Una famiglia

di Psiche_delica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***



Capitolo 1
*** 1 ***






 
Una Famiglia





Psiche_delica*






1
 
 
 





Solo attorno a una donna che ama può formarsi una famiglia.

Friedrich von SchlegelIdee, 1801

 




Le cose cambiano, si evolvono e tu non puoi far niente per opporti perché ti accorgi che questo cambiamento è tutto quello che, segretamente, hai sempre desiderato. Ma alle volte arrivi a pensare che inizia a starti tutto stretto; il non riuscire più a stare in intimità con la propria moglie, il non poter accettare il primo lavoro che ti propongono perché questo ti porterebbe lontano da loro per settimane, il non poter far più nulla perché si hanno delle responsabilità.
David James Gandy era stufo di tutto questo, amava sua moglie, Emiliana O’Connor, e sua figlia Mya Gandy, ma da qualche tempo era sempre irritato e nervoso. Avevano da poco avuto una bambina, una graziosa bambina, ma sembrava che questa non volesse proprio lasciare un po’ di quiete ai genitori. La notte, puntualmente, ogni tre ore il suo pianto si estendeva per la casa, svegliando tutti. Emy era sempre più stanca, ma non si tirava indietro. Ogni notte si alzava e correva dalla bambina, l’istinto materno era qualcosa che David non riusciva a capire del tutto. Ogni notte lui rimaneva solo nel letto, e odiava quel letto freddo.
Voleva che la sua Emy stesse lì, accanto a lui, nel letto. Gli mancava così tanto il corpo della moglie che aveva paura di essersene dimenticato. Non sapeva più com’era morbida la sua pelle, non sapeva più quale fosse il suo odore, anche quello più intimo.
Erano un paio di notti che Emy aveva proprio deciso di trasferirsi nella camera della bambina.
“Così potrai dormire”, gli aveva detto con dolcezza, quella dolcezza che David voleva anche risentire sotto le lenzuola, mentre amava sua moglie.
Non aveva risposto, troppo stordito per poter replicare e per questo, come le sere precedenti, si ritrovava solo nel letto, mentre passava le mani sul posto vuoto e freddo di Emy.
Era un continuo girarsi nel letto, un continuo fruscio di lenzuola e sospiri. Stava arrivando al limite, più volte aveva chiesto quando tutto questo sarebbe terminato e ogni volta si sentiva rispondere che presto tutto sarebbe finito, ma lui non vedeva la fine.
Dopo l’ennesimo sospirò si alzò dal letto e prese a girare a vuoto per la camera. Era tutto così impossibile.
Uscì dalla camera e andò dritto verso quella di Mya. Voleva convincere Emy a tornare a letto con lui, ma il pianto della bambina, per l’ennesima volta squarciò il silenzio che riscaldava la casa.
Entrò nella stanza, ma di Emy non c’era nemmeno l’ombra. Si allarmò e si guardò intorno, mentre il pianto della bambina gli fracassava i timpani.
Si portò una mano sul viso e si avvicinò alla culla, si sporse verso di essa e allungò le braccia per prendere sua figlia. La piccolina continuò a piangere e David non sapeva cosa fare, non sapeva nemmeno dove fosse Emy, dannazione!
In preda al panico guardò la bambina, troppo piccola per le sue braccia possenti, agitarsi e l’unica cosa che gli venne in mente fu di metterla a pancia sotto, passando il braccio sotto il suo corpicino e carezzandole la schiena.
“Ssst” continuava a ripetere, mentre la sua enorme mano ricopriva tutto il corpicino della piccola. Era la prima volta che rimaneva solo con Mya, era la prima volta che doveva vedersela con il suo ruolo di padre, perché da quando era nata David non aveva osato rimanere con lei per più di cinque minuti.
Era stato al settimo cielo quando era nata, ma ora, dopo tutti i problemi che stava portando non riusciva ad essere felice. Con stupore notò che la piccolina si era calmata.
Tirò un sospiro di silenzio, quando sentì un altro pianto.
Emy…
Con Mya tra le braccia si diresse verso il bagno che si trovava di fronte e trovò sua moglie rannicchiata a terra mentre piangeva.
Oh Dio…
Con la paura che gli trapassava ogni singolo neurone, David cercò di chinarsi stando attento alla piccola.
“Emy…” la chiamò, ma le mani di Emy erano aggrappate ai capelli, come a volersi tappare le orecchie per non sentire più nulla.
“Portala v… portala in camera” la sentì dire, mentre singhiozzava pesantemente.
David guardò il fagotto che aveva tra le braccia ed annuì. Posò con delicatezza la piccola nella culla e quando uscì dalla stanza lasciò aperte le porte.
Tornò da Emy e la prese tra le braccia, cullandola.
“Scu-scuami” disse tra le lacrime che non volevano cessare.
“Per cosa?” le chiese e le passò una mano sulla guancia per scacciare tutte quelle lacrime.
“Per n-non essere una bra-brava moglie e…u-una brava madre” disse lei e si aggrappò alle spalle nude del marito.
“Ssst” non era il momento adatto per parlare di questo.
Emy continuò a piangere e David la prese in braccio, portandola in camera.
“No… io…”
“Emiliana dormi” le disse con tono autoritario e si stese accanto a lei, bloccandola per non farla fuggire.
“La bambina” disse, priva di forza.
“Ora sta dormendo” le rispose e la tirò con forza a sé, imprigionandola tra le sue braccia e dio… quel contatto gli era mancato da morire.
Si perse ad annusare l’odore dolce di sua moglie e pregò che la bambina non si svegliasse più, ma non c’era preghiera di David che potesse essere esaudita e come ogni altra notte, il corpo della moglie lo lasciò da solo nel letto.
 
 
 
 
“Perché stai preparando la valigia?”
La voce di Emy lo colse impreparato e si voltò a guardarla.
“Ho un servizio da fare”
“E perché non ne hai parlato?” chiese lei stizzita. Aveva due profonde occhiaie che le segnavano il volto. I capelli non erano più sistemati, ma li portava legati in modo molto disordinato, non che a lui importasse, per lui sarebbe stata sempre bellissima, ma vedeva come Emy si era lasciata andare, vedeva come la stanchezza e l’essere madre l’avessero sfiancata.
“Perché ho accettato questa mattina” disse David, buttando un paio di boxer nel borsone da viaggio.
Emiliana gli si avvicinò e lo allontanò. “Faccio io” gli disse ed iniziò a sistemargli il borsone con molto più ordine.
Lui continuò a guardarla e moriva dalla voglia di abbracciarla, di baciarla, di toglierle il fiato… ma sapeva che erano tutti pensieri vani, impossibili.
“Quanto starai via?” gli chiese lei.
“Due settimane” rispose, cercando di non guardarla in viso.
“D-due?” chiese lei, lasciando che una maglia di David le cadesse dalle mani.
David annuì.
David sapeva cosa Emy stesse pensando, fra una settimana sarebbe stato il suo compleanno e lui pensava di passarlo lontano da casa, lontano da loro che erano la sua famiglia.
“Come preferisci” rispose Emy e chiuse il borsone con stizza e se ne andò, lasciandolo solo. Come sempre.
 
 
 
Erano passati già cinque giorni dalla partenza e anche se la notte finalmente riusciva a dormire, senza mai svegliarsi in preda ad una crisi isterica per via del pianto di un neonato, casa sua gli mancava. Forse proprio quella quotidianità, quell’essere esasperato, quel continuo rigirarsi tra le lenzuola aspettando invano l’arrivo di Emy, gli stavano facendo capire che forse accettare questo servizio era stato uno sbaglio. Perché quando ci sono problemi, il modo migliore per affrontarli, per accantonarli è parlare, non scappare. Non come aveva fatto lui.
Dipendente ormai da sua moglie, da tutto ciò che la riguardasse, David prese il cellulare ed inoltrò la chiamata.
“Pronto?”
Non riusciva a parlare. Voleva dirle tante di quelle cose, che non riusciva nemmeno a dirne una.
“Pronto?!”
La voce di Emy si faceva sempre più irritata.
“Sono io…”
“Allora sei vivo”
“Co-come state?” chiese, ma sapeva che fra poco sua moglie sarebbe esplosa.
“Davvero ti interessa sapere come stiamo?”
“Sì”
“Male, ecco come stiamo! Cosa pensavi di fare, andandotene? Sentiamo! Mi hai lasciata da sola, con nostra figlia, mi hai lasciata da sola a gestire tutto, come se per me non fosse la prima volta! Credi che sia facile per me? Credi che starti lontana ogni fottuta notte mi renda felice? Smetti una buona volta di fare il bambino trascurato, privo di attenzioni!”
Lo sapeva, lo aveva immaginato, ma sentirle dire tutte quelle cose lo stava portando al senso di colpa più estremo.
“Emy… io…”
“Tu, tu, solo e sempre tu. Maledetto il tuo lavoro ed il tuo ego!”
David sapeva bene quanto Emy odiasse la moda ed il suo lavoro, ma ora sentiva l’avversione di lei come qualcosa di tangibile, che potesse essere toccato.
Le meritava tutte quelle parole.
“E pensare che non sono solo io a sentire la tua mancanza! Tua figlia piange, ora, giorno e notte perché non ci sei!”
Oh…Mya…
David si passò la mano libera sul viso e cercò di pensare con lucidità, ma era troppo difficile.
“Emy, perdonami se puoi. Io… non sapevo come gestire la cosa. Non…”
“Allora continua a stare lì e cresci” e gli chiuse il telefono in faccia.
Si lasciò andare contro il letto e si passò entrambe le mani sul viso.
Doveva prendere una decisione, giusta o sbagliata che fosse. 

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Capitolo 2
*** 2 ***


 Una famiglia



Psiche_delica*


2
 
 
 
 
 
“Stop! Stop! Non ci siamo proprio!”
Il regista dello spot pubblicitario, un certo Monfils, era sempre più alterato e David poteva capire il perché, d’altronde la causa era lui e la sua poca voglia di essere lì. Una settimana prima aveva firmato quel contratto con un sorriso sul viso, cogliendo l’occasione di potersi allontanare da casa per poter respirare di nuovo, ma la chiamata della sera precedente lo aveva steso, annientato. Non c’era ora del giorno che lui non ripensasse alle parole di Emy, e più ci pensava e più si sentiva in colpa. Aveva abbandonato la sua famiglia, la famiglia che aveva voluto con tutto se stesso, solo per un piccolo problema, un problema che con il tempo si sarebbe risolto.
David sapeva che era stata la paura a farlo partire, ma quella stessa paura lo stava richiamando verso casa.
Verso loro.
“Pausa per tutti e tu – disse, indicando David – se dopo questo break non ti sei ripreso, puoi anche prendere le valigie e tornartene da dove sei venuto!”
David, stanco anche di sentirsi dire cosa doveva o non doveva fare, si scrollò di dosso quell’orribile giacca in pelle, gettandola a terra, e puntò i suoi occhi glaciali contro il regista.
“Me ne vado”
Tre semplici parole che mandarono in escandescenza tutto lo staff. Persone che avevano lavorato giorno e notte per la riuscita dello spot, vedevano il lavoro andare in frantumi da tre semplici parole.
“Non puoi” replicò il regista.
“Certo che posso e lo faccio. Il contratto era per una settimana e la settimana è scaduta ieri sera alle 23.57. Se volete scusarmi ho un volo da poter prendere” e scansò il regista per passare, ma quello non lo lasciò passare.
“Gandy ci servi. Non parlavo seriamente, fermiamoci a parlarne”
“Monfils non c’è niente di cui discutere. Firmare questo contratto è stato l’errore più grande della mia vita, ho una famiglia a casa che aspetta qualcuno che se ne prenda cura e quel qualcuno sono io! Ho una figlia di nemmeno un mese e invece di essere lì con lei, sono qui ad indossare giacche di vera pelle, ed io sono contro queste cose!”
David aveva lasciato uscire tutto quello che pensava o che aveva pensato sin dall’inizio di quello spot. Non c’era posto in cui volesse essere se non a casa sua, con sua moglie e sua figlia.
Monfils lo guardò e nei suoi occhi passò prima il risentimento poi la rassegnazione. Sapeva che aveva perso il suo modello, d’altronde Gandy era riconosciuto per la sua testardaggine e niente e nessuno gli avrebbero fatto cambiare idea.
“Perfetto. Allora vattene” e così dicendo gli voltò le spalle raggiungendo il team.
David guardò tutta lo staff e con un sospirò si scompigliò i capelli e raggiunse il suo autista.
“Alan portami in hotel e poi in aeroporto, ho un volo da prendere”
 
 
 
Il cielo di Londra non era mai stato così grigio come quel giorno e quello stesso grigiore David lo avvertiva nel cuore. Si sentiva un uomo malvagio e poco degno. Guardò fuori dal finestrino e si incantò ad osservare la casa che la stessa Emy aveva progettato.
Era uno spettacolo ed ogni volta che la vedeva gli faceva mancare il respiro. Suo moglie aveva un talento unico.
“Alan, ti ringrazio. Soprattutto per la pazienza”
“Si figuri Mr Gandy. Se può consolarla le dirò che stare dietro quel fanatico di Monfils era davvero snervante” disse l’uomo al volante cercando di stemperare l’atmosfera.
David fece un breve ma sincero sorriso e si sporse in avanti per dare una pacca sulla spalla del suo autista di fiducia.
“Be’ allora… grazie ancora, Alan” e così dicendo scese dall’auto, portando con sé il piccolo trolley da viaggio. Si annodò per bene la sciarpa intorno al collo e, non facendo caso alla fastidiosa pioggerella, imboccò il viale acciottolato che portava a casa sua. Ogni passo era un battito accelerato, ogni passo era una contorsione dello stomaco e non sapeva quanto avrebbe potuto reggere. Era stanco e… perso. Non sapeva cosa si sarebbe presentato dinanzi ai suoi occhi, ma non lo avrebbe saputo fino a quando non si sarebbe deciso a bussare. La porta in legno massiccio gli sembrava una barriera insormontabile.
Bussò di nuovo, ma nessuno venne ad aprire. Il panico si impossessò di David. Fece un bel respiro profondo e, grazie ad un sprazzo di lucidità, iniziò a tastarsi le tasche del giaccone, alla ricerca delle chiavi. Le trovò nella tasca interna e con mano tremante aprì il portone di casa.
Il silenzio che si respirava era tombale.
Era chiaro che non ci fosse nessuno e questo non faceva altro che trascinarlo verso l’oblio della tristezza. Con il piede chiuse la porta di casa e si guardò un attimo attorno. Nulla era cambiato in quei pochi giorni, era tutto come ricordava. Iniziò a camminare, per avviarsi verso la camera, ma si ricordò delle parole di Emy e tornò indietro per togliersi le scarpe. non voleva che le imbrattasse i pavimenti. Con malinconia ripensò a quei stupidi battibecchi che servivano solo ad unirli ancora di più come marito e moglie. Così, con i piedi scalzi ed il cappotto ancora indosso, salì i scalini che lo portavano al piano di sopra, verso le camere da letto. David aveva il fiato sospeso, soprattutto quando raggiunse la loro camera. Con mano tremante aprì la porta, ma quello che vi trovò all’interno lo fece traballare e quasi svenire.
Emy era sdraiata nel letto, dormiente, con il seno scoperto e Mya era sdraiata di fianco accanto a lei, con la bocca ad un soffio dal capezzolo di Emy. Era una visione così dolce, così calda che David inavvertitamente pianse. Pianse di felicità, per essere a casa di nuovo, per poter ammirare quelle due meraviglie e per aver capito che scappare non serviva a niente, perché il suo cuore era lì, in quel letto. Con incertezza si avvicinò al letto e si sdraiò alla parte opposta, racchiudendo la piccola Mya in un bozzolo d’amore.
 
 
Quando David riaprì gli occhi si trovò davanti due pozze glaciali. Gli occhi di Emy lo guardavano, fissi e freddi. Sapeva che quel momento di felicità non sarebbe durato per sempre, perché avrebbe dovuto parlare con sua moglie, ma sperava che quel momento fosse più prolungata.
“Sei a casa” gli disse.
“Sì…”
“Perché?”
David si stese di schiena sul letto e guardò il soffitto. Era arrivata la resa dei conti e doveva essere onesto, soprattutto se voleva quella famiglia.
“Perché è con te che voglio stare, con voi. Ogni notte mi è mancata sentirla piangere, ogni giorno chiudevo gli occhi e ti immaginavo e… ti volevo. Dio solo sa quanto ti desidero, nonostante continui a dire che sei inguardabile. Per me sei sempre la stessa Emy, anche se non hai dormito per tre notti e hai le occhiaie. Sono tornato perché scappando non risolvo niente. Ho capito che voglio vivervi” e detto questo voltò il viso verso quello della moglie, trovandolo inondato di lacrime. Emy cercò di asciugarsi il volto, ma quel movimento svegliò la piccola. David si mise seduto, con le schiena poggiata alla testiera del letto e prese il piccolo fagotto tra le sue braccia.
Era caldo e profumava. Le piccole manine paffute si muovevano, disarmoniche, cercando di aggrapparsi a qualcosa. David la pose sul suo petto e baciò la piccola testolina.
Mya…” e le passò l’enorme manona sulla schiena, accarezzandola. Era sua, la sua piccola Mya e niente lo avrebbe riportato lontano da loro.
“David…”
I Singhiozzi di Emy gli trafissero il cuore, ma con la mano libera acciuffò la moglie e la tirò verso di sé ed Emy, come Mya, si rifugiò tra le braccia del marito.
“Ho avuto così tanta paura che mi avessi abbandonata. Non sai quanto ho avuto bisogno di te” e pianse sulla spalla di suo marito, mentre la loro figlia aveva ripreso a dormire tranquillamente.
“Ssst. Non pensarci più. Sono qui, sono tornato e non andrò più via”
Il viso di Emy si sporse verso quello di David e lui quell’occasione non se la fece scappare. Saggiò le labbra della moglie e il nodo che aveva al cuore si sciolse. Ogni tassello stava andando al proprio posto, ristabilendo l’ordine delle cose.
Il bacio fu dolce e lento, ma pieno d’amore.
“Ti amo così tanto” le disse quando i loro volti si staccarono.
Le guancie di Emy si bagnarono ancora una volta, ma un piccolo sorriso le incurvò le labbra.
“Io di più” ripose e lasciò andare la testa contro l’ampio petto del marito. Erano di nuovo una famiglia, con ancora alcune cose da assestare e sistemare, ma quando di base c’era l’amore niente poteva andar male. Bastava volersi.
E col tempo avrebbero imparato a gestire tutte le cose.

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