† Trovami †

di _Sweet_Dream_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** † A un passo a te † ***
Capitolo 2: *** † Eccoti, eppure… † ***
Capitolo 3: *** † Ci sei sempre tu † ***
Capitolo 4: *** † So' che ci sarai… † ***



Capitolo 1
*** † A un passo a te † ***


La prudenza è una vecchia e ricca zitella corteggiata dall'incapacità.
(William Blake, Il Matrimonio del Cielo e dell'Inferno)

† A un passo da te †

Lui

Ero appena tornato dalla caccia, quando sentii delle voci provenienti dalla sala del Consiglio.

  - È qualcosa d’incredibile! - doveva essere la voce di Gerard. Vecchio com’era, certo che aveva una bella voce squillante.

  - Incredibilmente pericoloso - avvicinai di più l’orecchio alla porta, per sentire.

  - Va’ uccisa! - disse mio padre con convinzione.

  - Potremmo anche studiarla e capirne i poteri - di qualsiasi cosa stessero parlando, Gerard era pronto a proteggerlo, in qualche modo e qualunque cosa sia.

  - No, la decisione è stata presa - disse mio padre con freddezza - La ragazza va’ uccisa - m’incuriosii di più - La riunione è finita - mi appoggiai al muro, aspettando che uscissero e così fecero, salutandomi. Poi, uscì Gerard.

  - Cos’è la ragazza per te? - gli chiesi di botto e lui, non si stupì della domanda.

  - Un’animo sofferente può essere mille volte più pericoloso di qualsiasi altra bomba. Non t’immischiare ragazzo - disse toccandomi la spalla ed andandosene. Si sbagliava se credeva che avessi lasciato stare. Entrai, trovando mio padre seduto a capo tavola. Aveva l’aspetto del re e lo era. Chiusi la porta dietro di me.

  - Ho un compito d’affidarti… -

Lei

  - Uccidila! -

Non ho mai visto il volto di mio padre ed ho quasi dimenticato completamente quello di mia madre. Non so dove sono nata, visto che mi sono trasferita in questa città quando ero ancora piccola, fin troppo piccola. L’unica cosa che so, è che ricordo tutto ciò che mi è successo, cose che una bambina di quell’età, non dovrebbe neanche immaginare. Si dice che l’infanzia sia il periodo in cui siamo piccoli, giochiamo senza pensieri e ci divertiamo di più, e si dice che tutto ciò finisca quando si decide di diventare maturi. Non così. L’infanzia, è il mondo dove nessuno muore, quindi, personalmente, io, non l’ho mai avuta. 

A causa di mia madre, non credo più nelle persone. Quando qualcuno mi parla, il meno delle volte, guardo sempre tra le righe, non credendogli. Sono una persona che osserva molto la gente, ma non perché m’interessa, al contrario; “Prevenire è meglio che curare, no?”. 

A quel la sveglia suonò, e la scaraventai contro la parete della stanza, notando che non fosse lei a suonare, ma il mio cellulare. Lo presi, trascinandolo sotto alle coperte e risposi, neanche senza vedere chi fosse.

Ero appena tornato dalla caccia, quando sentii delle voci provenienti dalla sala del Consiglio.

  - Alzati dormigliona… - disse Jake, il mio migliore amico, ancora per poco. Guardai l’orario notando che ore fossero.

  - Perché sul mio cellulare non sono segnate le nove? - gli chiesi.

  - El… - gli attaccai il cellulare in faccia, rimettendomi a dormire, solo che il sonno non venne. Fui costretta ad alzarmi. Mi sentivo tutta intorpidita a causa del sognoincubo che avevo fatto. Provai a stiracchiarmi e ricaddi sul letto, guardando il soffitto. Ammirai tutti i vari poster e disegni che tenevo attaccati alle pareti e di quanto tempo ci avessi messo per ognuno di loro.

Mi alzai, scendendo le scale del piano inferiore e mi preparai un cappuccino. A quell’ora tutti quanti dormivano, ma 

fare rumore, era l’ultimo dei miei problemi. Me lo portai in bagno e mentre mi lavavo, sorseggiai, fin quando la sostanza scura non finì. Sciacquai la tazza e la usai per farmi gli sciacqui con l’acqua.

M’infilai un paio di pantaloncini modello scozzese con le catene attaccate vicino. Gli scarponi neri. Una canotta nera con sopra un’impermeabile aperto davanti, che lasciava vedere le gambe. Indossai il guanto portafortuna nero in pelle. Mi pettinai velocemente i capelli blu e m’infilai i vari anelli, bracciali neri e gli orecchini. Prendendo la borsa ed il cellulare, insieme alla tazza. Lasciai la tazza nel lavello del bagno e mi calai dalla finestra. C’era una scala che lasciavo sempre prima di rientrare da casa.

Uscii dal portico ed incominciai a camminare, affiancata dal bosco. Si sentiva nell’aria l’odore delle serate di inizio inverno. L’aria frizzantina mi pungeva il naso, ma mi piaceva, perché se avessi dovuto scegliere tra caldo e freddo, avrei sempre scelto il freddo. Nel freddo, trovo la mia protezione, la sicurezza, la forza di fare ogni cosa, dalla più inutile a quella più difficile.

Il vento che tirava, portava con se le piccole foglioline ancora attaccate ai rami, portandole in una dolce danza a terra, congiungendole alle altre. Era bello quel pavimento di foglio rossastre. 

M’inoltrai nella foresta. Sembrava che ci fosse un soffitto di rami intrecciati. Il fatto che fosse abbastanza buio, rendeva 

quella foresta che di mattina era magica, oscura e tenebrosa.

Arrivai davanti ad i grandi cancelli e vi ci entrai dentro. Passando tra le varie statue degli Angeli, notai non molto distante il giardiniere che stava cercando di raccogliere le foglie, ma invano, visto che il vento le portava via con se. Arrivai vicino al grande albero, girandomi verso alla lapide. La toccai, togliendoci da sopra la polvere e mostrando le piccole incisioni che c’erano sopra. Evangeline Grey. Guardai quelle scritte, pensando. Alzai la testa e non molto distante, vidi una statua, ma sembrava che davanti ad esse ci fosse qualcosa, qualcuno. Ma in fondo era buio, quindi non vedevo molto bene.

Il giorno del suo funerale, non piansi. Molti pensarono che non lo feci a causa del forte shock della perdita, ma non era così. Quel giorno, non provai niente. Quando morì, passai parte della mia infanzia anche a casa di mia nonna, lunatica com’era, ma mi aveva rivelato molte cose. Preferivo lei a mio padre.

Incamminandomi verso l’uscita, sentii come una presenza, che mi stesse guardando, quindi, accelerai il passo.

Il locale non era molto distante da dov’ero. Entrai dentro al bar, raggiungendo la guardia vestita in nero davanti alla porta e, riconoscendomi, me l’aprì, lasciandomi passare. Scesi le scale, arrivando davanti ad una porta rossa e l’aprii. Le luci erano spente, lasciando solamente i laser colorati da tutte le parti. Il locale era affollato e la gente era pronta per il concerto. Vedevo le sagome dei ragazzi su palco. Accesi la luce del telefono e lo alzai, facendo segno. Tutti quanti scoppiarono in un’applauso e mi lasciarono passare. Saltai sul palco e gli addetti, posizionarono la mano di metallo come poggia microfono.

Ero appena tornato dalla caccia, quando sentii delle voci provenienti dalla sala del Consiglio.

  - Finalmente! - disse Jake. Anche se era buio, riuscivo a vedere la sua chioma tinta di verde acqua, i capelli alzati da un lato e gli orecchini. All’altra chitarra, c’era Kail, con la sua chioma rossa.

  - Potevi fare più tardi se volevi - mi girai e sentii il batterista nuovo fare della prove. Lo tenevamo in prestito. Un grande occhio di bue si abbatté su di noi e la stanza fu piena di ischi, urli, applausi.

  - Buonasera. Per chi non ci conosce, noi siamo i… BLACK.

La sala scoppiò in un’applauso misto a mischi, urla, quando mi staccai dal microfono. La canzone era venuta meglio grazie ad alcuni miei cambiamenti di suono ed al fatto che avessi la voce metallica. 
 

  - Grande! - diedi il cinque a Jake e Kail e ringraziai il batterista per essersi esibito con noi.

 - BLACK! BLACK! BLACK! - quello era il coro continuo del pubblico, mentre ci acclamava. Ma il mio sorriso si spense quando vidi ritornare la luce e le guardie di mio padre intorno al lui, mentre si faceva avanti. Scesi dal palco, guardando negli occhi la prima guardia che mi stava davanti e spintonandoli, camminai oltre. Uscii dal locale e dal bar, ritrovandomi davanti ad una limousine, quella di mio padre. Sott’occhio, notai una moto nera Monster. E sorridendo, entrai nell’auto, nel posto davanti, vicino a Jim.
 
 - Ciao Jim - era l’autista di mio padre nonché sua guardia del corpo personale e mia, ovviamente.


 - Signorina. Com’è andato il concerto? - non gli avevo fatto perdere il vizio di chiamarmi Signorina, ma almeno avevo rimediato il tu. Mi faceva sentire più… normale. 

 - Ma cosa ti è saltato in mente!? - disse mio padre entrando nell’auto sul sediolino posteriore e sbattendo la porta violentemente. Appena le guardie entrarono nella macchina di dietro, partimmo.
 
 - Bene se non fosse arrivato lui - e m’infilai le cuffiette nelle orecchie.
 
 - Se non fossi arrivato io? Sono passato nella tua stanza per farti vedere una cosa e cosa vedo? Mia figlia non c’era. Pensavo che… - lasciò la frase sospesa in aria, con tanta tristezza.

  - Come mai non hai mandato Abigail a controllarmi? - una delle mie tate, in verità, l’unica che mi sia mai piaciuta - Credi la stessa cosa in continuazione. Tanto vale abolire la parola divertimento -
 
  - Non parlarmi così. Ti proibisco… -
 
  - Cosa? Di andare a scuola? Ti ricordo che domani è il mio primo giorno dopo l’allontanamento - ero stata allontanata non perché avessi fatto qualcosa, per la prima volta, ma perché ero stata accusata ingiustamente.
 
  - Jim verrà con te. Ti accompagnerà a scuola e ti verrà a prendere. Andrai a fare il tuo corso di musica e tornerai a casa - arrivammo a casa e scattai fuori come un missile, seguita da lui.

   - Si, come no -

   - Sono tuo padre! E farai quello che dico io! - disse con voce seria ed arrabbiata. Non era la prima volta che lo vedevo in quel modo.

  
 - Altrimenti? Ti ricordo che con Evangeline non ho avuto mai problemi - quella frase, fu come un pugno in pieno volto, certamente, non aspettato - Indovina perché? - e me ne andai, salendo in camera mia. Non avevo sonno. Certo che no. Sarei dovuta rimanere li per tutta la notte e poi sarei crollata a casa. Camminai avanti ed indietro per la mia stanza, quando poi decisi di stendermi sul letto.









PS: Salve. Questa è la prima storia che scrivo e ho avuto un po' di difficoltà. Comunque, spero che vi piaccia e non dimenticate di scrivere delle recensioni. Se ci sono errori di ortografia chiedo scusa in anticipo e spero di migliorare :)

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Capitolo 2
*** † Eccoti, eppure… † ***


“Sapevo che alla fine sarebbe andata così”
“Allora perché non mi hai fermata?”

Eccoti, eppure… †

Sentii il cellulare vibrare. Risposi, rimanendo in silenzio. Sentivo le risate, le urla dei ragazzi che mi chiamavano e chiedevano il bis.

- El, andiamo… - sentivo le risate di Jake e Kail che giocavano insieme.

- Il prossimo gruppo è bravo, ascolta - ma quando rialzai lo sguardo, quello che vidi, fu… una sagoma oscura e l’unica fonte di luce, erano i suoi occhi, azzurro cristallino, quasi bianco. Lasciai cadere il cellulare sul letto, mentre in sottofondo c’era una canzone abbastanza movimentata. Cercai di alzarmi, per scappare, certamente non era li per socializzare, ma la sagoma caricò su di me e mi scaraventò contro il muro. Sentivo la testa farmi male e quando me la toccai, mi ritrovai una chiazza scura sulle mani. 

Si ributtò su di me ed a tentoni cercai qualcosa. In mano sentii qualcosa di vetro, tozzo e realizzai che fosse il vaso che… in quel momento non ricordavo. Gliel'ho ruppi in testa e vidi scorrere il sangue. Approfittai di quei pochi istanti per muovermi. Gattonai, verso la porta, ma mi prese per i capelli. Faceva male, tutto. Anche il minimo pensiero mi faceva male. Volevo urlare, ma non ci riuscivo, era come se qualcuno mi tenesse la mano sulla bocca, impedendomi di parlare. Mi scaraventò a terra e strisciai sui pezzi di vetro rotti del vaso, fino a scontrarmi con la parete. Si avvicinò a me, piegandosi sulle ginocchia e lo vidi. Mi stava… esaminando, quasi come se fossi un vaso che non doveva essere aperto.

Cercai di fermarla, ma troppo tardi; la lacrima già stava scendendo sulla guancia, bagnandomi. Sgranò gli occhi, guardandomi.

- Avanti, uccidimi! - si rialzò, sbalordito e chiuse la chiamata di Jake, interrompendo la musica. Io avevo le mascelle serrate.

- Non oggi - e se ne andò, scomparendo nell’ombra, quasi, non ci fosse stato.

Il sole splendeva, gli uccellini cinguettavano e la sveglia suonava, ovvero, la chiamata. Lo lasciai squillare, visto che non ero riuscita a dormire bene per tutta la notte a causa di un’incubo che avevo fatto. Notando che stessero continuando al cellulare, risposi.

- Cos’è successo? - non capii bene di chi fosse quella voce, ma lo sentivo affannato. La strada, il clacson delle macchine.

- Jake? - viveva più in città rispetto a me.

- Grazie a Dio stai bene - mi sedetti, togliendomi le coperte di dosso.

- Perché mi dici questo? - non riuscivo a capire di cosa stesse parlando.

- Ieri, ho sentito dei rumori -

- Quando? -

- A telefono - rimasi paralizzata e ricordai il sogno. Lui che mi chiamava e mi faceva sentire il gruppo che suonava.

- Ieri? - mi spostai i capelli, ma sentii come qualcosa di appiccicoso e bagnato. Guardando la mia mano, notai che fosse coperta di sangue. Scattai all’impiedi, e vidi una macchia rossa sul cuscino.

- Dopo che tuo padre ti è venuto a prendere, ti ho chiamato. Ho sentito dei rumori - ricordai di quando avevo visto quella sagoma, quegli occhi cristallini. Mi ha sbattuto contro il… muro ed il sangue dietro alla testa - Poi, come del vetro - alzandomi, m’incamminai in bagno e mi feci male, calpestando qualcosa di vetro. Ripensai a quando gli avevo rotto il vaso in testa - Stai bene? - 

- Certo - controllai nella spazzatura della mia stanza, ma non cera niente. Freneticamente, scesi al piano di sotto, scontrandomi con un paio si signore, ma non me ne importò ed a piedi nudi con i vestiti della sera prima, uscii fuori, andando sul retro della casa ed aprii il cassonetto.

- Che cosa stai facendo? -

- Frugo nella spazzatura - ed aprii un sacchetto, trovandoci dei pezzi di vetro.

- Perché? - non lo sapevo neanch’io, o forse si?

- No, una delle oche ha buttato una cosa. Scusa, devo andare - richiusi il cellulare e rientrai in casa.

- Puzzi di spazzatura - mi disse Jim senza peli sulla lingua e scansando delle oche, così io chiamavo alcune pettegole delle cameriere, ci dirigemmo in cucina.

- Jim, El. Oh mio Dio, che puzza - quella era Abigail, la mia tata da… sempre. Era mia madre.

- Ha avuto la brillante idea di infilarsi nel bidone - disse Jim dandole un bacio sulla guancia ed abbracciandola da dietro. Abigail sembrava imbarazzata dal modo in cui cercò di spostarsi.

- Io non dico che voi state insieme ed io non ho mai frugato nella spazzatura - presi al volo un pancake ed uscii dalla cucina, avviandomi nel grande salone. Mio padre passò, ma non lo degnai di uno sguardo, quando sentii i passi interrompersi e mi girai verso di lui. Eravamo lontani, volti l’uno verso l’altra, quasi come fosse un duello o meglio, lo era.

- Oggi pomeriggio verrà il tuo ragazzo -

- Non ho un ragazzo - non ero stranita dalla sua frase, ma, adirata, completamente. Un matrimonio combinato, io, ma per favore.

- Cos’hai che non va? - ah, io. È quello che fa, scarica sempre tutta la colpa su di me.

- Non era il volere di Evangeline - non voleva che affrontassi un matrimonio combinato, non l’ha mai voluto, perché neanche il suo lo era stato.

- È morta ed io sono tuo padre. Oggi pomeriggio verrà il tuo futuro fidanzato, che ti piaccia o no! - come se gliel’avessi fatta passare liscia dopo ieri sera - Cos’hai sul viso? - fece per avvicinarsi, ma indietreggiai, fino ad arrivare contro le scale.

- Io non mi sposerò! - dissi tra i denti e fatto ciò, salii le scale per la mia camera, nella quale mi chiusi dentro. Andai in bagno e notai che una macchia violacea si stava facendo largo sullo zigomo, insieme ad un taglio. Ripensai a quando avevo rotto il vaso. Molto probabilmente una scheggia mi aveva colpita. Scuotendo la testa, mi guardai allo specchio - Era solo un sogno - mi lavai velocemente, mettendomi il trucco nero, come al solito ed indossai dei vestiti a caso. Un jeans scambiato con delle catene. Un paio di converse ed una canotta. Per essere autunno, faceva abbastanza caldo. Tolsi le coperte, insieme alla fodera del cuscino e le buttai dalla finestra, visto che sotto c’era il bidone della spazzatura e lo centrai. Presi la mia borsa e mi calai dalla scala.

Ad aspettarmi nel garage della casa, c’era Jim. Non ero il tipo che si faceva accompagnare in limousine o con altre macchine. O le avrei guidate io o avrei scelto io il mezzo. Da uno scompartimento segreto che Evangeline aveva fatto fare quando mio padre era andato via per qualche giorno a causa del lavoro, uscì la mia moto. L’avevo comprata io con tutte le mance degli spettacoli, anche se alla fine posso dire che me l’abbiano regalata Jake e Kail. Mi avevano detto che avevano bisogno di un prestito ed io gli avevo dato i soldi che avevo guadagnato. Il giorno dopo mi ritrovai la moto davanti casa.

- Tieni! - presi il caso che mi passò Jim e portai la moto fuori dal vicolo. Ci saltai sopra e sgommai via, lasciando una striscia di fumo scuro. Mentre correvo, guardavo la strada che andava nella direzione opposta e forse, era quello che mi sarei aspettata. Andavo contro, nella direzione opposta, perché era quello che sapevo fare meglio.


La scuola non era molto distante da casa mia. Era un’istituto privato, alla fine, io e mio padre avevamo patteggiato in quel modo. Io sarei andata in quella scuola se solo non avessi avuto il coprifuoco e avessi potuto spaventare ancora le oche; era divertente. Dopo la morte di Evangeline, mio padre aveva avuto la brillante idea di rinchiudermi in un collegio. Fui cacciata la settimana dopo visto che avevo incendiato i capelli di un’insegnate. Avevo tritato tutti i libri trasformandoli in coriandoli. Avevo imbrattato i muri della scuola. Se non ricordavo male, avevo messo la colla su tutte le sedie degli insegnati ed avevo rotto… la fontana del cortile. 

Passai tra i ragazzi, che si scostarono, lasciandomi passare tra di loro. Mi guardavano, parlottando tra di loro di qualcosa che mi riguardava. Forse stavano parlando del livido che avevo sullo zigomo.

- El! - girai la testa, vedendo Jake e Kail sul “nostro” muretto, ma andai a finire addosso a qualcuno.

- Scusa - dissi d’istinto e quando alzai la testa, vidi degli occhi verdi come dei smeraldi incredibilmente, brillanti. I capelli neri come la pece.

- No scusami tu - disse sorridendomi e qualcosa, portò anche me a sorridere - Beh, ciao - e se ne andò. M’incamminai verso il muretto, sedendomi sopra.

- Com’è andata con tuo padre? - Kail ormai conosceva la prassi di qualsiasi litigio con mio padre. Una volta si era ritrovato in mezzo e non era andata a finire bene.

- Il solito. Vuole farmi sposare - mi accesi una sigaretta e lasciai uscire il fumo a piccoli cerchi nell’aria che si era raffreddata.

- Certo che vuole affrettare di molto - Jake lo guardò storto, quasi come se si fosse potuto risparmiare il commento.

- Il ragazzo con cui mi sono scontrata è nuovo? - mancavo da li da una settimana circa, o più, solo perché… no, non importava. I due si guardarono, come per soppesare la loro risposta. Jake chiuse gli occhi, respirando e quando li aprì, cambiò espressione.

- Che c’è sei interessata? - mi diede una spintarella e per poco non caddi, se non mi fossi aggrappata a lui. Lo mandai a quel paese - Ti ricordo che c’è i ballo d’inverno - era solo uno stupido ballo che organizzava la scuola. In tutto erano quattro balli. Quello delle matricole, una festa di presentazione. Il ballo d’inverno, uno stupido ballo dove le femmine invitavano i maschi. Il ballo di primavera, uno stupido incontro con i genitori e quello di fine anno.

- Lei? Interessata? Per favore - Kail sbuffò, ma aveva ragione.

- A giusto, lei non è una ragazza normale - gli tirai i capelli biondo verdi che si era tinto ed arrivai a scoccargli un bacio sulla fronte - Stavo scherzando - lo lasciai andare. C’erano più probabilità che la cenere attecchisse al suolo che io uscissi con un ragazzo seriamente. Lasciai cadere la cenere e… una folata di vento la portò via. Sorrisi.

- I ragazzi vogliono i Black - avvertì Kail. I ragazzi della scuola potevano fare una “colletta”, i genitori, per eleggere i gruppi che avrebbero suonato alla festa - Devi fare la canzone di tributo - pochi anni fa, cioè, almeno tre anni fa, era morto il figlio del preside ed io mi sentivo un po’ in colpa, visto che assistetti alla scena. Ogni anno mi davano la canzone di tributo in suo onore e per me era qualcosa di speciale, perché lo sentivo particolarmente vicino a me.

- Non c’è problema - appena suonò la campanella, mi aiutarono a scendere e lasciai la cenere cadere a terra, solo che questa, non toccò mai terra. E ce ne andammo, con nell’aria il profumo delle giornate d’inverno che aleggiava, sospesa.

Entrammo nella scuola e s’innalzarono le voci su di me. Sorrisi. Non avevano nient’altro da fare se non parlare di me? Patetici. Se avevano tanto da parlare, avevano tanto anche da invidiare. E non lo dicevo con cattiveria, io, non avevo niente, mentre loro vedevano tutto in me. Si può essere poveri dentro e ricchi all’esterno. Io, ero povera ad entrambi i lati.

Scontrai qualcuno con la spalla, ma non lo calcolai, visto che lo sorpassai subito e mi avviai in segreteria, per registrare la mia presenza.

- El, ciao - quei pochi che credevano veramente in me, oltre ai miei amici e parte della servitù in casa, erano la segretaria, l’infermiera, il professore di ginnastica e quello di filosofia, della scuola.

- Julia - prese dal cassetto una dei fogli, che mi passò - Grazie -

- Ciao - e me ne andai. A quel punto i ragazzi si avviarono in classe, nelle loro perfette divise della scuola, ma io no. Loro erano costretti ad indossarle visto che avevano una particolare situazione familiare. Io, beh, ero io. Entrai nell’ufficio del preside facendogli un cenno e mi avviai verso la zona bar, versando in sue bicchieri dello scotch. Lui venne a prendersi un bicchiere e ci sedemmo sulle poltrone, in mezzo alle quali c’era un tavolino di legno.

- Sei appena ritornata - lo vedevo anche io - E tuo padre mi ha minacciato di non istruire bene gli allievi - bevvi un sorso del contenuto del bicchiere e mi avvicinai verso la collezione di libri antichi del preside, toccando il dorso vecchio.

- Lo sa perché i libri antichi sono i più belli? - sorseggiai, per poi appoggiare il bicchiere sul ripiano e presi un libro, sfogliandolo e sentendo l’odore di vecchio - Hanno qualcosa di profondo da raccontare. Non capiremo mai l’importanza di qualcosa fin quando non sarà troppo tardi. È un concetto che non arriva proprio a mio padre. Lui non mi può tenere incatenata ne tantomeno lei. Ci perde lei se me ne vado - lasciai il bicchiere sul tavolino ed il libro sulla poltrona vicino al preside.

- È inutile cercare di gestire un gatto randagio - me ne andai, ma riuscii ad intravedere il mezzo sorriso sulle sue labbra. Si, forse anche il preside faceva il tifo per me, ma non ne ero completamente certa. La lezione era già incominciata, quindi, entrai nell’infermeria e mi lanciai sul mio lettino comodo.

L’infermiera non c’era, ma rimasi per un momento li, a guardare il bianco. per quanto mi piacesse il nero, c’era qualcosa nel bianco che… Presi la boccetta che corrispondeva al foglio che mi aveva dato la segretaria e presi due pillole dall’interno, ingoiandole con un po’ d’acqua. Lasciai che facessero effetto, lasciandomi cullare da quella sensazione di tranquillità.


Quando mi svegliai, notai l’orario e che il cellulare fosse pieno di chiamate perse di Jake e Kail. Mandai un messaggio al volo, dicendogli che mi ero addormentata in infermeria e che mi sarei diretta all’ultima ora di lezione. La cosa che mi stupì di più, fu che addosso, mi ritrovai una giacca di pelle nera. Me l’infilai e decisamente mi andava larga; era maschile. Odorava di… muschio e vaniglia, misto a… calore.

Alzandomi dal lettino, uscii fuori, notando che l’aria si fosse raffreddata molto di più del solito. 

Entrando in classe, fui accolta da un mormorio, ma il professore non c’era ancora. L’ora di filosofia.

Ma non ti avevano cacciato? 

Fai schifo!

E sentendo quelle urla, m’infilai le cuffiette nelle orecchie e con carta e penna alla mano, cercai le parole per la canzone di tributo. Fuori pioveva, quasi come se il cielo stesse rispecchiando il mio… niente. Quando la canzone finì, lasciai impressi sul foglio parole come “Alla ricerca di un finale dolce. Guarda la fiamma dentro i miei occhi Brucia così luminosa, voglio sentire il tuo amore”. Sentii anche i mormorii delle ragazze e togliendomi le cuffie, alzai gli occhi, incontrando due paia di sfere blu scintillanti. Sembravano quelle del mio incubo… 

I capelli castano dorati ricadevano scombinatamente sulla faccia. La linea perfetta del naso. Le labbra sottili. Le mascelle contratte e squadrate. Aveva un look quasi come il mio. Pantalone stralabrato con delle catene. Una maglietta nera a mezze maniche attillata, che faceva risaltare la linea dei muscoli circondati dalle vene sporgenti. Aveva un lungo tatuaggio su tutto il braccio sinistro ed indossava un’orologio nero. Portava una catenina intorno al collo, una sfilza di braccialetti ed un’anello. Sul sopracciglio destro portava un piercing nero e vari orecchini. A quel look da… duro, sembrava come mancare qualcosa. Una giacca di pelle nera. Che sciocchezza. 

Non era solo il tipo duro, ma anche quello che era abituato ad avere le ragazze ai suoi piedi. Poi, la vidi. La cicatrice che nascondeva sotto i capelli. Mi ricordò quella del sogno, quando avevo rotto il vaso in testa a quel tipo… scossi la testa.

Si sedette vicino a me, in silenzio, per quanto ci siamo guardati. Questa volta i mormorii non erano solamente su di me, quasi come se avesse scelto il momento giusto per entrare.

- Buongiorno ragazzi - disse il professore entrando. Era il classico professore anziano con occhiali e vestito bene. Uno di quello con il quale puoi instaurare un rapporto - Signorina Grey, è un piacere rivederla - disse sorridendomi. Anche se guardavo lui, sott’occhio notai occhiate sfuggenti dei ragazzi e di quello accanto a me - Allora, incominciamo con… William Blake - lo aveva fatto apposta, visto che era uno dei miei poeti preferiti - Una frase tratta con libro e anno - molti alzarono la mano e lui, passando per i banchi, interpellò quasi metà della classe, mentre io ripresi a scrivere - E lei, signorina Grey? - alzai lo sguardo - Cosa pensa dei poeti? -

- Sono persone normalissime. Ci sono più poeti in questa scuola che nella realtà. Non lo si è solo perché si ha scritto o si è famosi. Sono tanti i poeti che scrivono, ma pochi quelli che lo fanno col cuore - intrecciai per pochissimo lo sguardo del ragazzo accanto a me, che sembrava alquanto… compiaciuto.

- Un poema a suo piacere? -

- 1790-1793. Dal Matrimonio del Cielo e dell’Inferno. La prudenza è una vecchia zitella corteggiata dall’incapacità. Oppure: Io non interrogo il mio occhio… - ed a quel punto continuò…

- …Più di quanto interrogherei una finestra a proposito di una veduta. Io guardo attraverso di esso, non con esso - parte della classe rimase estasiata da lui, ma io ero più, stupita, irritata. La sua voce sembrava accarezzarmi come in tentazione, ma potevo contrastarlo.

- Signor Hate, è la prima volta che la sento partecipare. Devo pensare che la presenza della signorina Grey lo abbia influenzato? - appoggiò la mano sullo schienale della mia sedia, appoggiando, o meglio, sfiorando con un dito incandescente la mia schiena. 

- Probabilmente - mi ritrassi facendomi avanti e lo sentii sorridere.

- Farete coppia insieme per il compito che vi affido. Dei versi scritti da voi. Potete presentarli come volete - il professore mi guardò sott’occhio, visto che io mi limitavo all’ultimo momento. Andavo direttamente li con una chitarra dalla sala di musica e strimpellavo quale frase, da sola. Lo guardai e lui guardò me. Ci stavamo analizzando, come se stessimo cercando si squadrarci, capendo la persona che ci ritrovavamo davanti.

- Professore! - non prestai neanche attenzione all’urlo della ragazza che mi ero persa nei suoi occhi.

Avvenne tutto molto velocemente e mentre prima lo stavo guardando, adesso ero a terra, con un corpo caldo che mi proteggeva. Aprendo gli occhi, vidi tutti a terra, mentre dal cielo continuavano a scendere quelli che sembravano fiocchi di vetro, ma quando uno mi colpì, capii che fosse vetro. Alzando la testa, mi ritrovai faccia a faccia con lui. i nasi che si sfioravano ed il battito accelerato, ma che andava in sintonia. I suoi occhi nei miei. La sua mano calda dietro alla mia schiena mentre mi… proteggeva. Avevo una mano intorno al suo collo.

Rimasi come paralizzata. Non potrei descrivere le emozioni che mi balenarono dentro. Amore, ammirazione… nessuna di queste potevano descrivere come mi sentivo in quel momento. Si trattava di più di gelosia mista ad invidia d’invidia e poi… desiderio.

L’ultima cosa che ricordo, era la finestra della stanza della classe, che però, adesso, non c’era più. il freddo mi circondava lentamente, rinchiudendomi in quel mio mondo freddo e chiuso a chiave, nell’oscurità. L’unica cosa che sentivo, era qualcosa di caldo, un caldo di quelli che mi spaventavano, quelli che desideravo allontanare, ma che ardentemente, volevo che mi circondasse, incenerendomi.







Ps: Salve, scusate se è un po' lunghetto, ma ho incominciato a scrivere e non mi sono più fermata. Spero sempre che vi piaccia :)

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Capitolo 3
*** † Ci sei sempre tu † ***


 

“Quindi ti lascio andare!”
“Non puoi lasciare qualcosa che non hai mai avuto!”

† Ci sei sempre tu †
 

Lasciai che gli occhi si abituassero alla luce accesa che entrava dalle finestre e distinsi delle sagome, persone. Quando misi a fuoco, notai che fossero Jake e Kail.

  - Dio! Mi hai fatto cagare sotto! - Jake nella sua scurrilità era dolce, perché sapevo che ci teneva  a me.

  - Leccaculo! - e lo dicevo nel senso buono della parola, se ne fosse esistito uno. Mi guardai intorno, notando che fossimo nell’infermeria - Cos’è successo? - in realtà non ricordavo molto, forse era stata colpa anche del farmaco che avevo preso. Mi misi a sedere e Joanne entrò nell’infermeria, attrezzata con disinfettante ed ovatta. Feci per scappare via, ma mi tennero fermai. Incominciò

 - Sta’ ferma El - se solo fosse stata ferma anche lei, forse avremmo trovato un buon compromesso.

  - Questa roba brucia! - ma continuava con quella roba a disinfettare le mie ferite, compreso quelle dell’incubo.

   - Dio! Anche quando ritorni ti ritrovi in questo stato - sorrisi, accendendomi una sigaretta, giusto per non pensare al bruciore e funzionò.

  - Cos’è successo? - Jake si sedette vicino a me, sequestrandomi il pacchetto, ma non la sigaretta che stavo fumando.

     - Le finestre sono esplose -

  - Ma come…? - incominciò Kail, ma io scossi la testa, perché non avevo la minima idea di cosa fosse successo.

  - Come hai fatto a ridurre l’impatto con il vetro? - la guardai, stranita, chiedendomi  cosa fosse dovuta quella domanda - Altri ragazzi sono venuti combinati peggio -

   - C’era un ragazzo vicino a me. Forse ha attutito la botta - Jake e Kail si guardarono, poi riportarono lo sguardo su Joanna e su di me. Mi ero salvata il busto e le braccia solamente grazie a quel giaccone di pelle. Un po’ il pantalone si era rotto nei punti in cui i pezzi di vetro mi avevano colpito alle gambe. 

Mi mise dei cerotti sulle mani e sullo zigomo

  - Cerca di non metterti nei guai. Tzè, che lo dico a fare. Va bene ragazzi, sloggiate - e dicendo questo, mi fece l’occhiolino ed insieme ai ragazzi, c’incamminammo fuori.

   - Ho iniziato a scrivere la canzone di tributo - dissi prendendo dalla borsa che Jake teneva in mano, la mia, un foglio, quello della lezione di filosofia, in cui avevo appuntato delle parole a caso.

    - È… bella - disse continuando a leggere, ed a quel punto Kail lo affiancò. Ci fermammo vicino alla finestra e lasciai che l’aria fredda mi raffreddasse.

    - È per lui o per…te? - lasciai uscire il fumo e sott’occhio fulminai Kail con lo sguardo.

    - È solo una canzone che devo cantare, niente di che - a quel punto la campanella suonò e tolsi di mano a Jake il foglio della canzone - Io vado - e mi staccai da loro, facendo segno di uscire, ma in realtà, mi avviai verso la porta di servizio, che accedeva direttamente alla sala musica. La scuola rimaneva aperta per tutto il giorno, facendo in modo che i ragazzi potessero accedere alle varie classi.


Un paio di minuti dopo, la scuola era quasi completamente deserta. Presi la chitarra classica da terra e me la misi a tracolla. Afferrai un plettro dal barattolo e persi qualche minuto ad accordare la chitarra, ferma li chissà da quanto tempo. Era l’unico laboratorio che non veniva mai usato, visto che avevano aperto una nuova sala musica. Quella, esisteva solamente perché l’avevo presa io.

Mi piaceva, era come se nelle pareti fossero rimaste impresse le note delle persone che ci erano state prima di me. Strimpellai un po’ la chitarra, poi misi davanti lo spartito ed intonai il ritornello.
Mi fermai quando notai una sagoma entrare nella stanza e notai che fosse il “nuovo” ragazzo.

    - Che ci fai tu qui? - dissi secca e si, abbastanza seccata del suo arrivo improvviso.

   - Hey, calma i bollenti spiriti - alzai un sopracciglio. Era il primo ragazzo che riusciva a tenermi tsta dalla prima frase a botta e risposta; ammirevole - Sono venuto solo perché avevo sentito della musica. Eri tu? -
 
   - E spiegami perché dovrei dirlo a te? - ci sorridemmo, ma non perché c’eravamo simpatici; in quel momento, capii che fossi qualcosa che gli poteva interessare, perché come me, anche per lui era la prima volt che una ragazza non gli sbavava dietro. Si avvicinò, molto, ma non mi mossi di una virgola.

     - Perché non ti sono molto simpatico e se volessi, potei tormentarti - intendeva nel senso buono della parola, ma qualcosa, nei suoi occhi, non fui del tutto sicura dei miei pensieri.

     - Potrei sempre fermarti - se avessi voluto, ma forse, si sarebbe potuto rivelare qualcosa di… divertente.

    - E perché no? - annuii, continuando a sorridere e strimpellai qualcosa, il motivo senza parole che mi rimaneva da riempire, quasi come se fosse… vuoto. Quando finii di suonare, alzai lo sguardo verso quel ragazzo ed incontrai uno sguardo abbastanza serio - È triste -

     - È la canzone di tributo per la morte del figlio del preside - non sapevo neanch’io perché gli stessi dando spiegazioni, ma c’era qualcosa che mi spingeva a…

    - Non la canzone - aggrottai le sopracciglia. Allora, a cosa si stava riferendo? - Il tuo sguardo, è triste - trattenni il sorriso che aleggiava sulle mie labbra e chiusi per un’attimo gli occhi, riaprendoli nei suoi occhi cristallini. Occhi infuocati in occhi color ghiaccio.

    - Se mi conoscessi, non lo avresti mai pensato -

   - Lo dico proprio perché non ti conosco - e si alzò, dandomi le spalle. Si avviò verso la porta.

   - Non ho capito come ti chiami - gli dissi ed a quel punto si fermò, girandosi leggermente verso di me e sorridendo.

   - Non te l’ho detto - ricambiai il sorriso e lo guardai scomparire. Mi tolsi la chitarra di dosso, rimettendola a posto e mi alzai, prendendo dalla tasca il cellulare che stava squillando. Mio padre.

    - Pronto? - chi dissi, mentre mi alzavo e prendendo la mia roba, uscii da quella stanza.

    - Dove sei? - disse con tono serio ed arrabbiato, mentre cercava di… tranquillizzare qualcuno?

    - A scuola - assottigliai lo sguardo, pensando a qualcosa che mi fosse sfuggito. uscii dalla scuola, inoltrandomi nell’aria gelida della giornata.

    - Beh, muoviti a venire qui. Jim è già li - e dicendo questo, mi chiuse il cellulare in faccia. Lo strinsi forte, a tal punto che avrei voluto che mi si sfracellasse in mano. Notai la limousine vicino alla mia moto e Jim, che mi tendeva il casco.

    - La faccia? - mi chiese, mentre m’infilai il casco.

    - Incidente a scuola - e saltai sulla sella, facendo rombare il motore e partii, quando Hate mi si mise davanti, intralciandomi il passaggio. Mi fece l’occhiolino e mi fece passare, seguendomi a ruota. Prese ad accelerare, quasi come se mi volesse superare, quasi come se fosse una gara. Jim si trovava dietro Hate.

Arrivai a casa mia e Hate mi si affiancò. Quasi fulminò la macchina che c’era nel mio viale; non l’avevo mai vista. Incrociai il suo sguardo furente per poco, visto che accelerò fino a scomparire sulla strada. Parcheggiai fuori dal vialetto, mentre Jim entrò fino e dentro. Scendendo dalla sella, mi tolsi il casco, portando la moto nel garage, nello scompartimento segreto e ci avviammo dentro.

La prima cosa che vidi, fu mio padre, seduto in salone a bere del caffè, poi, notai il retro della giacca della divisa della scuola ed una parte di me capì. Ad alzarsi, girandosi verso di me, fu il ragazzo contro il quale ero andata a sbattere.

      - Tu? -

      - Tu? - ci sorridemmo ed a quel punto anche mio padre si alzò.

      - Vi conoscete? - era ovvio che ci conoscevamo, io annuii, come lui e notai il sorriso che si stava espandendo sul viso di mio padre - Oh, mi fa’ piacere -

     - Hai una casa stupenda - e solo in quel momento vidi una delle oche accompagnare una signora. Ben vestita, collana di perle, tacchi non troppo alti. Un tubino viola con un cappotto poco appariscente. La guardai attentamente - Oh, tu devi essere Elettra. Sono felice di conoscerti. Ho sentito parlare molto di te - era… sua madre - Chiedo scusa, ma mio marito non è potuto venire - fui leggermente più rilassata per quella situazione.

     - Noi andiamo a parlare nel mio ufficio. Perché non gli mostri la casa, El? - me lo stava chiedendo, ma ordinando con gli occhi. Scossi la testa e poi, girandomi verso di lui, gli feci cenno e salimmo le scale.

      - Scommetto che mio padre ti ha assalito - era un vampiro assetato.

     - Non più di mia madre - gli mostrai tutto il piano, fin quando non rimase anche l’ultima stanza, la mia e vi ci entrammo - Sai, me l’aspettavo così - lo guardai camminare. Sulle pareti erano appesi vari miei disegni e poster. Matite e pennarelli erano sparsi qui e la sulla scrivania. Per il resto era tutto in ordine, grazie ad Abigail, era l’unica che poteva entrare nella mia stanza, neanche mio padre. Avrei notato subito se ci fosse qualcosa fuori posto e se fosse stato qualcun altro a sistemare - Non sei il tipo da sfarzi -

      - Diciamo che nella mia lista della spesa non sono inclusi abiti pomposi ed un marito - gli dissi esplicitamente, come per fargli capire che non lo volevo.

      - Nemmeno nella mia, quindi stiamo apposto, no? - nemmeno lui si voleva sposare? - È mi madre che mi ha costretto a venire qui. Mio padre è lontano e mio fratello maggiore non pensa a sposarsi, quindi sono stato trascinato io - stava guardando fuori dalla finestra, aggrottando le ciglia. Quando si sottrasse dalla veduta, si rigirò verso di me - Tu che scusa hai? - lasciando cadere la borsa a terra, mi sedetti sul letto.

      - Mia madre è morta quando ero piccola, quasi non me la ricordo più. Mio padre dopo la sua morte è cambiato totalmente, alimentando un forte odio verso di me. A volte penso di non essere neanche sua figlia. Sono la maggiore di cinque fratelli morti, quindi… - alzai le spalle con nonchalance ed incrociai il suo sguardo. Evangeline aveva provato ad avere altri figli, anche perché mio padre non si fidava molto di me. Cinque fratelli morti, mia madre morì poco dopo.

       - Perché mi racconti questo? -

      - Diciamo che ho un potere. Riesco a sentire se posso fidarmi di una persona - ci sorridemmo a vicenda ed a quel punto mi venne un’idea - Hai mangiato a pranzo? - scosse la testa e prendendolo per un polso, corremmo giù, infilandoci in cucina.

    - Tesoro! - Abigail mi abbracciò, risucchiandomi e mi lasciò andare quando vide il ragazzo - Se posso chiedere, il signorino chi è? - risi, perché non si comportava mai così e mi fece l’occhiolino.

      - Mi chiamo Adam Hate - il mio sorriso si spense quando sentii il suo cognome.

     - Oh, quindi lei è il signorino che vuole sposare la mia bambina? Mia madre diceva che la bontà di un’uomo la si vedeva dalla capienza della sua pancia - ci mise davanti due panini e ci sedemmo.

      - Tuo fratello sta nella nostra scuola? - e dando un morso al panino, sentii le papille gustative danzare. Non mangiavo da un po’, quindi ero affamata.

      - Si. Ci stai facendo l’amore con quel panino? - risi e per poco non mi strozzai. Mandai giù il boccone con un po’ di coca cola.

      - Scusa è solo che… -
 
      - Tu che chiedi scusa. Pensavo fossi diversa - annui; aveva ragione, ma era solo che lo consideravo come un mio… amico. Mi sentivo a mio agio con lui, quasi come con Jake e lo conoscevo da poco.

Quando avemmo finito di mangiare e parlare delle cose che ci piacevano fare di più, sua madre e mio padre, ci raggiunsero in salone, ridendo, quasi come se si conoscessero da sempre.


      - Mi ha fatto piacere rivederti Bill - disse abbracciando mio padre e lui ricambiò.

      - Anche per me Dalia - e sorridendosi, si girarono verso di noi - Allora…? -

     - Amici - dissi io, rispondendo alla domanda indiretta di mio padre e lui annuì, sorridendo. Cosa gli aveva fatto quella donna per renderlo così felice? - Sono felice di averti conosciuto, Adam -

     - Almeno non passeremo tra i corridoi ignorandoci - ci salutammo e dandogli la mano, gli lasciai un bigliettino dentro; quello del locale in cui andavo a cantare stasera insieme ai ragazzi. Gli feci l’occhiolino. Quando se ne andarono, mi voltai verso mio padre.

     - Bill? Dalia? - dissi alzando un sopracciglio ed incrociando le braccia al petto - Rivederti? Qui c’è qualcuno che non mi ha detto qualcosa? -

     - Chi è il genitore tra noi due? - ma non lo disse arrabbiato, al contrario, sembrava felice, senza pensieri - E tu non dovresti fare i compiti? - scossi la testa, perché li avevo già fatti in classe e gli sorrisi - Io dovrei andare a… - a lavorare, ovvio. Annuii.

      - Se mi cerchi sono nel tuo ufficio - e scompigliandomi i capelli, mi lasciò andare. Entrai nel suo ufficio, togliendomi una catenina dalla tasca. La portavo sempre con me, me l’aveva lasciata mia madre, dicendomi che apparteneva all’ultimo cassetto. Provai ad aprire l’unico cassetto chiuso a chiave e ci riuscii, ma non vidi niente, quando notai una cosa. Presi un taglia carte e lo infilai in uno spacco del cassetto, rivelando un doppio scompartimento, nel quale, c’era un’anello, con dentro un fogliettino. Presi in mano il fogliettino, aprendolo.

Non perdere mai la speranza figlia mia

Presi anche l’anello, infilandomelo e lo guardai. Sopra c’erano dei simboli incisi e sulla struttura, c’era un’iniziale, la E, come il mio nome. Richiusi quel cassetto a chiave e mi alzai, avvicinandomi agli scaffali con sopra i vecchi libri e lasciai scorrerci sopra i polpastrelli delle dita.

Andai nella mia stanza e mi stesi sul letto. Guardai per un’attimo il soffitto, fin quando non si fece mano a mano più scuro.

Questa volta lo scenario non era più la mia stanza, al contrario; era un giardino ricoperto di bianca, candida, fredda, neve invernale. Mi piaceva il bianco, perché era come se riuscisse a coprire tutto, anche le infamità più nere. Mi trovavo dall’altra parte della sponda ed attraversando un ponte ricoperto anch’esso di neve, arrivai dall’altra parte. Incominciai a vedere delle goccioline rosso e quando ampliai la vista fino ad orizzonte, vidi una macchia bagnata rossa, con sopra disteso un corpo. Ingoiai, continuando ad avvicinarmi, quando vidi qualcosa muoversi, un corpo. C’era qualcun altro. Quando alzò lo sguardo, notai le pupille dilatate e gli stessi occhi cristallini del sogno precedente. Alzandosi completamente, notai le mani sporca di sangue. Il suo sguardo era quasi come spaventato e preso di contropiede.

      - Non hai paura? - mi chiese e lo guardai, dritto negli occhi, gli stessi occhi che mostrano apertamente l’anima delle persone. Occhi che possono mettere su un piatto d’argento il proprio cuore, mostrandolo a chiunque, l’avesse voluto vedere.

     - Ho visto di peggio - e non lo dicevo solamente per compatirlo o rassicurarlo. Mi avvicinai a lui, appoggiandogli una mano sulla guancia. Mi guardava, negli occhi e poi, si lasciò guidare dalla frescura della mia mano, mentre io andavo a fuoco, solo toccandogli la faccia; era incandescente. Prima che me ne rendessi contro, mi attirò a se, posizionandomi una mano dietro alla schiena e l’altra tra i capelli. Non m’importava se erano sporche di sangue, io stavo vedendo solo lui e per la prima volta in vita mia, avevo voglia di… baciare qualcuno, di baciare lui.

Ma mi fermai, appoggiando solamente la fronte contro la sua e fu come se un lampo di luce accecante ci stesse risucchiando. Un calore tranquillizzante.

Mi svegliai ansimando, sudata e con il fiatone. Scesi subito dal letto e corsi verso il bagno, vedendo i capelli e la schiena sporchi di sangue.




PS: Ciau :)

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Capitolo 4
*** † So' che ci sarai… † ***


“Ho creduto fossi morta!”
“Non ti libererai facilmente di me!”

† So' che ci sarai… †

Appoggiai le mani sul lavabo, chinando la testa e respirai, cercando di riprendere fiato e funzionò. Guardai il mio riflesso nel vetro e quella non ero io. Mi lavai per bene la faccia, incominciando a cambiarmi per il concerto. M’infilai un paio di parigine nere che legai all’intimo e m’infilai un pantaloncino, a cui erano legate delle cinture bianche con delle catene e lembi di un tessuto scozzese rosso. Indossai un reggiseno nero ed una camicia bianca, a cui abbottonai solo i primi due bottoni; tanto da tener nascosta la biancheria. Portava una fascetta con delle borchie, che legai sotto al reggiseno ed mi misi una giacca nera a metà pancia. Allacciai una collanina intorno al collo ed una cravatta nera con alla fine una croce bianca. Indossai un paio di scarponi neri e ricalcai il trucco nero intenso. Presi le mie fedelissime cuffie e le misi intorno al collo. Mi pettinai i capelli e scesi le scale. Beccai mio padre proprio davanti e mi guardò.

       - Ho un concerto - gli dissi, come se non l’avesse notato da solo. Annuì.

       - 
Fa’ attenzione - ma prima di andarmene, lo abbracciai ed una parte di me, si sentì in colpa di qualcosa.

M’incamminai a piedi, visto che non era molto distante ed infatti arrivai presto. Passai per il bar, il controllo con la guardia del locale, scesi le scale ed aprii la porta, entrando nel mondo della musica.

Le luci a laser colorate nell’oscurità, la gente che ballava e le urla; quelle erano il mio mondo. Mi mischiai tra la gente, godendomi quella musica e guardai nella direzione della porta, che si aprì, e notai Adam.

      - Ragazzi, attenzione, perché il gruppo che sta per salire sul palco è sempre in grado di entusiasmarci. Un’applauso! - mi feci largo tra la gente che mi riconobbe. Presi un cappello dalla testa di un tipo e salii sul palco. 

       - Salve a tutti, per chi non ci conosce, noi siamo i… BLACK! - e partirono applausi, fischi ed urla.


Appena la musica cessò, incominciarono gli applausi ed i fischi, seguiti dai cori del mio nome e della band. Notai Adam sorridermi ed io ricambiai; lanciai il cappello di quel ragazzo per aria e prima che arrivasse sulle teste dei ragazzi, le luci si spensero e noi ce ne andammo, scendendo dal palco. Ci avvicinammo alla zona bar, prendendoci sei drink e brindammo.

        - Ho conosciuto il mio futuro marito che non vuole esserlo - dissi su di giri, visto che mi ero tolta dalla testa un’altro problema.
 
        - È della scuola? - mi chiese subito Jake. Annuii.

        - Sta tra la folla - lo indicai e gli feci cenno di avvicinarsi a noi, e così fece. Jake e Kail lo fulminarono con lo sguardo.

     - Jake, Kail. El hai una voce fantastica - rimasi immobile quando mi abbracciò e sorrisi, fintamente. Quei tre si conoscevano? Si, forse, molto probabilmente, quando ero mancata a scuola.

       - Adam - dissero insieme Jake e Kail.

       - Vi conoscete? - chiesi, anche se ormai era chiarissimo che si conoscessero ed anche bene.

       - Si -

      - No - aggrottai le sopracciglia, visto che Adam aveva risposto di si e Jake con Kail avevano detto di no - Cioè… - replicò Jake tentennando, quasi chiedendo aiuto a Kail.

       - Lascia perdere. Non voglio sapere - e guardando l’orologio, vidi che fosse tardi, anche perché avevo sonno e tanto - Io devo andare - e salutai tutti i ragazzi.

     - Ah, El - disse Jake fermandomi - Domani sera ci vediamo in un locale dove fanno un’incontro di boxe - era… bizzarra una cosa del genere - Dobbiamo suonare i tamburi con i colori durante l’incontro -

     - Va bene - lo salutai e prendendo un’altro bicchiere, uscii fuori, traballando. Adesso mi sarebbe servita la macchina con Jim, visto che non mi facevano male solo i piedi, ma mi girava anche la testa. 

Uscii nell’aria gelata e fu come un colpo secco, orrendo. La temperatura era calata notevolmente. Mi appoggiai un’attimo al muro, visto che non mi reggevo in piedi e poi la sentii; la mano che mi tappò la bocca, mentre l’altra mi teneva per la vita. Tentai di districarmi dalla sua morsa, ma non avevo abbastanza forza ed avevo l’intero corpo che mi faceva male. 

Un paio di passi e poi comparve qualcun altro. L’uomo che mi teneva ferma non lo notò, ma io si. Sempre quegli occhi rossi cristallini, quasi come l’inferno, risplendevano in quella notte scura, solo che adesso sembravano come… accesi di cattiveria.

       - Hey amico - disse l’arrivato. Quella voce, mi ricordava qualcuno, ma molto vagamente.

      - E tu che vuoi ragazzino? Sloggia. Questa è mia - e quando disse quelle parole, sentii un ruggito basso, profondo, quasi come un felino affamato e molto pericoloso. Sentivo che l’uomo dietro di me si stesse spaventando. Chiusi gli occhi per un’attimo, come per concentrarmi, quando… - Merda! - e mi lasciò andare, di botto, facendomi cadere, solo che il contatto col pavimento, non avvenne mai.

La testa mi pulsava violentemente, la testa mi girava. Provai a aprire gli occhi, ma la vista era appannata e mi bruciavano intensamente gli occhi. Mi presi la testa fra le mani e cercai di pensare. 

Riluttante, mi misi a sedere e misi a fuoco quello che c’era davanti a me. La parete. Girai la testa verso la finestra e fui accecata da una luce abbagliante. La finestra era aperta. Mi alzai e spostando le tende, notai una cosa luccicare a terra tra l’erba. 

Mi misi una coperta addosso, e scesi le scale. La casa era deserta, anche perché credo che fosse ancora presto. Uscendo fuori, mi chiusi di più nella coperta e girai intorno alla casa, arrivando sotto alla mia finestra e mi misi a cercare. La trovai un po’ distante dal bidone e la presi in mano. Era una catenina, come ciondolo una medaglietta con sopra dei vari simboli; era bella e… maschile. Chi si era avvicinato alla casa? 

Me la misi intorno al collo e rientrai in casa, trovando Jim con un pigiama molto azzurri e con gli orsacchiotti addosso ed una mazza da baseball in mano.


       - Lo so che vi volete sbarazzare di me, ma fatelo quando dormo almeno - mi sorrise, scompigliandomi i capelli e ci avviammo in cucina.

       - Come mai sveglia? - notai l’orario sull’orologio della cucina, e vidi che fossero le cinque e mezzo. Non mi ero mai svegliata a quell’ora.

     - Mi fa’ male un po’ la testa - mi sedetti sulla tavolo, prendendomi le gambe, avvicinandole al petto. Jim si mise a prepararmi un’aspirina e lo guardai; sembrava una mamma - Da quanto lavori con papà? - in realtà, quella era la prima volta in cui gli facevo quella domanda.

      - Oh, da prima che conoscesse la signorina Evangeline. A quei tempi era un’uomo… diverso, spento, arrabbiato col mondo. Quando conobbe quella donna, fu come un raggio di speranza nella sua vita… - si perse dicendo quelle parole e spostando la testa, vidi una lacrima scendere sulla guancia. Gli occhi mi pizzicarono.

      - Sembra che tu stia parlando di un’altra persona - gli avevo chiesto come se fosse conosciuto, mio padre, con Evangeline, e lui aveva avuto lo stesso sguardo, ma ero certa che non parlava di Bill. C’era qualcosa di strano.

       - Infatti lo sto facendo - aggrottai le sopracciglia e presi il bicchiere che mi passò, bevendo d’un sorso - Decidiamo noi a cosa credere. Non parliamo a nessuno di questo, okay? -

       - Parlare di cosa? - annuì e gli sorrisi. Jim mi aveva sempre mandato messaggi del genere e dio avevo sempre capito cosa volesse dirmi. Non ero figlia dell’uomo che consideravo mio padre ed io lo avevo sempre saputo. C’è differenza tra non sapere e fingere di non sapere, io ero nel mezzo. Mi erano capitate troppe cose che mi avevano fatto dubitare. E lo lasciai li, mentre ritornavo nella mia stanza, giocherellando con la catenina che avevo al collo. 

Mi lavai, indossando un paio di calze scure con gli scarponi neri ed una lunga maglietta a strisce nere e bianche. M’infilai un felpone grigio e bianco e prendendo la borsa, scesi le scale, infilandomi un cappello nero ed infilandomi le cuffiette.

Uscii di casa e corsi, prendendo un’autobus. Mi sedetti in fondo vicino al finestrino ed avviai la musica. E se fossi scappata via lasciando tutto e tutti? Avrei davvero trovato la felicità che cercavo da tempo? Per ora, mi limitavo a guardare lo stesso paesaggio di sempre. Chiusi gli occhi, per un’attimo e vidi… Evangeline, un ponte, il buio, una vecchia scena di un film.

Quando riaprii gli occhi, capii di essermi addormentata. Scesi dall’autobus, e ritornai indietro, visto che ero a qualche fermata più avanti. Entrai nella scuola poco affollata e mi accesi una sigaretta, appoggiandomi al muro della porta d’entrata.

Presi dalla borsa il mio album da disegno ed incominciai uno schizzo veloce. Il ragazzo che dominava i miei sogni con quei suoi occhi rossi cristallini. Era come se la matita andasse da sola, disegnando quello cha c’era nella mia testa.

Alzando la testa, vidi Jake che stava camminando insieme a Kail verso di me. La scuola si era affollata e stranamente il mio sguardo cercò una macchina in particolare. Nera, sportiva, veloce, cattiva, guidata da qualcuno che non sopportavo e poi ne vidi una grigia metallizzata entrare per prima e posizionarsi, seguita dalla nera che entrò nell’atrio della scuola a gran velocità. I ragazzi si spostarono, altri la fischiarono, ma continuò ad andare imperterrita, verso lo stesso posto del giorno prima. Dalla grigia ne uscì Adam, vestito pesante, mentre dalla nera, ne uscì Hate, di cui non sapevo ancora il nome, con il suo completo scuro e con… il giaccone in pelle nera.

Sembrò che avesse notato il mio sguardo, infatti si girò verso di me e mi sorrise, uno di quei sorrisi consapevoli, maliziosi; a cosa stava pensando? Aspetta, m’importava? No. Adam gli tagliò la strada, venendo verso di me; lui, lo seguì, solo che entrò dentro la scuola. Notai la mascella contratta, lo sguardo freddo e distaccato, cattivo. Stranamente, lo seguii con lo sguardo.


       - Ciao, El - mi girai verso Adam e lo salutai, lui fece altrettanto con i ragazzi.

       - Hey -

     - Ci vediamo - annuii ed entrò anche lui dentro. A quel punto, mi voltai verso Jake e Kail, che si stavano guardando, come se si stessero dicendo qualcosa.

       - Lui? - dubitavano o avevano paura di lui? Sembrava un pezzo di pane quel ragazzo - Avete paura di lui? -

       - Si, ci da’ fastidio che stia con te - disse Kail come portavoce di entrambi e mi sorprese - Ma non è lui a preoccuparci -

       - E chi? - guardai Jake negli occhi e qualcosa mi fece già capire la risposta.

       - Di suo fratello -

Rimasi li, a guardarlo per un’attimo, ma era come se non lo stessi guardando veramente.
   
      - È pericolo per te, quindi cerca di non stargli intorno - alzai un sopracciglio, come se fossi io a seguire lui; ma per piacere - Va bene. Cerca solo di evitarlo - ed incominciammo a camminare nel corridoio della scuola.

     - Potrei capire il motivo di questi avvertimenti? - mi affiancarono, guardandosi intorno; neanche se fossero stati dei bodyguard. Sorrisi a quella scena esilarante di loro due vestiti all’agente 007.

    - È un pianta grane. Lo hanno fermato già per due risse fuori dalla scuola - in poche parole stavano dicendo che non era il tipo per me, perché eravamo troppo…

      - Non pensare… - incominciò Jake scompigliandomi i capelli - …fai un favore a te ed a noi - lo spintonai scherzosamente.

     - Vedo del fumo uscire da questa testolina - disse invece Kail, a cui diedi un pizzicotto.

     - Questa testolina, manda avanti i vostri affari. Mi rimpiangerete un giorno -

     - E che sia molto lontano - li presi sotto braccio e lasciammo prima Kail verso la sua sua classe, mentre io e Jake continuammo a camminare - A cosa pensi? - mi chiese.

      - Si vede tanto? - lo guardai, sorridendogli a mala pena, ma uno di quei sorrisi con sguardo non presente veramente.

     - Diciamo che te lo si legge negli occhi - gli infilai una mano nel passante dei pantaloni ed a quel punto lui mi abbracciò; era l’unica persona dalla quale mi facevo abbracciare.

      - Tu solo sei in grado di leggermi -

     - E che bella storia che sei - risi e quando arrivammo alla mia classe, fui leggermente triste. Jake era come un fratello per me e non avrei permesso a niente di mettersi tra noi due, niente.

      - Mi scuso per le pagine spiegazzate - lo abbracciai e sistemando la borsa, entrai in classe.

     - Nessun problema, sono la mia specialità - sorrisi per la sua frase e mi andai a sedere al mio solito posto, notando che il posto vicino al mio fosse occupato da Adam.

      - Hey, ciao -

     - Te l’avevo detto che ci saremmo visti - annuii, perché aveva avuto ragione - Bella collana - automaticamente me la coprii, quasi come se fosse un segreto. Guardando l’orario, notai che fosse trigonometria e dopo un po’, entrò anche il professore che lo sostituì, ginnastica. In pratica, avevamo due ore libere per fare quello che volevamo. Il prof. si avvicinò verso di noi, poggiandomi una mano sulla spalla.

     - Mi dispiace, ma se sei interessato a lei è meglio che levi mano - gli sorrisi e se ne andò, parlando con una ragazza che lo aveva chiamato. Girai la sedia verso Adam, guardandolo meglio.

     - Potrei sempre provarci - rimasi, non molto, ma in parte si, stupita dalla sua risposta. Alcuni ragazzi stravedevano per me, sopratutto per l’aspetto esteriore, ma c’era qualcosa in lui che mi portava a pensare che non si fosse soffermato solo all’aspetto, non era il tipo.

      - Certo, ma ti schianteresti contro un bel muro di cemento - alzai le spalle con nonchalance e mi accesi una sigaretta.

     - Quella roba fa’ male - cercò di togliermela da mano, ma mi scostai per impedirglielo e per poco non caddi - Masochista - feci una faccia schifata, lasciando cadere la cenere a terra, che il vento portò via - Che c’è? È una cosa bella, vista sotto un punto di vista diverso -

       - E quale sarebbe? - chiesi incrociando le braccia al petto, guardandolo.

       - Eviti di fare del male alle persone - sorrisi, prendendo un’altra boccata di fumo e rigettandolo fuori.

      - Hey Adam - incominciò una ragazza bionda, carina, se la tirava un po’ troppo, ma carina - Perché non ti unisci a noi? - disse indicando il gruppo di ragazze verso il quale si girarono.

      - No, grazie. Preferisco rimanere qui - e mi guardò, mentre la ragazza se ne stava andando. Feci finta di commuovermi - Modestamente… - lasciò la frase in sospeso.

       - …Non sapresti flirtare con una ragazza neanche se lo volessi - completai io e mi guardò indignato.

       - Non è vero! -

      - Come fai? - gli chiesi di botto e qualcosa nel suo sguardo mi fece capire che non avesse afferrato il senso della mia domanda - A rimanere sempre così tranquillo - alzò le spalle con nonchalance, sorridendomi.

      - Non serve alterarsi per poco -

      - Ma se lo fai, vuol dire che sei interessato a quella cosa -


E questo facemmo per tutte e due lezioni di sostituzione, e mi piacque davvero tante. Mi raccontò di quando era piccolo, tralasciando suo fratello, quasi come se non gli fosse concesso parlare di lui ed io gli raccontai di cosa mi piaceva fare ed altre cose.

       - Sei come lui - disse ad un certo punto, di botto, mentre ci stavamo alzando, visto che era suonata la campanella.

       - Come chi? - si stava riferendo a me, questo era più che ovvio.

       - Oh, scusa. Stavo solo pensando ad alta voce - mi sorrise come per sdrammatizzare, uno di quei sorrisi imbarazzati della situazione.

       - Da quando siete qui? - 

     - Oh, da poco dopo che è incominciata la scuola - ci fermammo davanti al mio armadietto, visto che era ora della pausa pranzo e posai la borsa, mettendomi solamente un pacchetto di sigarette in tasca. Notai che per i corridoi ci fossero meno ragazzi con la divisa e più con i vestiti normali; quella scena mi fece ridere.

       - E cosa vi ha portato qui? - forse erano domande invadenti, ma stranamente, m’interessava saperlo.

      - Diciamo che siamo ritornati da una vacanza - a quel punto entrammo nella mensa, già affollata e mentre lui incominciò a prendere il vassoio ed a servirsi, io andai direttamente al frigo, a prendermi una cola.

      - Ci si vede - dissi salutandolo e m’incamminai al tavolo dove già stavano Jake e Kail; mi sedetti tra loro due, visto che mi avevano lasciato il posto libero. Si erano trovati in una discussione animata fin quando non ero arrivata - Perché avete smesso di parlare? - chiesi così, bevendo un po’ di cola ed appoggiai le gambe su quelle di Jake.

       - Stavamo solamente parlando di stasera - poi mi ricordai dello spettacolo che dovevamo fare.

      - Ah, si. Mi devi dire il posto - e frugando nella tasca, mise fuori un bigliettino con l’indirizzo, che presi e mi misi in tasca - Okay - alzandomi, misi fuori una sigaretta che misi solamente in bocca. Presi la lattina e l’andai a buttare nel bidone, non molto distante dal tavolo… dei fratelli Hate. Adam mi sorrise e ricambiai, mentre il fratello mi guardava, con quella sfida che passava sempre tra noi due. Uscii fuori, nel giardino e mi sedetti a terra, appoggiando la schiena al muro. Mi accesi la sigaretta. Dalla porta vidi che uscì anche… Hate; non me lo sarei mai aspettato.

       - Vai molto d’accordo con mio fratello - disse e quando mi girai verso di lui, notai che fosse appoggiato al muro accanto a me e che stesse guardando all’orizzonte, lontano; lo feci anche io.

      - È sorprendente di quanto sia facile riuscire a parlare con persone come lui - era buono, nell’anima, totalmente. Rimase in silenzio ed alzando lo sguardo, vidi che lo tenesse basso, verso di me.

       - Bella collana - disse sorridendo ed allontanandosi dal muro. Io la guardai, la collana, e ci giocherellai.

       - Bella giacca - gli risposi io e riuscii a vedere il sorriso sulle sue labbra. Era quella, ne ero completamente sicura; era identica.

       - Quella roba fa’ male - solo che rispetto al fratello, riuscì a prenderla e la spense con le mani, lanciandola.

       - Ti stai preoccupando? - lo stavo… istigando, si. Mi piaceva infierire su qualsiasi cosa e lanciare sfide ogni volta che mi fosse stato permesso.

       - No, mi piace solo infastidirti -

       - Chi disprezza vuol comprare - e mi misi a ridere, attirando le gambe al petto; appoggiai la testa sulle ginocchia.

      - E chi non compre fa’ un’affare - se ne ritornò dentro e dio rimasi li, a sorridere… come una scema. Mi alzai velocemente, pulendomi la maglietta e ritornai dentro, quando sentii dei rumori provenire dalla mensa. Ragazzi, urla d’incitamento; una rissa. Rientrai velocemente, notando un cerchio di ragazzi e mi feci largo tra loro.

      - Fermati! - Jake provò a fermarmi, ma riuscii a sovrastarlo, arrivando alla fine del cerchio. C’era Hate e… Kail che ci stavano dando dentro. Arrivai tra loro due e scaraventai lontano Hate, ritrovandomi faccia a faccia con Kail, che provò a colpirmi, ma io, scostandomi, gli diedi un pugno nel momento esatto in cui arrivò il preside con due professori; ginnastica e quello della squadra di football, a e che si, anche lui, faceva il tifo per me. S’incamminarono verso di me ed io alzai le mani, infilandomele in tasca. Mi spalleggiarono.

     - Elettra Grey, ogni volta che c’è una rissa, ti trovo sempre in mezzo - il preside Williams era incredibile per come fosse capace di dirti le cose sgradevoli col sorriso. Alzai le spalle con nonchalance.

       - Allora credo che sia un’onore ogni volta - risposi, sorridendo. Guardò prima Kail e poi me.
 
       - Voi due, nel mio ufficio. Adesso! -


Ps: Ciao ragazzi… ;)

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