This Brutal Love. [in revisione]

di Margo_Holden
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20. ***
Capitolo 21: *** Non è un capitolo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1.



Cavolo! Cavolo! Cavolo!
Non è possibile che il giorno più importante di tutta la mia vita, io sono (come sempre d’altronde!) in un ritardo pazzesco. Eppure mi sono svegliata 2 ore prima, per essere puntuale due ore dopo

Si ma poi ti sei riaddormentata. 

Ecco, quella che sentite è la mia coscienza sempre pronta  a sparare sentenze, un po’ come me, d’altronde.
-Little Girl, muoviti o faremo tardi. Anche se credo che più di così non si possa!-
Urla mio fratello Travis dalla cucina.
-Sto arrivando! Ho quasi fatto devo solo pettinarmi, truccarmi e cambiarmi!-
-Almeno hai fatto la doccia, siamo ad un passo avanti. Complimenti!-
Mi urla spazientito mio padre, che legge il giornale seduto sulla poltrona rossa di pelle ormai andata  a male, un po’ come la nostra famiglia dopo la morte della mamma, la mia cara mamma, l’unica che mi ha sempre capito.
Finisco di truccarmi, con un filo di matita nera sugli occhi e un filo di quella rossa sotto.
Prendo la mia amata gonna rossa dall’armadio, un top giallo e il mio bellissimo e amatissimo chiodo rosso. Poi mi pettino facendo delle piccole treccine sul lato destro della testa e fermandole con delle mollette rosse. Adesso manca solo il mio ciondolo, quello che mi fu regalato dalla mamma quando avevo 10 anni, da cui non posso proprio separarmene. È semplice oro bianco con una frase “disperati, ma non senza speranza”
Mia madre amava ripeterci quella frase. Ricordo che una volta mentre cercavo di salire sulla vecchia ruota panoramica e non ce la feci, così tornai a casa piangendo, e mia madre mi fece calmare e mi disse queste parole con una inaudita dolcezza e semplicità: "Sheena, tu tornerai lì, ti arrampicherai e ce la farai. Perché se sei  disperata, dentro di te c’è sempre quella piccola scintilla che ti fa andare avanti e non demordere. Quella, piccola mia è la speranza. Ricorda, puoi essere disperata, ma mai senza speranza”.
Sospirando guardo la mia stanza, forse questa sarà l’ultima volta che entrerò qui. Mi dirigo poi verso la porta aprendola e andando in soggiorno, dove ad attendermi c’è mio padre e Travis.
Solo un ora dopo siamo usciti da casa, una villetta in legno e ci siamo incamminati nel posto in cui la mia vita cambierà per sempre. Questo è il giorno in cui tutti i ragazzi della mia età sono portati di fronte ad una scelta che cambierà, per alcuni di loro, la propria vita.
Al solo pensiero rabbrividisco. Io sono una di quelle cretine, melodrammatiche che non sanno prendere una scelta da sola, ma allo stesso tempo sanno quello che vogliono ed hanno paura ad ammetterlo. Il test, che ho fatto qualche giorno fa, mi ha dato come risultato intrepida. All’inizio ero spaventata ma eccitata allo stesso tempo. Poi, una volta tornata a casa, ho capito che sarei stata felice di lasciare i Pacifici, perché non sono per niente una pacifica. Io ero quella che a scuola pur di salvare la sua migliore amica, picchiava anche il bambino più grande e la cosa più bella, quella più strana era che non mi interessava se finissi per terra con il sangue che gocciolava dal naso e andava in bocca, chi se ne fregava!  Dovevo salvarla. Ero questo quello che il cervello mi ripeteva. Come un disco rotto. Allora, non capivo più niente, e così addosso al bambino più alto. Ero una sciagurata, ma coraggiosa.
Coraggio. Che bella parola. Ti fa pensare alla libertà di fare cioè che si vuole e ti fa senti re come un uccello maestoso che vola alto, nel cielo azzurro, che sfreccia tra le nuvole, impavido.
Era forse questa la strada da prendere? Passare la vita a essere coraggiosa?
Domande a cui non sapevo dare una risposta.

Cavolo Sheena! Sii coraggiosa, affronta a petto in fuori la vita, non puoi sempre nasconderti dietro tuo fratello Travis e tuo padre.

Travis e Papà.

Cosa ne sarebbe stato di loro? Avrebbero accettato la mia scelta?

Non è la loro scelta, è la tua maledettissima scelta.

La mia coscienza per una volta ha ragione. È la mia scelta e non la loro.
-Eccoci arrivati. Pronta Little Girl?-
È la voce di mio fratello a riportarmi alla realtà. Lui che mi scruta con i suoi occhi azzurro cielo, con la sua maglietta rosso fuoco e i suoi pantaloni giallo canarino. Mio fratello Travis, che anche se siamo gemelli, lui è sempre stato più bello e più solare di me. Pacifico fino al midollo, suonatore di chitarra incallito e amante della libertà più della vita stessa. Quanto possiamo essere diversi e simile allo stesso tempo.
Stessa faccia, ma caratteri diversi.
-Trav, ti ho mai detto che odio quello stupido soprannome?
-Un miliardo di volte- mi risponde con uno dei suoi sorrisi migliori del mondo
Mi mancherai. Penso.
Ma non posso andare contro quello che sono.
-Ecco adesso sono un miliardo e uno- ribatto facendogli la linguaccia, mentre lui mi abbraccia.
Noto che anche lui ha una certa ansia, ma non la da a vedere. Sempre forte il mio fratellino Trav.
Quando entriamo nel palazzo, vediamo una lunga fila grigia sulle scale.
Abneganti e l’altruismo.
No decisamente non potrei mai esserlo, non sono per niente una persona che passa inosservata e che soprattutto, non fa altro che pensare ad aiutare il prossimo dimenticandosi di se stesso. D’altronde non so prendere una decisione per me, figurarsi per gli altri.
Davanti a noi c’è un gruppo di persone vestite di blu, azzurro, turchese e verde acqua.
Euriditi.
Coloro che si occupano di scienza e il miglioramento tecnologico della città.
No, non sono fatta per passare una vita in un laboratorio. No, decisamente no.
L’ascensore invece, è affollato da persone vestite di bianco e nero.  
Candidi.
Coloro che dicono la verità, sempre e comunque, anche se fa male.
No, anche questa fazione non fa per me. Penso che è meglio non sapere la verità, a volte, perché fa meno male.
E poi sento il fischio del treno in lontananza, e mi giro di scatto per guardare da fuori dalla finestra come se quel suono fosse stato il segnale che aspettavo da giorni, la conferma che mi serviva per affrontare quello che sarebbe accaduto dopo, e poi scendono saltando dal treno incorsa, senza paura o timore, senza nemmeno pensarci, come se fosse la cosa più naturale possibile. La massa nera che è appena scesa si affretta ad entrare nel palazzo, e Bam! Eccoli dentro, più sorridenti che mai e facendo un tale casino, da far borbottare i Candidi indispettiti.
-Sheena! Andiamo dai, i Pacifici ormai sono tutti dentro. Muoviti ad entrare!- mi intima mio padre
-Ecco sto arrivando, Daddy- gli rispondo guardando una massa di camice rosse e gialle fare il loro ingresso nella stanza delle coppe.


***

Una volta dentro la confusione è tale che riesco a riconoscere il posto dove dovrei sedermi, solo perché ci sono altri ragazzi sui sedici anni che si avviano alle gradinate, e poi perché, con  alcuni di loro frequentavo la stessa scuola. L'unico momento in cui le fazioni si univano avveniva soltanto durante il periodo scolastico, poi ognuno vive la propria vita nel posto in cui era stato destinato.
Mi siedo tra una pacifica e un abnegante che gentilmente mi ha lasciato sedere vicino ad esso.
La cerimonia comincia e a turno i capifazione di ogni fazione (ovviamente) fanno il loro discorso.
La scelta che farete non potrà essere cambiata, chi decide di abbandonare diventa un escluso e che LA FAZIONE VIENE PRIMA DEL SANGUE.
Quando  il capofazione degli intrepidi esordisce con queste ultime parole, i miei occhi si girano automaticamente a mio fratello, che è seduto a pochi metri da me e lui fa incontrare i nostri occhi azzurri in uno sguardo indagatore ma allo stesso tempo comprensivo, come se volesse dirmi che qualsiasi scelta io avessi fatto, lui e papà sarebbero stati d’accordo, e che non dovevo preoccuparmi, ma seguire il mio cuore.
Il mio cuore che mi diceva di essere intrepida, coraggiosa e libera.
E il suo di cuore?
Ho sempre pensato che Trav sarebbe rimasto per sempre un pacifico, ma i suoi modi di fare non mi convincono del tutto, qualcosa mi dice che anche il mio fratellino frikketone Trav nasconda qualcosa e che ha dei segreti mai rivelati prima.
Gli rivolgo lo stesso sguardo e nel frattempo il primo ragazzo viene chiamato.
-Mason Aby
Un ragazzo vestito di azzurro si alza e con aria sicura arriva davanti alle coppe delle fazioni, prende il coltello che gli viene dato e facendosi un taglio lascia scivolare il sangue nell’acqua, che simboleggia gli Euriditi.
Dopo che alcuni ragazzi Euriditi e Candidi hanno fatto la loro scelta adesso è il turno dei Pacifici.
-Judy Angel
La ragazza dai capelli biondo grano si alza e fa la sua scelta: Candidi.
Perfetto, già con la prima chiamata hanno perso una ragazza.
Poi è il turno di altri quattro ragazzi che scelgono di rimanere Pacifici e altri 10 che scelgono di essere trasfazione.
-Travis Torn- il mio cuore perde un battito e faccio scorrere gli occhi su una camminata titubante di mio fratello al viso teso di mio padre.
Travis prende il coltello e fa scorrere la lama sulla sua pelle bianca, e lascia cadere poche gocce di sangue nella coppa dei pacifici. Mi accorgo solo ora che stavo trattenendo il respiro, e buttando tutto il fiato che avevo trattenuto mi sento stranamente felice, perché nostro padre non sarebbe stato più solo, perché aveva il piccolo Trav con lui, mentre io, beh io….
-Sheena Torn
Cavolo, il momento tanto atteso  è arrivato.Mi alzo sembrando sicura e lancio un sorriso a mio fratello e porto lo sguardo in direzione delle coppe. So qual è la mia scelta, in fondo lo sempre saputa.
Prendo il coltello, faccio scivolare la lama sul palmo della mano, che si colora subito di un rosso vermiglio, come il chiodo di pelle che ho indossato oggi, e faccio scorrere la mano sui carboni ardenti. Il sangue tocca i carboni che subito si accendono facendo partire una piccola fiamma che si spegne sul nascere.
-Sheena Torn, ha scelto gli intrepidi- dice il funzionario Abnegante rivolto al pubblico.
Subito si alza un boato mentre vengo accolta calorosamente dagli intrepidi.
Giro il viso nella direzione di mio padre credendo di vedere sul suo volto stupore e delusione, invece mi sta sorridendo e mi mima con le labbra
 “l’ho sempre saputo che eri destinata a fare grandi cose, S.” 
Si hai ragiona Daddy, da ora la Sheena che tutti conoscevano, quella melodrammatica non ci sarà più.
Little Girl sta per diventare sicura, impavida e INTREPIDA.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2.


Mi ritrovai a correre come una matta lungo le scale, mentre tutti mi spingevano e mi gridavano qualcosa che non riuscivo a capire, ma non mi importava niente.  Così continuavo a sorridere e ridere come un ebete, perché l’unica cosa che mi importava realmente era che mi trovavo nel posto giusto con le persone giuste.

Andammo alla stazione del treno e aspettammo quel mostro argentato prima di saltarci sopra.

Sapevo tutto questo, perché, la finestra della mia cameretta si affacciava sulla ferrovia e molte volte, anzi quasi sempre, appena sentivo il fischio del treno, smettevo di fare quello che stavo facendo, e rimanevo a guardare le loro azioni. Saltare o scendere dal treno in corsa, e lo trovavo straordinario. E mi piaceva molto. Loro non erano mai banali, mai uguali l’uno con l’altro, potevi portare anche i capelli rosa, a loro non fregava niente. Mentre tra i Pacifici, se alzavi solo un po’ la voce, interpretavano questa cosa come un “voler fare a pugni” e allora ti rispondevano con quegli stupidi sorrisini canzonatori e con frasi come:
“Sheena, non siamo mica quegli ubriaconi degli intrepidi che litigano per qualsiasi cosa, noi siamo pacifici, amiamo la convivenza civile”.

Ricordando quelle parole, che mi venivano dette spesso a causa del mio carattere, le nocche delle mie mani divennero bianche come il latte. E solo il ricordo di mia madre che mi consigliava di non  starli a sentire, di non badare  a loro, ma che dovevo continuare per la mia strada, mi fece ricordare improvvisamente che la mia strada, ora, stava per prendere un treno in corsa e che se non volevo finire tra gli esclusi, dovevo assolutamente sbrigarmi.
Cosi, cominciai a correre imitando gli altri, lungo la banchina.

Una considerazione -più che ovvia si fece strada nella mia testa: esattamente, come avrei dovuto saltare e arrivare dritta, dritta dentro il treno e non finire-magari-spiaccicata sul cemento?  Insomma sono un intrepida solo da mezz’ora!

Decisi che le maniglie fuori dal treno mi avrebbero aiutato. Corsi ancora un altro po’, però il treno stava già per girare l’anglo quindi  dovevo sbrigarmi. Feci un passo in avanti e saltai sulla maniglia.

Immaginatevi un Koala, bene, quella ero io sulla maniglia.

-Dai Koala ti aiuto io! Sempre se non preferisci startene li, impalata sulla maniglia!- mi disse un ragazzo ridendo e porgendomi la sua grande mano.
Sapevo che le mie guance erano andate a fuoco per il semplice motivo che sentivo caldo, molto caldo.
Bella figura Sheena, davvero complimenti.
La mia coscienza, sempre pronta  a rassicurami.
-Grazie, accetto volentieri il tuo aiuto!- dissi prendendo la sua mano. Lui con un movimento semplice, mi portò dentro.
-Comunque io sono James, ma tutti mi chiamano Jimbo.
-Io sono semplicemente Sheena- dissi sorridendo al mio nuovo e primo amico.
Devo dire che James o Jimbo, è un ragazzo molto carini, occhi azzurro chiaro, altezza 1,90, capelli corti con una frangette un po’ più lunga sul davanti e un sorriso beffardo. Sapevo che saremmo diventati ottimi amici, perché quando gli stavo vicino non percepivo quell'astio o quell'imbarazzo che si sente con gli sconosciuti, ma riusciva invece, a trasmettermi un insolita fiducia unita alla tranquillità. La stessa tranquillità che mi dava mio fratello.

Trav.

Una sorta di malinconia mi invade tutto il corpo, ma a risentirne è proprio lo stomaco. Chi sa cosa starà facendo adesso il mio fratellone. Spero che un giorno possa perdonarmi per averlo abbandonato. Forse un giorno sarà così. Mi ripeto.

Abbasso gli occhi sugli anfibi rossi e sospiro. James sembra accorgersene così, senza un preavviso mi abbraccia. Io ricambio il suo abbraccio, d’altronde tra i Pacifici ci insegnano che non rispondere ad un abbraccio è maleducazione, così lo stringo forte, quasi a volermi sorreggere e non piangere, altro che educazione, se voglio fermare le cascate che potrebbero uscirmi da un momento ad un altro, devo farlo.


***
 
Ci sediamo per terra. Non ci sono sedie nel vagone ma solo finestre e porte. È tutto grigio metallizzato e c’è una tale confusione da non riuscire nemmeno a sentire i propri pensieri.
-Ascoltate iniziati trasfazione- una voce ci zittisce e tutti ci giriamo a guardare verso la sua padrone.
Quello che ci si presenta  davanti è il corpo asciutto di una ragazza di diciasette anni. Trucco pesante nero sugli occhi, calze a rete con giarrettiera in bella mostra dello steso colore, una maglia nera che le arriva appena sotto i glutei lasciando scoperta la giarrettiera e per finire un Chiodo borchiato sulla spalle. Ah beh, quasi dimenticavo, una chioma lunga e bionda.
Non c’è che dire, un look molto casto.
-Lei chi è?- sussurro vicino all’orecchio di James.
-È una dei  cinque capifazioni, lei e Caroline.-
-Ma ha appena diciasette anni?!- dico un po’ troppo forte poichè mezzo vagone si gira nella mia direzione, ma tra questi, fortunatamente non c'è lei. 

Seconda figura di merda, complimenti Sheena dai il meglio di te non c’è che dire.

-Qui, l’età non conta- mi risponde sottovoce.
Poi Caroline, continua.
-Non aspettatevi che questa iniziazione sia una passeggiata, anzi, aspettatevi il peggio che possa esistere. Se non ce l’ha farete sarete esclusi, per chi ce l’ha farà, beh (apre il portellone dietro di lei, mentre i capelli gli coprono il viso -poco truccato- a causa del forte vento) benvenuti tra noi!- e poi si gira di scatto e salta fuori, cadendo in piedi. Adesso capisco perché è diventata un capofazione.

-Dammi la mano.- mi dice James allungando verso di me la sua.
-No, voglio farlo da sola.- affermo titubante guardando il portellone mentre altri ragazzi si buttano sul selciato.
-Okay.- mi risponde tranquillamente prendendo la rincorsa e urlando divertito salta giù dal treno.
Ora toccava a me. Mi giro, prendo la rincorsa e salto giù dal treno. Guardo in alto e vedo una bellissima Aquila volare su, in quel cielo limpido e di un azzurro pastello.
La sensazione di volare è bellissima, ti fa sentire come quel maestoso uccello su nel cielo, che è impavida mentre attraversa le nuvole senza provare alcun rimorso o sentimento di paura. Dei brividi mi percorsero tutto il corpo, ma  questa bellissima sensazione finì quando mi ritrovai improvvisamente in ginocchio sul selciato. Fregandomene del bruciore alle ginocchia, comincio a ridere di cuore, felice come mai lo ero stata prima. Ed è una felicità stranamente liberatoria e...
-Tesoro, tutto apposto, non so vuoi che ti porti qualcosa? Muoviti Frikkettona, qui non abbiamo tempo da perdere con voi pacifici.
Improvvisamente quella sensazione finì a causa di una voce maschile profonda e dura. Allora indispettita mi voltai a guardare nella sua direzione.
Quando trovai questo “qualcuno” vidi che aveva tatuaggi sugli avambracci, due piercing sulle sopracciglia, un dilatatore su entrambe le orecchie e per non farsi mancare proprio nulla, degli occhi di ghiaccio. Profonde lastre di metallo.
Rabbrividii, ma questo non mi fermò certo dall'aprire quella boccaccia che mi ritrovavo. 
-No, niente grazie! E Comunque il mio nome è Sheena e tu (dissi puntandogli il dito contro) sei un grandissimo maleducato!-
Il suo sguardo da scocciato divenne furibondo. Si avvicinò quindi, verso il mio corpo marciando rabbioso e una volta vicino, mi prese per un braccio e con una facilità disarmante, mi mise in piedi.
-Ascoltami ragazzina, non permetterti mai più di usare quel tono con me! Hai capito, stupida Pacifica!- mi urlò ad un palmo dal naso, mentre ancora mi teneva per un braccio e mi stava facendo male con quella sua stretta di ferro. Non aveva mani, ben si artigli.
Cominciai a dimenarmi per togliergli la mano dal mio braccio, perché sapevo che se non l’ho avesse fatto avrei cominciato ad urlare e piangere.

No, se ve lo state chiedendo io non sono pazza, è che nella mia infanzia mi era successa un cosa molto spiacevole che non dovrebbe capitare a nessuna donna.

-Lasciami!- urlai a pieni polmoni.
La fase uno era ormai in atto.
Lui strinse ancora di più la presa su di me, come a volermi sfidare.
-Lasciala Eric, non vedi che non riesce nemmeno a reggersi in piedi - rispose la bionda Caroline, con fare seducente e cantilenante.
Il biondo distolse gli occhi dai miei e si rivolse alla ragazza, così mi lasciò il braccio.

Non ricaddi sul selciato per miracolo. Ma le immagini inpresse nella memoria non potevano essere fermate facilmente. Fregandomene delle persone che avevano assistito al tatrino e che mi stavano guardando, poggiai le mani sulle orecchie e urlai dentro di me, chiudendo gli occhi. 

Inspiravo ed espiravo. 

Cinque minuti dopo, James mi strattonava e io ritornai con piacere alla realtà.
-Ragazzina ma hai qualche problema?- chiese di nuovo il ragazzo biondo, quello che mi aveva stretto il braccio pochi minuti prima.
Risposi di no con la testa, anche se era un enorme cavolata.
-Bene stavo giustamente dicendo che io sono un Capofazione, se sua maestà volesse saperlo.-
Disse facendomi un segno con la mano e io mi sentii morire dentro. Avevo appena fatto un'altra figuraccia con un altro capofazione. Non potevo crederci. Ero tra gli intrepidi da meno di un ora ed ero già crollata psicologicamente, come avrei resistito ai prossimi mesi? 
-Così la terza prova che vi aspetta è quella di saltare giù da questo cornicione. Allora chi va per primo? Non vi affollate mi raccomando.- annunciò mentre, con un sorriso beffardo, si siede sul cornicione guardando giù.
Il mio cervello non rispondeva più perché voleva fare una solo cosa: far spegnere sul suo viso quello stupido ghigno.
-IO, SALTO IO.- stavo urlando lo so, ma dovevo far cambiare idea sul mio conto, non volevo essere vista come l’agnellino pronto per essere sbranato da quelle tigri affamate, soprattutto all’Erudito alto 1,80.
-Accomodati.- mi dice invitandomi a salire sul cornicione, con una trasparente ironia stampata sul quel faccino.
-Se dovessi morire, James, raggiungi mio padre e mio fratello e digli che gli ho sempre voluto  bene.- dissi rivolta a James ,che con un sorriso mi faceva okay con la testa. Amavo già quel ragazzo.
-Perfetto  adesso che abbiamo dettato anche le tue ultima volontà, potresti salire su questo maledettissimo cornicione e saltare giù? Grazie.-
Ancora lui, Dio!
-Okay.- dissi alzando gli occhi al cielo, a quanto pare non era molto paziente.

Guardai di sotto, e mentre i capelli corvini mi coprirono la faccia, mi lanciai nel vuoto.
Amavo quella sensazione di vuoto nello stomaco, l'aria cha sbatteva sulla faccia e che si insidiava sotto i vestiti rendendoli gonfi. Era proprio in quei momenti che la mia mente si fermava dal pensare e si concentrava su altro.
Aprii gli occhi nel momento in cui qualcosa mi spinse di nuovo in alto e poi di nuovo in basso. Mi ritrovai distesa su una rete. Una rete super resistente, che genialata, volevo conoscere la persona che l’aveva costruita.
Qualcosa, o meglio qualcuno, mi cinse i fianchi con le mani e mi aiutò a scendere. Gli mimai un imbarazzato grazie e mi sistemai la gonna.
-Ciao, io sono Quattro benvenuta tra gli intrepidi…?-
-Sheena.- aggiunsi con un alzata di testa.
-Prima a saltare Sheena!- urlò girando la testa a destra mentre un boato di acclamazione si innalzò a rompere la bolla che si era creata nella mia mente, ancora sul cornicione.
Per una volta nella mia vita mi sentii a casa, mentre con un sorriso a trentadue denti salutai tutti con la mano.
Ero felice, ma non potevo smettere di pensare al capofazione, volevo che lui cambiasse idea su di me, volevo che mi guardasse come aveva guardato Caroline. Lo volevo con tutta me stessa, fosse l’ultima cosa che avessi fatto, nel frattempo mi accontentavo della piccola soddisfazione che avevo percepito nel petto, quando mi ero offerta volontaria per saltare per prima.
-Buona fortuna  Sheena.- aggiunse Quattro facendomi l’occhiolino.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


CAPITOLO 3.

 

Quando anche gli altri iniziati saltarono giù dal cornicione e si ritrovarono con i piedi per terra, mi girai intorno a guardare quali sarebbero stati i miei “presunti” compagni di camerata. 
Davanti agli occhi mi apparvero due eruditi molto alti e con una massa muscolare abbastanza evidente, due candidi che parlottavano tra loro ed infine notai la presenza di due ragazzi apparentemente diversi, non solo per l'aspetto fisico ma soprattutto, per la differenza di colori del vestiario poichè uno era un candido dai capelli rossi corti con il ciuffo all’insù e gli occhi cristallini ed una ragazza abnegante dai capelli castani raccolti in uno chignon e dagli occhi verde smeraldo , una bellezza davvero poco convenzionale per un posto scuro come questo. Inaspettatamente sentii che potevo fidermi di loro e decisi così, di avvicinarmi anche perchè con qualcuno dovevo pur fare amicizia, no?
-Ciao!- dissi.
Loro smisero di parlare e mi guardarono.
-Ciao, io sono Ian e lei è Helena (indicando la ragazza che era leggermente arrossita), tu devi essere Sheena, giusto?-  
-A quanto pare la mia fama mi precede- risposi mostrando un timido sorriso.
-Già,ci vuole fegato per sfidare così un Capofazione, soprattutto se quel capofazione è Eric dagli occhi di ghiaccio- risponde facendo scoppiare a ridere l’Abnegante Helena che fa attirare l’attenzione su di lei di quasi tutti i presenti.  E poi in un attimo smette di ridere e si nasconde dietro Ian, perché è imbarazzata di ricevere tutti quegli sguardi su di lei, tipico degli Abneganti.
-Perché pensi che sia così cattivo?! Insomma guardalo (ed indico il Capofazione in disparte che guarda tutti con aria torva e schifata)si sta divertendo da matti, non riesce a smettere di ridere. E poi vogliamo parlare di come ci ama e ci stima, Pff…(dico il “pff” con un segno della mano)- ironizzo guardando Eric.
Helena e Ian scoppiano a ridere ed io mi unisco alle loro risate.
Improvvisamente smattiamo di ridere e ascoltiamo con attenzione le parole che Quattro ci sta rivolgendo.
-Allora, io sono Quattro il vostro istruttore per le prossime settimane e lei è Tris che mi aiuterà con gli allenamenti, mentre gli interni saranno sotto la tutela di Will e Christina. Bene, detto questo seguite i vostri istruttori per il giro turistico della residenza.- e il gruppo in un attimo si divide ed io lancio uno sguardo a James che mi sorride. Poi seguo anche io Quattro e Tris.


***
 
Ci addentrammo in un Tunnel illuminato solo da fioche luci azzurre e da pareti in pietra. 
Svoltiamo l’angolo e Tris apre una porta e ci intima poi ad entrare.
Quello che ci troviammo di fronte non era nient’altro che una caverna con base larga da cui non si riusciva a vedere la fine. Le pareti sono alte decine di metri e sono formate anche esse da rocce, questa volte irregolari, nella quale si trovano diversi negozi collegati da scalini, sempre scavati nella pietra.
Il soffitto è formato da pannelli di vetro che lo rendono particolarmente luminoso poichè dei raggi del sole filtrano in esso.
-Questo posto viene chiamato “Pozzo” e vi assicuro che imparerete ad amarlo.- ci dice Tris regalandoci un sorriso rassicurante, quello di cui evevamo bisogno era una semplice rassicurazione, non continui avvertimenti o minacce, nel mio caso. Ma qui nessuno sembra averlo intuito.
-Da questa parte.- Quattro riprende la parola ed è sempre lui che con un solo sguardo, riesce a spezzarci l'euforia creatasi precedentemente.
Perfetto ci mancava anche lui.
Ci guida alla fine del tunnel e ci porta nel lato destro del Pozzo. Sento improvvisamente un getto di acqua veloce che si infrange nella roccia. Incuriosita dal rumore dell'acqua, mi sporgo oltre la ringhiera e vedo un fiume.
-Attenzione Pacifica c’è il rischio che tu cada di sotto.- mi riprende l’erudito con un sorriso arrogante, tipico della loro gente.
-Grazie erudito, non lo avevo notato, per fortuna che al mondo ci sono persone attente come te.- rispondo rivolgendogli un sorriso beffardo.
-Smettetela voi due, quando ci sono io pretendo il silenzio.- ci riprende Quattro, mentre Tris diveritia, scuote la testa.

Ma è sempre così stronzo?

-Questo che vedete è lo strapiombo e se siete particolarmente brilli, io non mi ci avvicinerei.- riprende il discorso Tris, con gentilezza e calma.
Quattro ci guida fuori dal Pozzo e ci dirigiamo in un altro tunnel che termina con una porta nera. Sulla porta spicca una frase TRASFAZIONI. Qualcosa mi dice che queste è la nostra camerata. Tris apre la porta e ci lascia entrare. La camera in questione ha pareti grigie dove vi sono addossati i letti a castello. Infondo alla stanza c’è una porta nera con su scritto BAGNO UNICO PER TUTTI. Perfetto, non solo avrei dovuto dividere il letto con qualcuno ma anche il bagno con i ragazzi.

-Ad ogni modo, prima della cena ,che dovrebbe avvenire tra meno di mezz’ora, dovete cambiarvi e lasciare per sempre i vostri vecchi abiti. A dopo ragazzi.- detto questo Quattro e Tris si presero per mano e se ne andarono. Io allora  mi girai verso Ian e Helena.
-Allora...ci cambiamo?-
-Beh io credo che siamo obbligati a farlo, non vorrei finire tra gli esclusi già il primo girono.- mi riprende il candido.
-Giusto.-

Ognuno di noi sceglie un letto. Io ed Helena essendo le uniche ragazze decidiamo di dormire insieme e ci accaparriamo il letto vicino il bagno così, saremo sempre le prime a fare una doccia.

 

***

Dover buttare il mio amato chiodo era tecnicamente impossibile. Così decisi che più tardi avrei preso una bomboletta nera e lo avrei colorato. Per il resto, beh potevo bruciare tutto. Perché i ricordi, quelli non potevano bruciare così, da un momento ad un altro, no per dimenticare quelli ci voleva l’eternità, un periodo molto lungo.

Uscii dalla stanza per dirigermi vicino al bruciatore e vi lanciai i miei vecchi vestiti dentro.
-Anche quello ragazzina. Tutto vuol dire tutto.-
Quella voce, quella dannatissima voce. Lui il solo ed unico Eric. Feci un respiro profondo e cercai di mantenere la calma, poi risposi.
-Lo colorerò, non preoccuparti, sarà nero come il tuo animo.- gli risposi facendogli l’occhiolino.
Sapeva di star giocando con il fuoco ma questo sembrava non importarmi, sembrava non interessarmi minimamente.
-Piccola ragazzina, giuro che tra una settimana non sarai più tra di noi, perché sarai in un altro mondo, lo giuro su me stesso.- mi sputa adosso queste parole con disprezzo
-Uhh! Che paura.- dissi scuotendo le mani.

Si avvicinò a me e me lo ritrovai ad un palmo dal naso. I nostri respiri, come le nostre labbra si sfioravano. Gli occhi di entrambi erano ridotti ad una fessura ma ci squadravamo comunque a vicenda. Rimanemmo in quella posizione per non so quanto tempo poi però, ad un certo punto, io gli tirai un leggere pugno sul fianco. Lui non se lo aspettava così, mi ritrovai inchiodata al muro mentre avevo il suo corpo spalmato sul mio e le sue mani tenevano le mia braccia orizzontali al mio viso.
Mugugnai per la stretta di dolore procurata dalle sue dita, ma questo parve non fermarlo.
-Lasciami, mi fai male.- gli intimai digrignando i denti, mentre lui mi continuava a fissare con il suo sguardo impassibile.
-E' il prezzo da pagare per avermi sfidato ragazzina.-

Questa volta il mio sguardo cadde sugli occhi, che dicevano il contrario del corpo.
Era forse curiosità quella che vedevo nei suoi occhi?
Se si aspettava che facessi la stessa sceneggiata della mattina non aveva capito prorpio niente.
No caro Eric, quella sceneggiata è sepolta in una bara insieme alla paura nei tuoi confronti.
Così mi lasciai scappare un sorriso e lui non capendo cosa mi stesse succedendo in quell’istante mi lasciò e più arrabbiato che mai, se ne tronò da dove era venuto. Girò l’angolo e mentre mi ricomponevo lo rividi tornare indietro, nella mia direzione.
-Giuro che prima o poi questa me la pagherai. Oh si che mela pagherai piccola pacifica insignificante che non sei altro. Diventerò il tuo tormento se questo dovesse bastare a fartene andare da qui, perché Eric non le perde le battaglie. Ti è chiaro Sheena?!-
Non risposi, ma quando stavo per avvicinarmi  ad Ian ed Helena, che parlottavano in disparte. Con la coda dell’occhio lo vidi fare un sorrisino e non resistetti; così mi girai e gli dissi:
-Però, vedo che sono importante per te. Ti ricordi perfino il mio nome.-
E lo lascia li, indispettito e confuso, anche arrabbiato perché sapeva che questo primo, anzi secondo round ero stata io a vincerlo.

Mio caro Eric, se volessi potrei diventare io il tuo peggior nemico. Anche se il peggior nemico di te stesso sembri essere prorpio tu.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***




Capitolo 4.


Una volta che tutti ci cambiammo e diventammo  scarafaggi neri, Quattro ci fece tornare al pozzo, ma questa volta entrammo in una specie di grotta adibita alla mensa. La mensa era simile a quella dei Pacifici, grandi tavoli rettangolari piazzati in tutta la sala, tranne che al centro perché esso fungeva da corridoio.
Quando entrammo tutti gli intrepidi smisero di fare quello che stavano facendo e cominciarono a battere i piedi, le posate sui tavoli ed ad urlare.
Noi tutti non riuscivamo a smettere di ridere o ringraziare, tanta era l’emozione che ci faceva battere il cuore in quel momento. E per una volta nella mia vita non mi pentii per niente della scelta compiuta, anzi mi piaceva essere uno scarafaggio impazzito, e mi piaceva un casino.
Con gli altri decidemmo di andarci a sedere ad un tavolo in fondo alla sala. Purtroppo mi accorsi troppo tardi che affianco al nostro tavolo c’era quel Santo di Ericocchidighiaccio, così quando gli passai vicino lui mi lanciò uno dei suoi sguardi poco raccomandabili e mi costrinsi a deglutire.  Decisi di sedermi tra Helena ed il ragazzo Erudito, che scoprii chiamarsi Jude, ma ad un certo punto vidi con la coda dell’occhio Eric alzarsi e venire dove eravamo seduti noi.
Oh Dio no. Non di nuovo!
-Alzati!- ordinò a Jude. Lui lo ascoltò e si sedette vicino al Candido Billie.
Perché Dio ce l’hai tanto con me? Cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo? 
-Ho pensato che avresti gradito un dolcetto.- mi disse porgendomi un Muffin al cioccolato e regalandomi un sorriso fin troppo beffardo.
E questo cosa voleva dire?
-Cosa gli hai fatto Eric?!?- dissi guardandolo in maniera interrogativa
-Niente Ragazzina, era solo un gesto gentile.- mi rispose scoppiando a ridere.
-Grazie, ma da adesso sono a dieta. Dallo pure a Caroline, lei lo accetterà volentieri.-
-Caroline non lo mangerebbe mai, altrimenti non potrebbe mantenere quello che è il suo corpo Sexy. Ma tu cosa puoi saperne, sei solo una ragazzina dai lunghi capelli da principessa delle fiabe.- disse le ultime parole alzandosi e sfiorandomi lo zigomo. Io invece rimasi li, ad ascoltare quelle parole canzonatorie mentre cercavo di rimandare giù le lacrime che mi stavano salendo agli occhi, lacrime di rabbia e di delusione.
Mi alzai di scatto e guardandolo con sguardo schifato me ne andai. Uscii dalla stanza e andai allo strapiombo. Il rumore dell’acqua fin da bambina riusciva a tranquillizzarmi. Ricordo che passavo ore ad ascoltare il getto che usciva dal rubinetto per poi addormentarmi.  Assorta nei miei pensieri  non mi accorsi che qualcuno mi aveva raggiunto. Mi girai e nella penombra vidi il profilo di un ragazzo alto, che conoscevo, ma a cui non avevo avuto il tempo di chiedere il nome.
-Io trovo che i tuoi capelli siano bellissimi e per niente fiabeschi.- mi rispose.
-Ah, comunque io sono Brian. Siamo in stanza insieme e sono un ex Erudito da oggi.- mi rispose alla domanda silenziosa che i miei occhi stavano facendo, con un fantastico sorriso bianco splendente.
-Grazie per il complimento. Io sono Sheena.- gli risposi con la stessa cortesia stringendogli la mano che mi aveva offerto in precedenza.
-So chi sei. E lo sanno anche tutti gli altri. Voglio darti un consiglio Sheena, stai attenta agli interni loro farebbero qualsiasi cosa per sbatterti fuori in qualsiasi modo. Per loro il fine giustifica i mezzi.-
Detto questo, se ne andò, lasciandomi la, con quel pensiero che ormai si era insinuato nella mia mente.
So cosa voleva dire. E la cosa mi spaventava, ma non dovevo mollare e dargliela vinta. Ma la mia priorità ora era dimostrare ad Eric che non ero affatto una bambina, ma una ragazza Intrepida. Sul Sexy avrei dovuto lavorarci su, ma se significava andare vestita come una prostituta, allora sarei rimasta la ragazza invisibile e patetica di sempre. Sapevo cosa fare e da dove iniziare.

                                                                                                              ***

Andai al pozzo e presi una tinta per capelli blu, delle forbici e dei trucchi rigorosamente neri. Corsi nella mia stanza. Gli altri stavano ancora mangiando così ne approfittai e andai in bagno. Mi misi davanti allo specchio e prendendo un lungo respiro cominciai a tagliare i miei lunghi capelli corvini. Mentre mi guardavo allo specchio, dei ricordi tornarono a galla. Ricordai di quando mia madre si sedeva sulla sedia e cominciava a fare delle treccioline ai miei capelli, e al suo sorriso gentile e pieno d’amore che mi lasciava a lavoro finito mentre mi diceva:

“i capelli Sheena sono una parte fondamentale per una donna. Rispecchia quello che è il carattere di essa. Non dimenticarlo mai, tesoro mio.” E poi dolcemente mi lasciava un bacio sulla guancia e sorridendo la ringraziavo.

Ricordando le parole di mia madre mi convinsi ancora di più della scelta presa.
Smisi di tagliare i capelli e passai al colore. Poi al trucco. Quello che ne uscì fuori era un’altra Sheena. Se mio padre fosse entrato da quella porta non mi avrebbe sicuramente riconosciuto.
Il colore aveva presa bene, i capelli tagliati mi arrivavano appena sopra le spalle e per gli occhi avevo tracciato una leggera striscia di eyeliner  contornata da lunghe ciglia su cui avevo messo il mascara.
Presi un profondo respiro e andai nell’unico posto dove la gente si recava di solito; il Pozzo. Quando arrivai li, cercai con gli occhi il capofazione più simpatico di questo mondo. Eccolo. Era poggiato con la schiena al muro e parlava con una rossa tutta curve e poco vestita e la sua amata Caroline. Sentivo il sangue ribollire nelle vene mentre le sue parole facevano eco nella mia mente. Decisi di camminargli davanti per raggiungere James che si stava sbracciando per farsi vedere. Indossai la mia maschera dell’indifferenza e gli camminai davanti.
-Eric vedo che ti stai divertendo.- gli dissi fermandomi davanti alla sua faccia e lanciandogli uno sguardo di sfida. Non avevo resistito dovevo parlargli.
Lui non rispose subito stava ancora assorbendo lo shock del mio nuovo look, supponevo, anche se non mi guardava mai veramente.
-Vuoi unirti a noi? A tre è anche più divertente.- mi disse sfoggiando un sorriso malizioso.
-Ma chi quella Eric?- si intromise la rossa scoppiando a ridermi in faccia.
Non potevo crederci la Baldracca che mi insultava. Lei che insultava me. Lei che l’unica parte ancora non scoperta era la sua intimità
Ecco brava hai detto bene: ancora.
-Beh, a me sembra, che come te anche io sia una portatrice di organo femminile.-
-Con la sola differenza che la tua è ancora vergine, casta e pura. Come il tuo look.- mi disse lasciando un bacio sulla guancia a Eric per poi  lanciarmi uno sguardo di sfida.
I sentimenti che provai in quel momento erano diversi: rabbia, frustrazione e gelosia
Dannazione! Non poteva essere gelosia doveva esserci una spiegazione a tutto questo.
-Beh, che cosa c’è che non va nel mio look?- dissi guardandomi. Quello che avevo in dosso IO era una semplice maglia nera (ecco forse un po’ accollata) e dei pantaloni a sigaretta anch’essi neri.
-Si vede lontano un miglio che sei una verginella e che vorresti Eric per scaldare il tuo letto. Notizia flash, non potrai averlo mai. Lui, quelle come te nemmeno, le guarda.- sputò fuori le ultime parole con rabbia e possessione.
“le ragazze come me” perché quelle come me cosa avevano di sbagliato? Solo perché eravamo ragazze a cui piace andare vestite non vuol dire che nessuno ci ami! Gli insulti che avrei voluto rivolgergli erano molti ma mi limitai ad uno che sapevo avrebbe colpito perfettamente nel segno. Intanto James si era avvicinato e mi stava vicino. Così colsi il suo sguardo di rimprovero perché sapeva quello che stavo per fare, oh meglio per dire.
-Beh al contrario di te che la dai a tutti.- ecco lo avevo detto ed infatti la rossa cambiò espressione perché se prima era orgoglio quello che leggevo nei suoi occhi verdi adesso era sdegno e rabbia.
Beh gli hai appena dato della puttana, cosa ti aspettavi Sheena!
Non potei dire più niente perché James mi prese dai fianchi e mi caricò sulla spalla mentre io ridevo nel guardare la faccia della rossa.  Poi però incontrai gli occhi ghiaccio di Eric. Ed il mio sorriso si spense. Ci scrutammo da lontano ed io potei notare una certa gelosia nei suoi occhi. Le stessa gelosia che poco prima aveva preso me nel vederlo attaccato a quelle due. Poi però mi vennero in mente le parole della rossa.
non potrai mai averlo.”
In questo momento invece mi accorsi che le parole della rossa in un certo senso erano esatte. Su via, lui era un  Capofazione ed avere una storia con lui sarebbe stato impossibile perché vietato. Secondo, beh, Eric da quello che avevo notato in quelle poche ore, non era affatto un tipo da relazioni stabili ed i tipi come lui tendono a distruggere tutto, anche il cuore. Ma la domanda era: Sheena provi qualcosa forse per quell’essere? La risposta che avrei tanto desiderato dare era no, ma effettivamente se l’avrei fatto avrei mentito solo a me stessa. Però non potevo dare nemmeno una risposta positiva, perché oltre all’attrazione fisica non c’era niente. Non sapevo niente. Ma sapevo che ogni volta che lo guardavo incrociando i suoi occhi beh, non capivo più niente. E questo era una dato di fatto.
James mi portò nel dormitorio, mi fece sdraiare sul letto e mi tranquillizzò dicendomi che ero stata una pazza a dire quelle parole a Taylor, era questo il nome della rossa, perché sapevano tutti com’era ma nessuno aveva il coraggio di dirglielo e poi aggiunse che questo nuovo look mi donava. Lo ringrazia e lo salutai con un bacio sulla guancia. Poi sfinita mi addormentai.
                                                                                                             
                                                                                                              ***

-Sheena forza dobbiamo andare è tardi ci stanno aspettando!- 
Fu la voce lieve a gentile unita ad una leggera spinta di Helena,  a farmi aprire gli occhi. La stanza era illuminata dalla luce artificiale della lampada  poiché il sole batteva nitido solo da una finestra piccola sul soffitto. Ancora insonnolita chiesi ad Helena che  ore fossero e lei sempre intono gentile mi rispose
-Le 8:00 e tu hai mezzo secondo per preparati!- ecco il tono non fu proprio gentile ma anzi, urlato.
-Ma sono appena le otto?!?- gli risposi mentre se verificavo se il mio udito era ancora utilizzabile. Si, tutto apposto.
-Oh cielo Sheena! Se tu non fossi scappata ieri a cena avrei sentito chiaramente che Quattro ci voleva alle 8:00 in punto in palestra! Non posso crederci che sono in ritardo già il primo giorno. Sai cosa vuol dire per una Rigida e una Pacifica mostrarsi una persona indifferente agli appuntamenti soprattutto qui?!?-
Si sapevo cosa volesse dire. Se già ci vedevano come agnellini sacrificabili, arrivare in ritardo significa che stavamo proprio gettando la spugna.
Così scattai in piedi. Presi il reggiseno sportivo, i sopra la mia amata maglia nera accollata e presi una tuta molto stretta aggiungendo le scarpe da palestra. Helena mi diede un Muffin e uscimmo correndo dalla stanza.
Arrivammo in palestra e l’unica persona sulla faccia della terra che non avrei voluto vedere invece era proprio lì ad aspettarmi, Eric.
-Ma guarda un po qui chi abbiamo: la rigida e la frikkettona. Non vorrei fare il guasta feste, ma la campanella è già suonata da un pezzo.- ci rinfacciò con uno dei suoi ghigni malefici.
Per quanto ancora avrei dovuto vedere la sua faccia?
Mi dispiace ricordarlo ma, lui è il tuo capofazione.
Giusto coscienza.
- Qual è la nostra punizione Eric. Non usare giri di parole con me.- dissi contraendo la mascella. Non ne potevo più di lui e dei suoi comportamenti infantili.
-Oh! ma cosa abbiamo qui? Una guerriera! Ah Sheena, vuoi fare qualcosa? Bene, Quattro cambio di programma. La signorina qui presente (disse guardandomi dall’alto in basso) ha così tanta voglia di combattere con qualcuno, e noi chi siamo per non accontentarla? Bene, vediamo chi abbiamo. – fece scorrere lo sguardo su tutti e poi si soffermò su Billi. Dentro di me pregai, sperai che non mi facesse combattere con lui. Ma le mie speranza si sciolsero come neve al sole.
-TU, Billie giusto? Bene, tu (e lo prese dalle spelle) avrai l’onore di combattere con la nostra piccola guerriera.- e mi rivolse un sorriso di soddisfazione. Che ce l’avesse con me per ieri sera era ovvio, ma non pensavo che sarebbe arrivato a tanto. E solo in quel momento capii perché tutte le persone lo reputassero meschino, arrogante e spietato. Insomma, avrei di sicuro perso contro Billie. Lui era più alto e più muscoloso di me. Io ero alta una mela ed una vigorsol.
-Che c’è little warrior? È forse paura quella che leggo nei tuoi occhi blu?-
-NO! Stavo solo pensando a quanto fossi piccolo.- gli risposi sorridendo
Lui i rabbuiò di colpo e quello stramaledetto sorriso scomparve dal suo volto. Si! Sheena vinceva ancora.
-Bene, cominciate! – rispose con un ringhio rabbioso.
Andammo sul ring e all’inizio cominciammo a scrutarci, poi però Billi attaccò ferendomi e mandandomi al tappeto. Oh santo cielo Sheena! Riprenditi non puoi andare KO già al primo pugno! Fagli vedere a quello li chi era la piccola guerriera! Mi alzai e mentre lui era distratto lo colsi di sorpresa salendogli sopra. Ma tutto quello che vidi non fu più il dolce faccino di BIllie, no, vidi quel figlio di puttana che tempo prima mi aveva violentato. il sangue al cervello ormai era troppo e non potevo fermarlo più. Così cominciai  a picchiarlo sulla faccia senza fermarmi  anche se il dolore alla mano era troppo forte. Non mi importava dovevo uccidere quello stronzo che mi aveva rubato gli anno migliori della mia vita. Quelli dell’innocenza di una bambina di 10 anni.
-Basta Sheena così lo uccidi.- fu Ian a parlare.
Ma io continuavo senza fermarmi, il dolore di quegli anni tornò a galla e come una tempesta mi travolse in pieno. Smisi solo quando delle braccia tatuate mi presero di peso. Girai il viso allo sconosciuto e mi accorsi che era stato Eric. Non potevo crederci. Era stato lui a salvare quel povero Ian ed io ero la carnefice che lo stava per uccidere. Improvvisamente ritornò in me la ragione perduto prima. Mi guardai le mani ed erano sporche di sangue. Non il mio. Ma il sangue di Ian. Lacrime copiose cominciarono a scendermi dagli occhi.
-Smettila di frignare qui è normale picchiare le persone Pacifica.- guardai Eric e per un attimo mi sentii vulnerabile e messa all’angolo.
-Lasciami stare. Mettimi giù e torna a fare lo stronzo. Tanto sai fare solo questo!- gli dissi urlando.
-E perdermi la grande guerriera Sheena che piange? MAI!.- mi rispose fermandosi di colpo e facendomi entrare in una stanza.
-Dove mi hai portato?- dissi urlando.
Dannazione stavo urlando! Stavo perdendo il controllo su me stessa
-Rilassati tesoro! Non voglio violentarti tranquilla.- mi rispose accarezzandomi la guancia.
Ma io mi ritrassi di scatto cadendo su un divano. Divano?!? Mi guardai in torno e notai che eravamo in ufficio. C’era una scrivania al centro sul lato destro una finestra e sullo quello di sinistra il divano.
-Ti ho portata qui per tenerti buona e per farti calmare.-
-Non dovrei continuare l’allenamento?-
-Non ti sembra di aver fatto abbastanza oggi Sheena?- mi rispose senza degnarmi di uno sguardo mentre.
-Allora vuoi dirmi che cosa ti è successi? Insomma, Quattro e Tris ti hanno intimato più volte a smetterla, ma tu eri come uno zombi e continuavi a fare quello che stavi facendo. Ovvero  ridurre ad un cumolo di sangue la faccia di Biilie.-
-tu lo hai fatto di proposito a farmi combattere con lui vero? Si tanto Sheena non ce l’avrebbe mai fatta e avrebbe perso. Perché è una stupida Pacifica verginella troppo pazza. Giusto Eric.- dissi le ultime parole urlando.
-Non hai capito proprio niente Sheena. Io sapevo che lo avresti battuto, ma non credevo con così tanta violenza. E fammi un favore non provare mai più a urlarmi in faccia stupida ragazzina!-  intanto si era seduto sul divano e come sempre mi sputava fuori quelle parole.
Le sue parole mi spiazzarono. Lui credeva in me. Ed io ho non lo avevo deluso perché i suoi occhi erano felici. Così gli rivolsi un sorriso di ringraziamento.
-Eric ho cinque minuti non di più.- ecco di nuovo la rossa che entrò nella stanza con una tale furia da non accorgersi che c’ero anche io.  E mentre si toglieva i vestiti capii cosa intendesse con quella frase.  Non potevo crederci o meglio lo sapevo, però avevo sperato che quelle intuizioni fossero sbagliate. Eric e la rossa erano amici di letto. Il solo pensiero mi fece venire la pelle d’oca. Lanciai uno sguardo inquisitorio ad Eric e lui mi rispose con un’alzata di spalle.
-Taylor mi dispiace ma dobbiamo rimandare ad un altro momento.- rispose Eric continuando a fissarmi negli occhi. Che cosa strana, nei suoi occhi vedevo desiderio. Pensai che forse mi sbagliavo ma continuava a fissarmi in una maniera in cui nessuno prima mi aveva mai guardata, e per un attimo pensai che la rossa si sbagliava. Che Eric mi desiderasse anche con l’aria casta e la maglia accollata. Che trovava in me qualcosa di Sexy come per Candice.  Ma scacciai via quel pensiero. Non era possibile che piacessi ad Eric. Insomma, a  lui piacevano le ragazza dai facili costumi e sapeva benissimo che io non rientravo in quella categoria.
Persa nei miei pensieri e negli occhi ghiaccio di Eric, non mi accorsi che Taylor se n’era già andata.  Volata via come una furia rossa. E noi eravamo ancora li che ci scrutavamo, ci leggevamo dentro e ci studiavamo.
Poi Eric si avvicinò a me. I nostri respiri erano vicino, le labbra si sfioravano ed io da li potevo sentire il suo profumo da uomo. Il profumo del dopo barba mischiato all’odore acre e forte dello Jack Daniel’s.
-Te l’hanno mai detto che sei bellissima? Beh allora rimedio io. Sei una delle ragazze più belle che abbia incontrato. Una di quelle che non si ritroverebbe a portare una gonna troppo corta per attirare l’attenzione di un ragazzo. Una di quelle ragazze pazze, semplici ma allo stesso tempo forti, ribelle e…(si avvicinò al mio orecchio) sexy. Ma tremendamente bambina per me. Sheena lascia che ti dia un consiglio, non innamorati mai e per nessun motivo di me. Io tendo a distruggere tutte le cose belle, perché sono come dire, Rotto. -e mi accarezzo i corti capelli blu mentre il sorriso che si dipinse sul suo viso era triste.
Avrei voluto tanto dirgli che anche io ero rotta, aggiusta a metà, ma le parole non uscirono.
Poi senza che aspettasse una risposta da parte mia, si alzò e se ne andò. Lasciandomi li, seduta su quel divano rosso di pelle con lo sguardo perso nel vuoto.
Così uscii da quell’ufficio con ancora le mani sporche di sangue e andai dritta nel bagno del dormitorio. La voglia di piangere era molta ma nessuna lacrima uscì dai miei occhi azzurri. Ed era in momenti come questi che avrei desiderato ardentemente abbracciare il mio fratellone Trav. Ma non potevo farlo e dovevo smetterla di pensare a lui, la mia vita stava per cambiare e il passato dovevo lasciarlo alle spalle. Finii di pulirmi le mani e tornaii in palestra.




Note dell'autrice cioè le mie u.u
Ciao a tutti! colgo l'occasione per ringraziare tutte quelle persone che hanno inserito la storia tra i preferiti e le seguite, e poi un ringraziamento a tutte le anime pie che hanno avuto il coraggio di recensire. Davvero grazie a tutti voi, vi mando tanti pancakes virtuali. Tornando alla storia, io volevo fare una precisazione; la storia è proiettata due anni dopo l'inizzazione di Tris e quindi Eric ha 20 anni mentre Sheena ne ha 16, con questo non voglio far passare Eric come maniaco pervertito, sia chiaro. Scusate se ho aggiornato solo oggi ma ho avuto molto da fare tra Diritto, Inglese ed Informatica. Se l'inferno esiste ha un nome: INFORMATICA. Beh detto qusto vi saluto e vi mando tanti baci. <3
Alla prossima e se potete lasciate una recensione di qualsiasi tipo così verifico se vale la pena continuare. 
Grazie a tutti voi, davvero grazie ;)

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


 

 

Capitolo 5.




"a volte devi tipo morire dentro
 per rinascere dalle tue ceneri
 e credere in te e amare  te stesso e essere una nuova persona"
(Gerard Way)
 



-Bene questa è una pistola e quello è un bersaglio.- era così, che Quattro ci augurava il buongiorno: sbattendoci in mano le pistole, per niente delicatamente,  mentre indicava con l’indice il bersaglio in fondo alla palestra.
Era appena cominciata un'altra giornata, per la precisione la seconda giornata del primo modulo. Oggi ci toccava sparare con la pistola. 
Quattro ci mostrò la corretta postura da avere e come ricaricare la pistola  (montare e smontare il caricatore). Allora divaricai le gambe, tesi le braccia in avanti ed impugnai con tutte e due le mani la pistola. Il colpo partì ma il rinculo mi colpì in pieno facendomi perdere l’equilibrio e buttandomi con il sedere a terra. Sperai che nessuno se ne fosse accorto invece ridevano tutti, perfino Quattro che mentre scuoteva la testa, sul suo viso si andava formando l'ombra di un un sorriso, un enorme sorriso. In quel momento avrei tanto voluto scavare una fossa, sotterrarmici e restare per sempre lì.
-Dai alzati piccola guerriera.- Brian mi tese uno mano e mi aiutò ad alzarmi.
-Almeno è andato a segno il colpo?- chiesi alzandomi non avendo però, il coraggio di girarmi e guardare il bersaglio.
Brian mi prese dalle spalle posizionandosi dietro di me, e mi obbligò a guardarlo.  Il colpo non era andato a segno, ma almeno lo avevo colpito, rispetto a molti che avevano mandato il colpo ad infrangersi sulle rocce.
-Ritieniti fortunata, siamo stati in pochi ad avvicinarci al bersaglio.- mi sussurra Brian vicino all'orecchio. Il contatto così ravvicinato mi imbarazzava, ma allo stesso tempo non riuscivo a staccarmi da lui, perché quel ragazzo mi intrigava parecchio, il suo naso piccolo, le lentiggini sul suo viso, gli occhi color nocciola e i capelli sparati in aria neri, lo rendevano estremamente tenebroso e sexy. Ma se da un lato avrei dato qualsiasi cosa per poter stare con lui, per poter toccare le sue sottili labbra rosse, dall'altro qualcosa me lo impediva, o meglio qualcuno. Eric. Erano ormai tre giorni che io ero lì e tre giorni che facevo di tutto per provocarlo, ed il motivo era semplice e limpido, ma non avrei potuto mai ammetterlo a me stessa. Anche perché proprio lui mi intimava di non innamorarmi di lui e in qualche modo di stargli lontano. Io però non potevo farlo, non ci riuscivo. Era il mio nodo da sciogliere. Il problema da risolvere.
Una volta che sistemammo le pistole nei loro armadietti, tutti insieme ci recammo in sala pranzo, perché era arrivato il momento di pranzare ed il mio stomaco lo sapeva benissimo.
Quando entrammo nella sala, ci investì il solito allegro chiacchiericcio tipico proprio degli Intrepidi. Iniziai a far vagare lo sguardo su tutta la sala soffermandomi poi su due occhi color ghiaccio che bruciavano di una strana intensità mai vista prima. Al suo fianco come al solito c’era Caroline, la bionda quest’oggi metteva in mostra quelli che erano le sue forme, con una maglietta attillata e aperta sul davanti. Distolsi lo sguardo dai due e sorrisi a Brian che mi trascinava vicino ad un tavolo, proprio vicino a quello di Eric. Decisi di mettermi di spalle alla sala mentre Brian si posizionò di fronte a me, così potevo guardare  Eric e la bionda.
-Guarda che lo so che ti piace.- 
Brian ad un certo punto del pranzo, se ne uscì con quella frase stupendomi, stupendomi. Ovviamente avevo capito perfettamente a cosa alludesse, ma feci comunque finta di niente. Forse l'aveva capito perché avevo involontariamente fissato troppo Eric.
-Come scusa? Non ti seguo.- risposi con un sorriso per niente vero.
-So che ti piace Eric, te lo si legge negli occhi che provi fastidio quando lo vedi appiccicato a quella lì.- mi riprese mentre mandava la testa a sinistra, cioè in direzioni del tavolo di Eric e Caroline. Capii che ormai era inutile mentire così, feci si con la testa.
-Okay adesso che sai questo, cosa intendi fare? Andrai ad urlarlo ai quattro venti.-
-No, voglio solo aiutarti.- rispose con indifferenza dando un morso al suo Hamburger.
-In che modo?-  domandai curiosa. Quel ragazzo sapeva come stuzzicare il mio interesse.
-Beh adesso che ci sta guardando che ne dici se cominciamo da questo?- e si avvicinò al mio viso regalandomi un bacio a fior di labbra. Non mi scostai perché avevo capito a cosa alludesse con “aiuto” e mi stava bene. Brian era bello e sembravano saperlo anche le altre, mentre io non ero un granché, allora un pensiero si insinuò nella mia testa: e lui cosa ci avrebbe guadagnato?
Spinta dalla curiosità, spostai i miei occhioni azzurri in direzione di Eric. Era arrabbiato e si vedeva dagli sguardi torvi che mandava in direzione di Brian mentre sul mio viso si stampava un sorriso beffardo perché avevo vinto l’ennesima battaglia contro Eric, Brian però, riprese a parlare.
-Sai Sheena ti ho osservato parecchio in questi giorni. Sei una ragazza che sa quello che vuole ma che non lo sa veramente, non so se mi spiego.- aggiunse guardandomi con i suoi occhi nocciola. Sapevo a cosa si riferisse ed aveva perfettamente ragione. Per tutta la vita, mio padre e mio fratello Trav avevano preso le decisioni al posto mio e questo mi stava bene. Fino a quando non ho compiuto 16 anni ed essere entrata negli intrepidi mi ha cambiato, anche se i giorni passati qui, sono appena tre, io sento di essere stata una vecchia fenice che è bruciata e che dalle sue ceneri ne è nata un’altra, una diversa dalla precedente. Una più sicura di se e che non ha paura nemmeno di affrontare gli sguardi indagatori delle persone, anche perché nella sua vita ha conosciuto cosa vuol dire cattiveria e paura. 
-Si, so cosa vuoi dire ed hai pienamente ragione. Comunque, tu cosa ci guadagneresti?-
-Beh, la vedi quella ragazza nel gruppo degli iniziati interni?- mi disse spostando lo sguardo su una ragazza dai capelli verdi, coperta di tatuaggi sulle braccia e di piercing sul lobo dell’orecchio , anche se aveva tutta quella ferraglia, riusciva  lo stesso ad essere una ragazza carina con grandi occhi azzurri.
-Beh sì e con questo?-
-Mi piace davvero tanto. Gli ho anche parlato, ma lei sembra non provare interesse per me. Mi reputa solo un insignificante trasfazione Erudito.- rispose con un’espressione triste. A quanto pare si era innamorato della persona sbagliata. Così, presa da uno spasmo involontario, mi girai a guardare il viso di Eric, ma di esso nessuna traccia. Cercai più a fondo con lo sguardo dove fosse ma una voce mi precedette.
-Ho saputo che sei caduto come un sacco di patate.- James si avvicinò e mi si accomodò vicino, mentre mi scompigliava i capelli.
-A quanto pare le voci girano in fretta.- dissi indifferente.
-Eh già! E il tuo amico chi è?-
-Ah Brian ti presento James, il mio migliore amico, James lui invece è Brian, il mio finto fidanzato.- feci le dovute presentazioni e James, fortunatamente non aggiunse niente, amavo quel ragazzo non avevamo bisogno di parole perché bastava uno sguardo per capirci.
-Capisco! Beh mi dispiace lasciarti, ma devo andare con gli altri.-  si alzò e prima di andarsene  mi lasciò un bacio sulla guancia, nel frattempo decisi che sarei andata in camera prima di ritornare in palestra.
-Okay Brian, ti lascio ai tuoi pensieri filosofici da Erudito.- dissi rompendo il silenzio che si era venuto a creare.
-Comunque lei, Alicia, prova una certa avversione per te. Ti reputa più forte di quello che sembri e ti odia per questo. Crede, che con il tuo modo di fare, riuscirai a far abbassare la guardia a tutti in modo tale da essere poi la prima nella classifica. Io glielo detto che tu non sei così meschina, ma lei sembra radicata nelle sue idee- ero rimasta senza parole.  Qualcun altro, che non ero io, mi reputava forte. Non so se questa cosa mi facesse più piacere o mi spaventasse.  Portai lo sguardo al tavolo degli interni, la ragazza Alicia mi stava guardando. Così senza pensarci su, posai le mie labbra su quelle di Brian. Lui rimase sorpreso ma poi capì e mi ringraziò con gli occhi. Così, sotto lo sguardo torvo di Alicia, mi allontanai dalla sala. Ero diretta allo strapiombo, dovevo mettere in ordine  la miriade di pensieri aggrovigliati nella mia testa.
-Allora little warrior, dicono che sei caduta per terra come un sacco di patate, ma a quanto pare a te non importa perché ti divertivi sbaciucchiandoti con il tuo nuovo ragazzo, in mensa.- sentire quella voce mi fece perdere un battito, ma il tono che aveva usato me ne fece perdere addirittura due. Egli non era arrabbiato. Era deluso. Deluso dal mio comportamento, che avesse capito che Brian non era il mio fidanzato? Se è così avrebbe sostenuto con fermezza che fossi una bambina capricciosa e che fa di tutto per ottenere quello che vuole. Ma no, non aveva capito niente, almeno lo speravo.
-Come fanno le voci a girare così velocemente?!? Diamine è successo solo questa mattina!- risposi con tono esasperato portando gli occhi al cielo, più per sviare il discorso sul finto “fidanzato”. Non volevo parlare con lui di Brian, avrebbe sicuramente capito che stavo mentendo e non potevo permettermelo.
-Beh, ti ricordo che sono il supervisore degli allenamenti e come tale, devo sapere tutto quello che succede lì dentro per  raggiungere poi un punteggio finale.- rispose con fermezza lui girandosi a guardarmi . Era rimasto tutto il tempo di spalle a guardare l’acqua dello strapiombo. E non mi aveva degnato di un solo sguardo, tranne forse quando ero arrivata qui. Dopo un lungo silenzio imbarazzante, mi decisi a parlare.
-Come mai sei qui?- mi azzardai a domandare. Forse avevo sbagliato tutto.
Egli sorpreso di quella sciocca domanda si girò a guardarmi. Ridusse gli occhi a due fessure e tornò a guardare il torrente sotto lo strapiombo.
-Cosa ti fa pensare di avere il diritto di parlare con me e di fare domande? Io ragazzina sono un Capofazione, non uno qualunque dei tuoi amichetti.- mi urlò contro . Avevo decisamente sbagliato approccio con lui, dovevo solo limitarmi a fare tutto quello che diceva lui. Almeno questo è quello che tutti si aspettavano da un iniziato qualunque. Ma, mi resi conto solo quella sera,  che io non ero come quelli. Io ero diversa. Ero più forte ma non fisicamente, intendiamoci, ma psicologicamente. Insomma sapevo quale era la vera cattiveria di una persona, e anche se non l’avrebbe mai ammesso, Eric era tutto fuorché una persona cattiva. Era solo freddo e distaccato con tutti. Questo era dovuto a quella invisibile ma impenetrabile corazza di acciaio che si era creata con gli anni. Ed io, la conoscevo molto bene.
-Okay.- gli risposi quasi sussurrando. Se Eric voleva quello, io gli avrei dato quello.
-Ti lascio solo allora. Perso nei tuoi problemi.- feci per andarmene ma lui mi prese il polso e avvicinando la sua bocca al mio orecchio sussurrandomi:
-Attenta Little Warrior a quello che fai. Un giorno potresti pentirtene.- e mi lasciò andare. Non mi intimoriva, e lui sembrava saperlo benissimo. Era forse questo quello che gli dava più fastidio: io non avevo paura di lui quando lo guardavo, perché gli puntavo i miei occhi nei suoi. Io non avevo paura di lui per i suoi modi di fare brutali. Mentre gli altri si. Diciamo pure, che nessuno aveva il coraggio di guardarlo negli occhi per più di un secondo, tranne forse Quattro o Tris.
Così me ne andai. Mentre camminavo per tornare in palestra mi accorsi che mi stava guardando ed un sorriso beffardo si dipinse sul mio viso. Stavo vincendo una per una le mie battaglie. In qualche modo Eric era interessato a me, ma sapevo anche che non nel modo in cui speravo. Insomma ero l’unica iniziata che gli aveva urlato contro. Forse, avevo destato il suo interesse.
                                                                                             
***
La seconda giornata di allenamento si era conclusa con il lancio dei coltelli e devo dire che sono andata abbastanza bene. D’altronde quando ero tra i pacifici mi divertivo a lanciare le freccette centrando quasi sempre il bersaglio. La cena, anche quella è trascorsa tranquillamente e adesso sfinita, sono sdraiata sul mio letto con Brian, che mi fa dei grattini sul collo.
-Ragazzi ho avuto un idea brillante.- Helena arriva correndo all’interno della stanza rompendo il silenzio.
-Spara!- dico con finto entusiasmo. Me li immaginavo diversi gli Abneganti.
-Sono scesa al pozzo e mentre mi guardavo intorno trovando Ian, ho notato il negozio di tatuaggi.-
-Quindi vorresti fare un tatuaggio?- proruppe Brian.
-Siiiiiiii!- rispose lei urlando e saltando.
Io e Brian ci guardammo in faccia e dicemmo all'unisono –Perché no! Non sembra una cattiva idea.-
Così 10 minuti dopo eravamo tutti e 4 nel negozio di tatuaggi a sceglierne uno. Riconobbi anche la ragazza del test, Tori.
Brian decise di fare uno teschio colorato sul bicipite destro, Helena una farfalla rossa sulla spalla sinistra, Ian il simbolo degli intrepidi mentre io decisi di farne due. 
Il primo che feci, fu una fenice con ali formate da note musicali, sul fianco sinistro. La fenice voleva dire rinascita ed io speravo di poterla avere, almeno qui dove nessuno conosceva la mia storia. La storia della povera pacifica a cui due uomini brutali avevano rubato con violenza la sua verginità. Si, avevo subito una violenza sessuale quando avevo 10 anni. Ma nello scontro morì mia madre. Così mentre guardavo il suo corpo sanguinante e senza vita, quello stronzo, oh meglio quei stronzi, ne approfittavano. La cosa più dura era cercare di superare l’episodio senza chiudermi in me stessa, ma non ce la feci. Così caddi in depressione finendo col mangiare pane dei pacifici in abbondanza perché divenni scontrosa. Ma con l’aiuto di mio fratello Travis e di mio padre, dopo 5 lunghissimi anni ne uscii. Fu dura ma ce la feci, insomma “disperata, ma non senza speranza”.  Mentre il secondo fu proprio la frase  “Desperate but not hopeless” sulla clavicola.
Ero decisamente soddisfatta dei miei tatuaggi e anche se la pelle bruciava non mi importava.
Andammo al pozzo e appena scorsi la figura di James gli corsi incontro, ma qualcosa andò storto perché la Rossa-mi-faccio-Eric-e-tu-no, mi  sbarrò prepotentemente la strada.
-Uh, ma come siamo trasgressivi, un tatuaggio verginella?- e scoppiò a ridere. Non ne potevo più di lei, ero stufa,  così feci la prima cosa che mi venne in mente. Gli diedi un pugno dritto in faccia, sul naso per essere precisi. In un attimo calò il silenzio intorno a noi.
-Smettila di chiamarmi verginella okay?!? Scusami se tengo alla mia dignità! E soprattutto lasciami stare io non ti ho fatto niente!- urlai così forte che le corde vocali mi facevano male mentre la faccia mi divenne rossa come un semaforo.
-E invece una cosa l’hai fatta. Da quanto Eric ti ha conosciuta non fa altro che ripetere il tuo nome mentre…-
-Non continuare ti prego, non voglio sapere altro va bene? Tu ed Eric potete cozzare come furetti quanto vi pare perché a me non interessa.- ed invece mi interessava e come. Mi faceva male al solo pensiero che lui si concedeva ad un’altra. Ma dall’altra sentivo un certo orgoglio nascere nel petto perché Eric, involontariamente, mi pensava. Poteva sembrare la cosa più squallida e incosciente del mondo, eppure era così. 
-Non prendermi in giro stronzetta. Ti lascerò stare solo nel momento in cui tu lascerai stare Eric. Ti è chiaro?- rispose la Rossa indicandomi con l’indice.
Così mi avvicinai lentamente alla rossa ritrovandomi davanti alla sua faccia. Lei nel frattempo aveva posato le sue mani sui fianchi.
-Mai!- detto questo girai i tacchi e me ne andai. Il tempo di allontanarmi dal pozzo ed incamminarmi per il corridoio che conduceva al dormitorio che mi sentii tirare da un polso. Qualcuno mi aveva portato in un vicolo mal illuminato dove intravedevo una figura che aveva un gilet di pelle e dei capelli biondi, portati indietro con il gel (tipico degli Erudito) ma rasati ai lati. Un profumo intenso di dopobarba e Jack Daniel’s mi invase. Eric.
Mi ritrovai il suo torace spalmato sul mio, mentre la mia schiena era appoggiata alla parete rocciosa.
-Sheena adesso mi ascolti per un secondo senza parlare. Va bene?- mi chiesi e io gli feci si con la testa.
-Tu sei una ragazza davvero pazza, invadente e strana. Ma sei anche molto forte. E mi piaci per questo, sei forte ma non sai di esserlo. – oddio anche lui con questa storia?!? Ero così prevedibile? A quanto pare si!
-Smettila di dire queste cazzate. Lo hai detto tu no? Tu sei il mio capofazione e io devo solo fare quello che tu mi dici. E lasciami andare, avrai di meglio da fare che stare con me giusto?- dissi guardandolo dritto negli occhi.
-Tipo cosa Sheena?-
-Cozzare con Taylor.- risposi digrignando i denti e cercando di togliermelo di dosso. Anche se a quanto pare era molto dura. Perché lui era più forte e me lo impediva.
-Vorresti farlo tu invece non è vero?- quando mi disse quelle parole mi fermai di colpo arrossendo.
-Non dire cavolate!- risposi.
-Andiamo  Sheena, siamo solo io e te, non ci sono nemmeno le telecamere, puoi dirmelo.- rispose scoppiando a ridere. Stupido uomo subdolo che non era altro!
-E tu invece Eric? Oppure scegli solo quelle che hanno un certo abbigliamento?- risposi con una noto di orgoglio nella mia voce.
-Io ti desidero e tu non puoi nemmeno immaginare quanto. Forse sarà la  aria da svampita che ti segue come un'ombra. Ma se dovessi scegliere tra te e Caroline, sai bene che sceglierei sempre lei. Tu sei ancora troppo infantile ed inesperte per uno come me. Ti manca quel qualcosa per essere donna con la d maiuscola. – disse infine toccandomi una ciocca di capelli.
-Vai al diavolo!- Gli urlai mentre ero riuscita finalmente a spostarlo, o forse perchè lui aveva voluto così.
Esco dal vicolo tornando in camera mentre le sue risa rimbombano nella mia mente. 
Entrai in camera come una furia ed andai dritta in bagno, chiusi la porta a chiave e mi posizionai davanti allo specchio.  Cosa mi mancava? Cosa non andava in me?  Che cosa aveva Caroline o Taylor che io non avevo? Tante cose Sheena. Troppe cose.
Ero stanca di essere considerata la solita svampita di turno, ero stanca di non essere considerata da nessuno ed ero stanca di litigare con Eric e non essere all’altezza per lui. Lacrime copiose ormai sgorgavano dai miei occhi che stavano diventando rossi. Ero stanca di tutto e tutti. Dell’ipocrisia delle persone e della loro cattiveria. Dell’impotenza che attanagliava il mio corpo e dell’impossibilità di essere amata dall’unica persona che desideravo con tutta me stessa. Sì, finalmente lo avevo ammesso a me stessa: io amavo Eric, ma il nostro, il mio, era uno di quegli amori impossibili. Così, mi ritrovai a scivolare sul gelido pavimento a piangere come non avevo fatto mai in vita mia. In fondo era l’unica cosa che sapevo  fare: piangere.


Sapzio Autrice
Ciao a tutti miei cari lettori. Allora, innanzitutto volevo scusarmi per il ritardo, la scuola mi sta letteralmente uccidendo. 
Volevo ringraziare tutte le persone che allo scorso capitolo mi hanno recensito, davvero grazie è bellissimo leggere cosa pensate della mia storia, mi rendete orglogliosa.
Allora nel capitolo è presente quelle che è la stroria di Sheena inoltre volevo dire che la frase "Desperate but not hopless" è una frase di una canzone dei miai amati Green Day. Giusto per dire che non è uscita dalla mia mente bacata e confusionaria. 
Detto questo vi lascio alla prossima e mi raccomando recensite se potete.
Vi mando tanti baci. <3

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***



Capitolo 6.



I giorni passarono e così si concluse anche il primo modulo. Fui quarta nella classifica mentre il primo fu proprio Brian. Non fummo sorpresi di questo, anzi lo sapevamo tutti fin dall’inizio, dal primo momento in cui Brian, aveva lanciato il primo coltello e sparato la prima cartuccia.
La sorpresa più grande, fu vedere al secondo posto Helena. Insomma era passata dall’essere una ragazza riservata e tranquilla, all’essere una macchina da guerra.
Spirito di adattamento, pensai.
Quanto a me, beh che dire, la posizione era favorevole ed una delle migliori. Volevo solo passare quest’iniziazione senza essere cacciata, in fin dei conti mi piaceva stare lì con i miei amici.
 Il rapporto con Eric, se così poteva definirsi, si era freddato. Lui non mi guardava nemmeno di sfuggita ma solo se costretto. Io invece facevo di tutto per evitarlo ma spesso mi ritrovavo a cercarlo. Non ci parlavamo più e non ci punzecchiavamo più a vicenda. Questo ovviamente mi faceva male, ma dovevo tenere duro e cercare di dimenticarlo. In fin dei conti era solo una settimana che lo conoscevo, però dentro di me sentivo di conoscerlo da una vita. Forse c'entrava il fatto che quell’amore, il mio amore per la precisione, era sbocciato così precocemenet, dettato forse dall'immaturità e si stava spegnendo altrettanto velocemente, ma certo  non per mio volere.
La cosa che per più mi ha ferito, è stato un episodio accaduto una sera. Stavo passando davanti la porta del suo dormitorio personlae quando lo vidi uscire in compagnia della rossa mentre si aggiustava la patta dei pantaloni. Avrei tanto voluta sparire nel lato più oscuro della luna, se solo ne esistesse uno, e restare lì per sempre. Invece dovevo fare i conti con la dura realtà, così senza che niente fosse, a testa bassa gli passai davanti.  Notai che mi guardò per la prima volta in tutti quei giorni trascorsi, ma quando entrai in sala pranzo, non solo non mi rivolse nemmeno uno sguardo ma rideva allegramente con gli altri capifazione. Era assurdo quanto potesse essere così ipocrita e lunatico. In quel momento, dopo essere stati svegliati bruscamente nel cuore della notte da Eric e Quattro, ci trovavamo tutti nel vagone del treno mentre andavamo in una destinazione a noi sconosciuta, ma che dal sorrisetto di Eric, non doveva trattarsi di niente di buono. Ci attendeva forse una nottata orribile? A quanto pareva si. Intanto il secondo modulo era cominciato e Quattro, con la sua severità e la sua calma che lo contraddistingueva, ci stava allenando per i combattimenti corpo a corpo. Devo dire che in quel campo non ero affatto male, forse centrava il fatto della mia rabbia repressa.
In quel momento mi ero isolata dagli altri e guardando quel placido e silenzio paesaggio notturno di Chicago, nuotavo nei pensieri che annebbiavano la mia mente. L’atmosfera del vagone era invece accompagnata dal flebile chiacchiericcio dei suoi abitanti e dal rumore del vento.
Mi piace stare affacciata al  finestrino mentre il vento, prepotente si diverte a sfrecciarmi in viso. Mi fa sentire leggera.. Quanto mi piacerebbe essere un Aquila. Così possente ma così leggiadra allo stesso tempo.  Forse mi sarei risparmiata parecchi dolori. Invece eccomi qui, Sheena la ragazza stramba, rotta e piena di ammaccature che ha deciso di cambiare fazione ma che resterà qui ancora per poco, tanto quanto vuoi che duri una Fricchettona? È questo quello che sento di me uscire dalle bocche degli altri. Forse hanno ragione, o forse parlano solo perché hanno paura.  Mi piace pensare che sia quella la ragione: la paura. Ma in fin dei conti non è la paura a farci agire? Almeno per me è così. Almeno dopo quella notte di sei anni fa quando la mia di vita e quella di mio padre e Travis cambiò, la paura e il dolore ci fecero agire.
Al pensiero di mio fratello Travis mi si forma un nodo allo stomaco. Il mio fratellino Trav. Tempo fa promisi a me stessa di non pensare più a lui, ma come si fa a non pensare alla persona che hai considerato tutto il tuo mondo quando esso era crollato?  Travis, che con uno dei suoi meravigliosi sorrisi, riuscivano a cambiarti la giornata. Ecco quando sono triste penso ad uno dei suoi sorrisi e mi sento meglio. Come in questo momento, dove la malinconia ha preso il sopravvento della realtà, io mi ritrovo a pensare a lui e a sorridere involontariamente.
-Perché sorridi?- mi chiede una voce alla mie spalle.
Mi giro e mi ritrovo gli occhi nocciola di Brian che mi scrutano curiosi.
-Pensavo a Travis, e alla sua visone del mondo da persona ottimista e sognatore.- dico tornando a guardare fuori dal finestrino.
-E' tuo fratello?- mi chiede.
-Gemello per la precisione.- rispondo mordendomi il labbro per non piangere, non posso farmi vedere vulnerabile, almeno non qui. Ero circondata da pantere assetate di sangue.
-Anche io ho lasciato una sorella di 9 anni a casa. Olivia. Credo che diventerà una pacifica.- mi dice senza che io gli chieda niente. Tra me e Brian è sempre così, non so come ma risponde sempre alla mie domande silenziose.
-E cosa te lo fa pensare?- gli chiedo girandomi definitivamente verso di lui dando le spalle al paesaggio.
-Beh è un po’ come te: sempre sorridente, maldestra e bugiarda.- mi risponde facendomi l’occhiolino.
-Poverina allora. Insomma nemmeno io vorrei essere me.- dico guardando i miei anfibi neri.
-Io considero più poverini quelli come Billie che ne hanno prese molte da una ragazza in gamba e forte, proprio come te.- mi risponde portando gli avambracci sul davanzale del finestrino e sorridendomi.
Mi giro verso Billie e mi accorgo che gli è rimasto solo una cicatrice sul naso protetta da un cerotto. Non mi sono mai sentita così in colpa in vita mia. Povero Billie, in fin dei conti era gentile con me. Era, perché adesso ha paura anche se intenzionalmente lo guardo.  E non mi parla neanche più.
-Già.- rispondo voltandomi verso il finestrino.  
Brian non aggiunge più niente e rimaniamo a guardare il panorama sfrecciare sotto i nostri nasi.
-Ascoltatemi tutti. Se stasera siete qui, un motivo c’è, e questo motivo viene chiamato Ruba bandiera. Le regole sono facili. Io e Quattro formeremo delle squadre, due per la precisione, e una di queste rimarrà sul treno per dare tempo all’altra di nascondere la sua bandiera. Poi sarà il turno dell’altra. Beh vince chi prende per primo la bandiera della squadra avversaria. È tutto chiaro?
Improvvisamente la voce dura di Eric mi ridestò dal mondo immaginario in cui ero caduta. Ecco svelato l'arcano. Un gioco, tutto questo per un gioco. MI giro per guardare gli altri e li vedo fare un cenno di assenso con la testa mentre lui, subito dopo aggiunge un “buona fortuna e che vinca il migliore”. Ovviamente tutti sappiamo che con “migliore” non si riferiva affatto a Quattro ma a se stesso.
POichè sono una persona che non riesc a stare zitta e buona, faccio una domanda. Lo so questo lato del mio carattere è davvero spigoloso.
-Quindi questa sera siamo stati svegliati per un gioco?
Eric che prima non mi guardava, ora si stava avvicinando a me. Lo avevo fatto di proposito, lo ammetto. Sapevo che facendolo lui si sarebbe arrabbiato, o meglio infastidito, e si sarebbe avvicinato per intimorirmi. E ancora una volta, l'avrei beffeggiato davanti a tutti.
-Ascoltami ragazzina, non so sei hai capito che questo gioco, come lo definisci tu, ti porterà dei punti. Vuoi rimanere qui o vuoi fare la stracciona sotto i ponti?- mi disse con un tono tutt’altro che pacato.
-No, voglio rimanere qui!-risposi di rimando  usando un tono piuttosto alto e che non mi apparteneva.
Eric sembrava sorpreso del mio tono. Così riducendo gli occhi a due fessure , si allontana da me tornando alla sua postazione di prima.
-Quattro, ti do l’onore di cominciare.- continua dopo un po', cambiando discorso.
-Con piacere Eric. Allora vediamo chi abbiamo qui (fa vagare lo sguardo su tutto il vagone e poi i suoi occhi si fermano su Helena) Helena.- dice e la raazza si alza e si avvicina a lui.
-Brian.- dice Eric con una sfumatura di fastidio, nel tono usato. 
Dopo qualche minuto, mi accorgo che resto io ed un altro ragazzo interno. È bello sapere che nessuno vuole nella sua squadra Sheena. Proprio gratificante.
-Troy.- Quattro sceglie il mio compagno-appestato. Questo vuol dire che io sto con Eric. Spero di avere abbastanza energie per affrontare questa che sarà una lunga ed estenuate nottata.
-Devo proprio?- Eric questa volta si rivolge alla bionda Caroline, sempre bella con quelle gambe lunghe e bianche.
-Si è il regolamento.- risponde lei visibilmente divertita.
 Dannazione possibile che nessuno veda quello che vede Brian! Borbottando tra me e me, mi alzo e gli vado vicino.
-Allora Quattro se non ti dispiace tocca a me scendere per primo.- dice Eric che negli occhi gli si è già accesa la scintilla della sfida/vendetta.


Sheena se sbagli o combini casini come al tuo solito, sei fottuta!

Mi ricorda prontamente la mia coscienza.
-Con piacere Eric.- gli risponde Quattro che con un sorrisetto apre la porta del treno.
Il primo a lanciarsi e proprio lui, poi Brian, Billie, altri ragazzi ed infine io.
-Sheena vedi di non farci perdere tempo e muoviti.- mi ringhia contro non appena metto piede sul terreno.
-Okay non sono mica una tartaruga. Sono abbastanza veloce.- gli rispondo mentre lui esasperato si porta una mano sulla fronte.
-Comunque sia, idee su dove nascondere la bandiera?- ci domanda o meglio, domanda a tutti tranne che a me. Esasperante.
Nella noia, decido di guardarmi intorno.
Il posto in cui siamo è sommerso da container neri, vecchi palazzi diroccati, di nuovo vecchi palazzi ed infine una grande ruota panoramica che spicca maestosa al centro. La mia ruota panoramica. Mossa da un ondata di nostalgia mi avvicino piano ad essa. Macino passi e polvere fino a quando non arrivo nelle vicinanze della ruota. Mi guardo intorno e noto che nessuno si è accorto della mia assenza, così con una scrollata di spalle, decido di continuare la perlustrazione della zona.
 Improvvisamente mentre i mei occhi si saziano famelici della visione del paesaggio nero, una lampadina si accese nella mia piccola mente malata. Ma cert, perché non ci avevo pensato prima?!. Se mettessimo la bandiera su, in alto, nessuno penserebbe mai che sia stata nascosta lì, sotto gli occhi di tutti e per di più, su di una ruota panoramica che di certo non passa in osservata. Ma il problema era: come fare a farsi ascoltare da Eric? Insomma lui non mi aveva scelto, lui era stato obbligato a scegliermi.
Così ritorno dal gruppo che pare essersi spostato.
-Sheena, siamo qui.- mi dice Brian sotto voce.
-Okay. La bandiera dov’è?- chiedo.
-Eric la sta portando alla casa diroccata sulla destra.- mi risponde titubante. A quanto pare non era l’unico a pensare che quel piano, facesse acqua su tutte le parti. 
-Penso che ci faremo prendere subito. Andiamo...una casa diroccata? E a chi è venuta questa brillante idea?- dico gesticolando.
-A me. Qualche problema ragazzina?- a rispondere è l’ultima persona che avrei voluto sentire. La bionda Caroline. E d’altronde sapevamo anche il motivo per cui Eric avesse accettato.
-Si.- rispondo guardandola dritta negli occhi. Se pensava che mi facesse paura, si sbagliava di grosso.
-Interessante , e sentiamo tu dove l’avresti messa?- mi risponde incrociando le braccia al petto. Era la mia occasione, perché con Caroline, a differenza di Eric, si poteva parlare. Diciamo che la bionda era più democratica.
-Vedi quella ruota panoramica?- gli dico indicando con il dito la ruota. Non ricevendo nessuna rispota allora mi sentii in dovere di continuare.
-Beh, se noi la mettessimo in alto, nessuno potrebbe pensare che si trovi lì. Perché è un posto scoperto e in evidenza, rispetto alla casa diroccata.- continuo tutto d’un fiato. La bionda sembra rifletterci e poi annuisce.
-Sembra una buona idea.- mi dice.
E così ci ritroviamo tutti e tre a raggiungere Eric. Mentre camminiamo per raggiungere la casa, mi accorgo che il quarterie mi sembra familiare. È lo stesso quartiere protagonista dei miei incubi peggiori. Così mi fermo di colpo, mentre la mia mente trona a sei anni prima. Sbarro gli occhi, e quello che sento è solo il battito del mio cuore accelerare e le urla disperate di mia madre rimbalzare nella mia testa. No, non può essere proprio quel luogo, mi dico.

Andiamo Sheena non vedi che è buoi?

E aggiungo.
Ma non serve a niente perché sento già gli occhi pizzicare.
-Sheena stai beni?- fortunatamente Brian mi riporta alla realtà.  Faccio si con la testa e continuiamo a camminare. Per un attimo stavo lasciando che il mio passato si impossessasse di me e che tornasse a galla, mostrando la propria faccia a tutti i presenti che facevano ormai parte della mia nuova vita.
Quando arriviamo alla casa vediamo Eric fare avanti ed indietro, facendo venire il mal di testa a tutti. Poi, si ferma e mi guarda dritto negli occhi. Con uno sguardo per niente pacato, ma furioso.
-Posso spiegarti tutto, ma adesso non abbiamo tempo.- lo anticipai proteggendomi il viso con le braccia. Quando si trattava di Eric niente era sicuro.
-Tempo per cosa?- mi chiede.
-Tempo per spostare la bandiera da qui a lì.- dissi indicando prima la casa e poi la ruota.
Lui dapprima mi guardò strano, ma poi si convinse, come se avesse capito tutto. E per la prima volta io ed Eric ci trovavamo d'accorso su qualcosa. Insomma, rispetto alla prima volta che ci siamo visti, le cose stavano cambiando, speravo di non sbagliarmi.
Cominciammo a correre e arrivammo alla ruota. Lì si aprì un dibattito su chi fosse il più idoneo a salire. Nessuno però, si rendeva conto che non avevamo molto tempo, i 20 minuti stavano per scadere. Così senza pensarci su un secondo di più, sfilai dal braccio di Eric la bandiera, e cominciai salire sotto lo sguardo sbigottito di tutti. Quando arrivai a metà della salita mi accorsi che qualcuno mi stava dietro. Guardai chi fosse questui e mi accorsi con enorme sorpresa che era Eric.
-Che fai mi segui, signor Occhi di Ghiaccio?- gli domandai mentre continuavo a salire i pioli della ruota.
-Voglio evitare che ti spiaccichi sul terreno.- mi rispose sorridendo. Stava sorridendo e non si era arrabbiato.
-Comunque come mi hai chiamato?- domandò divertito.
-SIAMO ARRIVATI! PENSO CHE QUI ANDRÀ BENE. TE CHE NE DICI?- comincia ad urlare per non mostrare il mio imbarazzo.
-Si va bene. Sei proprio strana Sheena.- mi risponde lui ridendo. Era la prima volta che lo vedevo ridere per questioni che non fossero disgrazie degli altri.
-Lo so, me lo diceva sempre anche mio fratello.- risposi sedendomi sullo spiazzo di metallo al centro della ruota, mentre Eric faceva lo stesso. La vicinanza con lui mi destabilizzava ma mi piaceva. Ed ero sempre più convinta dei miei sentimenti verso di lui. Insomma, in 16 anni mi era piaciuto solo un ragazzo, intrepido, che frequentava la mia stessa classe. Ed era un tipo misterioso, con piercing e tatuaggi, ma la sua particolarità, o la cosa che più mi piaceva, era il suo modo di fare. Egli era sicuro di se, arrogante  e aveva degli occhi color ghiaccio che ti leggevano dentro. Riflettendoci, era uguale ad Eric. Forse mi sono sempre piaciuti gli amori impossibili e le personalità complesse o forse semplicemente  i cosiddetti “bad boys”.  Fatto sta, che adesso ero sola con lui e si era creata una certa sintonia tra noi. Dopo giorni che non ci sfioravamo nemmeno con lo sguardo, stare lì con lui era una dolce fortuna.
Mentre pensavo a tutto questo non mi accorsi che lo stavo fissando.
Questa cosa però, non passò di certo inosservato ai suoi occhi.
-Non farlo.- interruppe bruscamente quel piacevole silenzio che si era creato.
-Fare cosa?- chiesi. Non riuscivo a capire a cosa alludesse.
-Guardarmi, cercare la mia attenzione, innamorarti.- disse l’ultima parole girandosi a guardarmi. Mi correggo,  non mi stava guardando , lui mi stava penetrando. Quelle lastre mi scrutavano avare, e distruggevano ogni cellula del mio corpo, cominciando proprio dagli occhi.
-Non preoccuparti ho recepito il messaggio. Ma lascia che ti dica una cosa. Eric non sono una bambina, situazione analoghe mi hanno fatto crescere prima del previsto. Inoltre non sei l’unica persona che deve essere aggiustata…. Tu non puoi nemmeno immaginare quanto io sia a pezzi. Sono come un puzzle vecchio che deve essere ricostruito e sostituito con pezzi nuovi. E se un giorno, dico un giorno lontano anni luce, dovessi provare qualcosa per te, farei di tutto per conquistarti.
 Sarai mio, un giorno, lo sarai caro Eric. Aggiunsi nella mia mente. Per tutto il tempo in cui dissi quelle parole lui non mi guardò, o meglio lo fece per i primi secondi, ma poi tornò a guardare l’orizzonte.
-Okay. Un giorno, forse lontano anni luce, mi dirai la tua storia, little warrior.- mi rispose di rimando sorridendomi. Io feci lo stesso.
-Stanno arrivando, cerca di non farti vedere, Triss è molto più astuta di Quattro.- disse e cominciò a scendere.
-Okay.- risposi in un sussurro. Lui si bloccò di colpo.
-Per la storia della tua “vita spezzata” o per il gioco?- chiese con un sorriso beffardo sul viso.
-Entrambe.- dissi avvicinando il mio viso al suo. D’un tratto fui catturata dai suoi occhi che per una volta non erano agghiaccianti, ma erano di un blu limpido, quasi cristallino. In quel momento sentivo che Eric si fidava di me, e provava una certa ammirazione per me. Il cuore cominciò a battere più forte e le mani a sudare. Così mi ritrassi dalla posizione precedentemente presa e tornai a fare la guardia alla bandiera. Eric però non si mosse anzi rimase li fermo a fissarmi. Poi d’un tratto salì nuovamente i pioli della ruota e si inginocchiò vicino al mio viso.
-Sai che c’è Sheena. Ti odio perché riesci a disarmarmi, perché quando ti guardo sento come un senso di protezione invadere tutto il mio corpo. E poi sei stata l’unica ragazza a tenermi testa fin dal primo giorno, perché tu non mi giudichi come fanno gli altri, perché sei sempre così solare e piena di amici, e ti invidio per questo. Ma Sheena io non so amare. Non ho la più pallida idea di come si faccia. Per ciò ti chiedo di non innamorati di me. Io ti distruggerei solamente. Io distruggo tutto quello che tocco, tutto quello che mi sta intorno. E tu non te lo meriteresti.
Senza preavviso mi bacia.
Mi sentivo come ad un bambino a cui hanno regalato il giochino da lui tanto desiderato. Ero estasiata, esaltata e eccitata. Era proprio come me lo era immaginata. Labbra morbide e piene, mentre la braba ispida, mi solleticava timidamente le guance.
Il contatto con le sue labbra calde mi provocano una serie di brividi lungo la schiena. Il bacio da prima è casto ma poi diventa passionale. E mi ritrovo appesa alla sua maglia mentre lui fa scivolare le sue mani sulla mia schiena.  Improvvisamente si stacca e senza dire niente o darmi il tempo di dire qualcosa, comincia a riscendere i pioli della ruota. Avrei voluto urlargli che io sono già distrutta e che gli avrei insegnato ad amare, ma non ne ebbi il tempo o forse mi macò il coraggio.
 

Eric

Ero impazzito lo so. Ma desideravo da tanto assaporare le sue piccole labbra rosee. Quella ragazza mi avrebbe portato fuori strada, lo sapevo. Ma io non potevo permettermelo. Ed adesso era lì, ferma su quella ruota a guardarmi scendere con uno sguardo assente, come se la mente già avesse cambiato pagina e stesse riscrivendo da capo la storia.
Quando arrivai giù, mi accorsi dai rumori, che la battaglia era appena cominciata. Così decisi di fare da guardiano del faro, il faro era ovviamente la ruota. Rimasi lì, in silenzio con il fucile spianato ad aspettare che si facesse vivo qualcuno e poi improvvisamente vidi  un ombra avvicinarsi. Mi sistemai meglio il fucile ma non dovetti sparare perché mi accorsi che era semplicemente Brian. Anche se avrei volentieri voluto ucciderlo. Lo odiavo ma non ne sapevo il motivo. Lo trovavo viscido, spocchioso e arrogante. Delle volte mi domandavo cosa ci trovasse Sheena in lui.
 Smettila di pensare a lei Eric, mi rimproverai mentalmente da solo. Dovevo darci un taglio, quella ragazzina avrebbe portato solo guai. Guai che avrei voluto abbracciare, baciare e fare altro. Stavo decisamente andando contro i miei principi:

 1.usare le ragazze solo per una cosa: il sesso. Ovviamente mai sul letto dove dormi, ma sempre sul divano.
2.mai farlo con una iniziata, o se proprio ti piace e la desideri ardentemente , sedurla dopo l’iniziazione.
3.mai innamorarsi. Se poi si tratta di un iniziata è ancora peggio.

-Sappiamo dove hanno nascosto la bandiera.- mi dice con indifferenza.
-Beh allora cosa aspettate?- rispondo in tono brusco.
-Taylor non riesce a tenere a bada gli iniziati.- risponde semplicemente.
-Okay arrivo. Fai da guardia alla ruota. Dove sono?- chiedo.
-Vicino la torre.- mi risponde mentre prende il mio posto.
***
                                                                                              

Dopo un estenuante battaglia, riuscimmo a prendere la bandiera e a vincere. Il viaggio di ritorno sul treno fu il più lungo  e più estenuante che feci. Vedere Sheena che scherzava e prendeva in giro bonariamente James mi infastidiva. Odiavo quando era felice, perché voleva dire che non lo era per me. Che la sua felicità era di qualcun altro o peggio, per qualcun'altro che non fossi io.
E senza pensarci due volte chiesi a Taylor se potevamo spassarcela. Lei ovviamente accettò.
Così adesso eravamo nella mia camera, entrambi nudi e sdraiati sul mio divano.  Ma non servì poi a molto. Non riuscii ad avere alcun rapporto sessuale con Taylor che indignata si rivestì ed andò a scaldare il letto di qualcun altro. In quel momento non me ne fregava un cazzo. Ormai il mio pensiero fisso era diventata quella ragazza stramba: Sheena.  Solo e sempre lei. Avrei tanto voluto lei sotto di me, ma a quanto pare questo non era possibile. Si vedeva lontano un miglio che avrebbe fatto quel passo solo quando avrebbe sentito un nodo allo stomaco e le mani tremare, fino ad allora, era per me offlimits.
Così mi rivestii e andai ad ubriacarmi al pozzo. Bevvi almeno cinque bicchieri di Jack Daniel’s prima di crollare. Di quello che successe poi non ricordavo niente. Ma quando mi svegliai la mattina dopo, ero sdraiato sul letto con solo i boxer. Decisi, con la bocca pesante e impastata dalla saliva, di andare a fare una doccia.
Mentre ero sotto il getto gelato dell’acqua, delle immagini mi trapasso la mente e improvvisamente ricordai tutto.

Spazio Autrice.
Lo so, sono in un ritardo pazzesco ma è sempre il solito motivo. beh se vi è piaciuto il capitolo recensite, ma fatelo anche se non vi è piaciuto.
Ringrazio tutte quelle persone che hanno inserito tra le preferite o le seguite la mia storia, e quelle che recensiscono. vi amo tutte. beh vado di fretta quindi vi saluto e vi auguro un buon weeked.
Rage and Love.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***





Capitolo 7.


Da quando sono qui, ho scoperto molte cose riguardanti i ragazzi. Insomma, si che sono cresciuta con mio fratello, ma non dormivamo insieme e avevamo una nostra privacy, che qui viene a mancare continuamente. Per esempio una delle cose interessante che ho scoperto è che i ragazzi tendono a respirare più rumorosamente, rispetto alle ragazze, mentre dormono.  Per non parlare dei calzini o delle mutande sporche che lasciano in giro, oppure dei discorsi pervertiti che si divertono a fare. Ma per il resto alcuni di loro sono anche sensibili e dei buon confidenti.
Questa sera pare che Morfeo mi abbia abbandonato, così mi sollevo dal letto a castello in cui stavo dormendo e ne approfitto per fare il punto della situazione. Mi guardo in torno e noto che Ian sta dormendo con metà busto lasciato scoperto e con un piede che penzola fuori dal letto a castello, troppo piccolo per la sua altezza. Poi i miei occhi si posano sul letto di Brian che dorme con solo i boxer indosso. Ricordo che la prima sera che dormimmo qui, Brian ci chiese se per noi era un problema se dormisse nudo. Ovviamente per i ragazzi non ce n’era, ma per me ed Helena certo che sì. Così, gli chiedemmo gentilmente di non provarci per nessun motivo al mondo perché non volevamo ritrovarci la mattina ad osserva Brian junior, lui parve divertito ed annuì con un ghigno malefico.
Scesi dal letto silenziosamente, presi dei pantaloni neri d’allenamento e misi le scarpe ai piedi. Sguscia fuori dalla camerata e andai allo strapiombo. Dovevo pensare a quello che era appena successo.
 
6 ore prima…

Brian ci informò che c’era una festa in corso al pozzo per i vincitori del gioco che si era appena concluso ed io essendo una di quelle, che era rimasta per ora su quella ruota a congelarsi, avrei dovuto partecipare e così decisi di fare.
Mi lavai, mi cambia indossando un misero abito nero con la gonna un po’ ampia, recuperai Helena ed andai alla presunta festa.
Quando arrivai la pista da ballo (creata al momento) era piena di gente. Se devo essere sincere io odiavo ballare, anche se era una cosa molto comune tra i pacifici. Helena mi disse che voleva solo prendere qualcosa da bere e trovare un posto appartato, magari nel buoi, e rimanere lì fino alla fine della festa. La cosa mi entusiasmava parecchio così annui. Quando ci avvicinammo al tavolo delle bibite quello che trovammo era solo alcol, alcol e ancora alcol. Perfetto, pensai. Non solo mi stavo annoiando dato che odiavo le feste, ma non c’era niente lì, per cui valesse la pena restare. Così sbuffai e dissi alla mora che stavo per rientrare in stanza e aggiunsi poi, che ero davvero stanca. Andiamo ero rimasta per due ore su una ruota ad aspettare il mio momento, momento però che non arrivò mai, quindi non ero per niente stanca. Ma alla mora questo parve non interessare e decise così di andare a cercare Ian. Il mio sesto senso diceva che tra quei due un giorno sarebbe nato qualcosa, ed io ci speravo almeno loro sarebbero stati felici. Dal canto mio invece, avevo scelto l’unico uomo impossibile esistente sulla faccia della terra o almeno per l’intera fazione.
 Così, mi allontanai ma venni catturata da qualcosa o almeno qualcuno. Notai che su un tavolo nell'angolo più buio del pozzo c’era un uomo con una bottiglia di Jack Daniel’s in una mano e con il viso completamente sbattuto sul tavolino. Non mi ci volle molto a capire che era Eric. Un sorriso dipinse il mio pallido viso, era bello poterlo guardare dormire, visto così sembrava un Angelo. Non volevo rovinare quell'atmosfera che si era creata solo nella mia mente e decisi così che quella visione sarebbe potuta restare anche nella sua stanza. Mi avvicinai a lui e gli presi delicatamente un braccio portandolo sul mio collo, lui mugugnò qualcosa e poi aprì i suoi bellissimi occhi color ghiaccio.  Fece una cosa che non mi aspettavo: Eric mi sorrise. Il mio cuore cominciò a battere più forte e le mani a sudare, ma mi rimproverai mentalmente perché questo non era il momento di crollare, dovevo prima portarlo a dormire nella sua camera. E così feci, arrancando per il suo peso arrivai davanti al portone della sua stanza, cercai le chiavi nel suo gilet di pelle e quando le trovai aprii la porta. Quando entrai nella stanza un profumo di dopobarba mi trapasso i polmoni. Cavolo quanto amavo quest’odore, mi ricordava molto mio padre, quando la domenica si sbarbava e ne metteva in abbondanza perché sapeva che la mamma amava quest’odore così acre ma allo stesso tempo fresco. Buttai poco delicatamente Eric sul lettone ed come era prevedibile, cascai su di lui. Era imbarazzante oltre che per la posizione, anche per il suo sorriso sghembo e malizioso. Stava infatti insinuando le sue mani sotto la gonna del vestito ed io istintivamente chiusi gli occhi.
-Wow Sheena se ti ecciti per così poco figurarsi quando qualcuno te la tocca.- mi sussurrò all'orecchio queste parole come un amante fa alla sua amata. Ed io indignata per quello che aveva appena detto, mi alzai su di lui ma caddi dal letto e mi ritrovaii all’altezza delle sue gambe. Beh, chi mi conosceva ormai non faceva più caso alle mie continue e ripetute figuracce, ma questo ovviamente era escluso se queste figure avvenivano davanti agli occhi del ragazzo più sexy della fazione. Mi alzai dal pavimento sistemandomi la gonna. Stavo per andarmene quando Eric mi afferrò un polso ed io mi ritrovai non so come sotto di lui. Il mio viso divenne un semaforo rosso. Mi stava imbarazzando parecchio questa situazione ed io volevo soltanto andarmene. Non potevo concedermi ad una persona che valevo meno di niente ,anche se ci eravamo dati  un bacio appassionato.
-Eric cosa fai?- gli chiesi mentre vedo il ragazzo togliersi la maglietta e rimanendo con i suoi pettorali in bella vista davanti al mio viso.
-Cosa vuoi che faccia Sheena? Mi spoglio. Dovresti farlo anche tu.- mi disse con non calanche.
Cosa?!? Ma per chi mi aveva preso? Io non ero una sciacquetta come quelle che si portava facilmente a letto, io alla mia dignità ci tenevo e come. Cercai di staccarmelo di d’osso, ma senza riuscita. Mentre lui si toglieva i pantaloni, e rimaneva in boxer qualcosa balenò nei suoi occhi. Era forse un ripensamento? E così si fermò improvvisamente.
-Scusami ma non posso, non così almeno.- mi disse. Sapevo a cosa alludesse, lui voleva avere un rapporto come da lucido e non da ubriaco. Credeva che fossi ancora vergine. Ed in parte era vero, solo in parte però. Così annuii, scesi dal letto ed uscii dalla stanza. L’unica cosa che volevo adesso era andare a dormire.
 

Ora…
 
Il comportamento di Eric mi faceva capire che forse di me gli importava qualcosa, ma le parole che diceva o quello che faceva, mi smentivano. Quando ho lasciato i pacifici l’unica cosa che volevo era concentrarmi sugli allenamenti senza diventare un esclusa. Ma era crollato tutto quando i miei occhi hanno incontrato Eric, il ragazzo freddo come il ghiaccio. Ormai il mio pensiero fisso era diventato quel ragazzo brutale. Stavo impazzendo e lo sapevo, ma non mi importava niente in fondo a me piacevano i tipi come lui. Tornai dopo una buona mezz’ora a letto e finalmente Morfeo venne e mi travolse tra le tenebre.
Quando la mattina mi sveglia, come sempre dovetti fare tutto di corsa. Mi vestii in meno di un minuto ed ero pronta per affrontare una nuova giornata. Camminavo tra i corridoi freddi quando all’improvviso qualcuno mi premette una mano sulla bocca e mi trascinò in un angolo buio. Sgranai gli occhi e tentai invano di mordergli la mano, ma quando girai il viso e mi ritrovai di fronte a due occhi azzurri come il mare, il mio cuore perse un battito. Non potevo crederci che mio fratello Travis, il mio fratellone pacifico era qui. Ma qualcosa mi fece pensare che lui non poteva essere qui così, quando decise di lasciarmi gli tirai una sberla sulla nuca. Insomma sapeva che odiavo essere presa in quel modo.
-Che ci fai qui Trav? Il giorno delle visite è tra due giorni!- gli dissi puntandogli il dito contro.
-Devo parlarti.- mi disse senza guardarmi e indicando con la testa una porta. Non avevo mai visto quella stanza prima d’ora, o almeno non ci avevo mai fatto caso.
-Dove porta?- chiesi.
-È una stanza dove ci sono tutti gli attrezzi per pulire, ecco perché non l’hai mai vista.- mi disse facendomi l’occhiolino. Io continua a guardarlo con circospezione e ridussi gli occhi a due fessure. La cosa mi innervosiva parecchio. Odiavo non sapere perché mio fratello fosse li.
-Fidati per una volta Sheena. Fidati di me.- mi rimproverò con uno sguardo torvo che non gli apparteneva proprio. In quel momento mi accorsi che non conoscevo così bene il mio gemello, anche se abbiamo vissuto sotto lo stesso tetto per sedici anni o avevamo la stessa faccia, io non lo conoscevo affatto. Ma lui, al contrario, sapeva tutto di me. Annui ed entrai nella stanza. La stanza in questione era piccola, io stavo attaccata a mio fratello e lui a me. Ma poco importava, lui era qui per un motivo ben preciso.
-Quando hai cambiato fazione, nella nostra sono successe molte cose strane. Non so per quale motivo ma, la sicurezza alla recinzione è aumentata anche se credo che sia per tenere a freno noi pacifici. Ma la cosa più strana è stata vedere Max e Jeanine Matthews…-
-L’Erudita? Il Capofazione?- mi intromisi con una faccia più che sorpresa. Sapevo che quando c’era lei, c’erano solo guai.
-Non solo, si è portata dietro anche Caleb Prior ed Eric che entravano come se niente fosse nella nostra fazione ed andavano dritti come treni nell’ufficio di Johanna.- concluse. Dei brividi mi percorsero tutto il corpo. Non potevo credere alle mie orecchi. Che cosa volevano quelli dai pacifici?
-Perché erano lì?-
-È questo il punto, nessuno lo sa.- mi disse.
-Come?! Ma tra i pacifici tutto deve essere al corrente di tutto. Oppure da quando me ne sono andata sono cambiate le cose?- chiesi.
-No, Sheena. Le cose non sono cambiate.- mi rispose senza guardarmi. C’era dell’altro e io dovevo saperlo. Ma non feci in tempo. Perché qualcuno aprì la porta.
-Bene, bene, bene. Che bello una riunione familiare.- Eric ci aveva trovato.
oh no! Pensai, ma era ormai troppo tardi. Così abbassai il volto e con la coda dell’occhio vedevo quello di Trav.
Il viso di mio fratello che poco prima era freddo e distaccato, adesso era astioso e rabbioso. Ma, al contrario mio, sapeva mantenere la calma. E lo ammiravo per questo.
-Se vi state chiedendo come ho fatto a trovarvi beh…un tizio vestito di rosso e giallo non passa di certo inosservato, non trovi anche tu?- mi disse Eric prendendomi il mento con un dito e alzandomelo. Fui costretta a incastrare i miei occhi nei suoi. Ma non leggevo niente. Come era possibile che l’attimo prima mi diceva “ti desidero” e quello dopo “non potrei mai sceglierti perché sei sono una ragazzina”? era davvero assurdo. Ma la cosa che più mi faceva rabbia era che mi aveva pure baciato con passione. E lo aveva voluto lui. Mi stava decisamente prendendo in giro e io, come una cretina, glielo lasciavo fare. Ma dove era finita la ragazza sicura di se dei primi giorni? Dove era finita tutta l’arroganza, la finta arroganza, che mi ero portata dietro? A quanto pare si era polverizzata alla vista di quell’uomo che non sa amare, così brutale ma allo stesso tempo così affascinante anche con un livido o un labbro spaccato. Quella Sheena ormai era morta, oppure bastava solo un fiammifero per farla riaccendere. Ma se la lampa quella volta fosse divampata avrebbe ferito tutti, questo era poco ma sicuro.
-Hai ragione.- tagliai corto io mentre spostavo delicatamente le dita dal mio viso. Ma lui non mollò, anzi stringeva più forte.
-Odio chi pensa di fottermi, ti è chiaro mocciosa?- mi disse anche questa volta privo di qualsiasi emozione ,anzi solo di una: la rabbia. Sempre e solo rabbia. In Eric c’era solo e sempre rabbia.
-Si, forte e chiaro.- gli urlai mentre stavo per perdere la pazienza.
-Scusami, ma avevo bisogno di vedere Sheena. – fu Travis a parlare e a salvarmi da un uragano che stava per arrivare. Finalmente Eric mi lasciò andare e girò lo sguardo verso Travis. Adesso avevo seriamente paura per lui. Quello era capace di farlo ammazzare solo perché gli aveva sporcato la maglietta, figurarsi se qualcuno si era introdotto illegalmente nel suo territorio.
-Chi ti ha detto di poter parlare?- gli grugnì contro.
-Siamo nati liberi, non so se a scuola te lo hanno mai spiegato.- disse Travis tranquillamente e sfidandolo con i suoi occhi chiari. Adesso si incazza, Oh si se si incazza, pensai.  Dovevo cercare di rimediare.
-Trav che ne dici di aspettarci fuori?- chiesi un po’ titubante. Speravo che lo lasciasse andare.
-Ecco bravo vai fuori stupido fricchettone di un pacifico.- urlò più arrabbiato che mai.
-Se devi vedere il tuo amante in segreto per scopare ti prego non farlo qui! Sheena hai capito?! La cosa che mi stupisce di più è che non sei molto diversa da Taylor.- una lama tagliente avrebbe fatto meno male. Mi aveva dato della puttana. Non ci vidi più così, gli tirai un ceffone sul suo viso. Il rumore delle schiaffo echeggiò nella piccola stanza e la mano faceva male, ma mai quanto il mio cuore.
-Non è il mio amante…lui è mio fratello.- gli dissi digrignando i denti mentre una lacrima scivolò sul mio viso.
Lui non disse nulla. Rimase lì, fermo a guardarmi con una strana espressione compiaciuta in volto.
-Fuori di qui. La prossima volta che succede ti caccio a calci in culo.- detto questo se ne andò.
Uscii dalla stanza e salutai mio fratello che mi promise che sarebbe ritornato il giorno delle visite.  Quella giornata che pensavo sarebbe cominciata piacevolmente, finì anche peggio.
                                                                                                            
  ***

Alla sera, quando eravamo in mensa, arrivò un ragazzo pieno di piercing sulla faccia e con una cresta rosso fuoco molto alta, dicendomi che Eric voleva vedermi nel suo ufficio, ed aggiunse anche subito. Pensai che era per lo scontro finito anche peggio di quello di Billie. Si, dovete sapere che il pomeriggio ci sono stati i combattimenti ed io, piena di rabbia repressa per la mattinata, avevo rovinato la faccia a Ian. Ma no , non era quella la verità.
Così feci di si con la testa e mi incamminai nel suo ufficio. L’ufficio si trovava nel il palazzo di vetro così, dovetti attraversare tutto il pozzo per poi arrivare lì, davanti a quella porta a specchio. Bussai, ma nessuno sembrava avermi sentito, così bussai la seconda volta appoggiando poi l’orecchio sulla porta ma in un attimo mi ritrovai per terra ad osservare le scarpe un po’ consumate nere. Alzai gli occhi e sorrisi ad Eric. Poi, mi alzai e appoggiai le mani sui fianchi come se non fosse successo niente. Sul viso di Eric si dipinse un sorriso beffardo.
-Mi domando se è l’effetto che ti faccio io o se sei proprio sbadata di tuo?- mi disse dopo essersi messo comodo sulla poltrona della sua scrivania.
io gli sorrisi falsamente e gli risposi –Sei tu.- e mi accomodai di fronte a lui.
-Fai, fai pure. Siediti, preferisci dello scotch o del Jack?- mi disse facendo avvicinare il suo viso al mio. Sentivo il suo respiro sul mio viso e repressi la tentazione di prenderlo dal colletto della maglietta e baciarlo.
-Perché sono qui?- chiesi allontanandomi di poco dal suo viso.
-Per chiarire delle cose.- mi rispose.
-Avanti, sputami fuori tutto il veleno che hai dentro. Fallo, così poi sarai soddisfatto e mi lascerai condurre una vita  dignitosa.- gli dissi.
-Sheena tu una vita senza di me non la vorresti. Sei innamorata cotta di me. E lo so perché lo vedo nei tuoi occhi.- colpita e affondata. Ma non lo avrei dato a vedere.
-Non ci sperare troppo. Forse la prima settimana ma adesso sono innamorata di Brian.- risposi. Lui di rimando si alzò dalla sedia e venne a sedersi di fronte a me.
-Non raccontarmi cazzante. Stai con lui solo per far attirare la mia attenzione. Non ti interessa minimamente niente di quello stupido.- disse sorridendomi.
-Ma a quanto vedo, se fosse vero ha funzionato. È forse gelosia quella che vedo nei tuoi occhi, brutale uomo?- gli chiesi avvicinando il mio viso al suo.
Lui sorrise e poi mi rispose. Ora i nostri nasi si sfioravano e i suoi occhi non erano lontani. –Certo che è gelosia. Tu mi appartieni più di quanto tu credi. Sei mia tesoro e lo sarai per sempre. Ma un giorno, quando questo uomo “brutale” come dici tu, si accorgerà della donna forte che sei diventata e coraggiosa, allora si aprirà, ma non ora Sheena. Ora devi fare esperienza e non solo in quel senso. Ma bada, se un giorno di questi vengo a sapere che hai fatto entrare nelle tue mutandine un altro che non sono io, sei morta.- poi mi mise una mano tra i capelli corti e mi avvicinò al suo viso. Era in certo sul da farsi mai poi, io gli appoggiai le braccia dietro il collo e lo trascinai sopra di me mentre le nostre labbra ormai sembravano aver preso fuoco. Le nostre lingue si cercavano, si trovavano e danzano in un vortice di passione. Aprii gli occhi non appena lui mi allargava le gambe e mi faceva sedere a cavalcioni su di lui. Sapevamo entrambi che non saremmo mai potuti andare oltre, ma ci bastava questo. Ci staccammo solo per prendere fiato. Quando ricominciammo io insinuai le mani dentro la sua maglietta mentre lui, mi mordicchiava il labro inferiore. Si stava eccitando e non poco, lo sentivo bene sulla mia gamba. Ma non mi interessava. Continuavo in quello che stavo facendo così, gli tolsi la maglia e lo ammirai in tutta la sua bellezza. Poi riportai gli occhi su di lui, mi stava studiando, voleva capire quale era la mia prossima mossa. Così, mi alzai e con un passo molto lento mi buttai sul divano. Lui non perse tempo, si avvicinò mi prese dai fianchi e mi fece intrecciare le gambe alla sua vita, poi si sedette. E ricominciammo come prima, rimanendo così per più di un’ora. Ora avevo la certezza che Eric mi stava aspettando, che mi voleva, che avrebbe fatto di tutto per avermi. E capivo anche il suo sorriso beffardo di questa mattina, di quando gli avevo stampato uno schiaffo sul viso. Lui voleva solo che avessi una reazione e quando questa era  arrivata, aveva capito che non ero come le altre. Che ero la Sheena che da sempre stava aspettando. E forse quella ragazza forte e determinata stava crescendo sotto le sue braccia. Ma lui sembrava non accorgersene, o forse solo  fingere.
Mai io, sarei mai potuta essere all’altezza di questo Eric?
Il tempo ti darà delle risposte Sheena.
Rispose la coscienza.
Ma io tempo non ne avevo, io mi sarei dovuta dare una mossa perché stava per arrivare un uragano nella mia vita.
Ma questo io non lo sapevo, non ancora almeno.
Adesso stavo bene nelle braccia del mio Eric.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


Capitolo 8.


 
-Allora, in vista del giorno delle visite, oggi faremo i combattimenti. Così vi presenteremo ai vostri genitori con un bel po’ di lividi. Non siete contenti?- il cinismo di Eric superava tutti, se poi accompagnato dal suo ghigno malefico, ti faceva presagire solo il peggio. Il secondo modulo era cominciato da 5 giorni e mancava veramente poco alla sua fine. Io avevo combattuto contro Billie ed Ian e avevo vinto, poi contro Jude ma avevo perso. Quindi il prossimo combattimento sarebbe stato quello decisivo: o ero dentro, oppure fuori.
-Prima e ultima a salire sul ring.- così feci un passo avanti e mi avvicinai al ring. Mi resi conto solo quando ero salita che dovevo affrontare Helena. L’unica persona insieme a Ian e Brian con cui stavo bene e con la quale avevo un rapporto di amicizia. Ma in fondo sapevo che sarebbe successo, solo speravo non adesso. Helena era stata l’unica ragazza con cui avevo fatto amicizia qui dentro e mi ricordava molto la mia migliore amica, anche se poi, con quest’ultima,  mi ero ritrovai con una bella coltella sanguinante sulla schiena. Ricordo ancora il senso di svenimento che provai quando la sentii sparlare allegramente con le sue amiche, cose non proprio gradite sul mio conto, e sapeva benissimo inoltre, che quel periodo era davvero un macigno per me. Era stata l’unica persona a cui avevo confidato tutto. Io ero per lei un libro aperto e credevo che anche lei lo fosse con me, invece dopo la morte di mia madre e dopo tutto quello che mi era successo, lei aveva preferito allontanarsi nel modo peggiore che possa esistere.  E poi era diventata una specie ci celebrità tra i Pacifici, tanto che , tutti i ragazzi erano ai suoi piedi e tutte le ragazze non facevano che essere delle ruffiane incallite.  Ovviamente il colpo di grazie, fu la sua infatuazione per mio fratello. Ma quando vide che mio fratello la rifiutava categoricamente, beh successe il finimondo. Se la prese in un modo assurdo con me ed io, debole come ero, mi lascia fare tutto. Al solo pensiero una rabbia cieca mi accende tutto il costato. Fortunatamente adesso non ero più costretta a vederla tutti i giorni flirtare qua e la, nascondendosi dietro la facciata del finto buonismo. Una cosa gliela dovevo riconoscere, Tatia era davvero bella, e non capii mai perché mio fratello la rifiutava categoricamente. Insomma una ragazza come lei non passava di certo inosservata, non si scordano mica facilemente quegli occhi da cerbiatta. Tornai alla realtà, solo quando Eric ci urlò di cominciare.

Ci scrutammo per capire chi delle due avrebbe attaccato per prima. E quando sentimmo Eric sbuffare sonoramente, allora Helena non perse tempo e attaccò. Un pugno ben assestato mi colpì allo stomaco facendomi troncare il respiro.  Ma mi ripresi subito e attaccai con un calcio sui suoi stinchi. Helena cadde rumorosamente  a terra. Non si aspettava il mio improvviso calcio, poiché credeva che stessi ancora crogiolando nel dolore causato dal suo pugno. Anche lei si rialzò subito, anche se zoppicava e  cercò di colpirmi con un  pugno sul naso, ma io fui più veloce e mi scansai. Continuammo così per un bel po’ fino a quando uno spazientito Eric ma soprattutto rabbioso, ci informò che, se non ci davamo una mossa non avremmo incontrato nessuno. Così mi lanciai su Helena, ma l’effetto che ricevetti fu quello di un Helena super determinata a buttarmi per terra e a riempirmi la faccia di pugni , e a malincuore successe esattamente quello che non ero stata in grado di fare io. Helena mi saltò letteralmente addosso, quando caddi lei si mise a cavalcioni su di me e cominciarono ad arrivare sul mio già pallido viso, una scarica di pugni ben assestati. Cercavo di morderla e di togliermela di dosso ma non ce la feci così, improvvisamente tutto diventò sfuocato, ma l’ultima cosa che vidi, fu il viso sconcertato di Eric, dopo di che persi i sensi.

Quando mi sveglia mi ritrovai in un posto dalle pareti bianche candide, il cui arredamento era formato solo da letti in ferro nero singoli e un comodino del medesimo colore delle pareti sulla destra  e capii subito che ero finita dritta, dritta in infermeria. La cosa che più mi stupì era, essermi ritrovata davanti gli occhi di Eric che mi fissavano con irritazione.  In quel momento mi sentivo debole e stordita dalle troppe botte che avevo preso da Helena e non avevo voglia dell’ennesima discussione con Eric. Così chiusi gli occhi e sospirai abbattuta. Speravo che vedendomi in quel modo si srabbe trattenuto, ma ciò non accadde.
-Patetica. Sei stata patetica.- ruppe il silenzio con parole più velenose che mai.
Appunto.
-Lo so. E quindi che devo fare adesso? Ti ricordo che ho battuto Billie e Jude.- risposi mettendomi a sedere sul letto. Lui di tutta risposta cominciò a ridere.
"E adesso che gli pigliava?", pensai.
-Hai vinto contro quei deficienti solo perché eri arrabbiata. Sheena in questi giorni e la battaglia di poco fa, mi hanno fatto capire che tu, vinci solo quando sei incazzata. Questo non è da intrepidi, questo è solo non riuscire a trattenere la rabbia.- disse e fece per andarsene.
-Allora se sei passato tu, posso farcela anche io.- ecco, i miei pensieri avevano preso vita, e ormai era troppo tardi per farli ritornare nella mia mente incasinata. L’effetto fu immediato, Eric si girò, e sul suo viso comparve l'annesima espressione rabbiosa. Mi ritrovai con la sua faccia ad un palmo dal naso e la sua mano stretta sul braccio.
-Io, cara mia so trattenere la rabbia. Altrimenti ti saresti ritrovata già da un pezzo sotto terra.- l’aveva detto veramente? Cioè e lo scatto di adesso cosa doveva significare? Era una forma di carezza degli intrepidi?
-Non la pensavi proprio così ieri sera.- gli rinfaccia più arrabbiata che mai anche io.
MI scrutò come se fossi un aliena e lasciò andare il braccio. Poi prese una sedia e si sedette vicino a me, emettendo alla fine un lungo sospiro. Non capivo cosa stesse facendo e dove voleva andare a parare, ma una cosa era certa, quello che c’era stato ieri sera ci aveva fatto avvicinare, e adesso non volevo che tornassimo indietro. Volevo Eric ad ogni costo, ma non in quel senso intendiamoci. Con lui stavo bene. Quando mi toccava, quelle poche volte che succedeva, io mi sentivo veramente bene, come se quello fosse il posto perfetto che avevo perso, ma che grazie a lui avevo ritrovato. Per non parlare dell’effetto delle sue labbra. Le sognavo tutte le notti, per dirla tutta sognavo Eric tutte le notti, ma quando ieri sera ci eravamo baciati con tutta quell’intensità, con tutta quella passione, avevo creduto che quel sogno fosse diventato reale. Fino ad oggi.
-Sheena non so se ti rendi conto che è rischioso parlare di quello che è successo ieri.-
-Certo che lo so. Ma questo non cambia niente. Non so se ti rendi conto che prima mi baci, mi cerchi e ti arrabbi se qualcuno mi sfiora soltanto, ma poi non mi cerchi, fai finta che non esisto  e rinneghi pure. Eric secondo te cosa devo pensare?- sputai fuori con le lacrime agli occhi. Avvolte, per quanto provassi un insaziabile passione per lui, non riuscivo proprio a capirlo e ad accettare i suoi modi di fare.
-Lo so che fa male….-
-No! invece non lo sai. No se passi tre quarti della vita ad odiare tutto e tutti.- lo interruppi ormai in preda ai singhiozzi. Eric purtroppo era accecato dall’odio nei confronti di tutti. Era come se qualcuno che lui amava, lo aveva ripetutamente ferito fino a farsi odiare. Se i suoi occhi color ghiaccio erano impenetrabili, chi sa cosa c’era nascosto in fondo al suo cuore.
-Ma…non possiamo rischiare di essere visti insieme o peggio amoreggiare. Sheena è proibito avere un rapporto con il proprio istruttore.- mi disse cercando di accarezzarmi la guancia, ma io mi scansai.
-Certo che lo so, ma andiamo stiamo parlando di te. Tu non ti fai intimorire da nessuno, figuriamoci se ti fai comprare da un insulsa ragazza ex Pacifica.- risposi.
-Era un complimento per caso?- mi chiese sorridendo e spostando una ciocca di capelli blu dietro l’orecchio.
Io gli presi  la mano e me la portai vicino alla guancia, ma intanto mi guardavo intorno e non vedendo nessuno, gli accarezzai  la guancia.
-Come mai non ti tiri indietro?- gli chiesi lasciandogli la mano.
-Perché ho liquidato tutte le infermiere che erano qui. E quindi possiamo fare qualsiasi cosa vogliamo.- mi disse mentre un sorriso malizioso si accese sul suo volto.
-Umm…e cosa hai intenzione di fare, brutale uomo?-gli chiesi assumendo l’espressione di finta innocenza. Il nostro malsano rapporto era così. Un attimo primo ci urlavamo addosso le peggio cose, ma un attimo dopo era tornato tutto come prima. 
-Beh, per prima cosa questo.- e azzerò le distanze con un bacio.
-Poi questo.- riprese alzando le coperte del mio letto e sdraiandosi affianco a me. Io gli feci spazio e lui passò un braccio intorno alle mie spalle. Così, appoggia la testa nell’incavo del suo collo e gli lascia un leggero bacio proprio lì. Inspirai a pieni polmoni il profumo di cannella e per quanto eravamo vicini, sentivo un leggero odore di sudore.
-Sai è difficile cercare di mantenersi calmo quando ho difronte le tue labbra. Ogni volta provo l’impulso di baciarti ma poi, mi ricordo che non posso e così cerco di pensare ad altro.- spalancai gli occhi a quell’affermazione e un sorriso si dipinse sul mio volto, ma poi improvvisamente pensai a lui, che si agguantava sulle labbra di Caroline e un fastidio invase tutto il mio corpo.
-Come Caroline.- dissi irrigidendomi, ma rimanendo nella mia posizione.
-No. Andando al poligono. Sparare è l’unica cosa che mi rilassa.- mi disse.
Sospirai. Avevo creduto al peggio e già mi stavo preparando ad urlargli contro le cose più velenose. Ma a quanto pare il suo tranquillante non era Caroline.
Dopo vari minuti di silenzio, gli chiesi una cosa che da un po’ incombeva nei miei pensieri.
-Eric, cosa siamo io e te?- lo sentii irrigidirsi e la cosa cominciava a preoccuparmi.
-Non lo so….forse amici.- mi rispose guardando il muro di fronte al letto.
-Se la tua visione di amicizia è quella di non potersi rivolgere la parola in pubblico e baciarsi come due amanti, allora credo che io ne abbiamo una completamente diversa.- gli risposi cercando di liberami dal suo braccio sulle spalle ma senza successo.
-Ne abbiamo già parlato. E comunque, non eri tu quella che baciava Brian?- colpita e affondata.
Sapeva perché lo avevo fatto, ma sapeva benissimo che io, non bacio chiunque anche se sembra il contrario, io non sono una di quelle che si porterebbero a letto metà fazione, solo per poter fare una gara con le amiche.
-Lo sai perché l’ho fatto.- gli risposi riappoggiando la testa sul suo petto.
-No invece.- potevo vedergli quello stupidissimo sorriso beffardo sul suo viso anche con gli occhi chiusi. Ma non gliel’avrei data vinta.
-Perché mi piaceva.- risposi ed improvvisamente, come prevedibile, il suo sorriso si spense.
Si girò improvvisamente a guardarmi e con uno scatto d’ira che mi spaventò,  mi prese il viso tra le mani, poi, posò le sue labbra sulle mie e per l’impetuosità del bacio, sbattei la testa sulla sponda del letto.
Insinuò le mani sotto la vestaglia dell’ospedale fino ad arrivar ai miei fianchi e con una stretta su di essi, mi ritrovai a cavalcioni su di lui, mentre le nostre labbra non si erano mai staccate. Io gli misi le mani nei capelli corti, poi scesi a toccare i suoi dilatatori e poi gli accarezzai il braccio muscoloso scoperto.
Lui intanto mi baciava con foga e mi toccava con lo stesso impeto tutto il corpo. Ci fermammo solo un attimo per riprendere fiato  e poi ricominciammo. Quando Eric mi prese i capelli e mi fece allontanare dalle sue labbra, mi disse che doveva andare e che ci saremmo rivisti la sera in mensa. Io rimasi li, toccandomi le labbra che sapevano ancora di lui, e mi addormentai felice.
                                                                                             
                                                                                ***

Il giorno delle visite era finalmente arrivato e la felicità, ma anche l’ansia  di rivedere i nostri familiari, superavano tutte le batoste prese nei giorni precedenti. Io ero impaziente di rivedere mio padre ed anche se avevo rivisto  mio fratello pochi giorni fa, volevo raccontargli della nuova Sheena, ovviamente tralasciando Eric.
Ero al pozzo, seduta su una delle panchine in marmo mentre mi mangiucchiavo le unghie, sperando di poter vedere una macchia rossa e gialla avvicinarsi. Ma ancora nessuna traccia di essa.
-Sheena, smettila di mangiarti le unghie, vedrai che tra un po’ saranno qui!- era Brian che seduto vicino a me, avvolse le sue braccia intorno alla mie spalle ed io, avendone un disperato bisogno feci lo stesso. Da lontano sentivo lo sguardo di qualcuno bucarmi le spalle. Mi girai e vidi Eric che insieme ad altri capifazione, ci stavano osservando dallo strapiombo. Non ci voleva, così per il bene di Brian, sciolsi l’abbraccio.
quando girai lo sguardo però, mi ritrovai degli occhi puntati.
-Travis! Daddy!- urlai e li abbracciai forte. Quanto mi era mancato sentire l’odore di dopobarba di mio padre. In tutti quei giorni passati nella nuova fazione non mi ero accorta di quanto effettivamente un po’ la mia vecchia vita, quella passata ad ascoltare musica o a suonare la chitarra nella mia stanza, mi mancasse. E rivedere gli occhi blu di mio padre e perdermici dentro, mi fecero ricordare i vecchi tempi, quando andavamo al lago. Dopo la morte della mamma, quella era diventata l’unica terapia che funzionasse su di me. Il rumore dell’acqua era e lo sarà per sempre, un toccasana per me.
-Se tuo fratello non mi avesse detto che avevi i capelli blu, beh Sheena io non ti avrei mai riconosciuta. Ma guardati sei così bella, non che prima non lo fossi, ma adesso sei diventata una donna. Forte e sicura di se. Sapevo che questo era il tuo posto.- mio padre, l’uomo più importante della mia vita che era fiero di me. Quella luce splendete nei suoi occhi, non la vedevo da prima della morte della mamma. È come se con essa, un pezzo di noi se ne fosse andato per sempre. Povero uomo, che vita felice ma anche infelice aveva dovuto subire. Così, felice ma anche un po’ malinconica, cominciai a piangere.
Presi a singhiozzare convulsamente mentre mio padre mi accarezza i capelli. Quando mi calmai allora li portai a fare un giro della fazione.
-Allora vedo che ti sei ambientata bene, little girl.- disse mio padre.
-Già, tutto sommato stare qui non è poi così male. C’è anche la torta al cioccolato.- gli risposi sorridendo.
-E i capifazione che non stanno al loro posto.- mi sussurrò mio fratello. Dannato Travis! Pensai. Ma come avevo fatto a sottovalutare la mente più brillante della famiglia? Io di tutta risposta gli lancia una gomitata sul braccio.
-Ehi! Mi hai fatto male.- mi urlò mentre io gli facevo la linguaccia.
Quando arrivammo allo strapiombo il viso di mio fratello passò dallo spensierato ed allegro, ad uno sguardo torvo e cupo. Mi girai a guardare cosa lo avesse fatto cambiare espressione e mi accorsi che era per la visione di Eric. Deglutii così rumorosamente che sperai che nessuno mi avesse sentito. Mio padre dal canto suo invece cominciò a farmi una serie di domande su chi fosse, e quando gli risposi che era il più giovane dei capofazione e il mio allenatore, allora si avvicinò a lui.
-Salve, so che non mi conosce, ma lei allena mia figlia (e mi indicò) così volevo sapere se si sta comportando bene.- gli chiese mio padre dolcemente.  Io avrei voluto avere una pala, scavare una profonda buca e sotterramici dentro, ma non era possibile. Così mi limitai ad abbassare lo sguardo e a spostare il peso da un piede ad un altro.
-Sheena è abbastanza in gamba, ma non è la migliore.- sollevai lo sguardo quando Eric pronunciò queste parole. E improvvisamente un nodo si sciolse e ricomincia a respirare.  Non lo aveva ucciso. Era un passo avanti.
-Lo sarà. Lei lo è sempre stata. La mia piccolina non si spezza facilmente, ci vuole un tornado per far accadere ciò.- rispose mio padre guardandomi con la stessa dolcezza con cui pronunciava le parole. Mi morsi il labbro per non piangere mentre osservavo Eric, avere un espressione diversa dal solito. Non era arrabbiato ma era come dire, invidioso e contento per me.
-Continuiamo il giro papà, qui non si respira.- disse Travis guardando Eric.
Quando ci allontanammo da Eric, Travis mi prese da parte dicendo che voleva parlare solo con me. Papà quindi, ci aspettò li allo strapiombo e noi andammo nella stanza degli allenamenti. Mi guardai intorno e vidi che era vuota, così ci ficcammo dentro.
-Che cosa vuoi dirmi?- chiesi a mio fratello un po’ spazientita. Non riuscivo a capire la sua esigenza.
-Non innamorarti di lui.- disse così all’improvviso.
-Come scusa?- finsi, come se non capivo.
-So da come lo guardi che ti piace. E lo sai anche tu e lui. Per ciò non farlo Sheena, quello ti vuole solo usare. Li conosco i tipi come lui, e so che a te piacciono.- mi disse allontanandosi e andando verso la porta. Dovevo giocare a carte scoperto, con Travis era difficile mentire.
-Mi dispiace deluderti, ma a lui non piaccio. Quindi puoi stare tranquillo, non lo lascerò entrare da nessuna parte, se è questo quello che ti spaventa.- risposi con l’amaro in bocca. Mio fratello dal canto suo, tornò indietro e mi abbracciò di colpo. Non ricordavo di aver lasciato un fratello lunatico.
Ma nemmeno uno  rancoroso.
Già, anche questa volta la coscienza aveva ragione. Dovevo scoprire perché c’era un andirivieni continuo tra i Pacifici e così averi scoperto il segreto di Travis.
Quando mio padre e Travis se ne andarono, girovagai per un bel po’ nella fazione. I miei piedi, guidati ovviamente dalla mia mente, arrivarono davanti alla porta di Eric. Stetti un po’ a fissare quella porta marrone quando all’improvviso si aprì, e da dentro ne uscì un Eric coperto solo con l’asciugamano in vita. Rimasi a osservare estasiata e desiderosa di toccare i suoi pettorali, ma la sua voce mi fece tronare alla terra ferma.
-Bene, bene, bene. Ma chi abbiamo qui. Sheena la soldatessa. Cosa ti ha portato qui? Forse volevi assaggiare di nuovo le labbra di Eric l’uomo brutale?- mi disse deridendomi
-Va al diavolo Eric.- dissi e feci per andarmene ma lui mi fermò, prendendomi la mano e facendomi girare bruscamente. Mi ritrovai con la schiena poggiata al suo petto e il suo respiro sui miei capelli. Poi mi trascinò in camera sua  e mi buttò bruscamente sul letto. Lui non si avvicinò a me, ma si avvicinò ad un cassetto e ne estrasse un paio di boxer.  Poi ,non so con quale destrezza, riuscì a ficcarsi i boxer senza togliersi l’asciugamano. Tornò all’armadio e ne estrasse un paio di pantaloni neri e una maglietta del medesimo colore. Quando si fu vestito i mi raddrizzai e mi misi a sedere sul letto.  
-Cosa fai lì? Dai alzati ti porto in un posto che so ti piacerà.- mi disse e uscì dalla stanza senza darmi il tempo di rispondergli. Che strano ragazzo che era.
Mi alzai e mi avvicinai a lui. Quando chiuse la porta si girò solo per un istante per lasciarmi un leggero bacio sulle labbra e poi si incamminò in un vicolo mal illuminato. Inutile dire che io mi scioglievo ogni volta che lui si avvicinava, figurarsi quando mi baciava.
Attraversammo lo stretto cunicolo che non so come ci portò all’ascensore. Poi prendemmo l’ascensore e ci ritrovammo su uno dei tanti tetti  dei palazzi della residenza. Inutile dire che lo spettacolo notturno di Chicago era favoloso. Tutto taceva, il silenzio regnava.  Se pensavamo che solo 6 ore prima la città si animava con diversi colori e affrontava i malumori della giornata appena iniziata. La notte invece, li custodiva con se, come se fossero dei segreti. Ma è proprio nella notte più profonda, che i segreti si fanno più astiosi. È in quelle notti invernali che accadono cose impensabili ed io lo sapevo bene. Ma desso non volevo far tornare a galla i miei ricordi più spinosi. Avevo rotto ormai quella bolla di dolore e paura, facendone venire fuori una ragazza più forte e sicura, ma pur sempre con un infanzia uccisa.
-Perché mi hai portato qui?- interruppi il silenzio che si era venuto a creare.
-Per parlare liberamente, senza essere spiati.- mi rispose con freddezza.
-Di cosa Eric?- di un noi che non esiste oppure del perché vai continuamente nella mia ex fazione? Queste però le tenni per me. Lui continuava a guardare dritto davanti a se e io feci lo stesso.
-Di quello che sta succedendo.-
-E cosa sta succedendo?- mentire, mentire sempre ti porta a verificare se qualcuno dice la verità.
-Della stabilità di Chicago, Sheena. So che tuo fratello te ne ha parlato quindi non fingere con me, ormai capisco quando lo fai.- mi disse e finalmente si decise a guardarmi.
-Si, mi ha detto delle cose, ma non so se posso dirtele,in qualche modo tu sei il suo nemico e forse anche il mio.- risposi con altrettanta freddezza
-E un tuo capo. Ma questo tende a passare sempre in secondo piano.-
-Credi davvero nel “la fazione prima del sangue”? aventi Eric, non potrei lasciare mai morire mio fratello anche se ha deciso di essere un Pacifico.-
-E tu sei così sicura che lui farebbe lo stesso con te?- ad una domanda rispondeva sempre con un’altra domanda. Ma i suoi occhi erano come lamette per il mio viso: scrutatori, gelidi e taglienti. Per un attimo rabbrividii e lui se ne accorse, ma girò il viso dall’altra parte. Che stronzo!
-Si…lo ha fatto già in passato.- 
-E cosa ti era successo di così tremendo Sheena?- avrei tanto voluto buttarlo di sotto. Lui non sapeva niente di me, anche se diceva di conoscermi. Ma il suo tono accusatorio, come se i Pacifici non potessore provare il dolore, mi faceva anche più male. Ed eccola di nuovo quella bolla, tornare a riempire il vuoto intorno a me. Ma questa volta, l'avrei rotta.
-Non ne voglio parlare. Ne ora e ne mai.- dissi rivolgendogli uno sguardo più che irritato.
-Io, ci credo.- sapevo a cosa si riferisse.
-Certo, da quanto ho sentito dire in giro hai ripudiato tutta la tua famiglia. Non ti sembra una magra consolazione aggrapparti a quella frase?- questa volta la lama ero stata io. e il taglio fu imminente. Il suo volto si rabbuiò e se prima mi guardava, adesso guardava in direzione degli Eruditi.
 Che strano, pensai, le loro luci sono ancora acese e le nove erano passate da un pezzo.
-Tu.Non.sai.niente.di.me- mi disse a denti stretti. Io risi.
-Sai Eric, non puoi pretendere di sapere quello che succede agli altri, se sei il primo a rifugiarti sotto la torre impenetrabile che ti sei costruito. Comunque sia, devi ancora dirmi cosa sta succedendo qui.- dissi l’ultima frase allargando le braccia.
-Denuncia i divergenti o morirai.- mi disse e girò le spalle lasciandomi lì, a guardare il panorama.
-Perché?- gli chiesi prima che se ne andasse.
Lui parve avere una titubanza ma, all’ultimo momento decise di girarsi. I nostri occhi si incontrarono. Grigio contro Blu. E poi con un sorrisetto mi rispose –Perché è un ordine.- e questa volta se ne andò veramente.
Il primo pensiero fu subito rivolo a Travis. Il suo test era stato inconcludente e quindi dichiarato divergente. Ma nessuno, a parte me e la ragazza Intrepida che glielo aveva fatto, lo sapeva. Dovevo salvarlo, anche a costo di morire. Avrei fatto qualsiasi cosa per Travis. 
Un leggero vento si alzò facendomi rabrividire così, mi strinsi ancora di più nel leggero chiodo che stavo indossando.
Misi le mani nella tasca del mio giubbino ma, sfiorai con la mano qualcosa che sembrava carta. Infatti era un bigliettino. Lo aprii e ne lessi il contenuto.
               
“Non dire a nessuno quello che sono. Ti spiegherò tutto domani
Alle 20:00 alla ruota. Little Girl non portare nessuno e stai attenta.
                                                                                                              Travis”
Così,dando un ultimo sguardo al panorama, silenziosamente presi l’ascensore e tornai in camera.
Il mio compito ara diventato quello di salvaguardare la mia famiglia, e ripagare il debito di sei anni prima.










Spazio Autrice
Beh, scusate il ritardo.
*va a nascondersi per non essere colpita*
Ma come sempre, la scuola non mi da tregua.
Però, adesso che ci sono le vacanze cercherò di aggiornare più spesso.
Ringrazio come sempre chi segue la mia storia, ma, non ne avete a male, un ringraziamento e un abraccio grandissimo alla fedelissima LALALOOPSY, che mi fa felice lasciando recensioni ad ogni capitolo, davvero grazie di cuore.
Alla prossima e Auguri a tutti! <3
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


Capitolo 9.








Frustrata.
Eccome come mi sentivo. Maledettamente frustrata.
Non sapevo più dove sbattere la testa. Perché se da un lato c’era da pensare a superare l’iniziazione, dall’altra dovevo tenere segreto il vero essere di mio fratello.
Per l’iniziazione mancava poco, anzi due ore, per sapere se ero dentro o fuori. E quindi sapere se tutte le notti o quasi tutte, passate davanti ai sacchi da box erano servite a qualcosa, oppure rappresentavano, solo una perdita di tempo. Speravo con tutta me stessa di non essere cacciata, altrimenti voleva dire che non ero riuscita a vincere la mia battaglia contro la vecchia me, quella che non ce la faceva, quella che si arrendeva al primo ostacolo. 
Decisi così, di uscire dalla camerata perché l’aria si stava facendo piuttosto pesante e andare dall’unico ragazzo positivo esistente che avessi mai trovato: James. Quando arrivai in camera sua, lo trovai sdraiato sul letto a dormire e quale momento migliore per fare uno scherzo?  Così, in punta di piedi, gli arrivai vicino e gli urlai in un orecchio di alzarsi. Lui, come prevedibile, sbarrò gli occhi ma poi cadde rumorosamente per terra ed io cominciai a ridere.
-Maledetta di una Pacifica…- disse alzandosi faticosamente e facendo vedere a tutti la sua arcata dentale bianca scintillante. Io cominciai a ridere ancora di più, ma si spense non appena lui, cosciente della situazione, mi prese le gambe e come un sacco di patate, sgusciò fuori dalla camera.
-Lasciami! Dove mi stai portando uomo bradipo.- dissi.
-Sheena , sai che così facendo, peggiori solo la tua situazione?- mi rispose mentre raggiungevamo il pozzo.
-Forse è l’ultima volta che ci vediamo e quindi volevo che tu ti ricordassi chi è Sheena.-
-Di te, mia cara strafatta, non ci potremmo mai liberare.- mi rispose mentre ci fermammo davanti a Brian.
-Ciao Brian!- lo salutai mentre James  fece lo stesso.
-Hey James! Dove stai portando la mia ragazza?- chiese a James.
-A fare il giro di penitenza. Vuoi venire con noi?- gli chiese.
-Deve essere qualcosa di spassoso se centra Sheena.- rispose con un ghigno.  Di tutta risposta io cercai di tirargli un pugno ma senza riuscita, James era troppo alto e io, troppo bassa. 
Salimmo le scale che conducevano al palazzo di vetro e ci dirigemmo dritti, dritti in uno degli uffuìici.
Mi mise giù solo per prendere la chiave dell’ufficio sotto lo zerbino ed aprire la porta, per poi riprendermi e buttarmi sul pavimento. Così mentre ero accasciata in terra, notai alcune foto appese alla parete. C’era un James quindicenne insieme ad una ragazza e vicino a Matt…il capofazione.
MA cosa ci faceva James insieme al capofazione? Chiesi al mio subconscio o semplicemente  ame stessa. Un lampo si fece strada nella mia mente. Ma certo come non notarlo prima? Matt e James avevano gli stessi occhi azzurri e gli stessi capelli nero pece. Per non parlare del l’altezza. Ma la domanda fu anticipata da Brian che chiese al ragazzo, che si era allegramente accomodato sulla poltrona di pelle della scrivania accavallando i piedi su di essa, cosa ci facesse con Matt e Dylan (capo della sezione sicurezza al confine. Quando ero ancora tra i pacifici lo vedo spesso. In qualche modo tutti ci conoscevamo anche se non potevamo conversare perché appartenenti a due fazioni diverse) nella stessa foto.
-Rispettivamente mio padre e mio fratello maggiore. E se ve lo state chiedendo si, questo è l’ufficio di mio padre che è uno dei 5 capifazione.  Ora vi ho portato qui, perché un mio amico mi ha detto che questa sera ci sarà una festa in onore degli iniziati che hanno passato il secondo modulo. Voi ci siete?- tipico di James. Per lui, da vero Intrepido, le feste erano importanti, molto importanti.
-Si se passo.- risposi alzandomi dal pavimento e andando verso il divano in pelle nera per buttarmici a peso morto sopra.
-Quanto sei pessimista Sheena. Te invece Brian?- chiese a Brian senza alzare la testa dalle sue gambe.
-Ci sto. Tanto sono il primo della classifica.- disse rivolgendo uno sguardo divertito nella direzione di James mentre continuava ad esaminare la stanza. Tipico degli Eruditi, studiare qualsiasi cosa. Le sue parole però parvero attirare l’attenzione di James che alzò la testa. Mentre io alzavo gli occhi al cielo.
-Si, bello ti piacerebbe.- ma prima che iniziasse una discussione su chi era il primo della classifica, li zitii dicendo che sarei venuta alla festa solo se la smettevano di fare i bambini di tre anni in cerca di attenzioni.
-Bene, bene, bene. James quante volte ti ho detto che non puoi venire qui. Soprattutto adesso che sei un iniziato.- a parlare fu Matt, che entrò nella stanza seguito da Caroline ed…Eric. Non ne potevo più di lui. Ovunque andassi, ovunque mi girassi, lui era sempre lì, pronto a punzecchiarmi o ad accogliermi tra le sue braccia. Avvolte pensavo proprio che per lui ero una semplice stupida, la quale si era presa una cotta per l’istruttore di turno e quindi ero solo una tizia con cui giocare. Ma la verità, la pura verità, era che io mi ero innamorata di lui, ma non in dolcemente, no, era arrivato nella mia vita come un fulmine a cielo aperto e mi aveva colpito.  E faceva male sapere che lui non sarebbe potuto essere mai veramente mio.
Mentre guardavo la foto di James sulla parete notai anche il viso di una donna minuta. Aveva occhi verdi, capelli biondi ed un bellissimo sorriso. Quanto era bella, forse era proprio la mamma di James e Dylan. Sorrisi tra me e me, ma si spense non appena mi ricordai di una cosa.
Il panico che si faceva strada dentro di me, mi stava facendo smorzare il respiro e salire le lacrime agli occhi.
Come avevo potuto dimenticare l’anniversario della morte della mia adoratissima mamma. Così, schizzai in piedi e cominciai a singhiozzare.
-Matt, potresti rilasciarmi un permesso di uscita?- mi rivolsi all’uomo che stava parlando con James. Lui non appena mi sentì parlare si girò a guardarmi e da infastidito il suo sguardo, si fece poi curioso.
-Che succede tesoro?- si rivolse a me avvicinandosi come un padre affettuoso. Io tirai su il naso e lo guardai dritto in quei pozzi blu.
-Me lo può fare il permesso?- chiesi di nuovo aggirando, per quanto potessi, il discorso. Non ne volevo parlare, mi faceva male sapere che mia madre era morta per colpa mia, perché non ero stata in grado di salvarla. Mi ero maledetta per anni e la mia depressione era dovuta anche a questo. Così mi ero ritrovata tutti gli anni davanti a quella lapide a chiedere come una povera disperata, scusa.
-Non può fartelo perché sono io che devo farlo. Io sono il tuo istruttore e sei nelle mia mani.- rispose prontamente Eric mettendo in chiaro ancora una volta la sua supremazia su di me e il mio stato di subordinazione nei suoi confronti. Così feci di nuovo la domanda ma questa volta ad Eric.
-Vieni nel mio ufficio, devi spiegarmi delle cose.- mi disse e si incamminò verso l’uscita. Disperata com’era gli andai incontro e così raggiungemmo il suo ufficio.
-Siediti!- mi ordinò non appena ebbi varcato la soglia della porta. Facei si con la testa e poi mi incamminai verso la sedia. Quando mi sedetti, lui mi raggiunse e si sedette di fronte incrociando le mani a preghiera.
-Il motivo urgente Sheena quale sarebbe?- mi chiese abbastanza spazientito.
-oggi è l’onomastico di mia madre e io devo andare a trovarla.- risposi ormai in preda alle lacrime.
-Perché dannazione stai piangendo allora?- mi chiese facendosi più vicino.
-È morta mia madre Eric. Devo solo portargli dei fiori sulla lapide.- sputai fuori con la voce spezzata dalle lacrime.
-Va bene. Ti do mezz’ora non un minuto di più, non uno di meno.- rispose.
Cosa?!? Di solito impiegavo mezz’ora per arrivare lì. “Maledetto bastardo di un cinico”, pensai.
-Scherzi?!- chiesi sgranando gli occhi.
-No, ti sembro il tipo da scherzi dementi?- mi rispose con non-calanche.
-Un ora. Dammi almeno un ora.- chiesi, o meglio lo implorai anche se sapevo che era una persona che non torna su suoi passi.
-Sheena più parli e più il tempo diminuisce.- mi rispose con un sorriso beffardo. Così senza ulteriori indugi, mi alzai e mi precipitai alla porta.
-Non pensare di andare da sola. Voglia che venga qualcuno con te.- mi disse.
-Okay Brian va bene?- chiesi mentre questa volta sul mio di viso si dipinse un sorriso mentre sul suo si spense.
-Se vuoi giocare con il fuoco accomodati pure.- mi rimproverò mentre allargava le sue possenti braccia tatuate.


Corsi a perdi fiato per trovare Brian e quando lo vidi al pozzo, mi precipitai e gli presi la mano senza spiegargli niente mentre correvamo insieme verso il treno. Con Brain, come succedeva spesso anche con James, non avevo bisogno di parole. Infatti aveva capito benissimo che Eric mi aveva concesso una liberatoria. Quando arrivammo al treno ci fermammo perché eravamo ormai sfiniti dalla corsa.
-Quanto tempo abbiamo?- mi chiese Brian.
-Mezz’ora andata e ritorno e “non un minuto di più, non uno di meno”- sbuffai sonoramente mentre Brian scoppiava a ridere per la mia brillante interpretazione di Eric. Le nostre chiacchiere si interruppero quando risuonò nell’arai il fischio del treno, segno che si stava avvicinando.
Il primo a saltare, una volta che il treno si avvicinò,  fu Brian poi fu il mio turno.
-Allora Sheena sembravi tanto spaventata oggi all’ufficio di Matt. Cosa ti era successo?-mi chiese Brian mentre si sedeva vicino a me. Presi un bel respiro e cominciai a raccontare a Brian perché stavo così male oggi.
-6 anni fa, diciamo 7 con oggi, mia madre fu assassinata da due persone, credono tutti che siano stati degli esclusi. Io ero li con lei e sono rimasta ferma a guardare quei due che la uccidevano.- dissi con le lacrime agli occhi tralasciando la parte della violenza. Non volevo che lo sapesse, che nessuno sapesse. Avevo scelto di entrare negli intrepidi anche per ricominciare una nuova vita lontano da tutti quelli che sapevano di quell’episodio tremendo.
-Non è stata colpa tua Sheena. Quelli erano dei pazzi assassini tu invece, solo una ragazzina di sei anni cosa potevi fare? Fermarli e rischiare così anche la tua vita? Con quella gente non si scherza.- mi disse mentre con una mano mi accarezzava la schiena.
-Si invece. Potevo prendere la sua vita in cambio della mia. Invece è stata lei a farlo. Io non ho nemmeno chiesto aiuto, ero lì, ferma a guardare mentre il suo viso e il suo corpo , se ne stavano andando.- risposi ricominciando a piangere con disperazione rivivendo quella notte infernale.
-Non dirlo nemmeno per sogno. Tua madre non avrebbe mai voluto sentire questa parole. Non rendere il suo sacrificio vano solo perché sei così piena di rabbia e dolore.-
Per una volta aveva ragione. Ed aveva ragione anche Eric quando diceva che io ero piena di rabbia non controllata. Dio! La mia frustrazione aumentava di giorno in giorno. E il non essere andata all’appuntamento con mio fratello non aiutava proprio. Feci un profondo respiro pronta a controbattere, ma non potemmo continuare il discorso, perché dovemmo scendere dal treno.
Fummo costretti ad attraversare tutta la fazione e gli sguardi dei Pacifici, per arrivare al cimitero. Chiesi ad un addetto la mappa e poco dopo riuscii a trovare la tomba. Brian non era voluto entrare perché era una cosa che dovevo fare solo io. quando arrivai alla sua tomba un profondo senso di debolezza si impadronì del mio corpo, ma solo guardando gli occhi vispi e sorridenti di mia madre, i miei ricominciarono a lacrimare. Mi inginocchiai di fronte alla lapide e cominciai a parlare.
-Ciao mamma, sono passati sette anni da quel maledetto giorno. Dal giorno in cui tu perdesti la vita e noi, un pezzo di cuore. Perché se non te ne sei accorta, tu ci hai portato via un pezzo bello grande di cuore, mentre a papà, la sua anima. Ti amava così tanto che le domeniche non riusciva a non apparecchiare la tavola anche per te. Quanto dolore avrai provato quella sera, cara mamma. E quanto dolore starai provando nel guardare tua figlia che vive e non ti ha mai ringraziato per quello che hai fatto per noi in questi anni, per tutti i sacrifici. Perciò, anche a nome di quello sventurato di Trav, ti dico grazie, per ogni singola volta che mi abbracciavi a raccoglievi le mie lacrime, per tutte le volte che mi hai detto di non mollare mai e per il tuo sacrificio. Il dolore mi ha lasciato ma la rabbia no, quella è difficile da lasciare andare.  Ma oggi sono venuta per dirti che ti lascio andare, mamma. Ti ho perdonato per esserti sacrificata e penso che anche tu mi hai perdonato per non essere stata all’altezza delle tue aspettative. Che la tua memoria, possa vivere per sempre.- mi alzai, mi asciugai le lacrime e lasciai delle rose bianche sulla lapide.
-Non l’hai delusa affatto. Sapeva fin dall’inizio chi era Sheena.- mi voltai e trovai gli occhi di mio fratello che mi scrutavano. Corsi e lo abbracciai di slancio. Il suo profumo di vaniglia e biscotti sbriciolai era la cosa che più mi mancava.
-Ascolta Trav, non abbiamo molto tempo. Tra due minuti devo tornare tra gli Intrepidi. Cosa volevi dirmi ieri?- chiesi staccandomi di malavoglia da lui.
-Sta succedendo qualcosa di molto grosso e pericoloso, Sheena. Gli Eruditi stanno complottando qualcosa e ovviamente, sono accompagnati dali Intrepidi. Ti chiedo solo di scoprire di cosa si tratta.- mi disse tutto d’un fiato. Feci si con la testa lasciandogli un bacio sulla guancia, poi mi allontanai e di corsa recuperai Brian che nel  frattempo si era seduto su una panchina.
-Andiamo. Siamo già in ritardo. Eric ci ammazzerà.- gli dissi mentre ripresi a correre verso il treno.
Quando scendemmo dal treno, corremmo di nuovo a per di fiato verso l’entrata del palazzo di vetro. Ma quando aprimmo la porta ad attenderci fu proprio l’ultima persona che avevo voglia di vedere. Eric era lì più arrabbiato che mai. 



Spazio Autrice.
Allora la vostra autrice preferita è tornata *lo so sono un' idiota* con un nuovo capitolo.
Scusatemi se ci sono errori e come sempre ringrazio tutte quelle persone che leggono la storia. Davvero grazie di cuore,
Alloa prossima e ancora Auguri <3

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


Capitolo 10.



Famous last words.



Io e Brian ci scambiammo uno sguardo fugace e lessi nei suoi occhi tutta la preoccupazione che, supponevo, potesse essere letta anche nei miei. La cosa che più mi spaventava però, non erano gli occhi cerulei di Eric, no, la cosa che più mi spaventava era  quel silenzio studiato, quel silenzio indagatore che spesso adottava per far mettere in circolo, nella sua mente bacata,  le idee più malsane che potesse pensare e mettere in atto ed ogni volta, ogni dannatissima volta, si superava.
-Quanto tempo avevi Sheena?- mi chiese Eric rompendo un minuto di silenzio venutosi a creare precedentemente. Alzai gli occhi su di lui mentre si stava avvicinando pericolosamente verso di me e così, deglutii rumorosamente.  Sembravo una maledettissima foglia, tremavo tutta.
-Mezz’ora.- risposi flebilmente abbassando gli occhi sulle sue scarpe nere. Non riuscivo proprio a reggere il suo sguardo.
-Non ho sentito bene. Potresti ripetermelo.- mi disse mentre mi alzava il mento con due dita, per permettermi di guardarlo dritto negli occhi. Cercavo di parlare, di far uscire almeno una parola dalla mia bocca ma niente. Il fiato si era mozzato e la gola era diventata dannatamente secca. Così mi ritrovai involontariamente a fare la figura dell’imbecille.
Eric assottiglio gli occhi e mi strinse il mento facendo uscire dalla mia bocca un gemito di dolore.
-RISPONDI DANNAZIONE! NON FARE LA BAMBINA SPAVENTATA SHEENA!- mi urlò in faccia. Io stavo li, zitta, muta come un pesce, non trovando nessuna frase da aggiungere o da dire. Non capivo perché voleva che ripetessi qualcosa che aveva sentito bene, e non mi piaceva a fatto il tono appena usato. Odiavo quando qualcuno mi diceva cosa fare, cosa dovevo dire o cosa pensare. Insomma, odiavo l’imperativo.  Cosa che amava fare Eric. Dare ordini a destra  e a manca, non per questo era diventato un capofazione, uno dei più temuti anche, perché ognuno che finiva per mettersi contro di lui o osare solo contraddirlo, veniva spedito dritto, dritto in ospedale. Ma forse era anche il suo modo di fare il duro, quello dagli occhi impenetrabili, quello a cui non gli importa niente se tuo sei ferito, perché lui se sei stato una schiappa, te lo dice lo stesso. Quello che non ha nulla da perdere, perché sembra che la vita gli abbia portato via tutto (Ecco cosa ho letto negli occhi di Eric la prima volta che ci siamo parlati da persone normali, quella sera nel suo ufficio.  Eppure volevo tanto entrare nella sua testa e capire cosa lo turbasse, cosa lo aveva fatto diventare così cinico e  repellente a qualsiasi forma di affetto verso il gentil sesso) mi ero però, ritrovato ad amarlo irrimediabilmente.
-Ho detto che avevo mezz’ora!- gli risposi togliendomi dal viso le sua mano con un gesto brusco, ma mantenendo sempre gli occhi nei suoi. Avevo preso coraggio e adesso nessuno poteva fermarmi dal non parlare. In quel momento non mi interessava più niente, nemmeno se mi avesse detto che sarei stata rinchiusa in una cella di isolamento, perché io, ci sarei andata a testa alta e gli avrei così dimostrato che niente e nessuno mi spaventava.
Fosse stato vero, Sheena!
Dannata coscienza!
Lui si girò verso Brian, come se si era ricordato solo in quel momento della sua presenza, e sbuffando gli intimò di avvicinarsi. Riportando però, i suoi occhi grigi nei miei.
-Brian, tu puoi andare.- gli disse mentre il ragazzo basito, prima si guardò indietro, ma poi vedendo che non c’era nessuno, si indicò.
-Si tu! Il tuo compito era quello di non perdere mai di vista Sheena. Perché tu non l’hai lasciata sola nemmeno per un attimo, vero?- gli chiese con sguardo torvo.
Improvvisamente cominciai a sudare freddo e sperai che non si accorgesse del mio stato. Perché se Brian gli avesse detto che ero entrata sola nel cimitero, allora questa volta davvero mi avrebbe buttato fuori. Cercai di non fargli vedere che ero in ansia, ma il mio corpo mi tradiva.
-Certo che no, siamo stati sempre insieme. Non è vero, Sheena?- rispose Brian con un tono più che convincente, mentre incastrava i suoi occhi nei miei. In quel momento i suoi occhi mi stavano dicendo che gli dovevo un favore così, risposi a quello sguardo con un sorriso che lo ringraziava e che gli avrebbe fatto qualsiasi favore.  Tornai a respirare tranquillamente.
-Bene, allora puoi andare.- disse Eric in tono pacato.
Io e Brian ci stavamo allontanando quando Eric mi prese da un braccio.
-Ho usato forse il plurale?- mi chiese con ironia mentre mi sbatteva al muro. Un ringhio di dolore e disperazione uscì dalle mie labbra, mentre i nostro occhi si scrutavano nuovamente, come il primo giorno che ci vedemmo.
-Brian vattene e non farmelo ripetere di nuovo.- gli disse Eric mentre il ragazzo portò uno sguardo su di me quasi a voler il consenso per poter andarsene. Io feci si con la testa e Brian si allontanò un po’ titubante.
-Cosa vuoi ancora?- gli chiesi mentre mi massaggiavo il braccio che era stato stretto da Eric. Lui guardò il braccio e il segno che mi aveva lasciato, poi alzò gli occhi su di me e si avvicinò. Ci ritrovammo a due centimetri di distanza, da li potevo sentire il suo forte odore e se volevo, ed io volevo e come, potevo anche appoggiare le mie labbra sulle sue.
Si accorse che gli stavo guardando le labbra perché sul suo viso si dipinse un sorrisetto sghembo, poi improvvisamente mi circondò i fianchi con il suo braccio muscoloso e ci ritrovammo ancora più vicini. Adesso le nostre labbra si sfioravano e bastava davvero u movimento per ritrovarci le labbra appiccicate, ma non successe.
-Laverai i piatti per tre settimane, come punizione per non aver rispettato l’orario. Buona fortuna Sheena.- mi disse lasciandomi andare e allontanandosi  da me. Io rimasi li, a guardare la sua schiena che diventava sempre più piccola e sfuocata mentre mi lasciava nuovamente sola. Presi mentalmente nota di quello che mi aveva detto e me ne andai in camera sbuffando a più non posso. In fondo di quanto avevo tardato? 5 minuti? 10?
 
-Mezz’ora? Stai scherzando vero?- altro che dici minuti, avevo tardato di mezz’ora.
Ero seduta sul mio letto che profumava di lavanda e pulito, mentre aspettavo con gli altri i risultati, e da quello che avevo capito mancava solo mezz’ora per il risultato. Affianco a me c’era Helena che si mangiucchiava le unghie, di fronte avevo un Brian super sicuro di se, naturale aveva passato tutti i turni e tutti i combattimenti arrivando primo, ed infine c’eravamo io e Ian, con un viso pallido e sudato poiché eravamo quelli più a rischi, dopo Jude, ovviamente. Perfino Billie ce l’aveva fatta ad assicurarsi un posto tra i primi 15. Sentimmo aprirsi la porta di scatto e vedemmo entrare un James più che sorridente insieme ad i suoi amici. La classifica sarebbe stata unica, così li avevamo invitati a venire da noi. Quest’anno, i trasfazione erano molto pochi rispetto agli anni passati, almeno così si diceva in giro, mentre gli interni erano molti. Tutti potevano pensare che i trasfazione fossero stati spacciati, ed in parte era vero, ma fino a quel momento, il gruppo che aveva subito meno perdite eravamo proprio noi.
-Su con la vita ragazzi!- urlò James mentre tutti noi, e dico tutti noi, lo guardavamo basiti.
-Sai com’è Jimbo, ci sarà solo la fine dell’esistenze per alcuni.- risposi con sarcasmo aprendo, in un gesto teatrale, le braccia.
-Oh Sheena non pensarci, passerai, ne sono sciuro.- tentò di rassicurami James facendomi  anche un occhiolino. Niente da fare, James viveva in una sorta di mondo festaiolo, irriverente e che lo faceva diventare amente del pericolo e di se stesso. Tutto il contrario del mio.
-Certo che ce l’ha farà! Non tutti hanno l’opportunità di far entrare Eric nel proprio letto, non è forse così Sheena?- a parlare era stata Valery, non che sorella di Taylor, una ragazza cresciuta a pane, invidia e come tutti gli intrepidi, era egocentrica al massimo. Ma gli mancava una qualità essenziale per rimanere nella fazione: il coraggio. Tutti lo sapeva e lo sapeva anche lei, ma era ancora lì, perché era sotto le grazie di Caroline e Peter. 
-Che c’è vorresti starci te nel letto con Eric al posto mio?- gli risposi con lo stesso tono che aveva usato lei precedentemente nei miei confronti.
-Ah, no aspetta! Tu hai Peter.- risposi nuovamente io ,mentre le parole che uscirono dalla mia bocca andarono a centrare proprio il suo ego . Stupida ragazzina! Pensai.
-Piccola insolente se ti prendo ti spacco la faccia.- mi urlò mentre un ragazzo interno la prese dalle braccia prima che si avventasse come una furia su di me.
-Io non credo ci riuscirai, sai tutti sanno che non hai le palle!- gli urlai di rimando.
-Nessuno ammazza nessuno!- esordì qualcuno alle nostre spalle. Quando mi girai notai la faccia di Quattro  inorridita e al suo fianco Eric con uno sguardo divertito. Forse non aveva assistito a tutta la conversazione, altrimenti avrebbe già preso la tizia per i capelli.
Guardai la “furia” e gli lascia uno sguardo di fuoco, prima di prestare attenzione a Quattro.
Eric appese  la bacheca al muro vicino la porta, poi si allontanò mettendosi di lato, lasciandoci lo spazio per poterla vedere.  Io ero dietro le spalle di Brian, essendo bassa mi aggrappai ad essa , così mettendomi in punta di piedi e facendo leva sulle gambe mi alzai, per poterla guardare bene.
  1. Brian
  2. James
  3. Helena
  4. Billie
  5. Travor
  6. Thiago
  7. Benjamin
  8. Sheena
  9. Roxanne
  10. Ian
  11. Valery
Alla vista del mio nome sopra i quindici, tirai un sospiro di sollievo. Anche questa volta ce l’avevo fatta.  Per curiosità, continuai a leggere e Jude era sedicesimo. Non avevamo perso solo uno dei nostri, ma anche un buon amico gentile ma troppo buono per appartenere a questo mondo. Lo cercai con lo sguardo e quando lo trovai aveva gli occhi sbarrati. Quando si accorse che lo stavo guardando, girò di scatto gli occhi verso di me e come se si era appena ricordato di qualcosa, come una furia uscì dalla stanza.  Stupita e curiosa, lo segui.
-Ehy Sheena.- stavo appunto correndo dietro Jude, quando dovetti fermarmi perché sentii qualcuno pronunciare il mio nome. Ero così in trans dal seguire Jude che non mi ero accorta che Eric, proprio il mio Eric ,mi aveva chiamata. Così andai a sbattere il mio viso sul suo petto e alzando gli occhi sul suo di viso, vidi la sua smorfia di disappunto. 
-Ehy Eric, cosa c’è?- chiesi rimanendo in quella posizione e sentendo le guance andare in fiamme. Però sembrò non notarlo. Il suo viso era una maschera di ghiaccio dove non lasciava trasparire il minimo sentimento, e mi ritrovai  a pensare che forse le parole di quella Valery avevano colpito in pieno Eric. Dei brividi mi percorsero la schiena, ma non di freddo, per la prima volta guardando gli occhi spenti di Eric, ebbi paura e decisi di allontanarmi da lui. Questo però sembrò notarlo e contrasse la mascella.
-Sei stata brava. D'altronde da te non ci si può aspettare di più.- sgranai gli occhi a quell’affermazione. Che cosa voleva dire con quello? Che io non avrei mai potuto raggiungere quella maledetta prima posizione? Una vampata  di rabbia salì ad invadermi tutto il torace. In questo momento l’unico sentimento che provavo nei suoi confronti era puro odio. Ma quell’odio che mi divampava in tutto il costato,  si trasformò in qualcos’altro.
Avevo voglia di dimostrargli che si sbagliava, che Sheena era più forte di quello che credeva. E sapevo come fare. Avrei dato il meglio di me nell’ultimo modulo. Quanto a lui, beh, avrebbe dovuto ricredersi e chiedermi scusa.
Con un ghigno malefico, girai le spalle e me ne andai. Dovevo trovare Jude. Il mio sesto senso mi diceva che stava per accadere qualcosa di brutto.


Percorsi tutto il lungo corridoi che portava alla palestra. Lo feci correndo a perdifiato e quando aprii la porta ad accogliermi ci fu solo il silenzio. Chiamai più e più volte il suo nome. Ma niente. Non c’era nessuno li dentro. Così uscii dalla palestra e ricomincia a correre questa colta in direzione dello strapiombo, ma a precedermi ci fu un lungo e sommesso urlo. Mi fermai. Ed ecco che tutto diventava chiaro nella mia mente. Lo sguardo sbarrato e in preda alla disperazione. La consapevolezza di  non aver ottenuto quello che si desiderava. Il cambiamento radicale di una vita che stava per arrivare. Tutte queste cose gli arrivarono come un fulmine a ciel sereno e quale era l’unica cosa che potesse spegnere la fiamma del dolore, se non il riposo perenne. La morte, aveva trovato risposta nella morte.
Quando arrivai al pozzo, qualcuno lo stava tirando su con un a corda. Istintivamente misi la mano sulla bocca che fu bagnata da una lacrima ribelle che scendeva candida sul mio viso.  Mi ritrovai a pensare che forse Jude non era fatto per stare qui, in questa fazione. Ma la verità era un’altra. Jude non era fatto per questa vita. Lui era sempre così buono e dolce con tutti. Non sapeva scindere il bene dal male. Cosa che io avevo imparato a fare. La vita gli aveva sempre dato tutto e quando era caduto quel tutto, allora lui aveva preferito lasciarsi andare e scoprire se esistesse davvero un paradiso.
Quando lo poggiarono sul freddo pavimento di marmo e vidi i suoi occhi verdi pesanti, beh qualcosa dentro di me si spezzò. Lacrime copiose cominciarono a rigare il mio viso diventato pallido, non potendo più guardare la posa innaturale del povero Jude, girai le spalle e mi incamminai verso il nulla.
Camminavo e la vista si appannava sempre di più, però non mi importava perché io continuavo per la mia strada. Ad un certo punto però, sentii della braccia afferrarmi e alzando gli mi ritrovai due occhi verdi fissarmi. Era Tris, che dolcemente mi  stringeva tra le sua braccia.
-So cosa si prova Sheena, ci sono passata anche io.- notai che mi stava sorridendo dolcemente. Lei era una di quelle persone dolci, forti e premurose. E tutta la fazione l’amava per questo, oltre che per la sua bravura da allenatrice paziente. Decidemmo, o meglio, Tris ritenne opportuno sederci così, senza staccarmi da lei, ci posizionammo sul freddo pavimento di marmo, vicino alle scalette che portavano al pozzo. Io continuavo a singhiozzare in silenzio, e mi sentivo in colpa perché in quei mesi non avevo fatto niente per aiutare Jude. Perché se io, o qualcuno l’altro, lo avesse fatto, forse a quest’ora Jude sarebbe ancora qui, tra di noi, a sorridere imbarazzato per le battute di Brian e per gli sguardi innocenti che avvolte Helena gli rivolgeva.  Ma ormai Jude non c’era più ed io, se non volevo finire come lui, dovevo cacciare gli artigli. Mio padre mi diceva sempre che si misura la forza di una persona, quando essa è sotto pressione o semplicemente ha molto dolore all’interno del suo cuore. E forse io avrei fatto proprio così, sarei stata forte per mio padre, mio fratello Trav, mia madre Lauren, o per Brian, James , Ian ,Helena ed anche per quel coglione di Eric. In fondo gli dovevo qualcosa.
Stretta tra le braccia di Tris, mi addormentai con un ultimo pensiero in mente: quale saranno state le ultime parole di Jude?




Nota dell'autrice
Si lo so sono in un ritardo pazzesco, quasi di due mesi. Ma questo capitlo è stato un parto cesario, praticamente l'avrò riscritto 5 volte. 
Ringrazio tutte quella personcine carine che hanno aggiunto la "storia" tra preferite/seguite/da ricordare e per chi ha recensito. Un ringraziamento speciale lo devo proprio alla carissima Lalaloopsy che mi rende sempre molto felice con le sue puntuali recensioni. Davvero se sapessi dove vivi di invierei tante torte al cioccolato. Ovviamente ringrazio anche i lettori di passaggio e quelli silenziosi.
Insomma penso che domani non posterò perché c'è il ritorno di The Walking Dead *e finalemente direi* quindi ci vedremo venerdì. 
Adesso vi saluto perché vi avrò annoiato e vi mendo tanti baci :*
<3
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. ***


Capitolo 11.

Correva sul prato coperto di marroni foglie, la piccola Sheena, insieme al suo fratellino Trav.
La vita allora era così innocente. I bambini pensavano solo a giocare e non a tutti i guai che sarebbero arrivati dopo. In quel momento i guai però, erano solo i ripetuti dispetti che Sheena faceva al suo fratellino. E mentre Travis correva in cerca di un rifugio per non farsi trovare da quella pestifera di sua sorella, lei cambiò direzione e andò verso sinistra ,come se qualcosa l’avesse richiamata.
“Ecco avvistato un tronco di un albero abbastanza grande da potercisi nascondere senza essere trovati”, pensò Travis.
E Sheena cosa stava facendo? Nel pensarlo il bambino si ritrovò a girare leggermente la testa verso sinistra e ecco che vide la sua sorellina rimanere a fissare l’orizzonte, e poteva immaginare i suoi grandi occhi blu sognanti, la sua faccia in preda all’euforia e i pugni chiusi lungo i fianchi.
Il bambino dagli occhi grigi uscì dal nascondiglio e si avvicinò alla sorellina minuta, ma dai capelli neri corvino che gli arrivavano a toccare il sedere. I capelli tanto amati dalla mamma ma anche tanto odiati dalla bambina perché, affermava Sheena, gli erano di intralcio quando correva.
-Cosa guardi Sheena?- gli chiese senza malizia il bambino.
Sheena parve svegliarsi da quel magnifico sogno che stava facendo ad occhi aperti.
-Guardo quella che sarà la mia vita, Travis.- disse la bambina senza smettere di guardare davanti a se.
Il piccolo annuì e guardò anche lui il punto in cui la bambina stava guardando.

 
-Jude era davvero un bravo ragazzo, forse anche troppo per questo mondo. Era un sognatore nato, uno di quelli che aveva sempre sognato di stare tra gli intrepidi, uno di quei ragazzi attaccati agli affetti familiari uno di quelli…- non riuscì a finire la frese, che la madre scoppiò a piangere, ma nelle sue parole, nella dolcezza della sua voce, non c’era rabbia ma dolore e tanta sofferenza.
Povera donna, da quello che avevo capito aveva perso già un figlio per un incidente tempo fa e adesso la casa tornava in lutto per il dolce Jude.
Ci troviamo fuori, al cimitero degli intrepidi che è esattamente come quello dei pacifici: tombe a destra e a sinistra. Insomma sempre un luogo dove i vivi vengono a piangere i morti. Ricordo quando morì mia madre, mio padre ogni sabato mattina usciva per portargli i suoi fiori preferiti e ritornava sempre con gli occhi gonfi e rossi, anche se per darci forza, non lo dava a vedere. Ma noi, facevamo solo finta di non vedere perché sapevamo cosa stesse accadendo alla nostra famiglia. Un poco alla volta, si sgretolava come sabbia.
Tutta la fazione era riunita li, vicino al corpo freddo di Jude. C’era la mamma, il fratello maggiore e il padre. La vita aveva riservato a quella povera famiglia un destino avverso. Solo dolore e sofferenza. Ed era diventato un circolo vizioso da cui ormai non si poteva più uscire, da cui ormai anche se volevano non potevano. Ma li ammiravo, si davano forza a vicenda  e quello penso  fosse proprio il loro segreto per non cadere a pezzi. Era come se tutte le cose brutte che gli capitavano nella vita, invece di far cadere i mattoni  del loro castello, ne aggiungevano.
Un leggero vento di inizio autunno si alzò nell’aria mentre mi scompigliava i capelli corti che ormai avevano perso il blu ed erano tornati ad essere neri.  Non ce la facevo a guardare la faccia della madre di Jude, così mi misi a guardare i volti degli altri e fu così che scorsi il viso di Eric tra una lapide ed un’ altra. Sembrava toccato anche lui dalle parole della mamma di Jude. Non potevo crederci. Era incredibile che anche lui provasse qualcosa.
Sheena, non è il momento di fare la sarcastica.
Vero, non era proprio il momento ma non vedere il ghigno malefico sulla faccia di Eric mi fece sorridere. Ma come cominciai a sorridere tutte le ansie, tutte le paure che si erano accumulate in quelle settimane stavano tornando a galla così, senza una spiegazione mi venne un improvviso attacco di ridarella. Però dato la situazione in cui mi trovavo, dovevo cercare in tutti i modi di fermare il mio attacco. Ma non ci riuscii. Così fui costretta ad allontanarmi.
Camminai un bel po’, mentre continuavo a ridere da sola fino a quando non vidi un cipresso su cui potercisi sedere.  Ma quando mi sedetti il sorriso si spense e mi ritrovai a singhiozzare. Stavo decisamente impazzendo. La mia già precaria sanità mentale stava cadendo a pezzo.
-Stai impazzendo lo sai vero?- quando alzai gli occhi sulla persona che stava parlando ne rimasi sorpresa, veramente sorpresa.
-Eric…-
-Già in carne ed ossa.- rispose cercando di sdrammatizzare. Non mi ero accorta che mi stesse seguendo e questo era decisamente un punto a mio sfavore.
Un piccolo sorriso si accese sul mio viso. Stemmo in silenzio per un po’, poi improvvisamente lui cominciò a parlare.
-Scegli di vivere sempre, anche quando tutto intorno a te sta andando a puttane, anche quando hai la merda fino al collo, anche quando c’è qualcuno che te lo impedisce. Scegli la vita e combatti per essa.- le sue parole mi  lasciarono sconvolta. Cosa voleva dire questo? Credeva forse che avrei reagito come Jude? Perché se era così beh, si sbagliava di grosso. Io ho sempre combattuto per quello in cui credevo, per me, per la mia famiglia, per gli amici e per la vita.
Scegli la vita.
Me lo diceva sempre anche mia nonna.
Vivi, arrabbiati, sii sensibile e forte, ma vivi, vivi sempre.
Ah, benedetta donna quanto era saggia e ormai per me le sue parole erano diventate come regole da rispettare.
-Non ti facevo così saggio mi caro Capofazione.- risposi e incastrai i miei occhi arrossati nei suoi che stranamente erano liberi da tutte quelle nubi scure che lo attanagliavano ogni giorno.
-Erano le parole che ripeteva sempre mio nonno.- disse e distolse lo sguardo per portarlo su nel cielo ormai scuro.
-Anche la mia le ripeteva sempre.- dissi cercando di trattenere la gioia per quell’unica cosa che avevamo in comune io e lui. Eric come sorpreso dalle mie parole incastrò di nuovo gli occhi nei mie. Ma ripensando alle parole di prima non potei trattenermi dal non una risposta a quella che sembrava una domanda da leggere tra le righe.
-Se credi che io scelga di trovare nella morte l’unico mezzo per appagare il mio dolore e i miei fallimenti beh, ti sbagli di grosso. Io morirò solo quando avrò sparato tutte le cartucce che mi restano. Non ti libererai mai di me. Se è questo quello che speri.- dissi guardandolo in cagnesco. Lui di tutta risposta dapprima guardò di nuovo in aria, poi girò gli occhi su di me e per finire, allungò il braccio nella mia direzione fino ad abbracciarmi e tirarmi nella sua direzione.
Sentivo il suo fiato caldo che profumava di menta solleticarmi il collo, ma la cosa che più mi lasciava interdetta era quel gesto così naturale se lo consideravamo fatto da un ragazzo nei confronti della sua ragazza, ma non se questo ragazzo era  Eric, l’unico uomo che era  sempre arrabbiato. Anche se il gesto non era dei più delicati, lo apprezzai ugualmente. Volevo proprio vedere se a quell’insulsa di Taylor  gli riservava queste effusioni affettive. Il mio viso da stupito divenne orgoglioso. Come se quel gesto così spontaneo e in un certo senso, romantico, lo avessi fatto io.
-Non voglio assolutamente liberami della mia pazza intrepida e con comportamenti dementi. Non lo vorrei mai.- e scoppiò a ridere.
Dannazione mi stava prendendo in giro e io glielo avevo beatamente lasciato fare. Dannata me e il mio corpo, che si lasciava andare anche solo ad una delle sue carezze poco delicate. Ero proprio andata. Ma per recuperare quel poco orgoglio e dignità che ancora mi restava, sciolsi l’abbraccio e mi allontanai bruscamente da lui alzandomi in piedi. Prima di girare i tacchi e tornare al funerale, decisi che in qualche modo dovevo rispondere a quelle parole e il gesto che usai, poco consono ad una ragazza per bene, ne fu la risposta. Lui però parve non offendersi, perché continuò a ridere. Più infuriata che mai decisi di voltargli le spalle e di andarmene.
-Ricorda che questa sera dovrai lavare i piatti, sguattera. Non pensare che me ne sia dimenticato solo perché il tuo amico è morto.- mi urlò mentre ero a metà strada. Ma di colpo mi fermai.
Sguattera.
Non potevo tollerarlo. Non quel commento così sessista. Nessuno mai si era permesso di chiamarmi in quel modo. Ma la cosa che più mi faceva infuriare fu il tono sbeffeggiativo che aveva usato.  
Serrai i pugni facendo di ventare le nocche bianche, anche se stonavano con le ferite riportate dagli allenamenti, e mi girai lentamente verso di lui.
Eric non mi stava neppure guardando, perché forse riteneva più interessante il tetro paesaggio intorno a noi. La rabbia cresceva in me così rapidamente che fui costretta a fare un grande respiro, ma non funzionò lo stesso.
E in un attimo mi ritrovai a camminare a passo di marcia nella sua direzione. Si era alzato e stava ritornando anche lui alla cerimonia ma non ne fu in grado perché gli sbarrai con il mio corpo esule, il passaggio.
 Quando si ritrovò il mio corpo davanti agli occhi fece una faccia sorpresa, come se credeva impossibile che una ragazzina “demente” potesse azzardarsi solo per un instate a sfidarlo.
Mi fece la radiografia di tutto il corpo assumendo un atteggiamento da puro maniaco sessuale. Soffermandosi però, sul mio seno.
Oh, dannazione!
Pensai a come tutti gli uomini fossero legati da quella malizia incontaminata che hanno non appena incrociano una parte femminile messa in evidenzia. Io, avevo deciso di indossar quel giorno, una maglietta un po’ troppo aderente che lasciava intravedere la forma dei seni. Intendiamoci, non che io avessi una quarta ma mi trovavo benissimo con la mia seconda.
Con l’indice gli alzai il viso per far incontrare il mio sguardo canzonatorio anche se lui stava ancora sorridendo maliziosamente.
-Okay, ma volevo solo dirti che potrò pure essere una sguattera o una ragazza demente, ma meglio essere come me che essere te. Sempre incazzato con il mondo, che trova amicizie opportunistiche e si accontenta della prima puttana che incontra. Tutto questo, non è deprimente Eric?-
Ero stata decisamente una stronza, ma vedere il suo sguardo cambiare dal sereno all’arrabbiato, mi faceva sentire bene, mi appagava vederlo impazzire di rabbia. Sfoderando uno dei miei più falsi sorrisi, lo salutai e mi incamminai diretta al treno. Mi sentivo orgogliosa di me stessa ed euforica.
Sentii un dolore sordo ad un braccio e fui costretta a girarmi nella direzione dello stronzo che mi stava facendo così male. Me lo aspettavo che Eric avesse risposto alle mia taglienti parole con quel gesto.  Cercai di strattonarmi dalla presa ma fu tutto inutile, perché più io mi muovevo e più lui stringeva la presa su di me.
Il suo sguardo era glaciale, il mio era una smorfia di dolore.
Poi, mi ritrovai appiccicata al suo patto, tant’è che dovetti reggermi  alle sue spalle per non cadere per terra. Ma ci pensò lui. Mi strinse con le sue mani le braccia e fece avvicinare pericolosamente il suo viso al mio. Sentivo il respiro che si indeboliva e poi tutto successo in un attimo.
Le sue calde labbra si posarono sulle mie violentemente.
Quel bacio non era per niente casto ,anzi.
In quel bacio c’era tutto il risentimento delle mie parole, tutta la rabbia che provava nei miei confronti e tutta la passione che solo lui sapeva darmi.
Quel bacio era rubato, violento, brutale e vendicativo.
Ma anche da parte mia non mancava la rabbia per le sue di parole.
Io però espressi la mia vendetta conficcandogli le unghie nel collo, proprio li dove mostrava trionfalmente quei tatuaggi.
E non mi fermai fino a quando le mie dita non divennero rosse.
Come se si fosse accorto del dolore al collo, come morso da una tarantola si stacco da me.
Il suo sguardo era uno dei più cattivi che gli avessi mai visto, forse perché non conoscevo veramente bene quel lato di Eric, che mi destabilizzava.
Con un gesto brutale mi scostò i capelli dal collo e avvicinò la bocca su di esso. Prima di fare ciò che stava per fare, mi guardò e il suo viso si aprì in un sorriso diabolico. Non capivo il perché di quello sguardo e poi la risposta alla domanda silenziosa arrivò prepotentemente.
Come un vampiro che si avvicina alla sua preda e gli succhia tutto il sangue, Eric aveva pensato bene di mordermi il collo. Sentivo qualcosa di caldo solleticarmi il collo. E capii, che si era ancora una volta vendicato su di me. Mi aveva usata e gettata come una vecchia bambola di pezza.
Mi toccai il collo con due dite per poi accostarle agli occhi.
Sangue.
Non potevo crederci che mi aveva ripagato con la stessa monete.
Guardai il suo volto che era trionfante ma anche il mio non era da meno. In una mano avevo il suo di sangue.
-Te l’ha mai detto nessuno che sei  un uomo brutale?- gli dissi ricorrendo a parole che avevo già usato per descriverlo.
-Una ragazza davvero bella e coraggiosa. Non so se la conosci.- mi rispose regalandomi un sorriso vero.
-Forse.- risposi e mi allontanai.
Questa volta senza che nessuno tentasse di fermarmi.
 
***
 
Se c’era una cosa che odiavo era forse l’alcol. Perché con esso in circolo, non riuscivo più a comandare su me stessa. E lo avevo capito solo quella sera ,quando mi avevano detto che tra gli intrepidi si usa salutare un amico sbronzandosi. Era una cosa da pazzi, ma d’altronde niente era normale qui.
Ma la cosa che odiavo di più del l’alcol era forse Taylor e la suo ossessione compulsiva nei confronti di Eric.
Quella tizia gli si era appiccicata anche se si capiva dalla faccia di Eric che era stufo di lei e della sua parlantina ancora più compulsiva. Una cosa che avevo notato nell’alcol però, era che mi spingeva a fare cose sia buone che quelle cattive, e si spiegava anche il motivo perché mi ero alzata e stavo andando in direzione di quella troia del cazzo a dirgliene veramente quattro.
Ma poi apparve improvvisamente sul mio cammino Brian con una bottiglia in mano di quel liquido ambrato, e cominciò a parlare anche se avevo la sensazione che lui fosse lontano kilometri da me perché la sua voce arrivava alle mie orecchie come ovattata.
-Non sei abbastanza ubriaca Sheena, dovresti bere un altro bicchiere di questo.- e mi porse la bottiglia.
-Non ne voglio più.- biascicai quelle parole mentre allontanavo la bottiglia dai miei occhi.
Quando mi girai per guardare Eric e Taylor sentii  come trenta lamette entrare nel mio stomaco trafiggendo tutto quello che c’era sul loro cammino. E poi ci furono gli occhi che si riempirono di lacrime e il mio cervello che non riuscì a fermarle, ma tanto non me ne fregava più niente ormai. Vedere Eric sbaciucchiarsi quella troia per l’ennesima volta mi destabilizzava e mi faceva incazzare. Ed ero stanca, tanto stanca di capire tutti e tutti, quando nessuno cercava di capire me. Nessuno lo faceva o forse qualcuno c’era, ma io ero troppo impegnata a rincorrere qualcuno che non pensava minimamente a me.
Sentii poi due braccia abbracciarmi e non c’era nemmeno un  perché da domandarsi quando si trattava di Brian. Forse guardando quegli occhi così nocciola e così profondi, capii perché gli diedi così tanta fiducia, lui era l’unico che sapeva capirmi, come Eric che era l’unica persona che non mi faceva mai smettere di respirare.





Lo so.
Sono in un ritardo gigantesco e mi scuso per questo ma come sempre la scuola mi toglie molto tempo.
Va beh, scusate per gli evenuali errori e ringrazio tutte quelle persone che seguono la storia e che la recensiscono.
Un bacione a tutte voi.
Ps.Recensite se vi va, fa sempre piacere ricevere recensioni anche critiche.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. ***






 





















Capitolo 12.



DIE BURIED ALIVE.



Camminavo svelta lungo il corridoio freddo che collegava la camerata alla mensa.
Come sempre ero in ritardo.
Non riuscivo proprio ad arrivare in orario almeno una mattina.
Svoltai l’angolo e mi ritrovai davanti all’immensa entrata della mensa, così presi fiato, mi ricomposi per non far vedere agli altri che non stavo correndo perché magari ero ritardo, ed entrai.
Come sempre la prima cosa che mi accolse fu la confusione, poi il rumore assordante delle posate che sbattevano sui piatti ed infine Brian che urlava il mio nome e che mi ricordava che ero per l’ennesima volta in ritardo, facendo attirare l’attenzione di tutti su di me.
Fantastico.
Potevo vedere anche il rossore sulle mie guance.
-Allora dato che anche la ritardataria è arrivata, che ne dite di muoverci ed andare alla postazione dell’ultimo modulo?- disse Brian rivolgendomi uno dei suoi sorrisi più belli e stronzi.
-Io non ho ancora mangiato!- replicai come una bambina a cui non viene data l’ultima fetta di torta sul vassoio.
-Svegliati prima Sheena. Non possiamo sempre arrivare in ritardo per causa tua!- mi rispose con tono annoiato, Helena.
-Ehi! Ma tu non eri un’abnegante?- gli chiesi con tono scherzoso mentre portavo una mano su un fianco e piegavo la tasta di lato.
Lei di tutta risposta mi trafisse con uno sguardo. Era forse arrabbiata con me? Cosa le avevo mai fatto di così tremendo da trattarmi in questo modo? Se non arrivare in ritardo?
-Va beh, ci vediamo lì- troncai la discussione che ero certa, stava per nascere. Mi guardai intorno in cerca di James.
-Se cerchi James è nel tavolo con i capifazione.- mi aiutò una voce alle mie spalle che riconobbi come Ian.
Gli sorrisi dolcemente come per ringraziarlo dell’aiuto e poi tutti gli altri mi salutarono e se ne andarono.
Perfetto la giornata cominciava meravigliosamente. Ma il pensiero di dover andare a sedere con gli altri capifazione tra cui Eric e la sua amichetta, mi turbava. Al solo pensiero di loro due che si baciavano sentivo la pelle andare a fuoco e i capelli drizzarsi per la rabbia.
Mi avvicinai con cautela al tavolo e poi da dietro toccai delicatamente una spalla di James. Lui che stava ridendo fino ad un minuto prima, smise e  poi mi guardò, e come scioccato mi invitò a sedere di fronte a lui.
Purtroppo vicino a me c’era Eric.
Dannato destino e dannato lui.
Mentre mangiavo un semplice cornetto, sentii una mano toccarmi il ginocchio per poi risalire fino alla coscia.  Mi irrigidii all’istante, ma anche se lui se ne era accorto, non fece niente per togliere la mano da sopra la coscia così decisi che anche io mi sarei presa una bella vendetta.
Girai appena appena la testa, giusto per vedere se mi stava guardando ma niente.
Allora decisi di avvicinarmi piano piano a lui.
Quando gli fui abbastanza vicino, mi sporsi e con voce sensuale gli sussurrai all’orecchio
 “guarda che la coscia della tua amichetta è dall’altra parte. Qui c’è solo una povera pazza con un fisico da mozzare il fiato anche al più brutale degli uomini”
Di tutta risposta lui strinse ancora di più la presa sulla mia coscia ed io dovetti appellarmi a tutta la forza di cui disponevo per non tradirmi con la faccia, altrimenti tutti avrebbero saputo che stavo andando in iperventilazione per colpa di Eric.
Sapevo che avevo decisamente esagerato con l’ultima parte, ma la vendetta era un piatto che doveva essere servito freddo, no?
“allora vorrà dire che un giorno di questi mi farai vedere tutto questo sexappeal. Nel frattempo se non ti muovi, penso che il prossimo pasto lo consumerai direttamente dagli esclusi” mi rispose con tono [come sempre] vezzeggiativo. Accennando anche ad un crudele sorrisino.
Mi aveva per l’ennesima volta  umiliata.
Ma questa volta, spostai la sua mano e mi alzai non prima di aver detto a James che mi sarei incamminata dagli altri.
-Buona fortuna, Sheena.- mi bloccai quando sentii la sua voce, quella voce che odiavo più della morte. Era Taylor che con superbia mi augurava qualcosa di cui sperava vivamente che non accadesse. Non mi girai nemmeno, me ne andai senza rispondere. Non ne vale nemmeno un minuto della mia vita. La odiavo ed il motivo era palese per me, per lei ma anche per Eric.
Ad un tratto mi resi conto di una cosa. Ma come avevo fatto a non capirlo prima?
Quando gli altri mi parlavano di Eric, o meglio le altre, loro raccontavano di lui come un uomo che usava le donne. E che non se ne rendeva conto di quanto fortunato era ad avere tutte quelle ragazze attorno. Dal mio canto invece rispondevo che lui era solo un poveretto in continua cerca di attenzione. Ovviamente erano tutte cavolate. Perché io mi ero innamorata di Eric, quello che era sincero ma non meschino con me, quello brutale ma che sapeva spesso essere romantico, anche se non lo dava a vedere. Soprattutto nei momenti in cui mi diceva che ero bella, cosa non vera.
Ma poi arrivava la parte in cui faceva lo stronzo, egocentrico, megalomane e disinteressato uomo Capofazione che può avere tutto dalla vita, di cui non gli importa niente di una semplice iniziata per lo più ex Pacifica.
Ed era proprio in quel momento che tutte le cose brutte che avevo detto su di lui, diventavano vere, per non parlare di quanto facesse male vederlo ridire e “scherzare” con le altre ragazze, che aimè, erano molto più desiderabili di me, con un fisico più spigoloso che formoso, anche se si intravedevano dei piccoli miglioramenti in materia di massa muscolare.
Mi fermai di botto.
Dannata me, perché non ci avevo pensato prima?
Se ad Eric importava qualcosa di me però non lo dava a vedere. E perché questo? Semplice.
Lui faceva lo stronzo con me, solo per allontanarmi, solo per allontanarsi da me.
Dovevo assolutamente scoprire il perché.
La giornata stava via, via migliorando.
***
Il secondo modulo era ufficialmente cominciato.
Questo voleva dire che tra due settimane esatte noi tutti saremmo stati a conoscenza se restare da intrepidi e quindi iniziare una vera e propria vita qui, dimenticando il passato e con esso tutto i guai, gli incidenti, gli affetti.
Oppure se vivere la nostra vita nella miseria più assoluta, da ripudiati, da persona che nella società contano meno di zero, da esclusi.
Il primo ad entrare fu il primo della classifica: Brian.
Erano passati venti minuti quando Quattro chiamò il secondo nome ovvero James che ci mise veramente poco, 12 minuti. E poi tutti gli altri, arrivando poi a chiamare me.
Sinceramente non ne sapevo molto su questa parte dell’iniziazione, si okay dovevamo affrontare le nostre paure, ma fino a che punto ci saremmo spinti? Avremmo forse involontariamente rivelato i nostri più oscuri segreti?
Vedere per credere.
Entrai.
La stanza era asettica, niente di niente. Se non una scrivania con r collegato sopra una macchina che poteva forse essere un computer e una poltrona da dentista.
Mi disse di accomodarmi sulla poltrona e mi posizionò dei cavi sulla testa.
Poi estrasse una siringa.
All’interno si poteva vedere chiaramente il liquido ambrato.
Un brivido mi percorse lungo la schiena.
Odiavo le siringhe ed odiavo maggiormente  non sapere di che sostanza stavano per ingerirmi nel corpo.
-Scopriti il collo Sheena. Devo iniettarti questo.- irruppe il silenzio Quattro mentre, sempre con il suo sguardo serio, mi mostrava la siringa scuotendola giusto un po’
-Appunto stavo giusto per chiederti…di che cosa si tratta? Sai non voglio essere sedata. Non si può mai essere tranquilli se uno è drogato. Poi non potrebbe rispondere delle azioni che compie.-oddio stavo parlando a raffica, segno che ero nervosa.
-Che c’è Sheena? Sei forse spaventata da una siringa? Sai che quello che stai per affrontare può essere anche peggio di una semplice ignizione.- come dargli torto, aveva pienamente ragione. Comunque sia, mi scrollai di testa l’idea che  potessero drogarmi, e lasciai il collo libero.
Sentii l’ago entrare nella gola e poi il liquido entrare in circolo in tutto il corpo.
-Sii coraggiosa, credo in te.- furono le ultime parole che sentii, perché poi caddi in trans.
Quando mi risvegliai mi ritrovai seduta sul mio vecchio letto, nella mia vecchia stanza e nelle mia vecchia fazione. Riconobbi il tappeto rosso, le tende color grano ed infine il mio armadio di quercia con un anta rotta a causa di un gioco pericoloso che io e mio fratello Travis ci divertivamo a fare quando avevamo 7 anni.
Travis.
Con quel pensiero mi riscossi subito.
Mi alzai velocemente e cominciai a gridare il nome di Travis ovunque, ma quello che rispose fu solo il rumore improvviso di una finestra aperta sbattuta a causa del vento.
Allora comincia a chiamare mio padre ma niente. Nemmeno sta volta nessuna risposta.
Mi mossi e mi avvicinai alla porta, ma non si apriva. Sembrava quasi che qualcuno l’avesse chiusa da fuori.
Poi improvvisamente sentii dei passi scricchiolare sul pavimento di legno.
Mi girai di scatto per vedere se fosse mio fratello o mio padre.
Invece ad attendermi fu mia madre.
Le corsi incontro mentre le lacrime ormai senza controllo mi solcavano il viso pallido.
Ma poi qualcosa cambiò, il suo viso cambiò.
Dal collo cominciò ad uscire sangue come se qualcuno gli avesse tagliato la gola, i suoi occhi divennero cerulei ed infine il suo viso pallido.
Era morta per la seconda volta.
Quando credevo che lei fosse tornata da me, se n’era andata di nuovo e senza dirmi niente.
Il suo corpo ormai sanguinante a terra con i capelli rossicci sparsi per terra.
Capelli rossicci.
Mia madre non aveva mai avuto i capelli ricci, sempre e solo neri, proprio come i miei.
Era un allucinazione e lo avevo capito. Avevo capito anche di quale paura si trattasse.
Nel periodo in cui mia madre era morta, io non riuscivo proprio a credere che lei se ne fosse andata per sempre, così nella mia mente nacque l’assurda idea che lei un giorno di quelli sarebbe tronata da me, che mi avrebbe pettinato i capelli o che mi avrebbe insegnato a cucinare.
Poi si faceva largo il ricordo del suo corpo a terra e la pura che lei potesse tornare ed andarsene di nuovo, mi faceva venire certi attacchi di panico nella quale mio fratello era costretto a dormire con me.
E adesso quella stupida paura si era materializzata sotto i miei occhi.
Feci un bel respiro, mi abbassai fino a toccargli la guancia insanguinata e piangendo un’ultima lacrima gli dissi:
-Addio per sempre mamma.- e poi sparì. Come la casa, la fazione e si fece tutto nero.


Quando riaprii gli occhi e cercai di rialzarmi, non ci riuscii perché andai a sbattere contro qualcosa. Allora appoggia una mano per cercare di capire cosa fosse e dal contatto con la superfici mal levigata capii che era legno. Poi appoggiai entrambi i palmi delle mani su di essa e cercai di metterci tutta la forza possibile per cercare di togliermela di dosso.
Dato che era impossibile, allora rotolai su un fianco e cercai di uscire da lì.
Niente. Anche li ad impedirmi di sgusciare via c’era un’altra base di legno.
Allora per provare che la mia idea era giusta, allungai una mano dalla parte destra e anche li c’era una base di legno.
Realizzai che ero dentro una bara. Ero sotterrata viva. Il mio incubo peggiore si era realizzato e non sapevo come fare dato che la paura aveva già congelato il mio cervello.
Ero bloccata, ma non perché non potessi muovermi. Anzi ,anche se lo spazio era quello che era, io riuscivo a fare piccoli movimenti. Ma la paura ormai era entrata a circolare in tutto il corpo, mi aveva sopraffatta, mi stava annientando ed io non potevo permettermelo, quindi cominciai a respirare e a cercare un piano per poter uscire da lì.
E qui veniva il bello.
Come si fa ad uscire da un posto in cui nessuno può sentirti?
In un posto forse posto sotto terra?
Passai in rassegna il piano di urlare a squarcia gola, avrei sprecato solo fiato.
Battere i pugni sul legno del coperchio non sarebbe servito.
Ma se invece di battere i pugni, sarebbe stato proprio il mio corpo a fare da martello?
Sapevo che il mio piano faceva acqua da tutte le parti, ma era l’unico modo che conoscessi per uscire da lì.
Così presi coraggio, un bel respiro e mi misi su un fianco.
Con la spalla sinistra cominciai ad andare contro il coperchio.
Niente.
Allora cambiai fianco e cominciai con la destra a dare colpi.
Continuai  per minuti che sembravano ore ed infine mentre mi ridistesi supina per riprendere fiato, notai un piccolo foro a destra del coperchio. Doveva essere il foro per far entrare l’aria, cosa al quanto strana se ti trovavi ad almeno 10 metri sotto terra.
Una lampadina si accese nel mio cervellino: dovevo in qualche modo allargare il foro.
Come fare?
Beh per prima cosa provai a vedere se avevo per caso un coltello anche di dimensioni ridotte nella tasca laterale dei pantaloni, ma niente.
Allora decisi che avrei dovuto optare per le mani.
Cominciai ad allargare il buco con le dita staccando dei pezzettini alla volta.
Il problema fu che dopo poco le mani cominciarono a fare male, i diti erano tutti indolenziti e sanguinanti. Però non mi fermai ormai ce l’avevo quasi fatta.
Quando il foro era diventata abbastanza largo da permettere al braccio di penetrare fuori, allora mi fermai.
Mi fermai per qualche minuto, giusto il tempo di non farmi venire un attacco di panico proprio in quel stramaledetto momento e poi con la mano ben salda, diedi un pugno contro il foro. L’effetto non fu quello che avevo previsto così fui costretta a dare altri pugni, ed ancora, ancora fino a quando  le nocche divennero rosse, e poi sanguinanti. Ma finalmente il foro si era allargato e si era definitivamente aperto, tant’è che dovetti coprirmi gli occhi perché una luce accecante stava tagliando fuori l’oscurità che fino a quel momento mi aveva attanagliato.
Quando riaprii gli occhi però, non mi trovavo più nella bara, ma ero tornata nella stanza dove c’era Quattro che mi guardava come se fossi il prossimo agnellino sacrificale.
-Perfetto Sheena. Il tuo tempo è stato il migliore.- esordì sorridendomi.
Stava sorridendo. Stava sorridendo a me. Era davvero grave la situazione allora.
-ah si…- riuscii a dire solo queste due stupidissime parole e con una voce e tono che non mi appartenevano proprio. Dovevo assolutamente riprendermi. Così aggiunsi: -Quanto è stato il mio punteggio?-
e lui tutto sorriso smagliante mi rispose 9 minuti. Perfetto. Mi dissi. Se volevo un riscatto questo sarebbe stato il momento giusto.
Quattro mi disse di uscire dalla porta posteriore, che si trovava proprio al lato della scrivania.
Una volta uscita, mi ritrovai in un ulteriore stanza dove c’erano anche gli altri che avevano fatto la prova prima di me. guardai un po’ tutti e poi mi soffermai sul sorriso smagliante di James. Eh beh, da brava stronza come ero mi andai a sedere vicino a lui, così giusto per fargli capire che Sheena era diventata ufficialmente un tassello minaccioso per la sua conquista al potere.
Sentendo gli altri parlare però, capii che non era finita qui, anzi quelle paure che avevamo dovuto affrontare rappresentavano solo l’inizio di quel macabro gioco, e che la mia paura più grande stava per tornare, per emergere di nuovo più viva che mai.
Sentendomi debole, stanca e soprattutto desiderosa di piangere in anticipo, chiesi a Tris se potevo allontanarmi. Lei capendo che non stavo affatto bene, mi lasciò uscire.
Non me lo feci ripetere due volte, andai verso la porta, la aprii con veemenza e me ne andai nel mio nascondiglio, il tunnel mal illuminato di fronte  la stanza di Eric.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. ***


Capitolo 13.





Durante tutta quella mattinata libera concessaci dopo il giorno prima, io e Brian decidemmo di andare a fare un nuovo tatuaggio. (ed ennesimo tatuaggio per lui, dato che si era ricoperto le braccia e non c’era rimasta quasi più spazio)
Quando entrammo nello studio, ad accoglierci c’era Tori seduta su una sedia di un  rosso fuoco.
Il posto era sempre lo stesso. C’erano pareti grigie come la roccia del pozzo, lettini e tutto era contornato dal rumore elettronico delle macchinette al lavoro e dal profumo del disinfettante. Ma la particolarità di quel posto stava nella stanza dei quadri cioè un angolo adibito a scegliere quale dei tatuaggi appesi alle parete ti piacesse di più per poi ritrovartelo sulla pelle per sempre.
Tori alzò lo sguardo nel momento in cui ci avvicinammo alla sedia e il suo viso da pensieroso e distante, divenne immediatamente solare, anche se i suoi occhi non abbandonavano quella preoccupazione di poco prima. Noi, da bravi ragazzi, ricambiammo il sorriso.
-Allora ragazzi, cosa ci fate qui?- esordì lei.
-Tatuaggio per entrambi.- risposi con un alzata di testa.
-Per te Sheena sarà facile trovare uno spazio libero, ma per il tuo amico, a meno che non lo voglia in quella zona dove non batte il sole(lo disse facendo l’occhiolino), non saprei proprio dove metterglielo, Brian ormai, è diventato l’intrepido più tatuato di tutta la fazione.- quando finì scoppiammo tutti in una fragorosa risata.
-Beh, dimentichi che ci sono ancora le gambe.- rispose Brian, facendo a sua volta un occhiolino.
-Va bene. Sapete già cosa volete?- ci chiese con quei suoi grandi occhioni color dell’ambra leggermente a mandorla. Tori era una ragazza Asiatica di bell’aspetto. Era alta, aveva le sue curve non troppo pronunciate e il suo viso tondo contornato da bellissimi capelli castani. Era veramente una delizia.
-Io si.- risposi.
-Okay allora seguimi, tu Brian andrai da Mike, aspetta che finisca il suo cliente e poi toccherà a te.- disse e fece una leggera pressione dietro la mia schiena con la sua solita delicatezza, giusto per farmi capire di precederla ad andare nella stanzetta.
Quando arrivammo lì, gli spiegai cosa avevo in mente.
Volevo un tatuaggio che mi coprisse tutta la schiena.  Volevo che fosse particolare ma soprattutto, non banale. Quindi gli dissi che desideravo farmi tatuare tutti i simboli delle cinque fazioni ma essi  dovevano essere uniti da dei ghirigori che rappresentassero  le venature di una mano, in modo più tribale. Ecco tribale era la parola giusta. Quando glielo dissi sembrò entusiasta e così, cominciò a mettersi a lavoro.
Mi tolsi la felpa e mi sdraia sulla poltroncina a pancia in giù. Lei poi sciolse il gancetto al reggiseno e cominciò a passare il freddo disinfettante su tutta la schiena. Il contrasto tra la mia pelle calda e il disinfettante freddo, mi procurò leggeri brividi, ma poi cessarono e la mia schiena come la mia pelle prendeva fuoco ogni qualvolta quell’affare andava a colorare la mia pelle diafana.
Avevo la pelle che bruciava, il dolore che la posizione mi procurava al seno e per finire in bellezza, le mani e i piedi intorpiditi. Ad un certo punto però, il ronzio di quell’aggeggio malefico della macchinetta elettrica cesso. Il silenzio fu però spezzato da una sedia che veniva tirata indietro e dei passi pesanti sul pavimento che si allontanavano. Era sicuramente Tori che si era fermata e che se ne era andata chi sa dove.
Perfetto.
Io ero in quella schifosissima posizione e lei pensava bene di andarsene.
Girai leggermente la testa per vedere se Tori era ancora nei paraggi oppure se ne era veramente andata, eh si se ne era andata. Poi però, vidi un ombra sulla lastra splendente di pietra che fungeva da pavimento ma aveva qualcosa di strano. Quella non poteva essere di certo l’ombra di Tori. Lei aveva capelli lunghi, l’ombra invece aveva capelli corti con una muscolatura evidente e ben piazzata. Ma non poteva essere di certo Brian, non era così muscoloso, allora chi diamine era?
Non ebbi il tempo di aprire bocca quando la figura cominciò a passarmi un dito sulla schiena scoperta procurandomi leggeri brividi di freddo. Mi irrigidii all’istante e cercai di fermarlo con la mano. Anche se quei movimenti circolari mi stavano piacendo un sacco, tant’è che mi morsi anche il labbro inferiore per tenere a freno i miei ormoni di sedicenne, lo fermai prendendogli il polso.
La figura mi strattonò la mano liberandosi dalla mia stretta poco forte e decise di prendere la sedia e sedersi. A quel punto mi innervosii e un coraggio mai avuto, mi permise di alzarmi da quella posizione, prima di girarmi mi assicurai però che non si vedesse niente delle mie nudità, insomma non ero entusiasta all’idea che mi vedesse nuda, nemmeno mio padre mi aveva visto in quelle condizione.
Quando girai lo sguardo seduto sulla sedia mi ritrovai  un Eric sulla cui faccia alleggiava un sorrisetto soddisfatto e da perfetto pervertito cui era.
Io strinsi gli occhi a fessura ma poi, per non dargliela vinta e per fargli vedere che non ero incazzata per i suoi modi di fare, gli regalai un sorriso, anche se nella mia mente le immagini di me che ero sopra di lui mentre lo strangolavo mi piacquero di più.
-Bello il tuo nuovo tatuaggio, se non sapessi chi fossi penserei a te come una Divergente.- mi disse raddrizzandosi sulla sedia mentre mi trafiggeva con gli occhi. Per lo meno aveva imparato a non guardare in posti non ancora accessibili per lui.
Oddio avevo appena pensato a non ancora. Stavo impazzendo. Lo desideravo.  Desideravo andare  a letto con uno stronzo ma pur sempre sexy.
Scacciai quei pensieri scotendo la testa.
-Spiritoso. Piuttosto dato che sei qui, che ne dici se mi allacci il gancetto del reggiseno, in fondo è facile, invece di slacciarli come fai di solito, fai il contrario.- gli dissi facendo l’espressione di una bambina saputella, un erudita insomma. Ignorando volutamente la sua battuta poco felice di poco prima.
Lui si irrigidì e si fece ancora più dritto con la schiena. Che stava succedendo? Anzi, cosa gli stava succedendo? Era forse imbarazzo quello sulla sua faccia? Oddio non potevo crederci che il freddo e glaciale Eric potesse provare anche un sentimento come quello. Quelle erano scoperte che non capitavano mica tutti i giorni.
Ad un tratto, come se si fosse ripreso, si alzò e venne lentamente verso di me.
Si fermò ad un passo dal mio viso. Io allora decisi di alzare lo sguarda dalla maglietta nera aderente che metteva in mostra tutto il suo fisico di lottatore professionista e portai il mio sguardo sul collo tatuato, poi sulle labbra ed infine su quegli occhi grigi, i più belli che avessi mai visto.
Dannato lui e quei suoi meravigliosi occhi che mi facevano uscire di binario tutte le volte.
Lui si abbasso di poco facendo incontrare ancora di più i nostri sguardi e far toccare i nostri respiri.
Poi con un gesto lento  portò quelle labbra, che avrei tanto desiderato baciare fino a non avere più ossigeno nei polmoni, vicino al mio orecchio.
-Magiari se ti giri posso agganciarti l’arnese di cui parli.- mi prese.
Chiusi istintivamente gli occhi e mi girai altrettanto lentamente.   
Avrei voluto scavare una fossa e mettermici dentro, così giusto per restare in tema con la mia precedente paura. Provavo un imbarazzo assurdo e stavo maledicendo la mia lingua biforcuta, che non perdeva mai il momento per stare zitta. Ma cosa mi era venuto in mente?
Sentii le sua mani sfiorami i fianchi e poi con una delicatezza inaudita, una delicatezza che non avrei mai creduto appartenesse a Eric, prese le due estremità del reggiseno e lo riagganciò. Adesso capivo quelle ragazze che sbavavano per lui. Tutte quelle ragazze che sbavavano per lui.
Quell’imbarazzo fu sostituito dalla gelosia. Gelosia per tutte quelle ragazze che avevano avuto la fortuna di toccare e stare in una stanza da sole con Eric, anche per solo cinque minuti, nei quali minuti Eric gli aveva concesso tutta la sua attenzione. E poi una tristezza per la dura verità che mi colse in pieno. Io non ero che una stupida ragazzina trasfazione, forse tra poco un  Intrepida, che  non sapeva cosa fare della sua vita e che non era a coscienza di sé, e della sue doti. Che non sapeva chi fosse ma sapeva solo da dove proveniva. Che ama un fratello più della sua stessa vita e che se avesse potuto gliela avrebbe donata.
Una ragazzina che non riusciva a dislegarsi dal passato poiché viveva ancora dentro di esso, un passato felice con un padre ed una madre che l’amavano, ma che qualcuno gli aveva portata .
Come avevo fatto ad arrivare a quel punto proprio non lo sapevo, ma dovetti asciugarmi in fretta quella lacrima che scese sul mio viso. Chiusi per la millesima volta gli occhi e tornai ad essere la Sheena giocosa e sorridente di sempre.
Mi alzai per andare a prendere la felpa ma Eric, che era ancora dietro di me, me lo impedì.
Circondò la mia pancia fino ad abbracciare i miei fianchi e mi attirò a se. Mise poi il viso nei miei capelli aspirandone forse, il profumo. Io sbarrai gli occhi e rimasi interdetta per un minuto. Lui, capendo forse che quel gesto non mi piacesse per niente, cercò di togliere il braccio dalla pancia ma io glielo impedii mettendo una mano su quel braccio pieno di tatuaggi. E sorrisi.
-Non toglierlo…- feci in un sussurro sperando che non mi avesse sentito.
-Okay..- mi rispose lui con una voce roca che non gli apparteneva per niente.
Rimanemmo così per vari minuti ad accarezzare quel silenzio che ci accompagnava sempre quando eravamo insieme, anche se delle volte era colmato dai nostri sguardi vogliosi e desiderosi di noi, ma sapevamo che quello era impossibile per due persone diverse tra loro.
Eric era spavaldo e pieno di se. Ma soprattutto Eric era un capofazione, il mio capofazione.
Uno che aveva sempre saputo fin da l’inizio quello che sarebbe diventato e che aveva speso tutto il tempo durante l’iniziazione a realizzare al meglio quell’obbiettivo. Anche se un ragazzo di origine Abneganti lo aveva battuto all’ultimo momento diventando il più bravo, arrivando perfino primo nella classifica e chiudendo l’iniziazione in bellezza: solo quattro paure. Un record mai avuto nella storia della fazione.
Pensando a Quattro, mi venne in mente che non eravamo proprio soli e che Tori sarebbe tornata da un momento all’altro.
-Eric…-
-No shh, Tori non tornerà perché gli ho detto che avevo bisogno urgentemente di parlarti e che quindi avevo bisogno di un ora.- mi zitti mentre prese a darmi dei bacetti sul collo. Io istintivamente tirai indietro il collo.
Avevo bisogno di vederlo quindi mi girai verso di lui incastrando le mie gambe tra il suo bacino. Lui non perse tempo e cominciò a baciarmi. Poi lentamente mi fece distendere sul lettino e sali sopra di me appoggiando i gomiti vicino alla mia testa. Io misi le mani sul suo collo e lo avvicinai ancora di più verso di me. Fu quando però Eric morse il mio labbro inferiore che tornai alla normalità, uscendo da quella bolla fatta di passione.
Smisi di toccarlo distendendo le braccia lungo i miei fianchi. Ovviamente lui se ne accorse e senza dire una parola scese da sopra di me e si risedette sulla sedia. Io mi alzai e presi la felpa nera.
Ero terrorizzata dall’idea che noi due, sdraiati su quel lettino, immersi dalla passione che quel bacio ci stava dando, saremmo diventati una cosa sola. Cioè intendiamoci,  avevo capito di amarlo e gli avrei dato la mia l’anima, il mio corpo e cuore a lui, ma non mi sembrava il momento opportuno. In fin de conti io avevo bisogno di una persona che mi stesse vicino e che mi supportasse nei momenti più delicati e soprattutto che, sapendo la mia storia non se ne sarebbe andata ma sarebbe restata e mi avrebbe guarito, o meglio, guarito la mia anima. E se dobbiamo dirla proprio tutta, per me era stato un passo avanti quello di stare sotto di lui, senza maglietta e soprattutto che avevo lasciato che le sue mani vagassero libere sul mio corpo.
Perciò se Eric mi voleva veramente, doveva solo aspettare.
-Sono venuto qua, per parlarti veramente, Sheena.- disse lui con lo sguardo puntato sui propri anfibi neri.
Che stronzo non riusciva nemmeno a guardarmi in faccia.
Ecosì arrivò quella mazzata tra capo e il collo che avevo tanto desiderato non arrivasse mai, ed invece eccoci di nuovo a pezzi.
Dovevo aspettarmelo che era venuto per un motivo serio e non per passare del tempo con me.
In quel momento non odiavo lui, ma odiavo me stessa. La me che si faceva sempre troppi sogni ad occhi aperti.
E pure ci avevo sperato con tutta me stessa  che era venuto li per me, che magari mi aveva sentito parlare da fuori e che aveva pensato di entrare e stare con me.  ma ormai piangere sul latte versato non serviva a niente ed io non avrei mai imparato a capirlo veramente. Non avrei mai imparato a stragli lontana ed ad allontanarlo.
-Dimmi.- risposi io alzando la testa e guardandolo nei suoi occhi, occhi però che non riuscivano a guardare, a guardare me. Si schiarì la voce e poi cominciò a parlare anche se non avevo per niente voglia di starmene li ad ascoltare le sue parole, ero troppo arrabbiata con me.
-Ho visto che ieri hai superato la prova brillantemente ed hai superato perfino Quattro in fatto di paure.-
-Già…- risposi io distogliendo gli occhi da lui e puntandoli sulla parete.  Stavo per piangere e non volevo che mi vedesse perché poi avrebbe pensato che non fossi forte abbastanza. Non volevo dargliela vinta.
Passarono alcuni minuti in cui non solo stemmo in assoluto silenzio, ma non riuscimmo nemmeno a guardarci in faccia.
Essendo stufa di quella situazione in cui ci trovavamo, decisi di rompere quel silenzio e di scappare via da quella stanza fatta di assordante rumore elettrico e puzza di disinfettante, per andare a nascondermi nel mio piccolo antro di solitudine. Stavo ricominciando ad odiare gli uomini e tutto grazie a lui.
-Beh se non hai niente altro da dirmi io andrei, che tra poco comincia il test.-
-Beh una cosa ci sarebbe…- mi rispose e per la prima volta riuscì a guardarmi negli occhi. E così continuò.
-Non ho mai omesso che tu mi piacessi…-
-Non me lo hai mai detto.- risposi io più velenose che mai.
-Okay avrò usato altre parole ma…-
-Se le parole “sei mia” sono il tuo modo di dire ad una ragazza che ti piace, beh amico stai sbagliando di grosso.- a qual punto, quando lo fermai anche la seconda volta, si arrabbio e il suo viso da rilassato divenne furioso e si avvicinò a me.
Ci stavamo guardando negli occhi.
Lui mi inceneriva con il suo sguardo e io facevo altrettanto.
Poi mi prese un braccio e me lo strinse talmente tanto forte da farmi uscire dalla bocca un lamento tutt’altro che flebile.
Io però ero arrabbiata e adesso anche ferita nell’orgoglio. Quel gesto stava a significare che lui era più forte di me e che quindi mi prevaricava.
La mia risposta fu altrettanto rabbiosa quanto dolorosa per lui.
Gli sorrisi e poi gli sferrai un bel calcio sui suoi testicoli.
L’effetto fu immediato tanto quanto il dolore che non tardò ad arrivare.
Mi sentivo forte e soprattutto sentivo di aver riacquistato quella dignità che mi abbandonava quando ero con lui. Sentivo come che quel bacio, quel bacio pieno che ci eravamo dati fino a qualche minuto prima, ero l’ultimo, almeno fino a quando io e lui, non fossimo diventati qualcosa e fino a quando lui, non mi avesse dimostrato più rispetto.
-Troia che non sei altro, giuro che se ti prendo…- non lo lasciai finire che gli alzai il viso con un dito.
-Se ti prendo cosa?!? Mi picchierai come si fa ad un cavallo ribelle. Io non sono come quelle troie che ti scopi sia chiara questa cosa. Io sono Sheena, una ragazza che da oggi in avanti non si lascerà trattare da te, come un oggetto usa e getta. Io sono una cazzo di donna con dei fottuti principi.- e detto questo girai i tacchi, mi avvicinai al bancone per il pagamento dei tatuaggi e lascia i gettoni necessari per pagare il tatuaggio.
Mi aveva fatto odiare anche quello.
Ma questa volta non mi sarei di certo lasciata accasciare come facevo di solito. Sarei stata più forte di lui.

Uscita dalla tatuatrice andai in camera.
Quando entrai nella stanza vi trovai Brian che sorrideva come un pesce lesso ad una ragazza dai capelli verdi. Gli passai a fianco e fece finta di non vedermi, ma lo vidi con la coda degli occhi che stava bleffando e forse potevo intuire anche il perché.
Quella ragazza doveva essere Alice, quella per cui aveva una cotta.
Era davvero bella con quegli occhi marroni e con quei capelli verdi lunghi dalla parte sinistra e rasati dalla parte destra. Anche se era minuta, emanava una potente energia, era qualcosa che ti faceva rabbrividire e lo si intuiva dal modo in cui ti guardava, perché ti studiava. All’inizio pensai che ce l’avesse con me, ma a quanto pare era un suo modo di fare. Come per proteggersi lei ti guardava dritta negli occhi e ti sfidava con lo sguardo. A pensarci bene quei due erano fatti l’uno per l’altra. Sorrisi e raggiunsi il bagno. Quando uscii dal bagno lavata e pulita, mi accorsi dall’orologio sopra la parete che era ora di andare a pranzo. Così mi incamminai lungo il corridoio e raggiunsi la mensa. Quando entrai vidi che al tavolo dove ero solita sedere non c’era Brian e dato che stavo attraversando un periodo difficile con Helena, decisi di deviare ed andare da James che sedeva con il fratello nel tavolo dei Capifazione.
Mi avvicinai a Jimbo e lo abbracciai da dietro. Sentivo che la sua di amicizia invece era sempre stata vera fin dall’inizio, lui mi capiva e mi rispettava, ma soprattutto credeva in me. anche se Brian mi aveva aiutato molto negli ultimi tempi sentivo però che era sempre frenato da qualcosa e non sapevo se questo qualcosa era una bella cosa oppure era brutta.
Mi sedetti vicino a lui e comincia a mangiare.
Quel giorno il menu prevedeva patate al forno e hamburger.
Guardando quelle patate sentii una stretta allo stomaco. Quei prodotti avevano il sapore del sudore e della fatica che mio fratello aveva buttato per farle crescere mentre a me toccava il compito più facile cioè mangiarle e basta. Sentii qualcuno ridacchiare e quando alzai il viso mi si materializzo davanti un James sorridente. Poi capii che stavo guardando quelle patate in modo triste e venne da ridere anche a me. Dovevo controllare di più i pensieri che si intrecciavano nella mia testa.
-Allora Sheena ho sentito che hai stracciato anche Quattro.- mi disse mentre mi rivolgeva un sorriso apprensivo e pieno di orgoglio nei miei confronti ed io non potei che rivolgergli un sorriso di ringraziamento.
-Già…- 
Sapevo, anzi sapevamo benissimo che affrontare le mie paure non era come affrontare le sue. Per lui era tutto più semplice perché non gli erano successe quelle cose brutte che cambiano la vita. Cose che erano successe a me e che lui sapeva benissimo perché la totale fiducia nei suoi confronti mi avevano portato a raccontargli tutto. 
James era l’unico a conoscere la mia storia e l’unico sarebbe rimasto, almeno lo speravo.

Sono nata in una famiglia di Pacifici.
Mio padre è un membro del consiglio mentre mia madre era l’addetta alla mensa scolastica.
I miei erano entrambi nati nella stessa fazione, e si conobbero proprio durante l’iniziazione quando decisero di rimanere ai loro posti e di continuare con quello che avevano iniziato, poiché entrambi  non amavano lasciare le cose a metà.
Così, finita l’iniziazione ed essere diventati pacifici a tutti gli effetti, decisero all’età di venti anni, di mettere su famiglia e di avere dei figli.
Le cose però tardarono ad arrivare ed infatti dopo cinque anni, arrivammo io e mio fratello a completare quel quadro che era già perfetto.
Quello che uscì prima dalla pancia di mia madre fu mio fratello che misero nome Travis, perché piaceva ad entrambi, ma quando l’ostetrica dell’ospedale  informò i miei che la notte sarebbe stata lunga, mia madre pianse dalla gioia nel sapere che aveva dentro di se un ‘altro bambino. E così dopo quattro ore di travaglio nacqui io. Tutti si aspettavano che fossi un altro maschio, ed invece ero una piccola e fragile bambina di due chili. Mi diedero nome Sheena come la canzone dei Ramones, una band che piaceva ad entrambi i miei genitori e perché mia madre sentiva che ero già una ribelle, poiché ero stata tutti quei mesi nascosta dietro mio fratello. Cosa ci fosse in quello di ribelle me lo ero sempre chiesta, però a mia madre non lo dissi mai, e adesso non ne avevo nemmeno più la possibilità.

La mia infanzia passò felice tra un gioco e l’altro. Mia madre mi insegnò ad essere sempre buona e gentile, mio padre a far sentire in modo pacifico la mia voce.  Avevo però quella sensazione che quella  non fosse la mia vera indole. Avevo voglia di fare sempre esperienze nuove, ero in continua lotta con me stessa e con la voglia di andare oltre alle cose che la fazione mi offriva. Ma era proprio nei momenti in cui salivo sul gradino più alto, o mi arrampicavo su un albero, sentivo che stavo bene con me stessa. Sentivo il sangue diventare adrenalina pura e il vento sugli occhi diventare la mia anima.
Quando arrivò l’adolescenza quel senso di andare oltre, quella necessità che era stata la protagonista della mia infanzia svanì.
Avevo dieci anni quando per causa di qualcuno avevo voglia solo di appagare le mie sofferenze con la morte.

Avevo dieci anni ed avevo iniziato da poco la prima media. Come di consuetudine tutti i ragazzi delle fazione andavano a scuola insieme senza alcuna distinzione. Ovviamente all’interno della classe chi spiccava maggiormente erano proprio gli Eruditi. E come di consuetudine quest’ultimi avevano uno strano odio tramandato da generazione verso gli Abneganti i quali troppo gentili come erano, si lasciavano prendere in giro tranquillamente.
La cosa bella è che loro erano snob nei confronti un po’ di tutti. Ce l’avevano con i Candidi perché li trovavano spesso maleducati solo perché non ci pensavano due volte a dirti quello che pensavano di te, ce l’avevano con gli intrepidi perché li trovavano fuori luogo e troppo spensierati, per non dire scimmie saltatrici di treni con tanto di tatuaggi e piercing, ed infine ce l’avevano anche con noi pacifici perché dicevano che eravamo solo dei “fricchettoni drogati che pensavano solo a suonare la chitarra e a non fare niente”. In sostanza si dichiaravano gli unici esseri ed essere utili per la salvezza di quella specie.
Quella  sera però, stavo tornando a casa con mia madre a piedi perché avevamo perso l’ultimo pullman che conduceva dalla scuola a casa nostra. Mia madre come tutti i martedì sera era costretta a rimanere di più a scuola per mettere a posto il carico del cibo che arrivava per la mensa scolastica. Quella sera però aveva fatto più tardi del previsto.
Decidemmo così di prendere la via che portava alla ruota panoramica perché da lì poi la strada sarebbe stata più illuminata. Il problema della strada della ruota era che c’era un gran pezzo da  fare al buio perché il comune aveva deciso che per motivi di spreco l’illuminazione andava tagliata.
Così io e mia madre ci addentrammo in quella selva buia ed oscura.
Ad un tratto sentimmo però delle voci e quando ci girammo ci trovammo davanti due esclusi che ci stavano fissando come si fissa una preda che sta per essere intrappolata e mangiata.
In quel momento sentii il cuore battere a mille, la fronte e le mani sudare freddo mentre la faccia di mia madre era diventata come un lenzuolo bianco. E poi successe tutto in un attimo.
Io mi ritrovai stesa per terra con la testa che faceva male mentre al mio fianco era stesa mia madre con gli occhi vitrei e la gola piena di sangue.
Gli esclusi non erano due ma tre. Così il terzo quando mi colpì con una mazza sulla testa per farmi svenire non dandomi il tempo nemmeno di rendermi conto di quello che stava succedendo, aveva poi preso mia madre che aveva urlato con tutta se stessa per me e per salvarci, e con un gesto freddo e glaciale, contornò il suo collo con un grosso coltello fino a far zampillare via tutto il sangue dal corpo esule della mia povera mamma. Mi violentarono in uno dei modi più barbari che ci fossero sulla faccia della terra. Come gli animali più feroci sanno fare. Due mi tenevano e l’altro faceva tutto il lavoro di rendermi donna quando donna ancora non ero poiché non potevo esserlo. Mi ritrovò un intrepido che si occupava della vigilanza delle strade e mi portò in ospedale.
Gli anni che seguirono dopo furono i più tremendi. Una pacifica che era depressa, uno spettacolo che piacque a tutti tant’è che quegli amici che credevo tali se ne andarono lasciandomi nel mio dolore e nella mia solitudine. Fu grazie alla forza di mio madre e alla cocciutaggine di mio fratello se oggi sono la donna che sono diventata.
Sapevo che la vicenda sarebbe tornata più viva che mai nei miei incubi e la cosa mi terrorizzava, però questa volta l’avrei affrontata per loro, per tutte quelle persone che credono in me.





Nota dell'autrice.
Lo so sono in un ritardo pazzesco ma sono stata impegnata con la scuola.
AnyWay sono andata al Romics il 12 di aprile ed ho visto una coppia di Tris e Quattro che erano davvero carini.
Dato che il 18 parto per l'EXPO devo per forza di cosa aggiungere oggi il capitolo altrimenti non saprei quando farlo.
Grazie come sempre a tutte le persone che seguono la storia e a tutte quelle belle personcine che hanno recensito il capitolo precedente.
Alla prossima.
<3
ps. ho modificato il capitolo 6 dove diceva che la mamma era morta da 10 anni. perdonate è stato un mio errore.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. ***



Capitolo 14.







Ci sono persone che nella vita ti lasciano un segno indelebile, un segno che nemmeno la peggiore eruzione di un vulcano può cancellare. Quelle sono le persone che reputi i tuoi amici per la pelle, anzi no, che reputi fratelli non sanguigni.
L’amico fratello è la persona che entra in punta di piedi nella tua vita ed è con lui, proprio con lui, che non hai bisogno di spendere parole perché ci pensano gli occhi a farlo. Ed è un amore strano quasi indelebile ma che si fa sentire.
E poi ci sono quegli amori fatti di passione e cattiveria, di sangue marcio e labbra screpolate, di abrasioni causate dal freddo, di ossa rotte e cuori pulsanti, di respiri tristi e inafferrabili. 
Questi sono gli amori impossibili, che come la ginestra, nascono nei posti più impensabili.
Cosa c’è di bello in loro?
Il bello sta che essi sono tenuti nascosti, che nascono dagli sguardi più o meno sensibili, tra persone diverse e muoiono incatenati nel cuore. In essi non c’è differenza tra quello che è bello o brutto, perché sarà sempre bello agli occhi dell’amato.
Quello è il vero amore. E la violenza con cui esso si spinge dentro di tè è così radicale, così dolorosa che non puoi sottrarti ad esso ed a quel punto, non ti resta che accettare.
Era quello per me Eric.
E ci ero arrivata solo adesso, mentre lo guardavo con quella sua mascella pulita e contratta e con quegli arti minacciosi, ma che sapevano trasportarti in paradiso se solo lo volevano, solo sfiorandoti.
Guardarlo faceva ogni volta muovere qualcosa nel mio intestino. Era qualcosa di incredibile che non avevo mai provato prima d’ora. Ma faceva anche un male assurdo.
Lui era così lui. Perfetto nelle sue imperfezioni, scontroso e sfuggente.
Ad un tratto nella mensa fece il suo ingresso Taylor la rossa con tutte le sue curve pronunciate a posto, con quei capelli tinti e quegli occhi da predatrice che si posavano su di lui.
Ed io, mentre la guardavo fare il polipo con lui, mi si spezzavano le ossa in piccoli pezzi mentre la mia pelle bruciava di una cocente e violenta gelosia.
Mentre il suo sguardo vagava su Eric, ad un tratto però , quegli stessi occhi si posarono nei miei.
Non era di certo uno sguardo amichevole, ma uno di quei sguardi che volevano dirti che lei aveva vinto, mentre io, beh io perso.
“Guarda con chi è Eric adesso, ragazzina”.
Era questo quello che trasmettevano.
Sapevo che avevo perso quella battaglia nel momento in cui Eric era entrato dalla tatuatrice.
Mi aveva regalato un ultimo bacio e poi, come tutti fanno nella mia vita, se ne era andato.
Una lacrime rigò il mio viso ma l’asciugai prima che toccasse la maglietta. Odiavo farmi vedere debole.
-È bello non è vero?-
La persona che aveva appena pronunciato quelle parole aveva lunghi capelli color del grano, due occhi verdi come lo smeraldo,  una maglia nera troppo larga per il suo fisico magro ma troppo corta per essere indossata come vestito perché il signore gli aveva donato delle gambe davvero lunghe.
Caroline.
La ragazza per i quali gli uomini avrebbero venduto le proprie madri per stare anche un minuto da soli con lei.
-Chi?- risposi a Caroline facendo finta di niente.
-Non fare la finta tonta con me ragazzina. Odio che mi prende in giro.- mi rispose con poca grazia.
-Si, lo è.- risposi fredda mentre la fila si muoveva. Diedi quella risposta più per finire la conversazione che stava prendendo una piega al quanto strana.
E faceva anche tremendamente male.
-C’è una persona che vorrebbe vederti.- mi disse all’orecchio come se fosse uno dei segreti più belli da custodire.
-Chi?.- risposi un po’ pensierosa mentre la mia mente vagava da un volto all’altro.
-Sei una cosa di Eric, quindi tecnicamente spetta a lui autorizzare la cosa.-
-Io non so un oggetto. Non appartengo a nessuno se non a me stessa.- gli dissi contraendo la mascella.
-Certamente. Io intendevo per quanto riguarda la tua iniziazione.- ridacchiò.
Rossa. Ecco come diventai. Un pomodoro maturo. E la cosa si accelerò quando mi ritrovai gli occhi di tutti i presenti puntati su di noi.
-Eric!- urlò lei.
Eric venne poi verso di noi.
Il mio cuore accelerò di mille batti e le mani cominciarono a sudare.
-Che c’è biondina?- il tono della sua voce era molto scocciata, come se lo avessimo disturbato nel momento più bello. Un moto di disgusto salì dallo stomaco fino ad arrivare alla bocca.
E faceva male, molto male.
La verità mi si piantò in faccio: si divertiva parecchio con quella troia e che questa ne era la prova.
Oppure faceva così solo per il gusto di ferirmi.
-La ragazza qui, ha delle visite. Devi autorizzare il tutto.- e mentre lo diceva poggiò le sue fredde e lunghe mani sulle mie spalle.
E finalmente ebbe il coraggio di guardarmi.
-Okay…- disse questo e poi fece un cenno del capo così che io potessi seguirlo. Cosa che feci.
Il viaggio dalla mensa al suo ufficio fu davvero la cosa più imbarazzante mai provata prima.
Lui non disse una parola e non mi guardò nemmeno per caso.
Io non dissi una parola ma lo fissavo con la coda dell’occhio.
Penso che se ne accorse ma non disse comunque una parola.


Arrivati nel suo ufficio, aprì la porta e senza spendere -anche questa volta una singola sillaba – entrammo.
Mi si mozzò il fiato in gola quando vidi che ad attendermi c’era  Johanna.
Ma la cosa che più mi preoccupava erano i suoi occhi che cercavano di nascondere, con un sorriso, una strana tristezza quasi pena. Ecco si pena. I suoi occhi nascondevano la pena.
Cosa stava succedendo?
-Sheena se oggi sono qui è perché devo parlarti di una questione urgente che ti riguarda appieno.- e poi parlò. Le sue parole uscirono dalla sua bocca come dei sospiri strozzati mentre io, che cominciava a venire su quel magone, non riuscii più a parlare ma a fare solo gesti. Feci si con la testa e lei riprese a parlare.
-Tuo padre Sheena, non sta bene. Non voleva dirtelo ma tuo fratello ha tanto insistito e quindi ho pensato bene di venirtelo a dire, in fondo è un tuo diritto. Adesso è in ospedale ma non so se puoi vederlo.-
Mio padre.
Mio padre non sta bene.
Ed ecco che davanti agli occhi mi si materializzo lo scenario della paura di questa mattina dove nel soggiorno ad attendermi non c’era mia madre ma mio padre.
Odoro di dopobarba, la vecchia poltrona rossa, il giornale, le frittelle con lo sciroppo di mele, le litigate, le lacrime, il dolore, il lago, i sorrisi, i capelli brizzolati, il caffè e il suo odore, mio fratello, io, mia madre, lui e il silenzio. Tanto silenzio a colmare il frastuono delle mie grida silenziose. A coprire i ricordi passati.
Qualcuno continuò a parlare forse era Eric o forse era ancora Johanna.  A me non importava. Nemmeno li sentivo più. Tutto ciò che avevo di mio padre erano ricordi. Quello mi restava. Anche se sarei andata in ospedale a vederlo, sarebbe rimasto dentro di me quel ricordo di lui morente, che era troppo attaccato a quella vita che gli aveva riservato solo grandi delusioni e dolori e felicità. Questo rimaneva di mio padre.
Cosa siamo se non terra che ritorna nel manto materno.
Però anche se non era ancora veramente morto, sapevo che se mio fratello aveva voluto che lo sapessi era solo per preparami.
Come ci si può preparare a queste cose? Queste cose accadono e basta e tu devi necessariamente abbracciarle e non lasciare che esse ti divorino. Prendere consapevolezza che una persona non ci sarà più fisicamente è diverso dal far rivivere la sua memoria nei ricordi di una vita. Il passato va dimenticato per lasciare spazio al futuro. Quelli che dicono così non sanno cosa vuol dire avere una persona che ami morta nel tuo orrendo passato. Perché in quel caso cerchi di vivere nel passato e nel futuro senza veramente vivere.
Era veramente tanto che io non vivevo, solo con Eric ero riuscita a vedere uno scorcio di luce del futuro, ma poi erano ripiombate le tenebre ed era tornato il passato.
Nel frattempo mi ero accovacciata a terra con le mani premute negli orecchi.
Volevo il silenzio, ma i pensieri erano troppo numerosi e le lacrime troppo salate.
Odiavo farmi vedere debole davanti agli altri.
La mia mente era un turbine di pensieri e ricordo dai quali non sapevo scindere verità o falsità.
La mia mente non ci credeva che mio padre stesse per morire.
Non voleva lasciarlo andare.
Qualcuno mi prese e mi fece sedere su un divano. Poi mi abbracciarono e mi baciarono la testa. Qualcuno aveva aperto la porta e aveva lasciato la stanza. Qualcun altro era entrato ma aveva visto la situazione ed aveva deciso di uscire di nuovo.
Quel qualcuno che mi stringeva dolcemente altri non era che Eric.
Con i suoi capelli color dell’ambra, portati indietro e tenuti da una montagna di gelatina, tipica acconciatura degli Eruditi e di chi era andato avanti anche se un pezzetto di lui era rimasto indietro.
La forza che ostentava in questo istante sembrava averlo abbandonata. I suoi occhi cristallini mi dicevano che era pronto a darmi amore se solo io lo avessi voluto.
Certo che lo voglio. Voglio ogni singola parte di te. Voglio poter essere come te. Ma non lo sono ed in questo momento l’unica cosa che voglio è riavere indietro mio padre. E voglio vendere la mia anima  al diavolo per poterlo vedere sorridente almeno per un ultima volta. No non deve essere l’ultima. Cazzo no! E io come vivo senza il mio dolce ed adorato papà. Come faccio a riviverlo nei ricordi. Come si fa a rivivere una persona nei ricordi. Fermati e spiegamelo, insegnamelo. E poi forse potrò lasciarti andare. Mio adorato padre.
Questo avrei voluto dire ma l’unica cosa che feci fu lasciargli un piccolo bacio sulla punta delle labbra e stringermi di più al suo corpo caldo e protettivo. Speravo che avesse compreso la mia risposta silenziosa.
-Dammi amore.-
Sputai fuori dopo interminabili minuti dove il silenzio veniva interrotto dai miei singhiozzi strozzati.
Quelle due parole che uscirono solo in quel momento ma che avrei tanto voluto vomitare fuori tempo prima. Non era il momento e pure per me lo era. Non avevo mai avuto bisogno di una persona come in questo maledetto momento.
-Cosa?- fu la sua parola. L’unica cosa che sapeva dire era un “cosa”. Non si sbilanciava mai, non provava proprio mai il brivido di buttarsi su qual cosa anche se era pericolosa.  Ma i suoi occhi dicevano il contrario della sua bocca. I suoi occhi mi indugiavano a fare il primo passo.
-Ho detto che devi darmi amore. In questo momento. Oggi perché domani può essere già troppo tardi. Eric io ti amo come non ho mai amato nessuno nella mia vita. Anzi io non ho proprio amato nessuno. Ma tu sei tu. E perciò ti dico amami, così che io possa ripagarti con la stessa moneta.- eccole le parole che a fiumi salivano su ed uscivano dalla mia bocca.
-Non posso. Non possiamo e lo sai anche tu.-
-Io so solo che sei stato la mia cura e che se solo lo volessi io potrei essere la tua.-
Lui sospirò.
-E se anche accettassi non è una cosa lecita, andremmo contro le regole.-
-Fammi capire un capofazione non può sposarsi? Se non mi vuoi dillo e b…- non terminai la frase che le sue labbra avide si abbatterono contro di me con una tale forza che fui costretta a sorreggermi alla sua schiena.
Ad un certo punto si staccò da me, si alzò e mi tese la mano.
Non sapevo cosa volesse fare però la totale e inspiegabile fiducia che avevo nei suoi confronti mi spinse ad alzarmi da quel divano e seguirlo.
Quando afferrai la sua calda e grande mano lui mi sorrise e sussurrò un flebile andiamo.
Ci ritrovammo a correre inseguendo il treno, a saltare su di esso e a scalare la grande ruota panoramica.
Arrivammo più in alto della volta precedente dove la vista era ancora più bella.
Potevo vedere quell’immensa città diventare piccola sotto i miei piedi, con le case bianche e semplici degli Abneganti, quelle super tecnologiche degli Eruditi con le relative macchine, il palazzone rosso degli Intrepidi, l’immensa prateria dei Pacifici e uno scorcio del mondo fuori delle mura.
Chi sa cosa c’era lì.
Penso che ognuno di noi almeno una volta nella vita se lo sia sempre chiesto ma non ottenendo risposta.
-È bellissima la vista da qui.- ruppi quel silenzio che era diventato ormai insostenibile.
-Già.- mi rispose poco convinto.
-Non ho mai ripudiato la mia famiglia.- quando pronunciò quelle parole girai di scatto la testa e lo guardai con occhi sgranati.
Si stava aprendo a me e di conseguenza avrei dovuto fare lo stesso anche io, ma io ero pronta come lo era lui?
Decisi di non pensarci e di continuare a far finta di niente.
-Sono stati loro a farlo con me.- continuò senza però guardarmi.
-E perché?- chiesi come una piccola bambina ingenua.
Finalmente però mi guardò ma il tutto durò solo un istante perché riportò lo sguardo verso la città.
-Perché non hanno mai accettato la mia vera natura. Sai prima di essere un Intrepido ero un Erudito.-
E si fermò.
Stavo per chiedergli cosa gli fosse accaduto di così grave che lo aveva portato a cambiare quattro anni fa idea, ma non potei farlo.
I suoi occhi così dannatamente profondi e blu brillavano di una luce che non gli apparteneva e chiedevano silenzio. Ed io lo accontentai subito.
-Un giorno, non oggi, mi racconterai di te, di tua madre e di tuo padre, adesso però scendiamo, voglio dire addio a mio padre.- non lo guardai mai, guardai però quell’immenso palazzo bianco dove mio padre ci stava lasciando una parte di lui. Quella parte che mi sarei ripresa.
Il vento mi scompigliava i capelli, mi asciugava gli occhi e mi seccava le labbra.
Il vento che portava via le parole sussurrate, le grida di gioia ma anche quelle di dolore.
Il vento che conserva i segreti più intimi degli amanti.
Il vento che alleggerisce i cuori intrisi di benzina e sangue.
Quando arrivammo davanti all’ospedale dentro di me si riaccese quel focolaio di tristezza, e così quando entrammo fu Eric che chiese della stanza di mio padre.
La sua stanza si trovava al terzo piano, ci dissero che la visita sarebbe dovuta durare cinque minuti ma essendo mio padre un malato terminale potevo restarci anche dieci minuti.
Cancro terminale ai polmoni.
Era lì da ben tre giorni e io non ne sapevo niente.
Fu però quando entrai in quella stanza e quando vidi che mio fratello era vicino alla finestra mentre piangeva, capii che non avrebbe superato la notte e che si stava spegnendo lentamente, allora il mio corpo si fece in mille piccoli pezzi.
Gli andai vicino e quando mi riconobbe la smorfia di dolore sul suo viso divenne un dolce e flebile sorriso.
-Papà…- riuscii solo a dire prima di scoppiare a piangere.
-Ciao Sheena come stai?- non ce la feci più e mi buttai singhiozzando su di lui, tra le sue braccia proprio come quando ero bambina e avevo paura.
-Non andartene ho bisogno di te.-
-Si che ce la fai.-
-No, invece. Tu sei il mio papà ed io ho un disperato bisogno di te.- urlai come una bambina viziata.
-Si che ce la fai. Sei più forte di quanto pensi e l’esser venuta fin qua ne è stata la dimostrazione. Tu però promettimi che ti prenderai cura di tuo fratello. Che vi prenderete cura l’uno dell’altro, anche se avete scelto di vivere due vite diverse. Lui ha bisogno di qualcuno e dato che tu hai già qualcuno pronto a difenderti lui no, ha solo te.- disse riferendosi a Eric che nel frattempo era rimasto sulla porta e poi mi girai verso Travis che silenziosamente continuava a piangere e rifugiarsi in se stesso.
-Te lo prometto.- dissi tirando su con il naso.
Rimasi un po’ con lui a parlare dei vecchi tempi, questo ed altro per ricordarlo con il sorriso.
Poi però venne il momento di tornare  a casa ma prima di lasciare la stanza mio padre aggiunse qualcos’altro.
-Sheena prima che tu te ne vada, volevo dirti che sono sempre stato fiero di te, e che lo sarò anche da la su, qualsiasi decisione tu prenda, ricordati che avrei sempre il mio appoggio. Un'altra cosa, forse quella più importante. Nella nostra vita che in qualche modo si è intrecciata, abbiamo conosciuto cosa vuol dire la parola dolore, ma quello Sheena è uno dei tanti ostacoli che la vita di mette di fronte per affrontarli, è un test che abbiamo risolto con disinvoltura dire, ma ci sono test che cercano di cambiarti ed è per questo che ti dico che non devi cambiare per nessuno e per nessun motivo al mondo.- detto questo il suo respiro di venne ancora più flebile e quindi decisi che era ora di lasciar riposare mio padre, tanto sarei ritornata domani. Gli dissi che gli volevo bene e che glie ne avrei sempre voluto, salutai mio fratello e insieme ad Eric ritornai a casa, dagli intrepidi.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15. ***






 

Capitolo 15.





Mio padre superò la notte ma non l’alba.
Il suo funerale fu come tutti i funerali a cui avevo partecipato, ma con qualcosa che lo diversificava.
Il vuoto dentro di me.
Non provavo nemmeno dolore, era come se il mio corpo si fosse svuotato di tutte quelle sensazioni che fanno parte della natura umana.
In me erano uscite e silenziosamente si erano andate a calcificare intorno al legno lucido della bara di mio padre, che mentre veniva coperta di terra fino a scomparire dalla visuale umana, anche le mie emozione, le mie sensazioni erano state sotterrate con essa.
Non riuscivo nemmeno a piangere.
Non vedevo più nemmeno gli sguardi degli altri.
Proprio non mi importava più di niente.
Quando tornai alla residenza degli intrepidi rimasi tutto il giorno a letto senza voler parlare con qualcuno.
E così quel giorno era passato e con due ore di sonno alla spalle ero arrivata al giorno dopo.
Feci tutte le cose che facevo normalmente ogni mattina.
Mi alzai, presi alcuni vestiti puliti e mi diressi in bagno perché il mio corpo aveva un disperato bisogno di lavarsi.
Aprii la porta e la richiusi facendo movimenti lenti quasi avessi paura che qualcuno mi sentissi.
Ma la verità era che per poter entrare nella doccia dovevo passare davanti allo specchio e questo mi faceva paura.
Però lo feci.
Così cominciai a camminare lentamente arrivando poi davanti l’oggetto del diavolo.
Chi sa come ero ridotta.
Ero irriconoscibile. Il mio viso era irriconoscibile. Gli occhi erano spenti, non brillavano più come prima, come se mio padre si fosse portato via anche la speranza. Ed erano gonfi e rossi, per le troppe lacrime versate e come se tutto quello non bastava erano contornati da due occhiaie profonde.
La cosa che più mi spaventava del mio mutismo, erano le azioni che compivo solo per abitudine.
Ormai facevo le cose e nemmeno me ne accorgevo. Come adesso, mi stavo spogliando ma non ci facevo neppure caso. Ero diventata apatica.
Quando finii di fare la doccia e mi vestii, uscii dal bagno e mi diressi nella sala delle simulazioni.
Quando entrai nella sala mi sentii addosso gli occhi di tutti i presenti.
Perfetto stavano aspettando tutti mea quanto pare.
-Okay adesso che la signorina qui presente ci ha fatto l’onore di presentarsi, possiamo cominciare.-
Sempre il solito tono derisorio di Eric, e le sue frecciatine contornate dalle risatine dei presenti.
Non ci feci caso ed andai a sedermi vicino James che mi abbraccio a se.
-Allora in preparazione del test di domani, oggi la simulazione sarà un po’ differente. Quattro vi spiegherà cosa dovrete fare.-


Quando ci aveva detto che le cose sarebbero state diverse, non credevo che intendesse farci affrontare le paure dei nostri allenatori. Infatti le persone che si prestarono per questo esperimento furono Quattro e Tris, per gli iniziati trasfazione e Cristina e Will per quelli interni. A supervisionare il tutto c’erano Caroline ed Eric.
Quattro passò tra di noi con un capello da baseball contenente dei fogliettini, fogliettini che ognuno di noi doveva pescare e che gli comunicava se la paura fosse di Quattro o di Tris.
Io pescai il nome di Quattro.
Poi ci fecero entrare a turno nella sala delle simulazioni.
Quando fu il mio turno, Quattro mi comunicò che avrei affrontato l’altezza.
Io non avevo paura dell’altezza e quindi tirai un sonoro sospiro di sollievo
-Che c’è, non mi dirai che la sorte è a tuo favore?- mi chiese Quattro sorridendo, forse anche lui aveva sentito il mio sospiro.
-Mai.- risposi sarcastica sedendomi sulla poltrona reclinata.
Quando premette  lo stantuffo della siringa nella gola quello che mi ritrovai davanti fu un bellissimo spettacolo di una Chicago più ventosa che mai.
Un sole splendete la faceva da padrone su quel cielo azzurro senza uno spruzzo di bianco che ne occupava la visuale. Con i suoi raggi caldi che si andavano ad abbattere sui tetti delle case di Chicago. Potevo vedere in lontananza anche il lago. Era una tipica giornata estiva. Ma tutto sembrò mutare perché quando mi alzai in piedi un vento forte rispetto a quello iniziale della simulazione piacevole,  si alzò con me facendomi perdere l’equilibrio. E se in lontananza lo spettacolo delle case e dei palazzi era rassicurante, dall’altra lo spazio che divideva i miei piedi dal suolo era tutta un’altra maglia di roba. Ero davvero in alto, nemmeno quando mi arrampicavo da bambina riuscivo a raggiungere quel livello. Spostai poi lo sguardo sul piccolo ponte che mi divideva dal raggiungimento della meta e per un attimo mi sembrò così lungo e non molto stabile.
Ma comunque tronai in me (per quanto potessi), presi un bel respiro e cercai di muovere qualche passo anche se il vento era davvero forte.
Uno
Due
Tre
Quattro 
Cinque
Sei (persi l’equilibrio anche se riuscii a raddrizzarmi)
Sette
Otto
Nove
(Finalmente potevo vedere la fine del ponte mancavano pochi passi e c’ero quasi.)
Dieci
Undici
Dodici
Tirai un sospiro di sollievo quando toccai il pavimento cimentato sotto di me e non sentivo più nemmeno il vento sulla faccia, vento che mi stava facendo lacrimare. Almeno avevo la consapevolezza che sapevo ancora piangere.
Poi il vento cessò definitivamente, il cielo si fece bianco e il pavimento sotto i mei piedi scomparve. Ero tornata nella sala della simulazione ed ad attendermi c’era Quattro che con un sorriso tutto denti bianchi mi tendeva la mano.
Strabuzzai un po’ li occhi per la luce accecante, ma poi afferrai la sua mano e mi misi in piedi.
-Fantastico hai battuto ogni record possibile Sheena, un minuto e cinque secondi. Magari un giorno mi spiegherai come hai fatto.- mi sorrise ed io feci lo stesso, ma poi tornai alla mia espressione buia. Non ce l’ha facevo proprio. Non mi riusciva nemmeno di essere felice. Volevo solo piangere ma nemmeno quello più mi riusciva. Non una goccia. Nemmeno a causartela con la forza, nemmeno a pregarla o a rubarla.
Stavo impazzendo e non sapevo nemmeno cosa fare.
Il vuoto che mio padre aveva lasciato dentro di me era peggio di un buco nero senza fine.
-Un giorno te lo dirò.- risposi e uscii dalla stanza.
***
Era ora di pranzo così anche se il mio stomaco non sentiva la necessità di mangiare andai lo stesso in mensa per provare a farmela venire, magari anche guardando il cibo.
Quando entrai mi diressi diretta al buffet e presi un hamburger con una fetta di torta al cioccolato.
Poi raggiunsi il tavolo di James e come sempre mi sedetti vicino a lui.
-Ehy come ti è andato il test?- mi disse sempre sorridente mentre io cercavo invano di mettere in bocca un boccone di cibo. Niente. guardavo quel pezzettino tagliato di hamburger e mi saliva su una bile assurda. Così per cercare di non vomitare davanti a tutti, posai la forchetta ed aspettai qualche minuto prima di riprovarci.
James mi guardò ma non disse niente così risposi alla sua domanda.
-Bene, ho dovuto affrontare la paura dell’altezza a te invece?-
-Bene.- ma il suo sguardo si indurì. Quasi mi stesse studiando. Ma non aggiunse altro. lo ringrazia mentalmente per questo.
E rimanemmo in silenzio per un po’ mentre io mi guardavo intorno cercando di farmi nascere la voglia di mangiare. Cosa inutile, così ripresi in mano la forchetta come se fosse stata la sciabola da usare contro il nemico e me la portai in bocca. Repressi la voglia di vomitare e chiusi gli occhi mentre comincia a masticare il piccolo pezzo di hamburger che avevo tagliato. Masticai, masticai e masticai fino a quando il pezzo non scivolo giù insieme alla saliva. Almeno avevo messo qualcosa nello stomaco. E così continuai per altri tre quattro pezzo, poi però basta. La bile stava salendo di nuovo e non volevo vomitare  l’unica cosa che avevo messo nello stomaco dopo due giorni di interminabile astinenza dal cibo.
Passai così al dolce, ma dopo soltanto tre bocconi decisi di regalarla a James.
-Io vado.- dissi interrompendolo mentre parlava con un suo compagno e mi alzai.
-Dove ti posso trovare?- mi chiese bloccandomi il polso
-Al pozzo vado a chiedere in giro se qualcuno ha bisogno di un aiutante, sai com’è non tutti sono portati a fare il capofazione.- risposi un po’ troppo acida e usando un tono duro.
James annui solamente e mi lasciò andare ricominciando a parlare con il suo amico. Speravoche non ci fosse rimasto male. Non tanto per quello che avevo detto ma per il tono che avevo usato.
Mi chiusi la giacca e mi fiondai al ponzo speranzosa di trovare qualcuno che mi accettasse  a lavorare dopo che l’iniziazione si fosse conclusa.
Pensai che il posto ideale era il negozio di tatuaggi, quello di Tori. In fondo sapevo disegnare anche molto bene grazie a dei corsi che feci a scuola e ai pomeriggi passati in cameretta. Mi sembrò un idea carina.
Mentre scendevo le scale per andare da Tori la tatuatrice, mi accorsi in anticipo che vicino il bar del pozzo erano seduti Helena e Ian che chiacchieravano allegramente. Non volevo disturbarli, non volevo che la loro ironia finisse nel momento in cui Helena mi avesse visto. Perché lei ce l’aveva con me e io non ne avevo mai capito il perché. Ma la verità è che io non avevo fatto niente nemmeno per cercare di ricucire o quanto meno aggiustare il rapporto che si era venuto a creare nei primi giorni.
Dovevo per forza di cosa passare davanti al loro tavolo ed in effetti quando finii di scendere le scale e mi avviai da Tori fu proprio Ian a chiamarmi e così, fui costretta ad andare vicino lui.
-Ciao Ian, come sati?- e ci salutammo con un bacio sulla guancia.
-Ciao Sheena, volevamo farti le condoglianze. Insomma anche se hai scelto di essere qui con noi tra gli intrepidi questo non vuol dire ripudiare per sempre o non poter piangere per la morte della persona che più ti vuole bene.- disse tutte quelle parole con una tale leggerezza, non quella delle persone stupide ma quella delle persone che sono nate per stare li vicino a te ad asciugare le lacrime e a porgerti la spalla.
-Grazie- e con un sorriso sincero mi allontanai. Lui non cercò di fermarmi e nemmeno Helena.
Meglio così.
Entrai nel negozio di Tori e come sempre nell’aria alleggiava quell’odore di disinfettante ed inchiostro che mi piaceva già un sacco. Mi avvicinai al bancone dove ad attendermi c’era una ragazza bionda e riccia che era intenta a leggere un foglio.
-Ciao, sai dirmi dove posso trovare Tori?- chiesi gentilmente alla ragazza che alzò lo sguardo su di me mentre mangiucchiava la gommina della matita.
-Ciao anche a te, mi dispiace ma Tori non c’è. Oggi ha il giorno libero.- mi disse tornando ai fogli.
-Okay…- e dato il modo di fare della ragazza che in qualche modo mi stava chiedendo di andarmene se non serviva altro, mi allontanai e uscii fuori.
Perfetto sarei ritornata domani, finita la prova. Volevo e dovevo lavorare lì, questo era sicura.
Intanto la temperatura si stava facendo sempre più bassa e così mi strinsi ancora di più nella mia felpa.
Nel momento in cui richiusi la porta, ad attendermi sul portico c’era proprio l’ultima persona che mai mi sarei aspettata di trovare: Helena. La guardai davvero come se fosse un regalo inaspettato e così mi avvicinai a lei, con una certa allegria addosso.
-Ciao.- disse per rompere quel silenzio fatto di sguardi.
-Ciao. Come mai sei qui?- chiesi con un espressione sconvolta sulla faccia.
Mi aveva anche parlato per prima.
-Volevo farti le condoglianze… Quindi condoglianze.- e tentò di farmi un sorriso sincero.
-Okay, non sei qui solo per questo vero? Perché è così, è il momento perfetto per chiarire questo casino che si è creato tra di noi.- dissi tutto d’un fiato cominciando poi a chiarire e a recuperare quello che avevamo perso.
In effetto Helena aveva le sue buone ragioni per avercela con me.
In poche parole io non l’avevo considerata molto.
Aveva capito che avevo un debole per Eric e aspettava con ansia il momento in cui io glielo avessi detto, ma io ho preferito dirlo a Brian.
Non gli avevo neppure mai detto che con Brian era tutto finto.
Ma io d’altronde avevo le mie buone ragioni: non mi fidavo molto della migliori amiche a causa di quella stronza pacifica che per anni ho chiamato migliore amica ma che in effetti non era niente.
-Senti …che ne dici se per sugellare questa nostra rimpatriata andassimo a fare shopping? Ho saputo che domani ci sarà la festa per tutti i nuovi intrepidi e io, non so te, non ho niente da mettere, se non tute, tute e ancora tute.- mi disse ed io accettai con voglia.
Andammo a prendere i gettoni che ci avevano dato durante l’addestramento, e che io non avevo mai speso e andammo a comprare vestiti, trucchi e cose varie.
Al pozzo c’erano due negozi per vestiti da uomo e donna tra cui uno solo per l’attività fisica.
E vicino c’era anche quello per il make-up.
Il primo negozio in cui ci imbattemmo fu quello per trovare il vestito per la festa.
Nel negozio c’erano anche altre persone tutte  a parlottare tra di loro dell’imminente festa di domani e tutte li per trovare il vestito perfetto. Alcune lo sceglievano molto corto per trovare il ragazzo perfetto per la serata, solo per la serata. Ad altre per far venire un infarto al proprio ragazzo.
Noi avevamo intenzione di trovare qualcosa di adeguato alla nostra età e soprattutto che tenesse lontano gli indesiderati.
Mentre cercavo qualche vestito, sentii la voce di Taylor che sparlava allegramente con una sua amica di Eric. E così, come un cane fiuta l’odore del tartufo, io mi misi ad origliare con adeguatezza le sue parole.
-Beh ho notato che da qualche tempo è molto lontano da me.-
-Forse sarà il lavoro di allenatore, sai quanto odia fare il babysitter a quei coglioni di bambini.- e rise.
-No non è quello, perché comunque l’anno scorso lo facevamo sempre, ad ogni ora pure. No questa volta c’entra un'altra. E io so pure chi è.-
“perché comunque l’anno scorso lo facevamo sempre”
Una smorfia di disgusto  mi si dipinse sul volto e sperai che non mi avesse vista, ma era troppo impegnata a comprare il vestito perfetto quindi continuai ad origliare.
-Chi?- chiese l’amica con una voce da oca giuliva.
-L’iniziata pacifica. Non so cosa ci trovi in lei, è pure brutta.-
Come se lei fosse miss mondo. Ma per favore.
Intanto io continuavo la mia ricerca, ma la rabbia cominciò a montare e venire su.  Quindi anche se l’ascolto mi interessasse molto, dovevo allontanarmi, e pure al più presto, così andai da Helena che intanto aveva già trovato qualche vestito, al contrario di me.
-Hey che hai scelto?- mi chiese. Ma io non ci feci neppure caso, nella mia mente rimbombavano le sue parole, le parole di Taylor e non riuscivo a farle andare via.
-Sono così brutta?- gli chiesi e lei sembrò sorpresa di questa domanda tant’è che mi sorrise e scoppiò a ridere.
-No che non lo sei e lo sa pure Eric.- aveva capito benissimo e le sue parole riuscirono a caricarmi. Non che mi credessi bella. A pensarci bene Taylor aveva tutto quello che un uomo desiderasse dal corpo di una donna. Tutto. Cercai di farmela passare per non rovinare quella giornata con la mia amica.
Così ci mettemmo a provare una montagna di vestiti fino a quando gli occhi non mi caddero su un top davvero bello. Aveva uno scollo a v molto profondo ma era davvero perfetto, perché non era ne troppo casto ma nemmeno troppo da poco di buono, era sensuale. Ma non sapevo con cosa abbinarla, così mi feci aiutare dalla commessa che da esperta quale era, mi diedi una gonna a vita alta stretta nera tutta in finta pelle da abbinare ad un bellissimo chiodo da indossare sulle spalle e non dalle maniche. Mi convinsi che mi stava bene e così comprai il tutto con dei  stivaletti bassi in pelle lucida, i quali sulla destra avevano tra fibbie in argento e delle calze a reti, che non avrei messo.
Helena aveva optato per un vestito nero con maniche trasparenti e uno scollo sulla schiena, con dei decolté lucidi neri. Uscimmo da li e ci recammo nel negozio di make-up. Entrammo nel negozio e la puzza di cosmetici ci investì letteralmente per non parlare della voce squillante delle commesse che ci chiedevano, appena entrate se volessimo una mano, ma noi rispondemmo che non ci serviva.
Girovagammo un po’ per il negozio fermandoci davanti lo scaffale dei smalti.
-Guarda la scelta è ardua nero o bordeaux.- e scoppiammo a ridere alla mia battuta.
I colori erano quello che erano ma la fazione pure. I vestiti che avevamo scelto erano neri e quindi per smorzare il tutto cercammo di comprare uno smalto bordeaux. Per quanto riguardava gli occhi e la bocca fummo costretta a chiedere aiuto. La commessa ci consiglio di calcare la matita nera sotto gli occhi o di tracciare una linea ben definita con l’eyeliner.
Quando finalmente uscimmo da quel posto chiassoso e rumoroso, ci accorgemmo che era ora di andare a cena e soprattutto che avevamo passato tutto il pomeriggio a fare shopping.
Cosa che io non avevo mai fatto prima d’ora, ed era anche normale come cosa, dato che i vestiti tra i pacifici me li cucivo io e lo facevo anche per mio fratello e mio padre.
Tornammo nella camerata e posammo tutti i nostri acquisti del pomeriggio e poi ce ne andammo alla mensa.
Quando entrammo però dissi a Helena che sarei andata da James perché dovevo parlargli e così mi recai al tavolo dei capifazione.
Notai che Eric non era presente e non lo vedevo da questa mattina. Questa cosa mi preoccupava parecchio, soprattutto il non sapere dove fosse e con chi fosse.
Mi sedetti come sempre di fronte a James che stava mangiando un panino ripieno di tre hamburger e salse varie.
-Non ti sembra che hai messo poche salse, forse se aggiungessi anche questa…- e con un sorriso maligno gli spruzzai sulla faccia il ketchup  rimasto nel tubetto. Lui proprio non se l’aspettava e così gli andò tutto dentro a quell’enorme bocca batterica che si ritrovava. I scoppiai a ridere e lui rimase per un po’ sbigottito ma poi, assunse a sua volta un sorriso da sadico e con il ketchp che si era andato a impiastricciare sul vassoio, mi lavò la faccia con esso. Adesso puzzavo anche di Fast-food. Fantastico. Ero stata vittima del mio stesso gioco.
-Va beh, dopo che hai finito di mangiare quest’enormità di panino che ti sei fatto, devo parlarti- gli dissi pulendomi la faccia con un fazzoletto e tronando di colpo seria.
-Puoi farlo anche mentre mangiamo…ah già, tu non riesci nemmeno più ad ingoiare una briciola di pane. Avanti Sheena parla o te le caccio io le parole.-
Il tono che aveva usato non era dei più cordiali o amichevoli, anzi era stato davvero cattivo ma come biasimarlo, anche io se fossi stata al suo posto avrei fatto lo stesso. Anzi gli avrei urlato di mangiare tutto perfino le briciole nel piatto perché in quel modo non si poteva andare avanti.
Così, mi presi qualche minuto per cercare le parole adatte.
-Sono come un guscio di tartaruga, duro e forte, che cerca di proteggersi ad ogni tipo di attacco. Il problema è che la tartaruga ha già lasciato il guscio perché è come dire…morta.-
-Ti senti una morta che cammina?-
-In un certo senso si, ma la verità è che non riesco più a provare un’emozione, non uno di numero, solo la rabbia, ecco quella la sento e pure tanto. Quella stronza mi è rimasta attaccata e l’ho capito oggi, sai?-
-Qual è il nocciolo della questione Sheena? Che la morta di tuo padre ti abbia segnato profondamente  l’avevamo capito, almeno io, perché gli altri fanno finta di non vederlo. Ma che addirittura fossi arrivata a spegnere i tuoi sentimenti, questo non lo avrei mai creduto possibile.- e mi guardò dritto negli occhi. Ci potevi navigare dentro in essi e nemmeno te ne accorgevi.
-Tu non puoi capire, tu…- provai ma lui non mi fece finire.
-Mia madre è morta tempo fa questo ti basta? Ma al contrario di te, io mi sono lasciato andare, ho imparato a convivere con il dolore, non a fingere con me stesso che non esisteva o peggio, a sotterralo sotto una valanga di ricordi che poi si sono trasformati in rabbia crescente. Lo sai cosa penso?-
-Cosa?- chiesi retorica senza però riuscire a guardarlo.
-Che debba lasciarti andare, che debba provare qualcosa che ti faccia riaccendere quelle emozioni che tieni sotterrate, per non soffrire, ma che soprattutto, tu devi ritrovare uno stimolo, un emozione, chiamalo come cazzo ti pare, ma che ti faccia tornare a vivere. Ecco cosa penso. E se piangessi non farebbe male.-
Quello che aveva detto fino a quel momento erano tutte cose vero, cose che non avrei mai ammesso a me stessa ma che sapevo perfettamente, ed era anche per quello che avevo deciso di parlare con James, lui era la voce della mia coscienza, l’unico a capirmi.
-Ci ho provato, e riprovato ma niente.  È come se mi fossi dimenticata come si fa a piangere.-
James non rispose più, e intanto si era finito il panino e si puliva le mani. Poi improvvisamente si alzò ma prima di andarsene aggiunse –Sai benissimo come si fa, e sai benissimo a quale emozione mi riferisco.-
Io rimasi lì ancora un po’ interdetta mentre mi mettevo le mani nei capelli, poi sentii una voce alle mie spalle e qualcuno che poco garbatamente si sedette sulla panca, vicino a me. Alzai gli occhi, quel poco che basta per vedere chi fosse e mi ritrovai vicino Eric, che non mi degnava nemmeno di uno sguardo. C’eravamo solo io e lui. Nessun’altro era in quel tavolo.
- Sai Sheena, pensavo a quanto tempo risale il tuo ultimo pasto, non che me ne importi qualcosa, ma qui alleniamo soldati. I soldati devono essere forti e ben nutriti, ma soprattutto debbono lasciare fuori i loro affari privati ma concentrarsi solo sul loro maledetto operato. Come pensi di fare se non mangi?-
Non risposi ma sbuffai sonoramente. Decisi di alzarmi ma lui prontamente, senza smettere di guardare davanti a se, mi fermo con il braccio e stritolando il mio mi impose di risedermi. Poi si mise a cavalcione sulla panca e cominciò a spezzettare il cibo non piatto. Ma da parte mia, più vedevo quel cibo, e più il senso di nausea cresceva. Così respirai a fondo e cercai con tutta me stessa di non farmi vedere in quello stato.
-Apri quella cazzo di bocca o giuro che te la faccio aprire io a forza di schiaffi.- e così feci.
Aprii la bocca e cominciai a masticare il pezzettino di hamburger. Quando mandai giù lui prontamente mi ficcò con poca delicatezze il cibo in bocca. Al terzo fermai la mano.
-Faccio da sola.- e cercai di prendere la forchetta dalla mano di Eric. Ma lui niente.
-Porca troiai Eric! Mi stavo per strozzare e poi non ho bisogno di un babysitter!- dissi con il fuoco negli occhi.
Lui ridusse gli occhi a fessura e mi diede piatto e forchetta in mano.
-Ti conviene mangiare tutto, o domani ti tolgo dieci punti.-
E così cominciai, pezzetto dopo pezzetto avevo mangiato la metà delle cose presenti nel piatto, ma al settimo boccone dovetti mandar giù la bile che stava lentamente salendo dallo stomaco alla bocca e posai il piatto con la forchetta sul tavolo. Ma Eric la riprese e mi ficco in bocca quel ottavo boccone che io non riuscivo a mandare giù.
-Manda giù Sheena! Manda giù quel fottutissimo pezzetto di cibo. Oggi sono già incazzato di mio, non voglio arrovellarmi anche con te! Hai capito ragazzina! Devi finire tutto il cibo nel piatto, senza storie.-
-Ma vaffanculo mica sei mio padre, cazzo!- risposi in preda alla rabbia.
Allora lui mi mise una mano sulla bocca e un’altra dietro la schiena.
Il senso di impotenza mi invase. Il fatto che non potessi decidere per me, cosa mangiare o quando mangiare, mi faceva andare in bestia. E adesso anche se lui voleva aiutarmi, io il suo di aiuto non lo volevo. Volevo risolvere le cose da sola, per una volta.
Quasi senza accorgermene cominciai però a piangere.
Quelle lacrime che scendevano calde dal mio viso riuscirono a farmi ingoiare il boccone.
Fu però quando sentii l’assenza della mano di Eric sulla mia bocca che cominciai a singhiozzare.
Qualcosa dentro di me cominciò a sciogliersi, come se quel groviglio di ansie che si era venuto a creare in quei pochi giorni, si fosse definitivamente sciolto e avesse lasciato il posto a un po’ di serenità.
Eric mi guardò e non disse niente. Smise anche di farmi mangiare. Poi alzò una mano e con il pollice mi asciugò una lacrima che stava cadendo.  Disegnando dei contorni invisibili intorno alle mie occhiaie.
-Da quanto non dormi?-
-Ieri notte ho dormito solo due ore.-
-Ieri…l’altro ieri?-
-Niente…-
-Va a dormire. Domani è un giorno importante per te.- poi si alzò e se ne andò, lasciandomi lì, con il piatto ancora pieno e con una montagna di domande che avrei voluto rivolgergli.
Stanca di tutto decisi di andare a dormire.
E finalmente quella notte riuscii anche a dormire sette ore e a non avere incubi.





lo so, sono da lapidare ma se in inverno i miei impegni sono la scuola, in estate sono gli amici. 
Se può consolarvi ho già pronto il prossimo capitolo che posterò settimana prossima, sempre se trovo un misero spazio di tempo.
Grazie come sempre a tutte quelle persone che seguono la storia (dico solo 20 preferiti, ed io che credevo che nessuno avrebbe letto sto schifo di storia.) a cui voglio un mondo di bene e a chi recensisce(?).
Alla prossimaaaaaaaaaaa xoxo <3 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16. ***




Capitolo 16.







Sentivo una strana forza avvolgermi dentro. Finalmente, dopo aver dormito serenamente, mi sentivo veramente rilassata e in pace con me stessa. Le occhiai non erano però sparite ma il rossore si, quello se ne era andato. Avevo anche ripreso un po’ il colorito. Ero decisamente pronta per affrontare quell’ultima sfida.
A svegliarci però fu Quattro che passando tra i vari letti, cominciò a lanciare a destra e a sinistra le divise che avremmo dovuto indossare quel giorno.
La divisa consisteva in: una maglia bordeaux, dei pantaloni neri con tasche dissiminate un po' ovunque per i ragazzi, e con inserti in pelle per le donne ed infine una pesante giacca nera.
Tutti insonnoliti però, cominciammo a vestirci.
Vedevo le facce di tutti e mi sembrò di rivivere una sorta di déjà-vu. Mi sembrò per un attimo di rivedere anche Jude, che stava lì, fermo nella sua postazione a mangiucchiarsi le unghie già corte, con una smorfia di ansia disegnata sulla faccia.
Poi mi riprendevo e guardavo gli altri compagni, ma di lui nessuna traccia. Così con un moto di nostalgia, riprendevo a vestirmi.
Quando fummo tutti pronti ci avviammo insieme alla mensa e per alcuni di noi, anche per l’ultima volta.
Vidi James che era seduto nel tavolo insieme agli altri della sua camerata e così decisi di fare lo stesso anche io.
Mi sedetti vicino Brian che sembrava il più sereno di tutti. Tanto lo sapevamo tutti e lo sapeva anche lui che sarebbe stato il primo in classifica.
-Cosa prendi signorina?- mi chiese scherzosamente.
-Un caffè e un muffin, grazie.- risposi rivolgendogli un sorriso a trentadue denti.
Così si avviò verso e il buffet e ne tronò dopo poco con quello che avevo richiesto, più due fette di torta al cioccolato e un breakfast tea.
-Stavo pensando, cosa farai finita l’iniziazione?- gli chiesi tra un morso e l’altro.
-Credo che proverò con il centro di controllo. Sai il posto in cui lavora Quattro e per il resto vorrei anche io far parte degli allenatori. Te invece?- mi chiese.
-Non lo so, forse diventerò una tatuatrice oppure cercherò di entrare tra il gruppo di sorveglianza alla recensione. Ma penso che per quello ci voglia un brevetto o una sorta di specializzazione.- risposi.
-Scherzi la tatuatrice?!? E sai disegnare?- mi chiese scioccato ignorando il resto.
-Si!- risposi fiera di me.
-Allora verrò presto, voglio un tatuaggio tutto tuo.- rispose dandomi un buffetto sulla guancia.
-Chi è che secondo voi diventerà un capofazione?- chiesi anche per comunicare con gli altri.
-Secondo me James. Andiamo sarà proprio il padre che glielo lascerà come eredità.- rispose Ian con una nota di gelosia nella sua voce. Era naturale che tutti aspirassimo alla massima occupazione, ma non tutti potevano raggiungerla.
In effetti era più che vero. Almeno sarebbe stato un buon capofazione.
-Io vorrei lavorare alla recensione. E mi dispiace Sheena ma forse ci riuscirò.- disse Helena.
-Lo so, sei sempre stata più brava di me. va beh, vorrà dire che ti riempirò di tatuaggi.- aggiunsi scherzosamente.
Mentre finivamo la nostra colazione si avvicinò al nostro tavolo Quattro con un espressione dura sul viso.
-Se avete finito, andate nelle vostre stanze. Quando sarà ora verrò a chiamarvi.- e se ne andò. Non ebbi nemmeno il tempo di dirgli okay. Era sempre stato uno di poche parole, ma oggi sembrava proprio averle perse tutte.
Come comandati da un sensore, ci alzammo tutti nello stesso istante e ci dirigemmo nella nostra stanza.
Mentre percorrevamo il corridoi che portava alla nostra camerata, ci trovammo di fronte Janinne Mattiews parlare allegramente con Max, il capofazione capo della residenza, senza però perdere il suo cipiglio altezzoso dipinto in faccia, seguita da Eric ed altri eruditi, suoi collaboratori.
Tutti cominciarono a parlottare tra di loro sul perché si trovasse li allora chiesi a Brian se lui ne sapeva qualcosa.
-Credo per assistere alla nostra iniziazione.-
Non c’erano altre spiegazioni. Le parole di mio fratello mi ritornarono in mente come un eco urlato in lontananza e tutto mi fu più chiaro. Lei era venuta nella nostra fazione per continuare con il suo piano di cacciatrice di divergeti. Ce l’aveva avuta sempre con loro e giustificava il suo odio dicendo che erano pericolosi per la nostra società. Aveva poi reso tutti i sieri a prova di divergenti e scritto papiri di articoli di giornali per indurci a denunciare loro e chiunque li avesse protetti. Io però non l’ho mai fatto, anche se conoscevo ragazzi divergenti. Semplicemente perché nella mia fazione non era poi così importante perché l’elemento che caratterizzava ognuno di noi, era proprio l’essere pacifici. Il resto non contava.
L’unica cosa che mi importava adesso era superare l’iniziazione al meglio e rimanere qui, tra gli intrepidi e non essere esclusa.
Dopo un ora, fece la sua comparsa Quattro che ci comunicò che era ora di andare. Presi la giacca, me la misi e la chiusi con la zip. Se potevo nascondere il tremolio nelle mani, non potevo però farlo con l’ansia. Era qualcosa di soffocante, qualcosa che ti mozzava il respiro. Il vuoto nello stomaco era anche peggio del tremolio alle gambe. Per non parlare della patina di sudore che si era venuto a formare sulle mani. Ma quando alzai lo sguardo su Brian, scorsi anche nei suoi occhi l’ansia e gli sorrisi. Lui se ne accorse e mi si avvicinò circondandomi le spalle con un suo braccio.
-Nervosa Sheena?- mi domandò mentre ci muovevamo in branco per uscire dalla porta e raggiungere il centro del palazzo di vetro,  dove si sarebbe svolta la prova.
Attraversammo tutto il corridoio, poi lo strapiombo e giungemmo infine al pozzo. Per l’occasione ovviamente, tutti gli intrepidi si erano recati nel palazzo di vetro lasciando deserto il pozzo.
Salimmo poi delle scale che dal pozzo conducevano al palazzo. Ad ogni gradino che salivo, l’ansia dentro di me si faceva più pesante. Fu però quando arrivammo al centro del palazzo che l’ansia divenne un mattone. C’era tutta la fazione degli intrepidi li, pronti a fare baldoria. Inoltre per l’occasione avevano costruito delle panche così che tutti potessero assistere all’iniziazione seduti. Come al cinema.
-Allora ragazzi dovete posizionarvi nella parte di destra ed aspettare che Max dia il via al tutto. -
E così facemmo, ci recammo nella parte di destra e ci sedemmo sulla panca.
Mentre mi guardavo attorno, scorsi al centro la poltrona delle simulazioni con un maxi schermo alle sue spalle. Il tavolo con il computer a destra e le fialette con il siero a sinistra. Ma la cosa che più mi lasciò sorpresa era l’erudito biondo che si affrettava a mettere apposto quelle fialette in orizzontale con un ordine scrupoloso. Mentre lo guardavo con gli occhi fuori dalle orbite però, mi accorsi che qualcun altro stava già guardando me. girai lo sguardo e mi ritrovai incastrata tra due occhi grigi impassibili e duri. Eric era li a qualche metro di distanza che mi fissava con il suo cipiglio stampato in faccia, i suoi capelli biondi portati in dietro con il gel e la barba sfatta. Era più bello che mai, con quel gilet di pelle che li andava a fasciare perfettamente le spalle e la maglia nera che non lasciva niente all’immaginazione. Al suo fianco c’era Janinne che scrupolosa ci stava studiando tutti.  Poi Max prese a parlare e noi ci alzammo in piedi per ascoltare le parole del capofazione.

-Noi crediamo che la vigliaccheria sia responsabile delle ingiustizie del mondo. Crediamo che la pace si conquisti a fatica, che a volte sia necessario lottare per essa.
Ma più di questo:
Noi crediamo che la giustizia sia più importante della pace.
Noi crediamo nella libertà dalla paura, nel negare alla paura il potere di influenzare le nostre decisioni.
Noi crediamo in atti di ordinari di coraggio, nel coraggio che spinge una persona a ergersi in difesa di un'altra.
Noi crediamo nel riconoscere la paura e la misura in cui essa ci governa.
Noi crediamo nell'affrontare quella paura, non importa quale sia il costo per il nostro benessere, la nostra felicità, o persino la nostra salute mentale.
Noi crediamo nell'alzare la voce per coloro che possono solo sussurrare, nel difendere chi non può difendersi.
Noi crediamo, non solo a parole coraggiose, ma ai fatti coraggiosi da abbinare loro.
Noi crediamo che il dolore e la morte siano meglio di codardia e pigrizia, perché crediamo nelle azioni.
Noi non crediamo nel vivere una vita confortevole.
Noi non crediamo che il silenzio sia utile.
Noi non crediamo nelle buone maniere.
Noi non crediamo a teste vuote, bocche vuote, o mani vuote.
Noi non crediamo che imparare a dominare la violenza incoraggi la violenza non necessaria.
Noi non crediamo che ci debba essere consentito di rimanere a guardare senza far niente.
Noi non crediamo che qualsiasi altra virtù sia più importante di coraggio
.-

Mentre pronunciava queste parole, che erano scritte sul manifesto degli intrepidi, tutti cominciarono ad urlare e a battere le mani. Assurdo che credevano in tutto quello che gli venisse detto.
-Per questo oggi vi invito ad essere coraggiosi e ad affrontare le vostre paure per poter rinascere più combattivi e indisciplinati che mai. Che l’iniziazione abbia inizio-
Fu però quando pronunciò quell’ultime parole che tutti, me compresa, cominciammo a gridare in coro Intrepidi. Qualcosa dentro di me cominciò a sciogliersi. Finalmente, dopo quell’urlo mi sentivo più carica, più agguerrita che mai. Anche se l’ansia si faceva sentire lo stesso, forse era un po’ diminuita.
Il primo a fare la simulazione fu James perché era risultato il più bravo tra il suo gruppo.
Nel suo modo di camminare non c’era insicurezza ma spavalderia, dote diffusissima tra gli intrepidi.
Si sedette sulla poltrona  e aspettò paziente che gli iniettassero il siero.
James impiegò 10 minuti per la sua simulazione che tutti noi potemmo vedere sullo schermo. La cosa più divertente era vederlo dimenarsi su quella poltrona e schiaffeggiare l’aria con pugni invisibili.
Il secondo fu Brian, che a differenza di James, non ostentava tanta sicurezza ma questo non voleva dire che lui non credesse in lui, anzi, in se stesso lui ci credeva molto, tutte quelle prove che avevamo affrontato erano state meno faticose per lui proprio per la sicurezza che ostentava. Credo invece che oggi fosse un po’ in ansia per via di Janinne. Essendo stato lui un ex erudito, essersi ritrovato la bionda lì, sarà stata una brutta sorpresa. Brian impiegò 11 minuti e 12 secondi, questo voleva dire che si era giocato il primo posto, infatti quando tronò da noi, la sua faccia era coperta da una sfumatura di arrabbiatura, lo si poteva vedere benissimo dagli occhi ridotti a fessura e dalla mascella contratta. Su quella di James invece, lampeggiava un luminoso sorrisetto cosa che si poteva ritrovare in Matt, il capofazione suo padre e, ovviamente, anche in Eric.
Mentre gli altri si susseguivano su quella sedia, io dal mio canto non riuscivo a smettere di far tremare la gamba, tant’è che dovetti respirare ed inspirare più volte, quasi come che l’aria fosse diventata più pesante, un mattone troppo spesso da poter sopportare. Ed era così tutto ovattato che quando Helena si era alzata io non riuscii a dire una sola parola. Mi ero praticamente creata una grossa bolla trasparente di vetro. Non sentivo e non vedevo nessuno. Speravo solo che quando fosse arrivato il mio momento qualcuno mi avesse risvegliato da quel torpore.
Ero talmente chiusa nella mia bolla di vetro che non mi accorsi che ad un tratto Tris si era avvicinata e  seduta di fianco a me. mi alzai di scatto con una faccia da cogliona sulla faccia. Ma poi Tris mi prese il braccio e mi intimò di risedermi, che non era ancora arrivato il mio momento. Tirai un sospiro di sollievo e mi risedetti.
-Senti, volevo parlarti di una cosa.- mi disse guardandomi dritta negli occhi. Io acconsentii con la testa. Non so come, ma Tris ti metteva addosso una tale fiducia, che non avresti mai dubitato di lei.
-Lo sai perché Jeanine è qui oggi?- certo che lo sapevo ma non potevo certo dirgli di si.
-No… ma tu si, vero?- lei a quelle parole si guadò in torno e io la imitai. Jeanine  era ancora vicina a Max, con il suo cipiglio duro fu però quando sia io che Tris la guardammo, lei fece lo stesso. Seguirono alcuni minuti in cui ci osservammo silenziosamente, ma lei non faceva attenzione a me, ma guardava con aria da prepotente Tris e lei faceva lo stesso. Tra quelle due non scorreva buon sangue. L’aria si fece pesante, talmente tanto che si poteva tagliare con il coltello, così diedi un colpetto a Tris per continuare il discorso iniziato precedentemente.
-Lei vuole scovare i divergenti.- mi disse quando si riprese.
-Quindi fammi capire…lei è qui, perché vuole capire se tra noi iniziati ci siano divergenti, è così?- gli chiesi cercando di fare il punto della situazione, faci finta di fare il punto della situazione, io sapevo già tutto.
-Già…- mi disse.
Non capivo però dove volesse andare  a parare. Quindi decisi di chiederglielo.
-Tris non ho capito dove vuoi arrivare però.-
Lei ebbe un attimo di esitazione ma poi cominciò a parlare.
-Ho visto dei filmati della tua simulazione e mi sono resa conto che sei la più veloce. Per questo volevo dirti che Jeanine potrebbe pensare che sia dovuto alla tue doti che solo i divergenti hanno di uscire dalle simulazione in un attimo. Ti consiglio di metterci tempo, impiegane tanto anche se potresti farlo in un attimo.- rimasi scioccata da quello che mi aveva appena detto. Come sapeva lei tutte quelle cose sui divergenti? Nemmeno mio fratello, che lo era davvero, me ne aveva mai parlato. Ma quando si alzò e se ne tronò vicino a Quattro, in quel momento, in quel preciso istante, mentre mi perdevo nei suoi occhi verdi, beh capii che lo era anche lei. E la mia espressione si fece ancora più sbigottita e sorpresa. Lei mi sorrise, forse aveva intuito che avevo capito tutto.
Non mi ero però accorta che avevano chiamato il mio nome, così sentii Brian che mi diceva che dovevo alzarmi perché Eric si stava già innervosendo. Deglutii e mi avvicinai alla poltrona. Mentre percorrevo quei pochi passi dalla panca alla poltrona, mi sentii di nuovo catapultata in una sorta di déjà-vu, questa volta però era riconducibile al giorno della scelta. Quando titubante mi avvicinavo al futuro. Ne avevo fatta di strada da allora e ne erano successe di cose da allora.
Quando arrivai alla poltrona Eric mi intimò di sedermi con poca grazia.
-La prossima volta che provi a non darmi ascolto…- ma non lo lasciai finire.
-Non ci sarà una prossima volta.- risposi tremando dalla rabbia.
-Già. Non ci sarà.- mi rispose alludendo forse al fatto che non sarei mei riuscita a superare l’iniziazione.
Lui si allontanò e prese la siringa. Si avvicinò pii di nuovo a me e alzò la siringa portandola vicino al mio collo. Prima che potesse premere lo stantuffo, gli bloccai con i polpastrelli il polso. –Non contarci, sarò il mostro che dorme sotto il tuo letto.-  lui fece una risata e non parve per niente intimorito d quello che avevo appena detto. –Perché stare sotto quando potresti stare sopra.- e detto questo premette lo stantuffo. Non potei rispondere perché tutto le palpebre si fecero pesanti e fui costretta a chiuderle.
 
***
Quando riaprii gli occhi ad attendermi non c’era la mia cameretta da pacifica calda e accogliente, ma ben si una luna splendente e un freddo che ti penetrava le ossa. Attesi qualche secondo prima di alzarmi dal pavimento su cui ero sdraiata. La curiosità di capire che tipo di paura avrei dovuto affrontare mi spinse a cercare con gli occhi qualche indizio introno al paesaggio in cui la mia mente e il siero mi avevano catapultata.
Ero immersa nel buio, solo la luna lasciava intravedere qualcosa. il pavimento che stavo calpestando altro non era che l’asfalto della strada e tutto intorno c’erano gli alberi. Cominciai così a camminare ma mi fermai quando capii dove mi trovavo.
Era come quando il giorno peggiore della tua vita, che avevi creduto dimenticato o per lo meno ci speravi, bussava alla porta ed entrava prepotentemente senza che tu lo avessi invitato.
Questo era quello che stava accadendo a me in quell’istante.
Cercai di fermare il panico che stava salendo ripetendomi che tutto quello era solo una simulazione, che nessuno mi avrebbe fatto del male e che prima affrontavo quella paura e prima ne uscivo.
-Ehi ragazzina, non lo sai che non si va in giro di notte a quest’ora? Ci sono persone cattive in giro. Potrebbero anche approfittarsene.- e rise.
Quella voce, quella voce così agghiacciante ritornava nella mia mente sotto forma di mostri. I miei incubi avevano la sua voce. Questa però , rappresentava il momento in cui io, Sheena, avrei combattuto quella voce e l’arei sotterrata per sempre sotto l’etichetta “BRUTTI RICORDI: NON APRIRE!” nella mia mente.
-Già, ascolta il mio amico.- ed ecco l’altra voce puntuale come sempre accompagnata da suo amico.
Io di tutta risposta mi avvicinai al secondo uomo che aveva parlato e con un sorriso glaciale, che fino a qual momento ne avevo consapevolezza che esistesse e gli sussurrai “già” prima di dargli un pugno nello stomaco in modo tale da piegarlo in due e dargli infine, un calcio nelle palle. Seguirono delle sonore bestemmie ma il suo amico al suo fianco, mi butto per terra prima che potessi occuparmi di lui. Si mise sopra di me e cercò di darmi un pugno in bocca ma io fui più veloce di lui e spostai la desta di lato, mentre il pugno carico di odio andò a sbattere contro la mascella. Cercai di non farmi immobilizzare dal dolore e decisi di non pensarci.
“Se ti immobilizzano il corpo, tu mira agli occhi, vedrai che ce l’hai farai. Sei più veloce perché sei magra e piccola.”
Ripensai alle parole di Quattro durante l’addestramento e così feci. Girai di nuovo il viso dalla parte del molestatore e mentre lui, abbassava la guardia dal viso, io portai i pollici agli occhi e cominciai a schiacciarli.
La verità era che non mi stava facendo schifo sentire quanto molle fosse il bulbo oculare e non provavo la minima pena quando quello stronzo urlava dal dolore. La verità era che lo avevo ucciso, che i suoi occhi ormai non c’erano più, che il suo sangue era depositato sulle mie mani, sulla maglietta e sulla strada. era schizzato ovunque. Ma il fatto era che non  me ne fregava niente, che la mia sete di vendetta si era fatta più forte, che non mi bastava più vederli stesi per terra doloranti, io volevo vederli morti.
Me lo tolsi di dosso e mi incamminai di nuovo verso il secondo che aveva parlato e che era steso per terra ancora in preda all’atroce dolore che il mio calcio gli aveva causato. Quando si accorse di me, mi guardò ma non con aria spavalda e fiera usata prima, no con uno sguardo da cane bastonato che chiedeva pietà. La stessa pietà che non era stata usata per mia madre? Gli sorrisi in faccia spudoratamente e gli sputai. Poi con un calcio lo stesi a terra e cominciai a dargli botte in testa fino.
I suoi lamenti si potevano ascoltare anche oltre la barriera e quando essi cessarono, io mi girai verso di lui. Il sangue fluiva a fiotto li dalla sua nuca e così capii che era andato, morto e che quindi mi restava l’ultimo. Mi restava la voce.
Mi girai a guardarlo, ma questa volta non usai più il sorriso no, questa volta lo congelai con lo sguardo. Mi aspettavo la paura nei suoi occhi, l’esitazione ma niente. era come se quello spettacolo che avevo messo in scena gli fosse rimasto indifferente. Mi avvicinai a lui con molta lentezza, pensando a che modo avrei potuto ucciderlo.
-era ora che cacciassi le palle tesoro.- a quelle parole il fiato si mozzo, le labbra si incresparono in un cupo cipiglio e la mascella si contrasse.
Fu quando mi feci più vicina che allungai le mani verso di lui e cominciai a stringergli il collo. Lui cercava di fermarmi graffiandomi la pelle ma io ero talmente tanto incazzata che il dolore mi spingeva a continuare. Ma la cosa che mi appagava era vederlo boccheggiare in cerca di aria, mentre il suo viso cambiava continuamente colore. E mentre lui mutava io stringevo sempre di più. Sempre più fino a quando non sentii un crack provenire dal suo collo e lasciando le mani dal suo collo, cadde a terra come una foglia morta.
Nell’attimo in cui mi guardai in torno tutto cominciò a mutare fino a quando dinanzi ai miei occhi non apparve la scrivania disordinata  e piena di penne e fogli, della mia cameretta.
Chi mi sarebbe morto davanti? Pensai ripensando alle vecchie simulazioni.
Scesi le scale silenziosamente senza fare rumore e a quel punto sussurrai prima il nome di mia madre, ma nessuno rispose e niente si mosse, stessa cosa quando chiamai mio padre. Fu proprio quando urlai il nome di mio fratello Trav che qualcosa successe.
Un rumore sordo proveniente dal salone mi fece irrigidire. Quando arrivai però, non trovai nessuno. Eppure però io avevo sentito qualcosa.
Stavo per andarmene quando sentii una voce dietro di me richiamarmi.
La voce senza emozioni era di Travis.
-Travis!- urlai con le lacrime agli occhi.
Ma Travis parve non sentirmi e continuò a guardare dritto davanti a se. Come se c’era qualcosa di più importante che parlare con me.
Spinta dalla curiosità di sapere di cosa si trattasse, che cos’era che attirava l’attenzione di mio fratello che lo portava ad ignorarmi completamente, mi girai seguendo la traiettoria dei suoi occhi.
Beh, una lama affilata che mi trapassava lo stomaco lacerandolo in due, era meno dolorosa della figura rigida di Eric che imbracciava la sua pistola puntata dritta, dritta al viso pallido di Travis.
Proprio guardando il mio riflesso nella pistola lucida, capii tutto.
Capii perché Eric puntava una pistola a Travis.
Capii perché nessuno dei due si degnava di darmi retta.
Dio aveva voluto che Travis nascesse divergente, e se per tutta la nostra famiglia questo non comportava alcun cambiamento sentimentale e/o umano, per la legge delle fazioni, Travis era l’erbaccia cattiva che doveva essere tagliata nel parato verde fiorito.
E quindi uno scontro tra i due sarebbe stato inevitabile, e questo, la mia mente lo sapeva bene.
Nessuno dei due parlava, si guardavano solo negli occhi con sguardo gelido e mascella contratta. Anche se mio fratello era quello più sudato tra i due.
Io, dal canto mio, non sapevo cosa fare, sentivo solo il disperato bisogno di salvare mio fratello. Che un altro morto nella nostra famiglia non lo volevo.
-Perché diamine lo stai facendo?!- urlai rivolta ad Eric a pieno polmoni.
Ma ancora una volta la mie parole si dispersero nell’aria carica di tensione.
Mi promisi allora, che se loro non mi avrebbero ascoltata, sarei stata io a farmi ascoltare.
Mi diressi così verso Eric che era rimasto immobile nella sua posizione di attacco, e mi posizionai di fronte a lui. Era lì di fronte all’uomo che amavo, con la pistola puntata in mezzo agli occhi, terrorizzata ma allo stesso tempo, sentivo che stavo facendo la cosa giusta. Perché io lo sapevo che lo avrebbe ucciso comunque, ma se lui moriva, io morivo con lui. Eravamo nati insieme, ed insieme saremmo morti.
Chiusi per un attimo gli occhi e quando li riaprii lo sguardo di Eric che non era mutato nemmeno di una virgola. Meglio così, se avrei visto del rammarico nel suo sguardo mi sarei fatta abbindolare. Portai le dite al grilletto e le sovrapposi alle sue, diedi un ultimo sguardo a Travis e gli sorrisi dolcemente. Il suo sguardo però era cambiato, era come se si fosse improvvisamente svegliato da un sonno e capendo cosa stava per fare la sua sorellina, si era ritrovato a urlare il mio nome e a chiedere ad Eric di fermarmi, ma io, convinta di osa stessi facendo, continuai nel mio intanto.
Le mani tremavano come prima della simulazione ed erano sudate. Presi un respiro come se da quella boccata d’aria fosse entrata nelle mie vene il coraggio che mi stava abbandonando, e sparai. Tutto intorno a me si fece buoi ed era freddo, la schiena faceva male, le braccia non riuscivo a muoverle e tanto meno le gambe.
Poi improvvisamente aprii gli occhi e fui subito inghiottita dall’oscurità e dalla puzza di polvere.
Ero di nuovo sotto terra, con gli occhi che bruciavano per la polvere che era riuscita a penetrare tra quelle piccole aperture dove il legno non era stato lavorato bene. Cercai di tirare le braccia verso il viso e quando ci riuscii, toccai il coperchio di quella che doveva essere una cassa. E cominciai a battere dei pugni su di essa. Uno, due, tre ma niente. nessuno mi sentiva, nessuno mi avrebbe salvato se non fossi stata io ad aprire quella scatola di legno.
Mi girai un po’ sul fianco e prese a batterlo contro il coperchio. Quando divenne dolorante smisi di usare il fianco sinistro e cominciai con quello destro. Ma la forza che usavo con i fianco era sempre minore, rispetto a quella che avrei potuto usare con le mani. Perché con quest’ultime ero più libera con i movimenti.
Così mi rimisi supina e cominciai a battere i pugni sul coperchio.
Le nocchie cominciarono a farmi male, ma io continuavo lo stesso. Quando mi fermai per fare una pausa gli occhi caddero su un buco più grande sulla facciata di sinistra e li mi si accese la lampadina. Avrei dovuto usare tutta quella forza che mi era rimasta per aprire ancora di più il buco. Mentre tiravo i pugni su quel buco, dovetti fermarmi più volte per tossire. Dovevo sbrigarmi ad uscire da lì, perché la terra era penetrata già nei polmoni. Così ricominciai a battere i pugni, e mentre battevo gridavo perché quel gesto riusciva a darmi una forza incredibile. E così innescai un meccanismo involontario: battevo i pugni e gridavo, poi mi riposavo per alcuni secondi e poi ricominciavo.
Fino a quando il buco non divenne abbastanza grande da poterlo scalfire con le dita. Con le nocchie insanguinate e tramanti di dolore, trovai un  ultimo spiraglio di forza di volontà e mi insanguinai pure le dita.
Le mani potevo anche buttarle via, ormai erano una maschera di sangue e polvere ma riuscii comunque a venirne fuori. Con un ultimo grido, riuscii a far uscire la testa da li, non prima di avere tolto dalla faccia la terra che era penetrata.
Quando sporsi finalmente il viso da lì, trovai la tanta pregata e venerata luce bianca che mi avrebbe tirato fuori da lì.






Spazio Autrice
Lo so sono imperdonablie ma ho avuto problemi con il PC.
Volevo però ringraziarvi di cuore perchè seguite la storia, la recensite e la seguite.
Il vostro supporto è davvero importante per me perchè se sto continuando è anche grazie a voi :)
Volevo dirvi che se volete potete seguirmi anche su Wattpad, io sono Margo_Holden.
Grazie di cuore a le 31 che hanno recensito e inserito la storia tra la seguite, le 23 che l'hanno aggiunta tra le preferite e le 7 tra le ricordate. Per non parlare di tutte le lettrici silenziose.
Un bacio alla prossima settimana <3

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17. ***


 Capitolo 17.



Quando mi risvegliai una strana sensazione mi avvolse il petto.
Come se fosse diventato improvvisamente leggero come una piuma.
Non ero più sotto terra a combattere per avere  un soffio d’aria e non avevo più nemmeno il sangue sulle mani, le croste sulle nocche non erano sparite, ma quelle erano dovute agli allenamenti.
Mi guardai improvvisamente intorno, come se fossi appena uscita dalla pancia di mia madre e scoprivo di essere stata catapultata in un altro posto.
Avevo gli occhi di tutti puntati addosso e questo mi infastidiva e imbarazzava. Speravo solo che le mie gote non fossero diventate rosse.
Per fuggire da quella tremenda situazione, decisi di scendere da quella poltrona e raggiungere il mio nascondiglio.
Quando poggiai a terra il secondo piede e tentai di mettermi sulle gambe, ebbi un piccolo giramento e poggiai immediatamente una mano sulla poltrona.
Era come se tutta quella leggerezza che mi elettrizzava tutto il corpo, se ne fosse andata lasciandomi vuota e indifesa.
Quattro mi si avvicinò e mi mise una mano su un fianco sorreggendomi per non farmi cadere.
-Il siero è un po’ più forte di quello usato nelle simulazioni precedenti, perciò non temere , gli altri staranno sicuramente come te.-
Feci solo si con la testa continuando a guardare per terra, mentre stringevo ancora di più la spalla di Quattro.
Poi ci si avvicinò Eric che si mise dietro di me.
-Rigido continua con le simulazione, a lei ci penso io oppure può farlo Tris.-
Ma quando ci girammo nella direzione di Tris, lei non c’era più.
-A quanto pare ti toccherà continuare a fare il babysitter.- gli beffeggiò Quattro mentre mi aiutava a mettermi dritta.
Cercai di sembrare il più ferma possibile ma non ci riuscivo, mi sentivo sempre più debole e volevo solo sedermi.
Stavo così per ricadere faccia avanti, se non era per Eric che mi fermò mettendomi le mani su entrambi i fianchi.
-Bene, spero solo che non debba vomitare.- rispose indispettito
Quattro si era allontanato sorridendo mentre Eric, circondandomi la vita con il braccio, mi accompagnava in infermeria.
-Riguardo a quello che hai visto…- non potei non trattenermi dal chiarire quella strana scena che era apparsa nella simulazione.
-Non voglio saperlo. Non voglio sapere niente che ti riguardi.- mi disse usando il suo solito tono freddo e distaccato.
Io mi fermai di scatto. Non riuscivo più a respirare avevo voglia solo di urlargli addosso.
-Vaffanculo Eric! Potevi anche dirmelo ieri!-
Lui si girò lentamente e ridusse gli occhi a fessura.
-Perché altrimenti non mi avresti detto che mi amavi? Sei proprio una ragazzina.- concluse e ricominciò a camminare.
Non solo mi aveva umiliata ma mi stava anche prendendo per il culo. Si stava facendo odiare da me. Forse era proprio questo quello che voleva ed io glielo avrei dato.
Mentre lo vedevo allontanarsi però, tutto intorno a me cominciò a girare, vedevo doppio e la fronte era madida di sudore. Poi si fece tutto nero.

Quando riaprii gli occhi una luce accecante me li fece richiudere immediatamente. Il profumo che invase le mie narici era però stranamente familiare. Così decisi di tenare e di aprirli definitivamente.
Seduto sulla sedia con le braccia incrociate, con il viso di uno che si era stufato di aspettare, c’era Eric.
-Ma non te ne eri andato?- chiesi mettendomi a sedere sul letto. Lui parve risvegliarsi con il suono della mia voce da quello stato di trans in cui era caduto e mi fisso con quelle pozze profonde.
-Sei svenuta, così ho deciso di portarti in infermeria.- mi rispose.
-Bene adesso che hai appurato che sto perfettamente bene, puoi anche andartene.-
In un attimo il suo sguardo da distante si fece improvvisamente minaccioso. Qualcosa nelle mie parole lo aveva turbato.
-È così che tuo padre ti ha insegnato a ringraziare le persone che ti hanno aiutato.-
-Non nominarlo. Non nominare il suo nome.- dissi trattenendo a stento la rabbia che stava fuoriuscendo dagli occhi sotto forma  di lacrime.
Lui lo sapeva quanto io tenessi a mio padre, quanto io tenga alla mia famiglia. Lui queste cose le sa e pure adesso, usa quelle informazione per torturami e farmi solo innervosire.
Mi alzai in piedi e  un po’ traballante raggiunsi la sua sedia. Lui mi guardò da seduto e non si mosse, se non per mettermi una mano vicino al polpaccio per aiutarmi a sorreggermi.
-Non devi nominarlo. Devi lasciarlo riposare in pace.- dissi piantando gli occhi nei suoi.
-Okay.- mi rispose e si alzò spostando questa volta la mano dal mio polpaccio al fianco.
I nostri visi adesso erano davvero molto vicini. Potevo sentire il suo caldo respiro sulla mia fredda faccia. Potevo toccare i suoi piercing senza che nessuno se ne accorgesse o baciare il tatuaggio sul collo. Mi limitai solo a toccarli. A passare la mano sulla sua mascella o sul quel collo nero. Ad avvicinare le mie labbra alle sue ma a non toccarle. Volevo solo respirare la sua aria, inebriarmi le narici con il suo profumo dolciastro. La sua mano intanto dal fianco si era spostata dietro la mia schiena, e si avvicinava lentamente all’attaccatura dei capelli dietro il collo.
Inaspettatamente mi ritrovai con la schiena sul materasso e con Eric sdraiato su di me che mi baciava ardentemente le labbra, poi scendeva sul collo ed in giù, sulla scapola mordicchiando il tatuaggio inciso.
Sentivo però che era tutto sbagliato, ogni cosa. Mio padre era morto da poco ed io me la stavo spassando con Eric in un letto di ospedale come una profuga.
-Eric…dovremmo tornare dagli altri o capiranno tutto.- finsi di interessarmi a quello che gli altri avrebbero potuto pensare.
Imporovvisamente si fermò e ancora una volta, mi stava leggendo dentro. Aveva capito quello che la mia mente pensava e per questo si fermò, anche se sbuffando.
-Già.-
Si allontanò dal mio corpo e si risistemò la giacca. Poi allungò la sua mano e mi aiutò a scendere dal letto.
Quel calore che avevo sentito con la sua vicinanza era per colpa mia, sparito lasciandomi addosso un soffocante freddo.
 
 
 
***
 

Brian, Helena, Ian, Billie e me. Eravamo tutti sopravvissuti a quei mesi e ognuno l’aveva fatto con le proprie forze, ognuno a modo proprio. Era questo il bello di far parte di un team, una squadra o chiamatela come volete. Il bello stava proprio in quello, nella diversità. Era per questo che avevo sempre sostenuto che la diversità non rappresenta il pericolo. Eppure Janinne con le sue parole aristocratiche aveva messo tutti nel sacco facendo credere che i divergenti fossero pericolosi per l’intera società. Come si fa a credere che persone come mio fratello sono pericolosi? Lui che ama gli animali fino a diventare un vegetariano.
Comunque lei era lì, a osservarci tutti, a studiarci con quegli occhi blu famelici e gelidi come il peggiore degli iceberg, mentre nelle nostre facce era dipinta una profonda e corrosiva ansia. In fondo stavamo per conoscere il nostro destino. In questa società fatta di gente onesta e manipolatrice, c’era anche chi presagiva il futuro.
-Dopo questi mesi fatti di sangue e sudore, finalmente oggi la fazione scoprirà chi sarà degno di farne parte, mentre a tutti gli altri dico: grazie per averci scelto.- uno scroscio di applausi ed urli si alzò non appena Eric ebbe finito di parlare. Come era possibile che tutti quei discorsi risultassero così pubblicitari? Detto questo, alle sue spalle apparve la classifica.
 
1.James

Non c’erano dubbi al riguardo.

2. Brian
3.Helena
4. Alice
5. Sheena


Oh cavolo non potevo crederci ero risultata quinta. Sentii la felicità propagarsi nel corpo. In fondo era quello che sognavo da un intera vita. Essere intrepida. Ed ora, a distanza di quegli anni passati tra i pacifici, che di certo non rimpiango, ero diventata una saltatrice di treni mezza matta che considerava il proprio corpo come una grande tela.
Osservando ancora la classifica mi ritrovai Billie, Ian subito dopo me e Valerie. Mi ripromisi che l’avrei sopportata per il bene della fazione.
Cominciai ad osservarmi intorno come da spettatrice  e non da protagonista. Tutti noi, i trasfazione a cui nessuno avrebbe dato nemmeno uno spicciolo, ce l’avevamo fatta. Eravamo esattamente come loro.
Un pensiero fu rivolto anche a mio fratello e mi chiesi se anche lui come me, ce l’avesse fatta. Mi promisi che sarei andata da lui e gli avrei fatto i miei complimenti per l’iniziazione.

La sera arrivò in un batter d’ali e così tutti insieme ci recammo in mensa dove era stato allestito il tutto. Festeggiavano noi, la fazione e l’alcol.
Tutti ci facevano i complimenti e ci offrivano da bere. Dal canto mio, i primi drink li rifiutai ma poi cominciai ad integrami alla nuova vita, e ne accettai alcuni.
Più bevevo e più mi sentivo leggera e libera. E questo mi piaceva parecchio. Tutte le ansie, le preoccupazioni, i dolori sparivano ad ogni sorso. Ed era per questo che presi la briga di prendere un intera bottiglia di vodka e finirla, per essere pronta ad un'altra ondata.
E così sotto le note di Highway to hell degli AC/DC, finii una bottiglia intera di vodka. Anche se quando la presi era già stata svuotata per metà.
Decisi così di uscire per poter prendere un po’ d’aria. Passai vicino ad una coppia che si baciava come se non ci fosse un domani e andai dritta all’ascensore che portava al terrazzo.
Quando giunsi lì, mi sedetti sul muretto con i piedi a penzoloni. Chiusi gli occhi e allargai le braccia. E sognai di essere una bellissima aquila, che volava e spiegava le sue ali senza paura o timore, che padroneggiava alta su nel cielo, limpido e senza nubi. Andava dritta per la propria strada e non si guardava mai indietro, sapeva cacciare e badare a se stessa, mentre muoveva le ali su e giù senza badare agli altri uccelli che la guardavano intimoriti. Aprii gli occhi di scatto quando capii che avevo disegnato il profilo di Eric. Una folata di vento fece cadere il capello dalla mia testa così fui costretta ad alzarmi e ad andare  a raccoglierlo. Ma quando stavo per abbassarmi stando a tenta a non strappare quella gonna dannatamente troppo stretta, qualcuno anticipò i tempi. Era lui che mi porgeva dolcemente il cappello. Io glielo strappai dalle mani e me lo rificcai in testa.
-Grazie.- gli risposi cercando di allontanarmi da lui. Non volevo che scoprisse che avevo bevuto.
Ma lui mi afferrò per i braccio e non lasciò che mi allontanassi. Ad un certo punto fece però una faccia schifata e un sorriso si allargò su quel cipiglio critico che lo accompagnava come un ombra.
-Lo sai, puzzi come una distilleria.- mi disse scoppiando a ridere in faccia. Ecco perché non volevo che lo scoprisse.
-Tu no. Così, che ne dici di andare giù a prendere una bottiglia e rimediare?- chiesi avendo un disperato bisogno di continuare a bere.
-Ho già bevuto abbastanza per questa sera.-
-Vorrà dire che ci andrò da sola.- detto questo mi avvicinai all’ascensore e premetti il pulsante per aprirlo.
Quando la porta si aprì però non mi ritrovai da sola in ascensoreperché Eric mi aveva seguita.
Premetti la T, così che ci riportasse al piano terra.
-Allora come mai hai cambiato idea?- gli chiesi giusto per rompere quel silenzio.
-Non voglio avere sulla coscienza una ragazza ubriaca.- mi rispose sorridendomi.
Io alzai gli occhi in cielo e mi sedetti sul pavimento, sempre stando attenta a non strapparmi la gonna. Lui mi guardò perplesso per poi scuotere la testa.
-Che c’è?- chiesi con un innocenza che non mi apparteneva.
-Credo sia perché di te, fortunatamente, ce ne sono poche in giro.- il mio cuore prese abattare molto forte, quasi volesse uscire dal petto. Non potevo crederci che mi aveva riservato un complimento. Così sorrisi e cercai di nascondere la mia contentezza.
Poi le porte dell’ascensore si aprirono e così dopo che mi aiutò ad alzarmi, ci incamminammo verso la mensa.
Le note di Rome and Juliette dei Dire Straits, ci fece venir voglia di ballare, così lo trascinai sulla pista anche se fece di tutto per non parteciparvi e ci stringemmo forte. In verità l'avevo fatto solo per quello, solo per poter sentire le sue forti braccia sul mio corpo. Cominciammo così a chiuderci in una dolce bolla mentre facevamo dei piccoli passetti. Ma poi la musica finì e lui si allontanò e così lo persi di vista. Ebbi solo la decenza di avvicinarmi al tavolo dei liquori e bere, bere e ancora bere, fino a quando non caddi svenuta.
Mi sa che ero andata in come etilico.



SPAZIO AUTRICE
Lo so sono sempre la solita, aggiorno dopo due mesi, ma capitemi, questa scuola mi sta uccidendo,
Comunque stiamo arrivando al traguardo e io non so vermamemnte se far finire la storia in modo felici o in modo drammatico (come è mio solito)
Voi che ne dite? che Fine vorreste? Sono aperte le trattativa ;)

Ps. Siete andati a vedere Allegiant? Io ci sono andata e...non so cosa pensare, cioè mi è piaciuto a metà.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18. ***



Capitolo 18

 

Non avevo il coraggio di aprire gli occhi, non perché avessi realmente paura, ma per il semplice fatto di poter rimanere tutto il giorno a letto, a poltrire senza fare niente.  Ma dovetti farlo, quando la luce divenne troppo luminosa.
Aprii cautamente gli occhi, prima il sinistro e poi il destro, li sfregai un po’ e poi mi misi a sedere.
Quello che mi si presentò davanti non era l’infermeria ma un letto matrimoniale con una pesante coperta in pile marrone e le lenzuola bianco sporco. La cosa che più mi colpi era l’essenzialità della camera rettangolare. Nella parte di sinistra c’era solo questo grande letto e  una grande finestra senza tende, in quella di destra un comodino molto piccolo e di un bianco mal verniciato. Di fronte al letto matrimoniale c’era un armadio marrone mal lavorato a due ante molto larghe, infine i miei occhi si posarono su di un pilastro di cemento e affianco, una porta con affacciato un ragazzo.
Quando misi a fuoco chi fosse mi si mozzo il fiato in gola. Per un attimo rimasi a fissarlo ad occhi spalancati ma poi lui cominciò a parlare –Buongiorno.- disse aprendosi in un sorriso e sciogliendosi da quella posizione, venendo poi verso di me.
Istintivamente mi guardai il seno, che era coperto da una maxi maglia nera, decisamente non di mia appartenenza. Alzai la pesante coperta e notai che non avevo più la gonna. Sbarrai gli occhi e mi ributtai la coperta sulle gambe. Guardai per terra alla ricerca della gonna e quando  la trovai, notai che c’era anche il top nero.
-Che cosa mi hai fatto?- urlai ad Eric in preda alla follia pensando già al peggio.
-Rilassati ragazzina, non ti ho fatto niente.- rispose alzando le braccia e sedendosi poi sul letto.
Ci furono alcuni attimi di silenzio, interrotti dallo scrocchiare delle mie dita, lo facevo sempre quando ero nervosa. Poi decisi di chiedere cosa fosse successo ieri sera.
-Cosa…-
Fui costretta a bloccarmi a causa di un malloppo d’aria che mi si era formato in gola. Ingoiai il vuoto e poi, prendendo coraggio, continuai.
-Cosa….è…..s-successo….ieri…s-sera?- oddio non riuscivo nemmeno a formulare una domanda, tanta era l’angoscia di sapere quello che avevo combinato o peggio detto.
Lui mi scrutò con i suoi grandi occhi blu e poi decise di rispondere.
-Quando il nostro ballo era terminato…. Almeno quello te lo ricordo?- mi chiese
Io assentii scuotendo il capo su e giù.
-Beh mi allontanai perché Caroline aveva bisogno di parlarmi, dopo un quarto d’ora ritornai al tavolo dei liquori dove c’eri tu, sdraiata per terra con la bocca semi aperta e la bava che fuoriusciva. Credo proprio che tu non regga l’alcol. Fatto sta che non sapevo dove portarti così ho deciso di fare questa grazia e lasciarti nella mia stanza. Nel momento in cui io ho chiuso la porta della camera, ti sei svegliata e sei andata in giro correndo per cercare il bagno. Il resto puoi solo immaginarlo.-
Dire che ero diventata un semaforo era dire poco, forse era un semaforo e un pomodoro insieme. Non ero imbarazzata per la posizione dello svenimento, oddio anche quella, ma per tutto il “resto”.
-Ho vomitato parecchio?- chiesi guardando la coperta.
-Si e la cosa che più mi ha lasciato sconcertato era che dopo aver vomitato l’anima, quando insomma ti sei sentita apposto, proprio così, hai usato questo termine, ti sei lavata i denti con il mio spazzolino. Fortuna per te che ne ho almeno quattro di riserva, altrimenti ti avrei sbattuto fuori.- rivelò con un ghigno stampato sulla faccia.
Io ruotai gli occhi.
-Beh questo ti sta bene. Non dovevi lasciarmi da sola dopo aver visto quanto ero ubriaca.-
-Già.- rispose continuando a ridere.
Stufa di lui e delle sue prese in giro, più che meritate, decisi di scendere dal letto per riprendere i miei vestiti.  Presi prima la gonna e con poca delicatezza la rimisi al suo posto, mentre lanciavo uno sguardo di rimprovero a Eric che aveva avuto il buon gusto di ridere alle mie spalle. Poi il top. Per il top fui costretta a togliere la maglia nera e a rimetterlo al suo posto. Mi vergognavo parecchio a farmi vedere mezza nuda da Eric, che per l’occasione stette zitto e fermo al suo posto, ma dovevo lasciare quella stanza, al più presto. L’aria si faceva sempre più pesante, lì. Era come se il desiderio che avevo represso per tutto quel tempo, ora, davanti agli occhi più glaciali e intimidatori che avessi mai conosciuto, che avessi mai avuto a che fare, si faceva sentire e mi diceva anche di appagarlo. Fu quando però, indossai il chiodo di pelle nera e il capello, che quegli occhi mi indussero a fare quello che la mia mente mi diceva di fare. Di buttarmi e di non essere razionale almeno per una volta. Di lasciarmi andare, senza il timore o la paura, di quello che sarebbe successo  dopo. 
Poi successe, fu tutto così improvviso ed inaspettato, ma terribilmente bello. Con Eric era facile sentirsi a tre metri sotto terra ma nello stesso momento in cui ti buttava malamente per terra, e ti faceva – forse anche consapevolmente male, riusciva a riportarti su, senza grazia. Era proprio in quei momenti che ti faceva sentire te stessa, ma ti faceva sentire anche affascinante, perché lui amava, ma lo faceva brutalmente e senza rispetto, con violenza e passione. Era un su e giù continuo, ma te ne fregavi perché ti bastava.

Lui che toglieva il chiodo da sopra le spalle di lei, con una rudezza inaudita, perché non vedeva l’ora di sbarazzarsene, gli era solo di intralcio. E così il cappello, la gonna a tubino nera che trovava fasciargli i fianchi e farla donna. Poi la buttò delicatamente sul letto e gli tolse le scarpe. La voleva, la desiderava e quella sera stessa l’avrebbe fatta sua.
Lei invece era lì che sentiva solo il battito del suo cuore che accelerava ogni volta che Eric gli toglievo un pezzetto della ragazzina che era. Ogni volta che sfiorava la sua pelle candida tremava e rabbrividiva. Non aveva mai provato quella sensazione prima d’ora. Ma si sentiva bella, viva e felice.
Eric si fermò solo un attimo per ammirarla in tutta la sua nudità. Non poteva credere che una simile cosa fosse capitata nella sua vita. Ancora non accettava il fatto che si fosse innamorato di Sheena così, forse si aspettava che l’amore lo avvertisse che stava per succedere ma da vecchio erudito quale era, sapeva benissimo che un essere umano sente di amare una persona quando il suo cervello glielo dice. Forse era per quello, forse anche il suo cervello aveva capito che Sheena era la donna che aspettava da tempo.

Piano piano anche Sheena si fece coraggio e portò Eric sotto di lei sfilandogli via la maglietta, i pantaloni e con coraggio in fine anche i boxer.  Ora erano nudi, in tutti i sensi. Ognuno di loro poteva leggere i demoni interiori che l’altro aveva e farci amicizia, conoscerli e apprezzarli. Quando essi furono letti allora i due divennero un'unica inseparabile cosa. Una cosa bella. Una cosa cercata per troppo tempo ma mai trovata. Chi l’avrebbe immaginato che una pacifica potesse far battere per la prima volta il cuore del più spietato uomo della fazione? Nessuno avrebbe scommesso su quella povera pazza. Eppure Eric non aveva visto solo la pazzia nei suoi occhi, ma anche una sorta di chiarezza, un diamante, una pietra preziosa, un vaso da proteggere e da custodire. Questa era diventata per Eric, Sheena.
I lutti, le liti, l’amore carnale, i respiri strozzati, i gemiti, la gambe di lei sul bacino di lui, le braccia di lui sul corpo di lei. Erano tutti elementi che si fondevano, che rendevano l’attimo eterno, vivo e passionale, perché in quel momento la parola d’ordine divenne passione.

Sfiniti e sazi, si riaddormentarono mentre il sole era alto in cielo, ma a loro non importava niente.

 
***

Aprii per l’ennesima volta gli occhi ma questa volta mi sentivo appagata e bene con me stessa. Non mi sentivo più vuota, ma viva. Nemmeno ricordavo cosa volesse dire vivere dopo tutto quello che mi era successo. Cercai con la mano la persona accanto a me, ma la mia mano tastò solo il vuoto. Impaurita mi raddrizzai immediatamente mentre i miei occhi saettavano da una parte all’altra della stanza.
Finalmente i miei occhi lo trovarono. Era seduto eretto con la schiena sulla sedia e le gambe accavallate. La mascella contratta e uno sguardo freddo come l’iceberg. Dei brividi mi percorsero la schiena nuda e dovetti deglutire il tappo di aria che si era venuto a formare nella gola. 
-Ciao…- dissi più che altro per rompere il silenzio e per cercare di capire cosa avesse.
Lui continuò a fissarmi duramente ed io continuavo a non capire cosa avesse. Sembrava tremare di rabbia per qualcosa che io avevo fatto.
-Sai, se c’è al mondo qualcuno che odio più dei bugiardi, sono forse gli ipocriti.- rispose al mio ciao con quelle parole sputate con il veleno. Il suo sguardo era passato dall’essere glaciale a letale.
-Che cosa vuol dire questo?- chiesi spazientita del suo assurdo comportamento.
Lui scoppio in una risata maligna che mi fece accapponare la pelle dall’orrore. Quasi fossi protagonista di un horror vecchio stile.
-Cosa vuol dire?!- urlò e in un attimo me lo ritrovai ad un passo dagli occhi.
-Vuol dire che non sei tanto diversa dalle puttanelle che mi sono scopato! Ecco cosa vuol dire Sheena!-
In un attimo portai la mio mano destra sulla sua guancia facendogli girare la testa dall’altra parte. Ero indignata e fuori di me. Come si era permesso? Non riuscivo a capire come fosse cambiato in meno di due ore!
-Credevo che almeno tu mi capissi! Che almeno tu mi conoscessi ma a quanto sembra sei uno stronzo, come tuti gli stronzi che ci sono in questa fazione!- urlai così forte che pensai che la vena in gola potesse esplodere da un momento all’altra.
-Io credevo che fossi diversa dalle altre! Ma sei uguale a loro.- urlò lui di rimando ferito dallo schiaffo che aveva ricevuto pochi secondi prima.
Lo incenerii con uno sguardo e me lo tolsi di dosso. Non mi importava nemmeno se per cambiarmi dovetti scendere dal letto nuda, dovevo solo uscire da quella stanza, era diventata troppo stretta per due persone. Ma come rimisi l’intimo, due grandi lacrime solcarono i miei occhi. Le ricaccia dentro, non potevo farmi vedere piangere, non certo di fronte a lui che non le meritava.
-Credevo che quando dicevi di essere vergine, non era una cavolata.-
Tutto a un tratto se ne uscì con quella cazzata colossale. Mi fermai un attimo con gli occhi spalancati mentre la furia che era in me non cessava a diminuire. Poi continuai a riprendere quello che stavo facendo prima.
Avevo voglia di sputargli in faccia.
Avevo voglia di picchiarlo, vedere scorrere il sangue da quel naso perfetto.
Avevo voglia di urlargli contro le peggiori parole e le peggiori bugie.
Avevo voglia di smettere di amarlo.
Ma più di tutto, avevo voglia di sparire da li.

-Mai detto!- risposi abbottonando la cerniera della gonna, riprendendo una certa compostezza.
-Beh ma lo si capiva dagli atteggiamenti. Arrossivi anche solo se ti sfioravo.-
Decisi di guardarlo quando disse quelle parole. Sembrava un bambino colpevole della marachella che aveva compiuto. Il mio sguardo intimidatorio non cessò mentre ad aumentare era solo la mia rabbia.
-Forse perché l’ho persa perché qualcuno l’ha voluto. Qualcuno senza il mio permesso.- pronunciai le ultime parole con una voce convinta e non con il solito sussurro. Era un passo avanti anche se non adatta alla situazione.  Quel ragazzo faceva uscire sempre il peggio da me e non se ne rendeva conto.
Finii di riabbottonarmi il top e mi buttai sul letto sfinita. Non riuscii più a trattenere le lacrime e a reggere lo sguardo allibito di Eric.
-Non sapevo che…- disse ma non riuscì a completare la frase, a dire il vero sembrava aver pronunciato quelle parole con voce rotta e non il solito tono d’uro e conciso, il tono di Eric, insomma.
-Che sono stata violentata? Si avevo dieci anni quando successe.-
Poi continuai, ormai ero un fiume in piena, nessuno riusciva a fermarmi.
-Spiegami come caspiterina hai fatto a pensare che non fossi più vergine.- e mi alzai di scatto dal letto puntandogli gli occhi azzurri spalancati per lo sdegno nei suoi, che erano colpevoli.
-Quando mi sono alzato dal letto per vestirmi, ho notato che il lenzuolo non era sporco per niente.-
Oh cavolo, stava dicendo sul serio? Davvero gli uomini erano così limitati. Non aggiunsi più niente, anche perché cosa c’era da aggiungere?  Non riuscii nemmeno a guardarlo in faccia.
-Sappi solo che hai rovinato il momento più bello della mia vita con le tue stupidaggini.  Adesso se non ti dispiace vado a fare colazione. Ho fame.- dissi fredda, o almeno cercavo di smembrarlo. Lui per tutto il tempo tenne la mascella contratta. Sapeva di aver sbagliato e sapeva anche che per rimediare alla sua cafonaggine doveva inventarsi qualcosa di stupefacente.  Non l’avrei perdonato facilmente.
-Sono le undici, la mensa ha chiuso da un pezzo.- mi disse incrociando le braccia al petto.
-Vorrà dire che vado a cercare qualche avanzo. -
-Fermati, sono uscito qualche ora prima che ti svegliassi e ti ho preso una brioche!-
Avanzò superandomi e andando verso il comodino. Prese un sacchetto bianco e lo lanciò sul letto.
Poi andò verso la porta e prese uno zaino nero lanciando anch’esso sul letto.
Assomigliava molto al mio di zaino, quello che avevo preparato prima della simulazione.
-Se te lo stai chiedendo è il tuo, così puoi lavarti e cambiarti. Io devo andare, ho un appuntamento. Ci vediamo più tardi.- si avvicinò e mi diedi un leggero bacio sulle labbra. Poi aprì la porta e uscì, lasciandomi li, in piedi impalata come una cretina.
Non era passato nemmeno un minuto che me la porta si riaprì di nuovo.
-Dimmi solo se quel porco l’hanno preso. Dimmelo ti prego. Non potrei vivere sapendo che lui è libero di camminare in strada mentre rovina le persone…persone come te.- 
Sembrava imbarazzato dalle parole appena pronunciate ma si poteva leggere nella sua voce anche rabbia.
-Si, li hanno presi. Erano in tre e li hanno giustiziati qui da voi.- dire queste ultime parole fu davvero molto liberatorio per me. Parlarne con lui era stata una fortuna in fondo, anche se potevamo trovare un modo diverso per farlo. Doverlo affrontare in una simulazione è una cosa, ma dirlo ad alta voce era ancora più dura, perché quelle immagini tornavano alla mente e diventavano reali. Tu non potevi fermarle, loro scorrevano e tu non potevi far niente per fermarle. Eri costretta a guardarle. Ed accettarle inerme.
Lui si avvicinò a me con due grandi falcate e mi prese i fianchi con le sue possenti braccia. Mi ritrovai buttata sul letto con lui sopra che mi tempestava di baci la bocca.
-Non avevi un appuntamento?- chiesi con un sorriso sgargiante.
A sentire le mie parole lui si rabbuiò immediatamente. Si alzò, si risistemò la giacca e se ne andò, lasciandomi da sola.
Dopo aver mangiato la brioche ed essermi lavata, decisi di sistemare le mie cose in qualche cassetto dell’armadio di Eric.
Aprii lo zaino e ne svuotai il contenuto. Dentro c’erano le mie tute, le canotte e tutte quelle cose che erano servite per l’allenamento, niente maglioni o felpe invernali. Così fui costretta a prenderne una dall’armadio di Eric.
Quando aprii il suo armadio, un odore intenso di naftalina mi penetrò le narici mentre un sorriso si dipinse sul mio viso. Era tutto così ordinato, ma di un ordine maniacale che lo aveva portato a mettere tutte le felpe su un ripiano, tutte le t-shirt in un altro e i pantaloni belli larghi piegati in due.  Tutto il contrario del mio di armadio, così disordinato dove le cose venivano riposte come capitavano. Il merito era stata la sua educazione da Erudito, infatti ero l’unico capofazione a portare i capelli così in ordine. Presi una felpa dal suo armadio e me la misi. Però mi accorsi che non c’era uno spazio vuoto, così la sciai tutto come stava sul letto ed uscii dalla stanza. Tanto valeva aspettare che tornasse nella sua stanza e mi dicesse lui dove mettere le mie cose, io intanto mi recai nello studio di Tori.

Quando entrai mi ritrovai di nuovo la segretaria dell’altra volta sempre super affaccendata.
-Ciao, scusami c’è Tori?- chiesi appoggiando i gomiti sul bancone che mi divideva da lei.
-Si!- rispose secca lei senza nemmeno alzare gli occhi dai fogli.
-Dove posso trovarla?- chiesi ancora molto garbatamente cercando di trattenermi dallo strangolarla.
-Nel suo ufficio, in fondo a destra.-
-Grazie.- risposi e mi incamminai da Tori.
Quando entrai la trovai seduta sulla sedia che disegnava.
-Ciao.- dissi per attirare la sua attenzione.
-Oh, ciao Sheena? Come posso aiutarti?-
-Mi daresti un lavoro?-
Lei scoppiò a ridere ed io con lei.
-Sai disegnare?- mi chiese dopo essersi ripresa e mostrandomi il foglio con il disegno.
-Si!- risposi sorridendo.
-Ci avrei giurato! Eri una pacifica vero?-
-Si…- dissi con una nota di rammarico nella mia voce.
Quella conversazione mi aveva fatto ricordare che avevo un fratello della mia stessa età, della quale non sapevo se avesse o no passato l’iniziazione. Sarei andata dritta dai pacifici e glielo avrei chiesto di persona.
Ma non oggi, magari domani con la scusa del jogging.
-Senti torna domani e ti metterò alla prova. Magari potrai fare uno stage per qualche settimana e se sarai brava, ti prendo a lavorare. Che ne dici?- mi chiese lei guardandomi con quegli occhi a mandorla nocciola
Mi sembrava una proposta più che accettabile.
-Certo! Grazie ancora.- dissi e ci stringemmo la mano.
Una strana felicità mi invase il corpo.
Avevo trovato un lavoro, vivevo con la persona che amavo e finalmente la vita mi stava regalando qualcosa, non si limitava più a togliere e basta, come aveva fatto con mio padre.
Ah, se fosse stato qui. Mi avrebbe vista diventare quello che avevo sempre disiderato di essere e tutto questo perché avevo per una volta nella vita, seguito il muscolo che mi batteva nel petto.
Ma lui non c’era, non poteva dirmi quanto era felice per me, poteva solo guardarmi.
Istintivamente portai gli occhi al cielo, e sorridendo lo ringrazia.
Poi uscii dal negozio e mi diressi al pozzo.
Mi guardavo in torno in cerca di un viso a me conosciuto ma dei miei amici niente, neanche l’ombra. Non sapendo cosa fare, decisi di ritornare a casa e magari cercare da me una sistemazione per i miei vestiti. Nel momento in cui attraversai lo strapiombo mi ritrovai di fronte un James tutto sorridente parlare, o meglio flirtare con una ragazza. Passai oltre, sperando di non essere vista, insomma non volevo rovinare quel momento romantico e mi incamminai lungo il corridoi.

-Sheena!-
Qualcuno chiamò il mio nome così mi fermai e mi girai, ma quando lo feci mi accorsi che non c’era nessuno. Così con una alzata di spalle, continuai sul mio cammino.
-Sheena sono qui, sulla destra.-
A quel punto feci come la voce mi diceva di fare e nell’esatto momento in cui girai la testa verso destra, mi ritrovai con due occhi verdi puntati addosso. Era Tris che con i suoi capelli miele mi chiamava.
Quando la raggiunsi, mi tirò per una manica affinché anche io potessi nascondermi nel vicolo da cui lei mi aveva chiamato.
Che strano comportamento, pensai.
-Cosa c’è?- chiesi guardandomi intorno.
Era tutto buio lì, non c’era nemmeno una luce. Niente.  Eravamo stati risucchiate da tutta quell’oscurità. In fondo non era sempre quello che avevo conosciuto? Dolore, oscurità, rabbia. Chi l’aveva mai conosciuta la luce? E se pure era accaduto, si trattava di un passato remoto.
-Sta per accadere qualcosa di distruttivo per la nostra società. Tu sai perché Jeanine era qui, vero?-
Feci no con la testa mentre le sue parole cominciavano a spaventarmi. Anche se intuivo qualcosa.
-Era qui per quella stupida caccia ai divergenti. Lei crede che siano pericolosi per l’intera società perché non possono essere controllati, e beh, lei odia non controllare le persone. Ma soprattutto manipolarle. Se non può farle allora tanto vale eliminarle.-
Appunto, non puoi dire Jeanine, senza dire divergente.
-Si, so che cosa sta cercando di fare. Faceva propaganda sui giornali. Ma cosa c’entriamo noi con lei? Insomma voglio dire lei è un erudita mentre noi…- comincia a gesticolare segno che stavo diventando nervosa. Ma per cosa?
-…siamo intrepidi. Questo vuol dire solo una cosa…-
-…alleanza.- continuai la frase al posto di Tris quando capii tutto. Capii perché Eric e gli altri capifazione fossero con lei. Capii perché Eric era diventato un pezzo di marmo quando quella stessa mattina gli avevo ricordato di quell’appuntamento. Tutto mi fu chiaro, cristallino. Questo voleva dire anche che mio fratello era in pericolo.
-Tris, sta per iniziare una guerra vero?- gli chiesi guardandola dritta negli occhi.
Sperai con tutta me stessa che dicesse di no, che le cose sarebbero cambiate se tutta la città avesse accettato il diverso ma tutte le mie speranze caddero dopo la risposta di Tris.
Lei fece un cenno di assenso con la testa e i suoi occhi dicevano lo stesso. Non mi stava mentendo. Forse era la prima persona a non farlo.
Improvvisamente quel vicolo divenne troppo buio anche per me, dovevo uscire di li, dovevo ricominciare a respirare, dovevo salvare mio fratello, dovevo fare davvero tante cose.
Non salutai nemmeno Tris mentre cominciai ad incamminarmi nella stanza di Eric. Fu quando arrivai dinanzi alla porta che non riuscii nemmeno ad aprirla. Le mani mi tremavano, gli occhi ormai erano diventati bagnati dalle lacrime mentre esse scendevano, facendomi il solletico, fin sotto il mento. Mi portai le mani alla bocca e riuscii a non far uscire nemmeno un lamento strozzato.
Guardai ancora la porta, sperando che scomparisse ma quella maledetta era ancora li. Allora diedi un calcio, ma niente, lei non spariva. Così presa dalla foga del momento , cominciai a tempestarla di colpi. Le mani facevano male, le ginocchia erano diventato molli ma io non mollavo. Era come se buttando giù quella stupida ed insignificante porta, io potessi dimenticare tutto. Dimenticare soprattutto quello che c’era stato dentro quelle quattro mura. Il problema era che io ero troppo codarda per poter dimenticare tutto, perché io non l’avrei ammesso ma non volevo per nessun motivo al mondo dimenticare quel momento. Ad un tratto tutte quelle immagini, dal salto nel vuoto del treno fino a questa mattina, tronarono a cerarmi per essere rivissute una seconda volta. Ricordai quando mi aveva sbattuto al muro, quando tagliai i mei lunghi capelli e quando ciocca dopo ciocca, io fossi già cotta di lui. Di quando ubriaco lo riportai in quella stanza oppure del nostro primo vero bacio nel suo ufficio. Di quando mi aveva umiliata, lacerata e buttato a terra  baciando quella troia di Taylor. Di quando solo quella stessa mattina mi aveva fatta sentire dannatamente donna e desiderata ed amata. Di quando necessitavo di un suo abbraccio in quel momento.
Sentii una mano premere sulla mia spalla e quando mi girai dinanzi ai mei occhi apparve James. Che ci faceva lui lì? Non ebbi il tempo di chiederglielo perché mi stritolò in un abbraccio mentre sulla sua spalla mi lasciavo andare.
-Vieni con me.- mi disse ed io stretta tra le sue braccia, lo seguii.

Arrivammo poi dinanzi ad una casetta su nel palazzo di vetro. Era davvero carina, con le imposte bianche e le pareti grigie, ma fu quando entrammo che l’odore di cucinato mi invase le narici facendomi sentire a casa.
-Accomodati pure su un divanetto, io vado a prenderti qualcosa da bere.- mi disse mentre mi accarezzava la testa con fare affettuoso. Si allontanò poi dietro ad una colonna. Io ebbi il tempo di studiare la casa. Il divano su cui ero seduta era di pelle nera dello stesso colore del tavolinetto al centro della stanza. Poi di fronte al divano c’era questo grande armadio in legno di ebano. Tutto intorno una carta da pareti cremisi che si andava ad abbinare alla moquette color bronzo.
Dopo poco James tornò da quella che doveva essere la cucina con in mano un vassoio di tazze fumanti.  La casa immediatamente fu invasa dall’odore di vaniglia. Ah tè alla vaniglia, il mio preferito.
-Sapevo che era il tuo preferito così te ne ho preparato una tazza!- disse James mentre poggiava sul tavolinetto il vassoio. Io lo ricambiai con un grandissimo sorriso. Presi quella tazza fumante di te e cominciai a bere. Anche se scottava io continuavo lo stesso a mandare giù il te. Quel dolore, cioè la gola che bruciava così come il palato, mi aiutava a dimenticare. Stavo diventando una sorta di masochista. A quel pensiero mi fermai accorgendomi però che il tè era quasi finito. Poggiai la tazza sul tavolinetto e solo allora mi accorsi dello sguardo allarmato che si era dipinto sul suo viso. Dopo vari secondo in cui ci osservammo  e ci scrutammo, poi dopo pochi secondi, scoppiammo a ridere.
-Ti starai chiedendo che posto è questo, vero?- mi chiese lui.
-Credo che sia casa tua.- risposi io guardandomi intorno.
-Si è proprio lei. La mia casa d’infanzia.- rispose osservando la casa con un sorriso triste.
Mi alzai e andai verso il mobile nero. Su un ripiano c’erano delle foto e quasi tutte avevano come protagonista una donna.
-Lei chi è?- chiesi rivolta verso James.
Lui si alzò e venne verso di me prendendo la foto dalle mie mani –È mia madre.- rispose con un sorriso triste e lontano.
-Qualcosa non va?- chiesi innocente.
-No, è che ricordarla mi provoca sempre un grande vuoto al petto.-
Capii all’istante che sua madre era morta, così lo abbracciai e lo rassicurai.
-So come ci si sente. Si è imponenti e l’unica cosa che ti resta, sono quelle maledette foto e quei maledetti ricordi.-
-Già soprattutto i ricordi di una madre malata e all’estremo delle proprie forze ed un padre incazzato con il mondo e con i suoi figli.- disse questo e cominciò a guardare una foto dove c’era suo padre, un omone alto con gli occhi azzurri, vicino ad una donna minuta, dai capelli biondi con un tatuaggio sul sopracciglio sinistro che rappresentavano delle stelle. Due per la precisione. Ma la cosa che più mi rimase impresso di quella foto, era la sua bellezza. Quel sorriso bianco, quegli occhi azzurro cielo quasi trasparenti e quella piccola bocca rossa. Era davvero perfetta. James invece era uguale a suo padre Matt. Stessa corporatura, stessa altezza e stessi occhi. Solo le labbra erano le stesse della madre.
-Come si chiamava?- chiesi anche se avrei tanto voluto aggiungere che tipo di malattia avesse, ma quello lo tenni per me. Non puoi fare certe domande ad un ragazzo ancora a pezzi per questo.
-Jenna. Avevo otto anni quando è morta e il suo ricordo è ancora così intenso, così vivido. Perfino il suono della sua voce o come si scostava i capelli quando era imbarazzata, ricordo perfino questi piccoli particolari.-
-Anche io ricordo molto bene mia madre. Ricordo anche la sua gentilezza e i suoi modi fini. Di certo non ho preso da lei.- aggiunsi io con lo stesso sorriso triste che aveva James. Lui mi guardò e scoppiò a ridere. Era sempre così bello stare con lui, perché ti faceva ridere anche nei momenti più bui e lo amavo alla follia proprio per questo.  Non so cosa avrei fatto se lui un giorno fosse morto.
-Guardaci, sembriamo due vecchi amici di ottanta anni che rivedono il loro passato andato con un insolita tristezza. Forza usciamo di qui, altrimenti arriveranno anche le lacrime.-
Così ci ributtammo fuori, mentre il palazzo di vetro si stava svuotando perché era il pozzo che si stava per riempire. Ci accorgemmo che era ora di pranzo così, ci recammo alla mensa.
Come sempre ad attenderci ci fu la confusione ma i miei occhi famelici volevano incontrare solo il viso di una persona.
-Sei stai cercando Eric, so che sono andati fuori con mio padre. Credo a fare una ronda.-
James, capendo cosa stavo cercando, mi aveva anticipato.
-Una ronda? Che ronda?-
-Per verificare come se la stanno cavando i nuovi.-
Detto questo cominciammo ad incamminarci al buffet.
Finito di mangiare io salutai James e mi incamminai verso la camera di Eric.
Al mio ritorno però la trovai aperta. Sentii uno strano vuoto allo stomaco, non avevo certo dimenticato quello che mi aveva detto Tris quella mattina, e non avevo di certo dimenticato che quello voleva dire dover scegliere tra la fazione( quindi Eric) e mio fratello (quindi i divergenti).
Avrei tanto desiderato piangere e tutti i sintomi c’erano, ma le ricaccia dentro. Buttando fuori tutta l’aria che avevo nei polmoni entrai in camera.

Lo trovai chino sul letto che armeggiava con qualcosa. Abbassai gli occhi quando mi ricordai del disordine lasciato sul letto. Dannazione a me e al mio disordine!
-Oh eccoti! Si può sapere che cavolo hai combinato?- non mi ero nemmeno accorta che i suoi gelidi occhi ero puntati come semafori su di me.
-Cercavo dei vestiti. Ah tra parentesi questa felpa è tua. Una volta però che avevo aperto il tuo armadio, ma soprattutto dopo aver visto quell’ordine maniacale, non sapevo dove mettere i miei quattro vestiti.- dissi sparando quelle parole a raffica segno che ero in balia dell’ansia.
Eric sorrise e poi si avvicinò molto lentamente a me. Il suo sguardo non era severo o gelido come sempre, sembrava invece che le iridi si fossero colorate di lussuria. Questa cosa e la sua vicinanza mi stavano facendo male. Mi prese il viso tra le mani e ci abbandonammo ad un bacio troppo spinto. Era come se mi stesse violentando la bocca. Ma quella cosa mi piaceva un sacco, tant’è che quando ci staccammo perché senza fiato, mi mancò il contatto con le sue labbra. Lui mi prese la mano e se la portò alla bocca. Ma il mio fiato si mozzò quando vidi il suo sguardo cambiare repentinamente. Fu allora che mi ricordai dei colpi che avevo inferto alla porta.  
Le nocche delle mie mani erano  sporche di sangue ormai raffermo. Non mi ero nemmeno accorta di quelle cicatrici sulle mani, infatti non mi ero degnata nemmeno di disinfettarle  e pulirle.
-Sono andata al centro a fare allenamento.- lo anticipai io, cerando di fermare l’ansia che stava crescendo dentro di me. Lui alzò gli occhi dalle mie mani fino a portarli nei miei occhi. Erano ancora gelidi e lui troppo silenzioso. Brutto segno perché questo voleva dire che non mi credeva veramente, ma quando fece segno di assenso con la testa, i miei polmoni ripresero l’aria che gli era stata negata.
-Aspettami qui, vado in infermeria a prendere del disinfettante.- mi disse avvicinandosi alla porta e lasciando la stanza.
Appena lasciò la stanza mi fiondai anche io sulla porta per vedere se ci fossero delle ammaccature.
Fortunatamente non c’erano segni evidenti della mia lotta.
Tirai un secondo sospiro di sollievo e rientrai quando sentii dei passi avvicinarsi.
Eric tornò dopo pochi minuti con in mano una boccetta bianca accompagnato dal suo cipiglio critico.
Poi mi invitò a sedermi sul letto e lui mi si sedette vicino.
Prese le mie mani e cominciò a passarci sopra il batuffolo inzuppato di disinfettante.
Io cercai di ritirala quando il batuffolo entrò a contatto con la ferita perché bruciava terribilmente, ma Eric mi regalò uno sguardo poco raccomandabile e io continuai la mia sofferenza in silenzio.
Poco dopo finì e mise un cerotto sulla ferita più grande.
Gli attimi che seguirono dopo furono coperti dal silenzio e dai nostri sguardi che si incrociavano di sfuggita, almeno il mio. Non riuscivo a guardarlo negli occhi. Un po’ per il fatto di avergli mentito ed un po’ per la storia che mi aveva detto Tris.
-Ho come l’impressione che tu non mi abbia detto la verità. Dimmi che sto sbagliando Sheena.-
quando pronunciò quelle parole il mio cuore perse due battiti. Possibile che ero come un libro aperto per lui?
Feci finta di niente e deglutii.
Lui poi fece una cosa che non mi sarei mai aspettato, prese con gentilezza il mio mento ed incastrò i suoi occhi nei miei.
Dopo poco però mi lasciò andare come se avesse finalmente trovato quello che stava cercando.
-Va beh io vado a fare un giro, vuoi venire?- mi chiese senza veramente guardarmi negli occhi.
Sembrava stanco di tutto il casino che era successo in un solo giorno e come dargli torto? Anche io lo ero e il mio stomaco ne risentiva più di tutti.
-No, non ne ho voglia.- risposi alzandomi e dirigendomi poi verso il bagno.
Ma Eric entrò prepotentemente nel bagno sbattendo la porta e chiudendola alle mie spalle.
-Cosa ti sta succedendo Sheena? E non venirmi a raccontare che stai così per tuo padre. Quella fase l’abbiamo superata.-
Rimasi allibita dal suo comportamento e mentre una parte di me avrebbe voluto raccontare tutto quello che il mio cervello stava pensando, l’altra, la parte più razionale, mi diceva che se avrei raccontato tutto, mio fratello si sarebbe ritrovato sottoterra, e in quel caso avrei dovuto piangere due morti, non più uno.
Sospira e mi passai una mano tra i capelli e mi sedetti sul bordo della vasca.
La parte razionale se ne era appena andata a farsi un giro.
Alcuni segreti sono troppo grandi da essere sopportati da una sola persona.
-Perché Jeanine era qui?-
E la bomba era stata appena lanciata.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19. ***


Capitolo 19.


Lui non rispose subito, forse perché non aveva ancora assimilato quelle parole o forse perché non sapeva cosa rispondermi. Dopo qualche secondo però lo sguardo che mi rivolse fu strano, era come se fosse sorpreso dalla domanda che gli avevo appena posto,  come se si fosse appena reso conto che qualcun' altro, qualcuno che non fosse lui, fosse venuto a conoscenza di un terribile segreto da egli commesso.
Ecco era proprio quello sguardo di stupore misto a terrore, che mi fece seccare tutta la saliva che avevo in bocca.
-Ti devo rifare la domanda, Eric?- chiesi di nuovo mentre quel terrore si stava tramutando in una rabbia cocente.
Anche il suo sguardò cambiò perché tornò quello letale di sempre, con una sola differenza, i suoi occhi grigi erano ancora più bui delle altre volte.
-Non sono cose che ti riguardano, Sheena.- mi rispose serrando la mascella.
Ma non si mosse, non aprì la porta, solo rimase ancora in quella posizione dritta e spavalda davanti a me.
C’era qualcosa nel suo atteggiamento che voleva dirmi “continua con le tue domande Sheena”, ed era una cosa che andava a contrastare le sue parole.
-Non raccontarmi cazzate, Eric.- gli risposi io.
Il suo sguardo, dopo aver pronunciato quelle parole mi fecero capire che dovevo stare zitta, che dovevo lasciare stare quella maledetta guerra che si stava scatenando tra noi due.
I suoi occhi, Dio quanto erano scuri, in netto contrasto con il blu.
Non avevo mai visto quegli occhi prima di allora.
L’Eric assassino, quello spietato e distruttivo si era fatto vedere per un attimo in quelle iridi azzurre ghiaccio.
In un attimo, mi prese dal braccio e mi trascinò fuori da quella stanza, aprendo anche con una certa foga  la porta.
Mi scaravento sul letto e mi puntò il dito contro, con gli occhi rossi assetati di sangue.
-Ti ho detto che non sono cose che ti riguardano, devo ripetertelo ancora?- le parole risultarono minacciose e pronunciate con un tono piatto, freddo che sortirono un effetto sgradevole lungo la mia pelle diafana.
-Altrimenti?- risposi io incazzata e un po’ intimorita. Riuscivo comunque, anche nello spavento, a tenergli testa.
-Non giocare con me ragazzina, non ti conviene.- mi rispose altrettanto incazzato.
-Adesso sono tornata ad essere una ragazzina? E perché non lo ero quando…-ma non riuscii a pronunciare le ultime parole che me lo ritrovai addosso, con le mani premute sui miei polsi, mentre con il ginocchio tentava di aprirmi le gambe per potersi mettere in mezzo con il busto.
-…quando ti stavo scopando? Non fare uscire il diavolo che è in me, altrimenti ti farai male.- sussurrò le ultime parole nel mio orecchio prima di stringere fra i denti il mio lobo. Anche quelle di parole vennero dette con cinismo. Mi accorsi per la prima volta, che non avevo mai conosciuto quella parte di Eric, quella che lo aveva reso il capofazione più terribile, quella che provava eccitazione nel vedere gli altri soffrire, quella che ce l’aveva a morte con Quattro o quella che complottava con gli eruditi, solo per il potere.  Infondo era questo il vero motivo per cui Jeanine era qui.
Il potere.
 Io lo sapevo e lui lo sapeva, allora perché non lo ammetteva? Perché continuava con quel teatrino al quanto finto?
Un urletto di dolore uscì dalla mia bocca che venne prontamente tappata dalla sua.
Come sempre i suoi baci erano tremendamente brutali e questo non ne era da meno. Ma finì per la prima volta per mio volere.
Questa volta il mio bisogno di risposte, di sapere la verità era più forte di qualsiasi bacio, quei rari baci, di Eric. Perché doveva esserci sotto qualcos’altro oltre alla sete di potere.
Gli morsi così forte il labbro inferiore che sentii un sapore ferroso irradiarmi tutta la bocca.
 Ero arrivata perfino a fargli del male, a volere il suo sangue.  Ma se quello era l’unico modo per fargli capire quanto desideravo delle sue risposte, allora lo avrei fatto.
Lui si allontanò da me, sedendosi poi sul letto, pulendosi con il dorso della mano il labro insanguinato.
Credevo che fosse arrabbiato, invece era di tutt’altro avviso, sembrava visibilmente divertito.
-Credevi forse che un po’ di sangue, che mordermi il labbro, fosse l’unico modo per farmi tornare sui miei passi? Non pensarci nemmeno.- rude e diabolico, ecco come si presentava.
-Allora sappi solo che se dovessi scegliere tra te e mio fratello, non ci penserò su un attimo.- risposi alzandomi e andando verso la porta.
Lo guardai più per curiosità che altro e non era cambiato niente.
Presi ed uscii.
Dopo aver passeggiato per la fazione per più di due ore, cercando di calmare i nervi e di pensare a tutto quello che era successo, andai in mensa e mangiai, lui arrivò dopo poco, ma non ci guardammo minimamente. Poi rientrai in stanza prima di lui e andai in bagno per lavarmi i denti.
Lo scatto della porta mi fece capire che era rientrato, così a testa alta tornai anche io in stanza.
-Non esci questa sera?- chiesi io con freddezza.
-Certo.- mi rispose lui con la stessa freddezza.
-Perfetto, puoi solo dirmi dove mettere la mia roba?- chiesi indicando il mio zaino.
Lui si diresse verso l’armadio e prese una pila di felpe e le mise su una sedia.
Poi mi superò ed uscì.
La voglia di piangere era davvero tanta, ma non lo feci. Non per lui, ma per me. 
Ultimamente non facevo che piangere ed ero stufa.
Presi le mie cose e le misi nel ripiano libero, poi presi una maglietta di Eric, e la misi indosso.
La maglia arrivava sulle cosce per quanto era lunga e poi marciai dritta verso il letto.
Guardai la sveglia e mi accorsi che erano solo le nove e mezza.

Mille dubbi si insinuarono nella mia mente. Mille domande si formarono nella testa.
Quando sarebbe rientrato? A che ora? Ma soprattutto, con chi era?
Anche se ero incazzata con lui, pensarlo abbracciato con un'altra mi faceva stare male.
Il pensiero che avrebbe passato tutta la serata con Taylor, mi fece ribollire il sangue nelle vene.
Decisi di aspettarlo sveglio.
Mi misi sotto le coperte e aspettai seduta.
Le nove e mezza, divennero le dieci, poi le dieci, le dieci e mezza.
Mi preoccupai quando divennero le undici meno venti, perché di solito Eric non arrivava mai a fare le undici in giro per il quartiere, abituato come era ad alzarsi alle sette poi la mattina, quell’orario era davvero preoccupante.
Ma se lui sembrava non avere sonno, io però si.
Mi alzai e spensi la luce. Decisi che non me ne fregava più niente di lui, che non meritava nemmeno che io stessi in ansia e in pensiero per lui, ecco nemmeno la mia ansia si meritava.
Mi rimisi a letto e cercai di addormentarmi.
Fu tutto dannatamente inutile, perché le immagini della sua bocca appiccicata a quella della rossa, mi tormentavano. Era come rivivere un incubo, nella mente però.
La maniglia della porta fece uno scatto e poi la sentii aprirsi.
Seguii con lo sguardo quella figura imponente che a tastoni raggiungeva il bagno.
Rimisi la testa sul cuscino, ma restando comunque con gli occhi aperti.
Dopo qualche minuto anche la porta del bagno si aprì e di nuovo la sua figura venne avanti.
Dalla sua parte di letto c’era il comodino con l’abatjour  e ci feci caso solo quando l’accese.
Mi rigirai supina e misi le mani in grembo.
Stavo per chiedere qualcosa, qualsiasi cosa per capire come la serata fosse andata, ma la presenza di un profumo dolciastro da donna, mi penetrò prepotentemente le narici, bloccandomi le parole in gola.
Rosso era il colore, l’unico colore che in quel momento vedevo.
Ecco che di nuovo quell’immagine si fissò nella mente.
Eric nel frattempo si stava slacciando la cintura dei pantaloni.
-Con…con chi sei stato?- chiesi schiarendomi la gola, dopo aver recuperato un po’ del mio coraggio, continuando però, a guardare il soffitto che non era mai stato così interessante come mai prima di allora.
Lui, che mi dava le spalle, si fermò un attimo guardandomi con la coda dell’occhio. Ma quel momento durò poco visto che si tolse definitivamente i pantaloni e poi la maglia. Le sue spalle da dietro erano rilassate, segno che non ero poi tanto infastidito dalle mie parole.
Le coperte si alzarono leggermente facendo entrare un leggero venticello che però, avendo le gambe scoperte, produsse un leggero strato di pelle d’oca su di esse.
Poi il letto si abbassò sotto il suo peso e la luce fu spenta.
Vedendo che la risposta non arrivava e che se volevo averne avrei dovuto cominciare una lotta, decisi di tacere, di dargliela vinta solo per quella volta essendo troppo stanca.
E poi la bambina ero io.
Mi girai dall’altra parte e chiusi gli occhi.
Lo sentii respirare affianco. Un respiro lungo ed irregolare.
-Con amici.-
Eccola la risposta, un po’ in ritardo ma questo voleva dire che per l’ennesima volta io avevo vinto.
Un sorriso si dipinse sul mio volto ma non lo diedi a vedere.
Anche se sapevo che quella non era tutta la verità, perché il profumo non mentiva.
-Buona notte Eric.- risposi
Dopo una manciata di minuti un corpo caldo mi si plasmò sulla schiena, mentre due grandi braccia mi strinsero la vita. Una lacrima scese solitaria sul mio viso, ed io prontamente, l’asciugai.
Anche se l’argomento sembrava chiuso per lui, di certo non lo era per me.
Quella mattina decisi di uscire a vedere mio fratello e lo avrei fatto con la scusa dello jogging.
Erano le sei e mezza quando mi alzai dal letto e mi fiondai in bagno a lavarmi denti e faccia.
Poi tornai in camera con l’intento di vestirmi e lo feci in punta di piedi. Ma fu tutto inutile perché qualcun‘altro era già sceso dal letto.
-Buongiorno!- gli urlai abbracciandolo da dietro.
-Buongiorno a te. Come mai già sveglia?- mi chiese subito sulla difensiva.
Dio non potevi nascondergli niente. Ormai per lui ero un libro aperto, ma lui lo era per me?
Scacciai quei pensieri dalla testa e gli morsi il tatuaggio che aveva sul collo.
-Dato che oggi sarà il mio primo giorno di lavoro, voglio iniziare al meglio così ho deciso di andare a fare jogging.- risposi poi allontanandomi da lui e recandomi verso l’armadio. Quando lo aprii estrassi un top sportivo e una tuta. Poi presi la mia unica felpa e la misi sopra, chiudendo la zip sul davanti.
Intanto anche lui si era vestito e aveva raggiunto il bagno, cosa che feci anche io.
-Allora io vado, ci vediamo all’ora di pranzo.- gli dissi con un sorriso stampato in faccia dandogli un bacio sulle labbra. Prima che succedesse l’irreparabile, mi staccai immediatamente da quella dolce tentazione correndo verso la porta e uscendo, finalmente.
Era ormai arrivato ottobre e lo si sentiva sulla pelle scoperta. Il freddo era pungente ma non mi dispiaceva per niente. Ogni volta che il vento gelido mi colpiva la faccia, oltre che a rabbrividire, mi faceva sentire rigenerata. Come dopo una bella docci calda. Questo era dovuto al mio amore per il freddo invernale, quello che ti costringe ad uscire di casa con guanti e cappello al seguito.
Un rumore mi svegliò da quel torpore che stavo vivendo, ricordandomi che il treno stava per arrivare.
Così cominciai a corrergli dietro e non appena lo vidi sbucare dalla curva accelerai il passo.
Il vento mi sbatteva sul viso, facendomi lacrimare, ma poco mi importava. Quando lo sentii più vicino a me allora mi fermai e mi ci lanciai contro, finendo con un piede sullo scalino e con la mano sul gancio del portellone. Misi poi l’altro piedi vicino al portellone e spinsi fino ad aprirlo. Una volta aperto, mi buttai dentro, pronta alla prossima fermata.
Anche se il sole stava sorgendo lentamente all’orizzonte, dal finestrino potevo ammirare già la città che si metteva in moto. Gli autobus erano pronti a scaricare nuovi e vecchi studenti nella scuola, alcuni intrepidi pattugliavano le strade ed infine anche il centro degli eruditi era già all’opera per la ricerca. Uno strano senso allo stomaco mi fece riflettere. E se quei sieri fossero usati contro i divergenti? E se mio fratello venisse scoperto, che fine avrei fatto io? ormai associavo la parola “erudito” con “morte di mio fratello”.
Poi il panorama cambiò, perché di fronte si aprì la grande prateria dei pacifici, anche loro già svegli a raccogliere i prodotti che la terra aveva offerto. Un sorriso si dipinsi sul mio volto, quando il viso di mio fratello si posizionò nella mia mente.
Viso che se non mi sbrigavo a scendere, non avrei visto di certo.
Mi attaccai al muro del vagone, per poi correre e liberarmi nel vuoto per incontrare il suolo.
Il contatto con il terreno, la terra bagnata ancora dalla notte sul viso e il profumo dell’erbetta. Tutta la mia infanzia era concentrata su quell’odore, soprattutto se aveva smesso da poco di piovere, l’erba aveva un profumo che mi rilassava, che mi confortava. Li sdraiata su quel terreno, immersa nel verde, le immagini della mia infanzia felice tornarono prepotentemente a galla. Fu il treno, con il suo fischiare, a riportarmi alla realtà e a ricordarmi chi ero.
Mi alzai e mi pulii i vestiti, mi risistemai i capelli ed infine misi il cappuccio della felpa sulla testa.
Poi cominciai a correre, macinando metri di terra arrivando poi dinanzi al quartier generale.
Una cosa che della missione “trova il fratellone” non avevo messo in conto erano gli sguardi allibiti della gente, sembravano spaventati dal colore nero che indossavo, li sentivo parlottare di qualcosa quando mi avvicinavo piano, piano a qualcuno per chiedere informazioni.
Improvvisamente mi sembrò di essere tornata a sei anni fa, quando lo spavento aveva la faccia della pena.
Ma erano spaventati forse da quello che stava succedendo nella città? Che anche da loro Jeanine avesse assistito alle loro iniziazioni?
Un uomo preoccupato ma la tempo stesso offeso da qualcosa, mi venne vicino.
Era Samel, uno dei portavoce di Johanna insieme a mio padre. Lo riconobbi dai suoi occhi. Ma c’era qualcosa nel suo aspetto che mi fece capire che anche dai pacifici c’era qualcosa che non andava.
-Che cosa vuole?- mi chiese sgarbato ma gentile allo stesso tempo. Solo i pacifici potevano essere così.
-Sto cercando una persona.- risposi guardandomi intorno.
-Torna più tardi ora è l’ora della colazione.- mi disse prendendomi da un braccio e allontanandomi con forza. Nel farlo però il cappuccio cadde e i suoi occhi vennero spalancati -Sheena…- disse solo in un sussurro lasciandomi andare e mettendosi le mani tra i capelli.
Sembrava preoccupato.
Una campana alle mie spalle cominciò a suonare. Sapevo che era il richiamo della colazione, e veniva usata anche per la cena ed il pranzo. In quel modo tutti poteva smettere di fare le cose che stavano facendo e recarsi nella mensa. Oltre che un posto dove si poteva anche discutere delle problematiche della fazione, per trovare insieme un modo per risolverle. La particolarità di quella mensa era l’immenso arbusto dalla folta chioma cresciuto proprio in mezzo alla sala, quasi a dimostrare che la natura era padrona solo di se stessa.
-Senti Samel, sai dov’è mio fratello?- chiese ad un certo punto spazientita di quel comportamento bizzarro. Dovevo tronare a casa o Eric avrebbe capito tutto. Il treno ci aveva impiegato più di quanto mi fossi aspettata.
A quel punto il suo pomo d’Adamo andava su e giù, mentre i suoi occhi non incontrarono mai i miei. La preoccupazione, l’ansia di sentire la verità, si fece strada prepotentemente in me. Dovetti buttare giù un profondo boccone di aria, prima di prenderlo con la forza e di urlargli contro di parlare, se sapeva qualcosa.
Vidi la rassegnazione nei suoi bellissimi occhi azzurri e poi la sua bocca far uscire un fiume di parole.
-Tuo fratello…tuo fratello è diventato un escluso perché non è riuscito a superare l’iniziazione. C’era troppa rabbia nel suo cuore, era accecata da essa e non siamo riusciti a trasformarla in amore.-
L’arai era diventata troppo pesante da sopportare, così come i piedi, le mani, le gambe.
MI sembrava di non essere nella realtà, si essere stata catapultata in un terribile incubo che non aveva fine.
Tutto intorno a me aveva cominciato a girare, i miei occhi si erano appannati, come se ci stessero piovendo dentro. L’unica cosa che non era diventata immobile era il cuore. Quello stronzo continuava a pompare sangue e a battere forte.
Tuo fratello…tuo fratello è diventato un escluso perché non è riuscito a superare l’iniziazione.
Erano queste le uniche parole che mi vorticavano in testa, e giravano e si attaccavano al cranio, come un grande tatuaggio. Avevo dato per scontato che mio fratello ce l’avrebbe fatta, perché lui non era come me. Invece  ci assomigliavamo più di quanto credevamo di sapere. Perché se in quei giorni era stata la tristezza e dolore ad attaccarsi come una zecca sul mio corpo, la sua di zecca era stata la più dura da combattere, lui aveva trasformato il dolore in rabbia. Stentavo perfino a credere ad una cosa del genere. Mio fratello era sempre stato quello più riflessivo, quello più tranquillo e quello più pacifico tra i due.
Invece anche il più pacifico può trasformarsi in una bestia pronta al combattimento.
Non ebbi il tempo di aggiungere altro che un rumore di un furgone in lontananza mi fece irrigidire.
Guardai Samel e la sua faccia era più viola della mia, e non era di certo per via del freddo.
-Presto vattene da qui!- mi disse lui, mentre io impaurita comincia ad indietreggiare e poi a correre, lungo i campi. Ma avevo commesso un grande sbaglio. Se continuavo a correre tra i campi, loro mi avrebbero sicuramente vista, quindi dovevo solo aspettare il momento per svignarmela.
Feci dietro front e mi nascosi dietro ad una casa. Da quella distanza potevo vedere tutto.
Dopo pochi minuti tre furgoni fecero il proprio ingresso nel punto dove poco prima io stavo parlando con Samel.
Potevo vedere da quella distanza che i furgoni appartenevano agli intrepidi, uno perché erano da guerra e due perché c’era il simbolo della fiamma stampata su entrambe le facciate del furgone. Anche un ceco le avrebbe viste.
Fece il suo ingresso un uomo di colore, con le spalle ampie e il petto gonfio.
Era Max che chiese qualcosa a Samel. Lui ascoltò e poi indicò con il braccio la direzione della mensa.
Intanto era scesa anche una bionda dalle gambe lunghe e un biondino con le braccia dietro la schiena, che guardava con aria severa il paesaggio intorno a se. Erano Caroline ed Eric. Quando i suoi occhi si posarono dalla parte in cui io ero nascosta, rientrai immediatamente la testa ed appiattai la schiena al muro. Strinsi gli occhi, sperando che non venisse verso di me, che pensasse che fossi un animale o semplicemente sperai che non mi avesse visto. Intanto formulavo una scusa.
Dopo svariati secondi, tirai di nuovo la testa da dietro il muro. Notai che i tre non erano più nella mia visuale e questo mi indusse a pensare, che dovevano essersi spostati nella mensa.
Mossi le gambe in direzione della via da cui ero venuta, mantenendo però la testa sempre verso il punto dove  c’erano i camion.
Cominciai a correre ma la mia fuga fu interrotta da qualcuno.
La mia spalla andò a sbattere contro il petto di ragazzo e quando i miei occhi incontrarono un colore grigio, il fiato se ne andò a farsi benedire. 



Spazio Autrice
Lo so è, aggiorno dopo molto tempo e vi presento un capitolo corto, ma abbiate pietà di me, sono sommersa da compiti e dalla maturità che sta arrivando (sento l'ansia come Sheena).
Se il capitolo non vi è piaciuto, vi è piaciuto o vi è piaciuto a metà, comunicatemelo con una RECENSIONE.
Vorrei ringrazirvi vivamente per il supporto che nonostante tutto, nonostanto io aggiorni un mese si e quattro no, la storia ancora riceve. Dico solo che sono arrivata a quasi 20K visualizzazioni ed è tredicesima nella classifica delle 20 storie più popolari nella sezione Divergent, in mezzo a tante storie fantastiche. GRazie con tutto il cuore e alla prossima! (che non so quando sarà)


 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20. ***


Capitolo 20.




Travis Joseph Torn, fece il suo ingresso nel mio campo visivo.
Quando l’aria, la saliva e l’ossigeno tornarono alle proprie funzioni, potei finalmente buttargli le braccia al collo e abbracciarlo fino a finire l’aria appena recuperata.
Mi era mancato tutto di lui.
Dai capelli neri, agli occhi grigi fino al suo odore.
Qualcosa anche peggiore di uno schiaffo, mi arrivò in pieno viso quando la verità, quella realtà bruta e fredda, mi si presentò davanti gli occhi.
Perché mio fratello era cambiato, ma cambiato in tutto.
Gli occhi erano spenti e rabbiosi.
I capelli arruffati con l’inizio della barba sul viso.
L’odore non era più quello della prima pioggia di primavera. Era un odore acre, di sudore stantio.
Dovetti allontanarmi per non vomitare. I suoi vestiti erano sudici e la sua faccia coperta da un ghigno malefico che gli andava a distorcere la bellezza innocente.
-Cosa c’è grande S, ti spaventa quello che vedi?- mi chiese con malignità accorgendosi forse della mia faccia stupita.
Quello non era mio fratello, quello era qualcuno che assomigliava a mio fratello.
-Che cosa ne hai fatto del Travis che conoscevo io?- chiesi con le lacrime agli occhi toccandogli quella mascella ruvida per via della barba, terribilmente contratta.
-Lo hanno portato via persone come il tuo ragazzo.- rispose crudele.
Anche il tono della voce era cambiato. Adesso era diventato un uomo letale, quasi quanto Eric e non se ne accorgeva nemmeno ma anzi, si sentiva diverso anche migliore. Risi amaramente di quello spettacolo che mi trovavo di fronte, non avrei mai potuto immaginare che Travis sarebbe diventato Mr. Hyde.
-Credi di farmi male in questo modo? Non ti accorgi che facendo così fai del male solo a te stesso? A nostro padre…- ma non potei terminare la frese perché mi interruppe bruscamente.
-Non provare a nominare il nome di papà. Gli hai sputato sopra quando hai portato quell’essere all’ospedale.-
Le sue parole erano veleno puro, il suo sguardo era spietato, crudele e i suoi occhi ancora più rabbiosi.
Sentii qualcosa nascere nello stomaco, come una sorta di buco, che risaliva su e si andava ad insinuare nella mia bocca, distorcendola impercettibilmente. Poteva essere solo la pena.
 In quei giorni non aveva avuto una spalla su cui piangere, su cui lasciare andare quel dolore. Non c’era sua madre e nemmeno sua sorella, lei era troppo impegnata a fare l’egoista.
MI sentivo in colpa per quello che avevo creato. Ero stata troppo cieca da non accorgermi che anche Trav aveva perso un padre e che era solo, al contrario mio.
-Non lascerò che ti facciano del male.
Quelle parole pronunciate dalla mia bocca, sembravano più un scusa che davo a me stessa per aver creato tutto quel casino. Come se mi stessi discolpando di averlo lasciato solo, di aver scelto gli intrepidi pur sapendo che lui era da solo con nostro padre, che l’avrebbe dovuto aiutare per il resto dei suoi giorni, odiandolo qualche volta per la sua vecchiaia mentre sua figlia se ne stava con i saltatori pazzi.
In quel momento odiavo me stessa per l’egoismo di non essermi mai trovata bene tra quelle persone. Nel fare una vita dove l’unico valore da conoscere e da venerare era l’amicizia.
I suoi occhi si incastrarono nei miei e se prima c’era stupore, poi cambiarono e tornarono ad essere duri.
Potevo vedere tranquillamente i pugni contratti lungo i fianchi con le nocche bianche.
Fu proprio in quel momento che ebbi la pesante intuizione che qualcosa tra me e lui si fosse rotto.
Quel filo che condividevamo fin dalla nascita si era ormai frantumato, staccato, tagliato.
Lacrime stavano nascendo dai miei occhi, ma mi imposi di ricacciarle dentro.
Ormai Travis aveva perso tutta la fiducia nei miei confronti e nel mondo.
-Travis te lo ricordi quando da piccoli, dopo averne combinato una delle nostre, cosa ci dicevamo? Cosa dicevamo perché nessuno dei due finisse da solo nei guai? Perché oltre al compleanno, oltre ai capelli, condividevamo e condividiamo anche i guai. Ricordatelo sempre. Potrai contare sempre su di me e non è una cazzata detta al momento.
Gli dissi e quelle parole parvero ferirlo.
Non mi guardava, stava sempre con quei pugni stretti in vita e basta.
-Io sono te e tu…- provai a dire ma niente, lui sembrava non ascoltarmi.
La speranza era sempre l’ultima a morire ed infatti chi lo diceva non mentiva mai.
-…sei me.- rispose finalmente guardandomi negli occhi. Anche se erano ancora duri e cupi, l’avermi risposto, anche solo ascoltato era un buon segno.
-Purtroppo Sheena le cose sono più complicate di come sembrano.- mi disse guardando altrove.
Seguii il suo sguardo e vidi che Eric e compagni, dovevano trovarsi ancora nella mensa perché non era uscito ancora nessuno e i soldati erano fermi con le armi in mano a pattugliare il posto.
-Lo so.- risposi.
-Devo andare, mi sono avvicinato troppo.- disse e cominciò ad allontanarsi correndo.
Avrei voluto dirgli tante cose ma non potei.
Smisi di guardare l’orizzonte quando lui ormai era lontano e i miei occhi non potevano seguirlo più.
Non so cosa sarebbe successo in futuro, quale sarebbe stato il suo destino, il nostro destino, sapevo solo che avrei fatto di tutto per salvarlo e che era più al sicuro tra gli esclusi che tra i pacifici.
Decisi che se non volevo far tardi al mio primo giorno di lavoro, sarei dovuta rientrare.
Mi girai e tornai sui miei passi, dimenticandomi anche che a pochi metri avevo un ragazzo non proprio paziente e calmo.
Quando arrivai nelle vicinanze della mensa però nessuno fiatava, c’era un preoccupante silenzio, rotto avvolte dalle parole di qualcuno. Non potevo sentire cosa stesse dicendo perché ero troppo lontana. Decisi di uscire allo scoperto e di passare davanti  la vetrata che fungeva da muro della mensa.
Fu quando mi ritrovai inconsapevolmente a girare lo sguardo verso di essa, che mi accorsi a cosa era dovuto tutto quel raccapricciante silenzio.
Una fila di pacifici con gli sguardi allarmati e preoccupati, stava in pedi di fronte ad un ragazzo intrepido che li passava in rassegna con un aggeggio in mano che puntava diligentemente sui visi di ognuno di loro.
Non capivo a cosa servisse quell’aggeggio, sicuramente prodotto dagli eruditi, non l’avevo mai visto prima d’ora. Era una sorta di asticella che ogni qual volta veniva premuta si accendeva uno schermo rotondo tridimensionale  da cui apparivano poi cinque icone, che da quella distanza non potevo vedere di cosa rappresentassero.
Confusa, alzai le spalle e ricominciai a camminare, mettendo le mani nelle tasche della felpa.
A distanza di tre metri dallo spettacolo a cui avevo appena assistito, sentii bussare qualcuno da dietro la spalla. Senza pensarci, ma soprattutto ingenuamente, mi girai mancando un battito quando mi resi conto chi mi trovavo di fronte.
 
***
 
-Guarda, guarda cosa abbiamo qui! Una piccola bugiarda. Cosa ci fai da queste parti, se non sei stata reclutata per la missione?
Caroline, che si era allontanata dalla mensa, mi si stagliava di fronte con i suoi capelli biondi e i suoi occhi blu famelici ricoperti da una spessa matita nera. Il tono derisorio che aveva usato nei miei confronti, mi fece fremere di rabbia che passò subito quando mi ricordai che l’unico modo per uscire illesa da quella situazione, era quello sembrare il più possibile calma ma soprattutto indifferente alla sue false, più che veritiere, accuse.
-Correvo qui intorno e poi ho visto un camion, così sono arrivata qui per capire di chi fosse.
-Puoi chiederlo ad Eric, lui saprà confermarti quello che ho appena detto.- aggiunsi con un sorriso malefico.
Chi la fa, l’aspetti.
Ero ormai stanca di farmi deridere per l’origini da cui provenivo. A quanto pare gli unici trasfazione ben accetti erano gli Eruditi.
-Okay, mi hai convinta puoi andare.- mi rispose regalandomi un falso sorriso.
-Allora ci vediamo in giro, salutami Eric.- risposi continuando con quel gioco.
Lei però continuò a sorridere e a salutarmi con la mano sinistra e  il palmo aperto.
Prima che la situazione degenerasse e si capisse dal mio sguardo che mentivo, mi girai di spalle intenta a lasciarmi indietro quel posto.
Avevo fatto si e no duecento metri, quando sentii uno sparo da arma da fuoco provenire da dietro le mie spalle, seguito subito dopo, da urli disumani.
Mi  girai verso la direzione delle urla accorgendomi che provenivano proprio dalla mensa.
Colta da un senso di timore e preoccupazione, mi avvicinai di nuovo al posto in questione.
-Non puoi avvicinarti. E non mi interessa se ti scopi Eric!
Di nuovo quella voce stridula di Caroline, che questa volta mi aveva fermata dalle spalle.
-Che cosa era quello sparo?-  non la sentii  nemmeno e mi rivolsi con aria furibonda verso la biondina.
Il suo sguardo non era diverso dal mio, ma decise di non rispondere, ma di limitarsi a incrociare le sue braccia al petto.
Ci guardavamo con aria di sfida e nessuna delle due aveva intenzione di abbassare lo sguardo.
-Che cosa era quello sparo?- ripetei io, digrignando i denti.
Lei continuava a restare in un mutismo austero.
Allora con un sorriso beffardo mi girai e ricomincia a camminare.
-Ti ho detto che non me ne frega un cazzo se ti scopi Eric. Tu li non ci puoi andare!- mi urlò e contemporaneamente cercò di farmi cadere.
Avrei voluto picchiarla ma non potevo, perché lei era un capofazione, sarei stata cacciata se avessi fatto una cosa del genere. Lei questo lo sapeva bene. Il sorriso che mi regalava in quel momento, ne era la conferma. Ma ero più furba di lei, perché gli avevo dato modo di abbassare la guardia su di me, perché ora sembrava rilassata, sicura di se. Mi pulii i pantaloni e con uno scatto fulmineo cominciai a correre nella direzione dello sparo.
Accortasi di quello che avevo appena fatto, la biondina cominciò a corrermi dietro.
-Piccola sgualdrina impertinente! Se ti prendo di cavo gli occhi dalle orbite!
Lei continuava con il suo teatrino e io continuavo con il mio. Poi fermai la corsa quando finalmente giunsi a destinazione.
Mentre stavo riprendendo fiato e riportavo distrattamente lo sguardo oltre le spalle, l’ombra di un uomo si avvicinò a me, costringendomi a tornare dritta e rigida.
I suoi occhi verdi dello stesso colore dell’erba mi scrutavano indagatori e arcigni, mentre mi puntava il fucile lucente addosso.
-Lei non è autorizzata ad entrare. Signorina deva rimanere qui.
Quella tuta nera risuonava distorta in mezzo a quella vegetazione che vestiva i colori del giallo e dell’arancione, tipici dell’autunno inoltrato.
-Che cosa sta succedendo la dentro di così segreto perché io non possa entrarvi?
E intanto cercavo di guardare oltre le sua spalle, zampettando sul posto, mentre il soldato si muoveva al muoversi del mio corpo. Eravamo lì, che ballavamo quella strana danza e nessuno dei due sembrava cedere per primo.  Io di certo, non l’avrei fatto. Però non riuscii a vedere niente e quindi, dovetti cercare un’altra soluzione.
Mi allontanai dal soldato con le mani nelle tasche e ritornai su i miei passi.
In realtà stavo cercando di entrare da un’altra parte.
Era un passaggio segreto, una crepa nel retro della cucina che non era stata mai riparata.
Feci il giro tra le case del campo e poi, aspettando che un soldato di pattuglia girasse lo sguardo lonatno dalla mia direzione, uscii da dietro il muro di una casa e correndo furtivamente raggiunsi la cucina, adiacente alla sala della mensa.
La cusina era stata costruita con il legno di acero e lì dentro, faceva caldo sia in estate che in inverno.
Tra quelle palanche che andavano a formare i muri, uno di esse, si era purtroppo con il passare del tempo, allentata e così alzandola sgusciai all’interno di essa.
L’odore di purè di patate e di verdure grigliate, mi riempì le narici riportandomi ad un’infanzia felice, quando tutto correva leggero tra una folata di vento caldo e un gioco tutto da scoprire e da inventare.
In un attimo in quella mensa solitaria tornò il sorriso di mia madre, lo sguardo sognatore di mio fratello e il caldo abbraccio di mio padre.
Accompagnata da quel silenzio incantatore cominciai a piangere.
Quelle lacrime avevano il sapore della memoria e della mancanza, ma anche del perdono e della rabbia, per quella vita che mi aveva tolto tutto subito, quando non ero ancora pronta a farlo.
Presa da me non sentii nemmeno quando un altro sparo squarciò l’aria ma quella volte fu decisamente più forte. E poi arrivarono anche gli urli e così corsi a vedere cosa stesse succedendo.
Nascosta dietro lo spiraglio della porta la scena che mi si presentò davanti mi ridusse in poltiglia, affogandomi nella disperazione e in quella realtà che avevo distorto a causa del sentimento più nobile.

Eric impugnava una pistola.
Eric guardava gelido l’uomo disteso in terra. Come se fosse una mosca fastidiosa.
Eric era aveva ammazzato un uomo.

 

Eric


Li odiavo. Odiavo la loro incessante e impertinente bontà. I loro vestiti gialli. I loro sorrisi sempre stampati su quella faccia. Il loro essere ignavi.  
Se c’era una cosa che avevo imparato in quegli anni era che la vita non ti sorrideva mai, che la realtà era modellata non secondo il tuo volere, ma secondo il volere di qualcun altro, di qualcuno più forte e più potente di te. Certo questa cosa mi aveva da sempre infastidito e il pensiero di essere come tutti gli altri, mi faceva andare il sangue al cervello, così avevo deciso di seguire il mio lato narcisista ed eccomi qui,  a fare pulizie di primavera. 
Un altro uomo cadde come un sacco sul pavimento e altri gridolini riecheggiarono  nella stanza dal soffitto alto.
Mi voltai e rivolsi l’attenzione alla donna che in ginocchio, le stava vicino.
Piangeva sommessamente e singhiozzava come una matta disperata, mentre dentro di me una rabbia e la noia si univano e graffiavano per farsi ascoltare. Me ne volevo andare da lì, nascondere tutto a Sheena e continuare con il piano messo in atto dagli eruditi per controllare Chicago. Questo era solo il primo passo, poi sarebbe toccato agli intrepidi stessi, a quei bugiardi arrampicatori sociali degli abneganti ed infine ai cari e sinceri, candidi che forse detestavo di più, anche di questi patetici in tuta gialla.
-Allora tesoro bello, vediamo se sei o no una bugiarda.
Accesi l’orologio a prova di divergenti e lo misi sulla faccia della pacifica.
Dopo pochi secondo il giocattolino, invenzione deli eruditi, con una voce metallica restituì l’esito “Pacifica”.
-A quanto pare siamo stati sinceri, ma non così tanto da nascondere tuo marito. Portatela via!
La donna cominciò a pregare e a urlare di aver salva la vita, ma ormai era troppo tardi la decisone era stata presa. Doveva pensarci prima. Inoltre doveva servire da monito a tutti perché con Eric non si scherzava.
Improvvisamente sentii un rumore provenire da fuori, come il rumore delle pallottole volanti e al tutto si unirono poi, una serie di voce indistinte. MI guardai con Max, che nel frattempo mi rivolgeva lo sguardo con quelle pozze nere che si trovava di fronte come sorpreso e irritato allo stesso tempo. Non ci fu bisogno di parole perché entrambi, dopo aver fatto scattare la sicura, uscimmo di corsa dalla mensa.
Lo spettacolo che ci si presentò davanti gli occhi, fu sdegnoso.
Schierati come una perfetta guarnigione di soldati, gli esculi puntavano e sparavano all’impazzata proiettili con i loro fucili, mirando precisi i corpi dei soldati intrepidi, che con riluttanza gli tenevano testa.
Cercai con lo sguardo Caroline ma l’unica cosa che i miei occhi puntarono, fu una testa di capelli neri corvino e una mascella squadrata troppo simile ad una persona di mia conoscenza. Quello era il fratello di Sheena, Travis. 




Spazio Autrice
Salve a tutti come vedete non sono morta!
Finalmente sono riuscita a finire questo capitolo e ho decisamente capito, come far finire la storia.
Ve lo dico subito, preparate i fazzoletti miei care ragazze. 
Però non so se saranno dieci o meno di dieci capitoli, fatto sta che c'è ancora da scrivere.
Per oggi è tutto e se vi va, passate a leggere la mia nuova storia, tutta originale e partorita proprio dalla mia mente. La trovate sul mio profilo.
Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, lasciando una semplice recensione.
Adios Chicas! 






 

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Capitolo 21
*** Non è un capitolo ***


Non è un capitolo, mi dispiace!



No, avete capito bene, questo purtroppo non è un nuovo capitolo ma sono qui per dirvi che ho creato una nuova pagina facebook e se volte sempre essere aggiornate su quando pubblicherò le mie storie, potrate trovarmi lì. La pagina si chiama MargoHolden, per chi volesse passare.
Colgo l'occasione per dirvi che nella pagina farò pubblicità a tutte quelle che la vorranno e niente, recensite This Brutal Love, fatemi sapere cosa ne pensate, cosa vorreste che cambiassi, cosa non va, quello che invece vi piace. 
Tra l'altro - ma penso che questo lo averete già capito - la storia è in revisione e non solo dal punto di vista della revisione grammaticale, ma fa talmente tanto schifo, che sto cambiando (per quanto mi è possibile, perché qui l'unica questione sarebbe quella di cancellare e riscrivere da capo la storia per quanto, ripeto, FA SCHIFO) anche la sintassi e i periodi, aggiungendone di nuovi.
Ad oggi sono arrivata a revisionare fino al sesto capitolo, ma penso di rivederli di nuovo. Purtroppo ho pubblicato la storia di getto, senza pensare alle conseguenze e questo poi, è diventato il risultato. 
Ho cominciato a scriverla anche a sedici anni passati, quindi ero inespertissima (non che adesso sia più esperta, ma sono diciamo, "migliorata" un pochettino)
Ah, nella pagina penso che inserirò le foto dei presavolto di Sheena, Helena ecc... perchè qui non ho capito bene come fare (scusatemi anche se so programmare in HTML, sono ancora troppo capra per l'informatica).
Detto questo vi lascio e a tutte/i quelli che come me quest'anno hanno la maturità, mando un saluto e un inbocca al lupo.
Daje raga, ce la faremo!
Adios!


 

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