ed era scappato.
O forse era proprio questo il risultato che cercava?
No. Era fuori questione che lui fosse innamorato di Molly. Impossibile.
Suo fratello glielo aveva detto un centinaio di volte che era meglio reprimere i sentimenti per non porsi questi problemi.
“Non è di questo che hai bisogno” disse il Mycroft del suo palazzo mentale “Non devi farti coinvolgere, non in questo momento. Adesso dovresti occuparti di Moriarty, salvare l'Inghilterra, fare l'eroe”
“Io non sono un eroe”
“Peccato” rispose Mycroft con un sorriso astuto “Perché alla fine della storia l'eroe trionfatore riceve sempre un bacio dalla damigella”
Sherlock scacciò frustrato quel pensiero dal suo palazzo mentale e aprì gli occhi ritrovandosi nella sua stanza, non sembrava essere cambiato niente. Eppure sentiva di aver trovato una temporanea seppur precaria soluzione.
Riusciva ancora a sentire l'eco della voce di suo fratello che diceva “Reprimi i sentimenti, non farti coinvolgere, questa volta gli avrebbe dato ascolto.
Si alzò deciso e fece per andare ad aprire la porta, adesso non sentiva più il bisogno di tenerla chiusa a chiave. Il silenzio della stanza fu interrotto da un miagolio e il muso di Toby fece capolino da sotto il letto.
“E tu da quanto tempo sei là sotto?” chiese socchiudendo gli occhi sospettoso. Sapeva che era razionalmente impossibile ma si sentiva turbato come se il gatto avesse assistito a tutto il suo dibattito interiore.
“Non sono affari tuoi e non riuscirai a farmi cambiare idea” sibilò Sherlock in risposta ad una muta accusa.
Spalancò la porta e si diresse in cucina, con la sensazione di avere ancora gli occhi delusi di Toby puntati sulla schiena.









Note d'autrice:
Questo capitolo è molto importante. Spero di aver reso bene le idee/emozioni di tutto quello che succede, soprattutto il bacio (faccio schifo a descrivere i baci :$)
Sherlock forse (e sottileneo forse) ha capito qualcosa su quello che prova, ma come un vero idiota decide di reprimere tutto...
Molly, beh, non l'ha presa bene. Vedremo.
Fatemi sapere cosa ne pensate, ci tengo tantissimo.
Grazie mille a chi continua a leggere questa storia, vi adoro <3

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Capitolo 6
*** Kindnapping time ***




Se Molly pensava che essere fredda ed evitare Sherlock sarebbe stato difficile, allora rimase parecchio delusa. Era fin troppo facile rispondergli male o non rispondergli affatto – cosa che lo faceva uscire dai gangheri ancora di più – e le dava anche un certo senso di soddisfazione.
Ma in realtà gran parte del merito andava a Sherlock stesso che era diventato pressoché irreperibile e perennemente occupato. Molly continuava a chiedersi con molta irritazione come potesse tenerla al sicuro se di fatto Sherlock passava la maggior parte del tempo lontano da Baker Street.
Non che la cosa le dispiacesse. Al massimo la infastidiva un pochettino, ma solo perché così non poteva sfoggiare il suo atteggiamento freddo-e-scostante.
Però Beker Street senza Sherlock sembrava una scatola vuota, oltremodo noiosa. Per un po' Molly si chiese se era così che Sherlock si sentiva continuamente: stufo, sonnolento, in cerca di distrazioni. Lei avvertiva sempre più la sensazione essere in gabbia, come se quelle pareti con quell'assurda tappezzeria fossero delle sbarre, e pian piano cominciò a pensare di evadere.
Buffo, evadere dal 221B, il posto in cui per anni aveva desiderato essere. Anche se si rendeva conto che era più un'evasione da sé stessa e da quella assurda e insostenibile situazione, più un fattore mentale che altro.
Per questo una piovosa e grigia sera (in cui Sherlock Holmes mancava di casa da quasi tre giorni) Molly Hooper prese coraggio, scese le scale e con un gesto deciso aprì la porta di casa uscendo con l'ombrello sotto la pioggia battente. Nessuno cercò di fermarla.
L'evasione più facile del secolo.
 
Mycroft ne aveva viste di cose strane nella sua vita.
Suo fratello per esempio era la stranezza fatta persona con tutti i suoi strani hobby, idee ed ossessioni. Molly Hooper era una di queste.
Non che Sherlock l'avesse mai ammesso, probabilmente non se ne rendeva conto nemmeno lui, ma quella donna esercitava su di lui un effetto del tutto particolare. Non era come la Donna, per cui Sherlock provava ammirazione e rispetto, eppure la patologa sembrava interessarlo in maniera più intensa e meno razionale.
Ovviamente il maggiore degli Holmes non aveva detto niente, anche perché lui stesso non sapeva come definire questo comportamento del tutto inedito del fratello; si era limitato a sondare le sue reazioni tramite sotto intesi e frecciatine. Il diretto interessato era stato sempre impassibile, con sommo disappunto di Mycroft che riteneva un suo personale talento la capacità di irritarlo facilmente.
In effetti in quel momento Sherlock Holmes era parecchio irritato, ma la colpa – o il merito – non spettava al Governo Inglese.
“Questo. Non. È. Il. Modo. Di. Comportarsi!” scandiva stizzito, articolando ogni parola con un ampio movimento delle labbra. Mycroft lo osservò in silenzio, tenendo per sé le proprie considerazioni.
“Io la ospito a casa mia, mi comporto come “un buon coinquilino”, sono persino gentile e lei? Nessuna gratitudine!” Mycroft si lasciò sfuggire uno sguardo divertito “Non che mi interessi un riconoscimento vuoto, falso e inutile dettato unicamente dalle apparenze a dalle convenzioni sociali” precisò immediatamente.
Il detective continuava a muoversi frenetico per la stanza in preda al nervosismo.
“E sul resto ci sono sviluppi?” chiese il fratello.
“Niente di significativo” rispose Sherlock sovrappensiero “Moriarty procede a rilento, mi chiedo cosa stia aspettando”
“I tuoi sospetti?”
“Per il momento infondati, sono più giorni che indago personalmente ma non sono giunto a nessuna traccia concreta”
Mycroft rimase un secondo in silenzio, una domanda sospesa sulle labbra.
“Cosa pensi di fare con Molly?” chiese infine.
Sherlock sventolò una mano incurante.
“Per il momento non è lei il problema. Finché rimane a Baker Street è al sicuro, ci sono cose ben più urgenti di Molly Hooper”
Non fece in tempo a finire la frase che uno degli uomini di Mycroft entrò nella stanza senza neanche bussare.
“Signor Holmes, c'è un problema”
 
Aveva notato la macchina nera mentre passava sulle strisce pedonali a metà di Chiltern Street, poi l'aveva incrociata ancora lungo Manchester Street e da lì in poi la vettura l'aveva seguita con insistenza. Molly aveva cercato di mantenere un'andatura ordinaria e disinvolta, di cambiare spesso percorso bruscamente e di restare sempre in zone con alta percorrenza. Ormai era diventata un'esperta in questo genere di cose – anche se non era esattamente motivo di vanto – ma non per questo si sentiva più sicura.
Molto probabilmente si trattava di agenti sotto il controllo del fratello di Sherlock, ma non per questo avrebbe abbassato la guardia. Aveva imparato che Londra poteva essere una città molto pericolosa, tanto più se si era amici di Sherlock Holmes.
Sulla A5204 c'era un traffico particolarmente intenso quel pomeriggio e con suo grande sollievo la patologa vide che la macchina nera era rimasta incastrata dietro a un bus, fuori dalla sua visuale. Approfittò di quel momento di fortuna per infilarsi in un piccolo parchetto ai margini della strada.
Era un posto tranquillo, vivacizzato solo da alcuni bambini che giocavano con le loro babysitter, quasi tutte le panchine erano occupate da qualche anziano che leggeva il giornale o dava da mangiare agli scoiattoli.
Molly si sedette sulla panchina più vicina ad aspettare che il cuore rallentasse i battiti dopo la fuga dai suoi pedinatori. Sull'estremità opposta un uomo era immerso nella lettura del Daily Telegraph, che gli copriva praticamente tutto il viso, a lei quasi venne un colpo quando vide la faccia di Moriarty che la fissava dalla foto sulla testata del giornale.
C'era ancora qualcosa in quell'uomo, che per un certo periodo aveva creduto di conoscere ed amare, che la rendeva inquieta. Era pericoloso ovviamente, ma non riuscire a capire quanto lo fosse e fin dove avrebbe potuto spingersi lo rendeva ancora più pericoloso e indecifrabile. Spesso più che una persona in carne ed ossa sembrava un fantasma o una marionetta, più di una volta si era chiesta se fosse veramente tornato o se si trattasse solo di una finzione.
La sensazione di essere perennemente in pericolo e di doversi sempre aspettare un colpo alle spalle era la cosa che più di tutte la tormentava.
“Scusi signorina, penso sia giunto il momento di andare”
Molly ci mise un po' a comprendere che la voce proveniva dall'uomo seduto lì vicino visto che aveva ancora il giornale a coprirgli il volto.
“Prego?” chiese colta alla sprovvista.
“Alzati Molly. Non c'è tempo da perdere”
La foto di Moriarty ondeggiò seguendo il movimento del giornale e scomparve quando quest'ultimo fu riposto per rivelare Jim Moriarty in carne ed ossa.
La donna rimase raggelata sulla panchina, fissando il suo ex ragazzo psicopatico che le sorrideva con arroganza.
“Avrai tempo dopo per dirmi quanto ti sono mancato, dolcezza”
 
Sherlock temeva sarebbe finita così. Conosceva e capiva fin troppo bene Moriarty, la sua brama e il suo egoismo. Quello che voleva lo otteneva sempre e ultimamente per qualche assurdo motivo Molly Hooper rientrava nella sua lista dei desideri.
Gli agenti di Mycroft avevano riferito di aver perso di vista la signorina Hooper per pochi minuti e di essere stati bloccati in combattimento, mentre un uomo si allontanava con il soggetto interessato. La deduzione su chi potesse averla rapita era stata ovvia anche per menti meno brillanti della sua.
Sapeva sarebbe accaduto eppure non aveva potuto fare niente per impedirlo. Perché?
Si era lasciato trasportare, condizionato dai sentimenti come gli uomini comuni che tanto disprezzava. Era semplicemente stato un idiota.
Non che lei avesse reso le cose più facili. Quando l'avesse rivista non si sarebbe di certo risparmiato nel rinfacciarle l'intera situazione. Quel pensiero gli diede una fitta al cuore, in moto di sconforto si rese conto che avrebbe anche potuto non rivederla più.
Subito la preoccupazione cedette il posto al furore. I suoi occhi si fecero più determinati, aveva giurato di proteggere le persone che amava a qualunque costo. Aveva già sfiorato le fiamme dell'inferno scottandosi, eppure si rendeva conto che si sarebbe buttato in quel fuoco pur di salvare Molly.
Il cellulare di Mycroft squillò rompendo il silenzio teso dell'ufficio.
“Mmmh...capisco...no, se li trovate non intervenite. Aspettate il mio ordine...sì, agite velocemente” rispose coinciso, per poi alzare gli occhi sul fratello.
“Vado” disse questi.
Mycroft serrò le labbra, preoccupato. Sapeva che non avrebbe in ogni caso potuto fermare Sherlock.
“Se sai dove trovarlo avverti subito le autorità. Hai visto cosa succede ad agire da solo” lo avvertì, temendo comunque che le sue indicazioni sarebbero rimaste inascoltate.
Il detective non replicò, semplicemente si infilò il suo cappotto e in un lampo era già alla porta.
“E Sherlock,” lo richiamò il maggiore degli Holmes “sii prudente”
 
Molly non avrebbe mai seguito Moriarty di sua spontanea volontà, probabilmente non l'avrebbe seguito neanche se l'avesse minacciata con una pistola o qualcosa del genere. Ma non per niente James Moriarty era la mente criminale più astuta di Londra, infatti sapeva esattamente come convincere le persone a seguirlo.
Nel caso di Molly Hooper era fin troppo facile. Era bastato insinuare che il suo caro Sherlock fosse in pericolo, inoltre quando le aveva mostrato una foto – falsa, ovviamente – che ritraeva il consulente investigativo ammanettato e in pessimo stato lei non si era neanche posta il dubbio se fosse vero. Era scattata dietro di lui senza un lamento, diretta a testa alta verso il suo destino.
Che creature stupide erano gli esseri umani, così facili da manipolare e così noiosamente prevedibili.
Ora stava a vedere cosa avrebbe fatto Sherlock, il suo rivale preferito. Sperava che almeno lui sarebbe stato in grado di sorprenderlo.
 
Sherlock correva attraverso la sera londinese. I taxi o qualsiasi altro mezzo erano troppo lenti e limitati per i suoi gusti. Era giunto il momento di agire e l'adrenalina e l'eccitazione rendevano nulla la fatica della corsa e l'aria fredda dell'inverno che gli tagliava gli zigomi affilati. I passanti che si spostavano sfiorandolo non erano più che ombre e fantasmi, la sua piena concentrazione era dedicata alla sua meta.
Finalmente avvistò i muri grigi slavati dell'edificio che stava cercando. Era sicuro che Moriarty si trovasse lì anche se non aveva prove, non era solo un presentimento, sarebbe stata esattamente la tipica cosa da Moriarty. Teatrale, pretenziosa ed esibizionista.
Entrò nel Barth's spalancando le porte, dirigendosi lì dove tutto era finito.
 
John non era un sensitivo né un indovino, non era nemmeno superstizioso, eppure era stato tormentato tutto il giorno da un brutto presentimento. Col tempo, soprattutto con la guerra, aveva imparato a dare ascolto al suo istinto.
Sherlock non rispondeva alle sue chiamate – di per sé non era una novità né un fatto allarmante – eppure John era sicuro che quella sera londinese avrebbe portato solo guai.









OK. Avete il diritto di picchiarmi.
Sono mesi e mesi che non aggiorno questa storia T^T questo capitolo è rimasto scritto a metà, riscritto e cambiato completamente troppo a lungo.
Devo dire che ha preso una piega completamente diversa da quella che avevo programmato quando l'avevo cominciata, ma anche se a volte è stato faticoso scrivere non volevo lasciarla incompiuta. Il prossimo capitolo dovrebbe essere l'ultimo, ma visto che mi conosco fin troppo bene non garantisco niente.
Scusate ancora per l'attesa (sempre che ci sia qualcuno disposto ancora a seguire questa storia)
Le recensioni sono sempre gradite, soprattutto a questo punto poiché temo che lo "stacco" sia troppo evidente (quando non si scrive per un po' è difficile continuare sulla stessa linea)
Baci a tutti!

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Capitolo 7
*** Obbligo o verità? ***



Anni prima
“Sicuro si possa salire fin qui?” chiese Molly dubbiosa.
Jim non sembrava neanche ascoltarla. Si beava ad occhi chiusi dei tiepidi raggi del sole primaverile con l'aria viziata che gli accarezzava la faccia. Il tetto del Bart's pareva un piccolo angolo di paradiso.
Molly non credeva che Jim fosse così avventuroso. Durante i loro precedenti appuntamenti le era sembrato un ragazzo timido e impacciato, ma comunque dolce e intelligente. Non il tipo disposto ad infrangere le regole per fare colpo. In ogni caso non le sembrava un male, in fondo Sherlock ne infrangeva a dozzine di regole e nessuno gli diceva mai niente. Anche se Sherlock Holmes era di tutt'altra categoria, un individuo speciale.
“Nessuno ti ha mai portato quassù?” le chiese Jim avvicinandosi.
Lei scosse piano la testa, le capitava di rado perfino essere invitata a cena da un uomo, figurarsi a fare un giro sul tetto dell'ospedale.
“Peccato” riprese lui, “È un posto così romantico, sembra un ingiustizia che non venga sfruttato. E Sherlock Holmes? Neanche lui ti ci hai mai portato?”
Molly arrossì involontariamente, Sherlock che l'avesse portata in un posto così particolare e intimo era davvero un'idea ridicola. Jim fraintese il suo rossore.
“Non volevo essere indiscreto” disse subito “Quello che c'è fra voi...”
“Non c'è nulla fra me e Sherlock Holmes” lo interruppe Molly decisa “Tranne un solido legame di collaborazione e amicizia”
Jim sorrise tornando a volgere lo sguardo verso la città.
“Sono sollevato. Chi sarei io per reggere il confronto con il grande detective? Ma a quanto pare non si pone neanche il problema”
Molly fece finta di non cogliere i sotto intesi di quella frase, ma il suo cuore cominciò a battere più veloce e irregolare.
“Comunque,” continuò Jim, “prima o poi dovrai farmelo conoscere”
“Certo” rispose Molly avvicinandosi al bordo del tetto “Devo ammettere che hai scelto un ottimo posto” disse cambiando argomento.
Il panorama era davvero spettacolare. Non che il Bart's fosse un edificio particolarmente alto o in una zona estremamente bella, ma Londra, con le sue strade affollate, i suoi palazzoni moderni e le persone che scorrevano su marciapiedi – decine di metri più in basso – tutte indaffarate, era vista da una prospettiva totalmente nuova. Sembrava di usare un binocolo magico che mostrava le cose più semplici e ordinarie, ma nascoste al normale sguardo.
James le venne vicino.
“È bello, vero? Sentirsi in alto, lontano dalle persone comuni” disse con veemenza.
Molly si voltò a studiare il suo sguardo rivolto in lontananza, gli occhi avevano perso ogni dolcezza e restavano due grandi buchi neri. Se non l'avesse conosciuto bene le avrebbe quasi potuto fare paura. Jim si accorse del suo sguardo e si girò anche lui.
Le loro labbra si toccarono in maniera naturale, come se non avessero atteso altro per tutto quel tempo. Fu un bacio di quelli che avvengono solo nelle favole, Londra, sotto di loro, sembrava lontana anni luce perché in quel momento esistevano solo loro due.
Quel bacio – Molly in quel momento ne era certa – sarebbe stato l'inizio di qualcosa di grande.
 

Dopo
Molly Hooper aveva paura naturalmente. Non che fosse mai stata particolarmente coraggiosa – in anni e anni non aveva neanche mai avuto l'ardire di dichiararsi a Sherlock – ma certamente venire sequestrata ed essere in balia del suo ex fidanzato, nonché criminale psicotico più ricercato d'Inghilterra, era una cosa che avrebbe spaventato chiunque.
Moriarty invece sembrava godersi la situazione. L'aveva portata all'interno del Bart's senza che nessuno facesse caso a loro due, Molly l'aveva seguito con la mente rivolta solo a Sherlock e a quello che gli scagnozzi di Moriarty gli stessero facendo in quel momento. Solo una volta che si furono fermati si rese conto di dove fosse stata portata.
Il tetto non poteva essere più diverso dalla prima volta in cui ci era salita, anni prima. La calda luce del sole era sostituita dal buio della fredda notte di gennaio e Jim Moriarty non era più il tecnico informatico carino con lei, ma il pazzo criminale che l'aveva rapita e la minacciava.
Mai come in quel momento Molly sentiva la mancanza di Sherlock.
“Cosa hai intenzione di fare?” domandò racimolando coraggio.
Moriarty si voltò stizzito come se lei lo stesse distraendo da qualcosa di importante.
“Ora aspettiamo” rispose laconico “Tutto andrà secondo i piani”
Molly aggrottò le sopracciglia, confusa.
“Pensavo mi avresti portato da Sherlock. Dove lo tieni?”
Moriarty rise, non una risata stridula ed esagerata come fanno solitamente i cattivi nei film, ma una risata spontanea, musicale e dolce e per un attimo Molly rivide in lui il ragazzo di cui si era innamorata. L'illusione svanì immediatamente appena i suoi occhi puntarono freddi su di lei.
“È proprio questo” disse una volta ripreso fiato “che mi piace di te, Molly Hooper. Sei così buona e semplice e ingenua
Gli occhi di Molly furono calamitati da quelli di lui, avrebbe voluto indietreggiare quando si avvicinò, ma si sentiva bloccata da quello sguardo. Nella sua testa poteva quasi sentire risuonare la sirena dell'allarme rosso, ma, nonostante avvertisse il pericolo, il suo corpo sembrava non rispondere.
“Proprio non capisci?” continuò il criminale, “Io non ho rapito Sherlock per attirare te, ma il contrario. Proprio ora il tuo cavaliere – scandì quella parola come se fosse un insulto – sta venendo a salvarti”
Molly si morse il labbro, il profumo intenso di Moriarty, così vicino a lei, la stordiva.
“Ci hai già provato, ricordi?” rispose, “Non ha funzionato nemmeno la prima volta”
“Oh, ma chi si ripete è noioso” disse lui sorridendo in maniera pericolosa “Io non ho intenzione di uccidere lui
 
Saliva i gradini a due a due, il tetto ancora a molte rampe di scala di distanza.
Il personale dell'ospedale lo guardava come se fosse una sorta di alieno, due infermieri provarono persino a fermarlo bloccandolo su un pianerottolo. Sherlock si divincolò incurante, poi con movimenti fluidi colpì il primo alla gola e il secondo con un calcio allo sterno. Entrambi stramazzarono a terra con un gemito tenendosi le parti lese e imprecando.
Il detective proseguì correndo sulle scale come se non fosse successo niente. Nella sua testa c'era solo Molly Hooper – la persona che avrebbe dovuto proteggere – in balia di Moriarty.
Molly che girava impacciata per casa sua, che lavorava concentrata alle analisi in laboratorio, che non riusciva a guardarlo negli occhi senza che le sue guance si tingessero di rosso; Molly col suo sorriso fragile e raro. Era la sua intuizione più inutile, ovvia e stupida, ma in quel momento Sherlock si rese conto di non essere disposto a perderla. Avrebbe fatto qualsiasi cosa.
 
“Ti ricordi l'ultima volta che siamo saliti su questo tetto?” domandò Moriarty con voce flautata. In pochi secondi il suo atteggiamento si era completamente trasformato, non ricordava neppure lontanamente l'uomo che l'aveva minacciata. In qualità di dottoressa Molly non poté fare a meno di classificare il suo caso come bipolarismo acuto, ma era solo una piccola parte del suo cervello – che sembrava essere totalmente distaccata dal resto – che ragionava ancora e le gridava che doveva allontanarsi il più velocemente possibile.
Moriarty però era vicino e la sua voce fin troppo ammaliante.
“Ti ricordi, vero?” chiese ancora sorridendo e per un attimo sembrò ancora il ragazzo timido di molti anni prima. Le passò delicatamente una mano sulla spalla tenendola vicino a lui.
Allora la parte ancora pensante del cervello di Molly Hooper riuscì miracolosamente a farsi sentire, perché non c'era assolutamente niente di giusto in quella situazione.
“Lasciami stare!” gridò istintivamente e si liberò dallo pseudo abbraccio tirandogli uno schiaffo.
Era la seconda volta in vita sua che schiaffeggiava una persona, era la seconda volta in vita sua che schiaffeggiava qualcuno che mai si sarebbe sognata di schiaffeggiare. La sorpresa sul volto di Moriarty non riuscì a farla gioire appieno, poiché immediatamente fu sostituita dall'ira più temibile.
Molly pensò che probabilmente l'avrebbe uccisa all'istante o forse avrebbe optato per una morte lenta e dolorosa. Di sicuro sarebbe stato qualcosa di orribile.
Invece James Moriarty non fece nessuna di queste cose. Si riavvicinò a lei con la lentezza del predatore che sa già di aver intrappolato la propria preda e con un movimento fluido e veloce la baciò.
 
Per una volta Sherlock non poteva credere ai propri occhi. Non voleva farlo.
Come al solito la sua intuizione non era stata sbagliata, infatti Moriarty aveva portato Molly in cima al tetto del Bart's, ma forse sarebbe stato meglio il contrario.
Nella sua mente si affollarono diverse opzioni plausibili sul perché Molly Hooper stesse baciando Jim Moriarty – in realtà poteva benissimo essere il contrario, eppure Sherlock non sembrò prenderlo in considerazione –, ma nessuna di esse poteva giustificare il gesto che si stava compiendo.
Immediatamente entrambi si accorsero del suo arrivo e si distaccarono bruscamente, anche con la poca luce Sherlock vide chiaramente Molly arrossire.
“Sherlock Holmes!” lo salutò gaiamente Moriarty con un inchino “Che tempismo!”
Il detective serrò i pugni, resistendo all'impulso di staccare uno ad uno tutti i denti candidi di quel sorriso strafottente.
“La cara Molly qui presente si stava giusto chiedendo quando saresti arrivato. Non è stato carino da parte tua lasciarla tutta sola”
Lei aprì la bocca per parlare, ma Moriarty la interruppe.
“Lo so, lo so. Non hai bisogno di giustificarti, non è facile resistere al mio fascino. E poi mi sembrava di aver capito che Sherlock non fosse interessato”
“Non sono affari tuoi” ribatté lui, “Ora lasciala andare immediatamente, verme”
Moriarty aggrottò le sopracciglia assumendo un'espressione mortalmente offesa.
“Come sei scortese! E pensare che io mi preoccupo per te! Ti ricordi cose ti ho detto, vero? Ti brucerò il cuore. Non potrei mai permettere che lo faccia qualcun altro prima di me” disse accennando a Molly.
“Lei non c'entra niente. È una questione fra me e te” rispose Sherlock aspro avanzando verso di lui.
Molly, attonita, assisteva in disparte allo scambio fra i due geni.
“Oh, Sherlock! Sempre cosi teatrale!” esclamò Jim gioviale.
“Disse quello che ha rapito una ragazza e l'ha portata in cima ad un tetto!” lo accusò il detective.
“Rapito. Che brutta parola, mi fa sembrare quasi un criminale” disse con una smorfia divertita “Io non ho obbligato nessuno”
Lo sguardo di Sherlock saettò per una frazione di secondo verso Molly che sembrò leggerci dentro dubbio e delusione. Avrebbe voluto intervenire, spiegare la verità e uscire il più velocemente possibile da quella situazione ma le parole le morivano in gola.
“Mi sono stufato dei tuoi giochetti” disse Sherlock rivolto a Moriarty mentre avanzava deciso verso di loro.
“Non così in fretta” lo frenò lui puntandogli contro una pistola. Sherlock si diede mentalmente dell'idiota per essere andato lì disarmato, John non avrebbe mai commesso qell'errore.
“Visto che i miei giochetti ti hanno stancato ne faremo uno nuovo” riprese Moriarty con l'aria di chi si sta divertendo un mondo “Obbligo o verità?”
“Questo gioco lo fanno i bambini” replicò Sherlock ostentando calma “Una cosa molto fuori moda, James”
“Anche fingere la propria morte è diventato fuori moda. Una caduta di stile da parte di entrambi pare. Allora, obbligo o verità?”
Sherlock rimase ostinatamente zitto.
“Non lo ripeterò un'altra volta” disse Moriarty spostando la traiettoria di sparo da lui a Molly.
“Verità” scelse il detective riluttante.
“Mmmh...noioso, ma va bene. Sei innamorato di Molly Hooper?”
La ragazza chiamata in causa sgranò gli occhi. Era una domanda stupida dalla risposta scontata, chiaramente Moriarty voleva solo metterla in imbarazzo e umiliarla. Non capiva che bisogno avesse di farla soffrire ulteriormente.
Sherlock serrò le labbra e abbassò lo sguardo, ma nel buio della notte Molly non riuscì a vedere il suo volto.
“No” ripose infine l'uomo con tono indifferente. Nonostante lo sapesse già la ragazza non poté fare a meno di sentirsi sprofondare nella delusione, mentre al contrario Moriarty accolse quell'affermazione con un sorriso.
“Perfetto! Quindi non ti dispiacerà troppo quando morirà”
La mano del criminale che teneva la pistola puntata contro la ragazza tremò, Sherlock si impose di mantenere il sangue freddo come il suo sguardo.
“Perché dovresti farlo? Te l'ho già detto: è una questione solo fra noi due”
“E io ti ho già detto che ti brucerò il cuore” disse Jim Moriarty, “Non essere stupido, Sherlock. Io odio li stupidi” La pistola descriveva piccoli e lenti cerchi in aria “È evidente che la morte di Molly Hooper ti spezzerebbe
Sherlock rimase impassibile, mentre il suo cervello lavorava febbrile.
“Non credo farai in tempo. La polizia sarà qui a minuti” rispose sfrontato.
Moriarty irruppe in una risata priva di allegria.
“Davvero pensi cadrò nel tuo bluff? Ti conosco troppo bene Sherlock, non è nel tuo stile chiamare la polizia, a te piace rischiare la tua vita tutto da solo”
“Allo stesso modo non è nel tuo stile sparare alle persone, Jim” lo richiamò il detective in un ultimo tentativo disperato.
“Neanche il tuo, eppure l'hai fatto” replicò lui “E lo farò anch'io”
L'arma ebbe uno scatto e Molly serrò gli occhi, convinta che in quel momento sarebbe morta davvero. Non che avesse chissà quali rimpianti o desideri di una fine eroica, ma venire uccisa dopo essere appena stata rifiutata sarebbe stata la ciliegina sulla torta della sua vita triste e inutile.
Attese il fatale suono dello sparo, ma invece il rumore che sentì fu del tutto diverso. Quando riaprì gli occhi vide un elicottero che si avvicinava rapidissimo e in pochi secondi arrivò al bordo opposto del tetto.
Contemporaneamente la porta che conduceva di sotto si spalancò e una squadriglia di poliziotti capeggiati da Lestrade, che gridava ordini come un forsennato, fece irruzione con i fucili spianati. In tutto quel trambusto Moriarty era già corso fino all'elicottero che si stava alzando di nuovo in volo portandolo in salvo, ancora una volta lontano dalla morsa della giustizia.
Sherlock inaspettatamente non cercò di seguirlo – come gli ordinava di fare il suo istinto – ma si precipitò ad afferrare Molly, sfinita dalla tensione, a cui erano cedute le gambe.
“Questa volta non potevo rischiare” disse Sherlock, anche se Moriarty era ormai troppo lontano per sentire la sua risposta. Molly stava lentamente perdendo coscienza e ,mentre l'adrenalina che aveva in corpo scemava, pensò di averlo solo immaginato sussurrare in aggiunta: “Lei è troppo importante”








Note:
Questo è l'ultimo capitolo, manca solo l'epilogo (già pronto) e la storia sarà completa.
Questo è un capitolo molto dialogato, di solito non è nel mio stile mettere tanti discorsi, spero che risultino realistici e avvincenti.
I vostri commenti mi riempiono sempre di orgoglio e mi fanno capire quanto ci teniate a questa storia. Non vi rigrazierò mai abbastanza <3
A presto, prestissimo!

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Capitolo 8
*** Epilogo ***



Lestrade non era mai stato tanto fiero di sé, non solo aveva salvato Sherlock Holmes – già solo il fatto che gli avesse chiesto aiuto era da annoverare fra i miracoli post-natale – ma era anche riuscito a fare la figura dell'eroe davanti ai media. L'inevitabile fuga di Moriarty era fortunatamente passata in secondo piano e tutti sembravano felici e sollevati.
Ad eccezione di uno ovviamente.
L'ispettore si liberò con una risposta veloce dell'ennesima giornalista e si avvicinò indisturbato a Sherlock, in piedi all'ombra di un'ambulanza, il suo volto era illuminato ad intervalli regolari dalla luce blu del lampeggiante.
“Non essere troppo entusiasta di esserti salvato la pelle anche questa volta”
Sherlock alzò appena lo sguardo, la coperta post shock che qualche infermiere gli aveva avvolto intorno scivolò su un lato. Il detective rimase ostinatamente zitto.
“Ok, adesso mi sto seriamente preoccupando. Dov'è finito il tuo incessante ed insopportabile fiume di parole?” chiese Greg sarcastico.
Sherlock sbuffò.
“Non riescono proprio a concepire l'inutilità di queste coperte” sbottò tagliente lanciandola via.
“Non tutti hanno un intelligenza superiore come te” ribatté il detective “Anche se a volte è sorprendente quanto tu sia così stupido essendo così geniale”
“La tua è una contraddizione” obbiettò Sherlock alzando entrambe le sopracciglia.
“È la verità. Mi chiedo cosa tu stia aspettando”
Sherlock abbassò le spalle imbronciato.
“Parla in modo chiaro” borbottò cupo.
“Davvero non lo deduci?” ironizzò Lestrade approfittando di aver per una volta il coltello dalla parte del manico “Non so cosa sia successo di preciso fra di voi, ma è lampante che tu piaci a Molly...” Sherlock sollevò lo sguardo speranzoso “...almeno quanto lei piace a te” per poi riabbassarlo seccato.
“Non dire sciocchezze” lo riproverò il detective, ma sembrava aver recuperato in parte il buon umore “Non mi piace Molly Hooper, non sono mica un bimbo delle elementari”
“Ah no? Peccato. Io me ne intendo di queste cose e voi due sareste proprio una bella coppia” disse Lestrade che si stava divertendo un mondo.
“Tu non te ne intendi, George, ti ricordo che sei divorziato”
“Allora non ti dispiace che Molly voglia trasferirsi lontano da Baker street, dice che tu non la vorresti più come coinquilina. Secondo me dovresti andare a parlarle” Greg non fece in tempo a finire la frase che Sherlock era già sparito.
L'ispettore di Scotland Yard non poté trattenere un sorriso furbo.
 
Molly stava raccontando i dettagli dell'accaduto ad un agente, quando scorse Sherlock che si dirigeva con passo deciso verso di lei. Ebbe un attimo di puro panico, dopo tutto quello che era successo quella notte sarebbe stato il colmo se le fosse venuto un infarto in quel momento, valutò perfino la fuga ma Sherlock fu più veloce.
“Molly Hooper” la richiamò “Dobbiamo parlare”
Il poliziotto sposto lo sguardo imbarazzato da lui a lei, quando il detective lo fulminò con un occhiata prese la decisione giusta e si ritirò con discrezione.
Molly aspettò che Sherlock cominciasse ad insultarla, a deriderla, a darle ordini o quanto meno dicesse qualcosa, invece il silenzio si estese per secondi lunghissimi. Iniziava giusto a pensare che sarebbe semplicemente rimasto lì a squadrarla corrucciato come punizione, quando finalmente si decise a parlare.
“Ho fatto qualcosa di sbagliato?” domandò a bruciapelo.
Molly lo guardò confusa.
“Ho fatto qualcosa di sbagliato?” ripeté “Perché non vuoi più essere la mia coinquilina? Magari ho inconsapevolmente infranto quel tuo contratto” disse con un tono quasi di scuse.
“Davvero?!” Molly rise sollevata ed incredula “Tu hai fatto una miriade di cose sbagliate,” rispose e Sherlock si rabbuiò “ma non è per quello che me ne volevo andare. Pensavo tu non mi volessi più”
“Questo è fuori questione” replicò il detective “In questo momento sei più in pericolo che mai e ho ancora il compito di proteggerti. Meglio dell'ultima volta” specificò.
“Inoltre sei una buona coinquilina, quasi meglio di John” aggiunse facendole l'occhiolino “ma non dirgli che l'ho detto”
A Molly parve perfino di scorgere un mezzo sorriso sulle sue labbra.
“In effetti Toby adora il 221B. Sarebbe un grande problema trasferirlo nuovamente” affermò Molly che stava prendendo gusto nel conversare – se non si fosse trattato di Sherlock avrebbe detto flirtare – con lui in quel modo.
“Perfetto. Allora ci vediamo a casa” Quella parola aveva un sapore nuovo e promettente nella sua bocca “Ora ho da fare” troncò il discorso Sherlock che si rendeva conto di starsi esponendo troppo.
Molly aspettò che avesse fatto qualche passo prima di trovare il coraggio di chiamarlo.
“Mi spiace” cominciò titubantecercando di chiarire ciò che le premeva di più “Per quello che è successo con Moriarty...cioè è folle e poi...” arrossì “...mi piace qualcun altro. Quel bacio non significava niente, davvero”
Sherlock la guardò a lungo, con un misto di piacevole sorpresa e divertimento.
“Non preoccuparti Molly, sono incidenti che capitano” rispose andandosene.
Molly sorrise tirando un sospiro di sollievo, felice di essersi tolta questo peso.
“Aspetta” disse lei attirando nuovamente la sua attenzione “Quindi quello che è successo in laboratorio cos'è stato?”
Sherlock rifletté, con un sorriso ambiguo sul volto
“Un piacevole incidente” dichiarò infine.
E ad entrambi andava bene così
 
Molly e Sherlock avevano un equilibrio sottile, strano e disarmante per molti. Eppure si bastavano, uno per l'altro, nonostante i litigi e le incomprensioni e tutto quell'insieme caotico che erano i sentimenti. La vita al 221B di Baker Street non era certo tranquilla e quello in laboratorio fu solo il primo di una serie di “piacevoli incidenti”.









Finitooooo! Non ci credo ancora ahahah
Mi sono divertita a scrivere questa storia (anche se in certi momenti è stato un po' un parto), adoro questi personaggi e non vedo l'ora di utilizzarli ancora.
Doverosi ringraziamenti a tutti quelli che hanno seguito/preferito e soprattutto commentato questa storia. Senza di voi non credo sarei mai riuscita a concluderla <3
Spero di risentirvi tutti/e molto presto!

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